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samedi, 12 octobre 2013

Il Tibet e il problema idrico cinese

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Il Tibet e il problema idrico cinese nel contesto dell’Asia Meridionale

Francesco Bellomia 
 
Ex: http://www.geopolitica-rivista.org

Si discute spesso del crescente fabbisogno energetico cinese e dunque delle problematiche relative al reperimento di materie prime come petrolio, gas naturale e carbone, ma, nell’ambito delle risorse naturali, ciò non rappresenta l’unica esigenza a cui la classe dirigente a Pechino deve far fronte. La mancanza di acqua, unita all’inquinamento di una parte delle risorse idriche disponibili, sta divenendo infatti una questione sempre più pressante, un problema che finisce per ripercuotersi sulla stessa crescita economica del paese, oltreché sulla stabilità sociale e sui rapporti della Cina con gli stati limitrofi nell’area dell’Asia Meridionale.

plateaumap_lgLa Cina detiene il 7% delle risorse mondiali di acqua, stante però una popolazione equivalente al 20% del totale, Pechino si classifica al centesimo posto su centosettantacinque paesi nel ranking relativo alle risorse idriche mondiali pro capite (con un ammontare di 2.093 m3 di acqua a persona)1.Essendo quella cinese un’economia ancora in espansione, il fabbisogno idrico ne risulterà certamente crescente in maniera esponenziale, soprattutto dal punto di vista industriale e abitativo. Sei regioni nel paese registrano già consumi di acqua superiori alle risorse disponibili, mentre altre cinque vengono considerate al di sotto della soglia di criticità (fissata a 1000 m3 di acqua pro capite)2.

Vi è poi un problema di distribuzione tra nord e sud. Il 77% delle risorse idriche è infatti concentrato nel sud del paese, mentre si trovano invece al nord il 64% delle terre arabili e il 40% della produzione industriale. Una parte delle risorse di acqua inoltre, non può essere utilizzata a causa degli elevati livelli di inquinamento. Il 34% dell’acqua dei sette maggiori fiumi cinesi è classificata come inquinata, di questa il 14% come altamente inquinata, il che la rende inservibile anche per gli usi industriali o agricoli. Secondo la FAO, intorno alle aree urbane, soprattutto quelle industrializzate del nord, il 90% dei fiumi può essere considerato come altamente inquinato3. Come è noto, alla base di tali dati vi è la priorità data da Pechino allo sviluppo industriale rispetto alle problematiche relative alla tutela ambientale, che però stanno finendo per ripercuotersi in maniera indiretta sullo stesso sviluppo economico del paese.

Per tentare di attenuare le carenze idriche e favorire un riequilibrio delle risorse tra nord e sud, il governo centrale cinese ha posto in essere alcuni imponenti progetti, sia in termini ingegneristici che economici, tra i quali spicca il South-North Water Diversion Project. Dai costi stimati di 62 miliardi di dollari, il progetto prevede la costruzione di tre sezioni di canali e dighe che, in diversi punti lungo il fiume Yangtze, dovrebbero convogliare l’acqua verso la parte nord del paese. L’obiettivo è di deviare annualmente, verso le pianure settentrionali, 45 miliardi di metri cubi di acqua.

I progetti di costruzione di dighe e di deviazione dei corsi d’acqua, oltreché rappresentare ulteriori minacce dal punto di vista ambientale, rischiano di esacerbare le relazioni di Pechino con i paesi confinanti. Centrale da questo punto di vista è la regione tibetana. Le abbondanti risorse idriche del Tibet sono un’ulteriore ragione per cui l’area ha un un’importanza fondamentale per la Cina, non solo dal punto di vista economico, ma anche strategico.

Nascono infatti in Tibet o nell’area dell’Altopiano tibetano, fiumi di importanza vitale non solo per la parte nord-orientale della Cina, come lo Yangtze o il Fiume Giallo, ma anche per gli altri paesi dell’Asia sud-orientale. È il caso dello Yarlung Tsangpo, che dal Tibet scorre verso l’India (dove prende il nome di Brahmaputra) e il Bangladesh; del fiume Saluen che raggiunge invece Myanmar e Thailandia; del fiume Mekong, che, partendo dalla regione tibetana, attraversa Myanmar, Laos, Thailandia, Cambogia e Vietnam; e del fiume Indo che dal Tibet confluisce poi in India e Pakistan, rappresentando per quest’ultimo la più importante fonte idrica del paese. Si tratta di corsi d’acqua che sono già stati oggetto della costruzione di dighe o altre infrastrutture di deviazione dei flussi, o che sono al centro di progetti in tal senso, pianificati dalle autorità cinesi.

In particolare, i piani riguardanti lo Yarlung Tsangpo, come la costruzione della diga di Zangmu o la sezione occidentale del South-North Water Diversion Project, diffondono una certa apprensione in India. Quest’ultima risulta dipendente dalla Cina non soltanto per la parte settentrionale del fiume Brahmaputra, ma anche per altri corsi d’acqua, come il già citato Indo e un suo importante affluente il Sutej, entrambi i quali sorgono all’interno della regione tibetana. L’India, come la Cina, deve essa stessa fare i conti con i problemi derivanti dalla cronica mancanza d’acqua, per cui la salute e la reperibilità delle proprie risorse idriche diventa vitale per Nuova Delhi. Per questi motivi, in più di un’occasione, gli indiani hanno chiesto alla Cina di essere trasparente, riguardo alla condivisione dei dati idrogeologici relativi al proprio tratto dei fiumi transfrontalieri. Le questioni riguardanti il Tibet restano dunque ancora una volta centrali nell’ambito dei rapporti sino-indiani. Relazioni segnate in larga parte da diffidenza, e che in passato hanno conosciuto significative tensioni collegate proprio allo status della regione tibetana.

Nei conflitti che possono derivare dal possesso delle risorse idriche di un fiume, è evidente il vantaggio di essere paesi “a monte” rispetto che “a valle”. In questo senso, rinunciare al Tibet significherebbe per la Cina perdere il controllo, non solo delle risorse idriche presenti nella regione, ma anche delle sorgenti di fiumi d’importanza fondamentale per il fabbisogno di molti paesi in tutta l’Asia Meridionale, corsi d’acqua che assicurano dunque a Pechino un potere strategico vitale.

Ultimamente, l’economia cinese sta subendo significativi rallentamenti e, secondo diversi analisti, la fase delle crescite a due cifre si è ormai ampiamente conclusa. Tutto ciò può avere significative conseguenza sulla tenuta del sistema. Al momento, i rischi maggiori per Pechino, più che dalle tensioni indipendentiste in Tibet o nello Xinjiang (seppur ancora ampiamente presenti), sembrerebbero nascere soprattutto dalle tensioni sociali che possono derivare dai problemi economici, oltreché dalla richiesta di maggiori diritti. Per anni, la solidità del sistema è stata garantita non solo dalla repressione, ma anche dalle opportunità che una crescita economica impetuosa sembrava offrire.

Da questo punto di vista, il Tibet, visti gli ulteriori margini di crescita economica, la ricchezza di minerali e altre risorse naturali, le possibilità di trasferimenti aggiuntivi di popolazione da aree sovrappopolate, continuerà a giocare un ruolo fondamentale. La regione è cambiata molto negli ultimi anni, la classe dirigente a Pechino infatti, non vi ha portato solo repressione e censura (o popolazioni di etnia Han), ma anche un certo sviluppo economico, particolarmente visibile soprattutto a Lhasa. Uno sviluppo percepito però da una buona parte dei tibetani come “colonialismo”, e dunque come una minaccia alla propria identità. Per decenni, a farla da padrone in Tibet sono stati la geografia e la natura, oggi lo sviluppo tecnologico ha reso la regione un po’ meno inospitale. Chi ha avuto la possibilità di visitarla testimonia di come appaia per certi versi come un “cantiere a cielo aperto”.

