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dimanche, 17 avril 2016

La Russia e le relazioni con le repubbliche del Caucaso meridionale

di Emanuele Cassano * 

Ex: http://www.notiziegeopolitiche.net

Se attualmente il Caucaso viene considerato l’estrema propaggine sud-orientale dell’Europa, questo si deve principalmente al fatto che negli ultimi due secoli di storia la regione ha vissuto quasi ininterrottamente sotto il dominio russo. Fu proprio l’Impero zarista ad avviare a partire dalla metà del XIX secolo il processo di occidentalizzazione di una regione che fino a quel momento veniva comunemente considerata storicamente e culturalmente parte del Medio Oriente, essendo rientrata per secoli nelle sfere d’influenza di imperi come quello ottomano e quello persiano, che hanno fatto del Caucaso una terra di conquista.


Verso l’inizio del XIX secolo, consolidate le recenti acquisizioni territoriali (territori di Rostov, Astrakhan e Krasnodar), e approfittando della contemporanea crisi che stava colpendo le due principali potenze regionali, ovvero i già citati imperi ottomano e persiano, l’Impero russo decise di provare a espandere ulteriormente i propri confini verso sud, nella regione del Caucaso, dove già aveva creato qualche avamposto militare. Il primo paese ad essere annesso all’Impero fu la Georgia, che già dal 1783 era diventata un protettorato russo. Invocato dal sovrano locale, nel 1801 lo zar Alessandro I entrò a Tbilisi con l’esercito, ponendo fine a una violenta guerra civile e incorporando il Regno di Kartli-Kakheti (Georgia centro-orientale) all’Impero russo. Nel 1810 i russi annetterono anche il Regno di Imereti (Georgia centro-occidentale), completando la conquista del paese. Nel frattempo l’Impero russo aveva intrapreso l’ennesima guerra contro i persiani (1804) per alcune dispute territoriali riguardanti proprio l’annessione della Georgia, uscendone qualche anno dopo vincitore. A porre fine al conflitto fu il Trattato di Gulistan, stipulato nel 1813, che obbligò l’Impero persiano a riconoscere il dominio russo sulla Georgia e a cedere allo zar il Dagestan, buona parte dell’Azerbaigian e parte dell’Armenia settentrionale.

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Nel 1817 le truppe zariste guidate da Aleksey Yermolov diedero il via alla conquista del Caucaso settentrionale, abitato principalmente da popoli montanari che però riuscirono a opporre una tenace resistenza all’invasione russa. Nel 1826 scoppiò l’ultima delle guerre russo-persiane, che terminò due anni dopo con il Trattato di Turkmenchay, in seguito al quale l’Impero russo acquisì i khanati di Erivan, Nakhcivan e Talysh, oltre alla provincia di Iğdır; mentre un anno dopo i russi ebbero la meglio anche sugli ottomani, che dovettero cedere i porti di Anapa e Poti e parte della Georgia meridionale. Dopo quasi mezzo secolo di dure battaglie, i russi riuscirono infine a piegare anche la tenace resistenza dei montanari del Caucaso settentrionale, sconfiggendo prima gli uomini dell’Imam Shamil nel 1859 e poi spezzando definitivamente nel 1864 la resistenza dei circassi, arrivando a conquistare l’intera regione. Le ultime acquisizioni territoriali nel Caucaso avvennero in seguito alla Guerra russo-turca del 1877-78, quando gli ottomani dovettero cedere allo zar l’Agiara e la provincia di Kars.


In seguito alla Rivoluzione russa del 1917, che segnò la fine dell’Impero zarista, i popoli del Caucaso vissero un breve quanto effimero periodo di indipendenza, segnato da numerose guerre interetniche. Tra il 1919 e il 1921 l’Armata Rossa riuscì a riconquistare la regione, che entrò in seguito a far parte dell’Unione Sovietica. Il Caucaso settentrionale venne inglobato all’interno della RSS Russa, mentre in quello meridionale, dopo la breve esperienza della RSFS Transcaucasica, vennero create le RSS di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il dominio russo nel Caucaso meridionale durò per altri settant’anni, fino a quando nel 1991, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica, le tre repubbliche non proclamarono la propria indipendenza.


Nonostante siano passati ormai 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per una serie di fattori storici, politici e culturali Mosca continua a esercitare tutt’ora una forte influenza nel Caucaso meridionale, che rappresenta una regione chiave sotto molti punti di vista, verso la quale la Russia nutre ancora grandi interessi economici e geostrategici. Per queste ragioni anche dopo l’esperienza sovietica Mosca ha sempre cercato di mantenere i paesi del Caucaso all’interno della propria sfera d’influenza, usando la diplomazia,cercando di stringere negli anni accordi mirati a rafforzare la cooperazione reciproca, ed esercitando quando necessario il proprio potere coercitivo, garantitole dal ruolo di principale potenza regionale.

Il difficile rapporto con la Georgia.


In seguito alla decisione del governo di Tbilisi di rompere ogni relazione in seguito alla Seconda Guerra in Ossezia del Sud del 2008, Mosca continua a non avere alcun rapporto diplomatico ufficiale con la Georgia. Nonostante l’assenza di relazioni ufficiali, parte delle forti tensioni accumulatesi in seguito alla guerra sono state comunque stemperate negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla salita al potere del partito del Sogno Georgiano dopo le elezioni parlamentari del 2012. L’ascesa del Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del paese, ha di fatto posto fine agli anni di governo di Saakashvili, da sempre ostile nei confronti del Cremlino, e del suo Movimento Nazionale Unito, che l’anno successivo ha poi perso anche le elezioni presidenziali. La débâcle degli uomini di Saakashvili ha fatto credere a molti analisti politici in un possibile cambio di rotta di Tbilisi in politica estera e ad un conseguente riavvicinamento alla Russia; tale riavvicinamento non si è però mai concretizzato, a causa delle inconciliabili posizioni che hanno impedito finora lo sviluppo di un dialogo costruttivo tra Mosca e Tbilisi.

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Il principale motivo di scontro tra i due paesi è la questione delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, il cui status è tuttora disputato. Tbilisi considera le due regioni parte integrante del proprio territorio, continuando a denunciare l’occupazione da parte delle milizie locali e dell’esercito russo; il Cremlino invece, in seguito al confitto del 2008 ne ha riconosciuto l’indipendenza, stringendo nel tempo rapporti sempre più stretti con i due governi locali. Come affermato recentemente dai vertici del governo georgiano, Tbilisi non ha intenzione di ripristinare i rapporti con Mosca né ora né in un prossimo futuro, almeno finché la situazione non cambierà. Il governo georgiano si aspetta infatti che la Russia faccia un passo indietro, ritrattando il riconoscimento delle due repubbliche o perlomeno ritirando le proprie truppe dalle regioni occupate; dal canto suo Mosca, principale alleato di Sukhumi e Tskhinvali, non sembra essere disposta a prendere in considerazione le richieste di Tbilisi.


La rottura dei rapporti diplomatici con Mosca ha finito per influire fortemente anche sull’economia georgiana, considerando che fino al 2006 la Russia è stata uno dei più importanti partner commerciali di Tbilisi. Il primo segno di rottura è avvenuto proprio in quell’anno, con l’embargo economico imposto da Mosca nei confronti dei vini georgiani per presunte violazioni delle norme sanitarie. La situazione è poi nettamente peggiorata in seguito al conflitto russo-georgiano, quando Mosca ha deciso di aumentare sensibilmente il prezzo del gas destinato alla Georgia, paese che non dispone di materie prime, la quale per pronta risposta ha iniziato a importare in misura sempre maggiore dall’Azerbaigian (attualmente Tbilisi importa il 90% del gas naturale da Baku, mentre solo il restante 10% proviene dalla Russia, diretto in Armenia). Recentemente, dopo che la domanda di gas nel paese è aumentata, il governo di Tbilisi ha provato a intavolare una trattativa con Gazprom per aumentare la quantità di gas russo commercializzabile nel mercato georgiano, per fare concorrenza all’Azerbaigian e ottenere prezzi più competitivi; la decisione di trattare con la compagnia russa è stata però fortemente contestata dall’opposizione, che è scesa in piazza per protestare contro la trattativa, costringendo il governo a prendere accordi per un aumento di fornitura con la compagnia azera SOCAR.


