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jeudi, 15 mars 2012

La Libia è una nuova Somalia

La Libia è una nuova Somalia

di Angelo Del Boca - Tommaso di Francesco

Fonte: Il Manifesto [scheda fonte]

tecnicalibiaa

«L'autonomia armata dell'Est getta il Paese, già diviso dalle fazioni che hanno deposto Gheddafi, nel caos a tre mesi dal voto di giugno. Per l'Onu i diritti umani sono violati. Interessi italiani a rischio»

Roma, 9 marzo 2012, Nena News – Un'assemblea delle tribù e delle milizie della Cirenaica riunita a Bengasi due giorni fa ha dato vita al Consiglio provvisorio di Barqa (Cirenaica) chiedendo la piena autonomia della regione da Tripoli. Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt fino alle prossime elezioni di giugno, ha definito l’iniziativa la «sedizione dell’est» accusando non meglio precisati «paesi arabi» di avere fomentato la «cospirazione».

E ieri ha minacciato: «Devono sapere che gli infiltrati e i fedelissimi dell’ex regime tentano di utilizzarli e noi siamo pronti a dissuaderli. Anche con la forza». E anche Hamid Al-Hassi, capo militare del Consiglio di Barqa ammonisce: «Siamo pronti a dare battaglia. Siamo dunque a quel rischio di guerra civile che lo stesso Jalil paventava di fronte all’anarchia delle milizie che spadroneggiano in Libia. Ne parliamo con Angelo Del Boca, storico della Libia e del colonialismo.

La Libia sembra diventata quella «nuova Somalia», in preda alle milizie islamiche» che profetizzava Gheddafi, linciato solo nell’ottobre scorso, poche settimane prima della fine della guerra aerea della Nato fatta «per proteggere i civili»…

In un certo senso sì, proprio una nuova Somalia. Per 42 anni Gheddafi era riuscito, più con le cattive che con le buone, a tenere insieme il Paese e a guidarlo in mezzo a burrasche non da poco. Morto lui sembra che tutto vada nel disastro. Perché le milizie non mollano le armi, il governo provvisorio fa di tutto per raccoglierle ma non ce la fa. Siamo arrivati addirittura al pronunciamento da Bengasi per dividere il paese, fatto non in maniera provvisoria, perché a capo di questo fantomatico governo c’è addirittura Ahmed Al Senussi, pronipote d re Idris. Quindi non è solo una divisione amministrativa ma soprattutto politica. Al Senussi è un personaggio poco noto perché sono passati tanti anni dal colpo di stato con cui Gheddafi depose re Idris, è stato per molti anni nelle galere del raìs per avere tentato un golpe contro di lui nel 1970, poi è stato liberato negli anni Ottanta. Ma certo rappresenta almeno la memoria della monarchia libica. Non dimentichiamo che in Cirenaica la rivolta l’hanno fatta con la bandiera dei Senussi, della monarchia. Lì è scoppiata la vera resistenza che ha dato filo da torcere agli italiani e alla fine, quando gli inglesi hanno deciso di consegnare la Libia a un personaggio di rilievo, l’hanno messa nelle mani di Al Senussi, re Idris, nato e vissuto a Tobruq. Inoltre la Senussia oltre ad essere stata una organizzazione politica è anche una confraternita religiosa con più di cento anni di vita.

Che cos’è la Cirenaica quanto a interessi petroliferi della Libia?

Diciamo che i porti più importanti sono proprio in Cirenaica che presenta il più alto numero di giacimenti e di raffinerie, a Ras Lanuf con 220mila barili al giorno, a Marsa el Brega e a Tobruq. Certo ce ne sono anche in Tripolitania e nella Sirte, molti pozzi sono anche in mare, ma la parte principale di queste «oasi del petrolio» sono proprio in Cirenaica. Ricca, non dimentichiamolo, anche di acqua. Il grande progetto di Gheddafi, il famoso River, il fiume sotterraneo – che anche gli insorti chiesero alla Nato di non bombardate – scorre da Kufra fino al mare, prosegue lungo tutta la costa e risale da Tripoli verso Gadames. È costato circa 30 miliardi di dollari e non si sa quanto durerà quest’acqua. È una enorme bolla sotterranea dalla quale attingono tutte le aree vicine, così gigantesco che è stata costruita una fabbrica per allestire manufatti addatti alla canalizzazione. È il rubinetto della Cirenaica e della Libia. Chi lo controlla controlla il Paese. Qundi non ci sono solo gli introiti petroliferi ma questo «rubinetto» di una fonte come l’acqua decisiva quanto s enon più del petrolio. Un’acqua che ha creato una fertilità che da tempo ha dato quasi l’autonomia alimentare alla Libia, trasformando il litorale nell’orto che produce per i sei milioni di abitanti.

Quale «paese arabo» potrebbe esserci «dietro»questo pronunciamento della Cirenaica? Shalgam, l’autorevole ambasciatore all’Onu della Libia, prima con Gheddafi e poi passato agli insorti, ripete che non vuole «una Libia controllata dal Qatar»…

Indubbiamente il Qatar è interessato. C’era un inserto straordinario di Le Monde la scorsa settimana tutto dedicato ai nuovi interessi strategici della petromonarchia del Qatar, sul Medio Oriente, in Africa e nel mondo intero dove ha comprato terre ovunque. Il Qatar punta ad avere riserve di petrodollari enormi. E non dimentichiamo che fra le milizie che combattevano contro Gheddafi c’erano alcune centinaia – migliaia per altre fonti – di militari del Qatar. E hanno anche capacità d’intelligence e di forniture di armi.

L’unico accordo possibile in Libia è sull’Islam, che finirà nella nuova Costituzione. Per il resto, le milizie spadroneggiano in armi e cresce il ruolo degli integralisti islamici con il capo militare di Tripoli Belhadj…

Peggio. Il rapporto dell’Onu conferma le denunce di Amnesty International, le stragi contro i vinti, le carcerazioni arbitarie, con quasi 8.000 i detenuti, la pratica diffusa della tortura contro i civili lealisti. Mi chiedo come in questo enorme disordine si potrà arrivare alle elezioni di giugno, così vicine. E si aprono problemi per l’Italia che sta cercando nuovi scambi industriali e di recuperare investimenti e ruolo. Dopo le mega-promesse di Gheddafi, nulla sarà più facile. E poi c’è la questione della famosa litoranea che dovevamo costruire in 25 anni: adesso i nuovi dirigenti della Libia chiedono che venga fatta in cinque anni e con un esborso enorme di finanziamenti.

Nena News

Tratto da: http://nena-news.globalist.it/?p=17650.


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Euro-obligaties: tussen populisme en demagogie

Euro-obligaties: tussen populisme en demagogie

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Ex: http://www.solidarisme.be/

Op 30 januari, dag van de algemene staking, begaven de leiders van de drie grote vakbonden zich naar het Brusselse Schumanplein, waar de instellingen van de Europese Unie gevestigd zijn, om er voor de tv-camera’s van de verzamelde internationale pers te pleiten voor de invoering van euro-obligaties. Toevallig? Nee, niet als men weet dat het Europese Vakverbond waar ze lid van zijn voor 80% gefinancierd wordt met geld van de Europese Commissie (1). Het is nota bene diezelfde Europese Commissie die de Belgische en andere Europese regeringen tot zware besparingsoefeningen veroordeelt. Zo kopen de sluwe commissarissen van de EU als het ware hun eigen tegenstanders. Schijndemocratie, het is niet alleen een euvel dat in het verre buitenland voorkomt.

Euro-obligaties zijn intussen een belangrijk strijdpunt geworden, onder meer naar aanleiding van de sociale verkiezingen in eigen land en de presidentsverkiezingen in Frankrijk. Toch is het een dom idee. “Crisisbestrijding” door oude schulden met nieuwe schulden af te betalen, grootbankiers zouden niets liever hebben dan in onzekere tijden tegen (hoge) rentes aan staten te lenen. De rentebetaling is verzekerd. Belastingen, maar ook de natuurlijke rijkdommen en het menselijke kapitaal (veelzeggend eigentijds begrip!) van een land sluiten een staatsbankroet immers zo goed als uit. Schulden maken lijkt dus een aantrekkelijke kortetermijnoplossing. En het lijkt wel de enige oplossing die vakbonden (en sociaaldemocraten) nog uit hun oude hoed kunnen toveren. Het pleidooi voor euro-obligaties is echter vooral ook een heel politiek of, liever gezegd, financieel correct idee.  Pleisters op een houten been zijnde, zouden Europese schulden, bovenop de nationale schulden van de lidstaten, hooguit de doodsstrijd van de eurozone nog wat kunnen rekken. Meer ook niet. Als ze de situatie al niet zouden verergeren.

Het pleidooi voor euro-obligaties past in een ruimer pleidooi van vakbonden en sociaaldemocratie voor een New Deal. Euro-obligaties worden dikwijls in één adem genoemd met een financiële transactietaks op speculatief kapitaalverkeer. Zo'n taks zou de staat dan voor enkele procenten laten meegraaien in de winsten van beleggingsfondsen en andere speculanten, terwijl de beursspeculatie op zich ongemoeid wordt gelaten. Algemeen secretaris van het ABVV Rudy De Leeuw haalde de New Deal nog eens van stal in zijn nieuwjaarstoespraak. Alleen: de historische metafoor was slecht gekozen voor een relanceplan. Wat hij er immers niet bij vertelde, was dat de New Deal van Franklin Delano Roosevelt nooit gewerkt heeft. De VS hebben hun recessie niet opgelost door de binnenlandse koopkracht te verhogen, maar door de Tweede Wereldoorlog te voeren (met alle naoorlogse gevolgen van dien). Een beleid dat grote openbare werken of andere bijkomende overheidsbestedingen financiert door te lenen op de binnen- of buitenlandse kapitaalmarkt verhoogt uiteindelijk enkel de staatsschuld en bijgevolg de belastingdruk. Als het al niet door de vergrote geldvraag de rentes omhoog duwt en zo de private investeringen verdringt. De Leeuw had beter, indien hij ten minste de moed en het verstand had gehad, het taboe doorbroken dat nog altijd (onterecht) rust op het eerste Duitse Wirtschaftswunder, namelijk dat van het nationaalsocialistische Duitsland (2). Jean-Pierre Van Rossem is tot dusver de enige geweest die dat op verschillende nationale fora heeft gedaan. Onbegrip en stilzwijgen waren zijn deel. Bank- en beurswezen heten een wereldje voor ingewijden. Niet voor leken en al zeker niet voor avonturiers.

Nu, dat nationaalsocialistische Wirtschaftswunder is enkel mogelijk geweest door een unieke vorm van monetaire financiering. Dus: geen financiering door de stupide uitgifte van staatsobligaties, wel door de schepping van echt, nieuw staatsgeld: de Öffa- en de MeFo-Wechsel. Wisselbrieven wordt gezegd, maar ook wettelijke betaalmiddelen en dus geld. Het is dat beleid ook geweest dat John Maynard Keynes inspireerde tot het schrijven van zijn General Theory in 1936. Keynes speelde dus leentjebuur bij Adolf Hitler en diens minister van Financiën, Hjalmar Schacht. Maar het moet gezegd: de man die al vóór de jaren '30 ijverde voor een dergelijk beleid was de ideoloog van de NSDAP, Gottfried Feder. Hem komt in feite het geestelijke vaderschap toe. Een “detail” in de Duitse geschiedenis blijkbaar, want het wordt tegenwoordig maar al te graag verdonkeremaand. Het moet ook gezegd dat Keynes vooral de revolutionaire angel uit dat beleid haalde. Het verschil tussen het keynesianisme en het nationaalsocialisme ligt immers niet in het uitgangspunt, de bescherming van koopkracht door bijkomende staatsuitgaven, maar in de manier waarop die laatste moeten worden gefinancierd. In een keynesiaans beleid (zoals dat van Roosevelt) wordt hetzij geleend, hetzij belast, wat het monopolie van het bankwezen op de geldschepping onaangeroerd laat. Daardoor leek het keynesianisme vanaf het Interbellum een aanvaardbare optie voor een (ondertussen) geïnstitutionaliseerde, parlementaire linkerzijde. De sociaaldemocratie, dus. Na de Tweede Wereldoorlog bestond er zelfs een nationale consensus over onder alle burgerlijke partijen. Sindsdien heet het dat een beetje schulden maken geen kwaad kan (altijd goed voor de banken, houders van die staatsschuld).

De liberale staat is geen staat als hij geen staatsschuld heeft. En voor een liberale superstaat, zoals de EU of de VS, moet dat dan ook een (navenante) superstaatsschuld zijn. Die vaststelling is niet sarcastisch bedoeld, maar gewoon de bittere realiteit. Er is geen beter middel om een (liberale) staat te stichten dan een gegeven bevolking op te zadelen met een staatsschuld, en voor de houders van die staatsschuld liefst een zo groot mogelijke natuurlijk. Voor wie nog redenen zoekt waarom het in België nog niet tot een Vlaams-Waalse boedelscheiding is gekomen (en de kans klein is dat zulks zal gebeuren). Welnu, de Belgische staatsschuld is er alvast een van. Daarom zijn de voorstanders van het Europese federalisme (versie post-'45, Euro-Atlantisch welteverstaan) natuurlijk erg te vinden voor het idee van euro-obligaties. Hun doel is dan ook de vorming, koste wat het kost, van een liberale Europese superstaat die in een wereld waar de handel (volledig) geliberaliseerd is het hoofd zou moeten bieden aan de groep van zogenaamde nieuwe groeilanden of BRICS (Brazilië, Rusland, India, China, Zuid-Afrika). Het is echter een illusie van hen te denken dat de VS en hun EU-vazal in de 21ste eeuw een (westerse) wereldorde zouden kunnen handhaven die nog altijd voortbouwt op dezelfde verhoudingen en dezelfde eurocentrische arrogantie en navelstaarderij als in de hoogdagen van het imperialisme en het kolonialisme. Maar goed, het neemt niet weg dat ze de Europese eenmaking door euro-obligaties hopen te betonneren. Zadel de Europeanen eerst op met “een beetje” schuld, dan Europese belastingen erbovenop (of wat had u gedacht?) en de superstaat zal willens nillens een feit zijn.

Euro-obligaties zijn de “nieuwe” mantra van de stervende West-Europese sociaaldemocratie, gewurgd als ze wordt door een internationale context die de laatste drie decennia neoliberaal is geworden. Een internationale context waar de sociaaldemocraten als internationalisten overigens zelf ijverig aan hebben meegewerkt (en nóg meewerken). Iemand die zich de grote Europese roerganger Jacques Delors herinnert, de sociaaldemocraat die Europa herschiep tot een eengemaakte (d.w.z. volledig geliberaliseerde) markt? Roerganger van de sociaaldemocratie dan wel van het neoliberalisme, niemand die het nog goed weet. Maar “democraat”, dat zeker. En met hun pleidooi voor euro-obligaties bevinden de sociaaldemocraten zich opnieuw in het kamp van de notoire Europese federalisten. Langs rechts gedekt door Guy Verhofstadt (Open VLD), langs links door Daniel Cohn-Bendit (Les Verts). Verhofstadt, de liberaal die ooit als “Baby Thatcher” in zijn Burgermanifesten pleitte voor het “recht om uit de staat te stappen” en dus exact nul frank/euro belastingen te betalen, iets wat multinationale ondernemingen in België overigens nu al doen, pleit nu voor een Europese superstaat en Europese belastingen. Verhofstadts kompaan, Cohn-Bendit, ooit “Dany le Rouge” voor zijn vrienden mei-’68’ers, mag als hij Jean-Marie Le Pen niet aan het uitschelden is, de Hongaarse eerste minister Viktor Orban de mantel uitvegen. Orban, die aan het hoofd staat van een conservatief-nationalistische regering, wordt nu uitgerekend door Rooie Danny, vergeleken met Fidel Castro en Hugo Chávez. Meer dan veertig jaar geleden werd deze “bandiet” door zijn vijanden al uitgemaakt voor “anarchiste allemand”, “faux révolutionnaire” en “fils de grands bourgeois”. En, kijk, wie had er gelijk?

Hoe is het zover gekomen dat een conservatief-nationalistische politicus de “Chávez van Europa” wordt genoemd? Wel, het Hongaarse parlement heeft onlangs een nieuwe grondwet aangenomen in wat het begin lijkt van een politieke revolutie. Aan de zogenaamde christelijke inspiratie van die grondwet zal de vergelijking met Chávez wellicht niet liggen. Hoewel, het moet gezegd dat in Chávez' politiek toch een soort nieuwe bevrijdingstheologie doorschemert. Nee, dé steen des aanstoots is het feit dat Orban de eerste schuchtere stappen heeft gezet om de centrale bank van zijn land te nationaliseren. Een nationalisering die, zo vrezen de meeste economen, hogepriesters van het mammonisme (de afgoderij van het geld), de deur zou openzetten voor monetaire financiering en dus – nog steeds in hun logica – hyperinflatie. Monetaire financiering zou voor Hongarije echter ook in één klap een einde kunnen maken aan de afhankelijkheid van noodleningen, verstrekt door het EU-Noodfonds en het IMF. Aan de afhankelijkheid van het Leihkapital en zijn eeuwige renteslavernij, dus. Wie zou denken dat zulks per se zou moeten leiden tot hyperinflatie moet zich gewoon maar eens de vraag stellen waarom dat wél het geval was in het Duitsland van de jaren ’20, maar niet in het Duitsland van de jaren ’30. Maar goed, zover gaat de nieuwe Hongaarse grondwet niet eens. Het enige wat in feite verandert, is dat de Hongaarse minister van Financiën voortaan belangrijke vergaderingen bijwoont van de centrale bank van zijn land. Een groot schandaal, dat spreekt. De beruchte reductio ad Hitlerum is Orban vooralsnog bespaard gebleven, maar hoelang zal dat nog duren? Voor wie van historische vergelijkingen houdt dit keer geen Roosevelt of Hitler meer, maar Heinrich Brüning. De laatste rijkskanselier van de Weimarrepubliek, onder wiens regering het Hoover-moratorium (eenjarige stopzetting van de Duitse herstelbetalingen) tot stand kwam en de eerste Öffa-Wechsel werden uitgegeven.

Orbans hervormingen kunnen, zoals alles, eigenlijk slechts beoordeeld worden in het licht van hun finaliteit en die laatste kennen we vooralsnog niet. “Autocratie” en “dictatuur” roept het democratenkoor nu naar Orban, maar als Italië door buitenlandse ratingagentschappen en een stijgende schuldgraad wordt gedwongen (door wie?) een zakenkabinet in het zadel te hijsen, dan zwijgen ze natuurlijk. De Italiaanse regering heeft volmachten bovendien en is dus een dictatuur. En dan nog een zonder verkozen politici en met als enig mandaat: het uitvoeren van een internationale strafexpeditie tegen het eigen land en tegen de eigen natie. Griekenland bevindt zich met zijn regering van nationale eenheid in een vergelijkbare situatie. En de Belgische regeringsonderhandelingen hadden niet veel langer moeten aanslepen of België zat vandaag ook opgezadeld met een zakenkabinet. Om nog te zwijgen over de onverkozen wetgevingsmachinerie die de Europese Commissie is. Volmachtenwetten zijn echter een mes dat aan twee kanten snijdt: enerzijds zal men ze ooit nodig hebben om de dictatuur van het geld – de plutocratie – te kunnen breken, anderzijds kan de dictatuur van het geld ze evengoed gebruiken om een volk uit te persen en de weerstand ervan te breken, zoals nu gebeurt in landen waarvan wordt gezegd dat ze op de rand staan van het “staatsbankroet”. In dat geval dienen de volmachtenwetten om de dictaten van het internationale leenkapitaal door te drukken. Dat zijn dan de zogenaamde “onpopulaire maatregelen” waar de immer eufemistische en politiek-correcte media het over hebben, alsof de politici die ze uitvoeren dappere helden zijn en niet de zetbazen van het internationale leenkapitaal. Waarom hebben de Hongarije-criticasters geen moeite met de regeringen die die “onpopulaire maatregelen” nemen? Cru gesteld: dictatuur en hiërarchie heten bij het democratenkoor enkel “slecht” als ze niet plutocratisch, maar bijvoorbeeld politiek, militair of religieus van aard zijn.

Als Orban het herstel van de nationale soevereiniteit in Hongarije nastreeft, dan moet de enige relevante vraag zijn: met welk doel voor ogen? Eigenbelang of algemeen belang? Waakzaamheid is echter altijd geboden. En hoewel de Hongaarse regering stappen in de goede richting heeft gezet, is het duidelijk dat, als het Orban menens is met de nationale soevereiniteit, een breuk met de EU onvermijdelijk zal zijn. Een beetje soevereiniteit is géén soevereiniteit. Ook voor vakbonden en sociaaldemocraten geldt dat, als het ze menens is met de strijd voor het behoud van de sociale zekerheid, de koopkracht, de loon- en arbeidsvoorwaarden, ze het EU-lidmaatschap zouden moeten opzeggen. Ze zouden een voorbeeld moeten nemen aan een van hun illustere voorgangers, de voormalige BWP-voorzitter Hendrik de Man in 1940 (3). Diens fameuze Plan van de Arbeid was, net zoals Roosevelts New Deal, onuitvoerbaar gebleken in het toenmalige institutionele raamwerk. Zelfs met een regering van nationale eenheid, de regering Van Zeeland I, bleek zulks onmogelijk. Voordien had België overigens, net zoals Italië vandaag, al de bankiersregering Theunis II gehad. Zonder soelaas. Iets zegt mij echter ook dat de sociaaldemocratie in West-Europa al te lang en te veel verkankerd is door filosofisch liberalisme, anglofilie en vrijmetselarij, waardoor ze heel dicht aanschurkt tegen het politieke liberalisme. Niettemin worden Elio Di Rupo en – godbetert – François Hollande als nieuwe Jan Klaassens van de sociaaldemocratie in de steigers gezet. Sommige media willen ons zelfs doen geloven dat die laatste zinnens zou zijn een offensief tegen de almachtige haute finance te ontketenen. Jaja, tegen dat deel van de haute finance waaraan hij geen – u raadt het al? – euro-obligaties zal kunnen slijten waarschijnlijk. “Hollande wil het kapitalisme te lijf gaan met een loodjesgeweer”, zegt Marine Le Pen van het Front National (FN). Men hoeft geen sympathie te hebben voor de centrumrechtse partijen die in de meeste Europese landen aan de macht zijn (nog even toch) om te beseffen dat het altijd nóg slechter kan dan bijvoorbeeld een Sarkozy, een tegenstander van de euro-obligaties overigens. Zo scheelde het geen haar of PS'er Dominique Strauss-Kahn, de voormalige voorzitter van het Internationaal Muntfonds (IMF), was de “linkse” uitdager van “Sarko” geworden. Een beetje lenen bij het IMF kan allicht ook wel geen kwaad voor de “keynesiaanse” sociaaldemocraten, zolang zij daar zelf aan het roer staan. Ook Mario Monti en diens Goldman Sachs-regering in Italië tonen hoe een land van de regen in de drop kan belanden. Tevens levert investeringsbank Goldman Sachs nog de nieuwe eerste minister van Griekenland, de voorzitter van Europese Centrale Bank (ECB) en was het de belangrijkste campagnedonor van de huidige VS-president.

Interessanter dan Hongarije is overigens het programma van het Front National in Frankrijk. Het FN neemt bijvoorbeeld, anders dan vakbonden en sociaaldemocraten, stelling in tegen de wereldwijde vrijhandelsdictatuur. Een vrijhandelsdictatuur waarvan de EU niet meer dan het Europese smaldeel is en die de belangrijkste oorzaak is van de delokaliseringen naar nieuwe groeilanden (lageloonlanden). Op zich is vrijhandel niets nieuws. Toch is het in zijn huidige (multilaterale) vorm tamelijk recent en desastreuzer dan ooit tevoren. De impact ervan is te verklaren door de oprichting in 1995 van de Wereldhandelsorganisatie (WHO). Vrijhandel is een gesel voor veel ontwikkelingslanden, maar ook voor wat nog rest van de Europese landbouw en industrie, in het bijzonder de sectoren die nog een kleinschalig en relatief arbeidsintensief karakter hebben. Verder was de toetreding van China tot de WHO in 2000 een mokerslag voor Europa, dat na Chinees textiel nu ook meer en meer door Chinese elektronica wordt overspoeld. Er woedt dus op wereldvlak een economische oorlog waarvan velen dagelijks wel de gevolgen ondervinden, maar slechts weinigen de oorzaken en de schaal beseffen. Sociale bloedbaden komen niet uit de lucht gevallen, ze komen voort uit bewust genomen strategische beleidskeuzes. Die keuzes worden meestal genomen jaren vooraleer de gevolgen ervan merkbaar worden. En politici dragen daarbij de eindverantwoordelijkheid. Daarnaast zijn er natuurlijk de medeplichtigen, zoals liberale economen, die afdankingen en delokaliseringen in het omfloerste koeterwaals van hun ivoren torens de “comparatieve voordelen” van de vrijhandel plegen te noemen.

Maar wat is het grote voordeel van die vrijhandel? Een wereld waarin slaven moeten produceren voor werklozen die niet kunnen consumeren? Voorstanders beweren nochtans dat goedkope import de levensduurte hier kan drukken. Een redenering die men nog kan verwachten van China-dwepers als een Paul Buysse, een Jean-Marie Dedecker of een Chris Morel, maar toch niet iets waarmee een vakbond die haar leden wil verdedigen akkoord kan gaan? En toch zijn de grote vakbonden schuldig door verzuim. De syndicalisten hebben hun stek gekregen in het “parlement” van de Internationale Arbeidsorganisatie en dat moet maar volstaan om vrijhandel en arbeidersbelangen te verzoenen. Met andere woorden, geen enkele vakbond of partij kan vanuit die positie dus nog geloofwaardig de binnenlandse tewerkstelling verdedigen (en dat in de meest uiteenlopende sectoren). Vrijhandel staat haaks op eerlijke wereldhandel en is de ideologie waarmee het internationale financierskapitaal, multinationale ondernemingen en grootbanken de wereld(markt) verovert. Reken niet op de “sociale” internationalisten of andersglobalisten voor verzet, want zij zijn gewoon mooipraters zijn van wat spuuglelijk is; hun naïeve oppositie is altijd wel af te kopen met een postje hier of daar in een van de vele internationale instellingen/praatclubs (men moet verliefd zijn op de democratie om stekeblind te blijven voor de realiteit ervan). Er is vandaag de dag geen enkel protectionisme mogelijk in Europa en dat is, ironisch genoeg, in de eerste plaats een gevolg van de EU zelf. Zij is immers met handen en voeten gebonden aan de WHO-verdragen en een hele resem andere internationale verplichtingen. Er zal pas een slim protectionisme mogelijk zijn na een heronderhandeling van alle vrijhandelsverdragen en de uiteindelijke vervanging van de vrijhandelszones door nieuwe samenwerkingsverbanden van soevereine staten (zoals Chavez’ Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América – ALBA). Daarmee is meteen ook de karikatuur de wereld uit geholpen als zou nationale politieke onafhankelijkheid internationale samenwerking uitsluiten, dat soevereiniteit synoniem zou staan voor een Zwitserse of, godbetert, Noord-Koreaanse Alleingang.

Gevraagd naar haar eerste presidentiële beleidsmaatregel, antwoordt Marine Le Pen: de oprichting van een Ministerie van Soevereiniteit. Dat zou dan belast worden met de heronderhandeling van ALLE internationale verdragen. Het NAVO-lidmaatschap wordt onmiddellijk opgezegd, waarna onder meer een strategisch (militair en energetisch) bondgenootschap zou worden voorgesteld aan Duitsland en Rusland, de zogenaamde as Parijs-Berlijn-Moskou. Parallel met die as Parijs-Berlijn-Moskou zal de Europese landen voorgesteld worden een “Pan-Europese Unie” van soevereine staten te vormen. Verder wordt het voortbestaan van de Wereldhandelsorganisatie, het Internationaal Muntfonds en de Wereldbank in vraag gesteld (4). Die laatste twee worden (terecht) “verouderd” genoemd, aangezien ze – opgericht in 1944 – nog steeds beheerst worden door de overwinnaars van de Tweede Wereldoorlog. En daar zijn ook de BRIC-landen niet bepaald tevreden mee. Tevens moeten de Europese verdragen (onder meer inzake vrij personenverkeer) herzien worden om het hoofd te bieden aan de asiel- en immigratiecrisis. De economische partnerschapsakkoorden met de landen waar de immigratie vandaan komt, moeten worden heronderhandeld om de instroom te stoppen. Tot slot – en bij wijze van eigen bedenking – zouden ook de Conventies van Genève herzien moeten worden. De conventie die vandaag de status van alle vluchtelingen regelt dateert van 1967 en is niet meer aangepast aan de noden van deze tijd. Het gaat om een uitbreiding van een eerdere conventie uit 1951, die enkel de rechten van Europese vluchtelingen regelde in de nasleep van de Tweede Wereldoorlog. Schaf die conventie(s) af en geen enkel Europees land zal nog internationaal “verplicht” zijn asiel te verlenen aan vluchtelingen van buiten Europa. De keerzijde van zo'n asielstop moet dan echter wel de ethische verplichting zijn dat geen enkel Europees land nog langer diplomatiek en militair betrokken is bij oorlogen die precies vluchtelingenstromen naar Europa veroorzaken. Zolang dat niet het geval is, is het dom en vals om alle aandacht op de vluchtelingen te richten (de “rechtse” demagogen hebben daar hun specialiteit van gemaakt).

Een laatste belangrijk programmapunt van het FN is dat het pleit voor het herstel van de Franse monetaire soevereiniteit. Niet enkel door een terugkeer naar de frank, maar vooral door de afschaffing van de infame wet-Pompidou-Giscard (ook wet-Rothschild genoemd). Een standpunt dat het onder meer deelt met nationaal-revolutionaire organisaties als Egalité et Réconciliation (van Alain Soral) en Troisième Voie (van Serge Ayoub). Die wet uit 1973 legde de (renteloze) monetaire financiering van de Franse staat aan banden en dwingt hem tegen hogere rentes op de kapitaalmarkten te lenen. Gelddeskundige Bernard Lietaer, een van de weinige dissidente stemmen onder het economengebroed, becijferde onlangs dat Frankrijk zonder die bewuste wet – door het wegvallen van de rentelasten op de staatsschuld – een staatsschuld van ongeveer 8% van het BBP had kunnen hebben in plaats van de meer dan 80% vandaag (Frankrijk had in '73 een staatsschuld van “maar” 21% van het BBP). Toch een opzienbarend feit, niet? Voor de massamedia heeft het blijkbaar amper nieuwswaarde. Zelfs de vakbonden, die zogenaamde voortrekkers van de sociale strijd, geven er geen ruchtbaarheid aan. De internationalistische vakbondstop verkiest euro-obligaties. Er rust geen taboe op de heilige huisjes van de internationale plutocratie. Nee, er heerst een ware omerta. Zoals bij elke maffia. Is het domheid of is er meer aan de hand? Eén ding is zeker: de wet-Rothschild, die monetaire financiering verbiedt, is via de artikelen van het Verdrag van Maastricht (1992) veralgemeend naar heel de Europese Unie. Het beleid dat de ECB nu voert slaat dan ook nergens op: ze leent geld tegen lage rentes in de hoop dat de banken daarmee staatsobligaties zouden kopen. En dat is wérkelijk een beleid dat aanstuurt op (hyper)inflatie; het democratenkoor, dat nu nog steeds de zegeningen van de euro bezingt, is vastgeroest in zijn eigen waandenkbeelden.

In de race naar het Elysée lijkt Marine Le Pen alvast quantité négligeable. Media en opiniemakers spitsen alle aandacht toe op het (schijn)gevecht tussen Hollande en Sarkozy. Het FN wordt zonder enige nuance als extreemrechts afgeschilderd, zoals dat al bijna veertig jaar lang wordt gedaan. Al wie zich een beetje zou informeren (en hoe is het nog mogelijk niet of slecht geïnformeerd te zijn in tijden van Internet?) zou moeten inzien dat het FN in heel wat opzichten een links-nationalistisch of nationaal-revolutionair programma heeft. Of toch alleszins een programma dat vanuit die optiek kan worden gesteund. De invloeden van onder meer de ecologist Laurent Ozon, van sociologen als Alain Soral of zelfs Emmanuel Todd maar ook die van niet-liberale economen als (wijlen) Maurice Allais en Jean-Claude Martinez zijn onmiskenbaar. Althans voor wie (ook) de politieke cultuur heeft om het in te zien en de intellectuele eerlijkheid om het te erkennen. Het is een programma dat met recht en rede populistisch kan worden genoemd, maar dan zonder de zweem van dwaze en hatelijke demagogie die de verzuurde islamvreters van (liberaal-zionistisch) “extreemrechts” kenmerkt. Mede daardoor is populisme de laatste jaren (helaas) onterecht synoniem geworden voor demagogie of volksverlakkerij, terwijl er vandaag meer dan ooit nood is aan een revolutionair populisme (waarvan enkele speerpunten hierboven al geformuleerd zijn). En wat populisme betreft, is het programma van het FN niet eens zo nieuw als het lijkt. Het is gewoon een actualisering van de lijn die stichter Jean-Marie Le Pen al meer dan een halve eeuw volgt, en wel toen hij nog in het parlement zetelde voor de de défense des commerçants et des artisans (UDCA) van Pierre Poujade (6). Die partij kwam voort uit een anti-etatistische én antikapitalistische tegenbeweging van kleine zelfstandigen (met tot op vandaag de wet-Royer, die de inplanting van de grootdistributie in kleine gemeenten aan banden legt, als een van haar politieke erfenissen). Aangezien de liberale staat in handen is van de houders van de staatsschuld is er geen kritiek op de staat mogelijk zonder een kritiek op het kapitalisme. De anti-etatistische kant van het poujadisme is doorgaans bekend, de antikapitalistische niet. Poujade zelf was in de jaren '30 overigens lid geweest van de Parti populaire français (PPF) van Jacques Doriot, een voormalige communist. De PPF was de enige fascistische massa-partij die Frankrijk ooit gekend heeft.

Poujadisme is tegenwoordig een synoniem voor populisme, maar het eigenlijke populisme dankt zijn naam dan weer aan de People’s Party die op het einde van de 19de eeuw furore maakte in de VS. Een kleine toelichting van het populisme is hier wel op zijn plaats, want het populisme verenigt in zich enkele anti-oligarchische tendensen die ook vandaag nog bijzonder actueel zijn. Het oorspronkelijke populisme kan worden gerekend tot de antifederalistische onderstroom in de Amerikaanse samenleving en was in menig opzicht verwant met de Democratisch-Republikeinse Partij (voorloper van de huidige Democratische Partij). Net zoals de Populisten waren de oude Democraten de partij van de vrije boeren in een gebied dat zich uitstrekte van het Zuiden tot de Grote Vlakten in het Midwesten. Hun grote rivaal was de toenmalige Federalistische Partij, de partij van de Amerikaanse oligarchie, zeg maar de burgerij van de Oostkust (vandaag nog altijd het centrum van de politieke en de financiële macht in de VS). Democratisch-Republikeinse presidenten als Thomas Jefferson en Andrew Jackson zijn dan ook – niet onbelangrijk in het licht van dit artikel – legendarisch geworden vanwege hun strijd tegen het (centrale) bankwezen in de VS (5). De oprichting van een centrale bank is altijd een van de voornaamste strijdpunten van de Federalisten geweest (ook toen ze allang niet meer onder die naam bestonden). Bemerk hier de gelijkenis met “onze” EU-federalisten, die overigens niet op toeval berust. De Populisten waren tegen de beurs van Wall Street (doorgeefluik voor reusachtige investeringen van Europees, overwegend Britse leenkapitaal), het stelsel van de National Banks (voorlopers van de huidige Federal Reserve) en de vorming van de eerste trusts (economische kartels), maar zij waren ook voor de nationalisering van bijvoorbeeld spoorwegen en telegrafie; tegen de goudstandaard en de werking van het gehele bankwezen en voor “overvloedig” geld (schuldvrij papiergeld of zilver-certificaten). Verder waren ze voor de invoering van de achturendag en een progressief belastingstelsel. Veel van die Populisten en hun ideeën kwamen op hun beurt voort uit de Greenback Party, een partij die na de Amerikaanse burgeroorlog ijverde voor het in omloop houden van het door de oorlogsregering van Abraham Lincoln gedrukte papiergeld. Het programma van de Greenbackers en de Populisten was dus een pleidooi voor een munt die ten dienste stond van de “kleine man” en niet van het bankwezen van de Amerikaanse Oostkust.

Het populisme was (en is) dus de ideologie van een anti-establishmentbeweging die haar wortels niet in het establishment zelf had. Het grote verschil tussen het populisme en de historische arbeidersbewegingen was immers dat die laatste meestal niet werden geleid door arbeiders, maar door marxistisch geïnspireerde burgerlijke – niet zelden Joodse – intellectuelen, wat de internationalistische gezindheid van het socialisme in de hand werkte. Het populisme had dus geen echte “linkse” oorsprong, hoewel het een uitgesproken antikapitalistische beweging was. Het was het politieke verzet van de beroepsgroepen die vreesden geproletariseerd te worden door de opkomende wereld van banken, fabrieken en groothandel. Een verzet gedragen door relatief vrije mensen – burgerij noch proletariaat – die echter in de steek werden gelaten door de sociaaldemocratie, waardoor ze in het Interbellum ook massaal gehoor zouden geven aan de lokroep van het fascisme, het nationaalsocialisme en aanverwanten (zie o.a. Doriot/Poujade).

