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lundi, 11 mars 2019

Pierre Vial: Salut Guillaume !

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Salut Guillaume

Eté 1973, en forêt bourguignonne. Le camp d’été d’Europe Jeunesse se termine par un raid destiné à initier nos jeunes camarades, tous citadins, à la magie de la forêt. En fin de journée je fais le compte des troupes, arrivées échelonnées au point de rendez-vous. Il manque un homme. J’épluche la liste des effectifs et fais l’appel. Le manquant est un certain Guillaume Faye. Alors que la consigne, stricte, que j’avais donnée à chaque patrouille était qu’on ne laisse, jamais, quelqu’un derrière soi, il a disparu sans que personne ne le remarque, comme un feu follet. L’image me restera ensuite en tête : Guillaume, un feu follet.

Je suis parti à sa recherche, craignant qu’il ait eu un accident l’immobilisant en terrain isolé. Rien. Pas une trace. Je m’apprêtais à mobiliser un maximum d’effectifs pour organiser les recherches quand j’ai vu arriver au point de rendez-vous un gars épuisé, hirsute. Il m’a dit avoir voulu prendre un raccourci et s’être perdu… Je l’ai envoyé manger et dormir car il en avait grand besoin. J’ai voulu, le lendemain, mieux connaître cet étrange gars. Et j’ai découvert quelqu’un dont les paroles ont révélé un esprit curieux de tout, d’une intelligence aigüe. J’ai donc fait en sorte, fidèle à ma vocation de pêcheur d’âmes, qu’il travaille, très vite, dans le cadre du Secrétariat Etudes et Recherches du GRECE, où ses talents ont fait merveille. Peut-être trop au goût de certains egos surdimensionnés, à qui il faisait (sans le vouloir) de l’ombre. Lesquels ont fini par écoeurer Guillaume, qui a pris le large, à peu près au moment où j’en fis autant, en 1986.

Mais tout au long de son passage au GRECE Guillaume avait donné toute la mesure de son talent, qui était grand. Agitateur d’idées, créateur de concepts originaux et dérangeants, animateur hors pair alliant de solides connaissances et un humour dévastateur, Guillaume a été, pour beaucoup de jeunes camarades, un éveilleur au plein sens du terme. Et il avait un sens de l’amitié toujours prêt à se manifester.

Mais, derrière la façade du blagueur génial, auteur de farces mémorables quand il était devenu Skyman, il y avait un homme en fait très sensible. Et donc fragile. Quand le divorce avec certains hiérarques de la Nouvelle Droite est devenu inévitable, il a été touché au plus profond de son être et nous avons été peu nombreux à nous en rendre compte. Il y avait en lui des blessures qui ne se sont jamais refermées. Les dérives dans lesquelles il s’est noyé, ensuite, ont largement là leur explication, j’en suis persuadé.

Je ne veux garder de lui que l’image de l’homme brillantissime qu’il fut pendant un pan de sa vie, l’auteur de livres-clefs comme « Le Système à tuer les peuples », qui resteront des balises . Alors, il faut oublier le reste.

Salut Guillaume !

Pierre VIAL

È morto Guillaume Faye, l’uomo che ha cambiato il pensiero non conforme europeo

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È morto Guillaume Faye, l’uomo che ha cambiato il pensiero non conforme europeo

 
Ex: https://www.ilprimatonazionale.com

Parigi, 7 mar – Con il decesso di Guillaume Faye, morto nella notte tra 6 e 7 marzo, scompare dalla scena metapolitica europea uno dei pochi intellettuali che ha davvero cambiato il modo in cui tutti noi pensiamo, anche chi non l’ha mai letto, anche chi lo ha letto pensandola diversamente su tanti temi. Gravemente malato da tempo, accudito da un pugno di sodali devoti, Faye ha mostrato sino all’ultimo più interesse per il mondo delle idee che per la propria persona, anche a costo di trascurare la propria salute pur di continuare a scrivere. Pur non avendolo mai conosciuto, negli ultimi tempi avevo provato diverse volte a contattarlo, scrivendo alla mail del suo sito. Una prima volta mi aveva risposto, acconsentendo a un’intervista. Ma, quando gli avevo mandato le domande via mail, aveva dichiarato di non aver ricevuto nulla, chiedendomi di inviargliele nuovamente… via lettera. Cosa invero singolare, per un profeta della tecnoscienza. Avevo fatto un secondo tentativo, al fine di cooptarlo sul Primato Nazionale, in cui una sua rubrica fissa sarebbe stata più che gradita. Non mi rispose mai, probabilmente perché stava già male.

La Nuova Destra francese

Faye era nato il 7 novembre 1949 ad Angoulême, il capoluogo del dipartimento della Charente, situato nella regione Nuova Aquitania. In un’intervista aveva detto: «Sono stato allevato nel culto del nazionalismo francese, di tendenza bonapartista, e il risultato paradossale fu un patriottismo europeo. Il mio ambiente sociale d’origine è quello della grande borghesia parigina, che conosco perfettamente dall’interno e di cui non ho mai condiviso gli ideali conformisti e materialisti». Diplomato all’Institut d’études politiques di Parigi e titolare di un dottorato in scienze politiche, è stato uno dei principali teorici del Groupement de Recherches et Etudes pour la Civilisation Européenne (Grece), e dell’ambiente più tardi noto come Nuova Destra francese, nel periodo che va dal 1970 al 1986. Faye si avvicina al Grece su invito di Dominique Venner, senza un pedigrée pregresso particolarmente legato alla destra. Tra le figure che lo hanno segnato fino a quel momento c’è semmai il marxista e situazionista Henri Lefebvre. In questa fase, Faye propone un pensiero volontarista, faustiano, marcatamente nietzscheano e portatore di un neopaganesimo postmoderno. La sua visione del mondo esalta la tecnoscienza visionaria dello spirito europeo. Non sono rare le provocazioni, soprattutto in tema etico e sessuale.

In un articolo di qualche anno fa, Stefano Vaj, amico di lunga data del francese, così descrive il primo impatto con il personaggio Faye, nell’ambito di un convegno del Grece: «Oratore eccezionale, ipnotico persino nel leggere una relazione scritta nell’atmosfera ovattata di un convegno di studi in un palazzo dei congressi, Guillaume Faye assomigliava un po’ fisicamente e nelle movenze al giovane Feddersen, interpretato da Gustav Froelich, protagonista di Metropolis di Fritz Lang; ed era già indiscutibilmente l’astro nascente del movimento. […] Faye lasciava un’impressione di “lucido fanatismo” in cui si mescolavano reminiscenze di Che Guevara, D’Annunzio, Ignazio di Loyola e Goebbels, alquanto lontane dal materiale umano settario e arrivista, conformista e reazionario, che dominava la mia esperienza politica italiana dell’epoca. Le notti passate a discutere delle questioni fondamentali della nostra epoca e del futuro dell’Europa nella campagna provenzale delle Université d’Eté del GRECE diventarono anzi ben presto una benvenuta boccata di ossigeno".

Il sistema per uccidere i popoli

Figlio di questa fase è l’eccezionale Le Système à tuer les peuples, puntuale diagnosi della globalizzazione scritta… nel 1981, quando l’agenda politica dell’Occidente era interamente occupata dalla Guerra fredda. In un mondo diviso in due, con le varie destre spesso preoccupate di rappresentare con il dovuto zelo il ruolo di sentinelle dell’Occidente, Faye si preoccupava dell’uniformità del pianeta all’insegna di un’unica ideologia consumistica, smobilitante, borghese, universalistica. Libro profetico se mai ve ne fu uno, Il sistema per uccidere i popoli – di cui esiste una traduzione in italiano, realizzata dallo stesso Vaj, più volte riproposta in diverse edizioni, l’ultima recentemente da Aga editrice – aveva inoltre il merito di proporre una lettura del potere totalmente aliena da schemi complottistici e semplificazioni settarie. La caratteristica principale del Sistema descritto da Faye era anzi proprio il fatto di «funzionare» in modo meccanico, impersonale, acefalo. Una lezione da ripassare, proprio oggi che gli spettri di mega cospirazioni tornano a dominare la scena di coloro che vorrebbero opporsi al medesimo Sistema.

Definito l’«antipapa della Nouvelle Droite» rispetto al «pontefice» riconosciuto dell’ambiente, Alain de Benoist, Faye non potrebbe aver avuto una personalità più diversa da quella dell’autore di Visto da destra: tanto meticoloso, enciclopedico, «intellettuale» de Benoist, quanto estroso, polemico, «militante» il secondo. Caratteristiche che comportano, in entrambi i casi, tanti pregi quanti difetti. Nel 1986, Faye rompe con l’ambiente del Grece, parallelamente ad altri esponenti illustri del medesimo ambiente, come lo storico Jean-Claude Valla. Per un decennio, Faye sta lontano dalla politica e dalla cultura: partecipa a programmi radio, fa provocazioni mediatiche, avrebbe persino preso parte, secondo una leggenda metropolitana da lui stesso alimentata, a dei film porno in qualità di attore.

Archeofuturismo

Nel 1998, il grande ritorno alla battaglia delle idee con Archeofuturismo, uno dei testi più importanti degli ultimi 30 anni. Lo scorso marzo, in occasione della riedizione del testo, ancora per i tipi di Aga, scrivevo che l’opera «incise fortemente sull’immaginario dei due decenni che seguirono, non perdendo sostanzialmente di attualità. […] La tesi del libro è nota, anche solo per essere stata orecchiata qua e là: bisogna unire Evola e Marinetti, il sacro e la tecnoscienza, la potenza dell’arcaico e le suggestioni avveniristiche. […] Ma era soprattutto il discorso sull’islam che era destinato a sconvolgere i vecchi ammiratori di Faye e a creare dibattito nel suo pubblico naturale. Il vecchio cantore della ‘causa dei popoli’ contro il sistema americanocentrico riemergeva dal nulla chiamando alla guerra contro i musulmani. Eresia, tradimento, zampino della Cia o del Mossad? Sul tema, come al solito, la visione fayana tendeva a portare i concetti all’estremo, con non poche forzature e qualche argomento tagliato con l’accetta».

Proprio nel numero di febbraio 2019 del Primato Nazionale è presente un’intervista a Guillaume Faye dai caratteri semi-testamentari.

Con il passare degli anni, l’accetta si era fatta sempre più affilata, anche se le vette visionarie, originali, mobilitanti di Archeofuturismo non sarebbero più state toccate. Tra le sue opere di questo secondo periodo, merita una menzione il misconosciuto Pourquoi nous combattons?, operetta minore, sorta di breviario militante davvero ricco di spunti. Tra i libri che più avevano fatto parlare e sparlare di sé c’era invece La nouvelle question juive, per cui era ovviamente stato bollato come agente del sionismo internazionale. L’ultimissimo saggio, uscito proprio in questi giorni, testimoniava un ulteriore, controverso passo verso una radicalità sempre più accentuata, a cominciare dal titolo: Guerre civile raciale. Un testo su cui sarebbe stato bello discutere e magari anche litigare. Non ce n’è stato il tempo.

Adriano Scianca

Guillaume Faye, l’uomo delle provocazioni vulcaniche. Il ricordo di Stefano Vaj

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Guillaume Faye, l’uomo delle provocazioni vulcaniche. Il ricordo di Stefano Vaj

Ex: https://www.ilprimatonazionale.it

Roma, 11 mar – “Soltanto il pensiero radicale é fecondo. Perché esso solo crea concetti audaci che spezzano l’ordine ideologico egemonico, e permettono di sfuggire al circolo vizioso di un sistema di civiltà rivelatosi fallimentare. Per riprendere la formula del matematico Rene Thom, autore della Teoria delle catastrofi, soltanto i ‘concetti radicali’ possono far crollare un sistema nel caos — la ‘catastrofe’ ovvero cambiamento di stato violento e repentino — al fine di dar vita a un altro ordine”.

Guillaume Faye ha rappresentato la declinazione intellettuale e polemica, e l’esempio, di un nietzschanesimo pratico che non vede un senso nello stare nel mondo se non per capirlo, e non vede un senso nel capirlo se non per cambiarlo. Il rispetto museale per esperienze passate, l’erudizione compiaciuta, l’accuratezza filologica, la paura del cambiamento, la ricerca della popolarità personale, l’accorta navigazione tra i pregiudizi del proprio pubblico, il moralismo lugubre del militante severo, non hanno mai avuto alcuna cittadinanza in questo entusiasmo panico che è ciò che mi ha sempre attirato di un amico e un interlocutore la cui attività e pensiero hanno fortemente condizionato la mia propria parabola intellettuale.

Un condizionamento largamente dialettico, perché una formazione e sensibilità largamente comuni non ci hanno mai impedito di difendere conclusioni spesso diverse, talora opposte, su vari argomenti, a partire comunque da presupposti e sensibilità condivisi, a cominciare dall’idea che le provocazioni vadano accettate e affrontate seriamente a prescindere dalla loro provenienza, e che in ogni problema, in ogni sviluppo passato o presente, si celi a fianco del pericolo un’opportunità che diversamente non si sarebbe mai aperta. Ma un condizionamento tanto significativo che non sarebbe una grande esagerazione dire che ho imparato davvero il francese per tradurre Il sistema per uccidere i popoli.

 

gf-af.jpgCosì, anche dopo che i nostri contatti personali e telefonici si sono fatti più sporadici, i miei due scritti principali, Indagine sui diritti dell’uomo  e Biopolitica. Il nuovo paradigma oltre ad essere farciti di citazioni fayane, non fanno altro che rappresentare sviluppi paralleli di preoccupazioni comuni, e un terzo testo – che mi ha creato qualche problema anche in connessione alla decisione di chi l’aveva originariamente pubblicato di intitolarlo Per un’autodifesa etnica totale – rappresenta in realtà una rilettura critica delle questioni sollevate in La colonisation de l’Europe, di cui continuo a non condividere le valutazioni inerenti al ruolo dell’Islam, ma che rappresenta ancora oggi uno dei testi fondamentali con cui è necessario confrontarsi nell’approfondire il tema della immigrazione extraeuropea nel nostro continente.

Ugualmente, il mio impegno più recente nel mondo transumanista, e in particolare nella AIT e in quello dell’associazionismo identitario e federalista di Terra Insubre, i cui esponenti oggi rivestono in Italia posizioni istituzionali ed accademiche di grande rilievo, rappresentano a loro volta riflessi di interessi condivisi, che proprio nel momento della morte di Faye giungono in qualche modo a maturazione nella coscienza collettiva almeno di minoranze significative della nostra società, con esiti che cominciano a trascendere la sociologia e il movimento delle idee per entrare nella storia.

In questo quadro, le posizioni e le provocazioni vulcanicamente espresse e promosse da Faye nel corso di più di quarant’anni non sono state estranee al mutamento di prospettiva in essere, anche se lui stesso non prendeva più sul serio tutto quello che diceva di quanto da parte loro facessero Nietzsche o Marinetti, lo scopo essenziale essendo quello di chiamare il lettore o l’ascoltatore a “mettere il pensiero in moto”, e ad esplorare percorsi che lo portino a considerare in una luce diversa quello che crede di sapere o di avere capito sui processi passati e su quelli in corso, anziché perdersi in dettagli o preoccupazioni documentarie, per cui l’autore dimostrava la propria noncuranza anche attraverso il vezzo di introdurre regolarmente in tutte le sue opere…una singola fonte falsa, inventata di sana pianta!

