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vendredi, 02 mai 2014

Rileggere Jean Raspail, profeta inascoltato

Rileggere Jean Raspail, profeta inascoltato

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Ex: http://www.centrostudilaruna.it

jean-raspailQuando apparve, nel 1973, per i tipi dell’editore Laffont di Parigi Il campo dei santi, il romanzo di Jean Raspail – classe 1925, oggi un arzillo signore di ottantotto anni – parve una specie di opera fantascientifica, se non proprio un semplice divertissement, una stramba allegoria che non ci riguardava affatto: invece il tempo si è incaricato di mostrare fino a che punto questo scrittore cattolico francese sia stato terribilmente lungimirante.

Nel romanzo si immagina che, in India, uno strano profeta inciti i suoi compatrioti a rifiutare la miseria per dirigersi in massa verso il benessere, cioè verso l’Europa: impossessatisi di una flotta di carrette del mare, i suoi seguaci si presentano davanti alle coste settentrionali del Mediterraneo e sbarcano pacificamente, ma irresistibilmente, accolti dalle buone intenzioni delle élites culturali che, non volendo passare per razziste, si prodigano per accogliere tutti. L’ondata migratoria è enorme e modifica radicalmente il quadro sociale, culturale, spirituale del vecchio continente; ma gli intellettuali, le organizzazioni umanitarie e i settori religiosi “progressisti” hanno deciso: in nome dei “diritti umani”, quegli stranieri non possono essere respinti, anzi li si deve accogliere con il massimo della buona volontà. Improvvisamente la società multietnica e multiculturale, della quale nessuno aveva mai parlato, almeno in Europa, diventa un valore decisivo, un elemento di civiltà del quale non si può fare a meno; e chi non è d’accordo, viene criminalizzato e trattato di conseguenza. Alcuni abitanti della Costa Azzurra, che tentano di opporsi allo sbarco massiccio sulle coste della loro regione, vengono addirittura bombardati dalla stessa aviazione francese: gli Stati hanno deciso che va bene così, che il nuovo ordine mondiale deve essere basato sul completo rimescolamento delle razze, delle fedi, delle culture, e che resistervi è un crimine.

Raspail immaginava questo scenario al principio degli anni Settanta, allorché l’immigrazione “extracomunitaria” in Europa era ancora un fenomeno estremamente limitato; eppure, a distanza di quarant’anni, bisogna constatare che egli ha visto chiaro come se avesse avuto la sfera di cristallo per leggere nel futuro. Nel suo Paese era già qualcuno, e ancor più avrebbe fatto parlare di sé negli anni seguenti: nel 1981 avrebbe vinto il Grand Prix dell’Accademia di Francia, con un romanzo incentrato sulla figura strana, ma realmente esistita, di Antoine de Tounens, “imperatore” francese della Patagonia nella seconda metà del XIX secolo. In Italia, invece, non ci si è accorti di lui, o si è preferito ignorarlo, in ossequio al dogma che vuole la cultura francese contemporanea tutta laica, progressista, e “gauchista”; dogma che ha “occultato”, per quanto possibile, al nostro pubblico, anche altri scrittori di vaglia, per esempio Renaud Camus, Jean Madiran e Dominique Venner (fino al clamoroso suicidio di quest’ultimo, nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi). Solo nel 1998 una piccola casa editrice di estrema destra ha tradotto e pubblicato Il campo dei santi (il cui titolo si riferisce a un versetto del libro dell’Apocalisse, in cui si parla dell’assalto delle forze del male contro i seguaci di Cristo), a conferma – se mai ve ne fosse stato bisogno – che, in Italia, la cultura indipendente non esiste e le simpatie culturali sono sempre e solo di parrocchia, di fazione, di corrente. Resta il fatto che Jean Raspail, considerato uno dei maggiori scrittori francesi viventi, da noi continua ad essere pressoché sconosciuto: sono ben poche le persone colte che lo hanno letto o anche solo sentito nominare, che ne parlano, che discutono le sue tesi; quanto al grosso pubblico, non ne sa nulla, puramente e semplicemente.

jean raspail,lettres,lettres françaises,littérature,littérature françaiseÈ vero che anche in Francia, all’inizio, Il campo dei santi era stato accolto piuttosto in sordina; maggiore riscontro aveva avuto, chi sa perché, negli Stati Uniti; poi, però, poco a poco, ma irresistibilmente, il libro era stato richiesto, ristampato, venduto, anno dopo anno, fino a raggiungere una tiratura che, oggi, si calcola in mezzo milione di copie. Sarà perché i fatti gli hanno dato clamorosamente ragione; oppure perché, in Francia, un autore di valore, magari tardi, alla fine salta fuori; da noi, complice l’egemonia culturale della sinistra neo-marxista (anche se essa non si considera più tale), comprendente anche buona parte del mondo cattolico (che, del pari, ignora questo debito ideologico, almeno in apparenza), e l’inconsistenza intellettuale, e non solo intellettuale, della destra, è possibile, possibilissimo, che scrittori e filosofi eminenti restino sepolti, ignorati o dimenticati, a tempo indeterminato, anche dopo che nel resto del mondo si sono definitivamente affermati: un fenomeno, in verità, tutt’altro che recente, ma anzi tipico della nostra Repubblica letteraria, almeno a partire dal secondo dopoguerra – ma per molti aspetti, ancora più antico, e perfino anteriore al fascismo.

A parte il fatto che l’immigrazione massiccia, biblica, incontrollata, è oggi in gran parte di provenienza nordafricana e mediorientale (ma non solo), e non specificamente indiana o pakistana, si deve riconoscere che Raspail ha colto nel segno un fenomeno estremamente drammatico, che mette in forse la stessa sopravvivenza della civiltà europea, così come la conosciamo e così come le generazioni precedenti l’hanno sempre conosciuta, amata, coltivata. Non è questione di difendere il “predominio della razza bianca”, come ammonivano certi intellettuali europei e americani fin dai primi anni del Novecento (si pensi, per fare un nome, a Lothrop Stoddard), ma semplicemente di vedere se gli Europei hanno il diritto, oppure no, di scegliere liberamente e democraticamente il loro futuro; che, ormai, coincide con la sopravvivenza o meno della loro civiltà.

