Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

dimanche, 27 février 2011

Egitto: i movimenti sociali, la CIA e il Mossad

Egitto: i movimenti sociali, la CIA e il Mossad

di James Petras

Fonte: campoantimperialista

 

egitto.jpg

 
 

I limiti dei movimenti sociali

I movimenti sociali di massa che hanno obbligato Mubarak a ritirarsi rivelano nello stesso tempo la forza e la debolezza dei sollevamenti spontanei.
Da una parte, i movimenti sociali hanno dimostrato la propria capacità di mobilitare centinaia di migliaia di persone, forse milioni, per una lotta vincente che è culminata con la caduta del dittatore che i partiti di opposizione e le personalità preesistenti non hanno voluto o potuto far cadere.
D'altra parte, a causa della leadership politica nazionale, i movimenti non sono stati capaci di prendere il potere politico e trasformare in realtà le loro richieste. Ciò ha permesso alle alte cariche militari di Mubarak di prendere il potere e definire il post mubarakismo, garantendo la continuità e la subordinazione dell'Egitto agli Stati Uniti, la protezione della ricchezza illecita del clan Mubarak (70 miliardi di dollari), il mantenimento delle numerose imprese di propretà dell'élite militare e la protezione dei ceti alti.

I milioni di persone mobilitate dai movimenti sociali per far cadere la dittatura sono state praticamente escluse dalla giunta militare, autoproclamatasi “rivoluzionaria”, al momento di definire le istituzioni e la politica, per non parlare delle riforme socioeconomiche necessarie ai bisogni basilari della popolazione (il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la disoccupazione giovanile supera il 30%). L'Egitto, come nel caso dei movimenti sociali e studenteschi popolari contro le dittature di Corea del Sud, Taiwan, Filippine e Indonesia, dimostra che la mancanza di un'organizzazione politica in ambito statale permette a personaggi neoliberali e conservatori “d'opposizione” di rimpiazzare il regime. Tali personaggi, stabiliscono un regime elettorale che continua a servire gli interessi imperialisti e difende l'apparato statale esistente. In alcuni casi, vengono sostituiti i vecchi complici capitalisti per altri di nuovo conio. Non è casuale che i media lodino la natura “spontanea” della lotta (e non la domanda socioeconomica) e presentino sotto una luce favorevole il ruolo dei militari (senza tenere conto dei 30 anni nei quali sono stati il baluardo della dittatura). La massa è lodata per il suo “eroismo” e i giovani per il loro “idealismo”, ma in nessun caso li si riconosce come attori politici centrali nel nuovo regime. Una volta caduta la dittatura, i militari e l'opposizione elettorale “hanno celebrato” il successo della rivoluzione e si sono mossi rapidamente per smobilitare e smantellare il movimento spontaneo, al fine di dare spazio alle negoziazioni fra politici liberali, Washington e l'élite militare al potere.

Mentre la Casa Bianca può tollerare o persino fomentare movimenti sociali che conducano alla caduta (“sacrificio”) delle dittature, essa ha tutto l'interesse a preservare lo Stato. Nel caso dell'Egitto, il principale alleato strategico dell'imperialismo degli Stati Uniti non è Mubarak, è l'esercito, con il quale Washington è stata in costante collaborazione prima, durante e dopo la caduta di Mubarak, assicurandosi che la “transizione” alla democrazia (sic) garantisca la permanente subordinazione dell'Egitto agli interessi e alla politica per il Medio Oriente degli Stati Uniti e di Israele.


La ribellione del popolo; le sconfitte della CIA e del Mossad

La rivolta araba dimostra, ancora una volta, le varie falle strategiche in istituzioni come i servizi segreti, le forze speciali e le intelligence degli Stati Uniti, così come nell'apparato israeliano, nessuno dei quali è stato capace di prevedere, non diciamo di intervenire, per evitare la vincente mobilitazione e influire nella politica dei governi e governanti che erano in pericolo.
L'immagine che proiettavano la maggior parte di scrittori, accademici e giornalisti dell'imbattibilità del Mossad israeliano e dell'onnipotente CIA è stata sottoposta a dura prova, con il suo fallimento nel riconoscere la portata, la profondità e l'intensità del movimento di milioni di persone che ha sconfitto la dittatura di Mubarak. Il Mossad, orgoglio e allegria dei produttori di Hollywood, presentato come un “modello di efficienza” dai suoi ben organizzati compagni sionisti, non è stato capace di intercettare il crescere di un movimento di massa in un paese vicino. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, si è mostrato sorpreso (e costernato) per la precaria situazione di Mubarak e il collasso dei suoi clienti arabi più vicini, proprio a causa di errori dell'intelligence del Mossad. Ugualmente, Washington, con i suoi 27 organismi di intelligence oltre al Pentagono, è stata colta di sopresa dalle massicce rivolte popolari e dai movimenti emergenti, malgrado le sue centinaia di migliaia di agenti pagati migliaia di milioni di dollari.

