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mardi, 20 octobre 2015

La Turchia, il PKK e lo Stato Islamico

Il conflitto siriano e l’avanzata dello Stato Islamico premono ormai anche sulla Turchia di Erdoğan condizionando sempre più i suoi orientamenti geopolitici. Le posizioni turche sono dipese, e continuano a dipendere, da un’attenta valutazione delle proprie priorità strategiche dovendosi destreggiare tra due minacce altrettanto pericolose per i propri interessi vitali. Se con un occhio i centri decisionali turchi guardano infatti al terrorismo di matrice jihadista, con l’altro non possono ignorare la minaccia decennale proveniente dalle ambizioni curde. Il dilemma sembra dunque essere quello tra il combattere lo Stato Islamico, favorendo in questo modo la causa curda, o declassare la minaccia jihadista al secondo posto concentrandosi sulla trentennale lotta contro i curdi. Tale dubbio strategico sembra aver infettato i centri decisionali turchi almeno fino all’estate del 2015 quando il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdoğan ha dovuto affrontare anche una crisi interna legata alla perdita della maggioranza la quale ha necessariamente condizionato le scelte di politica estera.

La di per sé difficile gestione della tregua1 firmata nel 2013 tra Ankara e il PKK è stata progressivamente messa in crisi da due eventi fondamentali, uno esterno alla Turchia e l’altro relativo agli equilibri politici interni, i quali intersecandosi hanno reso sempre più difficili i rapporti tra Ankara e la minoranza curda fino a sfociare nei fatti di Suruc del 20 luglio.2

Il fattore esterno riguarda, come è logico intuire, la guerra in Siria. Proprio quest’ultima ha rafforzato il ruolo dell’Unità di protezione del popolo (YPG), braccio armato del Partito dell’Unione Democratica (PYD), partito indipendentista curdo vicino al PKK fondato nel 2003 nel nord della Siria. L’YPG ha sostanzialmente preso la guida delle operazioni di terra contro lo Stato Islamico in Siria, appoggiato da una coalizione internazionale refrattaria ad intervenire direttamente. Più la guerra in Siria prendeva forma e i curdi consolidavano le proprie posizioni, tanto più le tensioni tra Ankara e i curdi si esacerbavano. Da un lato, le accuse dei curdi nei confronti di Ankara si sono fatte più pesanti e pressanti, arrivando ad accusare i vertici turchi di aver fatto il doppio gioco appoggiando i jihadisti in funzione anticurda; dall’altro, quanto più l’YPG si presentava come il principale braccio armato di terra nella guerra contro lo Stato Islamico, tanto più la preoccupazione di Ankara diventava percepibile fino a raggiungere il suo punto massimo quando l’YPG ha proclamato la nascita dello Stato curdo vicino al confine meridionale della Turchia. Unendo i territori che da Kobane arrivano a Qamishli, il gruppo siriano curdo si è garantito una continuità territoriale la quale rappresenta, de facto, un primo tassello per la realizzazione del grande sogno trentennale curdo. Agli occhi di Ankara una simile entità politico-territoriale, situata per di più lungo i propri confini, non è tollerabile in quanto rappresenta chiaramente un pericoloso polo di attrazione per i curdi che vivono nella Penisola Anatolica.

La situazione così creatasi ha messo Ankara in una posizione scomoda costringendola ad una certa ambivalenza di intenti. Se, infatti, la Turchia non può di certo dichiarare esplicitamente guerra ai curdi, gli unici a farsi carico della lotta contro lo Stato Islamico sul terreno, è tuttavia altrettanto vero che la Turchia non può neanche impegnarsi in una guerra su larga scala contro lo Stato islamico poiché potrebbe essere l’unico vero freno alla costituzione di uno stato curdo al confine con la Turchia. In questo delicato scenario si inseriscono anche i rapporti tra la Turchia di Erdoğan e la coalizione internazionale anti-Stato Islamico capitanata dagli USA.

Fin dal 2014 gli USA hanno cercato l’appoggio della Turchia, considerandola il vero pivot militare nella strategia di indebolimento dello Stato Islamico. Pur di ottenere il sostegno turco e soprattutto le basi militari turche da cui attaccare le postazioni dello Stato Islamico, gli USA sembrano aver ceduto sulla possibilità che Ankara continui, senza troppe proteste da parte della comunità internazionale, la sua guerra su due fronti. La base militare di Incirlik sembra essere stata dunque barattata idealmente con una sorta di “chiudere gli occhi” in riferimento alla reale strategia di Ankara e materialmente con l’accettazione della richiesta turca di una No-fly zone nel nord della Siria. La No-Fly Zone, lunga 90 km e profonda circa 50, consentirebbe alla Turchia di raggiungere due principali obiettivi: da un lato ridurre la potenza militare di Assad, unico in campo a detenere una forza militare aerea, e dall’altro la zona cuscinetto così creata eviterebbe l’ulteriore avanzata dei miliziani curdi siriani dell’YPG volta a ricongiungere nuovi cantoni alla striscia di territorio già controllata. Sebbene celata dietro ragioni umanitarie legate soprattutto alla questione dei profughi siriani, la No-fly Zone permetterebbe, infine, alla Turchia di avere maggiore peso politico nel momento in cui si dovrà ricostruire la nuova Siria.

La delicata partita che si gioca tra i curdi e la Turchia di Erdoğan potrà, come è logico intuire, rafforzare, piuttosto che indebolire, le posizioni dello Stato Islamico. Quest’ultimo uscirebbe, in definitiva, come il grande vincitore nello scontro tra la Turchia e i curdi, traendo enormi vantaggi da un rinnovato clima di instabilità nelle regioni della Turchia a maggioranza curda. Lo Stato Islamico, infatti, direttamente minacciato sul terreno dall’YPG, vedrebbe in un simile scenario una dispersione delle forze nemiche curde su più fronti e soprattutto un rallentamento dei rifornimenti che giungono ai curdi siriani.

La Turchia non può attaccare lo Stato Islamico per non favorire il PKK, né dichiarare guerra ai Curdi che contengono l’espansione di ISIS. Ma il grande vincitore dello scontro tra Turchi e Curdi non potrà che essere lo Stato Islamico

Passando invece alle questioni interne, le elezioni parlamentari del 7 giugno e il risultato elettorale ottenuto dal HDP3 hanno significato per Erdoğan la fine, o perlomeno una battuta d’arresto non prevista, del suo sogno di modificare la costituzione così da trasformare la Turchia in un regime presidenzialista puro. Dopo aver sabotato la formazione di un governo di coalizione, il Presidente Erdoğan ha annunciato nuove elezioni anticipate per il prossimo primo novembre. Il presidente turco spera, dopo lo stop di giugno, di poter ottenere il massimo rendimento dalla delicata congiuntura, internazionale e nazionale, che si è venuta a creare.

In particolare, Erdoğan sembra voler sfruttare la difficile situazione esistente tra le varie anime del movimento indipendentista curdo al fine di poter recuperare i voti necessari per ottenere la maggioranza. Benché vi sia, infatti, una base comune tra l’HDP, il PKK e i gruppi curdi siriani, in realtà le tensioni tra tutte queste diverse fazioni non sono meno pericolose di quelle esistenti in generale tra i curdi e i turchi. Il PKK rischia di essere emarginato dai successi dell’YPG siriano ma anche di essere considerato un fattore meramente destabilizzante se paragonato al più pacifico HDP; la tenuta di quest’ultimo, reo, secondo i gruppi più estremisti, di aver mediato la tregua del 2013, è invece messa in pericolo dalla crescente instabilità nelle regioni a maggioranza curda a causa della ripresa della lotta da parte del PKK. In sostanza, la situazione creatasi pare fare il gioco di Erdoğan in quanto sembra potersi prospettare un possibile indebolimento dell’HDP e un conseguente recupero per l’AKP dei voti persi a giugno. Ma il partito di Erdoğan sta cercando di attingere voti anche da un altro bacino elettorale: il vero obiettivo degli F16 schierati contro lo Stato Islamico e le postazioni curde sembrerebbe essere in realtà, non tanto l’annientamento militare dei terroristi, quanto il recupero dei voti dei nazionalisti turchi persi dall’AKP a favore dell’MHP, il partito ultranazionalista turco. Occorre sottolineare a tal riguardo che in Turchia una forte maggioranza dell’opinione pubblica vede nel PKK una minaccia alla sicurezza superiore rispetto a quella proveniente dallo Stato Islamico.

La ripresa della lotta armata del PKK e gli F-16 schierati in Siria dovrebbero garantire a Erdoğan il recupero di voti nazionalisti e, con essi, della maggioranza parlamentare necessaria a modificare la Costituzione e introdurre in Turchia un sistema presidenziale puro.

La Turchia, insomma, è chiaramente schierata su due fronti: se da un lato attacca lo Stato Islamico, dall’altro non perde di vista la minaccia curda che si fa sempre più pressante. I curdi, infatti, difficilmente si lasceranno sfuggire l’occasione, oggi concreta più che mai, di realizzare il sogno di un Kurdistan unito e indipendente. L’impressione è dunque che Erdoğan stia sfruttando la situazione in Siria a proprio vantaggio in funzione anticurda sia all’esterno, contro la formazione di uno stato curdo unito, sia all’interno, contro lo straordinario risultato elettorale raggiunto dall’HDP. Gli effetti sull’intero contesto regionale di questo “secondo fronte” di guerra, sempre più caldo e carico di incognite a livello interno, non possono essere trascurati. Emblematico in questo senso il tragico attentato che ha avuto luogo ad Ankara il 10 ottobre 2015. La situazione regionale, già fortemente precaria e instabile, è ora esposta ad un ulteriore pericolo di escalation. È infatti evidente che nello scontro tra Turchia e PKK sia in gioco non soltanto l’evolversi di una guerra civile iniziata nel 1984 quanto piuttosto il futuro stesso della lotta contro lo Stato Islamico.

NOTE:

1È sicuramente innegabile che i limiti del cessate il fuoco del 2013 fossero già evidenti prima che la situazione siriana provocasse nuove tensioni. Una delle condizioni della tregua era che i miliziani del PKK abbandonassero la Turchia stabilendosi in Iraq; in cambio il governo turco avrebbe dovuto portare avanti alcune riforme costituzionali e provvedere ad una sorta di amnistia. L’esecuzione di questi passaggi è avvenuta lentamente e tra la sfiducia reciproca delle parti; di fatto non tutti i miliziani si sono ritirati dal territorio turco e l’amnistia non è mai stata promulgata così come non sono mai state portate avanti le riforme politiche richieste dai curdi. Inoltre, PKK e governo di Ankara, non hanno mai cessato di scambiarsi accuse reciproche di violazione degli accordi.
2 Il 20 luglio la città di Suruc, città al confine con la Siria a maggioranza curda, è stata scossa da un attacco suicida. L’attentato è stato apparentemente organizzato dallo Stato Islamico ma i curdi hanno accusato il governo turco di aver supportato i jihadisti. L’accusa è ormai sollevata dai curdi da mesi; l’attentato a Suruc non è stato altro, infatti, che la scintilla che ha dato il via formale a quel processo di accuse e recriminazioni reciproche tra il PKK e Ankara che fino all’estate del 2015 era spesso comparso soltanto fra le righe. I concitati eventi che ne sono seguiti, la risposta armata del PKK a Ceylanpinar e le successive contromosse turche, hanno definitivamente posto fine al cessate il fuoco provvisorio firmato da Ankara e dal PKK nel 2013.
3 Il PHD, il partito che si batte ormai da anni per l’uguaglianza dei diritti politici della minoranza curda, ha raggiunto il 13% nelle elezioni, superando quindi la soglia di sbarramento del 10% pensata proprio per evitare l’entrata in parlamento dei partiti filo-curdi.

dimanche, 18 octobre 2015

Syrie – Un nouvel axe Moscou-Pékin

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Syrie – Un nouvel axe Moscou-Pékin

Michel Garroté
Politologue, blogueur
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

En mai dernier, le Parti islamique du Turkestan (TIP), organisation djihadiste des musulmans ouïghours du Turkestan oriental, le Xinjiang, situé en Chie occidentale, a publié une vidéo montrant le rôle de ce groupe dans la bataille pour s’emparer de la ville syrienne Jisr Al-Shughur. En outre, divers médias ont évoqué le rôle de la Chine, aux côtés de la Russie, dans le conflit syrien (concernant ces deux événements, voir les nombreux liens vers sources en bas de page).

Dans ce contexte, sur lepoint.fr, Caroline Galactéros écrit notamment, le jeudi 15 octobre 2015 (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Les Chinois tirent parti du mouvement russe en le rejoignant dans une démonstration de puissance et de contre-influence inédite vis-à-vis de Washington. Pékin affiche aussi sa détermination à éradiquer à la racine la menace séparatiste ouïghour, comme les Russes le font vis-à-vis du Caucase avec les Tchétchènes. Leur porte-avions Liaoning est désormais à Tartous, porteur de chasseurs bombardiers J15, d'un millier d'hommes et d'hélicoptères d'attaque. Il y a retrouvé le sous-marin géant russe Dimitri Donskoi, doté de 20 missiles intercontinentaux (200 têtes nucléaires, portée 10 000 kilomètres) et le croiseur lance-missiles Moskva. La Méditerranée orientale est donc sanctuarisée.

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Djihadistes de l'EI: parmi eux, des Ouighours, citoyens chinois

Caroline Galactéros : Un déploiement de puissance qui vise une démonstration d'ordre stratégique, bien au-delà de la Syrie et même du Moyen-Orient. En déployant des vaisseaux de guerre dissuasifs au propre et au figuré, en tirant depuis la Caspienne des missiles de croisière Kalibr, Moscou (et Pékin) démontrent non seulement leur renaissance militaire, mais adressent à Washington un avertissement tangible : l'Eurasie n'est plus sous contrôle américain. L'axe Moscou-Pékin, avec leurs clientèles associées en cours de consolidation, consacre la montée en puissance d'un challenger sécuritaire à l'Otan : l'organisation de Shanghaï.

Caroline Galactéros : Le leadership américain sur l'Orient a vécu. À cet égard, la centralisation de la coordination opérationnelle entre la Russie, l'Iran, l'Irak, la Syrie, et le Hezbollah de manière plus informelle, que certains appellent « l'axe 4+1 », marque une convergence d'intérêts sans équivoque, même si chacun conserve son propre agenda et ses arrière-pensées. Le gouvernement irakien vient d'ailleurs de donner à Moscou l'usage de sa base al Taqadum de Habanniyah, à 75 kilomètres de Bagdad, qui permet d'ouvrir un corridor aux avions russes vers la Syrie, mais pourrait aussi servir de base pour des missions russes de bombardement au nord de l'Irak même.

Caroline Galactéros : L'installation de la Russie comme acteur majeur au Moyen-Orient, arrière-cour américaine traditionnelle, est aussi une « réponse du berger à la bergère » aux actions diverses de déstabilisation américaines et occidentales dans sa propre arrière-cour : ex-satellites soviétiques mais surtout Ukraine, Géorgie, et désormais Azerbaïdjan qui subit de croissantes pressions américaines. La Russie sera donc au cœur de tout accord politique futur, pour le garantir ou le compromettre si elle n'y trouve pas son compte. Les États-Unis et leurs alliés, qui ne peuvent plus s'opposer à l'offensive russe, en sont réduits à jouer désormais Moscou contre Téhéran, probablement en marchandant avec les uns ou les autres la levée des sanctions en échange d'un affaiblissement de leur alliance de circonstance en Syrie et en Irak.

Caroline Galactéros : Moscou réalise un rêve vieux de cinq siècles, celui d'une puissance militaire russe durable en Méditerranée, mais surtout poursuit une ambition majeure : celle d'un monopole russe des routes et de la distribution de gaz vers l'Europe via la démonétisation énergétique de l'Ukraine par le nord, avec notamment la bénédiction allemande, et le contrôle de la concurrence iranienne ou qatarie qui pourrait emprunter les pipelines du nord de la Syrie. La Méditerranée orientale regorge de gaz et les enjeux énergétiques en arrière-plan de ces grandes manœuvres ne doivent pas être oubliés car, comme toujours, les grilles de lecture économiques du conflit, soigneusement éludées par les acteurs, sont en fait premières.

 

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Caroline Galactéros : Si l'on prend un peu plus de recul encore, on voit se confirmer le basculement du focus stratégique américain vers la mer de Chine orientale. Le président Obama, qui ne peut « être au four et au moulin » militairement parlant, paraît contraint de laisser faire les Russes au Moyen-Orient pour pouvoir redéployer sa flotte en Asie et venir au secours de ses protégés locaux qui s'inquiètent des ambitions de plus en plus tangibles de Pékin de faire de la mer de Chine sa mare nostrum, conclut Caroline Galactéros, le jeudi 15 octobre 2015, sur lepoint.fr (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Michel Garroté

http://www.memrijttm.org/jaysh-al-fath-affiliated-group-exhorts-westerners-foreign-fighters-to-come-to-syria.html#_edn2

http://www.express.co.uk/news/world/610286/China-preparing-to-team-up-with-Russia-in-Syria-Boost-for-Putin-in-battle-against-ISIS

http://english.alarabiya.net/en/views/news/middle-east/2015/10/06/Are-the-Chinese-coming-to-Syria-.html

https://www.facebook.com/SCOCooperation?fref=nf

http://lainfo.es/en/2015/10/06/china-could-join-russias-action-against-terrorism-in-syria/

http://english.farsnews.com/newstext.aspx?nn=13940706000731

http://www.debka.com/article/24926/Chinese-warplanes-to-join-Russian-air-strikes-in-Syria-Russia-gains-Iraqi-air-bas

http://www.europe-israel.org/2015/10/syrie-des-enfants-ouighours-chinois-apprennent-a-combattre-dans-les-camps-dentrainement-de-letat-islamique/

http://www.lepoint.fr/invites-du-point/caroline-galacteros/galacteros-syrie-les-enjeux-caches-de-l-intervention-russe-15-10-2015-1973777_2425.php

   

dimanche, 27 septembre 2015

Un rapport secret Américain montre que Obama a soutenu l’Etat islamique contre Bachar

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Un rapport secret Américain montre que Obama a soutenu l’Etat islamique contre Bachar

par Sylvia Bourdon

Ex: http://fr.awdnews.com

Un rapport secret Américain, montre que l’Occident observait déjà, depuis 2012 l’émergence de l’Etat Islamique. Malgré cela, les Américains ont laissé faire. Ils virent une chance de déstabiliser Bachar pour le faire tomber. Ce document témoigne d’une erreur politique majeure, dont découle ce tsunami migratoire vers l’Europe et une considérable restriction des libertés des citoyens et de leurs droits fondamentaux.

L’opinion publique Occidentale observait avec un immense étonnement, en été 2014, la naissance de l’Etat Islamique surgir du néant. Malgré les observations d’un grand nombre de services secrets, personne n’arrivait à expliquer, comment des troupes d’islamistes radicaux, extrêmement bien équipés en armement, purent devenir du jour au lendemain, la plus grande menace pour la paix mondiale. Dès lors, il ne se passe plus un jour qui ne prouve, que les soldats d’Allah sont devenus le plus grand danger pour l’Europe. Les droits des citoyens en Europe, comme aux Etats Unis ont été considérablement réduits et les musulmans sont depuis soumis à toutes les suspicions. La situation en Syrie va de mal en pis. Des milliers de Syriens viennent se réfugier en Europe, où leur sont opposés méfiance et rejet. Dans les discussions actuelles sur le dossier « réfugiés », on « réfléchit » sur ces vagues de réfugiés pour étudier, comment arrêter ces flux sur place.

Concernant la Syrie et la Libye, les suggestions restent dans le vague, ce qui donne l’impression que, dans le fond, on ne peut rien faire. Les guerres existent depuis toujours et partout. L’UE envoie des navires de guerre en Méditerranée, pour tirer sur les bateaux des « réfugiés » malgré les avertissements des organisations humanitaires. En même temps, les grands Etats Européens, comme l’Angleterre, la France, la Pologne ou l’Espagne refusent d’accueillir plus de réfugiés.

Désormais, des documents ont fait surface, qui démontrent, que toutes ces calamités auraient pu être vraisemblablement évitées. Un mélange d’incompétence, de cynisme et de froids calculs de pouvoirs, auraient conduit à cette situation devenue hors contrôle par la fondation de l’Etat Islamique.

L’observatoire Américain « Judicial Watch » vient de publier une partie d’un rapport « déclassé » du Service Secret Américain de la Défense, la Defense Intelligence Agency (DIA). De ce rapport ressort que, dès 2012, la DIA possédait des données qui démontraient la formation de l’Etat Islamique au Moyen Orient. Selon le rapport, des groupes d’opposition Syrienne ambitionnaient un tel Etat, comme une arme efficace pour faire tomber le Président Bachar El Assad. Cependant, les services secrets Américains n’auraient pas empêché ce projet. Bien au contraire, ils y voyaient une chance d’y imposer leurs propres intérêts aux Moyen Orient. Le but essentiel, en 2012 étant la chute d’Assad.

Le journaliste d’investigation, Nafeez Ahmed, qui collaborait au Guardian et aujourd’hui au magazine US, Vice, publie sur leur site web une analyse sans illusion sur le développement de la situation. Il affirme que les Etats Occidentaux, en coordination avec les pays du Golfe et la Turquie, financèrent en toute conscience ces groupes islamistes violents aux fins de déstabiliser Assad, tout en anticipant la création de l’Etat Islamique en Irak et en Syrie. Au lieu d’arrêter leur soutien à ces groupes, dont la proximité avec Al Qaida était connue, Washington et les autres capitales Européennes ont persisté à regarder ce développement comme positif.

Ahmed rapporte :

« De ce document déclassé US, découle clairement que le Pentagone, prévoyait l’émergence de l’Etat Islamique, comme suite directe de leur stratégie. Le Pentagone décrit cette possibilité, comme une chance stratégique pour déstabiliser le régime Syrien. »

Cette stratégie fait suite, selon le « Middle East Eye » aux réflexions de la RAND Corporation, qui avait déjà, il y a des années, recommandé de monter les unes contre les autres, les différentes croyances musulmanes. Si les chiites et les sunnites se combattent, cela augmenterait les possibilités d’influence dans la région. La stratégie « divide et impera », diviser pour mieux régner est devenue partie intégrante de toutes les activités politiques.