Perciò, poco mi convince chi puntigliosamente non gli perdona di associare, soprattutto nelle opere più direttamente riconnesse all’attualità politica, intuizioni profonde ad ipotesi od approcci implausibili e balzani quando non pericolosamente ambigui, e talora contraddittori rispetto a tesi contemporaneamente sostenute nel medesimo testo – come è il caso per buona parte del libro sulla Nouvelle question juive, che gli ha attirato gli strali di buona parte del mondo ebraico e della totalità di quello dell’antisemitismo primario, e che mi sono visto a sorpresa e con un certo imbarazzo dedicare. E continuo perciò a considerare prezioso e decisivo il suo ruolo anche nella sua produzione più discutibile, e fortunato il caso che ha fatto sì che ci conoscessimo e stringessimo un’amicizia fatta soprattutto di un impegno attorno a valori comuni.

Valori che restano espressi soprattutto nella parte più teorica e meno nota, ma non meno provocatoria, della sua opera, come come Per farla finita con il nichilismo, analisi non sempre attendibile ma geniale del pensiero di Heidegger uscita in italiano grazie a Francesco Boco, o Futurismo e Modernità, originariamente pubblicata da Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano, e che meriterebbe certamente una riscoperta.

Stefano Vaj

Remembering Guillaume Faye: November 7, 1949–March 7, 2019

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Remembering Guillaume Faye:
November 7, 1949–March 7, 2019

I was deeply saddened to learn today of the death of French New Right philosopher and polemicist Guillaume Faye after a battle with cancer. Faye had been sick for some time, but he was so focused on writing what will now be his last book that he postponed seeing a doctor until it was complete. When he finally sought medical attention, he was diagnosed with stage four cancer. There is no stage five. Guillaume Faye gave his life for his work, and his work for Europe.

Faye, like New Rightists and White Nationalists in European societies around the globe, was motivated by a sense of danger: the reigning system — liberal, democratic, capitalist, egalitarian, globalist — has set the white race in all of its homelands on the path to extinction through declining birthrates and race replacement through immigration and miscegenation. If we are to survive, we must understand this system, critique it, and frame an alternative that will secure the survival and flourishing of our race. Then we need to figure out how we can actually implement these ideas.

I like Faye’s approach for a number of reasons.

First, Faye thinks big. He wants to take all of Europe back for Europeans. I completely agree with this aim. Furthermore, to secure the existence of Europe against the other races and power blocs, Faye envisions the creation of a vast “Eurosiberian” Imperium, stretching from Iceland to the Pacific, with a federated system of government and an autarkic economy. He believes that only such an imperium will be equal to the challenges posed by the other races in a world of burgeoning populations and shrinking resources. As I argue in my essay “Grandiose Nationalism [2],” I think that such ideas are neither necessary nor practical and they entail dangers of their own. But nobody can fault them for visionary boldness.

Second, Faye thinks racially. His answer to the question “Who are we?” is ultimately racial, not cultural, religious, or subracial: white people are a vast, extended family descending from the original inhabitants of Europe after the last Ice Age. There are, of course, cultural and subracial identities that are also worth preserving within a federated imperium, but not at the expense of the greater racial whole.

Third, Faye is not a Luddite, primitivist, or Hobbit. He values our heritage, but he is attracted less to external social and cultural forms than to the vital drives that created them and express themselves in them. He also wishes to do justice to European man’s Faustian drive toward exploration, adventure, science, and technology. His “archeofuturism” seeks to fuse vital, archaic, biologically-based values with modern science and technology.

Fourth, Faye turns the idea of collapse into something more than a deus ex machina, a kind of Rapture for racists. We know a priori that an unsustainable system cannot be sustained forever and that some sort of collapse is inevitable. But Faye provides a detailed and systematic and crushingly convincing analysis of how the present system may well expire from a convergence of catastrophes. Of course, we need to be ready when the collapse comes. We need a clear metapolitical framework and an organized, racially conscious community to step into the breach, or when the present system collapses, it will simply be replaced with a rebranded form of the same ethnocidal regime.

Fifth, Faye is a strong critic of Christianity as the primary fount of the moral universalism, egalitarianism, and individualism that are at the root of our decline.

The only really fundamental disagreement I have with Faye was on the Jewish question. His views are closer to those of Jared Taylor, whereas mine are closer to those of Kevin MacDonald.

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I only met Faye once, at the 2006 American Renaissance conference, where we had a couple of enjoyable conversations. We corresponded occasionally before and after that meeting. One of my treasured possessions is a copy of Faye’s first book, Le Système à tuer les peuples (Copernic, 1981), which he had given to Savitri Devi. Unfortunately, he was never able to locate his brief correspondence with Savitri. Perhaps it will come to light in his papers, which should be carefully preserved. If European man has a future, it will be due in no small part to Faye’s works. He belongs to history now, and future European generations will look dimly upon us if we fail to conserve and carry on his legacy.

Counter-Currents will publish several memorial tributes to Faye in the coming days. In the meantime, I wish simply to draw your attention to many pieces by and about Faye at Counter-Currents.

By Guillaume Faye:

About Guillaume Faye:

Article printed from Counter-Currents Publishing: https://www.counter-currents.com

URL to article: https://www.counter-currents.com/2019/03/remembering-guillaume-faye/

dimanche, 10 mars 2019

In Memoriam. Guillaume Faye (1949-2019), artisan du réveil de l’Europe colonisée

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In Memoriam. Guillaume Faye (1949-2019), artisan du réveil de l’Europe colonisée

par YV

Ex: https://www.breizh-infos.com

Le polémiste Guillaume Faye a rendu les armes. Les dieux lui réservent à coup sûr une place de choix au banquet des héros. En attendant, l’Europe vient de perdre un artisan de son réveil, lui qui avait annoncé, avant tout le monde, la colonisation de l’Europe, le grand remplacement, l’immigration massive venue d’Afrique et d’Asie, et le scénario qui se trame aujourd’hui sous nos yeux.

C’est en 2002 que j’ai été foudroyé à la lecture du livre La Colonisation de l’Europe, discours vrai sur l’immigration et l’islam, paru en 2000 (L’Aencre). À peine âgé de 18 ans alors, j’ai littéralement bu cet ouvrage, qui a profondément remué le militant de la gauche nationaliste bretonne que j’étais à l’époque et qui a été l’un des déclics de mon engagement au sein de la mouvance identitaire par la suite. Quelques années plus tard, lors d’un congrès d’Adsav, le parti du peuple breton, j’ai eu l’immense honneur, à l’époque, de précéder l’allocution de Guillaume Faye à la tribune. Une allocation, qui, elle aussi, par son dynamisme, par son humour, par son entrain, par son efficacité, par son éthylisme également, avait subjugué la salle.

Je ne pourrai pas parler de Guillaume Faye avant cette période, ne l’ayant pas connu. Diplômé de l’Institut d’études politiques de Paris, licencié d’histoire et de géographie, Guillaume Faye a également fait des études de lettres classiques et de philosophie. Il a travaillé comme journaliste au Figaro-Magazine, à Paris-Match, à VSD, à Magazine-hebdo, à Valeurs actuelles et à la radio « libre » La Voix du Lézard. Il fut un théoricien de la Nouvelle droite,  « un pourfendeur virulent de la société établie, de l’Occident et des idéologies occidentales, ainsi qu’un chaud partisan d’une alliance entre l’Europe et le tiers-monde » peut-on lire sur la fiche Metapedia le concernant.

C’est surtout à partir de 1998, période à laquelle il commence à publier plusieurs livres de réflexion, qu’il devient penseur identitaire reconnu. C’est également à cette période que sa route se sépare du GRECE.

Je ne rentrerai pas dans des débats que les gens de même pas 20 ans à l’époque ne pouvaient pas connaître. Le fait est que Guillaume Faye, par sa plume incisive, par son franc-parler, par la manière de décrire simplement des situations sans perdre son temps en philosophie abstraite, a su parler à une jeunesse qui se voulait militante, activiste, et rebelle.

De Pourquoi nous combattons à L‘Archéofuturisme (et à sa deuxième version, 2.0) en passant par son programme politique ou par un Sexe et Dévoiement d’anthologie, tout chez Guillaume Faye était inventif, provocateur, créatif, percutant. Guillaume Faye était l’anti-réactionnaire par excellence. Il avait compris qu’il fallait regarder vers le futur, et qu’il ne fallait pas être réfractaire à l’évolution, au progrès technique, aux nouvelles technologies. Qu’il fallait juste s’en servir, les faire évoluer, les dompter, les rendre utile, pour notre civilisation.

Je n’ai pas encore lu son dernier livre Guerre civile raciale, mais il est évident que ce vieux loup de Guillaume Faye a sans doute continué à balancer quelques obus politiques dans ces pages !

Depuis que je l’ai connu, j’ai eu plusieurs fois l’occasion, l’honneur de discuter et d’échanger avec lui, notamment lors de ses venues à Ti-Breizh, la maison de l’identité bretonne de Guerlesquin. Guillaume Faye, esprit curieux et ouvert, a toujours suscité des critiques, des remarques. Qui m’ont toujours profondément agacé. Oui, il buvait plus que de raison. Peut-être même se droguait-il. Oui, il a eu une vie totalement débridée. J’ai envie de dire, et alors ? Ce génie laisse derrière lui une œuvre complète qui, dans plusieurs siècles, permettra peut-être d’expliquer pourquoi notre civilisation est morte ou bien alors, ce que j’espère, comment est-ce qu’elle a réussi à faire face aux maux qu’elle traversait… Et aux génies, on se doit de pardonner tous les excès, puisqu’ils font eux aussi partie des traits du génie !

Pour commander le dernier livre de Guillaume Faye, c’est ici

Guillaume Faye était un génie politique, quoi qu’en disent ses détracteurs, parfois sans doute par jalousie inavouée. Certains de ses livres, comme La Nouvelle question juive ou Comprendre l’islam, ont suscité des grosses critiques politiques, ou moins d’intérêt ? Gardons de lui ce qu’il est essentiel de garder.

La Colonisation de l’Europe, bien avant le succès plus grand public de Laurent Obertone. L’Archéofuturisme, sans que quiconque n’ait réussi à produire depuis une synthèse entre notre longue mémoire et notre avenir. Il faut lire, faire lire, faire relire Guillaume Faye autour de soi. Il avait écrit ce qui se passe aujourd’hui, et l’avait dénoncé, avant tout le monde, tandis que d’autres, pour ne pas saborder de modestes carrières, se planquaient.

Ce n’est qu’un Au Revoir Guillaume. Tu dois enfin pouvoir te reposer là où tu es. Sans doute encore un verre de vin à la main, mais l’alcoolisme n’est plus une maladie là où tu es, c’est certain ! Nous, de notre côté, nous continuerons de parcourir tes livres, nous les lirons, nous les transmettrons. Ils nous permettront de garder les yeux grands ouverts, et d’affronter, dès aujourd’hui, les menaces auxquelles l’Europe est confrontée.

Un Européen libre et rebelle nous a quittés.

YV

« Non, le voyage ne s’achève pas ici. La mort n’est qu’un autre chemin qu’il nous faut tous prendre. Le rideau de pluie grisâtre de ce monde s’ouvrira et tout sera brillant comme l’argent. Alors, vous les verrez (…) Les rivages blancs. Et, au-delà, la lointaine contrée verdoyante sous un fugace lever de soleil. »

J. R. R. TOLKIEN – Le Seigneur des Anneaux – tome 3, Le retour du Roi (Gandalf)

Bibliographie de Guillaume Faye

  • Le Système à tuer les peuples, Paris, Copernic, coll. « Théoriques », , 189 p. (ISBN 2-85984-069-9, notice BnF no FRBNF36602545) — traduit en italien.
  • Contre l’économisme : principes de l’économie politique, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 67 p. (notice BnF no FRBNF34730368)
  • Sexe et Idéologie, Paris, Le Labyrinthe, , 29 p.
  • La NSC, la nouvelle société de consommation, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 59 p. (notice BnF no FRBNF34771989)
  • L’Occident comme déclin, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Orientations », , 85 p. (notice BnF no FRBNF36624054)
  • Avant-guerre (ill. Éric et Jean-Marc Simon) (roman graphique), Paris, Carrère, , 48 p. (présentation en ligne [archive])
  • Europe et Modernité, Eurograf, 
  • Nouveau discours à la nation européenne (préf. Michel Jobert), Paris, Albatros, , 164 p. (notice BnF no FRBNF36630219)
  • Les Nouveaux Enjeux idéologiques, Paris, Le Labyrinthe, coll. « Les Cahiers de la Nouvelle Droite », , 135 p. (notice BnF no FRBNF34986164)
  • Avec Pierre Freson et Robert SteuckersPetit lexique du partisan européen, Esneux, Eurograf, , 107 p. (lire en ligne [archive])
  • « Pierre Barbès » et François-Bernard HuygheLa Soft-idéologie, Paris, Robert Laffont, coll. « Essais », , 214 p. (ISBN 2-221-05537-3, notice BnF no FRBNF34987137)
  • Avec Jean-Philippe Serrano, Le Guide de l’engueulade, Paris, Presses de la Cité, coll. « Hors collection », , 191 p. (ISBN 2-258-03501-5, notice BnF no FRBNF35502936)
  • « Professeur Skyman » et Jean-Christophe Florentin, Viol, pillage, esclavagisme, Christophe Colomb, cet incompris : essai historico-hystérique, Paris, Grancher, , 246 p. (notice BnF no FRBNF35539655)
  • « Skyman » et Jean-Philippe Serrano, Le Manuel du séducteur pressé, Paris, Presses de la Cité, coll. « Hors collection », , 180 p.
  • L’Archéofuturisme, Paris, L’Æncre, , 264 p. (présentation en ligne [archive]) — traduit en plusieurs langues.
  • Les Extraterrestres de A à Z, Paris, Dualpha, coll. « Vérités pour l’histoire », , 190 p. (ISBN 2-912476-19-4, notice BnF no FRBNF37624062)
  • La Colonisation de l’Europe : discours vrai sur l’immigration et l’Islam, Paris, L’Æncre, , 350 p. (ISBN 2-911202-30-9, notice BnF no FRBNF37191425) — traduit en anglais.
  • Pourquoi nous combattons : manifeste de la résistance européenne, Paris, L’Æncre, 237 p. (ISBN 2-911202-38-4, notice BnF no FRBNF37642181) — version refondue du Petit lexique du partisan européen. — traduit en anglais.
  • Chirac contre les fachos (ill. Chard), Paris, GFA (chez l’auteur), , 47 p. (notice BnF no FRBNF39154328)
  • Avant-guerre : chronique d’un cataclysme annoncé, Paris, L’Æncre, , 382 p. (ISBN 2-911202-52-X, notice BnF no FRBNF38901720)
  • « Guillaume Corvus », La Convergence des catastrophes, Paris, Diffusion international édition (DIE), coll. « Vérité », , 221 p. (ISBN 978-2914295123présentation en ligne [archive]) — traduit en anglais.
  • Le Coup d’État mondial : essai sur le nouvel impérialisme américain, Paris, L’Æncre, , 311 p. (ISBN 2-911202-61-9, notice BnF no FRBNF39166347) — traduit en anglais.
  • La Nouvelle Question juive, La Fosse, Le Lore, , 396 p. (ISBN 978-2-35352-008-4, notice BnF no FRBNF41088554)
  • Sexe et Dévoiement, La Fosse, Le Lore, , 370 p. (ISBN 978-2353520299) — traduit en anglais.
  • L’Archéofuturisme V2.0 : nouvelles cataclysmiques, La Fosse, Le Lore, , 208 p. (ISBN 978-2353520343) — traduit en anglais.
  • Mon programme : un programme révolutionnaire ne vise pas à changer les règles du jeu mais à changer de jeu, La Fosse, Le Lore, , 226 p.
  • Comprendre l’islam, Paris, Tatamis, , 325 p. (ISBN 978-2371530270) — traduit en anglais.