Tornando al problema idrico, secondo il 2030 Water Resources Group la domanda cinese di acqua nel 2030 supererà l’offerta di 201 miliardi di metri cubi4. Seppur le previsioni in questi ambiti sono sempre azzardate, la questione non può certo essere negata. Diventa fondamentale per Pechino un utilizzo più efficiente delle proprie risorse e una maggiore sensibilità riguardo ai problemi ambientali. Ulteriori progetti di deviazione e sfruttamento dei fiumi presenti nell’area sud-occidentale sembrerebbero inevitabili. L’acqua ha un’importanza vitale non solo dal punto di vista industriale o agricolo, ma anche da quelli della produzione di cibo, della salute, degli usi abitativi. Non bisogna dimenticare poi, che i vari corsi d’acqua fungono anche da fonti di produzione di energia idroelettrica, consentendo alla Cina di diversificare le sue fonti, attenuando la dipendenza dai combustibili fossili. La tenuta del sistema è quindi in buona parte legata alla disponibilità futura di una risorsa vitale e insostituibile.

L’acqua del Tibet dunque, sembrerebbe destinata a divenire sempre più un ulteriore terreno di attrito tra la Cina e i paesi limitrofi, i quali già accusano Pechino di scarsa trasparenza sui piani di gestione dei propri tratti dei corsi d’acqua transfrontalieri. In definitiva, nel contesto dell’Asia Meridionale, il rischio maggiore è che l’enorme fabbisogno cinese di acqua lasci a bocca asciutta tutti gli altri.

NOTE:
Francesco Bellomia, dottore magistrale in Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Roma "La Sapienza"), è ricercatore associato del programma "Asia Meridionale" dell'IsAG.

1. Dato relativo al 2011. The World Bank.
2. Le suddivisioni amministrative in deficit idrico sono: Ningxia, Shanghai, Jiangsu, Tianjin, Pechino e Hebei. Le aree invece considerate in condizione di “carenza idrica” sono: Henan, Shandong, Shanxi, Liaoning e Gansu. Si tratta di 11 regioni che da sole forniscono il 45% del totale del PIL cinese, Chinawaterrisk.org.
3. Aquastat - FAO's global water information system.
4. Charting Our Water Future, "2030 Water Resources Group", 2009.

vendredi, 20 janvier 2012

De nieuwe geopolitieke dynamiek van Gesamteuropa

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Archief 1995

Robert Steuckers:

De nieuwe geopolitieke dynamiek van Gesamteuropa

 

In 1995 worden de Main en de Donau eindelijk door middel van een kanaal met elkaar verbonden. Daardoor ontstaat een waterweg van Rotterdam tot de Zwarte Zee en zo verder tot de Kaukasus. Deze waterweg is de eigenlijke ruggengraat van Europa als continent. Aangezien het IJzeren Gordijn neergehaald werd en Duitsland opnieuw verenigd is staat deze nieuwe verkeersroute borg voor een enorme economische en culturele dynamiek. Concreet betekent dit dat de Oekraïense tarwe en de olie uit de Kaukasus rechtstreeks naar het hart van Europa, lees: naar Duitsland, getransporteerd kunnen worden. Daardoor verliest de door de Amerikaanse Zesde Vloot gecontroleerde Middellandse Zee aan geostrategisch gewicht. Gorbatsjov kon als baas van de verrotte communistische sekte de aarde niet teruggeven aan de Oekraïense boeren, maar de nieuwe partijen die vandaag in de Oekraïne aan de macht komen, zullen dit zeker wel doen. Daardoor zal Oekraïne binnen 10 jaar opnieuw de rol van graanschuur van Europa kunnen spelen. De graanprijs zal dalen, aangezien de transportkosten door de kortere afstanden niet meer zo hoog zullen liggen. 

Conclusie: we bevinden ons opnieuw op hetzelfde punt als in 1914. 

Dat willen het Westen en de VS zo lang mogelijk uitstellen, precies zoals Carl Schmitt het opgemerkt had. In de ogen van de Großraumdenker uit Plettenberg waren uitgerekend de Angelsaksische machten de „vertragers van de geschiedenis“. Sinds de val van de Berlijnse Muur voelen de VS aan dat hun uur in Europa geslagen heeft. Europa laat zich niet meer zo gemakkelijk controleren. Het keizerlijke Duitsland wilde tussen 1890 en 1916 de binnen-Europese Rijn/Main/Donau-dynamiek met een Midden-Oosten-dynamiek aanvullen, meer bepaald door de bouw van een spoorlijn tussen Constantinopel en de Perzische Golf te financieren. Van zodra Gorbatsjov over het “Gemeenschappelijke Huis” had gesproken en was begonnen zijn Centraal-Europese kameraden te laten vallen, wisten de Amerikanen instinctief dat de potentiële macht van het Europa van 1914 opnieuw begon te kiemen. Daarom kon Washington enkel op de zwakste plek toeslaan: in de Golf. Waarom? Omdat de Golf als watervlakte het diepst in het Euraziatische continent binnendringt en omdat van daaruit uiterst belangrijke strategische locaties in bedwang kunnen worden gehouden, bijvoorbeeld de Kaukasus en Iran, een land dat, zoals bekend, een draaischijf tussen oost en west is. Controle over de Golfregio stoort elke harmonieuze ontwikkeling in het bekken van de Zwarte Zee. 

Verder heeft het VS-horige westen er alle belang bij dat de strijd tussen Kroaten en Serviërs zich vereeuwigd. Deze strijd betekent: 

1. Volledige storing van het rivierverkeer op de Donau tussen de Hongaarse en de Roemeense grens. Daardoor wordt elke positieve ontwikkeling in het Donaubekken verhinderd. De Middellandse Zee blijft de enige waterweg voor het transport van tarwe en olie en blijft onder controle van de Amerikaanse en Israëlische vloot en luchtmacht. De rivierweg van het continent zou vanzelfsprekend onder controle van andere, lokaal gebonden machten binnen het Gemeenschappelijke Huis gebleven zijn. 

2. Storing van het verkeer in de Adriatische Zee. Mocht er rust in de Adriatische Zee heersen, dan zou de haven van Triëste zijn vroeger belang herwinnen. De regio Venetië-Triëste vormt ook, vanuit geopolitiek standpunt, het diepste binnendringen van de Middellandse Zee in de richting van Centraal-Europa. Langs de as Stettin-Triëste groeide in de Middeleeuwen de macht van het Boheemse huis Przemysl (Ottokar II). 

Het is verre van toeval dat de Golfoorlog en de Balkanoorlog vlak na elkaar hebben plaatsgevonden. Op die manier breekt het westen de groot-Europese dynamiek, wier centrum door Duitsland en door het sterk Hongaars gekleurde Donaubekken (Kárpát-Duna Nagy Haza, ofte “de grootruimte van de Karpaten en de Donau” in de woorden van de Hongaarse nationalisten) gevormd wordt. 

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De EU heeft in deze tragedie een vuile rol gespeeld. In plaats van haar krachten te bundelen heeft ze de vertragingsstrategie, die enkel de VS ten goede komt, gehanteerd. Laat ons ook niet vergeten dat de VS de opmars van Hitler onverschillig vanop een afstand gadegeslagen hebben en pas tegen Duitsland begonnen te stoken, nadat er in 1934 landbouwverdragen tussen het Rijk en Joegoslavië ondertekend werden (cf. William S. Grenzbach, Germany's Informal Empire in East-Central Europe. German Economic Policy Toward Yugoslavia and Rumania, 1933-1939,  Franz Steiner Verlag, 1988; cf. ook Hans-Jürgen Schröder, «Widerstände der USA gegen europäische Integrationsbestrebungen in der Weltwirtschaftskrise 1929-1939», in Helmut Berding (ed.), Wirtschaftliche und politische Integration in Europa im 19. und 20. Jahrhundert, Vandenhoeck & Ruprecht, 1984).   