Wat massamedia en opiniemakers tegenwoordig “rechts-populisme” noemen is evenwel geen populisme, maar liberale demagogie in een volkse verpakking. Een pseudo-populisme, dat hooguit enkele oppervlakkige raakpunten heeft met het historische populisme. Dat laatste was veel meer dan  datgene waarvoor het nu doorgaat: een antibelastingsideologie. De Tea Party-beweging in de VS bevestigt haar domme tax revolt-karakter expliciet door haar naamkeuze en zelfs de libertarische presidentskandidaat Ron Paul, bekend om zijn snedige kritieken op de Federal Reserve en het VS-imperialisme, staat nog altijd mijlenver van het oorspronkelijke populisme. De reden waarom er niet zoiets als een “liberaal-populisme” kan bestaan is dat er gewoon geen vergelijk mogelijk is tussen liberalisme en populisme. Handelsliberalisering (vrijhandel) staat bijvoorbeeld haaks op de verdediging van zowel arbeiders als kleine zelfstandigen en zelfs delen van het bedrijfsleven (7). Deze korte analyse van het populisme toont ten slotte ook de valsheid aan van de marxistische klassenstrijdanalyse, gebaseerd op een duale voorstelling van “arbeid” en “kapitaal”. Communisten en kapitalisten zien zichzelf in hun (gedeelde) deterministische, dialectische opvatting van dé Geschiedenis graag als de grote protagonisten van dé Vooruitgang, maar elke keer opnieuw botsen ze op het voluntarisme van dissidenten die niet tot hun (moderne) links/rechts-logica te herleiden zijn. “Er zijn niet twee, maar véél meer klassen”, was dan ook een van de opvattingen waarmee Benito Mussolini, zelf een afvallige van de sociaaldemocratie en volgens Lenin de enige man in Italië die een revolutie kon leiden, tegen het marxisme inging. En met een bont allegaartje revolutionairen en oorlogsveteranen zou hij later, ironisch genoeg, Lenins gelijk bewijzen.

Sinds enkele jaren is er ook heel wat te doen om het “links-populisme” in Latijns-Amerika. De naamkeuze verraadt al dat het een linkse stroming is die afwijkt van het marxisme, vandaar haar “populaire” en niet “doctrinaire” karakter. De benaming is echter ook, al dan niet bewust, misleidend. Ze verdoezelt immers dat het links-populisme ook en vooral een links-nationalisme is. Het kan een combinatie worden genoemd van niet-marxistisch gezindheidssocialisme (cf. Hendrik de Man) en revolutionair bevrijdingsnationalisme. Dat is een nationalisme dat de “natie” ziet als de zaak van het ganse volk en niet als het voorrecht van een burgerij. Zoiets kan in de beperkte denkwereld van de liberale (linkse én rechtse) opiniemakers echter niet bestaan, tenzij het een marxistisch, communistisch of op zijn minst “links” karakter heeft. Zodoende worden de linkse nationalisten in Latijns-Amerika vandaag linkse populisten genoemd, zoals ze vroeger werden verketterd tot communisten, zeker als ze ook nog eens frontaal ingingen tegen de belangen van de VS in Latijns-Amerika. Denk maar aan Jacobo Arbenz in Guatemala, de jonge Fidel Castro in Cuba of Omar Torrijos in Panama. Zij waren (en zijn) slechts enkele voorbeelden van de vele linkse nationalisten in Latijns-Amerika. Wie verder wil teruggaan in de tijd kan ook nog de minder politiek-correcte, semi-fascistische regimes van een Lázaro Cárdenas in Mexico, een Getúlio Vargas in Brazilië (“Estado Novo”) en een Juan Perón in Argentinië aan het rijtje toevoegen. Zij kunnen zeker beschouwd worden als voorlopers van de huidige linkse golf: Hugo Chavez in Venezuela, Rafael Correa in Ecuador, Evo Morales in Bolivië en Ollanta Humala in Peru. In Bolivië en Peru, landen waar de indiaanse bevolking zich het sterkst heeft kunnen handhaven, gaat links-nationalisme gepaard met indiaans nationalisme of indigenisme.

Het links-nationalisme in Latijns-Amerika heeft zijn wortels in de 19de eeuw, meer bepaald toen de VS en het VK elkaar vonden in een gezamenlijke strijd om de Spanjaarden van het continent te verdrijven (zoals ze elkaar later ook zouden vinden tijdens de Eerste én Tweede Wereldoorlog om de Duitsers “uit Europa” te verdrijven). Zodoende spraken de VS, geruggensteund door het VK, met de Monroe-doctrine hun perfide “steun” uit aan de onafhankelijk geworden Spaanse (en Portugese) kolonies in Latijns-Amerika. De toenmalige Britse minister van Buitenlandse Zaken verried echter zijn ware bedoelingen, toen hij later schreef: “Spanish America is free; and if we do not mismanage our affairs sadly, she is English.” Latijns-Amerika is na zijn (schijn)onafhankelijkheid gewoon als een rijpe vrucht in de schoot van het Anglo-Amerikaanse neokolonialisme gevallen en tot op vandaag verwikkeld in een onafhankelijkheidsstrijd. In een ruimer opzicht zou men die onafhankelijkheidsstrijd zelfs een “botsing van beschavingen” kunnen noemen, namelijk een botsing tussen de Angelsaksische en van oorsprong joods-puriteinse beschaving en de Latijnse, katholieke beschaving met een inheems-heidens element.

Het neokolonialisme uit zich niet alleen door de vele militaire interventies van de VS, de vele door de VS gesteunde militaire staatsgrepen of de zogenaamde “war on drugs” (die niets anders is dan een voorwendsel voor de VS om militair aanwezig te zijn). Er is ook een sluipende economische oorlog aan de gang waarbij vrijhandel de strategie is van de Amerikaanse oligarchie om haar economische monopolies in Latijns-Amerika te vestigen. Zo heeft de Mexicaanse landbouw sinds de toetreding van het land tot het NAFTA (North American Free Trade Agreement) geen enkel verweer meer tegen de Amerikaanse agro-industrie en daardoor voert het land dat de bakermat van de maïs is, en bijgevolg de grootste soortenrijkdom herbergt, nu (goedkoper) maïs in uit de VS. Bovendien worden de inheemse soorten bedreigd door genetisch gemanipuleerde varianten uit de VS, want ook de “Frankensteins” die genetisch gemanipuleerde zaden verpatsen willen een graantje meepikken van de verovering van de Mexicaanse landbouw. De ondertekening van het NAFTA door Mexico in 1994 was ook het startsignaal voor een opstand van inheemse boeren in de Mexicaanse provincie Chiapas. Werkloosheid in de landbouw is het gevolg van de vrijhandel en vele boeren schakelen over op de cocateelt of wijken uit naar de VS.

De situatie in Latijns-Amerika, met politieke elites in de rol van neokoloniale zetbazen of compradores, verschilt in wezen niet zoveel van die in het “Oude Europa”, dat na twee wereldoorlogen ten slotte ook in het gareel werd gedwongen van diezelfde westerse, Anglo-Amerikaanse wereldorde. Na de Tweede Wereldoorlog werd het nationaalsocialistische, Duits-Europese autarkie-streven, zowel op vlak van internationale handel als van staatsfinanciën, definitief genekt. De opdeling van Europa in een westelijke en een oostelijke helft was het resultaat. En door de gedwongen politieke en economische integratie van die westelijke helft, zowel Europese landen onderling als met de VS, ontstond een gecombineerd westers “super-imperialisme”. Een imperialisme, dat in periodes van acute crisis weleens vlug opnieuw in onderlinge rivaliteiten kan vervallen. De Irak-oorlog van 2003 is één voorbeeld van onderlinge verdeeldheid, de huidige eurocrisis een ander. En als het historische momentum zich voordoet, zullen ook in Europa (opnieuw) links-nationalistische, nationaal-revolutionaire kaders klaar moeten staan om aansluiting te vinden bij die delen van de burgerlijke elite die zich – om welke redenen dan ook – “nationalistisch” zullen opstellen, want de politieke vazalliteit en de economische plundering hebben lang genoeg geduurd. Het naoorlogse Duitsland mag als Bondsrepubliek, een economische reus maar een politieke dwerg, vandaag de hoofdopzichter van het imperialisme in Europa spelen.

Nationale soevereiniteit is de eerste voorwaarde om een einde te maken aan de dictatuur van het internationale leenkapitaal en zijn krediet- en speculatie-economie. Soevereiniteit (in formeel-juridische zin) is de eerste stap naar een volwaardige soevereiniteit, die natuurlijk pas kan voortkomen uit een grondige sanering van de staatsfinanciën. Zo niet, blijven staten via staatsschuld en eeuwige rentedienst gewoon in de klauwen van het leenkapitaal. Dat is de werkelijkheid van de liberale staat, de moderne democratie. Alle belastings- en besparingsmaatregelen zijn in hetzelfde bedje ziek, omdat ze de wortel van het kwaad niet uitroeien. Dat is inderdaad een populistische, maar geen demagogische belastingskritiek. Demagogie is bijvoorbeeld de roep om Europese “solidariteit” met landen als Griekenland. Of de eis nu uit linkse dan wel uit rechtse hoek komt, hij komt altijd op hetzelfde neer: “solidariteit” in de vorm van een kredietinfuus, dat dubbel en dik terugbetaald zal moeten worden door de Griekse staat en dus het Griekse volk. Wie die logica volgt, is medeplichtig aan de brandschatting van Grieks staatseigendom en de uitpersing van het Griekse volk.

De Griekse bankiersregering heeft enkele maanden geleden, om zich de algehele vernedering van een door de EU georganiseerde uitverkoop te besparen, zelf raadgevers ingehuurd bij Deutsche Bank alsook BNP Paribas, Citigroup, Crédit Suisse, Ernst & Young, HSBC en uiteraard het alomtegenwoordige, maar immer onopvallende Rothschild & Sons. Voor de grootbankiers die jarenlang krediet gezaaid hebben, is de oogsttijd nu aangebroken. Om nog te zwijgen over de rol die de bank Goldman-Sachs jarenlang heeft gespeeld in het vervalsen van de Griekse begrotingen (en de EU die meer dan één oogje toekneep). En terwijl in Griekenland nu alles wat beweegt wordt belast, alles wat los- of vastzit wordt verpatst en al wie werkt moet inleveren, slaapt de rest van Europa rustig verder. Het geweten gesust door het fabeltje van de “solidariteit” en het verstand door de prietpraat van de “specialisten”. Is het overigens niet frappant hoe men over eender welk belangrijk onderwerp van kindsbeen af wordt aangemoedigd tot mondigheid, tot vrijdenkerij en vrije meningsuiting (meestal niet wordt gehinderd door enige kennis van zaken), terwijl het geld nog steeds iets voor ingewijden blijft? Alles wordt gebanaliseerd, geprofaniseerd en gevulgariseerd, maar de wereld van het geld blijft wel gehuld in een waas van mysterie.

De Griekse jeugd wordt intussen meer en meer gedwongen haar vaderland te verlaten, omdat dat laatste als EU-lidstaat de beleidsinstrumenten ontbeert om een eigen herstelbeleid te voeren (zoals een eigen munt). Het is altijd een van de bedoelingen van de eurozone geweest dat een lidstaat getroffen door een crisis, maar gehandicapt in zijn bevoegdheden, zijn problemen gewoon zou uitvoeren naar de rest van de eurozone in plaats van ze op te lossen. Met andere woorden, dat de werklozen zouden emigreren en samen met hen de mogelijke sociale strijd in die lidstaat. Arbeidsmobiliteit heet zoiets in het economenjargon. De Europese arbeidsmarkt als een moderne slavenmarkt. Niettemin is het een ferme misrekening gebleken: niet alleen wordt de sociale strijd in Zuid-Europa steeds grimmiger, jonge werklozen in de zwaarst getroffen “PIIGS”-landen (Portugal, Ierland, Italië, Griekenland, Spanje) kiezen steeds meer voor emigratie naar landen als Australië en Nieuw-Zeeland of, in het geval van de Portugezen, Angola en Brazilië. Kortom, allesbehalve de gehate en zelf achteruit boerende EU. Die gebrekkige arbeidsmobiliteit is overigens niet van vandaag en is maar een van de vele redenen waarom de Europese eenheidsmarkt en -munt nooit behoorlijk hebben gewerkt. Ook de pogingen om het beleid van de onderling sterk verschillende lidstaten koste wat het kost te nivelleren zijn mislukt. De euro zou als gemeenschappelijke munt, niet als eenheidsmunt een meerwaarde voor Europa gehad hebben. Een euro naast vele andere Europese munten: nationale en zelfs regionale of lokale munten, die evenzoveel middelen zijn om een beleid op (mensen)maat te voeren. En een onderlinge koppeling van die verschillende munten, binnen een bepaalde bandbreedte, zoals die ook al bestond voor de komst van de ecu/euro met de Europese muntslang, zou dan het geheel kunnen beschermen tegen muntspeculatie.

Mensenrechtenhuichelaars in het media-wereldje blijven opvallend stil over de Griekse tragedie die zich voor hun ogen afspeelt. De farce van de “Arabische Lente”, daar hadden en hebben ze oog voor. Vooral in ongebonden landen als Libië en Syrië. Minder in Egypte en Tunesië, waar kleptocraten uit de sociaaldemocratische Internationale decennialang – en onder het goedkeurende oog van de VS en Israël – de dienst uitmaakten. Nee, de zelfverklaarde vrije media zouden het niet op hun geweten willen hebben dat de protestbeweging in Griekenland, door hun toedoen, van een “Griekse Lente” tot een “Europese Lente” worden. Dan zouden ze uit hun rol vallen. Een hofhouding pleegt immers geen koningsmoord. Dat hoort niet. En wat met die andere huichelaars, de humanitaire interventionisten van de NAVO, die zich vorig jaar ontpopt hebben tot logistieke medewerkers van de Libische protestbeweging? Ach, wat een overbodige vraag. De ene kant van de Middellandse Zee is de natuurlijk de andere niet. En toch, de echte revoluties voltrekken zich zelden op straat en al zeker niet door ongeorganiseerde, diffuse menigtes. Het straatgeweld van protestbetogingen is de karikatuur van een revolutie. En contra-productief. Er komt geen tweede, spreekwoordelijke bestorming van de Bastille (waarvan de symbolische betekenis voor de Franse Revolutie overigens groter was dan haar reële historische bijdrage). Het geeft een vertekend beeld van de werkelijkheid, want zijn de echte revolutionairen eigenlijk niet de bonzen die op internationale conferenties (en in de schaduw daarvan) beslissingen nemen, die ze vervolgens in verdragen en binnenlandse wetten gieten? En wat vermogen betogingen, stakingen, verkiezingen en volksraadplegingen tegenover genomen beslissingen en voldongen feiten?

De revolutie die de geldadel pijn kan doen is geen pseudo-revolutie van het geweld, maar een revolutie van de wet. Een die de internationale leenkapitaal het monopolie op de geldschepping betwist en uiteindelijk ontneemt. Een revolutie van het geld of, liever, van het geld als wettelijk betaalmiddel. Alleen zo kan er een einde komen aan de uitzichtloze neerwaartse spiraal waarin landen als Griekenland nu verkeren en straks ook de rest van Europa zal verkeren. Jawel, straks. “Krediet” is namelijk iets wat men niet voelt, zolang er genoeg economische groei is. Dan is de economie een goede melkkoe voor de “kredietverstrekkers” die als bloedzuigers op haar lijf kleven. Geldschepping door krediet, dus schuld, is de belangrijkste bron van sociale controle in een kapitalistische maatschappij en net datgene wat steeds onder de radar blijft (en moet blijven). Sociaaldemocraten en marxisten eisen geen hervorming van het geldwezen, maar willen het privé-eigendom aan banden leggen of zelfs afschaffen: hetzij door belastingen, hetzij door nationaliseringen. Daarmee gaat het in feite nog verder dan het kapitalisme, dat de privé-eigendom en het bedrijfsleven in handen van weinigen concentreert. Beide zijn dus anomalieën van dezelfde sociale stoornis. Sociaaldemocraten en marxisten begrijpen niet dat privé-eigendom en eigendomsverwerving juist het tegendeel zijn van kapitalistische renteslavernij, die vrije mensen onteigent en proletariseert. Pas als de staat uit de greep van het leenkapitaal bevrijd is, zal hij ophouden een bron van  niet-aflatende “klassenstrijd” te zijn, een krabbenmand waarin verschillende belangengroepen belastingen en besparingen op elkaar proberen af te wentelen. Maar het juk afwerpen? Dat komt zelfs niet in hun stoutste gedachten op. En gebeurt dat niet, dan is de kans groot dat de geschiedenis zich herhaalt en de Europese landen zich, al dan niet onder NAVO-vlag, opnieuw in een (wereld)oorlog storten om uit de recessie te komen en hun tanende macht te redden.

Is in Hongarije zo'n revolutie begonnen? Volgens de Cohn-Bendits en de Verhofstadts heeft het land een probleem met de democratie; hun collega Annemie Neyts-Uyttebroeck suggereerde zelfs dat dat probleem opgelost zou kunnen worden door het overlijden van Orban (8). Voor de rest: veel pathos, geen argumenten. Hoe kunnen ze ook? Argumenten aanvoeren voor een “onafhankelijke” centrale bank – onafhankelijk van regering en volksvertegenwoordiging, niet van het bankwezen zelf? Ach, maak toch geen slapende honden wakker! Verpak een aanval op de “vrije” centrale bank in Hongarije als een aanval op de “vrije” media, moeten de eurocraten gedacht hebben. “Vrije” media zijn volgens liberalen en democraten immers media die grotendeels in handen zijn van dezelfde kliek die ook het bankwezen in handen heeft. Maar de rebelse Hongaren storen zich niet aan de bombast van hun criticasters en ze gaan de straat op om hun eerste minister te steunen. Waar elders in Europa ziet men dezer dagen betogingen vóór een zetelende regering? Nergens. En aldus weerklinkt in de straten van Boedapest de luide roep: “Wij willen geen kolonie zijn”. De Hongaren lijken het begrepen te hebben!

Noten:

1) Van Cauwelaert, R. (2011, 9 februari), Eutopia.
2) Brown, E. (2007, 9 augustus), Thinking Outside the Box: How a Bankrupt Germany solved its Infrastructure Problems.
3) “De oorlog is uitgelopen op de ineenstorting van het parlementaire stelsel en van de kapitalistische geldheerschappij in de zogenaamde democratische landen. Verre van een ramp te zijn, is deze ineenstorting van een vermolmde wereld voor de werkende klassen en voor het socialisme een verlossing (…) De vrede kon niet ontstaan uit een regime dat zich democratisch noemde, maar waar in werkelijkheid de geldmachten en de beroepspolitici regeerden, een regime dat meer en meer onmachtig bleek tot elk gedurfd initiatief, tot elke ernstige hervorming.” (Hendrik de Man, geciteerd in: Manifest van 28 juni 1940)
4) AFP/Le Point (2011, 25 mei), Marine Le Pen : “Il faut supprimer purement et simplement le FMI”.
5) “I believe that banking institutions are more dangerous to our liberties than standing armies. If the American people ever allow private banks to control the issue of their currency, first by inflation, then by deflation, the banks and corporations that will grow up around [the banks] will deprive the people of all property until their children wake-up homeless on the continent their fathers conquered. The issuing power should be taken from the banks and restored to the people, to whom it properly belongs.” (Thomas Jefferson)
6) YouTube (2009, 19 mei), Pierre Poujade contre le juif Mendès-France.
7) Terzake (2011, 11 mei), Vlaams beleid tegenover de industrie is nul, nul, nul.
8) RechtsActueel (2012, 17 januari), Radio 1: Oostenrijkse democratie gered door overlijden Jörg Haider….

mercredi, 14 mars 2012

La crisi dell'Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito

La crisi dell'Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito

di Virendra Parekh

Fonte: geopolitica-rivista

La crisi dell’Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito

C’è un aspetto dell’attuale crisi economica in Europa e Nordamerica che è stato completamente sorvolato: l’attuale condizione di queste potenti economie convalida la tradizionale saggezza indiana riguardo alle questioni economiche e finanziarie, ponendo degli interrogativi su modelli economici (e stili di vita) basati sul debito. Considerati i probabili scenari futuri in Grecia e nell’Unione Europea, tutto ciò diventerà chiaro come il sole.

Dopo lunghi negoziati, i leader europei, i creditori privati e il FMI sono riusciti a predisporre il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, il quale è ritenuto politicamente accettabile per i creditori, fornendo ad Atene un sostegno che si calcola possa essere sostenibile. Saranno garantiti alla Grecia 130 miliardi di euro (173 miliardi di dollari) di finanziamenti addizionali per i prossimi due anni. Le banche private hanno accettato una riduzione del 53,5% del valore nominale delle obbligazioni greche in loro possesso, unitamente a una riduzione del tasso d’interesse sui nuovi titoli, partendo dal 2% e salendo al 4.3% dal 2020. Tutto ciò equivale a una perdita dell’attuale valore netto di circa il 75% (una perdita maggiorata al 21% rispetto agli accordi del luglio dello scorso anno). Inoltre, i tassi d’interesse applicati dai membri dell’eurozona sui loro prestiti di salvataggio per la Grecia saranno ridotti dello 0,50%.

L’accordo dovrebbe comportare un abbassamento del rapporto tra debito e PIL della Grecia al 120,5% nel 2020.
Tuttavia, l’elargizione del prestito è condizionata dall’attuazione da parte della Grecia di determinate misure entro la fine del mese – ad esempio, ridurre il salario minimo per rendere il mercato del lavoro più flessibile – e sarà sottoposta a un “rafforzato e permanente” monitoraggio da parte dei funzionari della Commissione Europea in Grecia.
La Grecia dovrà depositare il valore di un trimestre del pagamento del servizio di debito in un “conto separato”, il quale sarà monitorato dalla troika composta da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e FMI.

Nel corso dei prossimi due mesi, la Grecia promulgherà una legge “garante che la priorità sarà concessa ai pagamenti del servizio del debito”, sancendolo nella Costituzione “il più presto possibile”. Il pacchetto, se sarà attuato (si tratta di un grosso se), consentirà alla Grecia di evitare un default disordinato nel prossimo mese con 14,5 miliardi di euro (19 miliardi di dollari) di obbligazioni in scadenza. Tuttavia, la tregua è destinata ad essere temporanea ed è improbabile che possa offrire delle soluzioni ai problemi di base della Grecia o, più importante, delle economie dell’eurozona.

Questo perché la pazienza e la fiducia si stanno esaurendo su tutti i fronti. Gli istituti di credito esercitano delle pressioni, richiedendo una maggiore austerità e forti impegni, i titolari di mutuo stanno diventando sempre più risentiti per le condizioni che si stanno cercando di imporre loro, e la gente nei paesi prestatori è irritata di fronte alla prospettiva di compiere dei sacrifici per salvare i loro dissoluti vicini. Ci sono state violente manifestazioni e proteste ad Atene e altrove contro il pacchetto d’austerità. Per i greci, i quali hanno avuto a lungo vita facile come parte integrante della più ampia eurozona, i sacrifici richiesti, in particolare la riduzione delle pensioni, rappresentano una pillola amara da ingoiare. La sensazione di essere costretti a subire delle privazioni in base alle insistenze degli stranieri, soprattutto tedeschi, li rende ancor più risentiti. Con la disoccupazione in crescita attorno al 20% per il quarto anno consecutivo, la rabbia dell’opinione pubblica contro la classe politica ha comportato settimane di proteste.

Quasi con lo stampino, la rabbia sta montando in altri paesi dell’eurozona per la prospettiva di dover salvare i greci, piuttosto che lasciarli cuocere nel loro brodo. I pessimisti sottolineano che la Grecia è nota per le promesse non mantenute. Nonostante gli impegni presi più di un anno fa volti alla massiccia privatizzazione e alla riduzione dell’amministrazione pubblica, non un singolo significativo settore greco è stato privatizzato, né un funzionario licenziato. Dopo aver speso miliardi per più di un decennio per l’integrazione della Germania, i tedeschi non vogliono spendere grandi somme supplementari a favore di coloro che considerano pigri, nonché fannulloni spendaccioni dell’Europa meridionale. Altri Stati creditori come la Finlandia e i Paesi Bassi sono altrettanto stufi di dover distribuire denaro, e meno della Germania si sentono costretti a svolgere la parte dei buoni europei.

In questo modo, l’agonia della Grecia non è affatto conclusa. Per prima cosa, le regolari e incessanti valutazioni della troika, così come le accese polemiche per gli eccessi di esborsi continueranno. E se l’Italia e la Spagna saranno in grado di fare evidenti progressi nella sistemazione delle proprie finanze pubbliche, il resto dell’eurozona si sentirà più al sicuro nel chiudere il rubinetto greco. Dunque la Grecia potrà solo ritardare un default disordinato, che alla fine avverrà comunque.

Sotto molti aspetti la Grecia rappresenta la debolezza dell’Unione Europea. Come sostenuto da Martin Wolf sul Financial Times, il fatto che questo piccolo paese, economicamente debole e cronicamente mal gestito abbia causato tali difficoltà, indica la fragilità strutturale dell’UE. Le mancanze greche sono estreme, ma non uniche. La sua situazione dimostra che l’eurozona necessita ancora di una più praticabile miscela di flessibilità, disciplina e solidarietà.

Politicamente l’eurozona è una costruzione incompleta. Dispone di un’unione monetaria senza un’unione fiscale. Non è né così profondamente integrata dal ritenere una rottura inconcepibile, né così poco unita dal rendere la sua implosione tollerabile. Alcuni politologi sostengono che se l’eurozona sopravviverà, deve trasformarsi in un’unione fiscale come l’India, dove sono assicurati trasferimenti dagli Stati con surplus a quelli con disavanzi (come succede tra il Gujarat e l’Orissa). Ma i tedeschi e gli elettori del nord Europa non considerano seriamente una simile prospettiva. Infatti, oggi la garanzia più potente per la sopravvivenza dell’UE è il costo rappresentato dalla sua rottura. Ma questo aspetto non basta. Nel lungo periodo, l’unità europea deve essere costruita su qualcosa di più positivo rispetto a questo principio. Si tratta comunque di un compito titanico, date le divergenze economiche e gli attriti politici emersi così chiaramente da questa crisi.

Economicamente l’eurozona è un matrimonio fra diseguali. Membri ad alta produttività (Germania, Paesi Bassi e Finlandia) e Paesi del sud a bassa produttività (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – PIIGS) sono legati da un’unica moneta, l’euro. L’euro è molto sottovalutato per la produttività della Germania, che quindi ha espanso le proprie esportazioni. Ma la stessa moneta è troppo forte per i PIIGS, che hanno aggravato i disavanzi commerciali. In questo modo, la crisi dell’eurozona è fondamentalmente una crisi della bilancia dei pagamenti. Poiché tutti i membri usano l’euro, gli squilibri commerciali tra loro non sono evidenziati. Ma essi sono enormi, per un totale di circa 500 miliardi di euro. Un tasso di cambio non competitivo ha gravato i PIIGS, i quali hanno una crescita del PIL molto lenta o negativa, causando una riduzione del gettito fiscale e, di conseguenza, un aumento del deficit di bilancio. Dunque, un problema commerciale si è trasformato in un problema fiscale.

Risolvere queste questioni non è facile. Inoltre, vi è preoccupazione per il deteriorarsi dell’economia dell’eurozona, che probabilmente si trova in recessione. I piani d’austerità varati da alcuni governi ritarderebbero solamente la crescita economica, riducendo le entrate governative e aggravando lo squilibrio fiscale. Tutto ciò, a sua volta, farà ulteriormente calare la fiducia, mettendo in discussione la capacità di diversi Stati sovrani di sostenere le proprie spese. E’ un circolo vizioso.

Le banche europee sono sotto forte pressione. Hanno massicce dosi di obbligazioni, non solo della Grecia, ma anche di altri paesi che si ritiene siano in una situazione critica. Il pacchetto di salvataggio greco comporterà per loro delle pesanti perdite. Se il contagio greco si diffonderà in altri paesi, l’intero sistema finanziario potrebbe essere in pericolo. Non c’è da stupirsi che la maggior parte delle banche stiano ottenendo prestiti dalla BCE per le loro obbligazioni in scadenza, piuttosto che per emettere capitali nell’economia attraverso prestiti commerciali.
I Paesi e le aziende dell’Asia sono particolarmente colpiti da questa stretta creditizia da parte delle banche europee, che sono state le loro grandi finanziatrici. La riduzione dei crediti da parte di queste banche, unitamente al rallentamento dell’economia in Europa potrebbe comportare delle conseguenze negative per le esportazioni asiatiche.

Cosa causeranno questi sviluppi per l’India? L’UE è il principale partner commerciale dell’India, acquistando circa un quinto del totale delle esportazioni indiane. Con un rallentamento delle esportazioni dovuto a un calo della domanda da parte dell’UE, aggravata dai tagli governativi del bilancio e dalla riduzione dei finanziamenti bancari, potrebbe ampliarsi il disavanzo del conto delle partite correnti dell’India. Dal momento che più di tre quarti delle esportazioni indiane verso l’UE provengono dal settore manifatturiero, questo prevedibile calo della domanda di esportazioni potrebbe esercitare delle pressioni sulla produzione industriale nazionale. Infine, mentre i mercati di tutto il mondo restano nervosi, il commercio e i flussi d’investimenti futuri dipenderanno da come verrà risolta la crisi del debito dell’eurozona. Gli afflussi di capitali verso l’India potrebbero essere influenzati nel caso in cui le banche europee continuassero ad ottenere prestiti per soddisfare le loro obbligazioni non ancora scadute, piuttosto che per espandere il credito al fine di favorire nuovi investimenti.

Non vi è alcuna certezza su come, quando e in che modo l’eurozona uscirà dalla complicata situazione in cui versa. Dal momento che l’eurozona fatica a trovare una via d’uscita alla propria multiforme crisi, l’India non può pretendere di rimanerne non influenzata. Necessita di una strategia globale per affrontare tutte le eventualità e gli scenari. Tutto ciò che attualmente osserviamo è istintiva reazione del mercato a specifici sviluppi. Chiaramente, questo non è sufficiente.

La situazione dei paesi europei così come quella degli Stati Uniti offre alcune lezioni di base per l’India. Il loro passaggio da una crisi all’altra dimostra i pericoli rappresentati da modelli economici basati sul debito. Seguendo l’economia keynesiana, i governi di questi paesi hanno invocato pesanti spese pubbliche al fine di creare domanda aggiuntiva e stimolare la crescita. Gli individui e le famiglie di questi paesi hanno accumulato debito su debito in modo tale da ricercare un modello di esistenza che pensavano fosse il modo corretto di vivere. Una cultura basata sulle carte di credito e prestiti sub-prime ha creato un’illusione di opulenza.

Stanno ora riscoprendo le virtù della buona vecchia prudenza. Le loro stravaganze sono ora delle ossessioni. I loro governi sono “in tensione”. I loro sistemi di sicurezza sociale stanno diventando sempre più insostenibili e inadeguati. Si tratta di un risultato inevitabile in una società in cui la specializzazione esclusiva della gente maggiormente pagata è ideare nuovi e più complessi prodotti finanziari. Stanno imparando nel modo più duro che non si può influenzare il percorso verso la prosperità.

Prima guadagna, poi spendi, questo ci hanno insegnato i nostri antenati. Spendi sempre meno di quello che guadagni, ci hanno detto. I nostri shastra e i saggi disapprovavano il comportamento dei re che indulgevano in dissolutezza e sperperavano le tasse pagate dai loro sudditi. Sotto l’influenza delle economie occidentali, i governi dell’India indipendente hanno dimenticato queste lezioni, ricorrendo al finanziamento del deficit su larga scala e spingendo al rialzo i prezzi di tutto centinaia di volte nel corso degli ultimi anni.

Oggi, l’abitudine di vivere al di là di ogni mezzo, che si riflette in giganteschi deficit fiscali, è diventata una macina attorno al collo dell’economia. La stampa di banconote, prendendo in prestito da chiunque è disposto a dare in prestito, è una strada angosciosa che non porta allo sviluppo. Le nazioni sono costruite sul duro lavoro, la diligenza e l’onestà. Questa è la lezione che dovremmo imparare dalla crisi in Occidente.

(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)


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mardi, 13 mars 2012

Poutine jusqu'en 2018

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Poutine jusqu'en 2018

Par Alexandre LATSA - Ex: http://www.polemia.com/

Au lendemain des élections russes du 4 mars, Polémia a mis en ligne trois analyses (*) émanant de commentateurs français, qui, en dépit de l’unanimité des médias du Système visant à discréditer le nouveau président et à monter en épingle une opposition décousue, apportaient leurs observations plus conformes, semble-t-il, à la réalité. Aujourd’hui, Alexandre Latsa, journaliste français vivant à Moscou, consolide cette vue non conformiste, non partisane et absente de tout contexte idéologique, en expliquant les raisons qui ont amené les Russes à élire, haut la main, Vladimir Poutine à la présidence.

Polémia


Le 04 mars 2012, le peuple russe a voté et n'en déplaise à certains, il a voté massivement pour que Vladimir Poutine dirige la Russie jusqu’à 2018. Après le dépouillement de 99,3% des bulletins, Vladimir Poutine arrive en tête du scrutin avec 63,6% des suffrages, suivi par Guennady Ziouganov (17,19%) et Mikhaïl Prokhorov (7,98%). Vladimir Jirinovski obtient 6,22% et Serguey Mironov 3,85%. Le taux de participation s’est établi à 65%.

Une élection incompréhensible à travers le prisme médiatique français

Le résultat de cette élection est simplement une confirmation de ce que tous les analystes lucides et sincères avaient prévu, à savoir un Vladimir Poutine obtenant entre 50 et 65% au premier tour. En effet, tous les instituts de sondages le donnaient gagnant au 1er tour. Ce vote est aussi un événement géopolitique d'une portée qui échappe encore sans doute à la très grande majorité des commentateurs. L’élection de Vladimir Poutine pour un troisième mandat, qui est incompréhensible à travers le prisme médiatique français, s’inscrit pourtant dans une séquence historique russe parfaitement cohérente.

En mars 2000 lorsque Vladimir Poutine est élu avec un peu plus de 50% des voix, le pays est ravagé par une décennie postsoviétique « eltsinienne », et il sort d’une crise économique majeure. Propulsée par le système Eltsine, l’élection de Vladimir Poutine par la population russe se fait principalement par défaut. Inconnu, ce dernier apparaît cependant très rapidement comme un homme à poigne et son style sec et autoritaire est perçu positivement par la population russe. Vladimir Poutine apparaît dès le début des années 2000 comme une sorte de sauveur, qui restaure l’ordre public. Sa seconde élection en 2004 avec près de 70% des voix au premier tour sera un plébiscite. Le deuxième mandat de Vladimir Poutine sera une période de redressement économique incontestable pour la Russie.

Passage du témoin à Medvedev – Embellie économique frappée par la crise mondiale

Lorsqu’il cède la place à Dimitri Medvedev en 2008, l’autorité de l’état a été totalement rétablie, et un parti de gouvernement a été créé. En pleine embellie économique, Dimitri Medvedev est élu président en mars 2008 avec 72% des voix. Malheureusement, la crise financière mondiale frappe la Russie, ainsi qu’une nouvelle guerre dans le Caucase. La présidence Medvedev souffre en 2009 des conséquences sociales de la crise et des difficultés à moderniser le pays aussi rapidement que souhaité. La pression internationale se fait également plus forte et durant la dernière année de son mandat, la diplomatie russe est malmenée en Libye ou en Europe (bouclier antimissile) et finalement la politique extérieure de Medvedev est critiquée en Russie.

Après les élections parlementaires de décembre dernier, de grosses manifestations d’opposition ont lieu dans les grandes villes du pays, faisant penser à certains commentateurs étrangers que la Russie commençait à se révolter contre le « système Poutine ». D’autres, au contraire, ont vu dans ces manifestations un embryon de déstabilisation orchestrée de l’extérieur, sur le modèle des révolutions de couleurs. De nombreux indices ont pu laisser penser que ce dernier scénario était plausible.

Les 3 Russies et le vote Poutine

Paradoxalement, c’est ce risque de révolution de couleur qui a unifié l’opinion publique et grandement contribué au score très élevé de Vladimir Poutine. L'analyste Jean-Robert Raviot, a parfaitement défini ce phénomène en définissant 3 Russies. D’abord, la plus médiatisée car occidentalisée, celle des « Moscobourgeois », ces bourgeois métropolitains baptisés « classe moyenne » par les commentateurs. Ensuite la Russie provinciale et périurbaine, très majoritaire, patriote et fragilisée par la crise, socle de la majorité favorable à Vladimir Poutine et enfin la Russie des périphéries non-russes contrôlées par des ethnocraties alliées au Kremlin et dans lesquelles les votes sont assez homogènes, en faveur du pouvoir central.


En effet, Moscou et Saint-Pétersbourg sont les seules villes dans lesquelles les résultats, pris isolément, auraient pu déboucher sur un deuxième tour entre Poutine et Prokhorov. Mais si cette Russie riche, urbanisée et européanisée des grandes villes a moins voté Poutine que le reste du pays, elle reste très minoritaire. A l’inverse, la Russie des petites et moyennes villes, voire des campagnes, est beaucoup plus conservatrice et populaire. En votant massivement pour Vladimir Poutine, elle a montré son inquiétude face à de possibles bouleversements. Depuis le début des années 2000, la Russie poursuit son redressement, et les désordres de la première décennie qui a suivi la disparition de l’URSS ont profondément marqué les esprits. Le peuple russe a donc fait bloc derrière Vladimir Poutine, refusant toute ingérence extérieure et souhaitant que la politique entamée il y a maintenant 12 ans soit poursuivie.

Le score stable de Guennadi Ziouganov, le candidat du parti communiste, indique que le parti a fait le plein et que 4 ou 5% de ses électeurs de décembre dernier (le parti communiste avait atteint 19% aux législatives en bénéficiant de son statut de principal concurrent a Poutine et du vote anti-Poutine) se sont cette fois reporté sur Michael Prokhorov. Ce dernier a sans doute canalisé la majorité des votes des manifestants contestataires des derniers mois. Il recueille en effet 20% à Moscou et 15,5% à Saint-Pétersbourg. Le faible score de Vladimir Jirinovski est sans doute à mettre en rapport avec le score élevé de Vladimir Poutine, beaucoup d’électeurs LDPR ayant sans doute voté Poutine au premier tour. Сe faible score du LDPR semble annoncer le déclin de ce parti que l’on imagine mal survivre sans son charismatique leader. Enfin l’échec cuisant du candidat Mironov (3,46%) alors que son parti avait obtenu un score très élevé aux législatives, montre que fondamentalement les électeurs russes refusent tout candidat trop social-démocrate.

Bien sûr de nombreux commentateurs étrangers écriront dans les jours qui viennent (pour nier ce soutien populaire qu’ils ne peuvent visiblement ni admettre ni comprendre) que les élections ont été truquées et que de nombreuses fraudes en faveur de Vladimir Poutine ont été recensées. Pourtant, comme lors des législatives, la grande majorité de ces accusations de fraude vont s’avérer infondées, le nombre de cas de fraudes réelles ne devant pas dépasser environ 300, contre 437 formelles lors des législatives de décembre dernier, pourtant si critiquées.

Les observateurs : déroulement normal du scrutin

Les observateurs de la CEI, de l’Organisation de Shanghai ou encore des observateurs indépendants ont pourtant déclaré que le scrutin s’était déroulé normalement et que l’élection était conforme, proposant même d’instaurer le système de surveillance voulu par Vladimir Poutine (96.000 bureaux de vote filmés par 91.000 webcaméras) pour les élections au parlement européen. A ce titre, si Michael Prokhorov est arrivé en tête en France et en Angleterre, les russes d’Allemagne et d’Espagne ont eux majoritairement voté pour Vladimir Poutine. Ce alors qu’en Allemagne Russie-Unie avait obtenu un mauvais score en Allemagne aux législatives, se retrouvant derrière le parti libéral Iabloko.

Et maintenant ?

Que va-t-il se passer désormais? L’opposition a annoncé qu’elle allait continuer à manifester, comme elle l’a fait déjà lundi dernier, au lendemain des résultats. Mais la manifestation n’a rassemblé que 10.000 personnes, et le climat semble déjà avoir changé. Michael Prokhorov, tout comme Boris Nemtsov ont été copieusement sifflés pendant cette manifestation, et Alexey Navalny et Serguey Udaltsov (respectivement nationaliste/libéral et d'extrême gauche, mais alliés contre Poutine) ont été au contraire ovationnés. En fin de manifestation, en refusant de quitter les lieux et en appelant à occuper la place, ce sont eux qui ont provoqué l’interpellation des 300 ou 400 irréductibles qui les accompagnaient, pour le plus grand plaisir des caméras étrangères. Plus tard c’est un groupe d’une centaine d’ultranationalistes qui a tenté de marcher sur le Kremlin, avant que la police ne les interpelle également. On peut donc se demander si l’opposition légale ne s’est pas cristallisée autour de Michael Prokhorov et si finalement la frange la plus radicale et non politique de cette opposition si disparate, ne va pas chercher à créer des troubles, en refusant de reconnaître une élection que personne dans le monde ne conteste déjà plus.

Alexandre Latsa
RIANOVOSTI
07/03/2012

Alexandre Latsa est un journaliste français qui vit en Russie et anime le site DISSONANCE, destiné à donner un « autre regard sur la Russie ». Il collabore également avec l'Institut de Relations Internationales et Stratégique (IRIS), l'institut Eurasia-Riviesta, et participe à diverses autres publications.

Les intertitres sont de la rédaction

(*) Voir les trois articles précédents :

Poutine le Grand est de retour / Et il a tiré les leçons de l'hostilité occidentale
Russie : Bonne nouvelle pour la multipolarité
Poutine, un nouveau Pierre Le Grand ?

La Libye, de la « libération » à la somalisation

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La Libye, de la « libération » à la somalisation 

par Camille Galic - Ex: http://www.polemia.com/ 

Alors que les turbulences se poursuivent en Egypte et en Tunisie, où l’asphyxie du tourisme et le départ des investisseurs provoquent un chômage sans précédent, le risque (prévisible) de sécession de la Cyrénaïque remet la Libye au premier plan, affolant chancelleries et rédactions.

Le 8 mars était trompettée une excellente nouvelle : après « trente-trois ans » de total dévouement à un régime qu’il vient de découvrir « criminel », Abdo Hussameddine, vice-ministre syrien du Pétrole, choisissait de « rejoindre la révolution du peuple qui rejette l'injustice » et de reprendre ainsi « le droit chemin ». Cette miraculeuse conversion à la démocratie est aussi une inestimable prise de guerre pour les rebelles syriens réputés, par notre ministre Alain Juppé en particulier, incarner les droits de l’homme.

Mais cette sensationnelle annonce faisait bientôt place à une autre, beaucoup moins réjouissante pour les zélateurs des « printemps arabes » : l’éventualité de la « dislocation de la Libye », avec la proclamation unilatérale de l'autonomie de l'Est libyen par des dignitaires locaux, chefs de tribu et commandants de milice réunis à Benghazi – deuxième ville du pays et berceau de l'insurrection qui a renversé Muammar Kadhafi – devant des milliers de personnes qui les ont follement applaudis. Moustapha Abdeljalil, président du Conseil national de transition (CNT) au pouvoir, répliquait aussitôt à cette « provocation » par la menace de « recourir à la force » pour mater les « séparatistes ». S’il réprime la rébellion de ces derniers avec la vigueur d’un Bachar al-Assad, quel dilemme pour Nicolas Sarkozy qui, le 1er septembre à l’Elysée, et au nom des « Amis de la Libye » (dont le Britannique David Cameron, l’onusien Ban-Ki-Moon et l’émir du Katar), remettait au même Abdeljalil 15 milliards de dollars pour la « reconstruction de la Libye nouvelle » ! Un mirage exalté par tous les médias.

Un pays livré à des milices surarmées

Du coup, c’est l’affolement dans les rédactions. « Libye : l’autonomie de l’Est fait craindre une partition du pays », titrait Le Parisien, « Menace d‘une nouvelle guerre civile », s’inquiétait Libération, « Libérée de Kadhafi, la Libye s’enfonce dans le chaos », constatait avec tristesse Le Nouvel Observateur ; l’AFP évoquait un « risque de somalisation » et Le Point lui-même, où sévit Bernard-Henri Lévy, héraut de la « croisade » contre Kadhafi et tombeur du raïs, admettait par la plume de son correspondant Armin Arefi l’extrême gravité de la situation : « Ce devait être le grand succès international du quinquennat de Nicolas Sarkozy. Mais la Libye post-Kadhafi semble inexorablement basculer dans l'impasse. L'annonce de l'autonomie de la région de Cyrénaïque a fait l'effet d'une bombe. » Les conséquences en seront d’autant plus graves et plus sanglantes que, depuis la révolution, la Libye souffre d’un « fléau » : « l'abondance d'armes en libre circulation à travers le pays ». Ces armes, fournies notamment par les « officiers de liaison » français envoyés par Paris, avaient été « confiées aux rebelles organisés en milices pour se débarrasser de Muammar Kadhafi ». Las ! Les milices sont désormais « hors de contrôle » et, selon le diplomate français Patrick Haimzadeh cité par l’hebdomadaire de François Pinault, il n'est donc pas exclu que les autonomistes de Benghazi « aillent à l'affrontement avec le gouvernement central, en cas de refus », tant ils sont convaincus que « la révolution a été déviée » et qu’elle leur a été confisquée par Tripoli.

Conclusion de Armin Arefi : « Si le candidat Nicolas Sarkozy peut se targuer d'avoir évité le bain de sang que promettait Muammar Kadhafi à Benghazi, il semble bien moins se soucier aujourd'hui du sort d'un pays miné par les intérêts personnels et les rivalités, tant régionales que tribales […] Nicolas Sarkozy s'attendait à une guerre pliée en une semaine, car il ne connaissait pas la société libyenne. Or on ne change pas une culture politique en quelques mois. Cette situation va durer au moins dix ans. »

« Silence médiatique » malgré le tocsin

Mais qu’importait, sans doute, aux yeux du président-candidat ! « Le temps où les caméras, appareils photo et plumes du monde entier informaient non-stop sur la Libye paraît bien loin. La Libye est retournée au silence médiatique. Les regards se sont tournés vers la révolution suivante, en Syrie », commentait de son côté Gaël Cogné sur France TV Info, grand service de « l’actu en continu » lancé en fanfare le 14 novembre dernier par le géant France Télévisions, avec l’ambition d’être « la première plateforme d'informations en temps réel du service public », alimentée par les multiples rédactions de la télévision d’Etat.

Evoquant les cent cinquante tribus composant la société libyenne et agitées de violents antagonismes, Gaël Cogné écrit benoîtement que « ces divisions ne sont pas une surprise ».
Eh bien si, c’en est une, et de taille pour le bon peuple, qui a financé de ses deniers durement gagnés une intervention militaire (au coût exorbitant en ces temps de crise : plus de 350 millions d’euros, estimait L’Express du 28/09/2011) mais dont on lui avait juré qu’elle procurerait un avenir radieux au peuple libyen et, à la France, un marché du siècle : « A ceux qui parlent d’argent, je fais remarquer que c'est aussi un investissement sur l'avenir », avait osé déclarer un mois plus tôt notre inénarrable ministre des Affaires étrangères au quotidien Le Parisien (du 27/8/2011). Un investissement bien compromis par les événements actuels.

Pourtant, les mises en garde n’avaient pas manqué. Le fils du colonel Kadhafi, Seif Al-Islam, avait prédit dès les premiers temps de l'insurrection que les tensions entre tribus « pourraient causer des guerres civiles ». Une mise en garde avait été lancée d’emblée par Polémia qui, sur son site, avait multiplié les alertes (1) dans des articles où était clairement souligné le risque de « partition » du pays, à partir des travaux de Bernard Lugan. Dès le 13 mars 2011, le célèbre africaniste avait déploré qu’ « en écoutant BHL et non les spécialistes de la région, le président Sarkozy ait involontairement redonné vie au plan Bevin-Sforza rejeté par les Nations unies en 1949 ». Et Lugan d’expliquer : « Ce plan proposait la création de deux Etats, la Tripolitaine, qui dispose aujourd’hui de l’essentiel des réserves gazières, et la Cyrénaïque, qui produit l’essentiel du pétrole. Voilà donc la première étape de ce plan oublié désormais réalisée avec la reconnaissance par la France, suivie par l’UE, du gouvernement insurrectionnel de la Cyrénaïque… Deux Etats existent donc sur les ruines de la défunte Libye : la Cyrénaïque – provisoirement ? – aux mains des insurgés, et la Tripolitaine. C’est à partir de cette donnée qu’il convient d’analyser la situation, tout le reste n’étant une fois encore que stérile bavardage, vaine gesticulation et soumission à la dictature de l’émotionnel. »

La fidélité de BHL… à Israël

Mais qui avait écouté Lugan (2) parmi les innombrables « spécialistes » de France Télévisions et des autres médias qui nous affirment aujourd’hui assister « sans surprise » aux déchirements libyens ?

Le seul qui ait eu alors droit à la parole était M. Lévy, promu par le chef de l’Etat véritable ministre en exercice des Affaires étrangères et de la Guerre (et même des Finances puisqu’il nous fit attribuer en juin dernier une première aide de 290 millions d'euros à ses protégés du Conseil national de transition) alors qu’on sait aujourd’hui qu’il n’agissait nullement au profit de la France. Au contraire. Dans l’affaire de Libye, « J'ai porté en étendard ma fidélité à mon nom et ma fidélité au sionisme et à Israël », devait-il proclamer fièrement le 20 novembre devant le Conseil représentatif des institutions juives de France (CRIF) qui tenait à Paris sa première convention nationale – voir le « Billet » de Polémia du 22/11/2011. Allez savoir pourquoi, cette brûlante profession de foi (et d’allégeance à un Etat étranger) fut occultée… comme l’avaient été les risques de notre interventionnisme en Libye, et les fruits amers qu’il ne manquerait pas de porter, en commençant par l’éclatement du pays prétendument libéré – avec la vague migratoire et la réaction islamiste que cela ne manquera pas de susciter. Ce n’est du reste pas un hasard si, sans doute informés des intentions des « séparatistes » de Benghazi, les barbus libyens, déjà très influents au sein du CNT, avaient créé le 3 mars le parti Justice et Construction présidé par Mohammed Sawane, représentant des Frères musulmans… et farouchement opposé à l'autonomie de la Cyrénaïque, qu'il considère selon Armin Arefi comme « une première étape avant la scission totale de la région ».

Une dislocation organisée

Mais la « dislocation géopolitique mondiale » ne fut-elle pas l’objectif de l'OTAN en Libye, comme le soulignait ici même Xavière Jardez le 9 août 2011 en commentant un rapport du Laboratoire européen d'anticipation politique (LEAP), think-tank monégasque dirigé par Franck Biancheri (3)? L’entreprise était alors menée par Washington, le Katar se chargeant d’une partie du financement et de la mise en scène médiatique, celle de la « libération » de Tripoli par exemple. Or, simple hasard, cet émirat pétrolier serait aujourd’hui très actif auprès des autonomistes de Benghazi.

Evoquant la campagne de l’OTAN, X. Jardez écrivait : « On demanda à l’opinion publique d’approuver, non de penser. » Et voilà cette opinion frappée de stupéfaction quand elle apprend que le pays qu’on lui avait dit arraché à la tyrannie et à la barbarie risque de connaître l’épouvantable destin de la Somalie, livrée à des factions se livrant une guerre inexpiable et redevenue un repaire des pirates. Ce que furent, soit dit en passant, la côte des Syrtes et celle de la Cyrénaïque pendant des siècles.

Camille Galic
9/03/2012

Notes

(1) Voir entre autres les articles sur Polémia

(2) Une interview par Robert Ménard fut déprogrammée en catastrophe fin décembre dernier par la chaîne itélé car elle n’était pas « dans la ligne » – voir http://www.polemia.com/article.php?id=4408
(3)
Opérations militaires de l'OTAN en Libye : accélérateur d'une dislocation géopolitique mondiale ?

Correspondance Polémia – 9/03/2012

Obama's oorlog tegen de democratie

Obama's oorlog tegen de democratie

door John Pilger - http://www.uitpers.be/

 

John Pilger is een monument. In een steeds verder verblekend medialandschap blijft hij een stem van oprechte verontwaardiging. Hier haalt hij de massamedia onderuit, die voor hem een deel van het politieke systeem zijn. In zijn bekende stijl klaagt hij de Britse en Amerikaanse regeringen aan voor hun oorlog tegen de democratie.

Het eiland Diego Garcia is het grootste eiland van de Chagos-archipel, een groep van eilandjes in de Indische Oceaan (zie middenvak van de kaart). Van hieruit vertrekken de B-52 bommenwerpers naar Irak, Afghanistan ... en binnenkort Iran? © Central Intelligence Agency CIA (echt waar!)

 (opmerkingen tussen haakjes zijn toelichtingen van de vertaler)

 Een vergeten drama: Diego Garcia

Lisette Talate is enkele dagen geleden overleden. Ik herinner me haar als een taaie intelligente dame, die haar leed met onwrikbare vastberadenheid verborg. Zij belichaamde het verzet van mensen tegen de oorlog tegen de democratie. Ik ving voor het eerst een glimp van haar op in een film van de Colonial Office (het Britse ministerie van koloniën) uit de jaren '50. Die ging over de bewoners van de Chagos-eilanden, een kleine creoolse natie die ergens halfweg tussen Afrika en Azië in de Indische Oceaan leefde. De camera overzag de bloeiende dorpjes, een kerk, een school, een hospitaal, alles in een waas van natuurlijke pracht en vrede. Lisette herinnert zich dat de filmploeg haar en haar tienervriendjes toeriep: 'Blijf lachen, meisjes!".

Jaren later op het eiland Mauritius vertelt ze me: "Niemand moest mij zeggen om te lachen. Ik was een gelukkig kind, mijn wortels lagen daar, diep in het eiland, mijn paradijs. Mijn overgrootmoeder was daar geboren. Ik heb daar zes kinderen gekregen. Daarom konden ze ons niet wettelijk verdrijven uit onze huizen. Ze moesten ons angst aanjagen om ons daar te verjagen. Eerst trachtten ze ons uit te hongeren. De schepen met voedsel kwamen niet meer, daarna verspreiden ze een roddel dat we zouden worden gebombardeerd, dan pakten ze onze honden aan".

Een nooit vervolgde misdaad tegen de mensheid

In de vroege jaren '60 sprak de Labour-regering van Harold Wilson heimelijk af met Washington dat de Chagos-archipel, een Britse kolonie, zou worden 'schoongeveegd' en 'ontsmet' (sanitized) van zijn 2500 inwoners om er een militaire basis te bouwen op het voornaamste eiland, Diego Garcia. "Ze wisten dat onze huisdieren en wij onafscheidelijk waren.", zegt Lisette, "Toen de Amerikaanse soldaten aankwamen om de basis te bouwen, reden ze hun grote vrachtwagen achteruit tegen de poort van de stenen schuur waar we onze kokosnoten bewerkten. Honderden honden werden bijeengejaagd en daar vastgezet. Daar werden ze dan vergast met buizen vanuit de uitlaat van de vrachtwagen. Je kon ze horen huilen".

Lisette, haar familie en honderden eilandbewoners werden op een roestig stoomschip gedwongen met bestemming Mauritius, 2500 zeemijlen verder (4.630 kilometer). Ze moesten in de laadruimte op balen meststof slapen, op vogeluitwerpselen. Het was ruw weer. Iedereen was ziek. Twee vrouwen hadden een miskraam. Ze werden gedumpt aan de dokken van Port Louis (de hoofdstad van het eiland Mauritius). Lisette's twee jongste kinderen Jollice en Régis stierven binnen een week. "Ze stierven van verdriet", zei ze, "ze hadden alle geruchten gehoord en hadden ook gehoord wat er met de honden was gebeurd. Ze wisten dat ze hun thuis voor altijd achterlieten. De dokter in Mauritius zei dat hij verdriet niet kon behandelen".

Een fictie in stand houden

Deze misdaad van massa-kidnapping werd in het grootste geheim uitgevoerd. In een officieel rapport onder de hoofding 'Maintaining the fiction' ('de fictie in stand houden') maande een juridisch adviseur van de Foreign Office (het Britse ministerie van Buitenlandse Zaken) zijn collega's aan om hun acties te verbergen, door de bevolking te 'herklasseren' als 'vlottend' en om 'de regels te maken terwijl we er mee bezig zijn'. Artikel 7 van het statuut van het Internationaal Gerechtshof stelt dat 'deportatie of gewelddadige transfer van een bevolking' een misdaad tegen de mensheid is.

Dat Groot-Brittannië dergelijke misdaad had begaan – in ruil voor een korting van 14 miljoen dollar (10,7 miljoen euro) op een Amerikaanse Polaris-kernduikboot – stond niet op de agenda van een groep Britse defensie-ambtenaren die door het ministerie van defensie naar daar werden gevlogen eens de Amerikaanse basis voltooid was. "Er staat niets in onze dossiers over inwoners of een evacuatie" zei een vertegenwoordiger van het ministerie.

De militaire basis Diego Garcia

Vandaag is Diego Garcia essentieel in de oorlog tegen democratie van Amerika en Groot-Brittannië. De zwaarste bombardementen op Irak en Afghanistan werden gelanceerd vanuit de enorme landingsbanen daar, waarnaast alleen nog het kerkhof en de kerk van de eilandbewoners als archeologische ruïnes staan. De terrassentuin waar Lisette voor de camera's lachtte, is nu een versterkte bunker die de 'bunker-busting' bommen herbergt die de enorme B-52's als vleermuizen naar doelwitten in twee continenten vervoeren.

Een aanval op Iran zal van hieruit starten. Om het beeld van ongebreidelde criminele macht volledig te maken, heeft de CIA (Central Intelligence Agency = Amerikaanse staatsveiligheidsdienst in het buitenland) er een gevangenis in Guantanamostijl opgericht voor aan hen uitgeleverde slachtoffers dat ze Camp Justice noemen (Kamp Rechtvaardigheid)!

Een meedogenloos systeem achter een democratische façade

Wat het paradijs van Lisette werd aangedaan, heeft een urgente en universele betekenis, omdat het de gewelddadige en meedogenloze aard van een heel systeem achter een democratische façade symboliseert en de omvang van onze eigen indoctrinatie in zijn messianistische veronderstellingen. Harold Pinter beschreef die als 'een briljante, zelfs geestige en zeer succesvolle vorm van hypnose". De oorlog tegen democratie is langer en bloediger dan eender welke oorlog sinds 1945, wordt gevoerd met demonische wapens en gangsterpraktijken verkleed als 'economisch beleid', soms ook bekend als 'globalisering' maar in westerse elitekringen kan je het geen oorlog noemen. Zoals Pinter schreef: "Het is nooit gebeurd zelfs terwijl het aan het gebeuren is". 

In juli 2011 publiceerde de Amerikaanse historicus William Blum  zijn 'geactualiseerde opsomming van het Amerikaanse buitenlandse beleid'. Sinds de Tweede Wereldoorlog is de VS verantwoordelijk voor het volgende:

  • pogingen tot omverwerping van 50 regeringen, de meeste democratisch verkozen;
  • pogingen tot onderdrukking van volksopstanden of nationaal verzet in 20 landen;
  • grootschalige bemoeienissen in democratische verkiezingen in minstens 30 landen;
  • bombardementen op de bevolking van meer dan 30 landen;
  • poging tot moord op 50 buitenlandse leiders.

Britse medeplichtigheid

In totaal heeft de VS één of meer van deze daden gesteld in 69 landen. In haast alle gevallen was Groot-Brittannië een collaborateur. De 'vijand' is van naam veranderd – van communisme naar islamisme – maar meestal ging het over de opkomst van een democratie onafhankelijk van de westerse macht of over een maatschappij die strategisch nuttige territoria bewoonde, wegwerpmensen zoals de bewoners van de Chagos-eilanden.

Over de enorme schaal van al dat leed – dan hebben we het nog niet over de misdadigheid – is weinig geweten in het Westen, ondanks de beschikking over de meest geavanceerde communicatie ter wereld, ondanks de in naam meest vrije journalistiek en de meest bewonderde academici. Dat de meeste slachtoffers van terrorisme – van westers terrorisme dus - moslims zijn, is onuitspreekbaar, als het al geweten is. Dat een half miljoen Iraakse kinderen in de jaren ’90 stierven ten gevolge van het door de VS en Groot-Brittannië opgelegde embargo is van geen belang. Dat het extreme jihadisme dat tot 9/11 heeft geleid, werd in stand gehouden als een wapen van het westers beleid (ten tijde van de Russische bezetting van Afghanistan), dat weten specialisten wel, maar voor de rest van ons wordt dat doodgezwegen.

Selectieve verontwaardiging is van alle tijden

Terwijl de populaire cultuur in de VS en Groot-Brittannië de Tweede Wereldoorlog onderdompelen in een ethisch bad voor de overwinnaars, worden de holocausts die ontstaan zijn uit de Anglo-Amerikaanse overheersing over regio’s rijk aan grondstoffen naar de vergeetput verwezen. Onder de Indonesische tiran Soeharto, door Thatcher tot ‘onze man’ gewijd, werden meer dan één miljoen mensen afgeslacht. Deze schatting die door de CIA ‘de ergste massamoord van de tweede helft van de 20ste eeuw' wordt genoemd, bevat niet eens het derde van de bevolking van Oost-Timor dat werd uitgehongerd en vermoord met westerse medeplichtigheid, met Britse gevechtsvliegtuigen en machinegeweren.

Deze waar gebeurde feiten staan in de openbaar gemaakte rapporten van het Public Record Office (de archiefdienst van de Britse overheid). Ze omvatten een volledige dimensie van politiek en uitoefening van macht die aan publieke controle ontsnapt. Dit werd gerealiseerd door een regime van ongedwongen informatiecontrole, dit omvat de evangelische mantra’s van de commerciële publiciteit tot de stukjes pseudo-nieuws op de BBC en nu ook de kortstondige kicks van de sociale media.

Weg zijn de kritische stemmen

Schrijvers als waakhonden lijken wel uitgestorven, of volledig betoverd door de sociopathische tijdsgeest, overtuigd dat ze te slim zijn om bedot te worden. Zie de stormloop van jaknikkers die bereid zijn om van Christopher Hitchens (nvdr: Brits-Amerikaans journalist en publicist) een god te maken, een oorlogsminnaar die er naar verlangde de misdaden van de roofzuchtige macht goed te praten. "Voor bijna de eerste keer in twee eeuwen", schrijft Terry Eagleton (nvdr: Brits literatuurwetenschapper en auteur van o.a. 'Why Marx was right'), "is er geen eminente Britse dichter, toneelschrijver of romanauteur bereid om de funderingen van de westerse manier van leven in twijfel te trekken". Er is geen Orwell die ons verwittigt dat we niet in een totalitaire staat hoeven te leven om besmet te raken door totalitarisme. Er is geen Shelley die voor de armen spreekt, geen Blake die een visie uitdraagt, geen Wilde die ons er aan herinnert dat "ongehoorzaamheid in de ogen van iedereen die de geschiedenis heeft gelezen de originele deugd van de mens is". En jammer genoeg is er ook geen Pinter die raast tegen de oorlogsmachine zoals in het Amerikaanse voetbal:

Hallelujah,

Geloofd zij de Heer voor alle goede dingen. We schopten hun ballen tot flarden. Tot flarden van verneukt stof...

Tot flarden van verneukt stof verpulveren ook alle levens door Barack Obama, Mister Hoop-Op-Verandering van het westerse geweld. Telkens één van Obama’s onbemande vliegtuigen een hele familie in stukken schiet in een verafgelegen tribale streek in Pakistan, Somalië of Jemen, roepen de Amerikaanse technici voor hun computerspelschermen het woord ‘Bugsplat’ (vrij vertaald: ‘mugplets’ of de vieze resten van insecten op de voorruit van je auto in de zomer). Obama houdt van die toestellen en maakt er grapjes over met journalisten. Een van zijn eerste daden als president was een bevel voor aanvallen op Pakistan met onbemande Predator-toestellen (predator = roofdier) die 74 mensen doodden. Sindsdien heeft hij duizenden gedood, de meesten burgers. Die toestellen vuren Hellfire-raketten af (hellfire = hellevuur) die de lucht uit de longen van kinderen zuigen en hun lichaamsdelen over de omgeving rondslingeren.

Medplichtige massamedia

Herinner je de betraande hoofdtitels toen het Merk Obama werd verkozen: ‘monumentaal, rillingen over je rug’ volgens The Guardian. "De Amerikaanse toekomst", zo schreef Simon Schama, "is alleen maar visie, lichthoofdig …". De San Francisco Chronicle zag (in Obama) een ‘spirituele vuurtorenwachter die een nieuwe manier van zijn op de planeet brengt". Achter al dat gezever had een militaire staatsgreep plaats, net zoals de grote klokkenluider Daniel Ellsberg (nvdr: voormalig Amerikaans militair analist) had voorspeld en Obama was hun man. Hij had de anti-oorlogsbeweging tot virtuele stilte verleid en gaf Amerika’s corrupte klasse van militaire officieren ongekende staatsmacht en vooruitzichten.

Dit betekent het vooruitzicht op oorlogen in Afrika en de mogelijkheid voor provocaties tegen China, de grootste geldschieter van Amerika en zijn ‘nieuwe’ vijand. Onder Obama werd Rusland, de oude bron van officiële paranoia, omsingeld door ballistische raketten en wordt de Russische oppositie geïnfiltreerd. Militaire en CIA-moordteams werden uitgezonden naar 120 landen. Lang geplande aanvallen op Syrië en Iran veroorzaken het risico op een Wereldoorlog. Israël, het schoolvoorbeeld van Amerikaans ‘uitbesteed’ geweld en wetteloosheid, heeft net zijn jaarlijks zakgeld van 3 miljard dollar ontvangen, samen met Obama’s toestemming om nog meer Palestijns land te stelen.

Oorlog tegen de democratie in eigen land

Obama’s grootste ‘historische’ verwezenlijking is dat hij de oorlog tegen de democratie naar huis heeft gebracht in Amerika. Op nieuwjaarsdag ondertekende hij de National Defense Authorisation Act (NDAA – Presidentieel Decreet voor de Nationale Defensie), een wet die het Pentagon de wettelijke macht geeft zowel buitenlanders als Amerikaanse staatsburgers te kidnappen, onbeperkt gevangen te houden, te ondervragen en te folteren, zelfs om hen te doden. Het is voldoende dat ze zich ‘associëren met zij die ‘oorlogszuchtig’ zijn tegen de VS (‘belligerent’).

Voor hen zal er geen wettelijke bescherming zijn, geen proces, geen wettelijke vertegenwoordiging. Dit is de eerste expliciete wetgeving die de ‘habeas corpus’ (het recht om de aanklacht tegen je persoon te kennen en daarvoor in een rechtshof geoordeeld te worden) en de Bill of Rights van 1789 afschaft. (The Bill of Rights zijn de eerste tien amendementen bij de Amerikaanse Grondwet van 1787, de eerste drie gaan over de scheiding der drie machten – wetgevend, executief en rechtspraak, vrijheid van meningsuiting en dergelijke …)

Op 5 januari zei Obama in een buitengewone speech in het Pentagon dat het leger niet alleen klaar moest zijn om ‘grondgebied en bevolking te beschermen overzee’ (‘overseas’ betekent in Amerikaans jargon de ‘rest van de wereld buiten de VS') maar ook om te vechten in het ‘thuisland’ en ‘steun aan de burgelijke autoriteiten te verlenen. Met andere woorden, Amerikaanse troepen zullen ontplooid worden in de straten van Amerikaanse steden wanneer de onvermijdelijke burgerlijke onrusten uitbreken.

Epidemische armoede en barbaarse gevangenissen: welkom in de VS

Amerika is nu een land van epidemische armoede en barbaarse gevangenissen: het gevolg van een ‘marktextremisme’ dat onder Obama de transfer van 14.000 miljard dollar publiek geld (10.600 miljard euro) heeft veroorzaakt naar criminele ondernemingen in Wall Street. De slachtoffers zijn grotendeels jonge, werkloze, thuisloze African-Americans, verraden door de eerste zwarte president.

Dit is het historische uitvloeisel van  een permanente oorlogsstaat, dit is nog geen fascisme maar het is evenmin een democratie in een herkenbare vorm, wat de placebo-politiek die het nieuws tot november zal overspoelen ook moge zijn. De presidentiële campagne, zo zegt de Washington Post, zal ‘een clash van filosofieën tentoon spreiden die in nauwkeurig onderscheidbare visies op de economie geworteld zijn’. Dit is volledig vals. De welomschreven taak van journalistiek aan beide zijden van de Atlantische Oceaan is het creëren van een schone schijn van politieke keuze waar er geen is.

De 'beschaafde' wereld volgt de VS

Eenzelfde schaduw hangt boven Groot-Brittannië en de rest van Europa waar de sociaaldemocratie – twee generaties geleden nog een geloofsartikel – ten onder is gegaan aan de dictators van de centrale banken.  In David Cameron’s ‘big society’ (de verkiezingsslogan van de huidige Britse conservatieve eerste minister) is de diefstal van 84 miljard Britse pond (100 miljard euro) aan banen en diensten, zelfs meer dan de hoeveelheid ‘legaal’ ontweken belastingen van de piraterende multinationals.

De schuld hiervoor ligt niet bij uiterst rechts, maar bij een laffe liberale politieke cultuur die heeft toegelaten dat dit kon gebeuren. Dit kan volgens Hywel Williams (nvdr: historicus en journalist) in de nasleep van 9/11 ‘zelf een vorm van zelfingenomen fanatisme genoemd worden’. Tony Blair is zo een fanaticus. In zijn onverschilligheid voor de vrijheden die het pretendeert zo toegenegen te zijn, heeft het nieuwe bourgeois ‘Blairite’ Groot-Brittannië een politiestaat gecreëerd met 3.000 nieuwe criminele misdrijven en wetten: meer dan in de hele vorige eeuw.

De politie heeft nu overduidelijk een onschendbaar recht tot doden. Op vraag van de CIA zullen gevallen zoals Binyam Mohamed, een onschuldige Britse staatsburger die vijf jaar werd gefolterd en gevangen gehouden in Guantanamo Bay, in geheime rechtbanken in Groot-Brittannië behandeld worden ‘om de inlichtingendiensten te beschermen' – de folteraars dus.

Hoe kleiner je bent, hoe groter je voorbeeld voor anderen

Deze onzichtbare staat heeft de regering van Blair toegelaten de bewoners van de Chagos-eilanden te bestrijden die uit hun wanhoop van de verbanning opstonden en recht eisten in de straten van Port Louis en Londen. "Alleen wanneer je directe actie onderneemt, van aangezicht tot aangezicht, zelfs de wetten breekt, gaan ze je opmerken", zei Lisette en "Hoe kleiner je bent, hoe groter het voorbeeld dat je geeft aan anderen". Wat een welsprekend antwoord voor zij die nog steeds vragen: "Wat kan ik doen?"

Ik zag Lisette’s tengere gestalte in de gietende regen naast haar medestrijders buiten aan het (Britse) parlement. Wat me opviel was de ongebroken moed van haar verzet. Het is deze weigering om op te geven waar de verrotte macht doodsbang voor is, omdat ze weet dat dit het zaad is dat onder de sneeuw ligt.

(Uitpers nr. 140, 13de jg., maart 2012)

© John Pilger

Vertaling: Lode Vanoost

lundi, 12 mars 2012

„Nach einer westlichen Befreiung würden die Kirchen brennen!“

Im Gespräch mit Manuel Ochsenreiter über Syrien II:

„Nach einer westlichen Befreiung würden die Kirchen brennen!“

     


Geschrieben von: BN-Redaktion  

Ex: http://www.blauenarzisse.de/
 

Im ersten Teil unseres Gesprächs betonte ZUERST!-Chefredakteur Manuel Ochsenreiter, die Medien würden uns falsche Eindrücke aus Syrien übermitteln. „Derzeit sitzt das westliche Publikum wohl einer riesigen Desinformationskampagne auf, geboren in einem Londoner Ladengeschäft, verbreitet durch die großen etablierten Medien“, so der Nahost-Experte. Im zweiten Teil geht es nun um die weltpolitische Bedeutung der Konflikte. Ochsenreiter warnt dabei vor einem großen „Tabula rasa“ in der Nahost-Region.

BlaueNarzisse.de: Wie schätzen Sie die Situation der Minderheiten in Syrien ein? Könnte die Unterstützung Assads ihnen bei einem Erfolg der Revolution zum Verhängnis werden?

Manuel Ochsenreiter: Die religiösen Minderheiten führen in Syrien ein vergleichsweise gutes Leben. Sie verstehen sich vor allem zunächst als Syrer, dann erst als Christen, Alawiten oder Sunniten, um nur diese drei Glaubensrichtungen zu nennen. Auf den Demonstrationen für die Regierung halten Freunde von mir Transparente in der Hand mit dem Schriftzug „Unsere Religion ist syrisch!“. Bei ihnen steht die nationale Identität über der religiösen. Andere Demonstranten halten ein Kreuz und einen Koran in die Höhe, als Zeichen der Gemeinsamkeit. Frauen sind verschleiert oder auch nicht. Bei einigen meiner Freunde weiß ich nicht einmal, ob sie Christen oder Muslime sind, weil das nie ein Thema ist. Besonders loyal ist zudem die armenisch-christliche Minderheit im Land, die nach der brutalen Verfolgung durch die Türken zu Beginn des letzten Jahrhunderts unter anderem auch in Syrien aufgenommen wurde.


Natürlich blicken vor allem jene religiösen Minderheiten – aber auch die Sunniten, die die Mehrheit stellen – mit Sorge auf die internationale Entwicklung. Das Beispiel des Irak führte ihnen vor Augen, was nach einer „westlichen Befreiung“ passiert: Kirchen brennen, Priester und Gläubige werden ermordet, viele Christen sehen sich gezwungen, das Land zu verlassen, in dem sie fast zweitausend Jahre lang leben konnten. Und die syrischen Christen werden sich dann fragen: Wohin?

Radikale Sunniten geben ihnen heute bereits die Antwort und skandieren: „Alawiten ins Grab, Christen nach Beirut!“ Doch der Libanon ist bereits ein Land, das nach 15 Jahren Bürgerkrieg (1975 bis 1990) auf einem brüchigen religiösen Proporz- und Quotensystem basiert. Verändern sich dort die Mehrheiten beispielsweise durch eine Flüchtlingswelle von syrischen Christen, könnten wieder bewaffnete Konflikte drohen. Damit kämen die syrischen Christen vom Regen in die Traufe. Letzter Ausweg wäre dann der Westen – auch Deutschland.

Das ist eine bittere Ironie der deutschen Außenpolitik: Durch die Unterstützung für die bewaffneten Kräfte, die gegen die syrische Regierung kämpfen, könnte die deutsche Politik dazu beitragen, daß wir bald einer Flüchtlingswelle gegenüberstehen. Vor allem CDU-Politiker halten sich in ihren Solidaritätsbekundungen für die sogenannte „Opposition“ kaum zurück. Damit attackieren diese vor allem die Lebensgrundlage der syrischen Christen. Die gleichen Politiker werden später behaupten, sie könnten gar nicht nachvollziehen, wie es zu dem Flüchtlingsdrama kommen konnte und von den Deutschen und Europäern natürlich einfordern, möglichst viele Kriegsflüchtlinge aufzunehmen. Die Leidtragenden sind dabei wie immer die entwurzelten Flüchtlinge und die Aufnahmegesellschaft.

Welche Rollen spielen Rußland und China? Welche eigenen Interessen sind im Spiel?

Vor allem Rußland ist so etwas wie eine „Garantiemacht“ für die syrische Souveränität in diesen Tagen. Rußland unterhält einen Marinestützpunkt an der syrischen Mittelmeerküste, und das bereits seit den Jahren des Kalten Krieges. Damaskus ist ein alter, verläßlicher Verbündeter von Moskau. Rußland durchschaut das Spiel: Wenn die sogenannte „Opposition“, die derzeit in Istanbul logiert, dort das Ruder übernimmt, dürfte es aussein mit den engen Beziehungen. Wenn Sie einen Blick auf eine Landkarte werfen, sehen Sie schnell, daß Rußland – aber auch China – seit dem Ende des Kalten Krieges immer mehr mit US-amerikanischen Stützpunkten „eingehegt“ wird.