Ahmed, qui est un journaliste de sérieuse réputation, dont les analyses solides reposent sur des entretiens avec un grand nombre de spécialistes militaires et services secrets, estime comme « hypocrite », lorsque l’Occident déclare vouloir mener la guerre à l’Etat Islamique. Il désigne la signification géostratégique du conflit, comme une guerre de substitution. Les précurseurs de l’Etat Islamique auraient reçu des fonds et des armes de l’Occident, comme indiqué dans le rapport : « L’Occident, les pays du Golfe et la Turquie doivent soutenir l’opposition Syrienne, pendant que la Russie, la Chine et l’Iran soutiennent le régime Assad. De ce rapport secret est mis en exergue, que tous les services secrets Américains, étaient au courant, comme le Ministère de la Défense, le Secrétariat d’Etat, ainsi que les alliés Occidentaux. Est-ce que l’Allemagne étant informée des projets des islamistes, ne ressort pas directement des documents. Cependant, aux vues de cette large coalition contre l’EI, on peut le supposer.

L’émergence de l’Etat Islamique a mis en place de nouvelles dispositions de lutte contre le terrorisme, comme la surveillance de masse et le devoir « Orwellien » de dénonciation.  Ce que le gouvernement Américain et les gouvernements Européens traduisent en censure des médias, la scrutation d’activistes, de journalistes et des minorités ethniques, en particulier les musulmans. Mais, ce rapport du Pentagone dévoile, contrairement à ce que déclarent les gouvernements Européens, que la menace a bien été provoquée par leurs funestes erreurs politiques qui ont consisté à avoir soutenu secrètement la terreur islamique, pour des raisons de géopolitique douteuses.

Sylvia Bourdon

dimanche, 20 septembre 2015

Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

 

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Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

Ex: http://journal-neo.org

By Witold Gadowski and Konrad Stachnio

I am talking with Witold Gadowski, a well-known Polish journalist and co-author of Insha Allah Martyrs blond. The first picture tells the story about the Islamic State and suffering of Christians. The film premiere will be held in Spain and Paris.

Whether ISIS has something to do with the current crisis of immigration in Europe?

At the moment the whole activity of the headquarters of the Islamic State is directed to export the Islamic ideology in the interpretation of Abu Bakr al-Baghdadi. Hundreds of young people trained in the Islamic State are now sent as refugees to Europe and North America. Just talk to the spokesman of Western special services to confirm this trend. The training which took place almost officially in Turkish military camps, at the moment it is held in secret. I have seen this training. Volunteers for the Islamic ‘revolution’ are currently becoming a large stream flowing from the former republics of the Soviet Union, mainly Tajikistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Kazakhstan and the flow from China. It is currently the largest recruitment area. The Islamic State army no longer needs as many volunteers as it did. It does not lead such large operations on land as it did a few months ago. Of course, there are also Chechens, but they are highly valued as officers and experienced guerrillas.

Do you think that Islamic terrorism will be carried out in Europe on a solo terrorist tactics and strategies of a lone wolf?

Well-paid professionals have already built a virtual network a long time ago in different countries that are continually being infected by this ideology. So the activities of these lonely wolves who can commit suicide attacks can be carried out anywhere in Europe.

The economics of terrorism says: we attack where we can terrorize the public opinion the most, where people will be agitated about this fact for at least a week or two. While deciding to attack Charlie Hebdo they knew what they were doing because even after a month from the attack people held marches. They simply brought fear in.

What do the current terrorist networks consist of ? If we are using a bomb, but nobody talks about it, then this bomb brings no effect. If we are forcing the bomb in Baghdad where about 100 people died, it is news only for one day as there are bombs exploding daily  and people are not interested in following these developments. When somewhere in the center of the “free world” we are killing women and children, then fear starts becoming a factor. The economics of the terrorism has always been the same since 1972, when the Black September attacked the Olympics in Munich. Now the terrorism acts through media. These images of violence are being copied millions of times and it is them that terrorize. It is a purpose of terrorists. Killing particular people is not bringing such effects as intimidating the public opinion.

ISIS is an extremely intelligent creature because the people in charge of the activities of ISIS learned from the operation carried out by the Americans against Taliban in Afghanistan. ISIS never creates large miliwashboard formations, and if it creases them then they are placed in civilian areas. So the greatest numbers of ISIS units are located in Mosul. Why? – because it is a 1,5 million city. Bombing ISIS units infests a humanitarian disaster on civilians. This is carnage and none of the free country governments wants to be part of. ISIS is perfectly aware of that. ISIS do not use radio communicators at all. They learned this on the case of Al-Qaeda and earlier on Chechen cases as well. Dudayev was killed because of a satellite phone so all the information is provided through few couriers. These couriers transmit information very quickly. There is no radio, Internet connections or any other electronic way that could be traced by the American system. That is why they are dangerous because they always attack under cover of darkness, turmoil, etc. Then they leave their places very quickly where they live normally. We won’t distinguish ISIS fighters from civilians. Going into every village we only see the religious police, and those people who guide street movement and so on. But we do not see the ISIS units. They are all hid in private homes. At one moment when it comes orders they can leave many places and strike in one place. This is the strategy of ISIS. Besides, they change strategy all the time. Kurds told us that t ISIS attacks differently all the time. Americans do not have a chance to win this war from the air.

Whether you think that ISIS can prepare in Europe some bigger action?

In Dabiq magazine in three articles I read about Rome, the Pope and the anticipated activities of the Islamists against the Pope and Rome. One of the covers of Dabiq is the Saint Peter’s Basilica with the black banner of the Prophet waving over it. One of the main articles of the magazine says that the Islamists want to conquer Rome. In their way of thinking today Rome stands for the West. This article is simply a call to kill the Pope, as the representative of Rome – that is one reason.

They always announce it. When they killed the Dutch filmmaker, they had earlier reported that they would kill him and they did. Considering Charlie Hebdo they also previously served the information that they would take care of them and finally killed them. The bombings in Madrid and London were also announced, in the end they did it. So I would not have played down their announcement. Yes they lead a strong propaganda war, but it goes along with a particular activity.

Konrad Stachnio is an independent Poland based journalist, he hosted a number of radio and TV programs for the Polish edition of Prison Planet, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.

mardi, 08 septembre 2015

Le projet de gazoduc Qatar-Turquie que l'on vous cache

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SYRIE: Le projet de gazoduc Qatar-Turquie que l'on vous cache

Auteur : DAMOCLES International News
Ex: http://zejournal.mobi

syria-qatar-pipeline.jpgLe gazoduc Qatar-Turquie est un projet allant du champ irano-qatari «South Pars / North Dome» vers la Turquie, où il pourrait se connecter avec le gazoduc Nabucco pour fournir les clients européens ainsi que la Turquie.

Une des voies vers la Turquie passe par l'Arabie saoudite, la Jordanie et la Syrie et l'autre passe par l'Arabie saoudite, le Koweït et l'Irak.

La Syrie rejette ce projet Qatari et le justifie par la protection «des intérêts de son allié Russe», qui est le premier fournisseur de gaz naturel de l'Europe.

En 2012, un analyste cité par « Ansa Méditerranée » a suggéré que la participation du Qatar dans la guerre civile syrienne a été fondée en partie sur sa volonté de construire un pipeline vers la Turquie via la Syrie.

«La découverte en 2009 d'un nouveau gisement de gaz près d'Israël, du Liban, de Chypre, et de la Syrie a ouvert de nouvelles possibilités de contourner la barrière de l'Arabie et de garantir une nouvelle source de revenus. Les pipelines sont déjà en place en Turquie pour recevoir le gaz.

Seulement, il y a Bachar Al-Assad sur cette route.

Le Qatar et la Turquie souhaite supprimer Al -Assad et installer la branche Syrienne des frères musulmans à sa place. C'est le mouvement politique le mieux organisé dans cette société chaotique et qui peut bloquer les efforts de l'Arabie saoudite d'installer un régime encore plus fanatique basé sur le Wahabisme.

Une fois les frères musulmans au pouvoir, les larges connections de l'émir avec les groupes des frères musulmans de la région lui permettront d'avoir à Damas, une oreille plus attentive à ses projets et une main plus amicale.

 - Source : DAMOCLES International News

mercredi, 26 août 2015

Erdogan’s Dirty Dangerous ISIS Games

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Erdogan’s Dirty Dangerous ISIS Games

by F. William Engdahl

Ex: http://journal-neo.org

Turkey is a beautiful land, rich in resources, with many highly intelligent and warm people. It also happens to have a President who seems intent on destroying his once-proud nation. More and more details are coming to light revealing that the Islamic State in Iraq and Syria, variously known as ISIS, IS or Daesh, is being fed and kept alive by Recep Tayyip Erdoğan, the Turkish President and by his Turkish intelligence service, including MIT, the Turkish CIA. Turkey, as a result of Erdoğan’s pursuit of what some call a Neo-Ottoman Empire fantasies that stretch all the way to China, Syria and Iraq, threatens not only to destroy Turkey but much of the Middle East if he continues on his present path.

In October 2014 US Vice President Joe Biden told a Harvard gathering that Erdoğan’s regime was backing ISIS with “hundreds of millions of dollars and thousands of tons of weapons…” Biden later apologized clearly for tactical reasons to get Erdoğan’s permission to use Turkey’s Incirlik Air Base for airstrikes against ISIS in Syria, but the dimensions of Erdoğan’s backing for ISIS since revealed is far, far more than Biden hinted.

ISIS militants were trained by US, Israeli and now it emerges, by Turkish special forces at secret bases in Konya Province inside the Turkish border to Syria, over the past three years. Erdoğan’s involvement in ISIS goes much deeper. At a time when Washington, Saudi Arabia and even Qatar appear to have cut off their support for ISIS, they remaining amazingly durable. The reason appears to be the scale of the backing from Erdoğan and his fellow neo-Ottoman Sunni Islam Prime Minister, Ahmet Davutoğlu.

Nice Family Business

The prime source of money feeding ISIS these days is sale of Iraqi oil from the Mosul region oilfields where they maintain a stronghold. The son of Erdoğan it seems is the man who makes the export sales of ISIS-controlled oil possible.

Bilal Erdoğan owns several maritime companies. He has allegedly signed contracts with European operating companies to carry Iraqi stolen oil to different Asian countries. The Turkish government buys Iraqi plundered oil which is being produced from the Iraqi seized oil wells. Bilal Erdoğan’s maritime companies own special wharfs in Beirut and Ceyhan ports that are transporting ISIS’ smuggled crude oil in Japan-bound oil tankers.

Gürsel Tekin vice-president of the Turkish Republican Peoples’ Party, CHP, declared in a recent Turkish media interview, “President Erdoğan claims that according to international transportation conventions there is no legal infraction concerning Bilal’s illicit activities and his son is doing an ordinary business with the registered Japanese companies, but in fact Bilal Erdoğan is up to his neck in complicity with terrorism, but as long as his father holds office he will be immune from any judicial prosecution.” Tekin adds that Bilal’s maritime company doing the oil trades for ISIS, BMZ Ltd, is “a family business and president Erdoğan’s close relatives hold shares in BMZ and they misused public funds and took illicit loans from Turkish banks.”

In addition to son Bilal’s illegal and lucrative oil trading for ISIS, Sümeyye Erdoğan, the daughter of the Turkish President apparently runs a secret hospital camp inside Turkey just over the Syrian border where Turkish army trucks daily being in scores of wounded ISIS Jihadists to be patched up and sent back to wage the bloody Jihad in Syria, according to the testimony of a nurse who was recruited to work there until it was discovered she was a member of the Alawite branch of Islam, the same as Syrian President Bashar al-Assad who Erdoğan seems hell-bent on toppling.

Turkish citizen Ramazan Başol, captured this month by Kurdish People’s Defence Units,YPG, as he attempted to join ISIS from Konya province, told his captors that said he was sent to ISIS by the ‘İsmail Ağa Sect,’ a strict Turkish Islam sect reported to be tied to Recep Erdoğan. Başol said the sect recruits members and provides logistic support to the radical Islamist organization. He added that the Sect gives jihad training in neighborhoods of Konya and sends those trained here to join ISIS gangs in Syria.

According to French geopolitical analyst, Thierry Meyssan, Recep Erdoğan “organised the pillage of Syria, dismantled all the factories in Aleppo, the economic capital, and stole the machine-tools. Similarly, he organised the theft of archeological treasures and set up an international market in Antioch…with the help of General Benoît Puga, Chief of Staff for the Elysée, he organised a false-flag operation intended to provoke the launching of a war by the Atlantic Alliance – the chemical bombing of la Ghoutta in Damascus, in August 2013. “

Meyssan claims that the Syria strategy of Erdoğan was initially secretly developed in coordination with former French Foreign Minister Alain Juppé and Erdoğan’s then Foreign Minister Ahmet Davutoğlu, in 2011, after Juppe won a hesitant Erdoğan to the idea of supporting the attack on traditional Turkish ally Syria in return for a promise of French support for Turkish membership in the EU. France later backed out, leaving Erdoğan to continue the Syrian bloodbath largely on his own using ISIS.

Gen. John R. Allen, an opponent of Obama’s Iran peace strategy, now US diplomatic envoy coordinating the coalition against the Islamic State, exceeded his authorized role after meeting with Erdoğan and “promised to create a « no-fly zone » ninety miles wide, over Syrian territory, along the whole border with Turkey, supposedly intended to help Syrian refugees fleeing from their government, but in reality to apply the « Juppé-Wright plan ». The Turkish Prime Minister, Ahmet Davutoğlu, revealed US support for the project on the TV channel A Haber by launching a bombing raid against the PKK.” Meyssan adds.

There are never winners in war and Erdoğan’s war against Syria’s Assad demonstrates that in bold. Turkey and the world deserve better. Ahmet Davutoğlu’s famous “Zero Problems With Neighbors” foreign policy has been turned into massive problems with all neighbors due to the foolish ambitions of Erdoğan and his gang.

F. William Engdahl is strategic risk consultant and lecturer, he holds a degree in politics from Princeton University and is a best-selling author on oil and geopolitics, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.

dimanche, 28 juin 2015

Daech, armée terroriste de l’Occident

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Daech, armée terroriste de l’Occident
 
La nouvelle Internationale de la terreur recrute tous azimuts: racailles de nos banlieues, ex-officiers baasistes irakiens, ex-séparatistes tchétchènes qui combattent Moscou jusqu’à Palmyre.
 
Fonctionnaire international
Ex: http://www.bvoltaire.fr
 

La Syrie de 2011 était un pays financièrement indépendant (pas de dette) – un scandale en soi pour notre oligarchie -, officiellement en état de guerre avec Israël et hostile aux projets gaziers du Qatar sur son territoire.

Conformément au droit d’ingérence planétaire des armées du bien, le petit État rebelle est donc passé dans le viseur du Pentagone car il est notoire que le complexe militaro-industriel, clef de voûte de l’économie américaine, ne vit que de guerres sans fin et de carnages récurrents.

Terrorisme et chaos sont des alternatives low cost au contrôle direct et ils fleurissent là où les interventions occidentales ont détruit les structures étatiques : Afghanistan, Somalie et, pour ce qui nous intéresse aujourd’hui, Libye, Irak et la majeure partie de la Syrie.

La providence veut en outre que le terrorisme produise de toute pièce un remodelage du Proche-Orient conforme aux vœux de Washington de créer un abcès salafiste entre l’Iran et ses alliés arabes.

Les hordes mises en scène de façon hollywoodienne dans le désert syrien ne sortent pas du néant et leurs conquêtes militaires coïncident avec les intérêts de l’État profond américain.

Daech est la franchise irakienne d’Al-Qaïda, qui fut l’armée arabe de la CIA des années de guerre froide. Al-Nosra qui, Fabius dixit, « fait du bon boulot en Syrie », en est la franchise syrienne.

Daech fut dépêché en Syrie quand il est devenu patent qu’Al-Nosra était impuissant à renverser seul le régime de Bachar el-Assad.

La nouvelle Internationale de la terreur recrute tous azimuts : racailles de nos banlieues, ex-officiers baasistes irakiens, ex-séparatistes tchétchènes qui combattent Moscou jusqu’à Palmyre. 
Ces derniers combattent également dans les bataillons néonazis ukrainiens, et les décapitations sont devenues tendance en Ukraine.

Les États-Unis prétendent avoir lancé une campagne militaire contre Daech, mais les faits racontent une autre histoire : dans un rapport récemment déclassifié, le Pentagone – doué d’une incroyable préscience – prévoyait dès 2012 la création d’un État islamique qu’il jugeait d’ailleurs conforme aux intérêts américains dans la région.

75 % des avions américains qui « bombardent » les positions de Daech en Syrie rentrent à leur base sans avoir tiré le moindre missile.

Armes et munitions sont régulièrement larguées « par erreur » derrière les lignes salafistes.

Il est prouvé que les services secrets de la Turquie, pilier oriental de l’OTAN, ont acheminé des armes aux combattants de l’État islamique début 2014.

Le pétrole de Daech, négocié en dollars, est acheminé vers l’Occident via le port de Ceyhan en Turquie ; c’est en toute connaissance de cause qu’Européens, Américains et Israéliens s’y approvisionnent.

Les transactions financières de l’État islamique suivent leur cours en dépit du Terrorist Finance Tracking Program.

Les comptes Facebook et Twitter de l’État islamique sont actifs.

Les armées du chaos se défoncent au captagon, drogue de synthèse élaborée dans les laboratoires de l’OTAN et naguère distribuée aux foules exaltées des printemps arabes.

La congruence Daech-OTAN passe aisément le test du canard : « Si ça a l’air d’un canard, que ça se dandine comme un canard, que ça fait coin-coin, alors ça a toutes les chances d’être un canard. » 

Depuis 2008, l’Occident solde sa crise financière en se décomposant de l’intérieur et en semant la désolation à l’extérieur.

Jusqu’où Poutine tolérera de voir ses intérêts bafoués au Levant et sur la marche ukrainienne par les hordes déchaînées de mercenaires ?

Au seuil de l’apocalypse, les peuples américains et européens jugeront peut-être bon d’arracher leur destin des mains criminelles qui les oppriment et les conduisent à l’abîme.

vendredi, 26 juin 2015

« Si Daech n’existait pas, il aurait fallu l’inventer »

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« Si Daech n’existait pas, il aurait fallu l’inventer »

Richard Labévière
Journaliste, Rédacteur en chef  du magazine en ligne : prochetmoyen-orient.ch
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

Avec l'aimable autorisation de Richard Labévière

Richard Labévière, expert des questions internationales et stratégiques, écrivain et rédacteur en chef de Proche et Moyen-Orient.ch/Observatoire géostratégique, analyse le changement de posture des États-Unis dans le traitement des questions liées au terrorisme.

Dans un contexte international volatile et fragmenté, marqué par la disparition progressive du leadership américain, la multiplication des acteurs et la fin des alliances stables, la configuration de la menace terroriste est de plus en plus complexe. Comment a évolué le traitement du phénomène terroriste par les puissances occidentales et leurs alliés ? Comment expliquer les contradictions entre la déclaration d'une guerre totale contre le terrorisme incarné par des organisations comme le groupe État islamique (EI ou Daech), et dans la pratique, un conflit de moyenne et basse intensité contre l'EI ? Pourquoi l'approche politique de résolution des crises a été supplantée par la logique sécuritaire du maintien, de l'entretien et de la gestion de ces situations ? Richard Labévière, expert des questions internationales et stratégiques, rédacteur en chef de Proche et Moyen-Orient.ch/Observatoire géostratégique, répond à L'Orient-Le Jour.

Q : Le 27 mai 2015, à Genève, vous avez organisé un colloque sur le terrorisme dans lequel vous parlez d'« anciennes menaces » mais de « nouveaux enjeux ». Qu'entendez-vous par là?
R : Le premier point sur les anciennes menaces était de montrer la vraie filiation historique de Daech. Souvent les observateurs pressés ont l'habitude de dire que Daech est né en Irak. Mais avant l'Irak, ce groupe s'est inspiré des méthodes et de l'idéologie des islamistes armés algériens, le Groupe islamique armé (GIA), qui entre 88 et 98 ont été les terroristes de la décennie sanglante (tortures et massacres collectifs au nom de la restauration du califat). Dans les méthodes d'assassinat et dans l'idéologie, ces islamistes ont donc été les précurseurs de Daech. Maintenant en ce qui concerne les nouveaux enjeux face à la menace terroriste et ses transformations, nous sommes passés par plusieurs stades. L'isolement international de pays comme l'Algérie qui a fait face seul au terrorisme à l'époque, puis après le 11 septembre et à partir du moment où les États-Unis sont touchés sur leur sol, la guerre contre le terrorisme qui devient l'affaire du monde entier. Après les révoltes arabes et jusqu'à ce jour, la grande nouveauté que l'on peut observer est la gestion de crises. On gère la menace terroriste sans chercher à la résoudre ou à l'éradiquer. La gestion de crise est devenue un mode de gouvernance. On canalise, on oriente, on instrumentalise.

Pourquoi estimez-vous que c'est après les révoltes arabes que le changement a été initié ?
Rappelons-nous pourquoi les Américains ont décidé d'éliminer Oussama Ben Laden (chef d'el-Qaëda) en mai 2011 alors qu'ils savaient depuis 4 ans qu'il était au Pakistan et ne bougeaient pas ? Parce que les révoltes arabes de janvier 2011 avaient commencé et que l'administration américaine ne voulait surtout pas qu'el-Qaëda récupère et instrumentalise la contestation, quand la réponse thermidorienne à ces révoltes à l'époque était les Frères musulmans. En mai 2011, on mise donc sur les Frères, et cela va s'avérer une catastrophe. À partir du moment où la dernière approche des États-Unis au Moyen-Orient a échoué, il n'y a pas eu d'approche politique régionale précise face à la crise syrienne, à l'implosion de l'Irak, aux conséquences de la guerre en Libye qui a touché tous les pays voisins de la zone sahelo-saharienne des côtes marocaine à la Corne de l'Afrique.

