di Michele Franceschelli
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ENI continua a dimostrare di essere il principale vettore per un’azione politico-economica italiana libera dagli schemi atlantici, volta in direzione dell’Eurasia e dei BRICS. Dello spirito gagliardo del “cane a sei zampe” di “matteiana” memoria non è rimasto molto, tuttavia ENI è ancora oggi un colosso nazionale capace di muoversi sullo scenario mondiale – pur tra numerosi ostacoli, interni ed esterni, compromessi e cedimenti alle ingiunzioni euro-atlantiche – con un certo grado di autonomia, stringendo alleanze e collaborazioni con paesi non-allineati all’Occidente come Venezuela, Russia, Kazakhstan e Cina, tenendo aperta una fondamentale porta per una politica nazionale orientata in senso multipolare. Un “cane” pertanto non ancora addomesticato ai voleri nordatlantici e che rimane una delle risorse economiche trainanti della nazione proprio per questa sua “selvatichezza”, sempre più necessaria in un mondo di giorno in giorno più dinamico e multipolare. Per quanto tempo ancora ENI riuscirà a mantenere questo carattere non è dato sapere, anche se gli sviluppi recenti non fanno presagire niente di buono: dalle inchieste giudiziarie ad orologeria alle interessate pressioni degli ambienti euroatlantici per la cessione di Saipem, da un’opinione pubblica avversa eterodiretta con i temi del giustizialismo e dell’anti-industrialismo alle pulsioni ecoterrorriste di associazioni e gruppi eversivi e, soprattutto, per la continua assenza di un ceto politico nazionale autonomista capace di fare da scudo e di attuare in modo solido e continuativo un gioco di sponda con le scelte strategiche del management.
La sorte di ENI sembra parallela a quelle delle poche altre grandi aziende semi-pubbliche italiane, in primis Finmeccanica. Se per quest’ultima però le manovre tese a mantenerla dentro un politicamente rassicurante – ma economicante disastroso – perimetro d’azione commerciale euroatlantico sembrano avere ottenuto gli effetti desiderati, non si può ancora dire la stessa cosa per ENI, anche se entrambe lavorano in settori sensibili e strategici. E’ evidentemente decisiva in tal senso la direzione aziendale di ENI che, a differenza di quella di Finmeccanica, è ancora capace di esprimere una certa dose di forza, autonomia e continuità di vedute, pur in presenza di un quadro politico italiano inerte se non apertamente ostile.
Il recente annuncio di Paolo Scaroni dell’accordo raggiunto con la China National Petroleum Corporation si inserisce all’interno di questo complesso quadro. Con il ceo Zhou Jiping di Petrochina Company Limited, società controllata da CNPC, è stato firmato un accordo per la vendita del 28,57% delle azioni della società Eni East Africa, titolare del 70% della partecipazione nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico, in Africa, dove si trovano alcuni dei più importanti giacimenti mai scoperti da ENI nella sua storia. Contestualmente, ENI e CNPC hanno firmato un joint study agreement per la cooperazione finalizzata allo sviluppo del blocco a shale gas Rongchang, che si estende per circa 2.000 chilometri quadrati nel Sichuan Basin, in Cina.
E’ un accordo di mutuo vantaggio. L’ingresso nel gas non convenzionale in Cina rappresenta un’enorme opportunità di business per l’azienda italiana, dato l’incredibile sviluppo che sta attravendo il grande paese asiatico affamato di energia. Dall’altra parte, lavorare con ENI in Africa permette alla CNPC di sfruttare i posizionamenti italiani per consolidare ed ampliare la propria penetrazione nel continente. La Cina è alla ricerca di sempre nuove fonti energetiche per sostenere i suoi alti tassi di sviluppo e la partnership con i paesi dell’Africa è considerata di fondamentale importanza in questo senso. Pechino ha d’altronde un modus operandi con questi paesi diamentralmente opposto alle prassi colonialiste e neocolonialiste che contraddistinguono numerosi paesi occidentali, permettendole di essere ben vista dalle popolazioni locali; una prassi che ricorda molto da vicino quella incarnata da Enrico Mattei – che ha improntato il lavoro dell’azienda italiana per tantissimi anni – e che potrebbe essere un ulteriore punto di contatto per ampliare la collaborazione tra le due realtà aziendali in altri paesi del continente africano.
Aiutare la penetrazione cinese in Africa – così come è stato fatto con la Russia attraveso Gazprom – non è certamente in linea con la strategia occidentale volta al contenimento della Repubblica Popolare nel continente. Questa alleanza tra ENI e CNPC rappresenta pertanto un ulteriore “peccato” commesso dall’azienda di San Donato Milanese, anche se le è economicamente molto vantaggioso con proficue ricadute per tutto il sistema-Italia; come e quando dovrà essere “lavato” questo peccato lo vedremo nel prossimo futuro sulla pelle di tutti quegli italiani che fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese.