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vendredi, 16 janvier 2015

Usa Vs Russia? Il punto è il controllo dell'Europa

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Usa Vs Russia? Il punto è il controllo dell'Europa

L’ostilità americana verso la Russia post-sovietica è astiosa quanto quella che fu riservata all’URSS. La cosa può stupire, visto il desiderio dei dirigenti della nuova Russia di essere accolti a pieno titolo nel sistema occidentale.

Il fatto si spiega se consideriamo che l’ideologia è solo un pretesto per coprire le vere motivazioni profonde dei comportamenti nei rapporti politici e fra gli Stati. In realtà quello che l’Impero anglo-americano temeva non era il cosiddetto comunismo. Banchieri, monopolisti, vertici dei servizi segreti, cioè quelli che sanno e che contano, sapevano bene che un’economia rigidamente e burocraticamente pianificata non avrebbe retto il confronto con le dinamiche del Mercato occidentale. Il problema non era l’URSS comunista, il problema era il controllo dell’Europa e pertanto il timore che la Russia, sovietica o “democratica” che fosse, ne diventasse egemone nonostante l’inadeguatezza economica.

Impedire che una potenza unificasse l’Europa o comunque ne diventasse la forza-guida, è sempre stata la massima preoccupazione dell’Impero britannico. L’Europa, con le sue centinaia di milioni di abitanti, col suo alto reddito, col suo potenziale industriale e culturale, diventerebbe automaticamente la prima potenza mondiale se una delle nazioni che la costituiscono si ponesse alla testa di un moto rivoluzionario di unificazione continentale.

La Gran Bretagna durante il XVIII e XIX secolo ha combattuto tenacemente per mantenere l’Europa continentale divisa e in particolare per contrapporsi a una potenza che fosse in grado di prevalere sulle altre del continente. Così si spiegano le guerre del Settecento e quelle napoleoniche, in cui la Gran Bretagna ha condotto una lotta vincente contro le pretese egemoniche della Francia. Nell’Ottocento, quando anche la Russia zarista assunse un volto minaccioso per gli interessi inglesi, la Gran Bretagna non esitò, insieme alla Francia, ad unirsi all’Impero musulmano turco per impedire ai russi di penetrare nel Mediterraneo, e fu la guerra di Crimea (precedente inquietante alla luce dei fatti odierni). L’Inghilterra favorì anche il processo di unificazione d’Italia, mentre la Francia avrebbe voluto una penisola politicamente divisa in tre Stati, perché un’Italia unita e indipendente poteva fare da contrappeso alla Francia sul fianco meridionale del continente. 

Dopo la guerra franco-prussiana e l’unificazione della Germania, il Reich di Berlino divenne il primo nemico di Sua Maestà Britannica, e furono due guerre mondiali.

Gli USA hanno ereditato questa stessa visione strategica dai cugini inglesi. Anche per gli inquilini della Casa Bianca la carta decisiva per il dominio mondiale è il controllo dell’Europa.  Anche loro sanno che l’Europa deve restare divisa oppure gravitare attorno a una potenza comunque subordinata all’Impero anglosassone. Dopo la sconfitta della Germania nazista, l’ultima potenza che ha cercato di unire il continente con la forza delle armi e di un’ideologia che aveva trovato simpatie e collaborazioni nonostante la sua impronta etnica, il grande nemico, anch’esso fortemente armato e portatore di un’ideologia per molti attraente, diventava l’URSS. Per questo, per il timore che l’intero continente gravitasse nell’orbita sovietica e non per la minaccia comunista in sé, il confronto è stato durissimo per decenni, fino al collasso del più debole.

Da certi punti di vista, nonostante lo smembramento di quella che fu l’URSS, o forse proprio per questo, la nuova Russia è stata subito avvertita come una rinnovata minaccia. Una Russia più efficiente economicamente dopo aver adottato le regole del Mercato ed etnicamente più compatta, poteva aspirare ad attrarre nella sua orbita un’Europa dipendente dalle sue forniture energetiche. Un’Europa divisa in tanti Stati sarebbe stata debole di fronte alla Russia. Per l’Impero anglo-americano era preferibile un’Europa unita sotto l’egemonia di una Germania a sua volta sottoposta ai voleri di Washington.

Così tutto diventa assolutamente coerente: l’importanza del TTIP, il trattato che legherebbe indissolubilmente l’UE agli USA, le manovre tendenti a sganciare l’UE dalla dipendenza dalle fonti energetiche russe, il colpo di stato in Ucraina col coinvolgimento della Germania che farebbe di quel Paese una sua appendice economica, l’estensione della NATO sempre più a est.

Il comunismo non c’entrava, come non c’entra la polemica “democratica” contro “l’autoritarismo” russo. Quella è solo “ideologia come falsa coscienza”. Oggi come sempre la linea strategica dell’Impero marittimo anglo-americano è quella di tenere in pugno il continente europeo, per avere l’egemonia sul mondo intero. Il punto debole di questa strategia consiste proprio nell’essere ancorata al criterio della centralità europea. L’Europa, invasa da masse di migranti, invecchiata nella sua popolazione autoctona, presa dalla spirale di una crisi economica apparentemente senza soluzioni immediate, con una gioventù disorientata e sradicata, è in piena decadenza. Respingere la Russia verso la sua dimensione asiatica potrebbe essere controproducente, perché un blocco russo-cinese per le sue potenzialità militari, umane ed economiche rappresenterebbe un polo antagonista formidabile.

Tutto è molto chiaro, molto coerente, molto leggibile, ma anche tremendamente incerto negli esiti finali. “Tremendamente” perché proprio l’estrema vicinanza delle basi NATO ai confini russi fa balenare la tentazione del “primo colpo”, da una parte e dall’altra, e sarebbe un colpo nucleare. Questa è la scena che il teatro del mondo ci offre all’apertura del sipario sul 2015. 

Luciano Fuschini

jeudi, 15 janvier 2015

Hinter dem Verfall des Rubels steckt ein Wirtschaftskrieg der USA

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Hinter dem Verfall des Rubels steckt ein Wirtschaftskrieg der USA
 
Ex: http://unzensuriert.at

Der Rubel wurde durch einen gezielten Wirtschaftskrieg destabilisiert!

Die seit Wochen sinkenden Energiepreise, Sanktionen westlicher Nationen gegen Russland und Spekulationen auf den Währungsmärkten führten im Dezember beinahe zum Zusammenbruch des russischen Rubels. Dahinter stecken aber keineswegs freie Entwicklungen auf den Finanzmärkten oder verfehlte Politik in Russland, sondern vielmehr kalkulierte wirtschaftliche Angriffe, um Russland weiter zu destabilisieren und Putin unter Druck zu setzen. Ein Wirtschaftskrieg ist in vollem Gange.

USA bekennen sich offen zu Destabilisierung

Das hinter der Destabilisierung der russischen Wirtschaft mitsamt Währungsverfall und massiver Inflation die US-Administration unter Barack Obama steckt, wurde bereits im Mai diesen Jahres deutlich. Daniel Glaser, ein Sekretär im amerikanischen Finanzministerium, meinte damals im Ausschuss für Äußere Angelegenheiten im US-Repräsentantenhaus, die Sanktionen gegen Russland würden nicht nur auf die Kappung des Außenhandels mit der EU und den USA abzielen, sondern auch auf eine Destabilisierung des Rubels und eine damit massiv einhergehende Inflation. Auch wollte man mit der Destabilisierung der russischen Wirtschaft einen Devisen- und Goldverkauf erzwingen, da die Russen an die 418 Milliarden Dollar in ausländischen Währungen und Gold besitzen. Wladimir Putin meinte aber erst kürzlich in einem Gespräch über die Vorgehensweise der russischen Zentralbank, das man keinesfalls die Goldreserven des Landes anrühren und auf den Markt werfen werde.

Ein wichtiger Faktor im Kampf um die russische Wirtschaft ist der Energiepreis. Russland ist traditionell stark abhängig von den Gas- und Ölpreisen. Diese sanken in den vergangenen Monaten massiv, vor allem auf Betreiben der USA. Diese fluteten mit eigenem Gas und Öl aus der Fracking-Gewinnung die Energiemärkte und verursachten somit einen Preissturz. Damit konnte man neben Russland auch gleich zwei weitere erdölexportierende Erzfeinde, Venezuela und den Iran, schwächen. Dieselbe Taktik wendete die US-Regierung bereits während des Afghanistan-Krieges der Sowjetunion an, um eine Niederlage dieser zu forcieren. Russland lässt sich dennoch nicht abschrecken und macht genau das Gegenteil von dem, was man erwartet. Es investiert seine nationalen Reserven in die eigene Wirtschaft und versucht, den sozialen und öffentlichen Sektor zu stärken.

Russland sucht sich neue Partner

Durch den Wirtschaftskrieg des Westens geht vor allem der Europäischen Union ein überlebenswichtiger Handelspartner verloren, wie die negativen Auswirkungen der Sanktionen bereits verdeutlichten. Russland orientiert sich mit seiner Energie- und Investitionspolitik verstärkt in den Osten nach Asien. Somit wird auch die Türkei gestärkt, die nun durch das Ende des South-Stream-Projektes eine mächtige Position in der europäischen Energieversorgung einnimmt. Da sich die Türkei als Partner Russlands positionierte, bekommt sie somit das Gas Russlands zu einem billigeren Preis als die EU. Aber auch China wird zu einem der wichtigsten Handelspartner Russlands. Enorme Investitionen in beiden Ländern werden geplant und Gasdeals in Milliardenhöhe abgeschlossen, auch weil sich beide Länder auf einen Handel in den einheimischen Währungen geeinigt haben, unabhängig vom US-Dollar. Der vom Westen erhoffte politische Regimewechsel in Russland, aufgrund der wirtschaftlichen Destabilisierung, dürfte somit in absehbarer Zeit nicht eintreten.

Eurasian Economic Union Came into Force

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Alexander MEZYAEV
Strategic-Culture.org

Eurasian Economic Union Came into Force

As the new year started, the Eurasian Economic Union (the EEU) signed on May 29, 2014 came into force to include Russia, Belarus, Kazakhstan, Armenia and Kirgizia. The EEU boasts the population of 183 million (the seventh largest in the world) and covers over 20 million square kilometers (15% of the earth’s land). The organization is the largest world gas (22% of global output) and oil (14, 6% of global output) producer, the second largest producer of mineral fertilizers (14% of world output), the third largest energy (9% of global output) producer and the fourth largest producer of steel (6% of global production) and coal (6% of global output)…(1) But what really matters is that the Eurasian Union is «a model of a powerful, supranational association capable of becoming one of the poles of the modern world …to play an effective bridge role between Europe and the dynamic Asia-Pacific region». (2) The EEU is an international organization based on regional economic integration or an international entity. It means that the decisions of its organs (the Eurasian Economic Council, the Economic Commission, and the Economic Court) become norms of international law. It’s very important. For a long time Russia has adhered to the legal norms created by others. It has become unacceptable as the current system of international law is being destroyed to be replaced by repressive legal system. The adoption of common foreign trade and customs policy is a matter of special importance. The foreign commerce will be based on the principles of free trade and the regime of most favored nations. The EEU members will coordinate the activities in agriculture, industry, energy and stick to common sanitary and technical standards. A common market of pharmaceuticals is to be in place by 2016. A common energy market is to be formed by 2019 and a common oil, gas and oil products market is to become a reality by 2025. It is emphasized that the Union is an economic organization. The history has the examples of international economic organizations gradually turning into political or even military unions. The Economic Community of West African States (ECOWAS) is a good example. Not much time passed since its inception as it shifted the focus from purely commercial projects to military operations on the territories of member-states. There have been attempts made to create an association of post-Soviet countries going beyond the limits of economic cooperation. They all have failed. Some time ago the President of Kazakhstan opposed the accession of Kyrgyzstan, Tajikistan and Armenia to the Customs Union. At the same time he supported the idea of Turkey’s membership only to prevent the Union from becoming a supranational political entity like the European Union. The provisions on common citizenship, common foreign policy and common protection of borders were excluded from the text of the treaty. 

The EEU is coming into force against the background of Russia’s visible intensification of policy aimed at achieving agreements with the neighboring states, especially with the ones tied to Russia by the Union. On December 22, the presidents of Russia and Kazakhstan exchanged ratification documents on the Russia-Kazakhstan Treaty on Good-Neighborly and Allied Relations in the 21st Century. The treaty does not cancel the basic Treaty of Friendship, Cooperation and Mutual Assistance signed between Russia and Kazakhstan in 1992. To the contrary the both treaties complement each other to be implemented in parallel. On December 23, a treaty on the relations between Russia and Abkhazia was submitted to the State Duma for ratification. It was signed on November 24 to bring the relationship to a new level. As far back as 2008 (right after Abkhazia became an independent state) Russia and Abkhazia concluded a friendship, cooperation and assistance treaty. The new document is called the Russian-Abkhazian Treaty on Allied Relations and Strategic Partnership. The treaty will make Russia invoke Article 15 (clause 4) of the Constitution which proclaims the priority of international law over Russian domestic law. The new document streamlines the procedures required to grant Russian citizenship to the citizens of Abkhazia. It is mainly focused on common foreign and military policy, as well as social and political issues. The common foreign policy presupposes closely coordinated activities aimed at strengthening peace and enhancing stability and security. In particular, Article 4 of the treaty envisions that the Russian Federation «will in all possible ways contribute to strengthening the international ties of the Republic of Abkhazia, including expansion of the range of states that officially recognized it, and creation of conditions for the admission of the Republic of Abkhazia to international organizations and associations, including those established on the initiative and/or with assistance from the Russian Federation». Article 6 is also important. It says that should one of the sides come under aggression (armed attack) from any state or a group of states, «this will be considered as aggression [armed attack] also against the other State party». In this case, the sides will grant each other «the necessary assistance, including military, and render support by available means to exercise the right to collective defense». The provision corresponds to international law, especially to Article 51 of the UN Charter. The treaty states that the defensive measures are to be reported without delay to the Security Council of United Nations and their implementation is to be carried out in accordance with the United Nations Charter. The treaty stipulates the establishment of a Joint Group of Forces of the Russian Federation’s Armed Forces and Abkhazia’s Armed Forces to repel aggression. It will have joint command structures and defense infrastructure. The respective Russian organ is to assign a commander in the period of immediate threat or combat action. (3) A more detailed agreement will make precise the procedures. (4) The document envisions the creation of common defense, security, social, economic, cultural and humanitarian space. A new treaty with South Ossetia is being prepared (5). It will to large measure amend the 2008 treaty concluded immediately after the recognition of South Ossetia by Russia as an independent state. Anatoly Bibilov, the speaker of South Ossetian parliament, said the treaty will meet the basic interests of the republic striving for maximum integration with Russia and the development of cooperation in different spheres. 

Going back to the Eurasian Union treaty it should be noted that the organization is open to any state which shares its goals and principles on the conditions agreed with all member-states. In the second half of 2014 two states became the Union’s members. Armenia signed the treaty on October 10, 2014 to be joined by Kyrgyzstan on December 23. Armenia also joined the Customs Union and the Single Economic Space. President Putin visited Uzbekistan. The both parties agreed to hold consultations on possible conclusion of free trade zone treaty between Uzbekistan and the Eurasian Economic Treaty. The Speaker of the Federation Council of the Federal Assembly of the Russian Federation reported that the consultations are held on possible accession of Tajikistan to the Eurasian Economic Union… 

The creation of the Eurasian Economic Union is a result of long preparatory work within the framework of the Eurasian Economic Community and the Customs Union. Summing it up President Putin said «Our integration project is already producing practical results. Trade within the Customs Union has increased by 50 percent since July 1, 2011, and now comes to more than 64 billion dollars. We have improved our trade structure. Processed goods have gradually started replacing raw materials. Their share has risen considerably, while the share of raw materials has fallen from 40 percent to 28.9 percent».

The West fiercely opposes the Eurasian Economic Union and the plans for its development. It should be realized that the construction of «a model of a powerful, supranational association capable of becoming one of the poles of the modern world» will require great efforts. The process will not be limited by economic issues only. It will be opposed in all spheres. 

Footnotes:
1) The official website of the Eurasian Economic Union:
http://www.eurasiancommission.org/ru/Pages/ses.aspx
2) That’s how President Putin described the process Russia, Belarus and Kazakhstan unification in one of his articles which became part of his pre-election program in 2012. 
3) The joint force will include the units of Abkhazian and Russian armed forces. The military and the Ministry of Defense of Abkhazia continue to function as before under the national command.
4) Such an agreement may be concluded in three months after the treaty comes into force. 
5) On December 22, 2014, Vladislav Surkov, a presidential advisor, said that Work on a new treaty on alliance and integration between Russia and South Ossetia will be over by late January 2015.
 

mercredi, 14 janvier 2015

Le ras-le-bol des Européens ordinaires

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Le ras-le-bol des Européens ordinaires

par Georges FELTIN-TRACOL

 

Invité du congrès européen du G.U.D. à Nanterre, le 22 novembre 2014, le porte-parole du M.A.S. (Mouvement d’action sociale), Arnaud de Robert, appelait dans son intervention au réveil des peuples européens (1). Les Européens l’ont-ils entendu ? Il faut le croire à la vue des événements récents qui secouent le Vieux Continent.

 

Depuis le 20 octobre 2014 se déroule chaque lundi soir dans un parc de Dresde une manifestation organisée par un groupe informel, animé par Lutz Bachmann, nommé P.E.G.I.D.A., ce qui signifie, dans la langue de Goethe, Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes, c’est-à-dire « Européens patriotes contre l’islamisation de l’Occident (2) ». Abendland présente une acception différente des concepts français et anglo-saxon d’Occident. Si, aujourd’hui, l’Occident désigne l’ensemble globalitaire américanocentré dont les bras armés sont, entre autres, l’O.T.A.N., le F.M.I., les firmes multinationales, Abendland peut se comprendre comme l’ancienne et traditionnelle définition française désignant l’œcumène européen médiéval. Il va de soi que les commentateurs français, incultes, n’ont pas compris cette sémantique, toujours obnubilés par leur antiracisme obsessionnel.

 

Une saine réaction populaire

 

Si les habitants de Dresde crient comme à l’automne 1989 peu de temps avant la chute du Mur qu’ils sont le peuple et expriment une inquiétude légitime envers les méfaits de l’immigration et de son corollaire, l’islamisation (même si tous les immigrés ne sont pas mahométans), P.E.G.I.D.A., phénomène inattendu, qui se décline dorénavant, fédéralisme allemand oblige, en variantes régionales autonomes (3), fut précédé par les « Villes contre l’islamisation » représentées par des groupes strictement municipaux en 2007 – 2008 tels Pro-Köln (« Pour Cologne »). Il surgit au lendemain de violentes échauffourées dans les rues de Hambourg entre Kurdes et les salafistes favorables à l’État islamique en Irak et en Syrie. Dès le 26 octobre 2014, 3 à 5 000 hooligans de Cologne manifestent contre les islamistes sous la bannière consensuelle de HoGeSa (Hooligans contre les salafistes). La réaction déborde rapidement le seul milieu hooligan pour atteindre une population exaspérée.

 

Il faut comprendre que les Allemands sont victimes des lois Harz. Entre 2003 et 2005, à la demande du gouvernement de coalition social-démocrate – Verts, l’ancien directeur du personnel de Volkswagen, Peter Harz, réforma dans un sens libéral le marché du travail via quatre lois scélérates. Leurs clauses fallacieuses imposent par exemple une mobilité professionnelle et géographique extravagante avec, pour les célibataires, au-delà de quatre mois, l’obligation de déménager afin d’accepter n’importe quelle proposition d’emploi; le développement des emplois à bas salaires (les « mini-jobs ») qui sont des emplois précaires à temps partiel variable; la réduction des indemnités chômage et un durcissement des conditions d’indemnisation. Dans le même temps, l’Allemagne accueille un nombre croissant de réfugiés extra-européens. Entre 2008 et 2014, leur nombre est passé de 28 000 à 200 000. Ils bénéficient d’avantages sociaux non négligeables.

 

Cette différence de traitement provoque l’indignation des citoyens allemands désormais prompts à s’exprimer hors d’un cadre institutionnel vérolé. Beaucoup de politiciens européens louent le soi-disant modèle allemand. Or, outre une natalité quasi-nulle et un vieillissement démographique avancé, savent-ils que leur référence suprême dispose d’infrastructures vétustes et de Länder surendettés, semblables à la Grèce ou à l’Italie, si bien que les conservateurs du Bade-Wurtemberg et de Bavière soutiennent un égoïsme régional et se refusent de payer pour Hambourg, la Poméranie ou le Hanovre ? Par ailleurs, l’Allemagne n’est pas une démocratie authentique : une terrible police politique surveille les pensées et les opinions tandis que des tribunaux peu scrupuleux condamnent à de lourdes peines de prison les adversaires du multiculturalisme marchand. Si sa partie occidentale subit depuis sept décennies un véritable lavage de cerveau collectif de la part des Alliés, experts en rééducation psycho-politique. L’ancienne R.D.A. a su paradoxalement préservé les mentalités traditionnelles allemandes.

 

Très vite, après avoir minimisé l’ampleur des manifestations, la classe politicienne qui est l’une des plus corrompues d’Europe, les médiats, les Églises et le patronat ont montré leur unanimité en accusant P.E.G.I.D.A. de xénophobie, de racisme, de populisme et, horresco referens, d’être infiltré par des néo-nazis et des skinheads ! Pourtant, plusieurs de ses équivalents locaux ont pour logo une main qui jette à la poubelle la croix gammée, le drapeau communiste, le symbole des antifa et l’étendard de l’État islamique. Seuls les responsables locaux du nouveau parti anti-euro A.f.D. (Alternative pour l’Allemagne) qui, à Strasbourg – Bruxelles, siège avec les nationaux-conservateurs polonais, les eurosceptiques tchèques et les tories britanniques, ont sinon appuyé pour le moins relayé ce mécontentement sans précédent.

 

P.E.G.I.D.A. s’oppose en premier lieu à la folle politique d’asile du gouvernement, dénonce l’islam radical, les tensions religieuses sur le sol allemand inhérentes à la cohabitation de masses étrangères ennemies les unes des autres chez elles, les groupes religieux radicaux ainsi que les immigrés délinquants. Ces dernières semaines, le mouvement a élargi ses thèmes à la préservation de l’identité allemande et à la contestation de l’idéologie gendériste. Ces mots d’ordre politiquement corrects trouvent un écho toujours plus large auprès de l’opinion publique. Ainsi, à Dresde, 500 personnes participèrent-elles à la première manifestation. Une semaine plus tard, le 10 novembre, elles étaient 1 700. La semaine d’après, les autorités relevaient entre 3 200 à 3 500 manifestants. Le 24 novembre suivant, elles étaient plus de 5 500 personnes. Le 1er décembre, la manifestation hebdomadaire réunissait 7 500 personnes. Le 15 décembre, environ 15 000 personnes battaient désormais le pavé. Ces démonstration de force suscitent des contre-manifestations d’idiots utiles qui brandissent des balais, ignorant que ce geste symbolique, typiquement populiste et anti-Système, revient à Léon Degrelle et au Rex dans les années 1930…

 

Le réveil breton

 

Ces démonstrations de masse ne se restreignent toutefois pas à la seule Allemagne. Il y a plus d’un an déjà, la Bretagne secouait le gouvernement français avec les « Bonnets rouges ». Ils surgissent à Pont-de-Buis, le 28 octobre 2013, quand plusieurs centaines de personnes démontent un portique écotaxe. La perception prévue d’une nouvelle contribution routière, nommée « écotaxe », soulève la fureur des petits patrons, des artisans et des commerçants bretons. Auparavant, les samedis 14 et 21 octobre 2013, des manifestations anti-écotaxes montraient la détermination des Bretons. Très vite, les « Bonnets rouges » rassemblent des ouvriers, des marins, des agriculteurs, des patrons, des artisans, des chômeurs, et montent divers collectifs dont celui qui s’intitule « Vivre, décider, travailler en Bretagne ». Leurs revendications sont, hormis la suppression de l’écotaxe, la gratuité des routes bretonnes, l’allègement des charges fiscales, la fin du dumping social, prévu pour des traités pseudo-européens, et la régionalisation.

 

Si toute la société armoricaine se mobilise, en revanche, des politiciens restés au schéma de la lutte des classes du XIXe siècle ne comprennent pas cette entente intercatégorielle. Il est intéressant de relever qu’un compte Facebook d’un collectif anti-écotaxe met en ligne, le 30 novembre 2013, une directive très nette : « Sans partis ni syndicats, juste tous ensemble pour dire stop ! ». Les « Bonnets rouges » bénéficient pourtant du concours de formations variées comme les nationalistes indépendantistes d’Adsav, le N.P.A., les autonomistes de l’U.D.B. (Union démocratique bretonne), le Parti breton, le Parti pirate – Bretagne, des fédéralistes et l’Organisation communiste libertaire.

 

Par leurs actions violentes, force est de constater que les « Bonnets rouges » ont fait reculer l’Élysée et Matignon qui viennent d’annuler le contrat conclu sous la présidence calamiteuse de Sarközy. Ce mouvement spontané a-t-il cependant eu une audience politique ? Non, répliquent les médiats-menteurs. Erreur ! Aux européennes de 2014 avec 7,19 %, la liste « Nous te ferons, Europe » conduite par le maire divers-gauche de Carhaix, Christian Troadec, aurait pu gagner au moins un siège si la circonscription s’était limitée à la seule Bretagne administrative qui « s’est illustrée comme la seule région de France où une formation politique autre que le F.N., l’U.M.P. et le P.S. apparaissait en tête de scrutin (4) ».

 

La grave crise de l’industrie agro-alimentaire qui frappe la Bretagne, longtemps avec l’Alsace, fer de lance de l’idée européenne pervertie en France, résulte de l’arrêt des aides de l’U.E. et de l’absence de tout protectionnisme aux frontières de l’U.E. ou de la France. Actuellement, l’Alsace semble elle aussi s’engager sur la voie de la contestation civile parce qu’elle refuse la fusion forcée et contre-nature avec la Lorraine et la Champagne-Ardenne. Après les « Bonnets rouges », l’année 2015 verra-t-il les « Coiffes noires » dans les rues ?

 

Haut les fourches !

 

Il faut en tout cas le souhaiter. Ce ne serait pas la première fois. Pensons au poujadisme qui porta de redoutables coups à la IVe République pourrie entre 1956 et 1958. Mentionnons aussi dans la seconde moitié des années 1930 les effervescences paysannes dans l’Ouest et le Nord du pays encouragées par Henri Dorgères, futur élu poujadiste, et ses « Chemises vertes ». Plus récemment, souvenons-nous du 1991 – 1992 le climat quasi-insurrectionnel dans les campagnes par des paysans qui empêchaient les falots ministres P.S. de quitter leurs bureaux parisiens.

 

Mouvement informel, les « Bonnets rouges » représentent l’exaspération de différentes catégories socio-économiques pressurées par dix années de régime U.M.P. Chirac – Sarközy et dont l’alourdissement final opéré par le gouvernement Hollande – Ayrault déboucha sur une juste irritation. Les « Bonnets rouges », en dernière analyse, ne sont que l’aboutissement virulent et territorialisé d’un large ensemble d’initiatives anti-gouvernementales apparues sur Internet depuis 2012. Entrepreneurs et créateurs de « jeunes    pousses » constituèrent assez rapidement les « Pigeons », puis les patrons de P.M.E. se regroupèrent en « Dupés », les micro-entrepreneurs en « Plumés », les professions libérales en « Asphyxiés », les auto-entrepreneurs en « Poussins ». Une grogne perceptible et récurrente créa même les « Tondus », à savoir les petits patrons fatigués par l’outrecuidance de l’U.R.S.S.A.F., cette « U.R.S.S. à la française »… Le Régime a un instant craint que l’Hexagone soit contaminé par la révolte populaire italienne des Forconi.

