Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

samedi, 27 mars 2010

Il male atlantista

anti-nato.jpg
Il male atlantista

di Fabio Falchi

Fonte: fabiofalchicultura

 

L'egemonia americana è conquistata in ambito culturale: è per questo che oltre alla critica socioeconomica, c'è bisogno di una "battaglia culturale".



Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

anti_nato_tshirt.jpgE' noto che il filosofo tedesco Carl Schmitt, interpretando la famosa tesi di von Clausewitz secondo cui la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, ritiene che la politica sia, in un certo senso, la continuazione della guerra con altri mezzi. Categorie decisive per comprendere il Politico sarebbero pertanto due: amico o nemico. Una visione del Politico certamente realistica, che forse ha il difetto di fondarsi, in parte, su una antropologia tutt'altro che convincente come quella di Hobbes, poiché Schmitt condivide l'idea del filosofo inglese secondo cui "auctoritas non veritas facit legem". Il che implica che "auctoritas" sia contrapposta, e non solo distinta, da "veritas"; ossia un'idea che pare trascurare il nesso tra "cosmo" ("veritas") ed agire rettamente orientato ("auctoritas", diversa dalla mera potenza, dalla "potestas" che è la facoltà di imporre la propria volontà mediante la legge), che rende ragione del fatto che Roma (della cui efficienza politica e militare nessuno può seriamente dubitare) fosse sempre attenta a seguire una linea politica conforme alla propria "tradizione" ed a ciò che, ad esempio, gli stoici (non a caso, perlopiù, difensori della concezione imperiale romana) consideravano l'ordine divino del mondo.


Ciononostante, la dicotomia amico vs nemico ha il pregio di farci comprendere sia la dimensione conflittuale che di necessità contraddistingue il Politico, sia che lo Stato è essenzialmente un "campo di forze", il cui equilibrio dipende in ultima analisi dalla capacità di una classe dirigente di usare "misure e proporzioni" largamente condivise e (senza che sia esclusa la possibilità di un ricambio dei membri della élite, né di una partecipazione del popolo alla gestione degli affari pubblici, secondo forme e gradi differenziati) tali da impedire, da un lato, il formarsi tra i "governati" di gruppi così forti da poter mutare l'equilibrio (inteso come la "forma attuale" dello Stato) a loro favore; e, dall'altro, che questo equilibrio venga mutato da entità politiche "esterne", che possono essere Stati, ma anche potentati economici. Anzi, oggi pare siano proprio questi ultimi, con tutte le loro "diramazioni" (fondazioni, think tanks etc.) ad esercitare la maggiore pressione sui singoli Stati nazionali , in modo da determinarne o condizionarne gravemente la politica. Sì che la funzione dei partiti sembra essere quella di non consentire, proprio con il meccanismo delle elezioni "democratiche", ai governati di partecipare effettivamente alla vita politica ed economica del proprio Paese e, riguardo ai popoli europei, in particolare, di prendere coscienza dell'alienazione allo "straniero" della propria "sovranità". Tuttavia, è impossibile trascurare il ruolo fondamenatle che l'America, in quanto Stato, svolge non solo in Occidente ma su scala planetaria , nonostante la crisi del modello unipolare che gli americani hanno cercato di realizzare dopo il crollo dell'Urss (con il pressoché totale e servile consenso dell'Europa). Una crisi dovuta soprattutto all'emergere di nuove potenze quali la Cina e l'India, alla "nuova" Russia di Putin e alla resistenza coraggiosa di altri Paesi, come, ad esempio, l'Iran e il Venezuela (e adesso, per fortuna, anche la Turchia di Erdogan).


E' essenziale quindi comprendere il rapporto tra i "poteri forti" e la politica statunitense, essendo evidente che, comunque sia, vi è ancora necessità di un apparato statale (per motivi militari, ma anche socali, giuridici, di cultura politica, di comunicazione etc.) per occupare "posizioni dominanti" sul piano politico ed economico a livello mondiale. Senza un "potere statale forte", che avalli, sostenga, promuova l'azione dei "privati", nessun "potere forte" sarebbe possibile. Se ciò spiega la lotta tra le varie e più potenti lobbies per assicurarsi il controllo della macchina statale americana, non pregiudica però in alcun modo, piuttosto la rafforza, la "logica di sistema" che caratterizza tanto la politica interna (governo/lobbies vs popolo/cittadini) quanto la politica estera (Usa/lobbies vs altri Paesi, divisi in "amici o nemici"), sia pure con tutti i doverosi distinguo. E' alla luce di questo schema che si può capire, a mio avviso, la rilevanza della lobby ebraica internazionale (si badi, "non" gli ebrei in generale, altrimenti si confonde il tutto con la parte, con conseguenze deleterie, facilmente immaginabili) e la "copertura" quasi assoluta di cui gode ormai Israele, che si può perfino permettere di ricattare gli Usa; tanto che non è esagerato affermare che talvolta "la coda può muovere il cane". Certo gli Usa non sono un'appendice di Israele, né vi è una sola lobby che conti in America. Ma la lobby ebraica, grazie alle sue "ramificazioni multinazionali", è di fatto l'unica che può garantire l'unità di azione a "livello sistemico" dell'imperialismo economico americano e del "mercato globale" (che altro non sono che due facce della stessa medaglia), vuoi perché "attiva"nei gangli vitali di ogni Paese occidentale , vuoi perché è riuscita ad ottenere una vera e propria egemonia culturale, che consente all'atlantismo di presentarsi come la sola espressione dell'humanitas, come unico veicolo di civiltà contro ogni forma di barbarie, nonché come vero erede della cultura europea. Una egemonia culturale che si è imposta facilmente in Europa dopo la definitiva sconfitta del comunismo, considerato anch'esso, come il nazismo, il fascismo ed ora pure l'islamismo, il nemico del genere umano, il "male".
Il fatto è che troppo spesso i crtiici dell'imperialismo americano tendono a sottovalutare gli aspetti propriamente culturali, per concentrarsi esclusivamente su quelli economici e/o politici. Ed è invece questa egemonia culturale, estremamente articolata e "pervasiva", che può "legittimare" la subalternità delle classi dirigenti europee alle direttive atlantiste agli occhi delle masse e perfino agli occhi degli "scettici". In questi ultimi decenni si è addirittura assistito alla nascita di una sorta di nuova "religione", superiore a tutte le altre, la cosiddetta "religio holocaustica", fondata sull'assoluto divieto di studiare anche la persecuzione degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale secondo una metotologia scientifica . Chi infrange questo divieto o perfino chi si limita a criticarlo pubblicamente rischia il carcere (in Germania, Austria e Svizzera) oppure, se vive in Francia, una sanzione economica, ma viene comunque sempre "messo al bando"( si viene espulsi dall'Università, licenziati, messi alla gogna, denigrati dai mass media senza avere la possibilità di difendersi etc.). Una "religio" che ha i suoi dogmi, i suoi riti, i suoi sacerdoti, i suoi zelanti servitori e i suoi, più o meno in malafede, fedeli. E che è l'altra faccia dell'atlantismo: simul stabunt simul cadent.
Infatti, la storia del Novecento e di questo inizio di secolo si può "rappresentarla" come la lotta tra il bene e il male, tra la Grande Israele e gli Imperi del male o gli Stati canaglia, solo se la si interpreta mediante uno schema a priori, che fornisca la "regola" per "ordinare e sistemare" gli eventi, in modo da invalidare ogni critica al "sistema" in quanto tale. Democrazia liberale di tipo angloamericano, liberismo, "culto" del mercato, "fede" nella tecno-scienza, diritti universali "ricalcati "su quelli made in Usa, american way of living devono essere esportati in tutto il mondo anche con la forza, non perché si ha la possibilità di farlo, ma perché è "giusto" farlo e se non vi è ancora la capacità di farlo ovunque, ci se ne dovrebbe rammaricare. Insomma, il "sistema" non funziona o non funziona "bene" senza il consenso delle masse (poco importa che sia un consenso passivo). Perciò occorrono "persuasori" (ma non "occulti", sebbene ci siano, ovviamente, anche questi ) e "cultura" che persuada, che "formi" (si pensi alla scuola , all'Università ed ai mass media) ed in-formi, che orienti e che (questa sì!) soprattutto "occulti". Il vero potere lo si detiene quando si può fare a meno di usare il bastone (che pur si deve avere e meglio se è un "grosso bastone"). Per questo motivo è necessaria l'egemonia culturale. Anche se, o meglio proprio perché non è la nostra "cultura", ma la "cultura" del mercante occidentale, del suo denaro e delle sue banche che ci viene imposta, in quanto il giudeo-cristianesimo sarebbe la "radice"dell'Europa (tesi che è ben differente dal riconoscere che il cristianesimo - nelle sue molteplici e contraddittorie "voci" - è stato la lingua spirituale - "sincretistica", per così dire - dell'Europa durante il Medioevo). Da ciò, tra l'altro, consegue che la civiltà classica, greca e romana, non la si debba "vedere" se non attraverso il prisma del giudeo-cristianesimo e che vi sia netta separazione ed opposizione tra Oriente (la "Terra") e Occidente (il "Mare"). Si vuole così ignorare non solo che Occidente è una parola che da (relativamente ) poco tempo designa la civiltà europea, ma che l'Europa è la "Terra di Mezzo", la "congiunzione fra Terra e Mare". Una congiunzione, una "e", che invece ci indica , contrariamente a quanto ritengono gli atlantisti, da dove proveniamo e dove dovremmo far ritorno, "risalendo" al nostro autentico "inizio", ora che il "Mare" minaccia di sommergerci.
Nulla di più "incapacitante" allora di una critica del capitalismo che prescinda dai "fattori culturali" o che, fraintendendo radicalmente il "senso" del legame sociale, li intenda come "semplice" sovrastruttura della struttura economica. Il capitalismo è un "ismo", un modo di agire e pensare che "fa si-stema", in cui, appunto, "tutto si tiene". Ma si "tiene" secondo la logica dello "sradicamento", della negazione delle "differenze", per veicolare l'ideologia della "merce", dell'equivalenza universale delle "cose" e delle persone ( la "cosificazione" o mercificazione che dir si voglia), dell'astrazione quantitativa che dissolve ogni "esperienza"del tempo qualitativo, non lineare ed uniforme, e dello spazio gerarchicamente orientato. Il che spiega perché tanto più emerge la consapevolezza che la "secolarizzazione" del giudaismo (di cui lo stesso sionismo è un effetto) e del cristianesimo, al di là di ogni considerazione sugli aspetti "sapienziali e tradizionali" certamente presenti in entrambe le religioni, è a fondamento della modernità, vale a dire delle condizioni sociali e culturali per la nascita del capitalismo, nel senso stretto del termine, tanto più diventa evidente il ruolo preponderante, sotto qualsisi profilo, della "forma mentis" dell'homo oeconomicus ed il progressivo adeguarsi della cultura occidentale agli "schemi concettuali" propri del "mercante errante", senza "oikos" ed "abitatore" del tempo.
Se vi è dunque la necessità di decifrare, di volta in volta, l'azione delle lobbies atlantitste (non necessariamente americane) per smascherare i reali obiettivi della politica degli Usa, mostrandone le mistificazioni e le "incongruenze" sempre più gravi (al punto che si impiegano termini per denotare realtà esattamente opposte rispetto a quelle che dovrebbero denotare), vi è ancor più la necessità di una battaglia culturale, un "Kulturkampf", per non ripetere l'errore di privilegiare un'analisi di tipo socio-economica (ripeto, a scanso di equivoci, indubbiamente necessaria), che non può cogliere la specificità dell' "anima capitalistica", il suo carattere proteiforme, che le consente di rimanere sé medesima mutando continuamente "maschera". Una "lacuna" che, in qualche modo, è causa o, se si preferisce, una delle cause della crisi fallimentare del comunismo e del "collasso" delle politiche di stampo socialdemocratico, dal momento che non soltanto ha impedito una comprensione dei "presupposti culturali" del capitalismo, che non fosse basata su una "ingenua " e sovente "volgare" concezione progressista, ma ha addirittura favorito l'affermarsi della "cultura" dell'homo oeconomicus, che è la "conditio sine qua non" del capitalismo occidentale (sotto questo aspetto, di gran lunga più coerente dei suoi "nemici"; per usare un "linguaggio schietto", il peggiore difetto della sinistra si potrebbe designare così: volere l'arancio ma non le arance!).
Vero è che si deve pure tener conto che occidentalizzazione ed atlantismo non sono necessariamente sinonimi, ma è innegabile che attualmente siano i circoli atlantisti che perseguono il disegno di occidentalizzare l'intero pianeta, annientando "identità", lingue, costumi e qualunque complessa "iconografia" - altro termine caro a Schmitt - che non sia quella (israelo)angloamericana. Si tratta di un processo di livellamento e massificazione che può essere contrastato solo dal sorgere di un nuovo equilibrio mondiale policentrico, premessa anche per costruire un'alternativa, "razionale" e credibile, ad ogni forma di occidentalizzazione. Purtuttavia, è lecito pensare che, fino a quando l'Europa non saprà orientare il proprio "asse" geo-politico e geo-filosofico in senso eurasiatista, difficilmente l'atlantismo conoscerà una crisi irreversibile: l'illimitato "Wille zur Macht" dell'Occidente può, come il "Mare", arretrare temporaneamente, per poi ritornare con ancor maggiore forza e impeto. Non dovrebbe destare meraviglia dunque che il sistema capitalistico occidentale più "si occulta" ed "occulta" e più, brandendo la spada vendicatrice del "dio" veterotestamentario per far trionfare il "bene" sulla Terra, lasci venire allo scoperto la sua volontà di potenza. E' questo non il segno accidentale della sua "sostanza", bensì il segno più chiaro della sua vera "natura".

 

 

mardi, 01 décembre 2009

Nuevas bases americanas en el mar Negro

mn.jpg

 

Nuevas bases americanas en el mar Negro

El gobierno de Estados Unidos destinará más de $ 100 millones para construir nuevas bases militares en Bulgaria y Rumanía aunque la administración Obama haya suspendido recientemente sus planes para crear un escudo defensivo anti-misiles en otras partes de Europa oriental.

Según la revista semanal del ejército de los EE.UU. “Barras y Estrellas”, este último compromiso del Pentágono consiste en una base militar de $ 50 millones en Rumanía y otra de $ 60 millones en Bulgaria, que albergarán a 1.600 y 2.500 soldados estadounidenses respectivamente.

Se espera que la base de Rumanía esté terminada en los próximos dos meses, mientras que la apertura de la base búlgara está programado para el 2011 o 2012.

Las bases, financiadas por los Estados Unidos, aunque propiedad de los gobiernos de Rumanía y Bulgaria, serán compartidas por fuerzas americanas y de los países anfitriones, según la revista semanal.

Más de 2.000 soldados se encuentran realizando maniobras cerca de las dos naciones de Europa Oriental.

