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dimanche, 17 avril 2016

La Russia e le relazioni con le repubbliche del Caucaso meridionale

di Emanuele Cassano * 

Ex: http://www.notiziegeopolitiche.net

Se attualmente il Caucaso viene considerato l’estrema propaggine sud-orientale dell’Europa, questo si deve principalmente al fatto che negli ultimi due secoli di storia la regione ha vissuto quasi ininterrottamente sotto il dominio russo. Fu proprio l’Impero zarista ad avviare a partire dalla metà del XIX secolo il processo di occidentalizzazione di una regione che fino a quel momento veniva comunemente considerata storicamente e culturalmente parte del Medio Oriente, essendo rientrata per secoli nelle sfere d’influenza di imperi come quello ottomano e quello persiano, che hanno fatto del Caucaso una terra di conquista.


Verso l’inizio del XIX secolo, consolidate le recenti acquisizioni territoriali (territori di Rostov, Astrakhan e Krasnodar), e approfittando della contemporanea crisi che stava colpendo le due principali potenze regionali, ovvero i già citati imperi ottomano e persiano, l’Impero russo decise di provare a espandere ulteriormente i propri confini verso sud, nella regione del Caucaso, dove già aveva creato qualche avamposto militare. Il primo paese ad essere annesso all’Impero fu la Georgia, che già dal 1783 era diventata un protettorato russo. Invocato dal sovrano locale, nel 1801 lo zar Alessandro I entrò a Tbilisi con l’esercito, ponendo fine a una violenta guerra civile e incorporando il Regno di Kartli-Kakheti (Georgia centro-orientale) all’Impero russo. Nel 1810 i russi annetterono anche il Regno di Imereti (Georgia centro-occidentale), completando la conquista del paese. Nel frattempo l’Impero russo aveva intrapreso l’ennesima guerra contro i persiani (1804) per alcune dispute territoriali riguardanti proprio l’annessione della Georgia, uscendone qualche anno dopo vincitore. A porre fine al conflitto fu il Trattato di Gulistan, stipulato nel 1813, che obbligò l’Impero persiano a riconoscere il dominio russo sulla Georgia e a cedere allo zar il Dagestan, buona parte dell’Azerbaigian e parte dell’Armenia settentrionale.

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Nel 1817 le truppe zariste guidate da Aleksey Yermolov diedero il via alla conquista del Caucaso settentrionale, abitato principalmente da popoli montanari che però riuscirono a opporre una tenace resistenza all’invasione russa. Nel 1826 scoppiò l’ultima delle guerre russo-persiane, che terminò due anni dopo con il Trattato di Turkmenchay, in seguito al quale l’Impero russo acquisì i khanati di Erivan, Nakhcivan e Talysh, oltre alla provincia di Iğdır; mentre un anno dopo i russi ebbero la meglio anche sugli ottomani, che dovettero cedere i porti di Anapa e Poti e parte della Georgia meridionale. Dopo quasi mezzo secolo di dure battaglie, i russi riuscirono infine a piegare anche la tenace resistenza dei montanari del Caucaso settentrionale, sconfiggendo prima gli uomini dell’Imam Shamil nel 1859 e poi spezzando definitivamente nel 1864 la resistenza dei circassi, arrivando a conquistare l’intera regione. Le ultime acquisizioni territoriali nel Caucaso avvennero in seguito alla Guerra russo-turca del 1877-78, quando gli ottomani dovettero cedere allo zar l’Agiara e la provincia di Kars.


In seguito alla Rivoluzione russa del 1917, che segnò la fine dell’Impero zarista, i popoli del Caucaso vissero un breve quanto effimero periodo di indipendenza, segnato da numerose guerre interetniche. Tra il 1919 e il 1921 l’Armata Rossa riuscì a riconquistare la regione, che entrò in seguito a far parte dell’Unione Sovietica. Il Caucaso settentrionale venne inglobato all’interno della RSS Russa, mentre in quello meridionale, dopo la breve esperienza della RSFS Transcaucasica, vennero create le RSS di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il dominio russo nel Caucaso meridionale durò per altri settant’anni, fino a quando nel 1991, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica, le tre repubbliche non proclamarono la propria indipendenza.


Nonostante siano passati ormai 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per una serie di fattori storici, politici e culturali Mosca continua a esercitare tutt’ora una forte influenza nel Caucaso meridionale, che rappresenta una regione chiave sotto molti punti di vista, verso la quale la Russia nutre ancora grandi interessi economici e geostrategici. Per queste ragioni anche dopo l’esperienza sovietica Mosca ha sempre cercato di mantenere i paesi del Caucaso all’interno della propria sfera d’influenza, usando la diplomazia,cercando di stringere negli anni accordi mirati a rafforzare la cooperazione reciproca, ed esercitando quando necessario il proprio potere coercitivo, garantitole dal ruolo di principale potenza regionale.

Il difficile rapporto con la Georgia.


In seguito alla decisione del governo di Tbilisi di rompere ogni relazione in seguito alla Seconda Guerra in Ossezia del Sud del 2008, Mosca continua a non avere alcun rapporto diplomatico ufficiale con la Georgia. Nonostante l’assenza di relazioni ufficiali, parte delle forti tensioni accumulatesi in seguito alla guerra sono state comunque stemperate negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla salita al potere del partito del Sogno Georgiano dopo le elezioni parlamentari del 2012. L’ascesa del Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del paese, ha di fatto posto fine agli anni di governo di Saakashvili, da sempre ostile nei confronti del Cremlino, e del suo Movimento Nazionale Unito, che l’anno successivo ha poi perso anche le elezioni presidenziali. La débâcle degli uomini di Saakashvili ha fatto credere a molti analisti politici in un possibile cambio di rotta di Tbilisi in politica estera e ad un conseguente riavvicinamento alla Russia; tale riavvicinamento non si è però mai concretizzato, a causa delle inconciliabili posizioni che hanno impedito finora lo sviluppo di un dialogo costruttivo tra Mosca e Tbilisi.

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Il principale motivo di scontro tra i due paesi è la questione delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, il cui status è tuttora disputato. Tbilisi considera le due regioni parte integrante del proprio territorio, continuando a denunciare l’occupazione da parte delle milizie locali e dell’esercito russo; il Cremlino invece, in seguito al confitto del 2008 ne ha riconosciuto l’indipendenza, stringendo nel tempo rapporti sempre più stretti con i due governi locali. Come affermato recentemente dai vertici del governo georgiano, Tbilisi non ha intenzione di ripristinare i rapporti con Mosca né ora né in un prossimo futuro, almeno finché la situazione non cambierà. Il governo georgiano si aspetta infatti che la Russia faccia un passo indietro, ritrattando il riconoscimento delle due repubbliche o perlomeno ritirando le proprie truppe dalle regioni occupate; dal canto suo Mosca, principale alleato di Sukhumi e Tskhinvali, non sembra essere disposta a prendere in considerazione le richieste di Tbilisi.


La rottura dei rapporti diplomatici con Mosca ha finito per influire fortemente anche sull’economia georgiana, considerando che fino al 2006 la Russia è stata uno dei più importanti partner commerciali di Tbilisi. Il primo segno di rottura è avvenuto proprio in quell’anno, con l’embargo economico imposto da Mosca nei confronti dei vini georgiani per presunte violazioni delle norme sanitarie. La situazione è poi nettamente peggiorata in seguito al conflitto russo-georgiano, quando Mosca ha deciso di aumentare sensibilmente il prezzo del gas destinato alla Georgia, paese che non dispone di materie prime, la quale per pronta risposta ha iniziato a importare in misura sempre maggiore dall’Azerbaigian (attualmente Tbilisi importa il 90% del gas naturale da Baku, mentre solo il restante 10% proviene dalla Russia, diretto in Armenia). Recentemente, dopo che la domanda di gas nel paese è aumentata, il governo di Tbilisi ha provato a intavolare una trattativa con Gazprom per aumentare la quantità di gas russo commercializzabile nel mercato georgiano, per fare concorrenza all’Azerbaigian e ottenere prezzi più competitivi; la decisione di trattare con la compagnia russa è stata però fortemente contestata dall’opposizione, che è scesa in piazza per protestare contro la trattativa, costringendo il governo a prendere accordi per un aumento di fornitura con la compagnia azera SOCAR.


A fine anno in Georgia si terranno le elezioni parlamentari, con il Sogno Georgiano arrivato al termine del proprio mandato con Giorgi Kvirikashvili come primo ministro, dopo la parentesi di Garibashvili, che proverà a riconfermarsi alla guida del paese nonostante il crescente calo di consensi, difendendosi ancora una volta dall’assalto del Movimento Nazionale Unito dell’ex presidente Saakashvili, ora guidato dal suo delfino Davit Bakradze. L’esito di queste elezioni potrebbe avere un importante impatto nel bene o nel male sulle future relazioni tra Mosca e Tbilisi.

La cooperazione con Abkhazia e Ossezia del Sud.


Un discorso a parte meritano Abkhazia e Ossezia del Sud, territori che la Russia riconosce ufficialmente come repubbliche indipendenti. In seguito al riconoscimento Mosca ha intensificato i rapporti diplomatici e commerciali con Sukhumi e Tskhinvali, assumendosi inoltre l’incarico di difenderei loro confini, nonché ponendosi come principale garante del loro status quo. Negli anni immediatamente successivi al conflitto con la Georgia, per cercare di far ripartire il settore economico dei due paesi Mosca ha provveduto a elargire una serie di importanti finanziamenti ai due governi, mentre per cercare di aggirare il loro isolamento politico (oltre alla Russia l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono riconosciute solo da Nicaragua, Venezuela e Nauru) ha provveduto a distribuire passaporti russi ai cittadini abkhazi e sud-osseti, permettendogli di spostarsi agevolmente all’interno della Federazione Russa e di viaggiare all’estero.


Nel 2014 la Russia ha stretto con l’Abkhazia un importante accordo di cooperazione che ha ulteriormente rafforzato i legami economici tra i due paesi, all’interno del quale è stato definito un prestito di circa 5 miliardi di rubli (più o meno 65 milioni di euro); parte dello stesso accordo è stata anche la creazione di uno spazio comune di difesa e sicurezza, con la decisione di Mosca di aumentare la militarizzazione del confine abkhazo-georgiano. L’anno successivo la Russia ha firmato un secondo accordo “sull’alleanza e l’integrazione” con l’Ossezia del Sud, attraverso il quale Mosca ha deciso di attuare un’unione doganale tra i due paesi per venire incontro alla precaria economia osseta, togliendo inoltre i controlli alla frontiera per rendere più agevole il transito delle persone. L’accordo ha riguardato anche la sicurezza, con la decisione di accorpare le milizie sud-ossete alle forze armate russe e agli altri corpi di sicurezza che presidiano la regione, andando a formare un vero e proprio esercito unico.

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Questi ultimi accordi hanno portato le due repubbliche caucasiche a raggiungere un elevato grado d’integrazione con Mosca, spingendo diversi analisti politici a ipotizzare soprattutto nel caso dell’Ossezia del Sud una possibile futura annessione alla Russia; ipotesi rafforzata dalle parole del presidente sud-osseto Leonid Tibilov, che lo scorso ottobre ha fatto capire che il suo paese sarebbe pronto a votare l’unione alla Russia, definita come “il sogno di tante generazioni di osseti”. Finora questa ipotesi è stata però sempre smentita da Mosca, la quale è conscia del problematico impatto che una mossa di questo tipo avrebbe sulla comunità internazionale e sui rapporti con la Georgia.

L’alleanza con l’Armenia in chiave euroasiatica e la questione del Nagorno-Karabakh.


Intrappolata in una morsa formata da due paesi ostili come la Turchia a ovest e l’Azerbaigian a est, fin dal momento della sua indipendenza l’Armenia ha sempre cercato di intrattenere buoni rapporti con la Russia, unico alleato affidabile nella regione in grado di proteggere Yerevan dai bellicosi vicini ed evitarle l’isolamento politico. Nonostante questo, l’Armenia ha mantenuto per anni una posizione piuttosto ambigua in politica estera, legandosi in modo sempre più stretto a Mosca ma cercando di seguire contemporaneamente la strada dell’integrazione europea.


Dopo diverse indecisioni, nel 2013 il governo di Yerevan ha finalmente scelto il percorso da intraprendere, annunciando di volere aderire all’Unione Doganale Euroasiatica, interrompendo così il processo di integrazione europea a soli due mesi dal vertice del Partenariato Orientale tenutosi quell’anno a Vilnius, in cui l’Armenia avrebbe dovuto firmare l’Accordo di associazione con l’Unione Europea. L’anno successivo il paese è entrato ufficialmente all’interno della neonata Unione Economica Euroasiatica, aggiungendosi a Russia, Bielorussia e Kazakistan.

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Il recente ingresso dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica ha contribuito a rafforzare ulteriormente i già solidi rapporti con Mosca, che rappresenta attualmente il primo partner commerciale di Yerevan sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Negli ultimi anni la Russia ha inoltre concesso una serie di sostanziosi finanziamenti mirati a rilanciare l’economia dell’Armenia, che in cambio ha garantito a Mosca l’esclusiva in diversi settori economici tra cui alcuni di fondamentale importanza come quello dell’approvvigionamento energetico. La maggior parte del gas e del petrolio consumato nel paese caucasico viene infatti importata da Mosca, che al momento vanta il diritto esclusivo a utilizzare tutte le infrastrutture energetiche presenti nel paese, compreso il gasdotto che collega Yerevan a Teheran, rilevato lo scorso anno da Gazprom attraverso la filiale armena Armrosgazprom. In mano a una compagnia russa è anche il settore dell’energia elettrica, che viene gestito dalla Inter RAO.


Tra la Russia e l’Armenia si registra una grande cooperazione anche nel settore della sicurezza. Considerato il progressivo riarmo azero, nonché l’aumento dell’instabilità nella regione del Nagorno-Karabakh, recentemente teatro di violenti scontri, nell’ultimo periodo Mosca ha concesso a Yerevan una serie di prestiti mirati a finanziare l’acquisto di armamenti di produzione russa, intensificando inoltre le esercitazioni congiunte con l’esercito armeno. In cambio del supporto militare l’Armenia ha concesso alla Russia di mantenere attiva la 102ª Base Militare di Gyumri, nel nord-ovest del paese, così come la 3624ª Base Aerea di Erebuni, situata alle porte di Yerevan. Recentemente l’Armenia ha inoltre firmato con Mosca un accordo che prevede la creazione di un sistema regionale comune di difesa aerea, che assicurerà lo scambio di informazioni tra i due paesi su tutto lo spazio aereo del Caucaso, e aiuterà lo sviluppo dei sistemi missilistici di difesa aerea e dei sistemi radar armeni.


La Russia gioca inoltre un ruolo di primo piano nel processo di pacificazione del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian che fu teatro nella prima metà degli anni Novanta di un sanguinoso conflitto armato, terminato nel 1994 in seguito a un cessate il fuoco negoziato proprio dal Cremlino. Il fatto che in oltre vent’anni i governi di Armenia e Azerbaigian non siano mai riusciti ad avviare un dialogo costruttivo, aspettando che qualche organizzazione o paese terzo risolvesse la questione per conto loro, ha così finito per conferire gradualmente alla Russia un ruolo di fondamentale importanza nel processo di risoluzione del conflitto.


Attualmente Mosca insieme a Francia e Stati Uniti siede alla presidenza del Gruppo di Minsk, struttura creata nel 1992 dall’OSCE (all’epoca CSCE) per cercare di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh attraverso vie diplomatiche, la quale finora non è però riuscita a conseguire risultati importanti. Ma il ruolo di primo piano di Mosca va oltre i negoziati portati avanti dal Gruppo di Minsk; in seguito alle reciproche provocazioni e ai conseguenti incidenti che si sono verificati negli ultimi anni lungo la linea di confine armeno-azera, il Cremlino, quale principale potenza regionale,è sempre stato pronto a prendere in mano la situazione, finendo quindi per essere legittimato dalle due parti nel ruolo di principale mediatore del conflitto.

Mosca e l’Azerbaigian, amici in conflitto d’interessi.


Il rapporto che l’Azerbaigian ha intrattenuto con la partire dalla fine dell’epoca sovietica si può definire ambivalente: da un lato Baku ha sempre cercato di mantenere rapporti amichevoli con Mosca, a cui è in parte ancora legata dal recente passato e poiché consapevole dell’importante peso del Cremlino in chiave regionale; dall’altro il paese caucasico ha sviluppato negli anni una politica di progressivo allontanamento dalla Russia, per avvicinarsi invece alla Turchia e ai paesi occidentali, specialmente europei, con i quali intrattiene importanti rapporti economici. Considerati quindi i legami che uniscono Baku a Mosca e i rapporti commerciali che allo stesso tempo la avvicinano all’Europa, i vertici del paese caucasico negli ultimi anni hanno preferito promuovere una linea neutrale in politica estera, decidendo di non schierarsi apertamente né con l’una né con l’altra parte. La posizione di neutralità assunta dall’Azerbaigian è stata confermata dalla decisione di aderire nel 2011 al Movimento dei paesi non allineati, unico caso tra le repubbliche del Caucaso.

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In ambito economico i rapporti tra Russia e Azerbaigian sono segnati dal conflitto d’interessi nel settore energetico causato dal tentativo dei paesi dell’Unione Europea di diversificare il proprio approvvigionamento cercando fornitori alternativi a Mosca, e dal fatto che Bruxelles abbia individuato proprio in Baku il partner ideale per la realizzazione di questo progetto. Nel 2006, con la realizzazione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, l’Azerbaigian è riuscito a fare arrivare il proprio petrolio fino al bacino del Mediterraneo e quindi ai mercati europei, aggirando per la prima volta la Russia. Inoltre, a partire dal 2007, in seguito all’inizio dello sfruttamento del grande giacimento off-shore di Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale del paese, l’Azerbaigian ha deciso di interrompere le forniture di gas russo, rivelatesi ormai non più necessarie, diventando a sua volta uno dei più importanti produttori regionali. Con la definitiva rinuncia da parte della Russia al progetto South Stream, che avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Europa attraverso il Mar Nero e i Balcani, l’Azerbaigian ha colto l’opportunità di prendere parte alla creazione un proprio Corridoio Meridionale del Gas, progetto reso possibile dall’inizio dei lavori di realizzazione dei gasdotti TANAP e TAP, che trasporteranno il gas azero fino in Italia. Nonostante il conflitto d’interessi nel settore energetico, negli ultimi anni Mosca e Baku hanno comunque firmato diversi accordi commerciali che hanno portato a un continuo aumento degli scambi economici tra i due paesi.


Tra i settori chiave in cui i due paesi collaborano maggiormente vi è sicuramente quello della sicurezza. Baku negli ultimi anni ha incrementato esponenzialmente le proprie spese militari, stringendo importanti accordi con Mosca ma anche con Israele per l’acquisto di nuovi armamenti mirati ad ammodernare il proprio esercito e per l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte. Nel 2012 la Russia è stata comunque costretta a rinunciare alla propria presenza militare nel paese caucasico, con la chiusura della stazione radio di Qabala in seguito al mancato accordo per il rinnovo del contratto d’affitto dell’impianto. Nonostante i due paesi abbiano sempre collaborato nel settore della sicurezza, vi sono anche punti su cui essi si trovano in disaccordo. Su tutti vi è la questione del Nagorno-Karabakh, del cui processo di pacificazione la Russia svolge un ruolo chiave. Secondo il governo dell’Azerbaigian infatti, il Gruppo di Minsk, co-presieduto da Mosca, sarebbe troppo sbilanciato su posizioni filo-armene; inoltre a Baku non viene visto di buon occhio il consistente supporto militare che la Russia fornisce all’Armenia, con l’obiettivo di far fronte proprio al riarmo azero, così come continua a creare tensioni il progressivo avvicinamento di Yerevan a Mosca, culminato con l’ingresso dell’Armenia all’interno dell’Unione Economica Euroasiatica.