 

 

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En janvier 2012 s’élance de Sicile le mouvement spontané des Forconi (« Grandes fourches ») à l’initiative de transporteurs routiers et d’agriculteurs qui brandissent leurs fourches. Ils contestent la hausse du prix de l’essence, l’alourdissement des taxes, la fermeture des usines et une réglementation démente édictée par la Commission pseudo-européenne. « En 2013 dans le pays, plus de 6 500 entreprises ont été déclarées en faillite, le taux de chômage a atteint 12,5 %, et quelque huit millions d’Italiens vivent en dessous du seuil de pauvreté d’après l’Institut national des statistiques italien (Istat) (5). » Dans un climat d’instabilité politique (Berlusconi a été évincé du gouvernement par un coup d’État merkelo-banksteriste approuvé par le président communiste atlantiste de la République Giorgio Napolitano en novembre 2011, remplacé par un gouvernement technicien « apolitique » aux ordres de Berlin et la kleptocratie financière apatride), de politique d’austérité exigée par le F.M.I, la B.C.E. et Bruxelles et d’agitations sociales (de nombreuses attaques contre les bureaux d’Equitalia, l’agence de recouvrement de l’administration fiscale), les Forconi se propagent dans toute la péninsule et fédèrent artisans, petits commerçants, chauffeurs de taxi, dirigeants de P.M.E., vendeurs ambulants, travailleurs précaires, étudiants, chômeurs, militants associatifs, tifosi de clubs de foot. Par-delà la contestation de la politique gouvernementale, les Forconi dénoncent l’action déstabilisatrice des groupes de grande distribution (Leclerc, Auchan, etc.).

 

À partir du 9 décembre 2013, incités par Beppe Grillo, « non-leader » du Mouvement Cinq Étoiles et rejoints par la Ligue du Nord et CasaPound, les Forconi entreprennent une marche sur Rome. Certains occupent les centre-villes, bloquent axes routiers majeurs, terminaux portuaires et postes frontaliers (trois heures à Ventimille, le 12 décembre 2013). D’autres s’emparent de bureaux du fisc à Bologne et à Turin quand ce ne sont pas les studios régionaux de la télévision publique à Ancône aux cris de « Tous dehors, tous pourris ! » ou de « Tutti a casa (Tous à la maison !) (6) ». Toutefois, ce vaste mouvement se dégonfle assez rapidement puisque « certains Forconi en désaccord avec la radicalisation du mouvement ont refusé de faire le déplacement craignant des débordements. Au lieu des 15 000 personnes attendues sur la Piazza del Popolo mercredi, ils n’étaient que 3 000 (7) ».

 

Au-delà des Pyrénées, la même ébullition sociale

 

Ces trois exemples récents sont à mettre en parallèle avec les actions de quasi-guérilla de l’extrême gauche grecque contre des institutions faillies ainsi qu’aux Indignados (« Indignés ») en Espagne. Ce dernier mouvement part d’un appel à manifester, pacifiquement, dans une soixantaine de communes espagnoles, le 15 mai 2011, pour une autre pratique politique. Les manifestants estiment que les partis politiques ne les représentent plus. On y trouve des victimes de la crise économique, des lecteurs du livre Indignez-vous !, du Français Stéphane Hessel, des admirateurs des « Printemps arabes », des mouvements grecs et islandais de 2008 et du Geração à rasca portugais.

 

À compter du 15 mai, les « Indignés » se rassemblent sur une place de la capitale espagnole, la Puerta del Sol. Ils s’élèvent contre les banques, l’austérité économique et la corruption des politiciens. S’organisant en assemblées autogérées et contestant le système parlementaire et la démocratie représentative, les participants interdisent tout sigle politique, toute bannière politicienne ou tout propos partisan. Ils insistent sur le fait que « le peuple uni n’a pas besoin de partis ». Les journalistes parlent bientôt du « Mouvement du 15 mai ». Les Indignados installés sur cette place y sont bientôt violemment dispersés par les policiers. Ailleurs, en Espagne, une répression similaire s’exerce à l’encontre des manifestants qui occupaient, à l’instar des Étatsuniens d’Occupy Wall Street, des places publiques au point que le président iranien Mahmoud Ahmadinejad se déclara choqué par des violences policières exagérées.

 

De cette indignation collective s’en extrait une formation politique de gauche radicale, Podemos (« Nous pouvons ») donnée par plusieurs sondages consécutifs première force politique. Le succès tant en Espagne qu’en Grèce (Syriza) de ces gauches radicales ne signifie pas que Madrid et Athènes sont à la veille d’une révolution néo-bolchévique. Réformistes radicales, Syriza et Podemos ont déjà modéré leurs positions et ne cachent pas leurs dispositions mondialistes.

 

Toutes ces contestations populaires qui trouvent chacune dans leurs pays respectifs un relais politique approprié, témoignent principalement du profond ras-le-bol des petites gens envers leur classe dirigeante voleuse et leurs pseudopodes institutionnels mafieux. Mais il ne s’agit pas d’une « droitisation » des opinions, ni l’appropriation d’une pensée, sinon anti-libérale, pour le moins illibérale. « Nous ne sommes pas contemporains de révoltes éparses, mais d’une unique vague mondiale de soulèvements qui communiquent entre eux imperceptiblement (8). » Toutefois, le Comité invisible, un collectif anonyme d’ultra-gauche, ne perçoit pas l’acuité particulière de la réprobation populaire européenne. Certes, après avoir rappelé que « “ populaire ” vient du latin popular, “ ravager, dévaster ” (9) », il observe que « l’insurrection est d’abord le fait de ceux qui ne sont rien, de ceux qui traînent dans les cafés, dans les rues, dans la vie, à la fac, sur Internet. Elle agrège tout l’élément flottant, plébéien puis petit-bourgeois, que sécrète à l’excès l’ininterrompue désagrégation du social. Tout ce qui était réputé marginal, dépassé ou sans avenir, revient au centre (10) ». Cette description concorde avec ce que « Flamby », « Monsieur Petites-Blagues », définirait d’après son ancienne compagne, comme des « sans-dents ». Que se soit en Bretagne, en Italie ou en Allemagne, les manifestations aimantent les catégories sociales moyennes et populaires en voie de paupérisation.

 

 

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Ces révoltes populaires ne sont pas une nouveauté en Europe. Elles sont à rapprocher de l’éphémère mouvement populiste italien de l’immédiat après-guerre de Guglielmo Giannini, fondateur de l’hebdomadaire L’Uomo qualunque, puis du Fronte dell’Uomo Qualunque. On traduit souvent cette expression par « l’homme de la rue » ou « l’homme ordinaire ». Sur un programme anticommuniste, anti-fasciste, de refus du grand capitalisme oligopolistique, de limitation des prélèvements fiscaux et d’arrêt de l’intervention étatique dans les domaines économique et social, il obtint en 1946 1 211 956 votes, soit 5,3 % des suffrages, devenant le cinquième parti du pays et envoya une trentaine d’élus à l’Assemblée constituante avant de disparaître en 1948.

 

Le fantôme de Guglielmo Giannini hante, aujourd’hui, toute l’Europe. Ce sont les gens ordinaires, les quidams, les ménagères de plus ou moins cinquante ans qui investissent les artères urbaines et clament leur ire. Les peuples européens sortent-ils de leur longue torpeur mentale ? En tout cas, ils commencent instinctivement à comprendre l’imposture qu’un Système délétère leur impose et, donc, à ruer dans les brancards.

 

Georges Feltin-Tracol

 

Notes

 

1 : Arnaud de Robert, « Réveil des nations ou réveil des peuples ? », mis en ligne sur Cercle non conforme, le 26 novembre 2014, et repris par Europe Maxima, le 8 décembre 2014.

 

2 : Non germanophones, les médiacrates hexagonaux et leurs épigones grotesques traduisent par « patriotes européens », or dans P.E.D.I.G.A., patriote est un adjectif… L’erreur commence néanmoins à être corrigée.

 

3 : Grâce à l’excellent blogue de Lionel Baland, ces « déclinaisons » sont Bär.G.I.D.A. (Berlin), R.O.G.I.D.A. (Rostock), H.A.G.I.D.A. (Hanovre), L.E.G.I.D.A. (Leipzig), Sü.G.I.D.A. (Sühl), Wü.G.I.D.A. (Wurzburg), K.A.G.I.D.A. (Cassel), Kö.G.I.D.A. (Cologne), B.A.G.I.D.A. (Munich) sans omettre P.E.G.I.D.A. à Stuttgart. L’Autriche commencerait elle aussi à entrer dans le mouvement alors que, contrairement à l’Allemagne, existe un fort parti nationaliste et patriotique, le F.P.Ö.

 

4 : Emmanuel Galiero, « “ Bonnets rouges ” : un vote “ spectaculaire ” », dans Le Figaro, le 12 juin 2014.

 

5 : Hélène Pillon, « Les Forconi, des Bonnets rouges à la sauce italienne ? », dans L’Express, le 20 décembre 2013.

 

6 : Hélène Pillon, art. cit.

 

7 : Idem.

 

8 : Comité invisible, À nos amis, La Fabrique, Paris, 2014, p. 14.

 

9 : Idem, p. 54.

 

10 : Id., pp. 41 – 42.

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=4141

¿Estamos en medio de una guerra de religión en Europa o es sólo otra operación de bandera falsa?

por Gilad Atzmon

Ex: http://paginatransversal.wordpress.com

La matanza de París fue un crimen devastador contra la libertad y el derecho a la risa. ¿Pero fue realmente ejecutado por un grupo de lunáticos irracionales musulmanes, decididos a matar sin piedad por unas burlas a su profeta?

Los franceses deberían preguntarse qué llevó a unos miembros de su propia sociedad a cometer esos asesinatos a sangre fría contra sus conciudadanos. Deberían preguntarse por qué Francia ha estado echando bombas sobre los musulmanes. ¿Quién abogó con entusiasmo a favor de estas guerras “intervencionistas”? ¿Cuál fue el papel de Bernard-Henri Lévy, el abogado principal de la guerra contra Libia, por ejemplo?

¿Que fue todo aquel alboroto francés sobre el burka? ¿Quién dirigió esta guerra contra los musulmanes en el corazón de Europa? ¿Era realmente en nombre de la tolerancia?

La libertad y la risa son algo precioso, sin duda, pero ¿no fue el gobierno “socialista” francés quien acosó y consiguió la prohibición del mejor y más exitoso comédien de Francia, Dieudonné M’bala M’bala, porque éste satirizó la religión del Holocausto? ¿Quién empujó al gobierno francés a adoptar medidas tan duras contra un artista? ¿No fue el CRIF, el grupo de presión judío?

Si Europa quiere vivir en paz, podría considerar la posibilidad de dejar que otras naciones vivan en paz. Al seguir los caprichos de El Lobby habríamos reservado a París el destino de Alepo. ¡Ni quiera Dios!

Pero hay una narrativa alternativa que pone cabeza abajo nuestra percepción de esta desastrosa matanza de París.

Esta mañana, el joven de 18 años de edad Hamyd Mourad, sospechoso de ser uno de los tres terroristas involucrados en el ataque de ayer, se entregó a la policía en Charleville-Mezières. Según los informes, se presentó pacíficamente después de escuchar su nombre en las noticias. Y afirma que no tiene nada que ver con el evento de ayer. Extraño ¿no? En realidad, no.

A pesar de que todos los expertos en lucha contra el terrorismo están de acuerdo en que el ataque a Charlie Hebdo de ayer fue un trabajo profesional, parece bastante poco profesional para unos “terroristas altamente cualificados” dejar tras ellos su carnet de identidad. ¿Y desde cuándo un terrorista se lleva su documento de identificación a una operación? Una posible explicación sería que los supuestos terroristas necesitaban unas horas extras para salir de Francia o desaparecer. Tenían que engañar a la policía y los servicios de inteligencia franceses para que éstos dirigiesen la búsqueda hacia lugares equivocados y personas equivocadas. ¿Es posible que simplemente “plantaran” una tarjeta de identificación robada o falsificada en el coche que dejaron atrás?

Si este fuera el caso, es posible que el ataque de ayer no tuviera nada que ver con el “terrorismo jihadista. Es muy probable que ésta haya sido otra operación de bandera falsa. ¿Quién podría estar detrás de todo ello? Usa tu imaginación.

(Traducción por S. Seguí)

Fuente original: http://www.gilad.co.uk/writings/2015/1/8/amidst-a-religious-war-in-europe-is-it-possibly-a-false-flag-operation

Extraído de: Rebelión

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mardi, 13 janvier 2015

Ils sont “Charlie” ? Ils sont déjà morts

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Ils sont “Charlie”? Ils sont déjà morts

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue d'Ulysse, cueilli sur Novopress et consacré à la mort symbolique du nihilisme libéral libertaire...

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Charlie Hebdo représentait la pire forme de l’idéologie libertaire qui, sous couvert de contestation et de transgression, était sanctuarisée par le pouvoir actuellement en place dont elle était l’insigne agent symbolique et moral. En une image, Charlie Hebdo, c’était le « beauf » de Cabu : ce sale franchouillard raciste moustachu dont on cherchait à faire croire qu’il était la lie de l’humanité et sur lequel on tapait sans fin comme s’il était le tortionnaire malfaisant des gentilles populations immigrées venues enrichir la France. Oui mais voilà, le moustachu cachait un barbu, et le beauf consumériste, un fanatique impitoyable. Le xénophobe d’apparat cachait un fondamentaliste et s’il arrivait à Charlie Hebdo de brocarder le second, c’était en le mettant sur le même plan que le premier ; ainsi d’une couverture à l’autre, une Marine le Pen nazifiée pouvait-elle croiser un Pape pédophile sodomite suivi d’un Mahomet explosif…

Sale beauf, sale babtou

Les prétendus défenseurs de la « liberté d’expression » n’étaient en vérité rien d’autre que les défenseurs sectaires de l’expression libertaire, et ils étaient prêts à toutes les vilénies dès lors qu’il s’agissait de conspuer ce qui contrevenait à leur propre idéologie. Ce faisant, ils ne se rendaient même pas compte, ou si peu et si mal, qu’ils entretenaient précisément les clichés racistes mêmes qu’ils prétendaient par ailleurs combattre. Car enfin, quelle différence y a-t-il entre le « sale beauf » de Cabu et le « sale babtou » des réseaux sociaux et des banlieues? Les deux, dans les yeux de leurs adversaires, n’étaient somme toute rien d’autre que des « gros porcs »…

Le premier était seulement l’archétype matriciel du second dont il a (entre autres facteurs) favorisé l’apparition. Ainsi, les clichés anti-racistes de Charlie Hebdo ont accompagné et avalisé les clichés racistes des « cités », qui, on expliquera pourquoi plus loin, le lui ont bien rendu.

Crachoir de la gauche cléricale

Charlie Hebdo, c’était donc cela : une grande soupe relativiste où tout ce qui ne ressemblait pas à une exigence compassionnelle humanitariste très vaguement étayée par des postulats marxistes devenait immédiatement fasciste ; où tout ce qui ne s’apparentait pas aux mouvements du cœur de belles âmes nihilistes boboïsées apparaissait alors comme les prémisses d’une dictature… En vérité, cette contestation anarcho-nihiliste de tous les ordres en cachait bien un d’ordre : celui d’un pouvoir qui subventionnait le journal et sans lequel il aurait déjà eu disparu depuis beau temps. C’est qu’au fond, Charlie Hebdo incarnait les aspirations morales (moralement anti-morales devrait-on dire) de la génération 68 qui, embourgeoisée jusqu’à l’overdose, gardait comme un animal de compagnie attendrissant cette sorte de souvenir de sa fougue transgressive de jeunesse ; une « potiche » du pouvoir, ponctuellement utile pour victimiser le patriotisme, utile parfois aussi pour servir de caution de « tolérance » universaliste lorsqu’il s’agissait de prétendre défendre un humanisme dont on se demandait bien ce qu’il avait encore à voir avec celui de Pic de la Mirandole.

Ce qui a été tué, c’est donc l’animal de compagnie du système. Son caniche. Son fétiche aussi, son objet magique, une de ses innombrables cautions libertaires progressistes. Pas étonnant donc que le glas (l’ironie symbolique cache une évidence littérale) ait pu résonner pour lui. C’est qu’en effet Charlie Hebdo était bien le seuil d’une Eglise, ou du moins sa crypte : le lieu où la gauche cléricale entreposait ses trésors obscènes et vulgairement conformistes, l’auge où elle lançait ses crachats fatigués de vieux soixante-huitards lassés de vivre. Ils crachaient sur tout ce qui ressemble à de l’ordre, mais ce faisant promouvaient réellement un ordre : celui de l’individu détaché de tout et donc ré-ingurgité immédiatement par le dispositif technico-financier qui flatte ses intentions et ses projets.

Ce qui a été pulvérisé, c’est le temple-crachoir d’une gauche dont la revendication de liberté n’était que le cache-misère du mondialisme le plus aliénant.

Libéralisme du sens contre littéralisme du sens : le retour du négatif 

En attaquant Charlie Hebdo, les djihadistes n’ont donc pas attaqué la liberté d’expression. Ils ont attaqué par ordre sémantique d’importance : des personnes (les victimes objectives),  l’Etat – ou plutôt les derniers restes d’un Etat presqu’entièrement dominé par les forces internationales de la finance et du numérique (mais il s’agit tout de même d’une attaque contre les institutions de Justice et de Police) -, et enfin la théologie implicite qui sous-tend cet Etat moribond et le projet universaliste du progressisme libertaire : l’idée que l’individu n’est libre que lorsqu’il a la licence de vomir tout ce qui n’est pas lui, au point d’ailleurs de se faire, quand il le juge utile, le censeur de ses contradicteurs (Charlie Hebdo avait demandé l’interdiction du Front national).

Que signifie donc la mort de Charlie Hebdo ?

Que l’idéologie progressiste libertaire, alibi de l’ordre prométhéen mondialisé, est morte. Qu’à vouloir évacuer du réel tout ce qui nous dérange en lui, c’est le réel qui finit par nous évacuer. Que celui qui croit qu’il peut chasser de l’expérience, par simple décret arbitraire, tout ce qui contrarie ses desseins, se retrouve bientôt ravalé par ce que l’expérience contient de plus irréductible : la violence brute, aveugle, injuste. Charlie Hebdo voulait une vie de jouissance, sans attaches à quoi que ce soit d’autre que soi-même, Charlie Hebdo a été détruit de manière immanente par ce négatif qu’il s’efforçait à tout prix de nier : le littéralisme mahométan, soit la forme la plus brutale et la plus bête de la détermination historique. Ils ont moqué le beauf moustachu, ils ont eu le fanatique barbu. Ils ont promu la liberté en criminalisant tout ce qui n’était pas conforme à leur propre licence, ils ont eu l’aliénation effrayante et cruelle d’un jugement théocratique. Ils ont méprisé le patriotisme, leur mort révèle un mouvement du peuple français. Ils ont conchié l’Eglise, et c’est le glas de Notre-Dame de Paris qui a résonné pour eux. Bref, Charlie Hebdo qui meurt dans une explosion de contradictions, c’est la revanche de l’Histoire contre tous ceux qui pensaient en être sortis pour flotter sans but dans le non-lieu de leur quant-à-soi hédonisto-technoïde. Il est tragique que cette revanche passe ici par la vengeance d’une secte mahométane malfaisante et cruelle. Il était cependant inéluctable qu’un jour ou l’autre, ce nihilisme de l’individu rendu fou sans Dieu, rencontrât ce nihilisme de la secte des fous de Dieu…

Le littéralisme religieux le plus fou est la réponse la plus simple qu’a donné l’Histoire au libéralisme moral le plus bête.

Crise identitaire : ils sont Charlie et ils sont morts

Ce que révèle enfin cette défaite idéologique transparaît aussi dans la prolifération écœurante des « Je suis » (Charlie, Kouachi, Charles Martel, juif etc.). Cette inflation revendicatrice a au moins un mérite objectif : révéler que dans ce conflit interne au nihilisme, c’est bien l’identité qui est en jeu et rien d’autre. C’est bien d’être dont il s’agit dans l’élément de l’Histoire, toujours, tout le temps, partout. D’être, personnel, familial, collectif, national, civilisationnel. Ceux qui manifesteront dimanche, eux, ont choisi leur camp. Ils sont Charlie ? Ils excluent les patriotes et préviennent des dangers de l’islamophobie et du racisme au moment même où l’islam les détruit et déploie sa haine anti-occidentale ? Alors oui, cela est bien clair, ils sont Charlie, c’est-à-dire qu’ils sont déjà morts.

Ils n’ont rien compris, ils n’ont tiré aucune leçon, pas saisi que le libéralisme-libertaire et le fanatisme littéraliste sont les deux faces d’une même pièce : une culture de mort, morale, par l’atomisation individualiste, une culture de mort, physique, par le massacre aveugle. En proclamant qu’ils sont Charlie, ils prolongent la nuit de cette obscurité progressiste qui n’est que le contrepoint de l’obscurantisme mahométan. Ils contribuent, encore et toujours, à favoriser les conditions de développement du négatif qui pourtant les a presque déjà complètement détruits.

Notre être à nous, lui, est bien vivant, parce qu’il est français. Qu’il ne croit pas à la fable du progrès, au multiculturalisme, à la République abstraite, au mondialisme souriant. Ce qui sauve de l’affrontement de Charlie et de la charia, ce n’est pas Charlie. Lui a déjà perdu la bataille. L’imposture soixante-huitarde a pris fin il y a trois jours. Non, le nom qui sauve de ce conflit des nuits, c’est François. Parce que dans ce nom se loge l’héritage d’une nation, l’exigence d’une foi, la promesse d’une vie qui a déjà démontré par le passé qu’elle avait la noblesse rigoureuse d’un destin.

Réveil

Nos adversaires ont été extrêmement intelligents en commençant par tuer ceux qui collaboraient depuis des décennies à notre extinction. Car ce faisant, ils veulent que nous nous identifions encore plus à ceux qui, ici-même, nient que nous existions. La stratégie est limpide : provoquer par la stupeur du massacre un réflexe d’identification aux valeurs d’un organe qui, justement, s’évertue déjà à nous combattre de l’intérieur. A nous d’être plus déterminés et intelligents qu’eux. A nous de contredire cette secte mahométane en reconnaissant que Charlie, avec ses coups de crayons contre les « sales beaufs » préparait de fait les coups de couteaux contre les « sales babtous ». A nous d’assumer enfin que si la France survit à Charlie c’est justement parce qu’elle ne s’y est jamais réduite et qu’elle ne s’est jamais identifiée à lui.

Charlie est mort et ceux qui continuent de s’en revendiquer sont morts aussi. Les autres sont éveillés et vivants. Ils sont la France. Et ce sont eux qui gagneront la guerre qui advient.

Ulysse (Novopress, 11 janvier 2015)

lundi, 12 janvier 2015

Hommage à Bernard Maris, victime de la tuerie de « Charlie Hebdo »

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Hommage à Bernard Maris, victime de la tuerie de « Charlie Hebdo »

Par Robert Steuckers

Il existe des situations bizarres dans la vie. Ma belle-mère décède en pleine rue à Madrid le 29 décembre, plus exactement sur la Puerta del Sol, à quelques dizaines de mètres du célèbre et tendre petit ours de bronze appuyé sur son arbrisseau, dont il lèche les feuilles. Dare-dare nous devons, en cette fin d’année, trouver un billet d’avion pour la capitale espagnole : nous en trouvons in extremis mais au prix de devoir errer dans les rues de Charleroi pendant une journée entière, par un froid assez vif et trop humide. Avant Noël, mes pas m’avaient amené dans les Galeries de la Reine, à la Librairie Tropismes, où je voulais me procurer le livre d’un certain Bernard Maris, alias « Onc’ Bernard » dans les pages de Charlie Hebdo, consacré à Maurice Genevoix et Ernst Jünger (*). Dans la foulée, j’achète un autre volume dont le titre m’avait intrigué, suite à une brève recension sur le blog http://metapoinfos.hautetfort.com: Houellebecq économiste (**). Ce volume se retrouve dans ma poche pour le voyage à Madrid et je le lis d’une traite, tant il est merveilleusement écrit, d’une limpidité et d’une liquidité des plus agréables, sur les fauteuils d’un Irish Pub de Charleroi où j’ai siroté un Celtic Cider et devisé avec le garçon, a genuine Irishman, puis dans un tea room très sympathique de la gare, où une charmante jeune femme nous a servi un excellent thé vert et enfin sur un banc de l’aéroport. Houellebecq économiste est un bréviaire pour nous tous qui professons, depuis un célèbre discours de Guillaume Faye à Paris en 1979, que « l’économie n’est pas le destin ».

Maris voit en Houellebecq l’homme qui dénonce l’hégémonie contemporaine de l’économie, celles qui nous transforme en « asservis », en chiens pareils à celui qui converse avec le loup dans la fable de Lafontaine. L’économie, ajoute-t-il, condamne à « l’insatisfaction à perpétuité », car l’asservi ­ -dont l’asservissement est désormais le seul horizon-  reçoit en portions plus que congrues des salaires qui lui permettent à peine de survivre, de tenir la tête hors de l’eau. Les personnages de Houellebecq, qui finalement nous ressemblent tous, vivent la peur, qui découle de cette insatisfaction perpétuelle, vivent cette peur de ne pas survivre, et l’ont intériorisée, inhibant ainsi tous ces réflexes audacieux qui rendraient le monde plus fascinant. Comme les insatisfaits de la Belle Epoque, dont Arthur Moeller van den Bruck, Houellebecq espère l’avènement des poètes et des artistes, figures salvatrices dans un monde qui chavire dans le nihilisme, parce que l’homme a « droit à la beauté ». Et comme Orwell et Michéa, Houellebecq appelle à la common decency, celle qu’incarnait son propre père, apprenti dès l’âge de quatorze ans.

Maris était le gendre de Maurice Genevoix, le mari de sa fille Sylvie. C’est la raison qui l’a poussé à écrire un essai sublime sur les deux combattants de 1914-1918, en l’année du centenaire de ce carnage qui a ravagé l’Europe. Après la mort tragique de Maris à Paris, le 7 janvier 2015, j’ai pris en main cet ouvrage, en tant que « jüngerien » de longue date, de germaniste qui prépare encore et toujours quelques textes sur l’auteur des Falaises de marbre, plongé qu’il est dans les biographies captivantes de Schwilk, d’Ipema et d’autres. Les premières pages m’ont envahi d’une émotion indicible : Maris était un frère en esprit, un adolescent qui fréquentait à Toulouse Georges le bouquiniste qui ne conseillait que des bons livres aux gamins aventureux et inquiets qui venaient solliciter son savoir. Georges lui avait fait lire Jünger que Genevoix n’avait jamais abordé. Ce premier chapitre s’intitule « Nous qui lisions Ernst Jünger »…

Maris reçoit dans la grande presse banalisée, alignée, conformiste, l’étiquette facile de « gauche » parce qu’il oeuvrait à la rédaction de Charlie Hebdo. J’ai récolté l’étiquette de « droite » pour les mauvaises raisons que mes amis connaissent et qui font que je dois, dans les prochains jours, me « justifier » devant quelques affreux sbires d’une « Sotte Inquisition », expédié par une inculte. Les deux ouvrages que je viens de tenir entre les mains montrent, plus que jamais, que ce vocabulaire manichéen ne correspond à aucune réalité tangible.

Maris dit écrire depuis le bureau de feu Maurice Genevoix et relate aussi une conservation entre Sylvie Genevoix-Maris et Julien Gracq, ami de Jünger. De son bureau, hérité de l’auteur de La Dernière harde (un de mes cadeaux de communion solennelle), Maris voit couler lentement la Loire. Gracq vit aussi le long du fleuve tranquille, que j’ai admiré cet été, sur la route d’Espagne, encore malade et chancelant, appuyé sur une canne au pommeau argenté, captant d’un coup d’œil un magnifique échassier blanc. Encore une sensation commune, avec le dégoût de l’économisme, le jüngerisme indécrottable, les soirées littéraires des adolescents et des jeunes étudiants si semblables aux nôtres… Un frère en esprit, inconnu pour moi jusqu’au 30 décembre 2014, s’en est allé, un non-conformiste qui priait comme moi pour qu’advienne le règne des poètes et des artistes, le « Troisième Règne » de l’Esprit Saint de Joachim de Flore, de Dimitri Merejkovski et d’Arthur Moeller van den Bruck. Et assurément d’Ernst Jünger…

Robert Steuckers,

11 janvier 2015.