A fine anno in Georgia si terranno le elezioni parlamentari, con il Sogno Georgiano arrivato al termine del proprio mandato con Giorgi Kvirikashvili come primo ministro, dopo la parentesi di Garibashvili, che proverà a riconfermarsi alla guida del paese nonostante il crescente calo di consensi, difendendosi ancora una volta dall’assalto del Movimento Nazionale Unito dell’ex presidente Saakashvili, ora guidato dal suo delfino Davit Bakradze. L’esito di queste elezioni potrebbe avere un importante impatto nel bene o nel male sulle future relazioni tra Mosca e Tbilisi.

La cooperazione con Abkhazia e Ossezia del Sud.


Un discorso a parte meritano Abkhazia e Ossezia del Sud, territori che la Russia riconosce ufficialmente come repubbliche indipendenti. In seguito al riconoscimento Mosca ha intensificato i rapporti diplomatici e commerciali con Sukhumi e Tskhinvali, assumendosi inoltre l’incarico di difenderei loro confini, nonché ponendosi come principale garante del loro status quo. Negli anni immediatamente successivi al conflitto con la Georgia, per cercare di far ripartire il settore economico dei due paesi Mosca ha provveduto a elargire una serie di importanti finanziamenti ai due governi, mentre per cercare di aggirare il loro isolamento politico (oltre alla Russia l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono riconosciute solo da Nicaragua, Venezuela e Nauru) ha provveduto a distribuire passaporti russi ai cittadini abkhazi e sud-osseti, permettendogli di spostarsi agevolmente all’interno della Federazione Russa e di viaggiare all’estero.


Nel 2014 la Russia ha stretto con l’Abkhazia un importante accordo di cooperazione che ha ulteriormente rafforzato i legami economici tra i due paesi, all’interno del quale è stato definito un prestito di circa 5 miliardi di rubli (più o meno 65 milioni di euro); parte dello stesso accordo è stata anche la creazione di uno spazio comune di difesa e sicurezza, con la decisione di Mosca di aumentare la militarizzazione del confine abkhazo-georgiano. L’anno successivo la Russia ha firmato un secondo accordo “sull’alleanza e l’integrazione” con l’Ossezia del Sud, attraverso il quale Mosca ha deciso di attuare un’unione doganale tra i due paesi per venire incontro alla precaria economia osseta, togliendo inoltre i controlli alla frontiera per rendere più agevole il transito delle persone. L’accordo ha riguardato anche la sicurezza, con la decisione di accorpare le milizie sud-ossete alle forze armate russe e agli altri corpi di sicurezza che presidiano la regione, andando a formare un vero e proprio esercito unico.

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Questi ultimi accordi hanno portato le due repubbliche caucasiche a raggiungere un elevato grado d’integrazione con Mosca, spingendo diversi analisti politici a ipotizzare soprattutto nel caso dell’Ossezia del Sud una possibile futura annessione alla Russia; ipotesi rafforzata dalle parole del presidente sud-osseto Leonid Tibilov, che lo scorso ottobre ha fatto capire che il suo paese sarebbe pronto a votare l’unione alla Russia, definita come “il sogno di tante generazioni di osseti”. Finora questa ipotesi è stata però sempre smentita da Mosca, la quale è conscia del problematico impatto che una mossa di questo tipo avrebbe sulla comunità internazionale e sui rapporti con la Georgia.

L’alleanza con l’Armenia in chiave euroasiatica e la questione del Nagorno-Karabakh.


Intrappolata in una morsa formata da due paesi ostili come la Turchia a ovest e l’Azerbaigian a est, fin dal momento della sua indipendenza l’Armenia ha sempre cercato di intrattenere buoni rapporti con la Russia, unico alleato affidabile nella regione in grado di proteggere Yerevan dai bellicosi vicini ed evitarle l’isolamento politico. Nonostante questo, l’Armenia ha mantenuto per anni una posizione piuttosto ambigua in politica estera, legandosi in modo sempre più stretto a Mosca ma cercando di seguire contemporaneamente la strada dell’integrazione europea.


Dopo diverse indecisioni, nel 2013 il governo di Yerevan ha finalmente scelto il percorso da intraprendere, annunciando di volere aderire all’Unione Doganale Euroasiatica, interrompendo così il processo di integrazione europea a soli due mesi dal vertice del Partenariato Orientale tenutosi quell’anno a Vilnius, in cui l’Armenia avrebbe dovuto firmare l’Accordo di associazione con l’Unione Europea. L’anno successivo il paese è entrato ufficialmente all’interno della neonata Unione Economica Euroasiatica, aggiungendosi a Russia, Bielorussia e Kazakistan.

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Il recente ingresso dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica ha contribuito a rafforzare ulteriormente i già solidi rapporti con Mosca, che rappresenta attualmente il primo partner commerciale di Yerevan sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Negli ultimi anni la Russia ha inoltre concesso una serie di sostanziosi finanziamenti mirati a rilanciare l’economia dell’Armenia, che in cambio ha garantito a Mosca l’esclusiva in diversi settori economici tra cui alcuni di fondamentale importanza come quello dell’approvvigionamento energetico. La maggior parte del gas e del petrolio consumato nel paese caucasico viene infatti importata da Mosca, che al momento vanta il diritto esclusivo a utilizzare tutte le infrastrutture energetiche presenti nel paese, compreso il gasdotto che collega Yerevan a Teheran, rilevato lo scorso anno da Gazprom attraverso la filiale armena Armrosgazprom. In mano a una compagnia russa è anche il settore dell’energia elettrica, che viene gestito dalla Inter RAO.


Tra la Russia e l’Armenia si registra una grande cooperazione anche nel settore della sicurezza. Considerato il progressivo riarmo azero, nonché l’aumento dell’instabilità nella regione del Nagorno-Karabakh, recentemente teatro di violenti scontri, nell’ultimo periodo Mosca ha concesso a Yerevan una serie di prestiti mirati a finanziare l’acquisto di armamenti di produzione russa, intensificando inoltre le esercitazioni congiunte con l’esercito armeno. In cambio del supporto militare l’Armenia ha concesso alla Russia di mantenere attiva la 102ª Base Militare di Gyumri, nel nord-ovest del paese, così come la 3624ª Base Aerea di Erebuni, situata alle porte di Yerevan. Recentemente l’Armenia ha inoltre firmato con Mosca un accordo che prevede la creazione di un sistema regionale comune di difesa aerea, che assicurerà lo scambio di informazioni tra i due paesi su tutto lo spazio aereo del Caucaso, e aiuterà lo sviluppo dei sistemi missilistici di difesa aerea e dei sistemi radar armeni.


La Russia gioca inoltre un ruolo di primo piano nel processo di pacificazione del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian che fu teatro nella prima metà degli anni Novanta di un sanguinoso conflitto armato, terminato nel 1994 in seguito a un cessate il fuoco negoziato proprio dal Cremlino. Il fatto che in oltre vent’anni i governi di Armenia e Azerbaigian non siano mai riusciti ad avviare un dialogo costruttivo, aspettando che qualche organizzazione o paese terzo risolvesse la questione per conto loro, ha così finito per conferire gradualmente alla Russia un ruolo di fondamentale importanza nel processo di risoluzione del conflitto.


Attualmente Mosca insieme a Francia e Stati Uniti siede alla presidenza del Gruppo di Minsk, struttura creata nel 1992 dall’OSCE (all’epoca CSCE) per cercare di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh attraverso vie diplomatiche, la quale finora non è però riuscita a conseguire risultati importanti. Ma il ruolo di primo piano di Mosca va oltre i negoziati portati avanti dal Gruppo di Minsk; in seguito alle reciproche provocazioni e ai conseguenti incidenti che si sono verificati negli ultimi anni lungo la linea di confine armeno-azera, il Cremlino, quale principale potenza regionale,è sempre stato pronto a prendere in mano la situazione, finendo quindi per essere legittimato dalle due parti nel ruolo di principale mediatore del conflitto.

Mosca e l’Azerbaigian, amici in conflitto d’interessi.