Aus dem Afghanistankrieg der Sowjets weiß man in Moskau nur zu gut, daß sich der Westen bei seinen „Regime Changes“ gerne lokaler Kämpfer bedient, die mit Waffen und Material ausgerüstet werden – und zwar ganz unabhängig davon, welches Gedankengut diese Partisanen pflegen. Genau das ist bereits jetzt in Syrien der Fall. Der geheime Krieg tobt längst in Syrien. Die sogenannte „Freie Syrische Armee“ – eine Rebellen- und Terroristentruppe – wird bereits jetzt vom Westen massiv unterstützt. Rußland sieht das und ist an einer Stabilisierung der politischen Situation interessiert. Daher legte das Land auch bei der UN-Sicherheitsratssitzung sein Veto gegen die Sanktionspläne ein. In Syrien wiederum ist vor allem in den letzten Monaten ein regelrechter Rußland-Boom ausgebrochen. Als der russische Außenminister Sergej Lawrow vor einigen Wochen Syrien besuchte, wurde er begeistert empfangen. Auf den großen Demonstrationen werden neben syrischen auch russische und chinesische Fahnen geschwenkt. Es ist sehr bedauerlich, daß wir Deutschen den Syrern derzeit keinen Grund geben, auch unsere Fahnen zu schwenken.

Glauben Sie, daß die Gefahr eines Stellvertreterkrieges zwischen den Ost- und Westmächten besteht und der Syrien-Konflikt auch hinsichtlich eines möglichen Iran-Krieges eine geostrategische Rolle spielt?

Ein solcher Stellvertreterkonflikt ist ja bereits im vollen Gang. Und natürlich geht es dabei nicht um „Menschenrechte“ oder „Demokratie“, sondern um Hegemonialbestrebungen und die Interessen vieler umliegender Staaten. Syrien und der Iran sind sozusagen die „letzten Störenfriede“ in der Region, die sich bislang der Einmischung aus dem Westen erfolgreich widersetzten. Seit Jahren schon pumpen westliche NGOs Geld in die sogenannten „Oppositionsbewegungen“ beider Länder, doch bislang zeigte das keine große Wirkung.


Washington geht dafür wieder ein unheiliges Bündnis mit Saudi-Arabien und den anderen Golfmonarchien ein – Staaten übrigens, die meist weder eine Verfassung noch ein Parlament haben. Doch bei denen sieht man das alles nicht so eng. Während in Syrien und im Iran beispielsweise Christen Glaubensfreiheit genießen, ist in Saudi-Arabien bereits die Einfuhr einer Bibel verboten. Doch man hört aus dem Westen kaum Kritik, sieht man mal von ein paar kleineren Vereinen ab, die das problematisieren. Daher sieht man, daß es nicht um die stets im Munde geführten „Freiheitsrechte“ geht, die man angeblich verteidigen und allen Menschen zuteil werden lassen möchte.

Doch es spielen viele Interessen eine Rolle: Syrien gilt als enger Verbündeter des Iran. Das Interesse Saudi-Arabiens ist die Schwächung des Iran, den man als schiitische Republik als muslimischen Konkurrenten um den Führungsanspruch in der islamischen Welt betrachtet. Der Iran bezeichnet wiederum das saudische Staatssystem als „unislamisch“ und sieht sich als Schutzmacht unterdrückter Schiiten, die in Saudi-Arabien nach offiziellen Angaben etwa zehn bis 15 Prozent ausmachen. Ein Fall Syriens würde den Iran schwächen, seinen Einfluß eindämmen. Die syrische Opposition in Istanbul hat bereits angekündigt, sie werde im Falle einer Machtübernahme die Beziehungen nach Teheran zurückfahren. Solche Aussagen gehen in Riad runter wie Öl. Das gehört zum Kalkül auf der arabischen Halbinsel. Die alte Achse Washington-Riad funktioniert daher.

Die Türkei träumt wieder den alten osmanischen Traum und fühlt sich als Ordnungsmacht in der Region. Das NATO-Land unterstützt die Terroristen in Syrien daher mit Ausbildern, Beratern und Waffen – mit den Amerikanern im Rücken. Gleichzeitig bekämpft man weiterhin brutal die Kurden in der Türkei und läßt schon mal Panzer über die irakische Grenze rollen. Der Westen hält die Füße still und protestiert kaum. Man war bei der Wahl der Verbündeten im Kampf für Menschenrechte und Demokratie ja nie besonders zimperlich.

Was ist Ihr Tip: Wie wird sich der Syrien-Konflikt entwickeln? Könnte durch das Referendum von Assad, das in vielerlei Hinsicht auf die Islamisten zugeht, der Konflikt an Schärfe verlieren und sich das Augenmerk wieder auf den Iran richten?

Es erscheint mir etwas zynisch, angesichts der drohenden Folgen eines Umsturzes mit Bürgerkrieg einen „Tip“ abzugeben. Geht es nach der überwiegenden Mehrheit der Syrer, bleibt die Regierung im Amt und führt die Reformen gemäß der neuen Verfassung durch. Daß es den militanten Gegenkräften gar nicht um Reformen, sondern um einen „Regime Change“ geht, sieht man an den Aufforderungen, die Abstimmung zu boykottieren. Die radikalen Sunniten wollen ja keine „Teilhabe“, sie wollen die Macht ganz und gar. Das ist ein großer Unterschied. Die drohende Tragödie im Falle eines Sturzes von Präsident Baschar al-Assad und seiner Regierung durch radikale Kämpfer im Verbund mit westlichen Truppen würde das Land um Jahrzehnte zurückwerfen.

Daß zeitgleich der Iran immer mehr in die Zange genommen wird und daß nun sogar schon konkrete Termine für einen Angriff auf Teheran öffentlich debattiert werden, zeigt, daß es Pläne gibt, in der ganzen Region einmal endlich „Tabula rasa“ zu machen.

Herr Ochsenreiter, vielen Dank für das Gespräch!

Das Gespräch führte BN-Autor Robin Classen. Hat Ihnen dieses Gespräch gefallen? Dann übernehmen Sie eine Autorenpatenschaft für ihn. Mehr darüber hier.

Syrië, de strategische inzet

Syrië, de strategische inzet

door Antoine Uytterhaeghe

Ex: http://www.uitpers.be/

De transportroute over land van het zwarte goud uit het Midden-Oosten gaat over Homs zonder Bachir Assad. De westerse machten die erg energie-afhankelijk zijn, zijn verplicht de olie- en gasdistributie uit het Midden-Oosten te beveiligen. De maritieme aanvoer via de straat van Hormuz en het Suezkanaal is niet langer volledig gegarandeerd en dus wordt uitgekeken naar alternatieven, zoals het aanleggen van pijplijnen over land.

Syrië biedt de mogelijkheid voor een strategische opening naar de Middellandse Zee en de Europese Unie. De stad Homs ligt op een strategische plaats en zou in dit plan een belangrijk knooppunt en overslagplaats kunnen worden. Daarvoor is het nodig om het Assad-regime ten val te brengen, door zoals in Libië een verbond aan te gaan met de moslimbroeders. Een dergelijke alliantie is aldus een prioriteit geworden voor de VS en zijn bondgenoten.

 

 

De spanning met Iran, dat al een hele tijd bedreigd wordt met een aanval van Israël en onder zware druk staat van de VS, maakt dat de bevoorrading via de straat van Hormuz onveilig is geworden. Dagelijks passeert daar 17 miljoen barrel ruwe olie, grotendeels afkomstig uit de Golfstaten, Irak en Iran. Iran heeft gedreigd de Straat van Hormuz af te sluiten indien Israël daadwerkelijk tot de aanval over gaat.

Aan de andere kant van het Arabisch Schiereiland, naar het westen, wordt de maritieme route geteisterd door de Somalische piraterij die zich verder heeft uitgestrekt naar de Rode Zee. Het gaat om een gesloten binnenzee die bij een gewapend conflict gemakkelijk kan worden geblokkeerd. Saoedi-Arabië bouwt een pijplijn met terminus aan de Rode Zee en heeft de kwetsbaarheid ervan zeer goed begrepen. Er is ook Jemen dat zich in een sleutelpositie bevindt aan de zee-engte van Bab-el-Mandab die het Arabische schiereiland scheidt van de Hoorn van Afrika. Een woelig gebied waar de petromonarchieën van de Golf het volksprotest in hun landen met harde hand neerslaan, maar er niet in slagen de opstandige bevolking het zwijgen op te leggen.

Tenslotte is er verder naar het noorden nog Egypte, dat sinds de verkiezingsoverwinning van de moslimbroeders en de salafisten verre van stabiel is. Het Egyptische leger houdt zich vast aan de macht en doet er alles aan om de privilegies uit de Moebarak-periode veilig te stellen. Dat zorgt voor voortdurende interne conflicten. Het olietransport vanuit het Midden-Oosten richting Europa gaat via het Suezkanaal dat gemakkelijk kan geblokkeerd worden als een maxi-tanker tot zinken wordt gebracht. Bij een dergelijk scenario zijn de olietankers verplicht 9600 km om te varen rond Afrika om de olie uit het Midden-Oosten ter bestemming te brengen. Hoe strategisch gevoelig het Suezkanaal is, bleek al in de zomer van 1956, toen de Egyptische president Nasser besloot om het Suezkanaal te nationaliseren, wat meteen tot een militaire reactie leidde van Israël, Frankrijk en Groot-Brittannië.

Met dit alles krijgt het transport over land een speciale betekenis van zowel de westerse machten, Turkije en de Golfstaten. De beveiliging van de energiebevoorrading zal in een dergelijk situatie desnoods met militaire middelen verdedigd worden.

 

 

Het is in die context dat het debat over en de effectieve bewapening, opleiding, logistieke en financiële steun van islamitische, vooral soennitische opposanten en huurlingengroepen moet worden gezien. Het gaat dan ook om een aanval op de as van het Syrië van Bachir Assad, met Iran, Hezbollah in Libanon en Hamas in Palestina, die samen te duchten tegenstanders zijn van de Israëlische en westerse hegemonie in de regio.

Het is niet de eerste keer dat de oliedistributie een belangrijke overweging vormde om militair optreden en oorlog te voeren, zoals we al konden zien in Afghanistan, Irak en Libië. Door de vele bedreigingen van de maritieme olie- en gastrafiek is het Westen verplicht om meer aandacht te besteden aan de aanleg van pijplijnen over land. Deze zijn zekerder en gemakkelijker te verdedigen. Maar er zijn ook lessen getrokken uit Afghanistan en Irak, waar een militaire invasie en bezetting een riskante onderneming is gebleken en op weinig populariteit kan rekenen van de publieke opinie. Dit verplicht hen om in de betrokken landen steun te verlenen aan krachten die in staat zijn de macht te veroveren en de belangen van het Westen te verdedigen.

Syrië vormt een strategisch bruggenhoofd tussen de olie- en gasproducerende landen in het oosten enerzijds en de maritieme route door de Middellandse Zee naar Europa anderzijds.

De voortdurende zoektocht naar nieuwe bevoorradingslijnen is niet nieuw. Al in 2003 kort na de Amerikaanse invasie van Irak werd in samenwerking met het Pentagon een studie gemaakt om de pijplijn Mossoul–Haifa terug te activeren. Die werd door de Britten in 1935 in gebruik genomen, maar in 1948 bij de uitroeping van de staat Israël gesloten. De beoogde oliepijplijn vanuit Irak, via Homs en Tartous – met mogelijke verbindingen met de Golfstaten - richting Europa met een vertakking naar Turkije biedt ook de mogelijkheid om Rusland als belangrijke energieleverancier voor Europa af te bouwen.

Er zijn in Syrië reeds pijpleidingen voor het transport van de eigen weliswaar bescheiden olieproductie, maar die hebben lang niet de capaciteit van de huidige grote maritieme aanvoerroutes langs de Straat van Hormuz en het Suezkanaal. Daarnaast is er het project van de Arab Gas Pipeline dat Egyptisch gas exporteert naar Jordanië, Syrië en Libanon met een aparte aftakking naar Israël.

Dit verklaart wellicht de houding van de Turkse premier Erdogan tegenover Syrië en de verschillende pogingen om Assad ten val te brengen. Als de Syrische moslimbroeders, die nauwe banden hebben met Erdogan, erin zouden slagen de macht in Damascus te grijpen, dan zou dit een goede troefkaart zijn voor Ankara dat een rol ambieert als belangrijk centraal knooppunt voor de Europese energiebevoorrading. Het zou ook de positie van Ankara versterken in de discussie rond het lidmaatschap van Turkije als EU-lidstaat.

Het definitieve tracé voor deze megapijplijn is nog niet vastgelegd. Wat we wel zeker kunnen stellen is dat het traject niet via Damascus zal verlopen. De olie- en gasterminal moeten zich aan de kust van de Middellandse Zee bevinden. De meer noordelijke stad Homs ligt dicht bij de haven van Tartous dat een belangrijk platform kan worden voor het olietransport uit het Midden-Oosten. De haven van Tartous werd door Rusland uitgebouwd en toegankelijk gemaakt voor het aanmeren van marineschepen en olietankers. Zo heeft Tartous het potentieel om een belangrijke oliehaven te worden, met een aftakking richting Turkije.

Dat plaatst de gewelddadige strijd van de islamitische groepen en huurlingen om de controle over de stad Homs in handen te krijgen en te houden in een ander perspectief. De controle over Tartous is daarbij een tweede objectief. Dat kan gebeuren wanneer de situatie in Syrië verslechtert en Rusland zou beslissen om haar in de haven werkende onderdanen per schip te evacueren.

De door de moslimbroeders gecontroleerde gewapende milities bereiden zich voor op de macht en hopen dan de olieroyalty’s voor het transit van het zwarte goud op te strijken.

De regering Obama heeft onlangs medegedeeld dat het 800 miljoen dollar heeft vrijgemaakt om de 'Arabische lente' te steunen. Maar nu blijkt dat de macht van de moslimbroeders of islamistische-extremistische groepen is toegenomen, met de contrarevolutionaire steun van Saoedi-Arabië en Qatar onder het goedkeurende oog van Washington, Londen en Parijs. Syrië kan zonder Assad een deel van de taart krijgen, dat weten de islamistische en andere huurlingen ook.

De monarchen van Qatar en Saoedi-Arabië hebben al laten verstaan dat zij een alternatieve route voor hun olie en gas willen ontwikkelen om niet langer afhankelijk te moeten zijn van de maritieme route via Hormuz en het Suezkanaal. Hun voorkeur gaat naar transport over land. Beide landen zijn binnen de Arabische Liga de hevigste tegenstanders van het regime van Assad.

Anderzijds zijn deze petromonarchieën er niet in geslaagd om hun stroman Hariri in Libanon aan de macht te houden, of de Libanese weerstand van Hezbollah tijdens de Israëlische oorlog in 2006 - die ze toejuichten – te breken, ook al werd daarvoor het land verwoest en verloren veel burgers het leven verloren.. Hierdoor kan Libanon geen deel uitmaken van de geplande megapijplijn.

Egypte is als gasexporteur de aanleg van een aftakking van de Arab Gas Pipeline vanuit Homs richting Turkije niet onwelwillend. e hardnekkigheid van de huidige machthebbers in Cairo tegen het Syrië van Assad is een gevolg van de groeiende macht van de moslimbroeders, gesteund door de VS. Egypte verdedigt ook zijn regionale positie en economische belangen, meer speciaal deze van de Arabische elite.

Jordanië heeft geen petroleum en ook geen financiële middelen om de aanleg van een pijplijn te financieren voor de bevoorrading van de eigen energiebehoeften. Het land heeft zich aan de zijde geschaard van de Golfstaten tegen het regime van Assad, in de hoop daarvoor te kunnen genieten van de megapijplijn.

Om dit project met succes te kunnen uitvoeren is het een prioriteit geworden om Rusland en de Russische vloot uit Tartous te verdrijven. Het bondgenootschap van Damascus met Rusland is bovendien al decennia een doorn in het oog van het Westen. De Russische invloed op het vlak van energiebevoorrading van de EU moet verminderen. Dat kan alleen maar als er andere bevoorradingslijnen tot stand kunnen komen. Voor Turkije is het uitschakelen van de afhankelijkheid van Rusland ook van groot belang. Daarom streeft het naar een vlugge val van Assad, ten einde zijn streven naar geostrategische politieke en economische dominantie in de regio kracht bij te zetten.

Wanneer deze landen er niet in slagen om Assad ten val te brengen, dan is er nog de ultieme optie om Syrië op te delen (te balkaniseren) om zo toch nog het project van een grote pijplijn naar de Middellandse Zee uit te voeren. Assad zou dan in Damascus aan de macht blijven maar geen toegang meer hebben tot de Middellandse Zee en bijgevolg geen economisch perspectief hebben.

(Uitpers nr. 140, 13de jg., maart 2012)

dimanche, 11 mars 2012

L’art de la guerre : Iran, la bataille des gazoducs

La redistribution des cartes énergétiques en direction de l'Asie est en jeu dans la guerre de l'information entre l'Iran et l'Occident, mais elle est bien cachée par ce dernier.

L’art de la guerre : Iran, la bataille des gazoducs
par Manlio Dinucci

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

 

Sur la scène de Washington, sous les projecteurs des media mondiaux, Barack Obama a déclamé : « En tant que président et commandant en chef, je préfère la paix à la guerre ». Mais, a-t-il ajouté, « la sécurité d’Israël est sacro-sainte » et, pour empêcher que l’Iran ne se dote d’une arme nucléaire, « je n’hésiterai pas à employer la force, y compris tous les éléments de la puissance américaine » (étasunienne, NdT). Armes nucléaires comprises donc. Paroles dignes d’un Prix Nobel de la paix. Ça, c’est le scénario. Pour savoir ce qu’il en est vraiment, il convient d’aller dans les coulisses. A la tête de la croisade anti-iranienne on trouve Israël, l’unique pays de la région qui possède des armes nucléaires et, à la différence de l’Iran, refuse le Traité de non-prolifération. Et on trouve les Etats-Unis, la plus grande puissance militaire, dont les intérêts politiques, économiques et stratégiques ne permettent pas que puisse s’affirmer au Moyen-Orient un Etat qui échappe à son influence. Ce n’est pas un hasard si les sanctions promulguées par le président Obama en novembre dernier interdisent la fourniture de produits et de technologies qui « accroissent la capacité de l’Iran à développer ses propres ressources pétrolifères ». A l’embargo ont adhéré l’Union européenne, acquéreur de 20% du pétrole iranien (dont 10% environ importé par l’Italie), et le Japon, acquéreur d’un pourcentage analogue, qui a encore plus besoin de pétrole après le désastre nucléaire de Fukushima. Un succès pour la secrétaire d’état Hillary Clinton, qui a convaincu les alliés de bloquer les importations énergétiques venant d’Iran contre leurs propres intérêts mêmes.

L’embargo cependant ne fonctionne pas. Défiant l’interdiction de Washington,Islamabad a confirmé le 1er mars qu’il terminera la construction du gazoduc Iran-Pakistan. Long de plus de 2mille Kms, il a déjà été réalisé presque entièrement dans son tronçon iranien et sera terminé dans celui pakistanais d’ici 2014. Il pourrait ensuite être étendu de 600 Kms jusqu’en Inde. La Russie a exprimé son intérêt à participer au projet, dont le coût est de 1,2 milliards de dollars.

Parallèlement, la Chine, qui importe 20% du pétrole iranien, a signé en février un accord avec Téhéran, qui prévoit d’augmenter ses fournitures à un demi million de barils par jour en 2012. Et le Pakistan aussi accroîtra ses importations de pétrole iranien. Furieuse, Hillary Clinton a intensifié la pression sur Islamabad, utilisant la carotte et le bâton : d’un côté menace de sanctions, de l’autre offre d’un milliard de dollars pour les exigences énergétiques du Pakistan. En échange, celui-ci devrait renoncer au gazoduc avec l’Iran et miser uniquement sur le gazoduc Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-Inde, soutenu par Washington. Son coût est estimé à 8 milliards de dollars, plus du double que prévu initialement.

A Washington, c’est cependant la motivation stratégique qui prévaut. Les gisements turkmènes de gaz naturel sont en grande partie contrôlés par le groupe israélien Merhav, dirigé par Yosef Maiman, agent du Mossad, un des hommes les plus influents d’Israël. Mais la réalisation du gazoduc, qui en Afghanistan passera par les provinces de Herat (où sont les troupes italiennes) et de Kandahar, est en retard. En l’état actuel, c’est celui Iran-Pakistan qui a l’avantage. A moins que les cartes ne soient redistribuées par une guerre contre l’Iran. Même si le président Obama « préfère la paix ».

Edition de mardi 6 mars 2012 de il manifesto

http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2...

Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

Das türkische Trauma

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Das türkische Trauma

Der türkische Traum von der Hegemonie im Nahen Osten bleibt unerfüllt

Ex: http://www.andreas-moelzer.at

Es war der schwedische Außenminister Carl Bildt, der dieser Tage erklärte, Österreich möge doch das Trauma der Türkenbelagerung von 1683 endlich vergessen. Man müsse die Türkei möglichst schnell in die Europäische Union holen, damit diese in Zukunft auf der weltpolitischen Bühne eine Rolle spielen könne. Nur mit der Türkei sei dies möglich.

Nun mag es wirklich stimmen, daß die Österreicher mehr als andere Europäer im historischen Unterbewußtsein so etwas wie eine traumatische Furcht vor den Ambitionen der Osmanen haben. Zwar sind die Türkenkriege nahezu 400 Jahre vergangen, und in der Zwischenzeit war das Osmanische Reich sogar „Waffenbruder“ der Habsburger Monarchie im Ersten Weltkrieg, aber die Österreicher wissen, daß die Türkei, insbesondere als eine Art islamische Vormacht, geradezu das Gegenbild zu Europa, zum alten Abendland darstellt. 

Bei einem Besuch in der türkischen Hauptstadt Ankara konnte der Autor dieser Zeilen vor wenigen Monaten Gespräche mit führenden türkischen Parlamentariern und mit dem Staatspräsidenten Abdullah Gül führen. Dabei wurde den europäischen Gesprächspartnern durchaus der Eindruck von aufgeklärter Vernunft vermittelt, auch von politischer Berechenbarkeit, darüber hinaus aber von einem gewaltigen Selbstbewußtsein und einer gewissen Verachtung für die Europäer. Wirtschaftlich und politisch fühlen sich die türkischen Eliten offenbar derart im Aufschwung begriffen, daß man die europäischen Bedenkenträger eher belächelt als ernstnimmt.

Das betrifft die Behandlung des kurdischen Volkes, das betrifft die Haltung Ankaras gegenüber Zypern und das betrifft natürlich auch die türkische Geschichtspolitik in Hinblick auf den Armenier-Genozid. Es sind diese drei Bereiche, an denen man die mangelnde Europareife der Türkei am klarsten erkennen kann. Recep Tayyip Erdogan, ganz in der Attitüde eines neuen Sultans, macht aus seinem Herzen auch keine Mördergrube. Bei seinen großen Rede-Auftritten, etwa vor einigen Jahren in Köln oder in Kuwait, sagt er klar und deutlich, daß die neue Türkei sich zwar als einzige wirkliche Demokratie europäischer Prägung im islamischen Bereich fühlt, daß sie aber gleichzeitig so etwas wie eine neo-osmanische Politik der neuen Machtentfaltung und beinharter Interessenswahrung betreiben will. Die sich zunehmend islamisierende Türkei hat zunehmenden Einfluß in die Turk-Staaten bis hinein nach Zentralasien. Sie gilt zunehmend als Modell für die islamisch-arabischen Staaten des Nahen Ostens und Nordafrika. Und sie strebt weiterhin nach Europa, wobei sie insbesondere in den islamischen Bereichen des Balkans ihren Einfluß auszudehnen versucht.

Europäische Werte, etwa die Respektierung des EU-Staats Zypern, eine Entschuldigung für den Armenier-Genozid oder die Respektierung von Minderheitenrechten des großen kurdischen Volkes, liegen den Türken im Zuge dieses neo-osmanischen Aufbruchs fern. Man setzt auf neue politische Stärke, auf andauernden Wirtschaftsaufschwung, auf die eigene militärische Kraft und auf nationales Selbstbewußtsein. Europa will man offenbar nur benützen.

samedi, 10 mars 2012

"Un Nouvel Appel de la Forêt: le American Third Position Party "

"Un Nouvel Appel de la Forêt: le American Third  Position Party "

par  Tomislav  Sunic

Dans le tohu-bohu des diverses mouvances de droite en Amérique, il est passionnant d’observer la récente naissance de l’American Third Position Party (A3P), un nouveau parti politique dédié à la préservation du patrimoine culturel et ethnique européen. L'A3P a récemment lancé un programme politique et culturel qui risque de faire pas mal de vagues lors des prochaines élections présidentielles en Amérique. La majorité silencieuse des citoyens américains en a marre ; elle est fatiguée du système à deux partis, des ‘ banksters’ qui ont ruiné le pays, ainsi que de l'idéologie multiculturaliste ambiante. Tout le monde veut quelque chose de neuf. 

L’A3P offre une alternative patriotique aux deux partis qui ont bel et bien, à l’instar des subprimes  bancaires, hypothéqué l’avenir de l'Amérique. Au cours des derniers quarante ans, la politique américaine a été façonnée par le système ploutocratique et par des appareils politiques presque identiques, parti républicain d’une part  et parti démocrate de l’autre. Toujours le Même et son Double mal mimé – s’il est permis d’emprunter quelques termes à Jean Baudrillard. Tous deux sont unis dans leur impitoyable dogme du rejet du tiers exclu et dans la diffamation de ceux qui rejettent la marée médiatique du « politiquement correct ».

L’A3P a choisi pour candidat présidentiel, Merlin Miller, diplômé de West Point, vétéran de l’armée américaine et cinéaste accompli. Sa vice-présidente est Virginia Abernethy, une anthropologue de renom, professeur émérite à l'Université Vanderbilt.  L’A3P est le seul parti politique qui représente les Américains de souche européenne et qui s’oppose fermement à la notion de l’Amérique-Empire. Au sein du conseil d’administration de l’A3P on trouve également quelques poids lourds tels que  Don Wassall, rédacteur en chef du Nationalist Times,  William Johnson, avocat connu de Los Angeles, le professeur Kevin McDonald, grand sociobiologue américain, James Kelso, un activiste connu dans les milieux nationalistes, et le Dr. Adrian Krieg, écrivain et savant. Aucun autre parti, dans le paysage politique américain, ne peut se targuer d’un tel nombre de savants de premier ordre.
 

L’A3P dénonce le discours actuel  de la classe politique américaine dont la langue  de bois renvoie souvent à des vocables d’inspiration soviétique, comme "formation à la conscience ethnique", "politiquement correct", « discours de la haine ",  « discrimination positive », « diversité », etc.  On s’en aperçoit quotidiennement sur toutes les longueurs d’onde lorsque on écoute ce genre de « novlangue » qui, au cours de ce demi siècle, a transformé la politique et les médias en hauts commissariats du politiquement correct, et dont l’objectif est de criminaliser l’héritage de l’homme blanc. Les Américains sont aujourd’hui dupés et trompés par le pouvoir et par les médias, de la même manière que les anciennes masses soviétisées et communisées de l'Europe de l'Est d’antan. Au moins l'ancienne nomenklatura communiste savait qu'elle vivait un mensonge historique. En revanche, les élites américaines actuelles pensent tout à fait sérieusement qu'elles vivent la vérité historique et que celle-ci doit être exportée de force aux quatre coins du monde.

L’Amérique actuelle ressemble de plus en plus aux pays du Tiers Monde puisque 30 pour cent de ses citoyens sont d'origine non-européenne. Les Américains blancs sont en train de devenir une minorité ombrageuse,  ridiculisée et de plus en plus discriminée par l’appareil politico- médiatique. Sans une action politique, telle qu’elle est conçue  par l’A3P,  les Blancs américains risquent de devenir  bientôt une population minoritaire, isolée dans de minuscules camps des saints destinés à leur tour à périr dans un processus d’auto-flagellation et de haine de soi. L’A3P se positionne contre la politique américaine actuelle qui exclut les Blancs américains de la middle class. En tant que nouveau parti politique, l’A3P est bien conscient qu’il représente l’Amérique profonde.

Grâce à la manipulation de masse et au décervèlement médiatique, les "Republocrats" sont parvenus à se maintenir de façon permanente au pouvoir. Ils ont réussi à  «diviser et conquérir »  les rangs de la droite traditionaliste tout en répandant dans les médias une image rocambolesque des divers groupuscules nationalistes, voire en projetant une fausse image caricaturale de toute la droite.  Au cours des derniers cinquante  ans, cette tactique de diffamation des partis patriotiques a énormément nui au réveil des sentiments nationaux. De sorte que la seule droite qui jouisse du droit de figurer dans le beau monde américain est celle qu’incarnent les néoconservateurs dont les mythes fondateurs tournent autour du Sacré nommé Israël. Le régime présidentiel actuel, par comparaison aux régimes précédents, a ruiné les idéaux et les institutions des pères fondateurs de l'Amérique. Si les politiques actuelles continuent à  progresser, les Américains de souche européenne sont censés devenir une minorité dans leur propre pays d'ici à quelques décennies..


L’esprit du peuple dépend de ceux qui le composent. De même, un État n’est que le produit de son peuple. Si l’on remplace la population européenne en Amérique par une autre population non-européenne, le caractère du pays va fatalement changer. L’A3P est persuadé que les temps sont venus pour un parti politique capable de défendre énergiquement les intérêts des Blancs américains. Toute nation a droit de maintenir et de sauvegarder l’identité sur laquelle elle est fondée. Voilà précisément le grand avantage de l’A3P, celui d’avoir su faire le choix de candidats qui sont moralement, éthiquement et intellectuellement au-dessus de ceux que soutiennent les Démocrates ou les Républicains. L’A3P propose un moratoire sur l'immigration et l'expulsion immédiate des immigrés clandestins. Certes, des plans similaires ont été promulgués par le président Roosevelt pendant la Grande Dépression (1930) et par le président Eisenhower dans les années 1950 – mais ils furent de courte durée. Ils devaient  échouer suite aux pressions d'intérêts particuliers, à savoir le capital financier et  la poussée des idéologies égalitaires. De plus, l’A3P  insiste sur le « fair trade » et dit non au « free trade »; oui à l'entreprise privée mais toujours au service du bien commun. Il se veut également garant de bonnes politiques environnementales ainsi que dans le domaine de  l’énergie, tout en promouvant le "America First" en politique étrangère, ce qui implique, bien entendu,  la cessation de toute intervention militaire et de toute aide économique à l'étranger.  

L’Amérique actuelle est devenue un système hautement balkanisé qui fonctionne de plus en plus comme l'ancien système soviétique et où les formes  élémentaires de ‘survivalisme’  de chaque groupe ethnique risquent de déclencher des guerres inter- raciales larvées. L’A3P est fort conscient que des temps orageux pointent à  l’horizon et qu’il lui incombe donc de bien distinguer entre le vrai ennemi et le véritable ami.  Là où il y a une volonté, il y a toujours un chemin !



Tomislav SUNIC

Tomislav Sunic (www.tomsunic.com) est écrivain, ancien diplomate croate, et ancien professeur américain en science politique. Il est actuellement conseiller culturel  de l’American Third Position Party. (http://american3rdposition.com/?page_id=9) Ses derniers livres publiés sont  La Croatie, un  pays par défaut ? (Avatar, 2010) et Homo americanus; rejeton de l’ère postmoderne, préfacé  par Kevin MacDonald, (Akribea, 2011).

La chute du gouvernement syrien favoriserait une attaque contre l’Iran

La chute du gouvernement syrien favoriserait une attaque contre l’Iran.

Des troupes britanniques et qataries préparent une incursion militaire par la Turquie

Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

 

Selon Aviation Week, « les nouvelles installations syriennes perfectionnées servant à la collecte de renseignements et à la surveillance à distance » représentent un obstacle à une attaque israélienne contre l’Iran.

Soulignant la coopération entre la Syrie et l’Iran, l’article explique :

La chute du gouvernement du président Bachar Al-Assad pourrait créer un chaos qui protégerait une attaque des États-Unis ou d’Israël contre l’Iran. Autrement, la Syrie pourrait fournir à l’Iran une alerte rapide. (David Fulghum, Syria Key To Iranian Defenses Against West, 6 mars 2012.)

Cette information appuie l’argument avancé par plusieurs médias indépendants voulant que « la route vers Téhéran passe par Damas ». Selon de nombreux reportages, l’insurrection armée en Syrie, appuyée par l’étranger, est une opération clandestine visant à renverser le gouvernement syrien, le seul allié de l’Iran dans la région. Les médias dominants occidentaux continuent de présenter l’insurrection comme un mouvement de contestation pacifique, même si la secrétaire d’État des États-Unis, Hillary Clinton a admis qu’Al-Qaïda en faisait partie.

L’article d’Aviation Week mentionne que la chute de Bachar Al-Assad affaiblirait l’Iran et faciliterait une attaque des États-Unis et d’Israël.

On ajoute qu’une attaque contre l’Iran par Israël se ferait « par l’espace aérien de la Syrie, de la Turquie, de la Jordanie ou de l’Arabie Saoudite ».

Toutefois, les systèmes de renseignement perfectionnés de la Syrie permettent dorénavant la surveillance électronique « d’Israël, de la Jordanie et du nord de l’Arabie Saoudite », ainsi qu’une station radar installée sur le Mont Sannine, « dominant le plateau du Golan, occupé par Israël, ainsi que la plaine de Bekaa, contrôlée par le Hezbollah et la Syrie ».

Les améliorations apportées par les Russes aux systèmes syriens serviront par ailleurs à « suivre les trajectoires navales et aériennes des États-Unis et d’Israël dans l’est de la Méditerranée, y compris en Grèce et à Chypre (où les États-Unis possèdent leur propres installations vouées au renseignement) ».

D’autres reportages affirment que des troupes britanniques et qataries établies à Homs « sont en train d’ouvrir la voie à une incursion militaire clandestine [de la Syrie] par la Turquie ». (British and Qatari troops already waging secret war in Syria?- 13 undercover French army officers seized in Syria, Lanka Newspapers, 6 mars 2012.)


Julie Lévesque

jeudi, 08 mars 2012

Islande : Une Constitution du peuple, par le peuple, pour le peuple

Islande : Une Constitution du peuple, par le peuple, pour le peuple

Touchée par la crise en 2008, l’Islande a entrepris de revoir sa constitution pour revoir non seulement l’organisation des pouvoirs législatifs et exécutifs, mais aussi les piliers de l’infrastructure administrative islandaise.
 

La nouvelle constitution islandaise –la présente constitution étant inspirée de la constitution danoise, dont dépendait l’Islande jusqu’en 1944-, actuellement en cours de vote au Parlement, devrait permettre au pays de sortir d’une crise qui l’a durement impactée : c’est du moins l’espoir des citoyens islandais.
Dès 2008 en effet, l’Islande est touchée de plein fouet, par la crise des subprimes : la dette publique passe de 23.2% du PIB en 2007 à 81.3% du PIB en 2010, le taux de chômage est multiplié par 3 sur la même période (2,3% en 2007 à 7.7% en 2010)[1].
Le 10 mai 2009, un nouveau  gouvernement est formé issu d’une alliance entre les sociaux-démocrates et le mouvement écologique. Pour la première fois, une femme, Johanna Sigurdardottir, est élue Premier ministre.

Cependant, dans ce contexte de crise économique et politique, la pression populaire s’accentue sur le gouvernement  pour revoir l’organisation des pouvoirs législatifs et exécutifs ainsi que les piliers de l’infrastructure administrative islandaise. Le 4 novembre de la même année, le Premier ministre  propose au Parlement (Althingi) une révision de la constitution Islandaise. Le Comité constitutionnel est chargé rendre un rapport sur les principaux points à revoir.

Le Comité plébiscite un audit national.

Ce rapport a été rendu au printemps 2010 et la révision de la constitution approuvée par le Parlement  le 16 juin 2010. Cette révision, suivant les axes indiqués par le Comité, devra porter sur des points précis, dont : les concepts fondamentaux de la constitution, l’indépendance de la justice, l’organisation des élections, le rôle du Président de la République et du Gouvernement. Le rapport du Comité prévoyait aussi d’une part l’organisation d’un forum national (National Assembly) pour consulter directement les citoyens (l’Islande compte 320 000 habitants) et recueillir leur avis, d’autre part l’élection de 25 citoyens, par suffrage direct, chargés de mener à bien la révision de la constitution et formant la nouvelle Assemblée constitutionnelle.
Le forum s’est tenu le 6 novembre 2010. Au total,950 citoyens Islandais se sont rassemblés pour réfléchir aux valeurs fondamentales (« core values ») de la société Islandaise[2]. Les avis recueillis ont donné lieu à un rapport qui a été  remis aux 25 membres de l’Assemblée constitutionnelle, dont l’élection a eu lieu le 30 novembre 2010.
 
Controverses autour du scrutin

Cependant, et même si ces 25 citoyens ont été élus démocratiquement par le peuple, parmi 522 candidats (sélectionnés selon ces critères : avoir plus de 18 ans, ne pas être un élu national et être soutenu par au moins 30 personnes dans sa démarche), une contestation s’est élevée.
D’une part, parce que la campagne a duré moins d’un mois ; d’autre part parce que, en dépit d’un fort soutien de la part des médias et des pouvoirs publics, la participation aux élections n’a été que de 36%. Enfin, des problèmes ont été signalés sur la tenue même de l’élection : comptabilisation de scrutins, type d’isoloir utilisé dans certaines circonscriptions.
 
Résultat : le 25 janvier 2011, la Cour suprême a invalidé les résultats de l’élection de l’Assemblée constitutionnelle.Cependant, le Premier ministre, en accord avec les leaders des principaux partis du Parlement, a nommé un comité consultatif pour trouver un moyen de poursuivre la révision de la constitution.
 