* Emanuele Cassano. Studente di Scienze Internazionali con specializzazione in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa dell’area del Caucaso, sia dal punto di vista politico che da quello storico e culturale. Dal 2012 è redattore di East Journal, mentre dal 2014 è coordinatore di redazione della rivista Most, quadrimestrale di politica internazionale.

vendredi, 13 avril 2012

Intervista al Dr. Viaceslav Chirikba, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Abkhazia

invIntervista al Dr. Viaceslav Chirikba, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Abkhazia

Intervista al Dr. Viaceslav Chirikba,  Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Abkhazia

A cura di Filippo Pederzini

Ex: http://www.eurasia-rivista.org/

“Nella sostanza come secondo previsione l’incontro tra noi e i georgiani si è risolto con un nulla di fatto. Nella pratica però qualcosa abbiamo ottenuto, poco ma ugualmente importante: a livello internazionale si continua a parlare di Abkhazia, l’attenzione nei nostri confronti è elevata e questo oggi è fondamentale”. Nessun giro di parole, va subito al sodo il Dr. Viaceslav Chirikba, Ministro degli Esteri della Repubblica di Abkhazia, il 27-28 marzo scorsi protagonista a Ginevra, presso le Nazioni Unite per un nuovo incontro con i rappresentanti della Georgia riguardo l’indipendenza del suo Paese (indipendenza che i georgiani continuano a negare), mentre il 30 marzo e il 3 aprile è stato a Roma, per presentare il paese di cui è rappresentante agli organi di informazione italiani.

Il nuovo ‘round’ ha visto di fronte nuovamente abkhazi e russi da una parte e georgiani e statunitensi dall’altra. Sul piatto, il riconoscimento all’indipendenza dello stato caucasico che si affaccia sul Mar Nero, che di fatto lo è – dal momento della sua auto proclamazione risalente al 1992, e ribadita per altro nel 2008, dopo il tentativo di aggressione georgiana, sventata celermente dall’intervento russo, col conseguente riconoscimento di Russia, Venezuela, Nicaragua, Nauru, Vanuatu e Tovalu – nonostante l’ambigua posizione di Nazioni Unite ed Unione Europea. Nei panni queste ultime, ancora una volta e per chissà quanto tempo, di un arbitro sulla cui imparzialità si potrebbe discutere, considerando la propensione – è avvenuto in più di un’occasione – alla politica dei due pesi e delle due misure. È stato così per il Kosovo dal riconoscimento ‘indispensabile’, lo è oggi per quei territori definiti a status conteso come appunto l’Abkhazia, l’Ossezia del Sud, il Nagorno Karabagh, la Transnistria, sui quali si preferisce diplomaticamente sottrarsi alla considerazione della realtà attuale, o rimandare eventualmente il tutto a data da destinarsi. Senza dimenticare poi, utile ricordarlo, che nel caso specifico dell’Abkhazia ogni volta in cui sono in programma incontri presso le Nazioni Unite i georgiani non mancano mai di avanzare la richiesta di evitare di invitare al tavolo delle trattative i rappresentanti abkhazi.

Innanzitutto, signor Ministro, la ringraziamo per averci concesso questa intervista. È stato così anche questa volta, i georgiani non vi volevano come controparte? Quale è stato l’esito dei colloqui di Ginevra?

Negli incontri del 27-28 marzo con la Georgia, avvenuti alla presenza di Stati Uniti, Russia ed Unione Europea, non si è giunti ad alcuna soluzione. Con i Georgiani non siamo riusciti assolutamente a dialogare. L’impedimento è sorto anche dalla presenza a Ginevra dei rappresentanti dei Paesi Baltici e della Polonia che hanno esercitato una sorta di ostruzionismo nei nostri confronti come sempre. È noto che questi Paesi hanno sostituito l’anticomunismo con la russofobia, e tutto ciò come nel nostro caso rappresenta amicizia e rapporti di buon vicinato con la Russia, si trasforma in blocco, a prescindere dai contenuti. Come già le volte precedenti tengo a ribadire che è molto difficile arrivare ad un tipo di risoluzione che vada incontro alle esigenze di entrambi. Le posizioni sono diametralmente opposte. C’è comunque da parte dei georgiani ancora oggi, nonostante la figura del presidente georgiano si stia incrinando sempre di più anche in merito a questa vicenda, nessuna volontà di riconoscere l’indipendenza del nostro paese. Siamo due realtà completamente differenti. Questo però non esclude di istaurare, e ci stiamo impegnando ormai da anni a tal senso, un dialogo costruttivo finalizzato al riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia. Passo a cui seguirebbe una ripresa dei rapporti tra i due stati e di conseguenza alla riapertura del confine. Non siamo noi però a non volere il dialogo con i georgiani, tengo a sottolineare, ma loro, fermi su posizioni assolutamente controproducenti e condizionati da terzi.

Ma quali sono oggi appunto, le posizioni georgiane in merito alla vicenda abkhaza?

In primo luogo l’irrinunciabilità e la rivendicazione dell’intero territorio abkhazo, come parte integrante dello stato georgiano. Sono forti di questa posizione, sostenuta per altro dagli Stati Uniti, grazie al mancato riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia sia parte delle Nazioni Unite, come della stessa Unione Europea. La Georgia come ribadito in passato l’unica concessione che sarebbe eventualmente disposta a fare sarebbe quella di una sorta di autonomia culturale dell’Abkhazia. Una formalità semplicemente irrisoria priva di valore; molto meno di quanto è concesso per fare un paragone, dallo stato italiano, alle provincie autonome di Trento e Bolzano. Il sostegno degli Stati Uniti alla Georgia fa sì poi che molti paesi a livello internazionale evitando di analizzare ed approfondire le questioni inerenti alla situazione abkhaza, si allineano su posizioni filo georgiane. Posizione per altro che trovano schierati anche tanti media occidentali: nel 2008 ad esempio alla stregua degli osseti del sud siamo finiti da ‘aggrediti’ ad aggressori, quando è vero l’esatto contrario. Nemmeno il web a tal senso ci viene incontro. Nonostante l’impegno profuso da parte nostra, dei russi e di altri che contribuiscono alla circolazione di notizie vere relative alla realtà abkhaza, come pure l’attività condotta da Mauro Murgia e recentemente la rivista Eurasia, che intervistandolo ha fatto sì che si parlasse di Abkhazia in un trimestrale di studi geopolitici così autorevole e soprattutto degli abkhazi, molte informazioni veicolate su internet non solo non sono veritiere, ma rasentano il falso. Su wikipedia la libera enciclopedia multimediale ad esempio è riportato che l’indipendenza dell’Abkhazia va contro il diritto internazionale. Curioso vero? E quella del Kosovo, senza aver nulla contro i kosovari sia chiaro, invece no? È stato smembrato uno stato, la culla della Serbia, oltretutto per crearne uno, privo di radici storiche, culturali, senza tradizione alcuna, che non ha avuto particolari difficoltà ad essere riconosciuto dalla comunità internazionale…

L’indipendenza del Kosovo però, non avrebbe potuto costituire un precedente su cui fare leva, in sede delle Nazioni Unite?

Diciamo che non ci siamo mai fatti illusioni: nei nostri confronti, ci si è mossi e questo appare abbastanza evidente oggi, quasi esclusivamente in funzione antirussa. Come antirussa, col beneplacito dell’occidente continua ad essere la politica estera georgiana: l’ultima novità giusto perché gli esempi non mancano mai e sono sempre di varia natura è che a maggio prossimo la Georgia inaugurerà un monumento sul confine della Circassia a ricordo dei circassi che hanno resistito all’occupazione sovietica. Come la si vuol definire questo tipo di azione? Sono pronto a scommettere che non mancherà di trovare spazio su qualche organo di informazione europeo o statunitense di rilievo, con ovviamente il giusto risalto. Non trova però spazio se non in termini a noi avversi la nostra vicenda. Tornando al Kosovo e scusandomi per questa parentesi, tengo però a chiarire una cosa: rispetto alla ‘neo nazione europea’, l’Abkhazia, oltre a vantare due millenni di storia ha sempre goduto di uno statuto speciale già dai tempi dello Zar, rinnovato anche nel 1931 quando è entrata a far parte dell’Unione Sovietica (solo l’avvento di Stalin ha cambiato le cose: con la deportazione di migliaia di abkhazi e l’accorpamento del territorio alla Georgia). Se non altro storicamente e a livello di diritto internazionale qualche ragione in più pensiamo di averla e cerchiamo di farla valere. Già il fatto comunque che oggi, lo ribadisco si parli di Abkhazia a Ginevra, presso le Nazioni Unite, come è avvenuto a Roma nei giorni scorsi è un importante passo in avanti.

Queste resistenze a livello internazionale nei vostri confronti, paiono celare però anche altri argomenti al momento sottaciuti, sia dalla Georgia che dal loro primo sponsor, gli Stati Uniti. Ecco, non è che ci siano ragioni di natura economica alla base della ferma volontà di non riconoscere la vostra indipendenza, da parte dei georgiani come dei loro ‘alleati’?

Posso risponderle che l’Abkhazia oggi è tra i primi paesi al mondo per l’elevata quantità in suo possesso e qualità, di acqua dolce. Difficile pensarlo per uno stato di così piccole dimensioni, ma è così. Lo sfruttamento di questa ricchezza naturale, senza inquinamento alcuno ci permette di produrre energia di tipo idroelettrico in abbondanza. A parte quella utile al fabbisogno del nostro paese, il resto lo vendiamo alla Russia: una quantità tale che permette di soddisfare le esigenze di una larga fetta del territorio russo meridionale. È chiaro dunque che una risorsa naturale come l’acqua, guardando anche alle condizioni in cui cominciano a versare molti paesi causa siccità, mutamenti atmosferici e altro e per usare la nota frase “Che la prossima guerra si combatterà per l’acqua”, già adesso si rileva oltre che importante per la sopravvivenza, strategica per i paesi che ne possiedono in grandi quantità. Ma non è l’unico fattore. Ci sono ben altre risorse naturali su cui si concentra l’attenzione. A poche miglia nautiche dalla costa, in acque territoriali abkhaze a tutti gli effetti sono stati individuati nel sottosuolo marino enormi giacimenti di gas naturale e di petrolio. Sgombrando il campo da ogni sorta di equivoco e cioè che sono dell’Abkhazia e del suo popolo, il Governo non è attualmente e non lo sarà nemmeno in futuro interessato a sfruttare questo tipo di risorse. Puntiamo per altro invece ad uno sfruttamento maggiore dell’acqua come delle tante bellezze naturali di cui è ricco il paese. Il mare, i laghi, le montagne i parchi. Il fatto che ora già oltre 2 milioni di russi ogni anno trascorrono le vacanze presso di noi, indica che la via che siamo intenzionati a percorrere è quella dello sviluppo turistico, prima che industriale, dato che il territorio va preservato. Le Olimpiadi Invernali di Soci nel 2014 rappresentano anche per noi una seria e concreta opportunità di crescita. Molto a livello di riqualificazione e valorizzazione si sta già facendo, ma tanto ancora ci sarà da fare soprattutto a livello infrastrutturale. Per questo ci rivolgiamo agli investitori stranieri, italiani compresi, offrendo loro un regime fiscale molto agevolato per imprendere in Abkhazia.

Diceva dei russi. Che rapporto c’è attualmente con loro, al di là del fatto che molti media occidentali parlano espressamente di sudditanza?

Con l’avvento di Vladimir Putin, il rapporto è stato fin da subito costruttivo e di estrema collaborazione. Sono lontani ormai i tempi di Eltsin quando le relazioni con la Russia erano ridotte al lumicino. Basti pensare che dal suo primo insediamento al Cremlino Putin ha iniziato a guardare all’Abkhazia con occhi diversi. O meglio ha capito subito e trasmesso che il nostro stato non è parte integrante della Georgia, ma indipendente e come tale deve avere vita propria. La Federazione Russa inoltre dopo la crisi diplomatica coi georgiani non ha esitato solo un attimo a riconoscerci, contribuendo ad elevarci a nazione tra le nazioni. È venuta incontro alle esigenze della popolazione, in primo luogo mediante la concessione del passaporto russo, che consente ai cittadini abkhazi la libera circolazione al di fuori dei confini del proprio Stato, come avviene per i cittadini delle altre nazioni. Gli Abkhazi possono entrare liberamente nel territorio russo, così come in tutti quei Paesi che hanno riconosciuto l’Abkhazia. Non va dimenticato poi il sostegno in termini economici sociali e tecnici offerto dalla Federazione Russa all’Abkhazia, teso allo sviluppo dello Stato, come pure quello militare. Come potrebbe fare altrimenti la nazione abkhaza a difendere e monitorare le proprie acque territoriali, in mancanza di una marina propria? Non è passato molto tempo, è utile ricordarlo, da quando unità navali georgiane si frapponevano e bloccavano tutte le imbarcazioni che volevano approdare nei nostri porti, arrestandone addirittura gli equipaggi. Inoltre è sicuramente meglio che siano le unità russe a controllare il confine con la Georgia, al fine di evitare ulteriori tensioni. Soprattutto il supporto offertoci dalla Federazione Russa ha contribuito a far parlare gli abkhazi del loro paese e non altri, come purtroppo continua in larga parte ad avvenire.

Da ultimo, che bilancio trae da questa sua visita in Italia?

Mi sento di dire che si è trattato di un viaggio, il primo nel vostro paese, di assoluta importanza e che ha determinato un passo anche seppur piccolo, in avanti con l’Unione Europea. Sta passando, in Europa, la giusta logica del ‘Fare parlare l’Abkhazia’, iniziando ad emarginare il cosiddetto ‘Parlare dell’Abkhazia’, senza minimamente conoscere il Paese e più in generale i problemi del Caucaso. A Pesaro, San Marino e Roma, gli incontri effettuati, sia politici che economici, sono stati seguiti con estrema attenzione da molti soprattutto esponenti del mondo economico. A Roma poi in particolar modo: in occasione della conferenza presso la stampa estera con i giornalisti italiani e quando, accompagnato dal Senatore del Partito Radicale Marco Perduca, ho incontrato privatamente il Senatore Lamberto Dini, presidente della Commissione Esteri del Senato. Il piacere dell’affermazione da lui pronunciata, “L’Abkhazia ha diritto alla sua autodeterminazione, senza se e senza ma”, dimostra che il nostro lavoro inizia a dare frutti concreti, impensabili ed impossibili solo poco tempo fa.

vendredi, 17 février 2012

Les Etats-Unis et la Grande-Bretagne dressent des obstacles à l'Abkhazi

Le racket de l'Occident exercé sur les pays qui reconnaitraient l'indépendance de l'Abkhazie ne fonctionnera pas éternellement. D'ailleurs, la Belgique avait déjà reconnu, de facto, l'Ossétie du Sud en 2008 par son aide financière.

Les Etats-Unis et la Grande-Bretagne dressent des obstacles à l'Abkhazie

 

 

Photo: RIA Novosti
     

Les Etats-Unis et la Grande-Bretagne torpillent sciemment la reconnaissance de l'Abkhazie. Sans la pression de leur part la souveraineté d'Abkhazie serait officiellement approuvée, au cours de cette dernière année, au moins par 20 pays de la région Asie-Pacifique. Iouris Goulbis, ambassadeur en mission spéciale du ministère des Affaires étrangères d'Abkhazie, en est convaincu.

La tactique de Washington et de Londres est simple. Ils disent sans dissimuler aux pays qui commencent à établir les relations avec Soukhoum que ces pays ne doivent pas le faire. La désobéissance étant menacée de dures sanctions économiques, raconte Iouris Goulbis.

Les grandes puissances à savoir les Etats-Unis, la Grande-Bretagne et l'Union européenne prise dans son ensemble soutiennent la Géorgie et négligent complètement la position d'Abkhazie. Celle-ci a le droit entier d'être reconnue comme pays indépendant. Cela étant, Tbilissi réclame sa restitution. Les grandes puissances quant à elles s'efforcent de mettre en échec nos plans et nos possibilités de reconnaissance.

Les petits Etats insulaires ayant déjà reconnu l'Abkhazie se sont retrouvés dans une situation particulièrement compliquée. Il s'agit notamment de Nauru, du Vanuatu et des Tuvalu. L'Occident a tout simplement arrêté le financement des projets d'une importance vitale pour ces pays. Par là il ne punit pas seulement les habitants de ces pays, mais aussi laisse entendre les autres quelle attitude les attend dans l'hypothèse de la reconnaissance de l'Abkhazie.

Cependant tous ne cèdent pas au chantage. Au moins 12 pays de la région Asie-Pacifique ayant accédé à l'indépendance ces 30-50 dernières années saluent l'aspiration de l'Abkhazie à la liberté. Bien qu'ils ne soient pas encore prêts à établir les rapports diplomatiques à part entière avec l'Abkhazie, ils ne dissimulent pas leur sympathie, note Iouris Goulbis.

Ils reconnaissent que l'Abkhazie existe, qu'un gouvernement d'Abkhazie existe et que l'Abkhazie a sa population. Ils comprennent qu'à l'heure actuelle il y a un conflit lequel, je l'espère, sera réglé dans un proche avenir. Lors des votes à l'ONU, ils ne se prononcent pas contre nous, mais soit gardent une neutralité, soit donnent leur voix en notre faveur.

La négation par les pays occidentaux de la souveraineté d'Abkhazie sur le fond du lobbying intense de la séparation du Kosovo vis-à-vis de la Sérbie met en évidence leurs raisons. C'est que Washington, Londres et l'Union européenne poursuivent leurs intérêts géopolitiques et jouent la carte de Géorgie-Abkhazie pour affaiblir le prestige de la Russie dans l'arène internationale, estime Evguénia Voïko, expert au Centre de la conjecture politique.

Dès qu'un pays reconnaît l'indépendance de l'Ossétie du Sud et de l'Abkhazie cela confirme que la décision de la direction de Russie prise en 2008 de reconnaître leur souveraineté était juste. Il va de soi que les Etats-Unis et l'Union européenne font feu de tout bois pour que le nombre de pays prêts à reconnaître l'indépendance de ces républiques caucasiennes à présent ou dans un futur proche ne croisse pas.

Néanmoins Iouris Goulbis est convaincu que dès l'année en cours les pays à reconnaître l'indépendance d'Abkhazie et d'Ossétie du Sud seront plus nombreux. Un travail intense est mené dans cette direction, a communiqué le diplomate. Il a cependant refusé de nommer les pays avec lesquels les documents appropriés peuvent être signés dans l'avenir le plus proche. Car beaucoup ne ménagent pas leurs efforts pour torpiller les accords. Aussi préférons-nous garder le secret le plus longtemps possible, a noté l'ambassadeur.

jeudi, 20 mai 2010

Les trois épicentres de la révolution eurasienne

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Pietro FIOCCHI:

 

Les trois épicentres de la révolution eurasienne

 

L’ambassadeur russe auprès de l’OTAN, Dmitri Rogozine, possède une sorte de sixième sens pour toutes les questions atlantiques: “Selon moi”, a-t-il dit le 4 mai 2010, “la Géorgie n’a pas encore de réelle prospective en vue pour son adhésion à l’Alliance parce que les problèmes qu’elle affronte en Abkhazie et en Ossétie du Sud demeurent irrésolus” et, par conséquent, “un pays qui n’a pas de frontières définies et est continuellement secoué de guerres civiles ne peut devenir membre de l’OTAN”.

 

La Géorgie dans le Caucase

 

L’ambassadeur fait référence au cas des deux républiques qui, il y a vingt ans, se sont déclarées indépendantes du gouvernement géorgien et qui, depuis 2008 jusque aujourd’hui, ont été reconnues par la Russie, le Nicaragua, le Vénézuela et Nauru. L’Abkhazie et l’Ossétie du Sud sont toutefois considérées comme des “territoires occupés” par les Géorgiens et aussi par l’eurocratie bruxelloise et par Washington qui, en bonne diligence, ont promis à leur allié Saakashvili de l’aider à remettre les “choses en place”. On veut donc que les deux républiques, ou “territoires occupés”, reviennent sous le contrôle de la Géorgie. En pratique, tout pas en cette direction augmente les possibilités d’un affrontement avec la Russie: le Kremlin, en effet, a promis de protéger la souveraineté territoriale des deux républiques caucasiennes, en vertu d’accords conclus et par la présence de bases militaires aujourd’hui en construction.

 

Si la Géorgie entrait effectivement au sein de l’Alliance atlantique, les tensions augmenteraient et présenteraient un réel danger. Pour éviter la guerre, il faut avoir conscience des positions antagonistes et percevoir qu’elles recèlent de fait le danger de mondialiser le conflit.

 

Dans cette optique, Rogozine a mis en exergue les dynamiques possibles dans la région: “les Géorgiens seront exploités au maximum afin qu’ils envoient des troupes en Afghanistan; ils seront traités comme des animaux auxquels on fait miroiter une carotte en la balançant sous leur museau. Tbilissi ne peut adhérer à l’OTAN parce que la Géorgie ne peut en devenir membre; l’Alliance atlantique devra ou reconnaître l’indépendance de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud ou accepter les anciennes frontières de la Géorgie, tracées par Staline. C’est là une éventualité impensable, donc Tbilissi restera partenaire de l’OTAN mais son adhésion ne se fera pas dans un futur proche”.