Una cultura progressista, buonista, follemente permissiva, cerca di presentare l’invasione del nostro continente – ché di una vera invasione si deve parlare, anche se, per adesso, relativamente pacifica – come qualcosa di assolutamente naturale, giusto e benefico: un evento che cambierà in meglio il nostro futuro, che arricchirà la nostra società, e che ci renderà finalmente, da ottusi e provinciali cultori del nostro angusto orticello, dei veri cittadini del mondo, dei veri e integrati protagonisti della globalizzazione.

Ma c’è di più: la messa al bando del dissenso, la criminalizzazione delle posizioni contrarie. In nome di un concetto totalitario e ipocrita della democrazia, si vuol far passare per incivile, razzista e reazionario chiunque nutra il benché minimo dubbio sulla bontà di questa operazione. Si invocano i rigori della legge contro i reati di opinione; si cerca di scavalcare il normale processo democratico, per mezzo di sortite demagogiche di esponenti delle istituzioni i quali danno per scontato che, in tempi brevi, i Parlamenti approveranno misure atte a facilitare l’invasione, e ne parlano come se tali modificazioni legislative siano sono questione di tempo. E la stessa pressione istituzionale, lo stesso ricatto etico vengono portati avanti anche su altri temi, in apparenza distanti da questo, ma in realtà legati da un filo sotterraneo, per esempio la parificazione delle unioni di fatto al matrimonio e, in particolare, il riconoscimento giuridico del matrimonio fra due persone dello stesso sesso, nonché il diritto di tali coppie di poter adottare dei bambini, al pari di qualunque altra copia regolarmente sposata.

Sono tutte novità che vanno nella direzione di provocare disorientamento e di indebolire la coesione spirituale e morale della società europea; sono tutte iniziative che nascono o dalla incosciente arroganza della cultura radicale, che vede la necessità di intraprendere ovunque battaglie per i diritti dei singoli, e mai si preoccupa dei doveri, né della tutela della società nel suo insieme, vista, semmai, quest’ultima, come una semplice dispensatrice di riconoscimenti giuridici; oppure da un disegno intenzionale di poteri occulti, essenzialmente di natura finanziaria, che si servono dello strumento mediatico, della politica, perfino della religione, per sovvertire l’ordine e i principi sui quali da sempre riposa la nostra civiltà e per creare le condizioni favorevoli all’instaurazione di un totalitarismo strisciante e non conclamato, ma ancor più capillare e tirannico di quelli, di triste memoria, che hanno funestato il XX secolo.

Il fatto che un autore come Jean Raspail non sia conosciuto quasi da nessuno in Italia, e che il suo libro più profetico e conturbante sia stato messo in commercio solo da una piccola casa editrice politicamente estremista, è la dimostrazione del fatto che i meccanismi di tale totalitarismo si sono già messi in moto, sono già attivi e operanti e riescono già a controllare, in larga misura, quel che l’opinione pubblica deve sapere e quello che deve ignorare. Quando proprio un evento o una idea non possono essere interamente occultati, si ricorre alla tattica di deformarli, di stravolgerli, di presentarli in maniera tale da suscitare sdegno, repulsione, condanna; si fa leva sul ricatto buonista: se ti presti ad ascoltare certi discorsi, allora vuol dire che non sei una brava persona. Perché le brave persone porgono sempre l’altra guancia, aprono sempre la porta di casa a chiunque vi bussi, magari in piena notte ed anche – forse – ai peggiori malintenzionati: grosso fraintendimento della morale evangelica, la quale chiede, semmai, tali comportamenti al singolo individuo, non glieli impone e tanto meno pretende di imporli alla società nel suo insieme, come se il credente avesse il diritto di decidere per tutti gli altri su questioni di importanza vitale.

Eppure è una cosa piuttosto evidente: io posso anche scegliere di far entrare in casa mia chiunque, di cedergli le stanze migliori, di ritirarmi a vivere nello sgabuzzino, per accogliere il maggior numero possibile di immigrati; ma non ho alcun diritto di non tener conto dei diritti, dei sentimenti, della sicurezza dei miei figli, dei miei vicini, dei miei concittadini, specialmente se dalle mie decisioni dipendono il loro bene, la loro stessa sopravvivenza. Accogliere un lebbroso, un delinquente evaso, un malato di mente, può essere un gesto sublime oppure un gesto di somma incoscienza: sia come sia, è un gesto che riguarda me solo, finché le possibili conseguenze riguardano me solo; ma riguarda anche tutti gli altri, allorché le possibili (e prevedibili) conseguenze coinvolgono anche tutti gli altri.

Certo, vi sono molti stranieri che emigrano in cerca di lavoro, che sono delle brave persone, che chiedono solo di guadagnarsi il pane onestamente: non vi sono solo dei pazzi che se ne vanno in giro brandendo il piccone, a massacrare il primo che passa (come pure è avvenuto, ed è cronaca abbastanza recente, anche se già quasi dimenticata dai mass media). Questo è ovvio. Ma resta il fatto che milioni e milioni di persone che pretendono – non chiedono, pretendono – di rifarsi un futuro invadendo l’Europa, e sia pure pacificamente, pongono una serie di problemi politici, economici, sociali, culturali, gravissimi, che non é possibile prendere alla leggera e non è onesto minimizzare, così come non è onesto ricattare l’opinione pubblica con la minaccia di considerare intollerante, inospitale e razzista chiunque metta in guardia contro i rischi e contro gli effetti negativi che già si registrano in tutti i campi, da quello della criminalità a quello della crisi dei posti di lavoro.

