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dimanche, 14 juillet 2013

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

da Alfonso Piscitelli
Ex: http://www.barbadillo.it
 

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Aymeric Chauprade è uno degli autori di geopolitica più importanti della nuova generazione. Animatore della Revue française de géopolitique  è anche presidente della Accademia Internazionale di Geopolitica. Chauprade afferma le ragioni del multipolarismo: sostiene che per riequilibrare il sistema di rapporti internazionale sia necessario un nuovo protagonismo dei popoli europei, che solo può avvenire in virtù di  una forte intesa con la Russia.

La Russia appunto. La vecchia rappresentazione secondo la quale Mosca esprimeva un potere “asiatico” ed ostile, separato dal nostro vivere occidentale da un limes invalicabile (la cortina di ferro) appare vecchia. Una rappresentazione ossidata e tossica. Archiviata per sempre l’ideologia marxista, la Russia torna ad essere nazione europea, per paesaggio, etnia, lingua, cultura e religione. Ed è naturale che gli spiriti più intuitivi del nostro tempo si prodighino per sostenere la vera, autentica  “integrazione” per la quale valga la pena di battersi. L’integrazione tra Est e Ovest dell’Europa; il respiro simultaneo dei “due polmoni dell’Europa”, come li definiva con parola ispirata  Giovanni Paolo II.

Il 13 giugno Chauprade  ha rivolto un’allocuzione ai deputati della Duma russa. “Signore e signori della Federazione Russa – ha esordito l’autore – è un grande onore essere qui per un patriota francese che come me guarda al popolo russo come a un alleato storico”. Poi Chauprade ha proseguito  con affermazioni forti di stampo sovranista: “Il nuovo bipolarismo mette di fronte, in un confronto che si amplificherà, da un lato questo totalitarismo globale, che ha distrutto la famiglia e la nazione, riducendo la persona ad un consumatore schiavo di pulsioni mercantili e sessuali e dall’altro i popoli traditi dalle loro elite, assopiti davanti alla perdita di sovranità e all’immigrazione di massa, ma che di fronte all’attacco contro la famiglia iniziano a risvegliarsi”.

Nel clou dell’intervento l’elogio di Vladimir Putin:  “Signore e signori deputati, è con il presidente Putin e tutte le forze vive della Russia, che il vostro paese ha intrapreso una ripresa senza precedenti, militare, geopolitica, economica, energetica e spirituale che ispira ammirazione nei patrioti francesi! I patrioti del mondo intero, gelosi dell’indipendenza dei popoli e delle fondamenta della nostra civiltà, in questo momento hanno gli occhi puntati verso Mosca”.

L’idea che la Russia di Putin rappresenti oggi “il polo” per coloro che si riconoscono nel retaggio e nel futuro della civiltà europea è una impressione condivisa.

Chi scrive, nel suo piccolo, ha concepito l’idea di un progetto denominato Eu-Rus e ne ha cominciato a parlare, alla maniera dei ragazzini … su facebook[1].

La “Eu” di Eu-Rus contiene le stesse lettere  della sigla UE (Unione Europea) sia pur in un ordine diverso ed  evoca anche la radice greca “eu” che nella lingua di coloro che per primi pensarono l’Eu-r-opa[2] significa bene (come nelle parole composte “eudemonia”, “euritmia”, “euforia”, “eucaristia” e – si spera di no –  “eutanasia”).

L’intenzione è quella  di realizzare con gli amici che sono interessati un network di intellettuali motivati dall’ideale della integrazione Europa – Russia.

Gli spunti di riflessione e di impegno sono tanti:

1. Affermare l’esigenza di una comunità energetica  comune, attraverso la realizzazione dei gasdotti North Stream e South Stream.

2. Battersi affinché  in tutto il continente si affermi il  programma portato avanti da Putin  di socializzazione delle  fonti energetiche. Socializzazione versus privatizzazione selvaggia.

3. Auspicare il sorgere  di un area di libero scambio comune tra Europa e Russia,  di integrazione delle  risorse tecnologiche e imprenditoriali. I grandi corridoi orizzontali che in questi anni si stanno costruendo devono essere prolungati fino a Mosca  e devono diventare  strade  a doppia corsia: sulla corsia che va verso Occidente scorrono le  risorse energetiche e del sottosuolo, sulla corsia che va verso Oriente scorre il Know How che l’Europa Occidentale oggi può mettere a disposizione.

4. Riaffermare i principi della rivoluzione nazional-democratica gaullista: capi di  governo eletti direttamente dal popolo, come oggi avviene in Francia e in Russia; con un radicale ridimensionamento di tutti i poteri non-eletti  (commissari UE, governi tecnici, ONG …)

5. Rilanciare la  politica di coesistenza pacifica con i paesi arabo-islamici secondo la linea perseguita sia pur tra difficoltà e/o incertezza dall’Italia con Mattei, Moro, Craxi, Andreotti.

6. Sviluppare anche l’idea di una graduale  integrazione militare delle nazioni europee, una integrazione che coinvolga tutte e due le potenze dotate di arsenale nucleare del continente: la Francia e la Russia.

7. Sostenere un ideale di multipolarismo basato sul principio del Balance of Power per evitare le derive belliciste che inevitabilmente derivano dal predominio mondiale di una “Unica Superpotenza”.

8. Affermare una politica sull’emigrazione corrispondente alle esigenze dei lavoratori e dei disoccupati europei, una politica che non segua gli interessi di coloro che mirano ad abbassare il costo del lavoro con l’immissione continua di nuovi soggetti nel sistema economico, ma che segua le indicazioni del formidabile discorso alla Duma di Vladimir Putin del 4 febbraio 2013.

9. Auspicare l’adozione di una politica per la famiglia corrispondente alle esigenze demografiche dell’Europa.

10. Approfondire il dialogo culturale meditando sulle esperienze spirituali  dei grandi pensatori russi: Soloviev, Bulgakov, Dostoevskij, Florensky.

11. Per la stessa ragione contribuire al dialogo ecumenico tra chiesa cattolica romana e chiese ortodosse d’Oriente.

12. Rimeditare  in chiave post-moderna il tema della III Roma.

Due sono gli errori da non commettere nello svolgimento di questa impostazione:

1. sviluppare i temi con un taglio “estremista”. La geopolitica autentica confina con la diplomazia e non con l’ideologia. La calma, la moderazione, l’equilibrio sono una sostanza migliore rispetto ai fumi dell’ideologia.

2. sviluppare il progetto con una foga polemica contro altri soggetti internazionali. Qui non si vuole essere  anti islamici o antioccidentali o anticinesi. Si vuole semplicemente essere nietzschianamente  “buoni europei” e dunque elaborare il tema della fratellanza naturale e storica tra i popoli che sono figli della Grande Madre Europa.

Siamo felici che questo progetto possa partire a bordo della nave pirata di Barbadillo. Ne parleremo nelle prossime settimane con gli amici che condividono, nella piena libertà delle loro equazioni personali, le idee di fondo del progetto.



[2] Europa era la splendida fanciulla orientale amata da Zeus (nella radice etimologia,Eu-Op, il riferimento ai grandi occhi splendenti). Il grande dio del cielo per sedurla si trasformò in Toro e condusse la fanciulla dalla sponda orientale a quella occidentale del Mediterraneo, nella terra che avrebbe preso da lei il nome

@barbadilloit

A cura di Alfonso Piscitelli

samedi, 13 juillet 2013

Digitale dementie

Digitale dementie: Geheugen jongeren permanent aangetast door smartphones en pc's

Jongeren door internetcontacten steeds minder empathisch - Straling mobieltjes: Verhoogd risico op hersentumor, hartaandoening, Alzheimer, MS , Parkinson, autisme


De snelle omschakeling naar een digitale samenleving blijkt steeds vaker grote en veelal permanente gevolgen te hebben voor onze lichamelijke en geestelijke gezondheid.

Artsen in Zuid Korea, het land dat al sinds de jaren '90 voorop loopt bij de invoering van computers, maken zich zorgen over een nieuwe en snel groeiende aandoening die vooral jongeren aantast: digitale dementie. Het blijkt dat het geheugen van steeds meer jonge mensen door het veelvuldig en langdurig gebruik van pc's, spelcomputers en smartphones ernstig wordt aangetast, zozeer dat er zelfs sprake lijkt van een hersenbeschadiging of psychiatrische ziekte. Sommige jongeren kunnen niet eens meer een telefoonnummer onthouden.

De vooruitstrevende digitalisering van de Zuid Koreaanse samenleving, zowel op de werkplek, de scholen als in de privésfeer, blijkt een zorgwekkende keerzijde te hebben. 'Het te vaak gebruiken van smartphones en (spel)computers belemmert de ontwikkeling van het brein,' zegt Byun Gi-won, wetenschapper van het Balance Brain Centre in Seoul. 'Zware gebruikers ontwikkelen met name de linkerkant van hun brein, waardoor de rechterkant onaangesproken of onderontwikkeld blijft.'

Extreem vroege dementie, emotionele onderontwikkeling

De rechterkant van het brein is verbonden met het concentratievermogen. Als deze helft zich niet voldoende ontwikkelt krijgen mensen grote problemen met opletten en hun geheugen, wat in maar liefst 15% van de gevallen kan leiden tot het extreem vroeg intreden van dementie. Daarnaast zijn deze aangetaste mensen vaak emotioneel onderontwikkeld, waarbij kinderen hogere risico's lopen dan volwassenen omdat hun hersenen nog niet volgroeid zijn.

Volgens het ministerie van Wetenschap, ICT en Toekomstplanning bezit ruim 67% van de Zuid Koreanen een smartphone, het hoogste percentage ter wereld. Onder tieners is dit 64%, een gigantische groei ten opzichte van de 21,4% in 2011. Zuid Korea was het eerste land ter wereld waar ook op de basisscholen massaal papier en schoolbord werden vervangen door computers.

'Schade hersenen onomkeerbaar'

De Duitse neurowetenschapper dr. Manfred Spitzer schreef in 2012 het boek 'Digitale Dementie'. Hierin waarschuwde hij ouders en leraren voor de gevaren als kinderen te veel tijd doorbrengen met hun laptop, smartphone of andere elektronische apparaten. De schade die wordt aangebracht aan de hersenen is volgens Spitzer onomkeerbaar, reden waarom hij opriep tot een verbod op het gebruik van digitale apparaten op Duitse scholen.