 

Incertitudes au Kirghizistan

 

Passons maintenant du Caucase à l’Asie centrale: nous débouchons dans un espace où la Russie et les intérêts atlantistes s’opposent.

 

Cas atypique et, depuis le récent coup d’Etat, objet de toutes les attentions: le Kirghizistan. Dans cette ex-république soviétique cohabitent très proches les unes des autres des troupes russes et américaines, respectivement stationnées dans les bases de Kant et de Manas. Nous avons là un paradoxe qui pourrait bien ne plus durer très longtemps. Une fois les élections politiques et présidentielles, prévues pour le prochain automne, Bichkek prendra une décision définitive.

 

Aujourd’hui déjà, le gouvernement des Etats-Unis doit débloquer 15 millions de dollars qui serviront à payer partiellement le loyer de la base aérienne concédée aux Américains. Pour terminer, Washingbton devra débourser un total de 60 millions de dollars (c’est-à-dire trois fois autant que la somme déboursée jusqu’à l’an passé). Cette somme devra être payée chaque année sinon les locataires seront expulsés. Au Kirghizistan, la situation est donc précaire aussi.

 

Coopération russo-kazakh

 

En revanche, la coopération russo-kazakh, elle, semble de bonne augure. Les rapports entre les deux pays se sont consolidés. Moscou et Astana, depuis l’été, ont scellé un nouvel accord sur l’enrichissement de l’uranium à usage civil. C’est une nouveauté: les pays qui voudront développer leur industrie nucléaire pourront accéder aux technologies d’enrichissement disponibles. C’est tout à la fois une invitation à Téhéran et une garantie pour l’Iran à aller de l’avant dans son programme atomique.

 

Pietro FIOCCHI / p.fiocchi@rinascita.eu .

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 5 mai 2010; trad. franç.: Robert Steuckers ; cf.: http://www.rinascita.eu  ).

mercredi, 30 décembre 2009

La Doctrine Brzezinski et le Caucase

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Lorenzo MOORE :

 

 

La Doctrine Brzezinski et le Caucase

 

Malgré la relève de la garde à Washington, depuis l’accession d’Obama au pouvoir, le Caucase reste une « région stratégique » dans la tentative américaine de contrôler totalement ou en partie les anciennes zones d’influence russe en Asie centrale, région riche en matières premières. Sur ce front rien n’a changé en fait : c’était clair depuis la première décision prise par la nouvelle présidence d’augmenter les effectifs américains destinés à renforcer la guerre d’occupation en Afghanistan.

 

La partie est mortelle entre les massacres de Grozny et de Beslan

 

Durant la présidence néoconservatrice de Bush, le Caucase avait à nouveau fait parler de lui avec le double attentat aérien contre deux avions de ligne russes et avec la monstrueuse séquestration des enfants de Beslan, où quelques dizaines de guérilleros tchétchènes avaient pris des écoliers et des parents d’élèves en otage dans un établissement scolaire de la ville principale de la république autonome d’Ossétie du Nord, appartenant à la Fédération de Russie. La confrontation entre Russes et Tchétchènes n’est pas le seul conflit en cours dans la région qui fait le pont entre l’Europe et l’Asie. En Géorgie, le président Mikhaïl Saakashvili, après avoir fait plier la république sécessionniste d’Adjarie, entre la Géorgie et la Turquie, a ensuite mené une attaque, vite avortée, contre l’Ossétie du Sud, dont la population est ethniquement et culturellement la même qu’en Ossétie du Nord mais dont le territoire, jadis autonome en Géorgie, est aujourd’hui indépendant après une intervention russe.

 

L’Ossétie du Sud est indépendante de facto depuis 1993, lorsque les indépendantistes sud-ossètes ont obtenu la victoire lors d’une brève guerre de sécessions contre les Géorgiens, peu de temps après l’effondrement de l’URSS. Les Russes avaient appuyé cette sécession et, grâce aux mouvements indépendantistes d’Ossétie, d’Abkhazie et d’Adjarie, ils ont pu revenir dans la région au sud du Caucase. Dans les petites républiques indépendantes grâce aux efforts des troupes de maintien de la paix, les Russes ont pu construire des bases militaires, leur territoire étant soustrait au contrôle de Tbilissi. Avec l’appui des Etats-Unis, Saakashvili avait réussi en décembre 2003 à chasser du pouvoir Chevarnadze. Ce fut le premier épisode dans le processus de reformulation du projet nationaliste géorgien visant à récupérer les territoires cédés dans les années 1991-93. Ce projet nationaliste géorgien n’est possible qu’avec l’appui des Etats-Unis et d’Israël, qui comptent quelques centaines de militaires sur le terrain, officiellement pour contrer le terrorisme mais en réalité pour entrainer l’armée géorgienne.

 

L’appui de Washington ne provient pas d’un amour subi pour la Géorgie en butte avec ses ethnies rebelles, ossètes et abkhazes, mais d’une volonté de chasser définitivement la Russie de la zone où seront transportés vers l’Europe les hydrocarbures de la Mer Caspienne.

 

Le nouveau président géorgien s’est engagé à construire l’oléoduc Bakou/Ceyhan destiné à acheminer le pétrole de la Caspienne et de l’Azerbaïdjan vers le port turc, en traversant le territoire géorgien. Cet oléoduc mettrait hors jeu le tracé menant au port russe de Novorossisk sur la Mer Noire. Ajoutons que cet oléoduc russe passe par le territoire de la Tchétchénie. On voit dès lors clairement pourquoi le conflit en Tchétchénie revêt une importance stratégique cruciale dans les rapports Etats-Unis/Russie et pourquoi Washington se mobilise (en vain) pour inciter les Géorgiens à éliminer les deux petites républiques rebelles et à chasser les bases russes hors du Caucase méridional. La construction d’un oléoduc entièrement contrôlé par la Géorgie, au moment où l’oléoduc concurrent est continuellement menacé de sabotage par la guérilla tchétchène, garantirait par ricochet le contrôle exclusif par les Américains des ressources pétrolifères du Sud de la Caspienne, tout en isolant la Russie de l’Europe et en complétant l’encerclement de l’Iran.

 

C’est dans ce contexte qu’il faut analyser la guerre qu’a déclenché la Géorgie contre l’Ossétie et l’appui récurrent de Tbilissi à la guérilla tchétchène. Saakashvili avait espéré déclencher une guerre de courte durée pour faire plier les Ossètes, pour provoquer leur fuite vers le territoire de la Fédération de Russie et pour contrôler à nouveau le territoire de peuplement ossète. Les Ossètes savaient bien qu’en cas de défaite ils devaient s’attendre à une « purification ethnique » des plus féroces, visant la « géorgianisation » de leur pays, surtout que les Ossètes n’ont pas oublié les 20.000 morts (presque tous des civils) que leur population a subis lors de la guerre de sécession avec la Géorgie.

 

Les Russes, pour leur part, savent que, s’ils sont chassés de leurs bases d’Ossétie et d’Abkhazie, ils seront mis hors jeu dans le Caucase et que les rébellions au sein des nombreuses républiques autonomes de la Fédération se multiplieraient. C’est ce qui explique la riposte militaire russe, rapide et soudaine, contre l’agression géorgienne. Cette action a donné de facto l’indépendance à l’Ossétie du Sud.

 

La question de l’oléoduc est centrale dans ce conflit : c’est elle qui a failli amener la Russie et les Etats-Unis à un conflit chaud, même si c’eut été par tiers acteurs interposés.

 

Qui souffle sur les braises ? Les patrons et les parrains de l’indépendantisme tchétchène !

 

L’assaut donné contre l’école de Beslan et les massacres qui s’ensuivirent, où les guérilleros tchétchènes ont tué un grand nombre d’otages, des enfants, des enseignants et des parents, suite à l’attaque du bâtiment scolaire par les forces spéciales russes, s’inscrivent dans cette seule et même guerre qui dévaste le Caucase depuis la fin de l’URSS. Il est peut-être vrai, comme aiment à le rappeler les commentateurs des médias occidentaux, que la guerre coloniale russe contre les Tchétchènes a commencé dans la première moitié du 19ème siècle, à une époque où l’expansion de la Russie atteignait les régions méridionales du Caucase. Cette guerre n’a jamais pris fin. Mais il est tout aussi vrai que la nouvelle flambée indépendantiste tchétchène a commencé en 1991, avec la déclaration d’indépendance de la petite république autonome du Caucase septentrional et avec la guerre voulue et perdue par Eltsine qui s’ensuivit de 1994 à 1996. Cette phase nouvelle du conflit russo-tchétchène a les mêmes « sponsors » et les mêmes parrains que le renouveau nationaliste géorgien qui a déclenché l’agression contre l’Ossétie méridionale en août 2008. L’indépendantisme tchétchène moderne était laïque au départ et animé par d’anciens officiers soviétiques, bien décidés à profiter du déclin de la Russie après les journées de confusion de l’automne 1991. Ces hommes voulaient affirmer l’indépendance d’un territoire qui aurait pu compter sur les dividendes du transit pétrolier pour assurer sa prospérité.

 

Mais dans les années qui ont suivi l’affirmation de ce premier indépendantisme tchétchène, les Américains ont ressorti la fameuse doctrine Brzezinski, préalablement appliquée en Afghanistan pour chasser le gouvernement laïque pro-russe. Pour y parvenir, les Etats-Unis ont financé des intégristes islamistes, les talibans, et un mystérieux réseau, Al-Qaeda, construit de toutes pièces sous l’égide américaine en utilisant les services de l’extrémiste wahhabite Osama Ben Laden. Dans le Caucase également, les Américains ont bien veillé à éliminer progressivement tous les leaders laïques pour leur substituer une direction religieuse d’obédience wahhabite. Le financement de ces nouvelles équipes vient en premier lieu de la monarchie saoudienne, désireuse d’étendre sa propre influence politique sur tous les territoires à majorité musulmane, par le biais d’une exportation de la version la plus réactionnaire et la plus obscurantiste de la religion islamique, née dans la péninsule arabique au 18ème siècle et adoptée par la dynastie des Saoud qui régnait à cette époque sur les bédouins du Nadjd qui étaient en conflit permanent avec tous les autres royaumes de l’Arabie péninsulaire et avec les shérifs de La Mecque dont provient la dynastie hachémite (à laquelle appartiennent les rois actuels de la Jordanie).

 

Dans les régions du Caucase septentrional, le wahhabisme saoudien a islamisé l’indépendantisme tchétchène et l’a transformé en une guérilla féroce, qui fait feu de tous bois: attentats suicides, massacre d’otages, guerre ouverte, infiltration sur le territoire russe, etc. Mais le wahhabisme n’agit pas seul: à ses côtés se tient l’une des principales compagnies pétrolières mondiales, la Chevron-Texaco, dont la conseillère pour l’espace caucasien et la responsable pour les politiques locales de cette zone de turbulences, est une dame que le monde entier a appris à connaître au cours de ces dernières années: Condoleeza Rice, déjà ministre de la Sécurité nationale sous la présidence de Bush junior.

 

La présence parmi les guérilleros tchétchènes de volontaires wahhabites, issus des nationalités les plus disparates (il y a parmi eux des Arabes de la péninsule, des Algériens, des Egyptiens, des Afghans, des ressortissants du Bengla Desh, etc.) indique, en outre, que le recrutement de ces effectifs wahhabites inclus dans les forces rebelles tchétchènes s’est effectué depuis le début des années 90 sous le patronnage de l’ISI, le fameux service secret pakistanais, inventeur et soutien majeur du régime des talibans en Afghanistan et responsable de l’organisation politique et militaire des militants wahhabites et déobandistes (les déobandistes relèvent d’une autre école islamiste, aux orientations très réactionnaires, née au 19ème siècle parmi les musulmans d’Inde).

 

Finalement, comme en Afghanistan, on voit fonctionner la synergie entre pétrodollars et idéologie religieuse saoudienne, logistique et formation pakistanaises et supervision géopolitique et géoéconomique par le complexe économico-politique américain. L’intérêt des multinationales américaines dans le développement et le maintien de la guérilla tchétchène est évident: mettre hors jeu toutes les concurrences européennes et asiatiques dans le transport du brut de la Caspienne, et, simultanément, couper l’herbe sous les pieds des monopoles russes. Ces objectifs sont poursuivis en même temps qu’un soutien toujours plus marqué aux oligarchies qui gouvernent sur le mode autocratique les Etats asiatiques issus de la désintégration de l’Union Soviétique: en premier lieu, l’Azerbaïdjan qui possède des gisements aux infrastructures déjà bien rodées. Dans ce contexte, par la création de toutes sortes de menées agressives, les intérêts pétroliers et géopolitiques des Etats-Unis cherchent à saboter les tracés anciens des oléoducs transportant le brut azéri, tracés construits à l’époque soviétique et qui mènent tous vers l’intérieur des terres russes.

 

Si l’on tient compte de ce point de vue, tant l’insurrection tchétchène sur le territoire qui mène au port pétrolier de Novorossisk sur la Mer Noire que la guerre avortée déclenchée par la Géorgie de Saakashvili, ont été in fine concoctées par Washington afin de multiplier les incidents, de déstabiliser la région pour aboutir à un contrôle exclusivement américain des flux d’hydrocarbures. Les présidences américaines successives, qu’elles aient été démocrates ou républicaines, de Carter à Obama, ont poursuivi inlassablement cette politique dont l’intention finale est d’empêcher la Russie de devenir une puissance autonome face aux Etats-Unis. Une Russie autonome serait parfaitement capable de poursuivre l’ancienne politique soviétique de s’opposer au leadership unique des Etats-Unis dans le monde. Les Etats-Unis visent aussi à créer les conditions qui feront de l’immense pays qu’est la Russie un objet pour les spéculations de la finance internationale, téléguidées depuis l’Amérique.

 

Par ailleurs, dans ses visées coloniales sur la Russie, les Etats-Unis ont trouvé en Russie même la collaboration intéressée de cette nouvelle classe composée d’anciens fonctionnaires du parti communiste recyclés en oligarques grâce aux positions clefs qu’ils occupent dans le petit monde des capitalistes de la “nouvelle Russie”. Leur action s’avère destructrice du point de vue du développement de la production industrielle russe mais, en même temps, extrêmement habile pour générer des profits chez les financiers. Ce sont eux qui ont fait gonfler au maximum la bulle financière russe qui a explosé en 1998, entraînant la disparition de l’épargne nationale tout en sauvegardant les immenses fortunes que cette nouvelle classe de capitalistes sans entreprises avait accumulées au cours des années précédentes.

 

La guerre en Tchétchénie a toujours été une bonne affaire pour cette nouvelle classe dominante: même si nous faisons abstraction des profits réalisés par la contrebande et le commerce des armes avec l’ “ennemi” tchétchène, la guérilla islamiste du Caucase septentrional est devenue un excellent prétexte pour dévier le mécontentement russe vers un objectif extérieur et pour décider, finalement, du destin politique de la Russie au 21ème siècle. Pour atteindre ces objectifs, Eltsine lui-même et sa bande ont été définitivement sacrifiés à la suite d’une offensive terrible des guérilleros tchétchènes qui ont placé des bombes à Moscou et occupé des hôpitaux au Daghestan en 1999 (toutes ces actions ont été menées par un chef notable, Bassaïev, concurrent du président tchétchène en exil Makhadov; Bassaïev est également le responsable de l’horrible massacre de Beslan).

 

Après Eltsine, Poutine a pris le pouvoir, en se présentant à la nation comme le président de la renaissance russe. Les règles du jeu ont alors changé, Washington a été tenu en échec, tandis que les oligarques ont été soit expropriés soit contraints à l’exil. Poutine a pu avancer dans la mise en oeuvre d’un capitalisme national russe, capable de développer ses propres infrastructures de production et de renforcer ses liens commerciaux et politiques avec les pays européens. Cette politique a été rendue possible grâce à l’exclusion de cette classe d’oligarques liée étroitement au capital financier américain et à la vente à l’encan des matières premières du pays.

 

Derrière cette attaque indirecte contre la Russie, nous voyons se profiler une alliance en apparence bigarrée entre les intérêts stratégiques américains, les intérêts économiques des multinationales américaines du pétrole, du néo-nationalisme géorgien, du fondamentalisme wahhabite téléguidé par l’Arabie Saoudite et de l’oligarchie financière russe repliée à l’étranger. L’objectif de cette alliance est d’abord de démontrer que Poutine n’est pas en mesure de défendre la Russie en y suscitant un climat qui permettrait à terme de lui substituer un autre homme, plus faible et plus enclin à servir les intérêts de la haute finance internationale en Russie et à l’étranger. Cet objectif ne s’est pas réalisé. Et ce n’est donc pas un hasard si le ministre russe des affaires étrangères, Sergueï Lavrov a déclaré, en critiquant directement les pays occidentaux: “[l’Occident] est indubitablement responsable de la tragédie qui frappe le peuple tchétchène parce qu’il donne l’asile politique aux terroristes. Lorsque nos partenaires occidentaux nous disent que nous devons réviser notre politique, qu’ils appellent ‘tactique’, je les invite à ne pas intervenir dans les affaires intérieures de la Russie”. Lavrov faisait directement référence aux décisions prises par les Etats-Unis et l’Angleterre de donner l’asile politique à deux chefs du séparatisme tchétchène, Ilyas Akhmadov et Akhmed Zakaïev, qui vivent aujourd’hui, l’un à Londres, l’autre à Washington.

 

Il suffit de faire quelques recherches sommaires sur la stratégie préconisée par les milieux libéraux-impérialistes d’Angleterre et des Etats-Unis pour déchiffer aisément la stratégie atlantiste qui visait jadis et vise encore aujourd’hui à soustraire toute la région caucasienne à l’influence russe, parce que cette région est riche en pétrole. Cette stratégie a été remise en selle et en pratique, et à toute vapeur, en 1999 et qui s’inscrit plus généralement dans le fameux “Plan Bernard Lewis”, mis en oeuvre dans les années 70. Ce plan proposait de “miner” toutes les régions se situant au sud du territoire de l’URSS et de les transformer en un “arc de crises”. L’objectif principal envisagé dans ce plan était de déstabiliser à long terme cet ensemble de régions en misant surtout sur le fondamentalisme islamique. Les deux points principaux, où devait se concentrer les attaques indirectes, étaient la Tchétchénie et l’Afghanistan.

 

On ne s’étonnera pas dès lors que, parmi les architectes de ces provocations organisées actuellement dans le Caucase, nous retrouvons Zbigniew Brzezinski, conseiller de Carter pour la “sécurité nationale” et qui fut le premier à adopter les plans géopolitiques mis au point par Lewis pour le compte de l’ “Arab Bureau” de Londres. Brzezinski et Lewis comptaient utiliser le radicalisme islamiste contre le communisme soviétique.

 

D’après une revue fort bien informée, Executive Intelligence Review, la notion d’arc de crise, théorisée par Lewis et Brzezinski, fut reprise en bloc par les présidences Reagan et Bush à partir de 1981. Ce fut en bonne partie grâce aux bons offices du directeur de la CIA William Casey et du chef des services français, Alexandre de Maranches. La promotion des moudjahhidins est ainsi devenue un projet cher aux néoconservateurs, qui l’ont introduit au Pentagone et au Conseil de Sécurité nationale à l’époque de Reagan, notamment sous l’impulsion de Douglas Feith, Michael Ledeen et Richard Perle.

 

En 1999, un centre de coordination destiné à orchestrer les déstabilisations est mis en place: les néoconservateurs justifieront son existence au nom de l’idéologie des droits de l’homme. Quant à la “Freedom House”, fondée par Leo Cherne, elle lance un organisme baptisé “American Committee for Peace in Chechnya” (ACPC), dont l’objectif déclaré est d’intervenir dans les affaires intérieures de la Russie, en avançant l’excuse et le prétexte que la “guerre dans l’aire caucasienne” doit être résolue “pacifiquement”.

 

Mais lorsqu’on consulte la liste de ces pacifistes autoproclamés de l’ACPC, on reste bien perplexe. Les fondateurs de ce caucus sont Brzezinski, Alexander Haig (le secrétaire d’Etat qui avait dit, “c’est moi qui suis aux commandes” quand Reagan fut victime d’un attentat en 1982) et l’ex-député Stephen Solarz. Parmi les membres, nous trouvons: Elliot Abrams, Kenneth Adelman, Richard Allen, Richard Burt, Elliot Cohen, Midge Decter, Thomas Donohoue, Charles Fairbanks, Frank Gaffney, Irving Louis Horowitz, Bruce Jackson, Robert Kagan, Max Kampelman, William Kristol, Michael Ledeen, Seymour Martin Lipset, Joshua Muravchik, Richard Perle, Richard Pipes, Norman Podhoretz, Arch Puddington, Gary Schmitt, Helmut Sonnenfeldt, Caspar Weinberger et James Woolsey. L’ACPC se sert des structures de la “Freedom House” mais aussi de celles de la “Jamestown Foundation”, un centre d’études sur la guerre froide dirigé par Brzezinski et Woolsey, dont le but est de promouvoir des opérations de “démocratisation” dans les Etats “totalitaires”. Ce centre d’études édite une “newsletter”, Chechnya Weekly, pour le compte de l’ACPC, de même que d’autres bulletins de propagande dirigés contre la Chine, la Corée du Nord et d’autres pays européens ou asiatiques qui sont dans le collimateur de Washington.