Durante una reciente visita a Rumanía, el vicepresidente Joe Biden dijo que Bucarest respaldaba la nueva configuración del escudo anti-misiles americano que Washington anunció tras la suspensión de su despliegue de misiles defensivos previstos en Polonia y la República Checa.

Esto significa que elementos del complejo anti-misiles americano pueden aparecer en Rumanía.

Además, los expertos estadounidenses dicen que la construcción de dos nuevas bases en Rumanía y Bulgaria está plenamente en consonancia con la redistribución de las tropas que el ex-presidente George W. Bush anunciara en 2004. Muchos analistas creen que el movimiento de tropas americanas hacia Rumanía y Bulgaria forma parte de una estrategia de redistribución mundial que comenzó en los primeros años de la administración Bush con el objetivo de desplazarlas de Alemania hacia hacia el este.

El Pentágono explica todo esto por la necesidad de llevar sus fuerzas cerca del inestable Oriente Medio.

Rusia lo ve como una amenaza directa a sus intereses por temor a que lo que comienza con una presencia relativamente pequeña del ejército americano en Rumania y Bulgaria, pueda finalmente verse aumentada en gran medida.

Además, la aparición de bases de la OTAN en el Mar Negro se suma a las instalaciones militares que Occidente tiene en el Mar Báltico, y que pone a Rusia en un aprieto.

En otra señal alarmante, cadetes de la academia militar de West Point están ahora recibiendo un curso intensivo de cultura y lengua rusa. Al igual que hicieran en los tres años previos a la invasión de Irak.

Preparándose para apropiarse de la riqueza de petróleo del Mar Caspio, Washington lo hará apoyándose en sus bases de Rumanía y Bulgaria y aumentando la inestabilidad en el Caucaso. ¿Para qué? Para poder enviar a sus fuerzas de paz allí para garantizar la seguridad del transporte de petróleo y gas. Y aquí el contingente americano en Rumanía y Bulgaria puede ser de mucha utilidad.

Traducido por Martin (investigar11S)
New US Bases on the Black Sea, by Mike Sullivan

lundi, 26 octobre 2009

Tutelle américaine sur l'Europe: la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missiles

Tutelle américaine sur l’Europe : la Pologne prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile

Missiles

VARSOVIE(NOVOpress)L’indépendance de la défense européenne ne parait toujours pas à l’ordre du jour.

Ainsi, la Pologne, par la voix de son premier ministre, s’est déclarée prête à participer à la nouvelle version du bouclier anti-missile américain (ABM).

« Le projet SM-3, c’est-à-dire le projet de nouvelle configuration du bouclier anti-missile est très intéressant et nous voulons y participer. Nous sommes prêts à assumer une responsabilité commune» , a indiqué le premier ministre polonais avant de souligner que les peuples polonais et américain partageaient « les mêmes valeurs ».

Une prise de position qui fait déjà grincer des dents le voisin russe qui voit d’un très mauvais œil la stratégie américaine en Europe.

[cc [1]] Novopress.info, 2009, Article libre de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d’origine
[
http://fr.novopress. info [2]]


Article printed from :: Novopress.info France: http://fr.novopress.info

URL to article: http://fr.novopress.info/35994/tutelle-americaine-sur-l%e2%80%99europe-la-pologne-prete-a-participer-a-la-nouvelle-version-du-bouclier-anti-missile/

URLs in this post:

[1] cc: http://fr.novopress.info http://creativecommons.org/ licenses/by-nc-sa/2.0/fr/

[2] http://fr.novopress. info: http://fr.novopress. info

vendredi, 23 octobre 2009

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Polonia y Estados Unidos analizan nueva estrategia militar

Expertos militares de Estados Unidos y Polonia se reúnen hoy en esta ciudad para discutir una nueva estrategia más económica y adecuada para las necesidades defensivas de Europa, según observadores.

El plan norteamericano pretende situar en el viejo continente sistemas de misiles móviles, en sustitución del proyecto inicial de escudo balístico propuesto por el ex presidente George Bush, y que el mes pasado la actual administración de Barack Obama desechó.

En declaraciones a la radio pública polaca, el viceministro de Defensa de ese país, Stanislaw Komorowski, dijo que hoy tendrán la oportunidad de solicitar toda la información necesaria sobre la nueva propuesta, pues todavía hay muchas preguntas.


La decisión de Obama de cancelar el polémico plan de Bush, no fue bien vista por las autoridades polacas y sí por las rusas, quienes en más de una ocasión denunciaron que este escudo balístico constituía una amenaza directa a su seguridad.

A cambio de aceptar ser la sede de las baterías de misiles, Bush prometió a Polonia la entrega de cohetes tipo Patriot, una demanda reiterada del ejército polaco por considerar necesario este tipo de armamento para repeler posibles ataques de países vecinos.

Pese a su decisión, Obama no descartó la posibilidad de buscar variantes que protegieran mejor al pueblo estadounidense, a sus tropas y a sus aliados en Europa por lo que anunció una “propuesta gradual y adaptable” a la defensa antimisiles en el continente.

Según declaraciones de funcionarios estadounidenses, la administración Obama optará mejor por misiles Patriot y SM-3 recién desarrollados y capaces de interceptar lanzamientos enemigos antes de que un misil ofensivo de largo alcance enfrente una supuesta amenaza iraní.

El sistema será desplegado inicialmente en embarcaciones estadounidenses en el Mediterráneo y no en la considerada área de influencia de Rusia en Europa Oriental.

A pesar del rechazo de la nueva administración norteamericana de seguir adelante con el escudo antimisiles, todo apunta a que el sistema Patriot se instalará finalmente en los próximos meses en Polonia, bajo el control inicial de una dotación de militares estadounidenses para asegurar su funcionamiento.

Extraído de Prensa Latina.

vendredi, 16 octobre 2009

La base d'Incirlik, atoutstratégique pour les Etats-Unis

turkey_incirlik.jpgLa base d’Incirlik (Turquie), atout stratégique pour les Etats-Unis

Ex: http://qc.novopress.info/

Avec la réorientation de l’action militaire des Etats-Unis vers l’Afghanistan, la base turque d’Incirlik, dans le sud du pays, érigée en 1951 pour ses atouts en faveur des actions de bombardiers à long rayon d’action, devrait connaître une montée en puissance au profit des forces américaines. Il s’agit en effet d’une véritable plate-forme tout à fait opportune sur le plan stratégique en matière de projection de forces, mais aussi sur le plan logistique. Elle fut largement sollicitée lors des opérations en Irak au début des années 1990 et des bombardements réguliers tout au long de cette même décennie. En fait, cette base est utilisée depuis près d’un demi-siècle par les forces américaines qui sont liées à la Turquie en vertu d’un accord de coopération et de défense datant de 1969 ; accord doublé d’un volet économique à partir de 1980. Plus récemment, Incirlik  était un pilier stratégique des interventions massives en Irak, au point que la base en 2007, voyait transiter par ses pistes plus de 70% des avions gros-porteurs à destination du territoire irakien. Le site conserverait aussi, selon diverses ONG, des ogives nucléaires B-61.

Le retour au premier plan des opérations similaires américaines de la base coïnciderait avec les voyages officiels effectués tant par la secrétaire d’Etat Hillary Clinton, en mars 2009, que par le président Barack Obama lui-même, en avril 2009, qui, depuis, de cesse de réitérer son soutien à  l’idée que la Turquie puisse intégrer l’Union européenne.

La situation est en tout cas favorable à l’affirmation de la Turquie sur l’échiquier international, laquelle est un partenaire obligé pour la question du Kurdistan irakien, mais aussi un interlocuteur privilégié comme intermédiaires dans les relations syro-israéliennes et russo-géorgiennes, et même auprès des Etats afghan et pakistanais.

Actuellement, la base d’Incirlik compte quelque 4500 Américains. En cas de dégradation de la situation en Irak, après août 2010, elle sera un pôle stratégique particulièrement précieux pour intervenir.

Source : RAIDS magazine #280, p.14


Article printed from :: Novopress Québec: http://qc.novopress.info

URL to article: http://qc.novopress.info/6671/la-base-dincirlik-turquie-atout-strategique-pour-les-etats-unis/

mardi, 13 octobre 2009

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU en Europa

Rusia espera conocer los detalles del nuevo escudo antimisil de EEUU (DAM) en Europa en las consultas bilaterales previstas para el próximo 12 de octubre en Moscú, informó hoy el ministerio ruso de Asuntos Exteriores.

“Contamos con que la parte estadounidense nos suministrará información detallada y completa sobre las nuevas iniciativas de la administración sobre la creación del DAM”, dijo un funcionario del departamento de prensa de esa cartera a RIA Novosti.

En las consultas, la delegación rusa estará presidida por el viceministro Serguei Riabkov y la delegación estadounidense por la subsecretaria de Estado para el Control de Armamento Ellen Tauscher.


Recientemente, el presidente estadounidense, Barack Obama y el jefe del Pentágono Robert Gates anunciaron correcciones a los planes del DAM en Europa, que inicialmente tenía previsto la creación de una estación de radar en la República Checa y el emplazamiento de misiles interceptores en Polonia.

Los nuevos planes de EEUU no suponen una renuncia al emplazamiento de elementos del DAM en el territorio europeo sino que posterga ese proceso para el año 2015.

La nueva estructura del DAM incluidos los elementos terrestres se desarrollará en cuatro etapas y deberán estar operativas para el año 2020.

Moscú siempre se manifestó en contra de la configuración inicial del DAM estadounidense en Europa porque consideraba que la estación de radar en territorio checo, y los misiles en el polaco, amenazaban su seguridad nacional al alterar el equilibrio estratégico nuclear entre Rusia y EEUU.

Extraído de RIA Novosti.

mercredi, 23 septembre 2009

Lettre ouverte à Hervé Morin, ministre de la Défense euro-atlantiste

1224008-1593754.jpg

 

Lettre ouverte à Hervé Morin,

ministre de la Défense euro-atlantiste

 

 

 

Monsieur le ministre de la Défense de l’Occident,

 

 

 

 

Je m’autorise de vous interpeller avec un titre erroné puisque, renouant avec une mauvaise habitude pratiquée sous le septennat giscardien, le terme « nationale » a été supprimé de l’intitulé officiel de votre ministère. Permettez-moi par conséquent de vous désigner tour à tour comme le ministre de la Défense euro-atlantiste ou celui de la Défense de l’Occident, tant ces deux appellations me paraissent vous convenir à merveille.

 

 

 

Si je vous adresse aujourd’hui la présente algarade, sachez au préalable que je ne vise nullement l’élu local normand que vous êtes par ailleurs. L’adhérent au Mouvement Normand que je suis soutient, tout comme vous, l’indispensable (ré)unification normande des deux demi-régions. Notre désaccord concerne l’avenir de la France, de son armée et de l’Europe de la défense.

 

Je vous dois d’être franc. Quand en mai 2007, vous avez été nommé au ministère de la rue Saint-Dominique, j’ai immédiatement pensé à une erreur de recrutement : vous n’êtes pas fait pour occuper ce poste, faute d’une carrure suffisante. Comment cela aurait pu être autrement avec un Premier ministre qui, lui, est un fin connaisseur de la chose militaire depuis de longues années ? Il s’agissait surtout de vous récompenser pour avoir abandonné (trahi, diraient de mauvaise langues) entre les deux tours de la présidentielle votre vieil ami François Bayrou et rallié le futur président.

 

 

 

D’autres, tout aussi non préparés aux fonctions de ce ministère éminemment régalien, auraient acquis au contact des militaires une stature politique afin de viser, plus tard, bien plus haut. Hélas ! Comme l’immense majorité de vos prédécesseurs depuis 1945, voire depuis l’ineffable Maginot, et à l’exception notable d’un Pierre Messmer, d’un Michel Debré ou d’un Jean-Pierre Chevènement, vous êtes resté d’une pâleur impressionnante. Pis, depuis votre nomination, vous avez démontré une incompétence rare qui serait risible si votre action ne nuisait pas aux intérêts vitaux de la France et de l’Europe.

À votre décharge, je concède volontiers qu’il ne doit pas être facile de diriger un tel ministère à l’ère de l’« omniprésidence omnipotente » et de sa kyrielle de conseillers, véritables ministres bis. Faut-il en déduire qu’une situation pareille vous sied et que vous jouissez en fait des ors de la République ?

 

 

 

Je le croyais assez jusqu’à la survenue d’un événement récent. Depuis, j’ai compris que loin d’être indolent, vous effectuez un véritable travail de sape, pis une œuvre magistrale de démolition systématique qui anéantit quarante années d’indépendance nationale (relative) au profit d’une folle intégration dans l’O.T.A.N. américanocentrée, bras armé d’un Occident mondialiste globalitaire.

 

 

Vous vous dîtes partisan de la construction européenne alors que vous en êtes l’un de ses fossoyeurs les plus déterminés. L’Europe, sa puissance sous-jacente, ses peuples historiques vous indiffèrent, seule compte pour vous cette entité despotique de dimension planétaire appelée « Occident ».

 

 

 

Qu’est-ce qui m’a dessillé totalement les yeux en ce 6 février 2009 ? Tout simplement votre décision inique et scandaleuse de congédier sur le champ Aymeric Chauprade de son poste de professeur au Collège interarmées de Défense (C.I.D.). Brillant spécialiste de géopolitique, Aymeric Chauprade présente, dans un nouvel ouvrage Chronique du choc des civilisations, des interprétations alternatives à la thèse officielle des attentats du 11 septembre 2001. Exposer ces théories « complotistes » signifie-t-il obligatoirement adhérer à leurs conclusions alors qu’Aymeric Chauprade, en sceptique méthodique, prend garde de ne pas les faire siennes ?

 

 

 

Peu vous chaut l’impartialité de sa démarche puisque, sur l’injonction du journaliste du Point, Jean Guisnel, auteur d’un insidieux article contre lui, vous ordonnez son exclusion immédiate de toutes les enceintes militaires de formation universitaire. Mercredi dernier – 11 février -, l’infâme Canard enchaîné sortait une véritable liste d’épuration en vous enjoignant d’expulser d’autres intervenants rétifs au politiquement correct. Auriez-vous donc peur à ce point (si je puis dire) de certains scribouillards pour que vous soyez si prompt à leur obéir, le petit doigt sur la couture du pantalon ? Faut-il comprendre que Jean Guisnel et autres plumitifs du palmipède décati sont les vrais patrons de l’armée française ?

 

 

 

Avez-vous pris la peine de lire l’ouvrage incriminé ? Votre rapidité de réaction m’incite à répondre négativement. Il importe par conséquent de dénoncer votre « attitude irresponsable, irrespectueuse et indigne », car « nier la réalité est une attitude particulièrement inquiétante pour un ministre et qui n’atteste pas du courage que chacun est en droit d’attendre d’un haut responsable politique ». Qui s’exprime ainsi ? M. Jean-Paul Fournier, sénateur-maire U.M.P. de Nîmes, irrité par la fermeture de la base aéronavale de NÎmes – Garons, cité par Le Figaro (et non Libé, Politis ou Minute) du 9 février 2009. Le sénateur Fournier a très bien cerné votre comportement intolérable et honteux.

 

 

 

Aymeric Chauprade interdit de tout contact avec le corps des officiers d’active, vous agissez sciemment contre l’armée française, contre la France. En le renvoyant, vous risquez même de devenir la risée de l’Hexagone. En effet, le 12 juillet 2001, Aymeric Chauprade publiait dans Le Figaro un remarquable plaidoyer en faveur d’un « bouclier antimissile français ». Et que lit-on dans Le Figaro du 13 février 2009 ? « La France se lance dans la défense antimissile »… Certes, nul n’est prophète en son pays, mais quand même, ne peut-il pas y avoir parfois une exception ?

 

 

 

Votre action injuste me rappelle d’autres précédents quand l’Institution militaire sanctionnait des officiers coupables de penser par eux-mêmes et de contester ainsi le conformisme de leur temps : le général Étienne Copel, le colonel Philippe Pétain, le lieutenant-colonel Émile Mayer, le commandant Charles de Gaulle.

 

 

Anticonformiste, Aymeric Chauprade l’est avec talent et intelligence; il s’inscrit dans la suite prestigieuse des Jomini, Castex et Poirier. Voilà pourquoi le réintégrer au C.I.D. serait un geste fort pour l’indispensable réarmement moral d’une armée qui en a grand besoin.

 

 

 

Je doute fort, Monsieur le ministre de la Défense euro-atlantiste, que ma missive vous fera changer d’avis. Qu’importe ! Libre à vous de rester insignifiant et de figurer dans les chroniques comme le Galliffet de la réflexion stratégique.

 

Recevez, Monsieur le Ministre, mes salutations normandes.

 

 

 

Georges Feltin-Tracol

jeudi, 18 juin 2009

Fukuyama persiste et s'obstine

Fuku2007_pub_photo.jpg

 

Fukuyama persiste et s'obstine...

Ex: http://unitepopulaire.org/

« En 1992, Francis Fukuyama publiait son fameux essai sur la fin de l’Histoire, affirmant que l’éternelle guerre des idéologies politiques était terminée et que le concept de la démocratie libérale avait triomphé. Seize ans plus tard, le retour de l’autoritarisme russe, la stabilité du gouvernement communiste chinois et le renforcement des théocraties moyen-orientales semblent avoir donné tort à l’universitaire américain. […]

Pour Francis Fukuyama, les prémisses de sa théorie sont toujours valables : malgré la Chine ou la Russie, la démocratie libérale reste la seule forme de gouvernement globalement acceptée, une sorte d’idéal vers lequel tendent la plupart des pays. "Bien entendu, reconnaît l’universitaire, plusieurs groupes affirment le contraire, comme les islamistes fondamentalistes, mais sur le long terme, je suis confiant, le système démocratique est le seul viable". »

 

L’Hebdo, 2 octobre 2008

 Il faut croire que dans certains esprits, les théories a propri sont plus têtues que l’épreuve des faits… Et pourtant non, Francis, l’Histoire n’est pas terminée et elle ne le sera jamais tant qu’il y aura des hommes sur cette planète ! Car prendre en main son histoire, en tant que peuples et en tant qu’individus, relève d’une liberté inaliénable, celle de l’auto-détermination ; une liberté que les penseurs libéraux, qui n’ont pourtant que ce mot à la bouche, ne semblent pas prêts de nous accorder – ce qui importe peu car nous ne demandons pas leur autorisation. Après « l’horizon indépassable » des lendemains qui chantent soviétiques, les prophètes atlantistes voudraient nous faire croire à un avenir déterminé fait de mondialisme et de démocratie de marché.  A en croire la voix des peuples du monde, il n’est pas sûr que nous allions dans ce sens…

 

jeudi, 07 mai 2009

El Caucaso se calienta...

El Cáucaso se calienta: Rusia y el eje EEUU-OTAN reinician movimientos militares

¿Nuevo desenlace en la guerra energética?

Rusia y EEUU vuelven a cruzarse peligrosamente en el Cáucaso, una región clave en la disputa estratégica por el control de los recursos energéticos de Eurasia que ya tuvo su primer desenlace armado con la llamada “guerra de Georgia” en agosto pasado. Ejercicios militares de la OTAN y un reposicionamiento estratégico de Rusia en Abjasia y Osetia del Sur, marcan el calendario inmediato de una región de alto voltaje conflictivo.

El presidente de Rusia, Dmitri Medvédev, calificó el jueves de “provocación descarada” los ejercicios que la OTAN efectuará en Georgia este mes de mayo.

“Los ejercicios que la OTAN tiene previsto llevar a cabo en Georgia son una provocación descarada por mucho que se intente convencernos de lo contrario”, dijo Medvédev en el acto de firma de acuerdos con Abjasia y Osetia del Sur sobre vigilancia conjunta de fronteras, celebrado el jueves 30 en el Kremlin.


La OTAN tiene previsto celebrar en el territorio georgiano, del 6 de mayo al 1 de junio próximo, las maniobras Cooperative Longbow/Cooperative Lancer 09, con la asistencia de 1.300 militares de 19 naciones: Albania, Armenia, Azerbaiyán, Bosnia y Herzegovina, Canadá, Croacia, EEUU, Emiratos Árabes Unidos, España, Georgia, Gran Bretaña, Grecia, Hungría, Kazajstán, Macedonia, Moldavia, República Checa, Serbia y Turquía. El objetivo principal de los ejercicios de mandos sin tropas, según la OTAN, es mejorar la coordinación con los países partes del programa Asociación por la Paz.

Moscú interpreta el despliegue de fuerzas atlánticas como un intento del “eje occidental” de reafirmar su presencia militar en la región tras la derrota política, militar y diplomática sufrida con el posicionamiento militar de Rusia en el Cáucaso, en agosto del año pasado.

En las maniobras de la OTAN participarán Azerbaiyán y Georgia (ambos limitan fronteras), búnkeres del eje USA-UE, que son parte del corredor energético en disputa que desató el conflicto del Cáucaso en agosto de 2008.

Azerbaiyán, a su vez, limita con Armenia, un enclave ruso, que también comparte fronteras con Turquía (aliado estratégico de EEUU) e Irán (aliado estratégico de Rusia).

Georgia, puntal de estrategia USA en el Cáucaso, continúa rodeada por el aparto militar ruso, mientras que Ucrania (aliada de EEUU) y Moldavia (más inclinada hacia Moscú) están asediadas por conflictos políticos internos donde el sector “pro-ruso” está recuperando espacios de poder.

Esto denota el alto voltaje estratégico de la región donde se va a realizar el despliegue de las unidades navales y terrestres de la alianza atlántica (OTAN).

A su vez Rusia, a una semana de las maniobras de la OTAN en el Cáucaso, consolidó su posición estratégica en la región mediante acuerdos militares con Osetia del Sur y Abjasia sobre el control ruso de las fronteras de esas repúblicas, reconocidas por Moscú como estados independientes, después de la invasión militar perpetrada por Georgia contra Osetia del Sur, en agosto del año pasado.

De acuerdo a los términos establecidos en los acuerdos, Abjasia y Osetia del Sur “delegan en Rusia las atribuciones en materia de vigilancia de la frontera estatal hasta que sean formados cuerpos republicanos de guardafronteras”. Esta cláusula se aplicará a las fronteras tanto terrestres y aéreas como marítimas.

A su vez, el gobierno de Georgia calificó el jueves de “provocación” el acuerdo suscrito la víspera por Rusia, Abjasia y Osetia del Sur sobre la vigilancia de las fronteras entre los tres países, documento que a juicio de Tbilisi, tiene como objetivo “legalizar la ocupación de territorios pertenecientes a Georgia”.

Según la cancillería georgiana, los acuerdos fronterizos suponen un intento de Rusia para fortalecer su potencial militar en “territorios ocupados de Georgia”.

Para los analistas rusos, las maniobras militares de la OTAN -de casi un mes de duración- y la decisión rusa de mantener y consolidar sus dispositivo militar por aire, mar y tierra en la región, reposiciona un “teatro de conflicto armado latente” en el Cáucaso, donde -y durante los casi 30 días que duren los eejercicios de la OTAN- seguramente se va a desarrollar una creciente tensión militar.

Luego de que Georgia invadiera Osetia del Sur, el año pasado, y por medio de una estrategia envolvente, Moscú invadió y consolidó sus posiciones de control militar en Georgia, desoyó las advertencias de EEUU, dividió a la ONU y desafió abiertamente a la flota de la OTAN en el Mar Negro.

En agosto de 2008, las tropas georgianas atacaron a Osetia del Sur, y Rusia se vio obligada a intervenir con unidades militares para defender a la población suroseta, gran parte de la cual tiene ciudadanía rusa.

Durante el conflicto armado de tres semanas Moscú realizó cinco movidas claves: Pulverizó al Ejército de Georgia entrenado y armado por EEUU, se posicionó en el control de las áreas estratégicas de la región (principalmente del oleoducto BTC, un enclave energético de las petroleras anglo-estadounidenses), rompió virtualmente “relaciones” con la OTAN, dividió la ONU boicoteando todos los proyectos de resolución en su contra, y a inicios de septiembre reconoció la independencia de las provincias separatistas de Abjasia y Osetia del Sur que permanecían presionadas por el tutelaje del gobierno de Georgia, títere desembozado de la OTAN y del eje “occidental” en el Cáucaso.

Tras la finalización del conflicto armado en septiembre pasado, y mientras la OTAN desplegaba su flota en el Mar Negro, la UE, atada por su dependencia energética a Moscú, desechó la aplicación de sanciones a Rusia.

Y aunque EEUU se apuró a transmitir que estudiaba medidas contra Rusia por lo que consideraba una ofensiva militar inaceptable y un desafío a la soberanía e integridad territorial de su gran aliado en el Cáucaso, debió resignarse a un acuerdo de Moscú con la UE, mediante el cual la organización europea se ponía en “garante de la paz” en la región.

Con su posicionamiento militar en el Cáucaso, y su virtual control de Georgia, Moscú se perfiló para avanzar hacia la consolidación de nuevos acuerdos energéticos con Europa produciendo una fisura en la alianza EEUU-UE con -todavía impensables-influencias en el mapa del poder regional.

El teatro de operaciones del Cáucaso, y Georgia en particular, juegan un papel clave en el tablero de la guerra energética (todavía sin definición militar) que disputan Washington y Moscú en la región euroasiática.

Los lineamientos del “nuevo orden mundial” construido sobre la base del control de mercados y recursos estratégicos es, fundamentalmente, un orden creado para que las trasnacionales, los bancos, las petroleras y la armamentistas capitalistas, hagan “negocios”.

La nueva “guerra fría” entre Rusia y EEUU, es antes que nada una guerra económica por el control de recursos estratégicos, con el petróleo y el gas como los dos objetivos fundamentales en disputa.

Se trata de una guerra (por ahora “fría”) por el control de las redes de oleoductos (corredores energéticos) euroasiáticos donde China juega su supervivencia en alianza con Rusia.

Además, en la agenda militar y geopolítica del espacio asiático, Pekín, igual que Rusia, se sitúa en las antípodas del proyecto estratégico del eje EEUU-UE que militarizó la región euroasiática para desestabilizar las redes energéticas de Rusia, de las cuales China es la principal beneficiaria.

Moscú y Pekín, en abierto desafío a la hegemonía europeo-estadounidense, a su vez trazaron acuerdos militares estratégicos y consolidaron un bloque militar y económico común en Asia en abierto desafío a la OTAN.

En el actual escenario de crisis económica mundial, un reposicionamiento de la OTAN y de la flota rusa en el Mar Negro, ponen de relieve nuevamente el papel estratégico de la zona en el gran tablero internacional.

En ese juego, “El Gran Juego”, la UE (a través de la OTAN) y Washington mueven sus propias piezas en el teatro de operaciones de la guerra intercapitalista por áreas de influencia que se disputa desde Eurasia y los ex espacios soviéticos hasta el Medio Oriente. Y en ese tablero, el Kremlin sabe que sólo cuenta con dos aliados: Irán y China, con el petróleo y las armas rusas como eje de los acuerdos.

Putin y Medvedev, luego de posicionarse militarmente con el control de Georgia, y de comprobar la lentitud de reflejos del decadente Imperio capitalista “occidental” referenciado en el eje USA-UE, vivieron el conflicto como una victoria en la disputa por el control del Cáucaso.

El posicionamiento militar de Rusia en Georgia, en agosto pasado, y la pasividad de EEUU, que no defendió a su aliado estratégico en el Cáucaso, impactó inmediatamente en un acercamiento de la Unión Europea a Moscú quienes, a espaldas de Washington, pactaron el acercamiento.

Para los analistas europeos, las potencias del euro vacilaron a la hora de instrumentar medidas concretas contra Moscú, en primer lugar por la creciente dependencia comercial, en el rubro de la energía y el petróleo ruso, y en segundo lugar por el temor acentuado de que el Kremlin resuelva concretar algún bloqueo del vital oleoducto BTC en Georgia que lleva el petróleo del Caspio a Europa.

Lo que hoy (a través de los movimientos de Rusia y de la OTAN) los analistas ya visualizan como el principio de una nueva escalada militar en el Cáucaso, puede modificar nuevamente el statu quo de las relaciones de Moscú con la UE, dado que la organización europea conforma la columna vertebral de la alianza atlántica.

Los casi treinta días de duración de los ejercicios de la OTAN, en una región altamente militarizada y con las dos flotas navales posicionadas una enfrente de la otra en el Mar Negro, preanuncian un creciente estado de tensión en el Cáucaso.

Según interpretaban el jueves analistas rusos, se trata de una peligrosa reedición de “escalada militar” en un escenario internacional dominado por una crisis recesiva de difícil pronóstico y desenlace.

Manuel Freytas

Extraído de IAR Noticias.

dimanche, 26 avril 2009

Nog eens 60 jaar NAVO?

Nog eens 60 jaar NAVO?

mercredi, 08 avril 2009

Le trio infernal de l'atlantisme "français"

 

Ex: http://ettuttiquanti.blogspot.com/
"Depuis 2007 la politique étrangère française est aux mains d'un triumvirat à la fois sioniste et philo-américain : Nicolas Sarkôzy, Bernard Kouchner et Jean-David Lévitte.

On ne présente plus Nicolas Sarkôzy, mais on rappellera qu'il est le petit-fils d'un éminent représentant de la communauté juive de Salonique qui l'a largement élevé. Cette communauté juive de Salonique était réputée pour son aisance à se mouvoir au sein des arcanes du pouvoir ottoman et à en profiter durant l'occupation turque en Grèce. Cet héritage explique sans doute pourquoi Nicolas Sarkôzy s'est toujours montré fort soucieux de satisfaire toutes les demandes du CRIF et a reçu, en 2003, le prix de la tolérance du Centre Simon Wiesenthal pour son action contre l'antisémitisme. Son élection a été saluée en Israël comme une excellente nouvelle. Il n'y a pas lieu d'insister. C'est, aussi, un amoureux inconditionnel des États-Unis, à tel point que c'est là-bas que, sitôt élu, il est allé se ressourcer.

On ne présente plus non plus Bernard Kouchner, d'origine juive russe, spécialiste du business humanitaire et de la consultante de luxe, fidèle d'Israël et ami de dirigeants israéliens, ancien "Gauleiter" de la MINUK au Kossovo où il a couvert l'épuration ethnique perpétrée par les Albanais aux dépends des Serbes selon les vœux de ses maîtres américains. Devenu ministre des Affaires étrangères de la république française, il multiplie les signes d'allégeance à toutes les modes occidentales.

En revanche, beaucoup moins connu du grand public, Jean-David Lévitte mérite une mention spéciale. C'est l'éminence grise de Nicolas Sarkôzy en politique étrangère, le vrai patron de celle-ci, ce qui l'amène parfois à entrer en conflit avec l'ego démesuré de Bernard Kouchner. Né en 1946, diplômé de I.E.P. de Paris et de l'Institut national des langues et civilisations orientales, il a entamé une carrière diplomatique avant de servir Jacques Chirac de 1995 à 2000, ce qui lui a valu de devenir le représentant permanent de la France auprès des Nations Unies à New York puis ambassadeur aux États-Unis à partir de 2002. Là-bas, il sut faire évoluer la position diplomatique de la France, mal perçue depuis l'opposition à la seconde guerre d'Irak en 2003, dans un sens plus "compréhensif" " des positions américaines. Le 16 mai 2007, Nicolas Sarkôzy l'intègre à sa garde rapprochée comme conseiller diplomatique avant de lui confier les rênes du nouveau Conseil National de Sécurité, véritable pilote de la nouvelle diplomatie française. Ce que l'on sait moins, c'est qu'il est le fils de Georges Lévitte, issu d'une famille juive d'Ukraine réfugiée d'abord en Allemagne en 1922, puis en France. Son père a eu une influence déterminante sur le renouveau de la pensée religieuse juive après la Seconde Guerre mondiale en même temps qu'il s'est engagé à l'Ainerican detvish Committee et a collaboré au Fonds Social Juif Unifié. Jean-David Lévitte a donc grandi dans un milieu familial très lié à la fois à la communauté juive, au sionisme et aux États-Unis.

C'est donc ce trio qui est aux commandes de la politique étrangère française depuis le printemps 2007. Un double rapprochement s'est alors effectué tant vis-à-vis de l'entité sioniste israélienne que des États-Unis d'Amérique, avec accélération du processus depuis que le nouveau locataire de la Maison Blanche apparaît plus fréquentable que l'ancien. Leur grand chantier actuel est la réintégration de la France dans le commandement intégré de l'OTAN."

Source :
Terre & Peuple n°39.

dimanche, 22 mars 2009

Atlantisme, occidentalisme. Pourquoi N. Sarkozy veut que la France réintègre le commandement de l'OTAN

Noël Blandin*
inv
1225894-1596522.jpg

 

Atlantisme, Occidentalisme. Pourquoi Nicolas Sarkozy veut que la France réintègre le commandement de l'OTAN.

inv

Le Général de Gaulle se retourne dans sa tombe. 43 ans après sa décision de retirer Paris du commandement militaire intégré de l'Organisation du Traité de l'Atlantique Nord (OTAN, créée en 1949, 22.000 employés et 60.000 militaires permanents), son dangereux successeur à l'Elysée multiplie les déclarations (1) pour que la France y reprenne désormais "toute sa place". "Toute sa place" est une formule qui, dans l'approche de Nicolas Sarkozy, signifie clairement un engagement sans réserve aux côtés des Etats-Unis. Fidèle à sa méthode autocratique du "J'écoute mais je ne tiens pas compte", il fait fi des voix de plus en plus nombreuses qui s'opposent à sa décision (2) et fait dire qu'il n'y aura ni référendum ni même de vote au Parlement sur la question.

Il entend bien concrétiser seul son choix stratégique et balayer d'un coup d'un seul un demi-siècle de politique étrangère et d'indépendance française dès les 3 et 4 avril prochain, lors des cérémonies du 60e anniversaire de l'OTAN à Strasbourg et Kehl.

Histoire de confirmer sa volonté d'intégrer la France dans les hautes sphères politico-militaires de l'OTAN, Nicolas Sarkozy a d'ores et déjà pris l'année dernière deux initiatives très applaudies par son ami George W. Bush. Un, il a doublé la présence militaire française en Afghanistan en envoyant un millier de soldats combattre avec les américains contre les Taliban, alors que chacun sait que cette guerre est déjà perdue et que l'enlisement des troupes y est assuré (le nombre de soldats français morts sur le terrain depuis est déjà suffisamment éloquent).

Deux, il a soutenu activement le projet de déployer un bouclier antimissile américain en Europe centrale, quitte à braquer sérieusement la Russie (Heureusement Barack Obama semble être en train de déminer cette énième provocation bushiste aux relents de Guerre froide). La récente volonté affichée de rapprocher Paris et Londres, principal allié des Etats-Unis dans ses guerres en Irak et en Afghanistan, est également un signe plus discret, mais tout aussi fort, d'allégeance à Washington.

Seule contrariété pour le néo-conservateur de l'Elysée, ce n'est plus son ami fauteur de guerres George W. Bush qui est au pouvoir, mais Barack Obama, à l'évidence moins enclin à semer la terreur partout dans le monde au nom de la lutte anti-terroriste.

Cette rupture dans la politique d'indépendance de la France se drape bien entendu d'arguments à usage médiatique du type "Amis, alliés, mais non inconditionnels", ou "nécessaire rénovation car nous ne sommes plus en 1966", ou encore "La France ne perdra rien de sa souveraineté" (3). Nicolas Sarkozy dit vouloir développer avec l'OTAN une "Europe de la Défense efficace". Depuis son élection, il ne cesse de répéter qu'une Europe de la Défense indépendante et l'ancrage atlantique sont les deux volets d'une même politique de sécurité. Mais quelle OTAN, pour quelle mission de défense européenne ? et la France a-t-elle quelque chose à gagner à réintégrer le commandement militaire de l'organisation, avec lequel elle coopère déjà très bien ? Elle fournit déjà 2.800 soldats pour l'occupation de l'Afghanistan, et maintient actuellement 36.000 soldats dans divers autres pays (Kosovo, Côte d'Ivoire, etc.).

Il est bien illusoire d'imaginer que les Etats-Unis donneront plus de place aux Européens et aux Français dans la nouvelle Alliance. Jaap De Hoop Scheffer a d'ailleurs bien précisé le 12 février 2009 à Paris que, si la France réintégrait le Commandement militaire intégré de l'Alliance atlantique, ce serait de toutes façons toujours à lui qu'il revenait "de gérer les choses au sein de l'OTAN, comme la position française au sein des structures de commandement, les généraux, etc". Tout au plus les Etats-Unis accorderont-ils quelques commandements militaires sans importance à un ou deux généraux français -- on parle vaguement d'un poste à Norfolk (Virginie, USA) ou à Lisbonne (Portugal) -- sans que cela puisse réellement permettre à la politique européenne de sécurité et de défense (PESD) de s'affirmer et de de peser significativement sur les décisions de l'OTAN.

Dans tous les conflits (Afghanistan, Serbie, Kosovo, etc) où la France s'est retrouvée engagée aux côtés des militaires américains, ce sont systématiquement ces derniers qui décident et contrôlent de façon unilatérale toutes les opérations, en particulier les frappes, reléguant la France et les autres pays alliés au rang de simples exécutants. On ne les imagine guère se plier aux décisions des français dans l'avenir. Il n'est d'ailleurs pas inutile de rappeler que si de Gaulle est sorti de l'OTAN, c'est notamment parce qu'il demandait un directoire partagé de l'Organisation, ce que les Américains lui ont refusé.

Et la suite a montré que la France, puissance moyenne disposant de l'arme nucléaire et d'un siège au Conseil de sécurité de l'ONU, existait finalement plus à l'échelle mondiale en s'affirmant de façon autonome qu'en s'effaçant dans ce qu'il appelait le "machin" atlantiste.
Autre risque, la réintégration de Paris dans une OTAN qui sert de plus en plus de caution et de bras armé à l'impérialisme américain, sera sans nul doute perçu dans les grandes capitales du monde non-occidental comme un affaiblissement et un alignement sur les Etats-Unis, ce qui lui fera perdre le peu d'influence qui lui reste encore.

Quant à la "Voix de la France", qui selon Nicolas Sarkozy deviendrait plus forte dans le concert des Nations si elle réintègre l'OTAN, elle semble jusqu'à présent avoir moins souffert des discours et des choix du Général de Gaulle -- ou même de ceux de Jacques Chirac et Dominique de Villepin, par exemple en 2003 à l'ONU lors du refus de la France de suivre les Etats-Unis dans l'invasion de l'Irak -- que ceux des "caniches" européens de George W. Bush (Tony Blair, José Manuel Barroso, Nicolas Sarkozy, José-Maria Aznar,...).
Mais l'essentiel n'est pas là.

Le projet de Nicolas Sarkozy, cet anti de Gaulle, ne consiste pas en un renforcement de la défense européenne, ou du moins pas pour lui donner plus de pouvoir et d'indépendance comme il le prétend. A travers ses choix diplomatiques et stratégiques il est à l'évidence tout à sa "vision" purement occidentaliste de la France et de l'Europe. Pour lui, la France doit s'affirmer "dans sa famille occidentale" et dans "les valeurs occidentales qui sont pour elle essentielles" (Discours de janvier 2008 devant le corps diplomatique français). Il partage avec son mentor George W. Bush une idéologie qui se fonde avant tout sur la défense d'une civilisation occidentale qui serait aujourd'hui attaquée par le monde islamiste. Lorsqu'il déclare faire en sorte que "Paris et l'ensemble des capitales occidentales parlent désormais toutes d'une seule voix", c'est surtout pour défendre les causes occidentales que les discours et les aventures guerrières de Bush "contre l'Axe du Mal et la Barbarie" ont totalement galvaudées: la Démocratie, la Liberté, l'universalisme des Droits de l'Homme, la lutte contre le terrorisme.

Comme George W. Bush et comme tous les néo-conservateurs islamophobes, Nicolas Sarkozy est dans une logique de guerre contre tout ce qui ne relève pas des "valeurs occidentales" judéo-chrétiennes, tant en matière d'économie que de politique et de religion. Il exècre et ne cesse de diaboliser les partis islamistes qualifiés de terroristes comme le Hezbollah ou le Hamas, n'imaginant pas que son propre occidentalisme est à l'Occident ce que le fondamentalisme islamiste est à l'Islam.

Il est au plus près des cercles israélo-américains d'extrême-droite qui, afin de "garantir la paix et la sécurité", prônent une domination occidentale du monde, quitte pour cela à passer à l'offensive et à se lancer dans une guerre de civilisation "globale". Pour Nicolas Sarkozy il s'agit de défendre mais aussi désormais d'imposer par tous les moyens, et notamment par la guerre, un nouvel ordre occidental soi-disant "moral" (comprendre surtout "néo-libéral") qui doit régner sur l'ensemble de la planète.

Cette idéologie d'autodéfense agressive se nourrissant du conflit avec l'islamisme autorise ainsi l'OTAN -- qui à l'origine n'a qu'une mission de défense limitée aus territoires occidentaux -- à aller porter la guerre aux confins de la planète pour défendre des intérêts géostratégiques essentiellement américains, quand ce n'est pas parfois purement israéliens, à titre d'une soi-disant "légitime défense" contre le terrorisme islamiste. De hauts stratèges et chefs d'état-major de l'OTAN planchent même actuellement sur de réjouissantes nouvelles options militaires.

Ces docteurs Folamour réclament en effet le droit d'effectuer des frappes préventives, y compris avec l'arme nucléaire, sans autorisation du Conseil de sécurité de l'ONU. Lorsque l'on connaît le désir insensé des Israéliens et de leurs amis américains -- Même avec Barack Obama, il y a peu de chances que les Etats-Unis modifient leur politique de soutien inconditionnel à l'Etat d'Israël -- d'aller bombarder l'Iran, on imagine aisément à quoi la sainte alliance transatlantique risque bientôt de servir.

C'est avec cette "vision" guerrière et occidentaliste du monde, ruineuse et extrêmement dangereuse pour la France, que Nicolas Sarkozy entend jouer un rôle international. En infléchissant la doctrine militaire française pour mieux s'aligner sur la politique étrangère américaine, dont on connaît pourtant les errements et l'agressivité aussi inefficace que désastreuse, il commet une erreur diplomatique et stratégique majeure.
------------
Notes
1) Annoncé dès la campagne électorale de 2007, ce projet sarkozyste n'a cessé d'être remis sur la table, tant par Nicolas Sarkozy que par Bernard Kouchner (Ministre des Addaires étrangères) et Hervé Morin (Ministre de la Défense) afin d'y "préparer l'opinion", notamment pour le Président de la République à travers le Discours de janvier 2008 devant le corps diplomatique français, lors du Sommet de l'OTAN à Bucarest en avril 2008 et la semaine dernière encore lors d'une conférence sur la sécurité à Munich.

2) Parmi les responsables politiques qui s'opposent à la décision autocratique de Nicolas Sarkozy, on note celles de François Bayrou pour qui la réintégration dans le commandement militaire de l'OTAN serait "une défaite pour la France" et un "un aller sans retour" [...] "En nous alignant, nous abandonnons un élément de notre identité, une part de notre héritage, et nous l'abandonnons pour rien". Il demande que le choix fait par le Général de Gaulle en 1966 "ne soit pas bradé et jeté aux orties", ajoutant qu'un tel choix ne peut aujourd'hui être modifié "que par un référendum du peuple français". Dans un entretien au Nouvel Observateur, François Bayrou précise sa pensée. Pour lui, en réintégrant l'OTAN, la France se range "aux yeux du monde" dans un "bloc occidental" [...] "euro-américain d'un côté, le reste du monde de l'autre. Ceci, pour la France et son histoire, son universalité, est un renoncement". Il affirme que "ce que nous sommes en train de brader, ce n'est pas seulement notre passé mais aussi notre avenir, une partie du destin de la France et de l'Europe". Pour le Parti Socialiste, qui demande un débat et un vote parlementaire sur la question, "Aucune explication recevable n'est apportée sur l'intérêt pour la France de ce retour" et les "conditions et contreparties de cette réintégration ne sont pas connues". Jean-Marc Ayrault, chef de file des députés PS, estime que "La France doit garder son autonomie de décision" et que celle-ci "ne peut pas être prise par le président seul". Les anciens ministres socialistes de la Défense Paul Quilès et Jean-Pierre Chevènement ont également publié des tribunes dans la presse pour exprimer leur rejet de cette décision "très dangereuse pour la sécurité de la France". [...] "Nous ne devons pas nous laisser entraîner dans des guerres qui ne sont pas les nôtres", affirment-ils. "Si la France entre dans l'OTAN, il n'y a plus d'espoir de politique étrangère et de sécurité commune, plus d'Europe de la défense", affirme également le socialiste Jean-Michel Boucheron. La réintégration "limiterait notre souveraineté et serait le signe d'un alignement sur l'administration américaine qui banaliserait la singularité de la France", estiment pour sa part le Parti Communiste. Du côté de l'UMP, une partie des députés exprime aussi son opposition: Jacques Myard proteste contre ce "retour qui va lier les mains de la France et l'arrimer à un bloc monolithique occidental dirigé par les Etats-Unis" tandis que Lionnel Luca explique que "Pour un grand nombre de pays arabes, le fait que la France soit dans l'OTAN est un mauvais signal". Jean-Pierre Grand regrette cet "arrimage plein et entier aux Etats-Unis". "Il y a dans le monde entier des pays qui attendent de la France qu'elle demeure une transition, une passerelle, et qu'elle ne s'aligne pas sur les Etats-Unis", renchérit Georges Tron. Le gaulliste ex-UMP Nicolas Dupont-Aignan s'engage lui dans une quasi campagne contre le projet et exige un débat parlementaire. Daniel Garrigue, député ex-UMP de la Dordogne, s'est de son côté fendu d'une tribune intitulé "Bonjour, messieurs les traîtres !". Pour lui, "Rien ne justifie le retour de la France dans l'Organisation du traité de l'Atlantique Nord et la remise en cause de l'un des rares consensus forts de notre pays -- voulu en l'occurrence par le général de Gaulle avec la sortie de l'Otan en 1966 et confirmé par ses successeurs, y compris par le socialiste François Mitterrand. Nous y perdrons la considération que nous avions sur la scène internationale et particulièrement notre capacité à être entendus dans un certain nombre de conflits, notamment au Proche et au Moyen-Orient. [...] "Pour tous ceux qui croient en la France et en la construction de l'Europe, cette décision de rejoindre l'Otan qui n'a été ni concertée, ni discutée, ni approuvée par les Français ou par le Parlement, constitue bien une véritable trahison". Alain Juppé, ancien Premier Ministre de Jacques Chirac, renouvelle lui aussi ses critiques en demandant si la France n'était pas en train de "faire un marché de dupes en rentrant sans conditions" dans le commandement de l'OTAN. Mais le plus farouche opposant à Droite est l'ancien Premier Ministre Dominique de Villepin. Pour lui, la France "va se trouver rétrécie sur le plan diplomatique" et sera plus vulnérable au terrorisme. "Alors que le Sud est en train de s'affirmer, dans un monde qui est en train de basculer, faut-il donner le sentiment de se crisper sur une famille occidentale ?", s'interroge-t-il. Comme François Bayrou, il estime que si la France avait été intégrée aux structures de commandement de l'OTAN en 2003, elle aurait été obligé de suivre les Etats-Unis de Geoorge W. Bush dans la guerre contre l'Irak.

3) Discours de Jaap De Hoop Scheffer, Secrétaire général de l'OTAN, devant les parlementaires français le 12 février 2009.
_______________
*http://www.republique-des-lettres.fr/journal.php

vendredi, 20 mars 2009

Sarkozy battles General De Gaulle's NATO retreat

sarkoOTAN.jpg

 

Sarkozy battles General de Gaulle's NATO retreat

16 March, 2009, http://russiatoday.ru/

French President Nicolas Sarkozy has gone against the late General Charles de Gaulle’s decision in 1966 to remove France from NATO, but that move promises to be something of a public relations disaster.

Intensive security measures are planned as tens of thousands of anti-NATO demonstrators plan to block the summit during the military organization’s 60th Anniversary conference in Strasbourg in April.

Sarkozy is pulled in different directions over reintegrating with the NATO military machine. He believes France needs US friendship to do business worldwide and wants to benefit from the US military umbrella. He has worked hard to overcome the violent hostility to France that dates back to the quarrel over the war in Iraq, which saw Americans pouring French wine into the Potomac River, but he also wants a European defence policy for Europe and does not want to follow the US into Vietnam style quagmire in Afghanistan.

Above all, the French want to keep their independence and have no intention of seeming to become the next British style US poodle. Yet much of the world sees NATO as the military arm of US foreign policy. Sarkozy thinks that he can achieve these contradictory aims from within the alliance but the result is that different levels of the French government are giving off conflicting messages.

The administration is playing up two opinion polls that show a small majority of French people in favour of reintegration. Much of the press have dutifully echoed the result. Little attention has been paid to the high figure of 21% of ‘don’t knows’. Equally the French press has ignored completely the Angus Reid poll that shows that only a tiny 12% of French people think that the engagement in Afghanistan boosted by Sarkozy, ‘has been mostly a success’ – the lowest figure for six comparable western European nations.

Read more

Faced with this President Sarkozy has appointed a personal envoy to Afghanistan and Pakistan, Pierre Lellouche. In so doing he reinforces France’s diplomatic presence in the region at a time when policy is under review by the United States and its NATO allies. The move follows similar appointments by Britain and Germany, which in turn were triggered by the appointment of the veteran diplomat Richard Holbrooke to head up a similar US diplomatic mission. For the moment, despite US pressure, there is no question of sending more troops.

It is likely that the appointment of Lellouche has been made after consultation with the Americans. His career path confirms this. He has close links with America and achieved a doctorate in law at Harvard University. In his political career he has specialised in foreign relations and in particular NATO. He is President of the French parliamentary delegation to NATO and was President of the NATO Parliamentary Assembly from 2004 -2006. Last year he conducted a cross-party parliamentary enquiry into conditions in Afghanistan. He worked with Holbrooke in Bosnia in the 1990s.

The importance of the appointment of Holbrooke, linked to that of his French, German and British counterparts, to a hard pressed President Obama is clear from the fact that it came only two days into his presidency. Any support for him by France is welcome. President Sarkozy has appointed an envoy very much to the taste of his allies and has talked of staying in Afghanistan ‘as long as is necessary’. However, in Washington, recently his Minister of Defence Hervé Morin put it differently:

“We will have to stay as long as is needed… Our aim is not to stay there for ever. That is what the President of the Republic has reminded us several times.”

And he went so far as to pose the question: “Why not set, quite rapidly, a date for the beginning of the withdrawal of the alliances forces?”

Lellouche himself was more blunt:

“It is right that we operate as co-pilots in the international strategy in Afghanistan. There must not be a repetition of unilateral excesses of the Bush era, which provoked a deep gulf between the United States and its NATO allies”.

He said that the French government would ‘test’ the dialogue proposed by President Obama. “Let us hope that it works. We will not stay in Afghanistan indefinitely”. He stressed that the conflict there “was a war and not an international police operation. The proof is that France spends nearly €200 million a year on its army in Afghanistan whilst spending only €11 billion on civilian aid”. He pin pointed the withdrawal of all but 7,000 US troops at the time of the invasion of Iraq in 2003, as the main cause of the deterioration of the allied position in Afghanistan. But he said “The game is not lost. Studies show that if there is a lack of support for the Karzai government, the people do not want a return to the rule by the Taliban.”

By fully rejoining NATO, France removes a thorn from the US diplomatic flesh and adds the full support of the world’s second biggest diplomatic service backed up by Western Europe’s only genuinely independent nuclear deterrent plus experienced and respected military forces. Even so, quite how much influence France will really have over policy in Afghanistan, with a total of only 3,300 troops deployed, remains to be seen. The United States now has 38,000 present with a further 15-30 thousand to arrive shortly.

The point is underlined by the announcement that French troops there are now to come directly under US command whereas before they operated as an independent unit. This will be grist to the mill of those in France who claim NATO reintegration means loss of national control. It will not help Prime Minister François Fillon, who after some hesitation, decided to call for a vote of confidence on the question in the French National Assembly. By putting the survival of the government on the line he will win easily and it gives him a chance to counter the arguments of those within his own party and in the opposition who oppose the move.

Despite this neat political manoeuvre, the reality is that the French President is confronted by real opposition from many in the French political class over NATO reintegration and in particular involvement in Afghanistan. They argue, often privately, that this is more a colonial war to control pipeline routes from central Asia to the sea coast of Pakistan than about democracy. Worse they suggest it may be an excuse to establish a long term presence in the region with no other real military aim.

They point to the coincidence that the US led invasion followed one month after the award by the Taliban government of a key energy contract to an Argentinean company rather than American Unocal and that before becoming President, Hamid Karzai was an oil consultant to Chevron in Kazakhstan. The same Afghan President requires a twenty four hour a day American body guard of over 100 men to stay alive, unlike his much criticised Communist predecessor.

They question why after seven years, the US security services that employ 100,000 people and spend an astounding $50 billion a year, cannot find Osama Bin Laden. They note that Afghanistan has become the world’s biggest producer of heroin under Western occupation.

Finally they do not think the war can be “won” in any meaningful sense. They echo the view of Canadian Prime Minister Stephen Harper, who told CNN:

“Quite frankly, we are not going to ever defeat the insurgency. Afghanistan has probably had – my reading of Afghanistan history is – it’s probably had an insurgency forever of some kind.” The Canadian parliament has voted to withdraw all troops by 2011.

Despite all this there are indications that President Sarkozy will eventually take the risk of sending more troops. Under the French constitution it is his decision alone, but this will not happen before the controversial NATO summit in Strasbourg in April and the vote in parliament. In any event he will do what he can to prevent the alliance from failing in Afghanistan because he believes that such an outcome would damage NATO credibility perhaps fatally. This is especially the case in the light of the recent humiliation of Western financial institutions.

All this leaves the United States and its NATO allies confronting the classic military dilemma well summarized by Winston Churchill over a hundred years ago:

“It is one thing to take the decision not to occupy a position. It is quite another to decide to abandon it once occupied.”

More troops may just make it possible in one form or another to ‘declare a victory and go home’ to the great relief of the French electorate and government. This process is likely to be accelerated by the bankrupt finances of the NATO governments.

Robert Harneis for RT

jeudi, 19 mars 2009

US uses Europe as a bridge-head to attack Eurasia

natob1.jpg

'US uses Europe as a bridge-head to attack Eurasia'

16 March, 2009, http://russiatoday.ru/

The world financial crisis is not just about money though it started on Wall Street, says Tiberio Graziani, editor of Eurasia magazine on geopolitical studies and author of many books on geopolitics.

RT spoke to Graziani in Rome.

RT: Governments worldwide are adopting protectionist measures. It affects all levels of society. In Italy we are seeing more support towards right wing anti-immigration policies. How can Italy and how can we all outlive the world financial crisis?

Tiberio Graziani: First of all, we should reflect on the motives of this financial crunch, which also affected production at an industrial level, first, in the United States and then in the entire Western system, constituted by a famous triumvirate: the US, Western Europe and Japan. This crisis has affected the whole world market. As for Italy, the effects have begun to show slightly later and, in my view, will become more pronounced during 2009 and in 2010.

Because the Italian economy is mainly based on small and medium enterprises, there’s no high concentration of industry, and therefore Italy tends to have more flexibility necessary to face and contain the crisis. Anyway, the crisis will be very deep.

We’ll be able to overcome a financial crisis if we operate in a continental geo-economic context. It means that we should look for recipes in which the economies of the emergent countries such as Russia, China and India are going to have their part. The crisis cannot be resolved only through national recipes or recipes created in Brussels by the European Union only.

RT: Lets talk about the recent gas crisis, Italy has been affected perhaps not as much as the Balkans and Eastern Europe, but still, it was among those taken hostage by it. The truth has been concealed. What is the real origin of the dispute?

T.G.: The origin of the gas dispute between Kiev and Moscow is actually a reflection of NATO enlargement in Eastern Europe as well as EU expansion into Eastern European countries. These two coinciding enlargements were seen in Moscow as a kind of aggression in its close neighbourhood.

This kind of enlargement began in 1989 after the fall of the Berlin Wall. From that moment the United States had decided to manage the whole planet. They chose Western Europe as a starting point to move in the direction of Russia and Central Asia, as it’s known that Central Asia has huge resources of gas and oil.

The US started to influence Warsaw block countries and some former Soviet states, such as Ukraine.

From 1990 Ukraine began to separate its geopolitical future from its natural location, or from Moscow.

If we analyze the so-called ‘Orange Revolution’, we’ll realize that behind these achievements of the so-called civil society of Ukraine were interests coming from across the Atlantic, from Washington. We mustn’t also forget about the influence of so called philanthropists such as George Soros not just in the destabilization of Ukraine, but also in the former Yugoslavian republics.

When Ukraine abandoned or tried to abandon its natural geo-political context, that of a privileged partner of Moscow, it’s evident that when it came to gas, Moscow tried to set market prices for it as Ukraine was no longer a privileged client but a customer like any other. Obviously gas prices went up affecting Europe because Ukraine's leaders lack sovereignty and are driven by other Western interests. Instead of looking for an economic agreement, as is usually done between sovereign countries, Ukraine aggravated the situation by siphoning off gas designated for European nations.

This true reason was neglected by the Eastern European press, including the Italian press. In the gas dispute, the majority of Italian journalists focused their attention not on its real causes, but on the deionization of the Russian government, saying that it had used geo-policy as a weapon in the gas issue, but President Medvedev and Prime Minister Putin were only applying market prices to normal economic transactions concerning gas.

RT: Ukraine is on the verge of default. Russia cannot possibly count on Ukraine paying market prices next year.

T.G.: I believe it’s possible to find an economic agreement. Moscow and Kiev can also negotiate possible discounts. I’d like to stress again that it’s not only a problem of economic transaction, export and import. It’s a geopolitical issue. It’s evident, if Ukraine chooses to set up a Western camp with Washington’s leadership, that’ll affect not only gas, but also other economic issues as well. Hence, I believe, it’ll be possible to find an economic solution, but resistance comes from Kiev, because it depends on Washington’s interests.

RT: While we’re focusing on Washington let's talk about US military bases on Italian soil, what is public opinion here?

T.G.: Most people are aware of the presence of military bases but they aren’t politically conscious. Thus, in the case of the enlargement of a military base in Vicenza, in the north of the country, the main argument was environmental. And the main motive was hidden as, in reality; this enlargement serves the US armed forces, as they’d have the opportunity of contacting a nearby military base, located in Serbia, which also depends on Washington. In future it’ll be possible to operate in border countries and in the Middle East, such states as Syria and Iran and to some extent Russia. The Yugoslavian nation, Serbia in this case, wasn’t chosen by chance, but because it has some cultural and ethnic similarities to Moscow.

RT: The gas crisis has strained Russia-EU relations, many EU states are already looking for alternative suppliers. Does Russia need to worry?

