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samedi, 27 mars 2010

Il male atlantista

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Il male atlantista

di Fabio Falchi

Fonte: fabiofalchicultura

 

L'egemonia americana è conquistata in ambito culturale: è per questo che oltre alla critica socioeconomica, c'è bisogno di una "battaglia culturale".



Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

anti_nato_tshirt.jpgE' noto che il filosofo tedesco Carl Schmitt, interpretando la famosa tesi di von Clausewitz secondo cui la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, ritiene che la politica sia, in un certo senso, la continuazione della guerra con altri mezzi. Categorie decisive per comprendere il Politico sarebbero pertanto due: amico o nemico. Una visione del Politico certamente realistica, che forse ha il difetto di fondarsi, in parte, su una antropologia tutt'altro che convincente come quella di Hobbes, poiché Schmitt condivide l'idea del filosofo inglese secondo cui "auctoritas non veritas facit legem". Il che implica che "auctoritas" sia contrapposta, e non solo distinta, da "veritas"; ossia un'idea che pare trascurare il nesso tra "cosmo" ("veritas") ed agire rettamente orientato ("auctoritas", diversa dalla mera potenza, dalla "potestas" che è la facoltà di imporre la propria volontà mediante la legge), che rende ragione del fatto che Roma (della cui efficienza politica e militare nessuno può seriamente dubitare) fosse sempre attenta a seguire una linea politica conforme alla propria "tradizione" ed a ciò che, ad esempio, gli stoici (non a caso, perlopiù, difensori della concezione imperiale romana) consideravano l'ordine divino del mondo.


Ciononostante, la dicotomia amico vs nemico ha il pregio di farci comprendere sia la dimensione conflittuale che di necessità contraddistingue il Politico, sia che lo Stato è essenzialmente un "campo di forze", il cui equilibrio dipende in ultima analisi dalla capacità di una classe dirigente di usare "misure e proporzioni" largamente condivise e (senza che sia esclusa la possibilità di un ricambio dei membri della élite, né di una partecipazione del popolo alla gestione degli affari pubblici, secondo forme e gradi differenziati) tali da impedire, da un lato, il formarsi tra i "governati" di gruppi così forti da poter mutare l'equilibrio (inteso come la "forma attuale" dello Stato) a loro favore; e, dall'altro, che questo equilibrio venga mutato da entità politiche "esterne", che possono essere Stati, ma anche potentati economici. Anzi, oggi pare siano proprio questi ultimi, con tutte le loro "diramazioni" (fondazioni, think tanks etc.) ad esercitare la maggiore pressione sui singoli Stati nazionali , in modo da determinarne o condizionarne gravemente la politica. Sì che la funzione dei partiti sembra essere quella di non consentire, proprio con il meccanismo delle elezioni "democratiche", ai governati di partecipare effettivamente alla vita politica ed economica del proprio Paese e, riguardo ai popoli europei, in particolare, di prendere coscienza dell'alienazione allo "straniero" della propria "sovranità". Tuttavia, è impossibile trascurare il ruolo fondamenatle che l'America, in quanto Stato, svolge non solo in Occidente ma su scala planetaria , nonostante la crisi del modello unipolare che gli americani hanno cercato di realizzare dopo il crollo dell'Urss (con il pressoché totale e servile consenso dell'Europa). Una crisi dovuta soprattutto all'emergere di nuove potenze quali la Cina e l'India, alla "nuova" Russia di Putin e alla resistenza coraggiosa di altri Paesi, come, ad esempio, l'Iran e il Venezuela (e adesso, per fortuna, anche la Turchia di Erdogan).


E' essenziale quindi comprendere il rapporto tra i "poteri forti" e la politica statunitense, essendo evidente che, comunque sia, vi è ancora necessità di un apparato statale (per motivi militari, ma anche socali, giuridici, di cultura politica, di comunicazione etc.) per occupare "posizioni dominanti" sul piano politico ed economico a livello mondiale. Senza un "potere statale forte", che avalli, sostenga, promuova l'azione dei "privati", nessun "potere forte" sarebbe possibile. Se ciò spiega la lotta tra le varie e più potenti lobbies per assicurarsi il controllo della macchina statale americana, non pregiudica però in alcun modo, piuttosto la rafforza, la "logica di sistema" che caratterizza tanto la politica interna (governo/lobbies vs popolo/cittadini) quanto la politica estera (Usa/lobbies vs altri Paesi, divisi in "amici o nemici"), sia pure con tutti i doverosi distinguo. E' alla luce di questo schema che si può capire, a mio avviso, la rilevanza della lobby ebraica internazionale (si badi, "non" gli ebrei in generale, altrimenti si confonde il tutto con la parte, con conseguenze deleterie, facilmente immaginabili) e la "copertura" quasi assoluta di cui gode ormai Israele, che si può perfino permettere di ricattare gli Usa; tanto che non è esagerato affermare che talvolta "la coda può muovere il cane". Certo gli Usa non sono un'appendice di Israele, né vi è una sola lobby che conti in America. Ma la lobby ebraica, grazie alle sue "ramificazioni multinazionali", è di fatto l'unica che può garantire l'unità di azione a "livello sistemico" dell'imperialismo economico americano e del "mercato globale" (che altro non sono che due facce della stessa medaglia), vuoi perché "attiva"nei gangli vitali di ogni Paese occidentale , vuoi perché è riuscita ad ottenere una vera e propria egemonia culturale, che consente all'atlantismo di presentarsi come la sola espressione dell'humanitas, come unico veicolo di civiltà contro ogni forma di barbarie, nonché come vero erede della cultura europea. Una egemonia culturale che si è imposta facilmente in Europa dopo la definitiva sconfitta del comunismo, considerato anch'esso, come il nazismo, il fascismo ed ora pure l'islamismo, il nemico del genere umano, il "male".
Il fatto è che troppo spesso i crtiici dell'imperialismo americano tendono a sottovalutare gli aspetti propriamente culturali, per concentrarsi esclusivamente su quelli economici e/o politici. Ed è invece questa egemonia culturale, estremamente articolata e "pervasiva", che può "legittimare" la subalternità delle classi dirigenti europee alle direttive atlantiste agli occhi delle masse e perfino agli occhi degli "scettici". In questi ultimi decenni si è addirittura assistito alla nascita di una sorta di nuova "religione", superiore a tutte le altre, la cosiddetta "religio holocaustica", fondata sull'assoluto divieto di studiare anche la persecuzione degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale secondo una metotologia scientifica . Chi infrange questo divieto o perfino chi si limita a criticarlo pubblicamente rischia il carcere (in Germania, Austria e Svizzera) oppure, se vive in Francia, una sanzione economica, ma viene comunque sempre "messo al bando"( si viene espulsi dall'Università, licenziati, messi alla gogna, denigrati dai mass media senza avere la possibilità di difendersi etc.). Una "religio" che ha i suoi dogmi, i suoi riti, i suoi sacerdoti, i suoi zelanti servitori e i suoi, più o meno in malafede, fedeli. E che è l'altra faccia dell'atlantismo: simul stabunt simul cadent.
Infatti, la storia del Novecento e di questo inizio di secolo si può "rappresentarla" come la lotta tra il bene e il male, tra la Grande Israele e gli Imperi del male o gli Stati canaglia, solo se la si interpreta mediante uno schema a priori, che fornisca la "regola" per "ordinare e sistemare" gli eventi, in modo da invalidare ogni critica al "sistema" in quanto tale. Democrazia liberale di tipo angloamericano, liberismo, "culto" del mercato, "fede" nella tecno-scienza, diritti universali "ricalcati "su quelli made in Usa, american way of living devono essere esportati in tutto il mondo anche con la forza, non perché si ha la possibilità di farlo, ma perché è "giusto" farlo e se non vi è ancora la capacità di farlo ovunque, ci se ne dovrebbe rammaricare. Insomma, il "sistema" non funziona o non funziona "bene" senza il consenso delle masse (poco importa che sia un consenso passivo). Perciò occorrono "persuasori" (ma non "occulti", sebbene ci siano, ovviamente, anche questi ) e "cultura" che persuada, che "formi" (si pensi alla scuola , all'Università ed ai mass media) ed in-formi, che orienti e che (questa sì!) soprattutto "occulti". Il vero potere lo si detiene quando si può fare a meno di usare il bastone (che pur si deve avere e meglio se è un "grosso bastone"). Per questo motivo è necessaria l'egemonia culturale. Anche se, o meglio proprio perché non è la nostra "cultura", ma la "cultura" del mercante occidentale, del suo denaro e delle sue banche che ci viene imposta, in quanto il giudeo-cristianesimo sarebbe la "radice"dell'Europa (tesi che è ben differente dal riconoscere che il cristianesimo - nelle sue molteplici e contraddittorie "voci" - è stato la lingua spirituale - "sincretistica", per così dire - dell'Europa durante il Medioevo). Da ciò, tra l'altro, consegue che la civiltà classica, greca e romana, non la si debba "vedere" se non attraverso il prisma del giudeo-cristianesimo e che vi sia netta separazione ed opposizione tra Oriente (la "Terra") e Occidente (il "Mare"). Si vuole così ignorare non solo che Occidente è una parola che da (relativamente ) poco tempo designa la civiltà europea, ma che l'Europa è la "Terra di Mezzo", la "congiunzione fra Terra e Mare". Una congiunzione, una "e", che invece ci indica , contrariamente a quanto ritengono gli atlantisti, da dove proveniamo e dove dovremmo far ritorno, "risalendo" al nostro autentico "inizio", ora che il "Mare" minaccia di sommergerci.
Nulla di più "incapacitante" allora di una critica del capitalismo che prescinda dai "fattori culturali" o che, fraintendendo radicalmente il "senso" del legame sociale, li intenda come "semplice" sovrastruttura della struttura economica. Il capitalismo è un "ismo", un modo di agire e pensare che "fa si-stema", in cui, appunto, "tutto si tiene". Ma si "tiene" secondo la logica dello "sradicamento", della negazione delle "differenze", per veicolare l'ideologia della "merce", dell'equivalenza universale delle "cose" e delle persone ( la "cosificazione" o mercificazione che dir si voglia), dell'astrazione quantitativa che dissolve ogni "esperienza"del tempo qualitativo, non lineare ed uniforme, e dello spazio gerarchicamente orientato. Il che spiega perché tanto più emerge la consapevolezza che la "secolarizzazione" del giudaismo (di cui lo stesso sionismo è un effetto) e del cristianesimo, al di là di ogni considerazione sugli aspetti "sapienziali e tradizionali" certamente presenti in entrambe le religioni, è a fondamento della modernità, vale a dire delle condizioni sociali e culturali per la nascita del capitalismo, nel senso stretto del termine, tanto più diventa evidente il ruolo preponderante, sotto qualsisi profilo, della "forma mentis" dell'homo oeconomicus ed il progressivo adeguarsi della cultura occidentale agli "schemi concettuali" propri del "mercante errante", senza "oikos" ed "abitatore" del tempo.
Se vi è dunque la necessità di decifrare, di volta in volta, l'azione delle lobbies atlantitste (non necessariamente americane) per smascherare i reali obiettivi della politica degli Usa, mostrandone le mistificazioni e le "incongruenze" sempre più gravi (al punto che si impiegano termini per denotare realtà esattamente opposte rispetto a quelle che dovrebbero denotare), vi è ancor più la necessità di una battaglia culturale, un "Kulturkampf", per non ripetere l'errore di privilegiare un'analisi di tipo socio-economica (ripeto, a scanso di equivoci, indubbiamente necessaria), che non può cogliere la specificità dell' "anima capitalistica", il suo carattere proteiforme, che le consente di rimanere sé medesima mutando continuamente "maschera". Una "lacuna" che, in qualche modo, è causa o, se si preferisce, una delle cause della crisi fallimentare del comunismo e del "collasso" delle politiche di stampo socialdemocratico, dal momento che non soltanto ha impedito una comprensione dei "presupposti culturali" del capitalismo, che non fosse basata su una "ingenua " e sovente "volgare" concezione progressista, ma ha addirittura favorito l'affermarsi della "cultura" dell'homo oeconomicus, che è la "conditio sine qua non" del capitalismo occidentale (sotto questo aspetto, di gran lunga più coerente dei suoi "nemici"; per usare un "linguaggio schietto", il peggiore difetto della sinistra si potrebbe designare così: volere l'arancio ma non le arance!).
Vero è che si deve pure tener conto che occidentalizzazione ed atlantismo non sono necessariamente sinonimi, ma è innegabile che attualmente siano i circoli atlantisti che perseguono il disegno di occidentalizzare l'intero pianeta, annientando "identità", lingue, costumi e qualunque complessa "iconografia" - altro termine caro a Schmitt - che non sia quella (israelo)angloamericana. Si tratta di un processo di livellamento e massificazione che può essere contrastato solo dal sorgere di un nuovo equilibrio mondiale policentrico, premessa anche per costruire un'alternativa, "razionale" e credibile, ad ogni forma di occidentalizzazione. Purtuttavia, è lecito pensare che, fino a quando l'Europa non saprà orientare il proprio "asse" geo-politico e geo-filosofico in senso eurasiatista, difficilmente l'atlantismo conoscerà una crisi irreversibile: l'illimitato "Wille zur Macht" dell'Occidente può, come il "Mare", arretrare temporaneamente, per poi ritornare con ancor maggiore forza e impeto. Non dovrebbe destare meraviglia dunque che il sistema capitalistico occidentale più "si occulta" ed "occulta" e più, brandendo la spada vendicatrice del "dio" veterotestamentario per far trionfare il "bene" sulla Terra, lasci venire allo scoperto la sua volontà di potenza. E' questo non il segno accidentale della sua "sostanza", bensì il segno più chiaro della sua vera "natura".

 

 

jeudi, 25 mars 2010

Schweizer Armee bereitet sich auf innere Unruhen in der Europäischen Union vor

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Abwehr von Flüchtlingströmen: Schweizer Armee bereitet sich auf innere Unruhen in der Europäischen Union vor

Udo Ulfkotte / http://info.kopp-verlag.de/

In der ruhigen Schweiz herrscht derzeit innenpolitische Unruhe. Die Sicherheitspolitische Kommission (SiK) des in Bern ansässigen Schweizer Nationalrats ist von der Schweizer Armeeführung über erwartete mögliche innere Unruhen und Flüchtlingstrecks in der Europäischen Union unterrichtet worden. Die Zukunft der EU sieht demnach völlig anders aus, als es Politiker behaupten …

»Auch in Europa können Situationen entstehen, die wir uns heute gar nicht vorstellen können.« Das hat der Schweizer Armeechef André Blattmann bei einer vertraulichen Darstellung der sich abzeichnenden Lage der Europäischen Union in der Sicherheitskommission (SiK) des Schweizer Nationalrates in Bern gesagt. Demnach könnten in den kommenden Monaten neben Griechenland auch in Spanien, Frankreich, Italien und Portugal immer neue schwere innere Unruhen ausbrechen. Die Folge? Die Armeen der anderen europäischen Staaten müssen sich auf Kampfeinsätze vorbereiten, auch in der Schweiz. Denn entstehende Flüchtlingsströme könnten zur Abwehr auch einen Schweizer Armeeeinsatz notwendig werden lassen. Bürger aus Ländern mit einer schwierigen finanziellen Lage könnten massenhaft in die Schweiz einwandern. Armeechef Blattmann sagt wörtlich: »Auch große Migrationsströme könnten einen Einsatz nötig machen. Denken Sie nur an die wirtschaftliche Situation in Griechenland: Plötzlich steht in einem EU-Land der Staat vor dem Bankrott!«

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Dienstag, 16.03.2010

Kategorie: Allgemeines, Geostrategie, Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

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dimanche, 21 mars 2010

De la dissuasion nucléaire comme rééquilibrage des relations internationales

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De la dissuasion nucléaire comme rééquilibrage des relations internationales

Ex: http://blogchocdumois.hautetfort.com/

Que n’a-on vu et lu, surtout en marge du conseil d’administration du monde, appelé pudiquement, le « G 20 », à propos du chef d’Etat iranien, comparé, pour l’occasion, à Hitler, rien de moins. Exceptio limitatis, on ne doit guère s’étonner de ce procédé éculé des curés de la pensée unique, dénoncé » jadis par le regretté Léo Strauss, qui consiste à déconsidérer (voire à enterrer) médiatiquement et politiquement l’adversaire, par une « reductio ad hitlerum » en règle.

Nos gouvernants, bien incapables, en vérité, d’avoir su s’entendre sur les remèdes à apporter à la crise économique et financière ( prélude à la crise sociale pronostiquée l’année prochaine), prenant l’opinion publique internationale pour un parterre d’imbéciles (certes, il y en a beaucoup, mais tout de même), ont menacé l’Iran de sanctions, notamment économiques, si cet Etat souverain (on oublie un peu trop cet irréductible donné du Jus gentium, surtout en Europe) s’avisait de poursuivre le développement de son nucléaire civil. Personne ne doit être dupe du fait que ce coup de menton mussolinien (la ressemblance s’arrête là) n’est d’abord qu’un coup d’éclat publicitaire et communicationnel pour masquer la vacuité d’un sommet international aussi onéreux qu’inefficace.

