 Le radici della filosofia.
Le radici della filosofia. 
La morte di Costanzo Preve il 23 novembre 2013 è un vuoto enorme; leggendo il suo “Una nuova storia alternativa della filosofia”, pubblicato a ridosso del lutto, ci siconforta nella sua eredità spirituale rilegata in un libro di 32° di foglio e di 500 pagine. Il doloroso vuoto si acquieta nel pieno della sua umanità nelle nostre mani. Preve ci accompagna ne “il cammino ontologico-sociale della filosofia” presso i suoi fidati autori e lì ci mostra la genesi dei suoi concetti di riferimento. Noi, discenti spersi dal peso del tomo, ci troviamo invece di fronte ad un profilo di Storia “alternativa”e ad uno stile espositivo completamente rivoluzionato: amichevole. La sua Storia della Filosofia non è quella inevitabile “dossografia di opinioni” (p.58) dei manuali conseguente ad una concezione “della storia destoricizzata e desocializzata della filosofia” (p.58); partendo invece dal rovesciamento dell’approccio “formale accademico”, dal “riorientamento gestaltico”, il libro ci porta alla ricerca costante del filo conduttore del pensare filosofico nel suo fondamento ontologico-sociale. Coinvolti dalla lettura percorriamo il “cammino” e con un po’ di attenzione scorgiamo un doppio movimento: il filosofare che incontra le sue radici e la storia di Costanzo che si risolve in questo processo e mostra le sue radici.
La lezione di Costanzo Preve
In questa lunga lezione di storia della filosofia Preve riflette e condensa, l’impegno pedagogico di una vita, nella scuola e in una vastissima pubblicistica, sempre con la stessa cifra letteraria e oratoria e sempre con la stessa vis polemica antiaccademica. Il testo è innervato di accenni polemici alla “separatezza” degli accademici dalla vita ed in particolare nell’ultimo capitolo (p.471-473) tratteggia, usando la partizione di Kant, la storia della istituzione del Schulbegriff (filosofia di scuola, di facoltà) distinta dalla Welthegriff (la filosofia di tutti, “il prendersela con filosofia”). Lo sforzo in ogni pagina del suo libro, come in ogni opera della sua vita, è quello di ricomporre questo iato, che, ovviamente, ha un origine ontologico sociale: la costituzione del soggetto individualista, dell’io solipsista, funzionale all’atomizzazione sociale capitalista. Dal mondo (Welthegriff) alla scuola (Schulbegriff): l’esperienza demi-secolare del “vecchio professore scienziato e umanista” (p.450) Preve (non un attuale “prof il cui dimezzamento del titolo corrisponde al dimezzamento del prestigio sociale” p.450) riesce a modulare questa polarità: sa dei ragazzi (anche di noi lettori distratti dalla chiacchiera) e sa dei mostri sacri, dei filosofi eroi (mummificati nell’accademia) e li fa dialogare.
Il filo diSocrate: la comunità di pensiero
Attraverso la figura di Socrate “moscone della democrazia” eroe del <dialogo>,[che] credeva nella unità veritativa delle categorie del pensiero con la giustizia comunitaria delle categorie dell’essere sociale” (p.91), Preve circoscrivere il “dialogo” alla funzione comunitaria, togliendola dalla banale immagine di inconcludente chiacchiericcio di “un filosofo da bar o un ‘nemico della democrazia’”(p.90) . Questo profilo emerge soprattutto nelle pagine finali del libro (p 510-511), laddove chiarisce che il “sokratikòs logos” avesse regole e “senso” (come “versus”) precise –Ironia->Maieutica->Definizione concordata “omologhia”- con l’intento “di convincere al bene e di distogliere al male”(p. 511) e per fondare il “convincimento comunitario” (p.511). Si raccoglie il filo del tema socratico, iniziato nel capitolo specifico e proseguito con l’interprete Platone, ma presente in molti luoghi del libro dove con quel metodo “abduttivo” (p.70 un fatto Y normale che spiega un fatto X straordinario), si riempiono i silenzi riuscendo a dar parola al filosofo senza scrittura. Socrate, interno ad una comunità ancora solidale, può astrarre solo il primo elemento della natura umana quello della comunanza linguistica e razionale (zoon logon echon). A tale primo elemento i filosofi autentici, sono stati dediti, e nel tradurre –ben diverso dal semplificare- la filosofia verso l’atomizzazione dei discenti Preve è stato maestro insuperato, avendo “socraticamente” il coraggio di confrontarsi con i punti più alti possibili del discorso filosofico” (p.455).