Comment se traduit aujourd'hui la gestion du terrorisme au Moyen-Orient ?
Prenons un exemple parlant, le sommet anti-Daech organisé par François Hollande en juin à Paris. Premièrement, il n'invite pas l'Iran qui est un pays majeur pour combattre Daech. Deuxièmement, la France fait partie de la coalition qui comprend une cinquantaine de pays ; or face aux participants à la conférence, M. Hollande explique que la lutte contre Daech sera longue sur le plan opérationnel (d'où l'idée de gestion), estimant en outre qu'il ne faut pas changer de stratégie parce que celle de la coalition est la plus adaptée. Or n'importe quel militaire sait parfaitement que l'on n'éradique pas une formation comme Daech simplement avec des bombardements aériens. C'est un principe de stratégie militaire. Dans ce genre de conflit, si l'on ne déploie pas de troupes au sol pour entrer dans une confrontation directe (ce que la France a fait au Mali, combats de corps à corps entre forces spéciales et jihadistes) cela ne donnera rien. Dans le cas de Daech, nous sommes dans cette fameuse équation : on ne résout pas le problème par des décisions militaires frontales, on gère sur le long terme et d'une certaine façon on en tire profit. Sur ce point précis, un expert du Pentagone avait affirmé que si l'on voulait véritablement venir à bout de l'EI, il faut 10 mille militaires au sol, une bataille frontale décisive et l'affaire est réglée. Or aujourd'hui, près de la moitié des avions de la coalition rentrent à leur base avec leurs bombes qu'ils n'ont pas larguées.
Nous pouvons prendre également l'exemple d'el-Qaëda que l'on aide dans un pays et que l'on combat ailleurs. On les soutient en Syrie, mais on tue leur chef au Yémen à 2-3 jours d'intervalle. Tout cela révèle qu'il n'y a plus de politique proche et moyen-orientale construite parce que ce n'est plus central aujourd'hui pour les États-Unis. Il faut replacer le logiciel géopolitique à son bon niveau. Nous avons oublié qu'au début de son second mandat, Barack Obama avait rappelé la chose suivante : l'avenir des intérêts américains se situe en Asie-Pacifique et en Asie centrale. Cela ne passe plus par le contrôle du Moyen-Orient, mais par ce que Zbigniew Brzeziński appelait Eurasie, c'est-à-dire les routes de Marco Polo, de Venise à Vladivostok. C'est pour cela que la priorité, avant de résoudre au cas par cas les crises au Moyen-Orient, reste la normalisation avec l'Iran et la recherche d'un accord sur le nucléaire. L'obsession américaine est aujourd'hui de contenir la Chine et le retour de la Russie comme puissance régionale dans son accord stratégique avec Pékin. De cette priorité-là découle des postures au Moyen-Orient qui vont être différentes en fonction des situations.

En l'absence d'une approche régionale globale, y a-t-il néanmoins des lignes rouges à ne pas franchir dans la région?
Oui, il y a 4 lignes rouges qui ne bougent pas. La défense de Bagdad, parce que symboliquement après 2003 les Américains ne peuvent pas permettre que Daech prenne Bagdad. La défense et la protection de la Jordanie qui est un protectorat américano-israélien. Le Kurdistan qui reste une des dimensions essentielles de l'évolution de l'arc de crise et de la transformation à venir parce que du Kurdistan dépend la façon dont les acteurs tentent d'instrumentaliser la question kurde. Le Liban également parce que dans leur absence de vision globale encore une fois, les États-Unis et la France ne peuvent se permettre que l'on revive une instabilité générale telle que l'on a pu la vivre entre 1975 et les accords de Taëf de 1990. Même s'il y a encore des situations grises, des incursions dans la Békaa, et les conséquences que l'on connaît de la bataille du Qalamoun syrien. Aujourd'hui, il est certain que les États-Unis gèrent les crises au coup par coup. Mais surtout de la manière dont ils gèrent la criminalité chez eux. Dans les différents États les plus problématiques avec les gangs et les mafias, il y a un modus vivendi, on ne démantèle pas le crime organisé, on le canalise et on le gère. On protège les zones riches avec des sociétés militaires privées, et on laisse les criminels raqueter les parties les plus pauvres de la société américaine. Donc on instaure des sociétés à plusieurs vitesses avec des ghettos, des zones protégées, des zones abandonnées. La politique étrangère étant une extension de la politique intérieure.

Vous considérez que le « terrorisme » est devenu le stade suprême de la mondialisation, cette évolution dans le traitement du phénomène serait selon vous liée à la transformation du système capitaliste ?
Oui, le terrorisme rapporte et s'inscrit dans la logique de la mondialisation économique parce que la lutte contre le terrorisme génère des millions d'emplois dans les industries d'armement, de communication, etc. Le terrorisme est nécessaire à l'évolution du système capitaliste lui-même en crise, mais qui se reconfigure en permanence en gérant la crise. Cette idée de gestion sans résolution est consubstantielle au redéploiement du capital. Dans un brillant essai, La part maudite, Georges Bataille avait expliqué à l'époque en 1949 que toute reconfiguration du capital nécessite une part de gaspillage qu'il appelle la consumation et aujourd'hui on peut dire que le terrorisme est cette part de « consumation » organiquement liée à l'évolution du capitalisme mondialisé. Si Daech n'existait pas, il faudrait l'inventer. Ça permet de maintenir une croissance du budget militaire, des millions d'emplois de sous-traitance dans le complexe militaro-industriel américain, dans la communication, dans l'évolution des contractors, etc. La sécurité et son maintien est devenue un secteur économique à part entière. C'est la gestion du chaos constructif. Aujourd'hui des grandes boîtes, comme Google par exemple, supplantent l'État et les grandes entreprises en termes de moyens financiers pour l'investissement et la recherche dans le secteur militaire américain en finançant des projets de robots et de drones maritimes et aériens. Tout cela transforme le complexe militaro-industriel classique et rapporte beaucoup d'argent. Pour cette transformation le terrorisme est une absolue nécessité, Daech n'est donc pas éradiqué mais entretenu parce que cela sert l'ensemble de ces intérêts. Et là nous ne tombons pas dans la théorie du complot, c'est une réalité quand on examine l'évolution de l'économie.

Quelles sont les conséquences de cette logique ?
C'est surtout qu'on encourage les causes et les raisons sociales de l'émergence du terrorisme. On ne dit pas suffisamment que ceux qui aujourd'hui s'engagent dans les rangs de Daech et reçoivent un salaire proviennent des lumpen prolétariat de Tripoli ou autres zones où les gens vivent dans une extrême pauvreté parce que l'évolution du capitalisme affaiblit les États, les politiques sociales, et les classes les plus défavorisées sont dans une situation de survie de plus en plus complexe. Sans réduire le phénomène à une seule cause, le mauvais développement et la déglingue économique constituent tout de même une raison importante de l'expansion de Daech. Face à cela, les États-Unis ont entretenu la situation de faillite des États de la région sahelo-saharienne et favorisé la création de micro-États mafieux. Cette logique de traitement sécuritaire montre que l'argent est devenu le facteur principal des relations internationales aujourd'hui. La raison pour laquelle l'Arabie saoudite, le Qatar sont devenus des partenaires tellement importants pour les pays occidentaux c'est parce qu'ils ont de l'argent et dans leur logique de Bédouins, les Saoudiens pensent que l'on peut tout acheter. L'argent a supplanté l'approche politique des relations internationales, c'est la donnée principale et la direction de la gestion des crises. D'où ce poids totalement démesuré de l'Arabie saoudite, du Qatar, des Émirats, du Koweït, dans la gestion des crises du Proche et Moyen-Orient. Quand on voit que les Saoudiens arrosent d'argent le Sénégal, et que ce dernier envoie 200 soldats au Yémen on sent le poids de l'argent. On voit aussi comment cette course à l'argent explique la nouvelle diplomatie française.

C'est- à-dire ?
Du temps du général de Gaulle et de François Mitterrand, on parlait d'une politique arabe de la France, aujourd'hui on parle d'une politique sunnite de la France. La diplomatie française colle aujourd'hui aux intérêts saoudiens, parce que la France vend de l'armement, des Airbus à Riyad, aux Émirats, au Koweït... Ça représente 35 milliards de dollars lourds pour le Cac 40. C'est une diplomatie de boutiquier où la vision stratégique de l'intérêt national et de la sécurité nationale est supplantée par la course à l'argent. Les élites administratives et politiques ne parlent plus de la défense de l'intérêt national mais de la défense de leurs intérêts personnels. L'argent explique leur démission et leur trahison des élites. Dans ce contexte-là, la liberté d'expression s'est réduite à une simple alternative être ou ne pas être Charlie. S'exerce aujourd'hui une « soft » censure qui fait que dans les médias mainstream on peut difficilement faire des enquêtes ou critiquer l'Arabie saoudite ou le Qatar. La diplomatie est gérée par une école néoconservatrice française qui a substitué à la politique et l'approche internationale, une morale des droits de l'homme qui est un habillage à la course à leurs intérêts financiers.

Richard Labévière

Source   

   l'orient-le-jour

jeudi, 18 juin 2015

Plusieurs guerres mondiales se préparent

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Plusieurs guerres mondiales se préparent

Ex: http://www.lesobservateurs.ch
 

Les faits sont désormais indéniables : primo, Obama ne combat que mollement l’Etat islamique et en revanche il pousse l’Europe à une guerre avec la Russie ; secundo, la guerre contre l’Etat islamique aura néanmoins lieu, elle sera effroyable et elle durera très longtemps ; tertio, la guerre contre l’Etat islamique s’étendra jusqu’en Europe puisque celle-ci accueille des djihadistes parmi les clandestins, en provenance de Libye notamment. Une guerre quasi-mondiale avec l’Etat islamique, en même temps qu’une guerre quasi-mondiale entre l’Europe et le Russie, voilà ce qui nous attend, si la tendance actuelle n’est pas inversée. Je reproduis ci-dessous les extraits adaptés de quatre analyses, celle de World Tribune, celle du géopolitologue Manfred Gerstenfeld, celle de Nicolas Bonnal sur Boulevard Voltaire et celle de Anne Lauwaert sur Riposte laïque.

L’Etat islamique, c’est la Guerre 1914-18 en 2015

World Tribune écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Obama avait désigné l’Etat islamique comme une équipe jouant en Juniors deuxième catégorie. Les ravages provoqués par l’Etat islamique ont prouvé à quel point Obama avait tort, mais les analystes cités par un rapport du Mc Clatchy DC pensent que le pire est encore à venir. « Les conditions générales ressemblent énormément à celles qui prévalaient en 1914 », affirme Michael Stephens, de l’Institut des Services Royaux Unis à Londres. « Il ne suffirait que d’une infime étincelle et l’Iran et l’Arabie Saoudite se jetteraient à la gorge l’un de l’autre, en croyant se battre dans le cadre d’une guerre défensive ». De son côté, le commentateur kurde irakien Hiwa Osman pense que « la région toute entière se prépare pour la ‘Grande Guerre’, cette guerre qui n’a pas encore éclaté, la guerre entre Chiites et Sunnites ».

Le détachement, l’indifférence que manifeste Obama à l’égard des conflits actuels au Moyen-Orient est très remarqué en Syrie ; en Irak ; au Yémen, où les forces sunnites saoudiennes bombardent les rebelles chiites pro-iraniens ; et en Libye, où l’Egypte a lancé des frappes aériennes contre des djihadistes appartenant à l’Etat islamique. Bien que le système international soit très différent de celui qui prévalait en 1914, où les deux alliances européennes rivales se sont déclarées la guerre, certains y voient de grandes similitudes.

La Guerre 1914-18, c’était aussi, une « crise dont personne ne voulait. Quand elle est survenue, on disait qu’elle se terminerait en l’espace de quelques mois. Et qu’elle mettrait un terme à tous les conflits armés. Chacun sait ce qui s’est, en réalité, passé », déclare Thorbjorn Jagland, secrétaire général d’un observatoire des Droits de l’Homme. « Je ne veux pas traiter les dirigeants actuels de somnambules, mais il est possible qu’ils se soient fourvoyés dans une situation qui ne correspond aux intentions ou volontés de personne », déclare Thorbjorn Jagland.

L’absence de stratégie américaine ou, même, de plan visant à stabiliser le Moyen-Orient, a encore fait la Une de l’actualité, cette semaine, quand Obama a déclaré, au Sommet du G-7 en Allemagne, le 8 juin, que son Administration ne disposait pas encore d’une « stratégie complète » pour vaincre l’Etat islamique, une déclaration dont la Maison Blanche s’est empressée de préciser qu’elle avait été « mal interprétée ». « Nous n’avons réellement pas de stratégie du tout. Fondamentalement, nous jouons tout cela au jour le jour », a déclaré de son côté Robert Gates, ancien Secrétaire à la Défense sous Obama. Les Etats-Unis continuent d’envoyer des armes et des conseillers militaires en Irak, avec peu de résultats, alors que les forces irakiennes ont subi plusieurs défaites dévastatrices, en perdant, récemment, la ville sunnite de Ramadi.

Le Général John Allen, qui occupe actuellement le poste d’envoyé spécial de la coalition dirigée par les Etats-Unis combattant l’Etat islamique, a dit que « ce sera une campagne particulièrement longue » et que vaincre l’idéologie de Daesh prendra « une génération ou plus ». De son côté, le commentateur kurde irakien Hiwa Osman, précise que l’Etat islamique « ne peut être uniquement vaincu par les Kurdes, les Chiites, les Américians ou l’Ian. Il doit l’être par les Arabes Sunnites. Vous devez leur présenter un accord valable pour le jour d’après la défaite de l’Etat islamique. Et, jusqu’à présent, personne n’a réussi à formuler clairement cette vision pour eux ».

Toby Dodge, universitaire qui travaille sur l’Irak et enseigne à la London School of Economics, affirme que la guerre en Irak est « presque inévitable ». « Je suis extrêmement pessimiste », dit-il, ajoutant qu’il doute que le Premier Ministre irakien Haider al Abadi », pourtant « un type très bien, un homme clairvoyant », puisse sauver l’Irak. « Il est pris en otage par sa propre clique, l’Islamisme radical chiite. Ce dont il a le plus besoin, c’est de faire appel aux Sunnites, privés de leurs droits, qui vivent au Nord-Ouest ».

D’autres analystes disent que l’Irak, avec l’aide des Etats-Unis, ne peut être sauvé que s’il s’engage à la décentralisation des pouvoirs, à la réconciliation avec les Baathistes et à d’autres concessions qui puissent motiver les Sunnites à chasser l’Etat islamique. « Cela pourrait être faisable, absolument », déclare Kenneth Pollack, de l’Institut Brookings, mais il ajoute aussitôt qu’Obama ne fait strictement aucun effort en ce sens, bien au contraire, en se rapprochant à tout-va de l’Iran chiite. « Je pense que c’est de la négligence », dit-il. « Ils continuent d’insister sur le fait qu’on ne peut pas avoir de la volonté à la place des Irakiens. C’est une absurdité historique. Si vous laissez ce problème aux mains des Irakiens, ils ne feront pas ce qu’il faudrait faire, même s’ils le voulaient réellement », conclut World Tribune (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Vaincre l’Etat islamique prendra une génération

Le géopolitologue Manfred Gerstenfeld écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Ce que le Général John Allen veut dire, par une telle déclaration (le général Allen a déclaré que vaincre l’Etat islamique prendra une génération ou plus), c’est qu’il prédit que l’Etat Islamique continuera longtemps à dominer le territoire qu’il possède. Car s’il devait perdre le contrôle du territoire dont il s’est emparé, son avenir deviendrait alors une question de terrorisme, plutôt que de constituer un véritable défi militaire. Allen a ajouté que si l’Etat islamique n’était pas vaincu, il ferait des ravages incommensurables pour la stabilité du monde.

Il semble bizarre que quelqu’un puisse choisir de faire des prévisions à si long terme, d’autant plus qu’au début de cette année, Obama a demandé au Congrès d’approuver une campagne militaire d’une durée de trois ans. Ces remarques du Général Allen, qu’elles soient réalistes ou non, peuvent appuyer une réflexion menée plus en détail sur ce que cela signifierait, si l’Etat islamique contrôlait un territoire d’une grande superficie, comme il le dit, durant plus de vingt ans, à partir d’aujourd’hui. Cela aurait, en effet, un impact déterminant sur l’ordre du monde, ou pour le dire plus justement, sur le désordre du monde. Cela aurait aussi des conséquences particulières pour le monde musulman, l’Occident, la Russie et bien d’autres pays. Israël et les Juifs, bien que restant des acteurs minoritaires, devraient être singulièrement affectés par l’impact global et par le fait indéniable de constituer des cibles éventuelles de l’Etat islamique.

En ce qui concerne le monde musulman, le Printemps Arabe a déjà ajouté la Libye, le Yémen et la Syrie à la longue liste des Etats faillis. L’existence de Daesh en continu va provoquer l’ajout de l’Irak et, probablement, d’autres pays à cette liste. Puisque Daesh est un mouvement extrémiste, il s’oppose directement, sans aucune tendance au moindre compromis, aux Musulmans chiites. Plus l’Etat Islamique va durer, plus grande sera la menace pour les Chi’ites.

Cela signifierait, éventuellement, que l’Etat Islamique (sunnite) se confronterait à l’Iran, le pays chiite dominant. L’Iran est un semeur de troubles et très peu de forces extérieures ont osé réagir militairement contre lui au cours du siècle actuel (2000-2015). Plus l’Etat Islamique deviendra puissant, plus il devra défier l’Iran de toutes les manières possibles. Alors que l’Etat Islamique s’oppose également aux pays sunnites dirigés par diverses familles royales, l’instabilité de ces pays monarchiques augmentera considérablement. La même chose est vraie pour l’Egypte.

Concernant l’Occident, les menaces seront de nature variée. Une première inquiétude se fonde sur la dépendance de l’Europe à l’égard des pays arabes pour son approvisionnement en pétrole. L’instabilité des pays producteurs de pétrole, comme l’Irak et la Libye. L’instabilité en Arabie Saoudite et dans d’autres pays fournisseurs pourrait avoir un impact bien plus important. Une pénurie des fournitures d’énergie exacerberait les problèmes déjà existants, qui feront que la prochaine génération sera bien moins nantie que l’actuelle génération.

Une deuxième répercussion importante pour l’Occident, serait, une probable montée en puissance, de la menace terroriste. Au cours du siècle précédent, les actes terroristes commis par les musulmans en Europe, ont souvent été perpétrés par des non-Européens. On en a eu un exemple par l’attentat meurtrier contre le Restaurant Goldenberg à Paris en 1982. Les assassinats de masse du 11 Septembre, aux Etats-Unis, commis, en particulier par des Saoudiens, ont été d’une toute autre dimension.

Au cours de ce nouveau siècle, les attentats terroristes en Europe commis par des musulmans ont changé de nature, alors que nombreux en sont les acteurs qui sont des résidents de l’Union Européenne. C’était, déjà, partiellement le cas, lors du gigantesque attentat de Madrid, en 2004. Il en allait certainement de même, lors des meurtres de Londres, en 2005, du massacre en face du Musée Juif de Bruxelles, en 2014, et des tueries à Paris et Copenhague, au début de cette année 2015. De la même façon, c’est bien le terrorisme musulman intérieur qui s’est manifesté aux Etats-Unis, lors de l’attentat à la bombe du marathon de Boston, en 2013. Jusqu’à présent, les appels de l’Etat islamique aux musulmans d’Occident, afin qu’ils commettent des actes terroristes dans leurs pays de résidence, n’ont guère eu plus d’impact. Il existe une crainte bien plus grande d’un terrorisme émanant des djihadistes européens de retour de Syrie et d’Irak.

Le manque de résultats de ces appels de l’Etat Islamique peut entraîner un retournement sollicitant de nouvelles attaques terroristes, mais cette fois, commises par des terroristes étrangers. On relève des menaces et des rumeurs qu’ils pourraient être transportés à bord des bateaux de réfugiés se dirigeant vers l’Europe depuis la Libye ou qu’ils transitent clandestinement par les Balkans (ndmg - ce sont désormais des faits et non pas de simples rumeurs). Certains djihadistes étrangers peuvent avoir déjà immigré, mais cela n’a, pour l’instant, conduit à aucun attentat. Pourtant, si nous parlons bien de décennies entières d’un volume d’activité important de la part de l’Etat Islamique, il est d’autant plus probable qu’il y aura des attentats à redouter, de la part de cellules dormantes de terroristes ayant réussi à se faire passer pour des réfugiés.

Un terrorisme important provoqué par des djihadistes en Occident mènera à un renforcement des stéréotypes hostiles aux musulmans dans leur ensemble. L’afflux massif précédent, celui de musulmans et les problèmes sociaux qui s’en sont suivis, dont le manque d’intégration réussie, ont déjà conduit à l’émergence et au renforcement de partis anti-islamistes dans différents pays : le Parti des Libertés de Geert Wilders (le PVV) aux Pays-Bas, les Démocrates Suédois, et, par-dessus tout, le Front National français. L’éventualité d’actes terroristes accrus, de la part de musulmans, ne va pas seulement accroître la popularité de ce genre de partis, mais elle va influencer la position des autres partis, qui devront concourir pour s’attirer les suffrages de ceux qui ont adopté des positions plus fermes en ce qui concerne l’islam, conclut le géopolitologue Manfred Gerstenfeld (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

L’Europe combat la Russie au lieu de combattre l’Etat islamique

Nicolas Bonnal, sur Boulevard Voltaire, écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Dimanche 13 juin 2015, un article du New York Times, signé MM. Schmidt et Meyers, nous annonce que les USA vont envoyer 5.000 hommes et 1.500 chars en Europe orientale. Et nos drôles d’expliquer qu’il faut mettre fin à l’agression russe en Europe, car les Russes vont en effet envahir la Pologne et les pays baltes (en attendant le Portugal et le Maroc ?). Le nombre impressionnant de commentaires diffusés permet, pour une fois, de connaître l’opinion de nos chers Américains : un tiers est pour la guerre, un tiers pleurniche, un dernier tiers proche de nous dénonce le caractère aberrant et criminel de la position états-unienne. On se doute que ce ne sont pas ces naïfs qui feront reculer Bush frères & fils, Clinton-femme et Obama, le fidèle disciple de Brzeziński, le Polonais qui voulait anéantir la Russie.