(*) Bernard Maris, Houellebecq économiste, Flammarion, Paris, 2014.

(**) Bernard Maris, L’homme dans la guerre – Maurice Genevoix face à Ernst Jünger, Grasset, 2013.

 

Géopolitique de l'espionnage...

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Géopolitique de l'espionnage...

par Dan Schiller

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue de Dan Schiller, cueilli sur le site du Monde diplomatique et consacré à la géopolitique de la surveillance sur les réseaux numériques. L'auteur est professeur en sciences de l'information à l'université de l'Illinois, aux Etats-Unis.

Géopolitique de l'espionnage

Les révélations sur les programmes d’espionnage menés par l’Agence nationale pour la sécurité (National Security Agency, NSA) ont entraîné « des changements fondamentaux et irréversibles dans beaucoup de pays et quantité de domaines (1) », souligne Glenn Greenwald, le journaliste du Guardian qui a rendu publiques les informations confidentielles que lui a fournies M. Edward Snowden. A l’automne 2013, la chancelière allemande Angela Merkel et la présidente du Brésil Dilma Rousseff se sont opposées à M. Barack Obama en condamnant les atteintes à la vie privée dont les Etats-Unis s’étaient rendus coupables — et dont elles avaient personnellement été victimes. L’Assemblée générale de l’Organisation des Nations unies (ONU) a adopté à l’unanimité une résolution reconnaissant comme un droit humain la protection des données privées sur Internet. Et, en juin 2014, le ministère de la justice américain, répondant à l’Union européenne, a promis de soumettre au Congrès une proposition de loi élargissant aux citoyens européens certains dispositifs de protection de la vie privée dont bénéficient les citoyens américains.

Mais, pour pleinement apprécier l’étendue du retentissement international de l’affaire Snowden, il faut élargir la focale au-delà des infractions commises contre le droit, et examiner l’impact que ces révélations ont sur les forces économiques et politiques mondiales, structurées autour des Etats-Unis.

Tout d’abord, l’espionnage — l’une des fonctions de la NSA — fait partie intégrante du pouvoir militaire américain. Depuis 2010, le directeur de la NSA est également chargé des opérations numériques offensives, en tant que commandant du Cyber Command de l’armée : les deux organismes relèvent du ministère de la défense. « Les Etats-Unis pourraient utiliser des cyberarmes (...) dans le cadre d’opérations militaires ordinaires, au même titre que des missiles de croisière ou des drones », explique dans le New York Times (20 juin 2014) l’amiral Michael S. Rogers, récemment nommé à ce double poste.

Ensuite, ce dispositif militaire s’inscrit dans un cadre bien plus large, celui des alliances stratégiques nouées par les Etats-Unis. Depuis 1948, l’accord United Kingdom-United States Communications Intelligence Agreement (Ukusa) constitue le cœur des programmes de surveillance des communications mondiales. Dans ce traité, les Etats-Unis sont nommés « partie première » (first party) et la NSA est spécifiquement reconnue comme la « partie principale » (dominant party). Le Royaume-Uni, le Canada, l’Australie et la Nouvelle-Zélande représentent les « parties secondaires » (second parties). Chacun de ces pays, outre qu’il s’engage à assurer la surveillance des communications dans une région donnée, à partager ses infrastructures avec les Etats-Unis et à mener des opérations communes avec eux, peut accéder aux renseignements collectés selon des modalités fixées par Washington (2).

Les pays de l’Ukusa — les five eyes cinq yeux »), comme on les appelle parfois — collaboraient dans le cadre de la guerre froide. L’Union soviétique représentait le principal adversaire. Mais, face aux avancées des mouvements anticoloniaux, anti-impérialistes et même anticapitalistes en Asie, en Afrique et en Amérique latine, les Etats-Unis ont étendu leurs capacités de collecte de renseignement à l’échelle mondiale. Les alliances ayant fondé ce système dépassent donc largement le cercle des premiers signataires. Par exemple, à l’est et à l’ouest de l’Union soviétique, le Japon et l’Allemagne comptent parmi les « parties tierces » (third parties) du traité. On notera que, à la suite des révélations de M. Snowden, Mme Merkel a demandé aux Etats-Unis de partager les renseignements dont ils disposent avec l’Allemagne, selon des conditions similaires à celles dont bénéficient les « parties secondaires ». L’administration Obama lui a opposé une fin de non-recevoir.

L’industrie privée du renseignement public

Au fil du temps, les membres ayant le statut de « parties tierces » ont évolué ; mais tous disposent d’un accès restreint aux renseignements collectés. Ce fut, pendant un temps, le cas de l’Iran, bien situé pour observer le sud de l’Union soviétique. Après la révolution de 1979, les Etats-Unis durent trouver une solution de remplacement. Ils institutionnalisèrent alors leurs liens avec la République populaire de Chine, avec laquelle les relations s’étaient améliorées depuis la visite secrète de M.Henry Kissinger en avril 1970. La province du Xinjiang apparaissait comme un endroit commode pour espionner les Russes : Deng Xiaoping, le grand artisan de l’ouverture de la Chine à l’économie de marché, autorisa la Central Intelligence Agency (CIA) à construire deux postes de surveillance, à condition qu’ils soient tenus par des techniciens chinois. Opérationnels à partir de 1981, ils fonctionnèrent au moins jusqu’au milieu des années 1990.

Puisque aucun Etat ne possède de réseau d’espionnage aussi étendu que celui des Etats-Unis, l’argument selon lequel « tous les pays font la même chose » ne tient pas la route. Des satellites, dans les années 1950, jusqu’aux infrastructures numériques, les Etats-Unis ont modernisé leurs systèmes de surveillance globale à plusieurs reprises. Toutefois, depuis le début des années 1990 et la chute des régimes communistes, la surveillance a aussi changé de fonction. Elle vise toujours à combattre les menaces, actuelles ou futures, qui pèsent sur une économie mondiale construite autour des intérêts américains. Mais ces menaces se sont diversifiées : acteurs non étatiques, pays moins développés bien déterminés à se faire une meilleure place dans l’économie mondiale ou, au contraire, pays désireux de s’engager sur d’autres voies de développement ; et — c’est essentiel — autres pays capitalistes développés.

Pour clarifier ce déplacement stratégique, il faut souligner un aspect économique du système de renseignement américain directement lié au capitalisme numérique. Ces dernières décennies ont vu se développer une industrie de la cyberguerre, de la collecte et de l’analyse de données, qui n’a de comptes à rendre à personne et dont fait partie l’ancien employeur de M. Snowden, l’entreprise Booz Allen Hamilton. En d’autres termes, avec les privatisations massives, l’« externalisation du renseignement » s’est banalisée. Ainsi, ce qui était de longue date une fonction régalienne est devenu une vaste entreprise menée conjointement par l’Etat et les milieux d’affaires. Comme l’a démontré M. Snowden, le complexe de surveillance américain est désormais rattaché au cœur de l’industrie du Net.

Il y a de solides raisons de penser que des entreprises de la Silicon Valley ont participé de façon systématique, et pour la plupart sur un mode confraternel, à certains volets d’une opération top secret de la NSA baptisée « Enduring Security Framework », ou Cadre de sécurité durable (3). En 1989 déjà, un expert des communications militaires se félicitait des « liens étroits entretenus par les compagnies américaines (...) avec les hautes instances de la sécurité nationale américaine », parce que les compagnies en question « facilitaient l’accès de la NSA au trafic international » (4). Vingt-cinq ans plus tard, cette relation structurelle demeure. Bien que les intérêts de ces entreprises ne se confondent vraisemblablement pas avec ceux du gouvernement américain, les principales compagnies informatiques constituent des partenaires indispensables pour Washington. « La majorité des entreprises qui permettent depuis longtemps à l’Agence d’être à la pointe de la technologie et d’avoir une portée globale travaillent encore avec elle », a ainsi reconnu le directeur de la NSA en juin 2014 dans le New York Times.

Contre toute évidence, Google, Facebook et consorts nient leur implication et feignent l’indignation. Une réaction logique : ces entreprises ont bâti leur fortune sur l’espionnage à grande échelle dans un but commercial — pour leur propre compte comme pour celui de leurs soutiens financiers, les grandes agences de publicité et de marketing.

La collecte, massive et concertée, de données par les grandes entreprises n’est pas un fait naturel. Il a fallu la rendre possible, notamment en transformant l’architecture initiale d’Internet. Dans les années 1990, alors que le World Wide Web commençait tout juste à s’immiscer dans la vie sociale et culturelle, les entreprises informatiques et les publicitaires ont fait du lobbying auprès de l’administration Clinton pour réduire la protection de la vie privée au strict minimum. Ainsi, ils ont pu modifier le Net de façon à surveiller ses utilisateurs à des fins commerciales. Rejetant les initiatives de protection des données, fussent-elles timides, réseaux sociaux, moteurs de recherche, fournisseurs d’accès et publicitaires continuent d’exiger une intégration plus poussée de la surveillance commerciale à Internet — c’est la raison pour laquelle ils promeuvent le passage à l’informatique « en nuage » (cloud service computing). Quelques milliers d’entreprises géantes ont acquis le pouvoir d’accaparer les informations de la population du monde entier, du berceau à la tombe, à toute heure de la journée. Comme l’explique le chercheur Evgeny Morozov, les stratégies de profit de ces entreprises reposent explicitement sur les données de leurs utilisateurs. Elles constituent, selon les mots du fondateur de WikiLeaks, M. Julian Assange, des « moteurs de surveillance (5) ».

Ces stratégies de profit deviennent la base du développement du capitalisme numérique. La dynamique d’appropriation des données personnelles électroniques se renforce puissamment sous l’effet d’une double pression, économique et politique. Pour cette raison même, elle s’expose à une double vulnérabilité, mise en lumière par les révélations de M. Snowden.

En mai 2014, la Cour européenne de justice a estimé que les individus avaient le droit de demander le retrait des résultats de recherches renvoyant à des données personnelles « inadéquates, dénuées de pertinence ou obsolètes ». Dans les quatre jours qui ont suivi ce jugement, Google a reçu quarante et une mille requêtes fondées sur ce « droit à l’oubli ». Plus révélateur encore, en juin 2014, 87 % des quinze mille personnes interrogées dans quinze pays par le cabinet de relations publiques Edelman Berland se sont accordées à dire que la loi devrait « interdire aux entreprises d’acheter et de vendre des données sans le consentement » des personnes concernées. Les mêmes sondés considéraient que la principale menace pesant sur la protection de la vie privée sur Internet résidait dans le fait que les entreprises pouvaient « utiliser, échanger ou vendre à [leur] insu [leurs] données personnelles pour en retirer un gain financier ». Pour endiguer le mécontentement, la Maison Blanche a publié un rapport recommandant aux entreprises de limiter l’usage qu’elles font des données de leurs clients. Malgré cela, l’administration Obama demeure inébranlable dans son soutien aux multinationales : « Les big data seront un moteur historique du progrès (6) », a martelé un communiqué officiel en juin 2014.

Revivifier la contestation

Le rejet de la domination des intérêts économiques et étatiques américains sur le capitalisme numérique n’est pas seulement perceptible dans les sondages d’opinion. Pour ceux qui cherchent depuis longtemps à croiser le fer avec les compagnies américaines, les révélations de M.Snowden constituent une aubaine inespérée. En témoigne l’extraordinaire « Lettre ouverte à Eric Schmidt » (président-directeur général de Google) écrite par l’un des plus gros éditeurs européens, M. Mathias Döpfner, du groupe Axel Springer. Il y accuse Google, qui détient 60 % du marché de la publicité en ligne en Allemagne, de vouloir devenir un « super-Etat numérique » n’ayant plus de comptes à rendre à personne. En expliquant que l’Europe reste une force « sclérosée » dans ce domaine essentiel, M. Döpfner cherche bien sûr à promouvoir les intérêts des entreprises allemandes (Frankfurter Allgemeine Feuilleton, 17 avril 2014).

La stagnation chronique de l’économie mondiale exacerbe encore la bataille menée par les grandes entreprises et l’Etat pour accaparer les profits. D’un côté, les fournisseurs d’accès à Internet et les grandes entreprises forment la garde prétorienne d’un capitalisme numérique centré sur les Etats-Unis. A elle seule, la société Microsoft utilise plus d’un million d’ordinateurs dans plus de quarante pays pour fournir ses services à partir d’une centaine de centres de données. Android et IOS, les systèmes d’exploitation respectifs de Google et d’Apple, équipaient à eux deux 96 % des smartphones vendus dans le monde au deuxième trimestre 2014. De l’autre côté, l’Europe affiche de piètres performances : elle ne domine plus le marché des téléphones portables, et Galileo, son projet de géolocalisation par satellite, connaît de nombreux déboires et retards.

Le capitalisme numérique fondé sur Internet impressionne par son ampleur, son dynamisme et ses perspectives de profit, comme le montrent non pas seulement l’industrie directement liée à Internet, mais des domaines aussi différents que la construction automobile, les services médicaux, l’éducation et la finance. Quelles entreprises, implantées dans quelles régions, accapareront les profits afférents ?

Sur ce plan, l’affaire Snowden agit comme un élément perturbateur, puisqu’elle revivifie la contestation de la cyberdomination américaine. Dans les semaines qui ont suivi les premières révélations, les spéculations sont allées bon train quant à l’influence qu’auraient les documents publiés par M. Snowden sur les ventes internationales des compagnies américaines de nouvelles technologies. En mai 2014, le président-directeur général de l’équipementier informatique Cisco a par exemple écrit au président Obama pour l’avertir du fait que le scandale de la NSA minait « la confiance dans notre industrie et dans la capacité des sociétés technologiques à vendre leurs produits dans le monde » (Financial Times, 19 mai 2014).

Pour les entreprises informatiques, la menace provenant du monde politique se précise. Certains Etats, invoquant les révélations de M. Snowden, réorientent leur politique économique. Le Brésil et l’Allemagne envisagent la possibilité de n’autoriser que les fournisseurs nationaux à conserver les données de leurs citoyens — une mesure déjà en vigueur en Russie. En juin dernier, le gouvernement allemand a mis un terme au contrat qui l’unissait de longue date à la compagnie américaine Verizon, au profit de Deutsche Telekom. Un dirigeant chrétien-démocrate a déclaré pour sa part que le personnel politique et diplomatique allemand ferait mieux de revenir à la machine à écrire pour tous les documents sensibles. Le Brésil et l’Union européenne, qui prévoient de construire un nouveau réseau de télécommunications sous-marin pour que leurs communications intercontinentales n’aient plus à dépendre des infrastructures américaines, ont confié cette tâche à des entreprises brésilienne et espagnole. De la même façon, Brasília a évoqué l’abandon d’Outlook, le service de messagerie de Microsoft, au profit d’un système utilisant des centres de données implantés sur son territoire.

Bataille pour la régulation d’Internet

Cet automne, les représailles économiques contre les entreprises informatiques américaines se poursuivent. L’Allemagne a interdit l’application de partage de taxis Uber ; en Chine, le gouvernement a expliqué que les équipements et services informatiques américains représentaient une menace pour la sécurité nationale et demandé aux entreprises d’Etat de ne plus y recourir.

Pris à contre-pied, les géants américains du numérique ne se contentent pas d’une offensive de relations publiques. Ils réorganisent leurs activités pour montrer à leurs clients qu’ils respectent les législations locales en matière de protection des données. IBM prévoit ainsi d’investir 1 milliard de dollars pour bâtir des centres de données à l’étranger, dans l’espoir de rassurer ses clients inquiets de l’espionnage américain. Il n’est pas certain que cela suffise à apaiser les craintes, alors que Washington demande à Microsoft de transmettre les courriers électroniques stockés sur ses serveurs installés en Irlande...

Mais que l’on ne s’y trompe pas : le but des autorités américaines demeure l’élargissement des avantages offerts à leurs multinationales informatiques. En mai 2014, le ministre de la justice américain a porté plainte contre cinq officiers de l’armée chinoise pour cyberespionnage commercial, en arguant que la Chine se livrait à des tactiques de concurrence ouvertement illégales. Toutefois, et de manière significative, le Financial Times a révélé que cette plainte déposée par les champions de l’espionnage suscitait l’émoi dans l’industrie allemande, « où l’on s’inquiète de vols de la propriété intellectuelle » (22 mai 2014). Etait-ce l’effet que les responsables américains cherchaient à produire ?

Pourquoi les Etats-Unis ont-ils attendu ce moment précis pour passer à l’action ? Depuis des années, ils accusent la Chine de lancer des cyberattaques contre leurs entreprises — alors qu’eux-mêmes piratent les routeurs et l’équipement Internet d’une compagnie chinoise concurrente, Huawei... Une motivation, d’ordre politique, transparaît : en cette année d’élections de mi-mandat, l’exécutif démocrate entend faire de la Chine un prédateur qui détruit les emplois américains en pillant la propriété intellectuelle. Et, dans le même temps, cette mise en cause publique de Pékin souligne subtilement qu’entre alliés le statu quo — un capitalisme numérique dominé par les Etats-Unis — reste la meilleure option.

Nous touchons là au cœur du problème. Selon ses dires, M. Snowden espérait que ses révélations « seraient un appui nécessaire pour bâtir un Internet plus égalitaire (7) ». Il voulait non seulement déclencher un débat sur la surveillance et le droit à la vie privée, mais aussi influencer la controverse sur les déséquilibres inhérents à l’infrastructure d’Internet.

Dans sa construction même, Internet a toujours avantagé les Etats-Unis. Une opposition, internationale mais sporadique, s’est fait entendre dès les années 1990. Elle s’est intensifiée entre 2003 et 2005, lors des sommets mondiaux sur la société de l’information, puis de nouveau en 2012, lors d’une rencontre multilatérale organisée par l’Union internationale des télécommunications. Les révélations de M.Snowden exacerbent ce conflit sur la « gouvernance mondiale d’Internet » (8). Elles affaiblissent la « capacité de Washington à orienter le débat sur l’avenir d’Internet », explique le Financial Times, citant un ancien responsable du gouvernement américain pour qui « les Etats-Unis n’ont plus l’autorité morale leur permettant de parler d’un Internet libre et ouvert » (21 avril 2014).

Après que la présidente Rousseff eut condamné les infractions commises par la NSA devant l’Assemblée générale de l’ONU en septembre 2013, le Brésil a annoncé la tenue d’une rencontre internationale pour examiner les politiques institutionnelles définies par les Etats-Unis concernant Internet : le « NETmundial, réunion multipartite mondiale sur la gouvernance d’Internet », s’est tenu à São Palo en avril 2014 et a réuni pas moins de cent quatre-vingts participants, des représentants de gouvernements, des entreprises et des associations.

Les Etats-Unis ont tenté de contrecarrer cette initiative : quelques semaines avant le rassemblement, ils ont promis, non sans poser plusieurs conditions importantes, d’abandonner leur rôle de supervision formelle de l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann), l’organisme qui administre certaines des fonctions vitales du réseau. L’opération a réussi. A l’issue du NETmundial, la Software and Information Industry Association (SIIA), établie aux Etats-Unis, s’est félicitée : « Les propos tenus sur la surveillance sont restés mesurés », et « cette rencontre n’a pas donné la part belle à ceux qui privilégient un contrôle intergouvernemental d’Internet, c’est-à-dire placé sous l’égide des Nations unies (9) ».

En dernière analyse, ce sont les conflits économico-géopolitiques et les réalignements naissants qui ont déterminé l’issue de la rencontre de São Paulo. Si le Brésil a rejoint le giron américain, la Russie ainsi que Cuba ont refusé de signer la résolution finale et souligné que le discours des Etats-Unis sur la « liberté d’Internet » sonnait désormais creux ; la délégation indienne s’est déclarée insatisfaite, ajoutant qu’elle ne donnerait son accord qu’après consultation de son gouvernement ; et la Chine est revenue à la charge, dénonçant la « cyberhégémonie » américaine (China Daily, 21 mai 2014). Cette opinion gagne du terrain. A la suite du NETmundial, le groupe des 77 plus la Chine a appelé les entités intergouvernementales à « discuter et examiner l’usage des technologies de l’information et de la communication pour s’assurer de leur entière conformité au droit international (10) », et exigé que soit mis un terme à la surveillance de masse extraterritoriale.

Ainsi, le conflit structurel sur la forme et la domination du capitalisme numérique s’accentue. Bien que la coalition disparate liguée contre le pouvoir et les grandes entreprises de la Silicon Valley ait pris une certaine ampleur, ces derniers restent déterminés à préserver leur hégémonie mondiale. Selon M. Kissinger, avocat notoire de la suprématie des Etats-Unis, les Américains doivent se demander : que cherchons-nous à empêcher, quel qu’en soit le prix, et tout seuls si nécessaire ? Que devons-nous chercher à accomplir, fût-ce en dehors de tout cadre multilatéral ? Fort heureusement, les Etats, les multinationales et leurs zélateurs ne constituent pas les seuls acteurs politiques. Soyons reconnaissants à M. Snowden de nous l’avoir rappelé.

Dan Schiller (Le Monde diplomatique, novembre 2014)

Notes :

 

(1) Glenn Greenwald, Nulle part où se cacher, JC Lattès, Paris, 2014.

(2) Cf. Jeffrey T. Richelson et Desmond Ball, The Ties That Bind : Intelligence Cooperation Between the Ukusa Countries, Allen & Unwin, Boston, 1985, et Jeffrey T. Richelson, The US Intelligence Community, Westview, Boulder, 2008. Lire Philippe Rivière, « Le système Echelon », Le Monde diplomatique, juillet 1999.

(3) Cf. Barton Gellman et Laura Poitras, « Codename Prism : Secret government program mines data from nine US Internet companies, including photographs, emails and more », The Washington Post, 6 juin 2013 ; Jason Leopold, « Emails reveal close Google relationship with NSA », Al Jazeera America, 6 mai 2014 ; et Andrew Clement, « NSA surveillance : Exploring the geographies of Internet interception » (PDF), conférence à l’université Humboldt, Berlin, 6 mars 2014.

(4) Ashton B. Carter, « Telecommunications policy and US national security », dans Robert W. Crandall et Kenneth Flamm (sous la dir. de), Changing the Rules, Brookings, Washington, DC, 1989.

(5) Lire Evgeny Morozov, « De l’utopie numérique au choc social », Le Monde diplomatique, août 2014. Cf. Julian Assange, Cypherpunks : Freedom and the Future of the Internet, OR Books, New York, 2012.

(6) « Big data : Seizing opportunities, preserving values » (PDF), Maison Blanche, Washington, DC, mai 2014.

(7) Cité par Glenn Greenwald, op. cit.

(8) Lire « Qui gouvernera Internet ? », Le Monde diplomatique, février 2013.

(10) « Declaration of Santa Cruz : For a new world order for living well », 17 juin 2014. Créé en 1964, le groupe des 77 réunit au sein de l’Organisation des Nations unies des pays en développement soucieux de promouvoir des intérêts économico-diplomatiques communs.

Charlie Hebdo and Tsarnaev’s Trial: Cui bono?

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Charlie Hebdo and Tsarnaev’s Trial: Cui bono?

Paul Craig Roberts

Ex: http://www.paulcraigroberts.org

UPDATE: Well known writers Thierry Meyssan and Kevin Barrett see the “terrorist” attach on Charlie Hebdo as a false flag attack. See http://www.voltairenet.org/article186441.html and http://presstv.com/Detail/2015/01/10/392426/Planted-ID-card-exposes-Paris-false-flag

Update: According to news reports, one of the accused in the attack on Charlie Hebdo when hearing
that he was being sought for the crime turned himself in to police with an ironclad alibi.

https://www.intellihub.com/18-year-old-charlie-hebdo-suspect-surrenders-police-claims-alibi/

UPDATE: According to news reports, police found the ID of Said Kouachi at the scene of the Charlie Hebdo shooting. Does this sound familiar? Remember, authorities claimed to have found the undamaged passport of one of the alleged 9/11 hijackers among the massive pulverized ruins of the twin towers. Once the authorities discover that the stupid Western peoples will believe any transparent lie, the authorities use the lie again and again. The police claim to have discovered a dropped ID is a sure indication that the attack on Charlie Hebdo was an inside job and that people identified by NSA as hostile to the Western wars against Muslims are going to be framed for an inside job designed to pull France firmly back under Washington’s thumb. http://www.wfmz.com/shooting-at-french-satirical-magazine-office/30571524

There are two ways to look at the alleged terrorist attack on the French satirical magazine Charlie Hebdo.

One is that in the English speaking world, or much of it, the satire would have been regarded as “hate speech,” and the satirists arrested. But in France Muslims are excluded from the privileged category, took offense at the satire, and retaliated.

Why would Muslims bother? By now Muslims must be accustomed to Western hypocrisy and double standards. Little doubt that Muslims are angry that they do not enjoy the protections other minorities receive, but why retaliate for satire but not for France’s participation in Washington’s wars against Muslims in which hundreds of thousands have died? Isn’t being killed more serious than being satirized?

Another way of seeing the attack is as an attack designed to shore up France’s vassal status to Washington. The suspects can be both guilty and patsies. Just remember all the terrorist plots created by the FBI that served to make the terrorism threat real to Americans. http://reason.com/blog/2014/07/22/human-rights-watch-all-of-the-high-profi

France is suffering from the Washington-imposed sanctions against Russia. Shipyards are impacted from being unable to deliver Russian orders due to France’s vassalage status to Washington, and other aspects of the French economy are being adversely impacted by sanctions that Washington forced its NATO puppet states to apply to Russia.

This week the French president said that the sanctions against Russia should end (so did the German vice-chancellor).

This is too much foreign policy independence on France’s part for Washington. Has Washington resurrected “Operation Gladio,” which consisted of CIA bombing attacks against Europeans during the post-WW II era that Washington blamed on communists and used to destroy communist influence in European elections? Just as the world was led to believe that communists were behind Operation Gladio’s terrorist attacks, Muslims are blamed for the attacks on the French satirical magazine.

The Roman question is always: Who benefits? The answer is: Not France, not Muslims, but US world hegemony. US hegemony over the world is what the CIA supports. US world hegemony is the neoconservative-imposed foreign policy of the US.

According to National Public Radio, Charlie Hebdo is about free speech. The US has free speech, claim NPR’s pundits, but terrorists have taken it away from the French.

Just how does the US have free speech when NY Times reporter James Risen was psychologically put on the rack to force him to reveal his source, despite the fact that Risen and his source are protected by the US Constitution and whistleblower protections. Clearly, in the US “national security” has trumped everything else.

“National security” has nothing to do with national security. It has only to do with protecting the criminals in the US government from accountability for their crimes. Every time you hear Washington invoke “national security,” you know for a 100% fact that the government has committed yet another crime. National security is the cloak for Washington’s criminal operations. “National security” prevents the government’s crimes from coming to light and, thereby, protects government from accountability.

One wonders what role “national security” will play in the trial of alleged Boston Marathon Bomber Dzhokhar Tsarnaev. Tsarnaev has been in custody since April 2013 and under indictment since April 22, 2013. Yet jury selection is only now beginning in January 2015. Why this long delay? The guarantee of a speedy trial no longer means anything, but with all sorts of charges in addition to the bombing for which the government claims eye witnesses and confessions and with the Tsarnaev brothers already convicted in the media, the long delay is a puzzle. Yet, we have not heard from Dzhokhar Tsarnaey himself. It is difficult to push away the thought that Dzhokhar’s trial has been delayed in order to compete his conditioning and acceptance of his guilt and in order for the many questions raised by alternative media to be forgotten.

The print and TV media have dished up the government’s explanation without investigation. However, the alternative media have taken great exception to every aspect of the case. As the US government has taught us since the Clinton regime, the safest assumption is that everything the government says is a lie.

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The most suspicious aspect of the event was the speed with which an army of 10,000 heavily armed troops consisting of police from various jurisdictions and National Guard soldiers outfitted in military gear and provided with tanks or armored personnel carriers were on the streets of Boston. Never before has such a massive force equipped with military heavy equipment been employed in a manhunt, much less for one wounded, unarmed, 19-year old kid.