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, la marea sta avanzando e sta sommergendo gli abitanti originari dell’Europa, grazie anche al tasso d’incremento demografico molto più alto dei nuovi arrivati, mentre in molti Paesi del vecchio continente, compreso il nostro, esso era ormai giunto al saldo negativo. Fra alcuni decenni l’Europa sarà un continente solo parzialmente europeo e fra meno di un secolo gli Europei saranno una minoranza, forse tollerata, forse discriminata, comunque una minoranza soggetta alla volontà della maggioranza. È questo che vogliamo? È questo che vogliono i nostri intellettuali, i nostri legislatori, il nostro clero?

Intendiamoci: non sarà la fine del mondo. Il mondo ha conosciuto altri e ben più drammatici fenomeni di migrazione di massa: ha visto sorgere società miste, ha assistito alle loro difficoltà, alle loro convulsioni, alle loro trasformazioni; ha visto sorgere nuove civiltà e scomparire le vecchie, e non sempre la cosa ha presentato solo aspetti negativi, almeno nel lungo periodo (il che significa che quanti hanno vissuto tali trasformazioni, i problemi li hanno vissuti eccome). Sarà, molto più semplicemente, la fine dell’Europa. L’Europa diventerà una espressione geografica: non sarà più un continente specifico, con la sua storia, con le sue tradizioni, con le sue lingue e con il collante della civiltà cristiana. Sarà un’altra cosa: un’appendice dell’Asia e dell’Africa, in tutti i sensi.

Una tale eventualità non implica per forza, lo ripetiamo, una apocalisse, ma certamente implica una trasformazione quale, oggi, pochi riescono a immaginare e nessuno possiede gli strumenti per sapere quali costi imporrà a noi stessi, e soprattutto ai nostri figli e ai nostri nipoti: costi economici, sociali, morali, spirituali. Forse, per fare un esempio, un medico che si rifiuterà di infibulare una ragazzina somala in una struttura ospedaliera pubblica, secondo le richieste della famiglia di lei, si vedrà denunciato, processato e condannato, nonché sottoposto a un linciaggio morale per il suo comportamento intollerabilmente eurocentrico e razzista. Forse.

Non amiamo fare i profeti di sventura, né spaventare alcuno, quando ci sarebbe bisogno, semmai, di ragionare con la massima calma e lucidità. Ma questi sono i veri termini del problema, piaccia o no.

* * *

Tratto, con il gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.

"Vladimir Bonaparte Poutine"

Action Française, Cercle de Lyon

13 mai 2014

"Vladimir Bonaparte Poutine"

par Yannick Jaffré

Le prochain cercle de l’AF lyon aura lieu le 13 mai 2014. Yannick Jaffré nous présentera son livre, "Vladimir Bonaparte Poutine", le mardi 13 mai, à 18h30, au Cercle Charles Péguy, 15 rue Sala.
Renseignements au 06 82 83 92 00
lyon@actionfrancaise.net
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Entrevista a Geidar Dzhemal

GEIDAR DZHEMAL

De nuevo fueron agredidos dos candidatos al cargo de presidente de Ucrania, Mijaíl Dobkin y Oleg Tsariov; los representantes de la ONU presentaron un informe en el que hicieron un llamamiento a las autoridades de Ucrania para que garantizaran a todos los ciudadanos los mismos derechos para participar en la política. ¿Qué les espera no solo a los ucranianos, sino al mundo entero? Se lo ha contado a Sobesednik.ru el hombre público ruso musulmán, politólogo Geidar Dzhemal.

Sobesednik:¿Geidar, por qué cree que las provocaciones siempre se dirigen contra estos dos candidatos al puesto del presidente de Ucrania, Oleg Tsariov y Mijaíl Dobkin? ¿Qué tienen de especial?

Geidar Dzhemal: No lo sé, simplemente son los candidatos pro-rusos. Creo que tan inequívocamente pro-rusos que desde el punto de vista de la idea nacional ucraniana representan a la “quinta columna”. Creo que Tsariov y Dobkin representan la colocación del resto de Ucrania, como ocurrió con Crimea, bajo el control federal, el poder federal de Rusia. Al menos, Tsariov es lo que representa exactamente.

Sobesednik: ¿Entonces todas las provocaciones se dirigen contra la posibilidad de que el resto de Ucrania pase bajo el control federal de Rusia?

Geidar Dzhemal: Se trata de un proceso que para las regiones tan desestabilizadas como Ucrania es sencillamente inevitable.

Sobesednik: ¿Qué papel van a desempeñar las elecciones presidenciales en esta situación?

Geidar Dzhemal: No jugarán ningún papel, porque la situación actual ya se ha salido fuera del marco de un proceso político corriente. Considero que como resultado vamos a tener una guerra en toda regla. Entre los candidatos no hay ninguno que dé la talla cara a la dimensión histórica del momento. Y el proceso en cualquier caso dejará de ser coordenado y dirigido para desviarse en dirección al flujo de la Historia pura.

Sobesednik: Ha dicho que “vamos a tener una guerra en toda regla”. ¿Se trata de la guerra dentro de Ucrania?

