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jeudi, 30 avril 2009

Il North Stream sempre piu un gasdotto europeo

La Finlandia ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno. Il sostegno di Helsinki potrebbe aprire uno spiraglio per l'approvazione dello studio di fattibilità entro la fine dell'anno, nonostante la forte opposizione dei Paesi del Baltico, che temono per i rischi ambientali della conduttura. Intanto Nord Stream AG., il consorzio internazionale che realizzerà il progetto, potrebbe avere come nuovo partner la francese Gaz de France, affiancandosi ad azionisti olandesi e tedeschi.


La Russia potrebbe a breve chiudere la partita diplomatica con il Paesi del Baltico per la realizzazione del gasdotto Nord Stream, progetto che sta divenendo più europeo che mai. Questo rappresenta lo scopo di fondo della due giorni istituzionale del Presidente russo Dmitri Medvedev in Finlandia, discutendo con il suo omologo finlandese, Tarja Halonen, le priorità dell'accordo energetico ed economico tra i due Paesi, focalizzando i colloqui sul gasdotto del Nord. Questo che dovrebbe attraversare i fondali del Mar Baltico collegando il porto russo di Vyborg al porto tedesco di Greifswald, con una conduttura di 1200 km e una capacità produttiva annua di 27,5 miliardi di metri cubi, la cui costruzione dovrebbe cominciare nel 2010; il secondo tratto dovrebbe essere pronto entro il 2012, e consentirà di trasportare una quantità pari a 55 miliardi di metri cubi. Le trattative finali con i Paesi le cui acque territoriali saranno attraversate dalla conduttura, hanno subito un brusco arresto in relazione all'impatto ambientale dell'impianto - come il caso di Finlandia, Estonia e Svezia - o alle ricadute politiche, in particolare per la Polonia, che sarebbe nei fatti aggirata con la relativa perdita delle royalties per il transito del gasdotto.

Deboli aperture sembrano profilarsi con la Finlandia, che ha espresso un ‘tiepido’ sostegno per Mosca , garantendo una decisione per la risoluzione del problema ecologico entro la fine dell'anno, come riportano AFP/LETA. "Per noi finlandesi, questo è un problema ecologico . Se la conduttura può essere costruita nel rispetto della natura, allora sarà un'ottima cosa", afferma Halonen, anticipando che la relazione sull'impatto ambientale del progetto sarà pubblicato alla fine di giugno o all'inizio di luglio, dopodiché il consorzio Nord Stream potrebbe richiedere l'autorizzazione del Governo finlandese e il permesso delle autorità della Finlandia occidentale. Medvedev, da parte sua, ha accolto con favore l'approccio positivo della Finlandia, nell'ottica che il progetto dell'oleodotto del Nord ha come scopo essenziale quello di migliorare la sicurezza energetica dell'Unione Europea. Secondo i media russi, dietro l'arretramento della Finlandia vi potrebbe essere la proposta del Cremlino di concedere migliori condizioni per l'esportazione di legname, materia prima essenziale le l'industria finlandese di trasformazione di legno e carta. Ricordiamo che società finlandesi come Stora Enso e UPM-Kymmene per anni hanno importato legno russo a buon mercato, sino al 2006, quando la Russia ha introdotto gradualmente maggiori restrizioni, fino ad imporre dazi sulle esportazioni di legname. La decisione ha avuto un forte impatto sulla produzione e un successivo calo della domanda interna, conseguenze che potrebbero acuirsi il prossimo anno, quando le tasse sulle esportazioni di legname grezzo dalla Russia dovrebbe raddoppiare per raggiungere il 20%. Il Primo Ministro russo, Vladimir Putin, ha già concordato, tuttavia, lo scorso ottobre, con il suo omologo Matti Vanhanen il blocco della crescita dei dazi per 9-12 mesi, dando così tempo ad Helsinki di elaborare bene la questione. Dunque, un provvedimento nato per stimolare l'industria del legno russa per contrastare i concorrenti stranieri, si è inaspettatamente tradotta in una leva di negoziazione a favore del Nord Stream.

Lo sviluppo del progetto ha aperto anche un fronte dalla Lettonia che propone la possibilità di costruire una pipeline sul suo territorio, connettendosi così alla conduttura del Nord di Gazprom e dando a Riga la possibilità di trarre un vantaggio commerciale dalla cooperazione russa. Il Presidente lettone Valdis Zatlers afferma infatti che, se l'oleodotto avrà una deviazione sulla terraferma, la Lettonia era in grado di offrire un sito di stoccaggio per il gas, in alternativa alla costruzione subacquea in un tratto di mare molto critico. Zatlers ha infatti osservato che i rischi ambientali connessi ad un gasdotto sotto il Mar Baltico sono elevati, perché, a differenza del Mare del Nord, non vi è un ricambio dell'acqua, tale che nei fatti può essere considerato un lago. Allo stesso tempo avverte che la Lettonia potrebbe rifiutare il suo consenso, anche se tutti i problemi ambientali legati alla posa delle condotte verranno affrontati. La rigida posizione della Lettonia, potrebbe, in questo frangente rafforzare anche le posizioni di Svezia ed Estonia, entrambe alacri avversari del progetto russo. D'altro canto, la Germania rappresenta lo Stato maggiormente favorevole, chiedendo come alternativa la creazione di gasdotti attraverso l'Ucraina e la Bielorussia. Da questo punto di vista, il gasdotto baltico, potrebbe divenire un progetto fortemente europeo. Il gestore del progetto è la Nord Stream AG., società registrata in Svizzera, il cui 51% è controllato dalla Gazprom, insieme poi alle tedesche Wintershall e E. ON Ruhrgas (20% ciascuno) e l'olandese Gasunie (9%), mentre si fa sempre più reale un ingresso della francese Gaz de France. Infatti, la tedesca E. ON Energia intende ridurre la sua partecipazione al progetto Nord Stream, in favore dei francesi, cedendo il 4,5% della quota, mentre non è da escludere che GDF possa acquisire una quota maggiore. La sua adesione darebbe al progetto ancor più credibilità agli occhi dell'Unione Europea, principale referente della Russia nell'implementazione di progetti che implicano un rapporto di approvvigionamento di gas al mercato europeo.

