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mardi, 24 juin 2008

La partecipazione italiana alla guerra di Spagna

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La partecipazione italiana alla guerra di Spagna

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Daniele Lembo stampa
La partecipazione italiana alla guerra di Spagna

Il 1936 è un anno decisivo per la Spagna. Le elezioni hanno portato al governo le sinistre e la situazione politica, già precedentemente incandescente, raggiunge livelli di esasperazione. I militari, appoggiati dalle frange nazionaliste, mal tollerando la situazione politica venutasi a creare, a metà luglio, si sollevano contro il governo legittimo.
Inizialmente, il pronunciamento militare, a capo del quale è il generale Sanjurjo, sembra non attecchire. I rivoltosi controllano saldamente solo il Marocco spagnolo. Oltre alla regione Nord africana, i nazionalisti si impongono anche nella Vecchia Castiglia, nella Navarra, in Galizia, nel nord dell’Estremadura, nelle province di Siviglia, Cadice, Cordova e Granada. Ma le grandi città come Madrid, Barcellona, Bilbao e nella maggior parte del Paese la situazione è decisamente nelle mani del governo legittimo.
La situazione inizierà a cambiare quando, in seguito alla morte di Sanjurjo, a capo dei Nazionalisti si mette il generale Francisco Franco Bahamonde. A Franco, nel prendere il comando delle truppe ribelli, si presenta l’impellente necessità di trasportare le sue truppe marocchine dall’Africa del Nord al territorio metropolitano spagnolo. Il trasferimento è indispensabile per appoggiare la rivolta nella penisola Iberica che, altrimenti, verrebbe presto soffocata.
Per il trasbordo attraverso lo stretto di Gibilterra il generale spagnolo ha bisogno di navi ed aerei, mezzi dei quali, purtroppo egli non dispone e non gli resta che sperare nell’aiuto di Nazioni amiche.
La Germania cede ai nazionalisti venti apparecchi Junkers Ju52 mentre, inizialmente, Mussolini sembra non voler dare alcun aiuto ai rivoltosi. A Roma è stato espressamente inviato da Franco Juan Bolin, per perorare la causa dei nazionalisti e l’ambasciatore di Franco riuscirà a smuovere il Duce solo quando gli dirà che Hitler ha già concesso gli Ju52.
Il 30 luglio 1936 decollano da Elmas, in Sardegna, 12 trimotori Siai SM81 “Pipistrello”. I velivoli, ufficialmente acquistati da Juan Bolin, hanno le insegne obliterate e i 63 uomini che costituiscono gli equipaggi, al comando del tenente colonnello Ruggero Bonomi, vestono abiti civili e hanno nomi di copertura e documenti che li qualificano come personale civile estraneo alla Regia Aeronautica. Per escludere ogni collegamento tra gli aerei e l’Aeronautica italiana, non sono state cancellate solo le matricole militari degli aerei ma sono state limate anche le matricole delle armi di bordo. I trimotori, che volano alla volta del Marocco Spagnolo, incontreranno pessime condizioni meteoclimatiche e non arriveranno tutti a destinazione. Uno precipita in mare, un secondo effettua un atterraggio di emergenza a Bekrane, nel Marocco francese, e va distrutto al suolo, un altro atterra a Zaida, in Algeria, nel territorio del protettorato francese, venendo confiscato dalle autorità francesi. Alla fine, dei dodici partiti dalla Sardegna, solo nove SIAI atterrano a Melilla, in Marocco. Benché il modesto contingente aereo italiano giunga a destinazione ridotto a tre quarti dell’origine, i velivoli saranno preziosi per Franco dando un importante contributo al trasbordo in Spagna del corpo ispano – marocchino dei nazionalisti che viene trasferito sulla penisola iberica entro il 9 agosto.
L’invio dei 12 trimotori Siai SM81 non sarà un fatto isolato legato alle necessità contingenti di Franco e dei suoi, ma segnerà l’inizio dell’invio di una serie infinita di aiuti ai Nazionalisti spagnoli che in Italia avrà come nome di copertura “Esigenza Oltre Mare”. Ai trimotori Siai seguono dodici caccia Fiat CR32 che, il 14 agosto 1936, vengono sbarcati smontati a Melilla (Marocco). I caccia, come d’altronde i Siai, sono accompagnati dai piloti.
Ai primi 12 caccia CR32 ne seguiranno molti altri e gli invii di materiale aeronautico italiano vedranno arrivare in Spagna biplani da ricognizione Imam RO37, assaltatori Breda BA65 e i più modesti Cab AP1, addestratori Breda BA28 e Fiat CR30B, addestratori avanzati Imam RO41, bimotori da osservazione e aerocooperazione CA310, idrovolanti Cant Z501 e Cant Z506, ma anche i nuovi bombardieri Savoia Marchetti SM79. Oltre ai velivoli citati, sarà ceduta all’Aviazione Legionaria anche un’aliquota dei nuovissimi prodotti aeronautici della Fiat: i bimotori da bombardamento BR20 e i caccia G50.
In totale, per l’aviazione nazionalista, verranno inviati in Spagna 730 velivoli, di cui solo 710 giungeranno nella penisola Iberica, dotati di centinaia di motori di ricambio. Per rendersi conto dello sforzo logistico legato a tali velivoli basta ricordare che il personale addetto agli apparecchi sarà composto da 5.699 militari e 312 civili, il carburante dovrà essere sufficiente per le 135.000 ore di volo che verranno effettuate, mentre verranno sganciate 11.584.420 kg. di bombe.
Gli aiuti agli insorti di Franco non consistono solo in invii di materiale e personale aeronautico, ma anche alcune unità della Regia Marina vengono impegnate in azioni controcosta e di interdizione alle unità navali filogovernative. Nel febbraio 1937 gli incrociatori Eugenio di Savoia ed Emanuele Filiberto, senza inalberare alcun segno che ne denunci la nazionalità, cannoneggiano dal mare le città di Barcellona e Valencia. L’incrociatore Barletta, bombardato da velivoli repubblicani, conterà i primi sei morti italiani della Marina su quel fronte marittimo. Nel canale di Sicilia, nel tentativo di interrompere il flusso dei rifornimenti russi, interverranno gli incrociatori Diaz e Cadorna. L’uso di unità di superficie rischia, come è facile intuire, di rivelarsi troppo pericoloso per l’Italia, potendone facilmente compromettere la posizione in campo internazionale, coinvolgendola in un conflitto nel quale, ufficialmente, gli italiani non sono mai entrati. La parte del leone, in aiuto alla modesta flotta nazionalista, verrà svolto dai sommergibili della Regia Marina. Unità insidiose e di nazionalità indefinita fin quando sono immerse, le unità subacquee si rivelano adattissime allo scopo. Ben 36 sottomarini italiani trovano impiego lungo le coste spagnole in una serie di attività che vanno dall’interdizione del traffico repubblicano al cannoneggiamento notturno delle coste. Attività di interdizione al traffico navale russo, diretto in aiuto ai repubblicani, viene poi svolta in Mediterraneo dove i sommergibili italiani fanno base nel Dodecaneso.
Alla Marina nazionalista saranno ceduti “in prestito” i sommergibili Ferraris, Galileo Galilei, Onice e Iride che verranno inquadrati nella Marina di Franco solo per alcuni mesi e faranno definitivamente rientro in Italia nel 1938.
Sul fronte di terra, all’inizio, gli aiuti italiani sono piuttosto timidi in quanto Mussolini non intende assolutamente esporsi in campo internazionale, aiutando a viso aperto i rivoltosi. Evidentemente, al Duce brucia ancora la riprovazione manifestatagli dalla Società delle Nazioni con le Sanzioni comminate all’Italia in occasione dell’intervento in Etiopia.
Nei primi quatto mesi della guerra civile dall’Italia, in aiuto agli insorti nazionalisti, arriva ben poco. In questo primo periodo, sono poco più di 380 gli uomini che il Regio Esercito manda in aiuto agli insorti e si tratta di personale impiegato, prevalentemente, come istruttori e osservatori. Dagli inizi di agosto alla fine di settembre del ’36 arriveranno poi 15 carri L, le famose “scatole di sardine”, e 38 pezzi di artiglieria da 65/17. I carri arrivano senza equipaggi, ma accompagnati solo da istruttori in quanto sono destinati ad essere impiegati da personale spagnolo.
Carri e cannoni italiani troveranno impiego con equipaggi misti italo spagnoli nella presa di San Sebastian e, nell’ottobre-novembre, negli scontri nei dintorni di Madrid. Come detto l’impegno italiano, all’inizio, sembra essere molto cauto e già a fine novembre il personale italiano viene fatto rientrare in Patria, con contestuale definitiva cessione dei materiali agli spagnoli. E’ solo un apparente passo indietro di Mussolini il quale è, invece, destinato ad impelagarsi in una guerra che, vista la massiccia presenza di personale e materiale russo, si avvia ad acquisire l’aspetto della crociata internazionale contro il bolscevismo. Il 16 novembre Italia e Germania riconosceranno ufficialmente il nuovo governo di Francisco Franco e sarà questo il primo passo verso il massiccio intervento italiano nella Penisola Iberica.
Nel dicembre 1936 sbarcano a Cadice i primi 3.000 “volontari” italiani. Imbarcati sul piroscafo “Lombardia”, sono stati arruolati con un premio di ingaggio di 3.000 lire e la promessa di una paga giornaliera di 40 lire. E’ inutile dire che gran parte dei “volontari” provengono dalle regioni più povere del Regno d’Italia. Molti dei volontari, poi, si sono arruolati credendo di essere inviati in Africa Orientale. Perché gli uomini partissero, si sono mossi tutti i Federali con una pesante campagna d’arruolamento e, al momento di firmare, ai volontari è stato genericamente parlato di una “esigenza Oltre Mare” è stata questa vaga indicazione ad indurre molti di loro a identificare i territori “Oltre mare” con l’Etiopia. L’arruolamento è stato considerato allettante perché, oltre che ben pagato, li avrebbe destinati verso una regione dell’Impero che tutti, in quel momento in Italia, credono definitivamente pacificata, mentre invece in Etiopia la realtà è ben diversa. Il fatto che la grande maggioranza dei legionari provenga dalle zone più povere del Meridione può lecitamente indurre a pensare che la buona paga presenti, per molti di loro, un’attrazione più forte della crociata ideologica contro il bolscevismo. Di contro, è da evidenziare, per ragioni di correttezza d’informazione, che molti sono anche coloro i quali si arruolano perché spinti da motivi ideologici, tant’è che molte domande di arruolamento giungono alla rappresentanza franchista a Roma molto prima ancora che venga istituito il Corpo Truppe Volontarie per la Spagna.
Ci sono coloro i quali si arruolano per semplice spirito d’avventura o perché credono genuinamente di andare a combattere contro la barbarie del bolscevismo. Se non fosse così non si spiegherebbe l’alto numero di ufficiali, provenienti dal complemento, che, arruolandosi, lasciano buoni impieghi e sicure professioni per andare in Spagna. Sono stato particolarmente colpito dal pensiero di Montanelli - Cervi che nell’opera “Due secoli di Guerre” (Editoriale Nuova, 1983 Milano p. 256) scrivono: “E’ altrettanto certo che vi furono anche i volontari idealisti, specie tra gli ufficiali di complemento che, a differenza degli “effettivi” non potevano essere sospettati di inseguire promozioni e medaglie, e che non dovevano essere attratti dal denaro, visto che nelle loro file c’erano laureati con un buon impiego professionisti, rampolli di famiglie agiate e perfino industriali come il lecchese Costantino Fiocchi, comproprietario di un’azienda già allora multimilionaria. Essi andarono in Spagna perché credevano realmente di combattere per la civiltà, per la fede cristiana, per il trionfo della fede cristiana sul bolscevismo e, a modo loro, anche per la libertà. Su questo non ci sono dubbi”
Altri 5.000 legionari arrivano nel gennaio successivo ed inizialmente vengono ordinati in una Brigata Volontari agli ordini del generale Roatta che è anche a capo del Servizio segreto militare italiano. Il 16 febbraio 1937, nasce ufficialmente il Corpo Truppe Volontarie che, sempre agli ordini di Roatta, comprenderà le divisioni: “I Dio lo vuole”, “ II Fiamme Nere”, “III Penne Nere” e “IV Littorio”; 2 brigate miste (I brigata “Frecce Azzurre” e II brigata “Frecce Nere”), costituite per il 30% da volontari italiani e per il 70% da volontari spagnoli; 2 gruppi di banderas autonomi (ogni gruppo è equivalente ad un reggimento mentre una banderas è equivalente ad un battaglione); un raggruppamento armi speciali che comprende: un battaglione carri d’assalto L3 su quattro compagnie, una compagnia di autoblindomitragliatrici, una compagnia motomitragliatrici e una sezione cannoni anticarro da 47 mm. Ai reparti citati andranno ad aggiungersi 10 gruppi di artiglieria con 104 pezzi, 3 batterie antiaeree con 16 pezzi, un raggruppamento manovra composto di autoveicoli vari e elementi del genio. Sembra che la Littorio, prima di essere inviata in Spagna, dovesse andare in Africa e forse anche ciò contribuirà a far credere ai volontari che l’esigenza Oltre mare si riferisca all’Africa Orientale.
Nella primavera del 1937, a fronte dell’impegno assunto dall’Italia di non far affluire in Spagna altre truppe, saranno sciolte la I e la III Divisione e gli uomini resi così disponibili andranno a completare gli organici delle altre due divisioni e dei gruppi di banderas. Il 3 novembre 1937 il gruppo di banderas “XXIII Marzo” andrà a fondersi con la divisione “Fiamme Nere”, formando così la divisione “Fiamme Nere XXIII Marzo”. Ma nell’ottobre del 1938, a fronte del rimpatrio di un grosso numero di legionari dalla Spagna, saranno sciolte sia la divisione Littorio che la divisione “Fiamme Nere XXIII Marzo”.
In seguito allo scioglimento delle due divisioni il C.T.V. andrà ad essere composto dalla Divisione d’assalto del Littorio e da tre divisioni miste, denominate “Frecce Nere”, “Frecce Azzurre” e “Frecce Verdi”. Queste ultime, benché definite miste, hanno il personale che è nella quasi totalità spagnolo, mentre solo i quadri e gli specialisti sono costituiti da italiani.
Inoltre faranno parte del C.T.V.:
Un Raggruppamento carristi su due battaglioni carri, un battaglione motomeccanizzato, un battaglione misto (una compagnia lanciafiamme, una compagnia mitraglieri, una compagnia anticarro), una compagnia arditi, una compagnia mitraglieri, una batteria da 65/17 autoportata;
un raggruppamento di artiglieria con pezzi di vari calibri (due gruppi da 105/28, due gruppi da 149/12, due gruppi da 75/27);
un raggruppamento artiglieria antiaerea (quattro batterie da 75, una batteria da 75/46, tre batterie da 20 mm);
Genio Corpo Truppe Volontarie composto da un battaglione artieri, un battaglione telegrafisti, un battaglione radiotelegrafisti, una compagnia fotoelettricisti;
una intendenza legionaria e un centro istruzione con personale istruttore distaccato presso le varie scuole militari spagnole. In totale, si calcola che in Spagna combatteranno circa 100.000 italiani. Come il lettore potrà facilmente intuire, l’impegno italiano a fianco di Franco, analogamente a quanto fatto precedentemente in Africa Orientale, è estremamente oneroso. La sostanziale differenza tra il conflitto con il Negus e l’intervento militare in Spagna sta nel fatto che, mentre con la fine del primo verrà fondato l’Impero, alla fine dell’impegno militare in Spagna, l’Italia non otterrà alcun vantaggio militare, politico o economico. Anzi, il conflitto spagnolo servirà solamente a debilitare le capacità belliche dell’apparato economico militare italiano, con costi particolarmente elevati. Costi che, peraltro, non rientreranno mai perché il generalissimo Franco si deciderà a saldare i debiti con il Regno d’Italia solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, pagando i suoi conti in sospeso con svalutatissime lire italiane. In breve, l’appoggio dato ai nazionalisti si rivelerà il peggiore affare militare fatto dalla politica italiana nel XX secolo.
Anche in questo caso, gli italiani avranno molto da imparare dai tedeschi che, differentemente, otterranno il massimo risultato con il minimo sforzo. I tedeschi, in vista del conflitto mondiale oramai prossimo, useranno la Spagna come un immenso campo d’armi dove istruire le proprie truppe. Invieranno su quel fronte solo pochi specialisti da addestrare e da avvicendare semestralmente. Parimenti, utilizzeranno il conflitto civile per provare le loro nuove armi, che cederanno ai nazionalisti in quantità molto inferiori a quelle italiane.