Varie osservazioni teoriche si impongono. S'è dimostrato che l'idea di alcuni governanti forzatamente repressivi, che ricevono migliaia di milioni di dollari di aiuti militari dagli Stati Uniti e possono contare con all'incirca un milione di poliziotti, militari e paramilitari per garantire l'egemonia imperiale, non è infallibile. La supposizione che mantenere vincoli a larga scala e per lungo tempo con tali governanti dittatoriali salvaguardi gli interessi USA è stata smentita.
L'arroganza di Israele e la sua presunzione di superiorità in materia di organizzazione strategia e politica rispetto agli “arabi”, è stata seriamente danneggiata. Lo Stato d'Israele, i suoi esperti, gli agenti segreti e gli accademici delle migliori università statunitensi, rimangono ciechi di fronte alle realtà emergenti, ignoranti circa la profondità dello scontento e impotenti ad evitare l'opposizione di massa ai propri clienti più importanti. I propagandisti di Israele negli Stati Uniti, che non resistono a qualsivoglia opportunità per mettere in luce la “brillantezza” delle forze di sicurezza d'Israele, sia che si tratti di assassinare un leader arabo in Libano o a Dubai o che si tratti di bombardare un'istallazione militare in Siria, sono rimasti temporaneamente senza parole.

La caduta di Mubarak e il possibile insediamento di un governo indipendente e democratico significherebbe che Israele potrebbe perdere il suo principale alleato poliziesco. Un'opinione pubblica democratica non coopererebbe con Israele per il mantenimento dell'embargo a Gaza, né condannerebbe i palestinesi a morire di fame per piegare la loro volontà di resistere. Israele non potrà contare su un governo democratico per spalleggiare le violente occupazioni di terre in Cisgiordania e il suo regime fantoccio palestinese. Se ci sarà un'Egitto democratico, gli Stati Uniti non potranno più contarci per spalleggiare i loro intrighi in Libano, le loro guerre in Irak e Afganistan o le sanzioni contro l'Iran. D'altra parte, il sollevamento dell'Egitto è servito d'esempio ad altri movimenti popolari contrari ad altre dittature clienti degli Usa. In Giordania, Yemen e Arabia Saudita. Per tutte queste ragioni, Washington ha appoggiato il golpe militare con il fine di dare forma ad una transizione politica in accordo con i propri gusti e interessi imperiali.

L'indebolimento del principale pilastro del potere imperiale degli USA e del potere coloniale di Israele in Nord Africa e in Medio Oriente pongono in evidenza il ruolo essenziale dei regimi collaboratori dell'Impero. Il carattere dittatoriale di questi regimi è il risultato diretto del ruolo che svolgono in difesa degli interessi imperiali. E i grandi pacchetti di aiuti militari che corrompono e arricchiscono le élite dominanti sono la ricompensa per la sua buona disposizione a collaborare con gli Stati imperialisti e coloniali. Data l'importanza strategica della dittatura egiziana, come spiegare il fallimento delle agenzie di intelligence degli USA e Israele nell'anticipare le rivolte?

Tanto la CIA quanto il Mossad, hanno collaborato strettamente con i servizi segreti dell'Egitto e da essi hanno tratto le loro informazioni, secondo le quali tutto sembrava sotto controllo. I partiti dell'opposizione sono deboli, decimati dalle infiltrazioni e dalla repressione, i suoi militanti languiscono nelle prigioni e soffrono di fatali “attacchi al cuore” a causa di severe “tecniche di interrogatorio”, affermavano. Le elezioni sono state manipolate per eleggere i clienti degli USA e Israele, in modo che non ci fossero sorprese democratiche nell'orizzonte immediato o a medio termine.
I servizi segreti egiziani sono istruiti e finanziati da agenti israeliani e statunitensi, ed hanno una naturale tendenza a compiacere la volontà dei loro padroni. Erano tanto obbedienti a produrre informazioni che compiacessero i loro mentori, che ignoravano qualsivoglia informazione di un crescente malessere popolare o la agitazione in Internet. La CIA e il Mossad erano tanto incrostati nel vasto apparato di sicurezza di Mubarak che sono stati incapaci di ottenere qualsiasi informazione sui movimenti indipendenti dell'opposizione elettorale tradizionale che controllavano.