La tacita rivalità tra il progetto europeo del Nabucco e il Sud Stream russo ha creato all'interno dell'Unione Europa una sorta di avversione nei confronti di opere infrastrutturali che implicano una certa dipendenza dalle fonti russe. La Germania e l'Italia sono state forti sostenitrici delle cooperazioni con la Russia, sino ad ottenere la riduzione del budget per i progetti energetici di matrice europea. L'influenza russa potrebbe essere ancora più incisiva, all'indomani della proposta di riscrivere la Carta dell'Energia, ampliando l'elenco dei partecipanti e i settori regolamentati, come riportato dai media russi. Il presidente russo ha infatti promesso, durante la sua visita in Finlandia, "che i partner del G8, del G20 e del CSI, nonché i paesi vicini" presenteranno "un documento di base con riferimento alle questioni di cooperazione internazionale nel settore energetico, comprese le proposte per gli accordi sul transito ". La novità del documento risiede, inoltre, nell'ampliamento dell'elenco delle risorse energetiche, inserendo oltre al petrolio e il gas, il combustibile nucleare, l'elettricità e il carbone. La Russia prevede inoltre di ampliare l'elenco dei paesi, che dovrebbe includere i principali attori del mercato energetico, compresi gli Stati Uniti, Canada, Cina, India e Norvegia, accentrando il regolamento sullo scambio e la ripartizione delle risorse, nonché sulla risoluzione dei conflitti e la responsabilità dei paesi di transito. La Russia infatti sottolinea proprio la necessità di implementare un meccanismo efficace di sanzioni, che possono indurre ogni Stato ad evitare ogni possibile tentativo per bloccare il transito del gas. Su tale tema l'Unione Europea sembra ancora molto divisa, perché il settore energetico resta ancora sotto la giurisdizione dei singoli Paesi e non della Commissione europea, con una parziale ingerenza solo per i progetti sovranazionali. Per il resto, l'Unione Europea ha mostrato la sua grande miopia ed inadeguatezza nel rispondere alle crisi energetiche, da mettere a rischio la stabilità economica di tutta la regione.

Fulvia Novellino

mardi, 14 avril 2009

L'ENI guida la missione italiana in Russia

L’Eni guida la missione italiana in Russia

Ex: htpp://www.ladestra.info/
Tratto da Rinascita
Di Andrea Angelini
Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, a margine della missione imprenditoriale italiana in Russia, in corso a Mosca, ha sottolineato che ogni passo che si fa per stringere i rapporti con la Russia finisce per andare a beneficio sia del consumatore italiano che della sicurezza dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese. Ieri Scaroni ha firmato l’accordo che prevede il ritorno a Gazprom del 20% della quota azionaria di Gazpromneft (il ramo petrolifero del gruppo russo) attraverso l’esercizio del diritto di opzione. Eni aveva acquistato tale quota nel 2007. Gazprom sborserà la stessa cifra pagata allora da Eni più gli interessi per un totale di 4,2 miliardi di euro. Scaroni ha precisato che in nome della cooperazione strategica in materia di energia, i due gruppi svilupperanno progetti congiunti in Russia e fuori dalla Russia, sulla base del principio di reciprocità. Eni e Gazprom hanno firmato, sotto il patrocinio dei due governi, una serie di accordi di collaborazione in Russia e all’estero anche con le principali società energetiche russe come Inter Rao UES, Rosneft, Transneft e Stroytransgas, sia nel settore del cosiddetto “upstream”, cioè ricerca e produzione di idrocarburi, che della raffinazione. Scaroni ha insistito sul fatto che gli accordi dell’anno scorso con Gazprom, che fra l’altro hanno garantito al nostro Paese la fornitura di gas fino al 2035, si è ora allargato a tutte le altre compagnie energetiche russe. Soprattutto, ha sottolineato, con il colosso russo c’è anche un rapporto tecnologico. Come Eni, “investiamo in Russia e continuamo ad essere il loro partner favorito”.
In ogni caso, ieri sono stati firmati solo gli accordi più commerciali. Per gli altri che rivestono un’importanza più strategica e politica, se ne parlerà fra qualche settimana nel prossimo incontro fra Putin e Berlusconi, trattenuto in Abruzzo dal terremoto.
Tali accordi riguarderanno ad esempio il potenziamento della capacità del gasdotto South Stream, che parte dalla Russia, sotto il Mar Nero, per poi attraversare la Bulgaria, la Grecia per arrivare infine in Italia. Ma interesseranno anche l’ingresso di Gazprom con la quota di comando del 51% in Artikgas, società controllata dalla joint venture Severenergia (partecipata da Eni, 60% ed Enel, 40%). Artikgas gestisce giacimenti di gas naturale che un tempo facevano parte di Yukos, il gruppo già controllato dall’ex magnate Mikhail Khodorkovski, ora in galera sia per evasione fiscale sia per essere un prestanome della Exxon americana. Ultimo punto che dovrà essere visto da Putin e Berlusconi riguarda il giacimento Elephant in Libia situato ad 800 chilometri a sud di Tripoli il cui destino faceva parte degli accordi più generali sottoscritti l’anno scorso tra i due governi e i due gruppi.
Anche Finmeccanicasi muove
Anche la Finmeccanica ha rafforzato la propria presenza in Russia con la firma di tre nuovi accordi. Questi hanno interessato tre diversi settori. Quello della sicurezza con Selex Sistemi Integrati, quello dell’aeronautica con Alenia Aeronautica e quello del segnalamento ferroviario con Ansaldo Sts.
Alenia Aeronautica, in particolare, ha perfezionato l’acquisizione del 25% della Sukhoi Civil Aircraft Corp. (SCAC), la società che si occupa della progettazione e produzione del Sukhoi Superjet 100 (SSJ100), l’aereo ad utilizzo regionale di nuova generazione da 75-110 posti al cui sviluppo la società italiana stava già lavorando. Il nuovo aereo ha ricevuto finora ordini per un totale di 98 esemplari, ed entro la fine del 2009 è stata prevista la consegna del primo velivolo alla Aeroflot, la compagnia di bandiera russa.
Prospettive per le piccole e medie imprese

