Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

vendredi, 15 octobre 2010

Come l'Occidente ha devastato l'Afghanistan

TE_2REI_Afghanistan_jpg.jpg

Come l'Occidente ha devastato l'Afghanistan

Ex: http://www.massimofini.it/

Testo integrale dell'articolo pubblicato sul Fatto il 12 ottobre 2010 e ridotto per ragioni di spazio:

Ogni volta che muore un soldato italiano in Afghanistan ci chiediamo «Che cosa ci stiamo a fare lì?». Ma c'è un'altra domanda da farsi: cosa abbiamo fatto in Afghanistan e all'Afghanistan?

1) Dismesse le pelose giustificazioni che siamo in Afghanistan per regalare le caramelle ai bambini, per "ricostruire quel disgaziato Paese", per imporre alle donne di liberarsi del burqua, perché, con tutta evidenza, quella in Afghanistan, dopo dieci anni di occupazione violenta, non può essere gabellata per un'operazione di "peace keeping", ma è una guerra agli afgani, l'unica motivazione rimasta agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali, per legittimare il massacro agli occhi delle proprie opinioni pubbliche e anche a quelli dei propri soldati, demotivati perché a loro volta non capiscono «che cosa ci stiamo a fare quì», è che noi in Afghanistan ci battiamo "per la nostra sicurezza" per contrastare il "terrorismo internazionale".

È una menzogna colossale. Gli afgani, e quindi anche i talebani, non sono mai stati terroristi. Non c'era un solo afgano nei commando che abbatterono le Torri gemelle. Non un solo afgano è stato trovato nelle cellule, vere o presunte, di Al Quaeda. Nei dieci, durissimi, anni di conflitto contro gli invasori sovietici non c'è stato un solo atto di terrorismo, tantomeno kamikaze, né dentro né fuori il Paese. E se dal 2006, dopo cinque anni di occupazione si sono decisi ad adottare contro gli invasori anche metodi terroristici (dopo un aspro dibattito al loro interno: il leader, il Mullah Omar, era contrario perché questi atti hanno delle inevitabili ricaute sui civili e nulla può convenire meno ai Talebani che alienarsi la simpatia e la collaborazione della popolaione sul cui appoggio si sostengono) è perché mentre i sovietici avevano almeno la decenza di stare sul campo, gli occidentali combattono quasi esclusivamente con i bombardieri, spesso Dardo e Predator senza equipaggio, ma armati di missili micidiali e comandati da Nells nel Nevada o da un'area "top secret" della Gran Bretagna. Contro un nemico invisibile che cosa resta a una resistenza? Nei rari casi in cui il nemico si fa visibile i Talebani, nonostante l'incomparabile inferiorità negli armamenti, lo affrontano con classiche azioni di guerriglia com'è stata quella che è costata la vita ai quattro soldati italiani. Azione definita "vigliacca" dal ministro La Russa. Chi è vigliacco? Chi ci mette il proprio corpo e il proprio coraggio o chi stando fuori portata schiaccia un bottone e lancia un missile e uccide donne, vecchi, bambini, com'è avvenuto mille volte in questi anni ad opera soprattutto degli americani ma anche, quando è il caso, degli altri contingenti?

Nel 2001 in Afghanistan c'era Bin Laden che, con l'appoggio degli americani, si era introdotto nel Paese anni prima in funzione antisovietica. Ma Bin Laden cotituiva un problema anche per il governo talebano, tanto è vero che quando ne 1990 Bill Clinton propose ai Talebani di farlo fuori, il Mullah Omar, attraverso il suo numero due Waatki inviato appositamente a Washington dove incontrò due volte il presidente americano, si disse d'accordo purchè la responsabilità dell'assassinio del Califfo saudita se la prendessero gli americani perché Osama godeva di una vasta popolarità nel Paese avendo fatto costruire con i suoi soldi, ospedali, strade, ponti, infrastrutture, avendo fatto cioè quello che noi abbiamo detto che volevamo fare e non abbiamo fatto.

Ma Clinton, nonostante fosse stato il promotore dell'iniziativa, all'ultimo momento si tirò indietro. Tutto ciò risulta da un documento del Dipartimento di Stato americano dell'agosto 2005.