'Kinderlijk gedrag' door sociale netwerken

Lady Greenfield, een gezaghebbende professor synaptische farmacologie aan het Lincoln college in Oxford (Engeland), waarschuwde in 2009 in het Britse Hogerhuis (1e Kamer) dat door de ervaringen die kinderen op sociale netwerksites opdoen zij 'verstoken blijven van samenhangende taal en lange-termijn betekenis. Als gevolg zullen de hersenen van de kinderen, als ze straks volwassen zijn, nog steeds op een kinderlijke manier functioneren.'

Volgens haar veroorzaken sociale netwerksites een verkorting van de aandachtsboog van kinderen. 'Als het jonge brein al vroeg wordt blootgesteld aan een wereld van snelle aktie en reactie, van plotseling opflitsende nieuwe beelden en foto's door een simpele druk op een knop, dan raken de hersenen er aan gewend om binnen zulke korte tijdsperiodes te reageren. Maar als er dan in de echte wereld niet onmiddellijk reacties volgen, dan krijgen we afwijkend gedrag en noemen dat vervolgens 'attentention-deficit (hyperactivity) disorder', AD(H)D.'

Erosie van eigen identiteit

Greenfield zei dat meer computeren en minder lezen van boeken leidt tot het verlies van empathie, van inlevingsvermogen. De professor vindt het vreemd dat de maatschappij de erosie van onze identiteit als gevolg van sociale netwerksites 'enthousiast omarmt'. Volgens haar leiden sites als Facebook en Hyves ertoe dat mensen het onderscheid tussen hun online identiteit en de 'echte wereld' beginnen te verliezen. Greenfield stelt dat de volwassenen van de volgende generatie daarom hun identiteit zullen ontlenen aan de reacties van anderen op henzelf.

Sociale netwerksites kunnen een 'constante herbevestiging geven dat er naar je geluisterd wordt, je (h)erkend wordt, belangrijk bent,' vervolgde Greenfield. 'Dit is echter gelijktijdig gekoppeld aan een vervreemding van de druk van een écht face-to-face gesprek, een echte real-life conversatie, die veel 'gevaarlijker' is, omdat je geen gelegenheid hebt om een tijdje over een slim of gevat antwoord na te denken.' (5)

Narcistisch gedrag, gebrek aan empathie

Dr. Ablow, Amerikaanse psychiater en New York Times auteur van diverse bestsellers, schreef in 2010 dat veelvuldig chatten ertoe leidt dat mensen op den duur steeds slechter in staat zijn om diepgaande 'real life' relaties aan te gaan, omdat men gewend is internetcontacten die 'moeilijk' doen simpel weg te klikken.

Ook hij schreef de explosie van AD(H)D onder jongeren mede toe aan de verschuiving onder jongeren naar digitale contacten. 'Veel moderne jongeren vertonen narcistisch gedrag en denken dat zij de sterren van hun eigen digitale levens'soap' zijn... De veel grotere slachting zal bestaan uit de stille vernietiging van de waardevolle interpersoonlijke alchemie die we 'menselijke relaties' noemen. Die zijn gebaseerd op empathie en het besef dat je altijd te maken hebt met iemand die een gevoel heeft en daarom met respect behandeld moet worden,' aldus Ablow.

Mensen online als wegwerpartikelen behandeld

'Nu dreigen we echter een belangrijke grens over te gaan door buitengewoon 'giftige' boodschappen tot ons te nemen die het tegenovergestelde zeggen, namelijk dat mensen wegwerpartikelen zijn, wier enige waarde is dat ze misschien maar enkele minuten onze aandacht kunnen vasthouden.' Naast dr. Ablow waarschuwen psychiaters over de hele wereld dat met name jongeren steeds minder in staat lijken om complexe, duurzame relaties aan te gaan, omdat het hen aan voldoende empathie (inlevingsvermogen) ontbreekt. (2)

Ook de snelle verruwing op blogs en forums in de afgelopen jaren, waaronder helaas ook deze site, is een duidelijk bewijs van deze digitale afstomping en ontaarding. Steeds meer mensen hebben er moeite mee om op normale, beschaafde en respectvolle wijze op artikelen of andere bezoekers waar zij het niet mee eens zijn te reageren. Velen zijn niet (meer) in staat met inhoudelijke en onderbouwde argumenten te reageren en grijpen daarom terug op ordinaire verwensingen en grove scheldpartijen.

Hartaandoening, Alzheimer, MS, Parkinson, hersentumor

Na Japanse, Australische, Finse, Zweedse en Zwitserse wetenschappers concludeerde in 2009 ook het European Research Institute for Electronic Components in Boekarest dat de straling die door mobieltjes wordt afgegeven onder andere kan leiden tot hartaandoeningen en nierstenen. Onderzoekers van de universiteit in het Zweedse Lund ontdekten dat ook de hersenen kunnen worden aangetast, waardoor mensen sneller Alzheimer, Multiple Sclerosis en Parkinson kunnen krijgen. Australische wetenschappers waarschuwden dat in het jaar 2020 zo'n 2 miljard (!) mensen een hersentumor kunnen ontwikkelen door het veelvuldig bellen met mobieltjes.  (4)

Inmiddels is er ook bewijs geleverd dat de sterke groei van autisme mede wordt veroorzaakt door de forse toename van RF (Radio Frequentie) straling in de atmosfeer, die schade aanricht aan de hersenen van ongeboren en jonge kinderen. Het aantal baby's met autisme groeide van 1 op de 150 in 2002 naar ongeveer 1 op de 50 tien jaar later.

In juni 2011 classificeerde de Wereld Gezondheid Organisatie (WHO) de straling die door de inmiddels bijna 7 miljard mobieltjes (2011: 4,6 miljard) op de wereld wordt geproduceerd dan ook als 'mogelijk kankerverwekkend'. Hiermee werden mobieltjes in dezelfde categorie geplaatst als lood en chloroform. De WHO concludeerde dat frequente blootstelling aan straling van mobieltjes gelinkt kan worden aan kwaadaardige hersentumoren.

Straling verstoort DNA reparatie

In een recente presentatie toonde ook Devra Lee Davis, voormalig wetenschapper aan de National Academy of Sciences, de gevaren van mobieltjes aan. Davis dacht aanvankelijk dat de straling geen kwaad kon, totdat ze na uitvoerig onderzoek tot geheel andere conclusies kwam. De impact op het lichaam wordt niet veroorzaakt door het lage energieverbruik van mobieltjes, maar door de pulserende straling die ze uitzenden en die de reparatie van beschadigd DNA in het lichaam kan verstoren.

Davis zei ook dat mobieltjes de oorzaak zijn van kankertumoren die ontstaan op plaatsen die veel bloot staan aan direct contact (ook met kleding ertussen) met het apparaat. Epidemioloog en gezondheidswetenschapper George Carlo, oprichter van het Science and Public Policy Institute, stelde al jaren geleden dat de industrie nooit serieus onderzoek heeft verricht naar de gevolgen van mobiele straling. Na een 6 jaar durend onderzoek dat $ 28 miljoen kostte concludeerde Carlo in 1999 dat de straling dermate ernstig is, dat in 2010 jaarlijks zo'n 500.000 Amerikanen kanker zouden krijgen als direct gevolg van het gebruik van mobiele telefoons.

'Nieuwe generatie smartphonechips zeer schadelijk'

Vorig jaar sloegen Amerikaanse wetenschappers alarm over de nieuwe generatie microchips die voor smartphones wordt ontwikkeld. Volgens dr. Boian Alexandrov van het Center for Nonlinear Studies van het Alamos National Laboratory in New Mexico kunnen de terahertz (Thz) golven die deze chips uitzenden het menselijke DNA beschadigen en zelfs vernietigen. Deze technologie wordt nu al dagelijks toegepast bij het scannen van passagiers op luchthavens. Dr. Alexandrov vreest dat als deze chips in smartphones worden toegepast, er in de toekomst miljoenen mensen ernstig ziek zullen worden of zelfs zullen sterven. (3)

Xander

(1) The Telegraph
(2) Xandernieuws 05-03-2010
(3) Xandernieuws 11-05-2012
(4) 02-01-09: Opnieuw bewijs dat mobieltjes schadelijk zijn voor gezondheid
(5) 27-02-09: Hersenexpert: Sociale netwerksites leiden tot 'kinderlijk gedrag'

Zie ook o.a.:

01-01-13: Nomofobie -angst dat je mobieltje het niet doet- in opmars
08-04-09: Duitse wetenschappers waarschuwen tegen schadelijke effecten zendstations digitale TV

vendredi, 12 juillet 2013

« CÉLINE, un exemple de radicale insoumission »

« CÉLINE, un exemple de radicale insoumission »

par Dominique VENNER (2013)

Ex: http://www.lepetitcelinien.com

 
Les éditions P.-G. de Roux viennent de publier Un samouraï d'Occident, Le Bréviaire des insoumis, « livre-testament » de Dominique Venner, mort de manière spectaculaire le 21 mai dernier. Cet « historien méditatif » se penche dans cet ouvrage sur la longue tradition des Européens, son histoire, son avenir. Quelques lignes sont consacrées à Céline...
 
Certains exemples inattendus de retour à des représentation antiques affranchies du christianisme ont des précédents célèbres et bien répertoriés. En Allemagne, Goethe, Nietzsche ou Heidegger ; en Espagne, Ortega y Gasset ; en Italie, Croce, Pareto, Marinetti et Julius Evola. En France, dans la période contemporaine, on songe aux positions explicites d'Hyppolyte Taine, Anatole France, Ernest Renan, Fustel de Coulanges, Maurice Barrès, Thierry Maulnier, Jacques Laurent, Lucien Rebatet, Emile Cioran. Mais on peut s'attarder un instant sur les exemples de Montherlant, Maurras, Céline et, dans une moindre mesure, du maréchal Lyautey qui tous ont laissé des témoignages écrits auxquels on peut se référer.
 
[...]
 
La virulente polémique de Céline

Considéré comme le plus grand écrivain français du XXè siècle, rénovateur de la langue et du style, habité par une sorte de délire prophétique, Louis-Ferdinand Destouches, Céline en littérature, constitue un autre exemple de radicale insoumission. Gravement blessé au cours des premiers combats de 1914, il fut décoré et réformé. Ayant entrepris des études de médecine, il soutint sa thèse en 1924 sur la vie et l'oeuvre du Dr Semmelweis. Entré au service d'hygiène de la S.D.N., il fut envoyé en mission aux U.S.A., en Europe et en Afrique jusqu'en 1927. Cinq ans plus tard, il publiait Voyage au bout de la nuit, salué aussitôt comme une oeuvre littéraire capitale. Tout comme Léon Daudet dans L'Action française, l'intelligentsia de gauche réserva un accueil chaleureux à un auteur qui semblait lui appartenir, mais l'écrivain-médecin était rétif à tout embrigadement. La publication de Mea culpa (1936), après un voyage en U.R.S.S., montra qu'il n'avait pas été dupe du paradis soviétique. Ce livre consomma son divorce avec une gauche que dominaient les communistes.

Sentant venir une nouvelle guerre, Céline en attribua la responsabilité à une conspiration juive. Coup sur coup, il publia deux pamphlets qui le firent soudain apparaître comme un antisémite enragé : Bagatelles pour un massacre (1937) et L'École des cadavres (1938). Vitupérant la guerre et les charniers à venir, il dénonçait à sa façon « la coalition du capitalisme anglo-saxon, du stanilisme et du lobby juif » dont l'objectif (selon lui) était d'envoyer au massacre la jeunesse française en une guerre franco-allemande où elle-même n'interviendrait pas avant l'épuisement des combattants sacrifiés.

Dans un genre assez différent, Céline publia en 1941 un nouveau pamphlet, Les Beaux draps, sans doute la seule de ses oeuvres qu'illumine un léger halo d'espérance. A côté d'une célèbre tirade sur le « communisme Labiche », il livrait une méditation poétique sur l'esprit de la France, écrite dans le style des ballades et des virelais du XVè siècle, non sans quelques coups de patte fort injustes donnés à Montaigne.

Ce curieux livre, où l'antisémitisme, quoique présent, est assez estompé, délivrait cette fois un message furibard à l'encontre de la prédication chrétienne, ultime recours du régime de Vichy qu'il méprisait : « Propagée aux races viriles, aux races aryennes détestées, la religion de "Pierre et Paul" fit admirablement son oeuvre, elle décatit en mandigots, en sous-hommes dès le berceau, les peuples soumis, les hordes enivrées de littérature christique, lancées éperdues imbéciles, à la conquête du Saint Suaire, des hosties magiques, délaissant à jamais leurs Dieux de sang, leurs Dieux de race... Ainsi la triste vérité, l'aryen n'a jamais su aimer, aduler que le dieu des autres, jamais eu de religion propre, de religion blanche... Ce qu'il adore, son coeur, sa foi, lui furent fournis de toutes pièces par ses pires ennemis... » Dans un langage différent, Nietzsche n'avait pas dit autre chose.

L'ouvrage fut interdit par les services de Vichy en zone Sud et suscita les plus vives réserves de la Propaganda Abteilung...

 

Dominique VENNER, Un samouraï d'Occident, Le Bréviaire des insoumis, P.-G. de Roux, 2013.
Commande possible sur Amazon.fr.

jeudi, 11 juillet 2013

Ernst Jünger et la révolution conservatrice

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Dominique Venner:
 
Ernst Jünger et la révolution conservatrice
 
 
Pauline Lecomte : Vous avez publié naguère une biographie intellectuelle consacrée à Ernst Jünger, figure énigmatique et capitale du XXe siècle en Europe. Avant de se faire connaître par ses livres, dont on sait le rayonnement, cet écrivain majeur fut un très jeune et très héroïque combattant de la Grande Guerre, puis une figure importante de la "révolution conservatrice". Comment avez-vous découvert l’œuvre d'Ernst Jünger ?

Dominique Venner : C'est une longue histoire. Voici longtemps, quand j'écrivais la première version de mon livre Baltikum, consacré à l'aventure des corps-francs allemands, pour moi les braises de l'époque précédente étaient encore chaudes. Les passions nées de la guerre d'Algérie, les années dangereuses et les rêves fous, tout cela bougeait encore. En ce temps-là, un autre écrivain allemand parlait à mon imagination mieux que Jünger. C'était Ernst von Salomon. Il me semblait une sorte de frère aîné. Traqué par la police, j'avais lu ses Réprouvés tout en imaginant des projets téméraires. Ce fut une révélation. Ce qu'exprimait ce livre de révolte et de fureur, je le vivais : les armes, les espérances, les complots ratés, la prison... Ersnt Jünger n'avait pas connu de telles aventures. Jeune officier héroïque de la Grande Guerre, quatorze fois blessé, grande figure intellectuelle de la "révolution conservatrice", assez vite opposé à Hitler, il avait adopté ensuite une posture contemplative. Il ne fut jamais un rebelle à la façon d'Ernst von Salomon. Il a lui-même reconnu dans son Journal, qu'il n'avait aucune disposition pour un tel rôle, ajoutant très lucidement que le soldat le plus courageux - il parlait de lui - tremble dans sa culotte quand il sort des règles établies, faisant le plus souvent un piètre révolutionnaire. Le courage militaire, légitimé et honoré par la société, n'a rien de commun avec le courage politique d'un opposant radical. Celui-ci doit s'armer moralement contre la réprobation générale, trouver en lui seul ses propres justifications, supporter d'un cœur ferme les pires avanies, la répression, l'isolement. Tout cela je l'avais connu à mon heure. Cette expérience, assortie du spectacle de grandes infamies, a contribué à ma formation d'historien. A l'époque, j'avais pourtant commencé de lire certains livres de Jünger, attiré par la beauté de leur style métallique et phosphorescent. Par la suite, à mesure que je m'écartais des aventures politiques, je me suis éloigné d'Ernst von Salomon, me rapprochant de Jünger. Il répondait mieux à mes nouvelles attentes. J'ai donc entrepris de le lire attentivement, et j'ai commencé de correspondre avec lui. Cette correspondance n'a plus cessé jusqu'à sa mort.

P. L. : Vous avez montré qu'Ernst Jünger fut l'une des figures principales du courant d'idées de la "révolution conservatrice". Existe-t-il des affinités entre celle-ci et les "non conformistes français des années trente" ?

D. V. : En France, on connaît mal les idées pourtant extraordinairement riches de la Konservative Revolution (KR), mouvement politique et intellectuel qui connut sa plus grande intensité entre les années vingt et trente, avant d'être éliminé par l'arrivée Hitler au pouvoir en 1933. Ernst Jünger en fut la figure majeure dans la période la plus problématique, face au nazisme. Autour du couple nationalisme et socialisme, une formule qui n'est pas de Jünger résume assez bien l'esprit de la KR allemande : "Le nationalisme sera vécu comme un devoir altruiste envers le Reich, et le socialisme comme un devoir altruiste envers le peuple tout entier".
 
     Pour répondre à votre question des différences avec la pensée française des "non conformistes", il faut d'abord se souvenir que les deux nations ont hérité d'histoires politiques et culturelles très différentes. L'une était sortie victorieuse de la Grande Guerre, au moins en apparence, alors que l'autre avait été vaincue. Pourtant, quand on compare les écrits du jeune Jünger et ceux de Drieu la Rochelle à la même époque, on a le sentiment que le premier est le vainqueur, tandis que le second est le vaincu.
 
     On ne peut pas résumer des courants d'idées en trois mots. Pourtant, il est assez frappant qu'en France, dans les différentes formes de personnalisme, domine généralement le "je", alors qu'en Allemagne on pense toujours par rapport au "nous". La France est d'abord politique, alors que l'Allemagne est plus souvent philosophique, avec une prescience forte du destin, notion métaphysique, qui échappe aux causalités rationnelles. Dans son essais sur Rivarol, Jünger a comparé la clarté de l'esprit français et la profondeur de l'esprit allemand. Un mot du philosophe Hamman, dit-il, "Les vérités sont des métaux qui croissent sous terre", Rivarol n'aurait pas pu le dire. "Il lui manquait pour cela la force aveugle, séminale."

P. L. : Pouvez-vous préciser ce qu'était la Weltanschauung du jeune Jünger ?

D. V. : Il suffit de se reporter à son essai Le Travailleur, dont le titre était d'ailleurs mal choisi. Les premières pages dressent l'un des plus violents réquisitoires jamais dirigés contre la démocratie bourgeoise, dont l'Allemagne, selon Jünger, avait été préservée : "La domination du tiers-état n'a jamais pu toucher en Allemagne à ce noyau le plus intime qui détermine la richesse, la puissance et la plénitude d'une vie. Jetant un regard rétrospectif sur plus d'un siècle d'histoire allemande, nous pouvons avouer avec fierté que nous avons été de mauvais bourgeois". Ce n'était déjà pas mal, mais attendez la suite, et admirez l'art de l'écrivain : "Non, l'Allemand n'était pas un bon bourgeois, et c'est quand il était le plus fort qu'il l'était le moins. Dans tous les endroits où l'on a pensé avec le plus de profondeur et d'audace, senti avec le plus de vivacité, combattu avec le plus d'acharnement, il est impossible de méconnaître la révolte contre les valeurs que la grande déclaration d'indépendance de la raison a hissées sur le pavois." Difficile de lui donner tort. Nulle part sinon en Allemagne, déjà avec Herder, ou en Angleterre avec Burke, la critique du rationalisme français n'a été aussi forte. Avec un langage bien à lui, Jünger insiste sur ce qui a préservé sa patrie : "Ce pays n'a pas l'usage d'un concept de la liberté qui, telle une mesure fixée une fois pour toutes est privée de contenu". Autrement dit, il refuse de voir dans la liberté une idée métaphysique. Jünger ne croit pas à la liberté en soi, mais à la liberté comme fonction, par exemple la liberté d'une force : "Notre liberté se manifeste avec le maximum de puissance partout où elle est portée par la conscience d'avoir été attribuée en fief." Cette idée de la liberté active "attribuée en fief", les Français, dans un passé révolu, la partagèrent avec leurs cousins d'outre-Rhin. Mais leur histoire nationale évolué d'une telle façon que furent déracinées les anciennes libertés féodales, les anciennes libertés de la noblesse, ainsi que Tocqueville, Taine, Renan et nombre d'historiens après eux l'ont montré. A lire Jünger on comprend qu'à ses yeux, à l'époque où il écrit, c'est en Allemagne et en Allemagne seulement que les conditions idéales étaient réunies pour couper le "vieux cordon ombilical" du monde bourgeois. Il radicalise les thèmes dominants de la KR, opposant la paix pétrifiée du monde bourgeois à la lutte éternelle, comprise comme "expérience intérieure". C'est sa vision de l'année 1932. Avec sa sensibilité aux changements d'époque, Jünger s'en détournera ensuite pour un temps, un temps seulement. Durant la période où un fossé d'hostilité mutuelle avec Hitler et son parti ne cessait de se creuser.

