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samedi, 06 novembre 2010

La solitudine del cittadino globale

La solitudine del cittadino globale

 

Bauman, Zygmunt, La solitudine del cittadino globale

Feltrinelli, Milano, traduzione dall’inglese di Giovanna Bettini, 2000, 6a ed. 2003, pp. 224, ISBN 88-07-10287-0

(v.o. In search of Politics, Cambridge, Polity Press, 1999)

 

Recensione di Daneila Floriduz

 

 

bauman_360.jpgLe politiche neoliberiste si avvalgono degli attuali processi di globalizzazione per incrementare in maniera pressoché illimitata le libertà personali, di associazione, di pensiero, di espressione. Ma, si chiede Bauman, «quanto è libera la libertà?» (p. 69)?

 

Parafrasando Isaiah Berlin, Bauman sostiene che la libertà propugnata dal mercato sia negativa, intesa cioè come assenza di limiti e di costrizioni, come deregolamentazione, come «riduzione, sul piano legislativo, dell’interferenza politica nelle scelte umane (meno Stato, più denaro in tasca)» (p. 77). Il mercato non è invece in grado di costruire una «libertà attiva fondata sulla ragione» (ivi), strettamente connessa alla responsabilità individuale, atta a fungere da criterio di scelta e da guida per l’azione, una libertà che sappia coraggiosamente incidere sulla realtà ed elaborare (concettualmente e concretamente) il significato di bene comune. Dopo la caduta del muro di Berlino, il capitalismo si presenta come un dogma, come il paradigma economico vincente perché privo di alternative reali e praticabili. Ne deriva una progressiva erosione della politica a vantaggio dell’economia: come sostiene Bauman, «al centro della crisi attuale del processo politico non è tanto l’assenza di valori o la loro confusione generata dalla loro pluralità, quanto l’assenza di un’istituzione rappresentativa abbastanza potente da legittimare, promuovere e rafforzare qualunque insieme di valori o qualunque gamma di opzioni coerente e coesa» (p. 79).

 

Ciò conduce a una generalizzata apatia da parte delle istituzioni e dei singoli cittadini, che hanno rinunciato alla prospettiva e alla promessa di “cambiare il mondo”, ad ogni dimensione progettuale, a ogni interrogazione del presente e vivono la «solitudine del conformismo» (p. 12). Tale atteggiamento di indifferenza, sfociante spesso nel cinismo e nel nichilismo, a ben guardare, si fonda su un generalizzato sentimento di disagio esistenziale che può essere sintetizzato con il termine tedesco Unsicherheit, traducibile in inglese in una vasta gamma semantica, che va dall’uncertainty (incertezza), all’insecurity (insicurezza) e unsafety (precarietà). Come si vede, in italiano questi tre sostantivi risultano pressoché sinonimici, mentre per Bauman designano tre tipologie di esperienza piuttosto diverse, pur se convergenti nel terreno comune dell’angoscia e dell’incomunicabilità.

 

Il termine unsecurity viene esplicitato da Bauman attraverso l’ossimoro «sicurezza insicura» (p. 26): «L’insicurezza odierna assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota» (p. 28). E’ la situazione che si avverte nel mondo del lavoro, in cui dominano la flessibilità, i contratti a tempo determinato, in cui le aziende chiudono o convertono la produzione ed è impossibile per l’individuo spendere le proprie competenze in un mercato in continua evoluzione e specializzazione. Di qui la sfiducia nella politica, come testimonia il crescente astensionismo che accompagna le consultazioni elettorali nella maggior parte dei Paesi occidentali: la politica interessa solo quando emergono scandali che riguardano personaggi famosi, ma è una politica/spettacolo, non uno spazio pubblico partecipato e sentito dalla collettività. Di qui anche l’inautenticità vissuta nei rapporti con gli altri e con se stessi: citando Milan Kundera, Bauman ricorda come un tempo l’amicizia fosse sacra, eroica, possibile anche tra uomini appartenenti per necessità a schieramenti nemici (I tre moschettieri). Oggi un amico non può salvare l’altro dalla disoccupazione. Anche a livello di identità personale, l’incertezza lavorativa costringe gli uomini a dislocarsi in tanti ruoli o a rifugiarsi nella sfera del virtuale (si pensi alle chat, nelle quali è possibile nascondersi dietro nomi fittizi). Bauman usa, a tal proposito, la metafora dell’uomo modulare: al pari dei mobili componibili, la nostra identità non è determinata alla nascita, ma mutevole, multiforme, sempre aperta a nuove possibilità, sicché l’uomo di oggi «non è senza qualità, ne ha troppe» (p. 160).

 

La certezza incerta (uncertainty) riguarda i meccanismi stessi del liberismo: «Contrariamente a quanto suggerisce il supporto metafisico della mano invisibile, il mercato non persegue la certezza, né può evocarla, e tanto meno garantirla. Il mercato prospera sull’incertezza (chiamata, di volta in volta, competitività, flessibilità, rischio e ne produce sempre più per il proprio nutrimento» (p. 38). Mentre il temerario giocatore d’azzardo sceglie il rischio come un fatto ludico, l’economia politica dell’incertezza oggi imperante lo impone a tutti come destino ineluttabile. L’uncertainty riguarda «la paura diffusa che emana dall’incertezza umana e il suo condensarsi in paura dell’azione; […] la nuova opacità e impenetrabilità politica del mondo, il mistero che circonda il luogo da cui gli attacchi provengono e in cui si sedimentano come resistenza a credere nella possibilità di opporsi al destino e come sfiducia nei confronti di qualunque proposta di modo di vita alternativo» (p. 176). La precarietà (unsafety) è riconducibile all’intrinseca mortalità propria della condizione umana. «Il viaggiatore non può scegliere quando arrivare né quando partire: nessuno ha scelto di essere inviato nel mondo, né sceglierà il momento in cui partire. L’orario degli arrivi e delle partenze non è compilato dai viaggiatori, e non c’è nulla che essi possano fare per modificarlo» (p. 42). Dalla capacità di reagire e di trovare risposte alla precarietà esistenziale deriva il grado di autonomia che un individuo o una società possono conseguire.

 

In passato i «ponti per l’eternità» sono stati, di volta in volta, ravvisati nella religione, nella famiglia, nella nazione, intesi come totalità durevoli, capaci di dotare di significato l’esistenza dell’uomo comune che dopo la morte poteva, per così dire, perpetuare la propria esistenza dando la vita per la patria o generando i figli. Le politiche della globalizzazione, imperniate sulla crescita delle multinazionali, tendono a rendere superflui i controlli da parte degli Stati tradizionali e delle amministrazioni locali perché «il capitale fluisce senza vincoli di spazio e tempo, mentre la politica resta territoriale, globale» (p. 123), per cui si potrebbe parlare di «fine della geografia, piuttosto che di fine della storia» (ivi). Se è vero che la nazione, a partire dal Romanticismo, era intesa come un’entità innata, spirituale, come un fatto di sangue, un’appartenenza quasi biologica, è anche vero che questa appartenenza doveva essere rivitalizzata quotidianamente da parte dell’individuo: ciò è richiamato dal celebre detto di Renan, secondo cui «la nazione è il plebiscito di ogni giorno».

 

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il nazionalismo è stato funzionale al liberalismo poiché è servito a rimediare alle sue carenze: infatti, laddove il liberalismo «chiude gli occhi di fronte all’atomizzazione prodotta da una libertà personale non completata dall’impegno dei cittadini a ricercare il bene comune dalla loro capacità di agire in conformità con quell’impegno» (p. 168), il nazionalismo chiama invece a raccolta gli individui, parlando loro, ad esempio, di etica e di giustizia, realtà relegate dal liberalismo alla sfera privata.

Anche la famiglia non è più un’istituzione durevole, si sgretola con facilità e, «ormai emancipata dalla sua funzione riproduttiva, l’unione sessuale non dà più la sensazione di una via per l’eternità tracciata dalla natura, di uno strumento per costruire la comunità o di un modo per sfuggire alla solitudine, ma una sensazione diversa, tanto piacevole quanto fugace, destinata a essere consumata in un istante insieme ad altre sensazioni nel succedersi degli episodi che scandiscono la vita del solitario collezionista di sensazioni» (p. 48).

 

L’io, dunque, non può aspirare più ad alcuna pretesa di immortalità, anzi, si sente vulnerabile, in esubero, sostituibile, incapace di influenzare il corso naturale delle cose. Questo ridimensionamento dell’io è testimoniato dal mutamento semantico subìto dal termine greco psyché, che designa ora la personalità, la mente, l’ego, mentre originariamente indicava l’anima e, dunque, una realtà spesso immortale e trascendente.

Quali spazi di autonomia può, allora, rivendicare un soggetto così depotenziato? Per Bauman l’autonomia odierna ha a che fare piuttosto con l’autoreferenzialità, con una concezione monadologica degli individui, poiché alla privatizzazione sfrenata vigente in economia corrisponde l’autarchia dei sentimenti e del disagio. «Occupati come siamo a difenderci o a tenerci alla larga dalla varietà sempre più ampia di alimenti avvelenati, di sostanze ingrassanti, di esalazioni cancerogene, e dagli innumerevoli acciacchi che minacciano il benessere del corpo, ci resta ben poco tempo [….] per rimuginare tristemente sulla futilità di tutto questo» (p. 50). Si spiega così la fortuna dei prodotti dietetici e delle terapie di gruppo dimagranti (weight watchers) molto diffuse in America: questi gruppi sono comunità che condividono analoghi rituali, ma che affidano all’individuo la risoluzione dei suoi problemi. Questo dimostra che, «una volta privatizzato e affidato alle risorse individuali il compito di affrontare la precarietà dell’esistenza umana, le paure esperite individualmente possono solo essere contate, ma non condivise e fuse in una causa comune e rimodellate nella forma di azione congiunta» (p. 54).

 

Analoga situazione si verifica nei talk-show: la televisione ha invaso la sfera privata irrompendo come un’intrusa nelle pieghe più intime degli individui per esibirle al vasto pubblico (synopticon); tuttavia «gli individui assistono ai talk-show soli con i loro problemi, e quando lo spettacolo finisce sono immersi ancora di più nella loro solitudine» (p. 71). Il paradosso sta nel fatto che gli individui ricercano queste effimere forme di aggregazione proprio per vincere l’isolamento e invece assistono alla spettacolarizzazione di modelli che si sono affermati a prescindere dalla società: il motto kantiano sapere aude, che è considerato l’atto di nascita dell’Illuminismo, viene tradotto attualmente nell’esaltazione del self-made man.

 

Questa complessiva carenza di autonomia riverbera le sue lacune nella sfera della cittadinanza. L’epoca della globalizzazione del capitale considera i cittadini quasi unicamente come consumatori, i cui desideri sono creati ad hoc dalla pubblicità e dal mercato. Le società occidentali sono paragonabili ad un negozio di dolciumi, poiché il sovraccarico di bisogni indotti e facilmente appagabili dal consumismo rende la vita «punteggiata di attacchi di nausea e dolori di stomaco» (p. 29), anche se i consumatori «non si curano di un’altra vita – una vita piena di rabbia e autodisprezzo – vissuta da quelli che, avendo le tasche vuote, guardano avidamente ai compratori attraverso la vetrina del negozio» (Ivi). Il consumismo produce nuove povertà: sempre meno persone hanno pari opportunità di istruzione, alimentazione, occupazione. Ci si rivolge ai poveri con compassione e turbamento, si tenta di esorcizzarne le ribellioni, la povertà compare spesso nelle piattaforme programmatiche dei vertici fra le potenze occidentali. In realtà, anche la povertà è funzionale al mercato, perché rappresenta, per così dire, la prova vivente di che cosa significhi essere liberi dall’incertezza, per cui «la vista dei poveri impedisce ai non poveri di immaginare un mondo diverso» (p. 181). Ma Bauman osserva che la parte più ricca della società non può essere liberata «dall’assedio della paura e dell’impotenza se la sua parte più povera non viene affrancata: non è questione di carità, di coscienza e di dovere morale, ma una condizione indispensabile (benché soltanto preliminare) per trasformare il deserto del mercato globale in una repubblica di cittadini liberi» (p. 179). Poiché il lavoro viene inteso esclusivamente come lavoro retribuito, il mercato non si pone la questione del reddito minimo garantito, mentre esso permetterebbe a tutti, non solo ai poveri, di migliorare la qualità della vita dedicandosi anche all’otium, «determinerebbe nuovi criteri etici per la vita della società» (p. 186).

 

I poveri invece sono spesso criminalizzati, insieme agli stranieri, secondo i riti della ben nota mitologia del capro espiatorio (Girard). La socialità, secondo Bauman, si estrinseca, infatti, «talora in orge di compassione e carità», talaltra in scoppi di aggressività smisurata contro un nemico pubblico appena scoperto» (p. 14). L’ansia collettiva, in attesa di trovare una minaccia tangibile contro cui manifestarsi, si mobilita contro un nemico qualunque. Lo straniero viene identificato tout-court con il criminale che insidia l’incolumità personale dei cittadini e i politici sfruttano questo disagio a fini elettorali. In America la pena di morte è ancora vista come il deterrente principale alla criminalità, sicché «l’opposizione alla pena capitale significa il suicidio politico» (p. 21). Ciò ha condotto al «raffreddamento del pianeta degli uomini» (p. 60): il tessuto della solidarietà umana si sta disgregando rapidamente e le nostre società sono sempre meno accoglienti.

 

Bauman individua quale strategia risolutiva a questa situazione di disagio il recupero dello spazio privato/pubblico dell’agorà, la società civile. È «lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo, vale a dire non per trarre piaceri narcisistici o per sfruttare a fini terapeutici la scena pubblica, ma per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente» (p. 11). Solo nell’agorà è possibile costruire una società autonoma, capace di autocritica, di autoesame, di discussione e ridefinizione del bene comune. «La società autonoma ammette apertamente la mortalità intrinseca di tutte le creazioni e di tutti i tentativi di derivare da quella fragilità non scelta l'opportunità di un'autotrasformazione perpetua, magari anche di un progresso. L'autonomia è uno sforzo congiunto, concertato, di trasformare la mortalità da maledizione in benedizione… Oppure, se si vuole, l'audace tentativo di utilizzare la mortalità delle istituzioni umane per dare vita eterna alla società umana» (p. 88). Gli intellettuali dovrebbero riappropriarsi della politica, inseguire le «tracce di paideia» (p. 104) disseminate qua e là all’interno della società civile, riformare, educare, stimolare, evitando di arroccarsi in una filosofia lontana dall’uso comune del linguaggio e del logos.

 

La riconquista dell’autonomia deve passare attraverso gli individui poiché «non esiste autonomia sociale senza quella dei singoli membri di una società» (p. 140). In un’epoca in cui le ideologie, sia in senso settecentesco che marxista sono in crisi, in un’epoca in cui la stessa idea di crisi non designa più, secondo l’originario significato medico, un’evoluzione cruciale positiva o negativa, ma un disagio complessivo della civiltà, è necessario che le istituzioni recuperino il potere decisionale che spetta loro. Solo nell’agorà è possibile recuperare il valore delle differenze: spesso, infatti, si confonde la crisi dei valori con la loro molteplicità e abbondanza, ma «se la molteplicità dei valori che richiedono un giudizio e una scelta è il segno di una crisi dei valori, allora dobbiamo accettare che tale crisi sia una dimora naturale della moralità: soltanto in quella dimora la libertà, l’autonomia, la responsabilità e il giudizio […] possono crescere e maturare» (p. 153). La globalizzazione ha sostituito l’universalismo e la reciprocità tra le nazioni; d’altra parte appare fuorviante anche il termine multiculturalismo, spesso usato dai sociologi, perché «suggerisce che l’appartenenza a una cultura non sia una scelta, ma un dato di fatto […] implica tacitamente che essere inseriti in una totalità culturale è il modo naturale, e dunque presumibilmente sano, di essere-nel-mondo, mentre tutte le altre condizioni – lo stare all’incrocio delle culture, l’attingere contemporaneamente a differenti culture o anche soltanto l’ignorare l’ambivalenza culturale della propria posizione – sono condizioni anomale» (p. 200). L’agorà non è nemica della differenza, non esige di abdicare alla propria identità culturale. Solo all’interno dell’agorà è possibile acquisire il valore della diversità come arricchimento dell’identità individuale e sociale.