Quando i movimenti di massa extraparlamentari sono scoppiati, il Mossad e la CIA hanno continuato a confidare nell'apparato statale di Mubarak per mantenere il controllo attraverso la tipica operazione della carota e il bastone: fare concessioni simboliche transitorie e riversare nelle strade l'esercito, la polizia e gli squadroni della morte. Mano a mano che il movimento cresceva da dozzine di migliaia a centinaia di migliaia a milioni di persone, il Mossad e i principali congressisti statunitensi sostenitori di Israele chiedevano a Mubarak di “sopportare”. La CIA si è limitata a presentare alla Casa Bianca il profilo politico di funzionari militari affidabili e di personaggi politici flessibili, “di transizione”, disposti a seguire i passi di Mubarak. Una volta ancora, la CIA e il Mossad hanno dimostrato la loro dipendenza dall'apparato statale egiziano per ottenere informazioni su ciò che poteva rappresentare un'alternativa possibile pro statunitense e israeliana, omettendo le più elementari esigenze del popolo. Il tentativo di cooptare la vecchia guardia elettoralista dei Fratelli Musulmani attraverso negoziazioni con il vicepresidente generale Omar Suleiman è fallita, in parte perché i Fratelli Musulmani non avevano il controllo del movimento e in parte perché Israele e i loro seguitori statunitensi si sono opposti. D'altra parte, l'ala giovanile dei Fratelli ha fatto pressioni affinché l'organizzazione si ritirasse dalle trattative.

Le lacune in materia di intelligence hanno complicato gli sforzi di Washington e Tel Aviv per sacrificare il regime dittatoriale e salvare lo Stato: né la CIA né il Mossad avevano vincoli con nessuno dei leader emergenti. Gli israeliani non sono riusciti a trovare nessun “volto nuovo” che avesse consenso popolare e fosse disposto a svolgere il poco decoroso ruolo di collaboratore dell'oppressione coloniale. La CIA era totalmente coinvolta nell'uso dei servizi segreti egiziani per torturare sospettati di terrorismo (…) e nella vigilanza dei paesi arabi vicini. Come risultato, sia Washington che Israele hanno cercato e promosso il golpe militare al fine di anticipare una maggiore radicalizzazione della situazione.

In ultima analisi, l'insuccesso della CIA e del Mossad di prevedere e prevenire il sorgere del movimento democratico popolare, mette in rilievo la precarietà della base del potere imperiale e coloniale. Alla lunga, non sono le armi, le migliaia di milioni di dollari, i servizi segreti, né le camere della tortura ciò che decide la storia. Le rivoluzioni democratiche avvengono quando la maggior parte di un popolo si solleva e dice “basta”, occupa le strade, paralizza l'economia, smantella lo Stato autoritario ed esige libertà e istituzioni democratiche senza tutela imperiale o sottomissione coloniale.


Traduzione di Marina Minicuci


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

samedi, 26 février 2011

Sull'Egitto l'onda lunga di Otpor

Sull'Egitto l'onda lunga di Otpor

di Miriam Pace

Ex: http://www.clarissa.it/

Aegypten_Ausschreitungen_8.jpg

 
Ahmed Maher è il fondatore e attivista dell'organizzazione "6 aprile", il network che ha dato vita al movimento di protesta che ha cacciato Hosni Mubarak dal potere in Egitto dopo trenta anni. In una intervista al quotidiano Il Riformista, Maher svela alcuni retroscena dell'attività segreta per preparare le proteste di gennaio/febbraio. Ecco alcuni brani del suo racconto:

"La mia avventura di attivista non è stata improvvisata, erano anni che mi muovevo nei sotterranei egiziani per minare le fondamenta del regime. Tutto è iniziato con Kifaya - il movimento che già dal 2003 aveva provato a spodestare Mubarak. Kifaya non centrò il suo obiettivo e molti di noi iniziarono a muoversi nella sfera virtuale.
[...] Abbiamo studiato i movimenti non violenti che si erano mobilitati in tutto il mondo, volevamo cercare degli esempi soprattutto in Europa. Abbiamo incontrato gli attivisti serbi di Otpor che avevano aiutato a rovesciare la dittatura di Slobodan Milosevic e, consultandoci con loro, abbiamo iniziato a studiare il pensiero dell'accademico americano Gene Sharp, perché ci sembrava che la sua teoria di rovesciare non violentemente i regimi militari facesse al caso nostro. Studiavamo la teoria sui libri, guardavamo video di mobilitazioni precedenti in televisione e cercavamo di coinvolgere e preparare sempre più persone utilizzando internet. Volevamo creare una massa di persone che potesse fare pressione sul regime e spingerlo verso la capitolazione finale. Volevamo che diversi settori della società iniziassero a spingere il regime fino a farlo crollare.
[...] I diversi movimenti di giovani attivisti hanno cominciato a coordinarsi la scorsa estate. Alcuni erano attivi solo nella sfera virtuale, altri anche in quella reale. Circa un anno fa ho conosciuto Wael Ghonim - amministratore della pagina Facebook degli Amici di Khaled Said, l'altro gruppo protagonista della rivoluzione del 25 gennaio (ndr) - durante un seminario nel quale abbiamo studiato programmazione strategica: da quel momento abbiamo cominciato a coordinarci. Ai nostri due gruppi si sono uniti molti altri movimenti giovanili, tra i quali anche gli Shabab al Ikhwan, un gruppo di giovani Fratelli Musulmani che, diversamente da quanto deciso dalla leadership del movimento, sono stati con noi sin dall'inizio.
[La rivoluzione tunisina] ha rivoluzionato il pubblico virtuale egiziano. Su Facebook moltissimi hanno iniziato a dire che era giunto il momento che anche l'Egitto si accendesse. Il 18 gennaio mi sono incontrato con Wael Ghonim a Doha e abbiamo iniziato a mettere nero su bianco le nostre rivendicazioni. Quando sono sceso in strada il 25 gennaio pensavo che quella sarebbe stata una marcia capace di aprire una nuova epoca dell'attivismo egiziano, ma non pensavo che la rivoluzione sarebbe scoppiata. Non appena vidi quanta gente si aggiungeva a noi, capii che la rivoluzione era già iniziata. Anche se non ci eravamo fissati una data, era scoppiata".