Sur cet intellectuel élégant mais relativement dément, on rappellera un livre, Le Grand Échiquier, et ces phrases terrifiantes qui décrivent les raisons de la totale soumission allemande ou japonaise, soixante-dix ans après Dresde ou Hiroshima : « À bien des égards, la suprématie globale de l’Amérique rappelle celle qu’ont pu exercer jadis d’autres empires, même si ceux-ci avaient une dimension plus régionale. Ils fondaient leur pouvoir sur toute une hiérarchie de vassaux, de tributaires, de protectorats et de colonies, tous les autres n’étant que des barbares ».

Parlez-nous maintenant de vos droits de l’homme ! Un peu plus bas, le mentor de Barack ironise : « L’Europe de l’Ouest reste dans une large mesure un protectorat américain et ses États rappellent ce qu’étaient jadis les vassaux et les tributaires des anciens empires. Cette situation est assurément malsaine, pour l’Amérique comme pour les Nations européennes ». Cette situation n’est pas malsaine pour le prix Nobel de la paix Obama (cet Orwell, quel génie !), dont l’ADN ne se soucie pas trop des Européens, et c’est donc le début de cette guerre américaine en Europe, qui pourrait se solder par notre extermination ou par une partition ruineuse du continent.

En réalité, rien ne fera reculer les Américains, et surtout pas Hollande ou Juppé : leur situation économique et financière est désastreuse, comique même. La Russie leur fait horreur parce qu’elle est depuis trop d’années le seul pays du monde susceptible de leur résister ou de les détruire. Une guerre « ukrainienne », qui rongerait l’Europe, enverrait nos capitaux là-bas, leur donnera des ailes.

Et les raisons d’espérer ? Celles-ci : Hillary Clinton dit que Poutine est Hitler, et Jeb Bush qu’il est un butor. On aura l’un ou l’autre au pouvoir en Amérique en 2016, et je vous garantis un beau feu d’artifice au nom des droits de l’homme selon le père Ubu, conclut Nicolas Bonnal, sur Boulevard Voltaire (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

L’Europe ouvre ses portes à l’Etat islamique clandestin

Anne Lauwaert sur Riposte laïque écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Si vous croyez encore que la migration est le fait de quelques désespérés, détrompez-vous ! C’est une action voulue et organisée par, entre autres, « L’organisation internationale pour les migrations ». Sous la rubrique « notre action », ils nous expliquent l’organigramme de leur « gestion des migrations ». Le 14 juin 2013, l’Ambassadeur William Lacy Swing, des Etats-Unis, a été réélu Directeur général de l’Organisation internationale pour les migrations, pour un second mandat de cinq ans. Elu pour la première fois à ce poste le 18 juin 2008, il a pris ses fonctions le 1er octobre 2008. Cela ne date donc pas d’hier, mais de 2008.

Il faut visiter ce site : c’est hallucinant de voir les structures de l’organisation qui nous impose les migrants ! Non, il ne s’agit pas de quelques désespérés qui nous arrivent par hasard, ni de quelques « trafiquants d’êtres humains » ;  il s’agit de l’organisation à large échelle des migrations. Allez voir le site et faites passer l’info ! Incroyable, ce sourire taquin de monsieur William Lacy Swing pour le bon tour qu’il nous joue et dont un échantillon est à voir ICI . Qu’on arrête de nous raconter des bobards !, conclut Anne Lauwaert sur Riposte laïque (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Michel Garroté, 15 juin 2015

Sources :

http://www.worldtribune.com/2015/06/10/in-absence-of-a-u-s-strategy-middle-east-braces-for-the-big-war/

https://www.facebook.com/pages/Manfred-Gerstenfeld/339729406079344

http://www.bvoltaire.fr/nicolasbonnal/vers-guerre-americaine-europe-de-lest,182238

http://ripostelaique.com/migration-vraiment-de-desesperes.html

   

vendredi, 12 juin 2015

Document déclassifié: Les USA misaient sur l’Etat islamique dès 2012

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Document déclassifié: Les USA misaient sur l’Etat islamique dès 2012 pour déstabiliser la Syrie

Publié par Gilles Munier

Ex: http://www.france-irak-actualite.com

Catégories : #Etat islamique

Revue de presse: Il Fatto Quotidiano - 25/5/15*

Defense Intelligence Agency : « Établir une principauté salafiste en Syrie », et faciliter la naissance d’un État islamique « pour isoler le régime syrien »

Analyse d’un document déclassifié de la DIA

Le lundi 18 mai 2015, le groupe conservateur de surveillance du gouvernement, Judicial Watch, a publié une sélection de documents déclassifiés obtenus après procès contre le Département américain de la Défense et le Département d’État américains.

Pendant que les médias grand public se focalisaient sur la gestion par la Maison-Blanche de l’attaque contre le consulat américain à Benghazi, un document circulant à la DIA en 2012 admettait l’existence d’un plan bien plus large (big picture), à savoir qu’un « État islamique » était le bienvenu dans l’est de la Syrie, afin d’influencer les politiques occidentales dans la région.

Voici ce que contient ce document stupéfiant :

« Pour les pays occidentaux, ceux du Golfe, et la Turquie [qui] tous soutiennent l’opposition [syrienne]… la possibilité existe d’établir de façon officielle ou pas une principauté salafiste dans l’est de la Syrie (Hasaka et Der Zor) , et c’est exactement ce que veulent les pouvoirs qui appuient l’opposition, de façon à isoler le régime syrien… »

Le rapport de la DIA, précédemment classifié « SECRET//NOFORN » et daté du 12 août 2012, était bien connu parmi les services de renseignement, dont le Centcom, la CIA, le FBI, la DHA, la NGA, le Département d’État, et bien d’autres encore.

Ce document prouve que dès l’année 2012, le renseignement US prévoyait la montée d’un État islamique en Irak et au Levant (ISIS, ou EIIL en français), mais au lieu de présenter ce groupe terroriste comme un ennemi, ce rapport le définissait comme un atout stratégique pour les USA.

De nombreux analystes et journalistes ont détaillé depuis longtemps le rôle des agences de renseignement occidentales dans la formation et l’entrainement de l’opposition armée en Syrie, mais nous avons là la confirmation venant du plus haut niveau interne des Agences US de la théorie selon laquelle, fondamentalement, les gouvernements occidentaux voient l’EIIL comme leur propre outil pour provoquer un changement de régime en Syrie. C’est ce que montre par A+B ce document.

Les éléments factuels, les vidéos, ainsi que les récents aveux de hauts responsables impliqués dans cette affaire (comme Robert Ford, l’ancien ambassadeur en Syrie, ici et ici) ont apporté la preuve que le soutien matériel par la CIA et le Département d’État des terroristes de l’EIIL sur le champ de bataille syrien remontait au moins à 2012 / 2013 (pour avoir un exemple clair d’élément factuel, voir le rapport britannique Conflict Armamant Research qui retrace l’origine des roquettes antichars Croates récupérées par l’EIIL à travers un programme conjoint CIA/Arabie Saoudite, et se basant sur des numéros de série identifiés).

Le rapport de la DIA tout juste déclassifié résume en ces points la situation de l’ISI (qui s’appelait EIIL en 2012) et qui allait devenir l’ISIS :

  • Al-Qaïda mène l’opposition en Syrie
  • L’Occident s’identifie avec l’opposition
  • L’établissement d’un État islamique naissant n’est devenu réalité que grâce à l’insurrection syrienne (il n’est pas fait mention du retrait de troupes US depuis l’Irak comme facteur déclenchant pour la montée de l’État islamique, point de discorde entre de nombreux politiciens et commentateurs ; voir la section 4.D ci-dessous)
  • L’établissement d’une « principauté salafiste » dans l’Est de la Syrie est « exactement » ce que veulent les pouvoirs étrangers qui soutiennent l’opposition (les pays occidentaux, ceux du Golfe, et la Turquie) de façon à affaiblir le gouvernement d’Assad.
  • Il faudrait des « zones de repli » ou « abris » dans les régions conquises par les rebelles islamiques sur le modèle libyen (ce qui se traduit par les fameuses « No-Fly Zones » comme la première étape de la « guerre humanitaire » ; voir 7.B)
  • L’Irak est vu comme une possibilité d’extension chiite (voir 8.C)
  • Un État islamique sunnite serait préjudiciable à un « Irak unifié » et pourrait « faciliter le renouvellement d’éléments terroristes provenant de tout le monde arabe, qui se dirigeraient vers l’arène irakienne. » (voir la dernière ligne non censurée dans le document PDF)

Voici quelques extraits des 7 pages du rapport déclassifié de la DIA (les caractères en gras sont de mon fait).

R 050839Z AUG 12

THE GENERAL SITUATION:

A. INTERNALLY, EVENTS ARE TAKING A CLEAR SECTARIAN DIRECTION.

B. THE SALAFIST [sic], THE MUSLIM BROTHERHOOD, AND AQI ARE THE MAJOR FORCES DRIVING THE INSURGENCY IN SYRIA.

C. THE WEST, GULF COUNTRIES, AND TURKEY SUPPORT THE OPPOSITION; WHILE RUSSIA, CHINA AND IRAN SUPPORT THE REGIME.

3. (C) Al QAEDA – IRAQ (AQI):… B. AQI SUPPORTED THE SYRIAN OPPOSITION FROM THE BEGINNING, BOTH IDEOLOGICALLY AND THROUGH THE MEDIA…

4.D. THERE WAS A REGRESSION OF AQI IN THE WESTERN PROVINCES OF IRAQ DURING THE YEARS OF 2009 AND 2010; HOWEVER, AFTER THE RISE OF THE INSURGENCY IN SYRIA, THE RELIGIOUS AND TRIBAL POWERS IN THE REGIONS BEGAN TO SYMPATHIZE WITH THE SECTARIAN UPRISING. THIS (SYMPATHY) APPEARED IN FRIDAY PRAYER SERMONS, WHICH CALLED FOR VOLUNTEERS TO SUPPORT THE SUNNI’S [sic] IN SYRIA.

7. (C) THE FUTURE ASSUMPTIONS OF THE CRISIS:

A. THE REGIME WILL SURVIVE AND HAVE CONTROL OVER SYRIAN TERRITORY.

B. DEVELOPMENT OF THE CURRENT EVENTS INTO PROXY WAR: …OPPOSITION FORCES ARE TRYING TO CONTROL THE EASTERN AREAS (HASAKA AND DER ZOR), ADJACENT TO THE WESTERN IRAQI PROVINCES (MOSUL AND ANBAR), IN ADDITION TO NEIGHBORING TURKISH BORDERS. WESTERN COUNTRIES, THE GULF STATES AND TURKEY ARE SUPPORTING THESE EFFORTS. THIS HYPOTHESIS IS MOST LIKELY IN ACCORDANCE WITH THE DATA FROM RECENT EVENTS, WHICH WILL HELP PREPARE SAFE HAVENS UNDER INTERNATIONAL SHELTERING, SIMILAR TO WHAT TRANSPIRED IN LIBYA WHEN BENGHAZI WAS CHOSEN AS THE COMMAND CENTER OF THE TEMPORARY GOVERNMENT.

8.C. IF THE SITUATION UNRAVELS THERE IS THE POSSIBILITY OFESTABLISHING A DECLARED OR UNDECLARED SALAFIST PRINCIPALITY IN EASTERN SYRIA (HASAKA AND DER ZOR), AND THIS IS EXACTLY WHAT THE SUPPORTING POWERS TO THE OPPOSITION WANT, IN ORDER TO ISOLATE THE SYRIAN REGIME, WHICH IS CONSIDERED THE STRATEGIC DEPTH OF THE SHIA EXPANSION (IRAQ AND IRAN)

8.D.1. …ISI COULD ALSO DECLARE AN ISLAMIC STATE THROUGH ITS UNION WITH OTHER TERRORIST ORGANIZATIONS IN IRAQ AND SYRIA, WHICH WILL CREATE GRAVE DANGER IN REGARDS TO UNIFYING IRAQ AND THE PROTECTION OF ITS TERRITORY.

Source: Defense Intelligence Agency: “Establish a Salafist Principality in Syria”, Facilitate Rise of Islamic State “In Order to Isolate the Syrian Regime”, par Brad Hoff (Global Research - 22/5/15)

Traduction : Christophe pour ilFattoQuotidiano.fr

Un extrait du document déclassifié:

Document déclassifié : Les USA misaient sur l’Etat islamique dès 2012 pour déstabiliser la Syrie

lundi, 08 juin 2015

Le dessous des cartes américaines au Moyen Orient et la montée de Daech

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Le dessous des cartes américaines au Moyen Orient et la montée de Daech

par Francis Legros
Ex: http://www.les4verites.com

C’est la substance de cette très intéressante analyse de Christian Harbulot, directeur de l’Ecole de guerre économique et l’un des plus éclairés théoriciens et praticiens de la guerre de l’information. Extrait.

La mise en lumière du dessous des cartes américaines au Moyen Orient

En mai 2015, un groupe conservateur américain a obtenu la déclassification d’un rapport de la Defense Intelligence Agency à la suite d’un procès intenté à l’administration fédérale. Il est précisé dans ce document daté d’août 2012, que les Etats-Unis et leurs alliés opposés au régime syrien auraient intérêt à voir apparaître un Etat islamiste de tendance salafiste dans une partie de la Syrie afin d’accentuer la déstabilisation de Bachar El Assad. Cette révélation met un peu plus en lumière la petite phrase du général Vincent Desportes. Cet ancien directeur de l’Ecole de Guerre avait déclaré, lors d’une audition devant une commission parlementaire française, que les Etats-Unis ont joué un rôle actif dans la montée en puissance de Daech.
Par la suite, il est démontré par les faits que cette manœuvre géopolitique américaine a mis la France dans une situation totalement contradictoire:
- sur le plan diplomatique, le gouvernement français soutient la position américaine et saoudienne contre le régime syrien ;
- sur le plan intérieur, les forces de sécurité françaises doivent affronter des terroristes qui se revendiquent de Daech et qui tuent des Français sur le territoire national.

La France en porte-à-faux

Cette situation est à terme intenable car les structures de contre information dont Manuel Valls a annoncé la création seront d’autant plus démunies sur le plan argumentaire si les jeunes qui partent rejoindre Daech leur objectent ironiquement qu’elles le font avec l’assentiment tacite du principal allié de la France.
L’heure est venue de traiter ce type de problématique (cf. note 3) avec le plus grand sérieux et sans ambigüité en termes de stratégie. C’est le sens du rapport La France peut-elle vaincre Daech sur le terrain de la guerre de l’information. Rédigé par des membres de l’Ecole de Guerre Economique, ce rapport s’inscrit dans une démarche de sensibilisation sur les nouvelles manières de s’affronter en dehors du terrain strictement militaire. »

samedi, 06 juin 2015

Pas de victoire possible sans l’Iran, Damas et la Russie

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DAECH : LA COALITION EST UN SERPENT QUI SE MORD LA QUEUE
 
Pas de victoire possible sans l’Iran, Damas et la Russie

Jean Bonnevey
Ex: http://metamag.fr

On peut réunir toutes les conférences que l’on veut, ce n’est pas seulement la stratégie qu’il faut réformer, ce sont les alliances qu’il faut revoir. On ne peut gagner une guerre avec des alliés qui financent ceux qu’ils combattent. Les régimes sunnites aimeraient réduire Daech sans permettre aux chiites d’augmenter leur influence dans la région. C’est impossible.


Une vraie victoire sur Daech entraînera un renforcement de l’influence de Téhéran sur les régimes de Bagdad ou de Damas. C’est pourquoi, contrairement au Yémen, l’engagement de l’Arabie saoudite, du Qatar  et des pays sunnites contre Daech est si inefficace. C’ est pourquoi les occidentaux ne font pas une vraie guerre pour en finir avec l’organisation  terroriste à la tête maintenant  d’un état musulman.


Dix mois après le lancement de la coalition internationale dirigée par les États-Unis contre l’organisation de l’État islamique (EI), le bilan est maussade : les jihadistes ont poursuivi leur avancée. Récemment, les pertes des villes de Palmyre en Syrie, et de Ramadi en Irak, ont achevé de mettre en doute l'efficacité des bombardements arabo-occidentaux. 


Et pourtant les islamistes de l’émirat prennent des coups. Plus de 10 000 militants islamiques ont été tués depuis le début des raids aériens de la coalition internationale contre les djihadistes en Irak et en Syrie il y a 9 mois. Et pourtant ce n’est pas suffisant.


Confrontés à ce constat, 24 ministres et institutions internationales faisant partie de la coalition anti-EI se sont réunis, mardi 2 juin à Paris, à l’initiative du ministre des Affaires étrangères français Laurent Fabius. Cette réunion intervient après la déroute de l’armée irakienne, le 17 mai, à Ramadi. La capitale de la grande province sunnite d’Al-Anbar (à 90 km de Bagdad) a été conquise par les jihadistes au détriment de forces armées largement démoralisées et très peu combatives. Un «échec majeur» d’ailleurs reconnu par le chef du gouvernement irakien.


Recevant quelques journalistes, peu avant l’ouverture de la conférence, il a cependant minimisé la responsabilité irakienne, déplorant «un manque de soutien de la communauté internationale à son pays», dont «l’insuffisance du renseignement transnational». «Je pense que c’est un échec de la communauté internationale» et non seulement de l’Irak, a-t-il affirmé. Pour lui, «il y a beaucoup de mots mais peu d’actions sur le terrain» de la part de celle-ci.


« La coalition doit changer de stratégie, faute de quoi la menace que constitue l'EI ne fera que prendre de l'ampleur », a de son côté mis en garde l'analyste australien David Kilcullen, ex-conseiller du général américain David Petraeus dans les années 2007-2008.


Le monstre a échappé à ses financiers et parrains, mais ces derniers ont encore plus peur de l’Iran que de Daech, leur créature. « Dis moi qui te fais peur, je te dirai qui tu es ! ».


Face à ces contradictions la coalition est condamnée à l’inefficacité. La destruction  de l’émirat doit être la priorité et si les pays du Golfe s’y refusent, il faut faire la guerre sans eux avec l’Iran et même Damas. La victoire s’inscrit sans doute dans un renversement des alliances.


Le risque est énorme pour le monde sunnite mais il est responsable, après les Usa, de l’émergence de Daesh, ennemi des civilisations chrétiennes chiites et sunnites.


Il faut parfois perdre un  bras pour éviter la mort par gangrène.

00:05 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, daech, isis, eiil, état islamique | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

mercredi, 03 juin 2015

Achtergrond bij het kalifaat

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Door: Koenraad Elst

Achtergrond bij het kalifaat

Ex: http://www.doorbraak.be

Pieter Van Ostaeyen is internationaal bekend als online rapporteur van en onderzoeker naar Syriëstrijders. Hij schreef een boek over de achtergrond van IS.

Het beknopte boek Van Kruistocht tot Kalifaat van geschiedkundige en arabist Pieter Van Ostaeyen is zeer rijk aan feiten over de dramatische gebeurtenissen van de jongste jaren in het Midden-Oosten, van Tunesië tot Irak. Het geeft bij wijze van nieuwe informatie heel wat nationale eigenaardigheden van de demoratiseringsbewegingen die samen de Arabische Lente uitmaakten, en somt de specifieke kenmerken van de verschillende islamgroeperingen op.

Zo is de Jabhat an-Nusra (ik volg hier de gegeven transcriptie, eigenlijk Engels en gebaseerd op de feitelijke Arabische uitspraak) in Syrië, inmiddels bij al-Qaida aangesloten, zeer geheimhoudend, anders dan de rivaliserende Islamitische Staat met zijn gesofistikeerd gebruikt van klassieke en digitale communicatiekanalen. De Nusra-’verzetsbeweging’ onderwerpt nieuwe recruten aan een strengere selectie. Nochtans, al heeft de Islamitische Staat veel meer buitenlanders in zijn rangen, ook an-Nusra stelt Vlaamse en Nederlandse vrijwilligers te werk. De Tsjetsjenen en Tunesiërs hebben er zelfs eigen brigades.

Strategisch zijn deze gewapende groepen helemaal mee met hun tijd. Zij inspireren zich op de maoïstische beginselen van de guerrilla en de ‘asymmetrische oorlog’: terugtrekken wanneer de vijand sterk is, aanvallen wanneer hij zwak is. Een aantal jaren geleden was Norman Finkelstein te gast op Het Andere Boek en beschreef hij hoe de Hezbollah het onoverwinnelijk lijkende Israël qua organisatie en effectiviteit aan het inhalen was. Deze evolutie wordt nu doorgetrokken door an-Nusra en het Kalifaat, wat de spectaculaire militaire successen (hun vrij geringe aantal manschappen en niveau van bewapening in acht genomen) verklaart.

Voor verdere bijzonderheden verwijzen wij naar het boek. De rijkdom aan minder bekende feiten maakt het alvast tot een goede investering. Dat gezegd zijnde, toch enkele kritische bedenkingen.

De VS volgde in Syrië een beleid van halfhartige steun aan de oppositie van ‘gematigden’ tegen de regering-Assad, maar: ‘In april 13 werd evenwel duidelijk dat het State Department er alleszins gedeeltelijk naast zat.’ (p.85) Op zich een feit, maar wel één dat om commentaar vraagt. Sedert de opbouw naar de inval in Irak in 2003 is het Amerikaanse engagement in het Midden-Oosten één opeenstapeling van dwaasheden, een bevestiging van het Europese stereotype van de ‘stupid Americans’ die zich zonder enig gevoel voor werkelijkheden op het terrein overal mee moeien als een olifant in een porseleinwinkel. Dat gaat van de inval in Irak zelf tot het in de rug schieten van hun bondgenoot Hosni Mubarak (vraag maar aan de ‘vrienden’ van de VS hoe een dolk in de rug aanvoelt: Tsjiang Kai-sjek, Fulgencio Batista, Van Thieu, de Sjah, Mobutu Sese Seko, allemaal zodra het erop aankwam aan de genade van hun vijanden overgeleverd) en het steunen van de Syrische ‘oppositie’, zelfs op gevaar van een confrontatie met Syriës bondgenoot Rusland.