Comunque sia oggi Bin Laden non c'è più e in Afghanistan non ci sono più nemmeno i suoi uomini. La Cia, circa un anno fa, ha calcolato che su 50 mila guerriglieri solo 359 sono stranieri. Ma sono ubzechi, ceceni, turchi, cioè non arabi, non waabiti, non appartenenti a quella Jihan internazionale che odia gli americani, gli occidentali, gli "infedeli" e vuole vederli scomparire dalla faccia della terra. Agli afgani, e quindi ai Talebani, interessa solo il loro Paese. Il Mullah Omar, come scrive Jonathan Steel, inviato ed editorialista del Guardian nella sua approfondita inchiesta "La terra dei taliban" più che un leader religioso è un leader politico e militare. A lui (come ai suoi uomini) interessa solo liberare la propria terra dagli occupanti stranieri così come aveva già fatto combattendo, giovanissimo, contro i sovietici, rimediando la perdita di un occhio e quattro gravi ferite. E sarà pur lecito a un popolo o a una parte di esso esercitare il legittimo diritto di resistere ad un'occupazione straniera, comunque motivata. L'Afghanistan, nella sua storia, non ha mai aggredito nessuno (caso mai è stato aggredito: dagli inglesi, dai sovietici e oggi dagli occidentali) e armato rudimentalmente com'è non può costituire un pericolo per nessuno.

2) Per avere un'idea delle devastazioni di cui siamo responsabili in Afghanistan bisogna capire perché i Talebani vi si sono affermati agli inizi degli anni Novanta. Sconfitti i sovietici i leggendari comandanti militari che li avevano combattuti (i "signori della guerra"); gli Ismail Khan, i Pacha Khan, gli Heckmatjar, i Dostum, i Massud, diedero vita a una feroce guerra civile e, per armare le loro milizie, si trasformarono con i loro uomini in bande di taglieggiatori, di borseggiatori, di assassini, di stupratori che agivano nel più pieno arbitrio e vessavano in ogni modo la popolazione (un camionista, per fare un esempio, per attraversare l'Afghanistan doveva subire almeno venti taglieggiamenti). I Talebani furono la reazione a questo stato di cose. Con l'appoggio della popolazione che non ne poteva più, sconfissero i "signori della guerra", li cacciarono dal Paese e riportarono l'ordine e la legge nel Paese. Sia pur un duro ordine e una dura legge, quella coranica, che comunque non è estranea alla cultura e alla tradizione di quella gente come invece lo  per noi. In ogni caso la popolazione afgana dimostrò di preferire quell'ordine e quella legge al disordine e agli arbitri di prima.

a) Nell'Afghanistan talebano c'era sicurezza. Vi si poteva viaggiare tranquillamente anche di notte come mi ha raccontato Gino Strada che vi ha vissuto e vi ha potuto operare con i suoi ospedali anche se doveva continuamente contrattare con la sessuofobia dei dirigenti talebani che pretendevano una rigida separazione dei reparti a volte impossibile (medici e infermieri donne per i reparti femminili). Gli occidentali gli ospedali li chiudono come è avvenuto a Laskar Gah.

b) In quell'Afghanistan non c'era corruzione. per la semplice ragione che la spiccia ma efficace giustizia talebana tagliava le mani ai corrotti e, nei casi più gravi, anche un piede. Per la stessa ragione non c'erano stupratori. La carriera di leader del Mullah Omar comincia proprio da qui. Una banda aveva rapito due ragazze nel suo piccolo villaggio, Zadeh, a una ventina di chilometri da Kandahar, e le aveva portate in un posto sicuro per farne carne di porco. Omar, a capo di altri "enfants de pays", raggiunse il luogo, liberò le ragaze, sconfisse i banditi e ne fece impiccare il boss all'albero della piazza del Paese). Ancora oggi, nella vastissima realtà rurale dell'Afghanistan, la gente, per avere giustizia, preferisce rivolgersi ai Talebani piuttosto che alla corrotta magistratura del Quisling Karzai dove basta pagare per avere una sentenza favorevole.

c) Nel 1998 e nel 1999 il Mullah Omar aveva proposto alle Nazioni Unite il blocco della coltivazione del papavero, da cui si ricava l'oppio, in campio del riconoscimento internazionale del suo governo. Nonostante quella di boicottare la coltivazione del papavero fosse un'annosa richiesta dell'Agenzia contro il narcotraffico dell'Onu la risposta, sotto la pressione degli Stati Uniti, fu negativa. All'inizio del 2001 il Mullah Omar prese autonomamente la decisione di bloccare la coltivazione del papavero. Decisione difficilissima non solo perché su questa coltivazione vivevano moltissimi contadini afgani, a cui andava peraltro un misero 1% del ricavato totale, ma perché il traffico di stupefacenti serviva anche al governo talebano per comprare grano dal Pakistan. Ma per Omar il Corano, che vieta la produzione e il consumo di stupefacenti, era più importante dell'economia. Aveva l'autorità e il prestigio per prendere una decisione del genere. Una decisione così efficace che la produzione dell'oppio crollò quasi a zero (si veda il prospetto del Corriere della Sera 17/6/2006). Insomma il talebanismo era la soluzione che gli afgani avevano trovato per i propri problemi. Se poi, alla lunga, non gli fosse andata più bene vrebber rovesciato il governo del Mullah Omar perchè in Afghanistan non c'è uomo che non posssieda un kalashnikov. Noi abbiamo preteso, con un totalitarismo culturale che fa venire i brividi (per non parlare degli interessi economici) di sostituire a una storia afgana la storia, i costumi, i valori, le istituzioni occidentali. Con i seguenti risultati.