Scoperta e riscoperta dell’antropologia sociale
Che significa “ontologia dell’essere sociale”? A quale specifico ciclo di pensiero si riferisce Preve? “Ontologia dell’essere sociale” è richiamo immediato al termine con il quale Lukacs maturo titola la sua opera in due volumi – e comprendete anche altri testi- per dare fondamento al marxismo, e liberarlo dalla sua caduta nell’economicismo, ma, per altro verso, è anche ritorno ad Aristotele che giunge ad una prima definizione ontologico sociale. Ai due autori possiamo guardare come i termini storico-temporali del discorso previano. Dalla configurazione ontologico sociale nel quale si trova, dalla crisi della società ateniese o meglio di una armonica comunità, Aristotele può astrarre, determinatamente, l’altra virtù fondamentale dell’uomo: “l’animale sociale” (politikon zoon). Questo secondo elemento della natura umana è possibile (non necessario) coglierlo al crepuscolo della polis (processo determinato) lì (la metodica genialità aristotelica) può formalizzare (dare necessità, potenza->atto) il concetto di “socialità” –soprattutto per la distinzione tra oikonomia (la regola misurata per la felicità di gestire la casa p.116) e chrematistica (arte di accumulare ricchezze senza alcun fine p.116). Dunque all’elemento razionale di Socrate, che sperimenta la crisi del linguaggio “convincente” dentro la comunità e pone l’elemento del logos stabilizzante, Aristotele aggiunge la socialità come concetto stabile che sopravvive alla crisi della comunità. Con analoga movenza hegeliana di crisicomprensione si incontra la riattualizzazione del problema ontologico in Lukacs; laddove dopo la rivoluzione contro il Capitale (Gramsci) del 1917 e l’insufficienza del puro volontarismo attualista (Storia e coscienza di Classe) vissuta nella sconfitta della rivoluzione in occidente il filosofo ungherese si propone di ridare un fondamento antropologico-sociale al marxismo.
Fenomenologia e logica dell’essere sociale
Entro questo ciclo temporale, limitato da due crisi, si svolge la “fenomenologia” dell’essere sociale, la sua formazione, che precede la possibilità (non la necessità) del “logos”: l’ontologia .
La proposta di Preve è di far dialogare, da presso, l’antropologia “comunitaria” antica con quella contemporanea e far misurare l’ontologia cioè l’originaria coestenzione di pensiero ed essere con la moderna scissione gnoseologica dei due termini seguita alla scissione e astrazione dell’io dalla comunità. Questo salto temporale, o corto circuito di Storia della Filosofia, permette di ritrovarsi alle scaturigini della relazione tra esseresocialitàstoricità riprendendo la deduzione hegeliana delle prime categorie della logica (essere) unitamente a quella della coscienza.
A) il presupposto antropologico assoluto, “slegato” da ogni ulteriore pensare –innato nei termini della “natura umana” di Chomsky (p.517) – è la “genericità” naturale dell’uomo quell’ ente naturale generico (Gattungswesen p.27) la definizione dal giovane Marx; per dirla con Aristotele la sua “potenzialità” –“essente in possibilità” (dynamei on) (p.133) – non limitata da “specializzazione”. A differenza degli altri animali la genericità prevale nella forma del pensiero indeterminato piuttosto che del riflesso determinato. A questo presupposto e precedenza dell’Io “fichtiano”, che investe il Non-Io si richiama costantemente Preve per confutare ogni materialismo, ogni chiusura determinista, ogni teoria del “rispecchiamento”.
B) In questa situazione di apertura (“esistenziale” nel senso di Heidegger) principia la coscienza: con Jaspers “l’uomo è l’unico animale in grado di anticipare la propria morte individuale , ne consegue che è anche l’unico animale costretto a dare senso (Sinngebung) alla propria vitae ad inserirla e collocarla in un ambito più generale.” (p.27); quindi, con Heidegger l’autenticità di quell’anticipo come potenzialità coincidente con la necessità (libertà e necessità coincidono nella morte, non si è liberi dalla morte), principia il sapere come “decisione” di raccogliere questi anticipi, questi significati “possibili”, sotto un simbolo generico-unico detto “essere”, stabile oltre le molteplici possibilità (p.27). Qui il riferimento è Parmenide che ricerca la stabilità della comunità di Elea e la chiama essere.
C) La fonte “abdutiva” della perimetrazione parmenidea della comunità è Pitagora, il partito della stabilità e del limite “statico geometrico” dell’akropolis (p.68) contro l’apeiron (Anassimandro) dell’agorà. Al concetto di limite possiamo guardare come ponte tra l’esigenza del pensiero di “determinarsi” –facendosi linguaggio- e quello dell’essere di comprendersi comunitariamente –la “sfericità” (p.70) parmenidea includente ed equidistante dai suoi singoli elementi- .
D) Come all’inizio della “Scienza della Logica” di Hegel, ci troviamo di fronte ad una genericità assoluta e ad un altalena tra limitatoillimitato, tra vitamorte. Ci troviamo nella situazione compresa da Eraclito “che il polemos è inevitabile, che la ricchezza privata è un infamia (fr.125a), e che nessuna sua perimetrazione numerica limitativa può arrestare la lotta di classe” (p.68). Questa oscillazione si fa significato attraverso un salto, una decisione, la scelta di sapere, perché c’è anche la possibilità alternativa di Schopenauer “decidere che [la vita] non ha avuto e non avrà nessun significato.” (p.27) . In fondo il “cammino” successivo e la interpretazione ontologico-sociale ha questo moto triadico (che poi è l’agire dell’Auriga Platonico, ancora in una situazione “bimondana” ma soprattutto la “phronesis”, la saggezza pratica aristotelica, – da intendersi come“una cresta, una vetta”, il vertice tra due posizioni e non mediocrità pilatesca p.112- modello della “praxis”): sapere i risultati dell’apertura e della chiusura, del conflitto e degli equilibri trovati, il significato determinato come circoscrizione dell’attività sensuale (rivolta all’apeiron) indeterminata. La dialettica di Preve è “positiva” nel duplice senso di “porre” con la decisione di pensare (di porsi nell’essere con Parmenide) e di “porre-raccogliere” il senso del processo nel terzo momento, nella sintesi, il “reale è razionale” hegeliano. Questo fidarsi del pensiero-comune-sociale (pensato da più io) è la eternità del pensiero greco che Preve enfatizza in più passi del libro citando la formula di Hegel per cui i greci hanno “ad un tempo animato e onorato il finito” (p.65).