 

Ce sont les Britanniques qui ont recruté les terroristes du Caucase!

 

Les gouvernants russes savent très bien qu’au moment où, aux Etats-Unis, on créait l’ACPC, le gouvernement britannique offrait une aide toujours plus directe aux milieux terroristes.

 

Dans un série de documents datant du 21 janvier 2000 et adressés à Madeleine Albright, alors secrétaire d’Etat, nous trouvons une missive intitulée: “L’Angleterre doit être mise sur la liste des Etats qui promeuvent le terrorisme”. L’Executive Intelligence Review rapporte comment les autorités britanniques ont facilité le recrutement de certains éléments du djihadisme en Angleterre pour les transporter ensuite clandestinement en Tchétchénie. Dans un document de l’ Executive Intelligence Review (sur: http://www.movisol.org/ ), nous pouvons lire, parmi d’autres révélations: “Le 10 novembre 1999, le gouvernement russe avait déjà présenté ses protestations diplomatiques formelles via son ambassade à Londres, pour les attaques perpétrées contre des journalistes russes et pour l’hospitalité offerte au cheikh Omar Bakri Mohammed, chef d’Al Muhajiroon, aile politique de l’organisation de Ben Laden, qui était le groupe recrutant des musulmans en Angleterre pour les envoyer combattre en Tchétchénie contre l’armée russe. L’organisation de Bakri travaillait librement au départ de bureaux situés dans le faubourg londonien de Lee Valley  —deux pièces dans un centre informatique—  et géraient une entreprise offrant des connections à internet. Bakri a admis que des officiers de l’armée ‘en congé’ entraînaient les nouvelles recrues à Lee Valley, avant de les envoyer dans des camps en Afghanistan ou au Pakistan ou avant de les faire entrer clandestinement en Tchétchénie”.

 

Lorenzo MOORE.

(article issu du quotidien romain “Rinascita”, jeudi 11 juin 2009; trad. franç.: Robert Steuckers).

 

 

 

 

 

 

samedi, 25 juillet 2009

Les drônes géorgiens survolent l'Abkhazie

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Les drônes géorgiens survolent l’Abkhazie

 

 

La république indépendante d’Abkhazie, qui était auparavant une région autonome de la  Géorgie, ne trouve pas la  paix: des drônes envoyés par le gouvernement de Tbilissi recommencent à survoler continuellement  le territoire, a annoncé le 8 juillet dernier un communiqué du ministère abkhaze des affaires étrangères. D’après ce ministère, quatre de ces appareils télécommandés sont entrés dans l’espace aérien abkhaze. Si la Serbie avait envoyé des drônes au-dessus du Kosovo, tous aurait crié au scandale et décrété que Belgrade violait la souveraineté d’un Etat légitime. Deux poids, deux mesures.

 

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 09  juillet 2009).

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lundi, 29 décembre 2008

Kosovo, Osetia del Sur y Abjasia: precedentes que cambiaron el panorama geopolitico

Kosovo, Osetia del Sur y Abjasia: precedentes que cambiaron el panorama geopolítico

Debido a los acontecimientos de gran envergadura que sucedieron este año bisiesto: las elecciones presidenciales en Rusia, los Juegos Olímpicos en Pekín, la crisis económico-financiera desatada a nivel mundial, la muerte del Patriarca de Moscú y toda Rusia, Alexis II, el 2008 será recordado por millones de personas.

De todas formas, la agresión de Georgia contra Osetia del Sur (Cáucaso del Norte) ocupa un lugar especial en la serie de acontecimientos importantes. Esta tragedia segó las vidas de miles de personas. La agresión agravó la ya delicada situación en esta región clave del planeta y marcó el inicio de los más significativos cambios geopolíticos desde el término de la Segunda Guerra Mundial.


Sobre los planes de Georgia, suministrada por los EE.UU., en lo que respecta al Cáucaso, se sabía ya desde abril. Desde ese entonces la situación en las fronteras entre Georgia y Osetia del Sur era más que alarmante. En la zona de conflicto se concentraron tropas. Las localidades de Osetia del Sur estaban sometidas a un intenso fuego artillero. En las fronteras de Abjasia se respiraba un aire de intranquilidad y nerviosismo. El Ejército georgiano para ese entonces se encontraba en el desfiladero del Kodori, territorio de Abjasia. El denominado “Gobierno legítimo” de Abjasia, reconocido por Tbilisi, declaró que estaba listo para tomar las “riendas del país”. Las provocaciones por parte de Georgia con respecto a las autonomías, no cesaban. Sobre sus espacios aéreos volaban aviones de espionaje no pilotados de procedencia norteamericana, que las autoridades oficiales de Tbilisi los hacían pasar como aviones rusos.

Por televisión Mijaíl Saakashvili aseguraba al pueblo de Osetia que el conflicto se resolvería rápidamente por la vía pacífica. En esos momentos tenía lugar en Pekín la ceremonia de inauguración de los Juegos Olímpicos. Por tradición histórica, debe haber un alto al fuego entre las partes bélicas mientras se llevan a cabo los mencionados juegos. Pero precisamente en esos días por orden del Comandante en Jefe el ejército georgiano sometió a un intenso y masivo fuego artillero a Tsjinvali (capital de Osetia del Sur) y otras localidades surosetas haciendo utilidad de artillería pesada, lanzamisiles múltiples “Grad”, tanques etc. Se inició la operación “campo despejado”. Según los planes de Georgia, en cuestión de 24 horas después de iniciada la operación, Tsjinvali había de desaparecer de la faz de la tierra; y su población, ser eliminada o desterrada. Operación similar se preparaba para atacar a Abjasia, pero la diferencia consistía en que sería de mayor magnitud.

Es curioso saber, ¿en Moscú estarían enterados de la agresión que Georgia tenía en mente?, aunque qué tiene que ver aquí Rusia, si Osetia del Sur y Abjasia forman parte de Georgia. Al juzgar por las innumerables notas diplomáticas que el Ministerio de Relaciones Exteriores de la Federación Rusa envió a Tbilisi; por lo activamente que se discutía en el Consejo de la Federación, en la Duma, el Ministerio de Defensa y las autoridades rusas reiteradas veces intentaron detener el desarrollo de tales acontecimientos; de advertir a Tbilisi sobre las consecuencias de sus acciones.

Moscú advirtió insistentemente al Consejo de Europa, a la ONU, a los líderes de las más grandes potencias sobre la posible complicación de la situación en el Cáucaso. Pero nadie prestaba la debida importancia o Europa se hacía la que no entendía la gravedad de la situación. Como resultado del conflicto armado, en el Cáucaso plenamente tuvo lugar el denominado “efecto dominó” del que ya había advertido Rusia después del precedente de Kosovo. Las consecuencias del conflicto son conocidas. Decenas de soldados del ejército de paz ruso, cientos de soldados georgianos, cientos de civiles murieron. Tsjinvali y muchas localidades de Osetia del Sur quedaron destruidas, decenas de miles de refugiados. Pasará mucho tiempo para reparar los efectos de esta catástrofe humanitaria.

En agosto del presente año, la muerte de miles de civiles de Osetia del Sur fue catalogado por el gobierno de Rusia como “genocidio”. Será o no tal definición, objetiva, el tiempo lo dirá. Las investigaciones oficiales de tales trágicos sucesos en el Cáucaso todavía no están por terminar. Las investigaciones están siendo llevadas tanto por las fuerzas del orden público rusas como por las instituciones europeas. Es muy posible que en el 2009 se de una apreciación jurídica merecida de los nefastos hechos de agosto último y que los culpables sean procesados con todo el peso de ley. Inevitablemente se mencionarán los nombres de los cómplices de Saakashvili que armaron al agresor violando las leyes internacionales en detrimento de la propia seguridad nacional.

Después de lo acontecido en el Cáucaso, la posición inicial de los países occidentales que acusaban a Rusia de agredir a Georgia, cambió radicalmente gracias a los esfuerzos de los diplomáticos rusos y los medios de comunicación. El mismo hecho de que la OTAN no haya incluido en sus filas a Georgia y Ucrania en el 2008, evidencia el cambio de su posición inicial con respecto a Rusia. Países influyentes de la Alianza Atlántica como Gran Bretaña, Francia, Alemania y otros decidieron no incluir a países cuya política haya empeorado la situación político-militar en una región tan importante y estratégica como es el Cáucaso. En sólo 5 días de acciones bélicas no solamente en la región del Cáucaso cambió el panorama geopolítico. En el mapamundi aparecieron dos nuevos Estados: Osetia del Sur y Abjasia. Por primera vez se ven modificadas las fronteras de las repúblicas de la Comunidad de Estados Independientes (CEI), creadas en tiempos soviéticos como intergubernamentales. Apareció un nuevo tipo de formación de Estados: los parcialmente reconocidos. De hecho Osetia del Sur y Abjasia han sido reconocidos de jure por Rusia y algunos otros países. Varios politólogos rusos y occidentales consideran que pasarán unos cuantos años y el número de nuevos estados aumentará. Valga como ejemplo el tema de Kosovo que hasta el día de hoy ha sido reconocido por más de 50 países miembros de la ONU, pero no lo ha sido por dos miembros permanentes del Consejo de Seguridad de esta institución: Rusia y China. Esto significa que Kosovo, al igual que Osetia del Sur y Abjasia, es un estado parcialmente reconocido. La misma definición puede ser aplicada para Chipre del Norte y Taiwán.

Los precedentes de Kosovo, Osetia del Sur y Abjasia contribuyeron a la redefinición del existente sistema de relaciones internacionales y del Derecho Internacional. Ya que en el planeta algunos conflictos “congelados” corren el peligro del “efecto dominó”. Por ejemplo, Pekín teme seriamente al problema de la intensificación de las tendencias separatistas del mismo Taiwán y en la región autónoma de Xingjian Uighur (al oeste de China). En lo que respecta a la CEI podemos citar como ejemplo a Chisinau y Alto Karabaj. En diciembre de este año los rusinos (grupo etnográfico de los ucranianos que habitan en Transcarpatia, región más occidental de Ucrania) anunciaron su deseo de independizarse y crear su propio Estado.

“Los acontecimientos de agosto en el Cáucaso seriamente influenciaron en lo que respecta a los temas de zonas de conflicto en la CEI”, declaró Sergei Markedónov, Jefe del Departamento de problemas de relaciones interétnicos del Instituto de análisis político y militar. La imposición de la paz que se llevó a cabo en el Cáucaso es una señal clara para Bakú en lo que se refiere a su política relativa a Alto Karabaj. Azerbaidzhan ha visto que los intentos de Georgia por resolver de manera unilateral el estatus quo en el Cáucaso, se han encontrado con la fuerte posición de Rusia, y que una política poco perspicaz en lo concerniente al tema de Alto Karabaj puede conducir a malos resultados. Actualmente Bakú tiende a hacer apreciaciones más políticas que militares y optar por métodos más adecuados en su política con respecto a “territorios no reconocidos”.

Según la opinión de Markedónov, se ha presentado también la posibilidad de arreglar otros conflictos en el Cáucaso. Las investigaciones del Instituto de análisis político y militar, demuestran que la proclamación de independencia de Osetia del Sur y de Abjasia en el Cáucaso del Norte, así como el hecho de que Rusia durante el conflicto de agosto haya apoyado a Osetia del Sur y llevado a cabo la operación de imposición de paz, son acogidos absolutamente como correctos.

Dmitri Evláshkov

Extraído de RIA Novosti.

vendredi, 24 octobre 2008

Géopolitique du Caucase

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Géopolitique du Caucase
Revue Hérodote, N°81, octobre 1996, Géopolitique du Caucase.
Les anciens numéros de la revue peuvent être commandés (Editions La Découverte, 9 bis rue Abel-Hovelacque, 75013 Paris).
Les passages écrits en italique sont des citations tirées des articles.

Il ne vous aura pas échappé que la couverture médiatique des récents évènements touchant la Transcaucasie n’est pas particulièrement objective. Notre « presse nationale », c'est-à-dire la grosse presse financée par la publicité et citée dans les médias audio-visuels, apparaît, une fois n’est pas coutume, totalement en accord avec notre président de la république, qui au titre de président tournant de l’union européenne, se fait le porte-parole de la diplomatie confédérale, et au-delà de celle de l’ « Occident », c'est-à-dire des Etats-Unis et d’Israël.

Résumons les griefs tenus par cette grosse presse unanime (comme toujours). Premier grief, les Russes se livrent à des menées impérialistes. Deuxième grief, ils annexent de manière injuste les territoires appartenant à l’Etat libre de Géorgie.

La revue Hérodote, fondée par le géographe Yves Lacoste, ne se veut pas particulièrement engagée. Du moins, on peut affirmer qu’elle n’est, par exemple, en rien « identitaire ».
Elle fait le plus souvent possible appel à des spécialistes, dont les travaux sont peu répercutés par les grands médias qui préfèrent en appeler généralement à la poignée des habituels « experts » hantant depuis des lustres les plateaux des débats télévisés.

Ce numéro 81, dont le titre est Géopolitique du Caucase, est paru en octobre 1996. Il ne suit l’actualité de l’époque que sur un seul point : la situation tchétchène. Les autres mises au point n’intéressant que les spécialistes, le ton en est totalement dépassionné.
Il est donc utile d’avoir recours aujourd’hui à cette référence car elle fait autorité sur le plan scientifique, et comme elle est déjà ancienne, le propos n’est pas pollué par l’excitation des partis pris qui s’expriment aujourd’hui.

La question ethnique est donc évoquée par Stéphane Yérasimos, collaborateur régulier de la revue, sous le titre Transcaucasie : le retour de la Russie.

On y apprend d’abord que les Russes se sont désengagés de la région au moment de la guerre civile de 1918-22. Immédiatement, il y avait eu une invasion turque, poussant à travers l’Arménie jusqu’à Bakou et au-delà vers le Daghestan [versant Nord du Caucase, aujourd’hui inclus dans la fédération de Russie] et une occupation britannique. En somme, la situation est assez proche de celle d’aujourd’hui : soit cette petite région est sous la coupe de la Russie, soit sous celle des thalassocraties anglo-saxonnes qui font sous-traiter leurs affaires par leurs amis musulmans. On pourra par la même, rappeler à nos amis Français atlantistes, que la présence française y était, comme aujourd’hui, à peu près nulle.

La Géorgie fut conquise par les Tsars, perdue quelques années pendant la guerre civile qui suivit la révolution bolchévique, puis réintégrée à l’URSS. On apprend que la Géorgie soviétique comprenait deux républiques autonomes, celles de l’Abkhazie et de l’Adjarie [Sud-Ouest, à la frontière turque], et la région autonome de l’Ossétie du Sud (…).

On apprend également que Les Abkhazes sont un peuple caucasien attesté depuis l’antiquité sur les rivages nord-est de la mer Noire. Il y a donc bien un peuple abkhaze, qui est chez lui en Abkhazie, et qui, conformément au droit des peuples, qui est internationalement reconnu,  a la liberté de disposer de lui-même, c'est-à-dire de proclamer un Etat indépendant. Historiquement, toutefois, leurs princes furent vassaux des rois géorgiens du XIV° eu XIX° siècle. Le pays est ensuite disputé entre les Russes et les Turcs : une bonne partie de la paysannerie s’islamisa à la suite des efforts ottomans visant à freiner la poussée russe.  C’est suite à une révolte contre l’occupation russe en 1866, qu’une majorité des Abkhazes musulmans se réfugia en Turquie et fut remplacée par des Géorgiens, des Russes et des Arméniens. (…) Les Abkhazes constituaient en 1926 environ 20% de la population de leur république. Une fois intégrés à l’empire des Tsars, c’est sous influence géorgienne qu’ils repassèrent : ils durent accepter en 1938 le remplacement de l’alphabet cyrillique –récemment imposé [par les Russes] - par l’alphabet géorgien, tandis qu’en 1945-46 les écoles en langue abkhaze étaient fermées et la radio abkhaze cessait d’émettre. Ce qui menace l’identité de cette minorité dès lors rattachée à la Géorgie, c’est, tout comme aujourd’hui, l’impérialisme géorgien. Comme les plus chauds partisans des Turcs ont quitté le pays pour se fondre dans l’empire ottoman, ceux des Abkhazes qui demeurent dans leur pays, tant chrétiens que musulmans, se tournent plutôt vers la Russie, considérée désormais comme une puissance tutélaire mais plus comme une menace : ils lancent en 1978 la première campagne pour la sécession de leur république et son rattachement à la fédération russe. Plus tard, grâce à la perestroïka, le Forum Abkhaze, en mai 1989 organise (…) une manifestation qui réunit quelques 30 000 personnes, lesquelles signent une pétition demandant que l’Abkhazie devienne un Etat de l’Union soviétique. Ces mouvements sont en Géorgie, déjà, perçus comme autant de cinquièmes colonnes manipulées par Moscou. En juillet 1989, Abkhazes et Géorgiens s’affrontent en Abkhazie. Les premiers en appellent à la solidarité de tous les peuples du Nord Caucase et à l’arbitrage de Moscou. Yérasimos conclut : on voit apparaître la double constante de l’association d’intérêts des peuples du Nord-Caucase (…) : fidélité à la Russie, et opposition à l’ « impérialisme géorgien ».

Le second peuple secouru par la Russie au mois d’août 2008 est celui des Ossètes du Sud.
Les Ossètes, seul peuple du nord du Caucase à langue indo-européenne (de la branche iranienne) et en grande partie chrétiens (…) sont des descendants des Alains, peuple qui s’installa au VI° siècle sur le versant nord [du Caucase] et descendirent progressivement à partir du XVIII°siècle vers le sud (…).

Le même scénario que celui observé pour les Abkhazes se déroule au moment du délitement de l’autorité soviétique. Au printemps 1989, le Front populaire ossète, nouvellement constitué, alarmé des mesures nationalistes du Parti communiste géorgien (…) annonçait son appui au mouvement abkhaze, s’attirant le courroux géorgien. (…) Les « irréconciliables », nationalistes géorgiens réunis autour de Zviad Gamsakhourdia, provoqueront les premiers affontements avec les Ossètes (…). Quatre cents cars remplis de sympathisants des « irréconciliables », (…) convergeaient vers Tskhinvali, capitale de l’Ossétie du Sud. Et déjà, tout comme aujourd’hui, les troupes soviétiques prévinrent un affrontement direct, mais les attaques continuèrent pendant les mois suivants, les Ossètes accusant les Géorgiens d’ « atrocités ». Déjà, les Abkhazes et les Ossètes (…) votent l’indépendance de leurs républiques, tout en demandant leur adhésion à ce titre à l’Union soviétique. (…)Mikhaïl Gorbatchev (encensé alors par la grosse presse occidentale autant que Poutine est par elle aujourd’hui décrié) répliqua par un décret déclarant cette abolition inconstitutionnelle et demandant le retrait des troupes géorgiennes de la région. Déjà, Tbilissi refusa de s’y soumettre (…) et la guérilla devint endémique en Ossétie du Sud. Des centaines de personnes furent tuées et des milliers d’Ossètes se réfugièrent en Ossétie du Nord (territoire administrativement russe). Dans ces conditions, Abkhazes et Ossètes votèrent massivement au référendum du 17 mars 1991 pour le maintien de l’Union soviétique, sans doute pas par conviction communiste, mais bien plutôt pour continuer de bénéficier de la protection des Russes. Pour s’affranchir de Moscou, le président géorgien Gamsakhourdia semblait envisager la création d’un commonwealth caucasien, en prenant contact avec l’indépendantiste tchétchène Djokar Doudaev. Or, le soulèvement tchétchène au Nord Caucase, sur fond d’islamisme, est alors un souci pour Moscou. La Géorgie, pourtant chrétienne, s’engage donc dans un mouvement de rapprochement avec des puissances musulmanes. N’oublions pas que son peuple, chrétien, a subi longtemps le joug ottoman. Aussi, le despotisme de Gamsakhourdia provoquait l’opposition de la classe politique géorgienne.