 

 

Bibliografia citata

 

- Berlin Isaiah, Two Concepts of Liberty, in Four Essays on Liberty, Oxford, Oxford UP, 1982

(tr. it. in Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli, Milano 1989)

- Girard, René, Le bouc missaire, Paris, Editions Grasset & Pasquelle, 1982.

(tr. it., Il capro espiatorio, Adelphi, Milano, 1987)

- Kundera, Milan, L’identité, Milan Kundera, Paris, 1997

( tr. it., L’identità, Milano, Adelphi, 1997)

 

 

Indice

 

Ringraziamenti - Introduzione

1. In cerca dello spazio pubblico: Un tipo sospetto si aggira nei dintorni; Il calderone dell'Unsicherheit; Sicurezza insicura; Certezza incerta; Incolumità a rischio; Paure che cambiano; Il raffreddamento del pianeta degli uomini.

2. In cerca di rappresentanze: Paura e riso; Quanto è libera la libertà?; La decostruzione della politica; Dove privato e pubblico si incontrano; L'attacco all'agorà: le due invasioni; Tracce di paideia.

Primo excursus. L'ideologia nel mondo postmoderno; Il concetto essenzialmente controverso; La realtà essenzialmente controversa; Il mondo non più essenzialmente controverso.

Secondo excursus. Tradizione e autonomia nel mondo postmoderno. Terzo excursus. La postmodernità e le crisi morale e culturale

3. In cerca di modelli: La seconda riforma e l'emergere dell'uomo modulare; Tribù, nazione e repubblica; Democrazia liberale e repubblica; Un bivio; L'economia politica dell'incertezza; La causa dell'uguaglianza nel mondo dell'incertezza; Le ragioni del reddito minimo garantito; Richiamare l'universalismo dall'esilio; Multiculturalismo - o polivalenza culturale?; Vivere insieme nel mondo delle differenze

 

Note - Postfazione di Alessandro Dal Lago - Indice analitico

 

L'autore

 

Zygmunt Bauman è professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Tra le sue opere recenti tradotte in italiano: Modernità e Olocausto (1992), Il teatro dell'immortalità Mortalità, immortalità e altre strategie di vita (1995), Le sfide dell'etica (1996), La società dell'incertezza (1999), Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone (1999), Modernità liquida (2002), La società individualizzata (2002).

 

 

 

 

Link

 

www.alice.it/news/news/n20030911.htm

Sito in lingua italiana, contiene interviste allo stesso Bauman, ma anche a scrittori quali Grossman e Arundhati Roy

 

Siti in lingua inglese, tracciano un profilo dell’attività sociologica di Bauman:

www.tcd.ie/Sociology/readinglist/sfsociologicalimagination.htm

www.inter-disciplinary.net/mso/dd/dd2/s2.htm

 

vendredi, 05 novembre 2010

Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle personne

Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle personne

 

Bauman, Zygmunt, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone

Laterza, 2002, pp. 152, Euro 6,5, ISBN 88-420-6258-8,

 

Recensione di Carmen Dal Monte

 

bauman.jpg“A voler scovare il suo significato più profondo, l’idea di globalizzazione rimanda al carattere indeterminato, ingovernabile e autopropulsivo degli affari mondiali, ancora, fa pensare all’assenza di un centro, di una sala comando, di un consiglio di amministrazione, di un ufficio di direzione.” Questa affermazione di Bauman, che si trova a circa metà (pag. 67) del suo saggio sintetizza la confusione, non solo terminologica, che l’autore sottolinea nell’introduzione. “Globalizzazione” è parola che più che chiarire, confonde e annulla le distinzioni; nell’introduzione Bauman cerca di spiegare come il fenomeno “globalizzazione” si presenti negli aspetti più diversi e all’apparenza inconciliabili. Se, nell’accezione più in voga, globalizzazione e localizzazione sembrano fenomeni opposti, l’analisi del sociologo polacco mostra come in realtà siano due facce della stessa medaglia; la globalizzazione, nei suoi aspetti finanziari ed economici, che sono i suoi aspetti principali, si nutre della localizzazione e della debolezza degli stati nazionali. La distinzione in classi parte dalla divisione degli spazi, chi è separato dallo spazio reale (il capitale finanziario, gli azionisti) ha perso anche le responsabilità che, in qualche modo, segnavano la vita e le azioni del capitalismo moderno: “diversamente da quanto accadeva ai proprietari terrieri assenteisti agli albori dei tempi moderni, i capitalisti e gli intermediari tardo-moderni, grazie alla nuova mobilità delle loro risorse, ormai liquide, non devono fronteggiare limiti sufficientemente reali – solidi, duri, resistenti – che dall’esterno impongano loro linee di condotta.”(p.14). Il mondo si divide, quindi, in globali e locali, in un’élite che vive svincolata dai vincoli spaziali e una maggioranza di persone che ha perso gli spazi caratteristici della formazione della pubblica opinione, e questa distinzione sembra essere molto proficua ai fini della corretta comprensione del mondo contemporaneo.

 

La prima traccia di questo binomio può essere colta nella “mobilità”, divenuta fattore di prestigio che, al tempo stesso, unifica e divide, creando due classi sociali ben separate, da un lato le élites di potenti e dall’altro la grande massa dei “locali” che non solo incide sempre meno sulla vita e sulla società, ma che ne ha perso – secondo Bauman dai primi anni ottanta – anche il diritto. E il concetto di spazio, al quale viene dedicato il secondo capitolo, viene rivisto a partire dalla sua storia moderna, con le costruzioni spaziali degli utopisti e degli architetti e attraverso la lente predisposta da Foucault; il controllo dello spazio, e degli spazi dell’elaborazione sociale, della pubblica opinione, della politica è la battaglia della formazione dello stato moderno e oggi, la sconfitta degli stati di fronte al fenomeno della globalizzazione, si misura anche sottolineando la scomparsa degli spazi locali e cittadini di formazione dell’opinione: “ «L’economia», il capitale, cioè il denaro e le altre risorse necessarie a fare delle cose, e ancor più denaro e più cose, si muove rapidamente; tanto da tenersi sempre un passo avanti rispetto a qualsiasi entità politica (come sempre, territoriale) che voglia contenerne il moto e farne mutare direzione. […] Qualsiasi cosa che si muova a una velocità vicina a quella dei segnali elettronici è praticamente libera da vincoli connessi al territorio all’interno del quale ha avuto origine, verso il quale si dirige, attraverso il quale passa” (pag. 63). E così, in quella che Bauman chiama “la nuova espropriazione” si manifesta la trasformazione delle prerogative classiche dello stato nazione: il ruolo dello stato è divenuto solo quello dell’esecutore di forze che non è in grado di controllare; la nascita di nuove entità territoriali, sempre più deboli, va a favore delle nuove forze economiche; la redistribuzione del potere è già avvenuta, dagli stati nazione alla finanza globalizzata.

Integrazione e parcellizzazione, scrive Bauman, globalizzazione e territorializzazione sono processi complementari, anzi, sono due facce dello stesso processo, che sta ridistribuendo su scala mondiale sovranità, potere e libertà d’azione, (pag. 78).

 

Bauman individua in questo contesto due tipologie di persone: “Turisti e vagabondi”, cui egli dedica il quarto capitolo del suo studio. Partendo dalla considerazione, ormai nota, della nostra importanza come consumatori piuttosto che come produttori, Bauman coglie un elemento particolare: la necessaria transitorietà anche dei consumi, e dei desideri. Lo scopo del gioco del consumo, sintetizza Bauman, non è tanto la voglia di acquisire e di possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibile, quanto l’eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima, (pag. 93). Questi nuovi consumatori sono i turisti, per i quali muoversi nello spazio non pone più vincoli e resta solo la dimensione temporale, che ha assunto la forma dell’eterno presente; i vagabondi, al contrario, vivono nello spazio, uno spazio dal quale sono scacciati, uno spazio che ha confini invisibili ma invalicabili. Per le merci e le élites – finanziarie, accademiche, manageriali – non esistono vincoli di territorio, per i “vagabondi” il mondo è a vivibilità limitata, limitati dai quartieri delle metropoli a controllo elettronico, dalle frontiere, dalle leggi sull’immigrazione, dalla “tolleranza zero.

 

L’esplicitazione delle conseguenze della globalizzazione sulle persone, promessa dal titolo del testo, consiste quindi nella divisione tra turisti e vagabondi, con i vagabondi che hanno, come unico sogno, quello di essere turisti, di entrare a far parte dell’élite del consumo immediato e dell’extraterritorialità. Turista e vagabondo sono uno l’alter ego dell’altro; turista e vagabondo sono entrambi consumatori, con la differenza che il vagabondo è un consumatore pieno di difetti, non essendo di grado di sostenere il ritmo di consumi al quale aspira. Se il vagabondo invidia la vita del turista e vi aspira, a sua volta il turista, nella sua fascia media, ha il terrore che il suo status, del tutto precario, possa cambiare all’improvviso. Il vagabondo, scrive Bauman, è l’incubo del turista, “mentre pretende che il vagabondo sia nascosto sotto il tappeto, fa bandire il mendicante e il barbone dalla strada, confinandolo in lontani ghetti dove «non si va», chiedendone l’esilio o l’incarcerazione, il turista cerca disperatamente, ma tutto sommato invano, di cancellare le sue proprie paure” (pag. 108).

 

L’ultimo capitolo è la conclusione, quasi obbligata, di un’analisi lucida e spietata; Bauman mostra come lo stato-nazione abbia, quasi come unica prerogativa, quella di mantenere l’ordine, garantendo ad alcuni un’esistenza ordinata e sicura e utilizzando a questo scopo, sugli altri la forza della legge. Lo stesso concetto di “flessibilità” del lavoro, in apparenza “neutro”, “economico”, nasconde la redistribuzione del potere: flessibilità vuol dire offrire al capitale la possibilità di muoversi, escludendo i locali dalla stessa possibilità. Mobilità e assenza di mobilità sono i due lati della questione, e lo stato ha il compito determinato dalla globalizzazione, di “gestire il locale”. E qui, attraverso le riflessioni di Pierre Bourdieu, si torna alla storia della società di Foucault: da sempre, il gioco dello stato nel controllo dell’ordine pubblico si estrinseca attraverso la restrizione degli spazi, la reclusione. E, sottolinea Bauman, uno dei maggiori problemi negli Stati Uniti, senza dubbio l’esempio più maturo della globalizzazione, è proprio quello relativo alle prigioni.

 

Dal Panopticon di Bentham, non a caso esempio del Settecento, secolo in cui, secondo Bauman, comincia la globalizzazione, fino al progetto della prigione di Pelican Bay in California (interamente automatica, in cui i reclusi non hanno contatti né con le guardie né con gli altri reclusi) il cerchio sembra chiudersi. Dalle case di lavoro dei secoli passati a Pelican Bay dove ai prigionieri non è concessa nessuna attività, perché nessuna attività è richiesta dal mercato. La “rieducazione” e il dibattito intorno ad essa, avevano un senso in un mondo in cui l’economia richiedeva forza lavoro, certamente non in una economia globalizzata. E le prigioni sono entrate nell’era che Bauman definisce “post correzionale”, in cui le paure della gente portano a chiedere ai governi risposte sempre più dure: costruire nuove prigioni, inasprire le pene, introdurre nuovi reati sono la cartina di tornasole per mostrare che il potere politico si muove, agisce, ha sotto controllo il territorio. Ma nel mondo della finanza globale “ai governi è attributo un ruolo non molto più ampio di quello assegnato a questure o commissariati di polizia” (pag. 132). Il libro di Bauman ben si inserisce nel dibattito sulla globalizzazione, sia perché sposta l’analisi dal campo economico a quello politico e sociale, sia perché riesce, in un saggio breve e lucido, a fare il punto sulle ambiguità e gli equivoci che il termine “globalizzazione” porta con sé e lo fa affrontandone i problemi più importanti legati sia ai diritti degli individui sia alle particolari situazioni esistenziali che ne derivano come conseguenza.

 

 

Indice

 

Introduzione

 

1. Tempo e classe - I proprietari assenti: la versione dei nostri giorni; Libertà di movimento e «costituzione» delle società civili; Nuova velocità, nuova polarizzazione

 

2. Guerre spaziali: una cronaca - La battaglia delle mappe; Dalla cartografia alla progettazione dello spazio; L'agorafobia e il rinascimento della località; C'è una vita dopo il Panopticon?

 

3. E dopo lo stato-nazione? - Diventare universali o lasciarsi globalizzare?; La nuova espropriazione: stavolta dello stato; La gerarchia globale della mobilità

 

4. Turisti e vagabondi - Consumatori nella società dei consunti; Divisi muoviamo; Attraversare il mondo o vederselo passare accanto; Uniti nella buona e nella cattiva sorte

 

5. Legge globale, ordini locali - Fabbriche di immobilità; Le prigioni nell'era post-correzionale; Sicurezza: un mezzo tangibile per un fine elusivo; I disadattati

 

Note

 

Indice dei nomi

 

L'autore

 

Zygmunt Bauman è nato in Polonia nel 1925; nel 1939 fugge in Unione Sovietica con la famiglia e durante la guerra fa parte di una formazione partigiana. E’ professore di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. In italiano sono stati pubblicati i seguenti testi: Memorie di classe. Preistoria e sopravvivenza di un concetto, Einaudi, 1987; La decadenza degli intellettuali. Da legislatori a interpreti, Bollati Boringhieri, 1992; Il teatro dell'immortalità. Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, Il Mulino, 1995; Le sfide dell'etica, Feltrinelli, 1996; Modernità e olocausto, Il Mulino, 1999; La società dell'incertezza, Il Mulino, 1999; Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, 2000; Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, 2000; La Libertà, Città Aperta, 2002; La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, 2000; Voglia di comunità, Laterza, 2001; Modernità liquida, Laterza, 2002; La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, il Mulino, 2002; Società, etica, politica. Conversazione con Zygmunt Bauman, Raffaello Cortina, 2002; Intervista sull'identità, Laterza, 2003.

 

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vendredi, 20 août 2010

Terre & Peuple Magazine n°44

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Terre & Peuple Magazine n°44 - été 2010

Éditorial de Pierre Vial :

Le devoir de Résistance

 Les media nous ont assené pendant plusieurs jours les images d’Epinal d’un 18 juin 1940 bidonné au maximum pour essayer de ressusciter une légende gaulliste que le petit Sarkozy, qui se raccroche maintenant à toutes les branches, essaye désespérément d’instrumentaliser à son profit mais dont les historiens savent combien elle est un montage construit a posteriori pour tenter de justifier l’ambition dévorante de celui qui s’attira un jour cette remarque de Churchill : “Vous avez semé le désordre partout où vous êtes passé”. Le message de haine véhiculé par le gaullisme, qui a provoqué le bain de sang de “l’Épuration” de 1944-1945 (c’est à dire l’assassinat de plusieurs dizaines de milliers de personnes), continue à semer son poison : le 14 juin FR3 a diffusé une émission de Marie Drucker (famille bien connue) qui a été à jet continu un monument de haine antiallemande, jalonnée de “reconstitutions” (c’est-à-dire des images tournées aujourd’hui, avec des comédiens) censées apporter une “explication historique” mais qu’aucun historien digne de ce nom ne peut cautionner tant le souci de propagande était évident.
 