La rottura della comunità: ideologia e socialità dell’essere.
 Questa situazione è “logica”: la decisione astrae dal tempo un processo e lo rende “campo di pensiero”. Prima di tale atto, cioè del sorgere della filosofia greca, l’essere si era già radicato nella società, limitandosi “poieticamente” (facendosi cose) e praticamente (facendosi leggi). Per questo il nostro essere è sociale e determinato nel farsi, cioè storico: hegelianamente noi giungiamo alla conoscenza solo post factum. Per questo il nostro sapere è assoluto se ci si fida (scelta) della “fonte” sociale dell’essere e lo si studia nel tempo (vernfunt); altrimenti, si può rimanere in sé (scelta), nell’intelletto e dilatarlo al mondo, facendo delle proprie categorie, dei propri “stadi” l’assoluto (vernstandt). Preve con i primi 7 capitoli circoscrive definizione e spazio culturale (nella grecia antica) di ontologia dell’essere sociale e nei successivi 9 ne offre il fondamento storico con la “filosofia classica”, che lui considera senza cesure da Talete ad Aristotele contrariamente alla dossografia che invece la spezza tra “fisici-presocratici” e “Socrate, Platone e Aristotele” . Qui infatti, forzando Hegel con Marx, l’essere è tutto sociale o meglio comunitario: la riflessione filosofica ha al suo centro la polis come principio limitante (katechon) la smisuratezza (hybris) delle ricchezze, la crematistica. Due elementi subito si segnalano: 1) il pensiero attivato dall’urgenza dell’essere di significarsi (il fenomeno dell’autenticità di cui sopra) si costituisce anzitutto come ideologia, ciò che Marx chiama “falsa coscienza necessaria”, cioè schema “intellettualistico” per dirigere la prassi. L’idea invece ha la stessa origine ma finalizzata alla ricerca veritativa, alla con-templazione, cioè posta nel “tempio”, fuori dall’agone della polis. E’ un eccedenza, intende Preve, e subisce meno la trazione della prassi ma, nel sorgere, è indirettamente condizionata dalla storicità dell’essere. In ogni caso l’intreccio tra idea e ideologia è da sbrogliare ed in fondo questo è il lavoro specifico dello storico della filosofia; 2) la socialità, la nostra (di osservatori del 2000) predicazione dell’essere -essere è sociale- è posteriore alla scissione della comunità greca, all’insinaursi dell’illimitato (terribile è il giudizio di Preve su Alessandro Magno “il gangster”p.124, “’smisurato’ per eccellenza” p.125, che avvia questa dissoluzione) nella proporzione pitagorica e dunque al sorgere di una incomunicabile atomizzazione della comunità, che così si fa società con i caratteri specializzati del lavoro e astratto-intellettualistici del pensiero. Dunque sociale è la nostra consapevolezza post-comunitaria che permette di misurare lo stato dell’arte nella “epoca dellacompiuta peccaminosità” (Fichte) con un rimandare al soggetto della predicazione: all’essere comunitario antico. Tale fondamento è potuto riemergere prima “coscienzialmente” in Hegel, nella fenomenologia della “individua” coscienza infelice borghese e poi essere universalizzato da Marx nella “collettiva” categoria di alienazione che è la spiegazione “sociale” –la fenomenologia- del Capitalismo.
Questa situazione è “logica”: la decisione astrae dal tempo un processo e lo rende “campo di pensiero”. Prima di tale atto, cioè del sorgere della filosofia greca, l’essere si era già radicato nella società, limitandosi “poieticamente” (facendosi cose) e praticamente (facendosi leggi). Per questo il nostro essere è sociale e determinato nel farsi, cioè storico: hegelianamente noi giungiamo alla conoscenza solo post factum. Per questo il nostro sapere è assoluto se ci si fida (scelta) della “fonte” sociale dell’essere e lo si studia nel tempo (vernfunt); altrimenti, si può rimanere in sé (scelta), nell’intelletto e dilatarlo al mondo, facendo delle proprie categorie, dei propri “stadi” l’assoluto (vernstandt). Preve con i primi 7 capitoli circoscrive definizione e spazio culturale (nella grecia antica) di ontologia dell’essere sociale e nei successivi 9 ne offre il fondamento storico con la “filosofia classica”, che lui considera senza cesure da Talete ad Aristotele contrariamente alla dossografia che invece la spezza tra “fisici-presocratici” e “Socrate, Platone e Aristotele” . Qui infatti, forzando Hegel con Marx, l’essere è tutto sociale o meglio comunitario: la riflessione filosofica ha al suo centro la polis come principio limitante (katechon) la smisuratezza (hybris) delle ricchezze, la crematistica. Due elementi subito si segnalano: 1) il pensiero attivato dall’urgenza dell’essere di significarsi (il fenomeno dell’autenticità di cui sopra) si costituisce anzitutto come ideologia, ciò che Marx chiama “falsa coscienza necessaria”, cioè schema “intellettualistico” per dirigere la prassi. L’idea invece ha la stessa origine ma finalizzata alla ricerca veritativa, alla con-templazione, cioè posta nel “tempio”, fuori dall’agone della polis. E’ un eccedenza, intende Preve, e subisce meno la trazione della prassi ma, nel sorgere, è indirettamente condizionata dalla storicità dell’essere. In ogni caso l’intreccio tra idea e ideologia è da sbrogliare ed in fondo questo è il lavoro specifico dello storico della filosofia; 2) la socialità, la nostra (di osservatori del 2000) predicazione dell’essere -essere è sociale- è posteriore alla scissione della comunità greca, all’insinaursi dell’illimitato (terribile è il giudizio di Preve su Alessandro Magno “il gangster”p.124, “’smisurato’ per eccellenza” p.125, che avvia questa dissoluzione) nella proporzione pitagorica e dunque al sorgere di una incomunicabile atomizzazione della comunità, che così si fa società con i caratteri specializzati del lavoro e astratto-intellettualistici del pensiero. Dunque sociale è la nostra consapevolezza post-comunitaria che permette di misurare lo stato dell’arte nella “epoca dellacompiuta peccaminosità” (Fichte) con un rimandare al soggetto della predicazione: all’essere comunitario antico. Tale fondamento è potuto riemergere prima “coscienzialmente” in Hegel, nella fenomenologia della “individua” coscienza infelice borghese e poi essere universalizzato da Marx nella “collettiva” categoria di alienazione che è la spiegazione “sociale” –la fenomenologia- del Capitalismo.