For such a force to be assembled and deployed so quickly suggests pre-planning. What was presented as a manhunt for one badly wounded suspect looks more like a test case and precedent for locking down one of America’s largest cities, while squads of troops evicted US citizens from their homes at gunpoint and conducted indiscriminate searches of houses that contributed nothing to apprehending the alleged suspect. The chances are zero that any household would have harbored a badly wounded unarmed fugitive dying from the lack of medical care.

Not only was Boston and its suburbs locked down, the Federal Aviation Administration restricted airspace over Boston and issued a “ground stop” for Logan airport. Why?

Several other cities in Massachusetts and even some other states put their police forces on alert. Why?

On the scene were the FBI, the Bureau of Alcohol, Tobacco Firearms and Explosives, the CIA, the Drug Enforcement Administration, the National Counterterrorism Center. The US Attorney General committed the full resources of the US Department of Justice.
Why?

The only plausible answer is to raise the fear level in order to gain the public’s acceptance of the lockdown of Boston and police invasions of citizens’ homes. It makes no sense that danger from a badly wounded unarmed 19 year-old could possibly justify such expense and trampling of constitutional rights of citizens.

A non-gullible person must wonder if the bombing was an orchestrated event for the purpose of coordinating state, local, and federal governments in the lockdown of a major city. A poll of Bostonians last July found that 42 percent harbored doubts about the official version of events. http://www.globalresearch.ca/four-in-ten-bostonians-skeptical-of-official-marathon-bombing-account/5390848

The gullible always say that if a conspiracy existed someone would have talked. But people do talk. It just doesn’t do any good. For example, during George W. Bush’s first term a NSA whistleblower leaked to the New York Times that the NSA was bypassing the FISA Court and spying on American citizens without warrants. Under US law, NSA was in a conspiracy with the Bush regime to commit serious felonies (possibly for the purpose of blackmail), but the New York Times spiked the story for one year until George W. Bush was re-elected and the regime had time to ex post facto legalize the felonies.

Operation Gladio was a conspiracy kept secret for decades until a President of Italy revealed it.

The Northwoods Project was kept secret until years afterward when the second Kennedy Commission revealed it.

More than one hundred first responder police and firemen report hearing and personally experiencing multiple explosions floor by floor and even in the sub-basements of the World Trade Center twin towers, and these testimonies had no effect whatsoever.

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It only took one high school physics professor to shoot down NIST’s account of the collapse of WTC 7. The fact that it has been conclusively proven that this building was brought down by controlled demolition has had no effect on the official story.

The co-chairmen and legal counsel of the 9/11 Commission published books in which they say that information was withheld from the Commission, that the US Military lied to the Commission, and that the Commission “was set up to fail.” Neither Congress, the media, nor the US public had any interest in investigating why information was withheld, why the military lied, and why the Commission was set up to fail. These extraordinary statements by the leaders of the official investigation had no impact whatsoever.

Even today a majority of the US population believes Washington’s propaganda that Russia invaded Ukraine and annexed some provinces. Neither judgement nor intelligence are strongpoints of the American public and juries.

Government tells Americans whatever story the government puts together and sits and laughs at the gullibility of the public.

Today the US public is divided between those who rely on the “mainstream media” and those who rely on the alternative Internet media. Only the latter have any clue as to what is really happening.

The stories of Charlie Hebdo and the Tsarnaev brothers will be based not on facts but on the interests of government. As in the past, the government’s interest will prevail over the facts.

 

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Dr. Paul Craig Roberts was Assistant Secretary of the Treasury for Economic Policy and associate editor of the Wall Street Journal. He was columnist for Business Week, Scripps Howard News Service, and Creators Syndicate. He has had many university appointments. His internet columns have attracted a worldwide following. Roberts' latest books are The Failure of Laissez Faire Capitalism and Economic Dissolution of the West and How America Was Lost.

Stratégie islamiste ou stratégie mondialiste?

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LES ATTENTATS : STRATÉGIE DU CHAOS, STRATÉGIE DE LA TENSION
 
Stratégie islamiste ou stratégie mondialiste?

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr
Au cœur de l'indignation et de l'émotion devant la tuerie de Charlie Hebdo, les Français oublient que François Hollande a fourni des armes aux terroristes en Syrie, que Nicolas Sarkozy a abattu froidement le colonel Kadhafi et qu'en Centrafrique par des décisions opérationnelles irrationnelles, elle laisse le champ libre aux extrémistes antichrétien du Séléka

La France a choisi aussi son camp en Ukraine et on aura noté au passage le silence des médias autour des réactions de la Fédération de Russie et de son Président Vladimir Poutine qui a pourtant exprimé ses vives condoléances au peuple français suite à l'attaque terroriste contre le journal satirique. Pas un mot alors que la Russie a toujours été présente, en particulier en Tchétchénie dans la lutte contre le terrorisme islamique. La République islamique d'Iran a elle-aussi condamné fermement l'attentat par la voix de son porte-parole du Ministère des Affaires étrangères, Marzie Afjam. Il a aussi décrit comme  « inacceptable » toute forme d'abus de la liberté d'expression et dénoncé le radicalisme intellectuel d'où qu'il vienne puis l'Iran a ajouté qu'on peut parler dans la lutte contre le terrorisme des « double standards », de « double langage », de « deux poids deux mesures » de la politique américaine sans nommer directement son plus fidèle allié : la France.

Il y a quelques mois dans un entretien au journal français Vingt Minutes, François Hollande se vantait d'avoir livré une cargaison d'armes aux rebelles intégristes de Syrie qu'il considérait alors comme des combattants révolutionnaires. Or, par un tel soutien logistique, la France violait la Résolution 2170 du Conseil de Sécurité des Nations Unies sur la lutte contre le terrorisme. Tout le monde le sait maintenant : des groupes islamistes rivaux sont armés et généreusement financés par les Etats-Unis, la France et ses partisans contradictoires (Royaume-Uni, Arabie saoudite, Qatar, Turquie, Israël).

L'opération de Charlie Hebdo est une opération militaire de professionnels. Elle vise indéniablement à déstabiliser la France, maillon le plus faible du cadre européen actuel. La France réunit les conditions de la guerre civile par la désorganisation de ses services publics, en particulier sécuritaires, planifiée et orchestrée depuis des mois par une habile politique d'austérité et de réduction des effectifs engagée par Nicolas Sarkozy, par le clivage de sa vie politique, l'intolérance de ses débats intellectuels joint au dépassement des seuils démographiques tolérables dans la composition de ses quartiers. Cette opération commando vise donc clairement à encourager le début d'une telle guerre civile. Bernard-Henri Lévy a insisté hier : « l’Union Nationale c’est le contraire de la France aux Français ». Serait-ce donc cela ?

Il s'agit de toutes évidences de transposer un conflit international en interne et de creuser un fossé entre les musulmans français et les Français non-musulmans. Il nous faut dès lors considérer l'événement non comme une menace contre la liberté de la presse mais comme le premier épisode d'un processus en cours de création d'une situation de guerre civile et en ce sens comme Michel Onfray, on peut en effet parler au sens fort du terme d'un « onze septembre français », mais au sens bien sûr que la version officielle du 11 septembre 2011 est fausse et manipulée.
 
Il  faut donc nous rappeler quelques stratégies actuelles ou passées comme :
- la stratégie du chaos et de la tension de l'opération otannienne Gladio .
- la stratégie définie par les Frères Musulmans.
- la stratégie du « choc des civilisations ».

Nous ne reviendrons pas dans le détail sur les deux premières stratégies. Précisons seulement que pour les Frères Musulmans, il ne s'agit en aucune façon de prêcher ou de provoquer une guerre civile dans l'Occident, mais, au contraire, de déclencher une guerre civile en Orient.

Au contraire, pour Bernard Lewis, le penseur de la stratégie du « choc des civilisations », la fracture doit être portée à l'intérieur des frontières occidentales ou sur ces territoires limes. Cette stratégie a ensuite été vulgarisée par Samuel Huntington, en se présentant non pas comme une stratégie de conquête mais comme une politique de défense, de victimisation occidentale qui pourrait se produire pour consolider l'Etat d'exception. Le but est bien sûr de convaincre les populations des pays membres de l'OTAN qu'une confrontation civilisationelle est inévitable pour asseoir définitivement le modèle libéral et le système anglo-saxon de la « paix démocratique ». Avant la grande confrontation, il importe de justifier par le chaos et la déstabilisation intérieure le caractère préventif de mesures d'exception liberticides et de gouvernance mondiale économique absolument nécessaires pour réaliser le pouvoir mondial comme les Patriot Act. 
 

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C'est la rhétorique de la  « guerre juste » de la « guerre  contre le terrorisme », la guerre contre le terrorisme n'étant en réalité qu'une guerre contre la Tradition qu'elle soit musulmane ou orthodoxe, la guerre contre les cultures enracinées. Il y a aujourd'hui une abondante littérature sur cette stratégie qui correspond en gros à la position des néo-conservateurs américains à Washington, des militants sionistes en Israël, des nouveaux faucons socialo-libéraux en Europe (Hollande, Sarkozy, Juppé).
 
Qu'est-ce donc que l'islamisme ou le terrorisme islamisme ? 

C'est d'abord et avant tout une arme de guerre psychologique que l'hyper-empire américain utilise depuis le 11 septembre pour enclencher le plus souvent de nouveaux scénarios de conflit : soit l'invasion de pays, soit le renversement de gouvernements dans les pays arabo-musulmans (cas par exemple de la Libye et de la Syrie, de certains pays africains comme la Somalie ou le Nigéria). A ce propos, voir par exemple ce qui s'est passé jeudi au Nigeria avec Boko Haram . Soit aussi et ce peut être le cas pour notre pays pour établir en interne des mesures autoritaires et liberticides de contrôle de la population. 
 
La synthèse de toutes ces stratégies constitue ce qu'on peut appeler d'un terme vague car trop général la « guerre antiterroriste » à l'échelle mondiale, la mondialisation de la guerre mais sa vraie dénomination serai plutôt : la guerre du mondialisme, la guerre de l'occidentisme. Elle a commencé en 1914, il y a cent ans et elle comporte trente-neuf marches ! Cette guerre souterraine mais idéologique alimente aussi largement l'économie mondiale par une industrie de l'armement multimilliardaire qui n'a jamais, ces temps-ci, été aussi florissante et dont on parle effectivement peu. C'est le fameux complexe militaro-industriel américain, le pilier central des opérations secrètes extérieures décidées en haut lieu. Mais dans ce marché militaire, la Russie comme la France tire aussi certaines ficelles lucratives.
 
Ce qui est certain, c'est que la « lutte antiterroriste» a pour les Etats-Unis, depuis Sarkozy un allié fidèle devançant même dans les instances internationales les propositions israéliennes. Cet allié, ce fantassin d'exception, c'est la France.

L'opération commando qui vient de frapper la France entre tout à fait dans la logique d'un tel cadre d'analyse. La France, par la dégradation de sa sécurité intérieure et ses échecs économiques se retrouve un peu aujourd'hui comme l'Italie des années 70, le pays européen le mieux préparé à développer une psychose intérieure qui permettra à sa classe politique de délibérer rapidement et de voter d'un côté la protection américaine absolue, de l'autre un traité transatlantique qui la liera à tout jamais à la finance internationale. Dans un tel contexte de chaos, même Marine le Pen pourrait en théorie gouverner mais il s'agit tout au contraire en ce moment de la destituer moralement. Marine le Pen malgré tous ses efforts n'est pas et ne sera jamais une Charlie.

On sait que la France dans la politique anti-russe imposée à l'Europe ces derniers mois en Ukraine a manifesté un zèle tout particulier contraire aux intérêts de ses entrepreneurs mais encore plus dans les négociations concernant l'avenir du nucléaire iranien, où la position française de Laurent Fabius s'est particulièrement faite remarquer par une intransigeance exceptionnelle, alors même que le groupe des négociateurs, parmi lesquels les Etats-Unis eux-mêmes visaient des positions plus conciliantes. La France était ici directement le porte-voix de Tel-Aviv souhaitant faire des Iraniens, des ennemis irréconciliables. Pour quelles raisons ?
 
Posons ici la question qui dérange : qui sauve sur les marchés depuis quelque mois la banqueroute de l'économie française ?  Qui renfloue discrètement les caisses dans la salle des marchés souterraine de Bercy ? L'Arabie Saoudite et le Qatar, nouveaux alliés aussi de Jérusalem.

Il ne s'agit donc pas dans l'affaire Charlie Hebdo de se soulever pour une factice liberté de la presse, liberté d'une presse elle-même liberticide pour ce qui concerne Charlie Hebdo, Libération ou Le Monde mais de se soulever contre la nouvelle servitude française, l'esclavage réel auquel nous conduisent ses dirigeants, tout comme les Musulmans doivent se soulever politiquement contre les impies de La Mecque.

Les méfaits de l'islamisme radical sont en réalité utilisés pour jeter toujours plus les Européens dans les bras de l'axe occidentiste de Washington-Tel Aviv où les fous d'Allah ne sont que des alliés objectifs, des idiots utiles au sens où ils ont été instrumentalisés et même enrôlés comme mercenaires en Syrie et en Irak. Il nous faut donc garder la tête froide et ne pas se prêter au jeu, un jeu malsain et dès le départ truqué. En mettant en avant un argument d'une grande simplicité (la thèse houellebecquienne en somme), l'argument machiavélique et machiavélien qu'il n'y aurait d'autre choix qu'entre l'Islamisme et l'Occident, on met en avant la vraie terreur, la terreur occidentale elle-même qui affirmait avec Thatcher « there is no alternative" ou qui dans un raccourci gigantesque ose dire que refuser la terreur islamiste, c'est aussi refuser Poutine !

dimanche, 11 janvier 2015

Je suis Ahmed

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Paris Shooters Just Returned from NATO’s Proxy War in Syria

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Author: Tony Cartalucci

Paris Shooters Just Returned from NATO’s Proxy War in Syria

In an all too familiar pattern and as predicted, the shooters involved in the attack in Paris Wednesday, January 7, 2015, were French citizens, radicalized in Europe and exported to Syria to fight in NATO’s proxy war against the government in Damascus, then brought back where they have now carried out a domestic attack. Additionally, as have been many other domestic attacks, the suspects were long under the watch of Western intelligence services, with at least one suspect having already been arrested on terrorism charges.

USA Today would report in an article titled, “Manhunt continues for two French terror suspects,” that:

The suspects are two brothers — Said, 34, and Cherif Kouachi, 32, both French nationals — and Hamyd Mourad, 18, whose nationality wasn’t known, a Paris police official told the Associated Press. He spoke on condition of anonymity because he was not authorized to speak publicly.

USA Today would also report (emphasis added):

The brothers were born in Paris of Algerian descent. Cherif was sentenced to three years in prison on terrorism charges in May 2008. Both brothers returned from Syria this summer.

The implications of yet another case of Western-radicalized terrorists, first exported to fight NATO’s proxy war in Syria, then imported and well-known to Western intelligence agencies, being able to carry out a highly organized, well-executed attack, is that the attack itself was sanctioned and engineered by Western intelligence agencies themselves,. This mirrors almost verbatim the type of operations NATO intelligence carried out during the Cold War with similar networks of radicalized militants used both as foreign mercenaries and domestic provocateurs. Toward the end of the Cold War, one of these militant groups was literally Al Qaeda – a proxy mercenary front armed, funded, and employed by the West to this very day.

Additionally, in all likelihood, the brothers who took part in the attack in Paris may have been fighting in Syria with weapons provided to them by the French government itself.  France 24 would report last year in an article titled, “France delivered arms to Syrian rebels, Hollande confirms,” that:

President Francois Hollande said on Thursday that France had delivered weapons to rebels battling the Syrian regime of Bashar al-Assad “a few months ago.”

Deflecting blame for the current attack on “radical Islam” is but a canard obscuring the truth that these terrorists were created intentionally by the West, to fight the West’s enemies abroad, and to intimidate and terrorize their populations at home.

We Must Sidestep the Canards 

As with any false flag attack engineered by a government for the purpose of manipulating public perception and pushing through otherwise unjustifiable policy both foreign and domestic, a series of canards are erected to distract the public from the true nature of the attack.

In the recent attack in Paris, France, the canards of “free speech,” “condemning radical Islam,” “tolerance,” and “extremism” have all taken center stage, displacing the fact that the terrorists who carried out the attack were long on the leash not of “Islamic extremists” but Western intelligence agencies, fighting in a Western proxy war, as a member of a well-funded, armed, and trained mercenary force that has, on record since as early as 2007, been an essential component of Western foreign policy.

Indeed, Al Qaeda and its various rebrandings are not the creation of “Islamic extremism,” but rather Western foreign policy using “extremism” as part of indoctrinating the rank and file, but directed by and solely for the purpose of serving an entirely Western agenda. 

As exposed by Pulitzer Prize-winning journalist Seymour Hersh in his 2007 article,  “The Redirection: Is the Administration’s new policy benefiting our enemies in the war on terrorism?” it was stated explicitly that (emphasis added): 

To undermine Iran, which is predominantly Shiite, the Bush Administration has decided, in effect, to reconfigure its priorities in the Middle East. In Lebanon, the Administration has coöperated with Saudi Arabia’s government, which is Sunni, in clandestine operations that are intended to weaken Hezbollah, the Shiite organization that is backed by Iran. The U.S. has also taken part in clandestine operations aimed at Iran and its ally Syria. A by-product of these activities has been the bolstering of Sunni extremist groups that espouse a militant vision of Islam and are hostile to America and sympathetic to Al Qaeda. 

To this day, the US, its NATO partners including Turkey, and regional partners including Israel, Saudi Arabia, and Qatar are arming, funding, harboring, training, and otherwise perpetuating these “Islamic extremists” within and along both Syria and now Iraq’s borders.

In reality, without Western backing, “laundered” through the Persian Gulf autocracies and manifesting themselves in a global network of mosques jointly run by Persian Gulf and Western intelligence agencies, there would be no “Islamic extremism” to speak of. To focus on “extremism” as a cause, rather than as a means used by the true perpetrators of this global-spanning campaign of Western-sanctioned terrorism, is not only to perpetuate such canards, but to invite the perpetuation of this very terrorism we are shocked and horrified by. 

West Apparently Maintaining Domestic Radicalization/Recruitment Centers 

The recent Sydney cafe hostage crisis featuring an Iranian dissident granted Australian asylum and featured in anti-Iranian propaganda, exposed a vast network of radicalization and recruitment run in the Australian city of Sydney, used to organize support and fighters to be sent to the West’s proxy war in Syria. The network included many notorious individuals, well known to Australian law enforcement and intelligence agencies, and many of whom had traveled to Syria, taken part in fighting alongside known terrorist organizations, and were allowed to return and continue their political activities in Australia.

The Daily Mail’s article, “Why did police ask former terror suspect for an ISIS flag?” would state:

Counter terrorism police have contacted Sydney man and one time terror accused Zaky Mallah and asked him for an ISIS flag. 

Just over four hours into the Martin Place siege, officers the NSW Police Joint Counter Terrorism Team and asked him if he could give them an ISIS flag. 

Zaky Mallah, 30, from Westmead in western Sydney offered the Counter Terrorist police the flag that hangs on the wall of his apartment, the moderate Islamic Front flag, but ‘they weren’t interested’. 

The article would also state:

Two years ago Mr Mallah travelled to Syria and lived with the FSA rebels engaged in the bloody civil war against Muslim hardliner President Bashar el Assad ‘before it got crazy over there’. After returning home, he encouraged young people to go to Syria and engage in jihad to experience the freedom fight taken up against El Assad… 

As in Australia, France apparently also has a stable of former terrorists who had traveled to Syria and returned, all while on their watch lists – and in Australia at least – some of these terrorists are literally on security agency speed dials and are clearly a part of a network the intelligence community both monitors and in fact, maintains.

Such networks have turned out thousands of recruits to fight in NATO’s war in Syria. The BBC would report in an article titled, “Islamic State crisis: ‘3,000 European jihadists join fight’,” that:

The number of Europeans joining Islamist fighters in Syria and Iraq has risen to more than 3,000, the EU’s anti-terrorism chief has told the BBC. 

Gilles de Kerchove also warned that Western air strikes would increase the risk of retaliatory attacks in Europe.

How exactly is the public expected to believe that such a vast number of terrorists can migrate overseas to fight alongside terrorist forces the West is currently, allegedly, fighting, without the West being able to stem such a tide? Clearly, just as arming Al Qaeda in Syria was done intentionally, so to have the floodgates been open, allowing European terrorists to both join NATO’s proxy war in Syria, and to return home and join NATO’s growing war against its own people.

Operation Gladio on Steroids 

Such networks don’t just mirror NATO’s “stay behind networks” formed during the Cold War, supposedly created to activate in the wake of a full-scale Soviet invasion of Western Europe, but instead used as a covert front of political and terroristic provocation – such networks today are a continuation of NATO’s secret armies.

NATO’s provocateurs used during the Cold War were a mixture of nationalists, anti-communists, former Nazi SS officers, and extremists of every stripe. Their particular beliefs were, however, ultimately irrelevant since they were used for a singular agenda defined not by these beliefs, but by NATO’s own agenda.

Many of the militants and extremists NATO used were liquidated upon the completion of the many false flag attacks NATO organized at the cost of hundreds of innocent European lives. Likewise, today, many of the gunmen or bombers involved in the long string of suspicious domestic attacks carried out by NATO’s modern “stay behind network” are either killed on sight, or imprisoned and forgotten.

While NATO’s Cold War operations appeared confined to conducting terrorism upon its own people, today’s networks are used to carry out both proxy wars overseas as well as to carry out terrorist attacks at home. The expansive nature of this network and the threat it poses to global peace and stability should be at the center of the Paris attack debate – not the alleged beliefs, religion, or supposed agenda of the attackers who, just like their Cold War counterparts, were nothing more than patsies and pawns amid a much larger and insidious game.

Tony Cartalucci, Bangkok-based geopolitical researcher and writer, especially for the online magazineNew Eastern Outlook”.
First appeared: http://journal-neo.org/2015/01/08/paris-shooters-just-returned-from-nato-s-proxy-war-in-syria/

Al-Qaïda : terroriste en France, alliée en Syrie

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Al-Qaïda : terroriste en France, alliée en Syrie

par Maxime Chaix

Ex: http://www.dedefensa.org

Chères Charlie, chers Charlie,

Je partage votre indignation, votre colère et votre tristesse au lendemain de ces actes de guerre inhumains contre la Liberté, l’Égalité et la Fraternité – valeurs universelles qui nous unissent malgré nos différences. À l’heure où je finalise cet article, trois jihadistes ont été tués par les forces de l’ordre, la France subissant une atmosphère malsaine de déstabilisation systémique et de guerre civile. Soyons unis, tolérants et solidaires. Mais ne laissons pas l’émotion neutraliser notre esprit critique ! (1)

En effet, au lendemain de ces crimes effroyables – sachant que nos gouvernants risquent d’alimenter ou de déclencher de nouvelles guerres « contre » le terrorisme –, (2) il est plus que jamais indispensable de rappeler plusieurs faits dérangeants sur la politique étrangère de la France en Syrie. Tout d’abord, prenez conscience que notre actuel ministre des Affaires étrangères, Laurent Fabius, a ouvertement soutenu en décembre 2012 le Front al-Nosra – c’est-à-dire la branche « syrienne » d’al-Qaïda. En effet, selon les informations du journal Le Monde, « la décision des États-Unis de placer Jabhat Al-Nosra, un groupe djihadiste combattant aux côtés des rebelles, sur leur liste des organisations terroristes, a été vivement critiquée par des soutiens de l’opposition [en Syrie]. M. Fabius a ainsi estimé, mercredi, que “tous les Arabes étaient vent debout” contre la position américaine, “parce que, sur le terrain, ils font un bon boulot”. “C’était très net, et le président de la Coalition était aussi sur cette ligne”, a ajouté le ministre. » (3)

À l’heure où nous sommes frappés par l’abomination terroriste, il faut saisir la gravité de cette position diplomatique du gouvernement français exprimée par M. Fabius. Malgré la brutalité avérée de l’armée, des milices et des services secrets loyaux à Bachar el-Assad, peut-on accepter que le plus haut représentant de la diplomatie française cautionne ouvertement le terrorisme ? Selon le grand reporter Georges Malbrunot, en mai 2013, « [c]eux qui suiv[aient] de près le dossier syrien [ont] quand même [été] un peu surpris d’entendre M. Fabius assurer que Paris [avait] toujours privilégié l’option diplomatique. Depuis deux ans, la principale faiblesse de la position française a été au contraire de ne pas choisir clairement entre la diplomatie et les armes en Syrie, convaincue que les “jours du régime étaient comptés”, selon une formule, qui n’est pas l’apanage il faut le reconnaître du Quai d’Orsay. (…) Pour raccrocher le train de Genève et occuper un strapontin à la conférence internationale qui s’annonce, la France cherche à se redonner une virginité sur le dossier syrien. Et pour donner des gages à ses partenaires américains et russes, Paris en profite pour annoncer qu’il va, cinq mois après Washington, proposer de mettre le groupe rebelle Jabhat al-Nosra lié à Al Qaida, sur la liste des organisations terroristes. » (4)

Plus grave encore : en août 2014, le journal Le Monde a révélé que le Président Hollande avait ordonné aux services spéciaux français de livrer clandestinement (5) des armes de guerre à des rebelles « modérés » en Syrie – ce qui est contraire à la Charte des Nations Unies. (6) Malheureusement, il s’est avéré que certains armements livrés par les services français sont – d’une manière ou d’une autre – tombés entre les mains de groupes jihadistes, qui se réjouissent aujourd’hui de la vague d’attentats qui déstabilise la France en profondeur.