Après avoir évoqué la renaissance du sentiment national en Abkhazie et Ossétie, il convient de traiter de la géopolitique de la Russie dans cette région.  

Un article très détaillé de Viatcheslav Avioutskii, du centre de recherches et d’analyses géopolitiques de l’université Paris VIII, traite, dans le même revue cette question, en étudiant le cas des Cosaques du Nord-Caucase.

Peut-être est-il ici nécessaire de préciser que la Russie est un Etat sans frontières naturelles, qui parti des clairières de la petite Moscovie s’est étendu sur une large partie de l’Eurosibérie, devenant ainsi le premier Etat du monde par sa superficie. Le moteur de cette expansion formidable fut en grande partie les communautés cosaques : c’est initialement sur les confins de l’Empire russe, en Ukraine (…) puis dans le sud de la plaine russe, au contact –plus ou moins conflictuel- avec des peuples nomades ou semi-nomades, que se constituèrent des groupes armés(…). Ils ont marqué par les lignes de leurs stanitsas [établissements], la progression de l’Empire russe. Les anciennes lignes cosaques marquent les limites (…) de la zone de peuplement à majorité russe, face à la périphérie asiatique ou caucasienne. (…)Pour résumer 400 ans de colonisation cosaque du Nord-Caucase, ce limes [ligne fortifiée semblable à la frontière de l’empire romain] suivait l’avancée des troupes des tsars vers le sud. La veille de la Première Guerre mondiale fut l’apogée de la progression cosaque. Même en période de paix, les « allogènes » (sic, il s’agit en fait des indigènes) habitaient dans des sortes de « réserves » (…). La Révolution, suivie d’une guerre civile particulièrement sanglante, a mis fin à la prospérité des cosaques. (…)Les bolchéviks (…) ont organisé les déplacements des stanitsas cosaques et le transfert de leurs terres aux montagnards [musulmans caucasiens]. (…) A l’époque bolchévique, la descente des montagnards vers les plaines s’intensifie. (…) Selon l’ataman [chef] des cosaques de Stavropol, Piotr Fedossov, en déportant les cosaques de la Sounja (district de Prigorodny en Ossétie du Nord), et en détruisant par là les « barrages » entre les ethnies adverses, une mine à retardement a été déposée sur les conflits ethniques actuels. Mais selon lui, les cosaques restent le seul « berceau historique » des Russes dans le piémont caucasien et la seule barrière contenant l’avancée du « Sud asiatique » vers le « Nord industriel et civilisé ». L’actuelle renaissance des cosaques s’explique par la tendance instinctive des Russes à reconstituer le limes les séparant des ethnies musulmanes. (…)Les cosaques se considèrent comme les défenseurs des Slaves.

Dans le Caucase, les cosaques ont pris le parti des Ossètes, non seulement parce qu’ils partagent la même religion, mais parce qu’ils étaient alliés depuis l’époque de la grande guerre caucasienne [fin du XIX°s.]. Avant la révolution de 1917, Mozdok [forteresse et centre spirituel orthodoxe sur la rive gauche du fleuve Terek] était le lieu où se trouvait l’icône sacrée de la Mère de Dieu de l’Ivérie (nom ancien de la Géorgie). Il existait en Russie quatre principales icônes : celles protégeant contre les invasions des ennemis venant de quatre directions, dont les plus célèbres étaient l’icône de la Mère de Dieu de Kazan, protégeant la Sainte Russie des invasions venant de l’est, et l’icône sacrée de la Mère de Dieu de l’Ivérie, gardant les frontières du sud de la Russie. L’Ossétie orthodoxe représente un barrage aux liaisons entre les deux parties musulmanes du Caucase. Elle sert aussi de pont entre la Transcaucasie chrétienne (la Géorgie et l’Arménie) et la Russie orthodoxe. La route militaire géorgienne traverse l’Ossétie du Nord. Elle représente la voie la plus importante de pénétration des Russes en Transcaucasie. (…) Pendant le conflit armé entre Tskhinvali [Ossétie du sud] et Tbilissi [Géorgie] - cf. précédent paragraphe -, L’Ossétie du Nord a fourni des armes, des volontaires et a accueilli 100 000 réfugiés. Aujourd’hui [1996], les troupes russes, séparant les deux parties en conflit à Tskhinvali [comme en 2008 !] place en fait la situation sous la férule directe de Vladikavkaz [ville et place forte russe du côté nord de la chaîne du Caucase], car l’Ossétie du Sud souhaite réellement son intégration à la fédération de Russie [comme aujourd’hui]. En réalité, tout cela sous-entend la réunification des deux Osséties et la modification de l’équilibre des forces dans tout le Caucase.
Pour résumer, le « cordon ombilical » de l’orthodoxie constituera, comme autrefois, un vecteur de force par le biais duquel la Russie pourra contenir la poussée turque vers la Transcaucasie (…).

Résumons, également. Tout d’abord, les deux peuples secourus cet été par les Russes, à savoir les Abkhazes et les Ossètes du sud, ont droit, comme tout peuple à leur indépendance : une terre, un peuple ! Il n’y aurait là un problème en droit international, que si l’on s’attachait au dogme de l’intangibilité des frontières. Mais, les « Occidentaux » ont montré que ce dogme n’était plus d’actualité, en arrachant le Kosovo à la Serbie (cf. Terre et Peuple, solstice d’hiver 2006). Dès lors, comment justifier que ce qui vaut pour les musulmans kosovars (pourtant devenus majoritaires très récemment et dans des conditions plus que discutables) serait interdit à des Ossètes chrétiens ? Rappelons par ailleurs que la Russie n’a pas de visée annexionniste sur le reste de la Géorgie, puisque les troupes qui s’y trouvaient au mois d’août évacuent les lieux.

Ensuite, on aura constaté bien sûr que le peuple russe a connu une expansion territoriale remarquable depuis les clairières de Moscovie jusqu’à l’empire des Tsars. Mais sans la présence des Russes, ces vastes territoires n’auraient pas été laissés à l’abandon. D’autres peuples les ont d’ailleurs occupé autrefois, particulièrement les nomades turcophones, qui menacèrent l’Europe au XIII°siècle, et l’envahirent au V° : sans l’union des Romains d’Aetius et des Germains, sans le coup d’arrêt des champs catalauniques (près de Chalons en Champagne) en 451 qui vit le recul des Huns d’Attila, qui sait si l’Europe aurait survécu ? Après eux, ce sont les Turcs musulmans qui occupèrent l’Ukraine et la Russie du sud. Et au moindre recul des Russes (comme en 1918, cf. plus haut), ce sont à nouveau eux qui déferlèrent sur la région. Le peuple géorgien, peuple européen qui mérite amitié et respect, doit méditer cela, lui qui a subi aussi la longue nuit du joug ottoman. Pour quelques royalties obtenues grâce au passage d’un gazoduc sur son territoire, il risque d’entrer durablement dans l’orbite turque, et pour longtemps ; ce ne sont pas les Anglo-saxons qui se sacrifieraient pour l’en délivrer ; ses voisins Arméniens l’ont bien compris, qui eux, sont fidèles à l’alliance avec Moscou.

Il convient donc de faire des choix. En quoi la présence d’un peuple blanc indo-européen et chrétien sur ce vaste glacis de l’Eurasie gênerait-il les Européens de l’Ouest ?  Sont-ce les Russes qui nous dictent notre politique ? qui nous inondent de leurs films ? qui nous colonisent au moyen de migrations de masse ? qui nous imposent de reconnaître des enclaves musulmanes en Europe balkanique ? qui nous imposent d’intégrer la Turquie en Europe ?

S’informer sérieusement, c’est se donner les moyens de répondre à ces questions, c’est se donner les moyens de choisir librement son destin.

Robert Dragan.

 

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lundi, 20 octobre 2008

T&P: La Russie est de retour




Volonté

Les Géorgiens avaient des armes américaines (et israéliennes). Elles ont été récupérées par les Ossètes, les Abkhazes et les Russes. Les Géorgiens avaient oublié un détail : malgré ce qu’ils leur avaient laissé croire, ces Américains qui leur ont obligeamment donné des armes n’allaient certainement pas s’en servir eux-mêmes. Pour deux raisons simples : d’une part ils préfèrent que d’autres prennent les coups à leur place (voir les tués français d’Afghanistan), d’autre part ils n’ont pas les moyens d’intervenir militairement dans le Caucase. En effet leur volonté d’hégémonie mondiale, qui reste entière (voir les déclarations d’Obama et de Mc Cain), est aujourd’hui bloquée par les bourbiers irakien et afghan, dans lesquels les Yankees ont englué l’essentiel de leurs forces disponibles. Il leur reste donc la solution de pousser en avant leurs marionnettes- mercenaires. Comme au Kosovo. Comme en Ukraine. Comme en Pologne.

Seulement, voilà. Les occidentaux ont cru, ou voulu croire qu’il y avait simple rodomontade lorsque Poutine a annoncé, avec son franc parler habituel, que le Kosovo était « un boomerang qui allait leur revenir dans la gueule ». Paroles verbales,  comme disait l’autre ? Le président Medvedev explique posément que le boomerang a fonctionné : « Sans tenir compte des avertissements de la Russie, les pays occidentaux se sont précipités pour reconnaître la proclamation illégale d’indépendance du Kosovo à l’égard de la Serbie (…) Nous avons dit régulièrement qu’il serait impossible, après cela, de dire aux Abkhazes et aux Ossètes (…) que ce qui a été bon  pour les Albanais du Kosovo ne l’est pas pour eux ».

Cette tranquille leçon de logique provoque la vertueuse indignation de l’éditorialiste du Monde (28 août) qui accuse les chefs russes de vouloir « refaire l’Empire ». Oui. Bien sûr. Et alors ? Il serait interdit aux Russes de faire ce qu’ont fait les Yankees et ce que s’apprêtent à faire les Chinois ? Au nom de quoi ? De la « démocratie » ? Cette tartufferie bouffonne qui, toujours et partout, est là pour justifier la dictature du fric ?

Les Russes mettent en application une maxime que nous aimons bien : là où il y a une volonté, il y a un chemin. Voilà ce que doivent avoir en tête, en permanence, ceux qui n’acceptent pas l’inacceptable – que ce soit la dictature de l’argent, du politiquement correct et de l’idéologie cosmopolite, l’invasion-occupation de notre terre par des peuples qui n’ont rien de commun avec nous, le lâche renoncement de trop de Gaulois vautrés dans les illusions d’un confort qui n’est, contrairement à ce qu’ils veulent croire, qu’un mirage provisoire.

Les zélotes de l’idéologie en place, exemplairement représentés par un Kouchner, jouent à faire peur aux braves gens : si vous n’êtes pas sages – c’est à dire si vous n’êtes pas les esclaves consentants de ce que nous représentons – vous aurez droit à l’Apocalypse. Ce qu’ils appellent l’Apocalypse, c’est la minute de vérité où les lois de la nature, les réalités environnementales, biologiques et ethniques vont reprendre leurs droits. De toutes nos forces, préparons cet instant béni.

                                                                              Pierre VIAL 

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mardi, 14 octobre 2008

Les Ossètes ont manifesté à Strasbourg

LES OSSETES ONT MANIFESTE A STRASBOURG POUR LA VERITE

Les Ossètes ont manifesté durant près d’une semaine devant le conseil de l’Europe à Strasbourg. Le lundi 30 septembre, les membres de cette petite communauté étaient près d’une centaine, venus de Paris, Bordeaux, Lyon en autocar mais aussi d’Allemagne ou directement d’Ossétie. Parmi eux se trouvaient aussi quelques Abkhazes, qui ont eux aussi fait sécession de la Géorgie avec le soutien de la Russie. Jusqu’à jeudi les Ossètes qui ont pu rester sur Strasbourg ont continué à brandir leurs couleurs blanche, rouge et jaune face au bâtiment symbole d’une communauté internationale qui, après les Kosovars, fait passer les Géorgiens et leur gouvernement pour des victimes.

Drapeaux au vent et pacifiquement, mais largement entourés de policiers, les Ossètes sont venus tout d’abord exprimer leur indignation suite à la façon honteuse dont le conflit osséto-géorgien (devenu géorgo-russe) a été présenté dans les médias occidentaux, qui n’ont de cesse de distiller une propagande anti-russe. Celle-ci visait et vise toujours à faire passer les Russes pour les bourreaux des Géorgiens, alors qu’en intervenant la Russie a sauvé le peuple ossète d’un génocide certain. Certes, derrière cela, il y a des intérêts géostratégiques évident pour la Russie en Abhkazie et en Ossétie, mais ce fait ne doit pas en occulter un autre : les Géorgiens n’ont eu de cesse de tenter d’éliminer culturellement mais aussi physiquement les Ossètes, sans que cela n’ait pour autant dérangé ni le Conseil de l’Europe, ni l’Union européenne, ni la Cour européenne des Droits de l’Homme. Les Géorgiens ont toujours refusé aux Ossètes non pas seulement l’indépendance, mais aussi la simple autonomie, niant leur existence même sur le territoire géorgien. Cette rhétorique nationaliste que l’Une et indivisible France jacobine ne renierait pas a engendré le pilonnement de Tskhinvali (capitale de l’Ossétie) du 8 août 2008, justifiant l’intervention russe. La France, inspirée par le nationalisme de Rénan qui voit la Nation comme un “plébiscite de tous les jours”, n’a pas d’ailleurs pas daigné accorder d’importance au référendum de 2006 au cours duquel 90% des Ossètes se sont prononcés en faveur de l’indépendance. Sarkozy, en bon jacobin, s’est indigné que l’”intégrité territoriale” de la Géorgie ne soit pas respectée, preuve encore s’il en est que les beaux principes intellectuels de la République n’ont de valeur que quand elle y trouve son intérêt…

La Géorgie se réarmait activement depuis 2006, avec l’aide des Etats-Unis, dissimulée dans un “programme d’assistance militaire aux pays étrangers”, 93 millions de dollars ayant été transférés vers un “fond pour le développement de l’armée géorgienne” (Sakartvelos Jaris Ganvitarebis Fondi Angarishis nomeri : 140070276 for USD transfer : intermediary Citibank N.A. 111). L’armée géorgienne a été entraînée par des instructeurs Américains, des Israéliens mais aussi des Polonais, des Turcs ou des Bulgares. Une semaine avant l’opération en Ossétie ce sont des troupes spéciales du ministère de la défense ukrainien et même des mercenaires d’Afrique et d’Asie qui sont arrivés en Géorgie. On peut se douter qu’ils ne comptaient pas y faire du tourisme !

Il y a donc eu un véritable contrat pour éliminer les irrévérencieux ossètes, ce contrat a échoué grâce à la résistance de la jeunesse de Tskhinvali arme à la main et à l’arrivée des troupes russes qui ont évité un véritable génocide. Et notons à quelle point la perfidie fut poussée à travers un exemple concret : des images diffusées à la télévision sous l’appellation de Gori (ville géorgienne) étaient en fait celles de la capitale ossète détruite, comme l’a notamment souligné Dimitri, membre de l’association Ossetia Accuses, dont de nombreux manifestants portaient le t-shirt. Evidemment, puisque peu de monde connaît les immeubles de la ville ossète, la manipulation est passée comme une lettre à la poste et les gens, qui n’avaient pour la plupart jamais entendu parler de l’Ossétie auparavant, n’y ont vu que du feu et ont eu avant de l’empathie pour les civils géorgiens. Le livre South Ossetia, Chronicle of Contract Murder édité par le mouvement Soprotivlenie est un bon support pour ceux qui voudraient aller plus loin pour comprendre la vaste manipulation médiatique.

Voici donc la véritable histoire de ce conflit, l’histoire que les médias se contentent de taire, en insistant sur les représailles russes et en ne mettant pas instant en avant le caractère légitime de la riposte de Medvedev et Poutine. D’ailleurs, pour la manifestation des Ossètes, les médias français n’étaient pas là, ils avaient pourtant été prévenus. A part quatre lignes méprisantes des DNA dans un article sur les débats au Conseil de l’Europe à propos du conflit, aucune mention n’est faite dans la presse française de cette manifestation, aucun journaliste n’est venu interviewer ces gens qui ont parfois traversé l’Europe pour exprimer ce sentiment d’injustice qu’ils ont sur le coeur. Il fallait compter sur Ria Novosti, agence russe d’information internationale, pour relayer l’information. On peut aisément imaginer que si une dizaine de Kosovars en avaient fait de même il y a quelques années les medias français se seraient précipités. La télévision russe a quant à elle interviewé les manifestants et des députés présents au Conseil de l’Europe sont venus leur apporter leur soutien.

Comme les Ossètes l’avaient prévu lundi, les Géorgiens sont venus contre-manifester les jours suivants. Ossètes 042.JPGPlus nombreux que les Ossètes - la communauté géorgienne sur place est naturellement plus importante - ils ont tenté de les provoquer mais les Ossètes n’ont pas répliqué aux provocations nationalistes des Géorgiens, qui bien sûr traitaient Vladimir Poutine de “facho” et se faisaient passer pour les victimes. Comme leur obséquieux Président, Saakachvili, ils jouent la carte de l’Union Européenne à fond, puisque celle-ci a malheureusement choisi d’être anti-russe et pro-américaine. Ils avaient donc un drapeau de l’Union européenne mais aussi un drapeau tricolore français, histoire probablement de montrer leur admiration à la République française qui a su par le biais d’un génocide culturel réprimer les identités que l’on appelle sobrement “régionales”.

D’un point de vue d’Alsacien et d’Européen plus généralement, il fut intéressant de partager avec les Ossètes l’histoire de l’Alsace et une vision de l’Europe. C’est dans ces moments d’échanges humains riches que l’on se rend compte que l’Union Européenne prend le mauvais chemin mais que la Russie ne doit pas se détourner de l’Europe pour autant. Au contraire, elle devrait avoir un rôle de moteur dans une Europe que l’on rêve forte, et son fédéralisme devrait être un modèle à suivre. On se rend compte aussi que nos histoires se ressemblent et qu’elles ont façonné tant une vision communautaire que tolérante entre peuples européens, broyés par les machines étatiques administratives et les nationalismes expansionnistes.

Les Ossètes ont découvert qu’en Alsace qu’il y avait un drapeau historique (Rot un Wiss et drapeau ossète ont d’ailleurs flotté côte à côte !), une tradition de résistance au centralisme et surtout une langue, l’alsacien. Et les Bretons découvriront quant à eux que certains mots de leur langue viennent de l’ossète !

mercredi, 08 octobre 2008

E. Todd: la Russie n'est pas une menace pour l'Europe de l'Ouest

emmanuel-todd_pf.jpg

Emmanuel Todd : la Russie n’est pas une menace pour l’Europe de l’Ouest
5 octobre 2008

Emmanuel  Todd  plaide  pour une approche plus équilibrée envers la Russie.
L’interdépendance  géopolitique  entre  l’UE  et  cette grande nation et la
redistribution  des rapports de forces entre nations développées et nations
émergentes  devraient  nous  conduire  à nous rapprocher de la Russie, dont
selon  lui  «  l’histoire  démontre que sa vision du monde est spontanément
égalitaire  et  multipolaire.  A  l’inverse  des Etats-Unis qui se trouvent
aujourd’hui  dans  un  rapport asymétrique d’exploitation du monde. » Il en
déplore d’autant plus le récent tropisme Atlantique français alors même que
la  prééminence  des  USA est compromise. « La France aurait dû s’en rendre
compte  et  se  rapprocher  des  puissances émergentes plutôt que de suivre
l’Amérique dans une sorte de crispation « occidentaliste ». Le gouvernement
français  me  fait  penser à un rat qui monterait sur un navire en train de
couler. »

Emmanuel Todd s’entretient avec Inna Soldatenko, le Courrier de Russie,
30
Septembre 2008

Le Courrier de Russie : A qui faut-il imputer la faute dans la crise
géorgienne ? Aux Russes, aux Géorgiens ou aux Ossètes ?

Emmanuel Todd : Je propose d’observer le problème de la crise géorgienne
d’une façon plus large, dans le cadre des enjeux géopolitiques
internationaux. Il faut se rappeler qu’après la chute de l’URSS et le repli
stratégique de la Russie, les Etats-Unis sont devenus l’unique
superpuissance mondiale. Ils ont adopté, à partir de 1996-97 un
comportement agressif vis-à-vis d’autres pays du monde. On en a vu les
manifestations dans l’invasion de l’Irak, dans la campagne anti-iranienne
de l’administration américaine ou encore dans l’attaque menée par Israël,
pays satellite des Etats-Unis, au sud-Liban. La crise géorgienne n’est
qu’une étape supplémentaire dans cette séquence agressive du système
américain.