Fonte: Azzurra Meringolo, "Per rovesciare Hosni studiavamo Belgrado", Il Riformista, 23/02/2011

Sull'argomento: Simone Santini, "Affittasi Rivoluzione", Clarissa.it
http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=144&tema=Divulgazione

lundi, 21 février 2011

Scholl-Latour: "Ägyptens Moslembrüder an der Macht beteiligen"

Frères-Musulmans.jpg

„Ägyptens Moslembrüder an der Macht beteiligen“

Ex: http://www.zurzeit.at/

Nahostexperte Peter Scholl-Latour über die Ereignisse in Ägypten, den Stellenwert islamistischer Bewegungen, das zweifelhafte türkische Vorbild sowie über die Folgen für die gesamte Region und für Europa

Herr Dr. Scholl-Latour, Sie kennen die arabische Welt bereits seit Jahrzehnten. Hat Sie der Umsturz zuerst in Tunesien und dann auch in Ägypten überrascht?

Peter Scholl-Latour: In Tunesien hat es mich absolut überrascht, weil es eines der friedlichsten Länder des Maghreb ist und die Tunesier auch keine großen Kämpfer sind. In Ägypten, wo ich mich vor kurzem aufgehalten habe, hat sich auch keine Spur eines Aufruhrs gefunden, aber ich habe von syrischer Seite Warnungen bekommen, daß sich da revolutionäre Vorgänge vorbereiteten.

Was sind die Ursachen? Ist es die Unzufriedenheit der jeweiligen Bevölkerung mit den korrupten Regimen?

Scholl-Latour: Es ist die Armut, eine zunehmende soziale Diskrepanz und eine schamlose Bereicherung einer kleinen Elite. Aber das, was die Revolte ausgemacht hat – und das ist immer so bei Revolutionen – sind ja nicht die ärmsten Volksschichten, die Darbenden, sondern eine aufstrebende Mittelschicht, eine neue Bourgeoisie, sowie die Jugendlichen. Es war ja auch die Französische Revolution keine Revolution des Proletariats oder des armen Bauerntums, sondern es war eine Revolution der Bürger, die nicht zum Adel zugelassen wurden. Und bei den jetzigen Revolutionen ist ein neues Phänomen hinzugetreten, nämlich die Kommunikation durch die elektronischen Medien, durch Facebook und Twitter. Das hat offenbar die Jugend, die sich leidenschaftlich dafür interessiert, dazu angetrieben, Verbindungen zwischen Leuten herzustellen, die sich vorher nicht kannten.

Rechnen Sie damit, daß es auch in anderen Ländern der Region zu Umstürzen bzw. zu Umsturzversuchen kommen wird?

Scholl-Latour: Das hängt davon ab, wie die Ereignisse in Ägypten ausgehen werden. Derzeit rumort es gewaltig in Jordanien, und vielleicht ist Jordanien in mancher Beziehung sogar zerbrechlicher als Ägypten. Man sagt sogar, daß sich im Gazastreifen die Bevölkerung gegen die Alleinherrschaft der Hamas auflehnt, aber da sind auch fromme Wünsche dabei. Ähnliches wie in Ägypten ist auch in Saudi-Arabien vorstellbar. In diesem Land, weil das Land aus Oasen besteht, die wie Inseln im Meer liegen und hier deshalb den neuen Kommunikationsmitteln eine besondere Bedeutung zukommt. Und in Saudi-Arabien kann sogar die amerikanische Armee militärisch intervenieren, wenn für die USA die Lage bei diesem Verbündeten vollkommen aus dem Ruder zu laufen droht.