Dans une excellente mise au point (Rivarol, 18 juin 2010) José Castano rappelle la phrase-couperet d’un certain Antoine de Saint-Exupéry (qui, lui, a risqué sa peau, jusqu’à en mourir) : “Si je n’étais pas gaulliste, c’est que leur politique de haine n’était pas pour moi la vérité”. On ne bâtit rien de solide sur le mensonge car il finit tôt ou tard par se retourner contre ses utilisateurs. C’est pourquoi la nécessaire résistance qui doit s’organiser aujourd’hui contre les envahisseurs n’a rien à gagner à vouloir se couvrir d’une défroque gaulliste d’ailleurs devenue guenille, que certains vont chercher dans les poubelles de l’histoire pour essayer d’obtenir ainsi un brevet d’“honorabilité”, en s’imaginant que se placer sous le symbole du 18 juin leur redonnera une virginité… Le gaullisme a été une désastreuse parenthèse de l’histoire de France. Il est naïf, ambigu voire suspect de prétendre le contraire car la résistance nationale populaire doit se construire aujourd’hui sur des bases claires, authentiques et honnêtes, en se défiant par-dessus tout des récupérations que le Système met en place, pour se gagner quelques clients, depuis qu’il constate le ras-le-bol d’un nombre croissant d’Européens devant les prétentions désormais sans limites des envahisseurs.
L’actualité quotidienne en apporte une confirmation désormais permanente, avec son lot d’agressions, de vols, de meurtres, de viols : devant la passivité, la lâcheté des autorités officielles,les envahisseurs peuvent se croire, à juste titre, tout permis, en terrain conquis. Ils multiplient les provocations, avec un terrain d’action privilégié : les bals, foires, fêtes foraines, qu’ils choisissent pour montrer qu’ils font la loi en agressant systématiquement jeunes Européens et Européennes venus là pour se distraire, comme cela a été le cas récemment au parc Astérix (voir Présent du 26 mai) et comme c’est le cas en permanence à la Foire du Trône. Là, cependant, les forains se chargent de faire le ménage car ils savent ne pouvoir compter  sur des forces de police qui ont consigne de leur hiérarchie d’éviter les “tensions” (en clair, de laisser faire la racaille).
 
Car les naïfs qui s’imaginent être protégés par la police voire l’armée oublient que celles-ci comportent désormais dans leurs rangs des gens “issus de la diversité” qui ne feront jamais rien contre leurs “frères” (de race). Un rapport du Ministère de la défense datant de 2007 signalait déjà “l’attitude intransigeante et revendicative tournant à la provocation des JFOM” (traduction en clair : “Jeunes Français (!) d’origine maghrébine”) et leur “surdélinquance au sein même de leur régiment”. Un jeune officier parachutiste explique que dans son unité les JFOM passent leurs journées à boire de la bière (qu’en pense l’imam ?) en regardant des films pornos et que tout officier les sanctionnant est dénoncé comme raciste… et doit, d’ordre supérieur, annuler la sanction ! On se souvient de la mutinerie, en 1999, sur le porte-avions Foch, de marins maghrébins protestant contre des missions de frappe sur le Kosovo musulman. Depuis, la situation a empiré dans des proportions spectaculaires, qui correspondent à l’accroissement constant du nombre des envahisseurs. Un rapport médical concernant la drépanocytose révèle que les populations d’Afrique noire et du Maghreb représentent aujourd’hui 25,42 % des naissances en Rhône-Alpes, 32,51% en Provence-Côte d’azur, 54,15% en région parisienne. Pourquoi les envahisseurs se gêneraient-ils, puisqu’ils savent avoir l’appui de politiciens de droite et de gauche ? Le maire député-maire UMP de Saint-Louis (Haut-Rhin) fournit gratuitement un terrain d’une valeur de 345 000 euros pour la construction sur sa commune d’une seconde mosquée de 2 000 m2. Le 13 mai, le maire socialiste de Torcy (Saône-et- Loire) a inauguré “sa” mosquée, où il voit une preuve de “mixité sociale” (traduction : raciale), en présence de Bouabdellah Ghlamallah, ministre des Affaires religieuses d’Algérie. Celui-là même qui a fait fermer l’an dernier dix églises en Algérie, déclarant : “J’assimile l’évangélisation au terrorisme”. Silence radio de la hiérarchie catholique, battue, cocue et contente. Et pendant ce temps, à Paris, des milliers de musulmans occupent le vendredi des rues entières à Paris, comme à la Goutte d’Or, pour faire leur prière, les fesses levées, en direction de La Mecque.
Alors ? Alors est venu le temps où la résistance, la vraie, est un devoir impérieux pour tout Européen ayant encore la volonté de vivre debout. Sous des formes humoristiques, à coup de saucisson ? Pourquoi pas. Mais il faut penser à d’autres solutions. Car, malheureusement, le combat de survie auquel nous sommes confrontés n’est pas une plaisanterie. Le savent bien ceux qui ont conscience que c’est leur vie, celle des leurs, de leurs proches qui est en jeu. Certains vont encore dire que je dramatise. Que je me trompe. J’aimerais beaucoup me tromper. Mais…

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lundi, 05 juillet 2010

Désamorçons l'arme de la finance globaliste!

Rolf STOLZ:

Désamorçons l’arme de la finance globaliste!

Stolz-Rolf210.jpgL’homme ne vit pas seulement de pain. Mais il en vit! La vieille sentence qui veut que l’économie soit notre destin devient d’autant plus valide lorsqu’une chancelière, tout en dilettantisme, se révèle personnellement comme une fatalité. L’économie s’avère souvent alambiquée, pour le commun des mortels, elle est constituée d’arcanes mystérieuses. Même les grands fiscalistes et capitaines d’industrie ne peuvent la gérer que très partiellement. Pourtant aucune personne dotée de rationalité n’ira jusqu’à dire que l’économie est aussi peu influençable que la météo ou le tirage des numéros du loto.

Le citoyen lambda ne peut certes pas intervenir dans le déroulement de l’économie avec autant de poids et de capitaux que l’investisseur américain George Soros mais, malgré cela, il peut agir sur l’économie, du moins de manière indirecte ou graduelle par son engagement politique. Les fanatiques du monde unifié sous l’égide du globalisme lui diront qu’il n’y a plus possibilité, aujourd’hui, de gérer des économies limitées à une seule nation, dotées d’une forte dose d’autonomie. Cette affirmation impavide nous est assénée à longueur de journées malgré que le processus de la globalisation s’avère nettement contradictoire et incohérent et n’a pas pu créer, et ne créera pas, un monde globalisé à 100% .

Les prédicateurs qui nous annoncent le paradis néo-libéral, où il n’y aura plus que du profit à l’horizon, font usage d’un vieux truc de démagogue: ils posent l’équation entre un fait (l’imbrication mondiale par la globalisation) avec une idéologie très douteuse (celle du globalisme). La méthode ressemble à celle utilisée par les néo-staliniens: ceux-ci partent de la nécessaire orientation de l’économie vers l’action sociale pour mélanger cette nécessité à leurs idées fixes qu’ils baptisent socialisme. De cette manière, toute critique à l’encontre de leurs utopies est jugée comme l’expression d’une “absence de coeur”.

A la base du globalisme se trouve une idée dépourvue de tout développement dialectique potentiel, une idée qui veut que des ensembles économiques de plus en plus grands et de plus en plus centralisés soient une valeur en soi, que tout doit absolument être exportable, importable ou achetable et qu’un gouvernement mondial tout-puissant constitue à terme l’objectif le plus élevé à atteindre. Dans les faits, selon les tenants de cette idéologie globaliste, les Etats nationaux démocratiques, et avec eux, la démocratie en soi, devraient être réduits à exercer les seules fonctions restantes, celles qui ne relèvent pas de l’économie et sont dès lors posées comme mineures ou subalternes, non génératrices de profits. Deux camps s’opposent: ceux qui, via l’eurocratie installée à Bruxelles, via Wall Street et la Banque Mondiale, veulent faire éponger par les peuples l’éclatement de la bulle spéculative; et ceux qui entendent organiser la résistance des nations et des autonomies humaines contre le pillage des hommes, des matières premières et de la biosphère. “Nous nous sommes approchés très très près d’une implosion totale et globale de la sphère financière” a déclaré Bernanke, chef de la banque d’émission américaine lors de la débâcle de Lehman-Brothers. Ou bien les Etats parviendront à désamorcer les bombes atomiques financières qui menacent de nous exploser au nez ou bien celles-ci nous éclateront à la figure lors des prochaines guerres économiques.

Rolf STOLZ.

(article paru dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°26/2010). 

Rolf Stolz fut l’un des co-fondateurs du mouvement des “Verts” allemands. Il vit aujourd’hui à Cologne et exerce le métier de journaliste libre de toute attache.

samedi, 03 juillet 2010

Fraglich, ob der G20-Gipfel die richtigen Lehren aus der Krise zieht

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Fraglich, ob der G20-Gipfel die richtigen Lehren aus der Krise zieht

 

EU muß Finanztransaktionssteuer notfalls im Alleingang einführen – US-Kritik am Sparkurs der EU-Staaten ist offenbar von egoistischen Motiven getragen

Die Europäische Union müsse bei den am Wochenende in Kanada stattfindenden G8- und G20-Gipfeln mit Nachdruck auf eine weltweite Finanztransaktionssteuer sowie auf eine stärkere Regulierung der internationalen Finanzmärkte drängen, forderte heute der freiheitliche Delegationsleiter im Europäischen Parlament, Andreas Mölzer. „Aus der Finanzkrise, die mittlerweile zu einer Schuldenkrise geworden, sind die richtigen Lehren zu ziehen. Das internationale Spekulantentum, das zu einem Gutteil für den Ausbruch der Krise verantwortlich ist, ist in die Pflicht zu nehmen“, betonte Mölzer.

Weil aber aller Voraussicht nach beim G20-Gipfel keine Einigung über eine Finanztransaktionssteuer und stärkere Regulierung der Finanzmärkte erzielt werde, müsse die EU, so der freiheitliche EU-Mandatar, notfalls im Alleingang vorgehen. „Hier geht nach der von Ankündigungen, die in der Vergangenheit gemacht wurden, um die Glaubwürdigkeit der Europäischen Union. Die Bürger, die um ihre Arbeitsplätze zittern, erwarten sich zu Recht konkrete Ergebnisse“, erklärte Mölzer.

Weiters nahm der FPÖ-Europa-Abgeordnete zur Kritik der USA am Sparkurs der EU-Staaten Stellung: „Diese Kritik ist nicht nur unverständlich, sondern auch von egoistischen Motiven getragen. Offensichtlich geht es den Amerikanern darum, daß die Europäer auch weiterhin die US-Wirtschaft stützen. Wenn die USA mit dem Schuldenmachen fortfahren wollen, dann ist das ihre Sache – aber sie sollen es nicht von den anderen verlangen“, schloß Mölzer.

samedi, 26 juin 2010

Les méfaits de la globalisation

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Archives de Synergies Européennes - 2003

Louis VINTEUIL :

Les méfaits de la globalisation

De nos jours l’Europe, sous le masque de cette pâle caricature qu’est l’Union Européenne, est soumise à un processus d’homogénéisation dont les vecteurs et principes capitalistes et militaires sont ceux du « manu-militarisme » et du « manu-monétarisme ». En ce sens, l’Union Européenne constitue un mécanisme régional  politico-économique, un maillon dans la chaîne du globalisme qui assoit sa primauté planétaire par le biais d’une cartellisation régionale du monde. Dans cette même direction, les régimes capitalistes ultralibéraux ainsi que les sociales démocraties qui sont en oeuvre dans la plupart des pays européens ne constituent que des mécanismes régulateurs des intérêts du grand capital financier regroupés dans le groupe G7. Les fondements de l’actuelle construction européenne reposent sur un système de valeurs hérité de la Renaissance : anthropocentrisme, conception technicienne et scientiste de la vie, économicisme exacerbé, obsidionalité et biosidionalité technologique qui considèrent la nature humaine comme un produit de consommation illimité. Derrière le bien être matériel universel et la prospérité globale, se cache une stratégie de développement qui n’est en fait qu’une stratégie de violence dont les pivots sont l’égocentrisme, l’anthropocentrisme et la conception de l’existence fondée sur une croissance continue indifférenciée et dont les armes sont l’exploitation illimitée des ressources naturelles et humaines à l’échelle planétaire. Cette stratégie de la croissance continue —et dont le père spirituel est Joseph Retinger—  n’est au fond qu’une stratégie de la tension qui aboutit à l’utilisation entropique des hommes et de la nature et devient la forme contemporaine de l’évolutionnisme global high-tech. La première ébauche de cette Europe capitaliste, entamée à Bilderberg dans les années 50 et qui fut teintée d’un certain type de Macartysme américain, sera parachevée par la doctrine de la trilatérale qui fera de l’Europe une corporation, une chasse gardée des oligarchies financières transnationales. L’Europe transformée en un immense supermarché , grande ferme soumise au jeu du marché spéculateur.

L’idéologie globale est par essence totalitaire, affectée d’un évolutionnisme pathogène car, par la voie du manu-militarisme et du manu-monétarisme, elle entend effacer et niveler toutes les diversités, les réalités naturelles et plurielles afin de soumettre les peuples aux sacerdoces des lois du monothéisme du marché. Ce manu-militarisme et ce manu-monétarisme ne sont  que les moyens pour créer une zone globale de libre échange, dominée par les cartels financiers anglo-saxons. La globalisation ne s’est jamais fixée pour but philanthropique de créer une utopie d’une communauté mondiale pacifique et fraternelle. Elle n’est qu’un processus avancé de libéralisation des marchés, de délocalisation et de dérégulation des économies ainsi qu’un instrument de conquête capitaliste dans la marche au plus grand profit. En voulant contrôler l’évolution de toute forme d’existence, le globalisme engendre une communication socio-culturelle destructive, dont l’uniformisation et le nivellement viennent détruire la communication naturelle génétique.

La manipulation mentale généralisée

Ce qui caractérise  la société globale, c’est indéniablement la manipulation mentale généralisée. En effet la société globale est un vaste laboratoire où l’on s’ingénie à créer par le contrôle des esprits une société psycho-civilisée qui, grâce à la génétique, expérimente le clonage d’êtres humains, décervelés et domestiquées. C’est en quelque sorte le remake du « procédé Bokanosky » imaginé par Aldous Huxley dans le « Meilleur des mondes ». Le but est, dans l’esprit d’un Francis Fukuyama , par l’intermédiaire des biotechnologies, d’abolir le temps et les concrétudes naturelles, pour mettre un terme à l’histoire et abolir les êtres humains en tant qu’êtres concrets, pour aller au-delà de l’humain. Par les procédés de manipulation mentale on aboutit dans cette société globale à une nouvelle forme d’esclavagisme moderne. En effet, dans le passage au XXIème siècle, les nouvelles technologies, informatiques et images, bouleversent toutes les données de la vie quotidienne tout comme le champ de toutes les investigations scientifiques. L’écran devient fatal et omniprésent, comme du reste le règne du spectacle et du simulacre. C’est de l’intérieur du monde envahissant des images que peut se voir la manipulation vidéographique, se déployer le règne des artifices et des simulations, se mettre en place une sacralisation nouvelle de l’image et de sa présence. La manipulation mentale dont je parle s’apparente à celle qu’exercerait une secte globale. En effet, il y a une parenté flagrante entre la secte, exigeant le consentement intime à un groupe donné et l’adhésion au marché universel , société à la fois globale et fragmentée en cellules consuméristes rendues narcissiques. La société-bulle des cultes sectaires n’est que le plagiat microsociologique de la secte globale planétaire sommant chacun de devenir un « gentil et docile membre de l’humanité » .

Comme dans les sectes, la société globale qui se propose d’abolir le temps et l’histoire, sécrète en elle une volonté de suicide collectif refoulée, l’autodestruction étant vécue de manière indolore tel un voyage spirituel vers une autre incarnation. Il s’agit bien d’une nouvelle forme de « Karma »moderne. La révolution technologique, le règne du cyberspace, la révolution numérique, le développement des réseaux électroniques d’information provoquent un syndrome de saturation cognitive. Assommés par un flux continus d’informations et d’images, les individus sont de moins en moins en mesure de penser et de décider, donc finalement de travailler ; étant de plus en plus accablés et abrutis.