Ce Comité a donc proposé au Parlement de nommer, par une résolution parlementaire, un Conseil constitutionnel constitué des candidats ayant reçu le plus grand nombre de votes au cours du scrutin qui avait sélectionné les 25 membres de l’Assemblée constitutionnelle.  La résolution parlementaire ayant été votée le 24 mars 2011[3], les 25 élus de l’Assemblée constitutionnelle, devenue désormais un Conseil constitutionnel, ont eu pour tâche d’étudier les rapports du Comité constitutionnel et du Forum national pour s’en inspirer et rédiger, enfin, un projet de Constitution pour la République d’Islande.
 
Ce projet, approuvé à l’unanimité, a été déposé au Parlement le 27 juillet 2011. Le Parlement, chargé de réviser ce projet, s’est attelé à la tâche à l’automne 2011 mais les débats se poursuivent toujours actuellement. Leurs conclusions devraient ensuite être soumises un probable référendum national,  avant le vote par le Parlement, mais  la date de ce référendum n’a pas encore été fixée.
 
Les principales propositions de la nouvelle Constitution

Sur un total de 114 articles et de 9 chapitres, on peut noter en particulier[4]:
 
Article 15 : Droit à l’information : « Les informations et documents détenus par les autorités publique devraient être disponible sans exception et l’accès au public à tous ces documents devraient être  garantit par la loi. »
 
Article 27 : Entrave aux libertés de l’Homme : « La garde à vue ne peut s’appliquer que pour une infraction répréhensible par une peine de prison »Article 34 : Ressources naturelles : « Les ressources naturelles sont détenus par le peuple Islandais »
 
Article 63 : Création d’un Comité de contrôle de la responsabilité du Gouvernement : « Une investigation sur les mesures et décisions du Gouvernement peut être demandé par 1/3 des membres de Althingi ».
 
Article 65 : Droit à la consultation directe : « 10%  des votants peuvent demander un référendum national sur les lois passer par Althingi ».

Article 66 : Possibilité d’interpellation directe d’Althingi (soumission d’une question à partir de 2% des électeurs, soumission d’un projet de loi à partir de 10%).

Article 90 : Formation du Cabinet : « Le Premier ministre est nommé par Althingi ».

Article 99 : Indépendance des tribunaux : « L’indépendance des tribunaux doit être garantie par la loi ».

Article 105 : Indépendance des collectivités territoriales : «  Les sources de revenus des collectivités territoriales doivent être garanties par la loi, tout comme leur droit de déterminer l’utilisation de ces ressources ».

Le Conseil constitutionnel et l’E-participation

Le Conseil Constitutionnel a été officiellement formé le 6 avril 2011. Il est dirigé par un président élus par les 25 membres, qui sont pour l’essentiel des intellectuels,  avocats, journalistes, professeurs et universitaires. Dix d’entre eux sont des femmes et une handicapée participe au projet. Il compte trois groupes de travail sur différentes thématiques (environnement, justice, pouvoir législatif, pouvoir exécutif, affaires étrangères, participation du public, droits de l’Homme).
 
Les membres du CC ont eu quatre mois pour établir une proposition pour une nouvelle Constitution pour la République d’Islande à l’intention du Parlement Islandais.
 
En pratique, la semaine de travail du Conseil est divisée en plusieurs sessions. En premier lieu les lundis et les mardis où les groupes travaillent séparément sur leurs sujets et recommandations pour de futurs amendements. Ces projets d’amendements sont ensuite présentés, les mercredis, aux membres des autres groupes qui peuvent émettre des suggestions. Enfin, pour qu’une recommandation d’amendement soit insérer dans le projet de Constitution, elle doit être validée lors des réunions du Conseil qui se tiennent chaque jeudi en présence du président du Conseil et de l’ensemble des délégués.
 
Ces réunions sont accessibles au public et retransmises en direct sur le site du Conseil[5].  De plus, le projet de Constitution est consultable en ligne et chacun peut y participer en postant des commentaires et des propositions sur le site officiel.
 
Au total, quelque 3600 commentaires et 370 propositions concrètes d’amendements ont été recensées. Cette méthode de participation est appelée « crowdsourcing » : il s’agit de faire appel à la créativité, à l’intelligence du plus grand nombre pour mener à bien un projet.
 
L’utilisation des réseaux sociaux a été indispensable pour communiquer avec la population : les débats ont été postés sur Youtube, et les membres du CC ont pu intervenir sur un page Facebook dédiée qui, en outre, publiait chaque jour de courtes interviews avec les membres du Conseil.
 
De plus, tous les travaux du Conseil (débats, documents, communications et recommandations) sont archivés au Parlement (Althingi), aux Archives nationales, à la Librairie nationale et à la Librairie municipale de Akureyri, sous l’appellation « Journal du Conseil constitutionnel ».
 
La leçon de démocratie Islandaise ?

Alors que le reste de l’Europe est toujours plongée dans une crise profonde, l’économie s’est redressée depuis fin 2010 en Islande : les exportations ont repris ainsi que la consommation des ménages. Le principal indice de solvabilité d’un État, à savoir sa dette souveraine, qui était placée sous perspective négative depuis avril 2008 est désormais considéré comme stable depuis janvier 2011. Le pays redevient peu à peu une place de choix pour les investisseurs après deux ans de fuite des capitaux étrangers et cela grâce à l’action du peuple Islandais soutenu par son Président[6].
 
On peut parler ici d’une « Constitution du peuple, par le peuple, pour le peuple », en parallèle aux paroles d’Abraham Lincoln, où les fondements d’une société juste et idéale ont été déterminés par la population. Tout porte à croire que l’Islande ne saurait être un cas isolé et Internet, par le développement des canaux d’informations, fait apparaître la consultation des peuples comme évidente et inévitable pour les gouvernements.
 
Ainsi l’Islande, dont l’indice de développement humain porte ce pays à la 2ème place des pays les plus développés au monde, nous apprend que la démocratie directe peut résoudre une crise dans laquelle ses dirigeants l’ont plongé.
 
[1]  Chiffres OCDE.
[2] http://www.agora.is  Agora est la société qui s’est chargé d’organiser le forum national, la procédure utilisée ainsi que les résultats obtenus sont consultables en ligne.
[4] Consultation en ligne du projet de constitution :http://stjornlagarad.is/other_files/stjornlagarad/Frumvarp-enska.pdf

 
[6] la « Kitchenware revolution » coïncide avec le vote du plan d’austérité budgétaire « Icesave », ce plan d’austérité à un vote par référendum par le Président Islandais et rejeté à 93% par la population en mars 2010 ; les termes du plan de remboursement de la dette Islandaise durent être renégociés avec la FMI et les principaux créanciers de l’Islande, anglais et néerlandais, pour parvenir à un accord qui permettent à l’Islande de renouer avec la croissance sans être écrasée par le remboursement de sa dette comme initialement stipulé dans le plan d’austérité rejeté.
 
Mediapart

„Die größten Demonstrationen finden für Assad statt“

Im Gespräch mit Manuel Ochsenreiter über Syrien:

„Die größten Demonstrationen finden für Assad statt“

     

Ex: http://www.blauenarzisse.de/

 

Manuel Ochsenreiter

Die Position des Westens in der Syrien-Frage ist eindeutig: Assad muß so schnell wie möglich weg, damit Menschenrechte, Demokratie und Freiheit endlich auch dort herrschen. So will man es zumindest den eigenen Bürgern verkaufen. BN-Autor Robin Classen hat dieses „seltsame Schauspiel“ bereits kritisiert. Im Gespräch mit dem Nahost-Experten Manuel Ochsenreiter bohrt er nun nach den Hintergründen der Konflikte in und um Syrien.

BlaueNarzisse.de: Herr Ochsenreiter: Sie sind Chefredakteur des Monatsmagazins ZUERST! und fallen dort vor allem durch sehr klar positionierte und auch umstrittene Kommentare zur Außenpolitik, insbesondere im Nahen Osten, auf. Können Sie uns kurz Ihren Werdegang und ihre außenpolitische Erfahrung schildern?

Manuel Ochsenreiter: Im Jahr 2004 wurde ich Chefredakteur der Deutschen Militärzeitschrift (DMZ). Neben Militärgeschichte und -technik beschäftigt sich die DMZ – für die ich heute noch schreibe – auch mit internationaler Sicherheitspolitik und Geopolitik. Die zentrale Frage lautet immer: Was geht das uns als Deutsche an? Inwiefern betrifft es uns? Und falls es uns betrifft: Wie definieren wir unsere nationalen Interessen?

Nach dem sogenannten „Sommerkrieg“ zwischen Israel und der libanesischen Hisbollah im Jahr 2006 schickte auch die Bundesregierung im Rahmen der UNIFIL-Mission der Vereinten Nationen deutsche Fregatten in den Einsatz vor der libanesischen Küste. Für mich als DMZ-Macher war das natürlich besonders interessant. So entstanden nach langer intensiver Vorbereitung mehrere Interviews und Reportagen über die Hisbollah im Libanon. Ich wollte etwas anderes machen als alle anderen. Ich finde es immer spannend, dorthin zu gehen, wohin die anderen – etablierten Medien – nicht gehen.

Seit dieser Zeit bereise ich intensiv den Nahen Osten, führe Gespräche und Interviews mit genau jenen Leuten, an die oftmals die etablierten deutschen Medien nicht oder nur sehr schwer rankommen – Angehörige der libanesischen Hisbollah, der palästinensischen Hamas, arabische Nationalisten, Widerstandskämpfer, auch die Anwältin des ermordeten irakischen Staatspräsidenten Saddam Hussein habe ich bereits interviewt und eine Homestory über sie geschrieben. „Umstritten“ ist dabei lediglich die Frage, ob man mit diesen Leuten überhaupt sprechen sollte. Als Journalist kann ich solche Einwände aber absolut nicht nachvollziehen. In ZUERST! setze ich als Chefredakteur diese Arbeit natürlich fort. Auch dort heißt die Devise: Während andere „nur“ darüber schreiben, gehen wir direkt dorthin, wo die Musik spielt. Und da wären wir schon wieder bei Syrien oder dem Iran.

Sie sind viel gereist, waren nun auch schon mehrfach in Syrien. Welchen Eindruck hatten Sie vom politischen, sozialen und wirtschaftlichen System dort unter Herrscher Assad?

Ich war nie lange genug dort, um umfassend darüber urteilen zu können. Das maßen sich jene Kollegen an, die von ihren beheizten Büros und ergonomisch geformten Redakteurssesseln gerne über andere Staaten und deren Völker urteilen und Ferndiagnosen abgeben. In vielen Gesprächen mit Syrern habe ich früher – vor 2011 und dem sogenannten „Arabischen Frühling“ – immer wieder Kritik gehört. Vieles sei schwierig, vor allem junge Studenten beklagten sich über fehlende Perspektiven. Die Ursache wurde aber nicht nur bei Assad und seiner Regierung gesehen, sondern in der internationalen Isolation und den Embargos (die es bereits lange vor den aktuellen Ereignissen gab).

Heute demonstrieren diese Leute übrigens für ihre Regierung und sind nicht etwa Teil der sogenannten „Oppositionsbewegung“. Interessanterweise hat aber auch das deutsche Bundeswirtschaftsministerium Syrien noch im Jahr 2011 eine positive Prognose ausgestellt. Noch im Februar 2011 – wenige Wochen vor der internationalen Kampagne gegen Damaskus – bereiste eine deutsche Wirtschaftsdelegation das Land. Staatssekretär Bernd Pfaffenbach kommentierte damals enthusiastisch: „Syrien ist nicht nur ein Land mit einer großartigen Kultur, die weit in die Zeit vor dem Islam oder dem Christentum zurückreicht; Syrien hat auch im Bereich der Wirtschaft viel zu bieten. Der wirtschaftliche Austausch zwischen Deutschland und Syrien ist bereits intensiv. Es besteht schon heute eine gute Zusammenarbeit. Wir beobachten mit großem Interesse, dass sich Syrien modernisiert. Das Land entwickelt sich konsequent auf dem Weg zu einer sozialen Marktwirtschaft.“ Nur kurze Zeit später wollte man von all diesen positiven Bewertungen nichts mehr wissen. Warum wohl?

Einige Randmedien in Deutschland behaupten, die Presseberichterstattung über Syrien sei stark manipuliert, Meldungen einer dubiosen kleinen Nachrichtenagentur aus London würden unhinterfragt von allen großen Medien herangezogen. Wie sehen Sie das? Findet in der syrischen Medienlandschaft eine kontroverse Diskussion statt oder ist man auch dort gleichgeschaltet?

Das Problem ist grundsätzlich die Informationslage. Das Londoner Syrian Observatory for Human Rights, welches Sie erwähnen, „versorgt“ in der Tat die westlichen Mainstreammedien mit Horrornachrichten aus Syrien. Diese Meldungen werden von den Redaktionen weder überprüft noch hinterfragt – eigentlich ein Unding! Sie bezeichnen das Observatory als eine „Nachrichtenagentur“. Bereits das ist falsch. Diese Beobachtungsstelle sitzt in einem Tante-Emma-Laden in der britischen Hauptstadt. Nur zwei Personen, der Betreiber und eine Sekretärin, arbeiten dort – schießen aber dafür eine Unmenge an Meldungen über angebliche Verbrechen der syrischen Sicherheitskräfte in die Medienwelt, die diese bereitwillig aufsaugt und weiterverbreitet. Stets natürlich mit dem Hinweis „...nach Angaben der syrischen Opposition.“

Woher diese sogenannte „Beobachtungsstelle“ ihrerseits ihre Informationen bezieht, bleibt im Dunkeln. Zudem soll der Betreiber der Beobachtungsstelle wiederum der Muslimbruderschaft nahestehen, also einer Organisation, die mit Waffengewalt gegen die syrische Regierung kämpft und das nicht erst seit einem Jahr. In den „Berichten“ wird diese Nähe zur Muslimbruderschaft freilich verschleiert. Derzeit sitzt das westliche Publikum wohl einer riesigen Desinformationskampagne auf, geboren in einem Londoner Ladengeschäft, verbreitet durch die großen etablierten Medien. Das ganze wirft ein schlechtes Licht auf die großen Medienhäuser. Daß nun vor allem die kleineren, unabhängigen und geistig beweglicheren Medien – sowohl von links als auch rechts – diesen Mißstand aufspießen, ist bitter notwendig.

In Syrien wird die westliche Kampagne durchaus diskutiert. Mit ihren Satellitenschüsseln empfangen die Syrer auch ausländische Kanäle. Es ist oftmals erschreckend, was sie dort zu sehen bekommen. Etwa dann, wenn salafistische Prediger aus Saudi-Arabien die syrischen Bürger auffordern, gegen Assad zu kämpfen und sagen, nach dem „Sieg“ würde man die Alawiten ermorden und die Christen vertreiben. Im Westen hört man freilich wenig oder gar nichts darüber. Natürlich berichten die öffentlich-rechtlichen Medien in Syrien über die Desinformationskampagnen aus dem Westen.

Was sehen Sie als Grund für das Aufbegehren der Bevölkerung an: Sind es wirtschaftliche oder soziale Probleme, will das Volk wirklich eine Demokratie oder steht hinter den „Allahu akbar“-Demonstrationen der internationale Islamismus?

Ich sehe derzeit nur ein „Aufbegehren der Bevölkerung“, wie Sie es beschreiben, gegen die ausländische Einmischung in syrische Angelegenheiten. Als im vergangenen Jahr die sogenannten „Tage des Zorns“ dort begonnen haben, gab es keine großen Demonstrationen. Die Situation in Syrien ist nicht mit der beispielsweise in Ägypten vergleichbar, wo Massen an Menschen tage- oder gar wochenlang auf öffentlichen Plätzen ausharrten, um gegen die Regierung zu rebellieren.

Das versteht man hier im Westen nicht, wo Medien und Politik gerne grobschlächtig alles vereinheitlichen und vereinfachen wollen. Die Demonstrationen fanden vor allem nach den Freitagspredigten statt, und nur wenige Aktivisten nahmen daran teil. Viele Fernsehbilder, die wir zu sehen bekamen und die Massen an Menschen zeigten, stammten in Wirklichkeit gar nicht aus Syrien, sondern aus anderen arabischen Staaten. Die größten Demonstrationen, die das Land jemals gesehen haben dürfte, finden stattdessen für Assad statt. Doch diese Massenversammlungen, auf denen die religiösen Führer des Landes – Christen und Muslime –, syrische Popstars und Künstler ihre Solidarität mit ihrer Regierung bekunden, werden bei uns wiederum entweder ignoriert oder kleingeredet – außer in den von Ihnen bereits genannten „Randmedien“. Auch die ZUERST! brachte in der Vergangenheit zahlreiche Berichte aus erster Hand und veröffentlichte Interviews zu diesem Thema.

Natürlich wünscht sich ein Großteil der Syrer Reformen, aber keine Revolution gegen Assad. Dieser galt und gilt dort – man will es bei uns ja kaum glauben – als Reformer. Die neue Verfassung, über die jetzt trotz der bürgerkriegsähnlichen Zustände in manchen Städten abgestimmt wurde, begrüßt man dort einhellig. Der deutsche Außenminister Guido Westerwelle bezeichnete diese Verfassung übrigens als „Farce“, obwohl er sie nicht einmal gelesen haben dürfte.

In wenigen Tagen erscheint der zweite Teil dieses Gesprächs: „Nach einer westlichen Befreiung würden die Kirchen brennen!“

Das Gespräch führte BN-Autor Robin Classen. Hat Ihnen dieses Gespräch gefallen? Dann übernehmen Sie eine Autorenpatenschaft für ihn. Mehr darüber hier.

mercredi, 07 mars 2012

Turkije dreigt met annexatie Noord-Cyprus

Turkije dreigt met annexatie Noord-Cyprus


Ex: http://rechtsactueel.wordpress.com/

In augustus 1960 werd Cyprus onafhankelijk van Groot-Brittannië nadat de Cypriotische politici hadden beloofd af te zien van enosis (eenheid met Griekenland) en taksim (verdeling van Cyprus tussen Grieken en Turken). Na politieke spanningen viel Turkije Cyprus binnen op 20 juli 1974 en dwong de taksim op. De Grieken in het noorden van Cyprus werden verdreven en het noorden werd de Turkse Republiek van Noord-Cyprus. Nu dreigt Turkije met de volledige annexatie van het gebied, dat wettelijk gezien een deel van de EU is.

Onderhandelingen over hereniging van de twee Cyprussen slepen al langer aan. Men moet echter rekening houden met het feit dat de Europese Unie Cyprus als geheel ziet als een volwaardig lid van de EU en de Noord-Cypriotische regering niet erkent.  Griekenland zit nu echter in diepe problemen en de verkiezingen van 29 april gaan daar niets aan verbeteren. Als die verkiezingen nog wel doorgaan aangezien de kans groot is dat Griekenland op 20 of 23 maart economisch volledig instort. Turks premier Erdogan heeft dit ook gezien en ziet de kans schoon.

Op 4 maart 2012  zei Turks minister voor Europese Zaken Egemen Bagns tegen de Turks Cypriotische krant Kibris dat indien de onderhandelingen voor hereniging niet een pak positiever worden (lees: gunstiger voor de Turken) Noord-Cyprus wel eens zou kunnen teruggebracht worden tot een Turkse provincie doordat Turkije zou overgaan tot annexatie. Dat laatste woord werd letterlijk gebruikt door de Turkse minister. De logische verdere vraag is dan ook de houding die het het Turkse leger aanneemt wanneer het opnieuw landt op Cyprus, hun deel overneemt en vervolgens ziet dat de andere kant momenteel in chaos verkeert. Het zou niet de eerste keer zijn dat men in naam van stabiliteit, ordebewaring, etc… dan ineens zou kiezen voor de volledige annexatie van Cyprus.

Dreigen met het opschorten van onderhandelingen over Turks lidmaatschap door de EU gaan niet veel uithalen. Op 27 juli zou Cyprus immers het roterende voorzitterschap van de EU overnemen in welk geval Turkije dreigt met het afbreken van enige dialoog met de EU. De Italiaanse minister van Buitenlandse Zaken maakte alvast een mooie buiging voor Turkije door bij een ontmoeting met Turks minister van Buitenlandse Zaken, Ahmet Davutoglu, te stellen dat er snel concrete vooruitgang moet komen in de herenigingsgesprekken. Ironisch genoeg is de enige kritiek op het Turkse dreigement te horen vanuit Turks Noord-Cypriotische hoek. De Republikeinse Turkse Partij, de oppositie in Noord-Cyprus, verwierp het Turkse dreigement als complete waanzin en als volledig onaanvaardbaar.

Ondertussen blijft het stil in de media hierover. Het was anders voorpaginanieuws in Cyprus en Griekenland.

mardi, 06 mars 2012

Krantenkoppen - Maart 2012 (1)

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Krantenkoppen
Maart 2012 (1)
 
SYRISCHE CHRISTENEN VREZEN SLACHTPARTIJ.
"Moeder Agnes-Mariam was vorige week in Vlaanderen. Ze heeft vriendschapsbanden met de norbertijnenabdij van Postel waarvan een medebroeder verbonden is aan haar klooster. (...) Volgens zuster Agnes-Mariam wordt de publieke opinie in het Westen al 11 maanden gemanipuleerd: 'Dat het volk van Syrië massaal in opstand is tegen het regime, klopt niet. De cijfers van het aantal slachtoffers, die elke dag worden gelanceerd op gezag van het Observatorium voor de Mensenrechten in Londen, zijn fictie. We zijn in Homs gaan kijken in de hospitalen en bij het Rode Kruis na berichten over honderden slachtoffers, maar daar was niets van te merken.' Verklaring voor deze manipulatie is volgens moeder Agnes de alliantie tussen Turkije, Qatar, Saoedi-Arabië en de moslimbroeders, gesteund door het Westen: 'Ze eisen militair ingrijpen van de internationale gemeenschap, zoals vorige week op de conferentie van de Vrienden van Syrië. Maar een militaire interventie zou tot een burgeroorlog in het land leiden zoals in Irak en Libië. Als het huidige lekenregime weg is, krijgen we een islamistisch regime en daar zal Saoedi-Arabië zich mee bemoeien.'
De zuster vindt dat de Amerikaanse journaliste en Franse fotograaf die recent in Homs het leven lieten, zich aan onverantwoorde risico’s van blind geweld blootstelden omdat ze incognito in de stad waren: 'Net als bij de aanslagen van 11 januari (waarbij een Franse journalist om het leven kwam en VRT-collega’s aan de dood ontsnapten) is het helemaal niet zeker dat het regime verantwoordelijk is, de aanwijzingen gaan veeleer in de richting van de rebellen. Wie doodt de mensen? Ik heb met eigen ogen in Homs en Kasayr gezien dat gewapende benden er de wet stellen en angst zaaien onder de bevolking. Ze schrikken voor niets terug. Het krioelt van Al Qaida-strijders in Noord-Syrië. Hun bedoeling is het land te destabiliseren en het openbare leven te verlammen. Wapens worden, ook door de maffia, massaal ingevoerd vanuit Irak, Libië, Jordanië, Turkije. Er is trouwens niet één Syrisch bevrijdingsleger maar 2 of 3, die onderling verdeeld zijn'.”

http://www.rorate.com/nieuws/nws.php?id=70349
 
 
MERE AGNES-MARIAM: NOUS AVONS COMPTE 100 CADAVRES.
 
 
BABA AMR: REBELLEN WEG, FRANSE HUURLINGEN GEVAT.
"De centrale commandokamer der gewapende bendes (...) in Baba Amr in Homs (...) was voorzien van de laatste apparatuur en Amerikaanse en Britse communicatievoorzieningen met direct contact tot satellieten. In Baba Amr vond het leger verschillende wapens en zelfs anti-tankraketten met als opschrift 'made in France' en 'made in Israël'. Meteen is duidelijk waarom het Syrische leger bijzondere aandacht had voor Baba Amr. De commandokamers aldaar overzagen niet alleen de gewapende rebellie in Homs, maar ook gewapende operaties in Idlib en op het platteland van Damascus. (...) 732 strijders hebben zich overgegeven aan de Syrische autoriteiten in Baba Amr in Homs: 600 Syriërs, 116 ‘Arabieren’ en 16 ‘buitenlanders’. Een militaire bron verklaarde dat de militaire operatie in Homs voorbij zal zijn over 4 of 5 dagen."
http://mediawerkgroepsyrie.wordpress.com/2012/03/02/baba-amr-rebellen-weg-franse-huurlingen-gevat-video/
 
 
THIERRY MEYSSAN: VERVALSING VAN AANTAL SLACHTOFFERS IN SYRIË.
"Thierry Meyssan merkt op dat de grote meerderheid van personen die geclaimd worden als overleden, in leven zijn en hun namen willekeurig werden gekozen uit een telefoonboek en gepresenteerd door een twijfelachtige niet-gouvernementele mensenrechtenorganisatie. De journalist benadrukt dat het hoofd van de genoemde NGO in Londen werd geboren en daar zijn thuisbasis heeft. Deze persoon heeft een aantal paspoorten en werd direct gekoppeld aan de Moslimbroeders (...). Meyssan verzekerde dat het geweld wordt gegenereerd door (...) gewapende groeperingen die politiecontroleposten en overheidsgebouwen aanvallen en de bevolking angst aanjagen, zoals de Russische minister van Buitenlandse Zaken, Sergey Lavrov, onlangs heeft bevestigd. RT liet zien hoe een aantal Arabische media informatie manipuleren om de anti-Syrische geesten te voeden."
http://mediawerkgroepsyrie.wordpress.com/2012/03/01/thierry-meyssan-vervalsing-van-aantal-slachtoffers-in-syrie/
 
 
UN PLAN ISRAELIEN POUR LE DEMEMBREMENT DE LA SYRIE.
"Le régime sioniste envisage de diviser la Syrie en 7 secteurs dont un secteur à population kurde qui devrait être annexé au Kurdistan irakien. (...) Ce plan prévoit la création d’un Etat composé de kurdes d’Irak et de Syrie et qui aura accès aux eaux libres, par le biais des côtes méditerranéennes. Le régime sioniste envisage (...) de diviser ce pays en 7 secteurs. (...) Israël travaille au plan de démembrement de la Syrie depuis le début des années 80."
http://french.irib.ir/info/moyen-orient/item/172725-un-plan-isra%C3%A9lien-pour-le-d%C3%A9membrement-de-la-syrie
 
 
SYRIE: LA TRAHISON DU HAMAS.
"Le Hamas palestinien a choisi de s’en démarquer, à un moment crucial de la crise syrienne. Après le transfert du siège de son bureau politique vers la capitale jordanienne, il y a 2 mois, c’est au tour du chef du gouvernement de Gaza, Ismaïl Heniyeh, d’afficher publiquement le repositionnement de son mouvement à la faveur des soulèvements qui affectent la région depuis une année et qui sont partout favorables à la mouvance islamiste. (...)
C’est bien la première déclaration hostile à Damas émanant d’un haut dirigeant du Hamas. Il reste qu’un tel repositionnement confirme la thèse reprise par certains observateurs, selon laquelle le mouvement islamiste palestinien, historiquement affilié à la confrérie des Frères musulmans mais financé depuis toujours par Damas et Téhéran, a choisi depuis quelques mois de se 'vendre' exclusivement au Qatar, grand parrain des 'révolutions arabes'."
http://www.algeriepatriotique.com/article/syrie-la-trahison-du-hamas
 
 
TEHRAN READY TO BE PAID IN GOLD AND NATIONAL CURRENCIES FOR OIL.
"Tehran announced Tuesday that it is ready to receive payment for oil supplies in gold as well as the national currencies of importer countries. (...) ­In trade operations with foreign countries Iran does not limit itself to dollars and any state is free to use its own currency (...). If any client state wants to pay in gold, Iran would accept it without hesitation. (...)
Washington warned that sanctions would also be applied against international banks that use US dollars in deals with Iran. As a result, countries that buy Iranian oil have faced the problem of how to pay for it. Now, the Islamic country is working to accommodate its clients through the offer to accept their national currencies."
http://rt.com/news/iran-gold-currencies-oil-453/
 
 
ISLAMITISCHE STATEN LAKEN CHRISTOFOBIE IN ISRAËL.
"De Organisatie van de Islamitische Samenwerking heeft de bekladding met antichristelijke leuzen van een kerk in Jeruzalem veroordeeld. Zij houdt Israël voor de bekladding verantwoordelijk. De schendingen van kerkelijk bezit staan op een lijn met de aanvallen van Israëlische extremisten op christelijke en islamitische eigendommen. (...) Eerder had ook het radicaal-islamitische Hamas de aanslagen al veroordeeld. Volgens Hamas getuigen de incidenten van het 'racisme van Israël dat zich keert tegen een Palestijnse aanwezigheid in Jeruzalem, of die nu christelijk of islamitisch is'."
http://www.katholieknieuwsblad.nl/nieuws/item/1735-islamitische-staten-laken-christofobie-in-israël.html
 
 
HEINRICH PESCH EN HET SOLIDARISME.
"Op overtuigende wijze bespreekt Pesch de denkbeelden van Karl Marx, Adam Smith en van Malthus. Opvallend vaak bekritiseerd hij de werken, maar hij verwerpt zo nooit volledig (noch aanvaardt hij ze volledig). Hij pikt bewust er elementen uit en plaatst ze binnen (...) zijn eigen kader. Dat is een kader van een God die de mens heeft geschapen en waarbinnen dus ook de economie zijn plaats moet krijgen. Pesch is dus nadrukkelijk een katholieke econoom. Dat leidt ertoe dat hij per definitie alle vormen van socialisme en vormen van collectivisme verwerpt. Hij vindt privébezit van essentieel belang. Samen met de familie en de staat vormt privebezit de 3 pilaren van een sociale orde. Tegelijkertijd verwerpt Pesch het kapitalisme. Hij noemt een samenleving waarin er nadrukkelijk ‘2 groepen’ van rijk en arm ontstaan een ‘kwaad’. In dat opzicht wijst Pesch het republikeinse Amerikaanse economische systeem, zo hartstochtelijk gesteund door vele katholieken, af."
http://distributisme.blogspot.com/2012/02/heinrich-pesch-en-het-solidarisme.html
 
 
VOORMALIGE PREMIER VAN IJSLAND STAAT TERECHT VOOR BANKENCRISIS.
"Geir Haarde, de voormalige eerste minister van IJsland, moet voor een speciaal gerechtshof verschijnen, omdat hij (...) de zware IJslandse bankencrisis in 2008 niet kon voorkomen. Bij een veroordeling riskeert de 60-jarige een celstraf van 2 jaar. (...) In de aanklacht wordt Haarde nalatigheid verweten omdat hij geen actie ondernam toen Kaupthing, Landsbanki en Glitnir ten onder gingen. (...) Voorstanders van het proces verwachten dat uitgelegd wordt waarom het IJslandse bankensysteem faalde (...). Tijdens de internationale financiële crisis in 2008 liepen de schulden van de IJslandse banken op tot naar schatting 10 keer het BBP van het land."
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=DMF20120302_186
 
 
APRES SON REFUS DE PAYER SA DETTE, L'ISLANDE FERA LE TRIPLE DE CROISSANCE DE L'UE EN 2012.
"L’Islande est le pays qui a nationalisé les banques privées et qui a emprisonné les banquiers responsables de la crise.L’Islande a été le seul pays européen qui a rejeté par un référendum citoyen le sauvetage des banques privées, laissant s’effondrer certaines d’entre elles et jugeant de nombreux banquiers pour leurs crimes financiers."
http://blogs.mediapart.fr/blog/la-garnie/240112/apres-son-refus-de-payer-sa-dette-l-islande-fera-le-triple-de-la-croissan
 
 
LETLAND LOOPT LEEG.
"Typerend voor het land is dat er 2 nationale feestdagen zijn, 1 ter herdenking van de Letse onafhankelijkheid op 18 november en 1 om de overwinning door de Sovjet-Unie op Nazi-Duitsland te vieren op 9 mei. Beiden hebben ook hun nationaal monument. En terwijl het Letse een bijna puur politiek evenement is, is dat van de pro-Russen een groot familiefeest met meer volk dan het Letse gebeuren. En met veel Russische en zelfs oude Sovjetvlaggen. 
En zowel Riga als Daugavpils worden geleid door de centrum-linkse en pro-Russische Harmony Centre. Het is met 31 zetels op 100 in het parlement ook veruit de grootste partij, maar wordt via een cordon sanitaire uit het landsbestuur gehouden. (...) Maar hun politici als Nils Usakovs, de burgemeester van Riga, zijn populair en beschikken over een goede reputatie als bestuurder. Ook Letssprekenden stemmen trouwens voor de partij. (...)  
Het grote probleem voor de [Letten] is dat hun dromen en beloften na 1991 niet zijn uitgekomen. (...) Het werd in Letland (...) veel armoede en rijkdom voor een niet zelden door en door corrupte elite. Na de ineenstorting van de economie in 1991 – het BNP stortte met eventjes 30% in elkaar - werd het nadien niet echt veel beter. De onder de Sovjets erg populaire badstad Jurmala vlakbij Riga had tot 1991 105 sanatoria en heeft er nu nog 5 over. Vele hoogtechnologische industrieën die onder de Sovjets waren gebouwd, werden gewoon ontmanteld. Ooit was Riga een centrum voor de metaalnijverheid, elektronica en optica, maar daar is amper iets van overgebleven. (...) 
Toen Letland in 2004 lid werd van de EU en de Navo, dacht men dat de rijkdom maar om de hoek voor het rapen lag. Het land leefde massaal op het krediet komende van vooral Zweedse banken die zich zo handig meester maakten van de Letse financiële sector. Er werden overal grote winkelcentra opgericht en massaal dure auto’s gekocht, allemaal op krediet. Wie op vakantie wou, nam een op 24 maanden af te betalen lening. De waanzin sloeg toe.
Eerste Minister Valdis Dombrovskis zei het (...) zo: 'De paradox is dat het probleem vermoedelijk ontstond toen we in 2004 lid werden van de EU en de NAVO en we dachten dat niets nog kon mislopen. Groei werd in dubbele cijfers geschreven en het geld stroomde het land binnen met alle gevolgen voor onze betalingsbalans die enorm deficitair was.' Het land wou snel zo rijk worden als West-Europa en het was voor hen voldoende om gewoon het gaspedaal in te duwen. De rest zou wel volgen. De ontnuchtering kwam er met de Amerikaanse financiële crisis van 2008 toen dit luchtkasteel vol krediet in elkaar klapte. Het BNP verloor 25% van zijn waarde en Letland stond weer waar het in 2005 stond, bij de armste landen van Europa.
Het land is lid van de EU en behoort tot de Schengenzone en dus verloopt niet alleen het vervoer van goederen gemakkelijk, maar gaat ook het verkeer van mensen probleemloos. Sinds de onafhankelijkheid trekt de bevolking dan ook massaal weg uit het land. (...) Het land heeft nu zelfs minder inwoners dan in 1914. Had Letland bij de onafhankelijkheid nog 2.694.000 inwoners, dan blijven er nu nog amper 2 miljoen over, een daling van 25,7%. En dat blijken volgens insiders bijna allen Letsprekenden te zijn. Met andere woorden: op termijn worden de Russischsprekenden de meerderheid. (...) En de regering heeft hier amper of geen antwoorden op. (...) Enig animo om naar Letland terug te keren lijkt er bij de immer aangroeiende diaspora tot heden nergens te bespeuren. 
Bovendien blijkt nu ook dat er van de verhoopte grote economische steun vanuit Europa steeds minder sprake is. De zogenaamde Cohesiefondsen die arme landen binnen de EU moeten helpen, worden steeds schaarser. (...) Men lokte die landen naar de EU met grote beloften van hoge welvaart, maar het lijkt de EU zo te zien vooral om die arbeidskrachten te doen. Goedkope gastarbeiders die de schaarste op de West-Europese arbeidsmarkt moeten helpen verlichten en zo de loondruk wegnemen. Over het feit dat men die landen zo leegzuigt, lijkt men zich in Brussel (...) geen zorgen te maken. (...)  
En nu Rusland zich onder president Vladimir Poetin herstelde van de vernederingen onder Boris Jeltsin en Mikhail Gorbatsjov, is het de vraag hoe groot de Russische invloed in Letland gaat worden. (...) En de relatie tussen de Baltische staten onderling is zacht uitgedrukt niet goed. Regelmatig rollen ze trouwens al vechtend in Brussel over de straten. Met andere woorden: Letland heeft Rusland nodig. Al was het maar om de haven van Riga in leven te houden. De Russische invloed in Letland zal in de toekomst dan ook opnieuw toenemen. Dat lijkt bijna onvermijdelijk. Veel Letse nationalisten zullen dat een slechte zaak vinden, maar economisch zou het kunnen zorgen voor een impuls die de EU zo te zien weigert te geven."
 
 
POLAND-BELARUS TIES HIT NEW LOW ON 20TH ANNIVERSARY.
"Poland and Belarus have recalled ambassadors (...), just as European states agreed to toughen sanctions against Minsk officials. Seemingly about human rights, the row in fact has ethnic roots. (...) Some 900,000 of Belarus’ 10 million population are ethnic Poles and thus can receive the Pole’s Card – a document officially recognized by Poland as a certificate of belonging to the Polish Nation and granting its bearer many preferences such as a visa and work permit. Belarus has repeatedly criticized the document for splitting Belarusian society ethnically. Another reason for discontent appears to be the fact that Belarus Poles are a significant force promoting the westernization of the country, while official Minsk opposes it. The Polish authorities are the main advocate of pressure on Belarus in the European Union. Poland hosts opposition media broadcasting on Belarus and often funds them."
http://rt.com/politics/belarus-sanctions-poland-eu-483/
 
 
SINT-PETERSBURG VERBIEDT HOMO-PROPAGANDA.
"De Russische stad Sint-Petersburg heeft (...) een verbod afgekondigd op (...) 'holebipropaganda' (...). Op informatie of voorlichting over homoseksualiteit staat binnenkort een boete. (...) De gemeenteraad had de wet (...) goedgekeurd met 29 stemmen tegen 5. Voorstanders van het initiatief wijzen op de 'bescherming van het kind'. Met zijn homo-wetgeving volgt Sint-Petersburg het voorbeeld van andere Russische steden zoals Archangelsk en Rjazan. De boete kan oplopen tot 500.000 roebel (12.800 euro). Dat is meer dan het gemiddelde Russische jaarloon."
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=DMF20120229_162
 
 
RUSSIA DEFUNDS LATE-TERM 'SOCIAL ABORTIONS' AS COUNTRY MOVES TO CURTAIL HIGH ABORTION RATE.
"The Russian government has cut off funding for most late-term abortions that are done for 'social' reasons, in a move that may signal more restrictions to come. Previously, Russians could receive government-funded abortions after the firs...t 12 weeks of pregnancy in cases of rape, when a woman had been deprived of parental rights by a court, imprisonment of the woman, or death or disability of her husband. The only 'social' condition that now remains is rape (...). Women may also still obtain late-term abortions if they suffer from a life-threatening illness during the pregnancy. (...) 
It represents another step towards restrictions on abortion that have long been sought by the current government. (...) Pro-life forces in Russia have pushed for greater restrictions. Legislation has been in process since mid-2011 to prohibit almost all abortions after the first trimester, require a waiting period of 1 week and require women over 6 weeks pregnant to see an ultrasound of their unborn child before aborting. (...) 
The current government, led by Prime Minister Vladimir Putin, strongly favors tighter restrictions on abortion to counteract Russia’s demographic crisis, in which the total population has fallen substantially since its peak in 1991."
 