Sconfitta del tentativo marxista di ristabilimento comunitario e capitalismo assoluto
Poste queste solide basi, il testo offre la visione d’assieme dello sviluppo dei sistemi filosofici ellenistico-romani (capp. XVII-XIX), cristiano-medievali (capp. XX-XII) e moderni (XXIII-XXVI) come studio della loro genesi da “l’ontologia sociale”. La storia trova il suo focus nella Filosofia Classica Tedesca e in particolare nello scontro tra “gnoseologia” kantiana come compimento “della separazione tra le categorie dell’essere e le categorie del pensiero” (cap XXVII) e il ristabilimento hegeliano di un ontologia dell’essere sociale attraverso la sua compiuta storicizzazione (della coscienza, della storia fattuale, della storia della filosofia) (cap.XXXI). Preve ribadisce in questo testo, la continuità filosofica tra Hegel e Marx ma il rovesciamento nella prassi di Marx, produce una duplicazione: da una parte la scienza filosofica della possibilità ontologica, cioè della non-necessità della rivoluzione, dove la categoria qualitativa (ed etico valutativa) dell’alienazione, precede e fonda quella quantitativa del valore; dall’altra una scienza non filosofica come il materialismo storico, strumento per la lotta di emancipazione umana.
Le due parti ancora unite ne “Il Capitale” si separano nel marxismo ortodosso, socialdemocratico e poi anche in quello staliniano, prevalendo il “materialismo economicista”. Questa parabola è resa nei capitoli dedicati al marxismo ufficiale (cap.XXXV) e a quello eretico (cap.XXXVI). Il novecento filosofico tuttavia annunciato dal nichilismo di Nietzsche (cap.XXXVII) si compie con la crisi del soggetto borghese di Weber e con l’inveramento della metafisica nella tecnica di Heidegger (cap.XXXVIII), dunque con il tramonto del pensiero non strumentale (non finalizzato ad un meccanismo). Ma appunto questa ulteriore fenomenologia filosofica tiene il passo all’evoluzione del Capitalismo verso la sua configurazione Assoluta, quella che sopprimendo le antinomie delle classi moderne (borghesiaproletariato) impone una nuova ricognizione ontologica sociale se si vuol sostenere una nuova idea comunitaria (il cap.XXXIX dedicato al postmoderno filosofico).
Verso un etica dell’essere sociale: la libertà di Costanzo Preve.
Dentro questa navigazione da naufraghi Lukacs è il punto di riferimento più prossimo, avendo il pensatore ungherese già aperto la via di un confronto con la filosofia maggiore, con gli autori che Costanzo Preve riprende.
Perciò, nell’ultimo, XL capitolo, il più corposo del libro, Preve parla di Lukacs, più come un amico che come maestro e vuole sottolineare la “fratellanza” in quella battaglia per la filosofia che entrambi hanno dato nel marxismo –duro alla filosofia- e nella filosofia come campo di battaglia (la Kampfplatz di Kant), come sforzo etico-teoretico per la verità. Queste pagine condensano i temi del libro e Costanzo sintetizza la sua vasta eredità, per altre, ulteriori battaglie.
1) La biografia di Lukacs, iniziata alla scuola di due cavalli di razza come Weber e Simmel è parallela a quella di Costanzo, che con il suo “asinello”(p.454) non è un semplice “fan di Lukacs” (p.455). Entrambi, al termine di esperienze differenti e contesti storici incomparabili -l’epoca della rivoluzione per Lukacs e quella della fine del socialismo reale per Costanzo- giungono alla conclusione di un ritorno ad Hegel per salvare Marx, alla centralità del concetto di alienazione e soprattutto alla battaglia anticapitalista come battaglia etico-filosofica, dove cioè l’attività filosofia va restaurata nella sua autonomia e altezza, contro K.Lowit (p.424) e di tutti i filosofi che odiano la filosofia.
2) In tal senso benché la filosofia come “sapere” rimanga “la nottola della Minerva”, giungendo a chiudere e significare un processo in un tempo presente-logico, “permettendo di apprendere il proprio tempo nel pensiero” (p.23); tuttavia la costruzione “retrospettiva” del libro, con il ritorno verso Atene, è hegelianamente fatta per eliminare il “tempo progressivo” ed esaltare “cio che è ed è eternamente” (p.23). Cosa significa? Che la prospettica ricerca di comunità, l’ontologia che verrà, non si riferirà alla socialità antica come modello ma avrà lì un presupposto “potenziale” (non necessario). La costruzione “emotiva” del libro serve a confortarci: la comunità c’è sempre stata, non è solo astratta invenzione di visionari e anzi è l’ontologia del pensiero più alto della civiltà.