00:14 Publié dans Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : italie, espagne, guerre d'espagne, militaria, défense | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

vendredi, 06 juin 2008

En souvenir d'un soldat politique de la Bundeswehr

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En souvenir d'un soldat politique de la Bundeswehr: le Général-Major Hans-Joachim Löser

 

La Bundeswehr n'a jamais connu de généraux politisés à la fa­çon latino-américaine. Elle a eu la chance, cependant, d'a­voir eu, dans ses rangs, quelques généraux capables de combiner leurs compétences militaires à un instinct politi­que sûr et à une intelligence aiguë des conséquences di­rectes de la politique de sécurité pour leur peuple. Ces officiers reconnaissaient le primat du politique, c'est-à-dire la responsabilité des hommes politiques démocratiquement élus, mais se réservaient toutefois la liberté d'exposer aux responsables politiques leurs convictions politiques solide­ment étayées par un savoir factuel et technique éprouvé, surtout lorsque ces convictions ne concordaient pas avec les idées des politiques, ce que ceux-ci n'aiment guère en­ten­dre. Parmi ces officiers allemands, capables de penser politiquement au meilleur sens du terme, il y avait le Gé­néral-Major e.r. Hans-Joachim (Jochen) Löser, qui vient de nous quitter, ce 13 février 2001, dans sa 83ième année.

 

Jochen Löser était issu d'une famille de Thuringe et de Sa­xe, bien ancrée dans les traditions. Après avoir passé son Abitur  en 1936 dans une école NAPOLA de Berlin-Spandau, il rejoint comme aspirant (Fahnenjunker) le 68ième Régi­ment d'Infanterie du Brandebourg. Au début de la guerre, il est Adjudant de Bataillon, plus tard, lors de la campagne des Balkans et de la campagne de Russie, il est promu Ad­judant régimentaire auprès du 230ième Régiment d'In­fan­terie. Quand commence la terrible bataille de Stalingrad, il la vit et l'endure avec le grade de commandant de ba­tail­lon. Il est grièvement blessé et reçoit la Croix de Chevalier. A­près avoir reçu une formation d'officier d'état-major et avoir servi à ce titre dans les Carpathes et sur le Front de l'Arctique, il évite en avril 1945, face aux troupes amé­ricaines, la bataille de défense de sa ville natale, Weimar, mission impossible et désormais dépourvue de sens. Après la guerre, il gère pendant dix ans une entreprise qui occupe des invalides de guerre. En 1956, il entre au service de la Bundeswehr. Il y exerce les fonctions de maître de confé­ren­ce à l'école militaire de Hardthöhe, de chef d'état-major d'une Division puis d'un Corps d'armée, finalement il accède au grade de commandeur d'une Brigade et d'une Division. En 1974, de son propre chef, il décide de quitter le service des armes et reçoit la Grande Croix du Mérite de la RFA.

 

Quand la FDP proposait une vraie alternative

 

J'ai connu Jochen Löser en 1967, quand je dirigeais le "Cer­cle de travail I" de la fraction FDP du Bundestag, qui s'oc­cupait également des questions de défense. A l'époque, le noyau de la politique de défense de la FDP était le suivant: il nous paraissait inutile d'équiper les troupes allemandes pla­cées sous le commandement de l'OTAN d'armes atomi­ques coûteuses, alors que les munitions ad hoc ne seraient jamais placées entre des mains allemandes. Nous nous po­sions la question: ne serait-il pas plus intelligent de con­centrer nos moyens pour améliorer la défense convention­nelle de l'Allemagne et de laisser la dissuasion nucléaire aux puissances qui pourrait l'utiliser en cas d'urgence? C'est donc surtout grâce aux conseils de Jochen Löser que la FDP, guidée par son expert en questions de défense, Fritz-Rudolf Schultz, a pu présenter une alternative en politique de sécurité, face à la Grande Coalition de l'époque; c'était une alternative inattaquable sur le plan des faits, qui te­nait nettement mieux compte des intérêts du peuple alle­mand divisé en cas de guerre que les plans habituels de l'OTAN.

 

Après 1969, la FDP, malheureusement, a abandonné ses pré­occupations en matières de défense et n'a plus ma­ni­festé d'intérêt pour ces réflexions. En tant que comman­deur, Jochen Löser ne voyait plus aucune possibilité de diffuser ses compétences techniques. Cela a sans doute mo­tivé son départ de la Bundeswehr. Il a alors commencé une fructueuse carrière d'écrivain politique, où il a couché sur le papier ses réflexions en matières de défense, qui, chaque fois, tenaient compte des intérêts de l'adversaire po­tentiel. Des ouvrages comme Gegen den Dritten Welt­krieg (Contre la Troisième Guerre mondiale), Weder rot noch tot (Ni rouges ni morts), Neutralität für Mitteleuropa (Neutralité pour l'Europe centrale), Kämpfen können, um nicht kämpfen zu müssen (Savoir combattre pour ne pas a­voir à combattre), puis, finalement, cette magnifique his­toire de la 76ième Division d'Infanterie de Berlin-Brande­bourg, intitulée Bittere Pflicht (Notre amer devoir), où Jo­chen Löser, le soldat qui défendait les intérêts de son peu­ple, rassemblait tous ses souvenirs, sans perdre de vue les in­térêts des autres peuples.

 

Detlef KÜHN.

(Hommage rendu dans l'hebdomadaire Junge Freiheit, http://www.jungefreiheit.de ).

jeudi, 05 juin 2008

Adieu au Général-Major Jochen Löser

 

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Adieu au Général-Major Jochen Löser

Le Général Major Jochen Löser est décédé le 13 février 2001, à l'âge de 83 ans. J'ai rencontré Jochen Löser le 6 octobre 1984, lors de ma toute première visite à la Foire de Francfort. J'arpentais ses immenses corridors à la recher­che de livres pertinents, capables d'ouvrir à mes lecteurs des horizons nouveaux, en prenant appui sur des faits tan­gibles, capables aussi de crever la croûte des ronrons de la pensée imposée par les médias. Dans le grand stand de Ber­telsmann, mon vœu a été exaucé. Bien en vue, plusieurs di­zaines d'exemplaires de Neutralität für Mitteleuropa s'a­li­gnaient sur les présentoirs. J'ai tendu la main, saisi un de ces exemplaires, que j'ai compulsé un peu fébrilement, pour découvrir une démarche qui était la mienne depuis la lecture du fameux ouvrage de Jacques Droz sur l'Europe cen­trale (paru chez Payot) et du livre collectif de Helmut Be­ring (Wirtschaftliche und politische Integration in Eu­ropa im 19. und 20. Jahrhundert, Vandenhoek & Ru­precht, Göttingen, 1984), où les auteurs abordaient éga­lement les questions relatives à la "Mitteleuropa". Jochen Lö­ser repla­çait la question de l'Europe centrale dans l'ac­tua­lité la plus brûlante, sur le fond d'une contestation gé­nérale de l'in­stal­lation des missiles américains sur le ter­ri­toire de la RFA. L'ouvrage que je tenais entre les mains é­tait un traité ra­tion­nel, réclamant l'élargissement de la zo­ne neutre en Eu­rope centrale. Les non-alignés n'auraient plus été seule­ment la Yougoslavie, l'Autriche, la Suisse, la Suède et la Fin­lande, mais tous ces pays soustraits à la lo­gique binaire de Yalta, plus les deux Allemagnes, le Béné­lux, le Da­ne­mark, la Pologne, la Tchécoslovaquie et la Hon­grie. Ce que je découvrais là était enfin une alternative co­hérente au sta­tu quo, qui correspondait à notre volonté de dépasser le duopole mis en place à Téhéran, à Yalta et à Postdam, entre 1943 et 1945.

J'ai aussitôt demandé un exemplaire de presse à la prépo­sée du stand, qui m'a dit: «Si ce livre vous intéresse, re­passez cet après-midi, l'auteur sera présent sur le stand». C'est ainsi que j'ai rencontré Jochen Löser et que nous a­vons tout de suite sympathisé. Le Général Löser était un hom­me affable, doux, d'une extrême gentillesse, avec un sou­rire extraordinaire. Une sorte de complicité est née dans ce stand, où œuvrait également le frère de la mili­tan­te écologiste radicale, Jutta von Ditfurth, fille du biologiste Hoimar von Ditfurth.