Malgré ces faits alarmants, dans l’interview qu’il a accordée au journal Le Monde le 21 août 2014, le Président Hollande a implicitement (mais officiellement) confirmé que ces livraisons d’armes étaient maintenues. En effet, d’après ce journal, « [t]ous ses calculs [visant à obtenir la chute de Bachar el-Assad en armant les rebelles “modérés”] ont fait long feu. “Genève 2” a eu lieu en janvier-février 2014, sans le moindre résultat. Les efforts de structuration de l’ASL, engagée par le général Idriss, n’ont pas vraiment porté leurs fruits. En décembre 2013, des dépôts d’armes de l’ASL à la frontière syro-turque ont même été pillés par des combattants du Front islamique [, un groupe jihadiste soutenu par l’Arabie saoudite, à l’instar du Front al-Nosra]. (7) Tandis que le régime se lançait dans une contre-offensive à Homs et autour de Damas, les rebelles islamistes prenaient l’ascendant sur leurs rivaux nationalistes dans le Nord. Autant d’événements qui ont dissuadé les autorités française[s] d’amplifier leurs efforts. “C’est sûr que ces difficultés ne nous ont pas vraiment encouragés à aller plus loin”, confie un diplomate. [Pourtant, si] l’on en croit les déclarations de François Hollande jeudi 21 août [2014], les livraisons d’armes n’ont cependant pas cessé. » (8)

 

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Cette politique clandestine de soutien à la rébellion en Syrie est irresponsable, illégale et dangereuse. En effet, comme l’a rappelé l’ancien représentant au Congrès Dennis Kucinich, « [é]crivant sur la connexion entre l’Arabie saoudite et l’État Islamique (EI), l’historien Alastair Crooke a récemment décrit les insurgés “modérés” en Syrie comme étant “plus rares que la licorne des légendes”. Les “modérés” ont conclu un pacte de non-agression avec l’EI. Les “modérés” ont capturé un journaliste états-unien et l’ont vendu à l’EI, qui l’a décapité. L’Arabie saoudite qui, avec le Qatar, a financé les jihadistes en Syrie, propose désormais de “former” les rebelles. Le Congrès [des États-Unis] est prié d’avaler cette recette douteuse : les sponsors des jihadistes radicaux vont former des jihadistes “modérés”. (…) Les soi-disant “rebelles” sont des mercenaires qui viennent de plus de 20 pays. Ils s’organisent et se réorganisent constamment en nouveaux groupes, qui offrent leur allégeance à quiconque les paye ou leur fournit des armes – et ce à tout moment.» (9) Ce diagnostic de Dennis Kucinich est confirmé sur le terrain. En effet, lorsqu’il s’est rendu au Kurdistan syrien, le député allemand Jan van Aken a découvert que l’État islamique possédait des missiles antichar Milan, de fabrication franco-allemande. (10) Selon Samuel Laurent, « l’État islamique doit (…) le fleuron de son arsenal à la France », dont les missiles Milan en question. (11)

Enfin, comme l’a déclaré sur Arte le député et ancien juge antiterroriste Alain Marsaud, il est certain que les services spéciaux français ont été (sont ?) impliqués dans le soutien de réseaux jihadistes combattant le gouvernement el-Assad : « Ça veut dire qu’aujourd’hui, nous avons choisi notre camp : le camp anti-Assad. (…) Et (…) il est vraisemblable que nous ne sommes pas très très loin de rencontrer des gens d’al-Nosra – j’espère au moins qu’on les a infiltrés ! J’en suis même sûr d’ailleurs, au demeurant. Donc ça veut dire que finalement nous sommes des alliés [des jihadistes d’al-Qaïda] sur le terrain, nous poursuivons le même but. » (12) Le député Alain Marsaud a même affirmé sur RFI sa « conviction » que les services spéciaux français avaient soutenu des réseaux jihadistes en Syrie, et que cette conviction était « partagée par beaucoup de gens [,] raison pour laquelle [il avait] demandé (…) la constitution d’une mission d’information, d’une commission d’enquête parlementaire afin de vérifier les conditions dans lesquelles tout ça se passe (…) ». Lors de cette interview, il affirmé sans ambages que « la France [avait] dû encourager certains jihadistes français à se rendre en Syrie. » (13)

Chères Charlie, chers Charlie, pensez-vous qu’il est normal de condamner les jihadistes lorsqu’ils attaquent la France, mais d’occulter, de refouler, ou de minimiser le fait que de tels criminels aient été clandestinement – et parfois ouvertement – soutenus en Syrie par l’Élysée, le Quai d’Orsay et les services spéciaux français, et ce pour des intérêts essentiellement géostratégiques et énergétiques (14) ? Au vu des informations que je viens de citer et d’analyser, cette hypocrisie officielle – qui est dissimulée derrière la « “raison” d’État » – est plus que jamais inacceptable ! À toutes fins utiles, rappelons que – dans un contexte de « crise » économique structurelle et brutale qui appauvrit la majorité d’entre nous en enrichissant une « intouchable » minorité –, (15) « notre » gouvernement a débloqué un nombre inconnu de millions d’euros pour armer des jihadistes qui détruisent activement ce berceau de la civilisation humaine qu’est la Syrie. (16)

Si vous estimez que cette indignation est légitime, je vous encourage à partager cet article le plus largement possible en le transmettant à votre entourage, aux médias ainsi qu’à nos autorités, dont le Président de notre République – une et indivisible. Pour ce faire, je vous remercie de copier-coller le lien menant à cet article sur ce site, afin de faire savoir au Président de notre République qu’il n’est pas acceptable que l’État combatte la nébuleuse al-Qaïda en France tout en la soutenant en Syrie !

Essentiellement, restons unis malgré nos différences, et tentons d’esquiver intelligemment le piège mortifère du « choc des civilisations », que les extrémistes néoconservateurs ont ouvertement souhaité, (17) et qui nous menace plus que jamais.

Fraternellement, humainement, librement,

 

Maxime Chaix

Notes

1. « On est dans un moment épouvantable. Le milieu intellectuel parisien est dans une dérive parareligieuse, dans une islamophobie latente. Il existe une forme de crispation identitaire, une angoisse à la désoccidentalisation du monde, une rupture entre le clan des dominants et le monde multipolaire. Cette doctrine occidentaliste, qui veut que l’Occident soit riche et dominateur éternellement, m’inquiète. » – Emmanuel Todd, El Watan, 3 novembre 2008. Cité par Guillaume de Rouville dans « L’esprit du temps ou l’islamophobie radicale », 12 septembre 2012, Lidiotduvillage.org, : « Cet essentialisme, on le retrouve, pour prendre un exemple médiatique, dans les caricatures de Mahomet, publiées en France dans le journal Charlie Hebdo en février 2006. Dans le contexte actuel de stigmatisation des Musulmans, ces caricatures correspondent à celles des Juifs des années 30 dans la presse antisémite. Et c’est au nom de la liberté d’expression qu’on nous fait tolérer cette presse de caniveau dont les dirigeants sont des partisans déclarés de l’atlantisme et du choc des civilisations. Bel exemple également de transmutation des valeurs. » ; Pascal Boniface, « Philippe Val et Olivier Poivre-d’Arvor ont-ils émis une fatwa contre moi ? », Leplus.nouvelobs.com, 9 juillet 2013 ; « Quand en 2012, Guy Bedos souhaitait que les journalistes de Charlie Hebdo “crèvent” », Atlantico.fr, 9 janvier 2015 : « “Depuis que Reiser est mort, depuis que Siné n’est plus là, ils ne me font pas rire”, ajoute-t-il. “C'était nul l’histoire de Mahomet. Je m’en fous de Charlie Hebdo ! Je n’ai pas de leçon d’insolence à recevoir de gens qui se sont couchés”, renchérit encore l’humoriste. “Notamment Philippe Val qui s’est couché devant Nicolas Sarkozy pour devenir directeur de France Inter. Dans la résistance, on n’aurait pas été dans le même réseau.” »

2. Peter Dale Scott, L’État profond américain : la finance, le pétrole et la guerre perpétuelle (Éditions Demi-Lune, à paraître au printemps 2015) : « L’establishment affirme que les guerres lancées par les États-Unis sur le continent asiatique depuis les attaques de septembre 2001 entrent dans le cadre d’une “guerre globale contre la terreur”. Néanmoins cette guerre “contre” le terrorisme a été menée avec la coopération de l’Arabie saoudite, du Qatar et du Pakistan. Or, ces trois pays sont les principaux soutiens financiers et politiques des réseaux jihadistes que les États-Unis sont censés avoir combattu jusqu’à présent. Dans le même temps, les plus farouches opposants à ces terroristes sunnites – les gouvernements d’Irak, de Libye, de Syrie et d’Iran – ont été renversés (Irak et Libye), déstabilisés avec l’appui des États-Unis (Syrie) ou sanctionnés et menacés en tant qu’éléments de l’“Axe du Mal” (Iran). N’oublions pas que, dès le lendemain du 11-Septembre, le secrétaire à la Défense Donald “Rumsfeld parlait d’élargir les objectifs de notre riposte et de ‘frapper l’Irak’”. »

3. Le Monde, « Pression militaire et succès diplomatique pour les rebelles syriens », 13 décembre 2012 (accentuation ajoutée).

4. Georges Malbrunot, « Le spectaculaire revirement français sur la Syrie », Le Figaro, 10 mai 2013 (accentuation ajoutée).

5. Selon Wikipedia.fr, une opération clandestine « est une opération illégale, dirigée par un État mais non revendiquée par celui-ci pour des raisons politiques ou diplomatiques. L’illégalité de ces opérations implique qu’elles soient secrètes ; elles ne sont donc théoriquement pas rapportées auprès des médias, ni reconnues par les gouvernements. »

6. Caroline Fleuriot, « Droit d’ingérence, où en est-on ? », LeMonde-Diplomatique.fr, septembre 2008 : « Venir en aide aux populations en détresse sans le consentement de l’État est une idée ancienne. Déjà Hugo Grotius, en 1625 dans De jure belli ac pacis, évoquait une telle possibilité. Mais l’article 2, paragraphe 7, de la Charte de l’Organisation des Nations unies (ONU) pose le principe de non-ingérence dans les affaires intérieures d’un État comme principe pacificateur des relations internationales. »

7. Armin Arefi, « État islamique : la volte-face de l’Arabie saoudite », LePoint.fr, 18 septembre 2014 : « Les nombreuses divisions au sein de la famille régnante facilitent la donne. “Le pouvoir saoudien n’est pas centralisé, mais distribué verticalement entre plusieurs factions concurrentes de la famille royale, dont chacune possède sa propre politique étrangère, parfois contradictoire avec la ligne officielle, qu’elle compte réinvestir dans sa lutte interne”, explique le chercheur Nabil Mouline. Voilà pourquoi, si, officiellement, Riyad ne finance que les rebelles “modérés” de l’Armée syrienne libre, des fonds saoudiens alimentent aussi le Front islamique (rebelles islamistes), ainsi que les djihadistes d’Al-Nosra et de l’État islamique. »

8. Benjamin Barthe, Cyril Bensimon et Yves-Michel Riols, « Comment et pourquoi la France a livré des armes aux rebelles en Syrie », Le Monde, 21 août 2014, (accentuation ajoutée).

9. Dennis Kucinich, « Le Congrès US autorise le soutien des “rebelles” », DeDefensa.org, 19 septembre 2014 (accentuation ajoutée).

10. « Syrien: Islamisten setzen deutsche Raketen ein », émission Panorama, Das Erste, 23 janvier 2014 (en allemand).

11. Samuel Laurent, État islamique : organigramme, financements, filières… (Éditions du Seuil, Paris, 2014), p.51. Page en libre accès sur Google Books.

12. « Le 11-Septembre au musée : un tel attentat est-il encore possible ? », émission 28 Minutes, Arte, mai 2014 (accentuation ajoutée).

13. Frédéric Rivière, « Alain Marsaud, député, président du groupe de travail sur la Syrie », Rfi.fr, 24 avril 2014 (accentuation ajoutée).

14. Peter Dale Scott, « La politique syrienne de Washington : faucons contre colombes », DeDefensa.org, 19 juin 2013.

15. « Inégalités : 1% de la population mondiale détient près de la moitié des richesses », Laparisien.fr, 20 janvier 2014 : « “Il est sidérant qu’au XXIème siècle, la moitié de la population mondiale, soit 3,5 milliards de personnes, ne possède pas plus qu’une minuscule élite”, se lamente Winnie Byanyima, la directrice générale d’Oxfam international. À quelques jours du forum de Davos, qui rassemble du 22 au 25 janvier prochains dans la station suisse, les principaux décideurs économiques, l’ONG qui lutte contre les inégalités et la pauvreté, sort un rapport édifiant. Selon ses chiffres, la richesse combinée des 85 personnes les plus riches du monde, qui s’élève à environ 85 trillons d’euros, est égale à celle de la moitié la moins riche de l’humanité. Depuis le début de la crise en 2008, ces inégalités se sont même sensiblement accrues. “Même si la crise a momentanément entamé la part des richesses mondiales détenues par les plus riches, ces derniers se sont depuis largement rattrapés”, explique ce rapport. Les 1% des personnes les plus riches en Chine, au Portugal et aux États-Unis ont plus que doublé leur part de revenus national depuis 1980. L’Europe ne fait pas exception. La fortune combinée des 10 personnes les plus riches d’Europe (217 milliards d’euros) dépasse le coût total des mesures de relance mises en œuvre dans l’Union européenne entre 2008 et 2010 (200 milliards d’euros). (…) Les causes de ce creusement sont nombreuses : la déréglementation financière, les règles et les systèmes facilitant l’évasion fiscale, mais aussi les mesures d’austérité. »

16. « L’histoire de la Syrie est marquée par sa situation exceptionnelle. C’est un territoire de transition au carrefour de plusieurs mondes : la Méditerranée, la Mésopotamie, la Perse, l’Inde, l’Asie mineure, les terres du Caucase, et l’Égypte. La Syrie était traversée par les plus importantes voies commerciales, entre l’Europe, la Chine (route de la soie) et l’Inde. L’homme de la terre syrienne a peut-être découvert, pour la première fois de l’Histoire de l’humanité, à Abu Huraira, l’art de cultiver, d’associer l’eau et le grain de blé, pour multiplier les épis. Grâce à cette découverte première l’homme commença à se fixer, à sortir des cavernes, à construire des maisons, à prendre conscience de son être, à invoquer le ciel avec les premières incantations mythologiques et religieuses, à s’essayer au dessin, à la sculpture et à la décoration. C’est également en Syrie que l’homme découvrit comment utiliser le cuivre, comment le façonner et en réaliser un alliage : le bronze. Dès le IIIe millénaire av. J.-C., les Syriens construisaient des palais, créaient des fresques, et connaissaient un essor culturel et commercial remarquable. La Syrie a eu une part importante dans l’Histoire du christianisme et dans ses débats. À travers ses routes sont passés les pèlerins vers les grands centres religieux, les croisés et les caravanes de la soie et des épices. Les habitants des nombreux petits royaumes qui se sont développés en Syrie, descendaient de peuplades sémites venues, depuis les premiers temps, du sud de la Péninsule Arabique, et qui sont connus sous le nom d’Amorrites, de Cananéens, de Phéniciens (zone côtière), d’Araméens (hautes terres) de Ghassanides et de Nabatéens (au sud). » (Wikipédia.)

17. Pour approfondir ce sujet essentiel, je vous recommande le livre de mon ami et mentor intellectuel Peter Dale Scott, publié par les Éditions Demi-Lune et intitulé La Route vers le nouveau désordre mondial – un ouvrage majeur que j’ai co-traduit ; dans le contexte actuel, n’oublions pas que le 11-Septembre reste un événement irrésolu, dont les véritables commanditaires restent inconnus. Voir l’article de l’ancien sénateur de Floride Bob Graham, « Il faut rouvrir l’enquête du 11-Septembre ! », Huffingtonpost.fr, 11 septembre 2012 : « Le temps qui s’est écoulé depuis le 11 septembre 2001 n’a pas diminué la méfiance que beaucoup d’entre nous ressentent à l’égard de la version officielle (…) des attentats, et surtout, la question de qui les a financés et soutenus. (…) [Il existe] des preuves de la complicité saoudienne [dans ces attentats] que notre gouvernement continue de cacher au public, sous forme d’un programme de classification tronquée, qui semble surtout faire partie d’un effort systématique pour protéger l’Arabie saoudite de la responsabilité de ses actions. » Rappelons-nous également des néoconservateurs de l’administration Bush et de leur programme de domination militarisée du monde. Publié en septembre 2000, sa mise en œuvre à court terme nécessitait selon eux « un nouveau Pearl Harbor ». Sur la page suivante, vous pourrez lire une traduction intégrale de ce programme, qui constitua la principale feuille de route de la politique étrangère de George W. Bush.

Le conflit qui pourrait dominer l'actualité cette année: la Moldavie

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Le conflit qui pourrait dominer l'actualité cette année: la Moldavie

Auteur : Audrey Duperron
Ex: http://zejournal.mobi

Beaucoup d’entre nous ont besoin de Google Maps pour localiser la Moldavie, ce mini-Etat pris en sandwich entre la Roumanie et l'Ukraine. Mais selon les analystes de la société de recherche politique Eurasia Group, cette année, ce tout petit pays pourrait se trouver au centre de 3 tendances : l’instabilité politique en Europe, l’intransigeance russe, et l’utilisation croissante de la finance comme une arme.

En décembre, cette ancienne république soviétique qu’est la Moldavie a désigné un gouvernement pro-européen, et il souhaite se préparer à une intégration européenne. Ainsi, le pays suit l'exemple de sa grande voisine l’Ukraine : l’année dernière, c’était précisément le désir des citoyens ukrainiens de conclure un accord avec l’UE qui avait mené à la destitution du président pro-russe Viktor Yanoukovytch. Peu après, la Crimée avait fait sécession d’avec l’Ukraine, et avait été rattachée à la Russie. Or, l’année dernière, un scénario similaire s’est produit en Transnistrie, une région pro-russe de la Moldavie : elle a proclamé son indépendance et ses dirigeants ont indiqué qu’ils souhaitaient le rattachement à la Russie.

Cliff Kupchan, un ancien diplomate américain qui préside le conseil d’Eurasia, a rapporté récemment à des journalistes ce que lui avaient dit des dirigeants politiques à Moscou : « Ils m’ont averti que la Moldavie est dans le radar, et que si ses dirigeants continuent de se rapprocher de l’UE et de l’OTAN, ils devraient faire bien attention à ce qu’ils souhaitaient réellement. Une déstabilisation ne serait pas difficile à obtenir. Les gars de Transnistrie, ils retireront leurs uniformes, des petits hommes verts avec des masques, et les villes de Moldavie commenceront à tomber. Nous avons déjà vu comment font les Russes ». Or, la Russie a déjà envoyé près de 2000 soldats pour protéger l'enclave russe de la Transnistrie…

Les Etats-Unis se dirigent vers leurs prochaines élections présidentielles, et en cas de crise, les candidats à la présidence pourraient être tentés de durcir le ton à l’égard de la Russie pour montrer qu’ils ont la stature d’un chef d’Etat qui sait se faire respecter à l’international.

Mais cette rhétorique agressive pourrait ne pas convenir à la chancelière allemande Angela Merkel, dont le pays entretient des liens économiques importants avec la Russie, qu’elle pourrait chercher à préserver, malgré les sanctions économiques. En conséquence, l’UE pourrait réduire sa coopération en matière de sanctions financières à l’égard de la Russie.

D'un autre côté, il est plus que probable que les partis populistes vont continuer de monter en puissance dans les différents pays européens, et qu’ils vont générer une certaine incertitude.

Malgré l’application des sanctions économiques et des dommages qu’elles ont causé à la Russie, le président russe, Vladimir Poutine, n’a guère fléchi, et il probable qu’il continuera de mettre la pression économique sur l’Europe.

Dans ces conditions, un conflit en Moldavie serait encore plus difficile à résoudre que la crise ukrainienne. Cette année, ce petit pays pour l’instant encore largement inconnu pourrait bien devenir plus familier pour nous…


- Source : Audrey Duperron

samedi, 10 janvier 2015

Pour Aldo Giannuli, expert des services secrets italiens, l'attentat contre Charlie Hebdo est un complot

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Pour Aldo Giannuli, expert des services secrets italiens, l'attentat contre Charlie Hebdo est un complot

Auteur : Aldo Giannuli
Ex: http://zejournal.mobi

La durée de leur fuite, des terroristes trop calmes, le manque de protection de la rédaction de l’hebdomadaire satirique, les armes des terroristes… Aldo Giannuli, expert des services secrets italiens, n’est pas convaincu par la version officielle.

Lors de cette funeste journée du 7 janvier 2014, date marquée à jamais comme synonyme de la mort de 12 personnes lors de l’attentat terroriste contre Charlie Hebdo, l’hypothèse d’un complot faisait déjà son chemin.

Et aujourd’hui, ce n’est ni plus ni moins qu’Aldo Giannuli, experts des services secrets italiens, qui publie un article sur le blog de Beppe Grillo.

Il est fort possible que cet attentat soit l’œuvre d’individus d’une toute autre importance… C’est très louche.

Selon lui, cette tragédie porte bel et bien la trace de l’extrémisme religieux, mais « cette affaire sent le cramé »...

Les éléments qui le portent à penser cela ? Des papiers d’identité « oubliés » dans la voiture, à la durée importante de la fuite des terroristes, en passant par la protection très réduite de la rédaction de l’hebdomadaire satirique et les armes que possèdent les auteurs de l’attentat.

Comme dans la plupart des grandes affaires (Kennedy, l’attentat de piazza Fontana, Olof Palme, le 11-Septembre, la mort d’Oussama Ben Laden, etc.), quelque chose cloche, et de nombreuses interrogations s’imposent. Comment est-il possible qu’un objectif aussi sensible que la rédaction de Charlie Hebdo ait été si peu protégé ? Où les auteurs de l’attentat se sont-ils procurés ces armes ? Ils les ont ramenées de Syrie ? Mais le plus important, c’est ceci : avez-vous déjà vu des terroristes qui vont commettre un attentat en prenant soin d’emmener leur pièce d’identité, et qui l’oublient ensuite dans la voiture ?

Des doutes auxquels s’ajoutent les suivants :

On n’a jamais vu ça : des terroristes qui passent à l’action et perdent autant de temps durant leur fuite, après avoir participé à deux affrontements à l’arme à feu, contre une voiture de police notamment. Ils ramassent une chaussure puis oublient un gant. Et comment se fait-il qu’aucun blocage routier n’ait été mis en place dans la zone ? En plein centre de Paris, il doit y avoir de très nombreuses voitures de police. Et Paris est loin d’être une ville où la circulation est fluide…

Et l’expert des services secrets italiens de conclure :

Je crois qu’il s’agit en effet d’une piste djihadiste, c’est hautement probable étant donné le contexte, cette affaire date de près de 10 ans. Mais cela ne signifie pas qu’il ne puisse pas y avoir d’autres personnes impliquées dans cette affaire. Ni qu’on n’ait pas purement et simplement laissé faire les terroristes. Les services secrets s’attendaient sans doute à quelque chose, mais peut-être pas de cette ampleur. Il est également possible que les enquêteurs cachent quelque chose qui n’a rien à voir avec cette tragédie, et que ce qu’ils cachent pourrait sortir au grand jour. Et ils veulent peut-être éviter que ces informations soient révélées. Je pense qu’il est tout à fait possible que les personnes impliquées soient bien plus nombreuses, entre commanditaires, cerveaux, mercenaires, infiltrés, dirigeants ou cellules isolés.


- Source : Aldo Giannuli

jeudi, 08 janvier 2015

Débarrassez-vous des États-Unis et rejoignez l'Union économique eurasienne

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Débarrassez-vous des États-Unis et rejoignez l'Union économique eurasienne, l'«étonnante» proposition russe à l'Union européenne

Auteur : Tyler Durden
Ex: http://zejournal.mobi

Doucement, mais sûrement, l’Europe commence à prendre conscience des effets du blocus économique et financier occidental mené contre la Russie : c’est elle-même qui en souffre le plus ! Fin 2014, c’est l’Allemagne qui a percuté la première, voyant son économie défaillir et s’approcher de la récession. Aujourd’hui d’autres pays s’en rendent compte. Ainsi, l’ancien président de la Commission européenne, et ancien Premier ministre italien, Romano Prodi, a déclaré au journal Il Messaggero qu’une « économie russe affaiblie est extrêmement désavantageuse pour l’Italie ». C’est dans ce contexte que la Russie a proposé à l’Union européenne de rejoindre la nouvelle Union économique eurasienne.

Voici un extrait d’un article de l’agence Tass, à propos de la déclaration de Prodi :

« Des prix en baisse sur les marchés internationaux de l’énergie ont des aspects positifs pour les consommateurs italiens, qui paient moins pour le carburant, mais cet effet n’est qu’à court terme. Il a déclaré que sur le long terme, en effet, l’affaiblissement de la situation économique des pays fournisseurs de ressources énergétiques, engendré par la baisse des prix du gaz et du pétrole, principalement en Russie, est extrêmement désavantageux pour l’Italie.

« La baisse des prix du pétrole et du gaz, combinée avec les sanctions imposées par la crise ukrainienne, fera chuter le PNB de la Russie de 5 % par an et, par conséquent, les exportations de l’Italie seront diminuées de 50 % », a déclaré Prodi.

Même en mettant de côté l’inutilité ou l’imminence des sanctions, on doit souligner un biais évident : peu importe le taux du rouble contre celui du dollar, qui a baissé de près de la moitié, les exportations étasuniennes vers la Russie augmentent, alors que les exportations en provenance d’Europe s’amenuisent. »

En d’autres mots, le monde commence à comprendre, lentement il est vrai, ce qui va en résulter. Ce n’est pas le risque financier par rapport à la Russie ou même la menace d’une contagion financière, au cas ou la Russie souffrirait d’une importante récession, voire pire.

Ce qui causera le plus de mal aux pays européens est bien plus simple : le manque d’échanges commerciaux.

Car, alors que les banques centrales peuvent tout monétiser [en imprimant des dollars, NdT], générant une bulle sans précédent d’actifs (laquelle actuellement accroît la confiance des investisseurs et des consommateurs), ils ne peuvent pas imprimer le commerce. Or le commerce est un facteur de croissance considérable dans un monde mondialisé, bien avant que les banques centrales se mettent à imprimer plus de un milliard d’actifs chaque année, afin de cacher le fait que le monde se trouve dans une récession profonde et globale.

C’est la raison pour laquelle nous lisons avec grand intérêt le rapport suivant publié aujourd’hui dans le journal allemand Deutsche Wirtschafts Nachrichten. Ce rapport va à l’essentiel, via une proposition plutôt importante, faite par la Russie à l’Europe : débarrassez-vous des échanges commerciaux avec les États-Unis, dont la pression pour faire casquer la Russie vous a coûté une année supplémentaire de croissance ralentie, et rejoignez plutôt l’Union économique eurasienne !

« La Russie a fait une proposition surprenante pour venir à bout des tensions avec l’Union européenne : l’UE devrait renoncer aux accords de libre-échange, le TAFTA, avec les États-Unis, et plutôt entrer en partenariat avec l’Union économique eurasienne nouvellement crée. Une zone de libre-échange avec les voisins aurait plus de sens qu’un accord avec les États-Unis. »

Cela serait certainement plus sensé en effet, mais alors, comment l’Europe pourrait-elle feindre d’être scandalisée lorsque l’on découvre que la NSA a encore espionné ses partenaires commerciaux les plus proches ?

Plus de détails sur la proposition russe, par la voix de Vladimir Chizhov, ambassadeur de la Russie auprès de l’Union européenne, dans un article publié par l’EU Observer :

« Notre idée est de commencer des contacts officiels entre l’Union européenne et l’Union économique eurasienne dès que possible ».La Chancelière (allemande) Angela Merkel parlait de cela il n’y a pas si longtemps. Les sanctions (contre la Russie) ne constituent pas un obstacle.

Je pense que le bon sens nous conseille d’explorer la possibilité d’établir un espace économique commun dans la région eurasienne, dont les pays concernés par le Partenariat à l’Est (une politique de l’UE concernant des liens plus resserrés avec l’Arménie, l’Azerbaïdjan, la Biélorussie, la Géorgie, la Moldavie et l’Ukraine).

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Nous pourrions penser à une zone de libre-échange comprenant toutes les parties intéressées en Eurasie.

Il a décrit le nouveau bloc mené par la Russie, comme étant un meilleur partenaire pour l’Union européenne que ne le sont les États-Unis, avec une pique lancée aux standards sanitaires de l’industrie alimentaire étasunienne.

 «Croyez-vous qu’il soit sage de dépenser autant d’énergie politique pour une zone de libre-échange avec les États-Unis, alors que vous avez des partenaires plus naturels à vos côtés, plus proches de chez vous ? Nous, nous ne chlorons pas nos poulets », a dit l’ambassadeur.

Les leaders des trois premiers pays de l’Union économique eurasienne à Astana, capitale du Kazakhstan (Photo : kremlin.ru)

Qu’est-ce que l’Union économique eurasienne (UEE) ?

L’UEE constitue un bloc d’échanges commerciaux composé d’anciennes républiques soviétiques, étendu vendredi 2 janvier à quatre nations, lorsque l’Arménie l’a formellement rejoint, un jour après que l’union entre la Russie, la Biélorussie et le Kazakhstan a commencé. Le Kirghizstan les rejoindra en mai 2015.

Conçu selon le modèle de l’Union européenne, l’UEE a un corps exécutif basé à Moscou, la Commission économique eurasienne, ainsi qu’un corps politique, le Conseil économique suprême eurasien, où les dirigeants des États membres prennent les décisions à l’unanimité.

L’UEE permet aux travailleurs de circuler librement et offre un marché unique pour la construction, le commerce de détail et le tourisme. Sur une période de dix ans, son objectif est de créer une cour à Minsk (capitale de la Biélorussie), un organe de régulation financière à Astana (capitale du Kazakhstan) et peut-être d’ouvrir des bureaux de la Commission économique eurasienne à Astana, Bichkek (capitale du Kirghizstan), Minsk ainsi qu’à Erevan (capitale de l’Arménie).

L’UEE a aussi pour objectif de permettre aux capitaux, aux biens et aux services de circuler librement, ainsi que d’étendre son marché unique à quarante autres secteurs, dont le prochain est celui de l’industrie pharmaceutique, en 2016.

Pour conclure, la balle est maintenant dans le camp de l’Europe.

Actuellement, sa banque centrale,  contrôlée par Goldman, pille toujours plus de ce qu’il reste de richesse à la classe moyenne, avec la promesse que cette année sera celle où (réellement) tout s’inversera. Et l’on commence à être fataliste à propos du TAFTA, comme le ministre allemand de l’Agriculture, qui, en y faisant référence, vient juste de déclarer : « Nous ne pouvons pas protéger chaque saucisse ».