Aber auch im Maghreb kann noch etwas passieren: Algerien ist in einen Bürgerkrieg gestürzt worden, nachdem eine islamische Partei die Wahlen ganz eindeutig gewonnen und das Militär geputscht hat. Damals hatten Amerika und Europa stillgehalten und im Grunde nur tief aufgeatmet, daß nicht eine damals noch sehr friedliche islamistische Partei an die Macht gekommen ist, die dann allerdings um ihren Wahlsieg betrogen gefühlt und sich radikalisiert hat, was zu einem Bürgerkrieg mit 50.000 Toten geführt hat.

Weil Sie gerade die Islamisten angesprochen haben: Welche Rolle spielt heute in Ägypten die Moslembruderschaft und wird sie ihren Einfluß steigern können?

Scholl-Latour: Die Muslimbruderschaft, wie man sie in Ägypten kennt, ist vor allem für die soziale Sicherheit der Bevölkerung da. In den einfachen Nildörfern lebt man beinahe nur nach der Scharia, nach der koranischen Gesetzgebung, die im muslimischen Glauben verankert ist. Die Muslimbrüder sind die einzige organisierte Kraft, die neben der Nationaldemokratischen Partei von Mubarak, die sich durch Wahlbetrug die Macht sichert, das Terrain beherrscht.

Immer wird behauptet, die Islamisten könnten sich an der Türkei und an der türkischen Regierungspartei AKP ein Beispiel nehmen. Halten Sie das für möglich?

Scholl-Latour: Das ist eine Hoffnung, das sie sich an der Türkei orientieren. Aber das türkische Modell ist noch nicht ausgereift, und die Türkei ist heute trotz Wahlen islamischer als sie noch vor Jahren gewesen ist. Der türkische Ministerpräsident Erdogan hat sehr geschickt taktiert, und das könnte ein Modell sein. Aber im Vergleich zu Ägypten hat sich in der Türkei ein Entwicklungsstand, ein Bildungsstand und auch ein Wohlstand eingestellt, der erst eine Gestalt wie Erdagon ermöglichen konnte.

Allerdings kann es durchaus sein, daß sich innerhalb der Moslembrüder, die längst nicht so radikal sind, wie es die Amerikaner und Europäer darstellen, sondern sich seit ihrer Gründung gemäßigt haben, ähnliches möglich ist. Ich erinnere nur daran, daß Präsident Sadat, der mit Israel Frieden geschlossen hat, in jungen Jahren ein eifriger Moslembruder gewesen ist – das ist eine Kraft, die man im Grunde, wenn man klug ist, an der Macht beteiligen sollte, wenn man keine Militärdiktatur haben will.

Wenn man das aber nicht tut, dann würde man in die Moslembruderschaft einen gefährlichen Radikalismus hineintreiben.

Washington überweist jährlich 1,3 Milliarden Dollar an Militärhilfe an Kairo. Was bedeutet die Entwicklung in Ägypten daher für die USA?

Scholl-Latour: Die USA haben ein Protektorat über den Nahen Osten und müssen gewaltige Rückschläge hinnehmen. Die Kontrolle über den Irak ist ihnen weitgehend entglitten, und in der Auseinandersetzung mit dem Iran müssen sie zusehen, wie sich im Südirak ein schiitisch ausgerichteter Staat entwickelt, der enge Beziehungen zu Teheran hat. Und sowohl im Irak als auch im Afghanistan sind die Pläne, demokratische Staaten nach Vorbild der USA aufzubauen gescheitert, wie die neuen Partisanenkriege zeigen.

Halten Sie es für möglich, daß die USA in Ägypten direkt oder indirekt in die Ereignisse eingreifen, wenn es nicht wunschgemäß verläuft?

Scholl-Latour: In ein Land mit 80 Millionen Einwohnern getraut sich keiner mehr rein. Außerdem müßten die USA mit dem erbitterten Widerstand der ägyptischen Armee rechnen, die immerhin Erfolge gegen Israel – siehe Sinai – erreicht hat. Ein militärisches Eingreifen kann man ausschließen, aber massive politische und diplomatische Interventionen sind möglich.

Und wie soll Europa mit der sich verändernden Lage im Nahen Osten und im Maghreb umgehen?

Scholl-Latour: Vielleicht entdeckt jetzt Europa endlich, daß man zu seiner wirklichen Nachbarschaft ein neues Verhältnis herstellen muß und nicht die eigenen Vorstellungen von Demokratie aufoktroyiert. Diese Länder müssen sich selbst entwickeln, zumal es Anzeichen gibt, daß sich der Islam von innen heraus liberalisieren will.

Welche Anzeichen für eine Liberalisierung des Islam gibt es?

Scholl-Latour: Ich habe mit verschiedenen führenden Persönlichkeiten gesprochen, die im Westen als Radikale und als Terroristen gelten und diese haben von einer Diskussion über eine vorsichtige Neuinterpretation des Islam und eine größere Anpassung an die Moderne berichtet.