Notre visite chez le Dr. Otto Zeller

Nous avons travaillé ensemble pendant deux ans, en ten­tant de diffuser au maximum des alternatives au statu quo imposé par l'OTAN en matières de défense. Les réunions de tra­vail se déroulaient principalement à Bonn, au domicile de Jochen Löser, à proximité du Rhin et d'une falaise ma­gni­fique, couverte de vignobles en terrasse depuis l'époque des Romains. Un jour, pour finaliser l'édition des souvenirs de guerre du Général Löser, nous nous sommes rendus à Os­nabrück chez l'éditeur Otto Zeller. Un personnage extra­or­dinaire, dont je garderai éternellement le souvenir. Le Dr. Zeller, aujourd'hui décédé, était un grand linguiste, tra­duc­teur d'Homère et des Védas, auteur d'une fresque brossant l'histoire indo-européenne depuis les plus lointaines origi­nes. Une fois la version définitive du manuscrit du Général acceptée sans discussion et la remise des dernières photo­graphies de l'épopée de Löser et de ses soldats, Otto Zeller nous a invités chez lui, où il vivait seul  —et très triste—  de­puis le décès de son épouse, un être qui lui avait été très cher. Le Dr. Zeller habitait une vieille ferme nord-alle­man­de de type traditionnel, dont il avait scrupuleusement res­pecté l'aménagement, axé sur le foyer central. L'ar­chi­tec­tu­re tra­ditionnelle —repérable depuis la culture danubien­ne du Michelsberg (entre -4500 et -2750 av. J. C.)— de cet­te bâ­tisse m'a profondément impressionné. Nos plus loin­tains ancêtres avaient un sens de l'espace  —un feng shui oc­cidental—  beaucoup plus développé que nos modernistes en quête perpétuelle de sensationnel. Après une visite de cette superbe ferme, nous nous sommes retrouvés à trois, Lö­ser, Zeller et moi, autour de deux seaux, en train de pe­ler les pommes de terre pour le repas du soir, comme si nous étions en bivouac. Scène d'une extrême simplicité et d'une grande chaleur humaine. Car mes deux aînés, le mi­li­taire et le philologue, hommes façonnés et ciselés par des expériences extraordinaires, ont profité de ce moment pour se raconter leurs souvenirs. Et j'ai écouté.

Les souvenirs du Dr. Zeller

Le Dr. Zeller était juriste et philologue-linguiste; j'avais été le lecteur attentif de son ouvrage Problemgeschichte der ver­­gleichenden (indogermanischen) Sprachwissenschaft (1967; Histoire de la problématique des sciences linguisti­ques indo-européennes comparées), où il retraçait avec pré­­­cision l'évolution de la recherche linguistique des huma­nistes de la Renaissance à Hirt, en passant par Leibniz, Bopp, Rask, les frères Grimm, Schleicher, Schrader, etc. Autour de nos deux seaux, le Dr. Zeller a encore évoqué d'au­­tres souvenirs: j'en ai retenu trois. Sanskritologue, il a­vait été chargé d'accompagner dans Berlin le fils d'un Ma­ha­radjah, volontaire dans le bataillon indien de la Wehr­macht, qui sera stationné à Bordeaux. Il nous a brossé avec humour les anecdotes de cette visite, véritable choc entre deux civilisations. Ensuite, prisonnier de guerre, Zeller a dû servir d'interprète dans un tribunal militaire anglais, qui condamnait à la chaîne de pauvres diables de Polonais, de Russes et d'Ukrainiens, cherchant à rentrer à pied dans leur pays, mourant de faim sur les routes du Reich dévasté et chapardant des victuailles dans les casernes britanniques; des rixes éclataient parfois avec les gardes, à qui il arrivait de prendre un coup fatal. Inévitablement, ces bougres af­fa­més, qui avaient tué pour pouvoir manger, étaient con­dam­nés à la corde d'un gibet de sa Très Gracieuse Ma­jesté. Cette fonction d'interprète, imposée par la con­train­te, a­vait été pour notre philologue particulièrement hor­rible. Enfin, le début de sa carrière d'éditeur; le pouvoir com­mu­niste est-allemand vidaient les bibliothèques publi­ques et privées et vendait à l'Ouest des wagons entiers d'ou­vrages rares et anciens. Zeller les rachetait au kilo, sé­lectionnait les meilleurs titres pour en faire des réim­pres­sions, amorce de sa "Biblio Verlag".

Le lendemain, Zeller m'offrait le livre qu'il venait d'écrire pour ses enfants et ses petits-enfants, Am Nabel und im Auf­trag der Geschichte. Où les titres des chapitres étaient déjà une grande leçon: «Vouloir vivre sans histoire, est une utopie»; «Seul ce qui a une histoire est réel». Deux pré­cep­tes à retenir en toutes circonstances. Am Nabel und im Auf­trag der Geschichte est ensuite un vaste synopsis de l'é­popée indo-européenne dans l'histoire, depuis les méga­lithes jusqu'à la conquête spatiale.

Cette journée à Osnabrück m'a dévoilé l'extrême modestie de deux hommes exceptionnels, sur des plans différents. Une grande leçon. Que je n'oublierai jamais.

Stratégie du hérisson et défense civile

Sur le plan politique, ce bout de chemin fait avec Jochen Löser au beau milieu des années 80 m'a permis de déve­lop­per des idées originales en matières de défense, diamé­tra­le­ment différentes des doctrines officielles de l'OTAN et des thèses pacifistes maniées par une certaine gauche de con­viction donc d'irresponsabilité. Juste avant d'avoir écrit Neutralität für Mitteleuropa, Jochen Löser, avec le con­cours d'Harald Anderson, avait apporté une réponse ori­ginale aux conférences de Genève entre l'Est et l'Ouest, qui avaient débouché sur un échec (cf. Antwort auf Genf. Sicherheit für West und Ost, Olzog Verlag, Munich, 1984). Demeurant dans la logique théorique qui avait toujours été la sienne, y compris dans les coulisses de la FDP qui cher­chait une position originale au temps où elle était isolée dans l'opposition, Jochen Löser préconisait une "stratégie du hérisson", calquée sur les modèles helvétique et you­go­slave, permettant de rendre un territoire hermétique, im­pre­nable, par recours à des moyens strictement con­ven­tionnels. Cette stratégie avait ensuite pour corollaire d'as­surer une protection maximale des populations civiles (a­bris anti-atomiques, etc.), exposées aux opérations aérien­nes et terrestres de tout conflit susceptible d'éclater.

Löser nommait "Raumdeckende Verteidigung" ("Défense couvrant l'espace"), ce système de défense efficace, de ty­pe traditionnel, inspiré du modèle suisse, que d'autres, com­me le Général français Brossolette, appelaient "défense par maillage territorial". L'adoption d'un tel mode de dé­fense impliquait l'organisation d'une armée de citoyens, une milice territoriale (Löser: "Friedensmiliz", "Heimat­dienst" & "Heimatschutz"), appelée à couvrir les tâches non directe­ment combattantes, de même qu'à assurer les missions de soutien logistique, de protection des installations militaires sur les arrières du front, les transports et la surveillance des côtes. In fine, un maillage complet du territoire per­met d'assurer la suprématie du feu sur le mouvement, donc des systèmes de défense sur les stratégies d'attaque fron­tale.

Neutralité, finlandisation et Blockfreiheit

Une telle vision de la défense du territoire allemand per­mettait effectivement de le verrouiller contre toute atta­que venant de l'Est soviétisé, parce qu'à partir du Bran­de­bourg le territoire européen devient plus densément peuplé et structuré, donc moins ouvert comme l'est en revanche la plaine de l'Est, qui, elle, permettait hier le déploiement de masses de cavaliers et permet aujourd'hui celui de divisions de chars d'assaut. La densité du territoire allemand et ouest-européen permet de doter les défenseurs d'armes an­ti-chars très performantes, filoguidées ou à guidage élec­tro­nique, descendant en droite ligne des Panzerfäuste et des Panzerschrecke de la Wehrmacht. Simultanément, ce ver­rouillage et ce maillage militaire du territoire centre-eu­ropéen induisaient une remise en question de l'inféo­da­tion de la RFA aux structures de l'OTAN et de l'Alliance at­lan­tique. Le statut de neutralité  —décrié par les services de Washington maniant le (faux) spectre de la "finlan­di­sa­tion"—  redevenait une option possible.

Du terme polémique "finlandisation"

Neutralität für Mitteleuropa contient justement une criti­que serrée de ce concept de "finlandisation" que cri­ti­quaient et rejetaient les atlantistes. Löser commençait par po­ser les termes "neutre" et "neutralité" comme des con­cepts positifs du droit international, même s'il admettait que "neutraliste" et "neutralisme" recelaient une connota­tion propagandiste, qui n'était ni positive ni objective. La neutralité est un droit des Etats, garanti par l'art. 2, §2, de la Charte des Nations Unies. La neutralité est assortie d'ob­ligations: ne pas faire partie d'une alliance constitué à des fins de belligérance, ne pas céder la moindre parcelle du ter­ritoire national pour en faire un point d'appui pour une puissance voisine belligérante, armer le pays de façon à dis­suader tout ennemi de pénétrer sur son territoire. La neu­tralité implique donc, ipso facto, d'armer la nation et de choyer l'armée, qui l'incarne. La neutralité, au sens juri­dique du terme, n'est donc pas un pacifisme, un anti-mi­li­tarisme, que ceux-ci se camouflent ou non derrière le ter­me "neutralisme". La Finlande n'échappait pas à cette rè­gle, même si cette neutralité devait tenir compte de ses re­lations conflictuelles avec l'URSS entre 1917 et 1945.

Le projet de Löser était donc d'élargir le statut de neutra­li­té de l'Autriche à un espace centre-européen plus vaste, per­mettant de le dégager de la logique bellogène des blocs. Cette logique n'est donc pas celle d'une "finlandisa­tion", comme le proclament et l'entendent les défenseurs de l'OTAN; parce que les Etats concernés n'ont pas les mê­mes rapports de voisinage que ceux de la Finlande et de l'URSS. Elle est plutôt une "austrialisation" ou une "helvé­ti­sa­tion", donc un renforcement de souveraineté par désen­ga­gement vis-à-vis d'une alliance téléguidée par une seule su­per-puis­sance, de surcroît étrangère à l'espace européen ("eine raum­fremde Macht", auraient dit Carl Schmitt et Karl Haus­hofer).

Droits de l'homme et Armageddon 

Autre atout majeur de Neutralität für Mitteleuropa: la cri­tique du néo-machiavélisme occidental, camouflé derrière les discours sur les droits de l'homme. Avec la forte et élé­gante concision du militaire qui se consacre à l'écriture, Jo­chen Löser, dans le chapitre IV de cet ouvrage, critique vertement la volonté américaine de se poser comme l'in­car­nation du "bien" absolu, en lutte contre le "mal" absolu. Un bien qui proclame et défend les "droits de l'homme" et un mal qui les nie. Une telle attitude, explique-t-il, est une incongruité à l'âge des armes nucléaires. La puissance de des­truction de ces armes est telle qu'on ne peut, dans un pa­reil contexte, tenir un langage d'apocalypse, car déclen­cher l'apocalypse devient possible mais n'est évidemment pas souhaitable, puisque la riposte de l'adversaire reste tout de même en mesure de réduire les bases territoriales du vainqueur à néant, le ramenant ipso facto à l'âge de la pierre. Contrairement à Reagan qui parlait d'Armageddon, Löser raisonne au départ de Clausewitz: les intentions de la politique doivent correspondre aux moyens mis en œuvre; l'objectif politique souhaité ne peut être un despote; il doit s'adapter à la nature des moyens. A l'âge des armes nu­cléaires, les moyens sont théoriquement absolus, en prati­que, les puissances atomiques ont une marge de manœuvre très réduite. Le règlement des différends passe donc par la di­plomatie et les négociations.