Sono incalcolabili le vittime civili provocate, direttamente o indirettamente dalla presenza delle truppe occidentali. Le stime dell'Onu non sono credibili perchè una recente inchiesta ha rilevato che in almeno 143 casi i comandi alleati hanno nascosto gli "effetti collaterali" provocati dai bombardamenti indiscriminati sui villaggi. Vorrei anche rammentare, in queste ore di pianto per i nostri caduti, che anche gli afgani e persino i guerriglieri talebani hanno madri, padri, mogli e figli che non sono diversi dai nostri. Inoltre in Afghanistan sono tornati a spadroneggiare i "signori della guerra" alcuni dei quali, i peggiori come Dostum, un vero pendaglio da forca, sono nel governo del Quisling Karzai.

La corruzione, nel governo, nell'esercito, nella polizia, nelle autorità amministrative è endemica. Ha detto Ashrae Ghani, un medico, terzo candidato alle elezioni farsa di agosto, il più occidentale di tutti e quindi al di sopra di ongi sospetto: «Nel 2001 eravamo poveri ma avevamo una nostro moralità. Questo profluvio di dollari che si è riversato sull'Afghanistan ha distrutto la nostra integrità e ci ha reso diffidenti gli uni verso gli altri».

Infine oggi l'Afghanistan "liberato" produce il 93% dell'oppio mondiale.

Ma c'è di peggio. Armando e addetrando l'esercito e la polizia del governo fantoccio di Karzai noi abbiamo posto le premesse, quando le truppe occidentali se ne saranno andate, per una nuova guerra civile, per "una afganizzazione del conflitto" come si dice mascherando, con suprema ipocrisia, la realtà dietro le parole. La sola speranza è che il buon senso degli afgani prevalga. Qualche segnale c'è. Ha detto Shukri Barakazai, una parlamentare che si batte per i diritti delle donne afgane: «I talebani sono nostri connazionali. Hanno idee diverse dalle nostre, ma se siamo democratici dobbiamo accettarle». Da un anno, in Arabia Saudita sotto il patrocinio del principe Abdullah, sono in corso colloqui non poi tanto segreti fra emissari del Mullah Omar e del governo Karzai. Ma prima di iniziare una seria trattativa ufficiale Omar, di fatto vincitore sul campo, pretende che tutte le truppe straniere sloggino. Non ha impiegato trenta dei suoi 48 anni di vita a combattere per vedersi imporre una "soluzione americana". E, come ha detto giustamente il comandante delle truppe sovietiche che occuparono l'Afghanistan: «Bisogna lasciare che gli afgani sbaglino da soli». Bisogna cioè rispettare il principio, solennemente sancito a Helsinki nel 1975 e sottoscritto da quasi tutti gli Stati del mondo, dell'autodeterminazione dei popoli.

E allora perché rimaniamo in Afghanistan e anzi il ministro della Difesa Ignazio La Russa, un ripugnante prototipo dell' "armiamoci e partite", vuole dotare i nostri aerei di bombe? Lo ha spiegato, senza vergognarsi, Sergio Romano sul Corriere del 10 ottobre: perché la lealtà all' "amico americano" ci darà un prestigio che potremo sfruttare nei confronti degli altri Paesi occidentali. Gli olandesi e i canadesi se ne sono già andati, stufi di farsi ammazzare e di ammazzare, per questioni di pretigio. Gli spagnoli, che hanno affermato che nulla gli interessa di meno, che portare la democrazia in Afghanistan, se ne andranno fra poco. Rimaniamo noi, sleali, perché fino a poco tempo fa abbiamo pagato i Talebani perché ci lasciassero in pace, ma fedeli come solo i cani lo sono. Gli Stati Uniti spendono 100 miliardi di dollari l'anno per qusta guerra insensata, ingiusta e vigliacchissima (robot contro uomini). L'Italia spende 68 milioni di euro al mese, circa 800 milioni l'anno. Denaro che potrebbe essere utilizzato per risolvere molte situzioni, fra cui quelle di disoccupazione o di sottoccupazione di alcune regioni da cui partono molti dei nostri ragazzi per guadagnare qualche dollaro in più e farsi ammazzare e ammazzare senza sapere nemmeno perché.