Obama, Sarkozy, Brown et consorts, non contents, par leurs politiques irresponsables (continuées par eux dans la lignée de leurs prédécesseurs), d’avoir créé les conditions d’une mondialisation inhumaine, où l’on a laissé les banques et les multinationales prendre le contrôle de l’économie en lieu et place des responsables politiques pourtant démocratiquement élus, persistent diaboliquement dans leur entreprise de moralisation et d’uniformisation du monde, ce, en violation de tous les principes, notamment ceux de liberté et d’égalité souveraines des Etats.

Si Ahmadinejad fait peur au monde, c’est avant tout parce qu’il effraie jusqu’à la paralysie, Israël et les intérêts israéliens à l’étranger (ainsi que les intérêts étrangers en Israël). Le fait que les Etats-Unis encouragent globalement au désarmement nucléaire, participe de la volonté de cet empire de s’assurer la maîtrise de l’armement atomique. (cf. http://www.lesmanantsduroi.com/articles2/article32284.php). La fin poursuivie ? Faire sauter le verrou d’un nationalisme islamique (à l’instar de l’Irak baasiste, en son temps), obstacle réel et sérieux à la captation de l’énergie pétrolière par le Grand Sam.

Ce qui fait peur, en définitive, c’est la clairvoyante lucidité du régime iranien à l’égard des tenants occidentaux du nouvel ordre mondial qui pratiquent, avec une duplicité consommée, un jeu de bonneteau diplomatique générateur de dangereux déséquilibres au Moyen-Orient, au seul bénéfice d’Israël et des Etats-Unis.

Ce n’est pas faire montre d’antisémitisme primaire (ou secondaire ou tertiaire) que d’affirmer cela. L’édification d’un Etat israélien pérenne ne peut se faire au détriment des intérêts arabo-musulmans de la région. C’est un truisme dont ne tient pas compte la politique étrangère de la France, laquelle, à la remorque de la diplomatie israélo-américaine rompt avec la sagesse qui avait prévalu jusque là de l’équanimité à l’égard des uns et des autres.

La dénonciation de l’antisionisme, comme moteur de la géopolitique israélienne, par une transmutation linguistique délibérée, a été amalgamée à l’antisémitisme, au point que tout débat sur les relations internationales de l’Etat hébreux est devenu impossible. Lorsque qu’Ahmadinejad dit tout haut ce qui se murmure tout bas, à savoir, qu’« il n'est plus acceptable qu'une petite minorité domine la politique, l'économie et la culture dans une large partie du monde grâce à ses réseaux sophistiqués, instaure une nouvelle forme d'esclavage et nuise à la réputation d'autres nations, y compris des nations européennes et des Etats-Unis, afin d'atteindre ses objectifs (http://www.rue89.com/2009/09/25/iran-nouvelle-usine-secrete-nouvelles-menaces-occidentales)», de telles parole sont pris pour de la provocation, voire de l’incitation à la haine raciale.

Se rendrait coupable de délits « faurissoniens », quiconque irait, d’une part, jusqu’à mettre en doute la nocivité objective des propos du président iranien, d’autre part, à s’interroger sur leur possible validité.

Il est pourtant de bonne méthode d’appréhender la représentation psychologique que l’on peut se faire de telle ou telle réalité du monde comme un élément d’étude géopolitique à part entière au lieu de la nier d’emblée. Les mythes, qui sont des images et non des concepts, animent les opinions publiques, bien plus que n’importe quel discours un tant soit peu savant. C’est ce que ne comprennent guère nos apprentis-sorciers, aveuglés qu’ils sont par l’idéologie, qui est à la politique ce que les ombres de la caverne de Platon sont à la réalité.

Les Etats-Unis veulent l’exclusivité dans tout ce qui peut concourir à dominer le monde. Jeune nation qui n’a pas le recul et la sagesse des civilisations millénaires d’Orient, d’Asie ou d’Europe, l’Amérique ne peut souffrir à la fois la concurrence et la discussion avec des Etats qui revendiqueraient légitimement d’être traités d’égal à égal. C’est tout l’enjeu de la nucléarisation des politiques civiles et militaires de pays comme l’Iran ou la Corée du Nord (encore qu’il ne faille pas occulter la singularité du problème coréen). Après l’apparente bipolarité de la Guerre froide, la complexité multipolaire renoue avec des horizons géopolitiques et diplomatiques, jusque là neutralisés ou biaisés.

Les Américains ne s’y trompent d’ailleurs guère lorsqu’ils font pression sur Moscou et Pékin en vue de leur faire voter le principe d’une sanction contre l’Iran au Conseil de sécurité des Nations Unies. Tandis que la Chine s’approvisionne en pétrole persan, d’autres pays comme le Brésil s'opposent également à des sanctions et prônent le maintien des négociations au sein de l'Agence internationale de l'énergie atomique (AIEA) (http://www.iranfocus.com/fr/nucleaire/liran-ne-negociera-que-sil-est-sanctionne-sur-le-nucleaire-selon-clinton-07787.html).

Oui, la dissuasion nucléaire doit revenir au cœur des relations internationales, dans la mesure où elle réactiverait, à tout le moins en Europe, un certain Droit public international des grands espace et des équilibres inhérents qu’ils susciteraient. Nous laisserons le mot de la fin au Général Pierre-Marie Gallois qui écrivait dans un texte limpide publié en 1960, que les éditions François-Xavier de Guibert ont eut la géniale idée de rééditer : « (…) le domaine d’efficacité de la stratégie de dissuasion est plus généralement limité à la défense des intérêts vitaux du pays qui pratique cette stratégie. Entre ces pays, c’est la coexistence forcée et, s’il y a encore tension entre eux, celle-ci ne peut que s’exercer de manière moins directe, plus subtile que le chantage à la guerre, l’ultimatum ou l’agression  (Stratégie de l’âge nucléaire, François-Xavier de Guibert, Paris, 2009, p.166).

Robert Massis

vendredi, 19 mars 2010

L'Allemagne, Israël, l'Iran et la bombe: entretien avec M. van Creveld

L’Allemagne, Israël, l’Iran et la bombe

 

Entretien avec l’historien militaire israélien Martin van Creveld

 

creveldxxxxcccvvv.jpgNé en 1946 à Rotterdam, Martin van Creveld est un historien attaché à l’Université Hébraïque de Jérusalem. Cet expert israélien est considéré comme l’un des théoriciens les plus réputés au monde en histoire militaire. Il étonne ses lecteurs en énonçant des thèses non conventionnelles, notamment quand il écrivait récemment dans les colonnes de l’ « International Herald Tribune » : « Si les Iraniens ne tentaient pas de se doter d’armes nucléaires, c’est alors seulement qu’il faudrait les considérer comme fous ! ». Ses ouvrages principaux sont « The Transformation of War » (1991), où il avait prévu les formes de guerre nées après les événements du 11 septembre 2001. En 2009, il a publié en allemand « Gesichter des Krieges » (= « Visages de la guerre ») où il décrit les conflits armés de 1900 à aujourd’hui et émet des prospectives sur le 21 siècle.  

 

Q. : Professeur van Creveld, la Chancelière Angela Merkel menace l’Iran de sanctions. Les Iraniens sont-ils impressionnés par cette menace ?

 

MvC : Je me permets d’en douter. D’après mes estimations, les Iraniens considèrent que leur programme nucléaire est une question d’importance nationale. Les sanctions, par conséquent, ne les impressionnent pas ; au contraire, elles conduiront les Iraniens à se ranger tous derrière Ahmadinedjad.

 

Q. : Dans un essai pour l’hebdomadaire « Die Zeit », vous avez récemment posé un constat provocateur, en écrivant que l’Iran, s’il devenait puissance nucléaire, « ne serait pas plus dangereux qu’Israël ou les Etats-Unis »…

 

MvC : Oui, de fait, et pas plus dangereux que l’autre « Etat voyou », comme on le décrit, qu’est la Corée du Nord. Force est d’ailleurs de constater que cet Etat, depuis la fin de la Guerre de Corée, n’a plus fait la guerre à personne. C’est une prestation que les deux autres Etats, que vous mentionnez, ne peuvent pas se vanter d’avoir réalisé.

 

Q. : D’après vous, dans quelle mesure les Etats-Unis et Israël sont-ils des Etats dangereux ?

 

MvC : Oui, longue histoire. Pour faire simple, posez la question à Slobodan Milosevic ou à Saddam Hussein. Ces deux personnalités politiques ont directement expérimenté la dangerosité que déploient les Etats-Unis lorsqu’un pays exprime son désaccord avec la politique américaine. Et pour l’expérimenter, il faut ajouter deux conditions supplémentaires : le pays visé doit d’abord être inférieur aux Etats-Unis sur le plan conventionnel ; ensuite il ne doit pas posséder d’armes nucléaires. Quant à la dangerosité d’Israël, posez la question aux habitants du Liban ou de la Syrie…

 

Q. : Donc, pour vous, le danger que représenterait un Iran devenu puissance nucléaire est largement exagéré…

 

McV : C’est évident et le calcul qui se profile derrière cette stigmatisation de l’Iran saute aux yeux : les Etats-Unis ont toujours tout entrepris pour empêcher les autres puissances de posséder des armes dont ils disposaient eux-mêmes depuis longtemps. Dans le cas d’Israël, le motif est différent : officiellement, il s’agit d’obtenir de l’argent d’autres pays, comme l’Allemagne et les Etats-Unis. Les sionistes jouent ce petit jeu depuis cent ans, et avec grand succès, m’empresserai-je d’ajouter.

 

Q. : Et vous dites tout cela sans la moindre réticence…

 

McV : Je suis un historien et je peux me permettre de dire ouvertement la vérité, telle que je la vois. Bien sûr, vous n’entendrez jamais pareil aveu de la part d’un représentant gouvernemental. Israël a attaqué l’Irak en 1981 et la Syrie en 2007. Dans ces deux actes hostiles, la surprise a été décisive : c’est elle qui a fait le succès des opérations. Mais, alors, ne vous étonnez-vous pas que dans le cas de l’Iran nous parlons depuis des années de lancer des opérations similaires et que nous ne faisons rien ? Le fait qu’on en parle depuis tant de temps éveille le soupçon : l’enjeu doit donc être autre ; en l’occurrence, obtenir des armes et de l’argent.

 

Q. : La Chancelière Merkel est allée dans ce sens…

 

MvC : Non, les choses ne s’agencent pas tout à fait  ainsi. Le Président Bush était peut-être un idiot, mais ni Obama ni Merkel ne le sont. La possibilité d’une attaque israélienne n’est pas à exclure à 100%. C’est la raison pour laquelle on tente de donner à Israël suffisamment d’argent et d’armes pour que l’Etat hébreu s’abstienne de toute initiative malheureuse. Pour tous les intervenants, le jeu s’avère extrêmement délicat car il implique des éléments de Realpolitik, de tromperie et d’hypocrisie.

 

Q. : En 2008, Angela Merkel a prononcé des paroles historiques en déclarant que le droit d’Israël à l’existence relevait de la raison d’Etat allemande. Cette déclaration d’amour vous touche-t-elle ?

 

MvC : Des déclarations de ce genre me rendent certes très heureux mais en cas d’urgence les possibilités de Madame Merkel seraient très limitées.

 

Q. : Pensez-vous que l’Allemagne risquerait sa propre existence et enverrait la Bundeswehr pour intervenir dans une grande guerre en faveur d’Israël ?

 

MvC : Bien sûr que non. Mais à l’évidence, je dois vous révéler quel était l’objectif poursuivi au moment où l’on a fondé l’Etat d’Israël. Pendant 2000 ans, les Juifs n’ont pas pu dormir tranquilles parce qu’ils se faisaient du souci : devaient-ils se défendre eux-mêmes ou, si ce n’était possible, quelle puissance allait-elle prendre leur défense ? Israël a été créé pour que les Juifs puissent enfin dormir d’une traite pendant toute la nuit, parce qu’ils n’auraient plus à se casser la tête pour répondre à cette question. Donc, très logiquement, tout en respectant les propos de Mme Merkel, et en tenant compte de cette nécessité impérieuse de toujours dormir tranquille, je ne souhaite pas me poser la question de savoir si mon sommeil paisible doit dépendre ou non de l’armée allemande actuelle. Israël doit pouvoir se fier à lui seul. Et si l’improbable survenait et si Israël devait faire face à son propre anéantissement, je ne m’étonnerais pas d’apprendre que nous voudrions entrainer le plus de monde possible dans l’abîme avec nous.

 

Q. : Que voulez-vous dire par là ?

 

MvC : Songez à l’histoire du héros juif Samson.

 

Q. : « Qui en mourant tua plus de monde que pendant toute sa vie », comme le dit la Bible. Mais concrètement, qu’est-ce que cela signifie ?

 

TransformationGuerre.jpgMvC : Je laisse votre imagination répondre à cette question.

 

Q. : Pourquoi Angela Merkel se trompe-t-elle lorsqu’elle semble nous dire qu’un Iran devenu puissance nucléaire serait plus dangereux que les autres puissances atomiques ?

 

MvC : Que voulez-vous que je vous dise ? Je n’ai encore jamais rencontré d’expert iranologue qui croit vraiment que Khamenei (l’homme qui, en réalité, tire toutes les ficelles en Iran), Ahmadinedjad et le peuple perse en général sont tous fous et souhaitent voir leur magnifique pays réduit à un désert radioactif.

 

Q. : Vous voulez dire que le principe de la dissuasion fonctionne également chez les Iraniens ?

 

MvC : Sans aucun doute. Comme partout, il y a également en Iran des scientifiques qui savent très bien ce que signifierait une guerre nucléaire pour leur pays. Et si ce n’était pas le cas, je leur conseillerais de lire le travail réalisé par mon bon ami Anthony Cordesman, ancien membre du Conseil National de Sécurité des Etats-Unis, travail dans lequel il explique ce qu’Israël pourrait infliger à l’Iran avec les mégatonnes qu’il possède dans ses arsenaux.

 

Q. : Pourquoi l’Iran veut-il la bombe ?

 

MvC : Pour attaquer Israël ? Non, très vraisemblablement non. Ce serait trop dangereux car toute puissance qui utilise des armes nucléaires risque, tôt ou tard, de voir d’autres puissances en utiliser contre elle. L’Iran veut-il menacer ou faire chanter ses voisins ? Peut-être. Mais sans doute pas tout de suite, plus tard vraisemblablement.

 

Q. : Et cela ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Non. Ceux qui devraient s’inquiéter, ce sont les Etats du Golfe. D’ailleurs ils le sont. Parce qu’ils sont très éloignés d’Israël et qu’Israël, pour sa part, n’a ni l’intérêt ni les moyens d’aider ces Etats sans la moindre réticence. Nous avons donc affaire à un problème qui ne concerne que les Etats-Unis : eux devront l’affronter.

 

Q. : Ahmadinedjad ne planifie-t-il pas un nouvel holocauste ?

 

MvC : Je suppose qu’il le ferait si seulement il en avait les moyens…

 

Q. : Et cela, non plus, ne vous inquiète pas ?

 

MvC : Israël dispose de ce qu’il faut pour l’en dissuader.

 

Q. : Dans l’essai que vous avez récemment publié dans « Die Zeit », vous dites qu’Ahmadinedjad ne veut pas construire la bombe par conviction antisémite ; vous dites qu’il veut la construire pour des motifs d’intérêt national.

 

MvC : Cela ne fait aucun doute qu’Ahmadinedjad hait Israël. Certes, il éradiquerait bien ce pays de la surface de la Terre, mais seulement s’il en avait les moyens. Mais ce n’est pas la raison pour laquelle il cherche à se doter d’armes nucléaires. Alors pourquoi ? Depuis 2002, la situation stratégique de l’Iran s’est considérablement détériorée. En effet, les mollahs peuvent tourner leurs regards vers n’importe quel point cardinal, le nord-est, le sud-est, le sud ou l’ouest, toujours ils verront des troupes américaines déployées. Autour de l’Iran stationne un quart de million de soldats américains, pour être précis. Le cas irakien a appris deux choses aux mollahs : d’abord, qu’avec leur armée, ils n’ont aucune chance contre les troupes américaines. Ensuite, ils ne peuvent pas exclure l’hypothèse qu’un jour un président américain voudra quand même les attaquer. C’est en y réfléchissant qu’ils ont eu l’idée de fabriquer une bombe car se doter d’armes nucléaires est le seul moyen auquel ils peuvent recourir pour échapper au déséquilibre des forces.

 

Q. : Pourquoi ces raisons-là ne sont-elles jamais évoquées dans les médias allemands ?

 

MvC : Pourquoi me posez-vous cette question ?

 

Q. : Pourquoi ne la poserais-je pas ? Vous êtes un expert : que supposez-vous en constatant ce silence ?

 

MvC : Non, je ne peux pas répondre à la place des médias allemands.

 

Q. : Peter Scholl-Latour aime vous citer, et surtout cette phrase-ci : « Si j’étais iranien, je voudrais aussi avoir la bombe ! »…

 

MvC : Oui, et alors ?

 

Q. : Pourquoi les Allemands aiment-ils citer des Juifs pour donner plus de poids à leurs arguments ?

 

MvC : D’accord, cette question s’explique quand on connaît la situation allemande, mais en soi que signifie-t-elle ? Toutefois, ce n’est pas mon problème, mais le vôtre, à vous Allemands, de trouver une voie pour vous réconcilier avec votre passé, en l’occurrence avec l’holocauste…

 

Q. : Le gouvernement allemand sait-il de quoi il parle quand il évoque la question iranienne ou bien tous les propos qu’il tient sont-ils oblitérés par le besoin de surmonter le passé récent de l’Allemagne aux dépens de toute politique étrangère rationnelle ?

 

MvC : Je n’ai pas à émettre de jugement à ce propos. Posez la question à Madame Merkel elle-même.

 

Q. : En tenant des propos qui minimisent le danger de la bombe iranienne, ne vous attirez-vous pas des inimitiés en Israël ?

 

MvC : Ces derniers mois, j’ai eu maintes fois l’occasion de m’exprimer publiquement sur ce thème et je puis vous dire que non, en fait ma position ne m’attire aucune antipathie particulière. Les gens réagissent surpris, c’est évident, mais ils ne se mettent pas en colère. Aussi peu en colère d’ailleurs qu’Ehud Olmert, lorsque j’ai discuté avec lui de ces choses-là, quand il était encore premier ministre.

 

Q. : Dans votre longue contribution à « Die Zeit », vous insistez sur le véritable danger qui guette la région et qui n’est pas la bombe iranienne…

 

MvC : … ce véritable danger qui serait une attaque contre l’Iran pour l’empêcher de construire sa bombe. Pour vous en rendre compte, il suffit de jeter un coup d’œil sur la carte du Golfe Persique, la région la plus riche en pétrole du monde ; vous comprendrez alors pourquoi. Une attaque de cette nature pourrait précipiter l’économie mondiale dans une crise qui serait pire que toutes les autres qui l’ont précédée. Or, c’est bien connu, les crises économiques peuvent avoir des conséquences politiques et militaires très lourdes.

 

Q. : Comment une attaque contre l’Iran pourrait-elle se dérouler et, dans le pire des cas, que se passerait-il ?

 

MvC : L’Iran est un pays trop grand pour être occupé ; donc on aurait recours plutôt à l’engagement d’unités de commandos ou l’on mènerait une guerre aérienne, celle du tapis de bombes. Plusieurs stratégies sont alors possibles mais aucune d’entre elles ne garantirait la destruction totale du programme nucléaire iranien. Ensuite, il serait bien possible qu’une attaque contre l’Iran déclencherait une guerre entre Israël et la Syrie ou le Liban. Une telle guerre aurait de terribles conséquences sur le prix du pétrole, donc sur l’économie européenne et sans doute aussi sur la structure qu’est l’Union Européenne. Vous pouvez aisément imaginer tout cela…

 

Q. : L’attaque contre l’Iran se déclenchera-t-elle tôt ou tard ? Et si oui, quand ?

 

MvC : Depuis des années, je défends l’opinion qu’une telle guerre n’aura jamais lieu. Mais pour être honnête, il m’est arrivé de me tromper dans le passé et certains de mes pronostics se sont avérés faux. Il est toujours possible qu’un fou arrive à  prendre le pouvoir…

 

(entretien paru dans l’hebdomadaire berlinois « Junge Freiheit », n°11/2010, mars 2010 ; propos recueillis par Moritz Schwarz ; trad..  franç. : Robert Steuckers).  

 

mercredi, 17 mars 2010

Nouveautés sur le blog http://lepolemarque.blogspot.com

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Les articles de Laurent Schang

Joseph Kessel en Sibérie

Entretien avec Jean-Dominique Merchet: "Nous sortons de l'époque des guerres faciles"

 

 

mercredi, 03 mars 2010

La OTAN le dicta a la Union Europea su relacion con Turquia

La OTAN le dicta a la Unión Europea su relación con Turquía

La UE debe suscribir un acuerdo bilateral en materia de seguridad, entre otros asuntos.- Catherine Ashton no asiste a la reunión

otan-turquie-copie.jpgEn materia de defensa, la OTAN -es decir, EE UU- sigue siendo quien manda. Así ha quedado de manifiesto en la reunión informal que los ministros de Defensa de la UE celebran en Palma de Mallorca. En ausencia de la Alta Representante para la Política Exterior y de Seguridad, Catherine Ashton, que ha preferido asistir a la toma de posesión del nuevo presidente ucranio, la estrella de la reunión ha sido el secretario general de la OTAN, Anders Fogh Rasmussen.

Su primera intervención en un encuentro de este tipo no se ha limitado, como se esperaba, a abordar las relaciones entre las dos organizaciones. Rasmussen se ha presentado ante los ministros europeos como el embajador de los intereses de Turquía y les ha dicho cómo deben tratar a este país islámico, miembro de la OTAN y eterno aspirante a entrar en la UE. A saber: la UE debe suscribir un acuerdo bilateral en materia de seguridad con Turquía; debe establecer mecanismos de cooperación entre Turquía y la Agencia Europea de Defensa (AED); y debe permitir que los países que participan en operaciones militares de la UE sin pertenecer a la misma intervengan en la toma de decisiones. Por si hubiera duda, ha aclarado que Turquía es el segundo contribuyente de la misión de la UE en Bosnia. Tras admitir que “se trata de un tema sensible”, ha agregado que ello “no debe servir como excusa”.


Rasmussen ha asegurado que la discusión con los ministros europeos ha sido “muy fructífera”, pero ha evitado responder si Chipre está dispuesta a dar un papel mayor en la Unión al país que ocupa el norte de su territorio desde 1974. Respecto a la ausencia de Asthon, ha asegurado que ya ha abordado este asunto con ella y que “está muy a favor de reforzar la cooperación con la OTAN”.

Preguntado por las declaraciones del jefe del Pentágono, Robert Gates, quien ha lamentado la “desmilitarización” de Europa, Rasmussen ha recordado que los europeos aportarán 10.000 soldados a Afganistán a petición de Obama, pero ha admitido que “hay un problema por la falta de capacidad [militar] en Europa”. Ha calificado de “éxito” la ofensiva en la provincia afgana de Helmand y ha dicho que “servirá como ejemplo para operaciones futuras”.

La reunión de Palma ha concluido sin que los siete países socios del avión de transporte europeo A400M (Alemania, Francia, Reino Unido, España, Turquía, Bélgica y Luxemburgo) certificaran el “principio de acuerdo” anunciado por la ministra española, Carme Chacón . El comunicado oficial es más cauto y sólo constata que se ha producido “un avance significativo en las conversaciones”. Lo cierto es que la empresa fabricante, EADS, ha aceptado la última oferta de los gobierno para compensarla por el sobrecoste del proyecto: 2.000 millones a fondo perdido y 1.500 en créditos. Aún quedan, sin embargo, notables flecos; como saber qué países participarán en el préstamo y en qué condiciones. Chacón subrayó la “voluntad inequívoca” y unánime de ir adelante con el A400M y su impresión de que “pronto” se cerrará el acuerdo.

Miguel González

Extraído de El País.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 26, 2010.

samedi, 27 février 2010

Maniobras militares conjuntas entre Turquia e Israel

Maniobras militares conjuntas entre Turquía e Israel

Finalmente el ministro turco de defensa, Vecdi Gonül mencionó que después de la crisis del octubre de 2009 en las relaciones de este país y el régimen sionista, el ejército de este régimen ha participado dos veces en maniobras celebradas en el territorio de Turquía. El gobierno turco el mes de octubre de 2009 anuló el programa de la celebración de entrenamientos militares conjuntos con el régimen sionista en protesta a los crímenes de este régimen en la franja de Gaza.

Pero Vecdi Gonül finalmente frente las preguntas de los diputados de diferentes partidos en el parlamento, confesó que una de estas maniobras fue celebrada de forma trilateral entre Turquía, el régimen sionista y Jordania el mes de noviembre de 2009 en Ankara y la segunda en mes de diciembre en la misma ciudad.

Esta confesión de Gonül tuvo amplios ecos en los medios noticieros turcos, de forma que el diario Vakit publicado en Turquía escribió que el ejército de este país sigue actuando de forma obstinado y no acata plenamente al gobierno de este país.


Esto significa que el ejército de Turquía al contrario que los políticos de este país, persigue sus intereses en relaciones con el régimen sionista.

Al mismo tiempo algunos analistas no rechazan la posibilidad de que teniendo en cuanta las relaciones estratégicas de Turquía y el régimen sionista, haya un acuerdo entre el ejercito y el gobierno de Turquía de forma que los mandatarios de este país tomen postura contra el régimen sionista con el fin de responder las reclamaciones de la opinión publica del país ante los crímenes de este régimen en Gaza, y por otro lado, el ejercito mantenga sus relaciones militares con el régimen sionista.

De forma que algunos medios noticieros de Turquía anunciaron la ejecución del acuerdo de varios millones de dólares de este país y el régimen sionista para la compra de aviones no tripulados Heron el mes de marzo.
Otro punto de vista es que el ejército del régimen sionista, con el fin de destruir la posición y lugar del primer ministro de Turquía, Recep Tayyip Erdogan y separar este país del mundo islámico, insiste en mantener relaciones militares con Turquía.

Después de la fuerte disputa verbal el año pasado entre Erdogan y Simon Pérez, presidente del régimen sionista al margen del foro de Davos, los políticos israelíes incluso calificaron a Erdogan de anti judío.
Mientras tanto dirigente del partido Kadima del régimen sionista, Tzipi Livni, dijo de forma explicita que Turquía debe elegir entre el mundo islámico e Israel.

Parece que el Partido Republicano del Pueblo de Turquía como mas grande partido de oposición en el parlamento, teniendo en cuenta la sensibilidad de la opinión publica de la población musulmana de Turquía a la forma de la relación de su país con este régimen, intenta llevar bajo la tela de juicio la actuación del gobierno dirigido por Erdogan y aprovechar de ello a su favor en las próximas elecciones generales.

Extraído de IRIB.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 20, 2010.

vendredi, 26 février 2010

Cinco paises pediran a Washington que retire su arsenal atomico de Europa

Cinco países pedirán a Washington que retire su arsenal atómico de Europa

Alemania, Bélgica, Holanda, Luxemburgo y Noruega

Alemania, Bélgica, Holanda, Luxemburgo y Noruega van a pedir de forma conjunta a Estados Unidos la retirada de todas las armas nucleares que el Pentágono mantiene en suelo europeo. Así lo anunció este viernes el primer ministro belga, Ives Leterme.

Los cinco socios de la OTAN tienen previsto presentar esa iniciativa en el marco de la revisión del concepto estratégico de la Alianza Atlántica, explicó el mandatario en un breve comunicado: “Bélgica está a favor de un mundo sin armas nucleares y defiende esta postura en el seno de la OTAN en preparación de la conferencia de revisión del Tratado de no proliferación de mayo en Nueva York”.

Según Leterme, “los avances concretos sólo serán posibles a través de una concertación seria con los socios de la OTAN y teniendo en cuenta los progresos en las negociaciones en el campo del desarme”. El primer ministro aseguró que su Gobierno “quiere aprovechar la oportunidad brindada por el llamamiento del presidente Barack Obama a un mundo sin armas nucleares”, añadió.


El comunicado de Leterme es una respuesta al mensaje de dos antiguos primeros ministros belgas, Guy Verhofstadt y Jean-Luc Dehaene, y dos ex responsables de exteriores, Willy Claes y Louis Michel, publicado este viernes en la prensa. En él, los cuatro urgen a la retirada del arsenal atómico estadounidense en Europa y aseguran que éste “ha perdido toda su importancia militar”. “La Guerra Fría ha terminado. Es el momento de adaptar nuestra política nuclear a las nuevas circunstancias”, señalan los cuatro políticos.

Extraído de Radio Mundial.

~ por LaBanderaNegra en Febrero 20, 2010.

Stillgestanden, Pappkameraden: Europäische Armeen verkommen zu militärischen Pleitegeiern

Stillgestanden, Pappkameraden: Europäische Armeen verkommen zu militärischen Pleitegeiern

Udo Ulfkotte / http://info.kopp-verlag.de/

Europäische Armeen waren einmal wehrhaft. Sie wurden aufgestellt, um jederzeit Land und Bürger zu verteidigen. Doch verweichlichte Politiker haben aus europäischen Demokratien Bananenrepubliken gemacht. Und aus den europäischen Armeen arme Pappkameraden. Für Verteidigung ist kein Geld mehr da. Denn Feinde sind aus der Sicht unserer Politiker ja inzwischen zu angeblichen »Kulturbereicherern« mutiert. Jeder Böswillige wird als »kulturelle Bereicherung« hofiert. Und so wächst das innere Aggressionspotenzial in den europäischen Bananenrepubliken unaufhaltsam. Die Folge des Geldmangels der Armeen: Die Schweizer haben inzwischen nur noch Medikamenten-Attrappen in den Sanitätszelten. Und die Bundeswehr hat für das ganze Jahr 2010 keinen Schuss Munition mehr für das Standardgewehr G36. Ein Bundeswehreinsatz im Innern wäre 2010 deshalb wohl eher eine satirische Lachnummer.

spielzeug_musik_g.jpgAm 26. Januar wurde auf dem Schweizer Infanterie-Gebirgsschiessplatz Rothenthurm-Altmatt ein Soldat durch eine explodierende Handgranate schwer verletzt. Doch statt – wie geschehen – die Sanitätskompanie-7 zu Hilfe zu rufen, hätte man besser sofort das nächste Krankenhaus und einen Notarzt informiert. Wegen der Finanznot der Armee verfügen Schweizer Sanitäter nur noch über Medikamenten-Attrappen. Dem vor Schmerzen stöhnenden Opfer, das in Beinen, Brust und Bauch Granatsplitter hatte, konnten die Armee-Sanitäter nur eine einfache Infusion mit einer Salzlösung anbieten. Inzwischen gehören nicht einmal mehr Schmerzmittel bei Wehrübungen zur Grundausstattung Schweizer Sanitäter. Das Opfer wurde in einer Notoperation in einer privaten Klinik gerettet.

Bei der deutschen Bundeswehr sieht es nicht besser aus: Sie gibt zwar Milliarden für neue Rüstungsgroßprojekte aus, kann aber den Soldaten nicht einmal mehr die einfachsten Patronen aushändigen. Der Etat für Handfeuerwaffen der Bundeswehr ist schon jetzt für das komplette Jahr 2010 aufgebraucht. Es wurden bislang 30 Millionen Patronen des Typ 5,65 Millimeter Doppelkern (für das G36) verschossen. Das Verteidigungsministerium sucht nun einen Sponsor, der deutschen Soldaten 31,2 Millionen Euro für den Munitionsbedarf bis Ende 2010 zur Verfügung stellt. Auch wenn sich morgen ein Geldgeber finden würde, hilft das nicht sofort weiter: Die Lieferzeit für die Munition beträgt derzeit mehr als ein halbes Jahr. Wenn deutsche Politiker also über einen Bundeswehreinsatz im Innern fabulieren, dann ist das vor diesem Hintergrund eine Satire erster Klasse.

 

Mittwoch, 17.02.2010

Kategorie: Allgemeines, Enthüllungen, Wirtschaft & Finanzen, Politik

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jeudi, 25 février 2010

Von Bio-Hackern und künstlichen Bazillen

Von Bio-Hackern und künstlichen Bazillen

Andreas von Rétyi / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

Supermenschen, biologische Roboter und synthetische Lebensformen zählen nicht nur zum allseits beliebten Hollywood-Repertoire, sondern genauso auch zu den futuristischen Forschungsprojekten des Militärs. Genom-Hacker dringen zu den innersten Geheimnissen des Lebens vor, um neue Wesen ganz nach Maß zu schaffen. Ziel: unsterbliche Erfüllungsgehilfen für die verschiedensten Einsätze. Das Pentagon mischt natürlich tüchtig mit – und auch private Bio-Hacker rühren in der gefährlichen Brühe herum.

robots_z_1206527109.jpgDie Pentagon-Behörde für fortschrittliche Verteidigungsforschung DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) stößt oftmals in utopisch wirkende Dimensionen vor, um zu zeigen, was prinzipiell machbar ist. Und genau damit rücken diese Utopien bereits wieder in greifbare Nähe. Die militärische Forschergilde findet zunehmend Geschmack an ganz besonderen Rezepten, wie sie derzeit in ganz besonderen »Kochkursen« ersonnen werden. Denn neue DNA-Cocktails, künstliche Ursüppchen und mehrgängige Biosynthese-Menüs erfreuen sich bei den militärischen Gen-Gourmets wachsender Beliebtheit.

Jetzt fördert die DARPA das Projekt BioDesign mit Dollar-Millionen. Nichts als vorsichtige Anfänge allerdings. Immerhin aber sollen die Forschungen zur gezielten Modifikation von Genen merklich beschleunigt werden, um künstliche Kreaturen mit den ungewöhnlichsten Eigenschaften zum Leben zu erwecken. Die DARPA-Visionäre wollen die evolutionsbedingte »Zufälligkeit« ausschalten und genetisch programmierte, synthetische Organismen erzeugen, die unbegrenzte Zeiträume leben können und all das tun, was ihre Schöpfer von ihnen erwarten. Sollte das aber einmal nicht funktionieren und in alter SF-Manier eine gefährliche Fehlfunktion auftreten, darf ein – selbst natürlich unfehlbares – genetisches Selbstzerstörungsprogramm logischerweise nicht fehlen, ein Code, der automatisch in Gang gesetzt wird und dem ganzen Spuk ein jähes Ende setzt.

Die Kombination von Leben und Technik beginnt bereits auf der mikrobiologischen Ebene. Denn bekanntlich macht Kleinvieh auch Mist, und ohne die winzigsten Organismen gäbe es uns sowieso nicht. Paradebeispiel Cyano-Bakterien als supereffektive Sauerstoffproduzenten. Was vor Milliarden Jahren auf der Erde geschah, wollen Planeteningenieure und »Terraformer« in unbestimmter Zukunft auch auf dem Mars bewerkstelligen: die Umwandlung einer kompletten Atmosphäre mit entscheidender Starthilfe von Mikroben.

Abgesehen aber von diesen eher fernen Träumen gibt es schon jetzt harte Fakten. An zahlreichen Instituten wird weltweit fieberhaft an bizarren und auch bedrohlichen Konzepten getüftelt. Mit sogar relativ einfachen Mitteln und teils auch im Rahmen studentischer Projekte soll eine sehr zielorientierte Umformung des Lebens erreicht werden. Natürlich mit ganz anderen Absichten als die Planetenumwandler, aber mit nicht weniger Ehrgeiz. Mittlerweile ist schon von einer »Revolution der synthetischen Biologie« die Rede.

Der DARPA und verschiedenen Forschungsinstituten geht es aber nicht alleine darum, möglichst naturgetreue humanoide Biosysteme zu schaffen, synthetische Wesen, die im »Idealfall« nicht mehr von Menschen zu unterscheiden wären. Vor allem nämlich eine Idee begeistert die Experimentatoren: Sie wollen nicht nur genetische Bauteile kopieren und neu zusammenstellen, sondern auch völlig neue Gene und einen neuen genetischen Code schaffen. Wieder eingepflanzt in ausgewählte Bakterien sollen die Mikroben dann als lebende Werkzeuge tätig werden und ihre genetisch neu definierten Aufgaben erfüllen, darunter die Produktion von Treibstoffen oder auch Pharmazeutika.

Das Neudesign des Gencodes muss aber laut einer Studentengruppe der Universität von New York nicht auf hochspezialisierte Labors beschränkt bleiben. Die DIYbio-Gruppe (DIYbio = Do it yourself Biology) stellt sich eine wachsende Beteiligung von Amateurbiologen vor. Und davon gibt es schon jetzt eine ganze Reihe. Freizeit-Genetiker und Bio-Hacker, die im Hobbykeller, in der Garage oder gar der heimischen Küche neues Erbgut züchten. Manche Zeitgenossen betrachten deren Passion als Legospiel auf deutlich höherer Ebene, andere sehen darin einen riskanten, weitgehend unkontrollierten und ungeschützten Umgang mit potenziell gefährlichen Viren und Mikroben. Dass dereinst auch Kinder mit Mikroben herumbasteln und dazu die geeigneten Gen-Experimentierkästen zu Weihnachten geschenkt bekommen werden, davon ist der visionäre US-Physiker Freeman Dyson bereits eine ganze Weile überzeugt. Baupläne für Viren können heute schon »ergoogelt« werden, auch die Hardware ist verfügbar.

Mittlerweile existieren auch große »Bibliotheken« mit genetischen Bauteilen, beispielsweise das Registry of Standard Biological Parts am Massachusetts Institute of Technology (MIT) mit rund 5.000 »BioBricks«, also biologischen Bausteinen. Am MIT gibt es übrigens schon seit bald einem Jahrzehnt ein Preisausschreiben für die das »beste Bakterien-Neudesign«! Wer baut die tollste Bazille!

Die Gefahren solcher Technologien liegen wie bei vielen anderen Versuchsfeldern des Menschen klar auf der Hand. Eine hundertprozentige Sicherheit der Verfahren und Ergebnisse kann niemand wirklich garantieren. Schon heute lauern in den großen militärischen und geheimdienstlichen Biolabors die gefährlichsten Mikroben. Allesamt tickende Zeitbomben. Mit Gewissheit sind auch dies exakt die Stätten der skrupellosesten, der bedrohlichsten Entwicklungen auf dem Sektor. Was wird die nächste Generation der Gen-Hacker an bedrohlichen Neukreationen zu schaffen im Stande sein?

 

Donnerstag, 18.02.2010

Kategorie: Enthüllungen, Wissenschaft

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mardi, 19 janvier 2010

Does Immigration Limitation Require a Police State?

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Does Immigration Limitation Require a Police State?

Says one of my critics:

“…my problem with Keith Preston’s approach is not that he suggests identifying and allying with criminalized, marginalized, or lumpen people. My problem is, first, that he has what I consider a disastrously selective view of whose criminalization and marginalization counts as legitimate libertarian concern (=). And, secondly, that he has the wrong idea about what the process of building such an alliance, and the terms on which allies might ally themselves with each other, looks like.

(=) Hence, for example, his bizarre efforts coddle pseudo-populist Right-wingers who support the immigration police state and the mass criminalization of people without papers. Whereas on my view, if you’re concerned about identifying with the most criminalized, marginalized, exploited and oppressed, it would be harder to find a better place to start than with standing up for the rights of “illegal alien” workers confronting the border Stasi without government papers.”

The first problem here is the fact that the Stasi were oriented towards keeping people inside the German Democratic Republic, rather than keeping immigrants out, and repressing political dissent among East Germany’s captive native population. Beyond that, however, is the wider question of whether immigration limitation by itself requires a police state. No doubt there are plenty of anti-immigration enthusiasts who would like nothing better than a police state hunt-down of suspected illegal immigrants. No doubt the militarization of U.S. law enforcement generated by the various “Wars on…” (pick one) drugs, crime, guns, gangs, terrorism, vice, cults, racism, sexism, poverty, urban blight, child abuse, animal abuse, et. al. ad nauseum has at times included police state tactics in immigration enforcement as well (see the shenanigans of Uber-PIG Joe Arpaio).

But is a fascist police state essential to the restriction or limitation of immigration? Iceland  and Switzerland are among the most restrictive of the European nations concerning their immigration policies. Yet both of these are widely considered to be among the most progressive and libertarian of all nations anywhere. Iceland has no standing army, and bars nuclear weapons from its territory. Neither of them maintains the death penalty, and neither will extradite fugitives to the U.S. who may face capital punishment. Some years ago, an Icelandic court refused to extradite a fugitive to the U.S. because of the conditions found in U.S prisons. Switzerland is one of the world’s most non-belligerent nations. There are certainly no signs of fascism here.

Does immigration restriction even require a state of any kind? If the Spanish anarchist militias had been triumphant in the civil war, could they not have proceeded to safeguard the borders of the Spanish territory following victory? The Hezbollah militia of Lebanon is a non-state entity, yet it is an effective fighting force. Hezbollah is not only capable of guarding the Lebanese border, but of repelling an actual Israeli occupation. Likewise, the Armed Forces of the Colombian Revolution are a non-state entity, yet they have at times successfully held substantial portions of Colombian territory. Could not the FARC also safeguard its territorial boundaries?

What about all of the different kinds of territories within the United States itself where entry is restricted? These include industrial parks, office complexes, shopping centers, schools and universities, recreational facilities, country clubs, gated communities, stadiums, private neighborhoods, airports, bars and nightclubs, and private homes. All of these territories impose at least some degree of limitations on who may or may not enter. Those who do not buy a ticket are forbidden from entering theaters and stadiums. Those who do not pay a cover charge or have an ID are refused admission to bars. Those without a membership are denied entry to private clubs. Entry into schools is typically restricted to students, parents, employees, and others with authorized business. Even ordinary commercial facilities impose some minimal requirements for entry: “Shirts and Shoes Required”; “No Smoking”; “No Playing Loud Music”; “No Pets or Animals”; “No Rude or Aggressive Behavior.”

Of course, it might be argued that all of the aforementioned are private or semi-private institutions and organizations, as opposed to public streets, sidewalks, thoroughfares, lands, waterways, and airways. Yet most of these things are currently owned not by “the public” but by the state, which anarchists and the most radical libertarians ostensibly consider to be illegitimate. If the state were to disappear, into whose hands would such “public” areas fall? The anarcho-capitalist solution is to place these in the hands of private landowners, whether individual or collective in nature. The geo-anarchists prefer land trusts. Left-anarchists and libertarian-municipalists would prefer community control on the basis of some kind of Athenian model “direct democracy.” Syndicalists might prefer that all public services be put under “workers’ control,” meaning that, for instance, public streets and highways would be under the management of the highway workers’ and street maintenance workers’ unions. Mutualists might prefer “consumer control,” meaning, for instance, airports might be managed by, say, associations of frequent flyers or consumers of airline services. Whatever model or combination of models one prefers, it is quite possible that at least some of these kinds of entities would enact entry requirements at least as restrictive as those currently in existence.

There are other possibilities. Upon the demise of the state, perhaps all public properties and areas could be ceded to “squatters’ rights.” The first person to show up and pitch a tent on a piece of land in Yellowstone Park gets to keep the lot. Perhaps all public areas could simply be declared “No Man’s Lands” akin to present day Antarctica or remote desert or mountainous regions. Perhaps these might be areas where everything is a free-for-all, and where even ordinary criminal laws do not apply. I confess that if such a proposal came up for vote in a national referendum, the nihilist in me might well take over and I might not be able to resist the impulse to vote in favor of it. But how many people really think this would be a desirable state of affairs?

Either way, from where can the principle be deduced that a stateless or near-stateless society, nation, or territory would necessarily maintain unrestricted entry? Even if public areas were “No Man’s Lands” could not a xenophobic militia simply organize and drive away unwanted migrants? In contemporary Western-model societies, much of the mass immigration we presently observe is not simply occurring according to natural patterns of population movement, but is actively encouraged, promoted, and subsidized by the state. See here and here for some examples of how this works. I suspect this trend could be reversed if the support given to mass immigration by state and corporate policies was simply ended. Much of this immigration is economic in nature. Take away the economic incentives, and the overall amount of immigration should diminish. Indeed, there are some signs that the present economic situation is having such an effect.

I’m not going to go into the problems with allowing mass immigration from the Third World into the West. I’ve already written about that in the past and have really said all I have to say about the matter. See here and here. Critics already understand the potentially rather severe consequences of this. Proponents of mass immigration generally make it clear that they don’t care about the consequences. But when Islamic revolutionary parties start becoming competitive in European elections, and there’s a replay of the Mexican War complete with good old fashioned ethnic cleansing in the U.S. Southwest, don’t say us dirty, rotten, fascist, racist, nationalist, right-wing, reactionary, xenophobic bigots didn’t warn you. 

Some interesting articles on immigration:

dimanche, 06 décembre 2009

Die neue russische Nukleardoktrin

article_DEN01_RUSSIA-_0821_11.jpgDie neue russische Nukleardoktrin

F. William Engdahl

http://info.kopp-verlag.de/

Aufmerksame Beobachter der internationalen Politik sollten eigentlich nicht überrascht sein, wenn Moskau nun eine neue Nukleardoktrin verkündet, die einen »präventiven Atomschlag« unter bestimmten Bedingungen nicht ausschließt. Die neue Doktrin ist eine direkte Konsequenz daraus, dass die USA und NATO seit dem Ende des Kalten Kriegs systematisch die Einkreisung Russlands betreiben, einschließlich der besonders beharrlich verfolgten und beunruhigenden Pläne für den Aufbau einer Raketenabwehr in Polen und der Tschechischen Republik. Diese hätte den USA erstmals seit Anfang der 1950er-Jahre ein nukleares Primat, d.h. die Möglichkeit zum atomaren Erstschlag, verschafft. Moskau hatte angesichts der Eskalation vonseiten der NATO kaum eine andere Wahl. Infolge dieses Wahnsinns ist die Welt einem möglichen Atomkrieg aus Fehleinschätzung wieder einen Schritt näher gerückt.

Nikolai Patruschew, der Generalsekretär des Russischen Nationalen Sicherheitsrats, hat angekündigt, gegen Ende des Jahres werde Präsident Medwedew ein neuer Entwurf der Russischen Nukleardoktrin vorgelegt. Dieser enthält eine Liste möglicher Situationen, in denen ein präventiver Atomschlag gegen eine militärische Bedrohung Russlands und gegen einen Aggressor möglich sein soll. Allerdings behält auch die neue Doktrin eine gewisse Unbestimmtheit bei, unter welchen Bedingungen Atomwaffen zum Einsatz kommen können. Dieser Punkt ist von großer Bedeutung, denn je höher der Grad von Unbestimmtheit in Bezug auf den Einsatz von Atomwaffen, desto effektiver die Abschreckung.

Soweit bekannt, wird in dem neuen Dokument der breitere Einsatz von Atomwaffen verlangt. Russische Militäranalysten verweisen darauf, dass Russland über ein riesiges Territorium verfügt und versucht, die eigenen Streitkräfte zu reformieren – das Militärpersonal zu verkleinern. Die wirtschaftlichen Probleme der vergangenen Jahrzehnte haben dazu geführt, dass Wirtschaft und Bevölkerung heute schlechter auf eine Mobilisierung im Konfliktfall vorbereitet sind.

 

Laut der neuen russischen Militärdoktrin wird ein präventiver Nuklearkrieg möglich.

 

Offensichtlich spielt die Erfahrung der dramatischen Ereignisse vom August 2008 in Georgien eine Rolle. Der vom georgischen Präsidenten Micheil Saakaschwili angeordnete Angriff auf das umstrittene Gebiet Südossetien hatte damals die umgehende Reaktion Russlands zur Folge gehabt. Seitdem ist Russland darauf bedacht, sich davor zu schützen, dass sich ein lokaler Konflikt unerwartet zu einem großen Krieg entwickelt, für den Russland nicht gerüstet wäre. Denn wäre Georgien Mitglied der NATO, dann hätte der Konflikt von 2008 sehr schnell zu einem Krieg zwischen der NATO und Russland führen können, so die Einschätzung der Strategen. Für diesen Eventualfall besitzt Russland Atomwaffen.

Seit 1993 benennt Russland in seiner Militärdoktrin keine feindlichen Nationen mehr, es besteht aber kein Zweifel daran, dass die einzig mögliche Bedrohung von der NATO und ganz besonders von Washington herrührt.

 

Russland modernisiert seine Atomstreitmacht

Die Russischen Strategischen Raketentruppen, der landgestützte Teil der sogenannten »nuklearen Triade«, bekommen bis Ende 2009 ein zweites Regiment mit mobilen Startanlagen für Topol-M-Raketen. Die Topol-M-Raketen (SS-27 Stalin) bilden den Kern der landgestützten Atomstreitkräfte. Zu Beginn des Jahres 2009 verfügten die Strategischen Raketentruppen über 50 silogestützte (stationäre) und sechs mobile Topol-M-Raketensysteme.

Das erste Raketenregiment mit dem mobilen Raketensysem Topol-M ist bereits nahe der 240 Kilometer nordöstlich von Moskau gelegenen Stadt Teikowo stationiert und einsatzbereit. Ein sechstes Regiment wird 2010 nahe Saratow im Südwesten Russlands mit silogestützten Topol-M-Systemen ausgestattet.

Die Topol-M-Rakete verfügt über eine Reichweite von etwa 11.000 Kilometer und ist angeblich gegen alle derzeit eingesetzten ABM-Raketenabwehrsysteme immun. Sie kann Ausweichmanöver durchführen und somit einem Angriff von Abfangraketen in der Flugendphase ausweichen, sie kann Täuschmanöver durchführen und verfügt über Attrappen, sogenannte Decoys. Sie ist gegen Strahlung, elektromagnetische Pulse und Kerndetonationen abgeschirmt und übersteht jeden Angriff mit Laserwaffen. Russland arbeitet auch daran, die Lebensdauer der SS-18-Raketen auf 31 Jahre und die der SS-25-Topol- und RS-20B-Raketen auf 23 Jahre zu verlängern.

Wie das russische Verteidigungsministerium kürzlich mitteilte, hat auch die russische Atom-U-Boot-Flotte erfolgreich eine ballistische Rakete getestet. Am 1. November wurde von dem atomkraftbetriebenen U-Boot Bryansk aus in der Barentssee mit Erfolg eine Interkontinentalrakete zu einem Testflug gestartet. »Die Sprengköpfe haben ihr Zielgebiet in der vorgesehenen Zeit erreicht«, ließ das Verteidigungsministerium verlauten.

Die nukleare Triade Russlands besteht aus landgestützten Raketensystemen, atombetriebenen und mit Atomraketen ausgerüsteten U-Booten sowie strategischen Bombern, die Atomraketen und mit nuklearen Sprengköpfen versehene Marschflugkörper transportieren.

Eine Woche später unterzeichnete der russische Präsident ein Gesetz, wonach die russischen Streitkräfte unter bestimmten Bedingungen im Ausland eingesetzt werden können. Das Gesetz war im Oktober von beiden Häusern des russischen Parlaments verabschiedet worden.

Präsident Dmitri Medwedew betonte, Russland werde seine Streitkräfte nur im äußersten Notfall zum Schutz russischer Staatsbürger außerhalb des Landes einsetzen. Dass alle Bürger Südossetiens vor einigen Jahren russische Pässe erhielten, ist ein Beispiel dafür, über welche Art von Einsätzen man in Moskau nachdenkt. »Solche Entscheidungen werden nur getroffen, wenn es absolut unumgänglich ist«, erklärte Medwedew. »Unsere Bürger müssen überall auf der Welt geschützt werden und sie müssen sich vom Staat geschützt fühlen.« Medwedew hatte die geplanten Änderungen im August dem Parlament vorgestellt, kurz nach dem ersten Jahrestag von Russlands Fünf-Tage-Krieg in Georgien.

Die Änderungen sehen vor, dass russische Truppen im Ausland eingesetzt werden können, um einen Angriff auf außerhalb des Landes stationierte russische Truppen abzuwehren; zur Abwehr und Verhinderung eines bewaffneten Angriffs auf ein Drittland, das Russland um militärischen Beistand gebeten hat; zur Verteidigung russischer Staatsbürger im Ausland gegen einen bewaffneten Angriff; zur Bekämpfung der Piraterie auf See und zur Sicherung der Handelsschifffahrt.

Das derzeit gültige russische Gesetz aus dem Jahr 2006 erlaubt es dem Präsidenten lediglich, Truppen zum Kampf gegen den Terrorismus aus ausländischem Boden einzusetzen. Experten haben bemängelt, das Gesetz definiere die Begriffe »Krieg« und »Kampfsituation« nicht eindeutig genug, was den Einsatz der Truppen im Ausland kompliziere.

Gemäß dem neuen Dokument kann der russische Präsident vorbehaltlich der Zustimmung des Föderationsrates, des Oberhauses des Parlaments, den Einsatz der Streitkräfte im Ausland anordnen.

Kurz: Die unnachgiebige amerikanische Strategie der letzten Jahre zur Einkreisung Russlands und auch Chinas, die unter Obama unverändert fortgesetzt wird, führt dazu, dass die Welt heute nicht sicherer, sondern eher noch gefährlicher geworden ist als nach dem nominellen Ende des Kalten Krieges vor 20 Jahren. Das Pentagon spricht von »Full Spectrum Dominance«. Man könnte sagen: »Fully insane« – vollkommen verrückt.

 

Mittwoch, 02.12.2009

Kategorie: Geostrategie, Politik

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samedi, 21 novembre 2009

Pentagon-Weissbuch: Der "Narco-Krieg in Kolumbien" zielt auf ganz Südamerika

colombiaUSbase.jpgPentagon-Weißbuch: Der »Narco-Krieg in Kolumbien« zielt auf ganz Südamerika

F. William Engdahl / http://info.kopp-verlag.de/

Bislang war die starke US-Militärpräsenz in Kolumbien strikt auf Einsätze gegen Drogeanbau und -handel beschränkt, soll jetzt aber zu einer Ausgangsbasis für Luftangriffe auf ganz Lateinamerika ausgebaut werden. Daran zeigt sich, dass die Bemühungen der Regierungen von Venezuela, Bolivien und Ecuador um engere regionale Wirtschaftskooperation unabhängig von den Vereinigten Staaten zu einem ernsthaften Problem für die Hegemonie der USA genau in dem Teil der Welt wird, den sie seit der Proklamation der Monroe-Doktrin im Jahr 1823 als ihre »Einflusssphäre« betrachten. Immer mehr Länder in der Region lehnen die Anwesenheit der USA als imperiale Dominanz ab und suchen nach Alternativen. Die verstärkte Militärpräsenz in Kolumbien ist ein bedrohliches Anzeichen dafür, dass die USA nun Druck machen wollen.

In einem Dokument, das die US Air Force im Mai 2009 dem amerikanischen Kongress übermittelt hat, versteckt sich eine Erklärung, wonach das Pentagon derzeit die militärische Präsenz auf dem Flugplatz Palanquero in Kolumbien ausbaut, und zwar, wie es in dem offiziellen Dokument heißt, »zum Zweck der Durchführung von Full-Spectrum-Operationen in ganz Südamerika …«.

Full Spectrum Dominance ist die offizielle Strategie des Pentagon, die Welt zu beherrschen und nicht zuzulassen, dass irgendwo ein Gegner erwächst. 2002 hat US-Präsident George Bush im Rahmen des Kriegs gegen den Terror erklärt, zur offiziellen US-Strategie (National Security Strategy of the United States) – inoffiziell »Bush-Doktrin« genannt – gehörten in Zukunft auch »Präventivkriege«, um jede Möglichkeit auszuschalten, die Dominanz der USA als alleiniger Supermacht herauszufordern. Gemäß dieser radikal neuen Präventiv-Doktrin kann gegen feindliche Staaten eingeschritten werden, bevor diese angreifen können, selbst dann, wenn diese gar keinen unmittelbaren Angriff planen. Die Doktrin von 2002 bleibt auch unter Obama offizielle Strategie der USA.

Der Ausbau des US-Luftwaffenstützpunkts im kolumbianischen Palanquero für »Full-Spectrum-Operationen« bedeutet einen klaren Verstoß gegen eine eindeutige Vereinbarung zwischen den Regierungen Kolumbiens und der USA, wonach der Stützpunkt ausschließlich für Einsätze zur Drogenbekämpfung innerhalb Kolumbiens genutzt werden sollte. Demnach dient der »Plan Columbia« nur als fadenscheiniger Deckmantel für die amerikanische Militärpräsenz in Südamerika, die sich gegen Venezuela und andere potenzielle Gegner richtet.

Beide Regierungen haben öffentlich erklärt, die militärische Vereinbarung beziehe sich nur auf Maßnahmen zur Drogen- und Terrorbekämpfung auf kolumbianischem Territorium. Obwohl Präsident Uribe wiederholt betont hat, das Militärabkommen mit den USA wirke sich nicht auf die angrenzenden Staaten aus, herrscht in der Region Misstrauen über die wahren Ziele der Vereinbarung.

Im Dokument der US Air Force wird der Zweck deutlich ausgesprochen: Die USA solle in die Lage versetzt werden, »Full-Spectrum-Operationen in einer wichtigen Region unserer Hemisphäre durchzuführen, in der Sicherheit und Stabilität ständig durch mit Drogengeldern finanzierte terroristische Aufstände … und antiamerikanische Regierungen bedroht sind …« (Hervorhebung durch den Autor – W.E.)

 

Die USA zielen auf Regierungen der ALBA-Mitgliedsstaaten

Das Militärabkommen zwischen Washington und Kolumbien ermöglicht den Zugang zu und die Nutzung von sieben militärischen Einrichtungen in Palanquero, Malambo, Tolemaida, Larandia, Apíay, Cartagena und Málaga. Darüber hinaus ist laut Vereinbarung »im Bedarfsfall der Zugang zu und die Nutzung von allen anderen Einrichtungen und Standorten« in ganz Kolumbien uneingeschränkt möglich. Kolumbien hat dem amerikanischen Militär- und Zivilpersonal, Mitarbeiter privater Militär- und Sicherheitsdienstleister eingeschlossen, vollständige Immunität vor Strafverfolgung in Kolumbien zugesichert. Durch die Klausel, wonach die USA berechtigt sind, alle Einrichtungen im ganzen Land – selbst kommerzielle Flughäfen – zu militärischen Zwecken zu nutzen, wird Kolumbien offiziell zum Satellitenstaat der USA.

Das Dokument der US Air Force unterstreicht die Wichtigkeit des Militärstützpunkts in Palanquero und rechtfertigt die Summe von 46 Millionen Dollar, die der Kongress im Haushalt 2010 für den Ausbau des Flugplatzes und der dazugehörigen Infrastruktur auf dem Stützpunkt bewilligt hat. Der Stützpunkt wird dadurch zu einer sogenannten US Cooperative Security Location (CSL). »Die Einrichtung einer Cooperative Security Location (CSL) in Palanquero dient der Theatre Posture Strategy der COCOM (Command Combatant) und stellt unsere Ernsthaftigkeit unter Beweis. Die Entwicklung bietet eine einmalige Gelegenheit, umfassende Operationen in einer kritischen Teilregion unserer Hemisphäre durchzuführen, in der Sicherheit und Stabilität ständig durch mit Drogengeldern finanzierte Aufstände, antiamerikanische Regierungen, weit verbreitete Armut und wiederkehrende Naturkatastrophen bedroht sind.« (Hervorhebung durch den Autor – W.E.)

Angesichts wiederholter Äußerungen des US-Außen- und Verteidigungsministeriums gegen Venezuela und Bolivien – Länder, in denen demokratisch gewählte Regierungen bemüht sind, eine Wirtschaftspolitik durchzusetzen, die eine faire Nutzung der Rohstoffe, besonders im Bereich Energie, gewährleistet – besteht kein Zweifel, welche Regierungen in Südamerika mit dem Begriff »antiamerikanisch« gemeint sind.

Im April dieses Jahres haben die Staats- und Regierungschefs von Bolivien, Kuba, der Dominikanischen Republik, Honduras, Nicaragua und Venezuela, allesamt Mitgliedsländer der ALBA (Bolivarianische Allianz für die Völker unseres Amerika), die US-Politik in einer gemeinsamen Erklärung kritisiert. Dort hieß es u.a.: »Was wir zurzeit erleben, ist eine weltweite systemische und strukturelle Wirtschaftskrise und keine normale zyklische Krise. Es ist ein Irrtum zu glauben, diese Krise könne durch die Injektion von Steuergeldern und mithilfe einiger regulatorischer Maßnahmen gemeistert werden. Das Finanzsystem ist in der Krise, weil der Wert der Finanzpapiere sechs Mal höher ist als der Wert aller realen Güter und Dienstleistungen, die auf der Welt produziert und erbracht werden. Hier geht es nicht um ein Versagen der ›Regulierung des Systems‹, hier zeigt sich vielmehr ein Aspekt des kapitalistischen Systems, die Spekulation mit allen Gütern und Werten, um maximalen Profit herauszuschlagen.«

In der Erklärung der ALBA heißt es weiter: »Die Länder Lateinamerikas und der Karibik sind dabei, eigene Institutionen aufzubauen …, um den Prozess der gesellschaftlichen, wirtschaftlichen und kulturellen Umgestaltung zu vertiefen, der unsere Souveränität festigen wird … Um den schweren Auswirkungen der weltweiten Wirtschaftskrise zu begegnen, haben die ALBA-TCP-Länder innovative gestalterische Maßnahmen ergriffen mit dem Ziel, echte Alternativen zu der zerrütteten internationalen Wirtschaftsordnung zu entwickeln, anstatt diese gescheiterten Institutionen weiter zu stärken. Darum haben wir das Einheitliche System Regionalen Ausgleichs, SUCRE, ins Leben gerufen, das eine einheitliche Verrechnungseinheit, eine einheitliche Verrechnungsstelle und ein einheitliches Reservesystem umfasst. Gleichzeitig fördern wir den Aufbau großer Unternehmen in den Mitgliedsländern, die unseren Völkern dienen, und führen Mechanismen für einen gerechten Handel untereinander ein, bei denen die absurde Logik des ungebremsten Wettbewerbs nicht mehr gilt.«

Weiterhin wird die Entscheidung der G20-Staaten scharf kritisiert, die Vollmachten des Internationalen Währungsfonds zu erweitern: »Wir stellen die Entscheidung der G20 infrage, den Betrag, der dem Internationalen Währungsfonds zur Verfügung gestellt wird, in einer Zeit zu verdreifachen, in der vielmehr der Aufbau einer neuen Weltwirtschaftsordnung notwendig ist, die eine vollkommene Umgestaltung von IWF, Weltbank und der Welthandelsorganisation einschließt, d.h. den Institutionen, deren neoliberale Politik der Bedingungen maßgeblich zur weltweiten Wirtschaftskrise beigetragen hat.«

Die wiederholten aggressiven Erklärungen des Außen- und Verteidigungsministeriums der USA und des US-Kongresses gegen Venezuela, Bolivien und auch Ecuador zeigen, dass Washington die ALBA-Mitgliedsländer als »ständige Bedrohung« ansieht. Ein Land als »antiamerikanisch« einzustufen, heißt, es zum Feind der Vereinigten Staaten zu erklären. In diesem Licht ist es offensichtlich, dass das Militärabkommen mit Kolumbien in Reaktion auf eine Region geschlossen wird, in der es nach Ansicht der USA heutzutage von »Feinden« wimmelt.

 

Sonntag, 15.11.2009

Kategorie: Geostrategie, Politik

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vendredi, 20 novembre 2009

Les Etats-Unis: la "puissance intelligente" au service de la guerre

Les États-Unis : la «puissance intelligente » au service de la guerre

Ex: http://polemia.com/

Les derniers événements entourant le déroulement des guerres d’invasion en Asie centrale nous permettent de saisir quelques-uns des éléments de la stratégie des États-Unis et les différentes manœuvres diplomatiques et médiatiques visant à faire basculer l’opinion des Étatsuniens en faveur d’une poursuite de leurs opérations guerrières dans cette région.

La « réintronisation » orchestrée de Hamid Karzaï et l’envoi de renforts de troupes


La « réintronisation » de Hamid Karzaï à la tête du gouvernement fantoche de Kaboul a été orchestrée pour que le climat politique qui a prévalu depuis 2001 se maintienne avec la présence d’un allié acquis aux intérêts des conquérants. Les mots sont difficiles à trouver pour qualifier le caractère légitime de la «victoire» de H. Karzaï. On s’évertue à essayer de rendre maintenant son élection valide alors que la plupart des intervenants, depuis le 20 août dernier, ont discrédité le processus électoral et mis en doute ses résultats.

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En même temps, l’administration Obama et les stratèges du Pentagone ont fait semblant de tergiverser concernant l’envoi ou non de renforts alors que cette manœuvre avait vraisemblablement un double objectif. Le premier celui de jauger le potentiel de troupes additionnelles pouvant être offert par les membres de la coalition et le second, celui de disposer du temps nécessaire pour mesurer le degré de résistance des insurgés et des Talibans au Pakistan. Ainsi, elle a ordonné à l’armée nationale pakistanaise de livrer une guerre sans merci contre les Talibans et les insurgés dans le territoire du Sud-Waziristan. Ce faisant, les États-Unis pourraient peu à peu faire valoir que les efforts de guerre du Pakistan devraient être confortés par des forces militaires additionnelles en Afghanistan afin de faire face à la résistance pouvant éventuellement trouver refuge dans ce territoire. L’administration Obama serait ainsi en mesure de justifier les renforts qu’elle se propose de déployer.

Il est primordial pour cette administration qu’elle donne suite aux pressions exercées par la droite américaine qui réclame une intensification de l’effort de guerre en Afghanistan tout en emmenant l’opinion publique à accepter la décision d’ajouter un contingent important de soldats (on a mentionné des chiffres allant de 40 000 à 60 000). Peu à peu les guerres de l’Afghanistan et du Pakistan pourraient se fondre en un seul et même conflit et il serait alors plus facile de démontrer qu’il est crucial d’augmenter globalement les forces militaires dans cet ensemble, étant donné les menaces grandissantes posées par la résistance tant en Afghanistan qu’au Pakistan. Les États-Unis feront valoir qu’après huit années de guerre un «petit» effort supplémentaire serait nécessaire afin de ne pas revivre un autre Viêtnam.


Obama, une diplomatie de ralliement pour la conquête du monde par la guerre ?

Depuis leur arrivée à la Maison-Blanche le président Obama et sa secrétaire d’État, Hillary Clinton, ont parcouru le monde pour faire entendre le message renouvelé de l’Empire américain. Une rhétorique nouvelle faisant la promotion du modèle bien connu de domination et d’intervention sur tous les continents, modèle basé sur le plan du commandement unifié des États-Unis (voir l’image illustrant l’article NDLR). Ce plan de commandement «a été mis à jour par le Département de la Défense et s’avère un document stratégique clé qui définit les missions, les responsabilités et les aires géographiques de responsabilité pour les commandants en charge des commandements de combattants» étatsuniens et alliés à travers le monde. La totalité de la surface terrestre est encore, dans les faits, le champ de bataille des Étatsuniens et, sous la nouvelle administration, aucune modification substantielle n’a été apportée à ce plan en vue d’en réduire la portée sur l’ensemble des pays du monde.

Les itinéraires suivis par les responsables de la diplomatie étatsusienne leur ont permis de vérifier sur le terrain le taux de solidité de leurs alliances et le degré de fidélité de leurs partenaires et alliés traditionnels et aussi d’identifier et circonscrire les éléments discordants et hostiles. Ainsi, il leur est permis ensuite d’ajuster les orientations de même que l’intensité des opérations qui s’imposent.

La secrétaire d’État s’est même permis de se faire la protectrice des droits humains lors de son séjour à Moscou : «Toutes ces questions - emprisonnements, détentions, coups, meurtres - sont douloureuses à regarder de l'extérieur", a déclaré Mme Clinton, au deuxième jour de sa visite en Russie, sur la radio Echo de Moscou ». Il est difficile de croire que de tels propos puissent être tenus par la responsable de la diplomatie américaine quand on se rappelle les menaces d’oblitération totale qu’elle a proférées contre l’Iran au cours de la campagne présidentielle . Il importe aussi de rappeler que son pays détenait en 2005 la population carcérale la plus élevée au monde avec 2 186 230 prisonniers (25% du total mondial) et que le taux de détention par 100 000 habitants était également le plus élevé avec 737.6 résidents. De plus, «la Peine de mort aux États-Unis est appliquée au niveau fédéral et dans trente-cinq États fédérés sur cinquante que comptent les États-Unis. Aujourd'hui les États-Unis font partie du cercle restreint des démocraties libérales qui appliquent la peine de mort» (Wikipedia). Il est à espérer que la secrétaire d’État trouve aussi douloureuse cette situation qui prévaut dans son pays.

Mes intentions profondes sont les mêmes

Enfin, il convient d’ajouter que les guerres de l’Asie centrale se poursuivent dans la plus grande impunité et que la torture continue d’être pratiquée dans les prisons «secrètes». S’il s’agit là des manifestations des nouveaux concepts proposés en janvier dernier de la «puissance intelligente» et de la «responsabilité» il y a lieu de s’interroger, car il nous semble plutôt que les propos de la diplomatie étatusienne viennent tout simplement voiler le visage de l’impérialisme. Je suis un acteur qui pense maintenant autrement, mais mes intentions profondes sont les mêmes. En réalité, le concept de la «guerre permanente» reste le guide suprême de mon approche diplomatique qui se veut à géométrie variable en fonction des intérêts qu’il me faut sauvegarder. (Les deux pilliers de la nouvelle diplomatie américaine).

Conclusion

Pour la diplomatie étatsunienne il importe de conserver l’appui des plus puissants malgré certains irritants majeurs, car elle pourrait avoir besoin d’eux quand se produira l’effondrement annoncé de l’économie et l’implosion sociale qui en sera la résultante inéluctable. Faire la guerre pourrait devenir trop lourd pour la société et des mandataires capables de le faire seront alors invités à «donner» davantage pour permettre à l’Empire de survivre encore un certain temps. Cette consigne est sans doute celle qui a été transmise aux pays alliés. Ceux-ci, cependant, bien malgré eux, pourraient être entraînés éventuellement avec lui dans sa chute.

Jules Dufour
Mondialisation.ca,
04/11/ 2009

http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=15926

Références
AFP. 2009. Hillary Clinton avocate des droits de l'Homme à Moscou. RTBF Info. Le 14 octobre 2009. En ligne :
http://www.rtbf.be/info/economie/hillary-clinton-avocate-des-droits-de-lhomme-a-moscou-150876

AFP. 2009. L'OTAN adopte une nouvelle stratégie en Afghanistan. Cyberpresse. Le 23 octobre 2009. En ligne :
http://www.cyberpresse.ca/international/moyen-orient/200910/23/01-914285-lotan-adopte-une-nouvelle-strategie-en-afghanistan.php

BEAUCHEMIN, Malorie. 2009. Obama lance un ultimatum à l'Iran. La Presse. Le 25 septembre 2009. En ligne :
http://www.cyberpresse.ca/international/etats-unis/200909/25/01-905686-obama-lance-un-ultimatum-a-liran.php

COURMONT, Barthélémy et contre-feux.com. 2009. Les deux piliers de la nouvelle diplomatie américaine. ilovepolitics. Le 19 mars 2009. En ligne :
http://www.ilovepolitics.info/Les-deux-piliers-de-la-nouvelle-diplomatie-americaine_a1371.html

DUFOUR, Jules. 2007. Le réseau mondial des bases militaires américaines. Les fondements de la terreur des peuples ou les maillons d'un filet qui emprisonne l'humanité. Centre de recherche sur la mondialisation (CRM). Le 10 avril 2007.
En ligne:
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=viewArticle&code=DUF20070409&articleId=5314

DUFOUR, Jules. 2009. Le grand réarmement planétaire. Montréal, Centre de recherche sur la mondialisation (CRM). Le 5 mai 2009. En ligne:
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=13162

DUFOUR, Jules. 2009. Pakistan: un territoire stratégique pour les guerres de l’Occident en Asie Centrale. Montréal, Centre de recherche sur la mondialisation (CRM). Le 10 août 2009. En ligne:
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=14719

DUFOUR, Jules. 2009. Afghanistan: des élections pour l'imposition de la «démocratie»? Montréal, Centre de recherche sur la mondialisation (CRM). Le 21 août 2009. En ligne:
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=14871

KAY, Joe. 2008. Hillary Clinton menace d’ ‘effacer' l'Iran de la carte! Alter Info. Le 24 avril 2008. En ligne :
http://www.alterinfo.net/Hillary-Clinton-menace-d-effacer-l-Iran-de-la-carte!_a19103.html

Nombre de prisonniers dans le monde, par pays. PopulationData.net:
http://www.populationdata.net/chiffres/monde-prisonniers-2006.php

Peine de mort aux Etats-Unis :
http://fr.wikipedia.org/wiki/Peine_de_mort_aux_%C3%89tats-Unis

Jules Dufour, Ph.D., est président de l'Association canadienne pour les Nations Unies (ACNU) /Section Saguenay-Lac-Saint-Jean, professeur émérite à l'Université du Québec à Chicoutimi,   membre du cercle universel des Ambassadeurs de la Paix, membre chevalier de l'Ordre national du Québec.



Correspondance Polémia
08/11/2009

Image : Le Plan du commandement unifié des États-Unis
 

Jules Dufour

samedi, 14 novembre 2009

Japon: premier pas vers la libération

Japon : premier pas vers la libération

Ex: http://unitepopulaire.org/

 

« Venu à Tokyo accélérer un accord sur les bases américaines, le secrétaire d’Etat américain Robert Gates a été froidement reçu. “Ah soo desu ka” (“Oh, vraiment”). C’est généralement par cette formule de politesse que les Japonais répondaient depuis des décennies au “we have a deal” (“nous sommes d’accord”) des Américains. D’où le choc éprouvé cette semaine par l’administration Obama quand le ministre des Affaires étrangères Katsuya Okada a déclaré : Nous n’allons pas accepter ce que les Etats-Unis nous disent juste parce que ce sont les Etats-Unis. Il répondait aux pressions du secrétaire américain à la Défense Robert Gates, venu à Tokyo pour accélérer la concrétisation d’un accord conclu en 2006, après quinze ans de négociations, sur la réorganisation des bases américaines dans l’Archipel. Celui-ci prévoit le déplacement de la base de Futenma, proche d’une zone urbaine au sud de l’île d’Okinawa et le transfert de 8000 soldats américains d’Okinawa à Guam.

Katsuya_Okada_cropped_Katsuya_Okada_and_Hillary_Rodham_Clinton_20090921.jpgCela fait des années que la présence militaire américaine au Japon (47 ’000 hommes actuellement) provoque des tensions avec la population locale à cause d’accidents, de deux affaires de viol médiatisées, et plus généralement de la pollution. A Okinawa, qui accueille trois quarts des bases et la moitié du contingent, c’est d’ailleurs l’opposition de riverains voulant préserver la baie au nord de l’île qui bloque le déplacement de la base de Futenma. Mais l’affaire dépasse l’enjeu écologique depuis la victoire des sociaux-démocrates le 30 août dernier, mettant fin à la très longue domination du Parti libéral démocrate. L’actuel premier ministre Yukio Hatoyama avait promis aux électeurs de traiter d’égal à égal avec les Etats-Unis et de trouver une solution alternative pour la base de Futenma, afin d’alléger le fardeau d’Okinawa. Sa popularité (70% de soutien) dépend en partie de sa fermeté.

Le gouvernement japonais a pris un départ sur les chapeaux de roue. Il a mis fin au soutien logistique naval, dans l’océan Indien, des troupes américaines engagées en Afghanistan. Il veut réviser le statut privilégié des soldats américains basés au Japon. Il a ouvert une enquête sur les pactes secrets conclus entre Tokyo et Washington pendant la Guerre froide. Il joue avec l’idée d’une Communauté est-asiatique regroupant la Chine, le Japon, les pays de l’ASEAN, peut-être l’Australie – sans dire un mot du rôle qu’y joueraient les Etats-Unis.

Il prend aussi tout son temps pour appliquer l’accord militaire signé en 2006 par le précédent gouvernement, tandis que les Américains le pressent de conclure avant la visite de Barack Obama au Japon, le 12 novembre prochain. Robert Gates a modérément apprécié la placidité de ses hôtes, déclinant une invitation à dîner avec des fonctionnaires du Ministère japonais de la défense. Geste éloquent quand on sait l’importance du protocole au pays du Soleil-Levant. Plusieurs fois, des diplomates ou députés japonais ont répondu du tac au tac, voire avec une certaine impertinence à leurs vis-à-vis américains. “En 30 ans, je n’avais jamais vu ça !” dit au Washington Post Kent Calder, directeur du Centre d’études asiatiques à l’Université John Hopkins. »

 

Le Temps, 26 octobre 2009 

mardi, 27 octobre 2009

Bouclier anti-missiles américain: la Slovaquie refuse la vassalité

Bouclier anti-missiles américain:

la Slovaquie refuse la vassalité

26/10/09- 12h30
BRATISLAVA (NOVOpress) – Le premier ministre slovaque Robert Fico a totalement exclu le déploiement sur le sol de son pays d’éléments du futur système antimissile (ABM), qu’il soit américain ou otanien.

Missile SM-3

Il a notamment déclaré : « Tant que je resterai premier ministre, je ne donnerai pas mon accord à la mise en place sur le territoire slovaque d’une quelconque composante d’un système antimissile» .

Le 17 septembre dernier, les Etats-Unis ont renoncé à leur premier projet de bouclier antimissile en Europe, perçu comme une menace par Moscou.

Par contre, de leur côté, Prague et Varsovie ont déjà déclaré leur disposition à participer au nouveau projet ABM.

[cc [1]] Novopress.info, 2009, Article libre de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d’origine
[
http://fr.novopress. info [2]]


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lundi, 26 octobre 2009

Tutelle américaine sur l'Europe: la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missiles

Tutelle américaine sur l’Europe : la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile

Missiles

VARSOVIE(NOVOpress)L’indépendance de la défense européenne ne parait toujours pas à l’ordre du jour.

Ainsi, la Pologne, par la voix de son premier ministre, s’est déclarée prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile américain (ABM).

« Le projet SM-3, c’est-à-dire le projet de nouvelle configuration du bouclier anti-missile est très intéressant et nous voulons y participer. Nous sommes prêts à assumer une responsabilité commune» , a indiqué le premier ministre polonais avant de souligner que les peuples polonais et américain partageaient « les mêmes valeurs ».

Une prise de position qui fait déjà grincer des dents le voisin russe qui voit d’un très mauvais œil la stratégie américaine en Europe.

[cc [1]] Novopress.info, 2009, Article libre de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d’origine
[
http://fr.novopress. info [2]]


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vendredi, 23 octobre 2009

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Expertos militares de Estados Unidos y Polonia se reúnen hoy en esta ciudad para discutir una nueva estrategia más económica y adecuada para las necesidades defensivas de Europa, según observadores.

El plan norteamericano pretende situar en el viejo continente sistemas de misiles móviles, en sustitución del proyecto inicial de escudo balístico propuesto por el ex presidente George Bush, y que el mes pasado la actual administración de Barack Obama desechó.

En declaraciones a la radio pública polaca, el viceministro de Defensa de ese país, Stanislaw Komorowski, dijo que hoy tendrán la oportunidad de solicitar toda la información necesaria sobre la nueva propuesta, pues todavía hay muchas preguntas.


La decisión de Obama de cancelar el polémico plan de Bush, no fue bien vista por las autoridades polacas y sí por las rusas, quienes en más de una ocasión denunciaron que este escudo balístico constituía una amenaza directa a su seguridad.

A cambio de aceptar ser la sede de las baterías de misiles, Bush prometió a Polonia la entrega de cohetes tipo Patriot, una demanda reiterada del ejército polaco por considerar necesario este tipo de armamento para repeler posibles ataques de países vecinos.

Pese a su decisión, Obama no descartó la posibilidad de buscar variantes que protegieran mejor al pueblo estadounidense, a sus tropas y a sus aliados en Europa por lo que anunció una “propuesta gradual y adaptable” a la defensa antimisiles en el continente.

Según declaraciones de funcionarios estadounidenses, la administración Obama optará mejor por misiles Patriot y SM-3 recién desarrollados y capaces de interceptar lanzamientos enemigos antes de que un misil ofensivo de largo alcance enfrente una supuesta amenaza iraní.

El sistema será desplegado inicialmente en embarcaciones estadounidenses en el Mediterráneo y no en la considerada área de influencia de Rusia en Europa Oriental.

A pesar del rechazo de la nueva administración norteamericana de seguir adelante con el escudo antimisiles, todo apunta a que el sistema Patriot se instalará finalmente en los próximos meses en Polonia, bajo el control inicial de una dotación de militares estadounidenses para asegurar su funcionamiento.

Extraído de Prensa Latina.

vendredi, 16 octobre 2009

La base d'Incirlik, atoutstratégique pour les Etats-Unis

turkey_incirlik.jpgLa base d’Incirlik (Turquie), atout stratégique pour les Etats-Unis

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Avec la réorientation de l’action militaire des Etats-Unis vers l’Afghanistan, la base turque d’Incirlik, dans le sud du pays, érigée en 1951 pour ses atouts en faveur des actions de bombardiers à long rayon d’action, devrait connaître une montée en puissance au profit des forces américaines. Il s’agit en effet d’une véritable plate-forme tout à fait opportune sur le plan stratégique en matière de projection de forces, mais aussi sur le plan logistique. Elle fut largement sollicitée lors des opérations en Irak au début des années 1990 et des bombardements réguliers tout au long de cette même décennie. En fait, cette base est utilisée depuis près d’un demi-siècle par les forces américaines qui sont liées à la Turquie en vertu d’un accord de coopération et de défense datant de 1969 ; accord doublé d’un volet économique à partir de 1980. Plus récemment, Incirlik  était un pilier stratégique des interventions massives en Irak, au point que la base en 2007, voyait transiter par ses pistes plus de 70% des avions gros-porteurs à destination du territoire irakien. Le site conserverait aussi, selon diverses ONG, des ogives nucléaires B-61.

Le retour au premier plan des opérations similaires américaines de la base coïnciderait avec les voyages officiels effectués tant par la secrétaire d’Etat Hillary Clinton, en mars 2009, que par le président Barack Obama lui-même, en avril 2009, qui, depuis, de cesse de réitérer son soutien à  l’idée que la Turquie puisse intégrer l’Union européenne.

La situation est en tout cas favorable à l’affirmation de la Turquie sur l’échiquier international, laquelle est un partenaire obligé pour la question du Kurdistan irakien, mais aussi un interlocuteur privilégié comme intermédiaires dans les relations syro-israéliennes et russo-géorgiennes, et même auprès des Etats afghan et pakistanais.

Actuellement, la base d’Incirlik compte quelque 4500 Américains. En cas de dégradation de la situation en Irak, après août 2010, elle sera un pôle stratégique particulièrement précieux pour intervenir.

Source : RAIDS magazine #280, p.14


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mercredi, 14 octobre 2009

EE.UU. reactivarà radar y financiarà baseen Costa Rica

EE.UU. reactivará radar y financiará base en Costa Rica

Estados Unidos reactivará un radar y financiará la construcción de una base naval en Costa Rica, como parte de un plan rechazado hoy en la región por las amenazas a la soberanía y la seguridad.

El subcomandante del Comando Sur del ejército norteamericano, Paul Trivelli, anunció la decisión de poner nuevamente en operación un moderno radar en la provincia de Guanacaste, con el supuesto objetivo de combatir el narcotráfico.

Según Trivelli el aparato funcionará en el mismo lugar donde estuvo instalado hasta 1995, cuando fue cerrado tras varios años de operación.


El poderoso radar estará en Cerro Azul de Nandayure, un sitio de difícil acceso, protegido las 24 horas por la policía, precisó el subcomandante.

En una entrevista al diario La Nación, Trivelli informó también sobre la inversión de 15 millones de dólares en una base naval que ya se está construyendo en la localidad de Caldera, de la provincia de Puntarenas.

Allí funcionará, además, una escuela para el adiestramiento de oficiales de guardacostas.

Aunque según el responsable del Comando Sur estas acciones forman parte de la lucha contra el narcotráfico, el anuncio causó preocupación por el renovado interés de Washington de implantar más bases en la región.

En una reciente reunión celebrada en Argentina, varios presidentes de la Unión de Naciones Sudamericanas expresaron su rechazo al pacto militar que permitirá a Estados Unidos usar siete enclaves militares en Colombia.

El ministro de Gobierno y Justicia de Panamá, José Raúl Mulino, declaró recientemente que Washington planeaba también establecer bases en las provincias de Darién y Veraguas, pero la información fue negada por el gobierno istmeño poco después.

Extraído de Radio Mundial.

mardi, 13 octobre 2009

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera conocer los detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU (DAM) en Europa en las consultas bilaterales previstas para el próximo 12 de octubre en Moscú, informó hoy el ministerio ruso de Asuntos Exteriores.

“Contamos con que la parte estadounidense nos suministrará información detallada y completa sobre las nuevas iniciativas de la administración sobre la creación del DAM”, dijo un funcionario del departamento de prensa de esa cartera a RIA Novosti.

En las consultas, la delegación rusa estará presidida por el viceministro Serguei Riabkov y la delegación estadounidense por la subsecretaria de Estado para el Control de Armamento Ellen Tauscher.


Recientemente, el presidente estadounidense, Barack Obama y el jefe del Pentágono Robert Gates anunciaron correcciones a los planes del DAM en Europa, que inicialmente tenía previsto la creación de una estación de radar en la República Checa y el emplazamiento de misiles interceptores en Polonia.

Los nuevos planes de EEUU no suponen una renuncia al emplazamiento de elementos del DAM en el territorio europeo sino que posterga ese proceso para el año 2015.

La nueva estructura del DAM incluidos los elementos terrestres se desarrollará en cuatro etapas y deberán estar operativas para el año 2020.

Moscú siempre se manifestó en contra de la configuración inicial del DAM estadounidense en Europa porque consideraba que la estación de radar en territorio checo, y los misiles en el polaco, amenazaban su seguridad nacional al alterar el equilibrio estratégico nuclear entre Rusia y EEUU.

Extraído de RIA Novosti.

dimanche, 11 octobre 2009

Il bilancio occulto della "difesa" americana

pentagono

A fine giugno, Mother Jones ha pubblicato un’approfondita analisi sul bilancio militare degli Stati Uniti d’America, partendo dalla richiesta del presidente Barack Obama al Congresso di stanziare 534 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa. Ma l’ammontare reale di ciò che gli USA spendono per la “difesa” è molto maggiore. Per rendere il tutto più facilmente digeribile, ve ne proponiamo una sintesi divisa in quattro parti.
L’Office of Management and Budget ha elaborato un calcolo totale che tiene in considerazione le diverse parti del governo, e comprende i soldi assegnati al Pentagono, le attività relative alle armi nucleari svolte presso il Dipartimento dell’Energia ed alcuni esborsi nel campo della sicurezza effettuati dal Dipartimento di Stato (il ministero degli esteri statunitense) e dall’FBI. Nel bilancio 2010 (che in realtà ha il suo momento iniziale nell’ottobre 2009) la cifra ammonta a 707 miliardi, più della metà della spesa governativa cosiddetta “discrezionale” per l’anno prossimo. La spesa discrezionale è quella per cui gli stanziamenti sono decisi annualmente dal Congresso, a differenza di programmi quali ad esempio quello sanitario denominato Medicare il cui finanziamento è obbligatorio e ricorrente.
Ma la cifra reale è ancora più alta perché, fra le varie cose, l’ufficio governativo del bilancio non tiene conto della spesa aggiuntiva per le guerre in Iraq ed Afghanistan. Riepilogando tutte le diverse fonti di spesa in campo militare per l’anno 2010 che emergono dai documenti contabili, si ha:

  • bilancio del Pentagono: 534 miliardi
  • stanziamenti extra per il personale militare: 4,1 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2010): 130 miliardi
  • stanziamenti aggiuntivi Iraq-Afghanistan (anno fiscale 2009, ancora da legiferare): 82,2 miliardi
  • armi nucleari ed altra spesa “atomica” (Dip. dell’Energia): 16,4 miliardi
  • sostegno militare ed economico ad Iraq, Afghanistan e Pakistan (Dip. di Stato): 4,9 miliardi
  • sicurezza, controterrorismo ed aiuto militare a Paesi stranieri, incluso il Medio Oriente ed Israele (Dipartimento di Stato): 8,4 miliardi
  • Guardia costiera (Dipartimento per la Sicurezza Interna): 583 milioni

Spesa totale: 780,4 miliardi di dollari

In questo calcolo sono incluse solo le risorse direttamente collegate ad attività militari, non viene quindi preso in considerazione il Dipartimento dei Veterani la cui spesa di 55,9 miliardi porterebbe il totale a 836,3; e la parte restante del Dipartimento per la Sicurezza Interna (altri 54,5 miliardi), arrivando così alla colossale cifra di 890,8 miliardi di dollari, rispetto ai 534 ufficialmente stanziati.
Si tenga poi presente che i bilanci degli apparati di intelligence (CIA, NSA…) sono segreti e che perciò non possono essere aggiunti a questa contabilità.

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Nel 2008, il Pentagono ha calcolato che gli impegni correnti per i programmi di armamento costeranno al governo, ad ultimazione avvenuta, 1.600 miliardi di dollari. Una parte consistente – 296 miliardi – è rappresentata da costi aggiuntivi. Questi 296 miliardi non sono il risultato di grandi programmi che, in via eccezionale, hanno sfondato il tetto di spesa e sbilanciato i conti, ma rappresentano la norma. Tali incrementi di costo sono spesso significativi: considerando tutti i programmi, la media dell’aumento rispetto alle stime iniziali è pari al 26%. Rappresentano la normalità anche i ritardi nel loro completamento, che riguardano ben il 72% dei programmi.
Incrementi di costo e ritardi hanno subito un peggioramento durante le due amministrazioni Bush terminate nel 2008, ma se si volge lo sguardo ancora più all’indietro si scopre che i costi aggiuntivi sono aumentati ad un ritmo serrato per tutti gli ultimi quindici anni, ad una media del 1,86% annuo per essere precisi. Se la spesa del Pentagono continuerà a crescere al tasso attuale, la media degli incrementi di costo raggiungerà il 46% in dieci anni.
Facendo qualche confronto, lo spreco militare USA è quattro volte tanto l’intera spesa per la difesa della Cina (che oggi rappresenta il secondo bilancio militare nazionale al mondo con 70 miliardi di dollari) ed è anche superiore al bilancio militare di tutti i Paesi dell’Unione Europea messi insieme (pari a 281 miliardi).

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Passiamo ora in rassegna i principali programmi militari statunitensi:

- cacciabombardiere F-22 Raptor: progettato per sfidare i velivoli di concezione sovietica, un F-22 costa 351 milioni di dollari, più del doppio delle stime originali.
Fu messo in produzione ancora prima di essere pienamente testato e – non sorprendentemente – è incorso in ogni genere di intoppi; non ha partecipato a nessuna azione di combattimento in Afghanistan né in Iraq. Il titolare del Pentagono Robert Gates ha deciso di acquistarne altri quattro, per un totale di 187 rispetto ai 243 che inizialmente l’USAF voleva.
Addirittura, all’inizio di quest’anno, 194 deputati e 44 senatori statunitensi hanno scritto ad Obama per sollecitarlo ad acquistare più F-22, ed a metà giugno i parlamentari del comitato militare della Camera hanno previsto uno stanziamento per altri 12 caccia. Sollecitazioni che però non sono servite a rianimare la morente linea di produzione del velivolo, almeno per l’uso domestico. Infatti
è notizia fresca il via libera da parte del comitato finanziario del Senato statunitense allo sviluppo di una versione del F-22 per l’esportazione, privato degli accorgimenti tecnologici “segreti” presenti nella versione originale. Probabilmente la decisione vuole far fronte alla perdita di migliaia di posti di lavoro causata dallo stop della produzione per l’aviazione USA; fra i probabili acquirenti figurano Giappone, Corea del Sud, Australia ed Israele;
- aereo da trasporto C-17 Globemaster III: l’aeronautica USA ne possiede 205 esemplari e non ne chiede di ulteriori,
ma il Senato intende introdurre nel bilancio per la difesa del 2010 l’importo di 2,5 miliardi per comprarne altri 10;
- Future Combat Systems: si tratta di apparati in cui armi, veicoli e robot coesistono, uniti da un comune sistema di comunicazione, ed è un altro caso in cui le intenzioni di spesa sono state messe in pista prima che la tecnologia in questione sia stata effettivamente testata. Dal 2003, il costo totale è aumentato del 73% fino ad arrivare a 159 miliardi, tanto che Gates nei mesi a venire vuole ripensare l’intero programma;
- elicottero presidenziale VH-71: Lockheed Martin ed Agusta Westland (del gruppo Finmeccanica) vinsero nel 2005 la commessa per il sostituto dell’attuale “Marine One”, un Sikorsky VH-60 entrato in servizio nel 1989. La flotta di 28 (!) esemplari doveva costare inizialmente 6 miliardi di dollari, ma poi i correttivi introdotti durante l’amministrazione Bush avevano portato il conto totale quasi a raddoppiare fino ad 11,2 miliardi (400 milioni ad esemplare). Il programma è stato cancellato a maggio, ed una conferma pubblica del suo annullamento è stata data dallo stesso presidente Obama ad agosto in un discorso ai veterani di guerra;
- DDG-1000 Destroyer: navi che dovrebbero costare 4 miliardi di dollari ma fonti alternative stimano un costo reale vicino ai 6 miliardi. Mentre la marina statunitense inizialmente desiderava acquistarne fra un minimo di 16 ed un massimo di 24, Gates tenterà di ridurre il programma a soli 3 Destroyers.

E’ comunque inquietante notare come Gates abbia dato il via libera ad un paio di palesi catorci. Del primo abbiamo già parlato su questo blog, si tratta del Littoral Combat Ship (LCS), un altro progetto Lockheed Martin sviluppato prima di completare i test. Nonostante i suoi costi siano quasi raddoppiati rispetto alle prime stime, Gates si è impegnato ad acquistare 55 di queste unità navali.
Ma
forse l’indizio più evidente della continuità del bilancio militare USA è la decisione di più che raddoppiare l’ordine di cacciabombardieri F-35 Lightning II Joint Strike Fighter (JSF), facendone il più grande programma di acquisizione del Dipartimento della Difesa (quasi a voler placare l’industria produttrice, l’onnipresente Lockheed Martin, per la cancellazione del F-22). Ciò nonostante l’F-35 sia ben lontano dall’essere pronto, visto che a novembre 2008 era stato implementato solo il 2% dei voli di prova previsti.
Secondo l’attuale calendario, gli Stati Uniti spenderebbero 57 miliardi di dollari per acquistarne 360 unità prima che i test siano completati. Per velocizzare i tempi, la Lockheed ha elaborato un piano per svolgere solo il 17% delle prove richieste mediante test di volo, il restante 83% affidandole ai simulatori. Sfortunatamente, secondo un rapporto della Corte dei Conti americana (GAO) “la capacità di sostituire i voli di prova con laboratori di simulazione non è stata ancora dimostrata”.
Ciò non fa che aumentare i dubbi sulla decisione del Dipartimento della Difesa di acquistarne 2.456 (sì, avete letto bene, duemilaquattrocentocinquantasei!).
Fonti ufficiali hanno stimato un costo per l’intero programma superiore al trilione di dollari (più di mille miliardi) – circa la stessa cifra del deficit nazionale -, sommando ai 300 miliardi per l’acquisizione dei velivoli i 760 miliardi per la loro operatività, manutenzione compresa. Ma poiché il Pentagono ha deciso di comprarne così tanti esemplari prima di verificare l’efficienza della tecnologia, ritardi ed incrementi di costo saranno inevitabili.

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Il Dipartimento della Difesa è presente dal 1995 nell’elenco di apparati governativi ad alto rischio stilato dalla Corte dei Conti statunitense. Per gestire gli acquisti, la contabilità e la logistica, le varie agenzie e servizi del Pentagono mantengono 2.480 diversi sistemi informatici, molti dei quali non sono interconnessi. Di conseguenza, nessuno conosce con sicurezza quanto il Pentagono abbia speso in passato, stia spendendo adesso e spenderà in futuro. Al contrario, esso fonda le sue decisioni di bilancio prevalentemente sulle informazioni delle aziende private vincitrici degli appalti.
Un rapporto del Defense Science Board Task Force on Developmental Test and Evaluation rileva che, fra il 1997 ed il 2006, benché il 67% dei sistemi d’arma non abbia superato i parametri di prova, molti di essi sono stati egualmente messi in produzione. Il concetto che il Pentagono dovrebbe “provare prima di comprare” risale almeno agli anni Settanta, ma i funzionari della difesa ed i parlamentari statunitensi non l’hanno mai veramente messo in pratica. Anzi, i funzionari sono fortemente incentivati a sottoscrivere contratti sottostimati perché se rendono noti i veri costi fin da subito, rischiano di non poter avere i loro “giocattoli”. Ogni tanto il Congresso o la Casa Bianca chiedono di insediare un’agenzia indipendente in grado di produrre stime attendibili dei costi, ma ciò è estremamente difficile a causa dello stretto rapporto tra i funzionari del Pentagono e l’industria bellica.
Nel 2006, 2.435 ex funzionari del Pentagono, generali ed ufficiali lavoravano per aziende private operanti nel settore della difesa, ed almeno 400 di questi erano impiegati nell’ambito di appalti direttamente collegati al loro precedente datore di lavoro governativo. Quando i calendari slittano di anni ed i bilanci sforano di miliardi, le aziende sono già state pagate; inoltre, è prassi fra i parlamentari dare il via libera al proseguimento dei programmi nonostante la legge preveda che essi devono essere informati su quei programmi che sforano il bilancio per più del 30% e che quelli con aumenti superiori al 50% devono essere ricertificati o cancellati.
Quest’anno, la Casa Bianca ha promesso di impiegare altri 20.000 funzionari nel prossimi quinquennio per tenere sotto controllo i contratti militari e la relativa spesa, ma bene che vada ci vorranno diversi anni prima che ciò porti frutti. La legge di riforma circa l’acquisto dei sistemi d’arma patrocinata dal candidato repubblicano alle ultime elezioni presidenziali, John McCain, prevede anche l’istituzione di un ufficio per l’accertamento imparziale dei costi che però non dovrebbe occuparsi di tutti i programmi. Ufficio il cui primo direttore, comunque, è William Lynn, lobbysta precedentemente al servizio proprio di un’azienda privata del complesso militare, la Raytheon.

samedi, 10 octobre 2009

M. van Creveld: un regard sur les causes des victoires et des défaites au 20ème siècle

Michael WIESBERG:

Martin van Creveld: un regard sur les causes des victoires et des défaites au 20ème siècle

 

Martin van Creveld est Israélien: il vit à Jérusalem et est historien militaire de réputation internationale. Dans les démonstrations de son ouvrage le plus récent, il reste fidèle à lui-même en analysant les conflits armés qui ont sévi sur la Terre depuis 1900. Etre fidèle à soi-même signifie, ici, conserver en toute conscience un argumentaire froid, dépourvu d’émotions, qui ne tient quasiment pas compte des habituels aspects “moralisateurs”, car ceux-ci ne s’avèrent jamais pertinents. Le point de départ de toute l’argumentation de van Creveld est uniquement celui de l’efficacité militaire, ce qui irritera à nouveau tous ceux qui ont pris l’habitude de poser l’histoire des conflits comme l’équivalente de l’histoire des crimes de guerre.