 

lundi, 05 mars 2012

Tsar russe vs. démocrates franco-yankees

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Tsar russe

vs démocrates franco-yankees

 

Chronique hebdomadaire de Philippe Randa

 

Décidément, les Russes sont terribles. Depuis l’Ivan du même nom, on le savait… Et encore davantage depuis que notre Napoléon Ier d’empereur s’aventura bien imprudemment dans les neiges de Moscou : ses habitants brûlèrent la ville pour l’obliger à faire demi-tour, ce qu’il fit en grandes difficultés, au point d’y briser définitivement la toute puissance de sa Grande Armée…

Et puis, quelques décennies plus tard, ce fut les emprunts russes (2,25 milliard de francs couverts pour moitié par la France) que les bolcheviques, sitôt installés à la tête de ce qu’ils rebaptisèrent Union soviétique, s’empressèrent de ne pas payer. Il furent nombreux, alors, nos compatriotes à y laisser leurs économies…

Et puis, ce furent plus de six décennies à craindre un déferlement de l’Armée Rouge jusqu’à Brest… Dans l’entre-deux guerres et durant « la dernière », ce fut même une ligne de fracture dans l’opinion : il y a les « fascistes » qui décidèrent d’une croisade contre le bolchevisme pour parer à ce danger… et les « démocrates » qui s’allièrent avec le « petit père des peuples », ce brave Joseph Djougachvili, dit Staline qui n’avait guère le sens de l’humour, dit-on, mais celui de la répression sanglante, de l’exécution massive et de la déportation sibérienne, voire même de l’anti-judaïté à ses heures, même si certains réussissent toujours, de nos jours, à le faire oublier…

Enfin ! Finit la crainte d’une guerre avec ces satanés Russes ! Encore que…

À lire et à entendre les commentaires sur la réélection (plus de 60 % des suffrages) de Vladimir Poutine, ce week-end, à la présidence de la Fédération de Russie – tel que se nomme désormais le pays de Nicolas Gogol, de Fiodor Dostoïevski ou encore de Léon Tolstoï pour ne citer que quelques-uns parmi les plus célèbres personnages qui peuvent encore avoir la chance d’être connus, sinon reconnus, de nos compatriotes – l’imminence d’une nouvelle apocalypse totalitaire n’échappe pas aux fins observateurs de la vie politique internationale.

Rien de nouveau à l’Est, pourtant : depuis son arrivée au Kremlin, Vladimir Poutine est la cible quasi-permanente des médias occidentaux qui n’ont de cesse de dénoncer les dangers qu’il ferait courir non seulement aux braves démocrates de son pays, mais à tous ceux au-delà des frontières de celui-ci.

Et de dénoncer en premier lieu son obstination à rester au pouvoir… Président élu et réélu, rappelons qu’il laissa ainsi la place à son premier ministre Dimitri Medvedev qui le nomma aussitôt à sa place avant d’appeler à voter pour que Poutine soit à nouveau réélu cette année à la Présidence. Soit un parfait jeu de chaises musicales.

Et alors ? En quoi l’exemple russe diffère-t-il tant que cela de ce qui se déroule dans notre pays depuis que la Sainte Mère Démocratie y règne ?

Pour ne citer que des exemples récents, Charles De Gaulle fit tout pour revenir à la tête de la France à la fin des années 50 du siècle dernier sans que cette volonté ne choque qui que ce soit, pas même ses ennemis politiques… Contrairement à un Philippe Pétain, tant honni par les démocrates contemporains, qu’une chambre des députés aux abois alla chercher pour sortir notre pays du gouffre où il avait sombré. Quoi qu’on puisse penser ensuite de l’action de l’État français sous sa direction maréchalienne, il est toujours bon de le rappeler.

Plus tard, Valéry Giscard d’Estaing tenta un deuxième septennat, sans succès certes, contrairement à François Mitterrand… Et Jacques Chirac fut élu deux fois de suite également… Comme le veut actuellement notre président sortant Nicolas Sarkozy… Et s’il ne vint jamais à aucun d’eux l’idée de se représenter une troisième – et pourquoi pas quatrième ? – fois à la fonction suprême, ce ne fut, soyons-en certain, qu’en raison de l’âge de leurs artères bien davantage que de la maîtrise de leur ambition personnelle.

Quant aux présidents américain, il est de tradition qu’ils tentent tous de se représenter ; seule leur constitution les empêchent de briguer d’autres mandats futurs…

Vladimir Poutine n’aura soixante ans qu’en octobre prochain et c’est un sportif accompli qui ne s’en cache pas : à quoi tient l’humilité démocratique, tout de même !

Quant à estimer les menaces qu’un néo-tsar comme lui puisse faire peser sur la planète, on ne saurait trop le redouter à l’aune de ses interventions militaires… soit d’avoir réussit à mettre fin à une sanglante guerre civile en Tchétchénie et d’être venu en aide aux Ossètes envahis par l’armée géorgienne. En près de douze année de pouvoir quasi-absolu, on peut difficilement y déceler les prémisses de la Troisième Guerre mondiale…

En tout cas, de façon moins évidentes que, dans le même temps, l’invasion de l’Afghanistan, puis de l’Irak par les États-Unis d’Amérique et leurs alliés… et même récemment l’intervention militaire française qui renversa le régime du colonel Khadafi avec lequel nous n’étions même pas en guerre pour offrir ainsi l’État libyen à de chaleureux « démocrates » islamistes.

De là à avoir certaines vilaines pensées à se sentir moins en danger de guerre avec un « Tsar » tel que Vladimir Poutine qu’avec des présidents médiatiquement proclamés démocrates, il n’y a pas loin.

PS : On lira avec intérêt et quelque étonnement la tribune de Nicolas Bonnal publiée cette semaine sur www.francephi.com : « Hitler, “Le Point” et le général De Gaulle »

© Philippe Randa est écrivain, chroniqueur politique et éditeur (www.francephi.com). Ses chroniques sont libres de reproduction à la seule condition que soit indiquée leurs origines, c’est-à-dire le site www.francephi.com, « Espace Philippe Randa ».

Eurazië, nieuwe zet van Moskou

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Eurazië, nieuwe zet van Moskou

door Georges Spriet

Ex: http://www.uitpers.be/

De CSTO is bij ons niet zo bekend. Deze Collective Security Treaty Organisation werd in 2002 opgericht en omvat vandaag Rusland, Armenië, Wit-Rusland, Kazachstan, Kirgizië, Tadzjikistan en Oezbekistan. Opvallend is de aankondiging na de CSTO-top van december 2011 dat Moskou een vetorecht zou krijgen over de buitenlandse militaire basissen in de CSTO-lidstaten.

CSTO als opvolger van een vroeger militair akkoord onder bepaalde leden van de het Gemenebest van Onafhankelijke Staten (GOS), is een militaire alliantie die in vergelijking met de geoliede mechanismes van de NAVO over een eerder beperkte slagkracht beschikt: er is een CSTO rapid reaction force, maar niemand weet echt hoe operationeel die (al) zou zijn. Rusland was de initiatiefnemer voor de GOS en voor de militaire samenwerking: wat Washington voor de NAVO is, is Moskou voor de CSTO.

Menig commentaarschrijver is het eens over de zwakke interne samenhang van de CSTO. Er wordt daarbij steeds gewezen op de binnenlandse moeilijkheden van bepaalde lidstaten met hierbij Kirgizië op kop; van Armenië wordt gezegd dat het alleen met zichzelf bezig is en geen inbreng heeft in een gemeenschappelijke veiligheidsstrategie. Tadzjikistan heeft de naam niet erg loyaal te zijn. De relaties tussen Moskou en Wit-Rusland zijn na verschillende prijsdisputen over het aardgas ook niet meer zo stevig, en Kazachstan zou steeds meer een eigen koers gaan varen. Oezbekistan trad tot de CSTO toe in 2006, maar het is duidelijk dat dit land de CSTO verhinderde om militair tussen te komen bij de Kirgizische crisis van 2010. Anderzijds loopt er sedert 2002 een strategisch partnership akkoord tussen Oezbekistan en de USA. Maar hier zijn de relaties ook aan het verkoelen. Tijdens haar Azië rondreis van november vorig jaar gaf Hilary Clinton heel wat opmerkingen over de mensenrechtensituatie in Oezbekistan. Oezbekistan had zelf al eerder openlijk kritiek geuit op de Amerikaanse oorlogsstrategie in Afghanistan. Het feit dat de Oezbeekse president Islam Karimov toch persoonlijk aanwezig was op de CSTO top in Moskou moet wellicht ook in dit licht worden gezien.

Onder het principe van roterend CSTO voorzitterschap gaf Belarus de fakkel door aan Kazachstan. De Kazachse president Nazerbayev verklaarde na afloop dat deze top de interne cohesie van de alliantie sterk had verbeterd; in die mate zelfs dat er is afgesproken dat een land buiten de CSTO slechts militaire basissen op het grondgebied van de CSTO-lidstaten kan installeren na het akkoord van alle leden. Dit geeft alle leden, maar in de allereerste plaats het centrum van de alliantie met name Moskou, een vetorecht over buitenlandse militaire basissen bij de collega lidstaten.

Naar verluidt werd hierover een protocol getekend - dus nog geen volwaardig akkoord? – dat echter naliet de buitenlandse militaire aanwezigheid te definiëren. Deze regeling zou niet van toepassing zijn op de bestaande afspraken met westerse legers zoals het US transit centrum in Manas, Kirgizië, het Duitse luchtsteunpunt in Oezbekistan, en de Franse luchtmachtrechten in Tadzjikistan. De VS basis van Manas in Kirgizië werd opgericht kort na de terreuraanslagen in New York als logistieke steun voor de Amerikaanse militaire operaties in Afghanistan. In februari 2009 had het Kirgizische parlement al 's de sluiting van de basis gestemd na onenigheid over de 'huurprijs'. President Atembayev blijft herhalen dat hij het contract na 2014 niet meer zal verlengen omdat het niet bijdraagt tot de eigen veiligheid van de Kirgizische Republiek. "Manas is een burgerluchthaven en dat moet zo blijven in plaats van een mogelijk doelwit te worden van eventuele represailles", stelde hij onlangs.

Deze militaire steunpunten in de Centraal-Aziatische landen zijn van essentieel belang voor de bevoorrading van de westerse operaties in Afghanistan. De beslissing op de CSTO top over de buitenlandse militaire basissen zou ook geen invloed hebben op het NDN- netwerk voor Afghanistan. Inderdaad het opdrijven van het aantal Amerikaanse troepen in Afghanistan – de zogenaamde surge – ging gepaard met meer dan een verdubbeling van de behoefte aan niet-militaire bevoorrading. Daarom werd het Northern Distribution Network opgezet, een reeks commerciële logistieke regelingen die de Baltische en Kaspische havens met Afghanistan verbinden via Rusland, Centraal-Azië en de Kaukasus.

Nu de breuk tussen Pakistan en de VS steeds dieper lijkt te worden en de militaire bevoorrading door dit land is opgeschort na de 24 Pakistaanse doden bij een Amerikaanse drone-aanval op 26 november 2011, is het belang van de Centraal-Aziatische landen als logistieke lijn voor de troepen in Afghanistan enorm toegenomen. Rapporten wijzen op de ernstige stijging in de kosten nu ladingen uit de Pakistaanse havens moeten worden verscheept naar Indische havens om dan naar Afghanistan te worden gevlogen, of per trein noordwaarts te worden gebracht om via een van de NDN-routes ter bestemming te worden gebracht.

Deze beslissing van gezamenlijke toestemming voor buitenlandse militaire basissen in CSTO-lidstaten krijgt ook groter gewicht in het perspectief van eventuele Amerikaanse luchtaanvallen tegen Iran en vooral in het vooruitzicht van de terugtrekking van de westerse troepen uit Afghanistan in 2014. Er is namelijk ook sprake van een westerse herpositionering van militaire contingenten in Centraal-Azië. Een kopie van het 'weg-is-niet-weg' patroon uit het Irak dossier.

Dit moet dan nog gekoppeld aan de nieuwste strategieverschuiving in de USA waar men de militaire samenwerkingen in Azië als absolute topprioriteit gaat beschouwen als indamming van de Chinese invloed. Ten slotte kan deze beslissing Poetin helpen om de stemmen van de patriottische vleugel in de Russische samenleving voor zich te garanderen bij de aankomende presidentsverkiezingen.

Indien dit nieuwe 'CSTO-protocol' effectief zou worden nageleefd betekent het zonder meer een versterking van de Russische invloed in de regio, en een stevige zet tegenover de nieuwe strategische accenten van het Pentagon.

(Uitpers nr. 139, 13de jg., februari 2012)

dimanche, 04 mars 2012

Google, Apple et Facebook sur la voie de la domination mondiale

© Collage "Voix de la Russie"
 
     
Google, Apple et Facebook se préparent à attaquer le domaine contrôlé par les gouvernements nationaux et les principaux acteurs de l'économie traditionnelle - les banques et les grandes entreprises. Il s’agit d’un premier pas pour atteindre le but tant convoité par chacun de ces géants de l’Internet, à savoir la domination mondiale.

Ils prévoient d’atteindre ce but en premier lieu au moyen du perfectionnement de leurs technologies et une présence globale sur la toile. Par ailleurs, ces compagnies ont largement dépassé le niveau de la législation de nombreux pays, et peuvent désormais avoir une influence sur ces derniers. Il suffit de se souvenir de la confrontation de Google avec le gouvernement chinois, ou les Révolutions arabes, qui se faisaient avec l’aide de Facebook.

«Chaque entreprise a des projets de conquête du monde», considère Andreï Massalovitch, chef du département de l’intelligence compétitive de la compagnie «Dialog-Naouka». Google, Apple et Facebook ont atteint un tel niveau de développement, que la démocratie mondiale ne peut plus les influencer, oules limiter. S'ils font quelque chose de nuisible, les législations des différents pays ne seront plus en mesure de les arrêter. Barack Obama a annoncé qu'il allait présenter un projet de loi sur la possibilité d'un contrôle de Facebook et de Google pour protéger les droits des citoyens américains à la vie privée. Mais j’imagine, que cela ne va rien changer à l’échelle mondiale. Ces géants vont continuer à ce développer, comme ils se sont développés jusqu’à présent».

Les principales entreprises du secteur IT ne vendent rien de concret, mais font miroiter de dividendes considérables. Elles possèdent des milliards, car les investisseurs placent des fonds colossaux dans ses entreprises. Il s’agit en fait d’une bulle économique. Tout ira bien dans ce secteur avant une prochaine crise, et pour assurer leurs arrières, ces géants technologiques essaient d’ores et déjà d’arriver sur un autre niveau et pénétrer dans des secteurs réels de l’économie. Il s’agit notamment du secteur des télécommunications, du contenu d’information, des médias, mais aussi du secteur de l'éducation et du divertissement.

«Les réseaux sociaux veulent assumer le rôle des dirigeants du monde», estime le chef de l'agence de renseignement russe «R-Techno» Roman Romatchev. «Presque tous les 7 milliards d’habitants de notre planète peuvent accéder au réseau Internet et laisser leur point de vue sur un blog. Les nouvelles technologies sont devenues une sorte de miroir de nos pensées. Pour diriger, il faut contrôler les pensées des gens, d'être en mesure de les diriger, corriger, et envoyer dans la bonne direction. Rappelez-vous célèbre livre d'Orwell 1984? C’est exactement vers ce scénario, où le «le Grand frère te regarde»qu’ils veulent amener l’humanité».

Si les réseaux sociaux y parviennent, il n’est pas exclu que l’Internet devienne alors un Etat à part. C’est la vision futuriste que partage dans un entretien à Voix de la Russie Andreï Massalovitch. «Si tout va selon ce scénario, l’humanité n’a qu’à se réjouir que les géants de l’Internet ne tentent pas de faire de l’Internet un membre à part entière de l’ONU», explique-t-il.

Plaisanteries à part, cette situation est vraiment sérieuse. Le «Printemps arabe» l’a montré : les dirigeants qui n'ont pas pu mettre le réseau sous contrôle, ont été renversés par l’opposition. Ainsi, les gouvernements nationaux doivent pouvoir réagir rapidement aux menaces émergentes de la part des médias sociaux. Et là, il ne s’agit pas de parler d’une lutte contre la «peste orange», mais des réseaux sociaux, qui cherchent à dominer le monde.

 

L’agriculture à l’heure des records

Dans les matières premières stratégiques russes, on entend communément l'or bleu et noir mais Poutine rappelle au monde que les céréales entraient aussi dans cette catégorie.

L’agriculture à l’heure des records

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

Photo: RIA Novosti
 
     
L’agriculture est un secteur stratégique, de même que l’espace et l’industrie de défense, - a déclaré le président du Conseil Vladimir Poutine à la séance plénière du Forum agraire russe qui s’est tenue à Oufa.

Selon le premier ministre, l’agriculture devient parfois une locomotive de l’économie nationale. A en croire les statistiques, les travailleurs de l’agriculture ont apporté en 2011 une contribution inestimable à la chute brutale du taux d’inflation. La production agricole a progressé de 22% et la récolte céréalière de l’an dernier qui était de l’ordre de 94 millions de tonnes, a permis à la fois de renouveler les stocks et d’exporter une grande quantité de céréales.

Le potentil agricole russe est l’un des plus importgants au monde. Le pays qui regroupe un peu plus de 2% de la population mondiale possède en revanche 9% des terres emblavées et plus de 20% des réserves mondiales d’eau douce. Grâce à la modernisation du secteur agricole et aux investissements importants, la Russie a commencé à redevenir ces dernières années le principal fournisseur des pays européens. L’État s’attachera à assurer les intérêts des producteurs agricoles nationaux au moment d’adhésion à l’OMC, - a promis Vladimir Poutine:

«Les crédits destinés au secteur agro-industiel se montent à 170 milliards de roubles dans le budget de 2012. Il va sans dire que nous n’avons l’intention de donner en concession à personne le secteur agraire de même que les autres secteurs de l’économie russe».

De plus, de nombreux standards de l’OMC s’appliquent déjà en Russie, - estime le premier ministre russe.

«Nous appliquons 90% des réglementations de cette organisation tout en étant en marge de celle-ci. Nos alliances avec la Biélorussie et le Kazakhstan à savoir l’Union douanière et l’Espace économique uni, se fondent sur les normes de l’OMC. Nous avons également prévu des mesures d’adaptation spéciales pour plusieurs secteurs sensibles».

«Le secteur agrcole sera soutenu cette année au niveau de 5,5 milliards de dollars et il a été décidé que ce chiffe passerait à 9 milliars l’année prochaine», - a noté Vladimir Poutine.

 

samedi, 03 mars 2012

Presseschau - März 2012 (1)

Presseschau

März 2012 (1)

AUßENPOLITISCHES

Kultur gegen Kapital
Der Kultursoziologe und Hipster-Forscher Mark Greif über die Begeisterung der US-amerikanischen Intellektuellen für die Occupy-Wall-Street-Bewegung
http://www.freitag.de/kultur/1205-kultur-gegen-kapital

Griechen verbrennen Deutschlandfahne
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M595e95c4f86.0.html?PHPSESSID=532687dc31c349fa56a95ee8413e7c52

Euro-Inferno: in die Pleite wegen Auschwitz?
http://www.pi-news.net/2012/02/euro-inferno-in-die-pleite-wegen-auschwitz/#more-237555

Proteste gegen griechisches Sparpaket
Brennende Häuser in Athen
http://www.focus.de/finanzen/videos/proteste-gegen-griechisches-sparpaket-brennende-haeuser-in-athen_vid_29696.html

Spanien
Gericht belegt "Tyrannenjäger" Garzón mit Berufsverbot
http://www.abendblatt.de/politik/ausland/article2184192/Gericht-belegt-Tyrannenjaeger-Garzon-mit-Berufsverbot.html

Nobels letzter Wille: Verliert Obama den Friedensnobelpreis?
http://www.unzensuriert.at/content/007126-Nobels-letzter-Wille-Verliert-Obama-den-Friedensnobelpreis

Putin: US-Raketenschild gegen Russland gerichtet
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/putin-us-raketenschild-gegen-russland-gerichtet-1587035.html

(auch bald unter dem Rettungsschirm…)
Serbien und Kosovo kommen der EU näher
http://www.wiesbadener-tagblatt.de/nachrichten/politik/ausland/11700081.htm

Leugnung des „Völkermords“
Kein neues „Völkermord“-Gesetz in Frankreich
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/leugnung-des-voelkermords-kein-neues-voelkermord-gesetz-in-frankreich_aid_719040.html

Frankreich
Völkermord-Gesetz ist verfassungswidrig
http://www.stern.de/news2/aktuell/voelkermord-gesetz-ist-verfassungswidrig-1793113.html

(Ja was denn nun eigentlich?)
IAEA: Iran baut  Atomprogramm aus
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/iaeairanbaut-atomprogramm-1614611.html
CIA hat keine Beweise für Irans Atombomben-Bau
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/keine-beweise-irans-atombomben-bau-zr-1615173.html

Währungskrieg
Richtet sich das Erdölembargo wirklich gegen den Iran?
http://rotefahne.eu/2012/02/waehrungskrieg-richtet-sich-das-erdoelembargo-wirklich-gegen-den-iran/

(Video angucken!)
Prozess gegen Rote Khmer
Kambodschas grausiges Vermächtnis
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,809846,00.html

INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK

(Sehr passender Kommentar zum gegenwärtigen Zustand deutscher Politik…)
Es lebe der Volkstod!
http://www.sezession.de/30009/es-lebe-der-volkstod.html

Norbert Borrmann: „Warum rechts? Vom Wagnis, rechts zu sein“
http://www.sezession.de/30387/norbert-borrmann-warum-rechts-vom-wagnis-rechts-zu-sein.html#more-30387

(Video der Clown-Union)
"Manische Culpathie"
http://www.youtube.com/watch?v=te_NpUvM8R8

Trittin wirft „taz“ Schweinejournalismus vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M53ffc6c056b.0.html?PHPSESSID=a368f2521f1f7ad4dd9aae56168b856b

Über die "Junge Freiheit" und Gauck...
Publikative.org - Blog Archive - Noch mehr Schweinejournalismus!
http://www.publikative.org/2012/02/24/noch-mehr-schweinejournalismus/

Expertokratie
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5e5f739a533.0.html

David Petraeus
CIA-Chef erhält Bundesverdienstkreuz
http://www.focus.de/politik/weitere-meldungen/david-petraeus-cia-chef-erhaelt-bundesverdienstkreuz_aid_714359.html

Stabschef des US-Heeres kündigt Truppenabzug aus Deutschland an
http://www.net-tribune.de/nt/node/97937/news/Stabschef-des-US-Heeres-kuendigt-Truppenabzug-aus-Deutschland-an

US-Standorte
Nur Ansbach bleibt erhalten
http://www.br.de/franken/inhalt/aktuelles-aus-franken/us-armee-abzug100.html

(Schäuble verscherbelt das Staatsvermögen)
Rückläufige Reserven
Die Bundesbank verkleinert ihren Goldschatz
Die Notenbanken weltweit haben 2011 erstmals seit Jahrzehnten wieder mehr Gold gekauft als verkauft. Nur Deutschland tanzt aus der Reihe.
http://www.welt.de/finanzen/article13853312/Die-Bundesbank-verkleinert-ihren-Goldschatz.html

(eine zehn Jahre alte Sendung)
Wem gehört die BRD GmbH ?
http://www.youtube.com/watch?v=PijGN7G-pl8&feature=youtu.be

(na also, Schäuble hält sich mit dem Sudoku-Spiel während der Griechenland-Debatte nur wach im Einsatz für den Bürger…)
Rätsel-Experte
Schäuble spielt Sudoku auf sehr hohem Niveau
http://www.welt.de/wissenschaft/article13897671/Schaeuble-spielt-Sudoku-auf-sehr-hohem-Niveau.html
http://www.stern.de/politik/deutschland/posse-um-finanzminister-schaeuble-sudoku-statt-sirtaki-1793680.html

Putzmeisterin Merkel
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fab762ed68.0.html?PHPSESSID=c982ced76138f2416d611715b5f4d69a

Vor der Münchner Sicherheitskonferenz
Getrieben von der Allmacht des Netzes
http://www.sueddeutsche.de/politik/vor-der-muenchner-sicherheitskonferenz-getrieben-von-der-allmacht-des-netzes-1.1274702

(ziemlich lahm…)
Torte ins Gesicht: Anschlag auf Guttenberg
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/guttenberg-torte-anschlag-gesicht-1587087.html
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=zFSNuLckiaI

NsN 30 01 2012 Deutschlanddebatte
http://www.youtube.com/watch?v=0ozinLvnBdk&feature=channel_video_title

NSDAP als linke Partei bezeichnet: Debatte über Steinbach-Tweet verschoben
http://www.op-online.de/nachrichten/hessen/debatte-ueber-steinbach-tweet-landtag-verschoben-1586470.html

Götz Aly: Die Nazis waren LINKS
http://www.pi-news.net/2012/02/gotz-aly-die-nazis-waren-links/#more-237818

War der Nationalsozialismus links?
http://www.sezession.de/30039/war-der-nationalsozialismus-links.html#more-30039

Deutschland fördert Holocaust-Gedenken
Zehn Millionen Euro für Yad Vashem
http://www.pnp.de/nachrichten/heute_in_ihrer_tageszeitung/politik/332798_Deutschland-foerdert-Holocaust-Gedenken.html

Stefan Scheil
Anfangsverdacht
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56c756f860f.0.html?PHPSESSID=8e88016a47933ff3158b623b2b9e5222

Ebersberg
"Auschwitz-Lüge": Kreisvorstand der Senioren Union tritt geschlossen zurück
http://www.merkur-online.de/lokales/landkreis-ebersberg/auschwitz-luege-kreisvorstand-senioren-union-tritt-geschlossen-zurueck-1589319.html

Ein Kommentar von Esther Schapira in den Spätnachrichten der ARD:
„Der Mythos von der sinnlosen Zerstörung der unschuldigen Barockstadt Dresden ist falsch“
http://www.tagesschau.de/multimedia/video/video1062320.html
http://www.youtube.com/watch?v=srGuIAdPwIE
(Schapira am Ende ihres Kommentars, nachdem sie das anglo-amerikanische Luftkriegsmassaker mit der (angeblichen) kollektiven Schuld der Deutschen gerechtfertigt hat: „Die Bombardierung war grausam und kostete bis zu 25.000 Dresdnern das Leben. Sie sind – so wie insgesamt 80 Millionen Menschen – Opfer der Nazi-Barbarei." (Selbst schuld also.))

Herrenrasse
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52cf601bd98.0.html

LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS

Wider die Denunzianten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b29b42f7ef.0.html?PHPSESSID=071c9e42c2cc92dcbb987258a60cfe9a

„Alle repressiven Mittel ausschöpfen“ oder Meinungsäußerungsfreiheit 2012
http://www.sezession.de/29955/alle-repressiven-mittel-ausschopfen-oder-meinungsauserungsfreiheit-2012.html#more-29955

Die Methode Spiegel
http://www.sezession.de/30074/die-methode-spiegel-1.html

Christian Kracht und die Methode Diez
http://www.sezession.de/30107/christian-kracht-und-die-methode-diez.html#more-30107

Dirk Hilbert über den alltäglichen Nazi-Terror
http://www.sezession.de/30163/dirk-hilbert-uber-den-alltaglichen-nazi-terror.html

Kultur des Hasses: Extremisten und Musik
http://www.baden-online.de/news/artikel.phtml?page_id=75&db=news_lokales&table=artikel_boulevard&id=3244

(Agitation gegen Burschenschaften)
Irgendwas wird schon hängen bleiben
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5837554e192.0.html?PHPSESSID=afb20e2da9dda6b98e6978560b60165e

Linke Medienhetze gegen Prof. Schachtschneider
http://www.pi-news.net/2012/02/linke-medienhetze-gegen-prof-schachtschneider/#more-237824

Martin Hohmann mahnt „FAZ“ ab
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d2e1909c4b.0.html?PHPSESSID=4113071b8b0c493bb91084aa349fb10b

Wilders protestiert gegen deutsche Anti-Rechts-Broschüre
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5cbe402cfb5.0.html?PHPSESSID=19b681a0bb7d57bfdff31f9ccc39769d

Ist das Zensur?
Augsburgs Bischof Konrad Zdarsa hat einem seiner Priester untersagt, für die rechtslastige Wochenzeitung „Junge Freiheit“ zu schreiben. Nun fühlen sich Konservative verfolgt (, während „Christ & Welt“ das in Ordnung findet)
Aus: Christ & Welt Ausgabe 06/2012
http://www.christundwelt.de/detail/artikel/ist-das-zensur/

„Felix Krebs“: Enttarnung eines linksextremen Denunzianten
http://www.unzensuriert.at/content/007315-Felix-Krebs-Enttarnung-eines-linksextremen-Denunzianten

Provokante Studie Dumme Kinder werden Rassisten
Politisch konservative Menschen sind weniger intelligent als liberale. Und Rassisten sind dumm, das haben kanadische Gehirnforscher herausgefunden. Die Grundlage wird früh im Leben gelegt: Kinder, die bei Intelligenztests schlecht abschneiden, neigen später zu Vorurteilen und Schwulenhass.
http://www.news.de/gesellschaft/855268724/provokante-studie-dumme-kinder-werden-rassisten/1/

Enkelin eines Nazi-Opfers von „Antifaschisten“ attackiert
http://www.unzensuriert.at/content/007096-Enkelin-eines-Nazi-Opfers-von-Antifaschisten-attackiert

Vorsicht frisch gebohnert – Das offizielle Anti-Reichsdeppen-Forum ::: Schwarz Weiß Rot
http://offiziellesantireichsdeppenforum.wordpress.com/2012/01/28/christin-lochner-in-psychiatrischer-fachklinik-eingeliefert-kapuituliert-bedingungslos-vor-neonazis-aus-dresden-von-sachsens-die-linke-jugend-als-judensau-und-dreilochstute-beschimpft/

Linksextremisten werden immer brutaler
http://www.unzensuriert.at/content/007124-Linksextremisten-werden-immer-brutaler

(Mit Bildstrecke der kostümierten Antifanten)
Demos am Wochenende "Zombieparade": 1200 Demonstranten, 1200 Polizisten
http://www.tagesspiegel.de/berlin/demos-am-wochenende-zombieparade-1200-demonstranten-1200-polizisten/6148766.html

Fußballfans drängen Rechte in Stadien zurück - Gewalt bleibt
http://www.allgemeine-zeitung.de/nachrichten/politik/hessen/11627349.htm

Deutsche Burschenschaft weist Vorwurf des Rechtsextremismus zurück
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f383d2b891.0.html?PHPSESSID=ca63834591be08bf8c1fa6a13363be52

Fasching in Hanau
Reichsadler sorgt für Aufsehen
http://www.op-online.de/nachrichten/hanau/reichsadler-sorgt-1612330.html

(Die nächste Stufe im Irrenhaus BRD:)
Das BKA ermittelt gegen den Nazikatzen-Untergrund
http://www.welt.de/debatte/kolumnen/Fuhrs-Woche/article13873616/Das-BKA-ermittelt-gegen-den-Nazikatzen-Untergrund.html

Zu NPD-Verbot.
Kommentar: Zu kurz gedacht
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/kommentar-debatte-npd-verbot-1586762.html

Generalbundesanwalt: Rechtsterroristen nicht militanter Arm der NPD
http://www.lvz-online.de/nachrichten/topthema/generalbundesanwalt-rechtsterroristen-nicht-militanter-arm-der-npd/r-topthema-a-124868.html

Rechter Terror
Zschäpe scheitert mit Haftbeschwerde
http://www.tagesspiegel.de/politik/rechtsextremismus/rechter-terror-zschaepe-scheitert-mit-haftbeschwerde/6271186.html

(Steuergelder fließen nicht nur nach Griechenland…)
412.440 Euro für Opfer von Neonazi-Terroristen
http://www.ovb-online.de/nachrichten/politik/412440-euro-opfer-neonazi-terroristen-1624085.html

NPD Verbotsverfahren
Wenig Argumente für NPD-Verbot
Ermittler korrigieren sich. Anscheinend hatte der NSU doch keine Verbindungen zur rechtsextremen NPD - ein erneuter Versuch die Partei zu verbieten wird damit immer unwahrscheinlicher.
Die Befürworter eines neuen NPD-Verbotsverfahrens haben einen Rückschlag erlitten. Generalbundesanwalt Harald Range räumte am Wochenende in einem Zeitungsinterview ein, dass die bisherigen Ermittlungen zur mutmaßlichen Terrorgruppe NSU keinen Hinweis auf eine Verbindung zur NPD erbracht hätten. Eine solche Verbindung wäre aber ein wichtiges Argument für ein Verbot der rechtsextremen Partei gewesen.
http://www.fr-online.de/politik/npd-verbotsverfahren-wenig-argumente-fuer-npd-verbot,1472596,11667698.html

(John im Element…Am besten engagiert man den Stolperstein-Pflasterer…)
John fordert Gedenkstätte für Opfer der Zwickauer Terrorzelle
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56346bb320b.0.html?PHPSESSID=ec880c616f36cbee8d0f37123594a79a

Die Schweigeminute
http://www.sezession.de/30247/die-schweigeminute.html#more-30247

Um 12 Uhr schweigend zu lesen:
http://www.sezession.de/30248/um-12-uhr-schweigend-zu-lesen.html

Geschmackloses aus dem Land der Täter
http://www.sezession.de/30278/geschmackloses-aus-dem-land-der-tater.html

Der politische Sinn der Gedenkveranstaltung
http://www.sezession.de/30328/der-politische-sinn-der-gedenkveranstaltung.html

Gedenkfeier für die Mordopfer des "NSU" ("Nationalsozialistischer Untergrund")
Fremdschämen
http://freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=256

Kommentar: Ein Zeichen gegen Rechte
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/zeichen-gegen-rechte-1613382.html

(es war auch klar, dass diese Litanei kommt…)
Knobloch: Fehler bei Holocaust-Aufarbeitung
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/knobloch-fehler-holocaust-aufarbeitung-1613270.html

(auch das konnte nicht ausbleiben…)
Rostock
Rechtsextreme greifen Polizei bei Gedenken an NSU-Opfer an
http://www.op-online.de/nachrichten/deutschland/rechtsextreme-greifen-polizei-1615404.html

Die Rituale der globalistischen Religion
http://www.sezession.de/30663/die-rituale-der-globalistischen-religion.html

(kreatives Katz- und Mausspiel !!!)
Hannover
Rechtsradikalismus
Polizei sagt Nazis den Kampf an
http://www.haz.de/Hannover/Aus-der-Stadt/Uebersicht/Polizei-sagt-Nazis-den-Kampf-an

(und man sieht, dass bei Kreativität von unten offenbar die Nervosität oben steigt…)
"Besseres Hannover" im Fadenkreuz der Polizei
http://www.ndr.de/regional/niedersachsen/hannover/rechtsextremismus171.html

„Besseres Hannover“: Polizei sagt Neonazis Kampf an
http://endstation-rechts.de/index.php?option=com_k2&view=item&id=6910:%E2%80%9Ebesseres-hannover%E2%80%9C-polizei-sagt-neonazis-kampf-an&Itemid=410

Nicht jeder beim Anti-ACTA Protest erwünscht
http://www.besseres-hannover.info/wordpress/?p=1198

Wegen rechtsextremer Kontakte
Kasseler CDU wirft ehemaligen Vorstand raus
http://www.faz.net/aktuell/rhein-main/wegen-rechtsextremer-kontakte-kasseler-cdu-wirft-ehemaligen-vorstand-raus-11664441.html

(Die Frankfurter Rundschau, sonst sogar Hautfarben verschweigend, ist sich natürlich nicht zu schade, den Namen zu nennen)
Kassel
CDU Kassel wirft Neonazi raus
http://www.fr-online.de/rhein-main/kassel-cdu-kassel-wirft-neonazi-raus-,1472796,11718214.html

(Ist ja fast Manndeckung…)
Abteilung Attacke: Dortmund setzt 50 Polizisten auf 70 Neonazis an
http://endstation-rechts.de/index.php?option=com_k2&view=item&id=6859%3Aabteilung-attake-dortmund-setzt-50-polizisten-auf-70-neonazis-an&Itemid=840

Hausdurchsuchungen nach Stolpen: Zwei Wochen später
http://www.spreelichter.info/blog/Hausdurchsuchungen_nach_Stolpen_Zwei_Wochen_spaeter-1072.html

Auf dem linken Auge blind ?
Präsentation der Frankfurter Kriminalstatistik offenbart erschreckende Misserfolge in der polizeilichen Präventionsarbeit
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=255

EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT

"Muslim-Studie" sorgt für Wirbel
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/muslim-studie-sorgt-wirbel-1630021.html

Streit in Bayern
Polizeikalender unter Rassismusverdacht
http://www.spiegel.de/panorama/0,1518,818490,00.html