Clausewitz et Bismarck

Cette perspective clausewitzienne interdit de placer la po­li­ti­que internationale sous le diktat des émotions, comme celles qu'éveillait dans les médias le nouveau culte des droits de l'homme, annoncé dès le discours inaugural de Car­ter en 1977.  La politique internationale ne peut fonc­tion­ner que si l'on jauge objectivement, avec sérénité, les faits, les intérêts, les divergences entre Etats. Löser rap­pelait une parole forte de Bismarck: «Agir selon des prin­cipes est une attitude qui, selon moi, revient à courir dans la forêt en tenant en bouche une barre de fer dans le sens de la longueur». Par conséquent, le diplomate ne peut agir sous la dictée de ses sympathies ou de ses antipathies pour des situations en vigueur dans le territoire d'une puissance voisine ou adverse, ou pour des personnes y exerçant une fonction souveraine. Les émotions suscitées par les antipa­thies ou les sympathies n'ont pas leur place dans la sphère du politique. Les juristes extrémistes et les moralistes é­chevelés n'ont pas de rôle à jouer dans la sphère austère du po­litique.

Certes, les dissidents d'une puissance voisine ont droit à l'a­si­le politique, à écrire et à œuvrer chez nous s'ils y sont ac­cueil­lis, mais leur sort ou leur sécurité ne doit pas troubler le jeu subtil de la diplomatie classique. Si l'enga­ge­ment des moralistes ou des juristes pour la liberté d'ex­pres­sion est un devoir moral, que personne ne va leur con­tester, les diplo­ma­tes ont, eux, le devoir politique et la res­ponsabilité de ne pas déclencher d'apocalypse ou de con­flit au nom de doc­trines éthiques vagues ou instables.

Voilà donc les thématiques que nous avons abordées entre 1984 et 1986. Mon discours à Versailles, lors du colloque du GRECE du 16 novembre 1986, est le résultat (succinct) de ces travaux. Pourquoi notre chemin s'est-il arrêté là? Tout simplement parce que l'accession de Mikhaïl Gorbatchev à la fonction suprême en URSS, remettait tout en question: et le duopole en place et l'ordre né de Yalta. Avec la pe­restroïka, les événements vont se précipiter: les accords "4 + 2", la réunification allemande, le dégel à Moscou, les manifestations de Prague, le démantèlement du Rideau de fer le long de la frontière austro-hongroise. Löser et moi avions l'intention de sortir, avec d'autres, un livre manifes­te, mais chaque jour apportait sa part d'innovations ou de changements, si bien que toutes nos planifications étaient réduites à néant. De l'accession de Gorbatchev au pouvoir à Moscou en 1985 jusqu'au triomphe d'Eltsine en août 1991, l'Europe a vécu une succession de bouleversements aux­quels nous n'étions pas préparés. Impossible dans de telles conditions d'achever un livre collectif, un tant soit peu sub­stantiel. Il a fallu abandonner. Et nos relations se sont in­terrompues. A mon vif regret.

De la vieille leçon du Taciturne

Quinze ans ont passé depuis nos derniers échanges épisto­laires ou téléphoniques. Quinze années de bouleversements inimaginables au jour de notre première rencontre, le 6 oc­tobre 1984. Mais quinze années où l'Europe n'a pas été ca­pable de trouver une solution rationnelle à ses problèmes de défense, comme nous le préconisions. Cet échec, dû à la piètre qualité intellectuelle et morale du personnel politi­que en place, est une tragédie. Notre civilisation s'est dé­li­bérément engagée dans une impasse. Le politique est mort. La citoyenneté, dont on parle à grands renforts de trémolos dans la voix, est devenue une illusion sinon une farce. Mais ce n'est pas une raison pour abandonner le combat: «Il n'est pas nécessaire d'espérer pour entreprendre, ni de réussir pour persévérer». Vieille leçon du Taciturne. En souvenir du Général-Major Jochen Löser, nous allons continuer le com­bat. Pour une Europe libre et forte, bien à l'abri de pi­quants, pareils à ceux du hérisson.

Robert STEUCKERS.

jeudi, 29 mai 2008

Balkans: les Etats-Unis ont atteint leur objectif!

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Balkans: les Etats-Unis ont atteint leur objectif!

Un texte ancien, vieux de huit ans, mais qui garde toute sa pertinence géopolitique !

Le Général Reinhard Uhle-Wettler (°1932), commandeur d'unités parachutistes, en fin de carrière Commandeur de Division de la 1ière Aéroportée de la Bundeswehr, pa­r­le­ra à l'Université d'été de «Synergies Européennes» en août 2001. Pour préparer nos stagiaires à sa démarche, voici le bilan final qu'il tire, en toute clarté militaire, de la situation dans les Balkans. Ses positions sont clai­re­ment les nôtres, que nous aurons l'occasion d'expri­mer lors du colloque de la revue “Renaissance européen­ne”, qu'organisera Georges Hupin et son équipe à Sint-Pieters-Leeuw en avril 2001, avec le concours d'Alexan­dre Del Valle, Guillaume Faye, Max Steens et Robert Steuckers. Bonne lecture!

Dans les rapports des médias, on reproche souvent aux Etats-Unis d'avoir déployé une stratégie de dilettantes dans les Balkans. On a entendu des discours similaires immédia­tement après la Guerre du Golfe. En tenant compte des in­térêts des Etats-Unis et des rapports de force géopoliti­ques, on peut résumer les effets de la guerre des Balkans comme suit:

1.

L'OTAN, sous la direction des Etats-Unis, s'est débarrassé du boulet que constituaient les décisions du conseil de sé­cu­ri­té de l'ONU, et, dans cette entorse aux principes, a entraî­né et uni tous les membres de l'alliance.

2.

Les Etats-Unis ont fait de l'OTAN le seul instrument politico-militaire capable de fonctionner dans le monde occidental et, à la suite du changement de donne après la fin de l'op­po­sition Est-Ouest, ont renforcé l'alliance atlantique pour le futur.

3.

L'OTAN a fait admettre de facto sa nouvelle conception, y compris l'idée d'une intervention systématique en cas d'en­torse aux droits de l'homme, avant même que ses membres ne l'acceptent formellement, et l'a mis à l'épreuve de ma­nière pratique en profitant de l'aubaine de l'heure. Mis à part la défense commune des territoires inclus dans l'allian­ce, toute guerre “pour les droits de l'homme” est désor­mais possible. Nous avons affaire là à un pas de plus vers la création d'une “police mondiale”.

4.

Les Etats-Unis ont changé, en faveur de leurs ambitions glo­bales, le droit des gens qui avait été appliqué jusqu'ici, en se réclamant de l'acte de conclusion de la conférence de l'OSCE à Helsinki et de la résolution 688 du Conseil de sé­cu­rité des Nations Unies. Le principe de non ingérence dans les affaires intérieures d'un Etat est suspendu en cas d'en­torse apportée aux droits de l'homme, quelle que soit la dé­finition que l'on donne de ceux-ci. Le triomphe du droit d'in­tervention pour raisons humanitaires signifie que les droits de l'homme reçoivent désormais la priorité par rap­port au droit de souveraineté, à l'interdiction d'user de vio­lence (cf. l'art. 2 de la Charte des Nations Unies), ainsi qu'au principe de l'inviolabilité des frontières. L'OTAN ne pou­vait pas se réclamer du droit d'autodéfense collectif (art. 51 de la Charte des NU) ni d'un pouvoir accordé par le conseil de sécurité (chap. VII de la Charte de NU) dans la guerre déclenchée contre la Serbie. Les violations des droits de l'homme serviront donc désormais de plus en plus souvent de prétexte pour des interventions militaires. Cela nous ramène au schéma idéologique de la “guerre juste” et exclut quasiment le traitement correct à appliquer à l'ad­versaire (que l'on pratiquait depuis l'époque féodale). Le vainqueur devient automatiquement le juge.

5.

Les Etats-Unis se sont établis comme puissance européenne dominante et ont renforcé le contrôle et la domination qu'ils exerçaient sur l'Europe.

6.

La guerre est devenue un moyen de la politique pour im­po­ser les droits de l'homme et est acceptée comme telle par la communauté des Etats occidentaux. La course aux arme­ments que cela implique n'est plus fondamentalement re­mi­se en question. De cette façon, la répartition des tâches au sein de l'alliance est assurée.

7.

L'Europe, en tant que concurrente des Etats-Unis, est clouée dans les Balkans pour un certain temps et devra con­sentir des efforts financiers et économiques pour recon­struire le Kosovo et la Serbie. Ces frais accroissent les dé­fi­cits de la défense européenne autonome et grèvent la mon­naie commune de l'Europe face au dollar.

8.

Un verrou est posé désormais à toute coopération euro-russe qui impliquerait une participation allemande dans un projet de développement économique de l'Eurasie. L'ancien vi­ce premier ministre serbe, Draskovic, qui n'est pas resté long­temps en fonction, avait déclaré dans un entretien ac­cor­dé au Spiegel (n°18/1999): «La Serbie est détruite au­jour­d'hui parce que les Etats-Unis, en créant cet exemple qui fera école, veulent discipliner l'Europe. Car les Etats-Unis savent pertinemment qu'une Allemagne unifiée, avec tout son potentiel, et dans une alliance politique et écono­mique avec la Russie, créerait les bases d'une Europe soli­de­ment unie, de l'Atlantique au Pacifique. Pour empêcher ce­la, on a mis en scène un crime collectif contre les Ser­bes».

9.

Les Etats-Unis ont refoulant l'influence russe dans les Bal­kans et en abattant et en “démocratisant” la Serbie ont créé les conditions préalables de la sécurisation et de l'ex­ploi­tation de leurs intérêts énergétiques dans le bassin de la Caspienne, dans la Caucase et en Asie centrale. Le pé­tro­le et le gaz naturel, à leurs yeux, ne peuvent transiter vers l'Ouest que par des oléoducs indépendants de la Rus­sie, traversant la Mer Noire et les Balkans. Le capital abon­dant en provenance des sociétés pétrolières américaines et britanniques donnera donc le ton dans les pays de ces ré­gions, encore peu développés. L'influence américano-bri­tan­nique sur les sources énergétiques de ces pays aura donc nécessairement pour corollaire de limiter l'indépen­dan­ce énergétique des pays de l'Europe continentale. Dans les annexes de la revue Information für die Truppe (n°9/ 1998), on a explicité en long et en large ce “coup de poker pé­trolier dans le Caucase”. Ensuite, au grand dam des Rus­ses, les Etats-Unis ont décrété que l'espace de la Caspienne et du Caucase faisait dorénavant partie de leur zone d'in­té­rêt. Il s'agit donc de soustraire ces énormes réserves de pé­trole et de gaz naturel à tout monopole contrôlé par la Rus­sie. Dans le livre d'Egon Bahr, Deutsche Interessen, on trou­ve­ra une carte des variantes possibles dans le tracé des o­léo­ducs de la Caspienne; carte qui complète utilement le sy­nopsis qu'il nous donne des régions pétrolifères et ga­ziè­res du Proche-Orient et de l'Asie centrale.

10.

La position de la Turquie a été consolidée chez ses coreli­gion­naires musulmans des Balkans, vu son état de puissance musulmane et ses ambitions islamiques; la Turquie est aus­si, dans ce contexte, la plaque tournante de la politique américaine au Proche-Orient et en Asie centrale. L'engage­ment de soldats turcs dans les troupes de la paix déployées par l'OTAN dans le cadre de la KFOR a été salué avec en­thou­siasme par la presse turque (voir Die Welt, 6 juillet 1999). Cet enthousiasme peut déborder et rayonner aisé­ment dans les pays du Caucase et d'Asie centrale dans un fu­tur proche. Les Etats-Unis insistent pour que la Turquie soit acceptée au sein de l'UE; c'est un indice supplé­men­tai­re prouvant que les Etats-Unis, systématiquement, soutien­nent la “plaque tournante Turquie”.

11.

Les Etats-Unis, comme lors de la guerre du Golfe, ont testé leur arsenal moderne de technologies militaires et leurs sy­stèmes de guidage, en tir réel. De ce fait, ils ont consolidé sur le plan international leur avance technologique dans le do­maine militaire, surtout dans les domaines du renseigne­ment, de la belligérance électronique et des armes intelli­gentes à têtes chercheuses. Ainsi, leur politique financière et économique d'orientation globale peut s'appuyer sur une puissance militaire supérieure à toutes les autres et tou­jours prête à l'engagement réel. Les News Release Pent­a­gon du 10 août 1998 nous donne un bon synopsis de la poli­ti­que des points d'appui, notamment pour la flotte, que pra­tiquent les forces armées américaines.