Emma Marcegaglia presidente di Confindustria, ha parlato delle grandi prospettive che si aprono per l’industria italiana nel suo complesso. Non solo quella grande ma anche la media e piccola. La Russia, ha spiegato, è interessata a sviluppare un tessuto fatto di piccole e medie imprese. Su questo l’Italia può dare “un contributo vero e forte”. Quasi il 90% delle imprese partecipanti alla missione in Russia sono piccole e medie imprese. E allora se i grandi gruppi hanno i loro canali già aperti si deve pure ammettere che hanno aiutato le piccole imprese a entrare nel mercato russo. Certo, ha ammesso, non sono tutte rose e fiori. Le imprese hanno problemi soprattutto nel sistema dei pagamenti.
Da parte sua, il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, nel ricordare l’apertura dell’Italia agli investimenti russi, dimostrata dall’ingresso di Gazprom nel settore della distribuzione del gas e di Lukoil nella raffinazione, ha auspicato che si verifichi un ulteriore flusso di investimenti russi nel nostro Paese, sulla scorta di ciò che sta accadendo per il turismo. Del resto il legame strategico esistente tra i due Paesi è evidenziato dalla crescita dell’interscambio, che negli ultimi 10 anni è più che quadruplicato, passando da 6 miliardi di euro del 1999 ai 26 miliardi del 2008.

dimanche, 15 mars 2009

La Turquie exerce son chantage contre le projet européen Nabucco

La Turquie exerce son chantage contre le projet européen Nabucco

Ex: http://www.insolent.fr/

090309 Plus rapide que Phileas Fogg, Mme Clinton, en 8 jours, a survolé trois continents. Elle est allée faire des déclarations d'amour au monde entier, aux alliés comme aux adversaires, et par conséquent à la Turquie. À ce dernier pays, elle annonce une visite, et même, à l'avance, un grand discours du président américain en direction du monde musulman. On se demande d'ailleurs pourquoi, puisqu'il s'agit, nous assure-t-on, d'un pays laïc. Choisirait-on le Paris d'aujourd'hui pour s'adresser, urbi et orbi, à la chrétienté ?

Lors des émeutes, qualifiées d'ethniques, de Seine-Saint-Denis en 2005, certains journaux de Moscou avaient cru bon de conseiller aux Français, de cesser de regarder le monde "avec des lunettes roses". N'ayant pas été dite avec assez de force, cette utile recommandation est passée inaperçue. Elle ne nous a donc laissé comprendre, ni son urgence ni sa pertinence. De la sorte, en 2008, la crise géorgienne, puis l'affaire du passage par l'Ukraine des livraisons de Gazprom ont permis aux autorités publiques russes d'en administrer une leçon de choses, en direction, cette fois, de toute l'Europe occidentale. Il faut leur reconnaître dans cet exercice une forme de louable désintéressement, à moins qu'il s'agisse, de leur part, d'une contre-productivité involontaire. Visant à fragiliser l'image de leurs voisines en tant pays de transit, elles sont parvenues à ternir celle de leur propre compagnie nationale comme fournisseur stable et de confiance.

Une lueur d'intelligence, à ce moment-là, semble avoir traversé l'esprit des dirigeants de notre gros espace de consommation : il fallait, de toute évidence, diversifier les sources d'approvisionnement, ne plus dépendre des irrigations cérébrales d'un quelconque pétro-dictateur à la Chavez. Aux débuts de la Ve république, en France, il avait été fixé ainsi pour les importations de pétrole un taux maximum de 10 % par fournisseur. Aujourd'hui 41 % du gaz importé en Europe vient d'une seul provenance, vendu par une seule compagnie. L'ancien quota a explosé par l'insouciance des technocrates.