De sceptici hoeven slechts enkele boeken uit de periode van de Eerste Wereldoorlog open te slaan, om te begrijpen dat het westen, wil het de Germaanse macht in oostelijk Zuid-Europa afremmen, de tactiek van de verbrande aarde moet toepassen in de Balkan en in Mesopotamië. De Nederlandse minister Hans Van den Broek heeft in de Zuid-Slavische ruimte de politiek van de VS uitgevoerd door het ontbindingsproces van de Joegoslavische staat door middel van zijn moratorium te vertragen. En deze politiek dient allerminst de belangen van zijn eigen land, dat er alle belang bij heeft om zich bij de Centraal-Europese dynamiek aan te sluiten. Hetzelfde geldt voor alle Beneluxlanden, alsook voor de Elzas en voor Lotharingen. Onder Franse druk mocht er vóór 1914 en na 1918 geen spoorlijn tussen Antwerpen en Düsseldorf gebouwd worden. Tegenwoordig spreekt men er nog niet over, maar wil men Amsterdam en Parijs met een hogesnelheidstrein verbinden, hoewel de tijdwinst tussen Brussel en Amsterdam slechts 8 minuten zou bedragen! Teneinde de eurocraten deze 8 minuten te kunnen doen uitsparen moet heel Antwerpen kapotverbouwd worden! Tussen de Moezel en de Rijn heeft men in Elzas-Lotharingen nog geen kanaal gebouwd, om zo het gebied met Centraal-Europa te verbinden. 

Deze politiek van het afsnijden van de west- en de oostmark van het Rijk was de essentie van de Franse politiek vóór, tijdens en na de Eerste Wereldoorlog. Helemaal duidelijk wordt deze wil (zijnde de wil om het centrum van ons continent te vernietigen) in het boek van de Franse geopoliticus André Chéradame (Le Plan pangermaniste démasqué,  Parijs, Plon, 1917). De Donaumonarchie moest ofwel opgedeeld worden, ofwel tegen het Hohenzollernrijk ondersteund resp. opgehitst worden, Bulgarije moest ingedamd worden, Roemenië en Servië moesten uitgebreid worden, Turkije uit het Midden-Oosten verjaagd worden, teneinde ervoor te zorgen dat het industriële Duitsland in deze gebieden geen onmiddellijk aangrenzende afzetmarkten meer kon vinden. Deze politiek wordt voortgezet door de VS, die op die manier nog enkele jaren kunnen ademen, alvorens te verstikken onder hun schuldenlast. De rond Duitsland gecentreerde EU moet vandaag in haar uitbreiding naar het oosten afgeremd worden, zodat ze van de voormalige Sovjetunie geen soort Ergänzungsraum zou kunnen maken.

Amerika probeert Mexico als Ergänzungsraum te verwerven, maar, ondanks een aanzienlijke rijkdom aan grondstoffen, is Mexico niet zo groot als Siberië. De ellendige politici van de EU, die ideologisch ongeschoold en geopolitiek onwetend zijn, voeren een politiek die het einde van Europa als cultuurcentrum met zich meebrengt. Wanneer men dit vaststelt, beseft men dat er beter gevormde mensen in de beslissingscentra nodig zijn.

Robert Steuckers.     

mercredi, 16 mars 2011

Krieg um Wasser

Krieg um Wasser: Südliche Nil-Anrainer rationieren Wasser des Lebensstromes und pusten damit Ägyptens Lebenslichter aus

Udo Ulfkotte

 

carte-du-nil.jpgNiemals brechen Kriege völlig überraschend aus. Man muss nur die wirklich wichtigen Nachrichten analysieren, dann kann man ein wenig in die Zukunft blicken. Die wichtigste Nachricht für 83 Millionen Ägypter lautete in den vergangenen Wochen nicht etwa, dass Diktator Mubarak gestürzt wurde. Man kann mit oder ohne Diktator leben. Man kann ja auch mit oder ohne Öl leben. Aber man kann nicht ohne Wasser leben. Die südlichen Nil-Anrainer drehen den Ägyptern jetzt immer mehr das Wasser des Lebensstromes ab. Sechs Nil-Anrainer haben einen entsprechenden Vertrag geschlossen. Und Ägypten hat kein Veto-Recht. Das Leben entlang des Nils ist abhängig vom Wasser. Sobald das Wasser abgedreht wird, ist Krieg unausweichlich. Egal, ob mit Demokratie oder ohne.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/udo...

samedi, 19 juin 2010

La "Mère Volga" se meurt...

volga%5B1%5D.jpgLa "Mère Volga" se meurt...