(dazu dieser Kommentar)
Puritaner im Polizeirock
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fd0e3438ad.0.html

(und diese Reaktion)
3000 Exemplare sind weg
Polizei-Kalender: Verkaufsschlager wegen umstrittener Karikaturen
http://www.augsburger-allgemeine.de/panorama/Polizei-Kalender-Verkaufsschlager-wegen-umstrittener-Karikaturen-id19021531.html

Bundeswehr gelobt Vielfalt und Toleranz
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5eb65f92a5d.0.html

Zweifel an akademischen Titeln
Imam Benjamin Idriz in Erklärungsnot
http://www.br.de/fernsehen/das-erste/sendungen/report-muenchen/videos-und-manuskripte/benjamin-idriz104.html

Abu Malik - Mujahid lauf
http://www.youtube.com/watch?v=OgohFDPGMHQ

SPD-Justizminister will Scharia einführen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58c76874c5f.0.html?PHPSESSID=e177e1f32e24712c20e712736db65b8b

(Und die SPD liefert mittlerweile bereitwillig die Bühne hierfür…)
Türkische Gemeinde wirft Deutschen fehlende Vergangenheitsbewältigung vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56aab3c5188.0.html?PHPSESSID=afb20e2da9dda6b98e6978560b60165e

Buntsprech lernen mit Margot Käßmann
http://www.pi-news.net/2012/02/buntsprech-lernen-mit-margot-kasmann/#more-237584

(Kirchen und Schulen geraten in Hyperaktivität)
Korbach
Petition gegen Eil-Abschiebung
http://www.wlz-fz.de/Lokales/Waldeck/Korbacher-Zeitung/Petition-gegen-Eil-Abschiebung
http://www.wlz-fz.de/Lokales/Waldeck/Korbacher-Zeitung/Protestaktion-wird-ausgeweitet
http://www.hna.de/nachrichten/kreis-waldeck-frankenberg/korbach/korbach-proteste-gegen-abschiebung-familie-celic-1601393.html

(Na dann sollten sämtliche deutschen Politiker doch mal nachziehen, auch der Bundes-Wulff in seinem kreditfinanzierten Häuschen…)
Belgien
Ein Königsmärchen, das nicht wahr sein darf
König Albert II. holt Flüchtlinge ins Schloss – eigentlich Stoff für ein Märchen. Doch die nationalistische Opposition findet sogar in dieser Suppe ein Haar.
http://www.welt.de/politik/ausland/article13858362/Ein-Koenigsmaerchen-das-nicht-wahr-sein-darf.html

Belgiens König lässt Flüchtlinge auf Schlossgelände wohnen
http://www.focus.de/politik/schlagzeilen/nid_94169.html

Schutzgeld gefordert
Wieder Angriff auf linkes Hausprojekt
In Wedding eskaliert der Streit zwischen einem linken Hausprojekt und einer Straßengang junger Araber, den „Streetfighters“. Hintergrund soll eine Schutzgeldforderung sein.
http://www.tagesspiegel.de/berlin/polizei-justiz/schutzgeld-gefordert-wieder-angriff-auf-linkes-hausprojekt-/6161162.html

Gastwirt überfallen - Offenbach
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2195660/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-donnerstag-09-02-2012

Einbrecher durch Hausbewohner festgenommen - Offenbach (Marokkaner)
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2197636/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-13-02-2012

Offenbach
Jugendgruppe pöbelt in S-Bahn und klaut Handy
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/jugendgruppe-poebelt-bahn-klaut-handy-offenbach-1608476.html

Verdächtiger Mitarbeiter des Jobcenters Frankfurt soll jahrelang Osteuropäer illegal vermittelt haben
Betrug am Frankfurter Jobcenter
http://www.op-online.de/nachrichten/frankfurt-rhein-main/betrug-jobcenter-frankfurt-1608555.html

(In der Printausgabe war von einem „Südländer“ als Täter die Rede. Online findet keine Täterbeschreibung statt)
Obertshausen: Unbekannte schlagen einer 19-Jährigen in der S-Bahn ins Gesicht
http://www.op-online.de/nachrichten/obertshausen/schlaeger-bahn-ueberfall-obertshausen-1608498.html

Offenbach
Mehrfachtäter in Haft
http://www.familien-blickpunkt.de/aktuelles/mehrfachtter-in-haft.html

Mutmaßliche Einbrecherbande festgenommen - Offenbach
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2204639/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-24-02-2012

Wer kennt Räuber mit "Boxerschnitt"? - Offenbach
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2203862/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-23-02-2012

Raub von Handy - Offenbach (dem Opfer wurde eine Bierflasche über den Kopf geschlagen)
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2205884/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-27-02-2012

Haftstrafe für Todesfahrer
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/haftstrafe-todesfahrer-a67-darmstaedter-kreuz-offenbach-1623657.html

KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES

Cora Stephan
Dämmung ist das Todesurteil für Fachwerkhäuser
http://www.welt.de/debatte/kommentare/article13850905/Daemmung-ist-das-Todesurteil-fuer-Fachwerkhaeuser.html

Altbau und Denkmalpflege Informationen. Das Architektur-Magazin zum Planen und Bauen im Bestand
Besser ohne Pfusch sanieren - Weil es IHR Haus ist!
http://www.konrad-fischer-info.de/

Dresdens sinnloseste Bänke
http://www.sz-online.de/nachrichten/artikel.asp?id=2981769

Kosten für den Neubau der Zentrale des Bundesnachrichtendienstes in Berlin (1,3 Mrd. Euro)
http://dipbt.bundestag.de/dip21/btd/17/084/1708435.pdf

(Tolle „Kunstaktion“ )
Hirschsprung (Schwarzwald)
(Nach der Landtagswahl von 2011 und der in ihrer Folge gebildeten grün-roten Landesregierung haben Unbekannte den Hirschen grün und rot angestrichen.)
http://de.enc.tfode.com/Hirschsprung_%28Schwarzwald%29
http://www.badische-zeitung.de/fotos-der-gruen-rote-hirsch-vom-hoellental

Bevölkerungsschwund
Die alten Häuser bleiben leer
http://www.stuttgarter-zeitung.de/inhalt.bevoelkerungsschwund-die-alten-haeuser-bleiben-leer.fc3fb8fe-e747-471f-9f8b-244af9bf17aa.html

Abrisswut in Zeitz
http://www.mdr.de/mediathek/suche/mediatheksuche102.html?q=zeitz

Berliner Gaslaternen in Gefahr - angeblich schlechte Ökobilanz
http://www.denk-mal-an-berlin.de/das-besondere-denkmal/berliner-gasbeleuchtung.html
https://www.facebook.com/Gaslaternen

Görlitz erhält zum 18. Mal anonyme "Altstadtmillion"
http://www.epd.de/landesdienst/landesdienst-ost/schwerpunktartikel/g%C3%B6rlitz-erh%C3%A4lt-zum-18-mal-anonyme-altstadtmillion

Kyffhäuser wird saniert und die Baustelle zur Schaustelle
http://www.tlz.de/startseite/detail/-/specific/Kyffhaeuser-wird-saniert-und-die-Baustelle-zur-Schaustelle-1984659955

Baiersbronn
Ein besonderes Hotelerlebnis
http://www.schwarzwaelder-bote.de/inhalt.baiersbronn-ein-besonderes-hotelerlebnis.3ba7cf83-d71b-49ec-a5a6-03828ee666d0.html

Hausbesitzern droht Pflicht zur Dämmung
Bundesregierung denkt über schärfere Sanierungsauflagen nach
http://www.welt.de/print/die_welt/wirtschaft/article13892317/Hausbesitzern-droht-Pflicht-zur-Daemmung.html

In the House of Pound - An Interview with Gianluca Iannone
http://euro-synergies.hautetfort.com/archive/2012/02/10/in-the-house-of-pound-an-interview-with-gianluca-iannone.html

Andreas Vonderach: Die deutschen Regionalcharaktere
http://www.husum-verlag.de/catalog/product_info.php?products_id=3221

Hitler nervt!
Der popkulturelle Hitler-Gag, der als Tabubruch begann, ist ins völlig Triviale abgerutscht. Findet Daniel Erk, Betreiber des sogenannten Hitler-Blogs der "taz", dessen Buch "So viel Hitler war selten" heute bei Heyne erscheint.
http://www.rollingstone.de/magazin/features/article129965/hitler-nervt.html

Unser täglich Brot gib uns heute ... (Zum Materialismus der Gesellschaft)
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ba8b6934be.0.html?PHPSESSID=201c5db47278901a3fb0e6159d095e13

Meinung und Hirn (Zum Entstehen politischer Meinungen)
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f2987bf23b.0.html

Filme
Kriegerin
Regie: David Wnendt
http://www.rollingstone.de/reviews/filme/article131367/kriegerin.html

Frankreich und der Weltuntergang Die Invasion der Esoteriker
http://www.sueddeutsche.de/panorama/frankreich-und-der-weltuntergang-die-invasion-der-esoteriker-1.1109199

Wenn Gäste zur Plage werden
In den Everglades breiten sich Pythons aus, und die asiatische Kirschessigfliege ärgert deutsche Bauern. Was hilft gegen invasive Arten?
http://www.welt.de/print/wams/vermischtes/article13863878/Wenn-Gaeste-zur-Plage-werden.html

(Zitat: „Kritik an den Neuankömmlingen werde als »politisch inkorrekte Haltung in einer multikulturellen Gesellschaft« gewertet.“)
Streit wegen freilebender Halsbandsittiche
http://www.main-netz.de/nachrichten/regionalenachrichten/hessenr/art11995,2003168

(Über das Bloggen)
Selbstvertriebigung
http://gutjahr.biz/2012/02/selbstvertriebigung/

Pränatale Diagnostik
Neuer Bluttest – Behinderte im Fadenkreuz
http://www.swr.de/swr2/wissen/praenatale-diagnostik/-/id=661224/nid=661224/did=9215054/1vtl59z/

Wir, die Netz-Kinder
Die junge Generation stört sich an traditionellen Geschäftsmodellen und Obrigkeitsdenken. "Das Wichtigste ist Freiheit", schreibt der polnische Dichter Piotr Czerski.
http://www.zeit.de/digital/internet/2012-02/wir-die-netz-kinder/komplettansicht

Andreas Rebers - Wir reiten auf Kamelen durch Berlin
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=lp0RkxEppWA

jeudi, 01 mars 2012

Poutine sera réélu par le peuple russe pour le Bien de la Russie et de l’Europe !

Poutine sera réélu par le peuple russe pour le Bien de la Russie et de l’Europe !

Par Marc Rousset

Ex: http://infonatio.unblog.com/

vladimir_putin.jpgMonsieur André Glucksmann, obsédé par Vladimir  Poutine,  le contre-modèle exemplaire de  ses rêves politiquement corrects  et droit de l’hommistes, n’hésite pas à écrire  dans une chronique du Figaro du Vendredi  24 Février 2012 : « Poutine réussira-t-il la falsification administrative des élections présidentielles ? Devra-t-il fomenter une épidémie d’attentats attribués à d’imaginaires ennemis pour mieux réprimer les contestataires ensuite ? Ou pourquoi pas, lancera-t-il une expédition militaire, genre deuxième guerre de Géorgie,  afin de s’imposer comme l’homme fort et insubmersible de la Russie ? »
A noter que  Monsieur Glucksmann n’est pas à une contre-vérité près car les faits et les enquêtes impartiales de l’Union Européenne  démontrent que c’est bel et bien la Géorgie du jeune, inconscient et fougueux Président  Mikhaïl Saakachvili  qui a commencé en Aout 2008  les hostilités militaires en Ossétie du Sud  et les a terminées  dans une  totale déroute.

Or, le jeudi 23 Février 2012, devant une foule  réunie dans le stade moscovite de Loujkini  et évaluée par les autorités à 130 000 personnes, Poutine a montré au monde que les mouvements d’opposition peinent à trouver leur second souffle.  « Désormais, il n’y aura plus lieu de parler de la révolution orange car la rue nous appartient » a pu déclarer Vladimir Bourmatov, un député de Russie unie (1). Il est probable que Poutine sera réélu avec plus de 50% des voix et non plus des scores de 71% des voix comme en 2004, mais quoi d’anormal ? Les peuples  européens de l’Ouest ont-ils été reconnaissants  par leurs votes à  Winston Churchill, à Clemenceau, à De Gaulle ?

Poutine, l’obsession des Etats-Unis et des Occidentaux

L’Amérique  veut déstabiliser et faire sauter  le verrou Poutine pour plusieurs raisons. La Russie  est  devenue une superpuissance pétrolière respectée, à défaut d’être crainte. Poutine a brisé les rêves de Mikhaïl Khodorkovski , patron de Youkos, et ceux  des Etats-Unis  qui voulaient mettre la main   sur les ressources énergétiques de la Russie.

Poutine veut également réarmer la Russie, immense pays  richissime ouvert aux quatre vents et deux fois plus grand que les Etats-Unis avec au grand maximum  130 millions de Russes en 2050 ! Poutine veut dépenser 590 milliards d’euros d’ici à dix ans pour se protéger de la menace militaire de l’OTAN et des États-Unis. Selon le quotidien Rossiskaya Gazeta,  le plan de modernisation militaire lancé il y a un an par Poutine comprendrait : construction de 400 missiles balistiques d’ici à 2022, 8 croiseurs sous-marins  lance-missiles stratégiques, 20 sous-marins polyvalents, 50 navires de surface, 600 chasseurs de cinquième génération, mille hélicoptères, 2300 chars modernes, 2000 canons automoteurs, 28 régiments de systèmes de missile sol-air S400. Tout spécialiste des problèmes militaires sait en effet parfaitement que le système  américain de bouclier antimissile est dirigé contre la Russie, l’Iran n’étant qu’un prétexte !

Poutine n’a pas digéré non plus l’erreur de Dimitri Medvedev qui n’a pas  mis son véto au Conseil de Sécurité de l’ONU , d’où  la brèche éhontée dans laquelle s’est engouffrée l’Occident en bombardant la Libye et en intervenant avec des troupes au sol dans un conflit tribal interne, en lieu et place d’une zone d’exclusion aérienne, ce  qui n’est  pas sans rappeler la mauvaise foi de l’expansion de l’OTAN  à l’Est, contrairement aux promesses qui avaient été faites lors de la chute du Mur de Berlin  à Gorbatchev et  plus tard à Boris Eltsine !

Poutine s’oppose à l’intervention militaire occidentale en Syrie pour protéger  les exportations russes d’armement ainsi que la seule et unique base maritime pour la flotte russe en Méditerranée !

Poutine peut enfin se prévaloir d’un succès sur le plan économique à faire pâlir d’envie les Occidentaux. La croissance du PIB devrait frôler les 4,5% en 2011 et en 2012.Le taux de chômage est descendu à 6,3% ; la dette du pays est faible, inférieure à 10%du PIB. Les réserves de change sont d’environ 500 milliards de dollars. L’inflation est à la baisse, estimée à 6,5% , soit son plus faible niveau depuis 20ans.La Russie est déjà aujourd’hui la 10ème économie du monde en PIB nominal et la 6ème en termes de parité de pouvoir d’achat. La Russie devrait être la 4èmeéconomie de la planète en 2020.

Poutine propose un contre-modèle à  l’Europe décadente

Poutine a dores et déjà sauvé la Russie, mais il est d’autant plus dangereux qu’il propose à l’Europe occidentale  un autre modèle que le droit de l’hommisme et l’incite à se libérer du protectorat militaire américain. Poutine a compris que le redressement, le rétablissement de la Russie  passait par les valeurs traditionnelles, le patriotisme, l’Eglise orthodoxe, le sens de l’effort et du dépassement, constituant un magnifique contre-exemple pour les démocraties européennes décadentes et aveugles. Alors que les droits de l’hommistes souhaitent que la Russie s’adapte au modèle occidental, c’est bien au contraire, selon Vladimir Poutine,  aux Européens de l’Ouest de retrouver leurs valeurs traditionnelles, de ne plus pratiquer la repentance. En ce sens, Poutine est le sauveur potentiel de l’Europe de l’Ouest !

Poutine est enfin dangereux  car  il est  natif de Saint Petersburg , la ville symbole du rapprochement européen fondée par Pierre Le Grand ; il  parle allemand , il  a travaillé pour le KGB  à Dresde et  a une vision continentale européenne historique que n’ont pas nos dirigeants  atlantistes actuels !

C’est ainsi que devant le Bundestag, il a pu dire :

« Si à une certaine époque, la réconciliation historique de la France et de l’Allemagne fut l’une des conditions de base de l’intégration ouest-européenne, aujourd’hui, c’est le partenariat entre la Russie, l’Allemagne et la France qui constitue le facteur positif majeur de la vie internationale et du dialogue européen.

Je suis profondément convaincu que la Grande Europe unie de l’Atlantique à l’Oural, et de fait jusqu’à l’ Océan Pacifique, dont l’existence repose sur les principes démocratiques universels, représente une chance exceptionnelle pour tous les peuples du continent, pour le peuple russe notamment…..Le peuple russe a toujours eu le sentiment de faire partie de la grande famille européenne, à laquelle le rattachent les mêmes valeurs culturelles, morales, spirituelles. »
Vladimir Poutine, Président de la Fédération de Russie

Marc Rousset, économiste, écrivain, auteur de « La Nouvelle Europe-Paris-Berlin-Moscou », pour Novopress France. http://fr.novopress.info

(1) Le Figaro du Vendredi 24 Février –« Poutine poursuit “la bataille pour la Russie” »

mercredi, 29 février 2012

Géopolitique : Islamisme et Empire: un flirt qui perdure…

Géopolitique : Islamisme et Empire: un flirt qui perdure…

Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

Le ciel du “printemps arabe” s’assombrit par l’ouest. Les belles et éphémères éclaircies des révoltes tunisienne et égyptienne se rembrunissent. Face à l’imminence de ce grain dévastateur, une bonne partie de l’intelligentsia arabe continue de baigner dans sa léthargie légendaire, confondant le présent avec le passé, obsédée par son fantasme du retour au sein maternel.

Qui ne se souvient de la « grande révolte arabe » contre l’empire ottoman agonisant ? L’histoire serait-elle un éternel recommencement ?!

Il y a tout juste cent ans, hypnotisés par l’Occident, manipulés par les Français et les Britanniques, les Arabes de la péninsule aidaient à porter le coup de grâce aux Ottomans. Leur nationalisme fougueux fut savamment exploité par les grandes puissances de l’époque et se transforma en piège mortel.

 

Carte: accords Sykes-Picot

Mais il n y avait pas que les arabes qui fussent instrumentalisés; usant du même stratagème, les puissances occidentales ont oeuvré à exacerber le nationalisme turc tout en poussant la communauté chrétienne à la révolte. C’est en dressant les ethnies et les confessions les unes contre les autres que l’Occident parvient à faire imploser l’*empire Ottoman. Le rêve naïf de libération arabe a vite viré au cauchemar à la suite des accords franco-britanniques de *Sykes-Picot. Balkanisé, le Proche-Orient ne se relèvera plus et continue jusqu’à nos jours à être miné par les dissensions internes, confessionnelles, ethniques et politiques entretenues par Londres, Paris et Washington.

Ayant failli aux promesses faites à Hussein ibn Ali, Chérif de la Mecque, les Britanniques et les Français s’employèrent après la première guerre mondiale à dépecer et à coloniser le Proche et Moyen Orient. Une anecdote riche en significations a marqué les péripéties de cette guerre coloniale : juste après l’occupation de Damas par l’armée française, le Général Gouraud, confondant francs et français, se rendit devant le tombeau de Saladin et prononça cette phrase demeurée célèbre : ” Nous voici de retour “. Presque mille ans d’histoire n’ont pas suffit aux Occidentaux de digérer la défaite des croisés envahisseurs face à Salah Eddine. Cette attitude revancharde continue à alimenter l’imaginaire occidental et sert depuis des siècles de substrat idéologique à tous les projets coloniaux visant l’Orient.

Dès la fin du XVIIIème siècle, les arabes répondaient à l’expansion européenne et à la domination ottomane en empruntant deux cheminements opposés. C’est au moment même où Mohammed Ali mettait en oeuvre un projet de rénovation de l’Égypte considéré par les historiens comme l’amorce de la renaissance arabe (Nahda) que se répandait en Arabie le courant salafiste, le wahhabisme.

Mohammed Ali et son fils Ibrahim Pacha adhéraient pleinement à un projet de nation arabe qui rassemblerait tous les Arabes de l’Égypte à la Mésopotamie. Ils oeuvrèrent à l’émergence d’une renaissance intellectuelle, sociale et culturelle sans précédent et aidèrent au développement de l’agriculture et de l’industrie. Mohammed Ali s’appuya sur une jeune génération d’oulémas réformistes de l’envergure du cheikh Rifa’a al-Tahtawi. Ces oulémas ne voyaient pas de contradiction entre l’islam et la modernité et soutenaient la plupart des réformes. A la fin du XIXème siècle le mouvement nationaliste arabe touche la Grande Syrie.

Le sentiment de plus en plus fort d’être dominé par les Turcs provoqua le rapprochement des chrétiens et des musulmans autour de leur identité arabe. Ce nationalisme avant tout culturel et moderniste finissait par céder le pas dès 1880 à un nationalisme politisé et revendicatif. La répression ottomane du mouvement nationaliste arabe qui a suivi la révolution Jeunes-Turcs de 1908, développa du Machrek au Maghreb une radicalisation nationaliste revendiquant un gouvernement non confessionnel sur l’ensemble des territoires arabes. A la veille de la première guerre mondiale, Paris est devenu la capitale des différents mouvements nationalistes arabes. Il faut dire que depuis un bon moment Londres et Paris ne tarissaient pas d’effort pour provoquer les dissensions entre groupes ethniques et confessionnels au sein de l’empire ottoman. En pleine guerre mondiale, le Chérif de la Mecque, Hussein ibn Ali, sollicité par les nationalistes arabes, poussé par les britanniques et les français, s’engagea militairement contre les ottomans. La création d’un État arabe unifié conduisant la nation dans la voie d’une authentique renaissance ne fut malheureusement qu’une chimère.

Trahi à la fin du conflit par les franco-britanniques, Hussein ibn Ali perd même sa province du Hedjaz que les Hachemites ont toujours gardée même sous les Mamelouks et sous les Ottomans.

Bien qu’ouvert sur son époque et moderniste, le nationalisme arabe a été tué dans l’oeuf par les Occidentaux alors que c’est sous l’oeil bienveillant des Britanniques qu’Abd al Aziz Ibn Saoud s’empare de Riyad en 1902 et se donne le titre politique d’émir du Nejd et celui religieux d’imam des Wahhabites. Il organise en 1912 les Bédouins en “ikhwan” (fratries). Cette force de frappe lui permet alors de reprendre graduellement le pouvoir dans la majeure partie de la péninsule au prix de dizaines de milliers de morts. Ayant observé la neutralité pendant la première guerre mondiale, il parachève en 1924 son oeuvre en chassant de la Mecque le chérif Hussein Ibn Ali. Il est utile de rappeler que depuis le milieu du XVIIIème siècle, l’alliance de Mohammad Ibn Saoud, chef d’une tribu du Nejd et de Mouhammad Ibnou Abdel Wahhab, fondateur de l’école wahhabite a permis de propulser les Saoud à la tête des tribus arabes qui onze siècles après la naissance de l’islam repartaient à la reconquête… du monde musulman. Il est évident que, sans son instrumentalisation politique, le wahhabisme, courant unitarien né dans le désert de Nejd, condamnant le luxe somptuaire, brandissant une piété rude et austère, prônant un retour à un Islam dégagé des subtilités des glossateurs et des dévotions adventices n’aurait été qu’un courant réformiste parmi d’autres.

Le soutien de l’Occident au nationalisme islamique est une constante de sa politique proche et moyen-orientale. En effet, tout au long du XIXème siècle, les Britanniques ne cessaient de pousser les Saoud wahhabites à porter des coups répétés aux flancs de l’empire ottoman alors qu’ils se dressaient contre toute velléité de projet nationaliste arabe.

En 1840, ces mêmes Britanniques volaient au secours de leurs ennemis jurés, les Ottomans et mettaient fin aux ambitions panarabes de Mohamed Ali qui, après avoir arraché l’Arabie aux Saoud et le Soudan aux Mamelouks, s’empara de la Grande Syrie et avança sur l’Anatolie. En aidant les wahhabites à dominer l’Arabie et ses lieux saints, les occidentaux ont cru pouvoir ainsi marginaliser le monde arabe en le poussant en quelque sorte hors de l’histoire.

L’effondrement de l’empire ottoman a conduit à son éclatement. La société impériale déstructurée se transforme en sociétés féodales malgré les apparences trompeuses.

Ce que nous voulons, disait Lord Crowe, ministre libéral de sa Gracieuse Majesté, ce n’est pas une Arabie unifiée, mais une Arabie fragmentée, divisée en principautés soumises à notre autorité“. Mais ce qu’oublie de préciser ce même Crowe est cette exception accordée à l’Arabie Saoudite : un pays créé de toutes pièces, d’une superficie de plus de deux millions de km², encensé par les vainqueurs de la première guerre mondiale et échappant à la domination coloniale!

Les dirigeants européens ont vite compris l’intérêt que représente l’intégrisme wahhabite, une idéologie qui ne peut que renforcer la dislocation du Proche et Moyen-Orient. En plus de l’hémorragie incontrôlable de Sykes-Picot qui affecte sa géographie, le monde arabe perd ses repères historiques et part au galop, à contre-sens, à la recherche de son identité… Les puissances occidentales font ainsi coup double en désorganisant du même coup l’espace et le temps de l’univers arabo-musulman. C’est cette “philosophie” qui constituera l’inlassable leitmotiv géopolitique appliqué par le monde dit “libre” à cette partie de la planète.

L’instrumentalisation de l’intégrisme musulman par le politique marquera de son sceau tout le XXème siècle.

Manipulés, les islamistes continuent de jouer (probablement à leur insu) le jeu de l’Empire. Après la conquête du Hidjaz, Abdelaziz Ibn Saoud signe le 20 mai 1927 avec les Britanniques le traité de Djeddah par lequel il renonce à toute extension du territoire saoudien. Les Ikhwân, désireux de poursuivre le jihad, désobéissent et attaquent l’Irak alors sous mandat britannique. En mars 1929, Abdelaziz écrase alors militairement ceux-là mêmes qui l’ont porté au pouvoir grâce notamment à l’appui de l’aviation britannique.

A la fin de la deuxième guerre mondiale émerge l’empire américain avalant pour ainsi dire les deux empires occidentaux européens. Le “Pacte du Quincy”, conclu en février 1945 entre le président Franklin Roosevelt et le Roi Abdel Aziz, à bord du croiseur américain Quincy, chasse pratiquement les puissances européennes du Moyen-Orient et offre en contrepartie une protection inconditionnelle au wahhabisme saoudien. Le dernier obstacle qui se dresse encore face à la fureur hégémonique de la “première démocratie occidentale” est l’Union Soviétique, le dernier empire européen…

En parfaits héritiers de la perfide Albion, les Américains poussent les islamistes contre le bloc communiste et ses satellites. En effet, le modèle “socialisant” et panarabe que propose Nasser ainsi que son rapprochement des soviétiques en pleine guerre froide affolent les yankees. Ceux-ci optent pour une diplomatie confessionnelle en consolidant les courants islamistes passéistes dans le monde arabe. L’objectif était de maintenir dans un sous-développement philosophico-économique l’ensemble du monde arabo-musulman tout en poussant les islamistes à s’engager dans une guerre sainte contre les mécréants communistes.

En juillet 1953, une délégation de musulmans est invitée aux États-Unis et reçue à la Maison Blanche. Parmi les invités se trouvait Saïd Ramadan, le gendre de Hassen El Banna, fondateur de la confrérie des Frères Musulmans. S’adressant à l’assistance, Eisenhower dit : “notre foi en Dieu devrait nous donner un objectif commun : la lutte contre le communisme et son athéisme”.Tout est dit! Fidèles aux méthodes de leurs prédécesseurs, les étasuniens usent de la même duplicité pour faire imploser cette fois-ci l’empire soviétique.

Mais c’est seulement au milieu des années 70 que Zbigniew Brzezinski, patron du Conseil national de sécurité (NSC) parvient à convaincre Carter de jouer la carte islamiste pour affaiblir l’Union soviétique.

L’invasion de l’Afghanistan par l’Union soviétique en décembre 1979 surviendra à point nommé. Il est toutefois utile de préciser que c’est l’assistance clandestine aux opposants du régime pro-soviétique de Kaboul ordonnée par Carter le 3 juillet 1979 qui a provoqué l’invasion de l’Afghanistan par les Soviétiques et non l’inverse.

Après l’élection de Ronald Reagan, la nouvelle administration accepta totalement les plans du Conseil National de Sécurité et de la CIA élaborés sous Carter, sachant pourtant que le prix de cette aventure serait la radicalisation de l’islamisme anti-occidental un peu partout dans le monde. Des fondamentalistes de tous les pays arabes sont alors encouragés à combattre les communistes et les nationalistes dans leurs propres pays. L’endoctrinement financé par l’Arabie Saoudite conduira des dizaines de milliers de jeunes à emprunter le chemin du Jihad en s’engageant dans la guerre sovieto-afghane.

Moudjahidîn, vous n’êtes plus seuls, votre combat est le nôtre”, lance Ronald Reagan en janvier 1988. Entre 1980 et 1989, la résistance afghane aura reçu des Américains près de quinze milliards de dollars d’assistance militaire. Sacrés “Moudjahidin” ou encore “combattants de la liberté“, adulés à l’unanimité par tous les médias occidentaux, les islamistes finissent, toutefois, par se retourner contre leurs commanditaires lorsqu’ils se rendent compte qu’ils n’ont été que de simples instruments entre les mains de l’Empire et de son vassal saoudien. Cette fois-ci les “Afghans” ne se laissent pas faire comme il fut le cas pour les “Ikhwan” en 1929.

De longues années de terreur vont alors secouer la planète. Terrorisme souvent gonflé par les médias, souvent romancé. Les éléments du réel et du frictionnel s’emmêlent pour balancer à la face du monde une image horrifique de l’islam. Ben Laden, une pure réplique de Belzébuth, met en échec l’infernale machine de guerre américaine et bénéficie d’une longévité pour le moins surprenante… grâce certainement à sa parfaite maîtrise de la magie noire! Les héros d’hier devenus soudain les terroristes d’aujourd’hui se retrouvent logés dans le camp de Guantánamo. Les dictatures arabes, aux ordres des Américains, après avoir lâché la bride aux islamistes pendant plus d’une décennie, se mettent à leur tour à les persécuter de la manière la plus ignoble…

L’Islamophobie orchestrée depuis une vingtaine d’années par les médias et par l’ensemble des dirigeants occidentaux annonce-t-elle la fin de cette politique confessionnelle si chère à la Grande Bretagne et aux États-Unis ?

Pour répondre à une telle question, il est nécessaire de situer la montée du terrorisme islamiste en le replaçant dans son contexte.

A partir de 1997, les néoconservateurs envahissent la scène politique américaine. Le ”Project for a New American Century’ ‘, l’association-phare des néoconservateurs avec, à sa tête, des gens comme George W. Bush, Jeb Bush, Dick Cheney, Donald Rumsfeld ou encore Paul Wolfowitz s’est fixé pour objectif de profiter de la phase unipolaire pour assurer la suprématie américaine pour les 100 ans à venir.

L’association publie en septembre 2000 son manifeste sous le titre : “Rebuilding American Defenses“, où elle déclare entre autre :

« Les forces armées américaines autour du monde sont la preuve visible de la réalité des États-Unis en tant que superpuissance (…) Le processus de transformation (néolibéral) même s’il apporte des changements révolutionnaires sera sans doute long, sauf si un événement catastrophique et catalyseur venait à se produire comme un nouveau Pearl Harbour ».

En juin 2001, sept mois avant les attentats de septembre, Paul Wolfowitz donne une allocution à West Point dans laquelle il rappelle que 2001 est le 60e anniversaire du désastre américain à Pearl Harbor. Propos à la redondance étonnamment prophétique. Quelques semaines après l’attentat du 11 septembre, le programme de réarmement, auparavant bloqué par le congrès, est approuvé sans discussion ni modification. Grâce à l’intervention d’Oussama Ben Laden et à l’horreur des actes commis, la stratégie des néoconservateurs allait pouvoir s’appliquer, en donnant à l’administration Bush l’occasion d’exploiter à fond la menace terroriste et d’accaparer les pleins pouvoirs pour partir juste après en croisade…

On est alors en droit de se demander à qui ont réellement profité les crimes terroristes… Certainement pas à l’Irak qui a subi la vengeance des néo-croisés sans raison aucune, ou plutôt pour la simple et bonne raison qu’il a osé voler de ses propres ailes. L’Arabie Saoudite, pourtant pays d’origine de la majorité des terroristes qui ont attaqué les tours jumelles, n’a nullement été inquiétée, tout au contraire…

En vérité, l’Empire n’a point changé de stratégie, car si dans le passé les islamistes ont été instrumentalisés pour porter le coup fatal aux Ottomans puis aux Soviétiques, aujourd’hui il s’agit de les manipuler de sorte qu’ils portent directement préjudice à leur propre camp. Le terrorisme démesurément amplifié par les médias vise moins les extrémistes que l’islam en tant que civilisation et le monde arabo-musulman en tant qu’espace géographique.

Le rôle démoniaque du mythique Ben Laden et les caricatures dénigrant le prophète, pour ne citer que ces deux exemples, ont pour fonction première d’approfondir la fracture qui n’arrête pas de se creuser entre l’Europe et le monde arabe. A la haine de l’islam entretenue en Occident répond par ricochet la haine de l’Occident dans le monde arabe, poussant ainsi les classes populaires des deux camps à s’engouffrer tête baissée dans le repli identitaire.

Le “”Choc des civilisations’ ‘” de Samuel Huntington n’est en fait qu’une théorisation après coup de la stratégie néoconservatrice et vient enrichir toute une littérature servant à élargir encore plus le gouffre. La civilisation musulmane, civilisation millénaire, réduite à une simple caricature, transformée en épouvantail, est jetée en pâture à des populations désorientées par les effets de la crise économique. De l’autre coté de l’abîme, réagissant à la transe islamophobe occidentale, faisant écho à la générosité des associations caritatives islamiques (les pétrodollars du golfe y sont bien entendu pour quelque chose…), des populations majoritairement pauvres se jettent dans les bras sécurisants des islamistes. Du Maroc à la Jordanie, les islamistes s’emparent de la majorité des sièges dans les différents parlements…

Est-ce là le but des néoconservateurs?

Absolument! Dans son livre “Le Grand Échiquier” Zbigniew Brzezinski, divise le monde en « zones dures » ou « acteurs géostratégiques » tels que les États-Unis, l’Inde, la Chine, la Russie, etc., alors que les « zones molles » désignent soit « l’ensemble des nations non souveraines » à l’image des nations africaines ou latino-américaines, soit les puissances ou civilisations anciennes (européennes, islamiques, etc.) affaiblies, ou ayant partiellement abdiqué leur souveraineté, ce qui semble être le cas des États d’Europe occidentale qui s’en remettent à l’OTAN, donc aux Etats-Unis, pour la défense de leur sécurité.

La nature « molle » de l’Europe de l’Ouest est vitale pour les États-Unis dans la mesure où elle empêche qu’un bloc anti-hégémonique continental européen ne se constitue autour de l’Allemagne ou de la Russie. Il s’agit donc pour les États Unis d’imposer leur politique unipolaire en s’opposant à toute velléité d’expansion des autres « acteurs géostratégiques », tels que la Russie ou la Chine, en les encerclant jusqu’à l’étouffement.

L’Europe de l’Ouest, l’Europe centrale, les anciennes républiques socialistes, l’Afrique, le monde arabe, les Balkans eurasiens et jusqu’aux bordures de la mer Caspienne, tout cet espace couvrant la production et la circulation des hydrocarbures est condamné à ne constituer qu’un vaste ensemble de « zones molles » sous la tutelle de l’île-empire thalassocratique américaine.

Pour gérer un ensemble aussi vaste rien de moins que la bonne vieille recette : diviser pour régner. Le couple infernal, terrorisme islamiste/islamophobie, a réussi à rompre les liens historiques entre le monde arabe et l’Europe, entre les Russes et les républiques islamiques de la fédération de Russie. Dans les pays arabes, l’intégrisme sunnite, encouragé par les étasuniens, s’en prend aux chiites, aux coptes, à la gauche, aux nationalistes arabes, aux laïques…

C’est en plongeant le monde dans un tel magma incandescent que l’Amérique des néoconservateurs compte ainsi gérer la planète tout au long de ce XXIème siècle. Fidèles aux méthodes de leurs cousins britanniques mais beaucoup plus “enthousiastes”, les étasuniens tentent d’installer les fondamentalistes sunnites à la tête de l’ensemble du monde arabe tout en découpant ce dernier en soixante douze morceaux.

 

 

Carte du nouveau redécoupage des frontières

En effet, le Lieutenant-colonel retraité *Ralph Peters de l’US Army s’élève contre l’amateurisme des sieurs Sykes et Picot et nous propose en 2006 une carte remodelée du ” Nouveau Moyen-Orient ” dans laquelle chacun des pays arabes se trouve divisé en trois ou quatre mini-territoires sur des bases confessionnelles et ethniques. Ralph Peters nous assure que les frontières ainsi remodelées résoudront totalement les problèmes du Moyen-Orient contemporain. Eh bien, je ne vous apprends rien si je vous dis que ce cher Lieutenant-colonel passe pour un as dans l’art de l’antiphrase! Noyé dans l’obscurantisme, déchiqueté, déchiré par toutes sortes de dissensions confessionnelles, ethniques, politiques, le monde arabe se verra transformé in fine en « zone liquéfiée », embourbé dans la barbarie la plus abjecte.