Dominique Venner, Le choc de l'histoire

mercredi, 10 juillet 2013

E. A. Poe scopritore di una nuova malattia dello spirito: la modernità

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E. A. Poe scopritore di una nuova malattia dello spirito: la modernità

 

Autore:

Ex: http://www.centrostudilaruna.it

 

eapoeIl pubblico, specialmente il pubblico europeo, possiede una percezione parziale dell’opera di Edgar Allan Poe: la sua notorietà come scrittore di racconti del mistero e del terrore è così grande, ampliata anche dal cinema che si è impossessato di quei soggetti, da aver messo decisamente in ombra un altro aspetto della sua produzione: quella lirica.

 

Leggere le poesie di Poe, immaginando di ignorare l’identità del loro autore, rappresenta una delicata e suggestiva escursione in una provincia artistica leggiadra e nostalgica, pervasa dal rimpianto della Bellezza ideale che il mondo materiale, e specialmente il mondo moderno, con le sue brutture e il suo affarismo, sembra avere irrimediabilmente compromesso; si resta un po’ sorpresi nel confrontare questo poeta delicato e un po’ platonizzante, che vibra al più lieve tocco della Bellezza, sensibile come un rametto di mimosa, al cupo autore di racconti orrorifici come La maschera della morte rossa, Il cuore rivelatore o La caduta della Casa Usher.

 

D’altra parte, c’è un tratto caratteristico e inconfondibile nelle liriche di Poe, dal notissimo – e forse troppo celebrato – poemetto Il Corvo (The Raven) alla raffinata, nitida poesia A Elena (To Helen), lieve come un impalpabile sogno ad occhi aperti – o magari chiusi, chi può dirlo?, l’atmosfera onirica si presta a tali giochi di specchi fra realtà e fantasia -: vogliamo dire l’attenzione alla pulizia stilistica, la sapienza della struttura lessicale e compositiva, la ricercatezza formale, simile ad un prezioso lavoro d’intarsio e di compasso; tanto da suggerire l’idea che non di poesia sentimentale si tratti, romanticamente intesa, ma di una poesia intellettualistica, razionalmente pensata ed impostata, secondo i canoni rigorosi del “secolo dei lumi”.

 

È un’impressione che va ridimensionata, tenendo conto che nel Poe lirico esiste un sapiente gioco di contrappunti e di armonie fra la dimensione istintiva, passionale, sentimentale – o, come lui dice, immaginativa -, e quella logica, razionale, “scientifica”; e che il pregio maggiore delle sue poesie consiste proprio nel sapiente dosaggio e nel raro equilibrio che egli riesce ad ottenere fra le ragioni del cuore e quelle della mente; nella linea, del resto, di altri grandi pre-romantici, a cominciare dal nostro Ugo Foscolo, e specialmente il Foscolo dei sonetti.

 

la-tempestaAbbiamo accennato alla “scientificità” dei procedimenti poetici di Poe, pur subordinati ad una concezione generale del fatto estetico che è d’impostazione idealistica, per la quale le cose sono le ombre o i riflessi di una realtà ulteriore, sovrannaturale o, comunque, non umana, secondo la lezione del mito platonico della caverna, ma anche dello Shakespeare dei sonetti, dei “romances” come La tempesta e di alcune struggenti e delicate commedie, a cominciare da Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer Night’s Dream), della quale ci siamo già occupati a suo tempo (cfr. il nostro precedente saggio Malinconia e platonismo nel Sogno d’una notte di mezza estate di Shakespeare).

 

Ebbene, il rapporto con la scienza è un’altra preziosa chiave di lettura per accostarsi alla produzione lirica di Poe. Egli non è nemico della scienza, anche se, sulla scia di altri grandi lirici anglosassoni, in particolare del “visionario” William Blake, le rimprovera aspramente di aver gettato un’ombra desolata sul mondo, strappando il velo della poesia e imbruttendo la realtà, ingrigendo gli orizzonti della vita; ma tale rimprovero non è rivolto alla scienza in quanto tale, per la quale, anzi, egli nutre un vivo e sincero interesse e al cui metodo logico ritiene che anche il poeta debba attingere, per non parlare del prosatore (e si pensi ai suoi racconti di genere investigativo, come I delitti della Rue Morgue, caratterizzati da un rigoroso impianto razionale e deduttivo); bensì alla scienza presuntuosa e arrogante, in definitiva allo scientismo, che pretende di assolutizzare il proprio sapere e di ridurre al rango di saperi di seconda scelta quelli propri alle altre forme di conoscenza del reale, a cominciare dall’arte medesima.

 

Poe, dunque, non rifiuta la scienza in se stessa, così come, si potrebbe aggiungere, non rifiuta la modernità in quanto tale; ne rifiuta semmai la bruttezza, il cinismo, l’utilitarismo esasperato, il produttivismo cieco, il materialismo grossolano, la pretesa totalizzante a livello estetico, etico e filosofico; rifiuto deciso, intransigente, donchisciottesco, se si vuole, e quindi ingenuo e velleitario, ma non per questo meno sincero, non per questo meno sofferto e umanamente significativo, perché testimonia la crisi e il dramma di una civiltà faustiana che si vede presa nella propria vertigine ed esita, brancolando, sull’orlo dell’abuso, a imboccare sino in fondo la strada di un “progresso” senz’anima, foriero di sempre nuove, sconvolgenti sottomissioni dell’anima alle ferree leggi del Logos calcolante e strumentale.

 

E che altro è, del resto, la “caduta” della Casa Usher, se non la nemesi di un progresso disumano e accecato dall’umano orgoglio, che non riconosce limiti né misura alla propria “hybris” e che pretende di farsi legge e norma infallibile e inderogabile di ogni agire umano, di ogni pensare, di ogni sentire, come se nulla vi fosse oltre a ciò che la mente razionale può accumulare, manipolando gli enti senza sosta, sovvertendo le leggi naturali, capovolgendo il giusto rapporto fra la vita e il suo insopprimibile bisogno di bellezza?

 

Tutto questo appare evidente nella “protesta” di Poe, ché di una autentica protesta si tratta, ora esplicita, come nei racconti, ora implicita, come nelle poesie; ma sempre si tratta di una pretesta ferma e intransigente, non tanto in nome della nostalgia del passato pre-moderno (tentazione che, peraltro, fa sovente capolino, specie nelle liriche, in particolare sotto le forme di un richiamo alla grazia impareggiabile del mondo classico), quanto piuttosto in nome di una umanità che, pur confusa e smarrita, non è disposta ad abdicare a se stessa, al proprio sentimento di ciò che è umano, ai diritti sacrosanti della “imagination”, della fantasia creatrice di bellezza.

 

Così sintetizza la questione Tommaso Pisanti nel suo saggio introduttivo all’opera poetica del grande scrittore americano, E. A. Poe poeta (E. A. Poe, Tutte le poesie, a cura di T. Pisanti, Roma, Newton Compton Editori, 1982, 1990, pp. 15-21):

 

«Già da fanciullo “mentre era azzurro tutto l’altro cielo”, Poe vide una nuvola prender forma di demone (“of a demon in my view” (“Alone”). E lungo una tale direzione si svilupperà, più tardi, la “selvaggia visionarietà di “The Haunted Palace” (Il Palazzo stregato) e – meno compatta – quella di “Dream-Land” (Terra di sogno), col terribile, soffocante senso di una duplicità e anzi ambigua e stregata “doppiezza” angelico-demonica. Perché se il “demonico” s’accumula in Poe inizialmente come per un’intensificazione della disperazione stessa, interviene e subentra poi anche una specie di contorto sadismo “dello spirito” e dell’immaginazione, che conosce le sue orge non meno di quello fisico-corporeo. Poe vede insomma la vita come divorata e spazzata via dal gigantesco “Verme trionfante” di “The Conqueror Worm”: e ne piangono gli angeli stessi, “pallid and wan”, “pallidi ed esangui”.Nell’intollerabile tensione, Poe si volgerà anche alla Vergine, invocherà Maria: in “Catholic Hymn” (corretto poi in “Hymn”), con suggestione forse dantesca o byroniana (“Don Juan”, III st. 101 ss). Naturalmente, è sempre da tener presente quanto d’impulsivo, d’immediato, quanto dell’istinto e della multilateralità dell’attore-istrione e, al limite, di mistificatorio è in Poe. Il poeta vive, “trasognato, giorni estatici” (“And all my days are trances”), dirà in “A una in Paradiso”. Certo, Poe fu “evasivo”, “disimpegnato”: ma nel senso della “immaginazione angelica”, disincarnata, indicata da Allan Tate. Il suo esplorare la surrealtà non si risolve poi infine, tuttavia, in una più sottile conoscenza d’una più globale, estesa realtà? […]

Le poesie riservano tutto un più largo spazio, rispetto ai racconti, a quella componente dell’ardore per la Beltà, a un mito d’armonie remote e perdute […]: ardore e mitopoiesi classico-platonica soffusi d’ombre orfico-pitagoriche, e con qualche finale riverbero, magari, pur sempre goticheggiante.Una componente, questa, fondamentale, che stacca comunque Poe dalla dimensione, diciamo, soltanto “gotica” e romantico-hoffmaniana per accostarlo anche al nitore d’una linea e d’una mitizzazione classico-neoclassica, alla linea di Hölderlin, di Keats, di Foscolo: come nella splendida, esemplare “To Helen” […], pubblicata già nel 1831 e poi continuamente ricesellata. […]