On ne s'étonnera donc pas que les 27 pays de l'Union européenne s'intéressent plus activement désormais à un nouvel accès aux ressources énergétiques de l'Asie centrale, via un tracé de "gazoduc" désigné sous le nom de projet Nabucco. Il acheminerait les fournitures de l'Azerbaïdjan, du Turkménistan et probablement aussi de l'Iran. Son tracé de 3 400 km aboutirait au nœud "Baumgarten" en Autriche, après avoir traversé la Bulgarie, la Roumanie et la Hongrie. Sa capacité de transport atteindrait 35 à 41 milliards de m3 par an. En octobre 2002 était signé à Vienne, un accord de coopération mettant en place un consortium en vue d’effectuer une étude de faisabilité. Celle-ci a été financée à 50 % par la Commission européenne en tant que projet prioritaire du programme TEN, Trans European Networks. Depuis septembre 2007 Johannes van Aartsen, ancien ministre néerlandais des Affaires étrangères, a été désigné coordinateur du dossier. Celui-ci correspond à un investissement évalué entre 4 et 6 milliards d'euros. La décision devrait être finalisée ce printemps et l'on prévoit la réalisation pour l'horizon 2012-2013.

Celui-ci, contournant l'imprévisible Russie, passerait nécessairement par la Turquie. Et comme celle-ci, membre de l'Otan, candidate à l'union européenne, réputée laïque et plus ou moins démocratique appartient, par là même à la sphère des pays amis beaucoup de monde se bouscule au portillon. Cinq compagnies participent à l'opération : la société roumaine Transgaz, l'autrichienne OMV, la hongroise Mol, Bulgargaz et l'associée turque Botas. S'y joindra en principe la compagnie allemande RWE.

Hélas, un pays se trouve écarté : le gouvernement d'Ankara a décidé de mettre un veto politique contre la France. Et GDF a officiellement confirmé (communiqué de février 2008) son renoncement et son intérêt pour le projet concurrent South Stream préféré par l'Italie et la Grèce. La raison de ce boycott tient à la loi mémorielle adoptée sous Jospin, afin de "reconnaître" le caractère génocidaire des massacres d'Arméniens commis en 1915 par le régime jeune-turc.

Mais le gouvernement, réputé "islamiste-modéré", de M. Erdoghan ne s'arrête pas en si bon chemin : il a décidé aussi d'exiger 15 % du gaz azéri et le droit de le revendre, en attendant peut-être de satelliser à 100 % les "frères touraniens d'Asie centrale" de Bakou, comme il semble bel et bien l'ambitionner par ailleurs pour les puits de pétrole du nord de l'Irak en zone kurde. De difficiles négociations se sont déroulées avec l'Iran des mollahs et avec le président de la république turkmène M. Gourbangouly Berdymoukhammedov. Rappelons que ce personnage joue un rôle clef car en 2013 à lui seul l'Azerbaïdjan ne pourrait fournir que 13 milliards de m3 soit 30 % de la capacité prévue par le projet.

Fort de sa situation géopolitique, l'excellent partenaire d'Ankara fait pression par ailleurs sur Bruxelles.

Aux autorités de l'Union européenne les demandes adressées par l'État turc portent, avec insistance, sur des conditions d'ordre politique : afin d'accélérer sa candidature, certes officiellement admise par la plupart des gouvernements sur le principe, mais qui piétine depuis 20 ans et même depuis l'accord d'association de 1963 avec ce qui ne se concevait encore que comme l'espace d'un marché commun.

D'autres concessions sont demandées, non seulement sur la question historique et symbolique du génocide arménien, mais également sur la solidarité actuelle et concrète des Européens avec Chypre, État membre de l'Union.

Puisqu'elle dispose d'un pareil allié, décidément l'Europe ne semble guère éprouver le besoin de se connaître d'autres ennemis.

JG Malliarakis

mercredi, 04 février 2009

La invasion israeli de Gaza y los yacimientos marinos de gas

La invasión israelí de Gaza y los yacimientos marinos de gas

La invasión militar de la Franja de Gaza por el ejército de Israel tiene relación directa con el control y la posesión de las reservas estratégicas de gas en la costa.

Esta es una guerra de conquista. Descubiertos en 2000, existen amplias reservas de gas frente a la costa de Gaza.

A la British Gas (BG Group) y a su socio, la Athens based Consolidated Contractors International Company (CCC), de propiedad del libanés Sabbagh Koury y su familia, se les concedió los derechos de exploración del petróleo y el gas por 25 años en un acuerdo firmado en noviembre de 1999 con la Autoridad Nacional Palestina.

Los derechos a los yacimientos de gas en alta mar son, respectivamente, de la British Gas (60 por ciento); Consolidated Contractors (CCC) (30 por ciento) y del Fondo de Inversiones de la Autoridad Palestina (10 por ciento). (Haaretz, 21 de octubre de 2007).

El Acuerdo PA-BG-CCC incluye el desarrollo del campo y la construcción de un gasoducto. (Middle East Economic Digest, 5 de enero, 2001).