Geidar Dzhemal: Creo que la guerra dentro de Ucrania inevitablemente va a involucrar a Rusia. En primer lugar, Crimea ahora se encuentra aislada y ese aislamiento irá creciendo, ya ahora está cortada la electricidad, el agua que llega a través del canal del Norte de Crimea no ha sido cortada, pero su caudal ha bajado 3 o 4 veces. Y si lo siguen bajando, cosa que seguramente harán, va a significar el colapso de agua en la península. Además, con el transbordador solo se puede llevar 60 furgones de alimentos al día. Y cuando Crimea formaba parte de Ucrania a diario llegaban 250 furgones durante las 24 horas. Es decir que incluso llenando el transbordador solo con este suministro, la cantidad de alimentos que va a llegar a Crimea será 4 veces menos que antes de la anexión. De modo que ahora mismo en Crimea hay un tremendo problema de déficit de agua. Y además está el problema del suministro de la energía eléctrica. Para resolverlos Rusia necesita abrir un corredor, cosa que únicamente se puede hacer a través de las regiones del sureste de Ucrania, a través del istmo. De otra manera no se entiende cómo se puede apoyar a Crimea. De modo que habrá que invadir simplemente estas regiones. Es decir que este proceso ya está en marcha en algunas regiones, por ejemplo en Slaviansk, lo que significa el conflicto con Ucrania y con quien la apoye.

Sobesednik: ¿Y quién cree Ud. que la va a apoyar?

Geidar Dzhemal: Creo que la apoyarán los Estados Unidos que sacan el provecho, porque gracias al conflicto en Ucrania vuelven a afianzar la OTAN que se estaba desmoronando. Es decir que la OTAN estaba moribunda, pero de repente la historia con Crimea le ha dado nueva vida y la OTAN ha resucitado. Ahora ya no hace falta convencer a nadie de su necesidad, se puede obligar a los países de Europa del Este a gastar grandes cantidades en defensa. Sin lo de Crimea la OTAN se hubiera seguido resquebrajando, los estadounidenses tendrían que correr con más gastos, ya que los europeos procuraban desentenderse. Ahora la situación ha cambiado: los norteamericanos ya no necesitan justificar la presencia de su ejército en Europa etc. Ha surgido un colosal argumento a su favor. Creo que los Estados Unidos van a obligar a los europeos a participar en esta situación, van a jugar a este juego.

Además existe la dimensión extremo-oriental donde todo está confuso. La postura china en cuanto al apoyo de Rusia con el tema de Ucrania no queda nada clara. China mantiene una postura muy prudente y vemos que no está del todo de acuerdo. Dijeron que apoyan la integridad territorial de los países etc. y de hecho se negaron a aprobar la anexión de Crimea, los resultados del referéndum. Lo que debe de significar, por lo visto, un nuevo juego chino y el desarrollo de los acontecimientos bastante confuso. Porque no hay que olvidar que China tiene reclamaciones territoriales para con Rusia de un millón setecientos mil metros cuadrados, que de momento no están formuladas con claridad, pero que figuran en los documentos, mapas, la conciencia histórica y política. Es decir que ellos consideran que Rusia les había quitado Siberia Oriental que es de propiedad china. Además surgen preguntas sobre Asia Central. Allí comenzarán “a guiar” los chinos, porque el embajador de China en Kazajistán abiertamente dijo que el tiempo del dominio de Rusia en Asia Central ha terminado, que quedará la influencia energética de Rusia, pero que ésta ya no tendrá el control total como antes. Así que China le ha pegado un grito a Turkmenistán que pensaba sacar el gas a través de Azerbaiyán y Turquía, porque China le había pagado el gas, después de lo cual Turkmenistán, lo que se dice, “se ha cuadrado” y ahora se ha negado a trabajar con Azerbaiyán en la dirección oeste. De modo que la situación va a ser complicada y eso dicho suavemente.

Sobesednik: ¿Así que en la guerra van a participar Rusia, por un lado, y Ucrania, EE.UU. y la UE por el otro, pero de momento no queda claro qué hará China?

Geidar Dzhemal: Sí, pero los Estados Unidos están interesados en que la guerra transcurra bajo su supervisión, pero sin su participación directa. Han aprendido de la amarga experiencia en Afganistán e Iraq, donde de hecho han perdido ante un enemigo mal armado. Saben que su ejército profesional no vale para nada y utilizar un ejército de reemplazo como en Vietnam representaría un desastre social, porque la sociedad ya se ha desacostumbrado. Sería además reconocer el completo fracaso de la política que los Estados Unidos llevaron a cabo desde 1973. Sería reconocer que 40 años después de Vietnam no han logrado estabilizar la situación política en torno suyo y necesitan volver al ejército de reemplazo. Mientras que aumentar la capacidad tecnológica militar para resolver todas las cuestiones a distancia y participar en la guerra de contacto queda fuera de las posibilidades financieras de los EE.UU. Y es que cada paso para aumentar el poder tecnológico aumenta los gastos en proporción geométrica y aritmética quedando incontrolados. Por eso los Estados Unidos necesitan que todos luchen contra todos, mientras que ellos aparecen como árbitro y juez. Para ellos sería ideal enfrentar a Rusia con Europa, Rusia con China, Rusia con el Próximo Oriente, China con India o con Japón. Y cuando ya todo el mundo se esté matando, aparecen los EE.UU. vestidos con el traje blanco, como el centro global de coordinación, dirección etc. Es su objetivo en última instancia. Así que de momento todo lo que ocurre con Ucrania queda enmarcado dentro de su proyecto.

Sobesednik: ¿En este caso cómo podría Rusia acabar con estos planes?

Geidar Dzhemal: Para eso hay que salir del formato liberal-capitalista y reventar la situación actual de la sociedad partiendo de los postulados ideológicos y políticos. Mientras los conflictos se desarrollen según el esquema de la competencia imperialista entre distintos centros geopolíticos todo lo decidirá la cuestión de la fuerza y de las tecnologías políticas.