R.I.P. Guillaume Faye !

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R.I.P. Guillaume Faye !

par Togirix

Ainsi le crépuscule l’a-t-il englouti. Mais l’aube, demain, aura une lueur nouvelle…

« Dans la société marchande, tout a un prix mais rien n’a de valeur. »

Sous une forme ou sous une autre, prochainement ou dans quelques siècles – qu’importe, car le temps est un ressac infini où l’écume du passé se mélange à celle d’aujourd’hui et de demain -, nous le reverrons.

Son souffle continuera d’animer cette flamme si particulière, si honnie par les hordes lucifuges, qui crépite chez beaucoup d’entre nous.

Et quand les Européens se relèveront, quand les Dieux dans leur sang auront terminé d’y bouillonner et d’y réveiller la sagesse et la sainte fureur, alors les Européens auront bien des légions ; il y aura une légion Robert Dun, une légion Saint Loup, une légion Jean Mabire, une légion Dominique Venner, et tant d’autres… et une légion Guillaume Faye, désormais.

Il est mort mais sa vie fut pleine et il fut un homme bon, car bien des esprits (dont le mien) auront trouvé, et continueront de trouver grâce à lui un chemin haut et clair dans l’obscurité qui s’épaissit à l’entour.

Il ne faut pas pleurer Guillaume Faye. Il faut crier son nom comme un cri de guerre. Aujourd’hui nous sommes tristes mais ses écrits et sa parole résonnent en nous comme de solides viatiques, ils nous rendent plus forts, et plus joyeux jusques et y compris dans l’adversité. Surtout dans l’adversité.

« C’est le soir qu’il faut louer le jour » (Hávamál, 81).

Louons Guillaume Faye.

Que Lug le bénisse,
Qu’il chevauche aux côtés d’Epona,
Que le tonnerre et le fracas de Taranis grondent pour lui,
Que sa verve et sa plume soient reconnues par Ogmios,
Que Lug le porte sur ses rais lumineux,
Que Kernunos le baigne en ses eaux lustrales.
Que les Hommes honorent sa mémoire.

Adieux Guillaume !

Écrit par : Togirix | 07/03/2019

« La tolérance, la commisération, la pitié pour l’Autre, le lointain ; l’indifférence pour ceux de son clan, pour ses proches : telle est la logique de l’esprit bourgeois, cette peste qu’il faut combattre selon l’ordre nietzschéen » – Guillaume Faye

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Guillaume Faye overleden; afscheid van een zachtzinnige, intellectuele provocateur

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Guillaume Faye overleden; afscheid van een zachtzinnige, intellectuele provocateur

doot Roeland van Walleghem

Droevig nieuws uit het nationalistische kamp. Woensdag jl. overleed Guillaume Faye (Angoulême 1949-2019) op 69-jarige leeftijd ten gevolge van kanker. Veel te jong uiteraard.

Van opleiding was Guillaume Faye doctor in de politieke wetenschappen, maar raakte voor het grote publiek voornamelijk bekend als journalist voor Le Figaro, Paris Match en als schrijver van vele essays. In de jaren 90 van de vorige eeuw nam hij deel aan de uitzendingen van Radio Skyrock als Skyman en was hij vaak te zien in het programma Telematin van France2. Zijn medewerking aan Skyrock, een vrije radio gesticht in 1986, waar hij mensen telefonisch beetnam – vergelijkbaar met de Capriolen van Walter Capiau in Vlaanderen – riep bij velen vragen op: ‘Hoe kan een intellectuele nationalist zijn medewerking aan een populaire radio verlenen’? Daarop antwoordde hij met de nodige humor: “Men kan toch jachtpiloot of visser zijn, en toch goede boeken schrijven.”

Maar wij, nationalisten, onthouden zijn immense inzet voor de ‘goede zaak’. Met Guillaume Faye verdwijnt immers een van de belangrijkste theoretici en bezielers van la Nouvelle Droite (Nieuw Rechts). Faye was als dusdanig lang actief bij GRECE (Groupement de Recherche et d’Études de la Civilisation Européenne). Talrijk zijn de Vlamingen (en anderen) die in de Domus van Ventabren (Aix-en-Provence) van zijn uiteenzettingen konden genieten.

Faye stond ook bekend als een provocateur, waarvoor hij trouwens met overtuiging uitkwam. Hij genoot met volle teugen wanneer hij de politiekcorrecte meute de gordijnen kon injagen. Zo was hij een van de weinigen die kritiek had op de houding van Arnaud Beltrame, de Franse militair die om het leven kwam bij een gijzelingsactie in de Franse gemeente Trèbes nadat hij de plaats had ingenomen van een gegijzelde vrouw. Zijn daad wordt beschouwd als heldendaad. Faye bekeek dat anders: “een militair moet zijn (terroristische) vijand uitschakelen, en niet de vergevingsgezindheid of opoffering, ingegeven door zijn christelijk geloof, laten primeren”.

Het paganisme (heidendom) van Faye, was naar eigen zeggen positief: “ik ben geen antichrist, wel een pre- en post christen. Ik schiet niet op de ambulance, ik heb geen rekeningen te vereffenen. Het paganisme ging het christendom vooraf en zal – wanneer het verdwijnt – in het hart van de Europeanen blijven bestaan”.

We zullen je scherpe analyses missen, Guillaume. Doe de groeten aan Dominique Venner en Maurice Rollet, die je naar de eeuwige jachtvelden voorafgingen.

Al de boeken van Guillaume Faye zijn verkrijgbaar bij onze vrienden van La Librairie Francaise in Parijs.

L'hommage de Richard Roudier à Guillaume Faye

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L'hommage de Richard Roudier à Guillaume Faye

Richard Roudier, Président de la Ligue du Midi

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com

Photo: Guillaume Faye à Béziers en 1983, entre Maryvonne Roudier et Raymond Morell

Triste nouvelle que d’apprendre le départ d’un homme qui aura tant fait pour la cause, pour notre cause, pour la grandeur de cette Europe que nous chérissons, au point d’y laisser la peau…

Car Guillaume était un être entier qui aura mis sa substance vitale au service de son idéal ! Je plains les personnes qui ne l’auront pas connu car il ne leur restera qu’une seule facette du personnage que la lecture de ses ouvrages leur permettra d’appréhender. Car oui, Guillaume était un génie et il aura laissé une œuvre qui aura marqué une génération.

Le Système à tuer les peuples, l’Archéofuturisme, la Colonisation de l’Europe -et demain, sort « Guerre civile raciale » -… Ces lecteurs n’auront que la version de Guillaume en 2D et il leur manquera éternellement le contact avec l’homme. Car Guillaume était un penseur, mais loin de l’image de l’intellectuel éthéré, il était une véritable torche. Il embrasait son auditoire et touchait au cœur par son inspiration magnétique. Son charisme a marqué tous ceux qui l’ont côtoyé.

Je me souviens de ce débat organisé en novembre 1983 à Béziers où, en pleine possession de ses facultés, il avait présenté sa vision futuriste d’un Empire Européen face aux démons de la société de consommation américaine. Il est vrai que l’Europe était loin de la colonisation qu’elle subit actuellement. Aussi, c’est un tout autre discours qu’il avait tenu voici dix ans lorsque nous l’avions reçu à Lunel.

Guillaume, rejoins donc la place qui te revient au panthéon des Maîtres aux côtés de Jean, Maurice, Dominique et les autres !

Fallece el pensador francés Guillaume Faye

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Necrológica

Fallece el pensador francés Guillaume Faye

El ensayista y pensador francés Guillaume Faye murió el pasado 7 de marzo, a los 69 años de edad, después de luchar contra el cáncer.

Nacido en Angulema en 1949, Faye había recibido una sólida formación en ciencias políticas. Fue muy conocido como intelectual, autor de numerosos libros y artículos, periodista y activista. Fue uno de los fundadores, junto con Alain de Benoist y Robert Steuckers, del GRECE, el Grupo de Investigaciones y Estudios sobre la Civilización Europea. El GRECE, a su vez, fue el núcleo a partir del cual se originó todo un movimiento intelectual europeo de tipo metapolítico, la corriente conocida como Nouvelle Droite (Nueva Derecha) que pretendía contrarrestar la hegemonía cultural de la izquierda y del liberalismo.

Algunos de los temas estrella abordados por Faye y por la Nueva Derecha europea fueron la inmigración masiva y la colonización cultural de Europa, tanto la proveniente del islam como la americana, así como el estudio de las raíces paganas indoeuropeas de nuestra civilización, y el combate contra los tópicos de la izquierda y el progresismo (igualitarismo, complejo de culpa ante el problema del tercer mundo, feminismo, etc.).

Guillaume Faye fue evolucionando en sus posiciones ideológicas, y la advertencia contra la colonización islámica de Europa fue cobrando cada vez más protagonismo. En tal sentido, propuso una firme alianza de cristianos, judíos y laicos contra la invasión mahometana de nuestro continente. Precisamente, su acercamiento a Israel y a los judíos europeos le valió enemistades entre una Nueva Derecha marcada a veces por un irracional antisemitismo.

Faye también fue muy original y arriesgado en sus propuestas económicas y geopolíticas, propugnando una economía política "de grandes espacios", en la cual Europa pueda ser de nuevo soberana, autosuficiente e inatacable, con una ruralización de extensos territorios suyos que pudieran mantener, sin importaciones extraeuropeas relevantes, un centro altamente tecnologizado y puntero. Faye proponía una Europa no agresiva ni expansionista ante el resto de los continentes e imperios extra-europeos, pero fuertemente defendida y autosuficiente.

Descanse en paz, señor Faye. Nuestros respetos y memoria hacia usted.

Thomas Ferrier: My tribute to Guillaume Faye

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My tribute to Guillaume Faye

by Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com

Guillaume Faye is gone. So, he joins the cohort of the european guardians into the kingdom of the dead ones. He entered the legend as the tutelary face tenured of a cause which deserves to fight for it, which had been his fight and ours.

Tight-lipped by the cancer, face up a challenge like in the Thermopylae which we can’t survive, he fought. His last book heared like a summon to the avenger god Mars. “Racial civil war” will be his will .

Guillaume Faye has been the author of the founding book which of course gets strike by the usual critic,  “Colonization of Europe” with this very evocative title, very revealing title, where he earns also some animosity and especially a wrong trial .

The tactful boldness “New jewish question” will have earned him the lost of his few remaining support who could not understand the intellectual breakthrough where he invited us .

“New speech to the European nation”, upgraded and improved by the 2000s' Guillaume Faye, deeply improved, remembers to us that over everything, Europe was his nation and passion. In his book “Why we fight “, he reminds us who we are and what is our mission. He gives to us some precious argumentation weapons to face to.

“Archeofuturism” was his main book. His short story which closes the book, a vision of an Europe which succeeds despite heavy loss, revealed a promethean vision of the european man but also a life lesson that the current world is like a fighting arena, the sun flooding with his light a valley of tears that it can also dry.

Far from a simple “ old - new” resurrected figure but conform to the ferocious Nietzsche, that Guillaume didn’t stop to honor, the author never stops to remind us to stand up. Because we fall again but to stand up stronger than ever. As long the third Moira decides to stop the adventure. Atropos cut the wire. Our friend left to Elysium .

Guillaume Faye is gone, but his memory will remain. The endured glory of the hero doesn’t forget him as we never forget him. He was a forethought teacher, a wise master.

Guillaume was telling me one year before that Dominique Venner was the figure who convinced him to enter to the GRECE. He joins this one into the kingdom of Hades .

Guillaume, you were one of our heralds. We will achieve your dream.

Requiescat in Elysio

Per Iouem, in the name of Zeus, that was Guillaume Faye. My friend, hail to you !

Thomas FERRIER

(Thanks to Jonathan for the translation)

C. Rol: Guillaume Faye est mort

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Guillaume Faye est mort
 
par Christian Rol
 
Guillaume Faye est mort cette nuit des suites d’une longue maladie qu'on
appelle la vie. Les béotiens et ceux étrangers à notre nébuleuse, ignorent
tout de lui mais les autres savent qu’il a été, avec Alain de Benoist et
quelques autres, un formidable agent régénérateur de la pensée dissidente en
même temps qu’un trublion talentueux occulté, comme il se doit, par les
avocats des élégances parisiennes.
 
Je l’ai connu il y a une trentaine d’années. Je devrais dire, plutôt, que je
l’ai croisé. Il donnait alors des conférences brillantissimes dans les
locaux du GRECE (Groupe de Recherche pour la Civilisation Européenne) rue
Charles Lecoq.  Et ses meetings Porte Maillot emportaient la salle comme une
rock star. C’est lui, et de Benoist, qui, à travers leurs séminaires et
leurs livres, ont donné à notre « camp » des armes idéologiques et ouvert
des perspectives revigorantes, quoique vaines.
 
J’ai participé avec Faye à l’aventure de son journal éphémère « J’ai Tout
Compris », outil « métapolitique » de courte durée mais qui m’a donné l’occasion
de côtoyer (un peu) ce feu follet qui brûlait la vie par les deux bouts. Les
femmes, les stups, l’alcool et les livres étaient à la fois ses piliers et
ses faiblesses.
 
Bien plus qu'aucun autre, il aurait mérité de sortir de ce ghetto auquel l’époque
nous a condamnés. Plus qu’aucun autre, il avait le talent, la fougue et la
passion qui font les révolutionnaires. Ses idées et sa mise au ban des
convenances l’ont consumé jusqu’à ce que mort s’en suive…
 
Désormais skyman est au ciel...
 
C. Rol

samedi, 09 mars 2019

Alexandre Marc

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Alexandre Marc

par Georges FELTIN-TRACOL

am4-liveuro.jpgPrincipale figure du non-conformisme européen tant dans les années 1930 qu’après-guerre, Alexandre Marc naît en 1904 à Odessa dans l’Empire russe au sein d’une famille juive. Alexandre-Marc Lipiansky et ses parents fuient la Révolution de 1917 et s’installent à Paris. Étudiant à Iéna en Allemagne, il s’intéresse à la philosophie, puis rentre en France et y suit des cours de droit et de sciences politiques. Il participe aussi à un groupe socialiste libertaire étudiant.

Embauché par les éditions Hachette en 1927 pour exercer le secrétariat du service de droit international, il en démissionne en 1930 et lance une agence, Pax Press. Un an auparavant, il avait repris le Club du Moulin-Vert. Il y reçoit Nicolas Berdaieff, Denis de Rougemont, Gabriel Marcel… Il rencontre aussi Arnaud Dandieu et Robert Aron. À l’automne 1930, tous les trois transforment le Club du Moulin-Vert en L’Ordre nouveau. Ils s’accordent sur le diagnostic : le monde moderne est voué au désordre grandissant. Le décès soudain d’Arnaud Dandieu en 1933 incite Alexandre Marc à se convertir au christianisme. Il épouse bientôt une protestante languedocienne et aura quatre enfants.

am3livciv.jpgEn contact étroit avec la revue réaliste Plans de Philippe Lamour, issue de la « galaxie » Georges Valois et des tentatives maladroites de fascisme à la française, Alexandre Marc se lie d’une part avec le pacifiste allemand francophile Otto Abetz, futur ambassadeur allemand à Paris sous l’Occupation, et, d’autre part, avec la revue nationale-bolchevique Der Gegner (« L’Opposant ») de Harro Schulze-Boysen. Il discute aussi avec Thierry Maulnier de la « Jeune Droite ». Auteur d’essais sur Pierre-Joseph Proudhon et Charles Péguy, Alexandre Marc s’oppose au nom du fédéralisme intégral à l’État-nation et nie la pertinence du clivage politicien gauche – droite.