 

Ce point de départ conduit van Creveld à examiner l’armée impériale allemande et la Wehrmacht sur base de leurs seules vertus militaires et de leurs seules capacités à résister jusqu’au bout: il ne tient compte d’aucun autre critère. Ce n’est pas la première fois que l’on découvre une telle approche sous la plume de van Creveld: déjà, dans son livre intitulé “Kampfkraft” (= “Force combattive”), où il compare la Wehrmacht et l’US Army, il exprime son respect pour les forces allemandes parce qu’elles avaient une plus puissante “force combattive” que leurs adversaires, même lors de la phase finale du conflit. Dans son nouvel ouvrage, van Creveld n’évoque qu’en marge les conditions préalables à cette “force combattive”, notamment ce qu’il appelle “l’institutionalisation des hautes prestations militaires” par l’état-major général allemand et que l’historien militaire américain Trevor N. Dupuy avait dûment examiné dans son livre “Der Genius des Krieges” (= “Le génie de la  guerre).

 

Le nouvel ouvrage de van Creveld tourne essentiellement autour d’une question: quelles sont les raisons décisives qui font que l’on gagne ou que l’on perd une guerre? Pour y répondre, van Creveld nous offre une promenade dans l’histoire militaire du 20ème siècle, partant de la Bataille de la Marne pour aboutir à l’invasion américaine de l’Irak. Au cours de cette promenade, il fait une pause et nous résume brièvement sa thèse pour la première moitié du 20ème siècle: “L’histoire de l’art de la guerre de 1914 à 1945 correspond (...) pour une bonne part à l’histoire de l’armée allemande, à ses manières de procéder et aux réactions de ses adversaires face à ses initiatives”.

 

Mais, alors, deuxième question, pourquoi l’armée impériale de Guillaume II et ensuite la Wehrmacht ont-elles finalement échoué? Martin van Creveld explique principalement cet échec par la situation géopolitique de l’Allemagne, une situation géopolitique difficile dont les sphères politiques, qui gouvernaient l’Allemagne, n’ont pas tenu suffisamment compte. A titre d’exemple contraire, notre auteur cite l’Angleterre: face à cette puissance, située en marge du continent européen mais ouverte sur toutes les mers du globe, les Allemands n’ont ni prévu ni mis en oeuvre une  stratégie cohérente visant son élimination définitive, ni pendant la première guerre mondiale ni pendant la seconde. Pour y parvenir, les Allemands auraient dû déployer une stratégie globale, qui aurait mis l’Angleterre en échec sur le plan économique. Cette impéritie géopolitique allemande dérive certainement du fait que ni l’Allemagne impériale ni l’Allemagne hitlérienne ne voulaient au départ faire la guerre à l’Angleterre. Cette bienveillance allemande, poursuit van Creveld dans sa démonstration, n’excuse nullement l’impéritie, dont le Reich a fait preuve, deux fois  consécutivement, car, en effet, les infléchissements de la politique allemande, juste avant 1914 et juste avant 1939, laissaient bel et bien prévoir un heurt avec l’Angleterre. Les Allemands n’ont donc pas, selon van Creveld, développé un programme politique et géopolitique cohérent, appelé à connaître le succès, pour l’éventualité d’une guerre contre l’Angleterre; c’est là qu’il faut voir l’une des raisons majeures de la défaite décisive subie par l’Allemagne lors des deux guerres mondiales.

 

Dans son livre, van Creveld démontre avec brio que le visage de la guerre s’est modifié rapidement au cours de la première moitié du 20ème siècle, vu les innovations techniques. Mais, en dépit de la nouvelle donne qu’elles constituent, les innovations techniques ne sont qu’une face de la médaille; l’autre face, c’est la puissance économique et la capacité à déployer une production de masse, qui y est liée. C’est ce que van Creveld appelle la “mobilisation des ressources”. C’est bien sûr cette capacité-là qui a fait la décision au cours des deux guerres mondiales. Les ingénieurs allemands ont peut-être été les plus créatifs mais le rouleau compresseur matériel des Alliés, surtout après l’entrée en guerre des Etats-Unis, s’est montré irrésistible. Martin van Creveld rappelle: “Du point de vue technique, les Allemands se sont montrés très inventifs. Et, de fait, nombreux sont ceux qui affirment que tous les systèmes d’armement qui ont été déployés de 1945 à 1991 (...) avaient déjà été ébauchés en 1944/1945 dans des bureaux d’étude allemands”.

 

Mais cette inventivité foisonnante avait aussi un revers: “Elle a eu pour résultat qu’un très grand nombre de modèles, types et versions différents de ces armements a été fabriqué”, ce qui a entraîné de fréquentes modifications dans les cycles de production et d’interminables problèmes d’entretien. Pour ne citer qu’un seul chiffre, rien que le groupe d’armées du Centre avait besoin, à la fin de l’année 1941, d’un million de pièces de rechange pour être à même de poursuivre le combat.

 

En outre, ce fut Erich Ludendorff, qui, très influent du côté allemand pendant la première guerre mondiale, avait prévu, de la manière la plus réaliste, la forme que prendrait bientôt la “guerre totale”. Les “visions” ludendorffiennes de la “seconde guerre mondiale” se sont parfaitement concrétisées. Le fait de citer ainsi Ludendorff prouve l’impartialité de van Creveld, car Ludendorff demeure encore et toujours une personnalité stigmatisée. Et van Creveld ne se borne pas à la citer mais, en plus, commente ses thèses de manière positive.

 

Aux Etats-Unis, cette mobilisation totale de toutes les ressources a débouché, en fin de compte, sur la bombe atomique dont l’utilisation, le 6 août 1945, représente, pour van Creveld, une mutation définitive dans l’histoire de la chose militaire. Après le lancement de cette première bombe nucléaire, il n’y a plus eu de confrontations directes entre grandes puissances militaires; on a assisté, tout au plus, à des “guerres par acteurs interposés”, dans les zones périphériques du monde. Lorsqu’une grande puissance militaire ou une superpuissance partait en guerre, c’était contre un adversaire qui, au mieux, était une puissance de second rang.

 

La seconde moitié du livre se penche, pour une bonne part, sur le phénomène de la “guerre asymétrique” et sur une question très actuelle: pourquoi les confrontations avec les groupes terroristes ou insurrectionnels ont-elles été perdues, malgré l’écrasante supériorité de leurs adversaires? Une raison: si ces conflits durent trop longtemps, alors intervient une phase d’usure et de démoralisation: les soldats les plus motivés sombrent alors dans la résignation, contre laquelle même la mobilisation la plus intense des armes de haute technologie ne peut rien faire.

 

Une telle situation doit s’éviter à tout prix. Pour tenter de nous expliquer comment y parvenir, van Creveld ne cite que deux exemples: d’abord, la stratégie adoptée par les Britanniques en Irlande du Nord contre l’IRA; ensuite, le procédé utilisé par le régime d’Assad en Syrie contre les frères musulmans locaux. Les Britanniques ont réussi, en renonçant consciemment à toutes armes lourdes, à reconquérir petit à petit la sympathie des Irlandais du Nord et de couper ainsi l’herbe sous les pieds de l’IRA. Le procédé utilisé par Assad contre la ville de Hama relève d’une stratégie toute différente: cette ville ayant été le centre névralgique des frères musulmans en Syrie, Assad l’a fait complètement raser, en exterminant bon nombre de ses habitants. Selon les critères de bienséance, nous avons affaire ici à un massacre pur et simple. Mais Assad a eu la paix et ce résultat lui donne raison a posteriori, constate sèchement van Creveld. On ne s’étonnera pas, dès lors, que le politologue berlinois Herfried Münkler, en lisant de telles thèses, écrit, dans une recension parue dans “Die Zeit” (Hambourg) qu’on peut certes tirer profit de la lecture du livre de van Creveld mais qu’elle s’avère aussi “accablante et irritante”.

 

Michael WIESBERG.

(recension parue dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°40/2009; trad. franç.: Robert Steuckers).

 

Références:

Martin van CREVELD, “Gesichter des Krieges – Der Wandel bewaffneter Konflikte von 1900 bis heute”, wjs-Verlag, Berlin, 2009, 352 p., 22,95 euro.

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mercredi, 23 septembre 2009

Le bouclier antimissile américain en Europe relancé?

Le bouclier antimissile américain en Europe relancé ?

Des missiles SM-3 en Europe...

PARIS (NOVOpress) – Contrairement à ce que pouvait laisser penser la décision du président Obama de renoncer à implanter un système antimissile en Pologne et en Tchéquie, les Etats-Unis n’ont nullement renoncé à leur projet de bouclier antimissile en Europe, bien au contraire.

En effet, dans un article paru samedi dans The New-York Times, Robert M. Gates, secrétaire à la Défense des Etats-Unis l’affirme très clairement : « nous renforçons la défense antimissile en Europe, nous ne l’abandonnons pas» .

Selon lui, le système qui vient d’être abandonné ne serait pas entré en service « avant au moins 2017 et probablement beaucoup plus tard»  alors que le nouveau plan prévoit un déploiement, effectif dès 2011, de missiles d’interception SM-3 embarqué à bord de navires, sans doute en Méditerranée orientale. Une deuxième phase, « vers 2015″, verra, elle, le déploiement d» une version améliorée du SM-3 au sol « en Europe du sud et centrale» .

Bref, la tutelle militaire américaine sur L’Europe, renforcée par le retour de la France dans l’Otan, a encore de beaux jours devant elle.

[cc [1]] Novopress.info, 2009, Article libre de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d’origine
[
http://fr.novopress.info [2]]


Article printed from :: Novopress.info France: http://fr.novopress.info

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[1] cc: http://fr.novopress.info http://creativecommons.org/ licenses/by-nc-sa/2.0/fr/

[2] http://fr.novopress.info: http://fr.novopress.info

Lettre ouverte à Hervé Morin, ministre de la Défense euro-atlantiste

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Lettre ouverte à Hervé Morin,

ministre de la Défense euro-atlantiste

 

 

 

Monsieur le ministre de la Défense de l’Occident,

 

 

 

 

Je m’autorise de vous interpeller avec un titre erroné puisque, renouant avec une mauvaise habitude pratiquée sous le septennat giscardien, le terme « nationale » a été supprimé de l’intitulé officiel de votre ministère. Permettez-moi par conséquent de vous désigner tour à tour comme le ministre de la Défense euro-atlantiste ou celui de la Défense de l’Occident, tant ces deux appellations me paraissent vous convenir à merveille.

 

 

 

Si je vous adresse aujourd’hui la présente algarade, sachez au préalable que je ne vise nullement l’élu local normand que vous êtes par ailleurs. L’adhérent au Mouvement Normand que je suis soutient, tout comme vous, l’indispensable (ré)unification normande des deux demi-régions. Notre désaccord concerne l’avenir de la France, de son armée et de l’Europe de la défense.

 

Je vous dois d’être franc. Quand en mai 2007, vous avez été nommé au ministère de la rue Saint-Dominique, j’ai immédiatement pensé à une erreur de recrutement : vous n’êtes pas fait pour occuper ce poste, faute d’une carrure suffisante. Comment cela aurait pu être autrement avec un Premier ministre qui, lui, est un fin connaisseur de la chose militaire depuis de longues années ? Il s’agissait surtout de vous récompenser pour avoir abandonné (trahi, diraient de mauvaise langues) entre les deux tours de la présidentielle votre vieil ami François Bayrou et rallié le futur président.

 

 

 

D’autres, tout aussi non préparés aux fonctions de ce ministère éminemment régalien, auraient acquis au contact des militaires une stature politique afin de viser, plus tard, bien plus haut. Hélas ! Comme l’immense majorité de vos prédécesseurs depuis 1945, voire depuis l’ineffable Maginot, et à l’exception notable d’un Pierre Messmer, d’un Michel Debré ou d’un Jean-Pierre Chevènement, vous êtes resté d’une pâleur impressionnante. Pis, depuis votre nomination, vous avez démontré une incompétence rare qui serait risible si votre action ne nuisait pas aux intérêts vitaux de la France et de l’Europe.

À votre décharge, je concède volontiers qu’il ne doit pas être facile de diriger un tel ministère à l’ère de l’« omniprésidence omnipotente » et de sa kyrielle de conseillers, véritables ministres bis. Faut-il en déduire qu’une situation pareille vous sied et que vous jouissez en fait des ors de la République ?

 

 

 

Je le croyais assez jusqu’à la survenue d’un événement récent. Depuis, j’ai compris que loin d’être indolent, vous effectuez un véritable travail de sape, pis une œuvre magistrale de démolition systématique qui anéantit quarante années d’indépendance nationale (relative) au profit d’une folle intégration dans l’O.T.A.N. américanocentrée, bras armé d’un Occident mondialiste globalitaire.

 

 

Vous vous dîtes partisan de la construction européenne alors que vous en êtes l’un de ses fossoyeurs les plus déterminés. L’Europe, sa puissance sous-jacente, ses peuples historiques vous indiffèrent, seule compte pour vous cette entité despotique de dimension planétaire appelée « Occident ».

 

 

 

Qu’est-ce qui m’a dessillé totalement les yeux en ce 6 février 2009 ? Tout simplement votre décision inique et scandaleuse de congédier sur le champ Aymeric Chauprade de son poste de professeur au Collège interarmées de Défense (C.I.D.). Brillant spécialiste de géopolitique, Aymeric Chauprade présente, dans un nouvel ouvrage Chronique du choc des civilisations, des interprétations alternatives à la thèse officielle des attentats du 11 septembre 2001. Exposer ces théories « complotistes » signifie-t-il obligatoirement adhérer à leurs conclusions alors qu’Aymeric Chauprade, en sceptique méthodique, prend garde de ne pas les faire siennes ?

 

 

 

Peu vous chaut l’impartialité de sa démarche puisque, sur l’injonction du journaliste du Point, Jean Guisnel, auteur d’un insidieux article contre lui, vous ordonnez son exclusion immédiate de toutes les enceintes militaires de formation universitaire. Mercredi dernier – 11 février -, l’infâme Canard enchaîné sortait une véritable liste d’épuration en vous enjoignant d’expulser d’autres intervenants rétifs au politiquement correct. Auriez-vous donc peur à ce point (si je puis dire) de certains scribouillards pour que vous soyez si prompt à leur obéir, le petit doigt sur la couture du pantalon ? Faut-il comprendre que Jean Guisnel et autres plumitifs du palmipède décati sont les vrais patrons de l’armée française ?

 

 

 

Avez-vous pris la peine de lire l’ouvrage incriminé ? Votre rapidité de réaction m’incite à répondre négativement. Il importe par conséquent de dénoncer votre « attitude irresponsable, irrespectueuse et indigne », car « nier la réalité est une attitude particulièrement inquiétante pour un ministre et qui n’atteste pas du courage que chacun est en droit d’attendre d’un haut responsable politique ». Qui s’exprime ainsi ? M. Jean-Paul Fournier, sénateur-maire U.M.P. de Nîmes, irrité par la fermeture de la base aéronavale de NÎmes – Garons, cité par Le Figaro (et non Libé, Politis ou Minute) du 9 février 2009. Le sénateur Fournier a très bien cerné votre comportement intolérable et honteux.

 

 

 

Aymeric Chauprade interdit de tout contact avec le corps des officiers d’active, vous agissez sciemment contre l’armée française, contre la France. En le renvoyant, vous risquez même de devenir la risée de l’Hexagone. En effet, le 12 juillet 2001, Aymeric Chauprade publiait dans Le Figaro un remarquable plaidoyer en faveur d’un « bouclier antimissile français ». Et que lit-on dans Le Figaro du 13 février 2009 ? « La France se lance dans la défense antimissile »… Certes, nul n’est prophète en son pays, mais quand même, ne peut-il pas y avoir parfois une exception ?

 

 

 

Votre action injuste me rappelle d’autres précédents quand l’Institution militaire sanctionnait des officiers coupables de penser par eux-mêmes et de contester ainsi le conformisme de leur temps : le général Étienne Copel, le colonel Philippe Pétain, le lieutenant-colonel Émile Mayer, le commandant Charles de Gaulle.

 

 

Anticonformiste, Aymeric Chauprade l’est avec talent et intelligence; il s’inscrit dans la suite prestigieuse des Jomini, Castex et Poirier. Voilà pourquoi le réintégrer au C.I.D. serait un geste fort pour l’indispensable réarmement moral d’une armée qui en a grand besoin.

 

 

 

Je doute fort, Monsieur le ministre de la Défense euro-atlantiste, que ma missive vous fera changer d’avis. Qu’importe ! Libre à vous de rester insignifiant et de figurer dans les chroniques comme le Galliffet de la réflexion stratégique.

 

Recevez, Monsieur le Ministre, mes salutations normandes.

 

 

 

Georges Feltin-Tracol