En su día, antes de la Primera Guerra Mundial Vladímir Lenin dijo que Rusia era un eslabón dentro de la cadena de la opresión imperialista, pero que era su eslabón más débil. Y cuando este eslabón quedó roto y Rusia se había convertido en el abanderado de una ideología política completamente distinta, incluso en su estado de ruina y de retraso de entonces Rusia se había erigido en el faro orientativo para todas las fuerzas de la protesta mundial. Pero para eso, en primer lugar hay que romper con el Sistema con mayúsculas, oponerse (por ejemplo, geopolíticamente) a Occidente. Unión Euroasiática, Occidente, atlantismo – no son más que juegos geopolíticos que transcurren dentro del marco de las alianzas imperialistas. Y lo que hay que hacer es proponer a nivel político una idea completamente nueva de la organización de la sociedad, una idea nueva del poder político. Ahora mismo hay un enorme potencial de protesta en todo el mundo: en Francia millones de personas protestan contra el gobierno, pero les falta el faro, el líder que los guíe y que pueda convertirse en el desestabilizador de las propias fuerzas imperialistas, como ya ocurrió antes de la Segunda Guerra Mundial cuando la crisis estuvo a punto de derribar a todo el sistema de entonces. Pero Stalin se puso a jugar a las damas con el imperialismo mundial, comenzó a crear alianzas con los EE.UU., Alemania, cuando en realidad todo estaba preparado para llevar a cabo la revolución mundial.

Ahora la tensión social es mucho mayor. Entonces el 1% de los poderosos y súper ricos controlaba el 40% de las riquezas mundiales y ahora controla el 90%. Lo que demuestra que la desigualdad en la distribución de la riqueza entre los de arriba y los de abajo se ha doblado en los últimos 60-70 años, y eso significa que la tensión social subyacente ha aumentado no por dos, sino por 10, en progresión geométrica. Así que ya no hay solo unos cuantos puntos calientes como en los años 30, sino que prácticamente en cualquier país podría estallar la guerra civil, incluida Europa. Premisas para la guerra civil hay incluso en Alemania, en Francia sencillamente saltan a la vista, y además están España, Italia.

Así que para ganar a Occidente en su conjunto hay que plantear una postura política completamente distinta, pero para ello hay que salir del régimen creado en el año 1991. Es decir el régimen del dominio de la casta oligárquica y burocrática.

Sobesednik: ¿Por qué cree que la ONU hace llamamiento no para abandonar el uso de la fuerza, sino para algo que parece obvio: proporcionar a todos los ciudadanos las mismas posibilidades para participar en la política?

Geidar Dzhemal: Sabe, la cosa está en que ya a nadie le interesa qué leyes hay. La mayoría de la gente involucrada en el proceso no sigue de si una ley fue derogada o no, a nadie le interesa. El proceso callejero no se ajusta al boletín que edita la Duma o la Rada. Sigue su camino a través de las barricadas. Acaso cree que se puede acercar a la barricada, agitando el boletín de la Rada y diciendo: “¡Ciudadanos! ¡Ciudadanos! La ley que ustedes no querían no fue aprobada, fue derogada, por favor disuélvanse, todo está en orden. ¡Esta ley ya no se aplica!” Suena ridículo ¿no le parece?

Así que lo de la ONU es algo así como el consejo escolar, la discusión sobre que no se debe jugar en el patio del colegio.

Sobesednik: ¿No habrá otra vuelta de sublevaciones, mítines y posible cambio del gobierno?

Geidar Dzhemal: No lo descartaría, porque el gobierno de Kiev es muy poco adecuado desde cualquier punto de vista. Tanto desde el punto de vista de la izquierda, como desde el punto de vista de la derecha. Tanto desde el punto de vista de los nacionalistas, como desde el punto de vista del Partido de la Regiones. Mires como lo mires el gobierno es una payasada. Creo que “Pravy Sector” se lo llevará por delante. Es decir no el “Pravy Sector” como tal, sino, digamos, la tendencia patriótica ucraniana representada por el oeste y el centro del país. Eso creo.

Fuente: Sobesednik.ru
kontrudar.com – 15-04-2014

(Traducido del ruso por Arturo Marián Llanos)

Russie et liberté d’expression: rétablir la vérité

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Russie et liberté d’expression: rétablir la vérité

par Guillaume Faye

Ex: http://www.gfaye.com

Dans les médias français et occidentaux, à l’occasion de la crise ukrainienne, on a tendance à présenter la Russie sous la présidence de M. Poutine comme un pays qui brime la liberté d’expression et d’information…bien plus que sous le régime soviétique ! Un article de M. Pierre Avril (Le Figaro, 23/04) nous explique, en reprenant ces arguments, que le pouvoir russe use d’ « intimidation, de censure et de propagande [...] pire encore qu’à l’époque soviétique ». Ce genre de propos relève de la désinformation pure et simple et…de la propagande. 

Voici quels sont les trois arguments avancés : 1) la presse et les médias d’opposition au Kremlin sont intimidés, menacés, voire interdits. 2) La télévision russe est aux ordres des réseaux de M. Poutine. 3) La censure est la règle en Russie. 

L’article de M. Avril est, du point de vue de la logique, contradictoire. Il nous présente les journalistes d’opposition comme des victimes qui sont menacées dès qu’elles s’expriment. Néanmoins, elles s’expriment largement dans les colonnes de tous les médias occidentaux qui ont libre accès en Russie. Cherchez l’erreur. 

À Moscou, l’accès à toutes les chaînes de TV occidentales et à tous les sites Internet mondiaux est garanti. En Chine et dans la plupart des pays arabo-musulmans, voire sud-américains, asiatiques, africains, ce n’est pas le cas. Pourquoi n’en parle-t-on pas ?

N’importe qui en Russie peut avoir accès à des sites Internet en désaccord avec le pouvoir et lire dans les journaux des articles d’opposants. Les journalistes français et occidentaux ne font pas leur métier d’information objective sur la situation en Russie. Ils désinforment, par un mélange redoutable de paresse et de conformisme.

On apprend d’autre part que le gouvernement autoproclamé de Kiev interdit la diffusion des chaines télévisées russe regardées par une grande partie de la population. Bravo ! Liberté d’expression ? De même, ce ”gouvernement” a totalement exclu un référendum d’autodétermination dans les provinces russophones. Démocratie ? 