La licencia a BG abarca toda la zona marina en alta mar de Gaza, que es contíguo a varias instalaciones de gas de la costa de Israel. (Véase mapa). Cabe señalar que el 60 por ciento de las reservas de gas a lo largo de la costa de Gaza e Israel pertenecen a Palestina. El Grupo BG ha perforado dos pozos en el año 2000: el Marina de Gaza-1 y el Marina de Gaza -2. Sus reservas se estiman por British Gas de ser del orden de 1,4 billones de pies cúbicos, por un valor de aproximadamente 4 mil millones de dólares. Estas son las cifras hechas públicas por British Gas. El tamaño de las reservas de gas de Palestina podría ser mucho mayor.

¿Quién es el titular de los yacimientos de gas?

La cuestión de la soberanía sobre Gaza de los campos de gas es crucial. Desde un punto de vista jurídico, la reservas de gas pertenecientes a Palestina.

La muerte de Yasser Arafat, la elección del gobierno de Hamas y la ruina de la Autoridad Palestina han permitido a Israel establecer un control de facto en Gaza y de las reservas de gas de la costa.

British Gas (BG Group) ha negociado con el gobierno de Tel Aviv. A su vez, el gobierno de Hamas ha sido puenteado en cuanto a la exploración y el desarrollo de los derechos sobre los yacimientos de gas.

La elección del Primer Ministro Ariel Sharon en 2001 fue un importante punto de inflexión. La soberanía de Palestina sobre los yacimientos marinos de gas fue impugnada en el Tribunal Supremo de Israel. Sharon declaró inequívocamente que “Israel nunca comprará gas de Palestina” de Gaza al entender que las reservas de gas en alta mar pertenecen a Israel.

En 2003, Ariel Sharon, vetó un primer acuerdo, que permitiría a British Gas para suministro de gas natural a Israel desde Gaza desde los pozos en alta mar. (The Independent, 19 de agosto de 2003)

La victoria electoral de Hamas en 2006 fue favorable a la desaparición de la Autoridad Palestina, que pasó a estar confinado en Cisjordania, en el marco del mandato de Mahmoud Abbas.

En 2006, British Gas “estaba cerca de firmar un acuerdo para el bombeo de gas a Egipto.” (Times, mayo 23, 2007). Según los informes, el Primer Ministro británico Tony Blair intervino en nombre de Israel con el fin de evitarel acuerdo con Egipto.

Al año siguiente, en mayo de 2007, el Gabinete israelí aprobó una propuesta por el Primer Ministro Ehud Olmert “para comprar el gas de la Autoridad Palestina.” La propuesta de un contrato por 3,5 mil millones de euros, con ganancias del orden de 1,6 mil millones de euros de los cuales 800 millones se destinan a los palestinos.

Tel Aviv, sin embargo, no tenía intención de compartir los ingresos con Palestina. Un equipo de negociadores de Israel fue creado por el Gabinete israelí para bloquear un acuerdo con el BG Group, evitando tanto al gobierno de Hamas y a la Autoridad Palestina:

“Las autoridades de la defensa israelíes quieren pagar con bienes y servicios, y no desean que el dinero vaya al control del Gobierno de Hamas”. (Ibid, )

El objetivo era esencialmente anular el contrato firmado en 1999 entre el BG Group y la Autoridad Palestina bajo mandato de Yasser Arafat.

En virtud de la propuesta de 2007 del acuerdo con BG, el gas de los pozos palestinos de la costa de Gaza iba a ser canalizado por una tubería submarina al puerto israelí de Askalún (Ashkelon). Así se transfería el ontrol sobre la venta de gas natural a Israel.

La operación fracasó. Las negociaciones fueron suspendidas:

“El Jefe del Mossad, Meir Dagan, se opuso al acuerdo por motivos de seguridad, dado que los productos iban a financiar el terror”. (Gilad Erdan, Discurso a la Knesset sobre el tema “La intención de la Vice-Primer Ministro Ehud Olmert para la compra de gas a los palestinos, los pagos servirán de Hamas”, 1 de marzo de 2006, citado en el Teniente General (retirado) Moshe Yaalon, ¿El Futuro de la compra de a British Gas de Gaza amenazan a las aguas costeras de la Seguridad Nacional de Israel? Centro Jerusalén para Asuntos Públicos, de octubre de 2007)

La intención de Israel fue a cerrar la posibilidad de que se paguen regalías a los palestinos. En diciembre de 2007, el Grupo BG se retiró de las negociaciones con Israel y en enero de 2008 cerró su oficina en Israel. (web BG).


Plan de invasión en la mesa de dibujo

El plan de invasión de la Franja de Gaza en virtud de la ” Operation Cast Lead ” se puso en marcha en junio de 2008, según fuentes militares israelíes:

“Según fuentes de la defensa, el ministro de Defensa, Ehud Barak, dio instrucciones a las Fuerzas de Defensa de Israel para preparar la puesta en funcionamiento hace más de seis meses [en junio o antes de junio], a pesar de que Israel estaba empezando a negociar un acuerdo de cese el fuego con Hamas.” (Operation “Cast Lead”: Israeli Air Force strike followed months of planning, Haaretz, 27 de diciembre de 2008)

Ese mismo mes, las autoridades israelíes entraron en contacto con British Gas, con miras a reanudar las negociaciones relativas a la compra de gas natural de Gaza:

“Tanto el Ministerio de Finanzas, con el director general y el Ministerio de Infraestructuras Nacionales con el director general Hezi Kugler Convinieron en informar a BG del deseo de Israel de renovar las conversaciones.”