En 1933, il co-écrit avec son condisciple René Dupuis Jeune Europe dans lequel les auteurs préviennent de la nocivité du national-socialisme allemand et du communisme soviétique. Il collabore par ailleurs à divers titres démocrates-chrétiens comme Sept dont il est secrétaire de rédaction, Temps nouveaux et Témoignage chrétien. Ce résistant de la première heure est interné en Suisse en tant que réfugié politique entre 1943 et 1944.

Dès 1945, il adhère à La Fédération d’André Voisin, devient secrétaire général de l’Union européenne des fédéralistes et co-organise en 1948 le Congrès de La Haye qu’il imagine en « États généraux pour l’Europe ». Le triomphe de la ligne adverse, celle des fonctionnalistes de Jean Monnet, ne douche pas son enthousiasme. En 1954, il fonde et dirige un Centre international de formation européenne, publie un périodique, L’Europe en formation, monte une maison d’édition, Les Presses d’Europe, et implante à Nice un Institut européen des hautes études internationales. Il décède au début de l’année 2000.

am1livresur.jpgComme de nombreux fédéralistes européens après 1945, il refuse l’« Europe forteresse » défendue par Maurice Bardèche et conçoit à l’époque – il sera plus réaliste au soir de sa vie – la fédération européenne comme la dernière étape vers une fédération mondiale, ce qui est proprement impolitique. Ce penseur personnaliste estime dans Fondements du fédéralisme. Destin de l’homme à venir (L’Harmattan, 1997) que « les antagonismes peuvent être féconds (p. 28) ». Soit ! Son fédéralisme ne se cantonne pas à la seule politique; elle a d’évidentes implications socio-économiques. À la fois hostiles au libéralisme, à l’étatisme et au collectivisme, « les fédéralistes, note-t-il, veulent une entreprise réellement libre, composée d’hommes libres, et fonctionnant avec un marché véritablement libéré, c’est-à-dire – pour reprendre […] la terminologie péguyiste – affranchie du joug et de l’Argent-Roi et de l’État-Moloch (p. 143) ». Ainsi propose-t-il la planification économique dans un cadre concurrentiel et l’auto-gestion en entreprise. Il se tait en revanche sur l’intéressement, l’association Capital – Travail et la participation, trois thèmes majeurs du gaullisme qu’Alexandre Marc soupçonnait de « néo-nationalisme » étriqué.

Cet adversaire du salariat – forme moderne d’esclavage – propose enfin le Minimum social garanti aussi appelé « Revenu de citoyenneté » et que le public connaît maintenant sous le nom de « Revenu universel ». Il fourmillait de mille et une idées dont certaines commencent à prendre une actualité particulière en ces temps de « Gilets jaunes » et de coalition gouvernementale Mouvement 5 ÉtoilesLigue en Italie...

Georges Feltin-Tracol.

• Chronique n° 23, « Les grandes figures identitaires européennes », lue le 29 janvier 2019 à Radio-Courtoisie au « Libre-Journal des Européens » de Thomas Ferrier.

mardi, 26 février 2019

En souvenir de Janpier Dutrieux

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En souvenir de Janpier Dutrieux

par Georges FELTIN-TRACOL

Le 18 février dernier disparaissait d’une très longue maladie Janpier Dutrieux né en 1952. Ses obsèques se déroulaient quatre jours plus tard à l’église Saint-Denis d’Athis-Mons. C’est un non-conformiste du début du XXIe siècle qui nous quitte à l’heure où les « Gilets Jaunes » révèlent un puissant et réel mécontentement social. Ils devraient lire les très nombreux textes de Janpier Dutrieux comme ils devraient parler des travaux d’Ivan Blot lui-même décédé en octobre 2018 sur le « référendum d’initiative citoyenne » pour pouvoir ensuite en discuter sur de coûteux ronds-points payés par les contribuables. Janpier Dutrieux était en effet l’un des très rares penseurs anti-conformistes français à maîtriser avec brio, pédagogie et pertinence l’économie politique, les implications sociales et leurs dimensions monétaires et financières.

JPD-1.pngÀ la fin du XXe siècle et au début du XXIe, il avait commencé à se faire connaître avec Fragments Diffusion, la « Lettre associative bimestrielle d’Alternative personnaliste ». Cet ancien élève à l’Institut régionale d’administration de Lille et cadre supérieur à la Poste affichait un véritable personnalisme comme il ne cachait pas son fédéralisme intégral ainsi que son créditisme social en référence au Britannique Clifford Hugh Douglas. Ce contributeur épisodique à L’Unité Normande s’inspirait aussi d’Alexandre Marc, d’Arnaud Dandieu et de Robert Aron. Il tenait un site Prospérité et Partage, titre général éponyme d’une série d’ouvrages parue en 2015 et 2016. Étienne Chouard a déclaré en 2012 que « le site de Janpier Dutrieux — Prospérité et partage — est un des meilleurs sites que je connaisse sur la monnaie et sur la justice sociale que l’on peut attendre d’un bon système monétaire. À connaître et à étudier soigneusement ». En 2016, les Éditions de la Délivrance ont publié un bel opuscule, L’Argent. Connaissance de la doctrine sociale de l’Église.

Janpier Dutrieux ne cantonnait pas son catholicisme à la seule « sphère privée ». Il travaillait en faveur de la Cité chrétienne. Il milita plusieurs années aux côtés de Benjamin Guillemaind (décédé en 2012) dans l’Alliance sociale des peuples et des pays de France. Tout en se distinguant du néo-corporatisme promu le fondateur et patron du « Libre-Journal des Artisans » à Radio Courtoisie, il a proposé des interprétations novatrices et actualisées de la riche pensée proudhonienne. Favorable au MSG (Minimum social garanti) cher à L’Ordre Nouveau et aux monnaies locales complémentaires, il a produit bien des analyses tangibles très « troisième voie » dans Pourquoi aurons-nous besoin de dividendes nationaux et comment le crédit social les financera (The BookEdition, 2016).

La grande Toile numérique foisonne de ses très nombreux articles qui constituent un solide corpus socio-économique anti-libéral et une franche opposition au bankstérisme anglo-saxon. En 1998, son essai, Les ouvriers de la onzième heure (Éditions des écrivains associés), ouvrait déjà bien des pistes économiques alternatives. Il estimait par ailleurs L’Esprit européen et avait accordé un entretien en 2002 dans lequel il rappelât que « la réflexion amorcée autour de l’économie créditrice suppose un dépassement des concepts matérialistes développés par les écoles libérales et dirigistes. Par exemple, il s’agit d’opposer aux notions de valeur d’échange, valeur rareté et valeur travail, chères aux marginalistes et aux marxistes, la notion de valeur d’usage qui sous-entend l’idée d’un bien commun, d’un corps intermédiaire usager. Occultés dès la Renaissance, la valeur d’usage est au fédéralisme ce que la valeur rareté est à l’individualisme libéral et la valeur travail au productivisme, les deux faces d’un même matérialisme. Par exemple, il s’agit de concevoir une monnaie interne non thésaurisable, ancrée dans la sphère de souveraineté qu’elle représente ».

À l’occasion d’un colloque organisé tout un samedi par l’Alliance sociale à la Faco (Faculté libre de Droit et d’Économie – Gestion) de Paris, son président, Alexis Arette, lança sur un ton mi-sérieux mi-badin que Janpier Dutrieux ferait un excellent ministre de l’Économie et des Finances dans le cadre d’un gouvernement de redressement nationale. Très juste ! Ce défenseur de la subsidiarité politique, sociale et économique prônait le Bien commun et les biens communs qui en découlent.

JPD-2.pngConsidérant dans Les ouvriers de la onzième heure que « dans le cadre d’accords de libre échange, il est souhaitable que les principes de mutualité sociale puissent se développer. En effet, nous estimons que l’échange qu’il soit interne ou externe, n’a pas vocation à donner plus qu’il ne prend, mais doit permettre d’offrir aux deux parties contractantes plus qu’il ne demande. À cette fin, il doit être équilibré (p. 97) », il n’adhérait pas aux thèses décroissantes, de développement volontariste autocentré ou d’autarcie grande-continentale. Janpier Dutrieux soutenait au contraire une autre troisième voie. Cet esprit libre recherchait la concorde sociale et nationale. Son décès est une immense perte non seulement pour tous ses proches à qui la rédaction d’Europe Maxima présente ses plus sincères condoléances, mais aussi pour les théories économiques hétérodoxes. Les meilleurs sont bien souvent des éclaireurs; c’est la raison pour laquelle ils partent toujours les premiers.

Georges Feltin-Tracol.

11:29 Publié dans Economie, Hommages | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : hommage, janpier dutrieux, économie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

samedi, 10 novembre 2018

Jan Marejko, le verbe et la liberté

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Jan Marejko, le verbe et la liberté

On assimile généralement notre modernité en crise au rationalisme. L’irrationalisme et autres nouveaux panthéismes apparaissent alors comme des attitudes antimodernes par excellence. Jan Marejko, dans La Cité des morts (1994), montre au contraire que ces deux attitudes, incapables de s’enraciner dans un Autre, sont solidaires d’une même réduction de l’esprit à la nature et à une vie morte, incapable d’une parole qui annonce et qui s’énonce dans son rapport au monde. 

C’est une pensée forte et complète que nous donne à lire le philosophe genevois Jan Marejko (1946-2016), dans son maître ouvrage La Cité des morts. Avènement du technocosme.  Le titre et le projet sont audacieux : le risque du recyclage est élevé tant l’auteur est précédé par de nombreuses et grandes critiques du « monde moderne ». L’opposition de la tradition et de la modernité est toujours menacée de devenir le lieu commun d’une pensée dissidente : mais que serait donc la tradition sans sa respiration fondamentale, celle, spirituelle, qui exige, à l’épreuve des jours nouveaux, le « renouvellement de l’intelligence », selon le mot de saint Paul (Rom. XII, 2) ? 

81AYY0JcR1L.jpgC’est sur cette exigence toujours actuelle du discernement que Jan Marejko exprime ses inquiétudes. A la dyade quelque peu habituelle entre tradition et modernité, le philosophe suisse choisit d’opposer, méthodologiquement, la triade de trois « accents », trois tendances, trois modes de rationalité irréductibles au cours historique : mythocosme / logocosme / technocosme. En effet, la dyade a ceci de dangereux qu’elle peut conduire à une certaine clôture de la pensée sur la distance haineuse de l’exclusion ou de la proximité complice de l’inclusion. La triade, quant à elle, crée un lien vivant entre trois termes dont la tension dialectique déjoue les fixations d’une pensée habituée, sans renoncer à dire le monde. 

De la superstition de la vie ordinaire …

Jan Marejko ne prétend pas substituer son rythme de pensée ternaire au conflit binaire entre tradition et modernité. Lui-même, en effet, ne s’interdit nullement d’envisager le caractère inédit du monde moderne, construit sur la négation de l’esprit traditionnel. La négation de la modernité consiste en effet en le rejet d’une fidélité attachée à une double origine : chronologique (respect du passé et des Anciens) et ontologique (culte du Créateur et vie transcendante). 

Seulement, l’exigence d’authenticité interdit l’antimoderne Jan Marejko de se limiter à un simple portrait du visage mort du monde moderne. Il faut d’abord savoir quel regard opposer au crépuscule, quelle autre sorte de joue tendre au soufflet orgueilleux de l’homme Prométhéen. C’est pourquoi la peinture de la Cité des morts, celle de la modernité constituée comme monde, n’intervient vraiment que dans le dernier mouvement de l’essai de Jan Marejko. Le jugement de la tradition précède la condamnation de la modernité. Ce jugement, ici, consiste à opposer deux façons en apparence traditionnelles de se rapporter au monde : l’une, mythique, ou mythocosmique (car elle n’est jamais le fait d’individus isolés), l’autre, logale, ou logocosmique. 

La première est mythologique parce que non métaphysique : elle est incapable de discerner un réel au-delà de la nature (phusis), c’est-à-dire de « voir », par l’œil de l’âme, l’invisible en son lieu transcendant. Elle n’opère pas la dépossession du regard propre à la vie du verbe et regarde toujours l’invisible (qu’elle perçoit néanmoins) à travers le prisme du visible : « le sacré, dans un mythocosme, est moyen du profane et non sa fin ». En effet, « au lieu de permettre aux âmes de s’élever au-dessus de l’obsession de la survie, un tel pouvoir [mythocosmique] les enfonce dans cette obsession tout en les plongeant dans la servitude ». Dans un mythocosme, les hommes ne savent pas voir le visible pour ce qu’il est car ils y discernent sans cesse un ensemble de volontés bienveillantes ou malveillantes : aucune distance véritable ne se crée entre l’ici-bas et l’au-delà. Il s’ensuit que la conscience du plus grand que soi est comme asservie par la superstition de la vie ordinaire : « l’au-delà auquel sont renvoyés les hommes du mythocosme est l’espace imaginaire dans lequel ils projettent leurs terreurs, leurs espoirs, leurs appétits naturels (sexe et nourriture essentiellement). L’espace invisible du mythe n’est pas réellement transcendant parce qu’il n’est qu’une amplification fantasmatique de ce qui existe déjà dans la nature ». Ainsi en est-il par exemple de la vie éternelle, conçue alors comme perpétuelle par l’entendement mythocosmique, c’est-à-dire comme une certaine prolongation de l’état de vie naturel.

41LDrjlNkDL._SX329_BO1,204,203,200_.jpgOr loin de s’opposer au mythocosme, le technocosme, c’est-à-dire le monde régi par l’arraisonnement et la technique, qui valorise exclusivement l’industrie et les préoccupations matérielles et financières, se pose en fait comme son ennemi gémellaire. Comme dans un mythocosme, le pouvoir technocosmique « médiatise des puissances dont on attend qu’elles favorisent la vie, la prolongent ou l’amplifient » : ces puissances, divines qu’elles étaient, sont économiques ou politiques. Elles tirent leur respect de leur règne anonyme, invisible, incontestable. En elles, les Hommes placent leur salut comme ils placent leur argent : ils investissent en elles pour conquérir le repos d’une vie de possédants. En elles, ils ont « réussi leur vie », pensent-ils. Il faut dire que le bonheur dans les deux cas est attaché à la jouissance des biens matériels : que le contrôle de l’environnement soit magique et cérémoniel, ou bien statistique et industriel, la nature reste l’horizon de l’activité humaine immergée dans ses petites préoccupations affairées ou moralistes, engoncée dans la roue des désirs et des souffrances. Que la distance soit minime (mythocosme) ou inexistante (technocosme), l’homme, dans les deux cas, ne s’oriente pas dans la vie logale qui est pourtant sa vocation d’animal sémantique. Ne s’arrachant pas positivement à la nature, immergé en elle, il est incapable de la regarder, de la comprendre, de l’aimer dans sa précarité. 

… à la religion de la Vie 

La tradition animée par la vie du Verbe ne réduit plus le bonheur à l’horizon intéressé de la satisfaction des jouissances matérielles et narcissiques. Chez un Aristote, en effet, elle situe le bonheur dans la vie contemplative, théorétique. Pour pouvoir dire les choses, l’homme doit avoir atteint une certaine distance vis-à-vis d’elles, distance qui reconstitue les phases successives ou les aspects partiels d’un objet dans sa totalité signifiante, le rendant alors manifeste dans ce qu’il est réellement, le plus intimement. L’âme humaine, dit saint Thomas, est suspendue entre le temps et l’éternité : de cette façon, la distance vis-à-vis des choses s’enracine, dans le mouvement logal, dans une distance vis-à-vis de Dieu, dont le lieu se situe dans un Autre, jamais réductible à quelque idole que ce soit. Aussi dans la tradition juive se reconstitue l’altérité divine : les règles de la Torah, note Jan Marejko, n’ont « pas pour objet de protéger ou d’exalter la vie terrestre, mais d’orienter cette vie d’une manière telle qu’elle puisse participer à une autre vie, recevoir une lumière nouvelle et, surtout, accueillir une parole libératrice parce qu’au-dessus de tout pouvoir terrestre ».