12.

L'industrie de l'armement américaine vient de recevoir un bon coup de pouce presque au détriment des forces enga­gées sur le terrain du social. Ce coup de pouce permet des investissements dans le domaine de la haute technologie et renforce ipso facto le dollar.

On le voit: les résultats obtenus par les Etats-Unis sont le fruit d'une politique bien planifiée, d'une exploitation logi­que des faiblesses de l'Europe et d'une situation avanta­geu­se. Bon nombre d'éléments nous permettent de dire que, sur­tout dans le cas de la Yougoslavie et lors de la guerre con­tre la Serbie, les Etats-Unis ont agi après mûre planifi­ca­tion, en étant bien conscients des enjeux. Le 6 juin 1999, Peter Scholl-Latour écrivait dans Welt am Sonntag: «L'UÇK  —avec en son sein des inimitiés de type clanique et des struc­tures de type mafieux—  a été armée puissamment par l'aide américaine en un temps record. Elle est dirigée par un général croate éprouvé et conseillée par des experts amé­ricains et  —on est bien étonné de l'entendre!—  par des spé­cialistes iraniens de la guerre des partisans».

Dans ce contexte, il me paraît intéressant de méditer la chro­nologie établie par le Ministère fédéral allemand de la dé­fense en date du 21 avril 1999. En page 9 de cette chro­no­logie, et sous la rubrique “1998”, on peut lire: «Les vio­lences au Kosovo augmentent. L'armée de libération du Ko­so­vo (UÇK) impose sa volonté en perpétrant des attentats con­tre les forces de sécurité serbes et contre les collabo­ra­teurs ethniques albanais du Kosovo, c'est-à-dire cherche à im­poser l'indépendance de la province par la violence».

Enfin, dans les colonnes de la Süddeutsche Zeitung du 10 & 11 avril 1999, on a pu lire: «Des combattants de l'armée clan­destine UÇK des Albanais du Kosovo travaillent de con­cert avec l'OTAN, selon le Ministre français de la défense Alain Richard». Pour mener à bien de telles “sales opéra­tions”, on mobilise des services secrets comme la CIA, le MI6 britannique et le Mossad israélien. Citons dans ce con­texte un passage du livre de l'ancien secrétaire d'Etat auprès du Ministère de la défense allemand, Andreas von Bülow (Im Namen des Staates. CIA, BND und die krimi­nellen Machenschaften der Geheimdienste / = Au nom de l'E­tat. La CIA, le BND et les agissements criminels des ser­vices secrets): «Si l'on prend pour mesure l'éventail des in­terventions cachées des services secrets au cours des cin­quan­te dernières années, alors on peut en déduire que la pa­cification effective des Balkans ne va pas du tout dans l'in­térêt de la véritable politique extérieure des Etats-Unis, laquelle demeure “cachée”, notamment quand on prend en compte les idées développées par Zbigniew Brzezinski qui dé­montre que les Balkans sont justement la zone d'accès géo­politique qu'emprunterait l'Europe industrielle pour ac­cé­der aux Balkans eurasiens (= l'Asie centrale), avec leurs é­normes ressources en énergies et en matières premières» (p. 494).

Les horreurs de cette guerre occulte menée et entretenue par les services secrets, en contravention avec tous les prin­cipes prévus par le droit des gens en cas de guerre, la Wehr­macht allemande les a bien amèrement ressenties pen­dant la seconde guerre mondiale. Les archaïsmes et les traditions des peuples balkaniques ont été accentués plus tard, quand la Yougoslavie de Tito, née de la guerre de li­bération populaire de 1941-45, s'est préparée systéma­ti­quement à une guerre des partisans contre une invasion po­tentielle de l'URSS, qui, par un éventuel coup de force en di­rection de l'Adriatique, aurait supprimé son indépen­dan­ce. Les éléments institutionnels de la guerre des partisans, pré­vue par le titisme, ont été déterminants dans la nouvel­le guerre des Balkans, surtout dans la lutte pour la domina­tion du Kosovo. Certes, ces éléments ont permis à l'OTAN d'é­viter de déployer des troupes terrestres. Mais ce qui va sui­vre, c'est l'extension aux Balkans de la "zone de paix dé­mocratique", de type ouest-européen, ce qui implique de fac­to une “démocratisation” de cette région. Ainsi les E­tats-Unis auront obtenu ce qu'ils voulaient. Mais l'Europe, el­le, se trouvera devant une tâche quasi impossible à ré­soudre.

Général Reinhard UHLE-WETTLER.

(extrait de son ouvrage, Die Überwindung der Canossa-Republik. Ein Appell an Verantwortungsbewußte, Hohenrain, Tübingen, 3. Auflage, 2000, ISBN 3-89180-057-6).    

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mardi, 06 mai 2008

P. Tulaev : Lo esencial de la cuarta guerra mundial

Pavel Tulaev
LO ESENCIAL DE LA CUARTA GUERRA MUNDIAL

  

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Una de las dudas principales del Mundo actual es saber qué tipo de lucha se está llevando a cabo globalmente. ¿Se trata realmente de una “Lucha contra el terrorismo”?. ¿O más bien es una continuación de la “Guerra Fría”? ¿Dónde está la frontera entre la Tercera y la Cuarta Guerra Mundial, si es que en realidad empezaron tanto la una como la otra?

  Entre los especialistas en teoría militar y los representantes del mundo político tampoco hay un acuerdo tácito en la naturaleza de este conflicto. Aún se discuten cuáles son sus causas, sus objetivos y cómo se manifiesta.

  Se ha establecido una analogía con las otras grandes conflagraciones mundiales, a saber: la Primera, Segunda y Tercera Guerras Mundiales. Los argumentos son los siguientes: La Primera Guerra Mundial (1914-18) fue una lucha entre potencias imperialistas que acabó con grandes revoluciones que hicieron desaparecer a los Imperios Ruso, Alemán y Austro-Húngaro.

  La Segunda Guerra Mundial (1939-45) fue concebida como una revancha de Alemania a causa de la humillación a la que fue sometida después del Tratado de Versalles. Acabó en un titánico conflicto entre ésta y la URSS, así como contra los Aliados occidentales.

  A partir de la Conferencia de Yalta asistimos al nacimiento de un nuevo orden geopolítico, en el que Rusia recupera sus territorios perdidos a causa de la revolución de 1917, e incluso se anexiona algunos más. A causa de la expansión rusa soviética, los “Occidentales” crearon la OTAN. Es entonces cuando Churchill empieza a hablar de una “guerra fría”, el objetivo de la cual es destruir a la URSS como estado y la idea del Comunismo en sí misma.

  ¿Quién, después de 1991, sería capaz de negar que estos planes fueron finalmente llevados a cabo con éxito?

  La desintegración de la URSS, la caída del Pacto de Varsovia y del COMECON, el desmembramiento de Yugoslavia y Checoslovaquia y la injerencia económica en esos países por parte de las potencias occidentales son una prueba del triunfo del sistema liberal-capitalista en esa “guerra fría” jamás declarada contra el mundo socialista.

  Ciertamente aún existen la “China Roja” y otros grupos de resistencia nacional-comunistas o antiglobalización que pretenden ser un punto de referencia en la lucha contra el Pentágono, pero que, ni mucho menos se pueden comparar con las contradicciones existentes entre las potencias vencedoras de la Segunda Guerra Mundial.

  La clase dirigente occidental y los jefes de la OTAN reconocieron abiertamente haber ganado la “guerra fría”. Desde la Rusia post-soviética también se ha reconocido esta victoria: en el Encuentro de Moscú del 20 de abril de 1996 entre los representantes del G-7 y Rusia se reconoció que “el fin de la guerra fría y las reformas políticas y económicas de Rusia han abierto una nueva era en nuestras relaciones; el Encuentro del Kremlin es un gran paso hacia la realización de nuestros objetivos”.

  Llegamos pues a la conclusión que la “Tercera Guerra Mundial” (llamada también “guerra fría”) acabó con la caída del bloque socialista, y que el conflicto actualmente en marcha sólo puede denominarse “Cuarta Guerra Mundial”.

  Visto desde fuera este conflicto no aparece como “caliente” (caso de las dos primeras guerras mundiales) ni “frío”, sino simplemente “oculto”; no se expresa mediante grandes maniobras ni declaraciones grandilocuentes, pero sin embargo está ahí, se está llevando a cabo con toda minuciosidad.

  Aún a pesar de la rapidez con la que la OTAN, con los Estados Unidos a la cabeza, se infiltró en los estados que una vez fueran aliados de la URSS, nadie se dio cuenta al principio de la magnitud de la infiltración, que causó una hipnosis colectiva en esos países, atrapados por el señuelo de las promesas de bienestar material y “moral” que prometían los mensajeros del Liberalismo occidental. Incluso en la misma Rusia, metida de lleno en el sangriento conflicto de Chechenia, las voces que se alzaron previniendo sobre las nefastas consecuencias de esa infiltración fueron ignoradas por gran parte de la sociedad, incluido el estamento militar, y solamente hallaron eco en algunos sectores minoritarios de la opinión pública.

  Fue únicamente a partir de los criminales bombardeos sobre Belgrado, comparables por su cinismo con los ataques atómicos sobre Hiroshima y Nagasaki, que se empezó a ver que la “guerra fría” había entrado en una nueva fase. Igualmente quedó claro este hecho tras la provocación global que se produjo el 11 de septiembre de 2001, pensada como una farsa pública y un show político-militar.

  A muchos especialistas no les pasó desapercibido que ese “ataque terrorista” que causó la desaparición de las dos Torres Gemelas, no fue más que una diversión. Para la realización de ese atentado se contó con la colaboración existente entre los servicios secretos americanos e israelíes. Bin Laden y los talibanes solamente fueron los “tontos útiles”. La finalidad del atentado era clara: Reforzar la presencia de los Estados Unidos (y la OTAN) en todo el orbe, y debilitar a sus potenciales oponentes, al mismo tiempo que relanzar la estancada economía occidental mediante la infiltración en diferentes mercados y la fabricación de armas ultramodernas.

  La diferencia principal entre la “Cuarta Guerra Mundial” y la anterior “guerra fría” es que la primera es llevada a cabo no por naciones ni estados sino por estructuras transnacionales. Con la ayuda de las nuevas tecnologías se ha expandido por todos los rincones del orbe. Por ejemplo, la empresa Microsoft, se expande por el mundo conquistando nuevos mercados no a causa de la fuerza de los tanques y aviones, sino a través de los canales informativos del ciberespacio.

  Las especificidades de estas agresiones aparecen más claras cuando se observa el mundo no como un “todo”, sino como compuesto de diferentes “realidades”: La Biosfera (naturaleza); la geografía; la historia (memoria); la religión (sistema de valores); la ciencia y la técnica; las comunicaciones; el ciberespacio (mundo virtual) y la esfera financiera. Todas estas realidades juntas constituyen lo que denominamos con una simple palabra: “Mundo”.

  Todas las fuerzas y los sujetos históricos que alguna vez han pretendido jugar un papel importante en tal o cual circunstancia han debido de tener en cuenta todas esas esferas citadas anteriormente. Los conflictos, la diplomacia abierta y secreta y las luchas de los servicios de seguridad, todos forman lo que se ha venido a llamar la “guerra mundial”.

  El resultado es que siempre ganará el que mejor comprenda la realidad del mundo circundante, el que mejor sepa utilizar las armas y recursos en su totalidad. El simple conocimiento solamente de una esfera (por ejemplo, religiosa o geográfica) y la posesión, igualmente, de un solo tipo de arma (de fuego o nuclear, pongamos el caso) no dará nunca como resultado la victoria en una guerra contemporánea.

  Occidente siempre ha sabido utilizar con provecho las viejas armas de sus rivales. La creación de disputas religiosas artificiales en una determinada etnia, por ejemplo, lleva a la destrucción de la nación. La proliferación de sistemas multipartidistas desemboca, igualmente, en la utilización inefectiva de los recursos humanos, a la lucha de clanes y a la división del estado en diferentes esferas de influencia económicas.
 