Massimo Fini

mercredi, 03 juin 2009

Il Pakistan sempre più instabile

swat-operation.jpg

Il Pakistan sempre più instabile

  

Giovedì 28 Maggio 2009 – Matteo Bernabei - http://www.rinascita.info

  
 



Lo scontro tra l’esercito regolare pachistano e le milizie talibane cambia fronte e modalità.
Dopo la riconquista governativa della città di Mingora, la zona di combattimento si è spostata nella parte nord orientale del Paese. Spostamento dovuto, secondo le autorità di Islamabad, alla ritirata dei talibani cacciati dalla valle dello Swat dall’avanzata dei militari pachistani. Baitullah Mehsud, leader di Tehrik i Taliban Pakistan, aveva minacciato nei giorni scorsi di colpire le più importanti città
dello Stato se gli attacchi contro i suoi uomini non fossero cessati. Tutti fattori che avrebbero dovuto fare da avvisaglia all’attacco portato ieri dagli estremisti islamici contro una stazione di polizia a Lahore, nella provincia del Pakistan nordorientale del Punjab. Una delle aree più importanti del Paese considerata, tra l’altro, la capitale culturale del Pakistan, già il 4 marzo scorso teatro dell’attentato contro l’autobus della squadra di cricket dello Sri Lanka e che poche settimane vide il sequestro di 800 allievi di una scuola di polizia. L’attacco di ieri, compiuto con un’auto bomba carica di 100 kg di esplosivo e con il supporto di uomini armati, ha causato la morte di 27 agenti e il ferimento di almeno altri 300. Ma l’attentato rischia di essere solo l’inizio di una serie di azioni che potrebbero avere conseguenze ben più gravi. La strategia improvvisata e frettolosa, incoraggiata dagli Stati Uniti, con cui Islamabad ha deciso di portare avanti l’offensiva armata, e che ha messo in pericolo la popolazione nella valle dello Swat - avvisata con solo 24 ore di anticipo e impossibilitata a fuggire a causa del coprifuoco - rischia ora di degenerare completamente. Il fronte dello scontro è stato trasferito all’interno delle città, situate in regioni dove prima la presenza talibana era praticamente assente, offrendo inoltre la possibilità alle milizie islamiche di colpire senza dare alcun punto di riferimento alle forze armate regolari. Il tutto a scapito della popolazione che ancora una volta per salvarsi dovrà abbandonare le proprie case, questa volta però senza sapere nemmeno di preciso dove fuggire.

 

Pagina stampata dal sito rinascita.info il sito di Rinascita - Quotidiano di Liberazione Nazionale.
http://www.rinascita.info/cc/RQ_Mondo/EkuFVEApZFnSrlPpat.shtml

mercredi, 11 mars 2009

Afghanistan: une guerre "inutile" pour l'ancien chef des SAS britanniques

Novopress, 7/3/2009 : "Sebastian Morley, l’ancien chef des forces spéciales britanniques (SAS) en Afghanistan a dans un entretien publié samedi par le Daily Telegraph qualifié d’« inutile » la campagne militaire contre les talibans et estimé qu’elle rappelait la guerre du Vietnam à ses débuts.

Pour le major Morley, qui a démissionné de l’armée britannique en novembre dernier en blâmant le sous-équipement chronique des troupes déployées en Afghanistan, « le nombre de victimes et l’usure des troupes ne peuvent que croître ». Il accuse également le gouvernement britannique d’avoir « du sang sur les mains ».

« C’est l’équivalent du commencement de la guerre du Vietnam », a jugé le l’officier qui a expliqué : « Nous tenons de petites portions de terrain dans la province d’Helmand (…) Nous sortons en opérations, nous bagarrons avec les talibans et rentrons au camp pour le thé. Nous ne tenons pas le terrain. Les talibans savent où nous sommes. Ils savent très bien quand nous sommes rentrés au camp ». Pour lui : « Nous nous mentons à nous-mêmes si nous pensons que notre influence dépasse 500 mètres au-delà de nos bases ». Des propos à rapprocher de ceux de l’ex-commandant français Pierre-Henri Bunel, qui déclarait voici quelques semaines au micro de Novopress : « Qui tient Kaboul, tient Kaboul, c’est tout. Mais personne n’a jamais fédéré l’Afghanistan ».

Depuis, plusieurs semaines, des voix s’élèvent pour souligner la complexité de la situation en Afghanistan et le caractère aléatoire voire illusoire d’une victoire des forces d’occupation occidentales, telle celle du Premier ministre canadien Stephen Harper - qui a récemment déclaré : « nous ne vaincrons jamais l’insurrection » - ou du député français Pierre Lellouche, qui vient d’être nommé par le président Nicolas Sarkozy représentant spécial de la France pour l’Afghanistan et le Pakistan, selon qui « on a réussi à fabriquer le premier narco-Etat de la planète financé par l’argent du contribuable de l’Otan ». Des doutes confirmés voici quelques jours par le géopoliticien Aymeric Chauprade au micro de Novopress : « on oublie la dimension civilisation elle. On ne transformera pas l’Afghanistan et tout ce qui est engagé là-bas est voué à l’échec comme ce fut le cas avec les Russes et avant eux les Britanniques »