La cyber-crétinisation

Nous sommes au coeur de la cyber-crétinisation. La manipulation mentale aboutit de même à la colonisation de l’inconscient et de l’imagination, en tant qu’espace intime onirique, symbolique et archétypale. Le capitalisme traditionnel, qui se contentait jadis de la publicité, s’attaque aujourd’hui aux domaines du rêve, de l’imagination, dans les visions du monde les plus intimes. Cette colonisation de l’imagination s’opère par la diffusion de supplétifs telle la science fiction, prêt-à-porter de l’imaginaire s’adressant aux « étages intérieurs » de l’inconscient, un imaginaire standardisé, pauvre, qui se réduit le plus souvent à des formes bâtardes de vulgarisation, nulles aussi bien sur le plan littéraire qu’intellectuel. Le loisir imaginaire contemporain qui vise à instaurer une société de joie permanente se réduit à une incitation collective à l’achat. La production symbolique, autrefois ajustée à l’évolution des siècles, est devenue frénétique. Le but est ici d’aboutir à une perte d’identité et des capacité réactives. Ainsi la société globale est une vaste techno-utopie à propos de laquelle Armand Mattelart écrit « qu’elle se révèle une arme idéologique de premier plan dans les trafics d’influence, en vue de naturaliser la vision libre-échangiste de l’ordre mondial, la théocratie libérale ».

Une nouvelle forme de “racisme global”

 L’Egoité, l’anthropocentrisme et le scientisme, qui font les fondements évolutionnistes du globalisme, sont les matrices d’une nouvelle forme de « racisme global ». En effet, de part sa politique ultralibérale et les discriminations culturelles et économiques qu’il implique, le globalisme tend à accroître le fossé entre le développement psychologique et social des hommes, lequel ne correspond plus à l’évolution de sa dynamique biologique. Les types classiques de cette nouvelle forme de racisme et d’eugénisme global résultent des nouvelles formes de manipulations génétiques et de clonage qui bouleversent le cours naturel et biologique des hommes alors qu’elles augmentent les disparités culturelles et économiques. Une nouvelle forme de darwinisme social postmoderne apparaît  sous les traits de l’ultralibéralisme global qui ne laisse aucune chance aux peuples et aux individus. Une nouvelle forme d’hominisation globale de l’être humain apparaît avec le globalisme par la création et la promotion d’un génotype générique, docile consommateur entièrement conditionné par l’idéologie dominante.

Cette nouvelle hominisation est à l’opposé de la bio-pluralité des peuples et de la terre qui tend de plus en plus à disparaître. Le globalisme véhicule une conception anthropocentrique de la science alors que la science devrait être biocentrique. D’autre part, le globalisme n’est que l’expression de l’américanisation unilatérale du monde entier, l’américanisme comme universalisme, l’américanisme comme mondialisme, l’américanisme comme néocolonialisme moderne. Au lendemain de la révolution d’octobre, Lénine écrivait « l’impérialisme stade suprême du capitalisme ». Au seuil du troisième millénaire, le capital international fait monter la donne : le globalisme américain devient le stade suprême de l’impérialisme moderne. Avec ce globalisme sensé apporter la prospérité à l’échelon planétaire, on a vu émerger des « villes globales », des « cités globales », lesquelles ont généré un processus de paupérisation croissante qu’on peut qualifier de « bidonvillisation » accélérée à l’échelle du globe.

La formule des “3D”

Autrement dit , la fondation du village planétaire creuse davantage l’incommensurable fossé entre riches et pauvres. Nouvelle division internationale du travail, nouveaux conflits sociaux, capital spéculatif à 90%, voilà le nouveau visage de l’exploitation capitaliste des grands groupes multinationaux. En réalité ce qu’on entend par “mondialisation”, c’est la généralisation du système capitaliste à tous les Etats de la planète. Le « laisser faire, laisser passer », cher à A. Smith, s’est mué en un nouveau slogan qui charrie le démantèlement des barrières douanières, la suppression de toutes sortes de contraintes au libre déplacement des capitaux tout en exigeant la « non ingérence » des Etats dans la régulation des économies. « Tout ce que l’Etat peut faire, c’est ne rien faire », claironnent les mondialistes. D’où la formule des  3 D  qui se trouve consacrée de plus en plus : désintermédiation, déréglementation et décloisonnement. La mondialisation a créé un vaste horizon économique qui reste à peu près vide sur le plan symbolique et qui s’offre dès lors à l’imagination utopique. Néanmoins on assiste paradoxalement au déclin de l’américanité comme utopie, espace de rêve et de remplacement. Plusieurs données supportent un constat d’échecs des grandes utopies américaines : la démocratie radicale, le melting pot, les mythes latino-américains indigénistes de l’hybridation ou du métissage biologique d’où devait résulter une race supérieure, sont tous autant d’utopies qui n’ont pas trouvé de traduction dans le domaine social et économique et auxquelles se sont substitués les modèles  de ghettoïsation raciale et ethnique. L’idéologie globaliste est en fait un processus de falsification négative et perfide du monde.

dimanche, 30 mai 2010

L'Europe face à la globalisation

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

Robert Steuckers:

L’Europe face à la globalisation

 

Conférence prononcée à la tribune de la

“Gesellschaft für Freie Publizistik”, avril 2004 (*)

 

unclesamIwantyoudeaed.jpgMon exposé d’aujourd’hui aura bien évidemment une dimension géopolitique, mais aussi une dimension géo-économique, car les grandes voies et les réseaux de communication, sur terre comme sur mer, et la portée des systèmes d’armement les plus modernes, jouent un rôle considérable dans la concurrence ac­tuelle qui oppose l’Europe aux Etats-Unis. L’ampleur de ces voies, de ces réseaux, etc. déterminent les catégories dans lesquelles il convient de penser: soit en termes de peuples, soit en termes d’Empire.

 

Si l’on parle des peuples, on doit savoir de quoi il retourne. A l’époque des soulèvements populaires au 19ième siècle, les peuples se sont dressés contre les empires multiethniques, qu’ils considéraient comme des “camisoles de force”. A partir de 1848, les Polonais et les Finnois en Russie, les Tchèques et les Ita­liens sur le territoire où s’exerçait la souveraineté de la monarchie impériale et royale austro-hongroi­se, les Slaves du Sud et les Grecs au sein de l’Empire ottoman, les Irlandais dans le Royaume-Uni, se sont rebellés ou ont développé un mouvement identitaire qui leur était propre. En France, les mouvements culturels bretons ou provençaux (les “félibriges”) se sont développés dans une perspective anti-centra­liste et anti-jacobine.

 

D’où vient cette révolte générale de type culturel? Elle provient, grosso modo, de la philosophie de l’his­toire de Johann Gottfried Herder, pour qui la langue, la littérature et la mémoire historique consti­tuent, chez chaque peuple, un faisceau de forces, que l’on peut considérer comme étant son identité en acte. L’identité est par conséquent spécifique au peuple, ce qui signifie que chaque peuple a le droit de posséder sa propre forme politique et de constituer un Etat selon sa spécificité, taillé à sa mesure et ré­visable à tout moment. L’avantage de cette perspective, c’est que chaque peuple peut déployer librement ses propres forces et ses propres caractéristiques. Mais cette perspective recèle également un danger: à l’intérieur d’une même communauté de peuples ou d’un espace civilisationnel, la balkanisation menace. Herder en était bien conscient: raison pour laquelle il avait tenté, sous le règne de la Tsarine Catherine II, d’esquisser une synthèse, notamment une forme politique, idéologique et philosophique nouvelle qui devait s’appliquer à l’espace intermédiaire situé entre la Russie et l’Allemagne. Herder rêvait de faire émerger une nouvelle Grèce de facture homérienne entre les Pays Baltes et la Crimée. Les éléments ger­maniques, baltes et slaves auraient tous concourru à un retour à la Grèce la plus ancienne et la plus hé­roïque, qui aurait été en même temps un retour aux sources les plus anciennes et les plus sublimes de l’Europe. Cette idée de Herder peut nous apparaître aujourd’hui bien éthérée et utopique. Mais de cette esquisse et de l’ensemble de l’œuvre de Herder, on peut retenir un élément fondamental pour notre épo­que : une synthèse en Europe n’est possible que si l’on remonte aux sources les plus anciennes, c’est-à-di­re aux premiers fondements de l’humanité européenne, au noyau de notre propre spécificité humaine, que l’on veillera à activer en permanence. Les archétypes sont en effet des moteurs, des forces mouvan­tes, qu’aucun progressisme ne peut éteindre car, alors, la culture se fige, devient un désert, tout de sé­cheresse et d’aridité.

 

La “nation” selon Herder

 

La nation, en tant que concept, était, pour Herder une unité plus ou moins homogène, une unité inalié­nable en tant que telle, faite d’un composé d’ethnicité, de langue, de littérature, d’histoire et de moeurs. Pour les révolutionnaires français, la nation, au contraire, n’était nullement un tel faisceau de faits ob­jectifs et tangibles, mais n’était que la population en armes, quelle que soit la langue que ces masses par­laient, ou, pour être plus précis, n’était jamais que le “demos” en armes, ou encore le “tiers état” mo­bilisé pour étendre à l’infini l’espace de la république universaliste. Tilo Meyer nous a donné une excellen­te définition de la nation. D’après lui, l’ethnos, soit le peuple selon la définition de Herder, ne peut pas être mis purement et simplement à la disposition du démos. Ne sont démocratiques et populaires, au bon sens du terme, que les systèmes politiques qui se basent sur la définition que donne Herder de la nation. Les autres systèmes, qui découlent des idées de la révolution française, sont en revanche égalitaires (dans le sens où ils réduisent tout à une aune unique) et, par là même, totalitaires. Le projet actuel de fabriquer une “multiculture” relève de ce mixte d’égalitarisme équarisseur et de totalitarisme.

 

La  mobilisation des masses au temps de la révolution française avait bien entendu une motivation mili­taire: les armées de la révolution acquéraient de la sorte une puissance de frappe considérable et décisi­ve, pour battre les armées professionnelles de la Prusse et de l’Autriche, bien entraînées mais inférieu­res en nombre. Les batailles de Jemmappes et de Valmy en 1792 l’ont démontré. La révolution introduit un nouveau mode de faire la guerre, qui lui procure des victoires décisives. Clausewitz a étudié les rai­sons des défaites prussiennes et a constaté que la mobilisation totale de toutes les forces masculines au sein d’un Etat constituait la seule réponse possible à la révolution, afin de déborder les masses de cito­yens armés de la France révolutionnaire et ne pas être débordé par elles. L’exemple qu’ont donné les po­pulations rurales espagnoles dans leur guerre contre les troupes napoléoniennes, où le peuple tout entier s’est dressé pour défendre la Tradition contre la Révolution, a prouvé que des masses orientées selon les principes de la Tradition pouvaient battre ou durement étriller des armées de masse inspirées par la ré­volution. La pensée de Jahn, le “Père Gymnastique”, comme on l’appelait en Allemagne, constitue une syn­thèse germanique entre la théorie de Clausewitz et la pratique des paysans insurgés d’Espagne. La mobi­lisation du peuple s’est d’abord réalisée en Espagne avant de se réaliser en Allemagne et a rendu ainsi possible la victoire européenne contre Napoléon, c’est-à-dire contre le principe mécaniste de la révolu­tion française. 

 

Après le Congrès de Vienne de 1815, les forces réactionnaires ont voulu désarmer les peuples. L’Europe de Metternich a voulu rendre caduque, rétroactivement, la liberté politique pourtant promise. Or si le paysan ou l’artisan doit devenir soldat et payer, le cas échéant, l’impôt du sang, il doit recevoir en é­change le droit de vote et de participation à la chose politique. Lorsque chaque citoyen reçoit le droit et la possibilité d’étudier, il reçoit simultanément un droit à participer, d’une manière ou d’une autre, aux débats politiques de son pays; telle était la revendication des corporations étudiantes nationalistes et dé­mocratiques de l’époque. Ces étudiants se révoltaient contre une restauration qui conservait le service militaire obligatoire sans vouloir accorder en contrepartie la liberté politique. Ils étayaient intellectuel­lement leur rébellion par un mixte étonnant dérivé du concept herdérien de la nation et d’idéaux mé­canicistes pseudo-nationaux issus du corpus idéologique de la révolution française. A cette époque entre révolution et restauration, la pensée politique oscillait entre une pensée rebelle, qui raisonnait en ter­mes de peuples, et une pensée traditionnelle, qui raisonnait en termes d’empires, ce qui estompait les frontières idéologiques, très floues. Une synthèse nécessairement organique s’avérait impérative. Une telle synthèse n’a jamais émergé, ce qui nous contraint, aujourd’hui, à réfléchir aux concepts nés à l’é­poque.

 

La dialectique “peuples/Empire”

 

Revenons à la dialectique Peuple/Empire ou Peuples/Aires civilisationnelles: à la fin du 18ième siècle et au début du 19ième, nous avions, d’une part, de vastes unités politiques, que la plupart des hommes étaient incapables de concevoir et de visionner, mais, par ailleurs, ces unités politiques de grandes dimensions, mal comprises et rejettées, s’avéraient nécessaires pour affronter la concurrence qu’allait immanquable­ment imposer la grande puissance transatlantique  qui commençait à se déployer. Les colonies espagnoles se sont “libérées”, du moins en apparence, pour tomber rapidement sous la dépendance des Etats-Unis en pleine ascension. Le ministre autrichien de l’époque, Hülsemann, à la suite de la proclamation de la “Doctrine de Monroe”, ainsi que le philosophe français Alexis de Tocqueville,qui venait d’achever un long voyage en Amérique du Nord, lançaient tous deux un avertissement aux Européens, pour leur dire qu’au-delà de l’Atlantique une puissance était en train d’émerger, qui était fondamentalement différente que tout ce que l’on avait connu en Europe auparavant. La politique internationale venait d’acquérir des di­mensions véritablement continentales voire globales. L’avenir appartiendrait dorénavant aux seules puissances disposant de suffisamment d’étendue, de matières premières sur le territoire où elles exer­çaient leur souveraineté, un territoire qui devait être compact, aux frontières bien délimités et “ar­rondies”, et non pas aux empires coloniaux dispersés aux quatre vents.

 

Hülsemann, et après lui Constantin Franz, plaidaient pour une alliance des puissances coloniales dé­pourvues de colonies, ce qui a conduit notamment à la signature de traités comme celui qui instituait “l’alliance des trois empereurs” (Russie, Allemagne, Autriche-Hongrie) ou à l’application de principes com­me celui de “l’assurance mutuelle prusso-russe”. Au début du 20ième siècle, l’alliance qui unissait l’Al­lemagne et l’Autriche-Hongrie a voulu réanimer l’homme malade du Bosphore, c’est-à-dire l’Empire otto­man, dont elles voulaient faire un “territoire complémentaire”, source de matières premières et espace de débouchés. Cette volonté impliquait la construction d’un réseau de communications moderne, en l’oc­currence, à l’époque, d’une ligne de chemin de fer entre Hambourg et Bagdad (et éventuellement de con­tinuer la ligne de chemin de fer jusqu’à la côte du Golfe Persique). Ce projet recèle l’une des causes prin­cipales de la première guerre mondiale. En effet, l’Angleterre ne pouvait tolérer une présence non an­glaise dans cette région du monde; la Russie ne pouvait accepter que les Allemands et les Autrichiens dé­terminassent la politique à Constantinople, que les Russes appellaient parfois “Tsarigrad”.