LCDR : Pourquoi une telle hostilité ?

E.T. : Les Etats-Unis se comportent de façon agressive parce qu’ils sentent
leur puissance s’affaiblir. Le monde américain subit une crise économique,
sociale et culturelle grave. L’effondrement financier actuel n’en est
qu’une nouvelle preuve. Entre-temps, nous observons d’autres pays du monde
regagner leur puissance. On assiste à une montée spectaculaire de l’Inde et
de la Chine. On voit également le rétablissement de la Russie qui retrouve
son équilibre économique et enregistre des taux de croissance élevés. Le
monde change à grande vitesse, mais tous ne s’en rendent pas compte. On
trouve encore beaucoup de gens inconscients du déclin industriel des
Etats-Unis et de la fragilité de leur système. Ce fut justement le cas des
Géorgiens qui se sont lancés dans la conquête de l’Ossétie se croyant
soutenus par le camp « occidental » mais se sont retrouvés victimes de
l’impuissance matérielle de leur allié américain. Mikhaïl Saakachvili a
sous-éstimé la nouvelle capacité d’action de la Russie. Celle-ci ne
souhaite pas voir l’OTAN s’installer à toutes ses frontières et n’hésite
plus pas à utiliser son armée pour faire entendre son « non ».

LCDR : Croyez-vous que les Etats-Unis aient incité la Géorgie à attaquer
l’Ossétie ?

E.T. : On ne sait pas exactement comment la décision a été prise et,
probablement ne le saura-t-on jamais. Mais la vraie question, c’est comment
la Géorgie a-t-elle pu s’imaginer qu’elle allait faire plier la Russie ?
Comment Saakachvili a-t-il pu envoyer ses troupes en Ossétie, alors que la
partie la mieux équipée de l’armée géorgienne était en train de soutenir
les Américains en Irak ?

LCDR : Pourtant, la Géorgie a été écrasée par l’armée russe et les
Etats-Unis, à supposer qu’ils ont effectivement joué un rôle dans le
conflit, auraient dû prévoir ce scénario...

E.T. : Il faut se rappeler que l’on ne connaît toujours pas l’issue de la
crise. Elle semble avoir conduit les Polonais à finalement accepter
l’installation du système anti-missile américain sur leur territoire. Elle
pourrait pousser les gouvernements européens à affaiblir leurs liens avec
la Russie et se rapprocher encore plus des Etats-Unis. Qui sait si les
stratèges américains n’ont pas espéré entraîner la Russie elle-même dans
une séquence agressive, la conduisant à adopter une posture revancharde et
conquérante nuisible à son statut international. L’administration
américaine aurait pu sacrifier le pion géorgien pour améliorer sa situation
sur la scène internationale. Les Américains jouent au poker, vous savez.
Les Russes jouent aux échecs. Ils ont pris le pion géorgien, montré que
l’Amérique ne les impressionnait plus, mais ils ont fait du maintien de
relations paisibles et utiles avec l’Europe de l’Ouest leur priorité.

LCDR : Comment expliquer la réaction de l’Europe au conflit géorgien ?

E.T. : Les gouvernements européens sont pris dans un dilemme entre les
intérêts de leurs peuples et ceux de leurs élites. Ce n’est pas un grand
secret : les oligarchies occidentales sympathisent avec les Américains et
soutiennent leur politique. Les peuples européens non. L’intérêt
géopolitique de la France en tant que puissance moyenne et européenne
serait une entente cordiale et stratégique avec la Russie.

LCDR : Pourtant, dans la société occidentale, on parle plus souvent de la
menace russe...

E.T. : La Russie n’est pas une menace pour l’Europe de l’Ouest. Je dis
consciemment « Europe de l’Ouest » parce que les Russes sont des Européens.
La Russie a terriblement souffert de la deuxième guerre mondiale et ne
cherchera pas, j’en suis convaincu, à déclencher de nouveaux conflits. La
Russie a par ailleurs constaté, du temps de l’URSS, que l’Empire était une
entreprise peu rentable. Son déclin démographique interdit de toute façon
un fantasme expansionniste. La menace militaire russe est un mythe. La mise
au pas de la minuscule Géorgie ne démontre pas que l’armée russe est
toute-puissante. Elle démontre simplement que, dans le Caucase, la
puissance militaire américaine n’existe pas.

LCDR : Mais outre la sécurité militaire, il existe la sécurité
énergétique...

E.T. : Il ne faut pas oublier que la Russie et l’Europe de l’Ouest se
retrouvent en état d’interdépendance. L’Europe a toujours besoin du gaz
russe, mais la Russie a besoin des biens d’équipement européens, de
technologies et de savoir-faire. Et ce n’est pas par hasard que les
producteurs d’automobiles européens s’implantent en Russie et y travaillent
avec beaucoup de succès.

LCDR : Si la France est intéressée à maintenir ses liens avec la Russie,
pourquoi la presse occidentale adopte-t-elle une attitude aussi critique à
son égard, notamment dans la couverture du conflit géorgien ?

E.T. : Les journalistes européens se montrent souvent hostiles à l’égard de
la Russie au nom d’une sorte de maximalisme libéral. Peu conscients de ce
qu’ils vivent eux-mêmes dans des systèmes certes forts libéraux, mais de
plus en plus inégalitaires, oligarchiques même, ils se croient obligés
d’exiger, hors de chez eux, des démocraties parfaites, tout de suite,
indépendamment du contexte économique ou social de transition. Avouons le
aussi, les journalistes européens sont rarement compétents en géopolitique.
Il sont souvent très naïfs. On pourrait aussi citer comme explication le
peu d’efforts du Kremlin visant à séduire la presse occidentale. Habitués à
l’attitude beaucoup plus séductrice de leurs propres hommes politiques, les
journalistes européens et américains ne peuvent qu’être déçus par ce manque
de ménagements. Pourtant, je peux vous assurer qu’en France, dans la
communauté des experts, on trouve beaucoup de personnes qualifiées qui
apprécient à sa juste valeur le rôle de la Russie dans le rétablissement de
l’équilibre mondial.

LCDR : On trouve beaucoup d’adeptes de l’idée selon laquelle la Russie
porte toujours l’héritage de l’Empire du Mal qu’elle représentait encore il
y a une trentaine d’années...

E.T. : Quant à moi, je considère que la Russie a joué un rôle plutôt
positif dans l’histoire universelle. J’appartiens à la génération qui se
rappelle encore que l’issue de la deuxième guerre mondiale s’est jouée à
Stalingrad et que c’est aux Russes que nous devons notre liberté.
L’histoire de la Russie démontre que sa vision du monde est spontanément
égalitaire et multipolaire. A l’inverse des Etats-Unis qui se trouvent
aujourd’hui dans un rapport asymétrique d’exploitation du monde. La France
aurait dû s’en rendre compte et se rapprocher des puissances émergentes
plutôt que de suivre l’Amérique dans une sorte de crispation «
occidentaliste ». Le gouvernement français me fait penser à un rat qui
monterait sur un navire en train de couler.

LCDR : Les Russes, ont-ils eu raison de reconnaître l’indépendance de
l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud ?

E.T. : Bien évidemment.

LCDR : Pourtant, juridiquement, ce sont deux provinces géorgiennes...

E.T. : Dans le cas de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud, nous assistions à
une non coïncidence devenue dramatique entre l’état des faits réels et
l’état juridique. Les populations de ces deux pays ne souhaitent pas être
géorgiennes. Au stade actuel, la seule solution de paix à long terme est
l’acceptation de la réa-lité. Sinon, le gouvernement géorgien va continuer
d’envisager des solutions violentes, de domination ou même de nettoyage
ethnique. Or l’intérêt réel des Géorgiens c’est la paix, le développement
économique et une relation stable et positive avec la Russie dont ils ont
tant besoin. En reconnaissant l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud, les Européens
de l’Ouest libéreraient les Géorgiens eux-mêmes du fardeau de leur histoire
et de leur rancune.

LCDR : La France devrait-elle reconnaître l’indépendance de ces deux états
?

E.T. : C’est mon souhait le plus cher. Si je deviens président de la
République, ce sera l’une de mes premières décisions.

00:35 Publié dans Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (3) | Tags : russie, actualité, géorgie, ossétie, abkhazie, mer noire, france | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

lundi, 29 septembre 2008

Deux parlementaires belges accusent la Géorgie de crimes de guerre

 

Deux parlementaires belges

 

 

accusent la Géorgie de crimes de guerre

 

 

Christine Defraigne.
Josy Dubié.

7S7 mise à jour   Deux parlementaires belges accusent la Géorgie du président Mikhaïl Saakashvili de "crimes de guerre" en Ossétie du sud, qualifiant Tbilissi d'"agresseur" dans le conflit intervenu au mois d'août dans le Caucase.

"Il y a bien eu crime de guerre"
"Il me semble effectivement établi qu'il y a bien eu crime de guerre", a indiqué jeudi le sénateur Josy Dubié (Ecolo) rejoint à cet égard par sa collègue Christine Defraigne, chef de groupe MR à la Haute assemblée. Les deux parlementaires demandent une enquête internationale, estimant que la Cour pénale internationale doit être saisie.

Mme Defraigne et M. Dubié se sont rendus cinq jours en Ossétie du sud dans le cadre d'une mission qu'ils qualifient d'indépendante.
Dénonçant un contexte de désinformation, notamment dans le chef de la presse occidentale, ils ont organisé jeudi au parlement une conférence de presse intitulée "La vérité a ses droits". Les deux parlementaires pointent Tbilissi comme premier responsable du conflit avec la Russie.

Saakashvili "instigateur" de l'invasion
"Nous concluons sans hésitation, sans ambages que ce sont les Géorgiens qui sont l'agresseur", a notamment indiqué Christine Defraigne, présentant le président Saakashvili comme "l'instigateur de cette invasion brutale qui s'est accompagnée de violations du droit international".

Les deux sénateurs disent avoir recueilli suffisamment de témoignages et constaté sur place les conséquences de bombardements intensifs et répétés, dans le chef de l'armée géorgienne, visant des logements habités par des civils, un hôpital, un jardin d'enfants, des réfugiés en fuite, un bâtiment de la Croix rouge, une caserne abritant des "peace-keepers russes", et le parlement ossète dont il ne reste plus que les murs.

Civils délibérément visés
"Le quartier juif à Tskhinvali, la capitale ossète, a été complètement détruit à l'exception de la synagogue", ont-ils relevé. "Nous avons constaté la destruction quasi-complète d'un village dénommé Tsunar et d'un autre, Kmitogurovo", ont-ils précisé. Selon Josy Dubié, les traces de char repérées dans ce dernier village et les témoignages attestent de ce que les forces géorgiennes ont délibérément visé des habitations qui n'étaient pas vides, et qui n'abritaient pas de militaires.

Compte tenu de ce qu'ils ont vu et entendu, les parlementaires belges ont estimé "vraisemblables" le nombre de 1.500 victimes russes et ossètes avancé par les autorités locales. Mme Defraigne et M. Dubié ont été en mesure d'examiner une partie de l'armement géorgien pris par les Russes. Selon eux, il s'agit de matériel sophistiqué. Ils ont notamment du matériel léger américain, cinq chars T72 de dernière génération fabriqués en Ukraine, équipés de matériel de visée nocturne israélien, ont-ils dit.

Une enquête auto-financée et indépendante
Les sénateurs ont dit avoir pu agir en toute liberté durant leur enquête, et ont assuré avoir financé eux-mêmes leurs déplacements. Ils ont tenu à remettre les pendules à l'heure quant aux origines du conflit en Ossétie du sud, l'exactitude des faits perpétrés et la responsabilité des exactions. Les sénateurs ont dénoncé la "désinformation" à l'oeuvre dans les médias occidentaux mais aussi dans le chef de responsables politiques.

Une délégation de parlementaires belges composée d'Anne-Marie Lizin (PS), Jean-Luc Crucke (MR) et Sabine de Béthune (CD&V), avait dénoncé l'installation de l'armée russe en territoire géorgien. "Chacun sa sensibilité, on ne peut pas la leur reprocher vu l'importance de la propagande organisée par M. Saakashvili", a indiqué Mme Defraigne, épinglant par ailleurs "une propension européenne à exprimer généralement une sensibilité plutôt pro-américaine".

"Nous ne sommes pas des agents du FSB"
Les deux élus se sont défendus d'exprimer un point de vue unilatéral pro-russe. "Nous ne sommes pas des agents du FSB", ont-ils souligné, rappelant qu'ils avaient dénoncé la situation des droits de l'Homme en Russie et la politique poursuivie par Moscou en Tchétchénie. "Et nous continuerons à le faire. Mais il faut aussi savoir reconnaître quand les choses évoluent dans le bon sens", ont-ils dit, soulignant par ailleurs qu'ils se sont rendus à Beslan durant leur séjour, où, selon eux, la population s'exprime aujourd'hui librement, n'hésitant pas, notamment, à critiquer ouvertement le Premier ministre Vladimir Poutine.

Mme Defraigne et M. Dubié sont d'avis que la Belgique devrait participer à la mission d'observation européenne en Géorgie, le ministre des Affaires étrangères, Karel De Gucht étant réticent à cet égard. Les deux sénateurs divergent en revanche dans leur rapport quant à l'idée de reconnaître l'indépendance de l'Ossétie du sud comme l'a fait la Russie. "C'est clairement non", a indiqué jeudi Josy Dubié justifiant son point de vue par la nécessité de respecter le droit international (M. Dubié rappelle qu'il était contre la reconnaissance du Kosovo). Mme Defraigne est plus nuancée. "Peut-on retirer aux peuples le droit de vouloir disposer d'eux-mêmes pour autant que le processus soit pacifique?", s'interroge-t-elle. (belga/7sur7)

13:28 Publié dans Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (1) | Tags : belgique, mr, ecolo, géorgie, ossétie, abkhazie, russie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

samedi, 27 septembre 2008

Caucaso: Storia di una regione tra Europa e Asia

Caucaso: Storia di una regione tra Europa e Asia
http://www.eurasia-rivista.org/
carte-caucase.jpg

di Ninni Radicini

Il recente conflitto russo-georgiano va inquadrato nello sviluppo storico del Caucaso e nella sua millenaria complessità geopolitica. La prima volta che l'opinione pubblica italiana ne ebbe segnale fu nel febbraio 1988 quando televisioni e giornali riportarono la notizia di scontri tra armeni e azeri, prodromo della implosione dell'Urss. Frontiera tra Vicino Oriente, steppe euro-asiatiche e Mediterraneo orientale, il Caucaso ha subito profondamente il passaggio di popolazioni dall'Asia centrale e l'espansionismo degli imperi e delle potenze confinanti.
I conseguenti spostamenti degli autoctoni dalle valli alla montagne, da Nord a Sud e viceversa, hanno frammentato la disposizione delle etnie e determinato differenze nell'evoluzione tra la parte settentrionale e quella meridionale (Subcaucasia), dove fin al VI sec. a.C si costituirono entità statali comunitarie, che beneficiarono degli esempi mesopotamici e persiani, oltre che della prossimità con il mondo ellenico e poi con quello romano ("Breve Storia del Caucaso", di Aldo Ferrari, 2007). Georgiani e Armeni fondarono regni indipendenti, con il Cristianesimo religione prevalente già nel IV sec. In seguito il Caucaso fu conteso tra bizantini, persiani, arabi, turchi, soggetto a parziale islamizzazione, scomposizione dei regni e mutamento del quadro etnico a causa di deportazioni di massa, subite in particolare dal popolo armeno.
Nell'impossibilità logistica per le potenze europee di allestire una spedizione militare che avrebbe dovuto attraversare il Mediterraneo orientale, allora sotto totale controllo turco-ottomano, l'unica potenza in grado di liberare la regione era la Russia. Dopo la vittoria di Ivan IV il Terribile sui Tartari nel Caucaso settentrionale, Pietro il Grande rafforzò i rapporti con georgiani e armeni, a partire dalla comune religione cristiana ortodossa, e nel 1772 si ebbe la prima grande avanzata fino a Baku (Azerbaijan). La fase decisiva iniziò con Caterina II che lanciò la campagna per la liberazione della Subcaucasia (guerra russo-turca 1764-68). La Russia oltre all'impero ottomano dovette affrontare i persiani: entrambi sostenuti da Francia e Inghilterra, allora nemiche in Europa ma alleate nel Caucaso.
Nonostante tale schieramento, intorno al 1830 l'esercito zarista portò a termine la missione. Si era in epoca Romantica e quanto accaduto ebbe riferimenti notevoli nella produzione letteraria (Tolstoj, Puskin) e nella cultura popolare. I rapporti con georgiani, armeni, e azeri furono caratterizzati in parte di incomprensioni, dovute alla volontà di affermazione delle rispettive autonomie. Ma tutti popoli dell'area erano consapevoli che il nuovo clima di sicurezza era la migliore garanzia per la rinascita economica.
I problemi maggiori arrivavano dal Caucaso settentrionale, abitato da popolazioni bellicose che i russi chiamavano "gorci" (montanari). Nella Subcaucasia la rivoluzione del 1905 ebbe carattere nazionale oltre che di classe e ogni popolo si diede un partito rappresentativo: il Dashnaktsuthiun per gli armeni, il Partito socialdemocratico menscevico per i georgiani; il Musavat per gli azeri. Nel '21 le tre repubbliche aderirono all'Unione Sovietica, con parità di diritti e prospettiva di riequilibrio economico. Dopo la Seconda guerra mondiale (quando i nazisti arrivarono fino al Caucaso nord-occidentale) la Georgia puntò sulla difesa della lingua e rispetto all'Armenia ebbe un rapporto più difficile con Mosca. In Azerbaijan cominciò a farsi strada un nazionalismo che rivendicava l'eredità dell'antico popolo degli Albani. L'affermazione della nazionalità trovò vigore a metà degli anni '80 con la Perestroika e la Glasnost di Mikhail Gorbaciov.
All'inizio degli anni '90, dopo le dichiarazioni d'indipendenza delle varie repubbliche, il Caucaso - in particolare la Subcaucasia - si trovò al centro degli interessi di Russia, Usa, Turchia, Iran, con parziale coinvolgimento dell'Ue, data la presenza di rilevanti giacimenti petroliferi e la collocazione, che la rende percorso alternativo per il trasporto delle risorse energetiche dell'Asia centrale verso il Mediterraneo. Seppure parte integrante della Russia, nello stesso periodo anche il Nord caucasico fu attraversato da conflitti etnico-religiosi, come quello tra ingusci (musulmani) e osseti (cristiani ortodossi), e insurrezioni nelle repubbliche di Karacaj-Circassia e Cabarda-Balcaria. Ma il territorio più ostile alla presenza russa fu la Cecenia.
La Georgia, dopo l'indipendenza, fu a sua volta soggetta alle spinte centrifughe delle Repubbliche di Abkhazia e Ossetia del Sud, di fatto autonome dal '93 con la supervisione di Mosca, e delle regioni di Agiaria - abitata da georgiani musulmani - e dello Javakheti, a maggioranza armena. Da sempre oscillante tra Oriente e Occidente, fino al '04 è stata governata da Edward Sheverndze, già ministro degli Esteri di Gorbaciov, che la fece aderire alla Csi (Comunità Stati Indipendenti) rafforzando allo stesso tempo i legami con Ue e Usa. Nel '96 Georgia, Armenia e Azerbaigian firmano l'Accordo di partenariato e cooperazione con l'Ue e nel '99 entrano nel Consiglio d'Europa. La tensione con la Russia è aumentata a partire dal gennaio '04, quando la cosiddetta "Rivoluzione delle Rose" porta al potere Mikhail Saakasvili, sostenitore dell'ingresso nella Nato e di un rapporto più stretto con gli Usa.
La risposta di Mosca all'attacco georgiano nella Ossezia del Sud nell'agosto '08 ha determinato un raffreddamento dei rapporti tra Usa e Russia, la scelta della Polonia e degli stati baltici di configurarsi ancora più come ultimo baluardo dell'Occidente euro-americano, e prefigurato ripercussioni nel settore energetico. E' la dimostrazione che quanto avviene nella regione caucasica non sia circoscrivibile e debba essere sempre valutato in un quadro internazionale molto ampio.

http://www.ninniradicini.it/articoli/caucaso_russia_georg...