Cette russophobie, qui est l’explication de cette désinformation sur la liberté d’expression en Russie, n’est pas à l’honneur des journalistes français et occidentaux. Leur prétendue ”objectivité” oublie une chose : tout ce qui est en France ”politiquement incorrect” est exclu des grands médias et peut être poursuivi par les tribunaux (j’en sais quelque chose…). Seule la critique des gouvernants est tolérée parce que le personnel politique français n’a aucun pouvoir réel et que tout repose sur l’idéologie. On peut taper sur M. Hollande tant qu’on veut, puisqu’il ne possède pas la potestas – c’est-à-dire  la faculté de diriger – mais pas sur l’idéologie dominante.

Accuser le pouvoir russe d’atteinte à la liberté d’expression n’est pas pertinent  de la part de journalistes français hypocrites qui s’autocensurent,  ou qui sont licenciés dès qu’ils s’écartent de ce ”politiquement correct”. D’autre part, les médias russes, notamment audiovisuels, reflètent l’opinion de la majorité de la population, sa sensibilité ; ce qui n’est pas le cas des chaines de France Télévision et des radios publiques qui, non seulement sont autant contrôlées par le gouvernement que les médias russes par le Kremlin, mais qui, en plus, distillent une idéologie de propagande qui est rejetée par 80% des Français (ce qui n’est pas le cas en Russie). Sans parler de cette extraordinaire invention française, le CSA (Conseil supérieur de l’audiovisuel), cas d’école du soft-totalitarisme, qui devrait s’appeler Comité de censure audiovisuelle. Les grands médias audiovisuels et écrits français, même privés, ne tolèrent pas le ”politiquement incorrect”, c’est-à-dire la dissidence idéologique. Cette dernière est reléguée dans les médias secondaires.         

Quelle hypocrisie ! Les belles âmes se ridiculisent en donnant des leçons à la Russie, où les médias d’opposition sont en réalité bien plus libres qu’en Chine, dans le Maghreb, dans le Golfe persique ou dans tous ces pays autocratiques que courtisent le gouvernement et l’oligarchie françaises. La presse russe est très diverse, comme l’Internet russe. On peut critiquer M. Poutine sans risquer le goulag – qui n’existe pas, par ailleurs.

En revanche, écrire, comme le fait l’intellectuel russophobe Bruno Tertrais «  M. Poutine incarne un pouvoir autoritaire, brutal, raciste, corrompu, aux antipodes des valeurs chrétiennes qu’il dit représenter. Mégalomane, manipulateur formé à l’école du KGB, il est imprévisible et dangereux » (1) relève de l’incantation injurieuse, de la désinformation et de l’excès. Ce genre de position (M. Poutine serait donc un mélange de Staline et de Hitler, si l’on comprend bien) déconsidère ceux qui les formulent. Bien sûr, le pouvoir russe exerce un contrôle sur les médias, exactement comme en France. Mais de là à présenter la Russie d’aujourd’hui comme la photocopie de l’URSS de Staline, n’est pas sérieux… J’ai souvent lu dans des journaux russes traduits en français et en anglais des critiques sans concession du pouvoir actuel au Kremlin. Les journalistes sont toujours en vie et dînent dans les bons restaurants de Moscou.

D’autre part, concernant la crise ukrainienne, qui nous ramène cent ans en arrière, il faut comprendre que, pour les Russes, l’Ukraine est intouchable. Elle est l’élément central de leur sphère d’influence. Essayer de la faire entrer à terme dans l’Union européenne, la courtiser pour la détacher de la Russie en agitant les populations non russophones (comme l’Occident le fait depuis longtemps), en soutenant les milieux antirusses, c’est provoquer sciemment et stupidement la Russie, et jouer avec le feu. Déjà, en 1999, la Serbie et, avec elle, la Russie son protecteur, avaient été humiliées par l ‘amputation du Kossovo opérée de force par les Occidentaux sans souci du droit international.

Comme dans tout conflit, personne n’a tort ni raison à 100%. Bien sûr que de grands médias russes présentent les choses à leur avantage, mais les médias du camp opposé font exactement pareil. Bien sûr que les Russes aident les milices russophones et les ”séparatistes”, tout comme les Occidentaux soutiennent à fond le pouvoir de Kiev (non élu). Quant à ce dernier, on a vraiment l’impression qu’il cherche l’affrontement avec la Russie, de manière totalement irresponsable et contre l’intérêt de tous ses concitoyens.

 

1. In Le Figaro, 25 /04. Article La rupture ukrainienne. M. B. Tertrais se dit ”politologue”, comme d’autres se disent voyant ou guérisseur. Il est ”maître de recherche”  à la Fondation pour la recherche stratégique, un organisme qu’on peut soupçonner de ne pas être totalement indépendant… 