Loin de Dieu et loin du monde, l’âme lancée dans un mouvement logal trouve sa vérité dans l’exil. Libérée du souci du monde, libérée de la peur et de l’intéressement, sa souveraineté s’établit pour qu’elle puisse prendre la parole. Alors naît la parole des prophètes Juifs comme celle, tout aussi prophétique, d’un Socrate, duquel on apprend, dans l’Apologie de Socrate de Platon, qu’il est « nommé par le dieu pour défendre la vie du verbe dans Athènes, montrer qu’il en est venu à “négliger toutes ses affaires” – qu’il y a dans cette négligence pour sa vie matérielle quelque chose de plus qu’humain ». S’appuyant sur l’historiographie d’Alexandre Koyré, Jan Marejko remarque en effet que « le dépassement du souci de la survie ou de l’utile est la condition d’une science théorétique [ou] logale ». Cette science est une connaissance pure, centrée sur la recherche de la vérité et dépouillée de l’avidité. Elle vise l’accomplissement du sujet et non son opposition exclusive ou duale vis-à-vis des objets qu’il observe. « Mais, ajoute le philosophe genevois, pour regarder l’ici-bas d’une manière désintéressée, comme une science logale l’exige, il faut avoir trouvé un point d’ancrage ailleurs que dans la nature. Sinon, on ne peut s’empêcher d’y chercher les signes d’un salut possible sans jamais voir quiconque ni quoi que ce soit ». Dans un logocosme, l’Homme comprend donc que l’amélioration de sa condition et l’objet de son bonheur ne résident pas dans le réarrangement obsessionnel et superficiel de son environnement mais avant tout dans le réarrangement intérieur de son rapport à soi et au monde : destruction de l’égoïsme, repentance, questionnement, compréhension, dialogue, par l’enracinement ontologique du sujet dans un lieu Autre, étranger aux passions passagères et aux violentes illusions de la vie mondaine. 

51hVLwLuDzL._SX352_BO1,204,203,200_.jpgPrendre la parole

Jan Marejko, au travers des très nombreux sujets qu’il aborde dans son essai, pose donc en creux l’enjeu fondamental de la parole. Il écrit dans un monde où tout le monde parle, mais où rien ne se dit. La massification à tous les niveaux de la vie humaine dans notre modernité (démographie, informations, produits) étouffe dans son flux toute possibilité de prise sur le monde. Un pouvoir inédit s’est ajouté aux pouvoirs traditionnels : le pouvoir médiatique, qui confisque toute possibilité de réponse. Celui, en effet, qui a le monopole de la parole a le monopole du pouvoir ; or le discours médiatique s’impose en tout lieu sans que les millions des téléspectateurs puissent avoir quelque chose à redire. La démocratie moderne se fonde peut-être sur l’isonomie (l’égalité devant la loi), mais dans son droit imaginaire à la liberté d’expression, elle a été incapable d’assumer le premier élément fondamental de la démocratie grecque : l’isegoria, l’équité dans la prise de parole. « Dans les sociétés modernes [démocratiques], l’impossibilité de répondre ne tient pas à la terreur exercée par celui qui détient le pouvoir [tyrannique], mais à la structure même de la communication ».

Le principe d’inertie cher à la science moderne, qui a renversé la conception traditionnelle du mouvement conçu comme désir d’atteindre une fin, est intégré dans l’imaginaire collectif : l’espace démocratique n’est plus un lieu de relations entre des citoyens libres, mais un ensemble de champs de forces (mass media, partis politiques, syndicats…) qui interagissent entre eux sans espace politique réellement partagé. À si grande échelle et au sein d’une masse si grande d’acteurs sociaux, cette absence d’isegoria s’accompagne « d’une prolifération d’échanges aniségoriques ». Il en va, partout, de sa propre indignation, de ses propres intérêts, de ses propres jeux de langage : que les novlangues soient commerciale, inclusive ou autre, le rapport de l’homme moderne au monde est alogal du fait même qu’il a renoncé à l’accord des mots avec les choses.  La parole n’ose plus se référer à un Autre du discours, désigner des objets extérieurs à son énonciation, mais se limite soit à un exclusivisme, soit à un relativisme des points de vue selon lequel, la réalité ne pouvant jamais être saisie, on ne peut rendre compte que de la manière dont on parle de notre propre réalité. Mais quelle rencontre est possible dans cette conception sourde du langage ? Qu’est-ce qui rendrait possible ici un lieu dans lequel pourraient dialoguer différents points de vue s’accordant sur un même objet ? Dans cet éclatement, « une parole qui s’est close sur sa propre opérativité (sciences) ou sa propre répétition (médias) rend absurde la notion de réponse ». 

Voici donc venu, contre la vie du verbe qui prend le risque de nommer en assumant sa précarité, le règne du bavardage : « dans le champ d’un discours alogal il n’y a plus ni monde ni sujets : tout y est un état de flux permanent où il est impossible de repérer des substances capables d’être saisies dans une définition ». Il s’ensuit qu’« aussitôt qu’une parole se donne comme une combinatoire auto-suffisante (refus de la référentialité) elle ne peut ni provenir d’une subjectivité [dont la réalité est noyée dans un ensemble de constructions et de ramifications impersonnelles], ni nommer des objets [dissous dans les seules relations] ». Dans la cité des morts, c’est clair : « le verbe dérange ». Face au nihilisme ambiant, Jan Marejko oppose finalement une certaine conception, profonde, de l’annonce évangélique : non pas la défense d’une chapelle, mais la recherche, chez les volontés non encore brisées ou ramollies, d’une (re)conversion à la vie du verbe, c’est-à-dire la capacité de pouvoir répondre à une altérité. Et cela, Robinson sur son île et Narcisse devant son miroir, cohabitant dans une cité de morts, ne le vivront jamais. 

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mardi, 16 octobre 2018

Gianfranco Miglio

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Gianfranco Miglio

par Georges FELTIN-TRACOL

Ex: http://www.europemaxima.com

C’est l’ombre d’un défunt qui plane sur l’Italie depuis le 1er juin dernier, jour d’entrée en fonction du gouvernement de coalition entre le Mouvement 5 Étoiles (M5S) et la Ligue. Dans un entretien accordé à GZERO Media mentionné par Faits et Documents (n° 453, du 1er au 31 juillet 2018), Beppe Grillo estime que « nous retournons […] dans les cités-États, et les frontières et les nations sont vouées à disparaître ». Le fondateur du M5S rejoint en partie le point de vue de l’avocat, universitaire et politologue italien Gianfranco Miglio.

Né en janvier 1918, Gianfranco Miglio applique une grille inspirée des travaux de Max Weber pour étudier l’histoire des administrations européennes depuis le Moyen Âge. Il se rend très vite compte que la centralisation piémontaise appliquée au moment de l’unification italienne a nui aux spécificités locales de la Péninsule. Il remarque cependant que les jurisprudences s’inscrivent encore dans la tradition juridique des anciens États italiens.

Dans les années 1980, il anime le « Groupe de Milan », une équipe de juristes qui souhaitait réviser la Constitution de 1947 dans un sens primo-ministériel, c’est-à-dire un Premier ministre, chef de l’exécutif, élu au suffrage universel direct. Favorable à un Sénat des régions, Gianfranco Miglio se rapproche à la fin de cette décennie de la Ligue lombarde d’Umberto Bossi qui va bientôt se transformer en Ligue du Nord. Il en deviendra vite le principal théoricien.

51cSphIrRuL._SY344_BO1,204,203,200_.jpgLecteur autant des néo-libéraux Ludwig von Mises et Friedriech von Hayek que de Carl Schmitt et de Julien Freund, ce Lombard approuve très tôt le fédéralisme italien et européen. Il juge en effet que l’État moderne sous sa forme d’État-nation entre dans un déclin inéluctable. Dans un rare texte de Gianfranco Miglio disponible en français, « Après l’État-nation » (mis en ligne le 17 novembre 2017 sur le site Le grand continent), il considère que « les villes sont de véritables communautés politiques, de fait toujours plus affranchies des États, entretenant parfois des relations étroites (ou des rivalités) les unes avec les autres. Elles sont toujours moins en harmonie avec leurs États respectifs qui leur imposent plutôt des limites ». Son inspiration politique s’appelle le Saint-Empire romain germanique et la Ligue hanséatique. Au soir de sa vie, il reconnaissait volontiers que « l’Empire était une structure multinationale qui servait aux Reichsstädten, aux Cités de l’Empire, à régler les conflits qui surgissent aux niveaux locaux. Mais pour le reste les communautés urbaines ou locales avaient la liberté de s’auto-gouverner, à promulguer leurs propres lois. L’autorité impériale les laissait en paix, au contraire de ce que fait Bruxelles aujourd’hui (dans La Padania du 15 juin 2000, repris dans Nouvelles de Synergies Européennes, n° 48, 2000) ».

Gianfranco Miglio suggère par conséquent une Italie fédérale constituée des cinq régions actuelles à statut spécial (Sicile, Sardaigne, Trentin-Haut Adige – Tyrol du Sud, Frioul-Vénétie julienne et Val d’Aoste) et trois macro-régions : au Nord, la Padanie, au Centre, l’Étrurie, et au Sud, l’Ausonie ou la Méditerranée. Chaque entité régionale disposerait de sa propre autonomie et de son propre ordre juridique. En effet, ce partisan de la subsidiarité soutient à l’instar de Hayek que le droit doit se conformer au terreau socio-culturel et géo-politique sur lequel il s’applique. De fait, il conçoit que les mafias remplacent dans le Mezzogiorno les structures administratives d’un État déficient, voire défaillant. Pour Gianfranco Miglio, « nous devons retourner à la grande tradition juridique inaugurée jadis par Althusius et les juristes des XVIe et XVIIe siècles, qui ont construit des modèles pour assurer la permanence des souverainetés particulières. Je crois que le poids du “ droit public européen ”, qui a créé l’État moderne, est encore (trop) considérable dans l’histoire quotidienne de l’Europe d’aujourd’hui. Le problème actuel est de mettre ce droit de côté, de le remplacer par des structures fédérales. L’État moderne est entré en déclin pour devenir un État parlementaire. Il nous faut retourner aux traditions fédérales des XVIe et XVIIe siècles, que l’on a oubliées, et que l’État moderne a oblitérées, pour se poser comme l’unique pouvoir souverain et inégalable (dans La Padania du 4 juillet 2000, repris dans Au fil de l’épée, 2000) ».

Il est élu sénateur de la Lega Nord en 1994. Il y siégera jusqu’à sa mort en août 2001. Entre-temps, vexé qu’Umberto Bossi ne l’ait point proposé comme ministre du premier gouvernement Berlusconi, il quitte la Ligue du Nord, adhère au Parti fédéraliste et rejoint le groupe sénatorial de Forza Italia.

Malgré les efforts méritoires des revues Vouloir et Orientations de Robert Steuckers, l’œuvre de Gianfranco Miglio reste inconnue en France alors que ses conclusions politico-constitutionnelles tant pour l’Italie jaune-verte que pour une construction européenne améliorée demeurent plus que jamais pertinentes. Ainsi le Professeur Gianfranco Miglio est-il un incontestable visionnaire de notre idée européenne enracinée.

Georges Feltin-Tracol

• Chronique n° 20, « Les grandes figures identitaires européennes », lue le 9 octobre 2018 à Radio-Courtoisie au « Libre-Journal des Européens » de Thomas Ferrier.

samedi, 13 octobre 2018

En souvenir d’Yvan Blot

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En souvenir d’Yvan Blot

Par Robert Steuckers

C’est dans un article signé Michel Norey, dans le tout premier numéro de la revue Nouvelle école, que j’ai eu entre les mains, le n°19 (1972), que j’ai abordé les écrits d’Yvan Blot. Cet article traitait de l’histoire des sciences économiques et montrait que les doctrines au pouvoir en Europe, en ce temps de guerre froide, n’étaient pas les seules possibles. Des hétérodoxies économiques, aux possibles féconds, attendaient de se déployer, du moins si des volontés politiques alternatives se manifestaient et forçaient le destin. De cet article, long et fouillé, j’ai toujours retenu trois leçons, et, aujourd’hui, trois jours après le décès d’Yvan Blot, je relis avec émotion les phrases que j’ai soulignées jadis pour les imprégner dans ma mémoire. Elles me rappellent les sources premières de mon regard alternatif sur les questions économiques : 1) « Norey » rendait hommage à Keynes mais formulait quelques critiques, d’où je n’ai jamais rejeté entièrement Keynes à l’ère fatidique où les médias nous poussaient à le rejeter en bloc et avec hystérie à l’instar de Madame Thatcher ; 2) « Norey » soulignait l’importance de l’innovation chez Schumpeter, seule force qui justifiait partiellement le capitalisme car tout capitalisme non innovateur est par définition parasitaire ; 3) « Norey » infléchissait nos réflexions vers l’idée d’indépendance nationale ou continentale, présente chez un penseur, aujourd’hui trop oublié, François Perroux, analyste des structures économiques et de leur histoire, interdisant, par cette méthode même, d’appliquer des doctrines qui se veulent « universelles ».

Plus tard, le livre intitulé Les racines de la liberté a retenu toute l’attention de notre groupe, surtout parce qu’il évoquait les sources islandaises, scandinaves et helvétiques de toute véritable démocratie, permettant ainsi d’argumenter solidement dans le débat sur le fédéralisme ou le confédéralisme en Belgique, qui faisait rage à l’époque où l’on s’apprêtait à modifier la constitution dans un sens fédéral.  Yvan Blot, sur base de cette histoire et de cette anthropologie de la démocratie en Europe, surtout en Europe du Nord et du Centre, est devenu un brillant avocat de la « démocratie directe », antidote nécessaire à toutes les dérives partitocratiques.

yb-polviv.jpgNotre groupe bruxellois a bien entendu suivi les travaux du Club de l’Horloge, structure métapolitique visant à régénérer les débats politiques en France, sans pour autant oublier les modèles extra-hexagonaux capables de modifier la donne dans une cinquième République, dont la constitution demeurait jacobine mais où son fondateur avait évoqué, avant son retrait et son trépas, la possibilité de créer un Sénat des Régions et des Professions, pour empêcher les partis de phagocyter les saines énergies nationales.

Dans les années 90, mon vieil et cher ami Jean Eugène van der Taelen (1917-1996) entend faire feu de tout bois pour provoquer à terme un rejet de la sordide partitocratie belge, dont le dévoiement s’accentuait au fil des ans. Jean van der Taelen avait théorisé l’idée d’une DDD (= « Démocratie Directe Décisionnaire ») dont il avait espéré faire la doctrine d’un parti anti-fiscaliste des petits indépendants, l’UDRT (« Union Démocratique pour le Respect du Travail »), dirigé par Robert Hendrick, Pascal de Roubaix et Jean-Pierre de Clippele. Comme la plupart de ces partis, aux intentions éminemment sympathiques, l’UDRT capotera assez vite après ses premiers succès électoraux. Jean-Pierre de Clippele passera au parti libéral, dont il sera Sénateur, tout en créant une « Ligue des Contribuables », dont la cheville ouvrière n’était autre que Jean E. van der Taelen. C’est dans ce cadre que Jean van der Taelen finira par découvrir Yvan Blot car il était un fervent lecteur des travaux du Club de l’Horloge. Le courant entre ces deux hommes, pourtant bien différents et issus de contextes politiques très hétérogènes, est passé très vite : ils sont devenus d’excellents amis, qui se voyaient souvent, d’autant plus qu’à l’époque, Yvan Blot exerçait son mandat de député européen et séjournait souvent à Bruxelles, à l’Hôtel Métropole.