T.G.: No, I don’t think Russia should worry about it. I think every country should look for the best opportunities in the market concerning energy supplies and be self-sufficient. In a wider geo-political context of Eurasia I believe relations between Russia and Europe, between Russia and Italy should be based also on economic interests: exchanging new high technology, military technology, energy resources and, obviously, cultural relations.

I believe cultural relations between the European Union and Italy and, naturally, the Russian Federation should be strengthened.

After WWII, more than sixty years ago, these relations declined because they were undermined by the intellectual class of Europe which supported the Westernization or Americanization of European culture. If we compare European and Italian literature of recent years with the 1930s we’ll notice that many Italian writers use more incorrect language with many borrowed English words. It is a result of cultural colonization which Washington has been carrying out since WWII until today. It’s interesting to note that this tendency is also present in the countries of the former Soviet block.

RT: What is the general line of Italy towards Russia? Can Russians count on Italy to play a part in improving Russia-EU relations?

T.G.: Sure, naturally Italy along with other countries of the European Union is a potential partner ofI’d like to reiterate that in Italy there are more than 100 military sites depending on the US, which are part of the project of American influence and occupation of the entire European peninsula. Under such conditions there are certain limits for Italy and other countries to express their own interests in their politics and their economy. But it should also be acknowledged that in recent years the economic policy of President Putin before President Medvedev today has laid the ground for Italy to become a true partner of Moscow not only economically but also in politics and, in my view, in a military field as well. Italy is located in the Mediterranean area, and occupies an important strategic position. Besides, Italy’s central position is also vital at a geopolitical level. And it would be correct if it uses it for Eurasian integration.

I believe relations between Italy and Russia are improving, as Italian entrepreneurs are moving in the right direction, because they overcome limitations established by a political power which comes directly from Washington and London.

RT: You’re very critical of Washington, you portray the US almost as an imperial nation almost, but we hardly live in a unilateral world anymore.

T.G.: I’m very critical of Washington because it has included Europe in its own geopolitical space and looks on Europe only as a bridge-head to attack the whole Eurasian ground. It makes me critical, but, of course, the significance of the US should always be taken into account. And the US should also realize that its era as a superpower is over. At present, in the 21st century, on a geo-political level we have a multipolar system with Russia, China, India, the United States and some states in South America, which are also creating their own geo-political entity, I refer to Brazil, Argentina, Chile and Venezuela, and, obviously, Bolivia too. In particular, major liberties which these South-American countries enjoy can allow the European Union to leave the Western camp ruled by the US and Great Britain.

RT: You travel all over Europe’s hotspots and breakaway regions. You were monitoring the election in Transdniester. There is an island off the coast of Sardinia in Italy that’s just declared independence, they say inspired by Abkhazia and South Ossetia. Is there one universal formula on how to deal with separatism?

T.G.: These issues are absolutely different. In Sardinia there is a political movement of separatism, but this is a movement which a few years ago to those people who are in the government of Italy now. As for Transdniester, it’s necessary to view its situation from the geo-strategic point of view. The countries of Moldavia and Romania feel the weight of the United States and NATO. Transdniester is one of the so called frozen conflicts. I think Transdniester’s independence would be interesting, because in this case it’ll become an area the United States won’t be able to enter. It’ll be a territory of liberty from the Eurasian point of view, because Transdniester will have its sovereignty. I don’t analyze this republic judging it by its actual government. I only analyze its geo-strategic and geo-political situation. Thus, Transdniester is a republic, and it means that on its small territory there are no NATO bases.

 

mercredi, 18 mars 2009

Qu'est-ce que l'OTAN?

nato-otan.jpg
Qu'est-ce que l'OTAN ?
Ex: http://unitepopulaire.org/

A l’heure où le gouvernement de nos voisins français vient (une fois de plus) de renier son héritage gaulliste en réintégrant l’OTAN, il n’est pas inutile de se demander ce qu’est, en dernière analyse, cette sulfureuse Organisation du Traité de l’Atlantique Nord…

« L’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord (OTAN) n’est qu’un reliquat de la guerre froide ayant été créé le 4 avril 1949 afin de consacrer l’alliance défensive des pays de l’Ouest européen, des Etats-Unis et du Canada face à l’URSS et à ses satellites européens. Depuis 1991 et la dislocation de l’Empire soviétique, la Russie entretient des relations économiques assez intensifiées avec cette même Europe de l’Ouest en lui fournissant gaz, pétrole et autres matières premières. Cette coopération économique a créé un nouvel espace européen car elle a rapproché – au moins au niveau des échanges commerciaux et des flux financiers – ces divers partenaires européens (Russie d’une part, Europe de l’Ouest d’autre part) qui sont à présent devenus interdépendants. En dépit de cette intensification des relations ne justifiant plus un tel "club" comme l’OTAN associant une puissance non européenne (les Etats-Unis) dont la vocation est d’opposer un front commun à un autre Etat européen (la Russie), l’OTAN est de fait instrumentalisée par une administration américaine dont l’objectif est de maintenir le "protectorat" européen sous influence afin de conserver un des derniers attributs de son hyper puissance.

De fait, l’OTAN semble être un outil idéal à la disposition de la politique étrangère américaine. Effectivement, à présent que l’ONU accumule les échecs retentissants dans ce qui devrait être son rôle de maintien de la paix dans le monde, l’OTAN leur offre ainsi opportunément une plate-forme "légale" à même de justifier tous types d’opérations militaires à travers le globe. De surcroît, l’OTAN est un instrument nettement plus flexible que l’ONU, ce "grand machin" où il faut en permanence passer des compromis même si l’on dispose comme les Etats-Unis du droit de veto... La logique est donc simple et compréhensible : réorienter la mission de l’OTAN tout en l’élargissant afin que cet instrument flexible serve au mieux les intérêts de la politique étrangère américaine. […]

McCain, mais également Obama se révèlent être d’ardents défenseurs d’un interventionnisme militaire américain hors de leurs frontières. Ne sont-ils pas en matière de politique étrangère tous deux conseillés par des spécialistes étiquetés "néo-cons"... ? Ainsi, John McCain prône-t-il une "Ligue des démocraties", concept "néo-con" pur jus visant à amoindrir encore plus et de facto l’ONU afin de placer les Etats-Unis au centre d’une nouvelle alliance où ils règneraient quasiment sans partage. Quant au démocrate, ne soutient-il pas des actions militaires multilatérales hors de son pays et intervenant dans des conflits régionaux, pour "raisons humanitaires", même s’il faudra pour cela se passer de l’aval des Nations unies ? […] Lord Ismay, premier secrétaire général de l’OTAN avait déclaré, il y a près de soixante ans, que l’objectif de son organisation était de "maintenir les Russes à l’extérieur et les Américains à l’intérieur". Il semble qu’en dépit des bouleversements majeurs survenus depuis cette période, certains n’aient rien appris. »

 Michel Santi (Genève), "L’OTAN, Instrument des Etats-Unis", Agoravox, 2 septembre 2008 

jeudi, 12 mars 2009

La fin de la singularité française dans l'OTAN

jpg_jpg_otan.jpg

 

La fin de la singularité française dans l'Otan

La France doit-elle reprendre « toute sa place » dans l'Otan en retournant dans son commandement intégré, qu'elle avait quitté en 1966 ? Ou doit-elle conserver sa position actuelle, présente dans l'organisation, militairement engagée dans des opérations au Kosovo et en Afghanistan sous drapeau otanien mais sans participer à ses organes de commandement pour maintenir son autonomie de décision ? Le débat fait - du moins en apparence - rage dans la classe politique française. Dans quelques semaines, le sommet de Strasbourg et Kehl des 3 et 4 avril prochain, doit en principe célébrer le soixantième anniversaire de l'organisation qui, paradoxalement, a survécu au décès du Pacte de Varsovie et l'annonce du retour complet de l'enfant terrible français au sein de sa « famille » euro-atlantique.

Ce dernier geste, très attendu aussi bien à Washington qu'à Berlin, est pourtant, en grande partie, symbolique. Certes, la France pourrait obtenir deux commandements : l'un basé à Norfolk en Virginie (Etats-Unis) chargé de la conduite des transformations de l'alliance, et un autre à Lisbonne, qui accueille le QG de la force de réaction rapide (Nato Response Force, ou NRF). Le dossier n'est cependant pas totalement bouclé, car ce retour signifie une très forte augmentation du nombre d'officiers français à l'Otan et, donc, d'une réduction concomitante des contingents britannique et allemand. Et l'assentiment des 25 autres alliés. Si tous les feux verts sont obtenus, cette montée en puissance pourrait s'étaler sur trois à quatre ans.

Mais au-delà de caractéristiques techniques, ce retour scelle avant tout, symboliquement, le dernier maillon d'un rapprochement avec l'Amérique et la communauté atlantique, amorcé par Jacques Chirac. Car depuis 1995 la France, et cela en dépit de la violente controverse sur l'Irak avec George W. Bush, a déjà fait une grande partie du chemin en acceptant de participer à des missions militaires et en devenant l'un des principaux contributeurs de forces, notamment au sein de la NRF. Au lendemain des attaques terroristes du 11 septembre 2001, la France n'avait d'ailleurs pas hésité à se ranger du côté de tous les alliés pour évoquer la clause de solidarité collective avec les Etats-Unis, selon laquelle une attaque contre l'un des membres est une attaque contre tous.

Mais ce sont souvent les symboles qui sont le plus sujets à polémique, surtout lorsqu'ils touchent à des concepts comme l'indépendance de la politique étrangère de la France et sa souveraineté. Des concepts qui étaient d'ailleurs au coeur de la décision du général de Gaulle dans sa lettre du 7 mars 1966 au président américain Lyndon Johnson. Pour la France, il s'agissait alors « de recouvrer sur son territoire l'entier exercice de sa souveraineté, actuellement entamée par la présence permanente d'éléments militaires alliés ». Ce qui avait conduit notamment à l'évacuation des états-majors de l'Otan de Versailles et Fontainebleau un an après. Mais Paris avait d'autres soucis : conserver toute son autonomie de décision sur la force de frappe nucléaire six ans après la première explosion d'une bombe atomique française et refuser de suivre les Etats-Unis dans toutes leurs aventures militaires à l'étranger. Cela au moment même où ils s'engageaient lourdement dans la guerre du Vietnam.

Aujourd'hui, le contexte a profondément changé. D'une part, le monde n'est plus divisé en deux blocs. C'est d'ailleurs aussi pour se placer en dehors de cette politique de blocs et à un moment où s'amorçait une certaine détente que le général de Gaulle avait choisi de se retirer du commandement intégré, lui ouvrant ainsi la voie à un dialogue avec l'URSS et la Chine. La fin de la Guerre froide - et en dépit des nouvelles tensions avec la Russie - a une autre conséquence : celle d'avoir mis un terme à l'équilibre de la terreur entre les deux blocs par le feu nucléaire. Ce qui réduit évidemment la portée de la question de l'autonomie de la force de frappe nucléaire française vis-à-vis de l'Amérique.

Pourtant, il ne faut pas se faire d'illusions. Le retour total dans l'Otan de la France soulève au moins deux autres interrogations : quid de l'Europe de la défense ? Certes, tout est fait pour expliquer que les Américains reconnaissent enfin cette dimension européenne, mais elle restera un élément complémentaire de l'organisation atlantique, et non « autonome ». L'autre question est très simple. Le président Barack Obama ne peut que se féliciter du choix de Nicolas Sarkozy, car ce qu'il souhaite aujourd'hui le plus de la France comme de tous ses alliés, c'est l'envoi de troupes supplémentaires de leur part en Afghanistan. Il s'agit de savoir si alors Paris pourra lui dire « non ». Le mur de Berlin est tombé. La singularité française est en train de suivre. Mais jusqu'à quel point ?

Jacques HUBERT-RODIER

Source : LES ECHOS

mardi, 10 mars 2009

P. Quilès: le retour de la France dans le commandement militaire intégré de l'OTAN est inutile et dangereux

Paul Quilès : Le retour de la France dans le commandement militaire intégré de l'OTAN est inutile et dangereux

quilès2.jpgLe 7 mars 1966, le général de Gaulle retirait la France du commandement militaire intégré de l'OTAN, c'est-à-dire des comités et des groupes où prenait corps l'intégration des forces armées des pays de l'Alliance atlantique. Les forces françaises étaient déliées des contraintes de la planification militaire commune et n'avaient plus à occuper des positions prédéterminées dans le dispositif de défense allié. Notre pays restait cependant tenu par les obligations de l'article 5 prévoyant une clause d'assistance mutuelle en cas d'agression.

Durant les années 90, si la France a réintégré le comité militaire, où se réunissent les ministres de la défense des pays membres de l'Alliance, elle est restée à l'écart de trois structures :

- le comité des plans de défense, où s'élabore la planification de défense, c'est à dire les objectifs de forces à atteindre en fonction des missions et des scénarios ;

- le commandement militaire permanent intégré, qui comprend la chaîne de commandement permanente et où s'élabore la planification opérationnelle ;

- le groupe des plans nucléaires, où les pays non‑nucléaires sont informés de la politique nucléaire suivie par les Etats‑Unis et la Grande Bretagne dans le cadre de l'OTAN.

Ce qui est annoncé aujourd'hui, c'est le retour dans ces organisations, à l'exception du groupe des plans nucléaires. Déjà en 1997, J. Chirac avait tenté sans succès cette opération, les Américains refusant de céder à un général français le commandement opérationnel de Naples.

Pour justifier son choix du retour dans le commandement militaire intégré, N. Sarkozy invoque trois arguments :

1- L'influence de la France ne serait pas à la hauteur de son engagement militaire et financier et ce retour lui permettrait de gagner de l'influence, notamment pour transformer et « européaniser » l'Alliance.

Il se trouve que l'influence dans l'Alliance est liée aux capacités militaires et non au statut par rapport au commandement militaire intégré. On l'a vu en 1999, lorsque, au moment du conflit du Kosovo, la France avait plus de poids que l'Allemagne dans les décisions prises par l'Alliance.

Quant au poste de « commandant suprême allié transformation », envisagé pour la France, il peut sembler prestigieux, mais il est dans les faits secondaire. Localisé à Norfolk, en Virginie, actuellement occupé par un général américain, il a pour mission de faire évoluer le dispositif militaire de l'Alliance, pour le rendre apte à des opérations lointaines, mais ce n'est pas un commandement opérationnel. En réalité, ce sont les Etats-Unis qui détiennent l'essentiel de l'expertise et du pouvoir de décision en matière de réorganisation des forces et d'actualisation des doctrines militaires dans l'OTAN, ce qui explique la localisation de ce commandement.