Las fuentes agregaron que BG no ha respondido oficialmente a Israel sobre la solicitud, pero que los ejecutivos de la empresa probablemente han llegado a Israel hace un par de semanas para celebrar conversaciones con funcionarios del Gobierno.” (Globes online- Israel’s Business Arena, 23 de junio de 2008)

La decisión de acelerar las negociaciones con British Gas (BG Group) coincidió, cronológicamente, con la planificación de la invasión de Gaza iniciada en junio. Parece que Israel estaba ansioso para llegar a un acuerdo con el Grupo BG antes de la invasión, que ya estaba en una avanzada fase de planificación.

Por otra parte, las negociaciones con British Gas se llevaron a cabo por el gobierno de Ehud Olmert con el conocimiento de que había una invasión militar sobre la Mesa de Dibujo. Con toda probabilidad, un nuevo acuerdo postbélico político-territorial de la Franja de Gaza también está contemplado por el gobierno israelí.

De hecho, las negociaciones entre British Gas y los funcionarios israelíes estaban en marcha en octubre de 2008, 2-3 meses antes del comienzo de los bombardeos de 27 de diciembre.

En noviembre de 2008, el Ministerio israelí de Finanzas y el Ministerio de Infraestructuras Nacionales dieron instrucciones a la Israel Electric Corporation (IEC) para entrar en negociaciones con British Gas, para la compra de gas natural a partir de la concesión BG offshore en Gaza. (Globes, 13 de noviembre de 2008)

“El director general Yarom Ariav del Ministerio de Finanzas y director general Hezi Kugler del Ministerio de Infraestructuras Nacionales escribió a la IEC CEO Amos Lasker recientemente, informándole de la decisión del gobierno de permitir que las negociaciones avancen, en consonancia con el marco de la propuesta se aprobó a principios de este año.

El Consejo de la IEC, encabezado por el presidente Moti Friedman, aprobó los principios de la propuesta marco, hace unas semanas. Las conversaciones con la BG Group se iniciará una vez que que la junta apruebó la exención de una oferta. “(Globes de 13 de noviembre de 2008)

Geopolítica y Energía de Gaza

La ocupación militar de Gaza tiene la intención de transferir la soberanía de los yacimientos de gas a Israel, en violación del derecho internacional.

¿Qué podemos esperar a raíz de la invasión?

¿Cuál es la intención de Israel con respecto a las reservas de gas natural de Palestina?

¿Un nuevo acuerdo territorial, con la presencia de israelíes y / o “el mantenimiento de la “Tropas de paz”?

¿La militarización de toda la costa de Gaza, que es estrategia para Israel?

¿La pura y simple confiscación de campos de gas palestinos y la declaración unilateral de la soberanía israelí sobre Gaza y sus zonas marítimas?

Si esto ocurriera, el gas de los campos de Gaza quedarían integrados en las instalaciones en alta mar de Israel, que son contiguos a los a la Franja de Gaza. (Ver Mapa 1).

Estas instalaciones en alta mar también están conectadas a Israel por el corredor de transporte de energía, que se extiende desde el puerto de Eilat, que es la terminal de un oleoducto, en el Mar Rojo hasta el Terminal del puerto de Askalún (Ashkelon), al norte de Haifa, y, finalmente, la articulación a través de un proyecto de oleoducto turco-israelí con el puerto turco de Ceyhan.

Ceyhan es el terminal del oleoducto Bakú, oleoducto transcaspio Ceyhan. “Lo que se prevé es enlazar el oleoducto BTC del gaseoducto Trans-Israel Eilat- Askalún (Ashkelon), también conocido como el Israel Tipline”. (Véase Michel Chossudovsky, La guerra en el Líbano y la Batalla por el Petróleo, Global Research, 23 de julio de 2006)

Enlace con el texto original en inglés: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=11680

Traducción SODEPAZ.

Global Research Articles by Michel Chossudovsky

00:26 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : gaza, israël, proche orient, énergie, gaz, gazoducs, gaz naturel | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

mardi, 20 janvier 2009

Bataille pour l'énergie, de l'Ukraine à l'Arctique

Bataille pour l'énergie, de l'Ukraine à l'Arctique

En juillet, mon article "bataille pour l'actique" repris sur Yahoo actualités prévoyait que le grand nord serait une des zones de bataille du siècle qui commence, une bataille qui pousserait les puissances dominantes actuelles (occident et russie) mais également les puissances émergentes comme la Chine a "nordiser" leur politique géo-énergétique. Cette théorie est partagée avec un certain nombre de mes confrères, géopoliticiens et bien d'autres journalistes avisés.
Les tensions vers l'arctique sont liées a la futur guerre pour l'énergie entamée il y a déjà bien longtemps mais qui va plausiblement s'intensifer de façon drastique dans les mois et/ou les années qui viennent. La situation de "tension" actuelle liés à la crise du Gaz est également un symptôme annonciateur.