E a difesa dei vecchi miti e, leopardianamente, degli “ameni inganni”, anche Poe lamenta, nel sonetto “Alla scienza”, che il “progresso” abbia tutto ingrigito e livello, che la Scienza con le sue ali “grevi” (“dull”) abbia “sbalzato Diana dal suo carro” e “scacciato l’Amadriade dal bosco” e “strappato la Naiade al flutto / l’Elfo al verde prato e me stesso infine / al sogno estivo all’ombra del tamarindo”. Ma è solo un’accentuazione particolare : giacché Poe è in realtà vivamente sensibile allo sviluppo scientifico, nella misura in cui esso è, innanzi tutto, collegato con una “mind” lucido-geometrica e anche per quanto può offrire, di nuove aperture e di nuovi strumenti, all’esplorazione e all’osservazione sottilmente operate dall’occhio e dalla mente umani (e nella mente umana). Insieme al rimpianto quindi Poe ingloba in sé un attento, tenace interesse nei riguardi della lucidità dei metodi e dei procedimenti, una ferma attenzione alla rigorosità del linguaggio matematico-scientifico, al linguaggio del pensiero e delle definizioni, che possono offrirgli materiali e stimoli proprio per il lato di rigorosità e di definizione laicizzante che egli intende dare alla sua macchina stilistica. […] Si tratta, naturalmente, di un uso “strumentale” della scienza, proprio al fine di ristabilire quella riunificazione tra il sensibile e il soprasensibile che è il supremo proposito di Poe e il supremo proposito della poesia, secondo Poe: nel quale resta nettissima, s’intende, l’avversione alla scienza come pretesa sistematica di spiegazione e interpretazione puramente ed esclusivamente logico-razionale. […]

Anche se, alla base, è la “prescienza estatica” che dà il primo scatto, è all’intelletto e alla “tecnica” che tocca poi partecipare per il fattuale concretarsi della poesia. “Non vi è peggior errore che il presupporre che la vera originalità sia semplicemente questione d’impulso e d’ispirazione. Originalità è combinare in modo attento, paziente e comprensivo”. Poe è insomma tutt’altro che immerso nella totalità romantica, resta anzi legato ad eredità settecentesche, “è un razionalista del Settecento con inclinazioni occultistiche”, ha perfino scritto il Wellek. […]

Il senso della “combinazione” non deve tuttavia indurre ad eccessive, facili accuse di “cerebralismo” e “meccanicità”. Lawrence scrisse perfino che Poe “è quasi più scienziato che artista”. Ma i meccanismo che Poe mette in movimento puntano a un “effetto”, cioè a risultati: d’eccitazione e d’intensa emotività.

Poe fu insomma scopritore- può dirsi ancora, e concludendo, con Emilio Cecchi – “di una provincia che non è quella del’orrido, dell’ossessivo, ma è semplicemente la nuova provincia dell’arte d’oggi. Solo una delle nuove province, a voler precisare. E fra tentativi e approssimazioni, se si vuole. Ma è innanzi tutto in se stessa, nella sua intrinseca composizione che la poesia di Poe va riletta e ripensata: una lampeggiante associazione di “gotico”, di tradizione classicista e di inquietanti fosforescenze anticipatrici, sì, ma già “poesia” per se stesse.»

 

In questo senso, e sia pure forzando, ossia andando oltre, la stessa interpretazione del Cecchi, ci sembra di poter concludere che Poe, e specialmente il Poe lirico, tanto meno conosciuto, ma non meno interessante del Poe narratore, si possa considerare come lo scopritore non solo di una nuova provincia dell’arte, ma di una nuova malattia dello spirito: la modernità.

 

Negli stessi anni di Kierkegaard, anch’egli leva la sua voce per protestare contro il cancro della società massificata, petulante, presuntuosa, che, forte dei propri successi tecnici ed economici, pretende di imporre il suo dominio tirannico sui regni dello spirito e sui diritti inalienabili dell’io individuale. Poe, dunque, fratello in spirito di Kierkegaard: chi l’avrebbe detto? Eppure è così.

 

Certo, la protesta di Poe è quella di un poeta: non possiede né la forza, né il rigore del grande filosofo danese. Davanti alla bruttezza che minaccia la vita fin nelle sue intime radici, Poe non sa cercare rifugio se non nelle braccia della donna idealizzata; ed ecco le numerose donne angelicate: Elena, Elizabeth e le altre. Fragile rifugio, quale potrebbe cercare un bambino spaventato da un brutto sogno: «Io vivevo tutto solo / in un mondo di dolore, / e la mia anima ristagnava immobile, / finché la bella e gentile Eulalia non diventò mia timida sposa» («Eulalia»). Ma la vita, è altra cosa…

 

* * *

 

Tratto, col gentile consenso dell’Autore, dal sito Arianna Editrice.

mardi, 09 juillet 2013

Plaidoyer pour une décroissance de l'éphémère

LA FABRIQUE DU CONSENTEMENT

Plaidoyer pour une décroissance de l'éphémère


Chems Eddine Chitour*
Ex: http://metamag.fr
 
Pour qu'un message publicitaire soit perçu, il faut que le cerveau du téléspectateur soit disponible. Nos émissions ont pour vocation de le rendre disponible: c'est-à-dire de le divertir, de le détendre pour le préparer entre deux messages. Ce que nous vendons à Coca-Cola, c'est du temps de cerveau humain disponible.»
Patrick Le Lay, Président Directeur Général de TF1

Il est devenu d'usage d'admettre dans la plus pure tradition de la fatalité, que la civilisation est ce qu'elle est et qu'il faut s'adapter ou périr. Il en va ainsi de tous les « ismes » qui ont malmené la condition humaine à travers les siècles, notamment le précédent, par toute latitude. En son temps, Jean-François Lyotard avait fait l'inventaire de tous les récits de légitimité (communisme, stalinisme, nazisme... libéralisme) et comme épouvantail islamisme imposés par les puissants aux peuples. Parmi tous ces «ismes» le capitalisme triomphant après la chute du communisme pensait pouvoir formater la planète pour mille ans.


Souvenons-nous dans le droit fil de la « destinée manifeste » du XIXe siècle faisant dire à Dieu qu’il privilégie le peuple américain, de «La fin de l'histoire»  au XXe siècle de Francis Fukuyama pour qui le modèle américain de néolibéralisme devait amener la prospérité et la démocratie «aéroportée» et les lumières droits de l'homme au reste du monde au besoin éclairée par le napalm... 

On le sait, le Programme américain pour un nouveau siècle (Pnac) théorisé par les néoconservateurs avait justement, pour objectif de réaffirmer le leadership définitif de l'hyperpuissance américaine. Pour cela il fallait inventer un Satan de rechange. Ce sera l'Islam(isme) et à bien des égards, l'attaque des tours jumelles, symbole du capitalisme triomphant, fut du pain bénit. Rien ne s'opposera ni à l'intérieur ni à l'extérieur à la tentation d'Empire et à la nouvelle religion le money-théisme. Le capitalisme, le néolibéralisme  et la mondialisation ont besoin de mécanismes pour formater durablement le monde. Des institutions seront mises en place pour gouverner le monde, à la place des anciennes. D'abord, ce seront les deux grandes banques, celle qui «ajuste, structurellement les économies vulnérables le FMI, et la Banque mondiale». Ce sera  ensuite, le commerce confié à l'OMC.


Par ailleurs il y aura forcément des récalcitrants qu’il faudra mettre au pas, soit par le soft power de la Cour pénale internationale  pour juger les faibles, soit par  la force brutale avec l’Otan. Enfin la surveillance et  le formatage des esprits, seront confiés à Internet, et à l'addiction volontaire aux nouveaux médias. Nous allons justement traiter dans ce qui suit de la fabrique du consentement par les médias et la publicité sur tous les supports au premier rang desquels la télévision joue un rôle capital dans la «panurgisation» du monde.

Le marché et son installation: Les consommateurs « sous influence » 

Dans les pays dits développés, le marché, dans l'euphorie des «trente glorieuses» en Europe a permis le développement spectaculaire de la consommation débridée sous toutes ses formes. A titre d'exemple, l'installation des grandes surfaces qui a laminé définitivement les petits commerces s'est imposée au début des années 1960 et en mutant chaque fois pour serrer au plus près le consommateur on apprend qu'en France: «Le premier hyper est né le 15 juin 1963 en région parisienne sous la bannière Carrefour. Dans les années 1970, les nouvelles technologies changent les modalités d'achat. L'apparition du code-barre, puis la naissance de la carte à puces et des cartes bancaires modifient. En 1976, Carrefour lance les «produits libres». En 2012, Carrefour teste un magasin virtuel à Lyon et à Paris. Il permet au consommateur de commander ses produits via son smartphone depuis un lieu de passage, une gare par exemple, et de se faire livrer à son domicile ou au point «drive» de son choix.» (Du chariot à la caisse automatique, un demi-siècle d'hypermarchés Le Monde 14.06.2013 )

La fabrique du consentement 

Dans cette lutte féroce pour vendre à tout prix, les firmes multinationales ne manquent pas d'imagination. Elles faisaient appel aux techniques antédiluviennes de la réclame puis de la publicité classique. Elles s'attaquent maintenant au cerveau et créent un besoin. Pierre Barthélemy rapporte l'expérience singulière - pour nous, mais rentrée dans les mœurs ailleurs - de mainmise sur le cerveau, expérience qui montre que rien n'est définitivement acquis et qu'on peut être trompé tout le temps. Nous le suivons: «Comment les grandes marques influent sur nos cerveaux. Tellement brutale mais tellement vraie, la sortie de Patrick Le Lay, alors P-DG de TF1, avait fait grand bruit: il n'imaginait sûrement pas, c'est à quel point ce rapprochement entre cerveau et grandes enseignes commerciales était pertinent et profond. Une étude remontant au début des années 1980 a ainsi montré que des femmes souffrant de maux de tête se sentaient plus soulagées en prenant le cachet d'aspirine d'un groupe pharmaceutique très connu plutôt que celui d'une société moins célèbre, ce alors que la formulation et la présentation du médicament étaient exactement les mêmes.» 