Il rapporto che l’Azerbaigian ha intrattenuto con la partire dalla fine dell’epoca sovietica si può definire ambivalente: da un lato Baku ha sempre cercato di mantenere rapporti amichevoli con Mosca, a cui è in parte ancora legata dal recente passato e poiché consapevole dell’importante peso del Cremlino in chiave regionale; dall’altro il paese caucasico ha sviluppato negli anni una politica di progressivo allontanamento dalla Russia, per avvicinarsi invece alla Turchia e ai paesi occidentali, specialmente europei, con i quali intrattiene importanti rapporti economici. Considerati quindi i legami che uniscono Baku a Mosca e i rapporti commerciali che allo stesso tempo la avvicinano all’Europa, i vertici del paese caucasico negli ultimi anni hanno preferito promuovere una linea neutrale in politica estera, decidendo di non schierarsi apertamente né con l’una né con l’altra parte. La posizione di neutralità assunta dall’Azerbaigian è stata confermata dalla decisione di aderire nel 2011 al Movimento dei paesi non allineati, unico caso tra le repubbliche del Caucaso.

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In ambito economico i rapporti tra Russia e Azerbaigian sono segnati dal conflitto d’interessi nel settore energetico causato dal tentativo dei paesi dell’Unione Europea di diversificare il proprio approvvigionamento cercando fornitori alternativi a Mosca, e dal fatto che Bruxelles abbia individuato proprio in Baku il partner ideale per la realizzazione di questo progetto. Nel 2006, con la realizzazione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, l’Azerbaigian è riuscito a fare arrivare il proprio petrolio fino al bacino del Mediterraneo e quindi ai mercati europei, aggirando per la prima volta la Russia. Inoltre, a partire dal 2007, in seguito all’inizio dello sfruttamento del grande giacimento off-shore di Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale del paese, l’Azerbaigian ha deciso di interrompere le forniture di gas russo, rivelatesi ormai non più necessarie, diventando a sua volta uno dei più importanti produttori regionali. Con la definitiva rinuncia da parte della Russia al progetto South Stream, che avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Europa attraverso il Mar Nero e i Balcani, l’Azerbaigian ha colto l’opportunità di prendere parte alla creazione un proprio Corridoio Meridionale del Gas, progetto reso possibile dall’inizio dei lavori di realizzazione dei gasdotti TANAP e TAP, che trasporteranno il gas azero fino in Italia. Nonostante il conflitto d’interessi nel settore energetico, negli ultimi anni Mosca e Baku hanno comunque firmato diversi accordi commerciali che hanno portato a un continuo aumento degli scambi economici tra i due paesi.


Tra i settori chiave in cui i due paesi collaborano maggiormente vi è sicuramente quello della sicurezza. Baku negli ultimi anni ha incrementato esponenzialmente le proprie spese militari, stringendo importanti accordi con Mosca ma anche con Israele per l’acquisto di nuovi armamenti mirati ad ammodernare il proprio esercito e per l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte. Nel 2012 la Russia è stata comunque costretta a rinunciare alla propria presenza militare nel paese caucasico, con la chiusura della stazione radio di Qabala in seguito al mancato accordo per il rinnovo del contratto d’affitto dell’impianto. Nonostante i due paesi abbiano sempre collaborato nel settore della sicurezza, vi sono anche punti su cui essi si trovano in disaccordo. Su tutti vi è la questione del Nagorno-Karabakh, del cui processo di pacificazione la Russia svolge un ruolo chiave. Secondo il governo dell’Azerbaigian infatti, il Gruppo di Minsk, co-presieduto da Mosca, sarebbe troppo sbilanciato su posizioni filo-armene; inoltre a Baku non viene visto di buon occhio il consistente supporto militare che la Russia fornisce all’Armenia, con l’obiettivo di far fronte proprio al riarmo azero, così come continua a creare tensioni il progressivo avvicinamento di Yerevan a Mosca, culminato con l’ingresso dell’Armenia all’interno dell’Unione Economica Euroasiatica.

* Emanuele Cassano. Studente di Scienze Internazionali con specializzazione in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa dell’area del Caucaso, sia dal punto di vista politico che da quello storico e culturale. Dal 2012 è redattore di East Journal, mentre dal 2014 è coordinatore di redazione della rivista Most, quadrimestrale di politica internazionale.

dimanche, 27 mars 2011

Beslan: des victimes modèles

 

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BESLAN:  DES VICTIMES MODELES

 

par Georges HUPIN

 

Les princes qui nous gouvernent retirent généralement du terrorisme et des terroristes plus d’effets et d’utilité qu’ils n’en retirent des victimes du terrorisme. Nous ne songeons pas ici aux cyniques qui osent financer les services de terroristes dans le but de déstabiliser leurs concurrents, bien que les exemples de ce type de stratégie ne soient pas rares. Nous visons simplement ici les effets et utilités de la grande presse, tant publique que privée, qui donne en général incomparablement moins de visibilité aux victimes du terrorisme qu’à leurs bourreaux.

 

C’est notamment ce thème du peu de visibilité des victimes du terrorisme qui a été traité à Bruxelles le vendredi 11 mars dernier, dans un colloque international organisé par la DG Justice de la Commission européenne à l’intention des organisations européennes de défense des victimes du terrorisme. Dans leur nombre, il y avait l’association France-Europe-Beslan que nous nous félicitons de soutenir. Hors l’importante délégation française, menée par Guillaume Denoix de Saint Marc, il y avait dans la soixantaine des représentations à ce colloque des délégués d’associations espagnoles, italiennes, néerlandaises, britanniques. France-Europe-Beslan était représentée par son président Christian Maton et, pour sa section belge, par Georges Hupin.

 

En séance, il a été souligné entre autres que généralement le terrorisme ne paie pas, que dans la masse revendicatrice, qui est naturellement attentiste, les revendicateurs ‘modérés’ ne sont souvent que des radicaux patients, aussi violents en fin de compte qu’est violente la lente étreinte de l’anaconda, que dans notre monde de médiatisation qui formate les masses, le terrorisme est une forme de manipulation violente de ces masses, que cette violence qui vise les populations innocentes est criminelle, qu’elle ne fait pas que des victimes directes, tués, blessés ou disparus, mais aussi un grand nombre de victimes indirectes parmi tous leurs proches dont la vie reste marquée. On notera d’ailleurs que presque tous les intervenants au colloque étaient personnellement touchés par le terrorisme, soit comme survivant d’un attentat, soit comme proches d’une victime directe. Le colloque a rassemblé en fait un réseau mondial de survivants, d’orphelins ou de veufs, de parents de victimes directes. Tous s’accordent sur l’objet du colloque : Faire jouer aux victimes du terrorisme, directes et indirectes, un rôle de prévention contre la radicalisation violente des revendications.

 

Sur le plan de la prévention de la radicalisation, le comportement de la population d’Ossétie du nord est un modèle d’une importance exceptionnelle. Pas seulement parce que la tuerie de Beslan est, en matière de crime terroriste le summum de l’odieux. D’abord par le choix de la cible : une concentration de jeunes enfants. Ensuite par le nombre des victimes prises en otage : plus de 1.300. Enfin par les circonstance de sa mise en oeuvre : la fête de la rentrée des classes d’une grande école primaire, ‘Jour de la connaissance’ célébré avec les parents et les grands parents, les petits frères et sœurs. A Beslan, ce 1er septembre 2004, Ils étaient tous endimanchés et enrubannés pour la cérémonie, avec ses discours, ses récitations, ses chants et ses fleurs. Et puis soudain c’est l’horreur, les cris, les coups de feu  tirés par une bande d’une trentaine de terroristes qui débarquent de camions en tenue de taliban. Le paroxysme est atteint dans la cruauté avec laquelle l’action terroriste va être menée : les enfants et les parents sont parqués vaille que vaille dans la salle de gymnastique; les bandits, -c’est comme cela que les enfants les appellent alors- ;pour marquer aussitôt leur détermination dans les esprits de leurs otages, abattent sous leur yeux plusieurs pères qui protestaient et ils jettent leurs cadavres depuis l’étage sur les pavés de la cour.

 

C’est alors la stupeur chez les enfant ; les terroristes braillent qu’ils vont faire tout sauter et ils installent des explosifs répartis dans la salle et un dispositif de mise à feu qu’un terroriste maintient pressé sous le regard de tous. Le soleil d’été qui commence à monter fait que dans la salle bondée la chaleur devient bientôt étouffante. Les enfants ont soif, mais on leur refuse à boire. Ils se mettent à pleurer, mais s’arrêtent bientôt, terrorisés par les hurlements Deux membres du commando, des femmes, s’insurgent contre cette inhumanité, qui visiblement n’était pas à leur programme : elles sont exécutées. Et ce n’est là encore que le début d’un long calvaire qui va durer trois jours et deux nuits, dans cette salle où il n’y a pas assez de place pour que tout le monde puisse s’étendre.