Kommersant. titrait récemment que L'administration US a rendu publique le 12 janvier la directive du président Georges W. Bush sur la politique américaine en Arctique. Repris sur Ria Novosti et traduit en Francais, voila globalement le contenu de l'article que je vous retranscris ici titré : "Vers une confrontation en Arctique ? "

Le document exige que le Sénat ratifie dans le plus bref délai la convention internationale sur le droit de la mer, qui réglera le partage de l'Arctique. Seulement, le Conseil de sécurité de Russie a lui aussi élaboré une nouvelle stratégie de mise en valeur de la région. Selon le représentant spécial du président russe pour la coopération en Arctique, Artur Tchilingarov, son essence réside dans les paroles suivantes: "Nous ne cèderons l'Arctique à personne".

On ne sait pas encore au juste quels sont les réserves de gaz et de pétrole de l'océan Arctique, mais selon le Service géologique américaine, il possède 20% des hydrocarbures mondiaux.

La demande de ratifier la convention internationale sur le droit de la mer est le point le plus important de la directive du président sortant, a indiqué une source du Kommersant au ministère russe des Affaires étrangères. Les Etats-Unis restent jusqu'à présent le dernier pays arctique à n'avoir pas ratifié la convention, ce qui constitue un des obstacles au partage international de l'Arctique.

Artur Tchilingarov a confirmé hier que la présence russe dans l'océan Arctique serait activement élargie. Il a également indiqué que le travail sur l'argumentation des prétentions russes au plateau continental arctique continuait et même touchait à sa fin. Tous les documents prouvant que le Pôle nord appartient à la Russie pourraient être transmis à l'ONU dès 2010. M.Tchilingarov a déclaré auparavant que si l'ONU ne reconnaissait pas le droit de la Russie sur le Pôle nord, le pays se retirerait de la convention sur le droit de la mer.

"Il est évident qu'un "front arctique" sera une réalité dans quelques années: les enjeux sont trop importants", fait remarquer le directeur des programmes politiques du Conseil pour la politique extérieure et de défense Andreï Fedorov. "Les positions de la Russie sont pour le moment plus solides que celles des autres pays, mais il ne faut pas s'imaginer que cela va durer très longtemps".

Un signal rouge qui vire au violet alors que la Cour internationale de justice (CIJ) de l'ONU vient au même moment affirméee être "disposée" (compétente ?) à trancher les litiges susceptibles de surgir autour du plateau continental de l'océan glacial Arctique, riche en hydrocarbures et que la guerre du gaz fait rage au coeur de l'Ukraine, véritable partie d'échec a trois entre la Russie, l'Union de Bruxelles et l'Ukraine Orange. Rappellons par une carte la position pour l'instant essentielle de l'Ukraine pour le transfert du gaz Russe vers l'Europe :

C'est parceque l'Ukraine Orange (sous pression lobbiyque de forces qui tentent de saper les relations Russo-Européenes ) n'est pour l'instant pas un partenaire fiable (preuve en est les évenements actuels) que le gouvernement Russe souhaite "diversifier" les approvisionnements vers l'Europe et ne pas être dépendant des humeurs d'un président en carton nommé par la CIA et Soros ! Pour cela, les projets NORTH STREAM et SOUTH STREAM semblent être des solutions sures et fiables pour garantir l'approvisionnement vers l'Union Européenne (CF carte).

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dimanche, 18 janvier 2009

Russia e Ucraina, la vera posta in gioco

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Russia e Ucraina, la vera posta in gioco

http://www.rinascita.info - Giovedì 15 Gennaio 2009 – 17:20 – Filippo Ghira



La crisi russo-ucraina sul gas, anche ieri il metano russo non è arrivato a destinazione nell’Unione europea, sembra fatta apposta per rendere più freddi, e non è una battuta visti i rigori dell’inverno, i rapporti tra Mosca e i Paesi europei e portarli a pensare se alla fine non sia un po’ troppo rischioso dipendere in maniera così considerevole dalle forniture della Gazprom. Un’idea questa che la Casa Bianca con il duo Bush e Obama e le compagnie petrolifere anglo-americane hanno tutto l’interesse ad alimentare. Soprattutto in questa fase che ha visto ridursi drasticamente le entrate valutarie russe a causa del crollo dei prezzi del petrolio e del gas, seguiti al ridimensionamento della speculazione internazionale, e per il loro ritorno ad un livello più decente. Mosca e Kiev, Gazprom e Naftogaz, si fanno la guerra l’una con l’altra scambiandosi reciproche accuse, si limitano ad osservare i Paesi europei che pure hanno mandato i loro osservatori a monitorare la situazione. Resta il fatto che, non potendo stabilire se sia la Naftogaz che ruba gas alla Gazprom o se invece sia la Gazprom che non lo pompa verso il territorio ucraino per instradarlo verso ovest, i Paesi della Ue si trovano al freddo senza il gas russo e finiscono per mettere sotto accusa entrambi i governi definiti come “inaffidabili”. Da qui deriva la tendenza di diversi di loro ad auspicare una riduzione delle forniture di gas da parte russa e un utilizzo di fornitori alternativi attraverso vie alternative ai gasdotti provenienti da est. Che sia in corso una più generale operazione di pressione su Mosca è provato però dalla massiccia fuga di capitali esteri che ha interessato la Russia dall’inizio della guerra in agosto contro la Georgia per il controllo dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Solo nel quarto trimestre del 2008 se ne sono andati 130 miliardi di dollari. L’economia russa, che è stata ulteriormente danneggiata dalla conseguente crisi della Borsa all’interno della quale, tanto per rimanere in tema, la Gazprom ha visto crollare del 67% il valore delle sue azioni, non può quindi permettersi ulteriormente di rinunciare ad entrate che le servono come il pane. Anche, e non è un aspetto da poco, per rinnovare il proprio arsenale militare. Resta da vedere se le azioni della Naftogaz e del governo ucraino siano state eterodirette proprio per incrinare sul lungo termine il fronte filo-russo dei Paesi europei. La situazione politica interna ucraina ha infatti la sua influenza che non è poca. In autunno a Kiev ci saranno le elezioni presidenziali e se l’attuale presidente, Viktor Yushenko, al potere dal 2005 dopo la rivoluzione arancione, appare fuori gioco, alle stelle sono invece le quotazioni del suo avversario di allora, il filorusso Viktor Yanukovich (votato dalle regioni orientali più vicine a Mosca) e del primo ministro, Yulia Timoshenko, già protagonista della piazza di 4 anni fa. La Timoshenko, con interessi personali nel settore energetico, ha ammorbidito di molto negli ultimi mesi le sue posizioni anti-russe, avvicinandosi anzi al Cremino. Putin e Medvedev, tanto per indurre gli ucraini a più miti consigli, continuano a far pesare velatamente la minaccia di spaccare il Paese favorendo la scissione delle regioni orientali. Una risposta indiretta sia a Bush che ad Obama che si erano detti entrambi a favore dell’entrata dell’Ucraina nella Nato con la collegata richiesta di installarvi le basi di quello scudo stellare, pensato ufficialmente contro l’Iran, in realtà da utilizzare per premere contro la stessa Russia. Un disegno contro il quale la Russia ha già risposto militarmente nel Caucaso in estate. Due azioni decise, due segnali a nuora (Georgia e Ucraina) perché suocera (gli Usa) intenda e perché non creda di poter portare il gioco troppo in là.