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jeudi, 25 septembre 2008

Georgie, Victima de los Cantos de Sirena de Occidente

Georgia, Víctima de los Cantos de Sirena de Occidente

Por José Luis Orella

www.diarioya.es

Los georgianos son uno de los pueblos más antiguos del Cáucaso, uno de cuyos reinos fue la primitiva Iberia, de la cual hay teorías que harían descender de esta vétera región a los primitivos iberos, nuestros ancestros, cuyo residuo lingüístico actual sería el vasco. Los georgianos son un pueblo que ha tenido que saber defenderse por su situación fronteriza, frente a los mongoles en el siglo XIII, y en el XVI frente a los persas y los turcos otomanos. Pero su situación limítrofe con el Imperio Otomano ofrecía una clara situación de peligro ante una expansión turca. Los georgianos, como pueblo cristiano ortodoxo, pidieron la protección del Imperio Ruso, que sería materializado bajo el reinado de Pablo I. En 1801 era proclamada la anexión de la pequeña Georgia al imperio ruso. Durante el resto del siglo XIX, las avanzadillas rusas fueron anexionando territorios en el Cáucaso frente a persas y turcos. Fue en esos momentos cuando la Georgia rusa fue ampliada hasta la costa del Mar Negro, asumiendo pueblos no georgianos.

La caída del Imperio y la posterior revolución rusa proporcionaron la oportunidad de la independencia de Georgia en 1918. Sin embargo, cuando los bolcheviques ganaron la guerra civil rusa, Georgia fue junto a Ucrania y el Asia central, nuevamente anexionada a la naciente URSS. En 1936 nacía la república soviética de Georgia, y tuvo que sufrir la misma represión que el resto de los pueblos de Rusia, bajo la dura dictadura de Josif Vissarionovic Dzhugashvili “Stalin”, el georgiano más conocido de la historia, y uno de sus mayores asesinos. Entre los directores del temido KGB estaría otro tristemente célebre georgiano, Lavrenti Beria. No obstante, Stalin se comportó como un ruso, aceptando la rusificación del extenso imperio comunista como la única posibilidad de dar cierta uniformidad, favoreciendo a la nacionalidad mayoritaria.


¿Por qué nadie condena el comunismo asesino?


Cuando Mijail Gorbachov desarrolló la Perestroika, que traería como consecuencia el fin del comunismo, otro hijo de Georgia se transformaría en la imagen exterior de la nueva URSS, Eduard Shevardnadze. Pero cuando la URSS se disolvió, Georgia recuperó la independencia perdida en 1991. La borrachera nacionalista siguiente causó la subida al poder del mingreliano Zviad Gamsajurdia, un exaltado nacionalista que evocaba con su populismo la occidentalidad de la personalidad georgiana. Una isla cristiana rodeada de pueblos islámicos de las montañas, financiados por los restos comunistas del KGB. La debilidad de las instituciones georgianas favoreció las ambiciones de otros caudillos nacionalistas, que con la colaboración de sus milicias armadas, derrocaron al presidente y se inició una guerra civil que duró hasta 1995. Ese año, Eduard Shevardnadze, como única figura internacional respetable, volvió a su país para hacerse cargo de la presidencia.


 


Pero la situación estaba gangrenada desde antiguo. Durante la Segunda Guerra Mundial, algunos pueblos montañeses habían sido deportados por orden de Stalin por desconfianza a una posible colaboración con los alemanes. En 1943, la ofensiva del Cáucaso proporcionó la mitad norte de la península a las fuerzas germano-rumanas de Von Manstein. El hueco dejado por aquellos fue colonizado por georgianos desplazados. Las luchas que se iniciaron en 1992 proporcionaron el momento propicio a los minoritarios abjacios (musulmanes de la costa) y osetios del sur (cristianos, los antiguos alanos) para tomar el control de sus respectivas regiones. Las expulsiones de las comunidades alógenas recordaron las escenas terribles de los Balcanes después de la Primera Guerra Mundial.

La situación caótica pareció resolverse en el 2003, cuando Mijail Saakashvili protagonizó la "revolución de las rosas", una de las primeras revoluciones prooccidentales que debía proporcionar una administración favorable a un alineamiento pronorteamericano en defensa y economía. El derrocamiento de Shevardnadze fue aplaudido por las democracias occidentales, y los nuevos aurigas de Georgia resaltaron un discurso nacionalista-populista que debía restablecer el control de las regiones rebeldes. El nuevo gobierno ha contado con asesores turcos y norteamericanos, ha comprado material israelí, y junto a Ucrania, son los dos países de la ex URSS que más hacen por acelerar el proceso de su integración en la OTAN. Sin embargo, esta evolución de los hechos ha ido de forma paralela con la recuperación internacional de Rusia, de manos de Vladimir Putin.


 


El presidente georgiano ha gozado de una inmensa popularidad, pero su país se encuentra hundido económicamente, la inestabilidad política es constante y un futuro trágico como el del primer estadista georgiano Gamsajurdia, puede ser posible, teniendo en cuenta que el propio presidente actual subió mediante un golpe de fuerza. Por estas razones, a inicios de agosto de este año, emprendía una fuerte ofensiva contra los osetios del sur, causando una masacre de civiles, ante la esperanza de que los rusos no intervinieran por su proximidad con los Estados Unidos.

No obstante, desde el proceso de independencia de Kosovo, el ejemplo estaba servido a favor de unas regiones rebeldes que habían tomado la precaución de obtener la nacionalidad rusa de forma masiva. El ejército ruso no tuvo más que emprender una rápida ofensiva para aplastar a las masas de milicianos inexpertos georgianos, liberar las dos regiones rebeldes y destruir las instalaciones militares y energéticas del país. El reconocimiento de la independencia de Abjasia y Osetia del Sur, que puede incluso terminar con su anexión, pedida de manera mayoritaria por sus habitantes, permite a Rusia recuperar su posición estratégica en el Mar Negro, gracias al control del puerto de Sujumi. La inhabilitación económica de Georgia hace peligrar el traslado del petróleo azerí a través de su geografía. Por otro lado, es un serio aviso a Ucrania, en su evolución occidental hacia su integración en la Unión Europea y la OTAN. Rusia vuelve a reivindicar su posición de potencia regional, y no va a permitir que la OTAN, carente de finalidad después del fin de la guerra fría, aglutine a los vecinos próximos en un anillo mortal contra la nueva Rusia democrática.

 

Vladimir Putin
Eduard Shevardnadze

mercredi, 24 septembre 2008

V. Jirinovski: les responsabilités de Saakachvili

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Vladimir Jirinovski, Vice-Président de la Douma d’Etat, Russie:

 

Les responsabilités de Saakachvili

 

Voici les conclusions de Vladimir Jirinovski, Vice-Président de la Douma, à la suite de la guerre russo-géorgienne d’août 2008:

 

Des informations partiales et diffamatoires

 

Les émetteurs de télévision en Occident ont produit des informations unilatérales et partiales sur les derniers événements qui se sont déroulés en Ossétie du Sud. Cela relève de la diffamation quand les mass-media accusent, dans leurs grands titres, la Russie d’agression, comme si elle avait attaqué de paisibles Géorgiens dans leur sommeil. En revanche, le président géorgien Saakachvili a été décrit comme un grand homme. Son discours à la télévision, censé s’adresser au peuple géorgien, il l’a tenu en anglais de façon à ce que l’on sache bien à qui il s’adressait en réalité. La communauté internationale devrait pourtant savoir la vérité à propos de son régime fasciste et aussi connaître les intentions qu’il avait de soumettre les peuples d’Ossétie du Sud et d’Abkhazie, intentions qui nous ont été révélées par des documents découverts sur des prisonniers de guerre géorgiens.

 

Déjà en mars 2008, plusieurs membres du Parti Libéral-Démocrate russe, ainsi que moi-même, avions averti l’opinion publique, lors d’un débat à la Douma sur la situation dans les deux petites républiques caucasiennes, que des actions militaires géorgiennes étaient de l’ordre du possible. Lors de  ce débat, j’ai rappelé que le Président Saakachvili, pendant toute la durée de son mandat, n’a jamais fait mystère de son objectif, celui de préparer une guerre. Déjà auparavant, aucune des mesures qu’il avait prises quant aux deux petites républiques n’avait été constructive. Il ne s’intéressait aucunement à leur histoire et ne connaît probablement pas l’histoire de la Géorgie elle-même.

 

En 1774, l’Ossétie s’est volontairement jointe à l’Empire russe. A cette époque, il n’y avait pas de frontière entre une Ossétie du Nord et une Ossétie du Sud. Après la révolution russe de 1917, la “République Démocratique de Géorgie”, comme elle s’appelait à l’époque, revendiqua le territoire de l’Ossétie du Sud. La population d’Ossétie méridionale fut alors la victime de confrontations violentes. Des milliers d’Ossètes du Sud furent assassinés par l’armée géorgienne ou expulsés vers l’Ossétie du Nord, tandis que quasiment tous les villages de la région furent détruits.

 

L’annexion à la Géorgie sans assentiment populaire

 

En 1921 se constitue un régime de type soviétique en Ossétie du Sud, dont les dirigeants, contre la volonté de la population, décident l’annexion à la RSS de Géorgie. A la suite de cette annexion, les Ossètes du Sud subirent des traitements qui défient les règles de la dignité humaine: les Ossètes étaient considérés comme des personnes de “rang inférieur”; on les força à traduire leurs patronymes en géorgien ou à prendre des noms géorgiens. Les autorités ont remplacé l’alphabet ossète par l’alphabet “Mchedrouli” de la langue géorgienne. Le niveau de vie en Ossétie du Sud était nettement inférieur à celui du reste de la RSS de Géorgie. La population diminua alors qu’elle augmentait dans tout le reste de l’Union Soviétique.

 

A la fin des années 80 du 20ème siècle, des nationalistes extrémistes géorgiens lancèrent une campagne politique pour supprimer le statut d’autonomie de l’Ossétie du Sud. Pas à pas, toutes les lois garantissant l’autonomie ossète furent remplacées ou abrogées. En 1990, le Presidium du Soviet Suprême de la RSS de Géorgie abrogea toutes les lois qui avaient été votées ou décidées depuis 1921, dont celles qui sanctionnaient la reconnaissance d’un lien territorial entre l’Ossétie et la Russie. Par cette abrogation générale des lois, l’Ossétie du Sud est devenue une zone hors droit à l’intérieur du territoire géorgien. Les discriminations et les menaces, que subirent les Ossètes, débouchèrent, entre 1989 et 1992 sur une agression armée dont l’objectif était d’éradiquer l’Ossétie du Sud. Plus de trois mille personnes furent victimes des actions violentes perpétrées par les Géorgiens, jusqu’en juillet 1992, lorsque les troupes russes, chargées d’une mission de pacification, entrèrent dans le pays. Plus de cent villages avaient été brûlés de fond en comble; près de quatre mille personnes avaient fui vers la Russie; environ trois cents d’entre elles sont toujours portées disparues.

 

L’objectif de la Russie? La paix!

 

Après avoir fait face à cette situation, le Presidium de la République d’Ossétie du Sud proclame l’indépendance du pays, en se réclamant du résultat d’une consultation populaire, tenue le 19 janvier 1992. Le 12 novembre 2006, les autorités d’Ossétie du Sud organisent à nouveau un référendum populaire dans l’ensemble du pays: quelque 99,88% de la population votent en faveur de la ligne indépendantiste, visant à détacher l’Ossétie du Sud de la République de Géorgie. La constitution russe prévoit également la possibilité d’un rattachement territorial à la Russie, selon le modèle que cherche à faire prévaloir l’Ossétie aujourd’hui. C’est en vertu de ces clauses constitutionnelles-là que la Douma, à l’unanimité, a accepté, après que se soit tenu le Conseil de la Fédération en août, de reconnaître l’Ossétie du Sud et l’Abkhazie.

 

La Russie s’est toujours efforcée de résoudre ce conflit de manière pacifique parce qu’elle a toujours reconnu la complexité des problèmes régionaux; elle n’a jamais cessé de vouloir les résoudre selon les principes du droit des gens. Au cours de ces six derniers mois, la situation s’est considérablement aggravée, essentiellement pour deux raisons: d’abord, il y a eu la déclaration d’indépendance du Kosovo; ensuite, il y a eu les efforts entrepris par la Géorgie pour adhérer à l’OTAN, efforts pour lesquels elle a reçu un appui massif de la part des Etats-Unis. Cette nouvelle donne a contraint les Ossètes et les Abkhazes à un choix: ou bien, ils réclamaient à la Géorgie que celle-ci leur accorde leur indépendance; ou bien, ils décidaient de réclamer la fusion avec la Russie.

 

Les autorités géorgiennes avaient toutefois la ferme intention d’envenimer encore davantage les rapports, déjà tendus, qu’elles entretenaient avec l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud. Le 4 mars 2007, la Géorgie déclare unilatéralement qu’elle ne reconnaîtra plus la Commission de contrôle mixte, mise en place pour canaliser le conflit le 24 juin 1992 par Boris Eltsine et Edouard Chevarnadzé. Pour les Géorgiens, il fallait remplacer cette Commission par un plan  nouveau, baptisé “2+2+2”; y siègeraient les représentants du gouvernement sud-ossète contrôlé par la Géorgie, le gouvernement de la République indépendante (de facto) d’Ossétie du Sud, la Géorgie, la Russie, l’OSCE et l’UE. Cette initiative n’émane évidemment pas des Ossètes du Sud, ce qui a conduit à son échec. 

 

Dans les cinq mois qui ont suivi cet échec, la situation, déjà  fort tendue, a considérablement empiré le long de la frontières entre la Géorgie et l’Ossétie du Sud, surtout à cause de la présence de troupes géorgiennes, de plus en plus nombreuses. Les deux camps se sont livrés à  des provocations, ce qui a fort freiné les efforts de pacification. On a cependant ignoré délibérément les nombreuses demandes de la Russie à la Géorgie, pour faire en sorte que les deux partis renoncent expressément à toute violence militaire.

 

Pendant des mois, le Président Saakachvili a refusé de tenir compte de nos propositions. Il n’y a pas si longtemps, avant même que ne commencent les opérations militaires, il déclarait que c’était un non-sens de réclamer sa signature au bas d’un tel document parce que la Géorgie n’exerçait aucune forme de violence contre ses propres citoyens. Cette assertion ne semble plus valable aujourd’hui.

 

7 et 8 août 2008: l’armée géorgienne attaque

 

Dans la nuit du 7 au 8 août 2008, les troupes géorgiennes sont passées à l’attaque. L’opération a commencé en dépit de l’armistice qu’avait promis le Président Saakachvili quelques heures à peine avant cette attaque généralisée, planifiée avec acribie. Le fait d’avoir renié sa promesse en dit déjà long. Les actions que Saakachvili a déclenchées le mettent en porte-à-faux avec une demande formulée par les Nations Unies, de ne pas faire parler les armes pendant les Jeux Olympiques de Pékin.

 

Les villages d’Ossétie du Sud ont été attaqués et bombardés avec les grands moyens; la capitale Tskhinvali a été détruite pour une bonne part. Quelque 1500 civils innocents d’Ossétie du Sud, surtout des femmes, des vieillards et des enfants, ont péri, victimes de cette attaque. Les snipers géorgiens empêchaient les équipes de secouristes d’aider les blessés et de sauver un maximum de vies humaines. Les habitants de Tskhinvali ont dû se terrer dans les caves des immeubles détruits, sous le bombardement incessant des pièces d’artillerie géorgiennes. Le Président Saakachvili a donc dépassé toutes les bornes par ses agissements. C’est par sa faute que nous sommes face, maintenant, au risque d’une catastrophe humanitaire. Des dizaines de milliers de réfugiés sont sur les routes et nous ne voyons pas la fin de cet exode massif. A Tskhinvali, les positions et le QG des soldats russes de la paix ont également subi des attaques, au cours desquelles une centaine de soldats russes ont été tués et plus de 150 autres blessés.

 

L’obligation constitutionnelle de porter secours à des citoyens russes

 

Comme 90% des Ossètes du Sud possèdent la citoyenneté russe et comme la Constitution de la Fédération de Russie prévoit de protéger les citoyens russes, la Russie a décidé d’intervenir en vue de ramener la paix. Jusqu’à ce moment-là, des troupes russes étaient stationnées à Tskhinvali mais elles étaient très réduites en nombre et y étaient présentes dans un cadre admis par le droit des gens et en vertu d’un accord accepté par toutes les parties en vue de restaurer la paix. L’objectif principal des mouvements de troupes russes, qui ont eu lieu récemment, est de protéger les soldats de la paix qui étaient déjà stationnés dans le pays et la capitale sud-ossète contre toutes attaques géorgiennes.

 

Ce n’est donc pas la Russie, mais le Président Saakachvili, qui est responsable de l’escalade du conflit. C’est pourquoi nous ne pourrons parler d’une limitation de la mission russe que si les troupes géorgiennes se retirent au-delà de la ligne de démarcation qui avait été convenue lors de l’accord de 1992. La Géorgie doit tout simplement revenir aux clauses de l’accord international, existant entre les parties belligérantes, et reprendre un dialogue normal avec les autorités de l’Ossétie du Sud.

 

Vladimir JIRINOVSKI.

(article paru dans “DNZ”, Munich, n°36/2008; trad. franç.: Robert Steuckers).

mardi, 23 septembre 2008

Paroles d'Edouard Kokoïty

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Parole d’Edouard Kokoïty, Président d’Ossétie du Sud:

 

“Vous, les Européens, vous parlez tous de la petite Géorgie mais mon  pays est encore plus  petit et vous l’oubliez. C’est ça, défendre les droits de l’homme?”

 

Cité dans “Paris-Match”, 4-10 sept. 2008.

 

A signaler également, dans cette édition de “Paris-Match”, les propos d’Hubert Védrine sur les relations euro-russes et euro-américaines: la position de Bush n’est pas tenable et Saakachvili est un “excité”. La diplomatie de la “Vieille Europe” se rébiffe.

jeudi, 11 septembre 2008

Liberté pour l'Ossétie !

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OSSETIA FREI !
Source
:
www.jeune-alsace.com

Depuis une semaine, de violents affrontements ont lieu en Ossétie du Sud, une région du Caucase, occupée par la Géorgie. La Russie est intervenue pour porter secours aux Ossètes, menacés de nettoyage ethnique par les troupes de Tbilissi, suscitant la désapprobation des dirigeants occidentaux, qui soutiennent le génocide des Ossètes.

Lorsque le Kosovo - Etat maffieux musulman dirigé par une milice communiste spécialiste du trafic d’organe (L’UCK) - se bat pour son indépendance, les Etats-Unis, qui ont une énorme base militaire au Kosovo, et les pays de l’Union européenne à leur solde, applaudissent. Mais lorsque les Ossètes se battent dans le Caucase, c’est en coeur que nos belles démocraties, qui s’indignent pourtant du sort du Tibet, dénoncent le sécessionnisme et en appellent à l’unité de la Géorgie.

Pourquoi donc un séparatisme ossète ?

Voyons d’abord les aspects culturels, qui sont intéressants à comparer par rapport au Kosovo, et l’attitude des grandes puissances qui en découle.
Pour comprendre, commençons par une présentation de ce peuple ossète, présentation qui n’est certainement pas superflue. Les Ossètes sont les derniers descendants d’un peuple européen fameux, les Alains du groupe scythique : une civilisation nomade grandiose d’avant l’ère chrétienne, située dans les steppes d’Eurasie (grossièrement autour de l’actuelle Ukraine). Les Ossètes ne sont guère plus aujourd’hui que 500 000, leur langue est encore parlée par environ 100 000 personnes. Ce sont aujourd’hui majoritairement des Chrétiens orthodoxes, comme les Russes ou les Serbes. Ils sont divisés entre deux provinces, l’Ossétie du Nord (8000 km²) ou « Alanie » comprise dans la Fédération de Russie et l’Ossétie du Sud (70 000 habitants pour 4000 km²), occupée par la Géorgie.

Premiers enseignements donc : les Ossètes sont véritablement un peuple en voie de disparition, ce qui n’est pas le cas des Kosovars musulmans, qui ne sont issus, en réalité, que d’une immigration de peuplement albanaise. Ce sont par ailleurs des Orthodoxes, donc des méchants, car pour être gentil (et forcément opprimé), aujourd’hui en Europe, il faut être Musulman. Les Etats-Unis adorent d’ailleurs les Musulmans lorsqu’il est question d’affaiblir l’Europe, d’où leur soutien à l’entrée de la Turquie dans l’Union Européenne. Par contre, lorsque les intérêts des Etats-Unis sont menacés, les Musulmans se transforment en terroristes. Amusant.

Quels intérêts derrière l’indépendantisme ossète ?