Le commandement opérationnel suprême est détenu par le Saceur, dont personne n'envisage qu'il soit détenu par un autre militaire que le commandant des forces américaines en Europe. Son adjoint, le deputy Saceur, a une mission importante, puisqu'il commande les opérations de l'Europe de la défense, quand l'UE fait appel aux moyens de l'OTAN en activant les accords dits « Berlin plus », mais il est traditionnellement britannique ou allemand, par rotation. En dessous de ces commandements, on trouve celui de Brunssum, également britannique ou allemand, et surtout celui de Naples, traditionnellement dévolu aux Américains, qui conduit les opérations en Méditerranée orientale, c'est à dire en direction du Proche-Orient. C'est celui de Lisbonne, d'importance nettement moindre, qui reviendrait à un Français.

La véritable question n'est pas celle de l'influence dans l'OTAN, mais celle de la capacité d'influencer les Américains pour faire évoluer l'OTAN, ce qu'ils n'ont pas fait depuis 1989, en maintenant une structure très lourde de 15 000 militaires. Quant à espérer influencer le processus de planification de défense, c'est tout simplement illusoire, parce que cette planification est en fait dictée par la doctrine d'emploi de l'armée américaine. L'européanisation de l'Alliance est donc un leurre, à l'image de la politique pratiquée par Tony Blair, qui a échoué, alors que celui-ci pensait influer sur la politique des Américains en étant leur allié le plus fidèle.

2 - le retour dans le commandement intégré serait une condition posée par nos partenaires européens pour faire progresser l'Europe de la défense.

N. Sarkozy a annoncé ce retour de manière implicite lors du « discours aux ambassadeurs » en août 2007. Depuis lors, tous nos partenaires considèrent que la décision est prise et qu'il n'est donc pas nécessaire de faire des concessions à la France pour ce qui concerne la défense européenne.

C'est pour cela que la France n'a pas pu obtenir la création d'un état-major de commandement permanent pour la PESD (politique européenne de sécurité et de défense), à laquelle se sont opposés les Britanniques. Sans cet état-major, la défense européenne n'a pas d'autonomie et dépend de la planification et des moyens collectifs de l'OTAN pour les opérations lourdes. Depuis lors, les Britanniques essaient de pousser l'idée d'une harmonisation des planifications de défense de l'OTAN et de la PESD, ce qui enlèverait toute autonomie et donc tout intérêt au processus de construction de l'Europe de la défense.

Au total, on voit que la perspective de retour de la France dans l'OTAN, loin de renforcer la PESD, l'a affaiblie et peut être même compromise définitivement.

3 - Le retour dans le commandement intégré serait un gage de la réconciliation transatlantique et permettrait à la France d'établir avec les Etats-Unis des relations de meilleure compréhension, dans le respect des intérêts de chacun.

Militairement parlant, ce retour n'a pas d'importance. Quand la France participe à une opération, des officiers français sont intégrés dans les chaînes de commandement opérationnel.

Politiquement parlant, il n'en va pas de même. L'appartenance au commandement intégré introduit une présomption de disponibilité des forces françaises « assignées » à l'OTAN. Pour une mission militaire donnée, la participation française sera supposée acquise et le rôle du contingent français largement prédéterminé. La capacité de la France à infléchir la conduite de la mission -dans une interposition au Proche-Orient, par exemple- serait réduite d'autant. On ne voit pas en quoi cette situation réduirait les « malentendus transatlantiques ».

Symboliquement surtout, l'effet serait considérable. Jusqu'ici, le statut spécifique de la France dans l'OTAN était vu, notamment dans les pays arabes, comme le symbole d'une certaine indépendance de la France par rapport aux Etats-Unis et comme la preuve d'une volonté d'autonomie de la PESD. Cette perte d'image risque donc d'affaiblir la France et l'Europe et de déséquilibrer davantage encore la relation transatlantique.

Faire le pari d'une rupture majeure de la politique étrangère des Etats-Unis, qui laisserait plus d'autonomie à l'Europe et s'engagerait vers un multilatéralisme de compromis, est hasardeux. Rien n'indique que la nouvelle administration américaine ait décidé de renoncer aux privilèges de son « leadership ». Tout en promettant les plus larges consultations au sein de l'Alliance, le Vice-président Biden ne vient‑il pas de déclarer à Munich que « les Etats-Unis agiraient en partenariat chaque fois qu'ils le pourraient, mais seuls quand ils le devraient » ? Quant à la mission de l'OTAN en Afghanistan, s'il paraît aujourd'hui acquis que les Etats-Unis demanderont aux Européens d'y contribuer plus largement, il ne semble pas qu'ils envisagent de les associer davantage aux décisions essentielles. En revenant dans les structures intégrées de l'OTAN, la France ne serait pas dans la meilleure position pour faire prévaloir, conjointement avec ses partenaires européens, les voies d'une solution politique au conflit afghan, si jamais les Etats-Unis espéraient venir à bout de la rébellion en ayant principalement recours à l'action militaire.

La décision de N. Sarkozy est donc dangereuse, parce que porteuse de risques pour la qualité des relations transatlantiques. Elle est de plus inutile, alors même que le statut de la France dans l'OTAN était accepté par les Etats-Unis et ne nuisait en rien à la relation franco‑ américaine.

Paul Quilès

Ministre socialiste de la Défense (1985-1986)

Président de la Commission de la défense nationale et des forces armées de l'Assemblée nationale (1997-2002)

vendredi, 06 mars 2009

Retour dans l'OTAN: Bayrou réclame un référendum

Retour dans l'Otan : Bayrou réclame un référendum

Le président du Modem François Bayrou a déclaré ce dimanche, lors du lancement de sa campagne pour les européennes, que le projet de réintégrer la France dans l'Otan, serait une "défaite" pour la France et l'Europe. Il juge que c'est aux Français de trancher cette question.

BAYROU.jpgFrançois Bayrou, président du Mouvement Démocrate (MoDem), a qualifié dimanche 8 février de "défaite" pour la France et pour l'Europe le projet de réintégration de la France dans le commandement de l'Otan, défendu par Nicolas Sarkozy, jugeant qu'un tel sujet exigeait un référendum.

Tout comme l'ancien premier ministre Dominique de Villepin, François Bayrou se dit opposé au retour de la France dans le commandement de l'Otan. Lors d'une conférence nationale du MoDem à Paris, il a demandé que le choix qui avait été fait en 1966 par le général de Gaulle, de quitter la structure militaire intégrée de l'Alliance atlantique, "ne soit pas bradé, pas jeté aux orties".

Une réintégration serait "un aller sans retour", a-t-il prévenu. "Parce qu'il n'est pas imaginable qu'un grand pays comme le nôtre, à chaque alternance, entre et sorte du commandement intégré".

"Un tel choix, aussi lourd, ne peut pas se faire par les autorités politiques seules, encore moins par le président de la République. Ce choix ne peut se faire que par un référendum du peuple français", a déclaré M. Bayrou, interrogé par la presse à l'issue de la réunion.

"C'est un changement de cap radical, qui porte atteinte au patrimoine historique et diplomatique de la France, et un tel choix ne peut pas se faire en catimini, simplement par entente au sein d'une majorité passagère. Il faut que ce soit une décision majeure du peuple français", a-t-il ajouté.

En réintégrant cette structure, "nous lâchons la proie pour l'ombre", a également déclaré M. Bayrou à la tribune. "En nous alignant, nous abandonnons un élément de notre identité dans le concert des nations, y compris dans le concert des nations européennes".

"C'est une défaite pour la France", et "c'est une défaite pour l'Europe", a-t-il affirmé. "Nous abandonnons une part de notre héritage, et nous l'abandonnons pour rien".

"Quand on est intégrés, on ne compte plus", a assuré le député des Pyrénées-Atlantiques. "On peut être indépendants en étant alliés, on ne peut pas être indépendants en étant intégrés".

L'ex-candidat à la présidentielle s'en est pris également au ministre de la Défense Hervé Morin, qui fut un de ses lieutenants du temps de l'UDF.

"Il a dit : 'il faut arrêter de barguigner'. Et il a ajouté: 'notre position d'indépendance aujourd'hui, elle est purement symbolique'", a cité M. Bayrou. "Innocent !" s'est-il exclamé. "On peut en dire des bêtises, en deux phrases!".

Le président Nicolas Sarkozy a fait un nouveau pas samedi, devant la conférence sur la sécurité de Munich (sud de l'Allemagne), vers un retour complet de Paris dans l'Otan. 

Source : L'EXPRESS

 

mardi, 03 mars 2009

La mort du leadership américain

Un pays discrédité et en faillite/La mort du leadership américain

ex: http://polemia.org/ 

Une fois encore, Paul Craig Roberts présente une analyse pessimiste sur l’avenir américain. Il ne voit pas comment les Etats-Unis retrouveraient leur leadership et il ne peut s’empêcher d’observer l’ancien rival pour se demander si le monde n’assiste pas à l’avènement d’une nouvelle ère « Poutine ». Polémia

Un nombre incroyable de personnes, aux Etats-Unis et à l’étranger, espère que le Président Obama mettra fin aux guerres illégales de l’Amérique, qu’il mettra un terme au soutien de l’Amérique aux massacres de Libanais et de Palestiniens commis par Israël et qu’il punira, au lieu de les récompenser, les banquiers gangsters (ou les « banksters escrocs »), dont les instruments financiers frauduleux ont détruit l’économie et imposé une souffrance massive à tous les gens dans le monde. Si les nominations d’Obama sont une indication, tous ces gens qui espèrent vont être déçus. (…)

Ce qui est décourageant est le fait que, même confronté à une crise économique et à une crise de politique étrangère, le système politique américain est incapable de produire le moindre leadership. Nous nous trouvons dans la pire crise économique de toute une vie, peut-être de notre histoire, et à la veille d’une guerre au Pakistan et en Iran, alors que la guerre en Afghanistan s’escalade. Et tout ce que nous obtenons est un gouvernement constitué de ces mêmes personnes qui nous ont amenés ces crises.

L’ère du leadership américain est révolue. Le système financier d’escrocs de l’Amérique a plongé le monde entier dans la crise économique. Les guerres d’agression de l’Amérique sont vues comme servant d’autres buts, comme l’enrichissement des industries militaires associées à Dick Cheney. Le monde est à la recherche d’un autre leadership.

Vladimir Poutine a bien joué à Davos pour endosser ce rôle. Son discours, lors de la cérémonie d’ouverture, était le plus intelligent de tout l’évènement. Poutine a rappelé au Forum Economique Mondial que les délégués américains qui s’exprimaient depuis cette tribune, il y a tout juste un an, avaient insisté sur la stabilité fondamentale de l’économie américaine et ses perspectives limpides. Aujourd’hui, les banques d’investissement, la fierté de Wall Street, ont virtuellement cessé d’exister. En 12 mois exactement, elles ont publié des pertes excédant les profits qu’elles ont réalisés au cours des 25 dernières années

Poutine a défendu l’idée selon laquelle le système financier existant, basé sur le dollar et l’hégémonie financière américaine, avait échoué.

Poutine a démontré que sa compréhension de l’économie était supérieure à celle de l’équipe d’Obama, lorsqu’il a déclaré que créer plus de dettes venant s’ajouter à des « dettes inextricables », comme le fait Obama, « prolongerait la crise ».

Dans une autre pique visant le leadership économique raté de l’Amérique, Poutine a déclaré qu’il est temps de se débarrasser de l’argent virtuel, des faux rapports financiers et des notations de crédit douteuses. Poutine a proposé un nouveau système de devise de réserve pour « remplacer le concept mondial unipolaire obsolète. » Poutine a dit qu’un monde en sécurité nécessitait la coopération, qui elle-même nécessite la confiance. Il a bien fait comprendre que les Américains avaient prouvé qu’on ne peut pas leur faire confiance.

Ce fut un message puissant qui a été beaucoup applaudi..

Par Paul Craig Roberts
CounterPunch, 3 février 2009
article original : "The Death of American Leadership"
Traduction : [JFG-QuestionsCritiques]
http://questionscritiques.free.fr/

Correspondance Polémia
12/02/09

lundi, 23 février 2009

Le secret américain de Nicolas Sarközy

sarkozy-puissance.jpg

Le secret américain de Nicolas Sarkozy

 

Par Philippe Bourcier de Carbon*

Ex: Journal du chaos 7, 2009

Dans les coulisses du pouvoir, il y a ceux mis au devant de la scène, ceux qui restent dans l’ombre
et, surtout, ceux des tréfonds que nul n’entrevoit jamais. Qui connaît Frank George Wisner ? Ce
senior américain, diplomate et homme de réseaux, pourrait bien être la clé pour expliquer
l’ascension fulgurante de Nicolas Sarkozy. Le chef de l’Etat français bénéficie là du meilleur
conseiller occulte pour jouer un rôle dans la marche du monde. A condition que le Président
continue de servir avant tout les intérêts de l’Empire américain, que celui-ci soit dirigé par Bush ou
Obama.

« Un néoconservateur américain à passeport français » : la formule cinglante d’Eric Besson au sujet de
Nicolas Sarkozy, formulée en vue de la campagne électorale de 2007, demeure d’une lucidité
implacable. Le nouveau ministre chargé de l’immigration n’ira sans doute plus remettre en question
le patriotisme de son mentor. Il n’en demeure pas moins que le mystère du succès rapide dans la
conquête du pouvoir suprême par Nicolas Sarkozy passe par l’analyse de son rapport personnel
aux Etats-Unis.

A cet égard, le destin peut s’avérer facétieux lorsqu’il veut avantager un jeune ambitieux désireux
d’atteindre les sommets. C’est vers la fin des années 70 que le jeune loup du RPR saura tirer profit
d’une fortune incomparable : le remariage de sa belle-mère, Christine de Ganay, avec un
personnage prometteur de la vie politique américaine, Frank George Wisner.

Celui-ci avait déjà hérité d’une charge lourde : le patronyme et la carrière sulfureuse d’un homme
exceptionnel, dans ses coups d’éclat comme dans sa folie, Frank Gardiner Wisner (1909-1965),
cofondateur de la CIA. Le père Wisner, impliqué dans les renversements du pouvoir au Guatamala
et en Iran, restera célèbre pour l’opération Mockingbird (un noyautage réussi des médias
américains par des agents de la CIA), avant de se suicider en 1965, victime de démence. Né en
1938 à New York, diplômé de Princeton, le jeune Frank George ne marchera pas exactement dans
les pas de son père mais suivra plus habilement un tracé parallèle : la diplomatie, dont on connaît
les passerelles avec le monde de l’espionnage. Il apprendra ainsi l’arabe au Maroc dans son
détachement effectué pour le compte du Département d’Etat avant un bref passage par Alger
après l’indépendance et un long séjour au Vietnam. De retour à Washington en 1968, il sera chargé
des affaires tunisiennes. Plus tard, après la spécialisation dans les questions asiatiques et arabes,
Frank George Wisner exerça le poste d’ambassadeur en Zambie, en Egypte, aux Philippines et en
Inde.