  Los conflictos nacionales en el interior de un estado multinacional llevan también hacia las luchas religiosas y civiles, hacia el secesionismo y la destrucción de los grandes espacios geopolíticos. La financiación de una u otra fuerza en conflicto dentro de los “puntos calientes” del planeta ayuda a las potencias mundiales a modificar en su provecho el equilibrio regional o global. Ejemplos de esta última táctica serían el apoyo prestado por la OTAN a los musulmanes albaneses o a la “oposición naranja” en Ucrania.

  Para desviar la atención de la opinión mundial de estas maniobras y ocultar sus verdaderos objetivos, el agresor enmascara su agresiva tarea. Con este fin, se recurre a la creación de una imagen demonizada del “sujeto” enemigo (este “sujeto” puede ser una persona concreta, una organización terrorista o un determinado país). En la historia reciente, Hitler, por ejemplo, ha personificado como nadie este miedo al “enemigo”. Con la caída del nacionalsocialismo alemán y del comunismo soviético (con sus Gulags), se ha creado un nuevo enemigo mundial, en este caso el “terrorismo islámico”.

  Pero, ¿quién organiza este juego, denominado “lucha por la paz”, “nuevo orden mundial” y “lucha contra el terrorismo”? Existe en realidad una única fuerza capaz de controlar todo el orbe terrestre?

  De hecho, una fuerza única como tal no existe. Hay, eso sí, una unión de las elites dirigentes, coordinadas para conseguir la dominación mundial. Sus órganos de trabajo son organizaciones internacionales como la OTAN, la Comisión Trilateral o el Club Bilderberg. Igualmente, diferentes iglesias, órdenes y clanes familiares y económicos colaboran en la consecución de estos objetivos.

  El tan utilizado concepto de “Judeo-masonería” no ayuda a explicar, ni mucho menos, quién está detrás de todas estas maniobras. Los judíos y los masones no son lo mismo. Dentro del mismo judaísmo existen luchas internas (por ejemplo, entre los sionistas y los ultraortodoxos). Aparte, fuerzas que parecen no entrar en este esquema, como los japoneses, participan de este juego por la dominación mundial.

  A menudo, en lugar de una visión real del conflicto mundial que se está llevando a cabo, solamente vemos a los dos polos enfrentados; los “judeo-masones” por un lugar, y los “terroristas” por el otro.

  Dejando de un lado los valores ideológicos, religiosos o emocionales, la esfera científico-técnica es una de las más importantes. A lo largo de la historia ha habido intentos de calificar a la Genética de “propaganda burguesa”, a la Cibernética de “invento de los judíos”, a los satélites (Sputnik) de “arma de los comunistas” y a Internet de “red del Anticristo”, pero todas estas denominaciones no aguantan ninguna crítica seria. La ciencia y la técnica son instrumentos útiles en manos de la gente libre. Pueden ayudar y reforzar cualquier ideología. No debe temerse a lo tecnológico; al contrario, debe ser utilizado para los propios fines. De otro modo, se corre el riesgo de quedarse por el camino. Con sables cosacos y popes con cruces en el mejor de los casos llegaremos al paraíso, pero no al Progreso.

  Si el suelo fue el campo de batalla de las guerras de los siglos anteriores y en el siglo XX lo fueron los espacios marítimos y aéreos, la esfera de la guerra actual y de las futuras, será lo que se ha venido a llamar “noosfera”, esto es, la inteligencia humana y los productos técnico-científicos que de ella se derivan. Toda la unión de la técnica moderna, telecomunicaciones, medios de transporte, armas modernas…dependen del ingenio humano, de su talento, y estos, a su vez, de la genética y la salud. De esta forma, los espías occidentales aprovechando la aparición de la “Perestroika”, lo primero que hicieron fue engañar a algunos de nuestros mejores especialistas. No pudieron comprarlos a todos, pero sí a muchos, de tal manera que las pérdidas producidas en nuestro país (1) aún se dejarán sentir bastante tiempo.

  Es por esto que en el centro de todas nuestras maniobras en esta Cuarta Guerra Mundial debemos situar a un nuevo sujeto, un Héroe fundador y libertador. Frente a la degeneración y la robotización que causa esta “guerra oculta” debemos oponer una Guardia Blanca del siglo XXI. Los miembros de ésta deben ser fuertes genéticamente, íntegros e intelectualmente preparados. Tienen que formar una nueva casta, educada en los misterios de nuestros antepasados pero, a la vez capaces de utilizar toda la técnica moderna, sin renunciar nunca a su Herencia. De esta forma nunca caerán en las trampas que, sutilmente, va tejiendo la modernidad.

  Esta es la tarea a la que debe dedicarse nuestro ejército y nuestros servicios secretos. De la llamada “clase media”, formada por “nuevos rusos” (2), antiguos funcionarios y “privatizadores”, así como los inmigrantes del sur y otra fauna que puebla nuestras megápolis, nunca podremos esperar individuos con las cualidades exigidas. Solamente el que ha combatido en la guerra contemporánea lo puede ser, pero no el que ha luchado en las montañas de Chechenia y el Daguestán, sino el que lo ha hecho en los frentes de batalla de la Cuarta Guerra Mundial.

  ¡La Revolución Blanca! La gloria en nombre de los Antepasados; el esfuerzo por el liderazgo en pro de nuevos espacios; la lucha por la Victoria; he aquí los objetivos que debemos enseñar a la juventud para devolver a Rusia su prestigio y gloria.
 

  Moscú, 24 de mayo de 2006. Traducido del ruso por Oriol Ribas
 

NOTAS:

  1 - Evidentemente, el autor se refiere a Rusia, pero este fenómeno (la conocida “Fuga de Cerebros”) se produce también en cualquier otro país (N del traductor).

  2 - La denominación “Nuevos rusos” se aplica a aquellos individuos, antiguos funcionarios soviéticos o miembros de la nueva clase empresarial, que se enriquecieron rápidamente tras la caída de la URSS (N. del traductor).

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Tibet: le "Grand Jeu" et la CIA

Tibet, le « Grand Jeu », et la CIA

 
Etant donné le contexte historique de l'agitation au Tibet, il existe une raison de croire que Beijing a été pris par surprise lors des manifestations récentes pour la simple raison que leur planification a eu lieu en dehors du Tibet et que la direction des manifestants est aussi entre les mains d'organisateurs anti-chinois, qui se trouvent en sécurité et hors de portée, au Népal et en Inde du Nord.

De même, le financement et le contrôle général de l'agitation sont liés au dirigeant spirituel tibétain, le Dalaï Lama, et par voie de conséquence à la CIA, à cause de la coopération rapprochée du Dalaï Lama avec le renseignement US depuis plus de 50 ans.

Effectivement, compte tenu de l'implication profonde de la CIA avec le Mouvement Free Tibet (Mouvement Liberer le Tibet) et son financement de Radio Free Asia suspicieusement bien informée, il semble peu probable que toute révolte puisse avoir été planifiée ou puisse avoir eu lieu sans que le National Clandestine Service ( Service National Clandestin auparavant connu sous le nom de Directorate of Opérations - Directoire des Opérations), qui se trouve aux quartiers généraux de la CIA à Langley, n'en ait eu au préalable connaissance.

L'ex haut responsable des services secrets indou et journaliste respecté, B Raman, a fait le 21 mars le commentaire suivant : « sur la base de preuves disponibles, c'est raisonnablement possible d'affirmer avec conviction que le soulèvement initial à Lhasa le 14 mars a été pré-planifié et bien orchestré. »

Se pourrait-il qu'il y ait une base factuelle suggérant que les principaux bénéficiaires de la mort et de la destruction qui a balayé le Tibet sont à Washington ? L'Histoire suggère que c'est effectivement une possibilité.

La CIA a mené une campagne d'actions clandestines de grande envergure contre la Chine communiste au Tibet et ce dés 1956. Cela a conduit à un désastreux soulèvement sanglant en 1959, faisant des dizaines de milliers de morts parmi les Tibétains, tandis que le Dalaï Lama et environ 100 000 de ses adeptes ont été obligés de fuir au Népal et en Inde en passant par les passages dangereux de l'Himalaya.

La CIA a établi un camp militaire secret d'entraînement pour les combattants de la résistance du Dalaï Lama à Camp Hale près de Leadville au Colorado aux US. Les guérilléros tibétains ont été entraînés et équipés par la CIA pour mener des opérations de guérillas et de sabotage contre les Chinois communistes.

Les guérilléros entraînés par les US ont mené régulièrement des raids à l'intérieur du Tibet, occasionnellement dirigés par des mercenaires sous contrat avec la CIA, et soutenus par des avions de la CIA. Le programme initial d'entraînement s'est terminé en décembre 1961, bien qu'il semble que le camp du Colorado soit resté ouvert au moins jusqu'en 1966.

La Force d'Intervention Tibétaine de la CIA crée par Roger E. McCarthy, parallèlement à l'armée tibétaine de guérilléros a continué à mener des opérations sous le nom de code ST CIRCUS, pour harasser les forces d'occupation chinoises pendant 15 ans jusqu'en 1974, puis l'implication approuvée officiellement s'est arrêtée.

McCarthy, qui a aussi dirigé la Force d'Intervention pour le Tibet lors du pic de ses activités de 1959 jusqu'en 1961, a continué plus tard à mener des opérations identiques au Vietnam et au Laos.

A mi chemin des années 60, la CIA avait remplacé sa stratégie de parachutage de combattants de la guérilla et d'agents des services secrets à l'intérieur du Tibet, par celle de la mise sur pied de l'armée de guérilléros, Chusi Gangdrük, comprenant 2000 combattants d'origine ethnique Khamba, regroupés sur des bases comme celle de Mustang au Népal.

Cette base n'a seulement été fermée par le gouvernement népalais qu'en 1974, après une formidable pression de Beijing.

Après la guerre Indo-Chinoise de 1962, la CIA a développé une relation rapprochée avec les services de renseignements indous, à la fois pour entraîner et fournir des agents au Tibet.

Kenneth Conboy et James Morrison dans leur livre The CIA's secret War in Tibet » révélent que la CIA et les services de renseignements indous ont coopéré dans l'entraînement et pour équiper des agents tibétains et des troupes de forces spéciales et pour former des unités aériennes spéciales de renseignements telles que l'Aviation Research Center (Centre de Recherche pour l'Aviation) et le Spécial Center (Centre Special).

Cette collaboration a continué pendant une grande partie des années 70 et certains des programmes qu'ils ont soutenus, spécialement celui concernant l'Unité des Forces Spéciales des réfugiés tibétains, qui deviendra une partie importante de la Force Frontalière Spéciale Indoue, est toujours présentement actif.

C'est la détérioration des relations avec l'Inde, qui a coïncidé avec celle de l'amélioration Inde - Beijing, qui a mis fin à la plupart des opérations conjointes CIA –Inde.

Bien que Washington est rétrogradé en matière de soutien aux guérilléros tibétains depuis 1968, on pense que la fin du soutien officiel pour la résistance s'est produite lors de rencontres à Beijing en février 1972, entre le président Richard Nixon et la direction communiste chinoise.

Victor Marchetti, un ancien officier de la CIA a décrit l'outrage ressenti par de nombreux agents de terrain quand Washington à effectuer finalement le déconnection, ajoutant qu'un certain nombre « se sont même mis, pour se consoler, aux prières tibétaines, qu'ils avaient apprises pendant ces années passées avec le Dalaï Lama ».

L'ancien chef de la Force d'Intervention Tibétaine de la CIA de 1958 à 1965, John Kenneth Knaus, a été cité disant : « ce n'était pas une opération « trou noir » de la CIA ». Il a ajouté : « l'initiative venait de …tout le gouvernement US. »

Dans son livre, « Orphans of the Cold War « (Orphelins de la Guerre Froide), Knaus décrit le sentiment américain d'obligation concernant la cause de l'indépendance du Tibet de la Chine. Il ajoute, significativement, que sa réalisation « justifierait les motifs les plus défendables que nous ayons eu d'essayer de les aider à réaliser ce but pendant plus de 40 ans. Cela soulagerait également certains de la culpabilité d'avoir participer à ces efforts, qui ont coûtés leurs vies à d'autres, mais qui était le fait d'une aventure menée principalement par nous. »

Malgré le manque de soutien officiel, des rumeurs circulent largement sur l'implication de la CIA, ne serait que par le biais de proxy, lors d'une autre révolte ayant échoué en 1987, l'agitation qui a suivi, et, conséquence, la répression chinoise qui a continué jusqu'à mai 1993.