 

La leçon de Spengler et d’Huntington

 

En Europe, les structures de type impérial sont donc une nécessité, afin de maintenir la cohérence de l’aire civilisationnelle européenne, dont la culture a jailli du sol européen, afin que tous les peuples au sein de cette aire civilisationnelle, organisée selon les principes impériaux, puissent avoir un avenir. Aujour­d’hui, le Professeur américain Samuel Huntington postule que l’on se mette à penser la politique du point de vue des aires civilisationnelles. Il parle, en anglais, de “civilizations”. La langue allemande, elle, fera la différence, avec Oswald Spengler, entre la notion de “Kultur”, qui représente une force organique, et celle de “Zivilisation”, qui résume en elle tous les acquis purement mécaniques et techniques d’une aire civilisationnelle ou culturelle. Ces acquis atteignent leur apex lorsque les forces issues des racines cul­turelles sont presque épuisées. Samuel Huntington, que l’on peut considérer comme une sorte de disciple contemporain de Spengler, pense que ces forces radicales peuvent être réactivées, si on le veut, comme le font les fondamentalistes islamistes ou les rénovateurs de l’hindouisme aujourd’hui. Samuel Huntington évoque une aire civilisationnelle “occidentale”, qui regroupe l’Europe et l’Amérique au sein d’une unité atlantique. Mais, pour nous, comme jadis pour Hülsemann et Tocqueville, l’Europe  —en tant que source dormante de l’humanité européenne primordiale—  et l’Amérique  —en tant que nouveauté sans passé sur la scène internationale et dont l’essence est révolutionnaire et mécaniciste—  constituent deux pôles fondamentalement différents, même si, à la surface des discours politiques américains, conservateurs ou néo-conservateurs, nous observons la présence de fragments effectivement “classiques”, mais ce ne sont là que les fragments d’une culture fabriquée, vendue comme “classique”, mais dont la seule fonction est de servir de simple décorum. Ce décor “classique” est l’objet d’intéressantes discussions idéologiques et philosophiques aux Etats-Unis aujourd’hui. On s’y pose des questions telles: Doit-on considérer ces éléments de “classicisme” comme les simples reliquats d’un passé européen commun, plus ou moins ou­blié, ou doit-on les évacuer définitivement de l’horizon philosophique, les jeter par-dessus bord, ou doit-on les utiliser comme éléments intellectuels pour parfaire des manœuvres d’illusionniste dans le monde des médias, pour faire croire que l’on est toujours attaché aux valeurs européennes classiques? Ce débat, nous devons le suivre attentivement, sans jamais être dupes.

 

L’Europe actuelle, qui a pris la forme de l’eurocratie bruxelloise, n’est évidemment pas un Empire, mais, au contraire, un Super-Etat en devenir. La notion d’ “Etat” n’a rien à voir avec la notion d’ “Empire”, car un “Etat” est “statique” et ne se meut pas, tandis que, par définition, un Empire englobe en son sein toutes les formes organiques de l’aire civilisationnelle qu’il organise, les transforme et les adapte sur les plans spirituel et politique, ce qui implique qu’il est en permanence en effervescence et en mouvement. L’eurocratie bruxelloise conduira, si elle persiste dans ses errements, à une rigidification totale. L’actuelle eurocratie bruxelloise n’a pas de mémoire, refuse d’en avoir une, a perdu toute assise historique, se pose comme sans racines. L’idéologie de cette construction de type “machine” relève du pur bricolage idéologique, d’un bricolage qui refuse de tirer des leçons des expériences du passé. Cela implique que la praxis économique de l’eurocratie bruxelloise se pose comme “ouverte sur le monde” et néo-libérale, ce qui constitue une négation de la dimension historique des systèmes économiques réelle­ment existants, qui ont effectivement émergé et se sont développés sur le sol européen. Le néo-libéra­lisme, qui plus est, ne permet aucune évolution positive dans le sens d’une autarcie continentale. L’euro­cratie de Bruxelles n’est donc plus une instance européenne au sens réel et historique du terme, mais une instance occidentale, car tout néo-libéralisme doctrinaire, en tant que modernisation du vieux libé­ralisme manchesterien anglo-saxon, est la marque idéologique par excellence de l’Occident, comme l’ont remarqué et démontré, de manière convaincante et suffisante, au fil des décennies, des auteurs aussi divers qu’Ernst Niekisch, Arthur Moeller van den Bruck, Guillaume Faye ou Claudio Finzi.

 

Les peuples périssent d’un excès de libéralisme

 

Mais tous les projets d’unir et de concentrer les forces de l’Europe, qui se sont succédé au fil des dé­cennies, ne posaient nullement comme a priori d’avoir une Europe “ouverte sur le monde”, mais au con­traire tous voulaient une Europe autarcique, même si cette autarcie acceptait les principes d’une écono­mie de marché, mais dans le sens d’un ordo-libéralisme, c’est-à-dire d’un libéralisme qui tenait compte des facteurs non économiques. En effet, une économie ne peut pas, sans danger, refuser par principe de tenir compte des autres domaines de l’activité humaine. L’héritage culturel, l’organisation de la méde­cine et de l’enseignement doivent toujours recevoir une priorité par rapport aux facteurs purement économiques, parce qu’ils procurent ordre et stabilité au sein d’une société donnée ou d’une aire civi­lisationnelle, garantissant du même coup l’avenir des peuples qui vivent dans cet espace de civilisation. Sans une telle stabilité, les peuples périssent littéralement d’un excès de libéralisme (ou d’économicisme ou de “commercialite”), comme l’avait très justement constaté Arthur Moeller van den Bruck au début des années 20 du 20ième siècle.

 

Pour ce qui concerne directement le destin de l’Europe, des industriels et économistes autrichiens a­vaient suggéré une politique européenne cohérente dès la fin du 19ième siècle. Par exemple, Alexander von Peez avait remarqué très tôt que les Etats-Unis visaient l’élimination de l’Europe, non seulement dans l’ensemble du Nouveau Monde au nom du panaméricanisme, mais aussi partout ailleurs, y compris en Europe même. La question de survie, pour tous les peuples européens, était donc posée: ou bien on allait assister à une unification grande-européenne au sein d’un système économique autarcique, semblable au Zollverein allemand ou bien on allait assister à une colonisation générale du continent européen par la nouvelle puissance panaméricaine, qui était en train de monter. Alexander von Peez avertissait les Européens du danger d’une “américanisation universelle”. Le théoricien de l’économie Gu­stav Schmoller, figure de proue de l’”école historique allemande”, plaidait, pour sa part, pour un “bloc économique européen”, capable d’apporter une réponse au dynamisme des Etats-Unis. Pour Schmoller, un tel bloc serait “autarcique” et se protègerait par des barrières douanières, exactement le contraire de ce que préconise aujourd’hui l’eurocratie bruxelloise.

 

Julius Wolf, un autre théoricien allemand de l’économie, prévoyait que le gigantesque marché panaméri­cain se fermerait un jour aux marchandises et aux produits européens et qu’une concurrence renforcée entre les produits européens et américains s’instaurerait à l’échelle de la planète. Arthur Dix et Walther Rathenau ont fait leur cette vision. Jäckh et Rohrbach, pour leur part, se faisaient les avocats d’un bloc économique qui s’étendrait de la Mer du Nord au Golfe Persique. C’est ainsi qu’est née la “question d’Orient”, le long de l’Axe Hambourg/Koweit. L’Empereur d’Allemagne, Guillaume II, voulait que les Bal­kans, l’Anatolie et la Mésopotamie devinssent un “espace de complément” (Ergänzungsraum) pour l’in­dustrie allemande en pleine expansion, mais il a invité toutes les autres puissances européennes à par­ticiper à ce grand projet, y compris la France, dans un esprit chevaleresque de conciliation. Gabriel Ha­noteaux a été le seul homme d’Etat français qui a voulu donner une suite positive à ce projet rationnel. En Russie, Sergueï Witte, homme d’Etat de tout premier plan, perçoit également ce projet d’un oeil po­sitif. Malheureusement ces hommes d’Etat clairvoyants ont été mis sur une voie de garage par des obs­curantistes à courtes vues, de toutes colorations idéologiques.

 

Constantinople: pomme de discorde

 

La pomme de discorde, qui a conduit au déclenchement de la première guerre mondiale, était, en fait, la ville de Constantinople. L’objet de cette guerre si meurtrière a été la domination des Détroits et du bas­sin oriental de la Méditerranée. Les Anglais avaient toujours souhaité laisser les Détroits aux mains des Turcs, dont la puissance avait considérablement décliné (“L’homme malade du Bosphore”, disait Bis­marck). Mais, en revanche, ils ne pouvaient accepter une Turquie devenue l’espace complémentaire (l’ “Ergänzungsraum”) d’une Europe centrale, dont l’économie serait organisée de manière cohérente et unitaire, sous direction allemande. Par conséquent, pour éviter ce cauchemar de leurs stratèges, ils ont conçu le plan de “balkaniser” et de morceler encore davantage le reste de l’Empire ottoman, de façon à ce qu’aucune continuité territoriale ne subsiste, surtout dans l’espace situé entre la Mer Méditerranée et le Golfe Persique. La Turquie, la Russie et l’Allemagne devaient toutes les trois se voir exclues de cette région hautement stratégique de la planète, ce qui impliquait de mettre en œuvre une politique de “con­tainment” avant la lettre. Les Russes rêvaient avant 1914 de reconquérir Constantinople et de faire de cette ville magnifique, leur “Tsarigrad”, la ville des Empereurs (byzantins), dont leurs tsars avaient pris le relais. Les Russes se percevaient comme les principaux porteurs de la “Troisième Rome” et enten­daient faire de l’ancienne Byzance le point de convergence central de l’aire culturelle chrétienne-ortho­doxe. Les Français avaient des intérêts au Proche-Orient, en Syrie et au Liban, où ils étaient censé pro­téger les communautés chrétiennes. Le télescopage de ces intérêts divergents et contradictoires a con­duit à la catastrophe de 1914.

 

En 1918, la France et l’Angleterre étaient presque en état de banqueroute. Ces deux puissances occiden­tales avaient contracté des dettes pharamineuses aux Etats-Unis, où elles avaient acheté des quantités énormes de matériels militaires, afin de pouvoir tenir le front. Les Etats-Unis qui, avant 1914, avaient des dettes partout dans le monde, se sont retrouvés dans la position de créanciers en un tourne-main. La France n’avait pas seulement perdu 1,5 million d’hommes, c’est-à-dire sa substance biologique, mais était contrainte de rembourser des dettes à l’infini: le Traité de Versailles a choisi de faire payer les Alle­mands, au titre de réparation.

 

Ce jeu malsain de dettes et de remboursements a ruiné l’Europe et l’a plongée dans une spirale épouvan­table d’inflations et de catastrophes économiques. Pendant les années 20, les Etats-Unis voulaient gagner l’Allemagne comme principal client et débouché, afin de pouvoir “pénétrer”, comme on disait à l’époque, les marchés européens protégés par des barrières douanières. L’économie de la République de Weimar, régulée par les Plans Dawes et Young, était considérée, dans les plus hautes sphères économiques améri­caines, comme une économie “pénétrée”. Cette situation faite à l’Allemagne à l’époque, devait être éten­due à toute l’Europe occidentale après la seconde guerre mondiale. C’est ainsi, qu’étape après étape, l’”américanisation universelle” s’est imposée, via l’idéologie du “One World” de Roosevelt ou via la no­tion de globalisation à la Soros aujourd’hui. Les termes pour la désigner varient, la stratégie reste la même.

 

Le projet d’unifier le continent par l’intérieur

 

La seconde guerre mondiale avait pour objectif principal, selon Roosevelt et Churchill, d’empêcher l’u­nification européenne sous la férule des puissances de l’Axe, afin d’éviter l’émergence d’une économie “impénétrée” et “impénétrable”, capable de s’affirmer sur la scène mondiale. La seconde guerre mon­diale n’avait donc pas pour but de “libérer” l’Europe mais de précipiter définitivement l’économie de no­tre continent dans un état de dépendance et de l’y maintenir. Je n’énonce donc pas un jugement “moral” sur les responsabilités de la guerre, mais je juge son déclenchement au départ de critères matériels et économiques objectifs. Nos médias omettent de citer encore quelques buts de guerre, pourtant claire­ment affirmés à l’époque, ce qui ne doit surtout pas nous induire à penser qu’ils étaient insignifiants. Bien au contraire ! Dans la revue “Géopolitique”, qui paraît aujourd’hui à Paris, et est distribuée dans les cercles les plus officiels, un article nous rappelait la volonté britannique, en 1942, d’empêcher la navigation fluviale sur le Danube et le creusement de la liaison par canal entre le Rhin, le Main et le Da­nube. La revue “Géopolitique”, pour illustrer ce fait, a republié une carte parue dans la presse lon­donienne en 1942, au beau miliau d’articles qui expliquaient que l’Allemagne était “dangereuse”, non pas parce qu’elle possédait telle ou telle forme de gouvernement qui aurait été “anti-démocratique”, mais parce que ce régime, indépendamment de sa forme, se montrait capable de réaliser un vieux plan de Charlemagne ainsi que le Testament politique du roi de Prusse Frédéric II, c’est-à-dire de réaliser une na­vigation fluviale optimale sur tout l’intérieur du continent, soit un réseau de communications contrôlable au départ même des puissances qui constituent, physiquement, ce continent; un contrôle qu’elles exer­ceraient en toute indépendance et sans l’instrument d’une flotte importante, ce qui aurait eu pour co­rollaire immédiat de relativiser totalementle contrôle maritime britannique en Méditerranée et de rui­ner ipso facto la stratégie qui y avait été déployée par le Royaume-Uni depuis la Guerre de Succession d’Espagne et les opérations de Nelson à l’ère napoléonienne. Ainsi, pour atteindre, depuis les côtes de l’Atlantique, les zones à blé de la Crimée et des bassins du Dniestr, du Dniepr et du Don, ou pour at­teindre l’Egypte, l’Europe n’aurait plus nécessairement eu besoin des cargos des armateurs financés par l’Angleterre. La Mer Noire aurait été liée directement à l’Europe centrale et au bassin du Rhin.

 

Une telle symphonie géopolitique, géostratégique et géo-économique, les puissances thalassocratiques l’ont toujours refusée, car elle aurait signifié pour elles un irrémédiable déclin. Les visions géopolitiques du géopolitologue français André Chéradame, très vraisemblablement téléguidé par les services britan­niques, impliquaient le morcellement de la “Mitteleuropa” et du bassin danubien, qu’il avait théorisé pour le Diktat de Versailles. Ses visions visaient également à créer le maximum d’Etats artificiels, à peine viables et antagonistes les uns des autres dans le bassin du Danube, afin que de Vienne à la Mer Noire, il n’y ait plus ni cohérence ni dynamisme économiques, ni espace structuré par un principe im­périal (“reichisch’).

 

L’objectif, qui était d’empêcher toute communication par voie fluviale, sera encore renforcé lors des é­vénements de la Guerre Froide. L’Elbe, soit l’axe Prague/Hambourg, et le Danube, comme artère fluviale de l’Europe, ont été tous deux verrouillés par le Rideau de Fer. La Guerre Froide avait pour objectif de pérenniser cette césure. Le bombardement des ponts sur le Danube près de Belgrade en 1999 ne pour­suivait pas d’autres buts.

 

Etalon-or et étalon-travail

 

La Guerre Froide visait aussi à maintenir la Russie éloignée de la Méditerranée, afin de ne pas procurer à l’Union Soviétique un accès aux mers chaudes, à garder l’Allemagne en état de division, à laisser à la France une autonomie relative. Officiellement, la France appartenait au camp des vainqueurs et cette po­litique de morcellement et de balkanisation lui a été épargnée. Les Américains toléraient cette relative autonomie parce que les grands fleuves français, comme la Seine, la Loire et la Garonne sont des fleuves atlantiques et ne possédaient pas, à l’époque, de liaisons importantes avec l’espace danubien et aussi parce que l’industrie française des biens de consommation était assez faible au lendemain de la seconde guerre mondiale. Ce n’est que dans les années cinquante et soixante qu’une telle industrie a pris son envol en France, avec la production d’automobiles bon marché (comme la légendaire “2CV” de Citroën que les Allemands appelaient la “vilaine cane”, la “Dauphine” ou les modèles “R8” de Renault) ou d’ap­pareils électro-ménagers de Moulinex, etc., ensemble de produits qui demeuraient très en-dessous des standards allemands. La force de la France avait été ses réserves d’or; celle de l’Allemagne, la production d’excellents produits de précision et de mécanique fine, que l’on pouvait échanger contre de l’or ou des devises.