En dwaasheid is soms nog een te milde beoordeling; het kan ook over glasharde perfiditeit gaan. Het verhaal van de Iraakse ‘massavernietigingswapens’ is welbekend, en we moeten toegeven dat het als bewijs van westerse interventiezucht in moslimlanden heel wat moslimjongeren over de drempel geholpen heeft. Van theoretisch overtuigd door het voorbeeld van Mohammeds strijd kantelden zij naar daadwerkelijke terroristen of Oostfrontvrijwilligers (‘Syriëgangers’). Op p.63 vermeldt Van Ostaeyen terloops Nakoula Nakoula, de koptische immigrant in de VS die de internetfilm The Innocence of Muslims gemaakt had. Inmiddels weten wij dat de Amerikaanse regering hem onder valse voorwendselen heeft doen opsluiten (‘de eerste Amerikaan opgesloten wegens overtreding van de islamitische wet tegen godslastering’) en dat de film ten onrechte de oorzaak genoemd werd van de aanval op het VS-consulaat in Benghazi waar ambassadeur en islamofiel Christopher Stevens doodgemarteld werd. Het State Department wist al dagen eerder dat deze aanval gepland was, en dat hij niets met moslimverontwaardiging over de film te maken had.

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Niet dat Europa het zoveel beter doet: de moralistische, door schertswijsgeer Bernard-Henri Lévy geînspireerde tussenkomst in Libië heeft talloze doden, de ontwrichting van het land en de vloed van ‘bootvluchtelingen’ veroorzaakt. Beter te laat dan nooit moet men inzien dat in die regio een verlichte sterke man het beste was waar men geredelijk op kon hopen. Democratie is goed, maar vooronderstelt een beschavingsniveau dat daar nog niet vervuld blijkt te zijn. In ieder geval kan men ze niet van buitenaf opleggen.

Ook de hoera-sfeer in de media omtrent de Arabische Lente heeft hem op het verkeerde been gezet: ‘Toen de Arabische Lente door Noord-Afrika een spoor van hoop trok, hadden weinigen verwacht dat de situatie er uiteindelijk ging verslechteren.’ (p.141)

De als ‘islamofoob’ weggezette islamcritici hadden het nochtans al voorzien: de enige georganiseerde kracht die een alternatief voor de bestaande dictaturen kon bieden, was niet enige liberaal-democratische partij, wel de Moslimbroeders of gelijkaardige islamscherpslijpers. Om er nogmaals de strategische inzichten van Mao bij te halen: een revolutie is onmogelijk zonder revolutionaire voorhoedepartij. De overgang van dictatuur naar democratie vergde een groep die vooruit dacht, die een recept had en dat in wijzigende omstandigheden consequent nastreefde, die leiding kon geven aan de massa, en die haar gevoelens over waar zij van weg wou, kon omzetten in een positieve formule over waar men naartoe moest. Zulk een demokratisch gezinde voorhoede die als aantrekkingspool voor de onbestemde volkswoede had kunnen dienen, was er niet.

In een titel op p.30 heten de kruistochten ‘de eerste tekenen van kolonialisme’. O, en wat was de vier eeuwen oudere Arabische bezetting van Spanje dan? En de Turkse bezetting van de Balkan, en eerder al die van Anatolië (‘Turkije’)? Als we per se over kolonialisme moeten spreken, dan waren de kruistochten een anti-koloniale bevrijding van een door de islam bezet christelijk gebied. Uiteraard hadden de christenen het eerdar dan weer van joden en heidenen afgesnoept, maar dat geldt voor de islam buiten christelijk gebied ook, te beginnen met Medina en Mekka.

Maar het ergst van al is deze bewering, na de opsomming van de ‘vijf zuilen’ van de islam: ‘Deze richtlijnen zijn louter religieus van aard, politeke aspiraties heeft de islam in se niet.’ (p.42) Ik weet niet wat de U-Gentse prof. Gino Schallenbergh, die hier de inleiding schreef, in zijn lessen islamkunde zoal vertelt, maar het inzicht dat de islam een intrinsiek politieke religie is, lijkt me nogal fundamenteel. Toen Mohammed zijn leer startte, was het van meet af aan zijn bedoeling, een staat te stichten. Hij zelf werd de eerste islamitische dictator van Medina en uiteindelijk van heel Arabië. Zijn levenswerk bestond erin, Arabië om te vormen van een bestaande en geslaagde multiculturele samenleving in een monolithisch-islamitische staat.

Zonder dat basisinzicht is men gedoemd, de politieke strijd in het Midden-Oosten, ondanks magistrale feitenkennis die ik geenszins betwijfel, verkeerd te begrijpen. Dan zegt men bv. met veel aplomb: ‘Het gaat het Kalifaat (of eender welke andere betrokken partij) niet om religie maar om macht.’ Ja,wiens macht? Het gaat in de islam altijd om de macht. Misschien wordt dat beginsel voor mijn ‘gematigde’ lezers wat verteerbaarder als ik erbij zeg dat dat zijn goede kanten heeft. Dat de moslims in het Midden-Oosten christelijke gemeenschappen hebben laten bestaan, komt doordat zij niet puristisch een volledig islamitisch-bevolkt rijk wilden, maar wel de macht binnen dat rijk. In ieder geval: met moet niet de christelijke scheiding van staat en religie (‘Mijn rijk is niet van deze wereld’, ‘geeft den keizer wat des keizers, en Gode wat Godes is’) op de islam projecteren. Mohammed overviel karavanen, nam gijzelaars voor losgeld, nam en verkocht slaven enz., en voor hem was dat allemaal ‘inspanning (jihad) op de weg van Allah’.

Ziedaar wat er met het hele islamvertoog in westerse middens scheelt, ook in onze arabistiekdepartementen: men bekijkt de situatie niet door moslimogen. Onze islampleitbezorgers en multiculturalisten zijn heikneuters die niet wezenlijk verder zien dan hun klokkentoren. Ze komen wel in moslimlanden, maar blijven de van huis uit meegekregen westerse denkcategorieën hanteren. Global village, travelling peasants.

Beoordeling : * * *
Titel boek : Van kruistochten tot kalifaat
Subtitel boek : Arabische Lente, Jihad, Kalifaat
Auteur : Pieter Van Ostaeyen
Uitgever : Pelckmans
Aantal pagina's : 152
Prijs : 17.5 €
ISBN nummer : 9789028973749
Uitgavejaar : 2015

00:05 Publié dans Actualité, Histoire, Livre, Livre | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : livre, islam, eiil, daesch, isis, syrie, levant, irak, proche orient | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

dimanche, 31 mai 2015

Le faux califat: l’atout stratégique des USA

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Le faux califat: l’atout stratégique des USA

Auteur : Pepe Escobar
Ex: http://zejournal.mobi

Le monde civilisé verse d’immenses larmes de crocodile devant la prise de la perle du désert de l’ancienne Route de la Soie, Palmyre, par EIIS/EIIL/Da’ech.

Et pourtant… Ni le président des USA, Barack Obama, ni les 22 pays vassaux armés jusqu’aux dents faisant théoriquement partie de sa coalition de volontaires n’ont envoyé le moindre drone équipé de missiles Hellfire contre les brutes drapées de noir du faux califat.

Il est assurément justifié de dire que l’Occident civilisé préfère avoir affaire à un califat médiéval intolérant imbibé de wahhabisme qu’à un dictateur arabe séculaire qui refuse de se prosterner devant l’autel du néolibéralisme occidental.

Il est tout autant justifié d’ajouter que ceux qui arment les décapiteurs et coupeurs de gorges du Front al-Nosra, c’est-à-dire al-Qaïda en Syrie, ou de EIIS/EIIL/Da’ech, sont essentiellement des Saoudiens, qui constituent aussi les plus grands importateurs d’armes de la planète, qu’ils achètent surtout des USA, mais aussi de la France et du Royaume-Uni.

Voilà maintenant qu’un document déclassifié de l’US Defense Intelligence Agency (DIA) rédigé en août 2012, qui a fait le tour de tous les organes gouvernementaux dont CENTCOM, la CIA et le FBI et qu’a obtenu Judicial Watch (un cabinet juridique qui veille à l’intérêt du public), confirme enfin ce qui passe pour être la stratégie de Washington dans le Levant et la péninsule arabique.

C’est qu’au même titre que le proto al-Qaïda original financé par la CIA, qui a vu le jour dans les années 1980 à Peshawar, EIIS/EIIL/Da’ech, alias al-Qaïda 2.0, remplit un seul et unique objectif géopolitique.

Pour faire court, l’Occident civilisé, de pair avec des vassaux tels que la Turquie et les pétromonarchies du Conseil de coopération du Golfe (CCG), a soutenu la branche d’al-Qaïda en Syrie pour déstabiliser Damas, même si le Pentagone avait prévu l’issue horrible de cette stratégie, à savoir l’émergence de EIIS/EIIL/Da’ech (Brad Hoff fournit tous les détails dans un texte traduit par le Saker Francophone).

Pour le Pentagone, c’était tout de même un atout stratégique inestimable, qui devait être lâché dans la nature pour isoler le régime syrien.

Que le rapport de la DIA ne mentionne pas que le gouvernement des USA a créé de toutes pièces EIIS/EIIL/Da’ech ou qu’il favorise le Front al-Nosra en Syrie ou le faux califat en Irak est sans importance. L’élément essentiel, c’est que le gouvernement des USA n’a absolument rien fait pour empêcher la maison des Saoud, ses sbires du CCG et la Turquie de soutenir l’opposition syrienne et d’assouvir ainsi leur désir brûlant de faciliter l’émergence d’un État sécessionniste salafiste dans l’est de la Syrie et de l’autre côté de la frontière, en territoire irakien.

Aujourd’hui, tout observateur bien informé sait que la guerre contre la terreur du régime Cheney était une fraude. Il n’est donc pas surprenant que la destruction planifiée en cours en Syrak offre l’excuse parfaite au complexe militaro-industriel des USA pour tirer des milliards de dollars de la vente de plus d’armes encore à la maison des Saoud, aux autres sbires du CCG, à Israël et à l’Irak.

Cette convergence d’intérêts, géopolitiques dans le cas du Pentagone, commerciaux pour ce qui est du complexe militaro-industriel, entre parfaitement dans le scénario de la maison des Saoud, qui consiste à dicter la politique étrangère de l’administration évitons les conneries Obama au Levant et dans la péninsule arabique.

Les 22 États membres de la coalition d’Obama se réuniront à Paris au début juin. Le Pentagone devrait alors disposer d’un véritable plan relativement à EIIS/EIIL/Da’ech : soit qu’on tente le tout pour le tout pour l’annihiler (très peu probable), soit qu’on repousse toutes ces brutes vers le Caucase (assez probable). Le plus probable en fait, c’est que le bordel actuel va se perpétuer.

On ne peut rien cacher aux Russes

Le colonel-général Igor Sergoun, chef de la Direction générale des renseignements (GRU) de l’état-major des forces armées russes, parle rarement en public. Mais lorsqu’il le fait, les plaques tectoniques géopolitiques bougent.

L’analyse de Sergoun corrobore le rapport de la DIA à la perfection. Depuis maintenant des années, les services du renseignement militaire russes ont conclu (et le font maintenant savoir au public) que le terrorisme islamique, que toute la guerre contre la terreur, en fait, sont un outil de l’Occident utilisé pour détruire les pays souverains qui osent s’opposer à la puissance hégémonique.

Comme nous le savons tous, il est évidemment beaucoup plus facile de subvertir et d’écraser la Libye ou la Syrie que la Russie ou la Chine (ou même l’Iran à vrai dire).

N’empêche que l’Empire du Chaos doit maintenant se dépatouiller pour faire face  (ou faire bonne figure) devant ce retour d’ascenseur généré par sa tactique de diviser pour mieux régner. En Irak, la chute de Ramadi donne un formidable élan à la portée stratégique, au recrutement et au financement de EIIS/EIIL/Da’ech, qui a fait passer l’équipe d’Obama-évitons les conneries pour de parfaits imbéciles.

D’autant plus que les USA n’étaient pas que de simples spectateurs dans cette débâcle. Ramadi est tombée parce que le gouvernement de Bagdad refusait d’armer les tribus sunnites de la province d’Al-Anbar. Le faux califat a attaqué la ville avec une flotte de 30 camions bourrés d’explosifs conduits par des kamikazes. Les membres des tribus qui la défendaient ont dû fuir pour éviter d’être massacrés par les brutes du califat.

Que faisait le Pentagone ? Rien, ce qui entre en contradiction avec les accusations trompeuses de son chef Ash Carter, qui a dit que les Irakiens manquaient de volonté à combattre. Le Pentagone n’a rien fait non plus à Tikrit, lorsque les États-uniens ont refusé de combattre le faux califat aux côtés de milices chiites dirigées par des officiers iraniens qui relevaient directement de Qasem Soleimani, la superstar de la Force Al-Qods.

Le match oppose l’Iran et les décapiteurs

La chute de Ramadi montre à l’évidence que la véritable puissance qui lutte contre EIIS/EIIL/Da’ech en Irak ce ne sont pas les USA, mais l’Iran. Les milices chiites sont d’ailleurs déjà en train d’être incorporées dans les forces de sécurité irakiennes.

Ezzat al-Douri, l’ancien numéro deux de Saddam Hussein que les USA n’ont pas encore capturé, a diffusé des messages où il évoquait un besoin d’aide urgent en armes de la part des suspects habituels, les Saoudiens. Alors qu’ils tentaient d’armer les tribus de la province d’al-Anbar à partir de la Jordanie, devinez qui a mis un holà ? Washington. Conformément aux règles hésitantes de l’administration Obama, la Jordanie ne peut donner suite aux efforts saoudiens sans l’autorisation directe de Bagdad, qui n’est jamais venue.

Cette pagaille n’est qu’un exemple du double jeu incessant auquel se livre l’Empire du Chaos dans sa guerre contre la terreur, qui revient en fin de compte à dire que la lutte contre EIIS/EIIL/Da’ech en Syrak n’est qu’une immense farce.

Qu’importe ce qui arrivera à Washington dans un proche avenir, que ce soit sous le règne d’Hillary-Nous sommes venus, nous avons vu, il est mort-Clinton ou de Jeb-Mon frère a eu raison d’envahir l’Irak-Bush, rien n’indique que le gouvernement des USA cessera un jour d’utiliser le terrorisme islamique comme atout stratégique.


- Source : Pepe Escobar

vendredi, 29 mai 2015

Trois des raisons du succes de Dae'ch

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TROIS DES RAISONS DU SUCCES DE DAE’CH

Richard Labévière
Journaliste, Rédacteur en chef  du magazine en ligne : prochetmoyen-orient.ch
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

Stupeur chez les archéologues : Dae’ch s’empare de Palmyre. Si la chute de Ramadi en Irak est stratégiquement plus préoccupante, ces derniers succès de l’organisation « Etat islamique » pose toutefois question. Les raisons de ces gains territoriaux, sinon idéologiques, sont multiples, mais on peut situer, en les analysant, trois processus majeurs expliquant partiellement cette évolution qui n’a pas l’air de beaucoup inquiéter la « communauté internationale »…

La première raison des succès de Dae’ch est la plus immédiate, sinon la plus aveuglante. Elle concerne la gestion militaire du « problème ». En effet, on sait, depuis les bombardements massifs effectués par les Alliés sur l’Allemagne du printemps 1945, qu’on ne gagne jamais définitivement une guerre par la seule voie aérienne. Malgré l’évolution technologique des chasseurs-bombardiers, des drones et des moyens radars, les systèmes d’armes aériens ne suffisent pas à emporter la décision sans intervention au sol, menée soit par des forces spéciales, soit par des unités conventionnelles. Les différentes opérations effectuées en Afghanistan (depuis les attentats du 11 septembre 2001), en Irak (printemps 2003), en Libye (printemps 2011), au Pakistan et au Yémen, ont largement validée cette loi incompressible de la guerre…

Faut-il encore s’entendre sur la nature, le sens et la finalité de la dénomination « guerre » ! Malgré les « frappes » de la Coalition internationale - qui ont débuté en août 2014 -, les positions tenues par Dae’ch ne pourront être réduites et éradiquées sans de substantiels engagements terrestres. Selon les experts avisés, de telles opérations nécessiteraient un format d’une dizaine de milliers d’hommes, un état-major centralisé et différents appuis interarmes nécessaires à une « offensive courte, coordonnée et décisive », explique un officier général de l’une des forces spéciales européennes qui ajoute : « née en Somalie au début des années 90, l’option ‘zéro mort’ a vécu et nous devons faire face aujourd’hui au retour de la guerre dans sa réalité la plus crue : décider de faire la guerre implique le don de soi le plus extrême, à savoir le prix du sang, du sacrifice de sa propre vie. Sans l’acceptation de cette imparable équation, on ne peut être vainqueur… »

A ce rappel de l’une des lois incompressibles de la guerre s’ajoutent les effets collatéraux des opérations militaires que l’Arabie saoudite a lancées unilatéralement et hors de tout encadrement des Nations Unies au Yémen. Le déclenchement de cette nouvelle guerre au Moyen-Orient a conforté, non seulement Dae’ch et Nosra, mais bien d’autres factions terroristes engagées en Syrie, au Liban, en Irak et dans la bande sahélo-saharienne, dans la mesure où l’exacerbation du conflit yéménite s’est traduite par de nouvelles livraisons d’armes tous azimuts, grâce à des financements saoudiens et à ceux d’autres pays du Golfe. Cette consolidation d’un axe militaire « sunnite », élaboré avec la bienveillance du Pentagone et du Département d’Etat américain a masqué les financements et les aides les plus contestables à destination d’organisations ouvertement « terroristes ».

Au quotidien Le Monde du 12 mai dernier, le ministre qatari des affaires étrangères - Khaled Al-Attiyah - déclare le plus tranquillement du monde : « nous sommes clairement contre tout extrémisme. Mais, à part Dae’ch, tous ces groupes combattent pour la chute du régime [syrien]. Les modérés ne peuvent pas dire au Front al-Nosra : ‘restez à la maison, on ne travaille pas avec vous’. Il faut regarder la situation sur le terrain et être réaliste ». C’est au nom de ce même réalisme que Laurent Fabius disait, il y a quelques mois, que les « p’tits gars de Nosra font du bon boulot ! » et que des représentants de cette organisation terroriste étaient reçus à l’Assemblée nationale française… Il faut être réaliste !

Cette logique très sélective du réalisme induit organiquement une deuxième raison des succès de Dae’ch. Comme les Etats-Unis ne veulent pas associer directement la Russie et l’Iran à une contre-offensive militaire coordonnée contre Dae’ch, comme François et Laurent d’Arabie s’obstinent à vouloir dégommer le régime syrien, sinon Bachar al-Assad lui-même, en cherchant à nous faire admettre que c’est la seule et unique solution pour neutraliser les islamistes radicaux, on assiste à une inévitable « communautarisation » du conflit. Ainsi, les milices chi’ites, et pas seulement les forces spéciales du Hezbollah libanais, reprennent un rôle de premier plan. Cette dynamique de fragmentation militaire, territoriale et politique sert à la fois les intérêts de Washington et de Tel-Aviv réactivant l’antienne d’Oded Yinon - cet analyste du ministère israélien des Affaires étrangère - qui conseillait en 1982 de « re-tribaliser » les Etats-nations arabes en favorisant le nettoyage ethnique et l’instauration de micro-émirats chi’ites, alaouites, sunnites, druzes, etc. Divide et impera : cette vieille logique de domination est plus que jamais à l’ordre du jour et continue à faire beaucoup de victimes.

Tout aussi logiquement et nécessairement, cette anomie rampante nous amène à une troisième rationalité ascendante et porteuse des « valeurs » de Dae’ch : sa communication, sinon son soft et smart power. Celle-ci se déploie dans plusieurs dimensions : il y a d’abord ses « médias » électroniques et une démultiplication de sites Internet - autant de vecteurs de diffusion des idéologies radicales, d’influence et de recrutement -, qui se sont extrêmement professionnalisés, souvent grâce à l’appui d’officines spécialisées occidentales. Ce constat qui consiste régulièrement à reconnaître que les idéologies radicales mettent à profit toutes les faiblesses, sinon les démissions et lâchetés de nos systèmes démocratiques « ouverts », n’est pas nouveau. Ce qui l’est davantage concerne le redéploiement et le recyclage d’ex-terroristes à travers les vitrines d’ONGs, d’associations culturelles et « humanitaires » aux Etats-Unis et en Europe. Ce blanchiment d’anciens tueurs - qui ont décidé de poursuivre leur combat par d’autres moyens - s’effectue avec la complicité active de responsables économiques et politiques occidentaux.

Et ce n’est pas le moindre pied de nez de l’histoire, de voir s’effectuer ce grand retournement au nom des droits de l’homme, de la démocratie et du pluralisme de pensée et d’expression ! Il va sans dire que cette évolution discrédite passablement les vrais acteurs de la défense des droits humains et induit une confusion dommageable dans les termes mêmes servant à décrire et qualifier la menace terroriste, ses mutations et ses outils de communication.

Récemment, différents médias occidentaux relatant des crimes terroristes ont qualifié leurs auteurs de « militants ! » Militants de quoi ? On marche sur la tête ! Cette progression folle et morbide paraît inexorable. Dans son merveilleux roman 1984, George Orwell dépeignait une société devenue autiste et pratiquant une novlangue fonctionnant par équivalences simples comme : la liberté, c’est l’esclavage ou la pensée, c’est la force ! Nous y sommes…

Richard Labévière, 24 mai 2015

jeudi, 28 mai 2015

Gelekt Pentagon rapport: ISIS met Turkse en Arabische steun gecreëerd door VS

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Gelekt Pentagon rapport: ISIS met Turkse en Arabische steun gecreëerd door VS

US Defense Intelligence Agency document: Moslim Broederschap en Al-Qaeda belangrijkste krachten Syrische burgeroorlog

Oud MI5 agent: NAVO verantwoordelijk voor massamoorden, volksverplaatsingen en anarchie

Gezien de onthutsende ontstaansgeschiedenis zou de ISIS vlag tussen die van de NAVO landen kunnen wapperen.

Volgens onderzoeksjournalist en bestseller auteur Nafeez Ahmed is er een rapport van het Pentagon uitgelekt waarin bevestigd wordt wat wij al sinds de zomer van 2014 schrijven, namelijk dat de islamitische terreurgroep ISIS met steun van met name Turkije en Saudi Arabië door Amerika werd gecreëerd om tegen de Syrische president Assad te vechten. Al lange tijd geleden onthulden we dat ISIS terroristen in CIA-kampen in Turkije werden getraind, iets dat destijds slechts weinigen wilden geloven.