3) Chiarisce infine –dopo averlo sempre evidenziato lungo tutto il testo- come l’ontologia sociale non sia un riduzionismo materialista positivista. Al contrario, attraverso la valorizzazione di Fichte e della prassi assoluta del’Io (cap.XXIX), negando la teoria del rispecchiamento –propria della cattivo “materialismo dialettico” staliniano-, elimina un “prima” dell’idea. Il concetto filosofico lavora sempre su materiale ideale, cioè sulla risultante di un’azione modificante, su una prassi dell’Io sul Non-Io, su di un secondo grado. La filosofia non è mai fuori di se stessa ma nell’ontologico sociale considera la suo origine “pratica”: situazione diversa dall’empirico perché è azione pensata e producente relazioni umane, storia.
4) Un tema forte del libro è la rivalutazione della religione sia nei termini hegeliani di anticipazione “oggettivo-simbolica” dell’idea che nei termini ontologico sociali di rappresentazione popolare dell’assoluto-. Costanzo non la ritiene attività alienativa nei termini di Feuerbach –e in parte di Marx- ma piuttosto come variante spontanea di ideologia “necessaria”. Da una parte raccoglie sempre la situazione ontologico sociale di crisi della comunità e chiusura nel piccolo gruppo, dall’altra spiega la funzione media dell’ideologia. Infatti le rigorose argomentazioni della filosofia non possono sostituire le “suggestioni consolatorie”; il popolo moderno accede alla sua ontologia comunitaria, ha coscienza di sé, non attraverso il dialogo socratico e il governo “politico” platonico, ma con queste idealizzazioni imperfette che dicono della condizione attuale (alienata) e della potenziale liberazione futura (fede). Infine utilizza questa particolare accezione della religione e della fede per interpretarvi il fenomeno storico del marxismo.
5) Perciò la filosofia non può sostituirsi e precedere un’azione politica sociale di rifondazione comunitaria ma la militanza filosofica, “la filosofia per la filosofia” può costituire il punto di riferimento e l’ancoraggio entro una tradizione forte, alle forme storiche dell’ideologia . Gli Eroi di Costanzo sono quei pensatori che in qualche maniera hanno saputo dar sistemazione all’ontologia sociale e dunque Aristotele, Spinoza, Fichte, Hegel, Marx, i giganti sotto i quali appaiono grandissimi come Gramsci, Bloch e Lukacs. Anche questo sviluppo gerarchico e quasi angelico è propriamente hegeliano; un pantheon coerente di filosofi “forti” dove la teoresi è inscindibile dall’etica, dove cioè la relazione tra ideazione e socialità è chiara. In questo senso è da intendersi “la passione durevole” di Lukacs come maturazione e stabilizzazione della irruzione nella corruzione storica della “passione giovanile” di Fiche; di questo sviluppo “durevole” il garante “assoluto” è Spinoza, la sua Etica, il suo repubblicanesimo e la filosofia per tutti. In questo senso se l’impossibilità socratica di “scrivere” l’Etica per Lukacs, come sottolinea l’apertura di quest’ultimo capitolo, è anche quella dell’hegeliano e anti-deontologico (gli imperativi kantiani) Costanzo, ciò non significa l’impossibilità di sbilanciarsi sul domani con la propria vita testimoniata (nella welthbegriff) nel magistero e nell’attività politica, dov’è possibile incontrare il “metron” e il “katechon” greco, la democrazia radicale di Spinoza, lo Stato razionale di Hegel, il lavoro liberato di Marx, una totalità potenziale da opporre alla fichtiana “epoca della compiuta peccaminosità”, al Capitalismo Assoluto come necessità dominante. Come Spinoza “è un fatto miracoloso ed indeducibile, un dono che la filosofia ha fatto ai mortali” (p.196) eccezione alla determinazione ontologico-sociale; così Costanzo “appare” nella nostra storia, in-determinato socialmente, assolutamente libero e “scorretto” e forse per questo capace di criticare larga parte delle necessità della nostra epoca e per questo, dialetticamente, trattegiarne un etica, una potenzialità, che il peso e il vincolo del novecento, la responsabilità verso un campo di “battaglia politica” e non solo filosofico, non permisero a Lukacs che resta però lo scopritore dell’ontologia sociale.
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 Costanzo Preve (1943-2013) fut l’un des plus grands spécialistes italiens du marxisme, lui-même marxiste durant de nombreuses années, doté d’une profonde connaissance de la philosophie et de l’histoire des idées. Après la chute du socialisme réel, il s'est éloigné de la gauche et a élaboré une critique de la dichotomie droite-gauche, proposant une alternative sous la forme d’un communisme communautaire et d’une Europe libre. Il a dépassé la peur permanente des gauches de s’associer à d’autres catégories d'idéologues et il a collaboré aussi bien avec Alian de Benosit qu’avec Claudio Mutti.
Costanzo Preve (1943-2013) fut l’un des plus grands spécialistes italiens du marxisme, lui-même marxiste durant de nombreuses années, doté d’une profonde connaissance de la philosophie et de l’histoire des idées. Après la chute du socialisme réel, il s'est éloigné de la gauche et a élaboré une critique de la dichotomie droite-gauche, proposant une alternative sous la forme d’un communisme communautaire et d’une Europe libre. Il a dépassé la peur permanente des gauches de s’associer à d’autres catégories d'idéologues et il a collaboré aussi bien avec Alian de Benosit qu’avec Claudio Mutti.