Bon, et maintenant un peu de géopolitique, parce qu’entre nous, les grandes puissances se foutent un peu du sort des peuples. Ce qui compte, c’est de voir quels intérêts s’opposent dans cette minuscule région d’Ossétie du Sud. Si les Russes sont très mécontents, si les Russes sont intervenus, ne rêvons pas, ce n’est pas parce qu’ils sont de grands défenseurs des minorités en danger. Les Russes n’apprécient guère les Géorgiens, qui ont justement pris leur indépendance en 1990. Mais les Géorgiens, non contents de prendre leur indépendance à l’époque, ont refusé l’indépendance aux Ossètes et aux Abkhazes, autre minorité séparatiste de Géorgie. L’ancienne URSS voit toujours les Etats qui l’ont quittée comme une chasse gardée, notamment la Géorgie et l’Ukraine, où passent d’importants oléoducs, et qui songent fortement à intégrer l’OTAN. Alors forcément, la Russie, avec sa grande armée, ne va pas tolérer qu’à côté de chez elle on s’en prenne à un peuple frère, surtout s’il y a en plus des intérêts économiques dans le coin…

L’Union européenne et les Etats-Unis, quant à eux, n’apprécient guère ce néo-impérialisme russe. Officiellement, OTAN et Conseil de l’Europe en tête, ils veulent éviter des massacres dans la région. Ils veulent éviter des morts, l’Union Européenne et les Etats-Unis. Ce sont les gentils. Sarkozy, Bush, Condoleezza Rice, Lech Kacsynski, en appellent au maintien de l’unité de la Géorgie, eux qui avec l’OTAN ont bombardé la Yougoslavie et les civils…Quel foutage de gueule ! Ces gens n’en ont rien à faire qu’il y ait une guerre de plus ou du moins. Ils veulent juste éviter que la Russie ne regagne en influence dans la région. Ils veulent éviter que les Russes jouent la même partition qu’eux au Kosovo, et de se retrouver arroseurs arrosés ! Les Ossètes, ils n’en ont que faire, ils peuvent crever sous les bombes géorgiennes, c’est pas aussi cool qu’un Tibétain un Ossète. Quel intérêt médiatique d’aller soutenir une bande d’Européens orthodoxes paumés dans leurs montagnes alors qu’au loin en Asie on a des Tibétains exotiques qui passent tellement mieux à la télé et pour lesquels on sait qu’on n’obtiendra rien, car personne n’a les couilles d’aller vraiment ennuyer les Chinois.

Moralité : nous sommes face à des pourris (oui je sais vous n’apprenez pas grand chose là). Les dirigeants européens et les Etats-Unis sont dégoulinants d’hypocrisie avec leurs Droits de l’Homme, leur droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, alors que dans la pratique ces belles valeurs n’ont d’utilité que lorsqu’elles peuvent servir leurs intérêts. Un nettoyage ethnique se déroule en Géorgie et pourtant c’est le régime de Tbilissi que les Occidentaux défendent. Les civils serbes furent bombardés malgré une situation bien plus complexe…

Les Russes, eux, au moins, ont le mérite d’assumer leur autoritarisme et de défendre leurs compatriotes. Les Russes ont d’ailleurs affirmé qu’ils allaient soutenir tous les sécessionnismes en Europe, après l’indépendance du Kosovo. Mais les Russes sont les premiers à rêver d’un Empire où l’Ukraine et le Belarus seraient réintégrés…là aussi, hypocrisie, mais au moins la Russie a une tradition fédéraliste, contrairement à certains Etats européens donneurs de leçons comme la France.

Comme souvent lorsque l’on est une minorité, ce qui importe, c’est d’être du côté de celui qui pourra vous aider, même si celui-ci a d’autres intérêts derrière. En l’espèce, il faut soutenir totalement l’action de la Russie, en espérant qu’elle aboutisse à l’indépendance pure et simple de l’Ossétie (mais en espérant que ce ne soit pas un prétexte pour intégrer l’Ossétie dans la Fédération russe). Le Président Medvedev est décidé à agir et parle de « déni du droit à la vie pour toute une nation résultant de l’action barbare planifiée par les autorités géorgiennes ». Espérons que les Abkhazes, même s’ils ne sont plus que 200 000, en profiteront aussi pour se soulever contre le régime de Tbilissi.

Le président de l’Abkhazie a promis du soutien à son homologue ossète, dépêchant un millier de volontaires. Un geste imité par le président de la république russe d’Ossétie du Nord, Taïmouraz Mamsourov, qui a annoncé que des « centaines de volontaires » étaient en partance pour le territoire voisin. C’est la guerre.

Comment pourrait-on se refuser, comme le font nos obséquieux représentants, à soutenir le combat pour la liberté ?

Vive l’Europe des Peuples libres ! Ossetia Frei ! Abkhazia Frei !

10:39 Publié dans Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : ossétie, russie, caucase, mer noire, ossètes, abkhazie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

samedi, 06 septembre 2008

Heurt frontal au Caucase

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Jan ACKERMEIER:

 

Heurt frontal au Caucase

 

La guerre de cinq jours dans le Caucase vient à peine de se terminer mais ses effets sur les rapports futurs entre les Etats-Unis et la Russie ne sont pas encore vraiment prévisibles dans toute leur portée. Ce qui est intéressant à analyser, c’est le calcul des Etats-Unis dans ce conflit.

 

La guerre a commencé, c’est connu, par l’entrée des troupes géorgiennes en Ossétie du Sud, “une province rénégate”, selon les Géorgiens. A la suite de cette opération, la grande puissance qui s’auto-proclame défenderesse des Ossètes, soit la Russie, intervient dans le conflit, repousse rapidement les troupes géorgiennes et s’avance profondément dans le territoire central de la Géorgie. Les médias occidentaux s’empressent de stigmatiser la contre-attaque russe, en la campant comme “une guerre d’agression contraire au droit des gens”, et se soumettent servilement aux impératifs de la politique et de la propagande américaines. Les Etats-Unis auraient apprécié que la Géorgie, alignée sur l’Occident et donc sur Washington, ait pu activement imposer ses intérêts dans le Caucase et veiller à limiter encore davantage l’influence de la Russie dans cette région.

 

Les Russes, toutefois, en dépit de leurs problèmes de politique intérieure, sont encore capables de faire valoir leurs intérêts de grande puissance: ce qui fait écumer de rage les Etats-Unis et leurs vassaux. On crie déjà au retour de la “Guerre froide” et la ministre américaine des affaires étrangères, Condoleezza Rice, s’est ridiculisée récemment en déclarant que “la Russie par sa  ‘guerre d’agression’ (!!!) contre la Géorgie avait perdu toute crédibilité internationale”! Cette hypocrisie manifeste, les Américains, baignant dans leur narcissisme, ne l’aperçoivent même plus, car, rappellons-le, les attaques américaines contre l’Irak et l’Afghanistan étaient au moins aussi équivoque sur le plan du droit des gens que l’intervention russe dans le Caucase.

 

Il faut tenir compte du fait que les Ossètes, tant ceux du Nord qui vivent au sein de la Fédération de Russie, que ceux du Sud, qui vivent dans une région revendiquée par la Géorgie, se perçoivent comme un et un seul peuple, d’une culture spécifique. Les prérequis pour l’exercice par les Ossètes d’un droit d’auto-détermination, sur les plans intérieur et extérieur, existent bel et bien. Et lorsque la Russie, puissance protectrice des Ossètes, se réclame du droit à l’auto-détermination quand elle intervient contre la Géorgie, ses justifications sont bien plus valables que celles invoquées naguère par les Etats-Unis, qui nous parlaient à tours de bras de la fable des “armes de destruction massive” de l’Irak ou de la menace que faisait peser sur les Etats-Unis eux-mêmes les terorristes afghans, ou encore, de l’autre fable médiatique, celle de l’exportation de la démocratie et des droits de l’homme. Bien entendu, les interventions russes dans le Caucase participent, elles aussi, d’une volonté de faire valoir ses intérêts de grande puissance, exactement comme l’avait fait la politique étrangère des Etats-Unis au cours de ces dernières décennies; parallèle que l’on ne veut pas voir en notre pays: n’est-on pas finalement, dans l’âme et dans les tripes, des vassaux de la “communauté occidentale des valeurs”.

 

Jan ACKERMEIER.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°35/2008 – août 2008 – trad. franç.: Robert Steuckers).

lundi, 01 septembre 2008

Guerre du Caucase: chronologie des événements

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Soldats géorgiens en manoeuvre

 

Andreï ARECHEV:

Guerre du Caucase: chronologie des événements

 

Dans la chronologie des événements, qui ont précédé l’agression géorgienne contre l’Ossétie du Sud, il y a un aspect qui mérite tout particulièrement notre attention: le 31 juillet s’étaient clôturées des manoeuvres communes, regroupant unités géorgiennes et unités américaines, que l’on avait baptisées “Immediate Response 2008”; au cours de ces exercices, les instructeurs américains avaient entraîné les forces armées géorgiennes à parachever des “opérations de nettoyage” contre des terroristes embusqués en zones résidentielles. Les exercices comprenaient des actions comme nettoyer un village des terroristes qui s’y dissimulaient, probablement en vue des engagements futurs des soldats géorgiens en Irak, et de mettre en lieu sûr les populations civiles; Les atrocités commises par les forces géorgiennes à Tskhinvali sont donc le résultat de l’entraînement qu’elles ont reçues de leurs instructeurs occidentaux sous la couverture cynique de “lutte contre le terrorisme”. Les véritables objectifs sont bien entendu complètement différents. L’ancien ministre géorgien des affaires étrangères, Salome Zurabishvili, qui est indubitablement une personnalité bien informée, a déclaré que la présence des Etats-Unis en Géorgie impliquait le déploiement d’une vaste gamme d’activités, parmi lesquelles l’instruction des forces armées et le contrôle du corridor de grande importance stratégique qui passe par le Caucase, où est notamment installé le tracé de l’oléoduc Bakou-Tbilisi-Ceyhan. Selon Zurabishvili, c’est là l’objectif principal du conflit actuel, qui oppose la Géorgie à la Russie et renforce simultanément la loyauté qu’éprouvent désormais les Géorgiens à l’égard des Etats-Unis et de la Grande-Bretagne, ce qui permet à ces deux dernières puissances de contrôler la Géorgie et, par voie de conséquence, l’ensemble du versant méridional du Caucase.

 

Il faut également noter que l’intensification du conflit caucasien, aux confins méridionaux de la Russie, a coïncidé avec les tensions qui ont agité la région autonome chinoise du Xinjiang, où, alors que commençaient les Jeux Olympiques, une attaque terroriste a été commise. Quelques jours auparavant, à Bishkek, la capitale du Kirghizistan, on avait découvert un dépôt illégal d’armes, près duquel résidaient une dizaine de militaires américains et plusieurs diplomates de l’ambassade des Etats-Unis dans ce pays  d’Asie centrale. L’agression de la Géorgie contre l’Ossétie du Sud est un acte de guerre, dans une guerre qui se déroulera dans l’intérêt de tierces puissances et où les Géorgiens sont destinés à jouer le rôle de chair à canon. Si l’agression contre cette petite région caucasienne ne trouve pas rapidement bonne fin, d’autres conflits régionaux seront inévitables et prendront à coup sûr une ampleur bien plus dramatique.

 

Andreï ARECHEV.

(extrait d’un article paru dans “Rinascita”, Rome, 12  août 2008; trad. franç.: Robert Steuckers).

samedi, 23 août 2008

Géorgie: les racines du conflit

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Günther DESCHNER:

Géorgie: les racines du conflit

 

C’est dans une constellation “triangulaire” de tensions, entre Tiflis (Tbilisi), Washington et Moscou qu’il faut aller rechercher les déclencheurs de la “Guerre d’août” dans le Caucase, guerre qu’a ordonnée le président Mikhail Saakachvili pour ramener de force dans l’ordre étatique de la Géorgie la “République d’Ossétie du Sud” qui avait fait sécession et n’avait pas été reconnue en tant que telle par l’ordre politique international. Cette action a donné à la Russie le prétexte d’une intervention militaire de grande ampleur. Finalement, les raisons profondes de cette “Guerre d’août” résident dans la lutte géostratégique que mènent les Etats-Unis et d’autres puissances pour contrôler les ressources pétrolières et gazières des régions caucasienne et caspienne.

 

Mais ce conflit a d’autres racines et il faut remonter loin dans le passé pour les découvrir et les comprendre. Au 18ième siècle, l’Empire des Tsars, en pleine expansion, absorbe, dans le Caucase du Sud les territoires habités par les Abkhazes, les Géorgiens et les Ossètes, qui deviennent une province russe. En Ossétie, plus exactement sur le territoire actuel de l’Ossétie du Nord/Alanie, qui appartient à la Fédération de Russie, la “Commission du Caucase” fit construire une forteresse en 1784, qui deviendra la capitale de la région, en portant le nom significatif de “Vladikavkaz” (= “Qui domine le Caucase”).

 

Après la chute des tsars et la révolution d’Octobre qui s’ensuivit, on vit d’abord se constituer dans la région une “République Fédérative et Démocratique de Transcaucasie”, qui s’est rapidement disloquée. Finalement, à côté d’une nouvelle Arménie et d’un nouvel Azerbaïdjan, une “République Démocratique de Géorgie” proclame son indépendance en 1918. Le Reich allemand contribua directement à l’émergence de cette république géorgienne, notamment par l’action du général bavarois Kress von Kressenstein, qui appartenait à l’encadrement allemand de l’armée ottomane, alors alliée de Berlin. Les Géorgiens espéraient à l’époque que les Allemands l’emporteraient sur les Russes, victoire qui leur garantirait l’indépendance. Ce fut partiellement le cas. Les objectifs allemands en Géorgie étaient de lier le pays à l’Allemagne par le truchement de traités économiques et de conventions militaires.

 

Ces plans allemands ne pouvaient se réaliser que si la Géorgie accédait à la pleine indépendance; dès lors, on assista à une convergence des intérêts allemands et géorgiens dans la région. En avril 1918, Berlin s’immisca directement dans les événements. L’Allemagne et la Géorgie signent un accord, où les parties reconnaissent les frontirèes de la Géorgie; pour sa part, l’Allemagne promet de jouer un rôle d’intermédiaire entre la Géorgie, la nouvelle Russie et l’Empire ottoman. Pour appuyer l’indépendance de la Géorgie, l’Allemagne envoie trois mille soldats. L’Allemagne a ainsi parrainé l’indépendance géorgienne qui n’a duré que jusqu’en 1921. Les bonnes relations germano-géorgiennes, qui persistent encore, sont dues partiellement à ce souvenir historique.

 

Suite aux vicissitudes de la guerre civile russe, entre Blancs et Rouges, la Géorgie glisse, elle aussi, sous l’autorité des Bolcheviks; elle est conquise, toutefois après que les Abkhazes et les Ossètes aient proclamé leurs propres républiques soviétiques. Au départ, ces deux républiques ont constitué des “oblast” autonomes de la grande “République Soviétique de Transcaucasie”, à laquelle appartenait aussi la Géorgie. En 1936, Joseph Staline dissout cette république transcaucasienne.

 

C’est justement lui, un Géorgien, qui a tracé arbitrairement les frontières des républiques soviétiques. La nouvelle “République Socialiste Soviétique de Géorgie”, selon la volonté de Staline, reprenait à son compte les territoires inclus dans cette Géorgie qui s’était proclamée indépendante en 1918; l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud devinrent dès lors parties intégrantes de la RSS de Géorgie, mais jouissaient d’une très large autonomie.

 

Par ce processus, les Ossètes furent partagés en deux entités, l’une au Nord du Caucase, l’autre au Sud. Les uns appartenaient désormais à la République Socialiste Soviétique Fédérative de Russie, tandis que les autres se retrouvaient au sein de la nouvelle RSS de Géorgie, ce qui, à l’époque, n’avait guère d’importance pour la vie quotidienne du peuple ossète. Les choses ont changé lorsque la Géorgie, dans les années 90 du 20ième siècle, a retrouvé une nouvelle fois son indépendance, au moment de l’effondrement de l’URSS. Dès ce moment, les Ossètes ont été véritablement séparés les uns des autres, car la frontière, internationalement reconnue, passait alors au beau milieu de leur territoire.

 

Dans l’ivresse de leur indépendance retrouvée, les Géorgiens ne se sont pas rendus compte que d’autres peuples vivaient sur le territoire de leur république et aspiraient à une autonomie politique dans les limites de leur propre espace vital. L’un des premiers chefs d’Etat de la nouvelle Géorgie, l’ancien ministre soviétique des affaires étrangères, Edouard Chevarnadzé, comprenait les aspirations abkhazes et ossètes, s’était montré conciliant face aux frictions et aux tensions inter-ethniques, tandis que son successeur Saakachvili, lui, se pose comme un “dur”, un “hardliner”.

 

L’Occident, sur lequel Saakachvili a tant parié, n’a cessé de cultiver les ambigüités et n’a rien fait pour améliorer la situation, bien au contraire, il a tout fait pour envenimer les choses. L’Occident proclame qu’il est pour l’ “intégrité territoriale” de la Géorgie, mais ne souffle mot quant à la façon dont le gouvernement géorgien s’y prend pour maintenir cette “intégrité territoriale”. La Géorgie, ex-république de l’Union Soviétique, s’est proclamée indépendante lors de l’effondrement de l’URSS, ce qui entre parfaitement dans le cadre du droit des gens.

 

Les républiques autonomes d’Abkhazie et d’Ossétie du Sud, du coup, n’ont plus eu la possibilité de se déclarer indépendantes de la Géorgie selon le droit international. Nous sommes là face à une contradiction non résolue. Qui a débouché, en 1992, sur une guerre de sécession sanglante, qui a duré un an. Crimes de guerre, massacres et expulsions furent à l’ordre du jour; des milliers de Géorgiens, d’Abkhazes et d’Ossètes ont été chassés de leurs lieux de résidence. En 1992, un armistice est signé avec l’Ossétie du Sud et, deux ans plus tard, avec l’Abkhazie, armistice qui prévoit que des troupes des Etats de la CEI y maintiendront la paix et y feront taire les armes. En Abkhazie, la Russie a envoyé 3000 militaires, qui ont quasiment constitué le seul contingent de “soldats de la paix” jusqu’à ce qu’éclate la “Guerre d’août”.

 

De facto, l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud sont des républiques agissant en toute autonomie même si elles ne sont pas reconnues sur le plan international et continuent d’appartenir à la Géorgie selon le droit des gens. Le conflit persistant entre la Russie et la Géorgie a poussé petit à petit les deux républiques dans les bras de la Russie. Quand la Géorgie a décrété, par sottise, un embargo économique général contre les deux républiques, la Russie a eu beau jeu de placer les deux régions sous sa propre tutelle économique. Les deux républiques se posent certes comme “indépendantes” mais elles ne le sont pas car leur survie sur les plans économique, politique et militaire dépend directement de leur grand voisin russe, avec lequel elles aimeraient d’ailleurs fusionner. Mais sans l’accord de la Géorgie, cet “Anschluss” est tout aussi impossible sur le plan du droit des gens que leur déclaration unilatérale d’indépendance. La plupart des habitants des deux régions sécessionnistes ont d’ailleurs déjà reçu des passeports russes. Quant au président sud-ossète Edouard Kokoity, il souhaite que se constitue une Ossétie unie.

 

Les parallèles et les différences entre ce conflit et celui du Kossovo sont étonnants. Dans les deux cas, nous avons affaire à des régions autonomes, où l’Etat titulaire réclame le droit d’exercer sa souveraineté, en se basant sur une interprétation stricte du droit des gens, tandis que ce sont des soldats de la paix venus d’autres pays qui y assurent la sécurité. Quand l’Occident a reconnu le Kosovo, à l’évidence, la Russie allait, dans l’avenir proche, soutenir l’indépendantisme abkhaze et sud-ossète, surtout si cela nuisait à la Géorgie et présentait un intérêt dans l’opposition géostratégique générale entre Washington et Moscou.

 

Dans cette logique, en avril 2008, deux mois après la reconnaissance du Kosovo, Vladimir Poutine, qui était encore le président russe à l’époque, ordonne de “soutenir substantiellement” l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud, tandis que la Douma préconisait de reconnaître les deux républiques. Depuis lors, les autorités russes ont reconnu tous les documents émis par ces deux républiques et permis l’établissement de relations consulaires. La Russie a donc reconnu de facto les deux républiques sécessionnistes, ce que la Géorgie interprète comme une annexion déguisée. C’est cela qui a donné le prétexte à Saakachvili de se lancer dans cette aventure militaire, dont l’issue conduira à l’émergence de réalités nouvelles dans la région.

 

Günther DESCHNER.

(artcle tiré de “Junge Freiheit”, Berlin, n°34/2008, trad. franç.: Robert Steuckers).