 

Le second jour est aussi torride que le premier et les cadavres exposés au soleil commencent à se décomposer. Certains enfants, déshydratés, délirent. Ils sont obsédés par l’image du robinet de la cour de récréation, qui est tout proche et qu’ils croient entendre, car il fuit effectivement goutte à goutte dans un chuintement aigu. La seconde nuit est interminable et, le troisième jour, dans la touffeur écrasante de midi, soudain, une énorme explosion, suivie de deux autres. Une maladresse probable du terroriste préposé au dispositif de mise à feu qui, fatigue ou tension, a relâché sa pression sur le ressort du déclencheur ? La presse occidentale accuse aussitôt Vladimir Poutine d’avoir lancé ses forces spéciales dans un assaut intempestif. C’est lui le tueur des otages de combattants de la liberté ! Or les troupes spéciales russes ne sont même pas présentes dans le pays, car l’état fédéral a tenu à laisser l’opération à la responsabilité de la police locale. Celle-ci ne dispose malheureusement pas de la formation spécifique. Surpris par les explosions, ses hommes ont aussitôt foncé vers l’école dans l’espoir de sauver des enfant, sans prendre le temps d’enfiler leurs gilets pare-balles. Car, lorsque la poussière est retombée, des enfants se sont précipité au dehors, vers la liberté, vers l’eau. Mais les terroristes postés dans les étages les ont tirés dans le dos et de nombreux policiers payeront alors de leur vie leur généreux dévouement.

 

Toutefois, il n’est pas salutaire de ruminer indéfiniment ces images lamentables. Il faut même se garder d’en banaliser l’atrocité, pour ne pas risquer d’inciter des névrosés à la surenchère. C’est bien le ton de l’exemple que nous donnent les Ossètes : pour la bonne propagande, pour la propagation du bien et de la paix, il faut tirer de la mémoire du mal des leçons de vie. Plus signifiant que la mémoire du drame, il y a l’horreur de l’horreur et l’espoir qui veut en renaître.  C’est ici que réside le miracle de Beslan.

 

Victime des découpages et des recompositions qui étaient si fréquents à la belle époque de la discordance du concert des nations; la Belgique serait, dit-on, un enfant perdu que l’Angleterre aurait fait dans le dos de la France. Les Belges, sans être des experts en relations interethniques, sont assez ferrés sur la matière pour apprécier ce que les Ossètes ont fait après avoir été les victimes de l’abomination du terrorisme. Et pour proclamer que c’est un modèle pour l’humanité, un modèle d’humanité.

 

C’est à partir du moment où la fusillade a cessé et où, incrédule, la population ossète de Beslan (80%) compte ses morts et ses blessés, qu’elle va se comporter de manière exemplaire. Elle va accepter de suivre son président (il a eu deux enfants parmi les otages) qui veut à tout prix l’empêcher de tomber dans le piège qui lui est tendu par les stratèges du terrorisme. Le risque que cette large majorité, des Ossètes orthodoxes, se rue alors pour se venger sur les minorités musulmanes ingouches et tchétchènes est vertigineux, dans ce Caucase où tout le monde possède une arme et où la ‘loi du sang’ ne laisse pas aux Corses le monopole de la vendetta. Le peuple ossète doit compter un pourcentage élevé de poètes, qui ont su alors trouver les mots, les gestes, les symboles qui sont parvenus à retenir les tempéraments les plus chauds de mettre le feu aux poudres. Et de déclencher le bain de sang sur lequel les terroristes devaient avoir compté pour déterminer l’internationalisation de la question.

 

Mais le peuple ossète a fait mieux encore, il a trouvé la manière de reconstruire la paix, dans le pays, mais d’abord dans les cœurs, en transformant une logique de haine et de mort en une logique de confiance et de vie. Il est admirable que dans le cimetière spécial qu’elles ont aménagé pour les martyrs, les autorités de la ville aient opté, de préférence à l’art abstrait, pour un art populaire lisible au premier regard : le mémorial de ‘L’Arbre du Chagrin’ dresse ses trois silhouettes de femmes dont les bras dressés vers le ciel ouvrent leurs branches sur un vol de petits anges dont les ailes sont des feuilles symbole de la vie renaissante. N’est pas moins émouvante la reconnaissance du supplice de la soif qu’ont enduré tous les petits martyrs de Beslan, dont certains pour survivre n’ont pas hésité à boire leur urine, dont d’autres sont morts d’épuisement dans les bras de leur maman.  Il n’y aura eu dans l’histoire des hommes que peu de peuples pour exprimer aussi bien leur communion à la souffrance des leurs que par ces deux énormes mains de bronze du Mémorial de la Soif qui présentent au passant un fin filet d’eau. Il évoque le robinet de la cour de récréation qui a obsédé des petits agonisants, ce robinet qui, horrible dérision, était impossible à fermer et à dix pas d’eux à peine continuait de laisser fuir son eau sur le sol.

 

N’est pas moins émouvant le troisième monument du cimetière de Beslan, dédié aux hommes des forces de sécurité ossètes qui se sont sacrifiés et qui sont morts une seconde fois quand ils ont été calomniés pour de basses raisons d’opportunité politique.  Ils sont morts dans l’idéal des guerriers, s’oubliant eux-mêmes pour protéger les leurs. Le mémorial qui évoque avec une belle sobriété leur geste héroïque ne peut qu’apporter aux veuves et aux orphelins qu’ils ont laissés la consolation d’un légitime fierté et d’une mémoire à cultiver.

 

Nous devons être reconnaissant au peuple ossète pour l’exemple qu’il a su donner aux hommes d’une pleine reconnaissance des victimes du terrorisme dans l’affirmation de valeurs de paix : les petits anges de l’Arbre du Chagrin, les enfants morts deviennent les génies vivant de la paix, les protecteurs de la fragilité d’une paix toujours recommencée. Nous devons savoir gré aux Ossètes de disposer de l’esprit de poésie, vital aujourd’hui pour l’amitié entre tous les peuples d’Europe, une paix comme y prétendait jadis Rome, la Pax Romana.

 

Georges Hupin

lundi, 11 octobre 2010

Gli Osseti e la cinica Europa

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Gli osseti e la cinica Europa

di Giulietto Chiesa

Fonte: megachip [scheda fonte]

Tzkhinval, cos’era?, o cos’è? Se uscite di casa e, una volta superate le asperità della pronuncia, chiedete ai primi dieci passanti se hanno un’idea a proposito di questa parola, nessuno saprà rispondere. La risposta è: la capitale dell’Ossetia del Sud. Resta da chiarire dov’è e cos’è questo paese. Si trova sul versante sud del Caucaso ed era, fino a 20 anni fa, nei confini della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia.


Il 20 settembre l’Ossetia del Sud ha celebrato i suoi 20 anni di indipendenza dalla Georgia. Ma c’è un problema: la Georgia non ha mai accettato la loro indipendenza e, in tutto il secolo XX, ha ripetutamente cercato di schiacciare gli osseti, sia cacciandoli da quella terra, sia assoggettandoli, sia - quando non gli è riuscita nè l’una nè l’altra cosa - sterminandoli.

 

Il perché è complicato da spiegare e da raccontare in poche righe, ma forse basta elencare alcune specificità.

La prima è che gli osseti non sono mai stati “georgiani”.

La seconda è che parlano una lingua che non ha nessuna parentela con il georgiano (ed è questa una discreta prova che provengono da un’altra storia, alla quale non vogliono rinunciare, avendone pieno diritto).

La terza è che sono stati divisi in due parti, gli osseti, da una storia crudele e più forte di loro: la parte più grande è rimasta dentro i confini della attuale Federazione Russa, è una repubblica autonoma, con capitale Vladikavkaz, e sta a nord della imponente catena montuosa del Caucaso. La parte più piccola è invece a sud del Caucaso, con una popolazione di circa 70 mila persone, esseri viventi all’incirca uguali a noi (anche se facciamo finta di non saperlo). Fino a che i due pezzi fecero parte di un unico Stato, l’Unione Sovietica, la divisione fu meno dolorosa e i piccoli “sudisti” si sentirono relativamente protetti dal Grande Fratello ortodosso. I guai riesplosero con la fine dell’Urss.