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 El pasado día 23 de noviembre murió en la ciudad de Turín el filósofo italiano Costanzo Preve (nacido en Valenza en 1943). Filósofo marxista y profesor de historia y de filosofía de 1967 a 2002. Miembro del PCI de 1973 a 1975. En 1978 participó en la creación del Centro Studi di Materialismo Storico (CSMS).
El pasado día 23 de noviembre murió en la ciudad de Turín el filósofo italiano Costanzo Preve (nacido en Valenza en 1943). Filósofo marxista y profesor de historia y de filosofía de 1967 a 2002. Miembro del PCI de 1973 a 1975. En 1978 participó en la creación del Centro Studi di Materialismo Storico (CSMS).
 (g) El la Crítica al programa de Gotha de 1875, Marx distingue dos fases en el paso al comunismo, la primera fase (de cada uno según sus capacidades, a cada uno según su trabajo) y la segunda fase (de cada uno según sus capacidades, a cada uno según sus necesidades). Es una distinción generalmente muy conocida hasta por los principiantes de los estudios de marxismo.
(g) El la Crítica al programa de Gotha de 1875, Marx distingue dos fases en el paso al comunismo, la primera fase (de cada uno según sus capacidades, a cada uno según su trabajo) y la segunda fase (de cada uno según sus capacidades, a cada uno según sus necesidades). Es una distinción generalmente muy conocida hasta por los principiantes de los estudios de marxismo. Veamos cómo el maestro de GLG, Louis Althuser, se representaba el comunismo en una conferencia en Terni (véase Repubblica et Manifesto, 5/4/1980) poco antes de su conocida catástrofe. Delante de una platea de monos pasmados “de izquierda”, el maestro franco-taoísta sostiene por este orden las tesis siguientes (por desgracia me limito a las solas tesis relatadas por los mediocres periodistas allí presentes).
Veamos cómo el maestro de GLG, Louis Althuser, se representaba el comunismo en una conferencia en Terni (véase Repubblica et Manifesto, 5/4/1980) poco antes de su conocida catástrofe. Delante de una platea de monos pasmados “de izquierda”, el maestro franco-taoísta sostiene por este orden las tesis siguientes (por desgracia me limito a las solas tesis relatadas por los mediocres periodistas allí presentes).
 Né en Italie en 1943 de parents italo-arméniens, Costanzo Preve est très tôt attiré par la philosophie et l’histoire. Étudiant à Paris, il suit les cours de Louis Althusser et fréquente Gilbert Mury et Roger Garaudy. Le jeune Preve ne cache pas sa sensibilité marxiste. Enseignant la philosophie au lycée de 1967 à 2002, il prend sa carte au P.C.I. en 1973 avant de rejoindre en 1975 la mouvance gauchiste (Lotta Continua, Democrazia Proletaria), puis, ensuite, le Parti de la Refondation communiste. il abandonne tout militantisme à partir de 1991. Les prises de position de certains de ses « camarades » révolutionnaires en faveur de l’intervention occidentale contre l’Irak l’invitent à réfléchir si bien qu’en 2004, il adhère le Camp anti-impérialiste et collabore à des revues d’opinions très variées, de Comunismo e Comunità à Italicum en passant par Krisis, Eurasia, Comunità e Resistenza ou Bandiera rossa…
Né en Italie en 1943 de parents italo-arméniens, Costanzo Preve est très tôt attiré par la philosophie et l’histoire. Étudiant à Paris, il suit les cours de Louis Althusser et fréquente Gilbert Mury et Roger Garaudy. Le jeune Preve ne cache pas sa sensibilité marxiste. Enseignant la philosophie au lycée de 1967 à 2002, il prend sa carte au P.C.I. en 1973 avant de rejoindre en 1975 la mouvance gauchiste (Lotta Continua, Democrazia Proletaria), puis, ensuite, le Parti de la Refondation communiste. il abandonne tout militantisme à partir de 1991. Les prises de position de certains de ses « camarades » révolutionnaires en faveur de l’intervention occidentale contre l’Irak l’invitent à réfléchir si bien qu’en 2004, il adhère le Camp anti-impérialiste et collabore à des revues d’opinions très variées, de Comunismo e Comunità à Italicum en passant par Krisis, Eurasia, Comunità e Resistenza ou Bandiera rossa… L’auteur souligne enfin que « la démocratie ne garantit pas la justesse de la décision; bien au contraire, avalisant de son autorité des choix criminels, elle est pire encore que la tyrannie, parce que celle-ci, en tant qu’origine constante de décisions arbitraires et criminelles, est au moins facile à démasquer, tandis qu’en démocratie, le style “ vertueux ” et légal des décisions prises à la majorité réussit le plus souvent à cacher la nature homicide de certains choix sous le rideau de fumée des formes institutionnellement corrects (p. 67) ». La célébration irréfléchie de la démocratie moderne individuelle, voire individualiste, bouleverse l’agencement géopolitique planétaire. « Le monde précédent, qu’il s’agit de détruire, est celui du droit international des relations entre États souverains, celui de la négociation entre sphères d’intérêts et d’influence, le monde du droit de chaque nation, peuple et civilisation à choisir souverainement ses propres formes de développement économique et civil (p. 39). » Le Nouvel Ordre Mondial prépare désormais « l’inclusion subalterne de tous les peuples et nations du monde dans un unique modèle de capitalisme libéral, où ce qui sera le plus défendu, même et surtout par les armes, sera moins l’entrée que, justement, la sortie (p. 39) ». Il favorise l’éclatement des États en privilégiant les