We legden vorig jaar eveneens uit wat de reden was: president Assad stond en staat een belangrijke aardgaspijpleiding van Qatar naar Europa in de weg, een die de Europese afhankelijkheid van Russisch gas fors zou moeten verminderen. De Russen wisten dit van meet af aan en waarschuwden in september 2014 dat het inzetten van ISIS en ook Al-Qaeda –zoals bekend eveneens een creatie van de CIA- tegen Syrië ‘een enorme escalatie van het conflict in het Midden Oosten en Noord Afrika’ zou betekenen.

Kremlin waarschuwde terecht voor escalatie

Inmiddels weten we dat het Kremlin het helaas geheel bij het rechte eind had. Nu is daar ook hard bewijs voor: het gelekte rapport van het Pentagon, waaruit blijkt dat het Westen onder leiding van de VS in samenwerking met Turkije en de Arabische Golfstaten diverse islamistische groepen begon te steunen om de regering Assad te ondermijnen, ondanks het feit dat er toen al gewaarschuwd werd voor de opkomst van de ‘Islamitische Staat’ in Syrië en Irak.

Westen maakte islamitische holocaust tegen christendom mogelijk

Afgelopen week besloot de regering Obama om opnieuw voor miljarden aan wapens te leveren aan onder andere Saudi Arabië en Irak. Veel van de eerder aan het Iraakse leger geleverde moderne Amerikaanse wapens zijn onbeschadigd in handen gevallen van ISIS.

De onthullingen onderstrepen opnieuw de schandalige hypocrisie van de Westerse (NAVO-) regeringen, die door het steunen van ISIS mede verantwoordelijk zijn voor de islamitische holocaust tegen het christendom in het Midden Oosten en Noord Afrika, iets waar behalve wat spaarzame en nauwelijks effectieve bombardementen helemaal niets aan gedaan wordt. Hoe anders was het in de jaren ’90 in Kosovo en Bosnië, toen vooral moslims de slachtoffers waren.

Moslim Broederschap en Al-Qaeda werken samen

Onder de documenten die na rechtszaken van Judicial Watch onder gerechtelijke dwang werden vrijgegeven bevindt zich ook een in 2012 als geheim geclassificeerd rapport van het US Defense Intelligence Agency (DIA), waarin –zoals we afgelopen woensdag berichtten- niet alleen staat dat de regering Obama van tevoren wist van de wapenleveranties vanuit Libië aan de islamistische rebellen in Syrië, maar ook wordt erkend dat de Moslim Broederschap en Al-Qaeda feitelijk twee handen op één buik en de belangrijkste krachten achter de Syrische burgeroorlog zijn.

Dit is explosieve informatie, aangezien zowel de regering Obama als de Europese Unie zich openlijk achter de Moslim Broederschap opstelden en deze terreurorganisatie zelfs steunden met miljarden dollars en euro’s.

Doelbewuste steun aan Al-Qaeda en andere jihadgroepen

Het Pentagon voorspelde in de gelekte documenten het ontstaan van ISIS door het samengaan en samenwerken van diverse andere islamitische terreurorganisaties in Syrië en Irak. Desondanks ‘steunen de Westerse landen, de Golfstaten en Turkije de pogingen van de Syrische oppositiekrachten om de oostelijke gebieden grenzend aan Irak te controleren... De mogelijkheid bestaat dat er een verklaard of onverklaard Salafistisch vorstendom in oostelijk Syrië ontstaat, en dit is precies wat de ondersteunde machten van de oppositie willen om het Syrische regime te isoleren...’

Met andere woorden: het Pentagon geeft hier zwart op wit toe samen met de andere Westerse landen, de Golfstaten en Turkije doelbewust te hebben meegewerkt aan de oprichting van een Salafistische jihadstaat. Bovendien werd daar aan toegevoegd dat ‘de oprichting van zo’n Salafistisch vorstendom de ideale atmosfeer creëert voor AQI (Al-Qaeda in Irak) om terug te keren tot zijn aloude centra in Mosul en Ramadi.’

Die staat was bedoeld om ‘de jihad tussen de Soenieten in Irak en Syrië te verenigen, en de rest van de Soenieten in de Arabische wereld tegen wat als één vijand zou worden beschouwd. ISI(S) zou door zijn unie met andere terreurorganisaties in Irak en Syrië ook een Islamitische Staat kunnen uitroepen, wat een ernstig gevaar zou betekenen voor de vereniging van Irak en het beschermen van (dit) grondgebied.’

Westerse media hebben jarenlang gelogen

Veiligheidsanalist Shoebridge, die de Westerse steun voor islamitische terroristen in Syrië al vanaf het allereerste begin van de oorlog in kaart bracht, wijst erop dat ‘de Amerikaanse en Britse regeringen, alsmede bijna de complete Westerse mainstream media, de Syrische rebellen als gematigd, liberaal, seculier en democratisch hebben gepromoot, en daarom de steun van het Westen verdienden. Aangezien deze documenten deze aanname totaal ondermijnen is het veelbetekenend dat de Westerse media deze documenten –ondanks hun enorme belang- vrijwel compleet hebben genegeerd.’

Shoebridge bevestigt hier wat wij eveneens al geruime tijd schrijven, namelijk dat wij als Westerse burgers door onze media glashard worden voorgelogen over de ware aard van de burgeroorlog in Syrië. ‘Deze documenten bewijzen ook dat de Amerikaanse regering op zijn laatst in augustus 2012 wist van hun ware extremistische aard, en dat dit als een voordeel voor het Amerikaanse beleid werd gezien. Dit suggereert tevens dat er een besluit werd genomen om het Westerse publiek via de slaafse media jarenlang doelbewust te misleiden, en hen te doen geloven dat de Syrische rebellen overwegend ‘gematigd’ waren.’

‘NAVO creëerde massamoorden en anarchie’

De NAVO-interventie in Libië in 2011 was van hetzelfde laken en pak. Annie Machon, voormalig MI5 inlichtingenofficier, legt uit dat het Westen, en met name de CIA en MI6,

‘... door het steunen van dezelfde Libische groepen een failed state, massamoorden, volksverplaatsingen en anarchie creëerden. Het idee dat elementen van het Amerikaanse militaire-veiligheidscomplex de ontwikkeling van ISIS mogelijk hebben gemaakt, inclusief hun mislukte poging om de NAVO opnieuw te laten ‘ingrijpen’, is onderdeel van een bekend patroon. En ze blijven onverschillig over de enorme omvang van het menselijk lijden dat wordt veroorzaakt door dit soort spelletjes.’

Vicepresident Joe Biden gaf vorig jaar toe dat Saudi Arabië, Turkije, Qatar en de Verenigde Arabische Emiraten honderden miljoenen dollars naar de islamistische rebellen in Syrië hebben doorgesluisd, wat hun transformatie tot ISIS mogelijk maakte.

Verdeel en heers, christelijke slachtoffer ‘bijkomende schade’

Kortom: ook uit deze onthullingen komt de bekende ‘verdeel en heers’ strategie naar voren: zet Soenieten tegen Shi’iten op, zet de ene islamitische terreurgroep tegen de andere jihadgroep op en laat ze elkaar bestrijden en afmaken. Dat talloze onschuldige mensen, waaronder veel christenen, hier het slachtoffer van zijn wordt door de plannenmakers in Washington, Londen en Brussel overduidelijk slechts als bijkomende en aanvaardbare schade gezien.

Xander

(1) Zero Hedge

mercredi, 27 mai 2015

Secret Pentagon Report Reveals US "Created" ISIS As A "Tool"

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Secret Pentagon Report Reveals US "Created" ISIS As A "Tool" To Overthrow Syria's President Assad

By

Zero Hedge

Ex: http://www.lewrockwell.com

From the first sudden, and quite dramatic, appearance of the fanatical Islamic group known as ISIS which was largely unheard of until a year ago, on the world’s stage and which promptly replaced the worn out and tired al Qaeda as the world’s terrorist bogeyman, we suggested that the “straight to beheading YouTube clip” purpose behind the Saudi Arabia-funded Islamic State was a simple one: use the Jihadists as the vehicle of choice to achieve a political goal: depose of Syria’s president Assad, who for years has stood in the way of a critical Qatari natural gas pipeline, one which could dethrone Russia as Europe’s dominant – and belligerent – source of energy, reaching an interim climax with the unsuccessful Mediterranean Sea military build up of 2013, which nearly resulted in quasi-world war.

The narrative and the plotline were so transparent, even Russia saw right through them. Recall from September of last year:

If the West bombs Islamic State militants in Syria without consulting Damascus, LiveLeak reports that the anti-ISIS alliance may use the occasion to launch airstrikes against President Bashar Assad’s forces, according to Russian Foreign Minister Sergey Lavrov. Clearly comprehending that Obama’s new strategy against ISIS in Syria is all about pushing the Qatar pipeline through (as was the impetus behind the 2013 intervention push), Russia is pushing back noting that the it is using ISIS as a pretext for bombing Syrian government forces and warning that “such a development would lead to a huge escalation of conflict in the Middle East and North Africa.”

But it’s one thing to speculate; it’s something entirely different to have hard proof.

And while speculation was rife that just like the CIA-funded al Qaeda had been used as a facade by the US to achieve its own geopolitical and national interests over the past two decades, so ISIS was nothing more than al Qaeda 2.0, there was no actual evidence of just this.

That may all have changed now when a declassified secret US government document obtained by the public interest law firm, Judicial Watch, shows that Western governmentsdeliberately allied with al-Qaeda and other Islamist extremist groups to topple Syrian dictator Bashir al-Assad.

According to investigative reporter Nafeez Ahmed in Medium, the “leaked document reveals that in coordination with the Gulf states and Turkey, the West intentionally sponsored violent Islamist groups to destabilize Assad, despite anticipating that doing so could lead to the emergence of an ‘Islamic State’ in Iraq and Syria (ISIS).

According to the newly declassified US document, the Pentagon foresaw the likely rise of the ‘Islamic State’ as a direct consequence of the strategy, but described this outcome as a strategic opportunity to “isolate the Syrian regime.” 

And not just that: as we reported last week, now that ISIS is running around the middle east, cutting people’s heads of in 1080p quality and Hollywood-quality (perhaps literally) video, the US has a credible justification to sell billions worth of modern, sophisticated weapons in the region in order to “modernize” and “replenish” the weapons of such US allies as Saudi Arabia, Israel and Iraq.

But that the US military-industrial complex is a winner every time war breaks out anywhere in the world (usually with the assistance of the CIA) is clear to everyone by now. What wasn’t clear is just how the US predetermined the current course of events in the middle east.

Now, thanks to the following declassified report, we have a far better understanding of not only how current events in the middle east came to be, but what America’s puppermaster role leading up to it all, was. 

From Nafeez Ahmed: Secret Pentagon report reveals West saw ISIS as strategic asset Anti-ISIS coalition knowingly sponsored violent extremists to ‘isolate’ Assad, rollback ‘Shia expansion’, originally posted in Medium.

Hypocrisy

The revelations contradict the official line of Western government on their policies in Syria, and raise disturbing questions about secret Western support for violent extremists abroad, while using the burgeoning threat of terror to justify excessive mass surveillance and crackdowns on civil liberties at home.

Among the batch of documents obtained by Judicial Watch through a federal lawsuit, released earlier this week, is a US Defense Intelligence Agency (DIA) document then classified as “secret,” dated 12th August 2012.

The DIA provides military intelligence in support of planners, policymakers and operations for the US Department of Defense and intelligence community.

So far, media reporting has focused on the evidence that the Obama administration knew of arms supplies from a Libyan terrorist stronghold to rebels in Syria.

Some outlets have reported the US intelligence community’s internal prediction of the rise of ISIS. Yet none have accurately acknowledged the disturbing details exposing how the West knowingly fostered a sectarian, al-Qaeda-driven rebellion in Syria.

Charles Shoebridge, a former British Army and Metropolitan Police counter-terrorism intelligence officer, said:

“Given the political leanings of the organisation that obtained these documents, it’s unsurprising that the main emphasis given to them thus far has been an attempt to embarrass Hilary Clinton regarding what was known about the attack on the US consulate in Benghazi in 2012. However, the documents also contain far less publicized revelations that raise vitally important questions of the West’s governments and media in their support of Syria’s rebellion.”

The West’s Islamists

The newly declassified DIA document from 2012 confirms that the main component of the anti-Assad rebel forces by this time comprised Islamist insurgents affiliated to groups that would lead to the emergence of ISIS. Despite this, these groups were to continue receiving support from Western militaries and their regional allies.

Noting that “the Salafist [sic], the Muslim Brotherhood, and AQI [al-Qaeda in Iraq] are the major forces driving the insurgency in Syria,” the document states that “the West, Gulf countries, and Turkey support the opposition,” while Russia, China and Iran “support the [Assad] regime.”

The 7-page DIA document states that al-Qaeda in Iraq (AQI), the precursor to the ‘Islamic State in Iraq,’ (ISI) which became the ‘Islamic State in Iraq and Syria,’ “supported the Syrian opposition from the beginning, both ideologically and through the media.”

The formerly secret Pentagon report notes that the “rise of the insurgency in Syria” has increasingly taken a “sectarian direction,” attracting diverse support from Sunni “religious and tribal powers” across the region.

In a section titled ‘The Future Assumptions of the Crisis,’ the DIA report predicts that while Assad’s regime will survive, retaining control over Syrian territory, the crisis will continue to escalate “into proxy war.”

The document also recommends the creation of “safe havens under international sheltering, similar to what transpired in Libya when Benghazi was chosen as the command centre for the temporary government.”

In Libya, anti-Gaddafi rebels, most of whom were al-Qaeda affiliated militias, were protected by NATO ‘safe havens’ (aka ‘no fly zones’).

‘Supporting powers want’ ISIS entity

In a strikingly prescient prediction, the Pentagon document explicitly forecasts the probable declaration of “an Islamic State through its union with other terrorist organizations in Iraq and Syria.”

Nevertheless, “Western countries, the Gulf states and Turkey are supporting these efforts” by Syrian “opposition forces” fighting to “control the eastern areas (Hasaka and Der Zor), adjacent to Western Iraqi provinces (Mosul and Anbar)”:

“… there is the possibility of establishing a declared or undeclared Salafist Principality in eastern Syria (Hasaka and Der Zor), and this is exactly what the supporting powers to the opposition want, in order to isolate the Syrian regime, which is considered the strategic depth of the Shia expansion (Iraq and Iran).”

The secret Pentagon document thus provides extraordinary confirmation that the US-led coalition currently fighting ISIS, had three years ago welcomed the emergence of an extremist “Salafist Principality” in the region as a way to undermine Assad, and block off the strategic expansion of Iran. Crucially, Iraq is labeled as an integral part of this “Shia expansion.”

The establishment of such a “Salafist Principality” in eastern Syria, the DIA document asserts, is “exactly” what the “supporting powers to the [Syrian] opposition want.” Earlier on, the document repeatedly describes those “supporting powers” as “the West, Gulf countries, and Turkey.”

Further on, the document reveals that Pentagon analysts were acutely aware of the dire risks of this strategy, yet ploughed ahead anyway.

The establishment of such a “Salafist Principality” in eastern Syria, it says, would create “the ideal atmosphere for AQI to return to its old pockets in Mosul and Ramadi.” Last summer, ISIS conquered Mosul in Iraq, and just this month has also taken control of Ramadi.

Such a quasi-state entity will provide:

“… a renewed momentum under the presumption of unifying the jihad among Sunni Iraq and Syria, and the rest of the Sunnis in the Arab world against what it considers one enemy. ISI could also declare an Islamic State through its union with other terrorist organizations in Iraq and Syria, which will create grave danger in regards to unifying Iraq and the protection of territory.”

The 2012 DIA document is an Intelligence Information Report (IIR), not a “finally evaluated intelligence” assessment, but its contents are vetted before distribution. The report was circulated throughout the US intelligence community, including to the State Department, Central Command, the Department of Homeland Security, the CIA, FBI, among other agencies.

In response to my questions about the strategy, the British government simply denied the Pentagon report’s startling revelations of deliberate Western sponsorship of violent extremists in Syria. A British Foreign Office spokesperson said:

“AQ and ISIL are proscribed terrorist organisations. The UK opposes all forms of terrorism. AQ, ISIL, and their affiliates pose a direct threat to the UK’s national security. We are part of a military and political coalition to defeat ISIL in Iraq and Syria, and are working with international partners to counter the threat from AQ and other terrorist groups in that region. In Syria we have always supported those moderate opposition groups who oppose the tyranny of Assad and the brutality of the extremists.”

The DIA did not respond to request for comment.

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Strategic asset for regime-change

Security analyst Shoebridge, however, who has tracked Western support for Islamist terrorists in Syria since the beginning of the war, pointed out that the secret Pentagon intelligence report exposes fatal contradictions at the heart of official pronunciations:

“Throughout the early years of the Syria crisis, the US and UK governments, and almost universally the West’s mainstream media, promoted Syria’s rebels as moderate, liberal, secular, democratic, and therefore deserving of the West’s support. Given that these documents wholly undermine this assessment, it’s significant that the West’s media has now, despite their immense significance, almost entirely ignored them.”

According to Brad Hoff, a former US Marine who served during the early years of the Iraq War and as a 9/11 first responder at the Marine Corps Headquarters in Battalion Quantico from 2000 to 2004, the just released Pentagon report for the first time provides stunning affirmation that:

“US intelligence predicted the rise of the Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL or ISIS), but instead of clearly delineating the group as an enemy, the report envisions the terror group as a US strategic asset.”

Hoff, who is managing editor of Levant Report — ?an online publication run by Texas-based educators who have direct experience of the Middle East?—?points out that the DIA document “matter-of-factly” states that the rise of such an extremist Salafist political entity in the region offers a “tool for regime change in Syria.”

The DIA intelligence report shows, he said, that the rise of ISIS only became possible in the context of the Syrian insurgency?—?“there is no mention of US troop withdrawal from Iraq as a catalyst for Islamic State’s rise, which is the contention of innumerable politicians and pundits.” The report demonstrates that:

“The establishment of a ‘Salafist Principality’ in Eastern Syria is ‘exactly’ what the external powers supporting the opposition want (identified as ‘the West, Gulf Countries, and Turkey’) in order to weaken the Assad government.”

The rise of a Salafist quasi-state entity that might expand into Iraq, and fracture that country, was therefore clearly foreseen by US intelligence as likely?—?but nevertheless strategically useful?—?blowback from the West’s commitment to “isolating Syria.”

Complicity

Critics of the US-led strategy in the region have repeatedly raised questions about the role of coalition allies in intentionally providing extensive support to Islamist terrorist groups in the drive to destabilize the Assad regime in Syria.

The conventional wisdom is that the US government did not retain sufficient oversight on the funding to anti-Assad rebel groups, which was supposed to be monitored and vetted to ensure that only ‘moderate’ groups were supported.

However, the newly declassified Pentagon report proves unambiguously that years before ISIS launched its concerted offensive against Iraq, the US intelligence community was fully aware that Islamist militants constituted the core of Syria’s sectarian insurgency.

Despite that, the Pentagon continued to support the Islamist insurgency, even while anticipating the probability that doing so would establish an extremist Salafi stronghold in Syria and Iraq.

As Shoebridge told me, “The documents show that not only did the US government at the latest by August 2012 know the true extremist nature and likely outcome of Syria’s rebellion”?—?namely, the emergence of ISIS?—?“but that this was considered an advantage for US foreign policy. This also suggests a decision to spend years in an effort to deliberately mislead the West’s public, via a compliant media, into believing that Syria’s rebellion was overwhelmingly ‘moderate.’”

Annie Machon, a former MI5 intelligence officer who blew the whistle in the 1990s on MI6 funding of al-Qaeda to assassinate Libya’s former leader Colonel Gaddafi, similarly said of the revelations:

“This is no surprise to me. Within individual countries there are always multiple intelligence agencies with competing agendas.”

She explained that MI6’s Libya operation in 1996, which resulted in the deaths of innocent people, “happened at precisely the time when MI5 was setting up a new section to investigate al-Qaeda.”

This strategy was repeated on a grand scale in the 2011 NATO intervention in Libya, said Machon, where the CIA and MI6 were:

“… supporting the very same Libyan groups, resulting in a failed state, mass murder, displacement and anarchy. So the idea that elements of the American military-security complex have enabled the development of ISIS after their failed attempt to get NATO to once again ‘intervene’ is part of an established pattern. And they remain indifferent to the sheer scale of human suffering that is unleashed as a result of such game-playing.”

Divide and rule

Several US government officials have conceded that their closest allies in the anti-ISIS coalition were funding violent extremist Islamist groups that became integral to ISIS.

US Vice President Joe Biden, for instance, admitted last year that Saudi Arabia, the UAE, Qatar and Turkey had funneled hundreds of millions of dollars to Islamist rebels in Syria that metamorphosed into ISIS.

But he did not admit what this internal Pentagon document demonstrates?—?that the entire covert strategy was sanctioned and supervised by the US, Britain, France, Israel and other Western powers.

The strategy appears to fit a policy scenario identified by a recent US Army-commissioned RAND Corp report.

The report, published four years before the DIA document, called for the US “to capitalise on the Shia-Sunni conflict by taking the side of the conservative Sunni regimes in a decisive fashion and working with them against all Shiite empowerment movements in the Muslim world.”

The US would need to contain “Iranian power and influence” in the Gulf by “shoring up the traditional Sunni regimes in Saudi Arabia, Egypt, and Pakistan.” Simultaneously, the US must maintain “a strong strategic relationship with the Iraqi Shiite government” despite its Iran alliance.

The RAND report confirmed that the “divide and rule” strategy was already being deployed “to create divisions in the jihadist camp. Today in Iraq such a strategy is being used at the tactical level.”

The report observed that the US was forming “temporary alliances” with al-Qaeda affiliated “nationalist insurgent groups” that have fought the US for four years in the form of “weapons and cash.” Although these nationalists “have cooperated with al-Qaeda against US forces,” they are now being supported to exploit “the common threat that al-Qaeda now poses to both parties.”