 

Anton Zischka écrivit un jour que le retour d’Amérique des réserves d’or françaises  —pendant le règne de De Gaulle, au cours des années soixante et à l’instigation de l’économiste Rueff—  a été une bonne me­sure mais toutefois insuffisante parce que certaines branches de l’industrie de la consommation n’existaient pas encore en France : ce pays ne produisait pas d’appareils photographiques, de machines à écrire, de produits d’optique comme Zeiss-Ikon, d’automobiles solides destinées à l’exportation.

 

Comme Zischka l’avait théorisé dans son célèbre ouvrage “Sieg der Arbeit” (= “La victoire de l’étalon-travail”), l’or est certes une source de richesse et de puissance nationales, mais cette source demeure statique, tandis que l’étalon-travail constitue un facteur perpétuellement producteur, correspondant à la dynamique de l’époque contemporaine. Les stratèges américains l’avaient bien vu. Ils ont laissé se pro­duire le miracle économique allemand, car ce fut un développement quantitatif, certes spectaculaire, mais trompeur. A un certain moment, au bout de quelques décennies, ce miracle devait trouver sa fin car tout développement complémentaire de l’industrie allemande ne pouvait se produire qu’en direction de l’espace balkanique, du bassin de la Mer Noire et du Proche-Orient.

 

Dans ce contexte si riche en conflits réels ou potentiels, dont les racines si situent à la fin du 19ième siècle, les instruments qui ont servi, depuis plusieurs décennies, à coloniser et à mettre hors jeu l’Al­lemagne et, partant, l’Europe entière, sont les suivants :

 

  • La Mafia et les drogues

 

Pour en arriver à contrôler l’Europe, les services secrets américains ont toujours téléguidés diverses organisations mafieuses. Selon le spécialiste actuel des mafias, le Français Xavier Raufer, le “tropisme mafieux” de la politique américain a déjà une longue histoire derrière lui: tout a commencé en 1943, lorsque les autorités américaines vont chercher en prison le boss de la mafia Lucky Luciano, originaire de Sicile, afin qu’il aide à préparer le débarquement allié dans son île natale et la conquête du Sud de l’I­talie. Depuis lors, on peut effectivement constater un lien étroit entre la mafia et les services spéciaux des Etats-Unis. En 1949, lorsque Mao fait de la Chine une “république populaire”, l’armée nationaliste chi­noise du Kuo-Min-Tang se replie dans le “Triangle d’Or”, une région à cheval sur la frontière birmano-lao­tienne. Les Américains souhaitent que cette armée soit tenue en réserve pour mener ultérieurement d’éventuelles opérations en Chine communiste. Le Congrès se serait cependant opposé à financer une telle armée avec l’argent du contribuable américain et, de surcroît, n’aurait jamais avalisé une opé­ration de ce genre. Par conséquent, la seule solution qui restait était d’assurer son auto-financement par la production et le trafic de drogue. Pendant la guerre du Vietnam, certaines tribus montagnardes, com­me les Hmongs, ont reçu du matériel militaire payé par l’argent de la drogue. Avant la prise du pouvoir par Mao en Chine et avant la guerre du Vietnam, le nombre de toxicomanes était très limité: seuls quel­ques artistes d’avant-garde, des acteurs de cinéma ou des membres de la “jet society” avant la lettre consommaient de l’héroïne ou de la cocaïne : cela faisait tout au plus 5000 personnes pour toute l’Amé­rique du Nord. Les médias téléguidés par les services ont incité à la consommation de drogues et, à la fin de la guerre du Vietnam, l’Amérique comptait déjà 560.000 drogués. Les mafias chinoise et italienne ont pris la logistique en main et ont joué dès lors un rôle important dans le financement des guerres im­populaires.

 

L’alliance entre la Turquie et les Etats-Unis a permis à un troisième réseau mafieux de participer à cette stratégie générale, celui formé par les organisations turques, qui travaillent en étroite collaboration avec des sectes para-religieuses et avec l’armée. Elles ont des liens avec des organisations criminelles similaires en Ouzbékistan voire dans d’autres pays turcophones d’Asie centrale et surtout en Albanie. Les organisations mafieuses albanaises ont pu étendre leurs activités à toute l’Europe à la suite du conflit du Kosovo, ce qui leur a permis de financer les unités de l’UÇK. Celles-ci ont joué le même rôle dans les Balkans que les tribus Hmongs  au Vietnam dans les années 60. Elles ont préparé le pays avant l’offensive des troupes de l’OTAN.

 

Par ailleurs, le soutien médiatique insidieux, apporté à la toxicomanie généralisée chez les jeunes, poursuit un autre objectif stratégique, celui de miner l’enseignement, de façon à ce que l’Europe perde un autre de ses atouts : celui que procuraient les meilleurs établissements d’enseignement et d’éducation du monde, qui, jadis, avaient toujours aidé notre continent à se sauver des pires situations.

 

Dans toute l’Europe, les forces politiques saines doivent lutter contre les organisations mafieuses, non seulement parce qu’elle sont des organisations criminelles, mais aussi parce qu’elles sont les instruments d’un Etat, étranger à l’espace européen, qui cultive une haine viscérale à l’égard de l’identité européen­ne. La lutte contre les organisations mafieuses implique notamment de contrôler et de réguler les flux migratoires en provenance de pays où la présence et l’influence de mafias se fait lourdement sentir (Turquie, Albanie, Ouzbékistan, etc.).

 

  • Les multinationales

 

Depuis les années 60, les multinationales sont un instrument du capitalisme américain, destiné à contraindre les autres Etats à ouvrir leurs frontières. Sur le plan strictement économique, le principe qui consiste à favoriser l’essaimage de multinationales conduit à des stratégies de “délocalisations”, comme on le dit dans le jargon néo-libéral. Ces stratégies de délocalisation sont responsables des taux élevés de chômage. Même dans le cas de produits en apparance peu signifiants ou anodins, tels les jouets ou les bonbons, les multinationales ont détruit des centaines de milliers d’emplois. Exemple: les voitures miniatures étaient, jadis, dans mon enfance, fabriquées généralement en Angleterre, comme les Dinky Toys, les Matchbox et les Corgi Toys. Aujourd’hui, les miniatures de la nouvelle génération, portant parfois la même marque, comme Matchbox, nous viennent de Thaïlande, de Chine ou de Macao. A l’époque de son engouement pour l’espace politique national-révolutionnaire, le sociologue allemand Henning Eichberg, aujourd’hui exilé au Danemark, écrivait, avec beaucoup de pertinence, dans la revue berlinoise “Neue Zeit”, que nous subissions “une subversion totale par les bonbons” (“Eine totale Subvertierung durch Bonbons”). En effet, les douceurs et sucreries pour les enfants ne sont plus produites aux niveaux locaux, ou confectionnées par une grand-mère pleine d’amour, mais vendues en masse, dans des drugstores ou des pompes à essence, des supermarchés ou des distributeurs automatiques, sous le nom de “Mars”, “Milky Way” ou “Snickers”. Ce ne sont plus des grand-mères ou des mamans qui les confectionnent, mais des multinationales sans cœur et tout en chiffres et en bilans, gérés par d’infects technocrates qui les vendent dans tous les coins et les recoins de la planète. A combien de personnes ces stratégies infâmes ont-elles coûté l’emploi, ont-elles ôté le sens à l’existence?

 

Dans l’Europe entière, les forces politiques saines, si elles veulent vraiment lutter contre le chômage de masse, doivent refuser toutes les logiques de délocalisations et protéger efficacement les productions locales.

 

  • Le néo-libéralisme comme idéologie

 

Le néo-libéralisme est l’idéologie économique de la globalisation. L’écrivain et économiste français Michel Albert a constaté, au début des années 90, que le néo-libéralisme, héritage des gouvernements de Thatcher et de Reagan, correspond en pratique à une négation quasi complète de tout investissement local (régional, national, transnational dans un cadre continental semi-autarcique et auto-centré, etc.). Michel Albert réagissait contre cette nouvelle pathologie politique, qui consistait à vouloir imiter à tout prix la gestion thatcherienne et les “reaganomics” et préconisait de remettre à l’ordre du jour les politiques “ordo-libérales”. L’“ordo-libéralisme” ou “modèle rhénan” (dans le vocabulaire de Michel Albert), n’est pas seulement allemand ou “rhénan” mais aussi japonais, suédois, partiellement belge (les structures patrimoniales des vieilles industries de Flandre ou de Wallonie) ou français (les grandes entreprises familiales autour des villes de Lyon ou de Lille ou en Lorraine).

 

Ce “modèle rhénan” privilégie l’investissement plutôt que la spéculation en bourse. L’investissement ne se fait pas qu’en capital-machine dans l’industrie mais aussi, pour Albert, dans les modules de recherche des universités, dans les écoles supérieures professionnelles ou, plus généralement, dans l’enseignement. Conjointement aux idées délétères du mouvement soixante-huitard, l’idéologie néo-libérale a miné les systèmes d’enseignement dans toute l’Europe. En Allemagne, aujourd’hui, la situation est grave. En France, elle est pire, sinon catastrophique. En Angleterre, une initiative citoyenne, baptisée “Campaign for Real Education”, revendique actuellement, auprès des enseignants et des associations de parents, la revalorisation de la discipline à l’école, afin d’améliorer le niveau des études et les capacités linguistiques (en langue maternelle) des enfants. Le géopolitologue Robert Strauss-Hupé, qui œuvrait dans les cénacles intellectuels gravitant jadis autour de Roosevelt, avait planifié la destruction des forces implicites du vieux continent européen, dans un programme destiné à l’Allemagne et à l’Europe, au même moment où Morgenthau concoctait ses plans pour une  pastoralisation générale et définitive de l’espace germanique. Selon ce Strauss-Hupé, il fallait briser à jamais l’homogénéité ethnique des pays européens et ses systèmes d’éducation. Pour réaliser ce projet au bout de quelques décennies, les spéculations anti-autoritaires de pédagogues éthérés, la consommation de drogues et l’idéologie de 68 ont joué un rôle-clef. En évoquant ces faits, quelques voix chuchotent que le philosophe Herbert Marcuse, idole des soixante-huitards, aurait travaillé pour l’ “Office for Strategic Studies” (OSS), l’agence américaine de renseignement qui a précédé la célèbre CIA.

 

Dans  toute l’Europe, les forces politiques saines devraient militer aujourd’hui pour réaffirmer l’existence d’un système ordo-libéral de facture “rhénane” (selon Albert), c’est-à-dire un système économique qui investit au lieu de spéculer et qui apporte son soutien à l’école et aux universités, sans négliger les autres secteurs non marchands, comme les secteurs hospitalier et culturel, car les piliers porteurs non marchands de toute société ne peuvent être mis à disposition ni être sacrifié à la seule économie. Ces secteurs non marchands soudent les communautés populaires, créent une fidélité à l’Etat dans toutes les catégories sociales. Le néo-libéralisme ne soude pas, il dé-soude, il ne génère aucune fidélité et fait régner la loi de la jungle.

 

  • Les médias

 

L’Europe est également tenue sous la coupe d’un système médiatique qui, in fine, est téléguidé par certains services étrangers, qui veillent à susciter les “bonnes” émotions au bon moment. Ces médias façonnent la mentalité contemporaine et visent à exclure du débat tout esprit indépendant et critique, surtout si ces esprits critiques sont effectivement critiques parce qu’ils pensent en termes d’histoire et de tradition. En effet, les esprits détachés du temps et de l’espace, sans feu ni lieu (Jacques Ellul), représentent ce que l’on appelle en Allemagne “die schwebende Intelligenz”, l’intelligentsia virevoltante, qui est justement cette forme d’intelligentsia dont l’américanisation et la globalisation ont besoin. La domination de l’Europe par des instruments médiatiques a commencé immédiatement après la seconde guerre mondiale, notamment quand une revue, apparemment anodine dans sa forme et sa présentation, “Sélection du Reader’s Digest”, a été répandue dans toute l’Europe et dans toutes les langues, quand la France de 1948 fut contrainte de faire jouer dans toutes ses salles de cinéma des films “made in USA”, sinon elle ne recevait pas les fonds du Plan Marshall. Le gouvernement Blum a accepté ce diktat, qui signait l’arrêt de mort du cinéma français.

 

Quand l’ancien créateur cinématographique Claude Autant-Lara, classé à gauche au temps de sa gloire, fut élu au Parlement Européen sur les listes du nationaliste français Jean-Marie le Pen, il reçut le droit de prononcer le discours inaugural de l’assemblée, vu qu’il en était le doyen. Il saisit cette opportunité pour condamner, du haut de la tribune de Strasbourg, la politique américaine qui a toujours consisté à imposer systématiquement les films d’Hollywood, pour torpiller les productions nationales des pays européens. Les chansons, les modes, les drogues, la télévision (avec CNN), l’internet sont autant de canaux qu’utilise la propagande américaine pour effacer la mémoire historique des Européens et d’influencer ainsi les opinions publiques, de façon à ce qu’aucune autre vision du monde autre que celle de l’”American way of Life” ne puisse plus jamais émerger.

 

Dans toute l’Europe, les forces politiques saines doivent viser à faire financer des médias indépendants, locaux et liés au sol, qui soient à même de fournir au public des messages idéologiquement et politiquement différents. Afin d’empêcher que nos peuples soient abrutis et placés sous influence par des systèmes médiatiques hypercentralisés et téléguidés par une super-puissance étrangère à notre espace. Un tel contrôle médiatique s’avère nécessaire dans la perspective des guerres du futur, qui seront des “guerres cognitives”, dont l’objectif sera d’influencer les peuples et de rendre les “audiences étrangères” (“enemy/alien audiences” dans le jargon de la CIA ou de la NSA) perméables au discours voulus par les services spéciaux de Washington, afin qu’aucune autre solution à un problème de politique internationale ne puisse être considérée comme “morale” ou “acceptable”.

 

  • Les moyens militaires

 

On affirme généralement que la puissance des Etats-Unis est essentiellement une puissance maritime. Les puissances mondiales, qui sont simultanément des puissances maritimes (des thalassocraties), sont généralement “bi-océaniques”: on veut dire par là qu’elles ont des “fenêtres” sur deux océans. L’objectif de la guerre que les Etats-Unis ont imposé au Mexique en 1848 était de se tailler une vaste fenêtre donnant sur l’Océan Pacifique, pour pouvoir ensuite accéder, à court ou à moyen terme, aux marchés de Chine et d’Extrême-Orient et d’en faire des marchés exclusivement réservés aux productions américaines. Lorsque l’Amiral américain Alfred Thayer Mahan s’efforce à la fin du 19ième siècle de faire de la “Navy League” un instrument pour promouvoir dans les esprits et dans les actes l’impérialisme américain, il poursuivait simultanément l’objectif de faire de la flotte américaine, qui était alors en train de se développer, un monopole militaire exclusif: seule cette flotte aurait le droit de s’imposer sur la planète sans souffrir la présence de concurrents. Son but politique et stratégique était de donner aux puissances anglo-saxonnes une “arme d’intervention” globale et ubiquitaire, susceptible de donner à la Grande-Bretagne et aux Etats-Unis un instrument capable de développer une vitesse de déplacement  supérieure à tous les autres instruments possibles à l’époque, afin d’assurer le succès de leurs interventions partout dans le monde. Les autres puissances ne pouvant pas  posséder d’instruments aussi rapides ou d’une vitesse encore supérieure. Par conséquent, l’objectif visait aussi à enlever à l’avenir aux autres puissances de la planète la possession d’un armement naval similaire ou comparable. La conquête de l’espace maritime du Pacifique a donc eu lieu après celle des côtes californiennes en 1848, pour être plus exact cinquante ans plus tard, lors de la guerre contre l’Espagne qui a abouti à l’élimination de cette puissance européenne dans les Caraïbes et dans les Philippines. L’Allemagne, à l’époque, a repris à son compte la souveraineté sur la Micronésie et a défendu, dans ce cadre, l’île de Samoa, avec sa marine de guerre, contre les prétentions américaines. Entre 1900 et 1917, les Etats-Unis n’ont posé aucun acte décisif, mais la première guerre mondiale leur a donné l’occasion d’intervenir et de vendre du matériel de guerre en telles quantités aux alliés occidentaux qu’au lendemain de la guerre ils n’étaient plus débiteurs du monde mais ses premiers créanciers.