Pierre Barthélémy cite une étude singulière: «Dans un article publié il y a quelques semaines par PLOS ONE, deux psychologues allemands se sont demandé si cet effet «grande marque» pouvait être transposé dans l'univers de l'alimentation et influencer une dégustation. Pour le déterminer, ils ont mis au point l'expérience suivante: des volontaires, allongés dans un appareil à IRM (imagerie par résonance magnétique) allaient goûter quatre sodas gazeux et les noter pendant qu'on observerait les zones de leur cerveau excitées par cette dégustation. (...) Les deux premières se passent de présentation. River Cola est la marque générique d'une chaîne de supermarchés allemands tandis que le T-Cola avait été présenté aux participants comme une boisson tout juste mise au point et pas encore sur le marché.»


En fait, T-Cola n'était qu'une invention: l'idée consistait à proposer une boisson totalement inconnue, d'une marque non identifiable. Les quatre échantillons servis étaient en réalité rigoureusement identiques, un cocktail de Coca, de Pepsi et de River Cola. Un tiers de chaque. Pour rendre le scénario encore plus crédible, les expérimentateurs montraient avant le test quatre récipients dont le contenu était soigneusement étiqueté. Les quinze participants ont tous eu l'impression qu'il s'agissait de quatre sodas différents (avant qu'on leur dévoile le pot aux roses). Les échantillons estampillés Coca et Pepsi, les deux grandes marques, ont obtenu des notes significativement meilleures à celles des deux autres, un résultat pas très surprenant.

«  Le plus intrigant, conclut Pierre Barthélémy,  n'est, en effet, pas là. Il réside dans ce qui est apparu à l'IRM. La dégustation de ce qui était présenté comme des marques peu ou pas connues a donné lieu à plus d'activité dans le cortex orbito-frontal, montrant que le sujet cherchait davantage à assigner une valeur au produit qu'il était en train de goûter, à décider s'il le trouvait bon ou pas, ce qui était moins le cas avec les pseudo-Coca et Pepsi. Comme si, dans le cas du River Cola et du T-Cola, la marque n'était pas un indicateur suffisant pour déterminer si la boisson plaisait ou ne plaisait pas. Pour les boissons connues, cette zone se révélait moins active, sans doute parce que, pour les avoir déjà goûtées auparavant ou en avoir vu les sujets savaient déjà plus ou moins à quoi s'en tenir. (...) Croyez-le ou pas, mais elles suivent de près la science du cerveau, au point qu'elles utilisent, elles aussi, l'IRM ou l'électroencéphalogramme pour... tester les réactions de consommateurs à de nouveaux produits ou comprendre comment ils prennent une décision d'achat. Cela s'appelle le neuromarketing.»  

Le dogme de cette religion, écrit Patrick Juignet, procède d'un axiome central: «Les vices privés font la vertu publique» que l'on doit à Bernard Mandeville (1740). Cet axiome déstructure les autres grandes fonctionnalités humaines: politique, symbolique, sémiotique et psychique. Par rapport à cette situation, Dany-Robert Dufour propose un droit de retrait des citoyens de la société devenue perverse (...) car poussant à toujours plus de compétition, de performance, pour plus d'argent afin de participer à l'idéal de la grande addiction consumériste. Il dénonce aussi la naturalisation généralisée, la perte des repères et interdits culturels, la réduction des individus à leur fonctionnement pulsionnel.» 

Les dégâts du néolibéralisme: Tout est conçu  contre la morale 

Justement, pour Dany Robert Dufour l'échange marchand généralisé et libéralisé détruit ou dérégule les autres «économies»: l'économie discursive (échange du sens, des idées), l'économie sociale (donner, recevoir, rendre) et l'économie psychique (la limitation pulsionnelle, l'altruisme). La télévision forge-t-elle des individus ou des moutons? s'interroge-t-il ?

 «L'individualisme ,écrit-il,  n'est pas la maladie de notre époque, c'est l'égoïsme, ce self love, cher à Adam Smith, chanté par toute la pensée libérale. (...) Vivre en troupeau en affectant d'être libre ne témoigne de rien d'autre que d'un rapport à soi catastrophiquement aliéné, dans la mesure où cela suppose d'avoir érigé en règle de vie un rapport mensonger à soi-même. Et, de là, à autrui. Ainsi ment on effrontément aux autres, ceux qui vivent hors des démocraties libérales, lorsqu'on leur dit qu'on vient - avec quelques gadgets en guise de cadeaux, ou les armes à la main en cas de refus - leur apporter la liberté individuelle alors qu'on vise avant tout à les faire entrer dans le grand troupeau des consommateurs. Mais quelle est la nécessité de ce mensonge? La réponse est simple. Il faut que chacun se dirige librement vers les marchandises que le bon système de production capitaliste fabrique pour lui. «Librement» car, forcé, il résisterait. La contrainte permanente à consommer doit être constamment accompagnée d'un discours de liberté, fausse liberté bien sûr, entendue comme permettant de faire «tout ce qu'on veut».  

« Notre société  poursuit le philosophe est en train d'inventer un nouveau type d'agrégat social mettant en jeu une étrange combinaison d'égoïsme et de grégarité que j'épinglerai du nom d'«égo-grégaire». Il témoigne du fait que les individus vivent séparés les uns des autres, ce qui flatte leur égoïsme, tout en étant reliés sous un mode virtuel pour être conduits vers des sources d'abondance. Les industries culturelles jouent ici un grand rôle: la télévision, Internet, une bonne partie du cinéma grand public, les réseaux de la téléphonie portable saturés d'offres «personnelles»... La télévision est avant tout un média domestique, et c'est dans une famille déjà en crise qu'elle est venue s'installer. Certaines études nord-américaines l'appellent depuis longtemps déjà le «troisième parent». On pourrait se demander: après tout, pourquoi pas cette virtualisation des rapports familiaux? (...)» 

Le philosophe conclut son  constat amer en citant Bernard Stiegler : «Bernard Stiegler, dans un vif petit livre à propos de la télévision et de la misère symbolique, indique que « (l'audiovisuel) engendre des comportements grégaires et non, contrairement à une légende, des comportements individuels. Dire que nous vivons dans une société individualiste est un mensonge patent, un leurre extraordinairement faux (...). Nous vivons dans une société-troupeau, comme le comprit et l'anticipa Nietzsche. La famille en question serait donc en fait un «troupeau», qu'il ne s'agirait plus que de conduire là où l'on veut qu'il aille s'abreuver et se nourrir, c'est-à-dire vers des sources et des ressources clairement désignées.(...) A la liste des gardiens du troupeau avancée par Kant - le mauvais prince, l'officier, le percepteur, le prêtre, qui disent: «Ne pensez pas! Obéissez! Payez! Croyez!» -, il convient évidemment d'ajouter aujourd'hui le marchand, aidé du publicitaire, ordonnant au troupeau de consommateurs: «Ne pensez pas! Dépensez!» 


Trouve–t-on le formatage des esprits uniquement dans la consommation des biens matériels et le divertissement, l’Entertainment pour parler franglais ? Non !  Les ravages touchent aussi le libre arbitre. L'autre pendant dangereux de la publicité est la propagande dont on connaît les ravages. «La propagande est aux démocraties ce que la violence est aux dictatures». Dans leur ouvrage: La fabrique du consentement, Noam Chomsky et Edward Herman nous donnent une analyse très éclairante du fonctionnement des médias aux Etats-Unis, mais parfaitement transposable en France. Les pouvoirs qui possèdent les médias, les financent par le biais de la publicité, définissent l'information a priori puis produisent tant les contre-feux que les experts sur mesure nous semblent être au cœur de la production de l'idéologie dominante.» 

Que faut-il faire face à cette course vers l'abîme? 

Est-ce que la croissance débridée est synonyme de confort? De bien-être? Penser une décroissance de ce qui n'est pas essentiel est ce, «revenir à la bougie» encore que cela soit poétique! Pour Vincent Liegley, il faut «aller vers des sociétés matériellement frugales, écologiquement soutenables. L'enjeu est de revenir à une société beaucoup plus simple, à un autre type de confort matériel, sans remettre en question les avancées de la société actuelle. Sortir de la méga-machine, de la technostructure, comme y invitait Ivan Illich, autre penseur de la décroissance. Retrouver aussi ce qui a été détruit: convivialité, solidarité, le «buen vivir», ce concept de la «vie bonne» développé en Amérique latine. (...) »  

« Nous sommes face à l'effondrement d'une civilisation. Mais aujourd'hui, l'ensemble de la planète est embarqué sur ce Titanic. Ce sera un choc extrêmement violent. Nous essayons de comprendre cette crise anthropologique et de construire d'autres civilisations en rupture avec celle-ci. Avec une contradiction: il faut aller vite, tout en faisant quelque chose qui demande du temps. Un changement de nos habitudes, une décolonisation de notre imaginaire, une transformation de nos institutions qui sont toxicodépendantes de la croissance... Le but de la décroissance, est d'ouvrir des possibles de pensée. Nous tentons de penser l'utopie, ce vers quoi on veut tendre - sans peut-être jamais l'atteindre. Définir un projet de transition qui part de la société actuelle, tout en étant complètement en rupture avec celle-ci. L'important est de savoir où l'on va et d'assumer ces contradictions pour transformer la société en profondeur.» 

D'où viendrait le salut en absence de décroissance « mot maudit » par la doxa occidentale qui fait du marché son veau d’or ? Nous appelons une fois de plus, à l’aide  le philosophe Dany Robert Dufour qui dans de nombreux écrits, a analysé les comportements  humain en face de cette machine du diable qu’est le néo-libéralisme. Il écrit : «Pour sortir de la crise de civilisation, il convient de reprendre, propose-t-il, un élan humaniste. Comment faire advenir un individu qui, serait enfin «sympathique» c'est-à-dire libre et ouvert à l'autre. «Il nous semble qu'un des enjeux de civilisation actuel soit précisément d'échapper à ce dilemme. (...) Je prédirais plutôt la survie du capitalisme au prix de la mort de notre civilisation et sa transformation en une vaste administration techno-marchande inhumaine, fonctionnant au service de l'oligarchie mondiale.» 