Est-ce que ce sera une récession à triple cumul, et par conséquent rapidement une quadruple récession (voir le Japon) ? Ou bien l’Europe reconnaîtra-t-elle en avoir assez et déplacera-t-elle sa stratégie et ses échanges commerciaux de l’Occident vers l’Est ?

Si l’on tient compte des intérêts représentés par les bureaucrates non élus de Bruxelles, il n’y a pas vraiment de suspense.

- Source : Tyler Durden

Pour une grande politique russe de la France

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Pour une grande politique russe de la France

par Guillaume Faye

Ex: http://www.gfaye.com

Selon une perspective ”gaullienne”, que devrait être une véritable politique étrangère intelligente française vis-à-vis de la Fédération de Russie ? La très grave crise actuelle, qui est une reprise de la guerre froide, c’est-à-dire d’un affrontement avec la Russie voulu par Washington, sous le prétexte de la crise (ou ”provocation”) ukrainienne, doit être l’occasion pour les Français de bon sens et de bonne volonté d’ouvrir les yeux. Délaissant tout extrémisme, essayons de réfléchir. 

La stratégie de provocation anti-russe

Refusons d’abord la propagande qui vend l’idée d’un régime russe dictatorial dirigé par le monarque Poutine qui serait, en outre, un fauteur de guerre. Les fauteurs de guerre sont du côté du gouvernement de Kiev, de ses milices financées par des oligarques (bataillons Dnipro et Aïdar), du Department of State et des dirigeants européens qui les soutiennent. Les crimes de guerre contre les populations civiles (voir autres articles de ce blog), notamment par bombardements contre des zones résidentielles s’ajoutent aux tortures infligées par les troupes et milices du gouvernement de Kiev (je ne dis pas ”ukrainiennes”) envers leurs prisonniers. Ils sont superbement ignorés par les médias et les gouvernements occidentaux pour lesquels tous les torts sont du côté russe. Vladimir Poutine a raison de dire que l’Europe (et la France) ne sont pas indépendantes et suivent la politique étrangère des USA, contraires à leurs propres intérêts.

Le but logique et compréhensible de Washington est d’affaiblir à la fois la Russie et l’Europe péninsulaire. Encercler la première (d’où l’élargissement de l’Otan aux anciens pays du bloc communiste), neutraliser la seconde, interdire toute ”Maison commune” euro-russe.  C’est une stratégie naturelle de la thalassocratie américaine – et de son supplétif britannique– ainsi que d’empêcher la naissance d’un concurrent géostratégique et géoéconomique  euro-russe. Réchauffer l’ancienne guerre froide (1949-1991), c’est le but. La contradiction des gouvernements américains, depuis la fin de la terrible guerre de Sécession, c’est, sous le prétexte d’un ordre pacifique international, d’avoir sans cesse besoin du bellicisme – à ne pas confondre avec le militarisme. Pour des raisons à la fois morales et économiques. Ce bellicisme est légitimé par le concept de ”leadership”, nécessairement moral et positif (le sheriff mondial), qu’on pourrait traduire par le néologisme dirigeance (aptitude légitime à diriger) dont le ”soft power”  est le centre.

Robert Steuckers, dans plusieurs textes géopolitiques et historiques, a été le meilleur analyste de ce ”soft power” US, qui se transforme d’ailleurs aisément et maladroitement en ”hard power”, avec l’US Air Force et les interventions armées. Steuckers a démontré la puissance de ce ”soft power” qui, par des moyens culturels et économiques, financiers, diplomatiques, n’a de cesse – surtout depuis la fin de l’URSS – que de poursuivre trois  buts : 1) empêcher la remontée en puissance de la ”nouvelle Russie” post-soviétique  et la forcer à redevenir une puissance régionale limitée, ”non-patriote” ; 2) interdire à l’Europe toute velléité d’indépendance économique et géostratégique et notamment de se doter d’un système de défense commun hors OTAN ou d’un espace économique continental protégé ; 3) contrer à tout prix une union euro-russe, en particulier dans les domaines commerciaux, techno-militaires, énergétiques, diplomatiques. 

Les provocations anti-russes continuent donc : non seulement il est question d’alourdir les sanctions économiques, alors que Poutine ne se livre à aucun acte hostile contre Kiev et qu’il propose au contraire toutes les fournitures de gaz pour l’hiver et qu’en décembre il a reconnu l’intégrité territoriale de l’Ukraine, mais le gouvernement ukrainien et les cercles atlantistes  accélèrent les négociations pour le processus d’adhésion de l’Ukraine à l’OTAN. Ce qui est évidemment inacceptable pour Moscou ; et ce qui revient à une déclaration de guerre soft. Complètement irresponsable, le gouvernement de Kiev – en particulier le Premier ministre extrémiste Iatseniouk – provoque Moscou. Il espère, il veut un affrontement avec la Russie et aimerait y entrainer les Occidentaux.

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La grande erreur de l’Allemagne de Mme Merkel

L’Allemagne est beaucoup trop soumise aux Etats-Unis parce que Mme Merkel est russophobe du fait de ses souvenirs de la RDA ; elle confond l’URSS et la Russie.  De Gaulle avait compris, à l’inverse, que l’URSS n’était ni plus ni moins que la Russie impériale. Willy Brandt et Schröder avaient  saisi que l’Ostpolik est indispensable à l’Allemagne et à l’Europe. Angela Merkel qui, au début de la provocation ukrainienne, était réticente aux sanctions contre la Russie, a cédé aux injonctions de Washington. Elle a confirmé le fait que, comme la Grande-Bretagne, l’Allemagne s’aligne sur la diplomatie décidée sur les rives du Potomac. Cette position de Mme Merkel nous indique que, si elle a une bonne vision des solutions économiques pour l’Europe sur le désendettement et l’orthodoxie, elle se méprend sur la politique étrangère. 

La Chancelière a rompu avec la politique de Schröder d’ouverture vers la Russie. Elle a sacrifié les intérêts économiques allemands, au nom de bonnes relations avec une Pologne dominée par un gouvernement russophobe et atlantiste et par crainte d’affronter le suzerain américain. Mme Merkel défend une vision de l’Allemagne beaucoup trop atlantiste et, de plus, complètement inconsciente vis-à-vis du péril démographique et migratoire. Elle n’a pas compris que son cher pays est en train de mourir, tous doucement.  

 La crise ukrainienne a déjà une conséquence catastrophique : affaiblir les relations et les projets, notamment économiques, diplomatiques et stratégiques entre l’UE (surtout l’Allemagne et la France) et la Russie. Le projet de l ‘”axe Paris-Berlin-Moscou” s’estompe. La Russie, échaudée par les sanctions économiques  de l’Occident, se lance dans une ”Ostpolitik” en direction de la Chine, de l’Asie centrale, de l’Iran, de l’Inde. Or l’intérêt de la France et de l’Allemagne est non seulement de développer un flux  d’investissements en Russie mais de privilégier les fournitures d’hydrocarbures russes par rapport à celles des Arabes du Moyen Orient.  L’idée de ”Maison commune”, d’espace euro-russe, qui est pourtant notre géopolitique naturelle, s’efface. Fedor Loukianov, politologue, écrit : « la Russie ne rompt pas avec l’Europe. Toutefois, le tournant qu’elle opère vers l’Est et l’Asie est inévitable, d’autant plus que l’Occident la pousse dans cette direction » (1) Les sanctions économiques contre la Russie, ordonnées par Washington,  sont globalement pénalisantes pour la France, l’Allemagne et la zone euro mais favorisent l’économie US. C’est une erreur économique majeure.

La France aux abonnés absents

Vis-à-vis de la Russie, depuis le début de la crise (”provocation”) ukrainienne, la politique étrangère française a été inexistante. Elle s’est alignée sur les injonctions US et a cédé aux pressions de Bruxelles et à celles de l’Allemagne et de la Pologne.  François Hollande a essayé de calmer le jeu, notamment en rencontrant Poutine le 6 décembre pour négocier et redonner vie au cessez-le-feu (protocole de Minsk de septembre dernier)  mais, en même temps, il ne parvient pas à décider de la livraison des BPC de la classe Mistral. Cette lamentable affaire des Mistral démontre de manière claire la dramatique perte d’indépendance de la France. Qui, en décidant de surseoir à la livraison des navires, rompant un contrat signé et payé, a cédé aux pressions américaines, dont l’objectif depuis les années 60 est de casser l’outil militaro-industriel français concurrent. Notamment en faisant obstacle, avec acharnement, aux exportations militaires françaises, y compris au sein de l’UE.

L’historien russe Alexandre Verchinine résume la situation : « Que voyons-nous en 2014 ? Un effondrement de grande ampleur de tout l’édifice des relations entre la Russie et l’Occident. Avec ou sans les Mistral, Paris n’est déjà plus un médiateur ». (2) En obéissant à Washington sur l’affaire des Mistral et des sanctions anti-russes, Paris a perdu son crédit de puissance indépendante que De Gaulle avait forgé.

L’affaire de la vente des Mistral était un scandale pour Washington et tous les gouvernements atlantistes de l’UE (dont les Polonais et les Baltes) car « à travers cet accord, Moscou a pénétré au cœur du saint des saints du bloc occidental : la coopération militaro-technique, considérée comme la forme la plus élevée de collaboration entre les États », poursuit Alexandre Verchinine.  Une coopération militaro-industrielle entre la France et la Russie est inacceptable pour les Anglo-Saxons comme pour la Pologne et les pays baltes. Avoir cédé sur ce plan enlève à la France une partie de son statut international.

 La réintégration de la France dans le commandement intégré de l’OTAN, initié par Chirac –prototype du pseudo-gaulliste–  a été une erreur majeure, une bourde dévastatrice de politique étrangère. Et ce, au moment même où l’URSS disparaissait ainsi que le Pacte de Varsovie ! Les conséquences de cette gaffe monumentale furent triples : 1) compromettre un rapprochement historique avec la Russie et la construction d’un axe continental  Paris-Berlin-Moscou qui aurait pu naître progressivement, ainsi que la possibilité d’un système de défense européen indépendant  ; 2) sonner le glas d’une politique étrangère française autonome ; 3) détruire l’image de la France comme puissance non-alignée sur l’américanosphère et donc  nuire à sa position économique et stratégique.

Les trois dangers pour la France, qui peuvent signer sa disparition au XXIe siècle sont 1) Une islamisation et une invasion migratoire de colonisation ; 2) une soumission à la politique étrangère de Washington ; 3) un système socio-économique de type collectiviste (État Providence exsangue, surendetté, surfiscaliste ) dans un écosystème européen et mondial concurrentiel, ce qui paralyse l’économie et paupérise la société.

La Russie réelle

Présenter la Russie comme un danger est donc un absurde mensonge. Un faux problème. Tout d’abord, l’idée que la Russie post-communiste n’est pas démocratique, dirigée par un néo-Tzar nommé Poutine qui serait un clone soft de Staline, est une position étrange, défendue par d’anciens gauchistes (trotskistes ou maoïstes) reconvertis dans les ”Droits de l’Homme”.

La Russie est en réalité un pays démocratique (contrairement à la Chine et aux pétro-monarchies du Golfe) qui a réussi à se libérer du communisme soviétique sans crise majeure, un exploit historique, mais dont l’État de Droit fonctionne de manière autoritaire – bien moins que sous la monarchie et le communisme d’ailleurs – ce qui correspond à la tradition russe et ce qui est inévitable dans un pays de dimension continentale. La Russie a surmonté la période communiste et son système économique obsolète mais son problème majeur est la construction d’une économie diversifiée qui ne repose plus uniquement sur le pétrole et le gaz, aux ressources fluctuantes.

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Dans l’histoire récente, à aucun moment la Russie n’a attaqué les autres. Au contraire elle a été agressée à deux reprises, d’abord par la France napoléonienne puis, en 1854 en Crimée par les forces franco-britanniques,  et enfin par l’Allemagne hitlérienne ; elle a vaincu à chaque fois. Ni Napoléon, ni Hitler n’avaient pris conscience que la Russie est invincible. Du fait de l’immensité de son territoire et de la ténacité de son peuple ; mais aussi de la particularité de sa langue et de sa culture. Washington a décidé de mener une guerre ”soft” contre la Russie., en réanimant la guerre froide. Il ne s’agit plus de lutter contre le ”communisme”, disparu, mais d’empêcher la reconstitution d’une grande puissance. 

Ni l’Ukraine, ni la Pologne, ni les pays baltes n’ont quoi que soit à craindre de la Russie. Ils sont victimes d’une propagande qui leur fait très habilement croire le contraire. La Russie ne possède aucun intérêt à agresser ses voisins, ni à annexer les oblasts de Donetsk et de Louhansk, régions pauvres qui grèverait le budget. Bien sûr, la Russie connaît d’immenses faiblesses ; mais qui n’en a pas ? Mais sa force – que la France devrait posséder – c’est qu’elle est patriote. 

Les 7 axes d’une politique russe de la France

Dans ces conditions, quelle devrait être la politique étrangère de la France vis-à-vis de la Russie ? Cela supposerait d’abord une vision claire et constante d’une politique étrangère, ce qui, depuis De Gaulle et Pompidou, n’est plus le cas. Et ensuite de manifester un peu de courage et moins de pleutrerie.  Voici les sept axes que je propose

1) Refuser de valider et de s’associer à toute sanction économique (financière et commerciale) imposée par l’UE et les USA contre la Fédération de Russie même au prix d’un désaccord majeur avec la Chancellerie de Berlin. Après tout, une ”crise” avec Berlin, les fonctionnaires de Bruxelles, Washington et Varsovie serait moins graves qu’une brouille durable avec la Russie. L’intérêt de la France et celui de l’Europe passe avant le fait de plaire ou de déplaire à tels ou tels gouvernements ou oligarchies. 

2) S’opposer définitivement et clairement à toute extension de l’OTAN à de nouveaux membres, en particulier l’Ukraine ou la Géorgie. La France n’a pas été claire sur ce point.

3) Opérer un retrait français du commandement intégré de l’OTAN (retour à la doctrine gaullienne) et  œuvrer pour un système de défense européen commun qui aura vocation à moyen terme à associer la Russie. Il s’agit de construire progressivement un système continental euro-russe de sécurité et de défense communes.    

4) Initier une vaste coopération techno-militaire entre la France et la Russie. Et essayer d’y associer l’Allemagne et d’autres partenaires européens. Il faut non seulement livrer les Mistral mais poursuivre la coopération et les projets communs dans les autres domaines, militaires et civils de pointe, aéronautiques, spatiaux, numériques, etc.

5) Plutôt que le pacte de libre-échange avec les USA, en préparation, et qui ressemblera aux ”traités inégaux” jadis passés au XIXe siècle avec la Chine, il faut négocier un traité de libre échange avec la Russie et les pays membres de la CEI. L’objectif final, à long terme, est la constitution d’un espace semi autarcique euro-russe de co-développement diversifié.

6) La France doit reconnaître le rattachement de la péninsule de Crimée à la Fédération de Russie comme on a reconnu en 1918 le retour de l’Alsace-Lorraine à la France. Et elle doit aussi organiser une conférence internationale pour régler une fois pour toutes le problème de l’Ukraine qui, comme jadis celui de l’Irlande du Nord – mais en plus grave–  est un  furoncle infecté.

7) Réinstaurer une Commission permanente franco-russe, sur le modèle créé par De Gaulle de la ” grande Commission franco-soviétique”.

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Conclusion : Pax europeana et ”hérisson géant ”.

Serait-ce une provocation contre les États-Unis ? Non, car cela ne menacerait nullement leur sécurité mais seulement leur hégémonie, cette dernière n’ayant aucune légitimité. Les Etats-Unis ne doivent pas être considérés comme un ennemi mais seulement comme un adversaire et un compétiteur. Ils ne sont forts et dominants que de la faiblesse soumise des Européens, entièrement responsables de leur sort. D’autre part, face à une alliance déterminée euro-russe, Washington ne commettrait pas la folie de s’y opposer frontalement. Il négocierait et, au final, coopérerait. Car l’ ”impérialisme américain” n’est efficace qu’envers les faibles. Seule la force génère la paix.

 Une telle politique de coopération stratégique et économique euro-russe, initiée par la France (et ses partenaires de l’UE) ne pourrait être que très progressive. Elle devrait rassurer la Pologne, les trois pays baltes et d’autres d’Europe centrale qui se méfient de la Russie, ainsi que l’Ukraine : une alliance euro-russe globale, à la fois stratégique, diplomatique, économique, militaire, technologique serait la meilleure garantie d’une pax europeana au sein de la Maison commune. Il faut rappeler l’expression parlante inventée par Robert Steuckers de « hérisson géant » pour désigner l’alliance euro-russe à venir : une puissance globale, inattaquable, dissuasive, pacifique, protégée et respectée pour sa force tranquille. Qui s’y frotte s’y pique.

Il s’agirait, pour une véritable grande politique étrangère française, de persuader nos partenaires européens de trois choses absolument essentielles : 1) notre sécurité ne dépend que de nous-mêmes, peuples apparentés,  de l’Ibérie à la Sibérie, et de notre entente ; et elle sera mieux assurée si nous pactisons entre nous. 2) Les gouvernants US ne pourront et ne voudront jamais être notre protecteur naturel. 3) La véritable menace ne provient pas de la Russie mais de cette réalité archéofuturiste que vous avez sous les yeux, cette marée qui monte à vos portes – surtout en Europe de l’Ouest–  et qui va constituer le principal problème : les flux migratoires incontrôlés ; qui vont dissoudre notre identité en moins d’un siècle.

Menace russe ou chance russe ? La Russie est l’exemple d’un peuple et d’un État à la force profonde qui, en dépit du communisme a su conserver l’identité et le patriotisme. Les Américains ? À terme, l’intérêt  des USA est de s’aligner sur une position euro-russe.  Et de coopérer avec nous.  L’Amérique, en tant que telle, a vocation, contre son propre gouvernement, à s’entendre avec l’alliance euro-russe. Nos racines ethno-cuturelles profondes ne sont-elles pas exactement les mêmes, en dépit de différences mineures ?   

Notes:

(1) Fedor Loukianov, Président  du Conseil pour la politique étrangère et la politique de défense.« Un demi-siècle après, une nouvelle ”Ostpolitik”, mais conçue à Moscou » In Rossiykaya Gazeta, 17/12/2014, distribué par Le Figaro

(2)Alexandre Verchinine : « Mistral : précédent à méditer » Ibidem.

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mardi, 06 janvier 2015

Presseschau Januar 2015

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Presseschau
Januar 2015
 
Ein frohes neues Jahr wünscht die Presseschau Spezial !!! 
 
Diesmal ist sehr viel Stoff aus dem Dezember versammelt. Vor allem viele Links zu Pegida und dem Fall Tugce.
Bei Interesse einfach das ein oder andere anklicken.
 
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AUßENPOLITISCHES
 
Tod Eric Garners
US-Polizist entgeht Anklage nach tödlichem Einsatz
Tausende haben in New York und Washington gegen Polizeigewalt protestiert. Der Anlass: Ein weißer Polizist, der einen Schwarzen erwürgt hatte, muss nicht vor Gericht.
 
US-Protest gegen Rassismus und Polizeigewalt
"Keine Gerechtigkeit, kein Frieden"
 
(Von unseren Medien kaum beachtet schwelt der Konflikt auf anderer Seite. Polizisten fühlen sich von der "antirassistische" Ressentiments bedienenden Politik verraten. Das politisch gleiche Muster wie in Deutschland, also.)
USA: Rachemord für Polizeigewalt – Zehntausende zu Beerdigung von Rafael Ramos erwartet
 
Zehntausende Polizisten nehmen Abschied
 
Umgebrachter New Yorker Polizist beigesetzt
Zehntausende Polizisten haben in New York an der Beisetzung ihres umgebrachten Kollegen Rafael Ramos teilgenommen. Er und ein Kollege waren von einem Schwarzen getötet worden, offenbar als Racheakt nach dem Tod mehrerer Schwarzer durch weiße Beamte.
 
Umstrittene Resolution
Republikaner Ron Paul klagt an: "US-Kongress erklärt Russland den Krieg"
 
Empörung über CIA-Folterungen
 
Heuchelei einer Weltmacht
von Henning Hoffgaard
 
Juristische Aufarbeitung: Warum die CIA-Folter ungesühnt bleiben wird
 
Kein Interesse an Aufklärung? – Die Rolle Europas bei der CIA-Folter
 
Erneut erwischt bei Zuschauermanipulation: ARD-Tagesthemen verharmlosen und relativieren CIA-Folter
 
Nach CIA-Folterbericht
Europa muss anklagen
 
51 Prozent der US-Amerikaner befürworten Folter
 
CIA-Dokument Anleitung zum gezielten Töten
 
Dubai-Omen sagt globalen Börsencrash voraus
Dubai, Katar, Saudi-Arabien: An den Börsen der ölreichen Golfregion sacken die Kurse plötzlich in den Keller. Der freie Fall des Ölpreises löst eine Panik aus. Die Krise dort könnte zu unserer werden.
 
In China produziert Rekordfund falscher Euro-Münzen in Italien
Hunderttausende falscher Münzen fand die italienische Polizei in Containern aus China. Das ist wesentlich mehr als sonst im gesamten Euroraum über das Jahr entdeckt wird.
 
Schweizer Notenbank führt Negativzinsen ein
 
Bald ohne Bargeld?
von Prof. Thorsten Polleit
 
Soziale Ungleichheit
Warum das iPhone Schuld an der Armut ist ...
 
Analysten warnen vor "perfect storm"
30 Prozent Wertverlust: Jetzt verkommt der Euro zur "Ramsch-Währung"
 
Immobilien
Die teuersten Wohnorte der Welt
Immobilien in München sind teuer. Doch im Vergleich zu Städten in anderen Ländern sind sie fast schon ein Schnäppchen. In New York oder Monaco zahlt man nicht selten über 100.000 Euro – für einen einzigen Quadratmeter.
 
Neuwahlen in Griechenland: Jetzt fängt die Eurokrise erst richtig an
Von Giorgos Christides, Thessaloniki
In Griechenland gibt es vorgezogene Neuwahlen - die linksradikale Syriza hat gute Chancen auf einen Sieg. Parteichef Tsipras will das deutsche Spardiktat in der Eurozone beenden und einen Schuldenschnitt erreichen.
 
Griechenland vor Neuwahl: Na dann viel Glück, Herr Tsipras
Ein Kommentar von Christian Rickens
 
Nach Aus für South Stream: Ungarn will Gas unter Umgehung der Ukraine importieren
 
Abkommen mit Abchasien: Russland stärkt seine Position im Südkaukasus
 
Russland-Krise: Deutschland zahlt weltweit den höchsten Preis
 
Rußland
Der Staat soll für Ordnung sorgen
 
Autonomie für Schottland
London und Edinburgh streiten um Kompetenzen
 
Frankreich
Elsässer protestieren gegen Gebietsreform
"Elsass den Elsässern": Die französische Regierung will im Zuge einer Gebietsreform das Elsass mit anderen Regionen zusammenlegen. Dagegen regt sich in der Provinz an der Grenze zu Deutschland heftiger Widerstand.
 
Finnland als Brutstätte für Dschihad-Krieger
 
Frankreich
„Allahu Akbar”: Mutmaßlicher Islamist rast in Menschenmenge
 
Irak
IS-Kämpfer enthaupten christliche Kinder
 
Gräueltat auf öffentlichem Platz
IS enthauptet Mann wegen Vorwurfs der Hexerei
 
Islamischer Terror
Taliban töten über achtzig Kinder
 
Atheismus im Mittleren Osten
Eine postislamistische Generation?
 
Von Neukaledonien nach Kanaky
Ein französisches Überseegebiet auf dem Weg zu immer mehr Unabhängigkeit
 
Uruguay
‘World's Poorest President' Explains Why We Should Kick Rich People Out Of Politics
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Ungleiche Lebenseinkommen
Forscher warnen: Der Mittelschicht geht das Geld aus
 
Lebenseinkommen im Generationenvergleich
Ungleichheit hat sich verdoppelt
 
Hauskauf wird in Deutschland zum Steuer-Albtraum
 
Rundfunkgebühren: 60.000 Zwangsvollstreckungen im Monat
 
(Fahimis neueste Kopfgeburt)
Wahlwochen im Winterloch
 
"Die Partei" propagiert "Fuck AfD"
 
Parteien verlieren Mitglieder - außer der AfD
 
Werben um ausländische Fachkräfte
FDP-Politiker Lambsdorff fordert Englisch als zweite Amtssprache
 
(Einfallstor für Internetzensur?)
Islamischer Terrorismus
Internetunternehmen sollen Islamisten stoppen
 
Fall Edathy
SPD im Glashaus
von Michael Paulwitz
 
Edathy belastet SPD-Politiker
 
Edathy legt nach
 
(Sie fordern aber keine Entschädigung für deutsche Gefangene in der Sowjetunion. Das zeigt einmal mehr, welchen Herren sie dienen. Jedenfalls nicht dem eigenen Volk.)
Zweiter Weltkrieg
Linkspartei fordert Entschädigung für sowjetische Kriegsgefangene
 
Gedenkstein am Marstallplatz
Trümmerfrauen-Denkmal: Grüner fordert Beseitigung
 
Geschichtspolitik
Direktor der Vertriebenenstiftung muß gehen
 
(Warum ist vor 1949 juristisch verächtlich, was nach 1949 offenbar einwandfrei ist?...)
Landtag fordert Rehabilitierung von einst verurteilten Homosexuellen
 
München – Geschichtsmunition für alle
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
(Linksradikale gegen Pegida. Das Ende des Versammlungsrechts)
Das Demonstrationsrecht als Ramschware
von Henning Hoffgaard
 
Dresden, 1. 12. oder Welche Zukunft hat PEGIDA
 
Linkspartei kritisiert „Pegida“-Demonstrationen
 
Demonstrationen in Dresden
AfD-Chefin Petry nimmt „Pegida“ in Schutz
 
Pegida
Rätselraten in Dresden
von Sebastian Hennig
 
Pegida
Interview
„Unser Ziel sind 10.000“
 
(Mal wieder was von Alexander Häusler von der FH-Antifa-Forschungsstelle Düsseldorf, diesmal zu Pegida)
Rechtsextremismus-Forscher im Interview
"Das ist ein politisches Pulverfass"
 
(Und ein Lebenszeichen von Antifa-Autor Andreas Speit)
Nazis in Dresden lahmgelegt
„Pegida“ läuft nicht mehr
Die rechte Demo wird eine Kundgebung. Ein Organisator der Gegendemo bekam Morddrohungen. In NRW gründet sich „Dügida“.
 
(Der offiziell bundesweit verbreitete dpa-Text…)
Angst um das Abendland?
Demos gegen Flüchtlingsheime, Proteste gegen eine angebliche Islamisierung des Landes, Randale von Hooligans und Rechten. Was braut sich da zusammen? Experten warnen vor gefährlichen Entwicklungen.
 
(Katholischer Studentenpfarrer gegen "Rechtsextremismus")
Hass-Mails an Friedenspreisträger
„Pegida“-Anhänger attackieren Studentenpfarrer Burkard Hose
 
Ein „breites Bündnis“ gegen PEGIDA in Dresden – was ist das eigentlich?
 