Derrière ces honorables activités, qui ont culminé par un poste de sous-secrétaire d’Etat sous
Clinton et, plus récemment, dans sa médiation pour la Troïka dans le règlement de la crise au
Kosovo, Frank G. Wisner demeure, selon ses détracteurs, la clé de voûte dans l’exécution de
l’espionnage économique pour le compte de la CIA. Mieux encore, l’homme est la caricature du
personnage multicartes et influent, présent dans tous les centres réels ou fantasmés du pouvoir
parmi lesquels les fameux Council on Foreign Relations ou le groupe Bilderberg. Mais c’est en 1997
qu’un tournant s’opère : après avoir longtemps manoeuvré dans le monde feutré de la diplomatie et
des renseignements, Wisner se risque à mélanger encore plus les genres en rejoignant, au sein de
son conseil d’administration, l’entreprise Enron, la célèbre compagnie énergétique qui fera scandale
quatre ans plus tard et dont la gigantesque fraude en Californie, portant sur des milliards de
dollars, ne sera jamais exactement détaillée, « grâce » à la disparition des milliers de pages
caractérisant la fraude fiscale dans la destruction des bureaux de la SEC, gendarme américain des
opérations boursières , lors de la chute de la Tour 7 du World Trade Center.

Ironie du sort, ou étrange coïncidence, la sécurité de ce gratte-ciel (effondré alors qu’il ne fut pas
percuté par un avion en ce jour du 11 Septembre 2001) relevait de la compagnie Kroll Associates,
qui appartenait alors à l’AIG, assureur dont Wisner est le vice-président . S’il est vrai que les
entreprises prestigieuses sont souvent interconnectées de par leurs administrateurs, il est notable
de constater la récurrence curieuse de Wisner dans les anomalies du 11 Septembre. Ainsi, pour
résumer, l’homme, spécialiste du monde musulman et de l’espionnage économique, responsable
haut placé de Enron et de l’AIG, échappe à toute poursuite judiciaire lors du scandale Enron, jamais
complètement décrypté de par la destruction des détails compromettants lors de la chute
controversée d’un immeuble du World Trade Center qui abritait également, autre heureuse
coïncidence, les bureaux de la CIA dédiés précisément à l’espionnage économique…
Quel rapport dès lors entre ce personnage sulfureux et Nicolas Sarkozy, mis à part le lien familial
d’antan ?

A priori, il serait logique de présumer que le temps et la distance géographique auront
naturellement creusé le fossé entre le chef de l’Etat et la famille de l’ancienne belle-mère. Il n’en est
rien. Pour preuve, la campagne électorale de l’UMP qui a porté triomphalement au pouvoir, et dès
la première tentative, Nicolas Sarkozy, disposait dans ses rangs d’un acteur discret, responsable de
la section anglophone, mais dont le nom est suffisamment éloquent : David Wisner. Celui-ci semble
également reprendre le flambeau de la lignée Wisner puisqu’il a intégré le Département d’Etat en
septembre dernier, après des études d’arabe.

Et au-delà du légitime renvoi d’ascenseur du chef de l’Etat envers le fils de son parrain d’outreatlantique,
un autre fait passé inaperçu mérite d’être évoqué, non comme la preuve mais plutôt
comme l’indice de la volonté présidentielle d’occulter l’existence et les agissements troubles de
Wisner. S’il s’avère à l’avenir que les fameux délits d’initiés opérés à la veille du 11-Septembre ont
été le fait de citoyens américains avertis, dont le point commun serait d’être à la jonction du
renseignement et de la finance, alors il ne serait guère étonnant de voir figurer sur la liste de ces
personnes au vent d’un « attentat terroriste imminent » un certain Frank George Wisner. Outre
qu’il ait bénéficié de la destruction du dossier fiscal Enron tout en étant dans le même temps
responsable de la sécurité du World Trade Center via Kroll Associates ( détenue par AIG), une
réçente réaction de Nicolas Sarkozy pourrait laisser penser que le silence en la matière doit
s’imposer.

En effet, selon le Canard Enchaîné du 24 septembre 2008, le Président avait vivement critiqué le
Pdg de la chaîne info internationale, France 24, pour avoir organisé un débat sur la « théorie du
complot » autour du 11-Septembre. Cette réaction de Nicolas Sarkozy pourrait prêter à sourire si
elle venait simplement confirmer sa propension légendaire à tout régenter, y compris la
programmation audiovisuelle. Mais compte tenu de l’implication éventuelle d’un de ses proches
dans les coulisses logistiques et financières de l’attentat du World Trade Center, la colère
présidentielle prend une tout autre tournure. De par le signal qu’il envoie ainsi aux journalistes
mainstream tentés d’évoquer à l’antenne la question des zones d’ombre du 11-Septembre, le
message relève plus de la censure tacite d’un sujet grave que de l’irritation d’un téléspectateur
capricieux. Sans aller jusqu’à faire de Wisner un des instigateurs du 11-Septembre, il est plus
vraisemblable de supposer que sa position et ses relations l’ont idéalement avantagé pour faire

partie de ceux à avoir, « au mieux » anticipé l’événement, au pire participé par une quelconque
assistance matérielle, en l’occurrence la mise à disposition de la gestion de la sécurité électronique
des 3 tours effondrées, de par l’implosion de bombes pré-installées selon certains scientifiques
spécialistes de la démolition contrôlée.

Au-delà des inévitables spéculations sur le rôle exact de Wisner dans l’opération à multiples
facettes du 11-Septembre, force est de constater que l’homme dispose des diverses relations
accumulées depuis près de 50 ans dans les élites dirigeantes des Etats-Unis et les cercles
internationaux pour pouvoir, si besoin est, favoriser le jeune politicien impétueux que son épouse
française affectionne. Nicolas Sarkozy doit beaucoup à Jacques Chirac pour son maillage lent et
progressif du corps électoral français. Il doit sans doute davantage encore à Frank George Wisner
pour avoir obtenu l’assentiment et la faveur de l’hyper-puissance occidentale.
Les parrains occultes du Président et méconnus du citoyen sont souvent les plus redoutables.

* Philippe Bourcier de Carbon est démographe à l'Ined (Institut national des études démographiques).

mercredi, 11 février 2009

Retour de la France au sein de l'OTAN: Ankara étudie la demande française...

PlantuSarkozyTurquie.jpg

Retour de la France au sein de l’Otan : Ankara « étudie avec circonspection » la demande française… : "Dans sa décision de réintégrer le dispositif militaire de l’Alliance atlantique, Sarkozy n’avait sans doute pas prévu qu’il devrait recevoir le blanc-seing de la Turquie… Par la voix de son ministre des affaires étrangères, Ali Babacan, le gouvernement turc vient en effet de déclarer qu’il est « toujours en train d’évaluer » la demande française de retour dans le commandement de l’Organisation. « Les modalités (d’un retour de la France) sont en train d’être discutées au sein de l’Alliance atlantique. Est-ce qu’il y aura un vote (des pays membres) ou pas, on ne le sait pas encore », a expliqué M. Babacan samedi à la presse turque. Il a précisé que le retour de la France dans l’alliance occidentale « est plutôt une affaire politique que légale. La plupart des alliés de l’Otan y voient une décision positive, mais nous sommes toujours en train de l’évaluer », laissant entendre que gouvernement turc pourrait s’y opposer si Paris continuait de freiner l’entrée d’Ankara dans l’UE. Soucieux d’engranger les voix du camp national, Nicolas Sarkozy avait fait du non à l‘entrée de la Turquie dans l’UE l’un des thèmes de sa campagne pendant la présidentielle de 2007, prônant à la place un « partenariat spécial », dont Ankara ne veut pas entendre parler. Pendant sa présidence tournante de six mois, de juillet à décembre 2008, le président français avait néanmoins accepté d’ouvrir deux nouveaux chapitres de la candidature de la Turquie, portant leur nombre à 10 (sur 35). Un geste considéré comme tout à fait insuffisant par la partie turque, qui, réponse du berger à la bergère, pourrait s’opposer aux demandes françaises de réintégrer le commandement militaire de l’Otan…" Source

dimanche, 07 décembre 2008

Occidentalisme

BurumaOccidentalisme.jpg

 

Occidentalisme

Gevonden op: http://yvespernet.wordpress.com

Een paar dagen geleden heb ik nieuwe aankopen gedaan in De Groene Waterman. Één van mijn aankopen was het volgende boek: “Occidentalisme: het Westen in de ogen van zijn vijanden” van Uitgeverij Olympus. Autheurs zijn Ian Buruma en Ashivai Margalit. Het geeft een interessante kijk op de vijandige denkwijzes tegenover het Westen. Van de anti-modernistische conferentie van Kyoto van 1942 tot en met het huidige islamisme. Ook het stuk over het verschil in denkwijze, en de onmogelijkheid om elkaar te verstaan, tussen de Russisch-Orthodoxen en de Amerikaanse protestanten is interessant. Het geeft ook goed weer hoe de aanslagen van 11 september 2001 enorme hoeveelheden symboliek met zich meedroegen.

Ook de afkeer van traditionalisten en anderen tegenover steden komt uitgebreid aan bod, met vaak verrassende citaten en anekdotes tot gevolg. Op pagina 30 bijvoorbeeld:

Friedrich Engels zag iets ‘afstotelijks’ in de stedelijke massa’s van Manchester en Londen, ‘iets waartegen de menselijke natuur rebelleert’. De stad is waar mensen van ‘alle rangen en standen langs elkaar heen drommen’, lukraak, willekeurig en vooral onverschillig”.

Een visie die ook gedeeld wordt T.S. Eliot die in zijn poëzie uithaalde tegenover de goddeloosheid van de steden. Maar ook een Sayyid Qutb, islamitisch denker, die in 1948 New York bezocht, vond de steden een afgrijselijk iets. Hij nam aanstoot aan “de atmosfeer van verleiding, de schokkende sensualiteit van het dagelijks leven en het onbetamelijke gedrag van Amerikaanse vrouwen” (pagina 36).

Een rode lijn in het boek is de clash tussen de traditionalisten, ongeacht hun culturele en religieuze achtergrond, die de “modernisten” hoogmoed verwijten. Steden worden beschouwd als plaatsen van verderf, waar de islam ze in het verleden als bakens van kennis tenmidde van woestijnen nomadische onwetendheid zag, de hoogmoed en speculatiedrang van handelaars op de beurs wordt verworpen. Wat de modernisten achterlijkheid noemen, zal door de traditionalisten als een rijkdom worden gezien. Het boek is ook een aanrader omdat het de dingen wat in perspectief zet, wat zeker nodig als men de aanslagen in Mumbai e.d. in perspectief wilt plaatsen.

Ik raad het boek dan ook zeer aan, voor de prijs (€10) moet je het alvast niet laten!

jeudi, 06 novembre 2008

Euro-mondialisme; Kouchner pour un partenariat tous azimuts avec les Etats-Unis

Ces 2 révolutionnaires d'opérette, à l'aise dans les lambris dorés des ministères ou des assemblés, sont d'authentiques néo-conservateurs américanolâtres

Ces deux révolutionnaires d'opérette, à l'aise dans les lambris dorés des ministères ou des assemblées, sont d'authentiques néo-conservateurs américanolâtres

Euro-mondialisme: le néo-conservateur Kouchner prône un renforcement du partenariat dans tous les domaines avec les USA

Ex: http://www.nationspresse.info

Le lundi 3 novembre, 27 ministres des Affaires Étrangères de l’Union Européenne se sont réunis à Marseille afin d’élaborer une politique de partenariat privilégié et étroit avec les Etats-Unis. Alors que l’Union Européenne (UE) prétendait incarner  un contrepoids efficace face à l’hégémonie nord-américaine, nous assistons à une nouvelle progression de l’euro-mondialisme et de l’effacement consenti de nos diverses nations européennes.

On sait que le frénétique et versatile Nicolas Sarkozy assure la présidence tournante de l’Union Européenne pour une durée de 6 mois avant de la passer à son homologue tchèque, l’eurosceptique Vaklav Klaus. Lors de ce sommet “européen” de Marseille, le bouillant et médiatique Bernard Kouchner s’est fait remarquer par des déclarations dithyrambiques vis à vis des Etats-Unis. Lors de la rencontre informelle d’Avignon en septembre 2008, le néo-conservateur Bernard Kouchner nous avait expliqué avec emphase que “le monde avait évolué et changé”. Son but était d’élaborer un document commun aux 27 pays de l’UE, dans lequel l’Europe s’engageait à renforcer son partenariat transatlantique.

Lors d’une conférence de presse tenue conjointement avec l’espagnol Javier Solana, haut représentant de l’UE pour la Politique Étrangère et de Sécurité Commune (PESC) et l’autrichienne Benita Ferrero-Waldner, commissaire européenne en charge des Relations Extérieures avec l’UE, Bernard Kouchner a dévoilé 5 axes majeurs de ce document de 6 pages. Pourtant ce document ne devait pas être rendu public avant sa finalisation et avant de connaître le nom du futur locataire de la Maison Blanche à Washington. Les 5 axes en question sont : le multilatéralisme, (un leurre hypocrite), le Moyen-Orient (toujours les mêmes obsessions), l’Afghanistan et le Pakistan (tiens donc, un nouveau champ de bataille en perspective), la relation avec la Russie (avec Poutine et Medvedev, il y a du pain sur la planche !)  et enfin l’attitude vis à vis de nations émergentes comme la Chine, l’Inde, le Brésil (les délocalisations dans ces contrées se multiplieront inéluctablement). Ce document est qualifié par Kouchner “de boîte à outils” que les Européens utiliseront à leur guise selon leurs conceptions propres.

Examinons maintenant le contenu de la logorrhée pro-américaine du bon Docteur Kouchner. Il évoque une notion floue et mensongère : le “multilatéralisme”. Ce néologisme barbare et hypocrite ne parvient pas à masquer la réalité géopolitique des Etats-Unis dont l’hégémonie impérialiste et belliqueuse ira en s’accroissant. Ce néo-conservateur flatte outrageusement les Etats-Unis : “un très grand pays”, “une puissance majeure mais non dominante”. En même temps il nous présente ce “multilatéralisme” comme une issue inéluctable avec la mondialisation et la crise financière. Continuant son charabia creux et soixante-huitard, Kouchner a déclaré “qu’aucun pays ne décide seul”, “les pays se concertent”, “nous n’imposons pas”, “nous sommes des partenaires qui exposent notre vision”. Pourtant il a eu le culot de nous parler “d’une vraie existence physique de l’Europe”.

Les euro-mondialistes Javier Solana et Benita-Ferrero-Waldner ont évoqué benoîtement une réunion “consensuelle” et ont de nouveau exprimé leur souhait qu’Européens et Américains continuent d’entretenir des relations privilégiées afin d’intensifier un travail commun sur les dossiers internationaux.

Bref, l’Union Européenne est un gadget coûteux et dangereux qui accélère la dissolution de nos États nations dans un magma mondialiste et internationaliste, dans lequel notre facteur bobo de Neuilly se retrouve comme un poisson dans l’eau.