 

En 1922, les Américains et les Britanniques imposent à l’Allemagne et à leurs propres alliés le Traité de Washington. On ne parle pas assez de ce Traité important, décisif et significatif pour l’Europe toute entière. Il imposait à chaque puissance maritime du monde un tonnage spécifique pour sa flotte de guerre: 550.000 tonnes pour les Etats-Unis et autant pour l’Angleterre; 375.000 tonnes pour le Japon; 175.000 tonnes pour l’Italie et autant pour la France. Versailles avait déjà sonné le glas de la marine de guerre allemande. La France, bien que considérée comme un Etat vainqueur, ne pouvait plus désormais, après le traité de Washington, se donner les moyens de devenir une forte puissance maritime. La réduction à quasi rien du tonnage autorisé de la flotte allemande était en fait, aux yeux de Washington, une vengence pour Samoa et une mesure préventive, pour éliminer la présence du Reich dans le Pacifique. Pourquoi est-il important aujourd’hui de rappeler à tous les clauses du Traité de Washington? Parce qu’avec ce Traité nous avons affaire à un exemple d’école du “modus operandi” américain.

1.       Ce procédé a été systématisé par la suite.

2.       Les peuples lésés ont tenté en vain d’apporter des réponses à ces mesures qui restreignaient considérablement l’exercice de leur souveraineté. Il suffit de penser au développement de l’aviation civile française, aux temps héroïques où se sont distingués des pilotes exceptionnels comme Jean Mermoz et Antoine de Saint-Exupéry, ou au développement des dirigeables Zeppelin en Allemagne, qui a connu un fin tragique en 1937 à New York quand le “Hindenburg” s’est écrasé au sol en proie aux flammes.

 

Du “Mistral” aux “Mirages”

 

Les deux puissances que sont la France et l’Allemagne n’ont pas pu remplacer leurs marines perdues à la suite des clauses du Traité de Washington de 1922 par une “flotte aérienne” adéquate et suffisante. L’objectif général poursuivi  par les Américains était de ne tolérer aucune industrie autonome d’armement de haute technologie chez leurs anciens alliés. Après la seconde guerre mondiale, la France et les petites puissances occidentales ont été contraintes d’acheter le vieux matériel de guerre américain pour leurs armées. L’armée française a ainsi été dotée exclusivement de matériels américains. Mais avec l’aide d’ingénieurs allemands prisonniers de guerre, la France a été rapidement en mesure de fabriquer des avions de combat ultra-modernes, comme par exemple les avions à réaction de type “Mistral”.

 

Après 1945, l’Allemagne n’a plus possédé d’industrie aéronautique digne de ce nom. Fokker, aux Pays-Bas, n’a plus pu qu’essayer de survivre et est finalement resté une entreprise trop modeste pour ses capacités réelles. Sous De Gaulle, les ingénieurs français développent, en coopération avec des collègues allemands, les fameux chasseurs Mirage, concurrents sérieux pour leurs équivalents américains sur le marché mondial. Les chasseurs Mirage III constituaient un développement du “Volksjäger” (“chasseur du peuple”) allemand de la seconde guerre mondiale, le Heinkel 162. En 1975, les Américains forcent les gouvernements des pays scandinaves et bénéluxiens de l’OTAN à acquérir des chasseurs F-16, après avoir convaincu une brochette de politiciens corrompus. Cette décision a eu pour effet que les Français de Bloch-Dassault et les Suédois de SAAB n’ont plus pu opérer de sauts technologiques majeurs, parce que la perte de ce marché intérieur européen ne leur permettait pas de financer des recherches de pointe. Le même scénario s’est déroulé plus récemment, avec la vente de F-16 aux forces aériennes polonaise et hongroise. Depuis ce “marché du siècle”, les avionneurs français et suédois claudiquent à la traîne et ne parviennent plus à se hisser, faute de moyens financiers, aux plus hauts niveaux de la technologie avionique. Si, sur le plan des technologies de l’armement, les Allemands ont eu l’autorisation de construire leurs chars Léopard, c’est parce que l’Amérique est avant tout une puissance maritime et ne s’intéresse pas a priori aux armements destinés aux armées de terre. Les Américains mettent davantage l’accent sur les navires de guerre, les sous-marins, les missiles, les satellites et les forces aériennes.

 

Dans un article paru dans l’hebdomadaire berlinois “Junge Freiheit”, on apprend que les consortiums américains achètent les firmes qui produisent des technologies de pointe, comme Fiat-Avio en Italie, une branche du gigantesque consortium que représente Fiat et produit des moteurs d’avion; ensuite une entreprise d’Allemagne du Nord qui fabrique des sous-marins et le consortium espagnol “Santa Barbara Blindados”, qui fabrique les chars Léopard allemands pour le compte de l’armée espagnole. De cette manière, les tenants de l’industrie de guerre américaine auront accès à tous les secrets de l’industrie allemande des blindés. Ces manœuvres financières ont pour objectif de contraindre l’Europe à la dépendance, avant qu’elle ne se donne les possibilités d’affirmer son indépendance militaire.

 

Les organisations militaires qui sont ou étaient sous la tutelle américaine, comme l’OTAN, le CENTO ou l’OTASE, ne servaient qu’à une chose: créer un marché pour les armes américaines déclassées, notamment les avions, afin d’empêcher, dans les pays “alliés”, toute éclosion ou résurrection d’industries d’armement indépendantes, capables de concurrencer leurs équivalentes américaines. Les progrès technologiques, qui auraient pu résulter de l’indépendance des industries d’armement en Europe ou ailleurs, auraient sans doute permis la production de systèmes d’armement plus performants pour les “alien armies”, les armées étrangères, ce qui aurait aussi eu pour conséquence de tenir en échec, le cas échéant, la super-puissance dominante, devenue entre-temps la seule superpuissance de la planète, voire de la réduire à la dimension d’une puissance de deuxième ou de troisième rang.

 

Le réseau “ECHELON”

 

La crainte de voir des puissances potentiellement hostiles développer des technologies militaires performantes est profondément ancrée dans les têtes du personnel politique dirigeant des Etats-Unis. C’est ce qui explique la nécessité d’espionner les “alliés”. Comme nous l’a très bien expliqué Michael Wiesberg dans les colonnes de l’hebdomadaire berlinois “Junge Freiheit”, le système satellitaire “ECHELON” a été conçu pendant la Guerre Froide en tant que système d’observation militaire, destiné à compléter les moyens de communication existants de l’époque, tels les câbles sous-marins ou les autres satellites utilisés à des fins militaires. Mais sous Clinton, le système “ECHELON” a cessé d’être un instrument purement militaire; très officiellement, il poursuit désormais des missions civiles. Et lorsque des objectifs civils deviennent objets de systèmes d’espionnage de haute technologie, cela signifie que les “alliés” de la super-puissance, hyper-armée, deviennent, eux aussi, à leur tour, les cibles de ces écoutes permanentes. Dans un tel contexte, ces “alliés” ne sont plus des “alliés” au sens conventionnel du terme. La perspective purement politique, telle qu’elle nous fut jadis définie par un Carl Schmitt, change complètement. Il n’existe alors plus d’ennemis au sens “schmittien” du terme, mais plus d’”alliés” non plus, dans le sens où ceux-ci serait théoriquement et juridiquement perçus et traités comme des égaux. Le langage utilisé désormais dans les hautes sphères dirigeantes américaines et dans les services secrets US trahit ce glissement sémantique et pratique: on n’y parle plus d’”ennemis” ou d’”alliés”, mais d’ “alien audiences”, littéralement d’”auditeurs étrangers”, de “destinataires [de messages] étrangers”, qui doivent être la cible des services de propagande américains, qui ont pour mission de les rendre “réceptifs” et dociles.

 

Que signifie ce glissement, cette modification, sémantique, en apparence anodine? Elle signifie qu’après l’effondrement de l’Union Soviétique, les “alliés” européens sont devenus superflus et ne constituent plus qu’un ensemble de résidus, vestiges d’un passé bien révolu, tant et si bien que l’on peut sans vergogne aller pomper des informations chez eux, qu’on peut les placer sous écoute permanente, surtout dans les domaines qui touchent les technologies de pointe. Les Européens ont déjà pu constater, à leurs dépens, que des firmes françaises et allemandes ont été espionnées par voie électronique ou par le truchement des satellites du système ECHELON. Certaines de ces entreprises avaient mis au point un système de purification des eaux. Comme les informations qu’elles envoyaient par courrier électronique avaient préalablement été  pompées, les entreprises concurrentes américaines avaient pu fabriquer les produits à meilleur marché, tout simplement parce qu’elles n’avaient pas investi le moindre cent dans la recherche.

 

L’appareil étatique américain favorise de la sorte ses propres firmes nationales et pille simultanément les entreprises de ses “alliés”. Cette forme d’espionnage industriel recèle un danger mortel pour nos sociétés civiles, car elle génère un chômage au sein d’un personnel hautement qualifié. Duncan Campbell, un courageux journaliste britannique qui a dénoncé le scandale d’ECHELON, donne, dans son rapport, des dizaines d’exemples de pillages similaires, dans tous les domaines des technologies de pointe. Les Etats-Unis, cependant, ne sont pas les seuls à participer au réseau satellitaire d’espionnage ECHELON; la Grande-Bretagne, le Canada, l’Australie et la Nouvelle-Zélande y participent aussi, si bien qu’une question importante se pose à nous: le Royaume-Uni constitue-t-il une puissance européenne loyale? Le Général de Gaulle n’avait-il pas raison quand il disait que la “relation spéciale” (“special relationship”) entre les Etats-Unis et la Grande-Bretagne était derechef hostile au continent européen, et le resterait à jamais?

 

◊ ◊ ◊

 

Lorsque nous évoquons une “Europe des peuples”,

nous devons avoir en tête deux faisceaux de faits, jouant chacun un rôle important :

 

◊ 1. Le premier faisceau de faits est de nature culturelle. La culture est ce que l’on doit maintenir intact, dans la mesure du possible, dans le tourbillon incessant des modèles divergents que nous propose la modernité. Nous en sommes bien évidemment conscients, nous plus que beaucoup d’autres. Mais cette conscience, qui est la nôtre, recèle un grand danger, propre de tout combat culturel : celui de transformer tout héritage culturel en un fatras “muséifié” ou de percevoir toute activité culturelle  comme un simple passe-temps. La défense de nos héritages culturels ne peut en aucun cas être “statique”, dépourvue de dynamisme. Toute culture vivante possède une dimension politique, économique et géopolitique.

 

◊ 2. Second faisceau de faits : le peuple, en tant que substrat ethnique porteur et créateur/fondateur de culture, ne peut jamais, au grand jamais, être mis à disposition par la classe politique dominante. Ce substrat populaire fait émerger, au fil du temps, une culture et une littérature spécifiques et non aliénables, produits d’une histoire particulière. Il génère également un système économique spécifique, qui est tel et non autre. Toute forme économique nait et s’inserre dans un espace particulier, est une émanation d’une époque particulière. Par voie de conséquence, toute économie viable ne peut s’inscrire dans un schéma conceptuel qui se voudrait d’emblée “international” ou “universel”. Perroux, Albertini et Silem, les grands théoriciens français de l’économie et de l’histoire économique, insistent justement sur la dimension historique des systèmes économiques, sans oublier les grands théoriciens des systèmes autarciques. Pour clarifier leurs propos si pertinents, ils ont classés l’ensemble des systèmes en deux catégories didactiques : les “orthodoxes”, d’une part, les “hétérodoxes”, d’autres part.

 

“Orthodoxes” et “hétérodoxes” en théorie économique

 

Les “orthodoxes” sont les libéraux de l’école d’Adam Smith (les “libéraux manchesteriens”) et les marxistes, qui pensent sur base de concepts “universels” et veulent implanter les mêmes modèles et catégories partout dans le monde. Ils sont en fait les ancêtres philosophiques des araseurs globalistes d’aujourd’hui. Les “hétérodoxes” en revanche mettent l’accent sur les particularités de chaque système économique. Ils sont les héritiers de l’”école historique” allemande, et d’économistes tels Rodbertus, Schmoller et de Laveleye. Sous la République de Weimar, le “Tat-Kreis” et la revue “Die Tat”, avec des héritiers de cette école comme Ferdinand Fried et Ernst Wagemann, ont poursuivi cette quête et approfondi cette veine intellectuelle. Comme nous venons de le dire, pour les “hétérodoxes” et les te­nants de l’école historique, chaque espace économique est lié à un lieu et est le fruit d’une histoire par­ticulière, que l’on ne peut pas tout bonnement mettre entre parenthèse et ignorer. L’histoire et l’éco­nomie façonnent les institutions, qui sont liées à un substrat ethnique, à un lieu et à une époque, des institutions qui font fonctionner une économie de manière telle et non autre. Nous percevons très nettement, ici, pourquoi l’UE a connu jusqu’ici l’échec, et le connaîtra encore dans l’avenir: elle n’a ja­mais emprunté cette voie hétérodoxe. Nous, bien évidemment, nous optons pour cette approche hétéro­doxe de l’économie, dans le sens où l’entendent Perroux, Silem et Albertini. L’économie est le “nomos” de l’”oikos”, ce qui signifie qu’elle est la mise en forme d’un lieu de vie spécifique, où j’habite, moi, en tant que “façonneur” potentiel du politique, avec les miens. D’après l’étymologie même du mot éco­nomie, il n’y a pas d’économie sans lieu (**). Une économie universelle n’existe pas par définition.

 

Revenons à la géopolitique. Par définition, la discipline, que constitue la “géopolitique”, traite de l’in­fluence des facteurs géographiques/spatiaux sur les ressorts éternels de la politique, à l’intérieur d’une aire donnée. Les facteurs spatiaux, immédiats et environnants, influencent bien entendu la manière de pratiquer l’économie dans les limites de l’”oikos” lui-même. S’il nous paraît utile et équilibrant de con­server ces modes hérités de pratiquer l’économie, et de ne pas les remplacer par des règles qui seraient soi-disant applicables sans faille à tous les lieux du monde, alors nous pouvons parler d’un principe “au­tarcique”, quand l’économie se donne pour but d’être et de rester auto-suffisante. La notion d’autarcie économique n’implique pas nécessairement que l’on constitue à terme un “Etat commercial fermé” (l’in­terprétation étroite de l’idée conçue par Fichte). A l’heure actuelle, la notion d’autarcie devrait viser un équilibre entre une ouverture raisonnable des frontières commerciales et la pratique tout aussi raison­nable de fermetures ad hoc, afin de protéger, comme il se doit, les productions indigènes. Une notion ac­tualisée d’autarcie vise un “auto-centrage” bien balancé de toute économie nationale ou “grand-spatiale” (“großräumisch”/”reichisch”), ainsi que l’avait théorisé avec brio André Grjébine, un disciple de Fran­çois Perroux.

 

 

 

De Frédéric II à Friedrich List

 

Friedrich List s’était fait l’avocat, au 19ième siècle, des systèmes économiques indépendants. C’est lui qui a forgé, par ses idées et plans, les économies modernes de l’Allemagne, des Etats-Unis, de la France et de la Belgique, et partiellement aussi de la Russie à l’époque du ministre du Tsar Serguëi Witte, l’homme qui, à la veille de la première guerre mondiale, a modernisé l’empire russe. L’idée principale de List était de lancer le processus d’industrialisation dans chaque pays et de développer de bons systèmes et réseaux de communications. A l’époque de List, ces systèmes et réseaux de communications étaient les canaux et les chemins de fer. De son point de vue, et du nôtre, chaque peuple, chaque aire culturelle ou civilisationnelle, chaque fédération de peuples, a le droit de construire son propre réseau de communi­cation, afin de se consolider économiquement. Dans ce sens, List entendait réaliser les voeux concrets contenus dans le Testament politique de Frédéric II de Prusse.