Hystéries en ménage: neocons et R2P

Hystéries en ménage: neocons et R2P

Ex: http://www.dedefensa.org

Captain_America_cc_82713.jpgLe “pouvoir” à Washington est une bien étrange chose. De temps en temps, il est bon d’en faire une “sociologie”, pour aussitôt préciser, même si cela va de soi, qu’il s’agit aussi bien d’une pathologie. Par “pouvoir”, certes, nous entendons l’influence dominante, qui n’a besoin ni d’arguments ni de raison, ni vraiment d’une puissance extraordinaire, parce qu’elle ne fait que transmuter en pseudo-concepts, en simulacre d’idées, la poussée évidente et constante du Système pour opérationnaliser la politique-Système et sa “feuille de route” dite-dd&e. Aujourd’hui triomphe à Washington une alliance qui est un mariage de passion bien plus que de raison, sinon un mariage d’hystéries (au pluriel), entre neocons (les néo-conservateurs qui nous bien familiers) et R2P. (“R2P” est un acronyme arrangé en phonétique SMS renvoyant à l’expression bureaucratique “Responsability To Protect”, ou “responsabilité de protéger” qui a pris le pas dans l’arsenal des valeurs postmodernistes sur le “droit d’ingérence” pour désigner la feuille de vigne de service de l’acte permanent d’interventionnisme déstructurant et dissolvant des pays du bloc BAO, – avec exemples pratiques en Libye, en Syrie, en Centrafrique, en Ukraine, etc. On observera que le passage de la notion de “droit” à la notion de “responsabilité” est une évolution sémantique intéressante : la “responsabilité” implique le “droit de protéger” [notion de droit,présente dans le pseudo-“droit d’ingérence”, qui implique une notion de possibilité d’action] mais aussi le “devoir de protéger” [notion morale, engageant pour celui qui en est investi une nécessité d’action], ce qui fait de l’interventionnisme une obligation morale soutenue par une notion pseudo-légale autorisant cet acte.) Ces deux “centres d’influence” renvoient à des étiquettes de complaisance, sans aucune signification politique réelle, de la droite conservatrice interventionniste (neocons) et du centre-gauche libéral et également interventionniste.

Dans ConsortiumNews, Robert Parry consacre le 18 avril 2014 un article à ces épousailles dont les effets s’expriment notamment au sein du gouvernement US par Victoria Nuland (dite “Nuland-Fuck”), assistante du secrétaire d’Etat pour les affaires européennes et asiatiques, et Samantha Power, ambassadrice des USA aux Nations-Unies. (Parry laisse de côté Susan Rice, directrice du NSC, qui avait précédé Power à l’ONU. Rice est effectivement complètement dans la ligne R2P.) On ne s’étonnera pas de voir le sénateur McCain cité par Parry comme courroie de transmission avec le Congrès ; également John Kerry, sorte d’ectoplasme qui semble absolument converti à la pseudo-“doctrine”, qui pimente ses conférences de presse après des négociations avec les Russes d’éructations antirusses, qui ne cesse de stupéfier son “partenaire” Sergei Lavrov cultivant l’idée qu’on devait parler diplomatie...

Parry constate d’abord l’extraordinaire facilité, l’enthousiasme même, avec lesquels la presse-Système a assimilé la version officielle de la crise ukrainienne, qui représente d’ailleurs une sorte de quintessence en “génération spontanée” de toutes les tendances, obsessions et réflexes de la dialectique-Système. Il poursuit donc sur les hystéries régnantes, qui facilitent la coordination et la mise en scène de la narrative en cours ... «But another reason for the biased coverage from the U.S. press corps is the recent fusion of the still-influential neoconservatives with more liberal “responsibility to protect” (R2P) activists who believe in “humanitarian” military interventions. The modern mainstream U.S. news media is dominated by these two groups: neocons on the right and R2Pers on the center-left. As one longtime Washington observer told me recently the neocons are motivated by two things, love of Israel and hatred of Russia. Meanwhile, the R2Pers are easily enamored of idealistic young people in street protests.

»The two elements of this alliance – the neocons and the R2Pers – also now represent the dominant foreign policy establishment in Official Washington, with the few remaining “realists” largely shoved to the side, including to some degree President Barack Obama who has “realist” tendencies in seeking to limit use of U.S. military power but continues to cede control over his administration’s actions abroad to aggressive neocon-R2P operatives.

»During Obama’s first term, he made the fateful decision to create a “team of rivals” of powerful political and bureaucratic figures – the likes of Defense Secretary Robert Gates, Secretary of State Hillary Clinton and General David Petraeus. They skillfully funneled the President into hawkish decisions that they wanted, such as a “surge” of 30,000 troops into Afghanistan and a major confrontation with Iran over its nuclear program. (Both positions were pushed by the neocons.)

»In 2011, the neocons and the R2Pers teamed up for the war against Libya, which was sold to the United Nations Security Council as simply a limited intervention to protect civilians in the east whom Muammar Gaddafi had labeled “terrorists.” However, once the U.S.-orchestrated military operation got going, it quickly turned into a “regime change” war, eliminating longtime neocon nemesis, Gaddafi, to Hillary Clinton’s hawkish delight.

»In Obama’s second term, the original “team of rivals” is gone, but foreign policy is being defined by the likes of Assistant Secretary of State for European Affairs Victoria Nuland, a neocon, and Ambassador to the United Nations Samantha Power, a leading R2Per, with a substantial supporting role by neocon Sen. John McCain, R-Arizona. Obama defeated McCain in 2008, but McCain now is pulling the strings of Secretary of State John Kerry, who also appears enamored of the hawkish stances demanded by Nuland and Power.»

Le cas de John Kerry a déjà attiré l’attention de Parry, dans un article précédent, du 14 avril 2014. Il s’agit d’un cas assez classique désormais, mais qui ne perd pas son attrait d’événement extraordinaire par l’implication qu’on y trouve d’une non moins extraordinaire faiblesse psychologique d’un homme politique accompli se laissant complètement “encoconné” par l’environnement neocon-R2P qu’il a lui-même laissé s’installer, ou simplement se renforcer après Hillary Clinton qui avait bien préparé le terrain, au département d’État devenu citadelle et inspirateur de l’influence extrémiste à Washington. (La modification est remarquable avec l’administration GW Bush lors de son premier mandat, le plus “activiste” certes : le centre extrémiste du gouvernement était alors le Pentagone, le département d’État étant contrôlé par Colin Powell, de tendance plus modérée.)

