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lundi, 03 octobre 2011

Il neopaganesimo di Otto Rahn

Il neopaganesimo di Otto Rahn

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Ex: http://www.centrostudilaruna.it/

Otto Rahn (Michelstadt, 18 febbraio 1904 – Söll, 13 marzo 1939)

Otto Rahn (Michelstadt, 18 febbraio 1904 – Söll, 13 marzo 1939)

Il caso di Otto Rahn è ormai noto: è la storia di un giovane romantico, che insegue un sogno. Un giorno entra in contatto con un potere sensibile al mito – il Terzo Reich -, che lo lancia e lo valorizza: ciò che presto lo porta a credersi una specie di nuovo cavaliere templare. Il mito del Graal, quello di una società di puri e di idealisti, di un regno dello spirito, popolava il suo immaginario. Certo del legame storico tra l’eresia dei Catari e la poesia dei trovatori medievali, l’una è l’altra viste come sopravvivenza pagana sotto la scorza del cristianesimo ufficiale, Rahn si convinse che il fulcro di questa cultura si fosse trovato un tempo nel castello provenzale di Montségur, alle pendici dei Pirenei. Proprio il luogo dove, nel 1244, avvenne il finale sterminio dei Catari da parte della Chiesa. In questa zona, intorno al 1929, Rahn svolse ricerce, percorse grotte e camminamenti, rintracciò graffiti e interpretò simboli arcani. Alla fine raccolse il tutto e scrisse il celebre libro Crociata contro il Graal, pubblicato nel 1933. L’incontro fatale con Himmler, anch’egli interessato alla storia delle eresie e all’universo dei simboli pre-cristiani, il pronto arruolamento e la rapida ascesa nelle SS, portarono però Rahn a inciampare nel suo piccolo-grande segreto. Sembra infatti che una mal vissuta omosessualità sia stata all’origine delle sue dimissioni dall’Ordine Nero nel 1938 e infine del suo suicidio, avvenuto per congelamento tra le montagne del Tirolo, nel marzo del 1939. Rahn rimase vittima di un trauma, per esser stato coinvolto in un piccolo scandalo omoerotico? Non resse il clima ideologico delle SS? Venne forse spinto a quel gesto? O ci arrivò da solo, per evitare l’isolamento sociale e magari la persecuzione?

A queste domande cerca di fornire riposta un testo molto buono, da poco tradotto in italiano dalle Edizioni Settimo Sigillo: Otto Rahn e la ricerca del Graal. Biografia e fonti, di Hans-Jürgen Lange. Diciamo subito che questo libro, a differenza di altri usciti anni fa sul medesimo argomento, si segnala per serietà e credibilità storiografica. Una volta tanto, la materia viene lavorata non dal dilettante, ma dallo studioso. E a parlare non sono le sparate a sensazione, ma i documenti. Lange infatti dedica un’intera sezione del suo libro all’interessante e in gran parte inedita documentazione rinvenuta in vari archivi tedeschi. Eloquente quella relativa alla corrispondenza tra Rahn e lo scrittore Albert Rausch prima del 1933, in cui, insieme alla passione per il santo Graal, traspaiono chiari cenni all’omosessualità del giovane intellettuale. Inoltre, viene presentato al lettore italiano un corpus di lettere, appunti, lavori radiofonici, comunicazioni di Rahn con lo studioso Antonin Gadal, con le SS, con Himmler in persona e con Wiligut, il bizzarro collaboratore austriaco del Reichsführer in materia di esoterismo.

L’idea centrale da cui Rahn era tutto pervaso sin giovane era che l’eresia catara fosse un giacimento culturale risalente all’epoca pagana e che nella sua teologia nascondesse rimandi ai saperi sacrali pre-cristiani. Questo assunto, per la verità, è stato da tempo smentito in sede storica e lo stesso Lange non mostra di tenerlo in gran conto. Il catarismo era un’eresia manichea tutta incentrata sul rifiuto del mondo, sul disprezzo del corpo, sulla negazione della fertilità del matrimonio: una teologia cupa, che metteva l’uomo nella disperante condizione di vivere la vita con un senso di ostilità, solo aspirando alla morte liberatrice, ricercata volontariamente nel suicidio rituale chiamato endura. Come si vede, si tratta dell’esatto contrario dell’antico paganesimo, sia il greco-romano che il nordico, che al contrario attribuiva alla bellezza del corpo, alla vita, alla figura umana e alla discendenza nobilitazioni di sacra potenza. Tuttavia, qualcosa di pagano certamente filtrò presso quegli eretici: la loro quasi sicura provenienza orientale – identificata con il “bogomilismo” – unitamente a tratti di neo-platonismo, si intrecciava alla concezione manichea di una costante lotta cosmica tra i principi luminosi del bene e quelli tenebrosi del male. E di queste speculazioni era ricolma l’antica mitologia europea. Tutto preso dall’idea di essere stato eletto dal destino per portare al mondo la sua rivelazione, Rahn si diceva un predestinato. E dall’aver frequentato da ragazzo la zona di Ketzerbach (il “torrente dei Catari”) nei pressi di Marburgo, egli traeva sicuri indizi della sua missione: doveva rivelare ciò che la Chiesa aveva occultato, cioè il legame tra i catari e il paganesimo e quello tra gli eretici e i poeti trovatori del medioevo.