Jean van der Taelen décide alors de créer un pendant belge du Club de l’Horloge qu’il baptise « Club du Beffroi », les beffrois étant les symboles des libertés communales et populaires depuis l’âge d’or de notre moyen-âge. C’est ainsi que j’ai eu l’occasion de rencontrer souvent Yvan Blot, de deviser longuement avec lui, notamment en dégustant du caviar et du saumon  arrosé l’aquavit à la terrasse du Métropole et d’accompagner parfois Yvan Blot sur le chemin du retour à Paris, quand le voyage ferroviaire durait encore trois bonnes heures. Il me fit ainsi part de sa passion pour la flûte traversière, un instrument qui l’accompagnait, précieusement rangé dans sa petite mallette de cuir.

Le « Club du Beffroi » n’eut pas le succès escompté car la maladie rongeait déjà lentement Jean van der Taelen. Il faut ajouter aussi, ici, qu’Yvan Blot avait sorti un ouvrage très original en 1992, Baroque et politique, dont le cœur évoquait une civilisation baroque battue en brèche par le rationalisme violent de la révolution et du jacobinisme. Pour Blot, cette civilisation baroque est celle des « harmonies spontanées », leçon que j’ai retenue dans un coin sombre de ma cervelle car je compte travailler sur le 17ème siècle espagnol en nos régions, où la culture était à l’enseigne du baroque et du picaresque. Dans l’une de nos conversations, Blot, qui savait toujours faire la part des choses et ne tranchait jamais de manière impavide et sotte, avait retenu de Hayek, non pas les terribles simplifications qu’en avait déduites Margaret Thatcher, mais l’idée de « catalaxie », qui est bien plus subtile que le slogan du « laisser faire, laisser passer » des libéraux. La « catalaxie » hayekienne était pour lui un avatar, peut-être trop intellectualisé, des « harmonies spontanées » des penseurs baroques des 17ème et 18ème siècles. Enfin, autre grand mérite de Blot : avoir convaincu les Presses Universitaires de France de traduire et de publier quelques travaux de l’anthropologue allemand Arnold Gehlen, toujours inconnu en dehors de l’espace linguistique germanique. Blot a fait là haute œuvre utile pour l’histoire de la pensée.

Fin 1995, la santé de Jean van der Taelen périclite de manière alarmante : il est terriblement amaigri, il doit subir des transfusions sanguines toutes les semaines et ne se fait plus d’illusions : à un ami, à qui il a rendu visite pour les fêtes de fin d’année, il déclare, « Mon cher Jean (c’était un autre Jean ), nous ne nous reverrons plus qu’au Ciel ! ». Début janvier 1996, Jean van der Taelen meurt et c’est avec Yvan Blot que j’assiste à ses funérailles à la Chapelle de l’Abbaye de la Cambre, face à un énorme vitrail moderne mais figuratif, représentant la Sainte-Trinité.  

YB-athena.jpgParmi les manifestations ou happenings politiques où je me suis retrouvé aux côtés de Blot, il y eut, juste après les obsèques de Jean van der Taelen, un meeting organisé à Drogenbos par Marguerite Bastien, ancienne juge au Tribunal du Travail de Bruxelles, qui s’était jetée dans la politique (contestatrice du système en place), tant elle était dégoûtée par la déliquescence son ministère, alors que ses racines politiques initiales se situaient dans une extrême-gauche que l’on qualifierait aujourd’hui de festiviste ou de sociétale.  Yvan Blot a pris la parole dans cette auberge de Drogenbos, défendant les racines grecques de la civilisation européenne, amorce première de son tropisme grec des deux premières décennies du 21ème siècle. Le Comte Jean de Marcken de Merken, qui assistait à la conférence, à la même table que moi, lui, disait préférer les racines romaines. Il y eut ensuite, un mois plus tard, une conférence de presse, toujours cornaquée par Marguerite Bastien, où toute la clique des journalistes « chiens de garde du système » (le mot est de Serge Halimi) était présente, prête à nous bouffer tout cru. A la tribune, j’étais à l’extrémité gauche, avec le Baron François van Caloen (un ancien du Bataillon de Corée) et Blot à l’extrémité droite (avec Marguerite Bastien). Nous étions les premiers visés : un journaliste de la RTBF, au patronyme ibérique, me déclare tout de go qu’il sera  « très méchant ». Il annonce l’hallali. En face de moi, le journaliste néerlandais Rinke van den Brink qui avait publié un vaste ouvrage sur les « droites extrêmes » deux ans plus tôt, un ouvrage tout à fait courtois et parfaitement documenté dont la traduction française portait un titre très différent de l’original : L’Internationale de la haine. C’est en partie grâce à cet ouvrage que j’avais pu, en 1994, confectionné sous la houlette de Roland Gaucher un numéro entier du Crapouillot, titré « Les nouveaux nationalistes ».  Face à Blot, l’inénarrable, l’omniprésent, l’ubiquitaire, l’incontournable Manuel Abramowicz. Rinke van den Brink, incité par le journaliste d’origine espagnole, ouvre le feu en ma direction : comme j’avais lu très attentivement son livre, je lui ai rétorqué qu’il avait dit exactement la même chose que les paroles, textes ou attitudes qu’il me reprochait incongrûment parce que je n’avais nullement l’intention de faire de la politique : j’étais là parce que Blot y était et parce que j’estimais que je devais rendre hommage à la touchante fidélité qu’il avait montré à l’égard de Jean van der Taelen, en assistant à la messe de son enterrement. Le pétard de van den Brink était mouillé, il n’a pas explosé. L’Ibère, par voie de conséquence, n’a pas pu être « très méchant » : frustration. Pauvre garçon. Il range sa caméra. Abramowicz ouvre alors le feu contre Blot en posant la question suivante : « Quelles ont été vos sources d’inspiration en rédigeant les statuts du FN ? ». Blot a eu beau jeu de répondre : « J’ai tout simplement repris ceux du RPR (de Chirac) ». Deuxième pétard mouillé lancé par ceux que nous nommions « la bande à Bouboule ». Mais, malgré cela, une nouvelle question bafouillée et incohérente de l’incontournable Manu la Gaffe : « Monsieur Blot, pourquoi rédigez-vous des statuts démocratiques alors que vous êtes contre la partiCRASSIE ? ». Blot était un peu tarabusté par la nature imbécile de la question. Le pauvre Manu n’y pouvait rien : on ne lui a jamais appris la rhétorique car le brave garçon est assistant social. Je saisis la parole et pose à mon tour une question au grand bachi-bouzouk de notre carnaval « antifasciste » bruxellois : « Pourquoi, Monsieur Abramowicz, utilisez-vous un vocabulaire d’extrême-droite ? En sciences politiques, on dit ‘partitoratie’ et non ‘particrassie’ comme dans les pamphlets de l’idéologie que vous prétendez combattre. Mimétisme ? ». Silence ennuyé de tous, à commencer par le brave van den Brink. Le débat fut clos. Ils quittèrent tous la salle, avec de longues tronches dépitées.

YB-RussiePoutine.jpgOn le voit : il y avait moyen de bien s’amuser dans les années 1990 à Bruxelles, aux dépens des plus sots et des plus caricaturaux de nos ennemis. Plus tard, j’ai suivi, de trop loin malheureusement, l’infléchissement hellénique de la pensée d’Yvan Blot, avec la création de son « Institut néosocratique », où il a eu l’intelligence politique et métapolitique de nous exhorter à relire attentivement Aristote, à renouer avec son réalisme politique, à nous replonger dans L’Ethique de Nicomaque, voire à réhabiliter la figure du Spoudaios, chef charismatique faisant l’équilibre entre la raison, le bon sens et l’éthique de la responsabilité. Personnellement, je pense retrouver le Spoudaios dans la figure du Caïd de la Citadelle de Saint-Exupéry. Mais le Spoudaios, pour Blot, n’allait être rien moins que le Président russe, Vladimir Poutine.

Au bout de la trajectoire intellectuelle et métapolitique de Blot, sans plus jamais nous être rencontrés, hélas, le nombre des accords entre nous a été véritablement maximisé. Au tropisme hellénique et aristotélicien s’est ajouté un tropisme russe, illibéral, qui ne pouvait que rencontrer ma pleine approbation. Yvan Blot participait aux initiatives de Iure Rosca en Moldavie, lequel venait, juste avant la mort trop prématurée de notre maître baroque et aristotélicien, de faire traduire deux de ses ouvrages (cf. l’hommage que lui rend Iure Rosca sur http://euro-synergies.hautetfort.com ).

Pour toutes ces impulsions, pour toutes ces convergences, pour tous ces souvenirs, merci, Yvan Blot.

Robert Steuckers.

 

 

Ivan Blot : 50 ans de combat intellectuel

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Ivan Blot : 50 ans de combat intellectuel

par Jean-Yves Le Gallou

Ex: http://www.bvoltaire.fr

Ivan Blot est mort mercredi 10 octobre.

vendredi, 12 octobre 2018

Ivan Blot, une vie de combat pour la culture européenne

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Ivan Blot, une vie de combat pour la culture européenne

par Thierry Monvoisin
Ex: https://www.breizh-info.com 

« Les individualistes occidentaux ignorent le collectif et la notion de capital culturel ou social. Pour eux, l’individu né orphelin n’a pas d’enfants et reste célibataire ! Les notions de famille, de nation sont ignorées ! Les gouvernements individualistes sont donc indifférents à la disparition de leur peuple. Ils sont coupables de génocide par indifférence !  » écrivait Ivan Blot le 21 septembre dernier dans son ultime article sur le site Bd Voltaire.

51xh55igoxL._SX351_BO1,204,203,200_.jpgDu 13 juin au 12 juillet, sur le site Polémia, il avait analysé ainsi  les quatre causes du déclin occidental :  » nous avons traité de la cause finale (la vie spirituelle), de la cause formelle (le déclin politique), de la cause efficiente (le déclin culturel) et il reste à analyser la cause matérielle de la société, les bases que sont la famille et la propriété. »

Ces textes illustrent qu’avec Ivan Blot, décédé ce mercredi 10 octobre, disparaît une figure centrale d’une génération d’intellectuels, nés après la Seconde Guerre mondiale, qui ont consacré leur vie, dans un contexte hostile, à la défense et à l’illustration des peuples européens et de leur culture.

Son père Camille Blot, officier de marine, membre du réseau Combat pendant la dernière Guerre mondiale, lui avait probablement transmis l’amour de la patrie. Sa mère Adela Sophia Brys,  Polonaise, lui avait apporté une ouverture sur l’Europe centrale.
 

Ivan Blot est né en 1948. Après le lycée Henri IV,  il entre à l’Institut d’Études Politiques, puis à l’ENA dans la promotion François Rabelais. Il est également docteur ès sciences économiques.

C’est à Sciences Po. qu’Ivan Blot adhère au GRECE – Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne – et y fonde le cercle Pareto. C’est la première étape de ce combat qu’il poursuivra toute sa vie. il anime également un groupe d’étude du GRECE  consacré entre autres à la « politique des revenus ». Il produira de nombreux travaux dans tout domaine. Il sera membre du comité de rédaction de la revue Nouvelle École, revue théorique de haut niveau fondé et dirigé par Alain de Benoist. 

Désirant traduire dans la vie politique les études conduites au GRECE, en juillet 1974, il quitte le GRECE et cofonde le Club de l’Horloge avec Jean-Yves Le Gallou. Il y défend la constitution d’une droite sans complexe, fière de l’histoire de France, anticommuniste et libérale en économie.

C’est dans cette logique que de 1978 à 1989 il participera activement à la rédaction programmatique du RPR. Il  deviendra directeur de cabinet d’Alain Devaquet, puis de Bernard Pons, secrétaire général successif du RPR, le parti gaulliste créé en 1976 par Jacques Chirac. En 1986, il sera élu député de Calais.

Il rejoindra le FN en 1989 après avoir constaté que le RPR abandonnait sa ligne idéologique, en particulier sur l’immigration.

1030376_f.jpgMais c’est essentiellement son travail intellectuel qui sera au cœur de sa vie. Il va mettre en valeur  les racines gréco-romaines et philosophiques dans, entre autres  ouvrages,L’Héritage d’Athéna ou Les Racines grecques de l’Occident,  La Politique selon Aristote : leçon du passé pour le présentLa Transmission de la culture grecque aux Romains, Notre héritage grec.

Il montrera comment la démocratie n’appartient plus au peuple et préconisera un système à la suisse dans La Démocratie confisquée, L’Oligarchie au pouvoir, La Démocratie directe : une chance pour  la France

Pour diffuser ses études, il créera et animera diverses structures dont  l’Institut néo-socratique (INSO), l’association Agir pour la démocratie directe (APD), qui prend la suite de l’Association pour le développement de la démocratie directe.

Enfin, il s’intéressera à la situation russe. Il sera coopté en 2014 au Club Valdaï. Il sera membre du conseil des experts du centre d’analyse international Rethinking Russia et du conseil d’administration de Dialogue franco-russe. Un de ses derniers livres traitera de la Russie de Poutine.

Par son travail intellectuel et son engagement, Ivan Blot a été un des principaux contributeurs du renouveau de la pensée philosophique et politique conservatrice nationale en France.

Thierry Monvoisin

PS : liste de ses principaux ouvrages :

  • les Racines de la liberté, Albin Michel, , 258 p. .
  • Dir., La Démocratie confisquée, Picollec  
  • Baroque et Politique, 1992, Éditions nationales.
  • L’Héritage d’Athéna ou Les Racines grecques de l’Occident, Ploufragan, 
  • La Politique selon Aristote : leçon du passé pour le présent, Melz-sur-Seine, Nation et Humanisme, , 130 p.
  • La Transmission de la culture grecque aux Romains, Melz-sur-Seine, Nation et Humanisme, , 58 p. 
  • Notre héritage grec, le Rocher,  
  • Mitterrand, Le Pen : le piège : histoire d’une rencontre secrète, Le Rocher, , 285 p. 
  • Herbert Spencer, un évolutionniste contre l’étatisme, les belles lettres, , 320 p. 
  • L’Oligarchie au pouvoir, Economica , 144 p. 
  • La Démocratie directe : une chance pour la France, Economica, , 224 p. 
  • Les Faux prophètes : Voltaire, Rousseau, Marx et Freud, 220 p. 
  • L’Europe colonisée, Apopsix, , 310 p.
  • Nous les descendants d’Athénat. 2, Apopsix, , 382 p. 
  • Nous les descendants d’Athénat. 1, Apopsix, , 380 p. 
  • L’Homme défiguré, Apopsix, , 380 p. 
  • (ru) прямая демократия [« La Démocratie directe »], Moscou, Kmbook,‎ , 304 p. .
  • La Russie de Poutine , Paris, Bernard Giovanangeli, , 204 p. 
  • (ru) россиа путина [« Vladimir Poutine »], Moscou, Kmbook, 2016, 240 p.
  •  Le Terrorisme islamiste, une menace révolutionnaire : suivi d’Un entretien de Roger Marion sur l’action contre-terroriste en France, Kaysersberg, Apopsix, , 246 p. 
  • L’Homme héroïque : un idéal pour notre survie (préf. Antoine Martinez), Kaysersberg, Apopsix, 2016, 286 p.
  • Patriotisme et résistance, Paris, Bernard Giovanangeli, , 200 p.