Pour Edgard Morin autre philosophe éclectique,(Edgard Morin: Ce que serait ´´ma´´ gauche. Le Monde. 22.05.10) il ne s'agit pas de concevoir un «modèle de société», voire de chercher quelque oxygène dans l'idée d'utopie. Il nous faut élaborer une Voie, qui ne pourra se former que de la confluence de multiples voies réformatrices, et qui amènerait la décomposition de la course folle et suicidaire qui nous conduit aux abîmes. La voie nouvelle conduirait à une métamorphose de l'humanité: l'accession à une société-monde de type absolument nouveau. Elle permettrait d'associer la progressivité du réformisme et la radicalité de la révolution.

*Ecole Polytechnique Alger  enp-edu.dz

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lundi, 08 juillet 2013

La Russie, le fournisseur d’armement idéal pour la Suisse

La Russie, le fournisseur d’armement idéal pour la Suisse

par Albert A. Stahel,

Institut für Strategische Studien, Wädenswil

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch

Alors qu’avant 1992 l’Union soviétique possédait encore une excellente industrie de l’armement qui développait et produisait des armes modernes, ce secteur fut laissé à l’abandon sous la présidence de Boris ­Eltsine. L’exportation d’armes russes fut limitée pendant de nombreuses années à des livraisons d’armes provenant des arsenaux de l’armée russe. Toute nouvelle production fut interrompue.


Ce n’est qu’avec l’accession au pouvoir de Vladimir Poutine que le secteur de l’armement a recommencé à être soutenu par l’Etat. Au cours des dernières années, l’industrie de l’armement de la Fédération de Russie a développé et mis en service diverses armes modernes. En font partie la série des systèmes de missiles guidés S-300 contre les avions et des missiles guidés balistiques sol-sol, dont la plus ancienne version S-300PS fut mise mis en service dans les années 1982/83.1 En 1998, la version améliorée S-300VM était à disposition et en 2007 la S-400 Triumph. La S-400 a une portée de 250 kilomètres. Avec ce système des missiles guidés, on prévoit d’intercepter et de détruire à l’aide d’une ogive conventionnelle des armes balistiques à courtes et à moyennes distances (portée de 5500 km). Un développement plus récent est le missile guidé 40N6 d’une portée de 400 km, qui devrait être disponible en 2013. Le S-500 Prometheus, d’une portée de 500 à 600 km, est également en train d’être développé. Cet engin permettra même d’intercepter et de détruire des missiles guidés balistiques intercontinentaux sol-sol (d’une portée de plus de 5500 km, dotés d’une ogive nucléaire). Pour tous ces systèmes de défense, on a également développé les radars de désignation et de poursuite d’objectifs correspondants.


Si ces indications sont exactes – en raison de la tradition de l’industrie d’armement russe dans le développement d’armes anti-aériennes on ne peut pas en douter –, les performances de la S-400 dépassent de loin celles du missile guidé de défense américain Patriot PAC-3. Le PAC-3 possède une portée de 15 à 45 kilomètres contre des cibles aériennes et des cibles balistiques.


Depuis la mise hors service irréfléchie des missiles guidés anti-aériens Bloodhound sous le conseiller fédéral Ogi en 1999, la Suisse n’a plus de système de défense aérienne contre des cibles de ­longues portées. Avec l’acquisition du système de défense S-400, la Suisse serait protégée non seulement contre des avions de combats mais aussi contre des missiles guidés balistiques.


La Russie produit également d’autres équipements militaires, qui pourraient être intéressant pour un petit Etat en raison de leur rapport qualité–prix. Cela comprend notamment la série des avions de combat polyvalents Su-27 de Sukhoï. Depuis le manœuvre spectaculaire du Cobra de Pougatchev à l’Aéroport Paris-Le Bourget en 1989, d’autres types d’avions (chasseurs et chasseurs-bombardiers) ont été développés par Sukhoï sur la base du Su-27. Il s’agit notamment des modèles Su-30, -33, -35, -35S et -37. Mais le Su-27, qui a été mis en service en 1984, jouit – avec sa vitesse maximale de Mach 2.35 et un rayon d’action de 3530 km – toujours d’une excellente réputation au niveau international. Il y a quelques années, les Su-30 de l’armée de l’air indienne se sont avérés supérieurs aux F-15 américains lors d’un exercice de combat aérien.


La Suisse en tant que petit Etat, qui est de plus en plus traité d’Etat-voyou et soumis au chantage par de soi-disant «amis», ainsi que le Conseil fédéral et le Parlement seraient bien avisés à l’avenir de prendre au sérieux l’offre d’armement de la Russie.


Contrairement aux «amis» occidentaux, les dirigeants russes ont toujours traité la Suisse avec respect au cours des dernières années. Compte tenu des siècles de bonnes relations et d’amitiés entre la Suisse et la Russie – mentionnons l’amiral Pierre le Grand, le Genevois F. J. Lefort (1656–1699), le colonel et éducateur du Grand-duc Alexandre, le Vaudois F. C. de Laharpe (1754–1838) et le général et conseiller militaire de divers tsars, le Vaudois Antoine-Henri Jomini (1779–1869) –, ce pays est pour la Suisse le fournisseur d’armes idéal en ces temps difficiles.     •

1    Jana Honkova, Current Developments in Russia’s Ballistic Missile Defense, The Marshall Institute, 2013, p. 10/11.

El último José Antonio

El último José Antonio
 
 
El último José Antonio se enfrenta a los mitos y antimitos que han contribuido a distorsionar una figura que es necesario deconstruir, releyendo hacia atrás desde sus notas, escritos y palabras de la cárcel. Allí donde brota una originalidad que arranca con su discurso de la revolución española y que se cierra en su pugna dialéctica con las soluciones erróneas, incluyendo en ellas al fascismo. Una propuesta ideológica que le costó la vida.

Desde un impresionante acervo documental inexplicablemente inédito, revisando críticamente cuanto se ha publicado, es la historia de aquellos meses de prisión, juicio y ejecución seguidos con precisión. Y la respuesta del historiador a los grandes interrogantes: ¿Quiénes fueron los responsables? ¿Por qué fracasaron los intentos de liberación? ¿Qué sublevación apoyó y cómo afrontó la guerra civil? ¿Qué papel jugaron personajes como Prieto, Azaña, Largo Caballero o Franco? ¿Cómo fue realmente el juicio político de José Antonio?…

SOBRE EL AUTOR:

Francisco Torres García, catedrático de Instituto, historiador, profesor de Educación Secundaria. Cursó sus estudios en la Universidad de Murcia. Conferenciante habitual es autor de numerosos artículos de historia que se han incluido en revistas especializadas como Historia 16, Historia y Vida, Aportes… Además, es un prolífico columnista cuyos trabajos han sido reproducidos en Diario Ya, Alerta Digital, Tradición Digital, FN, Arbil, Blau División o La Nación. Formó parte del grupo de tertulianos del programa de radio “La Quinta Columna” presentado en Radio Intercontinental por Eduardo García Serrano y ha intervenido en programas de televisión como “España en la memoria”. En su blog, laestanteria.blogia.com, es posible encontrar su particular punto de vista sobre la evolución política española.

Ha publicado diversos libros como La División Azul 50 años después (1991), ¿Por qué Juan Carlos? Franco y la restauración de la Monarquía (1999), Franco o la venganza de la historia (2000), Esclavos de Stalin. El combate final de la División Azul (2002) en colaboración con Ángel Salamanca. En breve aparecerá también su trabajo Las Lágrimas Azules. La División Azul: del frente a la retaguardia.

http://elultimojoseantonio.com/

LE PHILOSOPHE, LE VOYOU ET LE LEGIONNAIRE

LE PHILOSOPHE, LE VOYOU ET LE LEGIONNAIRE

Un parallèle risqué est-il possible ?


Michel Lhomme*
Ex: http://metamag.fr/
"Le guerrier est grand non parce qu’il tue, mais parce qu’il meurt. Ou parce qu’il sait qu’il va mourir et y consent, et que ce n’est pas si simple que cela, d’accepter de mourir".
Charles Péguy.
 
Pour trop d’éducateurs formatés, il y aurait une incompatibilité entre l’institution militaire et l’enseignement philosophique et l’image commune de l’enseignant de philosophie demeurerait celle d’un libertaire crasseux ou d’un anarchiste névrosé, réprouvant l’ordre et la discipline et enseignant à ses élèves la révolte et l’insoumission. Pourquoi ?

La philosophie en appelle à la pensée et comme aimait à le répéter le vieux radical Alain, "penser, c’est dire non". On imagine le philosophe nihiliste, ami des délinquants et copain des voyous. Disons-le de suite, au risque de déplaire, il y a un peu de vrai dans l’image. Le premier acte mythique d’Apollon, dieu de la parole, fut de cracher dans la bouche de son premier devin. L’attitude philosophique consiste à s’arrêter en face de faits qui vont apparemment de soi et à les remettre en question.

 

Remettre tout en question, ce n’est pas, on le comprendra aisément, la tasse de thé des officiers, fussent-ils anglais, comme des policiers d'ailleurs ! Le nouvel enseignant de philosophie qui débarque dans un lycée militaire, semble demeurer une source d’inquiétude pour son proviseur. Pourtant, on imagine mal s’en prendre dans les lycées à la philosophie alors que tout à l’extérieur conspire à anéantir l’esprit critique des étudiants. La philosophie risque même d’être, dans le désarroi général des pédagogies de la compétence, des psychologies de la résilience, et des accompagnements personnalisés, le seul espace, l’unique espoir de stimuler le désir d’en savoir plus, par l’aiguillon de la parole et le retour sur soi, une primitive méditation qui ferait découvrir, au seuil de chaque classe franchie, l’émerveillement de l’intellect et la stupéfaction de la connaissance. Une fois sorti de la tourmente de l’interrogation et du refus, le regard du jeune sceptique s’illumine en comprenant que toute l’éducation ne vise qu’à bien savoir conduire sa vie, à faire percevoir ce que nous sommes destinés à devenir, à combattre.