Rahn vedeva in Wolfram von Eschenbach, il famoso poeta cortese autore del Parzival, il terminale di una tradizione che si sarebbe tramandata dai Catari sino in Germania, diventando il patrimonio della cultura europea duecentesca, incentrata sull’asse provenzale-germanico. La stessa etimologia di Wolfram – argomentava Rahn – rimandava a quella di Trencavel, nome di una nobile famiglia della Linguadoca. Attraverso questi sottili legami, insomma, sarebbe avvenuto quel transfert culturale che aveva costruito nel cuore dell’Europa cristiana un’enclave neopagana, alla fine distrutta dalla crociata albigese guidata dalla Chiesa. Non è tanto l’entrare nel merito della questione, che qui ci interessa. La stessa nascita della poesia italiana in Sicilia e in Toscana, del resto, è stata da più parti giudicata come il frutto di legami europei che avevano al loro centro la Provenza, i suoi miti cavallereschi, il perdurare di tradizioni pagane sub specie cristiana. Ciò che interessa è invece verificare che la figura storica di quel singolare ricercatore che fu Rahn ha un suo spessore. Troppo spesso affidato a ricostruzioni improvvisate, infatti, Rahn si presenta come un intellettuale impegnato nella lotta per l’identità europea, ricco di spunti e non di rado affascinante. La sua è piuttosto una metastoria, una cripto-teologia, e non importa molto che venga o meno confermata dai fatti. Egli si muove nell’ambito della cerca mitica. E il mito ha bisogno di un alone di mistero. Lo sforzo di Rahn era quello di uscire dal dogma e di agitare un mito europeo. Di qui la sua rielaborazione della figura di Lucifero, l’angelo caduto, rivalutato ad annunciatore di un mondo buono fatto di luce: «Che cos’è Graal? Graal è la terra della luce, della purezza. Graal è il sogno più profondo dell’anima umana, che dalle angustie terrene aspira alla perfezione immacolata», scrive Lange.

E lo stesso Lange ricorda come, secondo Rahn, il Graal non fosse una coppa, ma piuttosto la pietra lucente che Lucifero recava sulla fronte, simbolo di purezza, di una ricerca che in antico si era espressa con l’immagine del Vello d’oro: qualcosa che solo a pochi eletti toccava in sorte di raggiungere. Rahn sosteneva che fu il trovatore Guiot di Provins a passare a Wolfram il tema di Parzival e quindi a dare vita a questo complesso poetico che sfuggiva alla teologia cristiana, presentandosi come un sapere alternativo. Un sapere arcaicissimo. Lange scrive assai bene che l’origine iranica della saga di Parsifal, intuita da Rahn, è stata recentemente comprovata dagli studiosi: ecco che dunque un concatenamento con il catarismo diverrebbe più credibile, dato che anche a quest’ultimo si danno origini legate all’Oriente. Rahn lavorava dunque su materiali mitici, ma non irrealistici. Tanto bastò per far drizzare le antenne a Himmler, avido di qualunque cosa richiamasse l’idea di “purezza” e di “elezione”, e che come capo delle SS andava setacciando ovunque nel mondo ogni sorta di tradizione arcaica, per vedere se non celasse tracce di antica sapienza ariana. Il contatto fu presto stabilito. Nel marzo del 1936 Rahn viene arruolato nelle SS col grado di Unterscharführer e subito entra nell’entourage di Himmler, per il quale compie ricerche genealogiche. È da notare che Rahn, che oggi spesso viene presentato come “nazista per caso” o peggio niente affatto nazista, ci tenne a far sapere che, quando era in Francia negli anni Venti, aveva compiuto studi che andavano nel senso dell’ideologia nazionalsocialista, prima ancora di sapere che la NSDAP esistesse: presentava se stesso come un precursore. Rahn era amico di Hans Peter des Coudres, curatore della biblioteca del “santuario” nazista di Wewelsburg, era in rapporti stretti con Kurt Eggers, editorialista dello “Schwarze Korps”, la rivista ufficiale delle SS, riceveva favorevoli recensioni da parte di Hermann Keyserling, famoso intellettuale vicino al regime, lavorava fianco a fianco con Wiligut, lo studioso di runologia e ideologo radicale dell’esoterismo nordicista, e alla fine venne promosso a Untersturmführer. Si può dire dunque che fosse perfettamente inserito nel sistema ideologico e di potere del Terzo Reich. Nel 1937 venne degradato per una storia tra omosessuali e temporaneamente spedito a Dachau per “rieducarsi”: doveva semplicemente addestrare le reclute. Presto reintegrato nei ranghi, Rahn entrò in una spirale psicotica. Cominciò a riempirsi di paure e di dubbi, gli cedettero i nervi: «egli stesso sapeva di non essere adeguato alle alte esigenze morali di questo Ordine a causa della sua omosessualità», commenta Lange. Chiese e ottenne le dimissioni dalle SS nel febbraio 1939, e nel marzo fu trovato morto tra i monti tirolesi. Ma nella sua biografia rimangono zone grigie. Non sappiamo veramente come andò il finale.