Chiesero, ma non ottennero, la autonomia da una Georgia che si dichiarava ora “democratica”, cioè non più socialista, ma che si proponeva ancora una volta di liquidarli. Subirono tre massacri, l’ultimo dei quali nella “guerra dei tre giorni” scatenata contro di loro la notte tra il 7 e l’8 agosto del 2008 dal “democratico” presidente della Georgia, con l’aiuto dell’allora presidente, anche lui molto democratico, dell’Ucraina.

La Russia di Medvedev e Putin, che molto democratici (secondo i nostri metri) non sono, intervenne in forze e, sconfitta la Georgia, riconobbe la Repubblica dell’Ossetia del Sud come sovrana e indipendente e mise la sue armata a presidio di un tale riconoscimento. Che, allo stato dei fatti elenca solo quattro paesi: Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru (chi vuole saperne di più vada a vedere dalle parti della Nuova Zelanda).

Ma non ha molta importanza, perchè nessuno è ora in condizione di cambiare il mazzo di carte.

Come testimone diretto delle guerre di questi ultimi venti anni sono stato invitato a partecipare ai festeggiamenti. Il problema è che l’Europa e gli Usa, e con loro tutto l’Occidente, non riconoscono nè l’esistenza dell’Ossetia del Sud, nè quella, parallela e contemporanea, dell’Abkhazia, altra regione che non ne vuole più sapere della Georgia. Entrambi pezzi non dell’ambizione russa, ma della stupidità sesquipedale dei leader georgiani. Perché?

Ufficialmente per il principio della intangibilità delle frontiere, sancito dalle Nazioni Unite. In realtà perché gli Usa vogliono includere la Georgia nella Nato, estendendo a sud l’accerchiamento della Russia, che perseguono dal momento della caduta dell’Urss.

L’Europa, come al solito, segue fedelmente. Gli altri, variamente ricattati, fanno altrettanto. Eppure c’è un altro principio che sarebbe utile non dimenticare, anche quando la Realpolitik impone di seguire il dettato dell’Impero: quello dell’autodeterminazione dei popoli.

 Chi non ha la memoria troppo corta si ricorderà che fu proprio questo principio che venne invocato, pochi mesi prima della guerra contro l’Ossetia del Sud, da tutti i paesi occidentali che avevano una gran fretta di riconoscere la indipendenza del Kosovo dalla Serbia.

 


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jeudi, 20 mai 2010

Les trois épicentres de la révolution eurasienne

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Pietro FIOCCHI:

 

Les trois épicentres de la révolution eurasienne

 

L’ambassadeur russe auprès de l’OTAN, Dmitri Rogozine, possède une sorte de sixième sens pour toutes les questions atlantiques: “Selon moi”, a-t-il dit le 4 mai 2010, “la Géorgie n’a pas encore de réelle prospective en vue pour son adhésion à l’Alliance parce que les problèmes qu’elle affronte en Abkhazie et en Ossétie du Sud demeurent irrésolus” et, par conséquent, “un pays qui n’a pas de frontières définies et est continuellement secoué de guerres civiles ne peut devenir membre de l’OTAN”.

 

La Géorgie dans le Caucase

 

L’ambassadeur fait référence au cas des deux républiques qui, il y a vingt ans, se sont déclarées indépendantes du gouvernement géorgien et qui, depuis 2008 jusque aujourd’hui, ont été reconnues par la Russie, le Nicaragua, le Vénézuela et Nauru. L’Abkhazie et l’Ossétie du Sud sont toutefois considérées comme des “territoires occupés” par les Géorgiens et aussi par l’eurocratie bruxelloise et par Washington qui, en bonne diligence, ont promis à leur allié Saakashvili de l’aider à remettre les “choses en place”. On veut donc que les deux républiques, ou “territoires occupés”, reviennent sous le contrôle de la Géorgie. En pratique, tout pas en cette direction augmente les possibilités d’un affrontement avec la Russie: le Kremlin, en effet, a promis de protéger la souveraineté territoriale des deux républiques caucasiennes, en vertu d’accords conclus et par la présence de bases militaires aujourd’hui en construction.

 

Si la Géorgie entrait effectivement au sein de l’Alliance atlantique, les tensions augmenteraient et présenteraient un réel danger. Pour éviter la guerre, il faut avoir conscience des positions antagonistes et percevoir qu’elles recèlent de fait le danger de mondialiser le conflit.

 

Dans cette optique, Rogozine a mis en exergue les dynamiques possibles dans la région: “les Géorgiens seront exploités au maximum afin qu’ils envoient des troupes en Afghanistan; ils seront traités comme des animaux auxquels on fait miroiter une carotte en la balançant sous leur museau. Tbilissi ne peut adhérer à l’OTAN parce que la Géorgie ne peut en devenir membre; l’Alliance atlantique devra ou reconnaître l’indépendance de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud ou accepter les anciennes frontières de la Géorgie, tracées par Staline. C’est là une éventualité impensable, donc Tbilissi restera partenaire de l’OTAN mais son adhésion ne se fera pas dans un futur proche”.

 

Incertitudes au Kirghizistan

 

Passons maintenant du Caucase à l’Asie centrale: nous débouchons dans un espace où la Russie et les intérêts atlantistes s’opposent.

 

Cas atypique et, depuis le récent coup d’Etat, objet de toutes les attentions: le Kirghizistan. Dans cette ex-république soviétique cohabitent très proches les unes des autres des troupes russes et américaines, respectivement stationnées dans les bases de Kant et de Manas. Nous avons là un paradoxe qui pourrait bien ne plus durer très longtemps. Une fois les élections politiques et présidentielles, prévues pour le prochain automne, Bichkek prendra une décision définitive.

 

Aujourd’hui déjà, le gouvernement des Etats-Unis doit débloquer 15 millions de dollars qui serviront à payer partiellement le loyer de la base aérienne concédée aux Américains. Pour terminer, Washingbton devra débourser un total de 60 millions de dollars (c’est-à-dire trois fois autant que la somme déboursée jusqu’à l’an passé). Cette somme devra être payée chaque année sinon les locataires seront expulsés. Au Kirghizistan, la situation est donc précaire aussi.

 

Coopération russo-kazakh

 

En revanche, la coopération russo-kazakh, elle, semble de bonne augure. Les rapports entre les deux pays se sont consolidés. Moscou et Astana, depuis l’été, ont scellé un nouvel accord sur l’enrichissement de l’uranium à usage civil. C’est une nouveauté: les pays qui voudront développer leur industrie nucléaire pourront accéder aux technologies d’enrichissement disponibles. C’est tout à la fois une invitation à Téhéran et une garantie pour l’Iran à aller de l’avant dans son programme atomique.

 

Pietro FIOCCHI / p.fiocchi@rinascita.eu .

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 5 mai 2010; trad. franç.: Robert Steuckers ; cf.: http://www.rinascita.eu  ).

vendredi, 28 août 2009

Association Solidarité Enfants de Beslan

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Association Solidarité Enfants de Beslan (ASEB)

 

Section belge

 

 

 

Chers amis,

 

Vous avez pu constater au fil des années la profondeur et la constance de notre engagement en faveur des survivants du massacre de Beslan et, de manière générale, contre toutes les actions terroristes qui visent des enfants. Vous savez comment nous nous impliquons dans la pétition européenne pour faire du 1er septembre la Journée européenne de solidarité avec les enfants victimes du terrorisme. Vous savez, d’autre part, comment nous réagissons toujours à la désinformation systématique dont les Russes sont victimes à ce sujet.

 

Comme l’an dernier, une cérémonie de commémoration du drame de Beslan est prévue le 1er septembre prochain à 19 heures au Centre culturel et scientifique russe, au n°19 de la rue du Méridien à Bruxelles. Nous en avions arrêté le programme avec le directeur du Centre en accord avec l’Ambassadeur de Russie. Sur les six interventions inscrites, nous avions à en assumer une en français et une en néerlandais, les autres étant faites en russe, par l’Ambassadeur et le directeur du Centre et par des représentants des colonies ossète et russe.