Le moment choisi pour une autre tentative sérieuse de déstabiliser l'emprise chinoise sur le Tibet, est semble-t-il propice pour la CIA, et Langley gardera certainement toutes les options ouvertes.

La Chine est confrontée à des problèmes significatifs, avec les musulmans Uighur dans la province du Xinjiang, les activités des Falun Gong, parmi de nombreux groupes dissidents, et bien sûr le souci croissant d'assurer la sécurité des jeux olympiques de cet été en août.

La Chine est vue par Washington comme une menace majeure, à la fois économiquement et militairement, non pas seulement en Asie, mais aussi en Afrique et en Amérique Latine.

La CIA voit également la Chine comme « n'aidant pas » dans la « guerre contre le terrorisme », offrant peu ou pas de coopération et aucune action positive menée pour stopper le flux d'armes et d'hommes venant des zones musulmanes de l'Ouest de la Chine en soutien aux mouvements islamistes extrémistes en Afghanistan et dans les états d'Asie Centrale.

Pour beaucoup à Washington cela semble l'opportunité idéale pour déstabiliser le gouvernement de Beijing car le Tibet est toujours considéré comme le point faible potentiel de la Chine.

La CIA s'assurera sans nul doute que ses empreintes ne soient pas trouvées partout sur cette révolte ascendante. Des agents isolés, et des proxy seront utilisés parmi les réfugiés tibétains au Népal et dans les zones frontalières du Nord de l'Inde.

En fait, la CIA peut s'attendre à un niveau significatif de soutien de la part d'un certain nombre d'organisations de sécurité à la fois en Inde et au Népal, et n'aura aucun problème à fournir au mouvement de la résistance, conseil, argent et par-dessus tout, publicité.

Cependant, aucune arme ne sera autorisée à faire surface, tant que l'agitation ne s'accompagnera pas de signes révélateurs d'une révolte ouverte en devenir de la grande masse ethnique des Tibétains contre les Chinois Han et les Musulmans Hui.

D'importantes quantités d'armes légères et d'explosifs venant de l'ancien bloc de l'Est ont été introduites clandestinement au Tibet ces 30 dernières années, mais il y a de fortes chances qu'elles restent cachées, en sécurité, jusqu'à ce que le bon moment se présente pour les sortir.

Les armes ont été acquises sur les marchés mondiaux, ou de stocks sur lesquels les forces armées US et israéliennes ont mis la main. Elles ont été expurgées et ne présentent aucune trace pouvant les faire remonter jusqu'à la CIA.

Des armes de ce type ont également l'avantage d'être interchangeables avec celles utilisées par les forces armées chinoises et bien sûr elles utilisent les mêmes munitions, diminuant le problème de réapprovisionnement lors de tout conflit futur.

Bien que le soutien officiel pour la résistance tibétaine se soit terminé il y a 30 ans, la CIA a conservé ouvertes ses lignes de communication, et continuent de financer en grande partie le Tibetan Freedom Mouvement (Mouvement Liberté pour le Tibet).

Ainsi donc, la CIA est-elle une nouvelle fois entrain de jouer le « Grand Jeu » au Tibet ?

Elle en a certainement la capacité, avec une présence significative des renseignements et de forces paramilitaires dans la région. D'importantes bases existent en Afghanistan, en Irak, au Pakistan, et dans plusieurs états d'Asie Centrale.

On ne peut pas douter du fait que la CIA a un intérêt à saper la Chine, de même que la cible plus visible qu'est l'Iran.

Donc probablement que la réponse est oui, et effectivement, ce serait plutôt surprenant si la CIA ne manifestait qu'un intérêt passager pour le Tibet. C'est après tout ce pour quoi elle est payée.

Depuis le 11 septembre 2001, il y a eu une vague énorme de changement dans les attitudes des renseignements US, leurs exigences et leurs capacités. De vieux plans opérationnels ont été dépoussiérés et mis à jour. D'anciens atouts ont été réactivés. Le Tibet et une faiblesse repérée dans la position de Beijing là bas ont probablement été complètement réévalués.

Pour Washington et la CIA, cela peut apparaître comme une opportunité divine de créer un moyen de pression contre Beijing, sans gros risque pour les intérêts américains, une simple situation de gagnant- gagnant.

Le gouvernement chinois serait, à l'autre bout, celui sujet à une condamnation mondiale pour sa répression continuelle et sa violation des droits de l'homme et ce serait les jeunes tibétains qui mourraient dans les rues de Lhassa plutôt qu'encore plus de gamins américains en uniforme.

Cependant, les conséquences de toute révolte ouverte contre Beijing, sont une nouvelle fois la crainte que des arrestations, tortures et même des éxécutions se propagent à la fois dans tous les coins du Tibet et des provinces voisines où existent d'importantes populations tibétaines, comme le Gansu, Quinghai et le Sichuan.

Et le Mouvement Libérer le Tibet a toujours peu de possibilité, à long terme, de réussir à obtenir une amélioration significative de la part du pouvoir politique central chinois, et absolument aucune chance de faire cesser son contrôle sur Lhasa et son pays.

Une nouvelle fois, il apparaîtra que le peuple tibétain va se retrouver pris au piège entre l'oppresseur Beijing, et un Washington manipulateur.

La crainte que les US, la Grande Bretagne, et d'autres pays occidentaux puissent essayer de montrer le Tibet comme un autre Kosovo, peut en partie expliquer la raison pour laquelle les autorités chinoises ont réagi comme si elles étaient confrontées à de véritables révoltes de masse plutôt que leur description officielle d'un court soulèvement du à des mécontents soutenant le Dalaï Lama.

En effet, Beijing a pris tellement au sérieux la situation qu'une unité spéciale de coordination sécuritaire , le 110 Command Center (Centre 110 de Commande) a été installé à Lhassa, avec comme objectif principal de supprimer les troubles et restaurer complètement l'autorité du gouvernement central.

Ce Centre semble être sous le contrôle direct de Zhang Qingli, le premier secrétaire du Parti du Tibet, et un loyaliste du Président Hu Jintao. Zhang est aussi l'ancien vice secrétaire du parti Xinjiang, avec une expérience considérable en matière d'opérations de contre terrorisme dans la région.

Les autres qui occupent des positions importantes à Lhasa sont Zhang Xinfeng, secrétaire d'état au Ministère de la Securité Publique Centrale, et Zhen Yi, vice commandant des quartiers généraux de la Police Armée du Peuple à Beijing.

Le sérieux avec lequel Beijing traite l'actuelle agitation se retrouve de plus avec le déploiement d'un grand nombre d'unités de l'armée de la Région militaire de Chengdu, dont les brigades de la 149 ème Division d'Infanterie Mécanisée, qui agissent comme force d'intervention rapide de la région.

Selon un article de United Press International, des unités d'élite terrestres de l'Armée de Libération du Peuple ont été impliquées à Lhasa, et les nouveaux véhicules blindés de transports de troupes T-90, et d'autres véhicules blindés y ont été déployés. Selon l'article, la Chine a nié la participation de l'armée à la répression, disant qu'elle avait été menée par des unités de la police armée. « Cependant, de tels équipements tels que mentionnés ci-dessus, n'ont jamais été déployés par la police armée chinoise ».

Le soutien aérien est fourni par le 2ème régiment de l'armée de l'air, basé à Fenghuangshan, Chengdu, et la province de Sichuan. Il opère avec un mélange d'hélicoptères et d'avions de transport STOL, d'une base située sur le front près de Lhasa. Le soutien au combat aérien pourrait être rapidement mis à disposition grâce à des bataillons de combattants de l'infanterie d'attaque basés dans la région du Chengdu. Le District Militaire de Xizang forme la garnison du Tibet, qui a deux unités d'infanterie de montagne : la 52 ème brigade basée à Linzhi, et la 53 ème brigade à Yaoxian Shannxi. Elles sont soutenues par la 8ème Division Motorisée d'Infanterie et une brigade d'artillerie à Shawan, Xinjiang.

Le Tibet n'est plus si éloigné ou difficile à réapprovisionner pour l'armée chinoise. La construction de la première ligne de chemin de fer entre 2001 et 2007, a facilité significativement les problèmes de mouvement d'un nombre important de troupes et d'équipement, de Qunghai jusqu'au plateau accidenté tibétain.

D'autres précautions contre une résurgence des révoltes durables des années précédentes des Tibétains a conduit à une situation d'auto suffisance considérable en matière de logistique et de réparation de véhicules, et à une augmentation du nombre de petits aéroports construits pour permettre à des unités d'intervention rapide d'avoir accès aux zones les plus reculées.

On pense que le Ministère de la Sécurité chinoise et les services de renseignements ont eu une présence suffocante dans la province, et effectivement la capacité de détecter tout mouvement de protestation sérieux et de supprimer la résistance.

notes

Richard M Bennett, consultant en renseignement et sécurité AFI Research.
Copyright 2008 Richard M Bennett
Publié le 26/03/08 sur www.atimes.com
Traduction Mireille Delamarre pour www.planetenonviolence.org

Richard M Bennett

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dimanche, 04 mai 2008

La OTAN: de Marruecos a Chechenia

Enrique Ravello
LA OTAN COMO ESTRUCTURA MILITAR ANTITÉTICA
A LOS INTERESES EURO-RUSOS:
DE MARRUECOS A CHECHENIA

 

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 LA OTAN: GÉNESIS DE UNA ORGANIZACIÓN DE OCUPACIÓN MILITAR

  Si hacemos memoria recordaremos que la Organización del Tratado del Atlántico Norte (OTAN) es una organización internacional establecida en 1949 con el objetivo de colaborar en la defensa en los campos político, económico y militar. Nació a raíz de un acuerdo denominado Tratado del Atlántico Norte que fue firmado en Washintong D.C el 4 de abril de 1949.

  Teóricamente destinada a ser una garantía de seguridad de los estados de Europa occidental ante la Unión Soviética y sus aliados. Como era propio de la guerra fría la OTAN actuó sólo como fuerza disuasoria.

  …. Y AHORA, ¿DE QUÉ NOS DEFIENDE LA OTAN?

  Tras la desintegración de la Unión Soviética, la OTAN ha reformulado sus objetivos y actividades hasta apropiarse del control político y militar de la Europa central y occidental. En este marco se desarrolló la única operación de ataque a un país por parte de la OTAN, el criminal ataque a Yugoslavia en 1999, causando una gran cantidad de víctimas entre la población civil y usado como un campo de pruebas para nuevos armamentos. No olvidemos que el ataque a Yugoslavia se produce pocas fechas después de que Polonia y Hungría entraran en la Alianza Atlántica y fuera entonces, el yugoslavo, el único ejército con capacidad militar que quedaba entre la OTAN y la antigua frontera de la URSS: ése fue el motivo real del ataque.

  Una vez disuelto el Pacto de Varsovia, ¿se puede seguir hablando de función defensiva?, ¿contra quién? Aquí son los servicios de inteligencia norteamericanos los que dan la respuesta, creando enemigos fantasmagóricos que puntualmente justifican intervenciones aquí y allí con la excusa del terrorismo internacional

  Y son los servicios de propaganda americanos los que esgrimiendo el concepto de “Choque de Civilizaciones” pretenden involucrar a Europa centrooccidental con la coarta de la “lucha contra el Islam”, mientras que objetivamente usa al mundo árabe-islámico como punta de lanza contra Euro-Rusia, el potencial competidor de los EE. UU. por la hegemonía mundial La realidad es que la OTAN ha contribuido a crear un “cinturón verde” desde Pakistán, en el extremo oriental, pasando por Chechenia (con la ayuda del régimen wahabita de Arabia Saudita) hasta Bosnia y Kosovo (donde la guerrilla narcoterrorista de la UCK suele dar sus ruedas de prensa con la bandera de Albania flanqueada por la de EE.UU y de la OTAN) por un lado, y Marruecos por otro, en el extremo occidental.

  Uno de los puntos de fricción entre Eurosiberia y el mundo islámico se sitúa en la zona suroccidental de nuestro Continente, precisamente en la frontera entre Marruecos (África) y España (Europa). Un caso quizás menos conocido, pero al que como español quiero dedicar un momento de atención y denuncia como ejemplo paradigmático de la sinergia EE.UU-Islam contra Europa y de la falsedad de la OTAN como estructura de defensa militar de sus miembros

  Para empezar recordemos que teóricamente España es parte de la OTAN y Maruecos no, aunque tenga un tratado de cooperación bilateral con los EE. UU en el que se le reconoce como “aliado preferencial”.