 
Das Gespräch führte Bernhard Tomaschitz.

mardi, 15 février 2011

Wie is er bang van de Moslimbroederschap?

freres_musulmans31.gif

Wie is er bang van de Moslimbroederschap?
Ex: http://www.demorgen.be/dm/nl/2461/De-Gedachte/article/det...

Het Westen heeft de Moslimbroederschap in het verleden meermaals en voor diverse doeleinden gebruikt. Lucas Catherine helpt westers geheugenverlies voorkomen. Catherine is auteur en kenner van de Arabische wereld. 

Wat de revoltes in Tunesië en Egypte duidelijk hebben gemaakt is dat Arabieren meer geïnteresseerd zijn in hurryah (vrijheid) dan in sharia. Daarmee hebben ze de Europese misvatting rechtgezet dat zij geen democratie zouden willen. Wat ze Europa verwijten is juist dat wij nooit democratie in de Arabische wereld hebben geïntroduceerd. Niet tijdens de decennia van kolonisatie en ook daarna niet, toen het Westen steevast autoritaire regimes heeft gesteund. En niet alleen autoritaire machthebbers, maar ook de reactionaire oppositie.

Neem de Moslimbroederschap. Die werd in Egypte opgericht in 1928 tijdens het Britse koloniale bewind als conservatief politiek-religieuze beweging. De Britten hebben ze vanaf het begin gesteund. Hun eerste eigen moskeeën en gemeenschapshuizen mochten ze oprichten in de door het Engelse leger zwaar gecontroleerde Suezkanaalzone. En de organisatie werd gemanipuleerd tegen de liberale Wafd-partij die naar onafhankelijkheid streefde en daar in 1945 trouwens in slaagde.

Wanneer begin de jaren '50 de Vrije Officieren de macht grijpen en onder leiding van Gamal Nasser de socialistische toer opgaan, zal men weer de Moslimbroederschap manipuleren, nu tegen hem. Nasser wordt de grote boeman van het Westen wanneer hij in 1956 het Suezkanaal nationaliseert, en zeker wanneer hij in 1960 massaal Europese bedrijven in Egypte naast. Dan sneuvelen ook nog al wat Belgische belangen in Egypte. België bezat een klein aandeel in het opgeëiste Suezkanaal, en onder impuls van Leopold II had het Belgische kapitaal vooral geïnvesteerd in infrastructuur (spoorlijnen, elektriciteit) en in de katoenindustrie. De Belgen waren na de Britten en de Fransen de belangrijkste investeerders in het land. In 1960 nationaliseert Nasser dan ook twee Belgische elektriciteitscompagnies, de trammaatschappij en ettelijke katoenindustrieën, voor een totaal van zo'n 500 miljoen toenmalige dollar. Ook bij ons is Nasser dan een grote boeman. Je kan het natrekken in de stripverhalen van Marc Sleen: in De ijzeren kolonel dat in 1956 verscheen en in De brief aan Nasser uit 1963. Nero helpt zelfs de broederschap bij een (mislukte) aanslag op Nasser. En dat haalt Sleen direct uit de toenmalige actualiteit. Zo'n aanslag gebeurde inderdaad en weer blijkt hoe de broederschap de facto de belangen van het Westen dient.

Nadat Egypte een westerse koers ging varen, eerst onder Anwar al Sadat, daarna onder generaal Moebarak, zal de Moslimbroederschap zich eerst gaan aanschurken tegen de macht. Ook al zijn ze officieel verboden, vanaf 1984 nemen ze op individuele basis deel aan de verkiezingen en in de meest recente, die van 2005, behalen ze 88 zetels, dat is 20 procent van de stemmen. Vergelijk dat met de Wafdpartij die dan slechts zes zetels veroverde. Dat goede resultaat komt door de politiek die ze aan de basis voeren. Onder het islamitische label van zakat en sadaqa - zeg maar liefdadigheid - construeren ze onder de armste lagen van de bevolking een sociaal vangnet, met voedselbedeling, gezondheidszorg, enzovoort. Ze hebben een zuil uitgebouwd. Vergelijk het met de christelijke zuil hier, ook ontstaan uit 'liefdadigheid' en als tegengewicht voor de 'gevaarlijke' socialistische beweging. Daar waar corruptie en armoede enorme vormen aannemen, zorgen zij voor een solidaristisch alternatief. Zij kunnen dat, omdat ze, in tegenstelling tot de progressieve bewegingen, financiële steun krijgen uit het buitenland. Neen, niet uit Iran, maar van de grote westerse bondgenoot, Saoedi-Arabië. De arme Egyptenaren, en dat is de meerderheid van de bevolking, zijn dan ook niet bang voor de Moslimbroederschap. Als je naar hun sociaal programma kijkt, dan zijn zij allesbehalve 'gevaarlijk'. Een gemiddelde Vlaming zou, als je naar zijn sociaal programma kijkt, stukken meer schrik moeten hebben van Bart De Wever, dan een Egyptenaar van de Moslimbroeders.