Article de La Libre Belgique (15/06/2010)

Le plus grand fleuve de Russie est une catastrophe écologique. En cause, l’activité humaine et l’indolence des pouvoirs publics.

Boris Toumanov

Correspondant à Moscou

La Volga, le plus grand fleuve du continent européen (3 530 kilomètres) et un des symboles mondialement connus de la Russie, continue de s’éteindre sous le poids insupportable de la pollution due à l’activité et à la négligence humaine. Selon l’Institut écologique du bassin de la Volga, les ressources hydriques du fleuve subissent actuellement une charge huit fois plus grande par rapport à celle subie en moyenne par l’ensemble des autres ressources hydriques de la Russie.

Ce chiffre ne donne pourtant qu’une très faible idée de la vraie dimension du désastre. Selon les statistiques officielles, 45 % de la production industrielle et 50 % de la production agricole de la Russie sont concentrés dans le bassin de la Volga. C’est dans cet espace également que se trouvent 60 villes qui figurent sur la liste des 100 agglomérations urbaines les plus polluées du pays. Le volume des écoulements pollués déversés dans les eaux de la région constitue 38 % du chiffre général pour toute la Russie.

A cause de ça, les petits affluents de la Volga se trouvent dans un état critique. Selon les activistes du mouvement écologique local "Aidons les fleuves", les douze rivières de Nijni Novgorod, un des plus grands centres industriels du bassin de la Volga, sont d’ores et déjà "mortes". Précisons également que sur toute la longueur de la partie navigable du fleuve, on dénombre quelque deux milles et demi de bateaux abandonnés ou coulés avec leur chargement qui contaminent les eaux par le reste de combustibles ou par les produits chimiques.

Cette situation est aggravée par le fait que la cascade de barrages des huit centrales hydro-électriques ont transformé la Volga en un chapelet de lacs stagnants que sont devenus les réservoirs d’eau. C’est aussi une des raisons pour lesquelles l’eau du fleuve qui était potable aux années 50 du siècle dernier, ne l’est plus, ayant perdu sa capacité naturelle d’auto-purification.

Ajoutons que, selon les chercheurs de l’Université California Santa Barbara, le delta de la Volga se trouve dans la dizaine de zones côtières les plus polluées du monde. Cela ne surprend guère quand on sait que les berges cultivées - pour ne parler que de cette source de pollution - déversent dans le fleuve des tonnes et des tonnes d’engrais chimiques.

Inutile de dire que l’ensemble de ces facteurs a gravement déséquilibré le milieu biologique du fleuve, ce qui a fait de lui une puissante source de pollution. Des centaines de millions de poissons déchiquetés par les huit barrages contribuent à la destruction du milieu naturel de la Volga en catalysant la profusion des algues bleu-vert qui couvrent de 20 à 30 % de la surface des réservoirs d’eau. Elles dégagent 300 espèces de substances organiques toxiques dont 200 restent inconnues à cause de l’absence du biomonitoring expliquée par le manque de moyens financiers. Cette masse à acidification élevée est capable d’autoreproduction, ce qui rend irréversible le cercle vicieux de la pollution. Résultat : dans certains secteurs de la Volga, la part des poissons mutants a atteint en 2007 90 % !

Les efforts sporadiques entrepris par les autorités locales et les écologistes pour remédier à cette situation restent manifestement insuffisants face à l’indolence traditionnelle de la population et des chefs d’entreprises industrielles et agricoles. En attendant la Volga va vers une catastrophe écologique.