communautarismes subjectifs, volontaires ou par affinité. « Cent ou cent cinquante États souverains dans le monde sont à la fois trop, et trop peu, pour la construction d’un Nouvel Ordre Mondial. Trop, parce qu’il y en a au moins une trentaine qui sont pourvus d’une certaine consistance et autonomie économique et militaire, ce qui complique les manèges pour arriver au contrôle géostratégique de la planète. Mais en même temps peu, parce que si l’on vise un contrôle géopolitique et militaire plus commode, l’idéal n’est pas le nombre actuel des États; ce serait un panorama de mille ou deux mille États plus petits, et donc plus faibles militairement, plus vulnérables au chantage économique, formés par la désagrégation programmée et militairement accélérée des anciens États nationaux divisés comme une mosaïque selon l’autonomie de toutes les prétendues “ ethnies ” qui sont présentes sur leur territoire (pp. 49 – 50). »
L’auteur souligne enfin que « la démocratie ne garantit pas la justesse de la décision; bien au contraire, avalisant de son autorité des choix criminels, elle est pire encore que la tyrannie, parce que celle-ci, en tant qu’origine constante de décisions arbitraires et criminelles, est au moins facile à démasquer, tandis qu’en démocratie, le style “ vertueux ” et légal des décisions prises à la majorité réussit le plus souvent à cacher la nature homicide de certains choix sous le rideau de fumée des formes institutionnellement corrects (p. 67) ». La célébration irréfléchie de la démocratie moderne individuelle, voire individualiste, bouleverse l’agencement géopolitique planétaire. « Le monde précédent, qu’il s’agit de détruire, est celui du droit international des relations entre États souverains, celui de la négociation entre sphères d’intérêts et d’influence, le monde du droit de chaque nation, peuple et civilisation à choisir souverainement ses propres formes de développement économique et civil (p. 39). » Le Nouvel Ordre Mondial prépare désormais « l’inclusion subalterne de tous les peuples et nations du monde dans un unique modèle de capitalisme libéral, où ce qui sera le plus défendu, même et surtout par les armes, sera moins l’entrée que, justement, la sortie (p. 39) ». Il favorise l’éclatement des États en privilégiant les communautarismes subjectifs, volontaires ou par affinité. « Cent ou cent cinquante États souverains dans le monde sont à la fois trop, et trop peu, pour la construction d’un Nouvel Ordre Mondial. Trop, parce qu’il y en a au moins une trentaine qui sont pourvus d’une certaine consistance et autonomie économique et militaire, ce qui complique les manèges pour arriver au contrôle géostratégique de la planète. Mais en même temps peu, parce que si l’on vise un contrôle géopolitique et militaire plus commode, l’idéal n’est pas le nombre actuel des États; ce serait un panorama de mille ou deux mille États plus petits, et donc plus faibles militairement, plus vulnérables au chantage économique, formés par la désagrégation programmée et militairement accélérée des anciens États nationaux divisés comme une mosaïque selon l’autonomie de toutes les prétendues “ ethnies ” qui sont présentes sur leur territoire (pp. 49 – 50). » Sous les coups violents du Nouvel Ordre Mondial, la société européenne se transforme, contrainte et forcée. Dénigrées, contestées, méprisées, les vieilles communautés traditionnelles sont remplacées par des communautés artificielles de production et de consommation marchande. Costanzo Preve décrit avec minutie les ravages planétaires de l’hybris capitaliste. Si « le capitalisme aime habiller les jeunes gens et à leur imposer par là, au travers de nouvelles modes factices, des profils d’identification pseudo-communautaire. Cela se fait surtout par le phénomène du branding, c’est-à-dire du lancement de marques. […] Il est de règle que le capitalisme, non content d’habiller le corps des jeunes déshabille celui des femmes. D’où sa frénésie contre l’islam, dont l’hostilité s’étend jusqu’au foulard le plus discret, mais aussi son irrésistible pulsion vers les minijupes et les showgirls très dévêtues des jeux télévisés (pp. 216 – 217) ». Il perçoit en outre que « le capitalisme ne vise […] pas à faire de vieillards une communauté séparée, mais cherche plutôt à réaliser leur complète ségrégation (p. 219) » parce que « dans l’imaginaire capitaliste, la mort elle-même paraît obscène, parce qu’elle interrompt définitivement la consommation (p. 218) ». Le Système fait assimiler implicitement le vieillissement, la vieillesse avec la disparition physique… Quant à une métastase de ce capitalisme mortifère, le féminisme, ses revendications font que « pour la première fois dans l’histoire de l’humanité, la figure asexuée de l’entrepreneur réalise le rêve (ou plutôt le cauchemar) du pur androgyne (p. 224) ». Le capitalisme illimité dévalue tout, y compris et surtout les valeurs. Favorise-t-il donc un état complet d’anarchie globale ? Nullement ! Le champ de ruines spirituel, moral et sociologique assure le renforcement de la caste dirigeante parmi laquelle le « peuple juif qui de fait est aujourd’hui investi du sacerdoce lévitique globalisé du monde impérial américain, dans lequel la Shoah devra remplacer (ce n’est qu’une question de temps) la Croix comme le Croissant, l’une et l’autre peu adaptés à l’intégrale libéralisation des mœurs que comporte l’absolue souveraineté de la marchandise (p. 194) ».