La dipendenza italianaed europea

Due giorni fa Silvio Berlusconi, pur prendendo atto delle difficoltà che tutti i Paesi della Ue stanno attraversando a causa delle crisi tra Mosca e Kiev, ha ribadito la sua vicinanza all’amico Putin dicendo di capire le ragioni di Gazprom. Del resto era stato il Cavaliere il principale demiurgo dell’accordo tra Eni e Gazprom che ha garantito al nostro Paese una fornitura costante da qui fino al 2045. Nel 2007, secondo i dati del ministero dello Sviluppo, l’Italia ha importato 73.882 miliardi di metri cubi. La Russia è stato il secondo fornitore (30,7%) dopo l’Algeria (33,2%). In realtà, l’Agenzia internazionale dell’Energia parla di una dipendenza minore, pari al 27% da Mosca. Gli altri fornitori sono nell’ordine la Libia (12,5%), l’Olanda (10,9%) e la Norvegia (7,5%). Mentre il restante 5,2% proviene da altri Paesi. Mosca ci invia di media 60 milioni di metri cubi di gas, una dipendenza non eccessiva, e la cui provvisoria mancanza può essere tranquillamente coperta dalle grandi riserve che ci assicurano una copertura per diverse settimane. Più legate al carro russo sono invece Paesi come Estonia, Lettonia Lituania, Finlandia e Slovacchia, dipendenti al 100% per le proprie importazioni. Molto dipendenti Bulgaria (90%), Grecia (81%) e Repubblica Ceca (78%). Ma anche Austria (67%), Ungheria (65%) e Slovenia (51%). Sotto la soglia del 50% si trovano Polonia (46%) e Germania (39%) e Romania (31%). Mosca è invece un fornitore non indispensabile per Francia (16%) e Belgio (4%).

Chi non compra nemmeno un metro cubo di gas dai russi sono invece Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Svezia, Cipro e Malta.
Complessivamente Mosca vende all’Unione europea circa un 25% del suo fabbisogno di gas. Sul lungo termine l’Europa, esaurendosi le proprie riserve, dovrà però aumentare le importazioni e quindi la dipendenza dall’estero. Ed in tale ottica si potranno scegliere due strade. Aumentare le importazioni dagli attuali fornitori, come appunto la Russia, o da altri come Azerbaigian, Turkmenistan, Kazakistan. E l’appestato Iran. Oppure ricorrere all’importazione di gas liquido che dovrà essere trasformato grazie agli appositi rigassificatori. Nel primo caso, la scelta di Mosca o dei tre Paesi dell’Asia centrale comporterà due diverse scelte politiche e ovviamente due diverse implicazioni geopolitiche. Già sono stati stanziati i fondi per il gasdotto Nabucco che, collegato ai Paesi dell’Asia centrale, ne porterà il gas in Europa attraverso i Balcani bypassando la Russia. Sempre in tale ottica si muove il South Stream che collegato alla stessa filiera, collegherà la Grecia all’Italia. Disegni ai quali Mosca intende rispondere con la realizzazione del North Stream nel Baltico dalla Russia alla Germania bypassando le repubbliche baltiche filo-americane. Diverso è il caso del gas naturale liquido le cui importazioni, sempre nel 2007, hanno coperto il 13% del fabbisogno europeo. I primi fornitori restano quelli soliti: Algeria, Libia, Qatar e Nigeria. Mentre restano le incertezze sullo sviluppo del settore con la realizzazione dei gassificatori che dovrà comunque ottenere il via libera delle popolazioni locali interessate.

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