Ciò che viene chiarito è invece il forte attaccamento di Rahn per il mondo delle SS, in cui vedeva una specie di Ordine neo-medievale che gli appariva ideale per assecondare il suo disegno ideologico. La riedizione del suo libro del 1937 La corte di Lucifero – una sorta di viaggio europeo alla ricerca di testimonianze pagane – venne sollecitata dalle SS ancora nel 1943 in quanto testo ideologicamente importante ed ebbe vasto successo negli ambienti del radicalismo nordicista. E il suo suicidio venne celebrato dalle SS come un esempio di fedeltà nibelungica al senso germanico dell’onore. Lo stesso Karl Wolff, braccio destro di Himmler, vergò l’annuncio mortuario. Lange riporta che qualcuno ha testimoniato, molti anni dopo, che a Rahn fu lasciata la decisione tra il suicidio con onore e il campo di concentramento. Può essere. Pare però discutibile che il regime si volesse sbarazzare di un valido intellettuale ben allineato, solo per una piccola storia omosessuale, facilmente tacitabile. A certi livelli, si sa, le cose si accomodano. Non sarebbe stata la prima volta. Fu lo stesso Ordine Nero a dare disposizione che non si parlasse più delle debolezze di Rahn, ma solo del suo valore di studioso… Per altro, crediamo che le SS avessero i mezzi per mettere a tacere lo scandalo, se mai scandalo ci fu. Probabilmente, si è più vicini al vero se si ipotizza un crollo caratteriale: Rahn era un emotivo, forse – almeno da quanto si legge nella sua corrispondenza – anche un po’ immaturo e insicuro… un carattere diciamo non proprio adattissimo a stare nei ranghi delle SS. Alle quali teneva molto. Lo scrisse lui stesso direttamente a Himmler nel 1937: «Farò di tutto, nello svolgimento dei miei doveri in modo impeccabile… per riscattare, almeno in parte, il mio comportamento lesivo dell’onore delle SS…». Questa frase è una spia: sarà stato proprio la delusione inferta a se stesso e all’Ordine Nero a farlo crollare. E dunque possiamo dirlo: Rahn cercò la morte perchè dovette sentirsi colpevole di aver macchiato la purezza del santo Graal.

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Tratto da Linea del 25 ottobre 2009.

jeudi, 06 mai 2010

Le "combat païen": qu'est-ce que c'est?

5470M.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1989

Le «Combat Païen», qu'est-ce que c'est?

 

Petit manifeste pour un paganisme politique et scientifique

 

Combattre pour le paganisme à l'heure des vi­déo-clips et de Batman, du Club Med' et du ré­armement théologique psalmodié par BHL, ce n'est pas se ré­fugier dans un simple imaginaire oni­rique de statues grecques ou de tem­ples ro­mains, de gauloiseries asté­ri­xiennes ou de vi­gueur germano-vi­king. Un imaginaire qui se suffirait à lui-même et serait le petit «supplé­ment d'âme» de minables sous-bour­geois en­goncés dans les labyrinthes déréali­sants du secteur tertiaire. Soyons francs: le pa­ganisme politique consiste d'abord en ceci: dé­gager, des héritages de la plus vieille Europe, de l'orga­ni­sation spartiate, de la Rome républi­caine, de la civilisation celtique et du commu­nauta­risme germa­nique, la quintessence de notre être poli­tique le plus profond, puis cerner nos réflexes communautaires les plus anciens et les plus purs. Quand Tacite rédigeait sa Ger­mania pour l'aristocratie romaine en pleine deliquescence, son objectif était de mettre en exergue les mœurs civiques indo-européennes de base, non encore cor­rompues, orientalisées, viciées.