Tillich unterstützt Proteste gegen „Pegida“
 
Heute ist man Antifa. Doch einst wollte die CDU selbst die "abendländische Kultur" retten. Siehe dieses Wahlplakat:
 
Aufmarsch in Dresden: 10.000 Islamfeinde bei Pegida-Demo
 
Mehr als 10.000 bei „Pegida“-Demonstration
 
Bundesjustizminister fordert All-Parteien-Bündnis gegen „Pegida“
 
Tillich attackiert „Pegida“ und AfD
 
"Neonazis in Nadelstreifen"
Ralf Jäger verteidigt seine Aussagen zu "Pegida"
 
Maas verurteilt „Pegida“ als „Schande für Deutschland“
 
Scharfe Kritik an neuer Bewegung
Hannelore Kraft nennt "Pegida"-Organisatoren Rattenfänger
 
„Nationalisten und Rassisten“
Oppermann ruft zum Kampf gegen Pegida auf
 
Auch ich war gestern eine „Schande für Deutschland“
Offener Brief an den Bundesjustizminister in Berlin
 
Fundstück: Ein Flugblatt gegen die PEGIDA
 
Der Demonstrant Markus Ulbig
 
PEGIDA und Wolfgang Bosbach: Ab durch die Mitte
 
Werner Patzelt und Byung-Chul Han als Pegida-Versteher
 
Ein Lied für die PEGIDA
 
Der etablierte Machtblock gerät in Panik
Die Volksmassen in Dresden verändern Deutschland
 
JF-TV veröffentlicht Film-Dokumentation über Pegida
 
Video
Pegida in Dresden: „Wir kommen wieder!“
 
(Steuergeldverschwendung)
Zehn Euro/Stunde für PEGIDA-Gegner
Screenshot:
 
NDR interviewte falschen Pegida-Demonstranten
 
Undercover in Dresden: Die dubiosen RTL-Methoden bei Pegida-Recherchen
 
Kommentar zu Pegida
Aufstand der Anständigen
 
Interview zu Pegida
Patzelt: Demonstranten nicht als Rechtsradikale abtun
 
Dokumentation
So reagiert die Politik auf den Pegida-Erfolg
 
BOGIDA Demo Bonn 15.12.2014 - Rede Akif Pirincci – 1
 
Bogida -Demo in Bonn am 15.12.2014
 
("Antifa"-Journalist Hanning Voigts in der "Frankfurter Rundschau")
Pegida-Ableger in Frankfurt Widerstand gegen Fragida
 
Pegida und das Beben im Parteiensystem
von Michael Paulwitz
 
Bürgerschubser
 
Ähnliche Sympathiewerte in Ost und West
Kirchen distanzieren sich von "Pegida"
 
Hessen
Haushaltsdebatte
Landtag besorgt wegen Anti-Islam-Demos
 
(Zu Pegida und AfD)
Kommentar: Dämlicher geht's nicht
 
Wenn Opfer demonstrieren
Kommentar: Pegida in Dresden
 
DDR-Oppositionelle über Pegida
„Jesus hätte gekotzt“
Einstige DDR-Bürgerrechtler wenden sich gegen die „Wir sind das Volk!“-Attitüde der Rechtspopulisten. Sie wollen Widerstand gegen sie anregen.
 
(Dazu ein Kommentar von Vera Lengsfeld)
Nicht in meinem Namen!
 
Der Inhalt der Enthaltung – Schweigen mit Pegida
 
„Glücklich der Staat, der solche Bürger hat!“ – AfD-Landeschef Björn Höcke im Gespräch über die Pegida
 
(Die Propagandamaschine läuft…)
Vorurteile gegen Ausländer, die nicht stimmen
Ausländer nehmen den Deutschen die Arbeitsplätze weg und sind besonders kriminell – Vorurteile wie diese gibt es nicht erst seit den Demonstrationen von "Pegida" und "Dügida". Doch hinter den Parolen steckt wenig Substanz.
 
Warnung vor Pegida-Bewegung: Zentralrat der Juden stellt sich hinter Muslime in Deutschland
 
Pegida und das Schweigen
 
Hetze, Hysterie und Gesprächstherapie: Reaktionen auf PEGIDA (feat. Georg Diez)
 
PEGIDA, als Falle betrachtet
 
Spendenaktion für Obdachlose
„Tafel“ will kein Geld von Pegida
 
Antifant: Scheiß-PEGIDA-Drecksvolk – Dresden soll wieder brennen wie 1945
 
Wieder in Dresden gewesen, PEGIDA erlebt
 
In Dresden
 
(Georg Diez mal wieder. Er sieht "ein Klima von Angst und Opportunismus, wie es in Dresden besonders gut zu beobachten ist"…)
Der Kritiker: Erschrecken vor dem Gestapo-Schatten
Eine Kolumne von Georg Diez
Deutschland ist nationaler geworden seit der Wiedervereinigung: Das zeigt der Zulauf für Pegida - und auch die Bereitschaft der Medien, auf rechte Argumente einzugehen.
 
Fest des Wahnsinns
Mit Pegida wächst auseinander, was nicht zusammengehört: Auf der einen Seite die Politik, auf der anderen das angeblich "dumme" Volk Von Henryk M. Broder
 
Gegen Asyl, gegen Zuwanderung, gegen Ausländer
So nutzt die NPD die HoGeSa- und Pegida-Proteste für rechtsextreme Mobilisierung
 
West-östlicher Divan statt deutschnationales Feldbett
Pediga in Dresden, Dügida in Düsseldorf: Wortführer der Demonstrationen nähren Sorgen vor Überfremdung und Zuwanderern. In Sachsens Hauptstadt kommen 9000 Menschen zur Gegendemonstration.
 
Bundesregierung zu Anti-Islam-Demonstrationen
Alle Glaubensrichtungen willkommen
 
SPIEGEL-Umfrage zur Flüchtlingspolitik: Deutsche fühlen sich von Regierung übergangen
 
"Zuwanderer-Geld für Sachsen"
Al-Wazir rechnet mit "Pegida" ab
 
Pegida-Proteste: Bouffier nennt Teilnehmer "Dumpfbacken"
 
Merkel warnt vor "Pegida"
 
(Merkel gegen das Volk)
Merkel verurteilt Menschen, die sie gar nicht kennt
 
Petition „Ja-zu-Pegida“ geschlossen
 
(Nur eine Meldung für die Lokalmedien wert)
24-Jähriger nach Pegida-Demo auf Prager Straße niedergestochen
 
2014: Das Volk des Grundgesetzes meldet sich zurück
Der deutsche Machtblock steht unter Pegida-Schock
 
(Verballhornung oder erlaubtes Ressentiment?)
Anti-Schwaben-Aktion am Berliner Ensemble
Berliner Kartoffelsalat auf schwäbischem Bertolt-Brecht-Denkmal
 
Kampf gegen Rechts
Berliner Senat unterstützt App „Gegen Nazis“
 
Thüringer Verfassungsgerichtshof
Minister dürfen nicht gegen NPD-Parteitag agitieren
 
Rechtsextremismus
"Ich habe mich belogen"
Der Rechtsanwalt Ingmar Knop war Vizechef der DVU. Danach saß er im Bundesvorstand der NPD. Jetzt bricht der 39-Jährige mit der Szene. Der ZEIT offenbart er, was ihn dazu bewogen hat.
von Toralf Staud
 
Stadt Frankfurt
NPD-Politiker zu Unrecht gekündigt
 
NSU-Leaks
Was will "Fatalist"?: Das "Leaken" von Akten aus dem NSU-Prozess ist ohne Beispiel ein handfester Skandal. Kulturzeit ist es gelungen, mit dem Mann zu sprechen, der die Quellen ins Netz gestellt hat.
 
(etwas älter, aber lustiges Foto)
Gerstungen / Obersuhl
Neuer Verein sieht Gefahr durch rassistische Bestrebungen in unserer Region
Bündnis gegen Rechts
 
(Historische Strategie von SED/PDS)
„Front gegen Rechts“73
Falsches Spiel
von Christian Vollradt
 
(Herrlich, die kleinlauten Diener ihrer neuen Fetische und Herren…)
Autonome sollen einer Moschee weichen
Zur Zurückhaltung gezwungen
In Wuppertal soll eine Moschee dort gebaut werden, wo das Autonome Zentrum steht. Aus Angst vor Rechtsaußen vermeiden beide Seiten die Konfrontation.
 
Asyl-Konzert abgesagt
Empörung über Görlitzer Kaufhausbesitzer
 
(Ein 180%-iger Gutbürger muss eine Geldstrafe zahlen und jammert)
Wo leben wir denn? Lehrer verurteilt, weil er Hakenkreuze übermalte!
 
Verfassungsschutz
Berliner Linksextremisten immer brutaler
 
Ausschreitungen in Zürich
Brennende Fackel in Polizeiauto geworfen
Sieben Polizisten wurden bei den Krawallen in Zürich verletzt. Die Beamten versuchten ihrerseits die Demonstranten mit Gummischrot zurückzudrängen.
 
(Bilder der "autonomen" Ausschreitungen in Zürich)
Mercedes Burning and Exploding in Zurich
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
Ifo-Chef Sinn
„Migration ist ein Verlustgeschäft“
Eine Studie der Bertelsmann-Stiftung ist so interpretiert worden, dass die Zuwanderer dem deutschen Staat viel Geld einbringen. Der Ökonom Hans-Werner Sinn weist das zurück. Und legt eine andere Rechnung vor.
 
"Jeder Migrant kostet 1800 Euro mehr, als er bringt"
Die bisherige Migration ist ein Verlustgeschäft für Deutschland, sagt der Präsident des Ifo-Instituts Hans-Werner Sinn. Der Sozialstaat wirke wie ein Magnet für unqualifizierte Zuwanderer.
 
Video von Kopp Verlag
Die verschwiegenen Kosten der Zuwanderung
 
(Linkes Verschweigen zum Fall Tugce)
Herr M. und der böse Populist
Anmerkungen zu einer Denunziation in der Frankfurter Rundschau
 
Nachdenken über Tugçe A.
 
Tugçe A. – Das Überwachungsvideo
 
Der Fall Tugce: Eine Auswertung des Überwachungsvideos – Gastbeitrag
 
1,4 Promille im Blut
Tugce-Schläger Sanel M. war in Tatnacht betrunken
 
Schlechtes Zeugnis für Heimatstadt
Haftbefehl: „Offenbach ist eine schlimme Stadt“
 
(Fall Tugce)
Alles nur getürkt
 
Georg Immanuel Nagel Vlog #1 - Alles nur getürkt?
 
Tugce steht auf Liste für Straßen- und Brückennamen
 
Ehrung für Tugce Albayrak
Offenbach mit Signal gegen Akzeptanz von Gewalt
 
Getötete Studentin: Tugces Familie will Stiftung für Zivilcourage gründen
 
EU-Kommission feiert „Tag der Migranten“
 
(Günther Grass und die Unterbringung der Refugees)
Gedankensplitter (29. Nov.)
 
(Auflösung des deutschen Volkes)
Gedankensplitter (4. Dez.)
 
Von den sogenannten Flüchtlingen
 
Integration
Hessen sagt Ja zur Zuwanderung
von Pitt von Bebenburg
 
Die Burka, die „falsche“ Migrantin und eine turbulente Rede
Ein Sittengemälde des realen Römer-Parlamentarismus
 
Christen sollen Islamlieder zur Weihnacht singen
 
Islamisierung
Propagandavideo provoziert Schweizer
 
Video
Hier erklimmen Muslime die Schweizer Berge
 
(Das Video…)
Five Years after the Minaret Ban: The Muslims of Switzerland rise up against Islamophobia
 
Islam in der Debatte: Soviel Kritik muß sein
 
(Jesus war ein Asylant? Das meint zumindest die BILD-Zeitung…)
 
Jesus war kein „Asylant“
 
Lassalle und das Recht auf Eroberung
 
„Sie haben kein Recht, sich hier festzusetzen“
Der Görlitzer Unternehmer Winfried Stöcker über das Verbot eines Benefizkonzertes für Flüchtlinge in seinem Kaufhaus, wo es Waren aus der ganzen Welt zu kaufen geben soll.
 
„Aus meiner Sicht“
Wer rettet das Kaufhaus?
Nach dem Interview mit der SZ hat Investor Winfried Stöcker den Anfang vom Ende seines eigenen Kaufhaus-Traumes eingeleitet. Die Görlitzer müssen sich jetzt eine Gewissenfrage stellen, findet SZ-Redakteur Frank Seibel.
 
Fremdenfeindliche Tiraden: Kaufhaus-Investor schockiert mit rassistischen Äußerungen
 
Weihnachtsansprache
Gauck ruft zu offener Gesellschaft auf
 
Prof. Sinn: Wir bräuchten 32 Mio. Migranten
 
Gierige Spekulanten verdienen an Asylanten
 
Asyl-Irrsinn in Deutschland: Moslem schmeißt Mieter für “Flüchtlinge” aus ihren Wohnungen
 
Doppelpass für 500.000 “Deutsche”
 
Raub und Vergewaltigung
Frankreichs Premier besorgt über Antisemitismus
 
Frankreich fürchtet Hasswelle gegen Juden
Jugendliche rauben bei Paris ein jüdisches Paar aus und vergewaltigen die junge Frau. Es war nicht die erste antisemitische Gewalttat der mutmaßlichen Angreifer. Frankreich fürchtet neuen Judenhass.
 
Anhänger des „Islamischen Staates“
Islamist nimmt Geiseln in Sydney
 
Frankfurts CDU und die Burka – eine Lachnummer
Moderater FW-Antrag vom Juli 2014 zum vierten Mal vertagt
 
Bayern
Unbekannte zünden leerstehende Asylunterkünfte an
 
(Zum Brandanschlag)
Gedankensplitter (12. Dez.)
 
(Ebenfalls zum Brandanschlag; "Antifa" als Täter vermutet…)
Anschlag mit A
 
("Rassismus" gegen Bayern ist aber erlaubt…)
Bayern-Beschimpfung
 
Hannover
Großfamilien
Ausländerclans bedrohen Polizisten und Richter
 
Kunde bei Supermarkt-Überfall in Hannover erschossen
 
Chemnitz
Toter nach Schlägerei in Asylbewerberheim
 
Frankfurt
Ostend: 35-Jähriger überfallen
 
Frankfurt-Bahnhofsviertel: Bargeld und Aktentasche gestohlen
 
Offenbach
Prozess wegen Drogenhandels
Angeklagter schon dreimal ausgewiesen
 
(Dialog der Religionen)
Mönchengladbach
Kinder stürmen Gottesdienst und beschimpfen Besucher
 
Gefährliche Körperverletzung, Sulzbach
 
Angriff in Ehrenfeld Mann ruft „Fröhliche Weihnachten!“ - und wird niedergestochen
 
Somalier schlagen Dänin mit Kette ins Gesicht
 
Festnahmen am "Alexa"
Jugendliche belästigen Mädchen sexuell auf Weihnachtsmarkt
 
Donauwörth: Afrikaner onanierten vor Mutter
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
Das sterbende Dorf
 
Experten der Bauminister warnen vor Brandgefahr bei Wärmedämmung
 
Kühlungsborn
200 Jahre altes Reetdach-Haus wird abgerissen
In Kühlungsborn verschwindet ein Stück Geschichte. Es fehlte der Wille zur Erhaltung des historischen Gebäudes, kritisiert Stadtvertreter Knut Wiek (SPD).
 
Umbenennung von Weihnachtsmärkten
CSU attackiert „linke Sprachdiktatur“ in Deutschland
 
„Jahresabschlußfeier“
Alpenverein benennt Weihnachtsfest um
 
(Forderung aus FDP- und CDU-Kreisen)
Englisch als Amtssprache?
 
Schule und Zuwanderung
Deutsche Geschichte macht im Unterricht Probleme
 
Feminismus
Gleichheit tötet die Erotik
Die feministische Literaturwissenschaftlerin Barbara Vinken über klassische Drohungen gegen unabhängige Frauen, allzu perfekte Mütter und die inspirierende Seite des Liebeskummers.
 
(Prozess gegen "Femen"-Aktivistin)
Gestörte Störer
 
Die Energiewende ist vollbracht
Jetzt brauchen wir die Entwicklung einer Postwachstumsstrategie
 
Schweiz
Wegen Islamkritik: Unbekannte drohen „Weltwoche“-Autor
 
Vertrauen in Medien sinkt immer weiter
 
Deutsche halten die Tagesschau für Lügen-Propaganda – das gibt jetzt sogar die ARD zu
 
Udo Ulfkotte: Gekaufte Journalisten – eine Rezension
 
RFID-Chip = totale Versklavung
 
Der Hauptfeind heißt Liberalismus – Alain de Benoist im Gespräch über sein Lebenswerk, Teil 1
 
Alain de Benoist im Gespräch über sein Lebenswerk, Teil 2
 
Peter Scholl-Latour: Das Ende der weissen Weltherrschaft Teil 1 - Nostalgie und Höhenflug
 
Der neue Mensch
Befreit von allen Fesseln der Natur: Ein Jahresrückblick auf die Debatten um Social Freezing, Gendertheorie und Sterbehilfe. von Jens Jessen
 
Grundeinkommen mit dem Glücksrad
Los in die Freiheit
Michael Bohmeyer hat Geld gesammelt, um mehreren Menschen ein Jahr lang ein Grundeinkommen zu zahlen. Nun entscheidet sich, wer das Geld kriegt.
 
Dieter Nuhr knöpft sich Islamisten und Linkspartei vor
 
(Ein neues kriegsverherrlichendes und antideutsches Hollywood-Machwerk im Tarantino-Stil)
"Herz aus Stahl": Brad Pitt ballert auf Nazischergen
 
Musikvideo
Susanne Blech - Wir werden alle nicht Ernst Jünger, live
Songtext:
 
 

mercredi, 31 décembre 2014

Otto von Bismarck’s Epistle to Angela Merkel

Otto von Bismarck’s Epistle to Angela Merkel

Dmitriy SEDOV

Ex: http://www.strategic-culture.org

 
…Angela, you know, I have always been against ladies’ presence in public affairs and I have not changed my viewpoint so far. Twice I had luck in my life. Firstly, I used to live in the days when ladies were absolutely not allowed to German’s politics. Secondly, I was born on the April Fools’ Day to become a diplomat.

So, Frau Bundeskanzlerin, I have been watching you rule the country from my family vault and now my patience is lost. You have to listen to what I’ll tell you from my estate in Friedrichsruh. It’s a pity you have never come here to visit my grave and ask my advice. Looks I did right ordering grenadiers to give Poles a rough ride and have no mercy because hardly anybody else in Europe deserved thrashing more than them. Yes, you got it right, I mean your grandfather, a Pole by origin. He inherited the national traits of his tribe and made you inherit them too.

Now I’d like to make you remember the rules I introduced for German diplomats century and a half ago. Breaching them boded trouble for the nation. This is the first rule, Angela:

«Stupidity is a gift of God that should not be used».

To put it bluntly, a stateswoman should not be more stupid than her fellow citizens. The most serious form of stupidity is to believe that you are smarter than them. Just look around and answer the question – how many Germans support your alliance with Anglo-Saxons? How many Germans approve your attacks on Russia? Are you sure you see the difference between a big political game and a woman’s intrigue?

Let me remind you the second rule of German politics so that you would not mix these things up: 

«The only sound basis for a large state is its egoism and not romanticism».

Where is the state egoism in your policy? Is it your commitment to closer relations with the US President? It’s a hope against hope. Whatever you sacrifice to please Obama, it will bring bad luck to Germans. Americans have a reason to stir up trouble in Europe, why help them? Do not forget that the third rule of German politics says:

«Whatever is at rest should not be set in motion. A government must not waver once it has chosen its course. It must not look to the left or right but go forward».

Germany has once chosen Ostpolitik and that was the best choice. But after the collapse of the Soviet Union you fell victim to greed. You wanted Russia to be pushed out further and further. Now you and Americans are turning Europe into a military camp.

Germany put on soldier’s boots and stepped on the Serbian ground. You forgot what I said: 

«The whole of the Balkans is not worth the bones of a single Pomeranian grenadier»,

«One day the great European War will come out of some damned foolish thing in the Balkans».

You spend billions of Euros on Kosovo. The first thing I would do being in your shoes is to hang those Albanian murderers that you made come to power. There is nothing to expect from them but low tricks and plundering. 

Finally, you messed with the Russians having forgotten the main secret of German politics:

«Make a good treaty with Russia».

You should read my memoirs and learn by heart what I said many years ago:

«Never fight against Russians. Your every cunning will be responded by their unpredictable stupidity»,

«This inviolable state of the Russian nation is strong in its climate, its spaces and limitations of the needs».

You should also take into account, Angela, that a Russian harnesses his horse slowly but drives fast. Putin’s patience has its limits. If he starts to act you’ll be in a deep trouble. You collude with Anglo-Saxons. Nothing could be more stupid.

These guys turn a blind eye on the fact that the Yeltsin’s Russia is gone. A new Russia has appeared headed by Putin. It’s not weak and pliant any more. Today’s Russia is strong again and ready to stand up for itself. You should realize who you deal with. Read once again what I wrote:

«Do not expect that once taking advantage of Russia's weakness, you will receive dividends forever. Russians always come for their money. And when they come – do not rely on agreement signed by you, you are supposed to justify. They are not worth the paper it is written. Therefore, with the Russian is to play fair or do not play».

Angela, perhaps you opted to provoke Russians into getting mired in Ukraine because you remember my words that in order to deprive Russia of its power, you need to separate it from Ukraine? Come on, you cannot formulate a concrete goal if it is based on a mere speculation! Many European politicians say that without Bavaria Germany will become a weedy castrate, but nobody is going to try it, no matter how many idiots are dreaming of secession from Germany there.

You follow Anglo-Saxons who don’t think about depriving Russia of its imperial status. They want to destroy it. Do you really believe Germany would benefit if there were no Russia in Europe? Do you really believe this baloney about European values and common interests? Remember I was rebuked for keeping away from forming coalitions. A French newspaper wrote that I suffered from nightmares because of prospects for Germany to become part of a coalition. True, I was afraid of coalitions because I could not sleep at nights fearful that my partners steal my possessions. I was also accused of creating a secret fund to bribe the press and calling journalists «moral poisoners of wells». You know what I think about them. «Journalist is a person who has mistaken his calling». They persecute people because of their complex of inferiority. I bribed them to make German wells safe for drinking. These guys have already poisoned German minds, as well as yours, I’m afraid.

Finally, I’ll say the following.

No need to take seriously those diplomatic dumbbells trying to reshape the world so that it would look like a Christmas tree in a Prussian military barrack. Believe me, the world doesn’t want to be reshaped, and there is no need to do it. Politics is the art of the possible, the attainable - the art of the next best no matter how abhorrent it may seem to be. In Russia I learned the word «nichego!» («it is nothing») used when they face really hard times. This word connotes with great wisdom and patience - the qualities you should acquire, Frau Federal Chancellor, and that would be my last advice to you.

Sincerely,
Prince Otto von Bismarck 
 

lundi, 29 décembre 2014

Le yuan et la roupie soutiendront le rouble

Le yuan et la roupie soutiendront le rouble

Auteur : Konstantin Garibov
Ex: http://zejournal.mobi

Le gouvernement indien élabore un scénario du renoncement à l'utilisation du dollar et de l'euro dans les régements avec la Russie. Il est prévu d'utiliser très prochainement les roubles et les roupies dans les échanges commerciaux entre la Russie et l'Inde.

Les exportateurs indiens insistent sur cette solution. « Nous n'avons pas de temps pour une longue attente : la chute du rouble nuit aux exportations indiennes car les règlements se font en dollars ». C'est ce qu'a déclaré Adjai Sakhaï, directeur général de la Fédération des exportateurs indiens (FIEO). « Tous les règlements commerciaux peuvent être effectués en roupies », - affirme Adjai Sakhaï.

Les businessmen chinois proposent la même chose – de passer aux règlements en yuans. Andrei Ostrovski, expert de l'Institut de l'Extrême-Orient, croit que l'essentiel, ce n'est pas le rouble, mais la Russie.

« Les deux pays ont intérêt à développer les liens économiques et commerciaux avec elle. Il est de plus en plus difficile de le faire avec le dollar. Le cours du rouble a chuté. Alors, pour la Chine et pour l'Inde, les exportations deviennent problématiques. La Russie a intérêt à exporter, non à importer. Alors, l'Inde et la Chine ont du mal à poursuivre les exportations en Russie. Lorsque le cours du rouble baisse, il vaut mieux travailler avec la roupie et le yuan, puisque dans le cas des règlements en une autre monnaie, les exportateurs des produits en Russie subissent de grosses pertes. Cela amène à la majoration des prix de 10-15. »

Les propositions de renoncer aux dollars et euros dans les règlements avec la Russie ont été faites bien avant la chute du rouble. Les exportateurs indiens avaient des problèmes à cause de la baisse de demande de leurs produits aux Etats-Unis, de la récession industrielle au Japon et de la crise en Europe. Les exportateurs chinois connaissent, eux aussi, une baisse de demande sur les marchés étrangers. Alors, l'Inde et la Chine sont prêtes à soutenir le rouble, mais non sans intérêt pour elles-mêmes, croit Alexandre Salitski, l'expert de l'Institut IMEMO de l'Académie des Sciences de Russie.

« Ici, tout est assez simple. Les deux pays orientaux ont un intérêt à ce que leurs monnaies aient un statut international, régional. Les accords avec la Russie, y compris dans le cadre du BRICS, visent l'utilisation des monnaies nationales des trois pays dans les règlements entre les partenaires. A mesure que dans ces pays, certains secteurs de l'économie deviennent compétitifs à l'échelle globale, il est logique de passer à ce niveau dans les règlements. Seulement, ce n'est pas si simple et cela demande du temps. »

Le chef du Centre des études orientales de l'Académie diplomatique du MAE de Russie Andrei Volodine est certain que le renoncement au dollar dans les règlements est une tendance qui gagne du terrain.

Dans ce cas, le mécanisme est simple. Si les échanges commerciaux entre les économies émergeantes deviennent plus importants qu'avec les pays industrialisés, le dollar n'est plus nécessaire dans les règlements. Ce processus est lancé, il va croissant car plusieurs économies émergeantes souffrent à cause de l'utilisation de la monnaie américaine dans les règlements. Les accords de swap, c'est le premier moyen de passer aux règlements en monnaies nationales. L'Inde, la Chine, le Brésil commencent à les pratiquer.

Il y a un point important : malgré la chute du rouble, la Chine n'a pas demandé de corriger l'accod avec la Russie sur le swap yuan-rouble.

Orbán gegen die Multikulti-Seuche

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Orbán gegen die Multikulti-Seuche

Ex: http://www.gegenargument.at

Der ungarische Regierungschef macht sich einmal mehr bei den Einwanderungsfetischisten keine Freunde. Wenig überraschend werden seine kritischen Worte zur Einwanderungspolitik in den EU-Staaten medial überhaupt nicht transportiert. Orbán kämpft gegen das Regime des Multikulturalismus und für ein Europa der Nationalstaaten. Was sollten die Zeitgeist-Schreibstuben schon großartig berichten? Der ihnen verhasste Viktor Orbán ist in ihren Augen schon viel zu lange an der Macht, außerdem sitzt er ein bisschen zu fest im Sattel. Warnende Rufe der Journalisten, wonach sich das Orbán’sche Denkmuster der eigenständigen Nationen und Völker noch schneller als es ohnehin bereits geschieht, ausbreite, erklären auch, weshalb dessen jüngste Aussagen keinen Widerhall in den Tageszeitungen finden.

Orbáns Kampfansage

Am 25. August 2014 hielt der Chef der ungarischen Regierung seine jährliche Ansprache vor den ungarischen Botschaftern in Budapest. Darin bestärkte er das, was er bereits beim EU-Gipfel in Ypern (Belgien) Ende Juni 2014 in eine gemeinsame Erklärung der Regierungschefs als Passus verankert wissen wollte, nämlich, dass die Einwanderung „falsch“ und EUropa aufgefordert sei, das Konzept Immigration „abzuschaffen“. Politische Reaktionen? Fehlanzeige!

Er gab den europäischen Kollegen zu verstehen, dass er klar gegen eine „zentrale, liberale Einwanderungspolitik“ in der EU auftreten werde. Orbán stellte fest, dass die „derzeitige liberale Einwanderungspolitik, die als moralisch gerechtfertigt und unvermeidlich dargestellt wird, heuchlerisch“ sei, griff damit Gutmenschen und Kapitalisten frontal an, und entfachte so eine Grundsatzdebatte.

In den Zeitungen und den einzelnen Parlamenten wird fortwährend genau das gepredigt, wogegen Orbán entschieden einschreitet: die nie enden wollende und als gottgegeben hingestellte Zuwanderung bei gleichzeitiger Aufgabe der eigenen, organischen Festigung und Stärkung des Volksbestandes.

Demographische Probleme selbst lösen!