In Memoriam Ivan Blot

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In Memoriam Ivan Blot

Ex: http://flux.md
 

Aujourd’hui Antony Bonamy, le chef de la maison d’édition ”Le retour aux sources”, m’a écrit qu’Ivan Blot était décédé hier 10 octobre. Mon Dieu, quelle tragédie! J’étais très attaché à lui, je l’aimais comme un homme d’une exceptionnelle noblesse d’âme, je l’admirais comme auteur d’un travail solide qui honore la France et l’Europe. La semaine dernière, l’Université populaire de Moldavie a édité la version roumaine de son livre „L’Europe colonisée”. Le livre „L’homme défiguré”, qui doit également être édité par nous à Chisinau, est en cours de traduction. Notre bon ami Denys Pluvinage de la maison d’édition „Apopsix”, qui a édité les versions originales des livres d’Ivan Blot, m’a permis de les éditer en roumain.

J’ai rencontré Ivan Blot à la deuxième conférence du Forum de Chisinau en décembre dernier. Nous sommes immédiatement devenus amis. Cela n’aurait pas pu être différent, car nous avions beaucoup d’amis communs, tous issus de notre  famille intellectuelle de la nouvelle dissidence.

Le discours d’Ivan Blot à la Conference internationale „Le capitalisme financier et ses alternatives pour le XXIème siècle. Les contributions à la 4ème théorie économique” a produit une impression forte. L’approche profonde d’un sujet de la plus haute importance pour notre continent a mis en évidence une vaste expérience et une formation intellectuelle exceptionnelle. (Http://flux.md/stiri/discours-de-ivan-blot-au-forum-de-ch...).

Et en janvier de cette année, j’ai eu l’honneur de le rencontrer à Paris. Il m’a généreusement offert ces livres. Nous avons parlé de nos prochain projets académiques et éditoriaux. (http://flux.md/stiri/cultura/in-capitala-frantei-cu-autor...).

De retour à Chisinau avec une valise pleine de livres de mes amis français, j’ai lu toute une série d’œuvres d’Ivan Blot. Il y a eu une intense correspondance dans laquelle nous avons convenu des livres qui devaient paraître en roumain au cours de cette année.

Il y a quelques mois, j’ai publié ma préface au livre „L’Europe colonisée” (http://flux.md/articles/o-pledoarie-pentru-decolonizarea-... ). J’espérais beaucoup qu’il pourrait être présent à Chisinau personnellement à la présentation publique de ces volumes. Mais à un moment donné, il m’a écrit qu’il était très malade, car il s’agissait d’un cancer. Étant gravement malade, il a continué à travailler sur un nouveau livre. Le 3 Août, il m’a écrit:

 

”Cher monsieur Rosca,

Merci de cette bonne nouvelle! Je termine mon livre sur la nouvelle lutte des classes ( entre peuple souffrant et bourgeoisie cosmopolite. C’est lent à cause de ma maladie. J’ai fait 7 chapitre sur 10 et j’ai presque fini le huitième.). Je suis en chimiothérapie jusqu’à octobre. Si elle réussit cela ira mieux. Bravo pour votre courage politique”.

Il m’a ensuite envoyé la version inachevée de son dernier livre. Au cours de ces mois, j’ai espéré obtenir la version finale. Pour le moment, je ne sais pas s’il a réussi à terminer son manuscrit. Mais je considère comme un devoir d’honneur envers mon ami décédé de le traduire et de le publier. J’espère que Denys Pluvinage, qui dirige la maison d’édition Apopsix, se chargera également de l’impression de ce dernier ouvrage d’Ivan Blot.

Le 5 octobre, cinq jours seulement avant le décès de mon bon ami, nous avons annoncé l’impression de son livre aux côtés du travail d’un autre ami français, Hervé Juvin, „Le gouvernement du désir” ( http://flux.md/articles/doua-pledoarii-pentru-renasterea-... ).

La mort d’un homme proche est une perte irrécupérable. Mais Ivan Blot restera en vie grâce à souvenirs que nous garderons de celui qui fut un grand patriote français. Il vivra par ses œuvres monumentales.

Je fais partie de ceux qui espèrent que la patrie d’Ivan Blot, à l’instar de toute l’Europe, aura la chance de renaître. Le modèle d’un homme héroïque qu’Ivan Blot a cultivé dans son livre avec le même titre doit triompher.

Iurie Roșca,
Chișinău, Moldavie,
11 octobre 2018

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mercredi, 10 octobre 2018

Yvan Blot nous a quittés !

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Yvan Blot nous a quittés !

Nous venons d'apprendre avec grande tristesse le décès, en ce jour, d'Yvan Blot, jadis fondateur du Club de l'Horloge et ami de feu Jean van der Taelen (1917-1996). Ses écrits et ses conférences nous manqueront cruellement, ainsi que son réalisme aristotélicien. 

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lundi, 24 septembre 2018

Michel Jobert

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Michel Jobert

par Georges FELTIN-TRACOL

Ex: http://www.europemaxima.com

Qui se souvient encore de Michel Jobert qui se présentait comme « un phénomène insolite dans la vie politique française » ? Né à Meknès au Maroc le 11 septembre 1921 et mort à Paris le 25 mai 2002, combattant dans l’Armée d’Afrique en 1944 – 1945, cet énarque de la promotion « Croix de Lorraine » 1947 – 1948 intègre la Cour des Comptes, puis participe à différents cabinets ministériels parmi lesquels ceux de Pierre Mendès France en 1954 et de Georges Pompidou de 1966 à 1968. Georges Pompidou le nomme ensuite Secrétaire général de la présidence de la République en 1969. En 1973, il devient ministre des Affaires étrangères. En une année, il réaffirme la politique d’indépendance de la France, conteste la double domination planétaire des États-Unis et de l’URSS, tient tête à Henry Kissinger, refuse que le lien transatlantique entérine la soumission des Européens aux volontés de Washington, soutient la cause palestinienne et encourage le dialogue euro-arabe.

Partisan de Jacques Chaban-Delmas à la présidentielle anticipée de 1974, il entre aussitôt dans l’opposition à Valéry Giscard d’Estaing et fonde le Mouvement des Démocrates qu’il situe « ailleurs », au-delà de la gauche et de la droite. Ne pouvant pas réunir les 500 parrainages nécessaires pour se présenter à la présidentielle de 1981, il se rapproche de François Mitterrand qui le nomme ministre d’État, ministre du Commerce extérieur. Ne disposant d’un cabinet opérationnel que bien longtemps après son entrée en fonction, Michel Jobert tente alors une politique commerciale néo-colbertiste sabotée par les manœuvres de l’Élysée. Constatant finalement qu’« il occupait un poste mal défini, qui n’avait jamais répondu aux nécessités de l’heure », il démissionne en 1983 et poursuit un engagement politique fort loin des modes médiatiques. Ainsi n’hésite-t-il pas à condamner l’intervention occidentale au moment de la Deuxième Guerre du Golfe en 1990 – 1991.

jobertmémoire.jpgLors du référendum de Maastricht de 1992, il appelle à un « oui » critique au nom de l’intérêt de l’Europe, car Michel Jobert est très européen. « L’Europe, si elle nous tient à cœur, n’aura de visage, d’identité, que si elle est capable d’assurer elle-même sa sécurité, au lieu de faire semblant de ne pas voir que, au-dessus d’elle, le parapluie nucléaire américain est troué depuis des années et que les États-Unis se replient d’Europe, à l’évidence (dans L’aveuglement du monde occidental. Chroniques de politique internationale 1993 – 1996, Albin Michel, 1997, p. 334). » Parfois désabusé, il estime par exemple que « la fameuse trilogie – monnaie unique, politique étrangère commune, défense commune – est, malgré les étapes et les dates fixées dans l’accord de Maastricht, du domaine de l’imaginaire ou de l’approximation (op. cit., p. 25) ».

En 1984, il publie Vive l’Europe libre ! Réflexions sur l’Europe avec le centre d’études du Mouvement des Démocrates (Ramsay). Il y avance déjà que « le paradoxe éclatant et pitoyable de l’Europe tient justement dans le contraste entre sa force économique et son inexistence politique. Toutes ces richesses et toutes ces capacités réunies ne sauraient garantir l’existence d’une communauté de destins, sans la détermination d’exister, réaffirmée jour après jour. En un mot, il ne saurait y avoir de Communauté européenne sans volonté de l’Europe (op. cit., p. 10) ».

Réaliste, Michel Jobert propose dans cet ouvrage une monnaie européenne de réserve autonome, une banque centrale européenne et une union monétaire. Il précise en outre « qu’il n’est pas de partisan sincère d’une Europe indépendante qui ne mette, comme condition indispensable à son existence, la réalisation prioritaire d’une politique de défense (op. cit., p. 148) ». Cela implique la formation au-dessus des États-membres d’une Confédération européenne avec un gouvernement désigné par le Conseil européen et qui s’occuperait d’environnement, de culture, de consommation, de famille, de monnaie et de défense. Cet exécutif confédéral serait contrôlé par un Sénat des États et responsable devant l’Assemblée des peuple d’Europe.

Michel Jobert le devinait. Tôt ou tard, « l’Europe entrera dans une zone grise, où il lui manquera l’essentiel : la volonté politique des États d’agir ensemble pour occuper une place sur un échiquier mondial en mutation (L’aveuglement…, op. cit., p. 45) ». Il savait fort bien que « la vocation de la France européenne n’est pas de s’aligner sur “ un consensus mou ” mais de faire fructifier le patrimoine commun des nations européennes, en valorisant d’abord le sien (op. cit., p. 243) ». Il était clair que pour Michel Jobert, « l’Europe sortira de la décadence ou du non-être si elle sait affirmer sa détermination, ses analyses et ses choix pour les imposer, à elle-même d’abord (Vive l’Europe…, p. 61) ».

Il annonçait enfin, visionnaire : « Mais comment ne pas sentir que dans l’Europe, alors que l’Italie, la Yougoslavie et l’Espagne hésitent devant leur destin, la France peut être une inspiratrice et un modèle ? Et qu’elle ne trouvera les recettes d’avenir que dans la participation de tous à cette recherche ? Oui, nous avons la liberté collective de définir et de bâtir notre vie. Les techniciens du pouvoir et leurs commissions n’y suffiront pas. La France est encore un pays colonial; elle a encore sa libération à faire (Mémoires d’avenir, Grasset, 1974, p. 16). » Michel Jobert savait que l’Europe ne sera indépendante qu’avec la fin de la présence délétère étatsunienne.

Georges Feltin-Tracol

• Chronique n° 19, « Les grandes figures identitaires européennes », lue le 11 septembre 2018 à Radio-Courtoisie au « Libre-Journal des Européens » de Thomas Ferrier.

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jeudi, 19 juillet 2018

General Franz Uhle-Wettler

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General Franz Uhle-Wettler

Je viens d'apprendre avec tristesse le décès du Général Franz Uhle-Wettler qui avait participé à l'une des universités d'été de "Synergies Européennes" en Basse-Saxe. Son intervention portait sur une critique serrée, très claire, extrêmement didactique et précise, des stratagèmes de l'impérialisme américain en Europe. Franz Uhle-Wettler était un personnage fascinant, son charisme était époustouflant, sa voix, très militaire, entraînait les enthousiasmes. Inutile de dire que les positions géopolitiques du Général Uhle-Wettler correspondaient entièrement aux miennes: je n'ai pratiquement jamais observé une telle convergence d'esprit! J'ai également été fasciné par sa capacité à parler aux petits enfants malgré sa voix de stentor qui aurait pu les effrayer: pendant le repas, qui a suivi son exposé que j'ai eu l'honneur de traduire, son interlocuteur fut un bambin de quatre ans, lumineux et souriant, qui n'entendait pas quitter ce grand-père imposant et chaleureux. Nos lecteurs trouveront ci-dessous la fiche que lui consacre METAPEDIA (version allemande) (Robert Steuckers).

Franz Uhle-Wettler (Lebensrune.png 30. Oktober 1927 in Eisleben) ist ein deutscher Generalleutnant a. D. der Bundeswehr und Militärhistoriker. Er ist der ältere Bruder von Reinhard Uhle-Wettler

Leben und Werdegang

Zweiter Weltkrieg

Franz Uhle-Wettler trat 1943 als Flakhelfer in die Wehrmacht ein, war dann vor Kriegsende zunächst noch Seekadett in der Kriegsmarine und nach Kriegsende bis 1947 in Kriegsgefangenschaft.

Nachkriegszeit und akademische Ausbildung

Danach war er als Bergarbeiter tätig bevor er in Marburg ein Studium der Neueren Geschichte und der Orientalischen Sprachen aufnahm. Zur Ergänzung seiner Studien fuhr er (eignen Angaben zufolge mit dem Fahrrad) nach Indien und setzte sein Studium dort fort. 1954 setzte er seine Reise durch einen mehrere Monate dauernden Ritt zu Pferd von Ost nach West durch Nomadengebiete Afghanistans und des östlichen Irans fort.[1] Mit der Dissertation Staatsdenken und Englandverehrung bei den frühen Göttinger Historikern (Achenwall, von Schlözer, Freiherr von Spittler, Brandes, Rehberg, Heeren) wurde er 1956 an der Philippis-Universität Marburg zum Dr. phil. promoviert. Die bedeutende, den Durchschnitt akademischer Arbeiten deutlich überragenden Dissertation[2] gehörte auf lange Jahre hinaus für Historiker als fachliche Orientierung für das Thema der politischen und historiographischen Englandrezeption in Deutschland und Europa.

UhleWettler.jpgBundeswehr

Er trat 1956 als Fahnenjunker-Unteroffizier der Panzergrenadiertruppe in die neu aufgestellte Bundeswehr ein, wurde zum Generalstabsoffizier ausgebildet und hatte verschiedene Verwendungen in Stäben und in der Truppe (unter anderem als Kommandeur einer Panzerdivision).

Zuletzt war er Kommandeur des NATO-Verteidigungsakademie in Rom. Von dort aus wurde er im Rang eines Generalleutnants in den Ruhestand verabschiedet.

Aktivitäten im Ruhestand

In den 1990er Jahren bereiste Uhle-Wettler Pakistan „längere Zeit“ mit dem Auto.[1] Ferner war er während dieser Zeit mehrfach von der Regierung Singapurs als Militärberater eingeladen.[3] Seit 1996 ist er Mitglied des Kuratoriums der Carl-Schurz-Stiftung, die der Partei Die Republikaner (REP) nahe steht. Als Autor militärhistorischer Bücher, zum Teil unter dem Pseudonym Ulrich Werner, und Referent verbreitete er geschichtsrevisionitische Thesen. Dabei engagierte er sich für die Verteidigung des SS-Hauptsturmführers Erich Priebke, der 1994 in einem argentinischem Kurort aufgespürt wurde. Er veröffentlichte in rechtskonservativen Zeitschriften wie der Jungen Freiheit, Aula, Europa Vorn, Criticón und dem Ostpreußenblatt.

FUW-mars.jpgUhle-Wettler verfaßte als erster deutscher Autor eine Biographie über Erich Ludendorff und schloß damit eine Lücke in der deutschen Geschichtsschreibung.[4]

Zitate

  • Die bisher vorgelegten Beispiele der PC betreffen nur die Zeit des Kaiserreichs und damit eine Epoche, bei deren Darstellung sich ein Historiker noch nicht ins gesellschaftliche Abseits manövrieren und seine Karriere gefährden kann. Um so berechtigter ist die Frage, wie es mit der PC bei der Darstellung der Jahre 1933-1945 und der ersten Jahre der alliierten Besatzung steht.Hier wird man – wiederum nur als Beispiel unter vielen - darauf verweisen müssen, daß die deutschen Akten lange, zum Teil jahrzehntelang, im Besitz der Siegermächte gewesen sind. In einem Zivilprozeß würde in einem vergleichbaren Fall wohl jeder Amtsrichter urteilen, die benachteiligte Prozeßpartei dürfe klären lassen, ob ihre Akten von der Gegen-Partei manipuliert wurden.[5]

Veröffentlichungen (Auswahl)

FUW-tirpitz.jpgAls Franz Uhle-Wettler

Als Ulrich Werner (Pseudonym)

  • Der sowjetische Marxismus, Darmstadt 1962
  • Der sowjetische Marxismus. 2. erweiterte Auflage. Fundus Verlag, Darmstadt 1964.