Le Russe Lavrov a raconté comment, lors d’une de ses premières rencontres avec le nouveau secrétaire d’État au printemps 2013, il avait félicité Kerry pour avoir “liquidé” Victoria Nuland de sa position de porte-parole du département où l’avait installée Clinton ; Kerry lui avait répondu qu’il l’avait au contraire promue (comme adjointe au secrétaire d’État pour les affaires européennes et asiatiques), ajoutant qu’il aurait ainsi, à ses côtés, une diplomate expérimentée pour conduire une politique d’entente, notamment et précisément avec la Russie. Lavrov avait considéré Kerry pour tenter de distinguer dans ses paroles quelque ironie ou sarcasme, pour n’y trouver qu’un sérieux ingénu et désespérément naïf, – et peut-être, même, volontairement naïf. La question se pose en effet, dans ce cas de Kerry comme dans tant d’autres, et dans le cas d’Obama comme dans celui de Kerry, s’il existe une conscience réelle de la signification des actes ainsi posés, par rapport à ce que tout homme normalement informé doit en savoir, à la lumière de la personnalité et de l’activisme bien connues d’une Nuland. Lavrov rapporte que Kerry ne semblait pas vraiment comprendre ce que signifiait, en termes de perspectives politiques, la nomination de Nuland à un tel poste, – non plus que, dans un autre contexte, celle de Power à la tête de la délégation diplomatique US aux Nations-Unies.

Dans le contexte de son étude sur l’influence des neocons-R2P, Parry qualifie Obama de “timid ‘realist’”, terme qu’il dénierait éventuellement à Kerry mais qui pourrait néanmoins être approprié au vu de certaines circonstances (voir le comportement d’un “timide réalisme” de Kerry vis-à-vis des Russes dans les crises syrienne et iranienne). Parry écrit, à propos d’Obama, face à l’influence neocons-R2P :

«Obama’s role in his administration’s foreign policy fiascos has mostly been to be caught off guard by mischief that his independent-minded underlings have stirred up. Then, once a crisis is touched off – and the propaganda machinery starts churning out hyperbolic alarms – Obama joins in the rhetorical exaggerations before he tries, quietly, to work out some compromise. In other words, rather than driving the agenda, Obama goes with the neocon-R2P flow before searching for a last-second off-ramp to avert catastrophe. That creates what looks like a disorganized foreign policy consisting of much tough talk but little actual hard power. The cumulative effect has been to make Obama appear weak and indecisive.

»One example was Syria, where Obama drew a “red line” suggesting a U.S. military strike if Assad’s regime used chemical weapons. When sarin was used on Aug. 21 resulting in hundreds of deaths, Official Washington’s neocons and R2Pers quickly fingered Assad, firmed up that “group think,” and ridiculed anyone who doubted this conventional wisdom.

»With Kerry running near the front of the stampede, Obama tagged along repeating what all the important people thought they knew – that Assad was guilty– but Obama steered away from the war cliff at the last minute. He referred the issue to Congress and then accepted a compromise devised by Putin to have Assad surrender all his chemical weapons, even as Assad continued denying a role in the Aug. 21 attack. After that Syrian deal was struck, the neocons and R2Pers pummeled Obama for weakness in deciding not to launch major military strikes against Syrian targets. Obama managed to avert another Mideast war but he faced accusations of vacillation.

»The Ukraine crisis is following a similar pattern. The neocons and R2Pers immediately took the side of the western Ukrainian protesters in the Maidan as they challenged elected President Yanukovych who hails from eastern Ukraine...»

Le rappel du comportement d’Obama face aux pressions neocons-R2P, ainsi que ce qui est dit de Kerry, nous incite à développer beaucoup plus une hypothèse de type psychologique qu’une analyse de type idéologique ou politique ; c’est-à-dire de privilégier l’“explication inconsciente” pour le premier effet de ces pressions, l’élaboration consciente ne venant qu’après pour tenter de modifier, ou pour endosser la nouvelle situation politique. Cela signifie qu’à notre sens, un Obama comme un Kerry manifestent des psychologies épuisées, c’est-à-dire des psychologies faibles et vulnérables, à cause d’attitudes politiques passives marquées par le manque de conviction, et d’une extrême vulnérabilité à l’activité surpuissante du système de la communication toujours dans le sens de la politique-Système. Les neocons-R2P renvoient moins à des positions politiques substantivées qu’à des psychologies exacerbées, proches de l’hystérie et dans tous les cas se manifestant dans l’hypomanie, endossant des positions politiques extrémistes qui correspondent comme naturellement à la politique-Système elle-même productrice des manifestations déstructurantes et dissolvantes propres à ces pathologies de la psychologie. Comme nous pourrions le juger d’un point de vue rationnel, le Système représente lui-même, objectivement, une pathologie de la psychologie, mais il l’utilise dans un sens qui lui correspond, pour un but précis (la “feuille de route” dd&e) qui correspond effectivement à sa destinée naturelle dans la logique du déchaînement de la Matière.

La puissance d’influence des neocons-R2P tient ainsi essentiellement à la force que leurs psychologies trouvent dans le soutien du Système et la conviction faussaire que leur donne ce soutien, et nullement certes dans quelque farce d’idéologie grotesque comme on ne cesse de les exposer dans les talk-shows qui vont bien. Face à cela, les psychologies faibles parce qu’épuisées (Obama, Kerry) sont sans cesse prises de court, et sans cesse conduites à des réactions retardataires en position de faiblesse, soit en combattant cette influence “avec les moyens du bord”, parfois avec un certain succès (Syrie et Iran dans les phases de l’automne 2013), soit en l’assumant et en la prenant à son compte pour en faire une politique, ou un simulacre de politique (Ukraine). Avec les exemples donnés, nous suggérons bien entendu une chronologie ; avec l’Ukraine, il semble que la capacité de résistance des psychologies épuisées soit à son terme et il nous semble complètement improbable qu’une réaction comme dans le cas de la Syrie et de l’Iran puisse renverser l’actuel flux politique de type hystérique. C’est pour cette raison, notamment, que nous sommes inclinés à voir dans cette crise un prolongement décisif.

Deuxième Forum Polémia