 

Nous sommes à présent avertis que nos amis russes croient préférable de se réserver l’exclusivité de ce programme. Il convient dès lors que vous soyez prévenus que tant Renaissance Européenne, Terre & Peuple et Euro-Rus que l’ASEB ne font plus partie des invitants. Pour ce qui nous concerne, nous allons consacrer à présent toutes nos énergies à participer à la manifestation que l’ASEB organise à la mémoire de la tragédie de Beslan, comme chaque année depuis 2005, le 1er septembre prochain à 19 heures, à Paris, sur l’esplanade du palais du Trocadero.

 

Dès que nous aurons l’explication de la décision, pour nous incompréhensible, de nos amis russes, nous ne manquerons pas de vous la faire connaître. Nous vous prions de croire en attendant à notre entier dévouement à la cause d’une paix fraternelle sur l’ensemble de l’Eurosibérie, où les enfants feront l’objet d’une protection particulièrement attentive.

 

 

Jean-Jacques de Hennin                                                            

Georges Hupin

mardi, 28 juillet 2009

Paris, au Sénat: le colloque sur Beslan

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Paris, au Sénat

LE COLLOQUE SUR BESLAN

 

Le 6 juin dernier s’est tenu à Paris, au Palais du Luxembourg, un colloque sur le thème ‘La solidarité européenne avec les enfants victimes du terrorisme’. Un des objectifs, non déclaré sur les invitations, est le lancement d’une pétition au Parlement européen. Pour obtenir de lui que le 1er septembre, anniversaire de la prise d’otages de loin la plus importante de toute l’histoire, devienne une journée de solidarité avec tous les enfants victimes du terrorisme. Les invitations avaient été lancées par l’ASEB, l’Association Solidarité avec les enfants de Beslan. Le colloque était présidé par Henri-Paul Falavigna, président de l’ASEB qui en a pris l’initiative, sous le patronnage du Sénateur Patrice Gélard, président du Groupe d’Amitié France-Russie. Le message de bienvenue de l’Ambassadeur Orlov a parfaitement fait comprendre qu’il avait parfaitement compris l’entreprise et qu’on pouvait compter les uns sur les autres.

 

Le colloque a bénéficié des contributions de :

Henri-Paul Falavigna, qui a rappelé d’entrée de jeu que la Croix-Rouge Internationale avait dénombré, parmi les enfants rescapé de la tuerie de Beslan, quarante cas graves pour lesquels un patronage amical serait salutaire, en tout cas psychologiquement. Pour le moment, dix familles françaises assurent ce service affectueux, pour l’essentiel par des échanges de lettres, de photos, de petits souvenirs. Il est nécessaire que trente parrainages supplémentaires soient trouvés.

Le professeur Jean-Pierre Arrignon, qui enseigne l’histoire du moyen âge de la Russie, notamment à l’EHESS, a retracé sous l’intitulé ‘Les Alains de la Russie à l’Europe’ les origines de ces Indo-européens, qui constituent aujourd’hui l’essentiel de la population d’Ossétie-Alanie. Tous les livres d’histoire de l’antiquité évoquaient déjà les Scythes et les Sarmates. Sénèque, Lucain et Flavius Josèphe attestent la présence des Alains dans ces régions et Strabon parle des Roxolans, ce qui signifie Alains lumineux. Effectivement, Ammien Marcellin, qui les décrit, au IVe siècle, les voit grands et beaux avec des cheveux tirant sur le blond. Et vivant dans des cités mouvantes composées de chariots. Le professeur Arrignon recommande la traduction par Georges Dumézil de leur légende sur les Nartes, parue dans la collection Gallimard Unesco sous le titre ‘Le livre des héros’. Sous un premier grand choc qu’il subissent, celui des Huns, les Alains vont refluer jusqu’en Gaule, où ils laisseront des souvenirs de leur passage, notamment dans la toponymie (Alençon). La cavalerie des Alains sera là pour arrêter Attila devant Orléans. Et pour récupérer enfin leur patrie caucasienne. Ils s’étendent alors vers le sud de la chaîne montagneuse, établissant une Alanie nouvelle. Au Xe siècle, ils sont partie intégrante du glacis défensif du khanat des Kazars et par là de l’Empire byzantin. Guillaume de Ruysbroek vantera la qualité de leurs artisans armuriers. Au XIIIe siècle, les Alains subissent un second grand choc, celui des Mongols. C’est finalement sous la pression de Tamerlan qu’ils se replieront sur leurs montagnes.

Dimitri de Kochko, journaliste et président de l’association France-Oural, a présenté son film ‘Retour sur Beslan’, avec son émouvante interview du président de la République d’Ossétie-Alanie, dont les enfants étaient présents dans l’école et ont survécu au drame. Il a recueilli de nombreux témoignages des enfants, qui confirment qu’il n’y a pas eu, comme l’a prétendu aussitôt la presse libre, d’assaut des force d’intervention, dont le bouclage était si maladroit que certains terroristes ont pu profiter de la surprise pour s’échapper

L’Ambassadeur Jean Perrin, qui connaît particulièrement la région, ayant été en poste en Iran et en Azerbaïdjan, a relaté son séjour à Tshinkivali, en août 2008. Il a pu ainsi dénoncer la désinformation systématique commise par notre presse sur l’offensive géorgienne contre l’Ossétie du Sud. Il a pu constater que les cibles des Georgiens étaient les infrastructures, ponts, ministères, écoles, université, hôpitaux.

Christian Maton, vice-président de l’ASEB, a présenté le film ‘Les enfants de Beslan en France’ (été 2008), compte-rendu du séjour d’une vingtaine de petits rescapés à l’invitation de l’ASEB. La réussite de l’entreprise a dépassé les attentes. Il s’agira à présent de faire de la seconde édition un succès aussi complet.

Jean-Jacques de Hennin, enfin, a apporté le témoignage de la détermination de l’équipe belge à militer pour que le 1er septembre soit institué Journée européenne de la solidarité avec les enfants victimes du terrorisme. Son texte est repris ci-après.

 

POURQUOI NOUS MILITONS

Monsieur l’Ambassadeur, monsieur le président, mesdames, messieurs,

Pour leur commodité, les professeurs d’histoire découpent la matière en grandes périodes, les faisant débuter à partir d’événements qui devraient, en bonne logique, être significatifs. Mais il n’en est pas toujours ainsi et leurs élèves ne doivent pas bien comprendre, par exemple, pourquoi le moyen âge, et ses temps prétendument obscurs, s’achève le 29 mai 1453, lorsque le Sultan Mehmet II entre à cheval dans la Basilique Sainte Sophie et la traverse au galop. En quoi, pour ces étudiants, ce geste provocateur et symbolique marquerait-il particulièrement le crépuscule de la sauvagerie des âges frustes en même temps que l’aube brillante de la renaissance des temps antiques ?

 

Nous répète-t-on assez aujourd’hui que notre époque est une charnière ? Sa marque, c’est sans doute la massification des populations et la manipulation des masses, par la propagande, par la médiatisation, par la communication. La terreur fait partie des moyens de manipuler les masses, pour déstabiliser ceux dont elles sont la base. A cet égard, on peut dire que la tragédie de Beslan est un événement particulièrement significatif de notre époque, et même doublement significatif. C’est un paroxysme dans l’horreur terroriste et, paradoxalement, c’est en même temps une aube d’espérance dans la renaissance de la paix, la paix royale, la paix impériale, interne à chaque peuple et entre les peuples comme prétendait à l’être la paix romaine, la Pax Romana.

 

Le drame de Beslan est un paroxysme du terrorisme, par le choix de sa cible, la plus innocente qu’on puisse trouver, et par le choix de la fête de la rentrée des classes, et bien sûr par la cruauté de son exécution. Il est vrai qu’il ne faut pas distiller sans fin dans nos cœurs le souvenir du martyre de ces enfants, leur frayeur et leur désarroi, le tourment désespérant de la soif, les tortures morales des familles, leur mortelle attente, leur révolte, leur colère, leur horreur, leur incrédulité, leurs espoirs trompés. Il n’est pas salutaire de ressasser indéfiniment ces images lamentables. Il faut même se garder d’en banaliser l’atrocité, pour ne pas risquer d’inciter des névrosés à la surenchère. C’est clairement le ton que nous donnent les monuments commémoratifs. Il vaut mieux, pour la bonne propagande, pour la propagation du bien, de la paix, de la fraternité entre les peuples, tenter de tirer des leçons de vie de la mémoire de l’horreur. C’est ici que réside le miracle, le second aspect signifiant du drame de Beslan, plus signifiant encore que l’horreur de l’horreur, l’espoir qui veut en renaître.