The 2012 DIA document, however, further shows that while sponsoring purportedly former al-Qaeda insurgents in Iraq to counter al-Qaeda, Western governments were simultaneously arming al-Qaeda insurgents in Syria.

The revelation from an internal US intelligence document that the very US-led coalition supposedly fighting ‘Islamic State’ today, knowingly created ISIS in the first place, raises troubling questions about recent government efforts to justify the expansion of state anti-terror powers.

In the wake of the rise of ISIS, intrusive new measures to combat extremism including mass surveillance, the Orwellian ‘prevent duty’ and even plans to enable government censorship of broadcasters, are being pursued on both sides of the Atlantic, much of which disproportionately targets activists, journalists and ethnic minorities, especially Muslims.

Yet the new Pentagon report reveals that, contrary to Western government claims, the primary cause of the threat comes from their own deeply misguided policies of secretly sponsoring Islamist terrorism for dubious geopolitical purposes.

Reprinted with permission from Zero Hedge.

dimanche, 17 mai 2015

L’État islamique a-t-il perdu la tête?

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L’État islamique a-t-il perdu la tête?

La guerre qui se profile entre Irakiens et Syriens pour remplacer al-Baghdadi !

Source: L’Atlantico

Ex: http://www.noterror.eu

Le « Conseil de la Choura » de l’EI réfléchirait à nommer un chef temporaire pour remplacer Abou Bakr al-Baghdadi, qui aurait été très grièvement blessé lors d’une frappe américaine en mars dernier. Une guerre des chefs fait rage au sein de Daesh, et elle pourrait nuire au califat autoproclamé.

Selon des transfuges de Daesh, le « Conseil de la Choura » de l’État islamique réfléchirait à nommer un chef temporaire pour remplacer Abou Bakr al-Baghdadi, qui aurait été très grièvement blessé lors d’une frappe américaine en mars dernier. Comment l’Etat islamique s’organise-t-il dans ces conditions ? Est-il ralenti ?

Il faut rester prudent. Pour l’instant, aucune confirmation de la mise hors de combat d’Al-Bagdhadi n’est parvenue aux autorités ni aux médias. Nous sommes donc dans le domaine des rumeurs. Ce qui peut aller dans ce sens, c’est qu’aucune déclaration affirmant que le « calife » est bien opérationnel n’est venue contredire ces mêmes rumeurs. Sur le terrain, Daech piétine en Syrie depuis la bataille de Kobané mais grignote du terrain en Irak, particulièrement dans la province d’Al-Anbar. Il est donc impossible pour l’instant de tirer des leçons sur une absence éventuelle du « commandant suprême ».

Une poussée à l’international est aussi sensible, notamment dans le Sinaï, en Libye et en Tunisie. Il convient de rester très prudent dans les pronostics avancés.

Deux Irakiens et un Syrien seraient en concurrence pour ce poste, selon les mêmes sources. Peut-on s’attendre à une guerre des chefs ?

Le problème réside dans le fait qu’Al-Bagdhadi n’a pas désigné de successeur (comme l’a fait Al-Zawahiri au sein d’Al-Qaida en désignant de facto l »émir d’Al-Qaida dans la Péninsule Arabique -AQPA-). Il y a donc un certain nombre de prétendants. Il est probable qu’une guerre des candidatures aura lieu. Techniquement, c’est à la « choura » (le conseil consultatif fort de neuf membres) de désigner un successeur.

Qui est le plus susceptible de l’emporter dans ces luttes d’influence ?

Là aussi, rien n’est certain. Les Américains semblent placer Abd al-Rahman Mustafa al-Qaduli, un ancien professeur de physique irakien en bonne place : d’où la mise à prix de sa tête pour sept millions de dollars depuis quelques jours. Cet individu était jusqu’alors peu connu.

On parlait plutôt d’Abou Ali al-Anbari, un ancien major-général irakien responsable du front syrien de Daech ou d’Abou Muslim al-Turkmani, responsable du front irakien. Abou Luqman Ali Moussa al-Hawikh, le « gouverneur » de Raqqa, la « capitale » de l’État Islamique est aussi évoqué. Il peut en sortir d’autres de la besace.

Quelles peuvent en être les conséquences pour l’organisation ?

Certains chefs locaux risquent de vouloir retrouver leur indépendance.

Il ne faut pas penser que la situation est simple pour Daech qui fonctionne grâce à de multiples alliances conclues avec des tribus et d’anciens cadres du parti Baas irakien. Cette unité est volatile. Cela pourrait conduire à une dislocation du « noyau » de l’État Islamique établi à cheval sur l’est de la Syrie et l’ouest de l’Irak. Cela dit, rien ne dit que Daech est « touché au cœur ». Il faut attendre la suite.

Personnellement, je pense que si al-Baghdadi était mort, il y aurait eu une revendication proclamant qu’il avait rejoint les « martyrs de la cause ». Il est peut être que blessé comme le laisse prétendre la rumeur. Les affaires courantes sont alors réglées par la choura.

Viendra le moment où la nomination d’un remplaçant, même temporaire, sera rendue obligatoire car les activistes islamiques ont besoin d’un chef qui les guide et leur sert d’exemple. Attendons la suite.

http://www.atlantico.fr/decryptage/etat-islamique-t-perdu-tete-guerre-qui-se-profile-entre-irakiens-et-syriens-pour-remplacer-al-baghdadi-alain-rodier-2140400.html

lundi, 11 mai 2015

Le Groupe État islamique en Ukraine

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Le Groupe État islamique en Ukraine: les États-Unis lâchent leurs « agents du chaos » en Eurasie

Auteur : Mahdi Darius Nazemroaya
Traduction Julie Lévesque
Ex: http://zejournal.mobi

Le soi-disant État islamique en Irak et en Syrie (EI) ou Daech est-il actif dans l’Ukraine post-Euromaïdan? On ne peut répondre exactement à cette question. Autrement dit, la réponse est à la fois oui et non.

Cela dit, qu’est-ce que Daech? Il s’agit d’un groupe peu structuré de milices, tout comme son prédécesseur Al-Qaïda. Son réseau comprend des groupes originaires du Caucase, lesquels se battent en Syrie et en Irak. Ceux-ci sont maintenant en Ukraine et l’utilise comme tremplin vers l’Europe.

Les Agents du chaos et la guerre pour l’Eurasie

Les conflits en Ukraine, en Syrie, en Irak, en Libye et au Yémen sont tous des fronts de la guerre multidimensionnelle menée par les États-Unis et leurs alliés. Cette guerre vise à encercler l’Eurasie et la Chine, l’Iran et la Russie sont les principaux objectifs.

Les États-Unis veulent également conquérir ces pays dans l’ordre suivant : d’abord l’Iran, suivi de la Russie et enfin la Chine comme dernière partie de l’ensemble que compose cette « Triple-Entente eurasienne ». Ce n’est pas une coïncidence si les conflits en Ukraine, en Syrie, en Irak, en Libye et au Yémen sont près des frontières de l’Iran et de la Russie, puisque Téhéran et Moscou sont les premiers objectifs à long terme de Washington.

Les conflits en Ukraine, en Syrie, en Irak, en Libye et au Yémen sont liés au même titre que les forces violentes, racistes, xénophobes et religieuses déchaînées pour agir comme « agents du chaos ». Ce n’est pas une simple coïncidence si le 10 septembre, 2014, Newsweek publiait un article titré « Des combattants volontaires nationalistes ukrainiens commettent des crimes de guerre rappelant l’États islamique ». Qu’elles le sachent ou non, ces forces déviantes, qu’il s’agisse des milices ultranationalistes Pravy Sektor en Ukraine ou des coupeurs de tête Al-Nosra et Daech, servent toutes un même maître. Ces agents du chaos créent différentes vagues de « chaos constructif » afin d’empêcher l’intégration eurasienne et un ordre mondial libre de diktats étasuniens.

Le « chaos constructif » déclenché en Eurasie finira par faire des ravages en Inde. Si New Delhi pense qu’on le laissera tranquille, il se trompe. Les mêmes agents du chaos le tourmenteront aussi. L’Inde constitue elle aussi une cible, tout comme la Chine, l’Iran et la Russie.

Étrange alliance entre Daech et les ultranationalistes ukrainiens

Que des liens ténus existent entre les divers agents du chaos ne devrait surprendre personne. Ces agents servent le même maître et ils ont les mêmes ennemis, dont l’un est la Fédération de Russie.

C’est dans ce contexte que Marcin Mamon a signalé la connexion de Dasech avec l’Ukraine. Il explique même que certains combattants du Caucase sentent qu’ils ont une dette envers les Ukrainiens comme Alexander Muzychko.

Mamon est un cinéaste et documentariste polonais ayant produit un certain nombre de documentaires sur la Tchétchénie, comme The Smell of Paradise (L’Odeur du paradis, 2005) avec Mariusz Pilis, pour le programme Storyville de la British Broadcasting Corporation. Il est également ouvertement sympathique à la cause des séparatistes tchétchènes contre la Russie dans le Caucase du Nord.

Les voyages de Mamon en Afghanistan et son interaction avec les combattants séparatistes tchétchènes ont amené le cinéaste polonais à avoir des contacts avec Daech en Syrie et en Turquie. Cela l’a incroyablement conduit vers une nouvelle voie : l’Ukraine.

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« À ce moment là, je ne savais même pas qui j’allais rencontrer. Je savais seulement que Khalid, mon contact en Turquie avec l’État islamique, m’avait dit que ses “frères” étaient en Ukraine et que je pouvais leur faire confiance », écrit-il à propos de sa rencontre dans une « rue pleine de nids-de-poule à Kiev, à l’est du fleuve Dniepr, dans une zone connue sous le nom de « Rive gauche ». Dans un article précédent, Mamon explique que ces soi-disant « ”frères” sont des membres de l’EI et d’autres organisations islamiques clandestines, [présentes] sur tous les continents et dans presque tous les pays, y compris désormais en Ukraine ». Il explique également que « Khalid, qui utilise un pseudonyme, dirige une branche clandestine de l’État islamique à Istanbul. Il est venu de Syrie pour aider à contrôler le flot de volontaires qui arrivent en Turquie de partout dans le monde et veulent se joindre au djihad mondial. Il voulait alors me mettre en contact avec Ruslan, un “frère” luttant avec les musulmans en Ukraine ».

Les ultranationalistes ukrainiens comme Muzychko sont également devenus des « frères » et ont été acceptés dans ce réseau. Mamon explique que les combattants tchétchènes l’ont accepté « même s’il ne s’est’ jamais converti à l’islam » et que « Muzyczko et d’autres volontaires ukrainiens s’étaient joints aux combattants tchétchènes et avaient participé à la première guerre tchétchène contre la Russie, [où ils avaient] commandé un groupe d’Ukrainiens bénévoles appelé Viking, lesquels ont combattu sous les ordres du célèbre chef militant tchétchène Chamil Bassaïev ».

Pourquoi l’EI est-il au service de bataillons privés en Ukraine?

Que faut-il comprendre lorsque des séparatistes tchétchènes et le réseau transnational de « frères » liés à l’EI sont recrutés ou utilisés pour remplir les rangs des milices privées utilisées par des oligarques ukrainiens? C’est une question très importante qui démontre par ailleurs clairement comment ces éléments sont des agents du chaos.

Marcin Mamon a voyagé en Ukraine pour rencontrer le combattant tchétchène Isa Munaïev. Il explique ainsi ses antécédents : « Même avant son arrivée en Ukraine, Munaïev était bien connu. Il a lutté contre les forces russes dans les deux guerres de Tchétchénie. Dans la seconde, il était le commandant à Grozny. Après la prise de la capitale tchétchène par les forces russes entre 1999 et 2000, Munaïev et ses hommes se sont réfugiés dans les montagnes, d’où il a combattu jusqu’en 2005, lorsqu’il a été grièvement blessé et est allé suivre un traitement en Europe. Munaïev a vécu au Danemark jusqu’en 2014. Puis, la guerre a éclaté en Ukraine et il a décidé qu’il était temps de se battre à nouveau contre les Russes. »

Ce qui précède est un passage important, car il illustre la façon dont les États-Unis et l’UE ont soutenu les militants qui luttent contre la Russie. Aux États-Unis comme dans l’UE, le refuge que le Danemark a donné à Isa Munaïev n’est pas remis en cause, alors que l’appui allégué de Moscou aux soldats des Républiques populaires de Donetsk et Lougansk est considéré comme criminel. Pourquoi le deux poids deux mesures? Pourquoi est-il acceptable que les États-Unis, l’UE et l’OTAN soutiennent des mouvements séparatistes et des milices dans d’autres parties du monde, chose que l’on interdit aux autres pays qui sont critiqués lorsqu’ils font de même?

« Un homme plus âgé portant une veste en cuir m’a présenté à Munaïev. « Notre bon frère Khalid a recommandé cet homme, dit-il. (Khalid est aujourd’hui l’un des leaders les plus importants de l’État islamique. Khalid et Munaïev se sont connus durant les années passées à lutter ensemble en Tchétchénie) », explique Marcin Mamon sur les liens entre les séparatistes tchétchènes et Daech.

Munaïev est venu en Ukraine pour établir « un bataillon privé qui se multiplierait par la suite en plusieurs dizaines de bataillons privés qui ont surgi pour se battre aux côtés du gouvernement ukrainien et fonctionnent séparément de l’armée ». Sa milice, le bataillon Djokhar Doudaïev, porte le nom du président séparatiste de Tchétchénie.

samedi, 21 mars 2015

Wesley Clark: «L’EI a été fondé grâce au financement de nos alliés les plus proches»

Le général Wesley Clark: «L’EI a été fondé grâce au financement de nos alliés les plus proches»

Auteur : Daniel McAdams
Ex: http://zejournal.mobi

clark.jpgDe nombreuses personnes connaissent le général Wesley Clark comme l’homme qui a quasiment déclenché la troisième Guerre mondiale, lorsqu’il a donné l’ordre aux Britanniques de tirer sur les forces de maintien de la paix russes qui avaient atterri à Pristina, la capitale du Kosovo, avant l’arrivée des Américains. On rapporte que le commandant britannique de la KFOR, le général Sir Mike Jackson, aurait répondu: «Je ne commencerai pas la troisième Guerre mondiale pour vous».

Toutefois, une des caractéristiques les plus intéressantes du général Clark est sa tendance à laisser échapper, de temps à autre, des propos surprenants.

Comment pourrait-on oublier l’entretien qu’il a accordé à Amy Goodman en 2007 et dans lequel il a dévoilé qu’un des officiers généraux du Pentagone lui avait montré, peu après les attentats du 11 septembre 2001, une note de service de Donald Rumsfeld, le secrétaire à la Défense de l’époque, qui exposait les grandes lignes des projets mondiaux militaires des Etats-Unis. Selon Clark, le général avait déclaré:

«Nous allons détruire sept pays en cinq ans, en commençant par l’Irak, ensuite la Syrie, le Liban, la Libye, la Somalie, le Soudan et, pour terminer l’Iran.» J’ai demandé: «Est-ce que c’est secret?» Il a répondu: «Oui.» Moi, j’ai dit: «Alors ne me le montrez pas.» Quand je l’ai revu, il y a environ un an, j’ai demandé: «Vous vous souvenez?» Et il a répliqué: «Monsieur, je ne vous avait pas montré cette note de service-là! Je ne vous l’avait pas montrée!» [Général Wesley Clark lors d’un entretien accordé à Amy Goodman de Democracy Now, 2/3/15]

Maintenant, Clark est de retour avec d’autres propos étonnants.

Loin d’être une organisation qui aurait surgit de manière spontanée en tant que la cause de tous les maux, au moins selon le général Wesley Clark, l’EI a été créé et financé par nos «alliés les plus proches». Le général a affirmé: l’EI s’est développé grâce aux financements de la part de nos amis et alliés… afin de lutter à mort contre le Hezbollah.

Il n’a pas expliqué de quels amis et alliés il parlait, il a néanmoins indiqué que la situation s’est transformée en un «monstre de Frankenstein». [Général Wesley Clark lors d’un entretien avec CNN Newsroom, 17/2/15]

En effet, notre initié, le général Wesley Clark, nous fait savoir que nos alliés les plus proches au Moyen-Orient ont contribué à la création de l’EI – l’organisation pour la lutte contre laquelle nous dépensons des milliards de dollars.

On sait que Israël, l’Arabie saoudite et d’autres Etats du Golfe sont depuis longtemps obsédés par la lutte contre le Hezbollah et Assad. De la même manière, ces deux Etats s’appliquent pour que les Etats-Unis continuent à lutter dans la région pour leur compte. Et si c’était eux qu’il avait en tête?

Au lieu de continuer à renforcer sa présence militaire dans la région afin de lutter contre l’EI, il est probablement grand temps que les Etats-Unis parlent sérieusement avec leurs «alliés» au Moyen-Orient.


- Source : Daniel McAdams

mardi, 17 mars 2015

The ISIS-US Empire – Their Unholy Alliance Fully Exposed

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The ISIS-US Empire – Their Unholy Alliance Fully Exposed

Let’s be perfectly clear. The United States is not actually at war with ISIS. As Global Research director, economist and author Michel Chossudovsky plainly points out recently, Obama is simply waging “a fake war” against the Islamic State forces, putting on another propaganda show for mainstream media to keep his flock of American sheeple asleep in echo-chambered darkness. With a mere cursory review of recent historical events, one can readily realize that virtually everything Big Government tells us is happening in the world, you can bet is a boldface lie.

For over three and a half decades the US has been funding mostly Saudi stooges to do its dirty bidding in proxy wars around the world, beginning in Afghanistan in the 1980’s to fight the Soviets with the mujahedeen-turned al Qaeda that later would mutate into ISIS. Reagan and Bush senior gave Osama bin Laden his first terrorist gig. Our mercenary “Islamic extremists” for-hire were then on the CIA payroll employed in the Balkans during the 1990’s to kill fellow Moslem Serbs in Kosovo and Bosnia. For a long time now Washington’s been relying on the royal Saudi family as its chief headhunters supplying the United States with as needed terrorists on demand in order to wage its geopolitics chessboard game of global hegemony, otherwise known by the central banking cabal as global “Theft-R-Us.”

The Bush crime family were in bed with the bin Ladens long before 9/11 when that very morning George H W Bush on behalf of his Carlyle Group was wining and dining together with Osama’s brother at the posh DC Ritz Carlton while 19 box cutting Saudi stooges were acting as the neocon’s hired guns allegedly committing the greatest atrocity ever perpetrated on US soil in the history of this nation. And in the 9/11 immediate aftermath while only birds were flying the not-so-friendly skies above America, there was but one exception and that was the Air Force escort given the bin Ladens flying safely back home to their “Terrorists-R-Us” mecca called Saudi Arabia. On 9/11 the Zionist Israeli Mossad, Saudi intelligence and the Bush-Cheney neocons were busily pulling the trigger murdering near 3000 Americans in cold blood as the most deadly, most heinous crime in US history. If you’re awake enough to recognize this ugly truth as cold hard fact, then it’s certainly not a stretch to see the truth behind this latest US created hoax called ISIS.

Renowned investigative journalist and author Seymour Hersh astutely saw the writing on the wall way back in 2006 (emphasis added):

 To undermine Iran, which is predominantly Shiite, the Bush Administration has decided, in effect, to reconfigure its priorities in the Middle East. In Lebanon, the Administration has cooperated with Saudi Arabia’s government, which is Sunni, in clandestine operations that are intended to weaken Hezbollah, the Shiite organization that is backed by Iran. The U.S. has also taken part in clandestine operations aimed at Iran and its ally Syria. A by-product of these activities has been the bolstering of Sunni extremist groups that espouse a militant vision of Islam and are hostile to America and sympathetic to Al Qaeda.

The US Empire along with its international partner-in-crime Israel has allowed and encouraged Saudi Arabia, Qatar and the United Arab Emirates to be the primary financiers of al Qaeda turned ISIS. Even Vice President Joe Biden last year said the same. If Empire wanted to truly destroy the entire Islamic extremist movement in the Middle East it could have applied its global superpower pressure on its allied Gulf State nations to stop funding the ISIS jihadists. But that has never happened for the simple reason that Israel, those same Arab allies and the United States want a convenient “bad guy” enemy in the Middle East and North Africa, hiding the fact that al Qaeda-ISIS for decades has been its mercenary ally on the ground in more recent years in the Golan Heights, Libya, Iraq and Syria.

As recently as a month ago it was reported that an Islamic State operative claimed that funding for ISIS had been funneled through the US. Of course another “staunch” US-NATO ally Turkey has historically allowed its territory to be a safe staging ground as well as a training area for ISIS. It additionally allows jihadist leaders to move freely in and out of Syria through Turkey. Along with Israel and all of US Empire’s Moslem nation states as our strategic friends in the Middle East, together they have been arming, financing and training al Qaeda/ISIS to do its double bidding, fighting enemies like Gaddafi in Libya and Assad in Syria while also posing as global terrorist boogie men threatening the security of the entire world. Again, Washington cannot continue to double speak its lies from both sides of its mouth and then expect to continue having it both ways and expect the world to still be buying it.

A breaking story that’s creating an even larger crack in the wall of the US false narrative is the revelation that Iraqi counterterrorism forces just arrested four US-Israeli military advisors assisting (i.e., aiding and abetting) the ISIS enemy, three of whom hold duel citizenships from both Israel and America. This latest piece of evidence arrives on the heels of a Sputnik article from a couple weeks ago quoting American historian Webster Tarpley saying that “the United States created the Islamic State and uses jihadists as its secret army to destabilize the Middle East.” The historian also supported claims that the ISIS has in large part been financed by the Saudi royal family. Interviewed on Press TV the critic of US foreign policy asked why NATO ally Turkey bordering both Iraq and Syria where the Islamic State jihadists continue to terrorize, why can’t Turkey simply use its larger, vastly superior army to go in and defeat the much smaller ISIS, especially if the US and NATO were serious about destroying their alleged enemy. Again, if ISIS is the enemy, why did the US recently launch an air strike on Assad’s forces that were in process of defeating ISIS? The reason is all too obvious, the bombing was meant to afflict damage to stop Assad’s forces from beating back ISIS that the US is clearly protecting.