Sous les coups violents du Nouvel Ordre Mondial, la société européenne se transforme, contrainte et forcée. Dénigrées, contestées, méprisées, les vieilles communautés traditionnelles sont remplacées par des communautés artificielles de production et de consommation marchande. Costanzo Preve décrit avec minutie les ravages planétaires de l’hybris capitaliste. Si « le capitalisme aime habiller les jeunes gens et à leur imposer par là, au travers de nouvelles modes factices, des profils d’identification pseudo-communautaire. Cela se fait surtout par le phénomène du branding, c’est-à-dire du lancement de marques. […] Il est de règle que le capitalisme, non content d’habiller le corps des jeunes déshabille celui des femmes. D’où sa frénésie contre l’islam, dont l’hostilité s’étend jusqu’au foulard le plus discret, mais aussi son irrésistible pulsion vers les minijupes et les showgirls très dévêtues des jeux télévisés (pp. 216 – 217) ». Il perçoit en outre que « le capitalisme ne vise […] pas à faire de vieillards une communauté séparée, mais cherche plutôt à réaliser leur complète ségrégation (p. 219) » parce que « dans l’imaginaire capitaliste, la mort elle-même paraît obscène, parce qu’elle interrompt définitivement la consommation (p. 218) ». Le Système fait assimiler implicitement le vieillissement, la vieillesse avec la disparition physique… Quant à une métastase de ce capitalisme mortifère, le féminisme, ses revendications font que « pour la première fois dans l’histoire de l’humanité, la figure asexuée de l’entrepreneur réalise le rêve (ou plutôt le cauchemar) du pur androgyne (p. 224) ». Le capitalisme illimité dévalue tout, y compris et surtout les valeurs. Favorise-t-il donc un état complet d’anarchie globale ? Nullement ! Le champ de ruines spirituel, moral et sociologique assure le renforcement de la caste dirigeante parmi laquelle le « peuple juif qui de fait est aujourd’hui investi du sacerdoce lévitique globalisé du monde impérial américain, dans lequel la Shoah devra remplacer (ce n’est qu’une question de temps) la Croix comme le Croissant, l’une et l’autre peu adaptés à l’intégrale libéralisation des mœurs que comporte l’absolue souveraineté de la marchandise (p. 194) ». Ma déclaration écrite que, si j’avais été Français, j’aurais voté pour Marine Le Pen au premier tour, et Hollande contre Sarkozy au second tour ne pouvait m’attirer que des critiques. Je ne prendrai ici en considération que celles qui m’ont été adressées par des amis : Andrea Bulgarelli, Lorenzo Dorato, Alessandro Monchietto, Maria Serban.
Ma déclaration écrite que, si j’avais été Français, j’aurais voté pour Marine Le Pen au premier tour, et Hollande contre Sarkozy au second tour ne pouvait m’attirer que des critiques. Je ne prendrai ici en considération que celles qui m’ont été adressées par des amis : Andrea Bulgarelli, Lorenzo Dorato, Alessandro Monchietto, Maria Serban. On ne peut décemment demander au marin de partir en mer sans compas, surtout lorsque le ciel est couvert et que l’on ne peut s’orienter par les étoiles. Mais qu’arrive-t-il, si l’on croit que le compas fonctionne, alors qu’il est falsifié par un aimant invisible placé dessous ? Eh bien, voilà une métaphore assez claire de notre situation présente.
On ne peut décemment demander au marin de partir en mer sans compas, surtout lorsque le ciel est couvert et que l’on ne peut s’orienter par les étoiles. Mais qu’arrive-t-il, si l’on croit que le compas fonctionne, alors qu’il est falsifié par un aimant invisible placé dessous ? Eh bien, voilà une métaphore assez claire de notre situation présente. Je viens de renvoyer au dernier livre de Diego Fusaro. Dans cette histoire philosophique du capitalisme, depuis ses origines au XVI
Je viens de renvoyer au dernier livre de Diego Fusaro. Dans cette histoire philosophique du capitalisme, depuis ses origines au XVI Il est probable que l’américanisation intégrale et radicale, bien plus grave encore que l’européisme, que va apporter le gouvernement Monti, produise une diminution de la participation électorale des Italiens, qui depuis 1945 a toujours atteint des niveaux délirants. Cette compulsion électoraliste, qui est évidente chez les personnes âgées, était liée à l’opposition Démocratie chrétienne/Parti communiste; elle s’est prolongée, par inertie, au temps de Craxi, de Prodi, et de Berlusconi. Mais à présent que l’État prend tout et ne donne plus rien, elle devrait diminuer; pas assez vite, hélas ! Il y aura toujours du champ pour des clowns comme les Casini, les Veltroni, les Vendola, etc.
Il est probable que l’américanisation intégrale et radicale, bien plus grave encore que l’européisme, que va apporter le gouvernement Monti, produise une diminution de la participation électorale des Italiens, qui depuis 1945 a toujours atteint des niveaux délirants. Cette compulsion électoraliste, qui est évidente chez les personnes âgées, était liée à l’opposition Démocratie chrétienne/Parti communiste; elle s’est prolongée, par inertie, au temps de Craxi, de Prodi, et de Berlusconi. Mais à présent que l’État prend tout et ne donne plus rien, elle devrait diminuer; pas assez vite, hélas ! Il y aura toujours du champ pour des clowns comme les Casini, les Veltroni, les Vendola, etc.