  Como es sabido por todos en este momento las zonas de mayor fricción, al ser reivindicadas por Marruecos son Islas Canarias (españolas desde el siglo XVI), Ceuta y Melilla, que no son restos de ninguna presencia colonial sino ciudades españolas desde inicios de la Edad Moderna, es decir varios siglos antes de que Marruecos existiera como Estado.

  La presión marroquí en estos territorios, poblados hasta hace poco por españoles de estirpe europea como una minoría áraboislámica en las ciudades de Ceuta y Melilla, es en una primera fase demográfica: continuo desembarco de Pateras en Canarias, en Ceuta y Melilla donde de cada cuatro nacimientos, tres son musulmanes. En sólo 15 años la mayoría de la mayoría de población en Ceuta y Melilla será árabo-musulmana. Un dato revelador, los bancos españoles no dan a sus ciudadanos créditos a más de 10 años para adquirir viviendas en esas dos ciudades, seguramente porque saben que después de esa fecha habrán dejado de ser españolas.

  Siempre quedaría la posibilidad de una defensa militar por parte de la OTAN a la integridad territorial de uno de sus miembros (España) frente al ataque de un estado ajeno (Marruecos), pero es sabido que en las negociaciones para la incorporación de España a la OTAN, la Alianza atlántica exigió que las ciudad de Ceuta y Melilla quedaran fuera del territorio OTAN y la Alianza quedara eximida del compromiso de defenderlas frente a una posible invasión marroquí.

  Como ejemplo paradigmático de la actitud norteamericana en un posible conflicto hispano-marroquí sería muy conveniente recordar los sucesos de la isla Perejil sucedidos durante julio de 2002:

  La isla de Perejil es un diminuto islote en el mar que separa España y Marruecos. Hasta julio de 2002 era territorio español y la bandera roja y amarilla ondeaba allí.

  11 de julio, Marruecos invade la isla con el desembarco de 12 gendarmes e iza la bandera marroquí. Luego llegarán numerosos refuerzos para asegurar el control

  18 de julio, después de varias advertencias diplomáticas, 28 soldados españoles desalojan la isla de marroquíes en pocas horas, una rápida operación sin víctimas. Se iza de nuevo la bandera española. La legión española se despliega para asegurar la defensa del islote. El gobierno marroquí declara que esa acción equivale a una declaración de guerra por parte española.

  19 de julio, Colin Powell se “ofrece” como intermediario.

  20 de julio tras la intervención de Colin Powell se cierra la crisis, el presidente español del momento, José María Aznar ordena retirar los soldados y afirma que se vuelve al “status quo” previo a la intervención marroquí. Nada más falso, el acuerdo alcanzado establece que –al contrario del status quo anterior- además de las tropas, España, conservaba teóricamente la soberanía del islote pero no podía en ningún caso izar la bandera española lo que sería entendido como una “provocación”, también se comprometía y juraba no volver a usar la isla como base de apoyo policial en sus operaciones contra los traficantes de droga –prácticamente todos vinculados al haschis marroquí- que utilizan el estrecho de Gibraltar como vía de introducción de la droga en España y Europa.

  Evidentemente la negociación americana favoreció a Marruecos (no miembro de la OTAN) y perjudicó a España (miembro de la Alianza). La pregunta surge de inmediato, ¿de qué le sirve a España estar en la OTAN?, ¿de qué nos defiende?

  Señalar que existe un cuerpo del ejército español con base en Ceuta y Melilla llamados los “regulares”, actualmente está compuesto en un 40% por musulmanes, ninguno de ellos acudió a la llamada de sus oficiales durante el conflicto del Perejil, por no enfrentarse a “sus hermanos marroquíes”. El gobierno español no tomó las pertinentes medidas que todos los Códigos militares establecen para la deserción, de hecho, no tomó ninguna media coercitiva ni correctora concreta.
 

EL ESCUDO ANTIMISLES:
ENTRE LA HIPOCRESÍA Y LA PROVOCACIÓN
1.

  La creación del escudo antimisiles fue una de las promesas electorales de George Bush en su campaña de 2000, siendo una evolución del antiguo proyecto conocido como “Guerra de las Galaxias”. El sistema que los EE. UU pretenden instalar en Chequia y Polonia para 2012, técnicamente apenas sirve para neutralizar un ataque balístico bastante limitado, en ningún caso para neutralizar los sofisticados misiles rusos. Como máximo sí estaría en condiciones de neutralizar pequeños ataques desde los países árabes a Israel, lo que es cuanto menos curioso.

  Eso sí, el escudo tiene un elevadísimo presupuesto que sanearía las cuentas de la industria aeronáutica norteamericana hoy afectada por la competencia del Airbus europeo. El proyecto es una simple confirmación del “matrimonio” entre el gobierno de los EE.UU y la industria armamentística.

  Los EE.UU sólo pueden inquietarse con la potencia militar de Rusia y China y ninguno ha mostrado la menor intención ofensiva. Por lo que la justificación del Escudo es de otro tipo.

  a) Económica: beneficios para la industria militar.

  b) Geopolítica: presencia militar en Europa occidental y central, coacción en Europa oriental (Rusia, Serbia).

  c) Política: EE.UU ya ve a la UE como presente y futuro competidor, si el competidor se aleja de su esfera de influencia y comienza su natural acercamiento a Rusia, su hegemonía terminaría. Es necesario prestar atención a un proceso reciente, en Europa occidental ya muy pocos creen en la OTAN, la mayor potencia militar de esta zona, Francia, aboga cada vez más por una política militar europea independiente de EE.UU; hoy los máximos valedores de los EE.UU, dentro de la UE, son precisamente los antiguos países comunistas: Polonia, Chequia, Rumanía, es precisamente ahí donde EE. UU pretende instalar su escudo por tres motivos:

  1) Por entender que la zona de control geoestratégico del continente ha pasado de la Europa occidental a la centro-oriental más cercana a Rusia.

  2) Por crear tensiones internas en Europa entre los países más pro-americanos (Rusia, Chequía, Rumanía) y los más críticos con la OTAN-EE.UU (Francia, España y Alemania).

  3) Para aumentar la tensión/provocación a Rusia instalando el nuevo sistema militar de “defensa” en el territorio del antiguo Pacto de Varsovia, excesivamente cercano a la frontera de rusa. La enérgica reacción del gobierno ruso da a entender que el rearme y recuperación de la capacidad militar de la gran potencia europea –Rusia- es un hecho con el que los EE. UU tendrá que empezar a contar.

  Retomando el tema anterior del conflicto entre Marruecos y España, hay que decir que España, país de la OTAN, queda fuera del territorio de cobertura del escudo antimisiles, evidenciando que los EE.UU no tienen el meno interés en la defensa de Europa del mundo árabeislámico (Marruecos, Argelia, etc.) y sólo ve enemigos en el Este (Rusia).

  Por el contrario, a los EE. UU., sí le interesa la defensa del Estado de Israel, que, paradójicamente sin ser miembro de la OTAN sí que queda bajo el área de defensa del escudo. Repito la pregunta, ¿para que le sirva a España estar en la OTAN?
 

POR UNA OFENSIVA EURO-RUSA

  Denunciando sus insuficiencias y sus verdaderos objetivos, se trata ahora de demostrar la real naturaleza de la OTAN, su antítesis con los objetivos militares, y también políticos y económicos de Europa occidental y al mismo tiempo, defender una alianza Europa-Rusia como embrión de la futura confederación de la primera potencia mundial, como nos acaba de hablar Guillaume Faye.

  La desconfianza hacia los EE.UU. y la OTAN crece en los países de Europa occidental, cuyas opiniones públicas se muestran cada vez más críticas y contrarias a la sumisión de sus gobiernos ante la política estadounidense. Estamos en el momento preciso –y entiendo que ése es uno de los objetivos de esta reunión- de lanzar una contraofensiva propagandística y mediática que no se limite a la función “destructiva” de crítica sino que trascienda a la función constructiva de “propuesta”. Una campaña que debía estar sincronizada y coordinada entre:

  a) Los identitarios de Europa occidental, hoy los mayores defensores de Serbia y Rusia. Sólo como anécdota recordemos que fue el europarlamentario del partido italiano Fiamma Tricolore, Luca Romagnoli, el primero en proponer en esa institución que la negativa de la entrada de Turquía a la UE estuviese acompañada del ofrecimiento a Rusia y Ucrania para hacerlo.

  b) Y los identitarios de Europa occidental, con espacial énfasis en los rusos, quienes con la fuerza de sus instituciones y organizaciones serían capaces de dar una intensidad realmente efectiva.

  El mensaje a transmitir debería definir un lema principal y varios argumentos complementarios de ese lema principal.
 

  -Lema principal:
  “La única opción para una autonomía política, económica, energética y militar de Europa occidental para por terminar con la actual situación de colonización de baja intensidad por parte del entramado EE.UU-OTAN es iniciar inmediatamente una política de acercamiento a Rusia.
  La única opción para Rusia de terminar con la amenaza militar norteamericana y de establecer una entente política estable y beneficiosa para ambas partes, es hacerlo con Europa occidental buscando instaurar el eje París-Berlín-Moscú, o más ampliamente el eje Lisboa-Madrid-París-Roma-Berlín-Estocolmo-Moscú./p>

  Argumento básico y distintivo del tema principal: El acercamiento euro-ruso y la futura confederación Eurosiberiana traerían beneficios desde le punto de vista económico, político y militar, pero la “ultima ratio” está en la comunidad cultural, histórica y étnica de los pueblos que comprende. No se debe simplemente a beneficios o situaciones coyunturales, sino a principios esenciales: la comunidad de sangre y destino de todos los pueblos europeos de origen boreal.

  Argumentos complementarios:

  1) El periodo de la Guerra Fría (1948-1989) debe considerarse como una excepción negativa en la historia de Europa occidental.

  Sólo en ese periodo se sintió la amenaza de una invasión desde el este de Europa acompañada con la expansión de una ideología destructiva como fue el comunismo. Muerta esta ideología también hay que matar el temor a un acercamiento a la Europa oriental y más concretamente a Rusia

 

  Sólo durante este anómalo período Europa occidental hizo dejación de su autonomía política para permitir situarse bajo el “paraguas americano”

 

  2) La nueva sinergia euro rusa está muy lejos de pretender sustituir un imperialismo (americano) por otro (ruso). Se difundirá la idea de un confederación paritaria, y descentralizada.

  3) Las instituciones europeas deberán de ser marionetas de intereses americanos. La UE (mientras exista) deberá oponerse a la entrada de Turquía y comenzará a establecer tratos de relación económica privilegiada con Rusia, Serbia, y demás países europeos ajenos a la UE.

  4) Rusia deberá entender a Europa occidental como el gran aliado presente y futuro, a la que exigirá trato de privilegio económico, pero con la que también tendrá una relación privilegiada a la hora en cuestiones energéticas y militares, en detrimento de los países asiáticos (Eurosiberia frente a Eurasia)
  La unión entre la potente economía de la Europa occidental, y los recursos energéticos y potencia militar rusa, constituirían, con mucha diferencia, la primera potencia planetaria.

  5) Denuncia de la cultura-parvulario norteamericana como algo ajeno a la complejidad y riqueza del pensamiento europeo. Especial empeño en la difusión de las grandes obras culturales de la historia europea, con el objetivo de demostrar la similitud existente a lo largo de los siglos del arte y cultura rusa con la europea occidental.

  6) Presentación de la alianza euro-rusa como la única posibilidad de defensa no sólo de Europa sino también de todo el mundo blanco (de Australia a Argentina, pasando por la pronto minoría blanca de Norteamérica) denunciado la función destructiva que, en ese sentido, tiene el gobierno de los Estados Unidos.

  Para terminar quiero agradecer al señor Tualev y a su magnífica revista Ateney, al señor Ivanov y al resto de camaradas rusos, la organización de este II encuentro del Mundo Blanco y animo a organizadores y participantes a acudir puntualmente a nuestra cita en esta hermosa capital europea que es Moscú, y mantenernos unidos y coordinados en nuestra común defensa de Eurosiberia, Euro-Rusia y de todo el Mundo Blanco.
 


  1 Para ampliar información cfr. http://infokrisis.blogia.com, la página personal de Ernesto Milá. “El escudo antimisiles no protege, “enriquece”.

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