On pourrait rédiger une longue étude sur cette puissance formatrice de la formation littéraire classique, mise au sommet de notre éducation au moment précis de la déthéologisation révolutionnaire. Pour instaurer l’école laïque, on introduisit l’enseignement philosophique comme une rhétorique moralisatrice qui prétendait se substituer à la religion. Une éloquence conceptuelle supplanta l’éloquence jésuitique devenue trop littéraire et latine. Les professeurs de philosophie endossèrent alors sans le dire le manteau des grands prédicateurs et des grands prêcheurs pour éduquer et moraliser les apprentis citoyens.

Pourtant, face à face, sur l’échiquier de la vie et au fond de la classe, on retrouvait, souvent, côte à côte le voyou et le futur légionnaire. Le voyou se plonge dans le refus et la négation parce qu’en réalité, il n’acquiesce qu’à lui-même. Le légionnaire se sacrifie, il passe Noël loin des siens et même pour certains, - requiescat in pace, pax animae suae - ne finissent pas l’année parce qu’ils obéissent sur le front en se refusant à eux-mêmes. Le voyou et le légionnaire posent le plus fort des dilemmes qui se pose à un homme : devons- nous supporter ou nous surmonter et comment ? Par les sens, ou par la transcendance ? En fait, nous n’avons rien d’autre à tester que cette double possibilité : peser et penser par les sens ou par la transcendance ! Supporter ou se surmonter comme méthodologie de la liberté, doigt militarisé sur la couture du pantalon avec le sens canaille de la magnanimité et de la gâchette ou l’esprit rebelle du règlement de compte au pied d’une barre d’immeuble désaffecté de Marseille.

Le travail philosophique est artisanal. 

Il n’a rien du professionnalisme des armées. Pour le voyou, la philosophie n’apporte rien d’autre que l’art de retrouver la bonne voie, la rectitude c’est-à-dire la joie même du refus initial. Cette notion de liberté fondamentale qu’est la liberté de vouloir est le plus souvent un mot galvaudé. Généralement pour l’homme non-philosophe, la « vraie » liberté, celle qui a un sens, c’est l’ensemble des libertés d’agir. Et, l’éducation n’est devenue justement que cela, une somme de libertés d’agir, de revendications stridentes, de droits affichés au détriment des devoirs, des politiques éthiques construites au gré de lois mémorielles qui muent les oublis en délits véritables ? Quand allons-nous enfin nous « surmonter », apprendre à chevaucher des cavales rétives et des étalons sauvages, réentendre le bruit de sabots d’une horde de chevaux qu’on rentre au haras, après un pari européen victorieux ?

Dans ses Principes de la Guerre, le maréchal Foch écrivait qu’"être discipliné ne veut pas dire encore se taire, s’abstenir ou ne faire que ce que l’on croit pouvoir entreprendre sans se compromettre, l’art d’éviter les responsabilités, mais bien agir dans le sens des ordres reçus, et pour cela trouver dans son esprit, par la recherche, par la réflexion, la possibilité de réaliser ces ordres ; dans son caractère, l’énergie d’assurer les risques qu’en comporte l’exécution" (Maréchal Foch, Des principes de la guerre, Paris, Berger-Levrault et Cie, 1903, p. 94).

Le voyou, la caillera qui fuit la peur au ventre avec son scooter dans les parkings de la cité pour échapper aux flics après un larcin, le militaire engoncé dans son char ou son matériel sur une route cabossée et poussiéreuse de Kapisa, connaissent quelque chose de la vie, cette correspondance si étroite entre le corps et l’âme, ce mariage si problématique qu’on ne saurait sous la peau distinguer l’un de l’autre puisqu’il faut bien, au final, ramener l’âme au corps comme on ramène à la caserne son camarade blessé pour lui sauver la peau, oui, et, risquer sa peau. Dans la peur, le jugement se perfectionne et l’âme se raffermit. Quand le choc des armes brise le corps et paralyse les membres, la raison chancelle, l’esprit et la langue s’embarrassent. Tout s’affaisse à la fois et manque sa cible.

La philosophie n’enseignerait que la force du refus et mesurerait par cette force de résistance aux penchants du corps les degrés variables de la qualité des âmes. C’est l’image d’Alexandre le Grand : à la traversée d’un désert, l’empereur macédonien, mourant de soif reçoit un casque plein d’eau. Boire, tremper ses lèvres, avaler une gorgée, tel est le désir d’Alexandre le plus naturel et le plus pressant. Or, Alexandre ne boit pas, ne boira pas. Il n’aura pas l’indécence d’étancher sa soif devant son armée, tout autant assoiffée que lui. Il est empereur et seul peut être autorisé à gouverner celui qui se gouverne lui-même. Ce fut d’ailleurs la leçon indirecte de l’affaire DSK : la providence écarte naturellement l’homme injuste. Alexandre s’interdit de boire car il sait qu’on ne peut pas légitimement demander aux autres plus qu’on ne se demande à soi-même. Ainsi, Alexandre, formé par Aristote, peut-il être conducteur d’hommes, ainsi pourra-t-il obtenir d’eux le courage de marcher malgré les affres de la soif et de la chaleur, des vapeurs et des mirages du désert. Le geste d’Alexandre force l’estime des soldats mais aussi l’estime qu’Alexandre peut avoir pour lui-même. Dans ce déploiement de la force d’âme formée philosophiquement, l’empereur fait resplendir les valeurs morales au nom desquelles s’effectue la vertu. Alexandre, c’est la vertu du légionnaire.

Reste la racaille, la "caillera", la petite frappe, le bouffon. Il se laisse aller, il n’est heureux ou malheureux que selon que les choses qui lui surviennent, selon qu’elles sont, pour lui, agréables ou déplaisantes. Il a l’esprit du système du corps pas celui de corps. Finalement, il est conformiste dans l’art du consommable malgré la force de refus que nous avions cru pouvoir déceler en lui un peu plus tôt, au début, lorsqu’il se mettait au fond de la classe. On comprend que tous les hommes ont cette force de refus mais que tous n’ont pas le même courage et n’en font pas du tout le même usage. Il y a ceux qui l’exercent avec droiture et ceux qui, par lâcheté ou pour n’avoir pas reçu d’enseignement philosophique, manquent d’âme. On n’a pas par nature une âme de lâche ou de courageux mais on fait preuve dans l’acte de courage ou de lâcheté. Et cela ne va pas sans une éducation nécessaire de la volonté, sans l’apprentissage par des exercices spirituels et moraux.  La volonté n’est pas un effet de mère nature mais elle est une conquête de la volonté raisonnable et réfléchie, une conquête intellectuelle par l’action et pour l’action. En ce sens, la formation philosophique de l’âme est pragmatique et non pas imaginaire, comme si elle aurait pu être, telle la position critique et bien naïve des déconstructeurs postmodernes, qu’un rapport imaginaire à soi-même, l’effet d’affects morbides ou le résultat de stratégies sociales de pouvoir, acharnées à discipliner et à réprimer l’énergie désirante.

L’expérience du philosophe, du voyou et du légionnaire est une attention équivoque au terrain des expériences de la vie, à toutes ces expériences bigarrées qui ne se vivent que comme un affrontement de tensions contradictoires, de déchirements internes entre des postulations opposées, horizontales ou verticales, descendantes ou ascendantes. Tout homme parce qu’il a forcément, un jour, un peu trop bu, a eu l’expérience de ce genre de débat interne, il a connu les affres du désir et c’est peut-être pour en rendre compte que toute une tradition orale et vivante de la transmission philosophique ne cesse de se dérouler, dans certains cours, à la fois comme une transmission psychique et une tradition somatique. Concevoir le vrai de l’homme dans l’unité de forces physiologiques contradictoires, de dimensions psychiques hétérogènes résumerait alors en soi tout le projet philosophique. Mais alors comment puis-je être à la fois le voyou et le légionnaire, celui qui a soif et celui qui s’interdit de boire, celui qui s’irrite et celui qui garde son sang froid ? Il y a là, pour le philosophe et l’officier commandeur d’hommes, une étrangeté typique de l’humanité. De fait, sous l’empire de la soif, l’animal boit ou meurt ; sous l’empire de la peur, il fuit. Le courageux, au contraire, met en œuvre une force qui domine la peur, contrôle le tremblement nerveux et s’avance fermement au devant du danger, fut-il légal ou illégal.

Finalement, le voyou  incarne, par son absence de contrôle, la figure déchue du commerçant, le légionnaire, celle noble du guerrier, du templier fondateur d’empires européens.  Le philosophe porte trace du clerc célibataire et inutile, dernier témoin de l’école de la discipline civique, bouclier ultime contre la rébellion que la "caillera", au contraire du légionnaire, n’hésitera pas à poignarder, dans une scène hallucinée, comme un pistolet pointé contre tous les manuscrits en menace de l’agonie littéraire. L’agonie, l’agôn, le mot signifie, originellement, lutte et combat. Ce peut être un combat hilarant mais aussi un ring déchirant contre les mots et les choses qui s’enfuient. La leçon du voyou et du légionnaire : il n’y a pas de compréhension possible du monde ;  il n’y a qu’un usage sans cesse recommencé et aléatoire du monde. La connexion entre les deux ne tient que de l’antagonisme, dans l’aveuglement du rêve qu’ils poursuivent gaiement.

Le philosophe souffre parfois de terribles maux de têtes. Il ne peut ni dormir ni écrire, expérimentant pendant quelque temps la douleur de l’incompréhension de nombreux textes à déchiffrer. Cette douleur mentale, faite aussi de migraines médicales, lui permet de parvenir à séparer sa tête de soi-même. Platon, Hegel et Marx ont souvent ironisé sur cette tête à l’envers du penseur mais cette douleur devient indissociable de ce qui lui arrive dans la vie comme une sorte d’instinct paranoïaque. Le voyou exhale dans le crime une forme de puissance alors que la meilleure chose à faire est de s’offrir à l’action aussi pure que possible.

Nous ne saurions pardonner à toute la classe politique d’avoir engendré de la boue pour des générations à venir. La rébellion et le sacrifice sont des distorsions mais ils continuent de tenir du beau et du vrai alors que les politiques ne produisent que du chagrin, de la déception, de l’injustice et de la cruauté. En face, la philosophie est militante dans son exigence à la fois héroïque et sacerdotale de poser la destinée humaine comme ouverte et tragique.

*Professeur de philosophie
Ce texte de notre collaborateur a été publié sur le site "Théatrum Belli"