 

Victime de ces découpages et de ces recompositions qui étaient si fréquents à la grande époque de la discordance du concert des nations, la Belgique serait, dit-on chez nous, un enfant perdu que l’Angleterre a fait dans le dos de la France. Les Belges, sans être des experts en relations interethniques, sont assez ferrés sur la matière pour apprécier ce que les Ossètes ont fait après avoir été les victimes de cette abomination et pour proclamer que c’est un modèle d’humanité, un modèle pour l’humanité.

 

Car pour nous il est admirable, il est encourageant, il est enthousiasmant que les autorités de la ville de Beslan et de la République d’Ossétie-Alanie, comme celles de la Fédération, aient su alors trouver les mots, les gestes, les images, les raisons pour retenir leur peuple d’embrayer sur la spirale de la vengeance, comme l’avaient prémédité les inspirateurs de la tuerie. Ils ont su transformer leur logique de haine et de mort en une logique de confiance et de vie. Pour que les petits martyrs n’aient pas souffert pour rien, mais pour que leur sacrifice inaugure une ère nouvelle d’espérance et de paix. Nous sommes reconnaissant à l’excellent artiste qui a conçu l’Arbre du Chagrin d’avoir préféré le langage clair de l’art populaire au langage trop souvent hermétique de l’art moderne. Car pour tous le message est limpide, de ces mères qui lancent vers le ciel, de leurs bras ouverts comme des branches, un vol de petits anges dont les ailes sont des feuilles, symboles de renaissance. Et que les enfants morts deviennent ainsi les génies vivants de la paix, les anges gardiens de sa fragilité.

 

Participe de la même justesse, la discrète évocation du supplice de la soif qu’ont enduré les petits martyrs. Il n’y aura eu dans l’histoire des hommes que peu de peuples capables d’exprimer aussi bien leur communion avec la souffrance des leurs que par ce mémorial de la soif, avec ses deux mains de bronze tendues qui offrent à nos mémoires ce fin filet d’eau. N’est pas moins émouvant le souvenir de l’abnégation des hommes des forces de sécurité, qui se sont sacrifiés dans l’espoir de sauver des enfants. A l’égard de leurs veuves et de leurs orphelins, ce beau monument nous lave de la honte que nous éprouvons à cause de notre presse, dite libre, qui s’est précipitée pour calomnier ces héros.

 

Pour nous, le drame de Beslan marque, si pas la fin du terrorisme, en tout cas le début de l’ère nouvelle. Nous ne dirons jamais assez notre gratitude au peuple de Beslan et d’Ossétie-Alanie de compter tant de poètes et d’être aussi ouvert à la poésie, à l’aube de cette ère nouvelle, en un temps où elle est particulièrement nécessaires à la compréhension et à l’amitié entre les peuples d’Europe. Le préalable évident à cette amitié entre les peuples européens, c’est leur équilibre interne. Nous espérons dès lors fermement que le 1er septembre deviendra bientôt dans toute l’Europe la journée de la mémoire et de la solidarité.

                                                                                           Jean-Jacques de Hennin

 

LA PETITION

(elle existe dans toutes les langues de la Communauté européenne)

Nous, femmes et hommes, scandalisés par l’attentat terroriste perpétré sur 1300 otages à Beslan, en Ossétie-Alanie le 1er septembre 2004 et consternés par l’indifférence constatée à l’égard des 1000 survivants, tous atteints de pathologies physiques et psychologiques, appelons les parlementaires européens, la Commission européenne et le Conseil de l’Europe à Strasbourg à proclamer le 1er septembre, en mémoire de 186 petites victimes des terroristes à Beslan, Journée de solidarité européenne avec les enfants victimes du terrorisme.

(Pour signer la pétition, http://www.beslan.f  ou Torrestraat 76, 9200 Dendermonde)

lundi, 01 septembre 2008

Guerre du Caucase: chronologie des événements

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Soldats géorgiens en manoeuvre

 

Andreï ARECHEV:

Guerre du Caucase: chronologie des événements

 

Dans la chronologie des événements, qui ont précédé l’agression géorgienne contre l’Ossétie du Sud, il y a un aspect qui mérite tout particulièrement notre attention: le 31 juillet s’étaient clôturées des manoeuvres communes, regroupant unités géorgiennes et unités américaines, que l’on avait baptisées “Immediate Response 2008”; au cours de ces exercices, les instructeurs américains avaient entraîné les forces armées géorgiennes à parachever des “opérations de nettoyage” contre des terroristes embusqués en zones résidentielles. Les exercices comprenaient des actions comme nettoyer un village des terroristes qui s’y dissimulaient, probablement en vue des engagements futurs des soldats géorgiens en Irak, et de mettre en lieu sûr les populations civiles; Les atrocités commises par les forces géorgiennes à Tskhinvali sont donc le résultat de l’entraînement qu’elles ont reçues de leurs instructeurs occidentaux sous la couverture cynique de “lutte contre le terrorisme”. Les véritables objectifs sont bien entendu complètement différents. L’ancien ministre géorgien des affaires étrangères, Salome Zurabishvili, qui est indubitablement une personnalité bien informée, a déclaré que la présence des Etats-Unis en Géorgie impliquait le déploiement d’une vaste gamme d’activités, parmi lesquelles l’instruction des forces armées et le contrôle du corridor de grande importance stratégique qui passe par le Caucase, où est notamment installé le tracé de l’oléoduc Bakou-Tbilisi-Ceyhan. Selon Zurabishvili, c’est là l’objectif principal du conflit actuel, qui oppose la Géorgie à la Russie et renforce simultanément la loyauté qu’éprouvent désormais les Géorgiens à l’égard des Etats-Unis et de la Grande-Bretagne, ce qui permet à ces deux dernières puissances de contrôler la Géorgie et, par voie de conséquence, l’ensemble du versant méridional du Caucase.

 

Il faut également noter que l’intensification du conflit caucasien, aux confins méridionaux de la Russie, a coïncidé avec les tensions qui ont agité la région autonome chinoise du Xinjiang, où, alors que commençaient les Jeux Olympiques, une attaque terroriste a été commise. Quelques jours auparavant, à Bishkek, la capitale du Kirghizistan, on avait découvert un dépôt illégal d’armes, près duquel résidaient une dizaine de militaires américains et plusieurs diplomates de l’ambassade des Etats-Unis dans ce pays  d’Asie centrale. L’agression de la Géorgie contre l’Ossétie du Sud est un acte de guerre, dans une guerre qui se déroulera dans l’intérêt de tierces puissances et où les Géorgiens sont destinés à jouer le rôle de chair à canon. Si l’agression contre cette petite région caucasienne ne trouve pas rapidement bonne fin, d’autres conflits régionaux seront inévitables et prendront à coup sûr une ampleur bien plus dramatique.

 

Andreï ARECHEV.

(extrait d’un article paru dans “Rinascita”, Rome, 12  août 2008; trad. franç.: Robert Steuckers).

vendredi, 25 juillet 2008

Russie: amie de l'Abkhazie et de l'Ossétie du Sud

La Russie,

amie fidèle et voisine sûre de l’Abkhazie

et l’Ossétie du Sud

La Russie, ami fidèle et un voisin sûr de l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud

Interview de Vadim Goustov, président du Comité des affaires de la CEI du Conseil de la Fédération.

Une réunion élargie du Comité des affaires de la CEI du Conseil de la Fédération (chambre basse du parlement russe) vient de se terminer à Moscou. Elle a été consacrée à l’examen des demandes des parlements abkhaz et sud-ossète concernant la reconnaissance de l’indépendance des deux républiques autoproclamées au sein de la Géorgie, mais aussi de la demande présentée par le parlement de la république russe d’Ossétie du Nord - Alanie, sur le même sujet. RIA Novosti a demandé au président du comité en question, Vadim Goustov, d’évoquer les résultats de cette réunion.