Als er min of meer eerlijke verkiezingen komen in Egypte, vrees ik dan ook dat de broederschap een groter stemmenpercentage zal halen dan de N-VA hier. In beide gevallen voor mij geen reden om te juichen. Maar voor Egypte kunnen we rustig stellen dat het aan onze domme westerse bemoeienissen ligt. Eigen schuld, dikke bult.

Egypt: Decay Disguised as Victory

Egypt: Decay Disguised as Victory

Ex: http://www.counter-currents.com/

German translation here

peoples_revolution.jpgThe story is as familiar to us as our favorite Hollywood films and Stieg Larsson novels: evil industrialists, usually of fascist tendencies, rule over a land by cruelty, oppressing the innocent people.

A few lone brave voices stand out, are ignored for a while, then the people come to them and unite and the resulting mob takes down the dictator and saves the day. Yay! Toot!

The movie ends before you see how that works out, because filming 20 years of rebuilding a government is not only boring as bricks to most people, but also requires facing some hard truths. There will be blood.

As the Egyptian riots progressed, the media feeding frenzy spun “discontented students throwing bricks” into a full-on People’s Revolution For Great Justice, and then the rioters wised up and started calling it the same thing.

But as the days have trickled past, more of the truly interesting structure underneath the skin has emerged:

In an interview for the American news channel CNN, to be broadcast tomorrow, David Cameron said: “I think what we need is reform in Egypt. I mean, we support reform and progress in the greater strengthening of the democracy and civil rights and the rule of law.”

The US government has previously been a supporter of Mr Mubarak’s regime. But the leaked documents show the extent to which America was offering support to pro-democracy activists in Egypt while publicly praising Mr Mubarak as an important ally in the Middle East.

In a secret diplomatic dispatch, sent on December 30 2008, Margaret Scobey, the US Ambassador to Cairo, recorded that opposition groups had allegedly drawn up secret plans for “regime change” to take place before elections, scheduled for September this year. – The Telegraph

The USA uses its anti-culture as a neutralizing force. If your government has views we don’t like, or even might, we will export our disabling lifestyle to you. When democracy, consumerism and narcissism are in your country as well, you will be like us: unable to act except in “he attacked us first” circumstances, and always passive-aggressive.

Except for you, well, you’re not a superpower, so you can’t even be halfway effective. But your people will think they are happy. They will have McDonald’s and Coca-Cola, “freedom” (which no one will define), sexual liberation, welfare, etc. All the goodies will be free. You will have bought them off with the oldest bribes known to humanity. This will keep them and you as a nation ineffective, decadent and most likely compliant to the wishes of your favorite superpower.

A good instigator — or salesperson — knows that every person on earth has a weak spot. Something is not right in their view of the world, and so they can be manipulated. Don’t like those unsightly hairs? Think it’s terrible how we treat the Eskimoes? Wish the streets were painted pink? Well then: we have a solution (product) for you!

As a result, revolutions tend to find ideological expressions for psychological discontents. In Egypt, it wasn’t “freedom” — it was a rising population, meaning that people felt oppressed by each other’s needs, and they want to be bought off with goodies if they’re going to have to live in a dying society:

The truth is there are simply too many people for the country’s limited resources. When Mubarak came to power in 1981, there were 44 million. Today there are 83 million, and most live in a narrow ribbon of the Nile Valley, just over three per cent of the country.

The government has had to double the housing, double road and rail networks and in a desert country with little rain, greatly increase irrigation to feed the population.

Egypt has had to become the biggest importer of wheat in the world. Food price inflation is now running at 17 per cent and economists say living standards are lower than 1911, when there were only 12 million mouths to feed.

Just last November, economist Hamdi Abdel-Azim warned: “If the rise in food costs persists, there will be an explosion of popular anger against government.”

That said, Mubarak has for long been acutely aware of the looming crisis. In 2008, banners adorned Cairo streets, pleading: “Before you add another baby, make sure his needs are secured.” – The Express

Overpopulation doesn’t happen because of governments, especially not totalitarian governments. It happens because governments are not totalitarian enough to regulate breeding, as was done in China. Mubarak “pleaded” with his population, but if he wanted to stave off the revolution, he needed to make abortion mandatory until the population was under control. Instead, he gets this revolution.

Humans have a nasty habit of dressing up their covert wants and frustrations as ideological needs. Ideology may be the most defunct category of human ideas as a result, because most ideologies seem to be justifications for results that hide the actual impulses to that result.

It reminds me of college, where about sophomore year most males became “feminist” in order be able to partake in the sexual smorgasbord parading before our eyes. If you say the right thing in airy conceptual language, you get the right result in gritty earthy reality.