Als Übersetzer

Verweis

Fußnoten

  1. 1,0 1,1 Franz Uhle-Wettler: Der Krieg: Gestern – heute – und wie morgen?, Ares-Verlag, S. 315
  2. Hans-Christof Kraus: Englische Verfassung und politisches Denken im Ancien Régime: 1689 bis 1789, Seite 13–14
  3. Franz Uhle-Wettler: Der Krieg: Gestern – heute – und wie morgen?, Ares-Verlag, S. 265
  4. Deutschlands größter Mann, Olaf Rose, 30. Januar 2014
  5. Der Einfluß der "political correctness" auf unser Geschichtsbild Von Generalleutnant a.D.Dr. Franz Uhle-Wettler, Meckenheim

lundi, 21 mai 2018

Hommage à Dominique Venner

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Hommage à Dominique Venner

Cinq ans après son absence

Le 21 mai 2013, Dominique Venner choisissait la fin de son destin au cœur de la cathédrale Notre Dame de Paris. Cinq ans après son geste, nous lui rendons hommage et évoquons entre partisans de l'Europe unie son œuvre doctrinale, le sens de son acte et l'idée européenne.
 
 

jeudi, 03 mai 2018

Lothar Penz verstorben / Lothar Penz est décédé

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Lothar Penz verstorben

 

Lothar Penz est décédé

 

Wie ich erst jetzt erfuhr starb Lothar Penz am 12. April 2018 in Alter von 87 Jahren

Ulrich Behrenz

Comme nous l'avons appris hier seulement, notre ami Lothar Penz est décédé le 12 avril 2018 à l'âge de 87 ans

Robert Steuckers

 

Einige Texte / Quelques textes:

http://solidaristen.de/

http://solidaristen.de/seite1.html

http://solidaristen.de/impressum.html

http://www.solidaristen.de/thesen8.html

http://www.solidaristen.de/LotharPenz.html

(avec éléments biographiques)

 

 

 

 

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mardi, 13 mars 2018

Zum 20. Todestag Ernst Jüngers: aus dem Archiv von literaturkritik.de

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Zum 20. Todestag Ernst Jüngers: aus dem Archiv von literaturkritik.de

Ex: http://literaturkritik.de

Vor den Beiträgen in der Februar-Ausgabe 2018 zum 20. Todestag Ernst Jüngers (geb. am 29.3.1895, gest. 17.2.1998) sind in literaturkritik.de zahlreiche Rezensionen und Essays erschienen, die sich mit dem umstrittenen Autor, seinem Werk und seiner Rezeption auseinandergesetzt haben. Hier eine Zusammenstellung aus unserem Archiv in chronologischer Anordnung:

Ernst Jüngers Gestaltdenken aus narratologischer Sicht.
Eine neue Studie untersucht „Heliopolis“ und „Eumeswil“
Von Christophe Fricker
Ausgabe 08-2017

Der Chronist des Getöses.
Zur kritischen Edition von Ernst Jüngers „Krieg als inneres Erlebnis. Schriften zum Ersten Weltkrieg“
Von Walter Delabar
Ausgabe 09-2016

Im Gespräch mit einem Titanen.
Christophe Fricker gibt die Gespräche zwischen Ernst Jünger und André Müller heraus
Von Stefan Tuczek
Ausgabe 08-2015

Aporien des Krieges, des Erzählens und der Theorie.
Die lesenswerte Studie „Writing War“ von Daniela Kirschstein widmet sich der Kriegsliteratur von Ernst Jünger, Louis-Ferdinand Céline und Curzio Malaparte
Von Wolfgang M. Schmitt
Ausgabe 07-2015

Günter Grass und Ernst Jünger.
Trotz aller Unterscheide zeigen sich erstaunliche Parallelen im Werk der beiden Schriftsteller
Von Gabriela Ociepa
Ausgabe 05-2015

EJliv1.jpgBiographisches Rohmaterial.
Über Ernst Jüngers „Feldpostbriefe an die Familie 1915–1918“
Von Niels Penke
Ausgabe 12-2014

Die Hoffnung führt weiter als die Furcht.
Tom Schilling liest Ernst Jüngers „In Stahlgewittern“
Von Martin Ingenfeld
Ausgabe 07-2014

Warum eigentlich Ernst Jünger?.
Ein neues Handbuch bereichert die Forschung zu einem umstrittenen Autor
Von Daniel Borgeldt
Ausgabe 07-2014

In allen Lagern Gegner.
Tonaufnahmen von Lesungen und Vorträgen Ernst Jüngers
Von Andreas R. Klose
Ausgabe 03-2014

Stahlgewitter.
Ernst Jünger und der Erste Weltkrieg
Von Helmuth Kiesel
Ausgabe 02-2014

Werkpolitik im Spiegel nordischer Motive.
Niels Penke stellt Ernst Jüngers Schriften in den Kontext der skandinavischen Literatur
Von Maik M. Müller
Ausgabe 01-2014

Tore der Wahrnehmung.
Über eine erstmals veröffentlichte Auswahl des Briefwechsels zwischen Albert Hofmann und Ernst Jünger
Von Volker Strebel
Ausgabe 11-2013

Noch einmal: Der neue revolutionäre Mensch.
Mario Bosincu über „Die Wende Ernst Jüngers“
Von Jerker Spits
Ausgabe 08-2013

Planetarisches aus der Provinz.
Ein Konstanzer Tagungsband nimmt den mittleren und späten Ernst Jünger in den Blick
Von Niels Penke
Ausgabe 04-2013

En vogue in einem kleinen Kreis.
Ernst Jünger aus der Sicht seines französischen Übersetzers Julien Hervier
Von Jerker Spits
Ausgabe 10-2012

Ein zuweilen starrsinniges Beharren auf Unabhängigkeit.
In bislang ausführlichster Weise berichtet der 2011 verstorbene Literaturwissenschaftler Heinz Ludwig Arnold über seine Zeit mit Ernst Jünger
Von Volker Strebel
Ausgabe 06-2012

Zwischen Bewegung und Verharren.
Jan Robert Weber untersucht den ästhetischen Wert von Ernst Jüngers Reisetagebüchern
Von Heide Kunzelmann
Ausgabe 01-2012

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Zum Oberlehrer ungeeignet.
Thomas Amos legt in der bewährten Reihe der Rowohlt-Monografien eine Biografie Ernst Jüngers mit Ecken und Kanten vor
Von Volker Strebel
Ausgabe 01-2012

Instrumentalisierter Tötungstrieb.
Michael Gratzke untersucht die Grundfiguren des Heldentums bei Gotthold Ephraim Lessing, Heinrich von Kleist, Theodor Fontane, Ernst Jünger und Heiner Müller
Von Erhard Jöst
Ausgabe 06-2011

Der kanonische Rang eines Klassikers.
Ernst Jünger – mehr als eine Bilanz in einem neuen Sammelband
Von Gabriele Guerra
Ausgabe 05-2011

EJb2.jpgErnst Jüngers Rhodos-Reisen von 1938, 1964 und 1981
Ausgabe 01-2011

Totale Tinte.
Ohne Anlass wird Ernst Jünger vom Deutschen Literaturarchiv Marbach als einer der „wichtigsten Schriftsteller der Moderne“ vorgestellt – und Helmuth Kiesel beglückt uns mit seiner Erst-Edition der „Tagebücher 1914-1918“
Von Jan Süselbeck
Ausgabe 01-2011

Der verborgene Prophet.
Ernst Jüngers politische Theologie zwischen Autorität und Repräsentation
Von Gabriele Guerra
Ausgabe 01-2010

Eine gute Zeit für Drogen.
Wiederbegegnung mit Ernst Jüngers „Annäherungen“
Von Christophe Fricker
Ausgabe 01-2009

Kriegsträumer.
Lars Koch zu Walter Flex und Ernst Jünger als Repräsentanten der Gegenmoderne
Von Walter Delabar
Ausgabe 12-2008

Fotoalbum für Wehrsport-Fans.
Nils Fabiansson hat Schauplätze von Ernst Jüngers Kriegstagebuch „In Stahlgewittern“ aufgesucht
Von Jan Süselbeck
Ausgabe 03-2008

Nach dem Fazit.
Hans Blumenberg über Ernst Jünger
Von Kai Köhler
Ausgabe 03-2008

Hochmut und Leutseligkeit auf dem Dorf.
Ernst Jünger in neueren Biografien und Monografien
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 03-2008

EJB3.jpgSpringtime for Ernst Jünger.
Über Heimo Schwilks Jünger-Biografie
Von Philipp Steglich
Ausgabe 03-2008

Freunde unter sich.
Günther Nicolin editiert den Briefwechsel von Ernst Jünger und Stefan Andres
Von Torsten Mergen
Ausgabe 06-2007

Unterhaltung über Mescalin.
Die späte Begegnung der beiden Einzelgänger Gottfried Benn und Ernst Jünger: Jetzt wurde der schmale Briefwechsel vorgelegt
Von Volker Strebel
Ausgabe 07-2006

Deutschsein als Amt.
Zum Briefwechsel Ernst Jüngers und Friedrich Hielschers
Von Volker Strebel
Ausgabe 12-2005

Ernst Jünger: Politik – Mythos – Kunst
Ausgabe 12-2004

„Wie kein anderer erfährt er den Weltkrieg sogleich metaphysisch.“.
Martin Heideggers Bemerkungen zu Ernst Jünger
Von Stephan Günzel
Ausgabe 08-2004

Teilnehmen, Anteil nehmen.
Michael E. Sallinger begeistert sich für Ernst Jünger und seinesgleichen
Von Viktor Schlawenz
Ausgabe 08-2004

Zwischen Traum und Trauma.
Michael Gnädingers Studie zum Frühwerk Ernst Jüngers
Von Helmut Kaffenberger
Ausgabe 04-2004

„Wann hat dieser Scheißkrieg ein Ende“?.
Der britische Germanist John King gewährt Einblicke in die originalen Kriegstagebücher Ernst Jüngers
Von Jerker Spits
Ausgabe 12-2003

Vor und nach dem Rochenstich.
Mit Band 22 ist die Ausgabe der „Gesammelten Werke“ Ernst Jüngers abgeschlossen
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 12-2003

EJB4.jpgStratege im Hintergrund.
Ernst Jüngers Briefwechsel mit Gerhard Nebel
Von Gunther Nickel
Ausgabe 11-2003

Ernst Jünger – verzettelt und verzeichnet.
Nicolai Riedels Ernst Jünger-Bibliographie und Tobias Wimbauers „Personenregister“
Von Gunther Nickel
Ausgabe 07-2003

Die Psychoanalyse des körperlichen und gestischen Agierens.
Über ein neues Paradigma für Psychotherapie und Kulturwissenschaften mit einem Ausblick auf Ernst Jüngers „In Stahlgewittern“
Von Harald Weilnböck
Ausgabe 03-2003

Literarische Adaption des Griechentums.
Annette Rinks Studie über Ernst Jüngers Antike-Rezeption
Von Reinhard Wilczek
Ausgabe 11-2002

Schönheit des Untergangs.
Roswitha Schieb untersucht Körper- und Kollektivbilder bei Ernst Jünger, Hans Henny Jahnn und Peter Weiss
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 11-2002

Eine Welt sinnloser Bezüge.
Ulrich Prill entdeckt Ernst Jünger als homo ludens
Von Helge Schmid
Ausgabe 11-2002

Ich befand mich einfach in einer anderen Dimension.
Ernst Jünger im Gespräch mit Antonio Gnoli und Franco Volpi
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 11-2002

Ich fühle, dass meine Wurzeln hier sind.
Ein Bildband über Ernst Jünger in Oberschwaben
Von Helge Schmid
Ausgabe 11-2002

EJB5.jpgDer Einzelne nach der Kehre.
Jörg Sader untersucht Ernst Jüngers „Strahlungen“
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 11-2002

Starke Frauen, intrigante Männer.
Ernst Jüngers Dramenfragment „Prinzessin Tarakanowa“
Von Christina Ujma
Ausgabe 11-2002

Ernst Jünger in Berlin 1927-1933
Ausgabe 01-2002

Ernst Jünger in Wilflingen
Ausgabe 01-2002

Zwischen Subjektivität und Authentizität.
Volker Mergenthaler zum poetologischen Problem narrativer Kriegsbegegnung im Frühwerk Ernst Jüngers
Von Reinhard Wilczek
Ausgabe 01-2002

Ambiguität des Figürlichen.
Julia Draganovic untersucht das metaphysische Grundkonzept in Ernst Jüngers Prosa
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 01-2002

Exotische Lesefrüchte eines Jahrhundert-Autors.
Thomas Pekars Studie über Ernst Jüngers Orient-Rezeption
Von Reinhard Wilczek
Ausgabe 01-2002

Führung durch Stahlgewitter und Waldgänge.
Steffen Martus gibt einen exzellenten Überblick über das Werk Ernst Jüngers
Von Stephan Landshuter
Ausgabe 01-2002

Autor und Sekretär, Verehrer und Gegner.
Ernst Jünger in einer Festschrift und in einer Streitschrift
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 01-2002

Garantiert politisch unkorrekt.
Ernst Jüngers politische Publizistik aus den Jahren 1919 bis 1933
Von Gunther Nickel
Ausgabe 01-2002

Großer Übergang und päpstlicher Segen.
Ernst Jüngers Werkausgabe in den Supplementbänden 19 und 20
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 01-2002

Ernst Jünger als Nietzsche-Rezipient.
Die Nihilismusthese ist die Leitlinie seines Schaffens
Von Ursula Homann
Ausgabe 02-2001

Momente der Selbstbegegnung.
Ernst Jüngers Tagebuch und Briefwechsel
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 10-2000

EJB6.pngUnsere Total-Kalamität.
Ernst Jüngers Briefwechsel mit Carl Schmitt
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 10-2000

Saulus und Paulus.
Elliot Y. Neamans Studie über Ernst Jünger und die post-faschistische Literaturpolitik
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 10-2000

Elementar nützlich.
Tobias Wimbauers Personenregister der Tagebücher Ernst Jüngers
Von Helge Schmid
Ausgabe 10-2000

Trauma, Drogenrausch, Gewaltrausch.
Klaus Gauger über drei liminale Zustände in Ernst Jüngers Werk
Von Helge Schmid
Ausgabe 10-2000

Das Ende der Heldenzeit.
Dirk Blotzheim untersucht Ernst Jüngers Frühwerk
Von Lutz Hagestedt
Ausgabe 10-2000

Ich werde plötzlich dumpf, erbreche draußen.
Armin Mohler berichtet über seine Jahre mit Ernst Jünger
Von Kai Köhler
Ausgabe 10-2000

Die durchgedrückte Brust des Melancholikers.
Die Ernst Jünger-Biografie von Paul Noack
Von Oliver Jahn
Ausgabe 10-2000

Bildhauer, bleib bei deinen Skulpturen.
Serge D. Mangin und seine „Annäherungen an Ernst Jünger 1990 – 1998“
Von Oliver Jahn
Ausgabe 10-2000