Q. Vadim Anatoliévitch, quelle a été la décision des sénateurs? La Russie doit-elle reconnaître ou non l’indépendance de ces peuples?

R. Cette question est très très difficile. Evidemment, le plus simple serait de s’écrier: “on les reconnaît!”. La presse mondiale se mettrait tout de suite à faire beaucoup de bruit et ne se calmerait qu’au bout de deux jours. Mais une telle décision serait totalement inefficace, et le Conseil de la Fédération en est parfaitement conscient.

La reconnaissance de n’importe quel territoire implique une responsabilité colossale, en premier lieu la responsabilité du pays que l’on reconnaît. Si l’on reconnaissait maintenant l’indépendance de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud, on accepterait ainsi la variante du Kosovo. Mais alors, qu’est-ce qui nous distinguerait de ceux qui violent les engagements internationaux?

A l’heure actuelle, les soldats de la paix russes en Abkhazie et en Ossétie du Sud remplissent leurs fonctions, et le font très bien. Ils ne sont pas venus de leur propre gré, ils ont été envoyés par les dirigeants de la CEI et de surcroît, le Conseil de sécurité de l’ONU prolonge leur mandat tous les six mois. A chaque fois, le conseil souligne que les soldats de la paix russes remplissent leurs fonctions à cent pour cent.

Nous appuyons totalement l’appel, adressé aux parties en conflit par le Conseil de sécurité de l’ONU, à s’abstenir de tout acte de violence et de toute provocation, à respecter les ententes intervenues concernant le cessez-le-feu et le non-recours à la force.

Pour ce qui est des deux territoires autoproclamés, notre comité - et pas uniquement le nôtre, deux autres comités ont également participé à cette réunion - a confirmé la vision avancée par le président russe. Celui-ci a nettement formulé son idée: la Géorgie souhaite vivement adhérer à l’OTAN et nous, nous ne voulons pas que l’OTAN se rapproche d’année en année de nos frontières. Plus de cent mille Russes habitent dans ces républiques, et la Russie est prête à défendre leurs droits et libertés, ainsi qu’à assurer leur sécurité. Ces républiques se trouvent aux frontières méridionales russes, or, entre parenthèses, la Russie organisera dans cette région les Jeux olympiques de 2014.

Q. Vous sous-entendez donc que si la Géorgie envisage d’adhérer à l’OTAN, elle le fera sans ces républiques autoproclamées? Comment, au juste, la Russie accordera-t-elle une aide ciblée à la population de ces républiques, aide évoquée par le président?

R. Nous jouons cartes sur table: nous ne les reconnaissons pas pour l’instant, mais conformément à la décision des structures compétentes, nous disons à l’Abkhazie et à l’Ossétie du Sud que la Russie est leur ami fidèle et un voisin sûr. En plus de le dire, nous agissons.

Notre tâche ne consiste pas à “clamer” quelque chose, mais à apporter une aide concrète. Le Conseil de la Fédération a décidé de concentrer ses efforts sur la question suivante. Il existe un décret présidentiel qui, de fait, change de fond en comble la nature des relations des structures exécutives du pouvoir russe avec l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud. Nous nous sommes adressés aux sénateurs, en premier lieu aux gouverneurs, en leur proposant que chaque entité de la Fédération, à l’exception peut-être de Sakhaline et du Kamtchatka, cherche sérieusement des éventuels points de contacts entre ses entrepreneurs et les organes du pouvoir de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud. Il s’agit d’une coopération économique, commerciale, scientifique, technique, culturelle et autre, avec la participation de régions russes.

Un tel travail a déjà été entamé. Moscou est sur le point de conclure un accord de grande envergure avec ces territoires. C’est ce qui importe, à notre avis.

A l’heure actuelle, nous nous trouvons tous dans des conditions de marché, et les entités de la Fédération ne possèdent pas de fonds disponibles pour accorder une aide désintéressée à ces républiques. Il faut y créer des conditions qui attirent les hommes d’affaires. Or, il s’agit d’une région prometteuse: elle possède un réseau de commerce, des voies navigables, autrefois, il y avait une formidable zone balnéaire en Abkhazie. Les Abkhaz sont un peuple laborieux, ils vont travailler et gagneront de l’argent. Par ailleurs, il convient de les aider en ce qui concerne les opérations de déminage.

Q. Vous savez que les Russes ont toujours eu une attitude particulièrement chaleureuse envers tous les peuples de la Géorgie, et pas seulement envers les Abkhaz ou les Ossètes…

R. Mais nous sommes prêts à élargir notre coopération économique avec l’ensemble de la Géorgie. Car la Russie n’a pas seulement levé les sanctions économiques contre l’Abkhazie. Elle a fait pratiquement la même chose pour la Géorgie.

Seulement, soyons directs et sincères. Les marchandises géorgiennes n’ont aucun débouché aux Etats-Unis ou en Europe. Leurs vins et eaux minérales, leurs agrumes et minerais de manganèse n’intéressent personne, seul le marché de la CEI passe commande.

Je peux citer un exemple analogue concernant la Moldavie. Lorsque la Russie a introduit des restrictions relatives au commerce des vins moldaves, Chisinau a frappé à toutes les portes, en proposant ses produits à tout le monde, même à la Chine. Néanmoins, il n’a réussi à vendre qu’entre 30.000 et 50.000 bouteilles. Mais au cours de la période allant du 1er octobre 2007 au 1er mars 2008, lorsque les livraisons ont repris - ne serait-ce que partiellement - la Moldavie a vendu 4,3 millions de bouteilles. Voici le marché réel, tel qu’il est pour l’ensemble des pays de la CEI.

Q. Vadim Anatoliévitch, quel pronostic pourriez-vous faire concernant les relations russo-géorgiennes en général?

R. Ici, beaucoup de choses ne dépendent pas des Géorgiens. En fait, nombre de dirigeants géorgiens sont des types raisonnables. Mais ils sont dépendants des Américains. Et c’est là l’un de leurs principaux malheurs. Dès que la Russie a publié le décret présidentiel dont je viens de parler, le ministre géorgien des Affaires étrangères s’est immédiatement envolé pour les Etats-Unis, afin de demander conseil.

Certes, ils peuvent ouvrir des bases américaines et se faire payer pour cela tant de millions de dollars par an. Mais c’est une voie sans issue. Parce que sans une économie développée, le peuple géorgien finira par demander, en fin de compte: “Ecoutez, Monsieur le président, on ne peut quand même pas vivre comme ça. Nous vous avons cru, et maintenant?”.

Quelles que soient les idées avec lesquelles les gens arrivent au pouvoir, celles-ci deviennent contre-productives si elles ne sont pas mises en oeuvre au bout de trois ou quatre années (en guise d’exemple, je peux citer l’Ukraine). Saakachvili, je pense, en est conscient. Bien sûr, il a remporté l’élection présidentielle anticipée, mais les élections législatives l’attendent, et la situation dans le pays est extrêmement compliquée.

La principale question qui intéresse tout le monde est de savoir quelle sera l’orientation que choisira la Géorgie pour son développement. Les Américains, eux, en sont également conscients, c’est pourquoi ils souhaitent une adhésion accélérée de la Géorgie à l’OTAN, afin de s’implanter dans le pays, de s’installer sur les anciennes bases militaires russes. Mais l’arrivée des militaires otaniens s’accompagnera d’un passage aux armements de l’OTAN. Autrement dit, la Géorgie se voit totalement entraînée dans la stratégie otanienne.

Du point de vue territorial, la Géorgie est un important pays de transit, tant pour le pétrole que pour le gaz. Si l’Azerbaïdjan se laisse convaincre de marcher dans le sillon géorgien - or, un sérieux travail de propagande est déjà en cours dans ce pays - il ne sera plus question d’intégration avec la Russie. Ce qui est mauvais pour tout le monde, surtout pour l’Arménie, qui se retrouvera alors complètement isolée.

Les élections législatives se tiendront en Géorgie au mois de mai. Je pense que quatre ou cinq partis géorgiens franchiront la barre des 5%. Si les élections se déroulent sans violations sérieuses, ce que j’espère beaucoup, un parlement plus pragmatique sera formé. Et Saakachvili devra tenir compte de son avis.

Propos recueillis par Olga Serova.
Source :
RIA Novosti