 

Lorsque nous parlons des Indo-Euro­péens, du paganisme pré-chrétien, nous effectuons une démarche didac­tique sem­blable à celle de Ta­cite. Les disciplines philologiques et l'archéologie du XIXième siècle ont redécouvert l'Anti­quité avec plus de zèle et de ri­gueur que la Re­nais­sance. Schliemann exhume Troie de l'ou­bli. Rohde et Nietzsche dégagent l'es­sentiel de la tra­gédie grecque. Les lin­guistes reconsti­tuent les langues indo-européennes an­ciennes. Les univers vé­diques et aves­tiques sont désor­mais à la portée des intellectuels européens. D'Ar­bois de Ju­bainville explore les mondes celtiques, etc. Nous sommes les héritiers di­rects de cette renaissance et les ex­posants pé­dagogiques de ses avatars con­temporains, plus précis encore mais hous­pillés dans la margi­nalité par les idéo­logies dominantes, par les straté­gies com­merciales d'arasement des mé­moi­res, par les soft-idéologies démission­nai­res.

 

Ces découvertes du XIXième siècle ont permis aux Européens de retrouver tout ce que le chris­tianisme leur avait ôté. Tout ce qu'il a­vait occulté, avec une rage et une patience cri­minelles. Face aux chrétiens, face aux ava­tars laïcs du chris­tianisme, face aux «réar­mements théolo­giques» qui veulent ara­ser totalement les moindres mani­festa­tions anodines d'en­ra­cinement, face aux valeurs marchan­des qui aliè­nent les masses, les cou­pent du réel, leur font perdre tout rapport im­médiat aux choses, nous, tenants d'un fon­da­men­talisme et d'une radicalité paga­no-poli­tiques, sommes les hé­ritiers d'une formidable révolution culturelle, d'hu­manités qui ne se contentent pas de belles déclamations, de ti­rades ron­flantes, mais qui vont directement, sans détours, aux choses concrètes, aux ar­mes, aux outils de nos ancêtres, exhumés par l'archéologie, aux sym­bo­les qu'ils ont gravés dessus. Etre hom­me de cul­ture, ce n'est pas af­firmer des principes solen­nels, les tonner du haut d'une chai­re de vérité ou d'un pupitre poussiéreux. Ce n'est pas rédui­re le monde et les hommes à une proclamation. C'est se pencher humble­ment sur le travail des généra­tions an­ciennes, c'est garder une oreille pour les vieux chants de nos peuples, c'est poursuivre l'œuvre de ce sonneur de lure d'un graffiti rupestre scandinave ou de ce joueur de flûte grec croqué sur l'ocre d'un beau vase. Les humanités, c'est la mémoire des grandes gestes, le souvenir des grands capitaines de peuples, c'est la présence en nous des souffrances et des joies des an­cêtres, qu'ils fussent soldats ou laboureurs, poètes ou hommes d'Etat.

 

Le paganisme politique rassemble en lui l'idéal de la liberté populaire et celui de l'esthétique née de nos cœurs pro­fonds. Car la liberté poli­tique consiste surtout à préserver son intério­rité de toute occu­pation. 50 ans de régime so­viétique n'ont pas réussi à gommer l'identité des Es­toniens, des Lettons et des Lithuaniens, descendants des der­niers païens d'Eu­ro­pe. 40 ans d'as­som­moir américain ont mis sens des­sus dessous l'identité des peuples d'Europe oc­cidentale, déjà lami­nés par le catho­licisme, le protestan­tis­me et l'idéologie des Lumières. La recette de la survie, de la durée, de la conti­nuité, de la fidélité, de la force tranquille qui défie les siècles, réside donc dans un paga­nisme sainement compris, dans un pa­ganisme qui rend inutile les ef­forts des idéologies maté­rialistes, dans un paga­nisme qui puise son sa­voir dans les travaux de nos archéologues, de nos poè­tes, de nos historiens. Le pa­ga­nis­me, c'est l'arme des peuples contre les escrocs, qu'ils soient prêtres, idéolo­gues ou ban­quiers. C'est l'arme des peu­ples contre ceux que déran­gent les mémoires, car les mémoires forti­fient les intelligences, elles donnent de l'équilibre intérieur, elles nous conser­vent vigilants, elles nous empê­chent de sombrer dans de fol­les naï­vetés. Les hommes doués de mé­moire ne sont pas des proies faciles. Ne soyons pas des proies faciles...

 

Le paganisme politique et scientifique ne s'ar­ticule pas sur un remplacement pur et simple des rites chrétiens par des rites païens. Le pa­ganisme poli­tique se base aujourd'hui sur des cen­taines de milliers de travaux scienti­fiques, archéologiques, historiques et philolo­giques, d'où se dé­gage la quin­tessence du sens indo-européen du droit et du politique. Il re­noue avec les démarches des érudits du XIXième siècle qui redécouvraient l'his­toire de leur pays, exhumaient les chants des ancêtres, reconstituaient les langues anciennes. Des sa­vants qu'ont essayé de faire taire ou oublier chrétiens, libé­raux ploutocrates et marxistes.