Finally, Tarpley reaffirmed what many others have been saying that chicken hawk Senator John McCain is actual buddies with ISIS kingpin Abu Bakr al-Baghdadi. Of course photos abound of his frequent “secret” meetings with ISIS leadership illegally conducted inside Syria. This confirmed fact provides yet one more obvious link between the high powered criminal operative posing as US senator and the so called enemy of the “free world” ISIS.

Recall that iconic photo from June last year of American supplied trucks traveling unimpeded in the ISIS convoy kicking up dust in the Iraqi desert fresh from the Syrian battlefields heading south towards Baghdad. It was no accident that they were equipped with an enormous fleet of brand new Toyota trucks and armed with rockets, artillery and Stinger missiles all furnished by US Empire. Nor was it an accident that the Iraqi Army simply did an about face and ran, with orders undoubtedly coming from somewhere high above in the American Empire. The Islamic State forces were allowed to seize possession of 2500 armored troop carriers, over 1000 Humvees and several dozen US battlefield tanks all paid for by US tax dollars. This entire spectacle was permitted as ISIS without any resistance then took control of Mosul the second largest city in Iraq including a half billion dollars robbing a bank. Throughout this process, it was definitely no accident that the United States allowed the Islamic State forces to invade Iraq as with advanced US airpower it could have within a couple hours easily carpet bombed and totally eliminated ISIS since the Islamic State possessed no anti-aircraft weapons. And even now with the hi-tech wizardry of satellites, lasers, nanotechnology and advanced cyber-warfare, the US and allied intelligence has the means of accurately locating and with far superior firepower totally eradicating ISIS if the will to do so actually existed. But the fact is there is no desire to kill the phantom enemy when in fact it’s the friend of the traitors in charge of the US government who drive the Empire’s global war policy.

Washington’s objective last year was to purposely unleash on already ravaged Iraq the latest US-made, al Qaeda morphed into the Islamic monster-on-steroids to further destabilize the Middle Eastseek a regime change to replace the weak, corrupt, Sunni persecuting Maliki government in Baghdad and ‘balkanize” Iraq into three separate, powerless, divisive sections in similar vein of how the West tore apart and dissected Yugoslavia into thirteen ineffectual pieces. The globalist pattern of bank cabal loans drowning nations into quicksand debt and transnationals and US Empire posts predatorily moving in as permanent fixtures always replace what was previously a far better off sovereign nation wherever King Midas-in-reverse targets to spreads its Empire disease of failed-state cancer. After Yugoslavia came Iraq, Afghanistan, Libya, Syria, Yemen and Ukraine. It goes on and on all over the globe. The all too familiar divide and conquer strategy never fails as the US Empire/NWO agenda. But the biggest reason ISIS was permitted to enter and begin wreaking havoc in Iraq last June was for the Empire to re-establish its permanent military bases in the country that Maliki had refused Washington after its December 2011 pullout.

With 2300 current US troops (and rising up to 3000 per Obama’s authorization) once again deployed back on the ground in Iraq acting as so called advisors, Iraq is now the centerpiece of US military presence in the Middle East region. Before a doubting House Armed Services Committee last Tuesday, CENTCOM Commander General Lloyd Austin defended Obama’s policyinsisting that ISIS can be defeated without use of heavy ground forces, feebly claiming that they’re on the run because his commander-in-chief’s air strike campaign is actually working. How many times before have we heard generals’ glowing reports to Congress turn out to be lies?

As far as PR goes, it appears the lies and propaganda are once again working. With help from the steady stream of another beheading-of-the week posted like clockwork on Youtube for all the world to shockingly see, not unlike when traffic slows down to look for bloodied car victims mangled on the highway. Apparently this thinly veiled strategy is proving successful again on the worked over, dumbed down, short attention-spanned American population. According to a poll released just a few days ago, 62% of Americans want more GI boots on the ground in Iraq to fight the latest made-by-America enemy for Iraq War III. Incredibly only 39% believe that more troops on the ground would risk another long, protracted war. Again, short attention spans are doomed to keep repeating history as in Vietnam, Iraq and Afghanistan.

This polling propaganda disinformation ploy fits perfectly with prior statements made a few months ago by America’s top commander General Martin Dempsey that the US military presence in both Iraq and Syria must be a long term commitment as the necessary American sacrifice required to effectively take out ISIS. With US leaders laying the PR groundwork for more Empire occupations worldwide, of course it’s no accident that it conveniently fits in with the Empire’s agenda to wage its war of terror on a forever basis. Efforts by Washington to “prep” Americans for these “inevitable,” open-ended wars around the globe are designed to condition them into passive acceptance of lower intensity, “out-of-sight, out-of-mind” conflicts specifically to minimize and silence citizens from ever actively opposing yet more human slaughter caused by more US state sponsored terrorism in the form of unending imperialistic wars.

Every one of these “current events” have been carefully planned, coordinated, timed and staged for mass public consumption, none more so than those beheadings of US and British journalists, aid workers and Middle Eastern Christians along with the desecration of ancient Iraqi history with dozens of destroyed museums, churches and shrines. Obama and the Empire want us all to be thoroughly horrified and disgusted so we fear and hate the latest designated Islamic enemy. Hating your enemy to the point of viewing them as the lowest of the lowest, sub-human animal is an old psyops brainwashing trick successfully employed in every single war from the dawn of violent man. It effectively dehumanizes the enemy while desensitizing the killing soldier. For over a year now we’ve seen this same MSM game being relentlessly waged to falsely demonize Putin. The sinister, warped minds of the divide and conquer strategists from the ruling class elite don’t mind the resultant hating of Moslems around the world either. That’s all by diabolical design too.

If only six organizations control the entire planet’s mass media outlet that feeds the masses their daily lies like their daily bread, another winning bet would be that in a heartbeat they could also effectively shut down the internet pipeline that showcases ISIS horror show theatrics on the global stage. But by design, they are willingly, cunningly disseminated for worldwide mass consumption.

In fact the only consistent group that’s even been able to militarily hold their own and actually challenge ISIS, the Kurds, are watching UK ship heavy arms to the same losing team the Iraqi army that ran away from defending Mosul. The last time the West gave them weapons and supplies, they handed them right over to ISIS.

In a recent Guardian article, a Kurdish captain said that the Kurds offered to even buy the second hand weapons from the British used in Afghanistan. But because the West is afraid the heavy arms might empower Kurdish nationalism into demanding their own sovereign nation for the first time in history, the US wants to ensure that Iraq stays as one nation after implanting its latest Baghdad puppet regime. The fiercely independent Kurds are feared if they were granted autonomy that they might refuse to allow their homeland to be raped and plundered by the US unlike the corrupt current Iraqi government. The Kurdish fighters could sorely use the bigger guns as they plan to launch an offensive in April or May to take back Mosul from ISIS. But when permitting an ancient ethnic group its proper due by granting political autonomy risks interfering with the Empire’s rabid exploitation of another oil-rich nation, all bets are off in doing the right thing.

The mounting evidence is stacking up daily to unequivocally prove beyond any question of a doubt that ISIS is in fact a US mercenary ally and not the treasonous feds’ enemy at all. From mid-August 2014 to mid-January 2015 using the most sophisticated fighter jets known to man, the US Air Force and its 19 coalition allies have flown more than 16,000 air strikes over Iraq and Syria ostensibly to “root out” ISIS once and for all. Yet all this Empire aggression has nothing to show for its wasted phony efforts as far as inflicting any real damage on the so called ISIS enemy. Labeled a “soft counterterrorism operation,” a prominent Council on Foreign Relations member recently characterized Obama’s scheme as too weak and ineffectual, and like a true CFR chicken hawk, he strongly advocates more bombs, more advisers and special operations forces deployed on the ground.

But the records show that all those air strikes are purposely not hitting ISIS forces because they are not the actual target. Many air strike missions from both the US Air Force as well as Israeli jets have been designed to destroy extensive infrastructure inside Syria that hurts the Syrian people, causing many innocent civilian casualties, while not harming ISIS at all. This in turn ensures more ISIS recruits for America’s forever war on terror. Repeatedly oil refineries, pipelines and grain storage silos have also been prime targets damaged and destroyed by the West. Because in 2013 Obama’s false flag claim that Assad’s army was responsible for the chemical weapons attack was thwarted by strong worldwide opposition and Putin’s success brokering the deal that had Assad turning over his chemical weapons, a mere year later ISIS conveniently provided Obama’s deceitful excuse to move forward with his air offensive on Syria after all.

Finally, on numerous occasions the US was caught red-handed flying arms and supply drops to the Islamic jihadists on the ground. According to Iraqi intelligence sources, US planes have engaged regularly in air drops of food and weapons to ISIS. These sighting began to be observed after one load was “accidentally” dropped last October into so called enemy hands supposedly meant to go to the Kurdish fighters. Realizing the US has betrayed them, as of late Iraqi security forces have been shooting down US and British aircraft engaged in providing supplies and arms to their ISIS enemy. This is perhaps the most incriminating evidence yet in exposing the truth that ISIS is being supported, supplied and protected by the US Empire more than even the Iraqi government forces the US claims to be assisting in this phony war against the militant Islamic jihadists.

Clearly the unfolding daily events and developments in both Iraq and Syria overwhelmingly indict the United States as even more of “the bad guy” than the supposed ISIS terrorists. Recently the US was caught financing ISIS and has all along supported Arab allies that knowingly fund Islamic extremism. During the six months since Obama vowed to go after them and “root them out,” countless times the US and allies have maintained the so called enemy’s supply line with regularly scheduled air drops. Meanwhile, in both Syria and Iraq after a half year of alleged bombing, ISIS forces are reported to be stronger than ever. The air strikes have not been hitting jihadist targets because the American and coalition forces’ actual targets in Syria have been vital infrastructure and civilians that are clearly attacks on Assad. All of this irrefutable evidence piling up is backfiring on the American Empire. The world is now learning just how devious, diabolical and desperate the warmongering, pro-Zionist powerbrokers who are the war criminals controlling the US rogue government really are. Their evil lies are unraveling their demonic agenda as the truth cannot be stopped.

Reprinted with permission from GlobalResearch.ca.

samedi, 14 mars 2015

Chessboard

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lundi, 09 mars 2015

Etat islamique: Destruction d’«idoles» au musée de Mossoul

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Gilles Munier*
 
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Etat islamique: Destruction d’«idoles» au musée de Mossoul

Ex: http://www.toutsaufsarkozy.com

La vidéo mise en ligne par l’Etat islamique montrant des djihadistes détruisant des statues antiques et découpant un taureau ailé assyrien m’a accablée. J’ai visité le musée et les sites archéologiques de la région – Ninive, Hatra, Khorsabad, Nimrod - à plusieurs reprises à la fin des années 90. A l’époque, il était quasiment fermé. Pendant la Première guerre du Golfe, l’armée irakienne avait monté la garde autour du bâtiment pour le protéger des risques de pillage. De nombreuses pièces archéologiques avaient été mises en sécurité. Sur les sites de Hatra et de Nimrod, j’avais vu des statues et des coupoles de temples détériorées par des tirs de missiles ou des passages du mur du son à faible altitude.

Dans mon Guide de l’Irak, publié en 2000* (photos de Erick Bonnier), j’écrivais à propos du musée :

« … les statues monumentales et les collections d’objets présentées égalent celles des grands musées occidentaux parmi les statues des dieux, les plus intéressantes pour les passionnés d’histoire religieuse sont celles de Marân, Martân et Bar-Marîn », c’est-à-dire, en araméen ancien : « Notre-Seigneur, Notre-Dame et le Fils-de-nos-Deux-Seigneurs ».

shamash.jpgCes trois divinités du panthéon hatréen pourraient avoir inspiré la Trinité chrétienne. Leurs statues provenaient du temple de Shamash, le dieu soleil assyrien.

Du temps où le royaume arabe de Hatra resplendissait, des bédouins venaient de toute l’Arabie pour effectuer à l’intérieur du temple de Shamash des rites de circumambulation, comme le font aujourd’hui les musulmans autour de la Qaaba, à La Mecque.

Aujourd’hui, on ne voit pas en quoi l’existence d’anciennes « idoles » mésopotamiennes exposées dans des vitrines a de gênant. Les statues du musée de Mossoul ne menacent pas les musulmans. Il ne viendrait à l’idée de personne de les adorer. Leur destruction avait un sens à l’époque du Prophète Muhammad et de la conversion de populations païennes à l’islam, mais le fait qu’elles aient été adorées il y a 7000 ans, bien avant la Révélation du Coran, fait partie d’une histoire qui ne peut être gommée.

Quant au taureau ailé découpé à la scie mécanique, qui selon mes souvenirs se trouve sous le tombeau du prophète Jonas, et qui faisait partie d’une entrée du palais d’Asarhaddon (681-669 av. J-C), fils d’Assourbanipal, il suffisait de le recouvrir de terre pour le cacher à la vue de la population.

La directrice générale de l'Unesco a demandé jeudi dernier la convocation d’une réunion de crise du Conseil de sécurité des Nations unies pour protéger le patrimoine archéologique irakien. C’est bien, mais un peu tard. Il eut mieux valu qu’elle s’en préoccupe sérieusement dès la Première guerre du Golfe… Depuis, il y a eu les pillages organisés du musée de Bagdad (avril 2003) et de nombreux sites laissés à l’abandon, ou occupés comme par hasard par les troupes américaines (Ur et Babylone, par exemple).

Outre les destructions imbéciles effectuées par l’Etat islamique : quid des dégâts provoqués sur certains sites par les bombardements actuels de la coalition américaine ? Il y a fort à parier que les opérations qui seront lancées pour reconquérir Mossoul, annoncées pour le printemps prochain, détruiront en grande partie la ville. L’Unesco va-t-elle demander aux Occidentaux et à leurs alliés de sauvegarder les édifices religieux anciens, ou les ruines de Ninive si des combats s’y déroulent ? J’en doute.

* « Guide de l’Irak », Jean Picollec Editeur (Paris)

* « Irak, an illustrated history », Interlink Group (Etats-Unis)
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http://www.france-irak-actualite.com/

lundi, 02 mars 2015

Turkije weigert 5000 voor ISIS gevluchte christenen op te nemen

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Turkije weigert 5000 voor ISIS gevluchte christenen op te nemen

Turken laten trucks en terroristen van IS ongemoeid via hun grondgebied reizen

Amerikaanse/Europese/Arabische coalitie bombardeert christelijke dorpen 

De Turkse president Erdogan zal in de toekomst met een invasie van Syrië een begin maken met het herstel van Ottomaanse Rijk, dat een eeuw geleden al een half miljoen Assyrische christenen vermoorde.

Zo’n 5000 Assyrische christenen die gevlucht zijn voor het barbaarse geweld van de islamitische terreurgroep IS hopen net als veel anderen tijdelijk toegang te krijgen tot Turkije. De Turkse regering weigert hen echter op te nemen, terwijl moslim jihadisten wel worden toegelaten. Sterker nog, IS-terroristen mogen ongehinderd gebruik maken van het Turkse grondgebied.

Geschiedenis herhaalt zich

Volgens het Assyrian Human Rights Network houdt IS in diverse dorpen 262 achtergebleven christenen gevangen. Die lopen ook nog eens het gevaar getroffen te worden door een Amerikaanse luchtaanval.

De Syrische katholieke bisschop Jacques Bahnan bevestigde op Vatican Radio dat Turkije in de regio Al-Hasakah de grens heeft gesloten voor christelijke vluchtelingen. ‘Turkije staat wel toe dat IS-trucks en -troepen met gestolen goederen uit Syrië, tarwe en katoen via zijn grondgebied reizen, maar houdt christenen bij de grenzen tegen.’

De geschiedenis herhaalt zich. Tussen 1914 en 1918 werden ruim een half miljoen Assyrische christenen tijdens de Armeense genocide door de Ottomaanse Turken vermoord. Wat toen niet lukte, probeert Ankara alsnog te bereiken: de totale uitroeiing van alle christenen in de regio, deze keer door de hand van IS, dat logistiek en militair gesteund wordt door Turkije.

Amerika geeft moslims wel wapens, maar christenen niet

Dr. Jamil Hanna van het Assyrische Instituut in Stockholm zei dat het bewapenen van de Koerden –die eveneens moslims zijn- door de VS, en niet de christenen, een grote fout is geweest, want daardoor kon IS ongehinderd de christelijke dorpen veroveren.

ARA News (2) berichtte dat de Amerikaanse-Europese-Arabische coalitie een aantal van deze dorpen heeft gebombardeerd, terwijl bekend moet zijn dat hier voornamelijk christenen wonen. Die spreken nog altijd Aramees, de taal die Jezus Christus ook sprak. De Assyriërs waren één van de eerste volken die zich tot het christendom bekeerden, en beschouwen zichzelf als de laatste oorspronkelijke bewoners van Syrië en Irak.

Turkije bewapent jihadisten Syrië

Afgelopen maand liet de Amerikaanse vicepresident Joe Biden zich tijdens een toespraak aan de Universiteit van Harvard ontvallen dat NAVO-lid Turkije inderdaad de jihadisten in Syrië bewapent. De Turkse president Recep Tayyip Erdogan was niet blij dat Biden de waarheid vertelde, en eiste –en kreeg- een onmiddellijk excuus.

De hoog in aanzien staande onafhankelijke Amerikaanse journalist Seymour Hersh, winnaar van de prestigieuze Pulitzer Prijs, bevestigd na een uitgebreid onderzoek dat Turkije wel degelijk de islamistische rebellen in Syrië steunt, traint en bewapent, en zelfs achter de gifgasaanval in Damascus zat. Een Turkse journalist die daar in 2014 nieuw bewijs voor had verzameld, kwam vervolgens onder verdachte omstandigheden om het leven.

Xander

(1) Shoebat
(2) ARA News
(3) The Hill (via Shoebat)

samedi, 28 février 2015

L’aide américaine à DAESH se confirme

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L’aide américaine à DAESH se confirme : des Marines et des hélicoptères Apaches chez les djihadistes

Auteur : Al Manar
Ex: http://zejournal.mobi

Les Irakiens continuent de détecter des contacts entre les Américains en Irak et Daesh (Etat islamique-EI) dans les régions que celui-ci occupent.

Contrairement aux allégations américaines de combattre cette milice wahhabite takfiriste dans le cadre de la coalition internationale, de plus en plus d’accusations sont proférées par des dirigeants irakiens sur des liens qu’ils entretiennent avec elle.

Selon le site d’information Arabi-Press, deux nouveaux faits ont été révélés cette semaine par le chef des forces de mobilisation populaire qui comptent dans ses rangs les jeunes volontaires irakiens, depuis la prise de Mossoul et d’al-Anbar par Daesh.

Ces agissements coincident avec les avancées de l’armée irakienne et de ses supplétifs des forces paramiltaires populaires dans ces régions. Mercredi, le ministère irakien de la Défense a affirmé avoir libéré deux régions situées entre les deux provinces Diyala et Salaheddine, Albou Baker et Albou Awwad.

Selon Thamer al-Khafaji qui s’exprimait pour la correspondante du site d’information Arabi-Press, trois Marines américains ont été parachutés dans la province de Babel ,  et deux hélicoptères d’origine inconnue ont atterri dans deux régions de la province de Diyala, à deux moments différents.

S’agissant des parachutistes, ils ont été vus à l’aube de mercredi dernier, en train de se jeter à partir d’un hélicoptère Apache dans la région al-Obaidate, dans le caza de Moussayyab, au nord de la province de Babel.

Concernant le deuxième évènement, il est question d’abord d’un Apache qui avait été vu  dans la nuit de mardi à mercredi en train d’atterrir dans les parages du village al-Safra , dans le prolongement de la région al-Azim, au nord de Diyala

Quelques heures plus tard, mercredi matin un hélicoptère d’origine inconnu est descendu à son tour au sud de la région de Bahraz du côté de Kanaane, au sud de la province de Diyala. Il y est resté quelques 15 minutes avant de décoller de nouveau.

Nombreux sont les responsables locaux dans cette province qui ont assuré avoir vu des hélicoptères non identifiés atterrir dans les bastions de Daesh au nord-est de Diyala et avoir largué des armes et des approvisionnements.

Un législateur irakien, Hamed al-Zameli a rapporté pour l’agence Fars news que l’actuel gouvernement de Bagdad reçoit quotidiennement des rapports des forces de sécurité dans la province d’al-Anbar sur des parachutages d’armes pour Daesh. Et d’accuser les Etats-Unis de vouloir provoquer le chaos en Irak en soutenant l’Etat islamique.

D’autres députés irakiens se plaignent de cette situation.
« Nous avons découvert des armes fabriquées aux Etats-Unis, dans les pays européens et en Israël dans les zones libérées du contrôle de l’EI dans la région Al-Baqdadi », écrit le site d’information al-Ahad, citant Khalaf Tarmouz, le chef du Conseil provincial d’al-Anbar. Tarmouz a également dit que des armes fabriquées en Europe et en Israël ont aussi été découvertes à Ramadi.


« Les Etats-Unis lâchent des armes pour l’EI avec l’excuse qu’ils ne savent pas où sont les positions de l’EI et s’efforcent de tordre la réalité avec ce genre d’allégations », dit-il.

Selon InfoWars, en décembre, les médias étatiques iraniens avaient affirmé que l’armée de l’air états-unienne avait largué pour la seconde fois des armes dans les zones tenues par l’Etat islamique.

En novembre, des sources des services de renseignement irakiens ont dit que les Etats-Unis approvisionnent activement l’EI en armes. « Les services de renseignement irakiens ont répété que les avions militaires états-uniens avaient largué plusieurs cargaisons d’aide pour les terroristes de l’EI afin de les aider à résister au siège de l’armée irakienne, des forces de sécurité et du peuple », explique un rapport.

En octobre, les sources de la coalition avaient reconnu ce qu’elles ont considéré être un parachutage prétendument erroné d’armes qui sont tombées aux mains des combattants de l’Etat islamique à l’extérieur de Kobané en Syrie.

En juillet (2014), Infowars faisait état de la grande quantité d’armes états-uniennes capturées par l’EI.

En plus des véhicules de combat et de l’artillerie acquise précédemment par l’armée irakienne, la mine d’armement provenant des bases US incluait plus de 50 batteries d’artillerie de 155mm M-198 et 4000 mitrailleuses PKC.


- Source : Al Manar