Une année vient de s’écouler depuis les soulèvements populaires en Tunisie et en Égypte. Plus le temps passe plus les questions fusent. Le ravissement qui a accompagné les premières semaines des révoltes et les joutes oratoires enfiévrées de la Kasbah et de la place Tahrir ont cédé le pas aux palabres fastidieuses des parlementaires. Il faut cependant rendre hommage au professionnalisme de monsieur Essebsi, l’ex-Premier ministre tunisien, ainsi qu’aux généraux égyptiens qui ont su en vrais spécialistes réprimer toute cette jeunesse en ébullition et remettre de l’ordre dans les affaires.

La question qui me turlupine est : comment se fait-il que le soulèvement du bassin minier de Gafsa de 2008 qui a duré plusieurs mois ne soit jamais parvenu à inquiéter le pouvoir qui l’a d’ailleurs sauvagement réprimé?

Bien que spontanée et justifiée par les prédations du clan au pouvoir, la vague de révoltes populaires qui ont frappé la Tunisie et l’Égypte en décembre 2010 et janvier 2011 ne constitue nullement une première annonçant le réveil du monde arabe comme se plaisent à le souligner les médias occidentaux. En effet des troubles similaires s’étaient produits en Tunisie en 1969, 1978, 1984, 2008, ainsi qu’en Égypte en 1968, 1977, 1986, 1987, 1995, tous réprimés avec la plus extrême violence sans que l’Occident ne s’en émeuve outre mesure.

En réalité, ce qui distingue les révoltes de 2011, dans ces deux pays, est que l’armée a pour la première fois refusé de jouer son rôle répressif. Objectivement, c’est bien l’armée qui a renversé les deux dictateurs. On ne peut s’empêcher de se demander si les décisions prises par les armées tunisienne et égyptienne étaient bien souveraines. Dans des pays comme la Libye ou la Syrie où l’armée est restée fidèle au pouvoir, l’Empire n’a pas hésité à utiliser son arsenal infernal aidé en cela par ses vassaux européens pour “ramollir” les restes du “noyau dur” du nationalisme arabe. Pour ce faire, on n’a pas hésité à massacrer plus de soixante mille libyens et installer, en fin de compte, les fondamentalistes au pouvoir. En Syrie, on est en train d’assister un remake à peu de choses près du scénario Libyen. En attendant la décision du conseil de sécurité, les “Moudjahidines” d’Al Qu’Aïda et des Frères Musulmans s’acquittent à merveille de la tâche qui leur incombe. Étrange, quand même, ce flirt entre l’Empire et Al Qu’Aïda! C’est à n’y rien comprendre, ou alors nous avons affaire à un couple de fieffés cachottiers!

La Tunisie, sans l’avoir choisi, est condamnée à jouer le rôle de pionnier et de cobaye dans le laboratoire du remodelage du monde arabe. Le gouvernement issu du mouvement Ennahdha se veut rassurant mais laisse ses sympathisants ainsi que les salafistes envahir l’espace public en recourant souvent à la violence pour imposer leurs points de vue. Ce flou qui enveloppe la politique intérieure aussi bien que la politique étrangère ne fait qu’envenimer la situation.

Dans ce pays, où n’existe traditionnellement ni clivage ethnique ni clivage confessionnel, les graves problèmes sociaux sont éludés alors qu’on voit pointer à l’horizon un conflit entre islamistes et laïcisants qui s’aggrave de jour en jour. Le gouvernement, passif, laisse faire et ne tente rien pour éteindre cet incendie qui prend un peu partout.

Dans quel but à votre avis? En parallèle, le président de la république, Moncef Marzouki, en tournée dans les pays de l’Afrique du Nord, s’essouffle à vouloir réanimer un mort-vivant, l’Union du Maghreb Arabe (UMA). Ce cher Marzouki n’a-t-il point entendu parler du “nouveau Moyen-Orient”?! Je me demande si c’est le président tunisien qui rêve debout ou alors c’est moi qui suis en train de faire un affreux cauchemar!

Comme pour narguer l’ensemble du monde arabe, les États Unis ont choisi de se faire seconder dans leur entreprise par le minuscule Qatar. L’Empire cherche-t-il ainsi à rendre jaloux l’imposant voisin saoudien?

Manoeuvre astucieuse et rentable. De toute façon, les vassaux européens, voisins des arabes et les monarques du golfe, tous aveuglés par la puissance de leur suzerain mesurent mal le risque qu’ils encourent. Il y a, en effet, de fortes chances que ces fossoyeurs du monde arabe soient entraînés, rien qu’à cause de leur proximité, dans la tourmente du “*chaos constructeur“.

Fethi GHARBI

Lectures complémentaires (ajoutées par mes soins)
Comment l’Empire ottoman fut dépecé (accords Syles-Picot. Monde Diplo.
La nouvelle carte américaine du Proche-Orient
*Ralph Peters
Chaos constructeur

blog.emceebeulogue.fr

Les ONG américaines se mêlent des projets nucléaires indiens

Il était temps que le premier ministre indien dénonce publiquement, et dans un média US de surcroît, la déstabilisation américaine en Inde. Ils finiront par pousser l'Inde à intégrer l'OCS comme avec l'Ukraine à intégrer l'Union eurasienne.

Les ONG américaines se mêlent des projets nucléaires indiens

 

 

© Collage: «Voix de la Russie»
 
     
Les organisations non-gouvernementales américaines sont derrière les mouvements de protestation contre le projet de la centrale nucléaire de Kudankulam, qui est actuellement en construction dans le sud de l'Inde avec l'aide de la Russie, a déclaré le premier ministre Manmohan Singh dans une interview accordée au magazine américain Science.
«Les ONG, dont la plupart se base aux Etats-Unis, ne voient aucune nécessité pour notre pays d’accroître la production de l’électricité», a déclaré Manmohan Singh. A cause des protestations, que nous estimons comme initiées par des ONG étrangères, le premier bloc de la centrale de Kudankulam, dont la construction est terminée, ne pourra pas être lancé dans les délais prévus. Une date ultérieure a été également fixée pour le lancement du second bloc de la centrale, actuellement en construction. Quant à la construction du troisième et quatrième bloc de la deuxième série, la signature des contrats pour l’élaboration de ces projets a également été reportée à plus tard. A l’origine, ces contrats devaient être signés lors de la visite du premier ministre indien en Russie en décembre de l’année dernière. Le développement du secteur de l’énergie nucléaire en Inde se retrouve ainsi bloqué, ce qui porte préjudice à l’économie du pays.

«Manmohan Singh a déclaré dans une interview au magazine américain ce dont toute la presse indienne parlait depuis longtemps», explique le célèbre journaliste indien Vinay Shukla. Par exemple, le journal Times of India a rapporté que les organisations chrétiennes occidentales ont transféré à l'Inde 630 millions de roupies pour le financement de la campagne de protestation contre le développement de l'énergie nucléaire pacifique dans le pays. Par conséquent, la déclaration du premier ministre indien est vue très positivement. Les gens disent que le chef du gouvernement a enfin appelé les choses par leur nom, en exprimant fermement ce qu'il devait dire depuis très longtemps. En Occident, il y a effectivement certains cercles, en particulier en Scandinavie, qui ne veulent pas le développement économique de l'Inde, ayant à cet effet leurs propres projets».

En Inde, on se souvient bien que ces organisations, financées par les pays occidentaux, étaient à l’origine des protestations de masse contre la construction des usines de sidérurgie, des entreprises d'ingénierie, et des raffineries de pétrole. Dans l’interview au magazine Science, le premier ministre de l'Inde a également accusé les ONG étrangères de s'opposer au développement des biotechnologies de pointe dans le pays. «Les biotechnologies ont un potentiel énorme», explique-t-il. «Et nous avons besoin d’utiliser ces biotechnologies pour accroître la production alimentaire en Inde», a déclaré Manmohan Singh.

En ce qui concerne l'énergie nucléaire, les Etats-Unis ont signé au début de 2006 avec l'Inde un accord de coopération, en s'engageant à construire dans le pays des centrales nucléaires et fournir les technologies et l'équipement nécessaire à leur fonctionnement. Toutefois, jusqu'à présent, le travail en vertu de cet accord n'a toujours pas commencé. Mais l'activité des ONG basées aux Etats-Unis visant à entraver la coopération de l’Inde avec les autres pays dans le domaine de l'énergie nucléaire pacifique s’est intensifiée. Une tentative visant à perturber le lancement de la centrale nucléaire de Kudankulam, construite avec l'aide des technologies russes – ce n'est pas seulement une attaque contre un projet spécifique. Il s'agit d'une tentative de remettre en question l'ensemble du programme de la coopération russo-indienne dans la construction des centrales nucléaires, alors que la Russie et l’Inde comptent construire ensemble dans les années à venir en tout 16 blocs pour les centrales nucléaire indiennes.

lundi, 27 février 2012

Géopolitique de l’ingérence occidentale au Moyen-Orient

Géopolitique de l’ingérence occidentale au Moyen-Orient : Les “Etats arabes” otages de leur “Ligue”, entre l’immobilisme, la subordination et l’attrape-nigaud

Depuis sa création en 1945 par sept pays arabes, dont la Syrie, la « Ligue des États arabes » a pour objectif d’unifier la « nation arabe », de défendre les intérêts des États membres, de faire face à toute ingérence des puissances dans la région. Elle se voulait aussi une force de proposition et d’impulsion. Mais les divergences sont telles que ses actions et initiatives, même de paix, restent au mieux à effets modestes. Les 22 États membres connaissent des divisions liées aux vicissitudes des relations dues à la nature de leurs systèmes politiques souvent antinomiques.

Deux visions politiques s’affrontent à ce jour. L’une “pro-occidentale” que mène l’axe monarchique, l’autre plus indépendantiste que mène l’axe républicain. Sur la trentaine de sommets organisés entre 1946 et 2011, dont 12 sommets en urgence – où les résolutions les plus importantes concernent la Palestine – on ne relève aucun qui eut un impact signification. Le semblant d’unité apparait plutôt dans l’hostilité à Israël ; quoi que… car, le dossier palestinien n’a pas vraiment unis les membres même lors de l’agression israélienne contre Ghaza, le Qatar, pays hôte du sommet de 2009, avait tenté de mener un camp favorable au Hamas contre l’Autorité palestinienne, ou contre le Liban. Il y a aussi ce « lâchage » de la Syrie qui avait refusé, avec le Liban, d’adhérer à la convention sur le « terrorisme » qui ne distingue pas ceux qui luttent pour la liberté et l’indépendance ; allusion au Hezbollah. Ajoutons la partition du Soudan, le chaos de la Somalie, l’invasion de l’Irak, l’agression du Liban et de la Libye et maintenant les provocations et menaces sur la Syrie. La ligue arabe a été non seulement d’aucune utilité, mais a joué un rôle négatif contre certains de ses propres membres.

La géniale maxime anonyme, (elle n’est pas d’Ibn Khaldoun) qui dit que « les arabes se sont entendus pour ne pas s’entendre » est d’une réalité affligeante qui va plus loin puisque c’est la première fois qu’ils « s’entendent », dans la même année, mais pour… autoriser l’agression par l’Otan de la Libye ; suspendre, sanctionner et menacer la Syrie. Une première dans l’art de se faire châtier par l’organisation censée protéger ses membres. Un grand progrès dans le…ridicule et l’abaissement !

Les peuples arabes savent que cette organisation a perdu son sens pour s’être laissé pervertir en un instrument au service du Grand Capital comme le sont toutes les organisations internationales, y compris droits de l’homme, l’AIEA. La plupart dépendantes des multinationales, leurs donatrices. L’ONU et ses institutions ne servent plus qu’à produire des alibis contre les pays ciblés ; que les ONG et les “journalistes” font dans l’espionnage ; que la CPI s’utilise pour criminaliser les dirigeants indociles ; que le FMI sert à ruiner et gager les pays ; que la presse dites « mainstream » se consacre à la manipulation, la tromperie et le contrôle de l’opinion ; que l’OTAN se réserve pour l’agression et dévastation.

La Ligue arabe ne peut échapper aux plans des lobbies militaro-financiers, de quadrillage du monde pour mieux se servir. Ce sont ces lobbies qui commanditent les guerres, déstabilisent et assassinent et qui, après l’Irak, l’Afghanistan, le Liban et la Libye, bousculent à une confrontation avec l’Iran via la déstabilisation de la Syrie. L’Afrique en paie le prix le plus cher avec l’assassinat de 21 présidents depuis 1960 : de Sylvanus Olympio en 1963 président du Togo à Kadhafi.

Quel autre moyen le plus sûr pour déstabiliser États arabes – qui présentent un danger pour leurs intérêts et Israël ou seraient un mauvais exemple pour les monarchies vassales – que celui de le faire par les arabes eux-mêmes en leur faisant la guerre avec leurs propres citoyens ! La Syrie reste le dernier « verrou » tenace pour sa résistance, dans la région.

L’État le mieux indiqué pour mener la tâche de manipuler et de piéger, tel un cheval de Troie, la Ligue Arabe – après l’éviction par leur peuple des deux renégats Moubarak et Ben Ali – est bien le Qatar en la personne de son Emir – ce vaguemestre des américano-sionistes, celui qui a renversé son père, – et ce, pour sa forte dépendance de l’Occident et ses prédispositions à la félonie. Ce Qatar qui offre aussi des possibilités d’actions militaires proches des zones convoitées. Il est assisté par la Turquie d’Erdogan, un nouveau ottoman, chargée de servir de base pour les actions armées et subversives.

Le choix de la Libye, en priorité, est stratégique – car un carrefour entre le MO, l’Afrique et l’Occident et constituant de plus, une porte moins risquée pour l’Afrique – puis tactique car, pays riche, moins peuplé et moins puissante militairement, dont la chute donnerait d’une part, selon leur vision, un exemple aux autres africains et d’autre part plus d’ardeur pour faire abdiquer la Syrie ; le point d’achoppement des velléités occidentales et sionistes. Cette indomptable Syrie qui fait le poids dans l’équilibre des forces entre l’Occident et l’Asie que représente en particulier la Russie et la Chine, dans ce que l’on appelle l’Organisation de Coopération de Shanghai (OCS) créée à Shanghai en 2001 dont l’Iran est membre.

Ce complot de l’Occident que pilote les EU pour le contrôle des richesses du MO – qui vise à neutraliser ces puissances adverses traditionnelles afin de les rendre plus dépendante et donc plus vulnérables – semble trouver en la Ligue un allié de taille au moment où des États Arabes traversent une période d’incertitudes politiques que l’Occident n’arrive pas à décrypter. D’où ses ingérences pour récupérer ces « révoltes » incontrôlée – qui remettent en cause les fondements et structures politiques archaïques – dans le sens de leurs intérêts sinon en susciter d’autres “contrôlées” pour ensuite intervenir et recomposer dans le sens souhaité en usant des fallacieux prétextes humanistes et nouvellement du grotesque « protection des populations civils ».

Ce masochisme de la Ligue arrange bien certains. Nietzsche disait bien que « si la souffrance, si même la douleur a un sens, il faut bien qu’elle fasse plaisir à quelqu’un… ». Ce sont bien les États-liges du Golfe – organisés dans le « Conseil de Coopération des États arabes du Golfe », qu’appui la Turquie d’Erdogan – qui sont chargés d’engager le bellicisme diplomatique en dictant à la Ligue ce qui doit et ne doit pas se faire. Ces monarchies ont le même rôle dans les institutions et organisations arabes que les sionistes dans les organisations et gouvernements Occidentaux ; celui de déstabiliser tous ceux qui présentent un danger « idéologique » pour les monarchies ou « d’intérêts » pour le Grand Capital. D’où ce “Conseil” des « six pétromonarchies » – qui se voulait un « bloc commercial » – mais qui travaille en fait pour des objectifs sournois ceux de servir les intérêts stratégiques de domination américaine et sioniste. Son influence est telle que ce CCG est surnommé le « bureau politique » de la Ligue puisque les résolutions sont décidées avant même que cette Ligue se réunisse. Avec le CCG, les valeurs sont inversées dans le sens où ce sont les monarchies qui gouvernent leurs contrées sans légitimité, que celle que leur fournit leurs protecteurs occidentaux, qui prennent le bâton de pèlerin pour imposer la démocratie et la liberté aux “républiques”. Et la Turquie ? Les analyses soutiennent qu’Obama aurait répondu favorablement aux dirigeants d’Ankara pour un « sous-impérialisme néo-ottoman » contrôlé par Washington après les inquiétudes de la Turquie de la domination exercée au M.O par Israël et les USA.

 

Par la Ligue, on se permet désormais d’exclure, de sanctionner et de menacer d’une intervention militaire étrangère, les États membres dont les politiques ne concordent pas avec les vues et objectifs de l’Occident sur la région, dont la prédominance d’Israël, conformément au projet du « Grand Moyen-Orient ».

Ce projet, devant dissoudre le monde musulman dans les fondements euro-atlantistes, consiste à agiter les peuples – en mettant en conflit les arabes musulmans et les chrétiens, les musulmans sunnites et chiites, les ethnies – ensuite, recomposer dans le sens désiré. Le grand capital n’ayant pas de limite géographique ou morale considère le MO, d’un intérêt vital, région qu’il faut dominer par tous les moyens.

Il a été déployé un monstrueux dispositif d’endoctrinement et d’actions psychologiques que mènent des chaînes occidentales et les chaînes des pétromonarchies à savoir Aljazeera et Alarabia. Leur matraquage médiatique, a dérouté les plus éveillés. Beaucoup ont épousé leur cabale médiatique qu’a légitimé la Ligue du méprisant Amr Moussa et que semble aussi accepter l’autre nouveau égyptien Nabil Al-Arabi puisqu’il ne fait que lire ce qu’on lui présente sous l’œil du ministre Qatari des AE. Pour avoir encore plus de légitimité, on instrumentalise même la religion en obtenant la caution de Cheikhs réputés qui décrètent des “fatwas” scélérates rendant licites ou illicites les mêmes choses et comportements en fonction des objectifs attendus du pays concerné, en s’appuyant sur des interprétations orientées et calculées de certains préceptes de l’Islam, allant jusqu’à rendre licite l’agression de la Libye par l’Otan ou bien appelant carrément à un bain de sang en Syrie comme le fait l’imam sunnite syrien al-Aroor, réfugié en Arabie Séoudite. Voilà encore le sinistre Cheikh Al-Qardawi, le protégé de l’Émir du Qatar, l’auteur de la “fatwa” autorisant l’invasion de la Libye et l’assassinat de Kadhafi, qui appelle maintenant les libyens à se… « réconcilier » en même temps qu’il autorise les « opposants syriens » à faire appel à l’Otan. Cet « Islam » là, modulable au gré des intérêts des puissants du moment et de leurs chimères, est bien étrange !

Dans cette offensive, on remarque bien que ce sont les régimes « républicains » réfractaire et pas les monarchies, que l’on vise pour les rendre au moins obéissants en installant des gouvernements composés souvent d’opposants, félons et renégats. Sinon des États dit « Islamiques » sous forme d’« Émirat » en soutenant les tendances rétrogrades, obscurantistes et violentes désignés par « terroristes islamistes », que l’occident dit combattre, mais qu’il instrumentalise, comme en Libye, selon ses désidératas.

Que constate-t-on en Libye ? Un CNT – installé par l’Otan « représentant légitime du peuple libyen » pour réinstaurer un État-lige – dans la panique et aux abois qui n’arrive pas à mettre en place un gouvernement représentatif et qui fait appel, à nouveau, à la « communauté internationale » pour l’aider à se débarrasser des mêmes rebelles qu’il a employés pour installer le chaos. Un CNT qui cherche à récupérer les cadres de l’ancien régime pour reconstituer un état et redémarrer car, impossible de le faire avec l’armée de miliciens ignorants que l’on a utilisé comme chair à canon pour détruire leur pays et qui sombrent dans le désœuvrement. Un CNT qui constate des Benghazi se retourner contre lui par des manifestants réclamant une “nouvelle révolution”. Des libyens, ayant vécu dans la Jamahiriya mieux que beaucoup d’européens par les facilités et les biens gratuits que permet le système, qui se retrouvent maintenant par leur perfidie et prétention en abattant l’ « nourricier », avec rien ; obligés de quémander la nourriture ou de s’adonner au pillage, au racket et au trafic d’armes. Un pays déstructuré et insécurisé aux mains de brigands et d’aventuriers qui ont tué des dizaines de milliers (entre 50 et 70 000 morts) de leurs compatriotes civils que l’Otan a aidés par les bombardements aux missiles. Un pays où le peuple, de tempérament vengeur et tribal, n’oubliera jamais le sang innocent versé et les viols commis. Un pays réduit à la mendicité et aux pénuries y compris d’argent après des dizaines d’années de vie dans l’aisance. Des milices au début “unies” mais qui maintenant, divisées, se font la guerre. Des « révolutionnaires » – composés de prisonniers libérés, de frustrés, d’ignares, de paumés – floués et livrés au pillage et à la rapine, qui deviennent une armée de chômeurs…en arme défiant la nouvelle autorité. Une autorité – composée en grande majorité d’opposants opportunistes et cupides, de tendances contradictoires sous tutelle de la NED/CIA et le MI6 ou de renégats – qui n’arrive pas à s’installer sur le territoire libyen à cause de l’insécurité et des attentats. Un pays ou les libyens, habitués au bien-être et au confort, ne sauront jamais faire le travail réservé à la main-d’œuvre immigrée qui représentait plus de 50 % de la population active ; oui comment demander à 2 millions de libyens de remplacer les 2 millions d’immigrés qui sont partis. Même les candidats à l’émigration ne s’y aventureront plus à cause de l’insécurité et des caisses vides. Un pays où l’on a cédé la place au désordre et où l’on a éveillé l’esprit de résistance avec la naissance d’un « Front de libération ». L’État libyen, avec ses institutions, est bien cassé et pour longtemps ! « Mais que croyaient ces zozos du CNT ? » disait Allain Jules. Citons aussi Félix Houphouët-Boigny « on n’apprécie le vrai bonheur que lorsqu’on l’a perdu ».

Dans le cas de la Libye, le sinistre Bernard-Henri Lévy « philosophe » du mal a été l’entremetteur chargé de faire sous-traiter par la France de Sarkozy cette « opération Libye » et la Ligue arabe servir de caution. Avant même que la Libye ne tombe, ce manipulateur sioniste franco-israélien avait déclaré, à l’Université de Tel Aviv, en compagnie de Tzipi Livni, « si nous réussissons à faire tomber Kadhafi ce sera un message pour Assad ». Par affront, il a déclaré aussi lors d’une réunion du CRIF « c’est en tant que juif que j’ai participé à cette aventure politique, que j’ai contribué à définir des fronts militants, que j’ai contribué à élaborer pour mon pays et pour un autre pays une stratégie et des tactiques ». Malgré les déclarations de Rasmussen, qui avait affirmé le mois d’octobre que l’alliance n’avait « … aucunement l’intention d’intervenir en Syrie… la seule façon d’avancer en Syrie … est de tenir compte des aspirations légitimes du peuple syrien… nous avons pris la responsabilité de l’opération en Libye parce qu’il y avait un mandat clair des Nations unies, car nous avons eu un soutien fort et actif des pays de la région…aucune de ces conditions n’est remplie en Syrie », les choses ont évolué autrement.

Nous revoilà en Syrie avec les mêmes tactiques, mensonges et diversions avec l’usage des mêmes méthodes et procédés ! C’est-à-dire : 1/ Faire infiltrer les manifestations pacifiques et légitimes par des groupes chargés de détourner les revendications en révoltes contre le régime tout en chargeant d’autres embusqués de tirer sur les manifestants ; en même temps on active les cellules dormantes de passer à l’action armée 2/ Imputer les exactions et crimes au « régime » en l’accusant de « tuer des civils qui manifestent pacifiquement ». 3/ Tromper les opinions en leur faisant croire à un régime « dictatorial, répressif » pour le faire condamner par la « communauté internationale ». 4/ Introduite auprès du CS des résolutions pour des sanctions économiques afin d’exacerber les choses et pousser le peuple à se révolter contre ses dirigeants. 5/ Faire admettre des « enquêteurs » et autres « journalistes » qui sont en fait des espions de guerre. 6/ Intervenir militairement sous des prétextes « humanitaire » en particulier « protéger les civils ». 7/ Instaurer le chaos. 8/ Créer une entité, en lieu et place du gouvernement composée d’éléments à leur solde 9/ Traduire les responsables comme des criminels de guerre devant un Tribunal Spécial.

Cependant, le monde a bien changé dans les relations politiques et économiques, dans les rapports de force avec la fin de la “guerre froide”, dans les alliances stratégiques à cause surtout des crises et des contradictions que génère le capitalisme actuel fait de spéculations et d’injustices suscitant des conflits d’intérêts voire d’existence.

C’est donc sans compter, cette fois, sur le double véto russe et chinois qui ne veulent pas s’y faire prendre comme en Libye où l’Otan a bafoué toutes les règles. Le même scénario en Syrie a d’autres portées autrement plus stratégiques car, il vise à resserrer le “noeud coulant” autour du puissant Iran en mettant en place, en Syrie, un « pont littoral » qui puisse servir à attaquer ce pays et par conséquent affaiblir irréversiblement la Russie et la Chine.

Il ne restait que « Ligue arabe » pour réaliser ce qu’ils n’ont pas pu faire passer par le C.S et faire, par cette pression, abdiquer ces deux puissances. L’objectif étant, par la Ligue, de mettre « au pas » tous les régimes présentant des obstacles à la politique hégémonique des lobbies financiers et industriels que soutiennent, par vassalité, les monarchies arabes et par nature, Israël. La Syrie étant l’obstacle primordial, il s’agit, pour l’Otan, de prêter main forte, par la Turquie, à l’insurrection armée – intégrée préalablement par des islamistes “djihadistes” et des mercenaires – en l’entrainant, l’armant puis en répandant de grandes quantités d’armes variées dans les régions en trouble, comme du temps de la guerre soviéto-afghane, plutôt que de réitérer la méthode désastreuse des frappes comme en Libye.

Le coup d’envoi a été donné à Deraa pour s’étendre à Homs puis à d’autres villes. On tend des embuscades aux éléments de l’armée et des services de sécurité tuant plus de 1100 ; leur armement est acheminé depuis la Turquie et la frontière libanaise. On assassine des centaines citoyens, des responsables civils, des intellectuels, des médecins, des commerçants (on parle de 5000). On viole les domiciles et kidnappe des citoyens pour des rançons. On détruit, incendie et sabote les infrastructures économiques comme les gazoducs, les usines et les voies ferrées. On réserve des camps sur le territoire Turc pour accueillir des mercenaires, essentiellement des « rats » libyens, dont-on a plus quoi faire, puis ériger avec quelques apostats et révoltés une « armée syrienne libre ». On “décrète”, avec menace, une grève générale qui a échoué. On lance un appel au boycottage des élections locales, issues des nouvelles réformes, qui a aussi échoué au regard de la participation. On s’acharne à en faire une « guerre civile » pour neutraliser ce pays et laisser faire les prédateurs. Le Qatar s’engage une nouvelle fois à tout financer. On requiert, via la Ligue, des sanctions économiques.

Des sanctions qui semblent n’avoir aucune chance de faire plier le gouvernement syrien. D’abord, parce que 95 % des avoirs ont été rapatriés et en

plus, ce sont les États arabes de la région qui pâtiront d’un éventuel boycott des produits syriens dont-ils dépendent en grande partie, mais qui ne représentent qu’une modeste proportion des exportations de la Syrie. La grande part est absorbée par l’Irak, qui refuse les sanctions et la Turquie qui se retrouve en situation de « l’arroseur arrosé » puisque les Turcs grognent déjà contre leur gouvernement pour les effets néfastes qu’ils commencent à sentir mais, le verdict vient de l’Iran qui annonce un important accord de libre-échange et d’investissements avec la Syrie ! Quant à l’embargo sur son pétrole, il a déjà trouvé preneur.

Ils continueront jusqu’à à la dernière carte à accuser trompeusement le gouvernement syrien des pires atrocités que commettent en réalité des terroristes à leur solde – selon les témoignages de journalistes indépendants, des délégations ayant visité la Syrie ou le reportage récent d’une agence américaine – contrairement aux soldats qui ripostent pour se protéger ou empêcher le chaos. Ils continueront avec leur “merdias” à travestir la réalité, à fabriquer des faits made Aljazeera, Alarabia, BBC arabic et France 24. Cependant, au regard de l’évolution des choses et devant le haut niveau de conscience des syriens, la puissance et l’expérience de leur armée qui n’a pas encore utilisé ses moyens et capacités, la modestie et la persévérance de leur président, les manifestations de masses contre l’ingérence et les décisions de la Ligue, le complot semble en phase d’échec.

Malgré cela, le gouvernement Syriens, a pris plusieurs mesures pour reformer les institutions et le régime dans le sens d’une démocratisation effective avec projet d’une nouvelle. Il s’emploie à s’ouvrir aux tendances par le dialogue, y compris avec « l’opposition à l’étranger », en leur proposant de régler pacifiquement la crise entre syriens « en Syrie » avec toutes les garanties, en acceptant même des médiateurs. Malheureusement, c’est sans compter sur les « décideurs/brigands », ceux qui jouent les grandes marionnettes, qui bloquent tout ce qui permet l’apaisement en incitant l’opposition à renoncer au dialogue et en avisant les groupes armés de ne pas déposer les armes.

Voilà que la Russie sonne le tocsin en mettant en garde contre toute velléité de déstabilisation ou de guerre contre la Syrie en même temps qu’elle annonce s’opposer à toute ingérence étrangère dans les affaires de ce pays. Elle y met les moyens en dépêchant son armada dissuasif dans la région afin « d’empêcher une guerre aux conséquences graves ». Lavrov met aussi en garde contre le langage par « les avertissements et les menaces » à l’endroit de la Syrie après avoir dénoncé, devant le conseil de l’OSCE, l’utilisation des résolutions des Nations Unies visant à « mettre fin illégalement » à des conflits et cette pratique du « deux poids, deux mesures ». La Chine prend le relais en annonçant s’opposer aux ingérences tout en déclarant soutenir toutes les initiatives qui permettent d’instaurer le calme et la stabilité. L’Inde fait de même à Moscou lors de la visite du PM Manmohan Singh. Mieux, selon Farsnews qui se réfère au bulletin du département d’État US (Europian Union Times), le président chinois aurait averti, devant son homologue russe et son premier ministre, que la seule voie permettant de stopper une intervention militaire américaine contre l’Iran est une action armée. « On fera la guerre même si cela déclenche la troisième guerre mondiale » aurait prévenu Jin Tao. Cet aboutissement est déjà signalé, en novembre, par le chef d’État-major général russe Nikolaï Makarov, lors de son intervention devant la Chambre civile (Kremlin). L’agence “Novosti” avait rapporté que ce général, en se référant à l’expansion de l’Otan en Europe de l’Est avec le bouclier antimissiles et le contexte post-Libye de pression sur la Syrie et l’Iran, avait lancé un message sans équivoque en affirmant qu’« il devient évident que le risque d’implication de la Russie dans des conflits locaux a augmenté… sous certaines conditions, les conflits régionaux risquent de dégénérer en conflits d’envergure avec un possible emploi d’armes nucléaires ». La messe donc est dite !

Tant que les Russes et les Chinois soutiendront la Syrie, les va-t-en-guerre n’auront aucune chance de réussir.

Au même moment les iraniens font atterrir, par une prouesse technologique hors-pair le drone-espion américain furtif de type RQ170 le plus sophistiqué ; sa destruction comme prévu en cas d’interception n’a pas réussi. Les USA, sonnés par ce revers, perdent ainsi un atout technologique majeur en le mettant “gratuitement” à disposition de l’Iran. Ils échouent aussi dans cet essai débile de création d’une « ambassade virtuelle » au « service » des iraniens pour mieux, en fait, espionner et manipuler.

Mais l’impérialisme n’est pas encore épuisé ses forces.

Il essayera encore de réintroduire le dossier syrien auprès du CS via encore…la Ligue “arabe” avec d’autres ruses comme nous le constatons avec la sortie “émouvante” de l’ambassadeur de France à l’Onu, Gérard Araud – qui ressemble au “chant du cygne” – qui ose qualifier la situation syrienne d’ « épouvantable et d’effroyable » pour les 5000 morts en majorité tués par les groupes armés que la France soutient ; oubliant que son pays a participé aux massacres par l’OTAN des libyens et l’assassinat programmé de Kadhafi. Cette France suiviste sarkozienne divisée, stigmatisée qui redonne une image colonialiste par ses ingérences et actions de déstabilisation des États africain. Cette France qui sombre dans la récession ; qui paie des rançons aux terroristes. On s’essaye, par revanche, à déstabiliser, cette fois, la… Russie, en sautant sur l’occasion des élections, pour exacerber les mécontentements dus à quelques cas de fraudes. C’est la Clinton qui donne le coup d’envoi avec son « aspirations du peuple russe à espérer un avenir meilleur » à propos des manifestations. Mais le ministre russe de l’Intérieur Nourgaliev averti qu’il mettrait fin à « toute tentative d’organiser un événement non autorisé ». Vladimir Poutine lance – à propos des ONG russes, en particulier “Golos” que finance la NED et l’UE pour le recrutement de ses membres à travers les services Suédois – devant ses partisans « premièrement, Judas n’est pas le personnage biblique le plus respecté chez les Russes [en référence à la trahison], deuxièmement, ils feraient mieux d’utiliser cet argent pour payer leur déficit public et d’arrêter de dépenser de l’argent pour des politiques étrangères coûteuses et inefficaces ». La « Ligue arabes » osera-t-elle ce genre de réplique ? Qu’avaient répondu les arabes lorsque Martin Van Crevel, historien militaire israélien avait souhaité la « déportation collective » des palestiniens dans une interview ? Qu’elle est la répondre leur « Ligue », à la récente ineptie de l’idiot « utile » Newt Gingrich ex “speaker” de la Chambre des représentants, qui brigue l’investiture républicaine, à la déclaration, sur la chaine “The Jewish Channel”, par une inversion accusatoire, que le peuple palestinien est une « invention » et que les palestiniens « … faisaient partie de l’empire ottoman avant la création d’Israël » ? (Ce sot est diplômé en… histoire). Aux dernières nouvelles, il y aurait divergence entre les membres de la Ligue sur les mécanismes appropriés pour régler cette crise syrienne. Le Qatar, l’Arabie Saoudite, les Emirat, le Bahreïn, le Koweït, la Tunisie et le CNT Libyen sont pour l’introduction du dossier auprès du CS alors que l’ Égypte, l’Algérie, le Liban, l’Irak, Oman et le Soudan sont pour le dialogue entre syriens.

Enfin, l’Occident est bien au bord d’une crise majeure, conséquence de son capitalisme sauvage sans limites, qui martyrise les populations de la planète, où l’homme est une marchandise. On observe une tendance vers un effondrement spectaculaire de son économie sous les poids de ses défaites militaires et de ses crises économiques internes, mais aussi de son immoralité. Le monde de la finance se retrouvant agonisant, il se débat, telle une bête blessée, en voulant s’en sortie au détriment des autres États en piétinent toutes les règles internationales et morales. Il veut faire payer, comme toujours, aux peuples les crises qu’il engendre.

Ce qui se déroule dans le monde arabe a été planifié par les américano-sionistes, comme 1ère étape, pour trouver une sortie de crise. Pour eux, il n’y a de morale qui n’intervienne que pour l’exiger aux autres. Ce sont des criminels qui s’habillent d’oripeaux élogieux – droits de l’homme, liberté et démocratie – pour faire croire en une quelconque vertu afin de mieux tromper les consciences et spolier. Leurs prétentions les aveugles au point où ils perdent la raison. « On passe sa vie à vouloir atteindre un objectif, à courir après des rêves, à croire qu’obtenir ce que l’on veut nous ouvrira les portes du bonheur. Mais ça ne se passe pas ainsi. C’est le chemin qui fait l’existence, pas l’aboutissement… dit Jorge Molist (Le Rubis des Templiers).

Pourtant, la déstabilisation d’une région entière, carrefour de trois continents, aurait des retombées catastrophiques sur tous les pays. Ce n’est rentable à personne ; ni aux pays de la région, ni aux EU, ni à l’Europe, ni à la Russie, ni à la Chine encore moins à Israël que l’on croit protéger. Un embrasement sera fatal aussi aux monarchies. Les islamistes salafistes ou les terroristes d’Al Qaida ou autres mercenaires que l’on croit dompter et instrumentaliser par l’argent, qu’appui des Cheikhs opportunistes, ne seront d’aucun secours dans le cas d’une guerre totale.

Faudra-t-il une autre guerre mondiale à cause de quelques trusts et cartels puissants qui s’évertuant à vouloir dominer le monde par la force ? L’humanité ne donne pas d’exemple de réussite de cette nature.

Quand on sait que les monarchies du golfe, qui dirigent cette Ligue, sont déjà sous la protection des EU, de quelle autre mission est chargée alors cette Ligue si ce n’est de contrôler les faits et gestes des pays membres récalcitrants pour dominer cette région. Surprise de dernière minute, la Russie introduit un projet de résolution, qui s’apparente à un contre-pied aux occidentaux, condamnant les violences des « deux côtés » ainsi que les ingérences, exigeant l’apaisement et le dialogue entre et les syriens. Ce projet, qui ne demande pas l’éviction de Bachar, a mis dans l’embarra les occidentaux qui veulent apporter des “modifications” mais aussi la Ligue « arabe » qui a …reporté ses « décisions » certainement, par subordination, pour voir vers où penche le rapport de force.

À notre sens, certains pays arabes doivent en urgence se retirer de cette funeste « Ligue », qui devient plus un attrape-nigaud qu’un bouclier de protection. Il leur sera plus avantageux, à l’avenir, de se regrouper en pôles régionaux d’intérêts communs, sur des bases réelles c’est-à-dire économiques, culturelles et de défense que sur une base « identitaire » chimérique, contre-productive comme on le constate.

Il est certain qu’avec l’axe Russie-Chine-Iran-Syrie-Liban, qu’appuieront les autres États du « BRICS », les complots en cours ou en gestation seront un coup d’épée dans l’eau et qu’en lieu et place du « Grand Moyen Orient » planifié par les EU, c’est un « Nouveau Moyen Orient », à l’opposé de celui espéré, qui surgira pour un autre ordre mondial basé sur d’autres règles, d’autres principes !

Amar DJERRAD