The United States government and the people of Egypt are both hiding behind “freedom” and “democracy” as excuses to manipulate a bad situation into a worse one. What happens when popular tastes turn toward violence? No one was thinking about that at the time, future history books will reveal.

Source: http://www.amerika.org/politics/egypt-decay-disguised-as-...

dimanche, 13 février 2011

Réflexions sur la crise égyptienne

egyptfev.jpg

Réflexions sur la crise égyptienne

 

Par Bernard Lugan (1)

 

Après la Tunisie, l’Egypte s’est donc embrasée (2). Oubliant le « je ne blâme ni ne loue, je raconte », cette règle d’or de leur profession, les journalistes se sont une nouvelle fois faits les porte-voix des manifestants. Se pâmant littéralement devant leurs actions, ils n’eurent pas assez de superlatifs pour décrire le « Peuple » égyptien unanimement dressé contre le « dictateur » Moubarak.

 

Tout a basculé dans leur petit univers borné de certitudes et d’approximations quand des partisans de ce dernier sont à leur tour descendus dans la rue ; et en masse. Il y avait donc deux peuples !!! Cette constatation avait de quoi perturber des esprits formatés. Durant un temps l’explication leur fut facile : les contre-manifestants étaient des policiers et des nervis payés (3) ; puis, horreur, ils découvrirent qu’il s’agissait d’habitants venus  des « quartiers les plus pauvres». 

 

Ainsi donc, des miséreux osaient venir gâcher la grande célébration démocratique dont ils étaient devenus les porte-voix. Plus encore, ces gueux osaient, crime des crimes, s’en prendre aux journalistes, ignorant qu’en France, cette intouchable caste constitue un Etat dans l’Etat devant lequel rampent et se prosternent les plus puissants. Ils auront du moins retenu de leur séjour au Caire que sur les rives du Nil les références ne sont pas celles des bords de Seine et que les voyages sont plus formateurs que les écoles de journalisme.

 

Ces ignorants n’ont pas vu que la vie politique égyptienne est organisée autour de trois grandes forces. La première, celle qui manifeste en demandant le départ du président Moubarak et pour laquelle ils ont les yeux si doux, est, comme en Tunisie, composée de gens qui mangent à leur faim ; il s’agit en quelque sorte de « privilégiés » pouvant s’offrir le luxe de revendiquer la démocratie. La seconde est celle des Frères musulmans ; pourchassée depuis des décennies et aujourd’hui abritée derrière les idiots utiles, cette organisation tente de se réintroduire dans l’échiquier politique pour imposer sa loi. La troisième force dont aucun « envoyé spécial » n’a jamais entendu parler est celle qui vit dans les quartiers défavorisés, loin donc de l’hôtel Hilton, ce spartiate quartier général des journalistes « baroudeurs », ou dans les misérables villages de la vallée du Nil, loin des yeux des touristes. C’est celle des fellahs besogneux, de ce petit peuple nassérien au patriotisme à fleur de peau qui exècre à la fois la bourgeoisie cosmopolite lorgnant du côté de Washington et les barbus qui voudraient ramener l’Egypte au X° siècle. Ce sont ces hommes qui ont volé au secours du Rais Moubarak en qui ils voient, à tort ou à raison, là n’est pas la question, un  successeur, même lointain, du colonel Nasser.

 

Dernière remarque : pendant que la classe politique française sommait le président Moubarak de quitter le pouvoir, le président russe Medvedev avait un long entretien téléphonique avec lui, l’assurant qu’il s’élevait contre les ingérences étrangères. D’un côté des chiens de Pavlov levant la patte face à l’air du temps et de l’autre, un  homme d’Etat familier des subtilités de l’« orient mystérieux »…  

 

Notes

 

(1) Auteur d’Histoire de l’Egypte des origines à nos jours. Editions du Rocher, 2002.

(2) Je l’avais annoncé dans mon communiqué en date du 16 janvier 2011 (cliquez ici).

(3) Le chamelier et les vingt-deux cavaliers que l’on vit traverser la foule sont des guides pour touristes affectés au site des pyramides et rendus furieux d’être sans travail depuis le début de la révolution.

 

Source L'Afrique réelle : cliquez ici

 

vendredi, 11 février 2011

Ägypten vor Militärputsch: Amerikanische Kriegsschiffe im Suezkanal

Ägypten vor Militärputsch: Amerikanische Kriegsschiffe im Suezkanal

Redaktion

Ägypten steht vor dem wirtschaftlichen Zusammenbruch. Die Lage ist so angespannt, dass eine Machtübernahme des Militärs nicht länger als Bedrohung, sondern als einzige Hoffnung gesehen wird, das Land vor einem wirtschaftlichen Kollaps zu bewahren. Ein amerikanischer Marineverband mit sechs Kriegsschiffen und einem Hubschrauberträger ist in den Suezkanal eingelaufen.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/red...