Voller Überzeugung gibt Orbán zu verstehen, dass „Einwanderung keine Lösung für die demographischen Probleme in Europa“ darstelle und „die Geschichte gezeigt hat, dass nur die Nationen überleben, die sich biologisch selbst erhalten können“. Diese Worte lassen nichts an Klarheit vermissen; ungewöhnlich für einen Regierungschef.

Umso erfreulicher, dass er als Teil der Konservativen im europäischen Parlament (gemeinsam mit der CDU und der ÖVP) prononciert für Familie und Christentum auftritt. Davon können sich die deutschen Ableger gerne eine Scheibe abschneiden, die nur allzu gerne mit den Grünen und anderen progressiven Ungeistern gemeinsame Sache machen.

Feige Medien pakttreu mit den Bevölkerungsumwandlern

Das Ignorieren von Orbáns Aussagen in den Medien ist im Lichte der vergangenen EU-Wahl zu betrachten. Die seit Jahrzehnten in EUropa wütende Ideologie des Multikulturalismus hat Länder wie England oder Deutschland in multiethnische Mischpochen verwandelt. Eigentlich beheimatete Völker werden zusehends auch gewaltsam verdrängt, weswegen immer mehr Menschen gegen dieses Unrecht aufbegehren.

Rechte heimat- und volkstreue Parteien sind am Vormarsch. Genau das ist den Systemmedien freilich ein Dorn im Auge, haben sie sich doch gänzlich dem Multikulti-Diktat verschrieben. Zuwiderhandlung wird normalerweise mit bissigen Zeilen geahndet. Politisch-korrekte Maßregelungen gehen jedoch bei Volk und Leser immer öfter nach hinten los, weswegen der typische Agentur-Knecht – wie im vorliegenden Fall – einfach nur kleinmütig schweigt.

dimanche, 28 décembre 2014

Le cadeau de Noël du gouvernement aux internautes

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Le cadeau de Noël du gouvernement aux internautes: la surveillance

Auteur : Guerric Poncet
Ex: http://zejournal.mobi

Second cadeau de Noël du gouvernement, cadeau qui lui aussi fleure bon le foutage de gueule!!! Le premier, glissé en douce comme une quenelle dieudonnesque était l’abandon de la taxe à 75% pour les supers-riches, le second, c’est la surveillance généralisée pour notre sécurité bien-entendu!

Le 24 décembre, Matignon a publié un décret sur une mesure très contestée permettant aux agents de l’État de surveiller le Net français. Habile.

C’est un cadeau de Noël dont les internautes et les opérateurs français se seraient bien passés. Le gouvernement a publié mercredi 24 décembre, à la faveur des fêtes de Noël, le décret d’application du très contesté article 20 de la loi de programmation militaire (LPM). Ce texte prévoit un accès très vaste des services de l’État aux télécommunications (téléphone, SMS, Internet, etc.) des Français, et à toutes les informations qui transitent par les réseaux nationaux.

La mesure de surveillance, pudiquement nommée « accès administratif aux données de connexion », avait été votée fin 2013 et entrera en vigueur le 1er janvier 2015. Dénichées par notre excellent confrère Next INpact, qui évoque « un décret qui sent le sapin », ce sont les modalités de sa mise en oeuvre, tout aussi importantes, qui ont été dévoilées pour Noël.

Comme dans de nombreuses démocraties, le spectre terroriste permet au gouvernement de faire passer des mesures très floues et de tirer pleinement parti des systèmes d’information de plus en plus performants afin de surveiller la population.

Qui chapeaute le système ?

Le décret du 24 décembre présente « le groupement interministériel de contrôle […], un service du Premier ministre chargé des interceptions de sécurité et de l’accès administratif aux données de connexion ». Ce groupement est chargé de centraliser les demandes des agents et de les transmettre aux opérateurs concernés, en les épurant de toute information sensible.

En effet, si les services de l’État doivent justifier leurs requêtes auprès du Premier ministre (qui nomme une « personnalité qualifiée »), il est hors de question de transmettre ces explications aux opérateurs. Les fournisseurs d’accès ne sauront même pas de quel service ou ministère émane une demande, ni à quelle date elle a été formulée.

Quelles données sont concernées ?

Sans surprise, le décret se réfère à l’article 20 de la LPM, sans vraiment le préciser. Peuvent donc être interceptés les « informations ou documents traités ou conservés par les réseaux ou services de communications électroniques, y compris les données techniques relatives à l’identification des numéros d’abonnement ou de connexion à des services de communications électroniques, au recensement de l’ensemble des numéros d’abonnement ou de connexion d’une personne désignée, à la localisation des équipements terminaux utilisés ainsi qu’aux communications d’un abonné portant sur la liste des numéros appelés et appelants, la durée et la date des communications ».

On notera l’utilisation de la formule « y compris », qui n’est aucunement exhaustive : difficile de faire plus vaste.

Un contrôle démocratique insignifiant

Face aux critiques sur l’intrusion dans la vie privée, le gouvernement invoque la Commission nationale de contrôle des interceptions de sécurité (CNCIS), un organe très joli sur le papier mais qui n’a jusqu’à présent pas été doté d’un réel pouvoir. Cette commission « dispose d’un accès permanent aux traitements automatisés », et « l’autorité ayant approuvé une demande de recueil d’informations ou de documents fournit à la commission tous les éclaircissements que celle-ci sollicite », promet le décret, plein de bons sentiments.

Néanmoins, la CNCIS n’a toujours pas le pouvoir de sanction et ne peut même pas alerter la justice en cas de manquement sur un dossier couvert par le secret de la défense nationale. Habile…

Par ailleurs, le gouvernement se protège en supprimant ses archives en un temps record. Si l'on peut saluer la suppression des informations et des fichiers recueillis au bout de trois ans, on ne peut être que surpris par le fait que les registres mentionnant qui a autorisé telle ou telle surveillance soient eux aussi "automatiquement effacés" après trois ans. Le seul contrôle démocratique possible lorsqu'on jongle avec le secret défense, celui qui s'effectue a posteriori, est donc rendu impossible, pour la CNCIS comme pour la justice.

À quel prix ?

"Les coûts supportés par les opérateurs pour la transmission des informations ou des documents font l'objet d'un remboursement par l'État", précise le décret. Pas un mot sur la grille tarifaire qui sera appliquée, car ils seront définis par les ministères concernés.

Qui peut demander les informations ?

Trois ministères sont habilités à émettre des demandes. Le décret détaille le nombre impressionnant de services pour lesquels les vannes du Web français sont ouvertes :

- Au ministère de l'Intérieur : la Direction générale de la sécurité intérieure (DGSI), la Direction générale de la police nationale (unité de coordination de la lutte antiterroriste, Direction centrale de la police judiciaire, Direction centrale de la sécurité publique, Direction centrale de la police aux frontières), la Direction générale de la gendarmerie nationale (sous-direction de la police judiciaire ; sous-direction de l'anticipation opérationnelle ; service technique de recherches judiciaires et de documentation ; sections de recherches), la préfecture de police (Direction du renseignement ; direction régionale de la police judiciaire ; service transversal d'agglomération des événements ; cellule de suivi du plan de lutte contre les bandes ; sûreté régionale des transports ; sûretés territoriales).

- Au ministère de la Défense : la Direction générale de la sécurité extérieure (DGSE), la Direction de la protection et de la sécurité de la défense, la Direction du renseignement militaire.

- Au ministère des Finances et des Comptes publics : la Direction nationale du renseignement et des enquêtes douanières, le service de traitement du renseignement et d'action contre les circuits financiers clandestins.

Dans tous ces services, seuls les agents et officiers "dûment habilités" par leur directeur pourront réclamer des informations, assure le décret.

Des perspectives inquiétantes

La loi de programmation militaire a mis en place un outil de surveillance de la population française qui aurait fait pâlir d'envie les pires dictateurs de l'histoire. Si nous sommes très loin d'un régime totalitaire en France, il n'est pas exclu que des leaders extrémistes disent demain merci au gouvernement Valls pour leur avoir fourni un tel outil clé en main.

- Source : Guerric Poncet

Rassegna Stampa: XII/2014

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano

XII/2014

  • Le due città
    di Francesco Lamendola [18/12/2014]
    Fonte: Arianna editrice
  • Sì, tu
    di Lorenzo Parolin [18/12/2014]
    Fonte: Arianna editrice
 



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samedi, 27 décembre 2014

Entretien avec Yves-Marie Laulan, auteur du livre Les Années Sarkozy

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Entretien avec Yves-Marie Laulan, auteur du livre Les Années Sarkozy

 

Nicolas Sarkozy veut furieusement prendre sa revanche sur le destin qui l’a privé d’un second mandat où son immense talent aurait pu s’épanouir à loisir… sur les Français, ingrats, qui ne l’ont pas réélu… et surtout sur ses “amis de l’UMP” qui ne l’ont pas assez soutenu. »

 

Les Années Sarkozy

(Éditions de l’Æncre, 340 pages,

31 euros)

(propos recueillis par Fabrice Dutilleul).

 

Votre livre est un véritable réquisitoire contre Nicolas Sarkozy…

Il a fait croire aux Français qu’il allait redresser notre pays alors qu’il l’enfonçait encore davantage. Il n’a vécu que par et pour l’image, les « coups » médiatiques et les sondages. Il a été un magicien de l’illusion médiatique, vivant dans l’instant, sans vision d’ensemble ni projet de long terme. Était-il vraiment fait pour être président de la République ? Il incarne malheureusement à la perfection tous les travers de l’homme politique de notre temps.

Vous dressez un constat radical des « années Sarkozy »… N’y a-t-il rien eu de positif durant celles-ci ?

Tout a été en trompe-l’œil : la réforme de l’université ? « À côté de la plaque » : le vrai problème est celui de leur gestion beaucoup plus que le « faux nez » de leur indépendance… La sécurité ? L’affaire Neyret, les ripoux de la police marseillaise, le serial-killer Mérah ou encore l’islamisme radical ont mûri sous le mandat Sarkozy… La réforme de la justice ? Parfaitement inutile au point d’en être dérisoire, tout en laissant de côté les vrais problèmes de la justice en France, injuste et partiale, comme jamais au cours de notre histoire… La réforme de l’école? Toujours en chantier, avec inchangés le collège unique et la méthode globale, d’où en grande partie l’échec scolaire… Les 35 heures ? Malgré un replâtrage, fiscalement coûteux, elles ont été pieusement conserves… La pénible réforme des retraites laissée en jachère ? Il va falloir la reprendre très bientôt sous peine de faillite… Celle de la Sécurité Sociale ? À peine effleurée… Et ne parlons pas, cerise sur le gâteau, de l’immigration clandestine qui déferle toujours…

Le chantier des réformes Sarkozy ressemble à s’y méprendre à ces friches industrielles du régime soviétique : jonchées d’équipements laissés à l’abandon sous le soleil et la pluie. Oui, Nicolas Sarkozy aura été le champion toutes catégories des innombrables réformes en trompe-l’œil, toujours entreprises, jamais achevées, mais médiatiquement présentées devant l’opinion comme de grandes victoires de l’ex-président. En d’autres termes, il nous a fait prendre des vessies pour des lanternes. J’en apporte la démonstration, preuves à l’appui.

Aura-t-il été pire que ses prédécesseurs… et que son successeur François Hollande?

Oui, pire ! Parce qu’il nous a fait perdre 5 années qui ne se rattraperont pas… Dans peu d’années, l’immigration massive et intense – au rythme infernal de 250 000 entrées par an –remettra en cause, et pour toujours, la survie de la France, de son histoire, dont elle va être dépouillée, de son identité, de ses traditions et de ses valeurs… C’est un crime majeur, impardonnable ! Car un pays peut se relever d’une guerre perdue, on l’a fait ; d’une crise économique, on l’a vu. Il ne se relève jamais d’une guerre démographique perdue. Et nous sommes en train de la perdre, largement en raison de l’ineptie, et des mensonges de Nicolas Sarkozy, lequel passera devant l’histoire comme un des principaux fossoyeurs de notre patrie.

Un retour à l’Élysée de Nicolas Sarkozy vous semble-t-il envisageable?

Il ne vit que pour cela. Et ceux qui soutiennent le contraire n’ont rigoureusement rien compris au personnage. Il veut furieusement prendre sa revanche sur le destin qui l’a privé d’un second mandat où son immense talent aurait pu s’épanouir à loisir… sur les Français, ingrats, qui ne l’ont pas réélu… et surtout sur ses « amis de l’UMP » qui ne l’ont pas assez soutenu…

Une des pierres d’achoppement pourrait provenir de l’UMP elle-même qui se cabrerait contre le chef déchu dans lequel elle ne croierait plus et déciderait que « cela suffit comme cela » pour regarder ailleurs. C’est ce qui est arrivé à Valéry Giscard d’Estaing… À moins que l’UMP n’existe bientôt plus…

Yves-Marie Laulan a été successivement au cabinet de Michel Debré, secrétaire national du RPR, président du Comité économique de l’OTAN et professeur à Sciences Po, à l’ENA et à Paris II. Il préside aujourd’hui l’Institut de Géopolitique des Populations. Mais, couronnement de sa vie, sa chronique à Radio Courtoisie est venue là pour le consoler de ses malheurs.

BON DE COMMANDE

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mercredi, 24 décembre 2014

Une révolution colorée imminente en Russie

Une révolution colorée imminente en Russie

Auteur : Tony Cartalucci-Traduction Ender
Ex: http://zejournal.mobi

La manipulation coordonnée des prix de l’énergie, sous l’égide de l’OTAN en Europe de l’est, et le retour des actions terroristes dans le sud Caucase apparaissent comme les éléments d’un scénario d’un événement plus large qui vise un renversement de pouvoir en Russie sur le modèle d’un « Maïdan russe ».

Les composantes nécessaires d’une action occidentale pour renverser l’ordre politique russe incluent un front politique de protestation dans les grandes villes du pays, aussi bien qu’une guerre économique globale destinée à mettre la population sous pression, le soutien à la dissidence aussi bien que l’organisation de manifestations par Washington et Wall Street dans les rues de la Russie. Une autre composante inclus l’armement des « opposants pacifiques » dans le but d’entraîner une escalade des manifestations, d’empêcher les forces de sécurité de rétablir l’ordre, afin de mener à bien leur renversement physique.

Ces éléments ont tous pu être observés dans l’Ukraine voisine – une nation dans laquelle les ingérences de l’OTAN et de l’Amérique constituent un sujet d’étude de longue date. Le journal The Guardian l’admettait dans un article de 2004 : « La campagne américaine derrière les tourments à Kiev », l’article ajoutait également :

« Alors que les avancées obtenues par la « révolution orange » sont ukrainiennes, la campagne est une création américaine,un exercice brillant et sophistiqué conçu par les agences de communication et de marketing occidentales, qui ont été utilisées en quatre ans dans quatre pays pour manipuler des élections truquées et renverser des régimes peu recommandables.

Fondé et organisé par le gouvernement US, utilisant des consultants US, des sondeurs et des diplomates, les deux grands partis politiques américains et des organisations non gouvernementales, ce type de campagne a d’abord été utilisée en Europe à Belgrade pour provoquer la défaite électorale de Slobodan Milosevic.

Richard Miles, l’ambassadeur américain à Belgrade, a joué un rôle clé. Et l’année dernière, en tant qu’ambassadeur à Tbilissi, il a répété l’opération en Géorgie, en aidant Mikhail Saakashvili à faire tomber Eduard Shevardnadze.

Dix mois après le succès de Belgrade, l’ambassadeur américain à Minsk, Michael Kozak, qui avait déjà conduit des opérations similaires en Amérique Centrale, notamment au Nicaragua, a organisé une campagne identique pour faire tomber l’homme fort de la Biélorussie, Alexander Lukashenko.

Cette opération échoua. « Il n’y aura pas de Kostunica en Biélorussie » déclara la président biélorusse en se référant au changement de régime à Belgrade.

Mais l’expérience accumulée lors des opérations en Serbie, Géorgie et Biélorussie, a été inestimable dans la tentative de renverser le régime de Léonid Kuchma à Kiev.

L’opération, de l’ingénierie démocratique passant par des scrutins électoraux et la désobéissance civile, est maintenant parfaitement au point et la méthode fait figure de modèle pour gagner n’importe quelle élection. »

Comme le révèlent d’autres sources du Guardian, ce n’est pas seulement l’Ukraine qui a souffert ces dernières années de la déstabilisation américaine, de ces changements de régime, des manipulations et subversions, mais toute l’Europe de l’est. Lorsqu’on considère ces faits documentés, de telles manœuvres de Wall Street et Washington contre la Russie n’apparaissent plus seulement comme un fait envisageable, elles ont déjà eu lieu par le passé, et sont inévitables à l’avenir.

Il y a déjà une manipulation coordonnée des prix du pétrole. La chute des cours du pétrole révèle que l’industrie pétrolière entière est manipulée non pas par les forces du marché mais par l’agenda US et ses partenaires au Moyen-Orient et particulièrement la dictature saoudienne. Bien que toute nation possède les capacités de supporter de telles mesures économiques sur le long terme comme l’ont prouvé l’Iran et Cuba, sur le court terme, l’instabilité économique est un signe avant-coureur de la subversion politique et les manifestations de mécontentement peuvent être imputées par ceux qui perçoivent cette instabilité comme relevant de la responsabilité du gouvernement en place plutôt que comme la conséquence des attaques économiques étrangères.

Le front politique russe

Le front politique qui aura la charge de descendre dans les rues de Russie a été identifié depuis longtemps. Il inclut les mêmes branches de nationalistes extrémistes et les groupuscules d’extrême droite qui ont détruit l’ordre politique ukrainien. Cela inclut des néo-nazis. L’une des figures à la solde des états-unis et régnant sur l’ultra-droite russe s’appelle Alexey Navalny, présenté par l’occident comme un « activiste anti-corruption ». Il s’agit en réalité d’un néo-fasciste qui opère ouvertement pour le compte de Wall Street. Navalny est membre du programme YaleWordfellows (NDT : il s’agit d’un programme de séminaires développé par l’université de Yale et destiné aux jeunes leaders étrangers dans le but de « créer un réseau de partenaires ayant les mêmes opinions ». On retrouve parmi les sponsors du programme l’Open Society de Georges Soros…)

Voici sa présentation telle qu’elle apparaît sur son profil :

« Navalny est le fer de lance des actions juridiques menées au nom des actionnaires minoritaires dans les grandes entreprises russes, incluant Gazprom, BankVTB, Sberbank, Rosneft, Transneft, et Surgutneftegaz, à travers l’Union des Actionnaires Minoritaires. Il a forcé avec succès des entreprises à communiquer davantage d’information à leurs actionnaires minoritaires et a poursuivi plusieurs cadres de grandes entreprises pour des pratiques alléguées de corruption. Navalny est également le cofondateur du mouvement pour l’Alternative Démocratique et a été vice-président de la branche moscovite du parti Yabloko. Il a lancé RosPil, un projet public financé par une campagne d’appel de fonds sans précédent. En 2011, Nvalny a lancé RosYama, qui combat la fraude dans le secteur de la construction routière. »

L’Alternative démocratique, DA!, est financée par la Natinoal Endowment for Démocratie, NED, qui dépend du département d’état, ce qui implique qu’Alexey Navalny est un agent de sédition US. Le département d’état mentionne lui même DA! parmi la liste des mouvements de la jeunesse qu’il soutient en Russie.

« DA! : Mariya Gaydar, la fille de l’ancien premier ministre Yegor Gaydar, dirige DA!. Elle est un ardent promoteur de la démocratie mais réaliste quant aux obstacles auxquels elle doit faire face. Gaydar affirme que DA! mène des activités non partisanes conçues pour sensibiliser le monde politique. Elle a reçu des financements de la NED, un fait dont elle ne souhaite pas faire la publicité pour ne pas paraître compromise avec les états-unis. »

Le fait que ce financement n’apparaisse nulle part sur le site web de la NED indique qu’il ne s’agit pas d’une opération transparente et que la NED est engagée dans un financement clandestin.

Navalny a été directement impliqué dans la création d’un mouvement financé par le département d’état et à ce jour les mêmes personnes qui ont fondé DA! le défendent à travers les médias occidentaux. La mention du co-fondateur Mariya Gaydar est également révélatrice, du fait qu’elle ait collaboré depuis longtemps, et occasionnellement été arrêtée avec Ilia Yashin, un autre leader d’un groupe d’opposition russe financé par la NED.

Ilia Yashin dirige la branche moscovite du Parti pour la Liberté du Peuple et est un des leaders de la campagne « Stratégie 31 » dont les rangs sont infiltrés par des activistes entraînés et coordonnés par des ONG financées par la NED. La référence au financement de « Stratégie 31 » a été supprimée du site web officiel de la NED :

« Groupe d’assistance de Moscou pour la mise en place des accords d’Helsinki : 50000$

Pour focaliser davantage l’attention sur les résultats de l’Assemblée de la Liberté en Russie et le mouvement « Stratégie 31 »qui cherche à protéger ce droit fondamental. L’organisation va promouvoir un réseau d’activistes régionaux et coordonner leurs activités à travers des mini séminaires et des visites sur le terrain et conduire une campagne d’information par des conférences de presse, des posters, et des documents éducatifs relatifs à l’Assemblée de la Liberté distribués au grand public par des partenaires régionaux. »

Egalement supprimé, « Democraty Digest », un article intitulé « Stratégie 31 : un signe de résilience de la société civile ». A l’intérieur, le « groupe de Moscou-Helsinki » est explicitement déclaré comme l’initiateur des marches de Stratégie 31 et comme un « bénéficiaire de longue date de la NED ».

Les multiples suppressions concernant les connexions de la NED avec les activistes russes, leur financement massif et leur téléguidage, sont également un autre signe de subversion imminente. Ce nettoyage a été effectué dans l’espoir que les liens avec les activistes ne pourront pas être établis aussi vite que l’agitation se déroulera et qu’ils ne pourront pas saper la légitimité d’une nouvelle subversion pilotée par les états-unis.

Le Parti de la Liberté du Peuple de Yashin est lié non seulement avec les financements de la NED pour la « jeunesse » mais également avec des politiciens de carrière et des businessmen oeuvrant pour des intérêts étrangers. Parmi eux on trouve Vladimir Ryzkhov, un membre du Mouvement Mondial pour la Démocratie, financé par la NED et basé à Washington (dont le profil a été également supprimé récemment). Il y a aussi Boris Nemtsov dont le conseiller, Vladimir Kara-Murza (de Solidarnost) a participé à un événement sponsorisé par la NED le 14 septembre 2011 intitulé « Les élections en Russie : votes et perspectives ».

Il s’agit d’un front politique entièrement créé par le département d’état US et qui se positionne comme le porteur des aspirations du peuple russe alors qu’il s’agit en réalité de la création et de la perpétuation des aspirations de Wall Street et Washington.

Sous l’agitation créée par ce front se trouve un autre front armé constitué de l’ultra-droite et de néo-nazis, sur le modèle ukrainien, mais également des terroristes armés chapeautés par l’Arabie Saoudite.

Un petit aperçu du manuel de « sédition » américain

L’usage d’éléments armés pour assister les tentatives de subversion politique US n’est pas une invention. Au contraire, il s’agit d’une stratégie documentée incluse dans les plans établis pour saper et renverser les gouvernements étrangers. Dans un document de politique US de 2009 intitulé « Quel chemin pour l’Iran ? » publié par la Brookings Institution et qui concerne le changement de régime en Iran il est spécifiquement mentionné :

« Une méthode qui pourrait avoir des chances de succès consisterait à augmenter les actions par procuration visant à un changement de régime dans l’espoir que Téhéran conduise des représailles ouvertes ou semi-ouvertes qui pourraient être ensuite présentées comme des agressions iraniennes infondées. »

Les stratèges US conspirent ici ouvertement pour organiser une provocation envers une nation étrangère par la subversion politique. L’  « acte d’agression » qui doit en résulter sera présenté comme sans rapport avec la politique étrangère US exactement comme l’a été l’implication de la Russie vis à vis de l’Ukraine ainsi que toutes les actions entreprises par Moscou depuis que les états-unis et l’OTAN ont décidé de déclencher une confrontation militaire.

Le document aborde également ouvertement les conditions pour fomenter des troubles politiques. Dans une section intitulée littéralement « Trouver les bonnes procurations », on peut lire :

« L’un des points les plus ardus pour fomenter une révolution, ou seulement des troubles, consiste à trouver les bons partenaires locaux. »

Après avoir admis ouvertement l’objectif de « fomenter une révolution »ou des « troubles » le document détaille quels soutiens apporter à ces partenaires locaux :

« … les étudiants et les autres groupes ont besoin d’un support officieux pour leurs manifestations. Ils ont besoin de fax. Ils ont besoin d’accès Internet, de financements pour photocopier des documents, et de financements pour rester vigilants quant à leur sécurité. Au delà de ça, les médias sous notre influence peuvent mettre en lumière les lacunes du régime et donner de l’importance aux critiques du régime. Les états-unis pilotent déjà des satellites de télévision en langue iranienne (La Voix de l’Amérique) et des radios (Radio Farda) qui donnent des informations non filtrées aux iraniens (ces dernières années ces médias ont absorbé la majeur partie des fonds américains pour promouvoir la démocratie en Iran). La pression économique US (et peut-être également militaire) peut discréditer le régime et rendre la population désireuse d’un changement politique. »

Le rapport mentionne finalement les groupes armés en soutien de la subversion américaine :

« Ceux qui souhaitent fomenter un changement de régime en Iran mettent en avant le fait qu’il est utopique d’espérer une révolution de velours. A l’inverse, ils estiment que les états-unis devraient se tourner vers les groupes d’opposition qui existent déjà, qui ont déjà montré leur volonté de combattre le régime et qui semblent disposés à accepter l’assistance américaine. Cette stratégie fait le pari que ces groupes d’opposition hétéroclites pourront se transformer en un puissant mouvement qui pourrait être capable de renverser le régime. »

Ce qui est troublant à propos de ce rapport de 2009, c’est que chaque conspiration qu’il contient est non seulement confirmée par ces auteurs comme devant être utilisée contre l’Iran, mais qu’il est maintenant clair que des stratégies similaires ont été utilisées contre la Syrie, la Chine, et la Russie elle-même. Le « printemps arabe » était un peu plus complexe que ce mode opératoire utilisé à l’échelle régionale, mais ce qui a été fait en Syrie et en Ukraine est presque un Verbatim tiré des pages de ce manuel.

Concernant la campagne menée contre Moscou, c’est probablement le même manuel qui sera employé une fois encore. Exposer la criminalité insidieuse des géostratèges US qui conspirent ouvertement sur la manière de provoquer les autres nations et de les entraîner dans des conflits, qui manipulent la perception de l’opinion publique afin de maintenir leur primauté morale, constitue une première étape afin d’éviter la déstabilisation et l’ébranlement de la Russie et de toutes les autres nations qui se trouvent dans le collimateur de Wall Street et Washington.

Alors que l’Ouest continue à présenter la Russie comme l’agresseur, selon le script de la politique étrangère américaine, on peut voir que ces accusations constituent seulement une petite partie d’un plan gigantesque, insidieux et trompeur. Dépeindre la Russie comme l’agresseur permet de justifier de nouvelles mesures destinées à engager des actions de subversion politique contre cette dernière.

Cela vise également à justifier les liens directs avec les groupes d’opposition lorsque ceux-ci sont finalement révélés, mais aussi les interventions extraordinairement agressives de supplétifs armés et des forces de l’OTAN elles-mêmes destinées à soutenir les groupes d’opposition.

Les « invasions » spectaculaires telles que nous les imaginons, comme le blitzkrieg nazi en Europe de l’Ouest, appartiennent au passé. Les invasions au sein de la guerre de quatrième génération utilisent des faux groupes d’opposition, des soutiens militaires agissant sous couverture, et une guerre économique, politique et informationnelle à large spectre. La Russie a construit des défenses contre ce type de guerre, confondant l’occident, mais en définitive la morale et tous les avantages qui en découlent ne peuvent être l’apanage que d’un seul camp. Peut-être qu’en exposant la vérité, les procédés et l’agenda de l’occident, la Russie pourra sortir victorieuse, sinon l’Ouest continuera ses manœuvres de déstabilisation et dans ce cas elle sera laminée.