 

Le roi de Prusse écrivit en 1756 que la mission majeure de l’Etat prussien dans l’espace de la grande plaine de l’Allemagne du Nord était de relier entre eux par canaux les grands bassins fluviaux, si bien qu’entre la Vistule et la Mer du Nord les communications s’en trouvent grandement facilitées. Ce projet visait à dépasser l’état de discontinuité et de fragmentation de l’espace nord-allemand, qui avait grevé pendant des siècles le destin historique du Saint-Empire. Le système de canaux envisagés réduisait ensuite la dépendance de cette plaine par rapport à la mer. En son temps, List développa également le projet de relier à l’Atlantique les grands lacs situés au centre du continent nord-américain. Il encouragea les Français à construire un canal entre l’Atlantique et la Méditerranée, afin de relativiser la position de Gibraltar. Il donna aussi le conseil au roi des Belges, Léopold I de Saxe-Cobourg, de relier les bassins de l’Escaut et de la Meuse à celui du Rhin. Ainsi, successivement, l’Etat belge a fait creuser plusieurs canaux, dont le “Canal du Centre”, le Canal Anvers-Charleroi et, beaucoup plus tard seulement, le Canal Albert (en 1928), couronnement de ce projet germano-belge du 19ième siècle. List conseilla à tous de construire des lignes de chemin de fer, afin d’accélérer partout les communications. Ce sont surtout l’Allemagne et les Etats-Unis qui doivent à ce grand ingénieur et économiste d’être devenus de grandes puissances industrielles.

 

Du droit inaliénable à déployer ses propres moyens électroniques

 

Les puissances thalassocratiques ne peuvent en aucun cas tolérer de tels dévelopements dans les pays continentaux. Les Anglais craignaient, aux 19ième et 20ième siècles, que l’élément constitutif de leur puissance, c’est-à-dire leur flotte, perdrait automatiquement de son importance en cas d’amélioration des voies navigables intra-continentales et des chemins de fer. La presse anglaise s’était insurgée contre la construction, par les Français, du grand canal entre l’Atlantique et la Méditerranée. En 1942, cette même presse londonienne publie une carte pour expliciter à son public les dangers que recèlerait la construction d’une liaison entre le Rhin, le Main et le Danube. Dans son ouvrage du plus haut intérêt, intitulé “Präventivschlag”, Max Klüver nous rappelle que les services spéciaux britanniques avaient planifié et commencé à exécuter des missions de sabotage contre les ponts sur le Danube en Hongrie et en Roumanie. La Guerre Froide  —il suffit de lire une carte physique de l’Europe—  avait également pour objectif de couper les communications fluviales sur l’Elbe et le Danube, afin d’empêcher toute dynamique entre la Bohème et l’Allemagne du Nord et entre le complexe bavaro-autrichien et l’espace balkanique. La guerre contre la Serbie en 1999 a servi, entre autres choses, à bloquer tout trafic sur le Danube et à empêcher l’éclosion d’un système de communication à voies multiples entre la région de Belgrade et la Mer Egée. Les idées de List restent tout à fait actuelles et mériteraient bien d’être approfondies et étoffées, notamment en incluant dans leurs réflexions sur l’autarcie et l’indépendance économique la technologie nouvelle que représentent aujourd’hui les systèmes satellitaires. Tout groupe de peuples, toute fédération comme l’UE par exemple, devrait disposer du droit, inaliénable, de déployer ses propres moyens et systèmes électroniques, afin de renforcer sa puissance industrielle et économique.

 

Pour observer de réelles actualisations des théories de List, qui, en Europe, sont refoulées voire “inter­dites” comme presque toutes les doctrines “hétérodoxes”, nous devons tourner nos regards vers l’A­mérique latine. Sur ce continent, travaillent et enseignent des disciples de List et de Perroux. Lorsque ces théoriciens et économistes latino-américains parlent de s’émanciper de la tutelle américaine, ils utilisent le concept de “continentalisme”. Ils désignent par là un mouvement politique présent sur l’en­semble du continent ibéro-américain et capable de rassembler et de fédérer toutes les forces souhaitant se dégager de la dépendance imposée par Washington. L’Argentine, par exemple, a développé des idées et des idéaux autarcistes bien étayés dès l’époque du Général Péron. Avant que les forces transnationales du monde bancaire aient ruiné le pays en utilisant tous les trucs possibles et imaginables, l’Argentine bénéficiait d’une réelle indépendance alimentaire, grâce à sa surproduction de céréales et de viandes, destinées à l’exportation. Cette puissance civile constituait une épine dans le pied de la politique américaine.  L’Argentine avait aussi, notamment grâce à l’aide d’ingénieurs allemands, pu développer une industrie militaire complète et bien diversifiée. En 1982,  les pilotes argentins se servaient d’avions de combat fabriqués en Argentine même, les fameux “Pucaras”, qui détruisirent des navires de guerre britanniques lors de la Guerre des Malouines. Cette politique d’autonomie bien poursuivie fait de l’idéologie péroniste, qui l’articule, l’ennemi numéro un des Etats-Unis en Amérique ibérique, et plus particulièrement dans le “cône sud”, depuis plus de soixante ans. Les nombreuses crises, créées de toutes pièces, qui ont secoué la patrie du Général Péron, ont réduit à néant les pratiques autarciques, pourtant si bien conçues. Une expérience très positive a connu une fin misérable, ce qui est un désastre pour l’humanité entière.

 

Ceux qui veulent aujourd’hui poursuivre une politique européenne d’indépendance, en dehors de tous les conformismes suggérés par les médias aux ordres, doivent articuler les six points suivants pour répon­dre à la politique de globalisation voulue par les Etats-Unis:

 

Point 1 : Abandonner le néo-libéralisme, retrouver l’ordo-libéralisme !

 

L’économie doit à nouveau reposer sur les principes du “modèle rhénan” (Michel Albert) et retrouver sa dimension “patrimoniale”. La démarche principale pour retourner à ce modèle “rhénan” et patrimonial, et réétablir ainsi une économie de marché ordo-libérale, consiste à investir plutôt qu’à spéculer. Lorsque l’on parle d’investissement, cela vaut également pour les établissements d’enseignement, les universités et la recherche. Une telle politique implique également le contrôle des domaines stratégiques les plus importants, comme au Japon ou aux Etats-Unis, ce que pratique désormais le Président Poutine en Russie post-communiste. Poutine, en effet, vient de prier récemment l’oligarque Khodorovski, d’investir “pa­triotiquement” sa fortune dans des projets à développer dans la Fédération de Russie, plutôt que de les “placer” à l’étranger et d’y spéculer sans risque. L’eurocratie bruxelloise, elle, a toujours refusé une telle politique. Récemment, le député du Front National français Bruno Gollnisch a proposé une politique européenne selon trois axes: 1) soutenir Airbus, afin de développer une industrie aéronautique euro­péenne indépendante de l’Amérique; 2) développer “Aérospace” afin de doter l’Europe d’un système sa­tellitaire propre; 3) soutenir toutes les recherches en matières énergétiques afin de délivrer l’Europe de la tutelle des consortia pétrolier dirigés par les Etats-Unis. Un programme aussi clair constitue indu­bitablement un pas dans la bonne direction!

 

Point 2 : Lutter pour soustraire l’Europe à l’emprise et l’influence des grandes agences médiatiques américaines !

 

Pour nous rendre indépendants des grandes agences médiatiques américaines, qui interprètent la réalité ambiante de la scène internationale dans des perspectives qui vont à l’encontre de nos propres intérêts, l’Europe doit donc développer une politique spatiale, ce qui implique une étroite coopération avec la Russie. Sans la Russie, nous accusons un retard considérable en ce domaine. Pendant des décennies, la Russie a rassemblé un savoir-faire considérable en matières spatiales. La Chine et l’Inde sont prêtes, elles aussi, à participer à un projet commun dans ce sens. Mais, pour pouvoir combattre le plus efficacement qui soit le totalitarisme médiacratique que nous imposent les Etats-Unis, nous avons besoin d’une ré­volution intellectuelle et spirituelle, d’une nouvelle métapolitique, qui briserait la fascination dangereuse qu’exerce l’industrie américaine de la cinématographie et des loisirs. Si les productions européennes présentent une qualité et attirent le public, tout en conservant la diversité et la pluralité des cultures européennes au sens où l’entendait Herder, nous serions en mesure de gagner la “guerre cognitive”, comme l’appellent aujourd’hui les stratégistes français. Toute révolution spirituelle a besoin de fantaisie, de créativité, d’un futurisme rédempteur et, surtout, d’une certaine insolence dans la critique, comme le démontre l’histoire d’une feuille satirique allemande d’avant 1914, le “Simplicissimus”. Un esprit d’in­solence, lorsqu’il fait mouche, aide à gagner la “guerre cognitive”.

 

Point 3 : Les principes de politique étrangère

ne devraient pas être ceux qu’induit et prêche l’Amérique sans arrêt

 

L’Europe doit imposer ses propres concepts en politique extérieure, en d’autres termes rejeter l’universalisme de Washington, que celui-ci s’exprime sur le mode du “multilatéralisme”, comme le veut Kerry, ou de l’”unilatéralisme”, tel que Bush le pratique en Irak. Pour une Europe, qui ne serait plus l’expression de l’eurocratie bruxelloise, aucun modèle ne devrait être considéré comme universellement valable ou annoncé comme tel. Que deux faisceaux de principes soient rappelés et cités ici :

◊ Armin Mohler, décédé en juillet 2003, parlait de la nécessité de donner une interprétation et une pratique allemandes au gaullisme, dans la mesure, écrivait-il dans son ouvrage “Von rechts gesehen” (= “Vu de droite”), où l’Europe devrait sans cesse s’intéresser aux  —et protéger— (les) pays que les Américains décrètent “rogue states” (= “Etats voyous”). Lorsqu’Armin Mohler écrivit ses lignes sur le gaullisme, l’Etat-voyou par excellence, dans la terminologie propagandiste américaine, était la Chine. Au même moment, dans le camp “national-européen”, Jean Thiriart et les militants de son mouvement “Jeune Europe” à Bruxelles, disaient exactement la même chose. En Allemagne, Werner Georg Haverbeck, à Vlotho, tentait, dans son “Collegium Humanum” de répandre dans les milieux intellectuels allemands une information plus objective sur la Chine. La reine-mère en Belgique, Elisabeth von Wittelsbach, pour s’opposer ostensiblement à la “Doctrine Hallstein” de l’OTAN, entreprit à l’époque de faire un voyage en Chine. Tous furent affublés de l’épithète disqualifiante de “crypto-communistes”. Or, orienter la politique internationale de l’Europe selon certains modèles chinois n’est nullement une idiotie ou une aberration.

◊ Cette “sinophilie” des années 50 et 60 nous amène tout naturellement à réflechir sur un modèle que l’Europe pourrait parfaitement imiter, au lieu de suivre aveuglément les principes et les pratiques de l’universalisme américain. Ce modèle est celui que la Chine propose aujourd’hui encore, après la parenthèse paléo-communiste:

è      Aucune immixtion d’Etats tiers dans les affaires intérieures d’un autre Etat. Cela signifie que l’idéologie des droits de l’homme ne peut être utilisée pour susciter des conflits au sein d’un Etat tiers. Le Général Löser, qui, immédiatement avant la chute du Mur, militait en Allemagne pour une neutralisation de la zone centre-européenne (Mitteleuropa), défendait des points de vue similaires.

è      Respect de la souveraineté des Etats existants.

è      Ne jamais agir pour ébranler les fondements sur lesquels reposaient les stabilités des Etats.

è      Continuer à travailler à la coexistence pacifique.

è      Garantir à chaque peuple la liberté de façonner à sa guise son propre système  économique.

 

Cette philosophie politique chinoise repose sur les travaux d’auteurs classiques comme Sun Tzu ou Han Fei et sur le Tao Te King. Cette pensée recèle des arguments clairs comme de l’eau de roche, sans rien avoir à faire avec ce moralisme délétère qui caractérise l’articulation dans les médias de l’universalisme américain.

 

Point 4 : S’efforcer d’être indépendant sur le plan militaire

 

La tâche principale d’un mouvement de libération contientale dans toute l’Europe serait de viser la protection sans faille de l’industrie de l’armement et d’éviter que les firmes existantes ne tombent aux mains de consortia américains tels “Carlyle Incorporation”. Fiat Avio en Italie, la dernière firme qui construisait des sous-marins en Allemagne, le consortium espagnol “Santa Barbara Blindados” viennent tout juste de devenir américains par le truchement de spéculations boursières. Autre tâche: privilégier systématiquement l’Eurocorps au lieu de l’OTAN, tout en transformant cet “Eurocorps” en une armée populaire de type helvétique, soit en une milice, comme l’avaient voulu Löser en Allemagne, Spannocchi en Autriche et Brossolet en France. L’OTAN n’a en effet plus aucune raison d’exister depuis que l’Allemagne et l’Europe ont été réunifiées en 1989. Dans la foulée de la disparition du Rideau de Fer, les Européens ont raté une chance historique de façonner un ordre mondial selon leurs intérêts. C’est pourquoi la belle idée d’un “Axe Paris-Berlin-Moscou” vient sans doute trop tard. Troisième tâche : construire une flotte européenne dotée de porte-avions. Quatrième tâche : lancer un système satellitaire européen, afin que l’Europe puisse enfin disposer d’une arme pour mener tout à la fois les guerres militaires et les guerres culturelles/cognitives. Ce qui nous conduit à énoncer le point 5.

 

Point 5 : Combattre le réseau ECHELON

 

En tant que système d’observation et d’espionnage au service de la Grande-Bretagne, de l’Australie, du Canada, de la Nouvelle-Zélande et des Etats-Unis, ECHELON est une arme dirigée contre l’Europe, la Russie, l’Inde, la Chine et le Japon. Il incarne l’idée dangereuse d’une surveillance totale, comme l’avaient prédite Orwell et Foucault. La pratique américaine et anglo-saxonne d’une surveillance aussi ubiquitaire doit être contrée et combattue par toutes les autres puissances du monde qui en font l’objet. Elle ne peut l’être que par la constitution d’un système équivalent, fruit d’une étroite coopération entre la Russie, l’Europe, l’Inde, la Chine et le Japon. Si ECHELON n’est plus le seul et unique système de ce type, les puissances de la grande masse continentale eurasiatique pourront apporter leur réponse culturelle, militaire et économique. En ECHELON, en effet, fusionnent les opérations culturelles, économiques et militaires qui sont menées partout dans le monde aujourd’hui. La réponse à y apporter réside bel et bien dans la constitution d’un “Euro-Space” en liaison avec le savoir-faire russe accumulé depuis le lancement du premier spoutnik à la fin des années 50.

 

Point 6 : Pour une politique énergétique indépendante

 

Pour ce qui concerne la politique énergétique, la voie à suivre est celle de la diversification maximale des sources d’énergie, comme De Gaulle l’avait amorcée en France dans les années 60, lorsqu’il entendait prendre ses distances par rapport à l’Amérique et à l’OTAN. Le Bureau du Plan français voulait à l’époque exploiter toutes les sources d’énergie possibles: éoliennes, solaires, marémotrices, hydrauliques, sans pour autant exclure le pétrole et le nucléaire. La diversification permet de se dégager d’une dépendance trop étroite à l’endroit d’une source d’énergie unique et/ou exclusive. Aujourd’hui, cette politique de diversification reste valable. Ce qui n’exclut pas de participer à un vaste projet de développement des oléoducs et gazoducs eurasiens, de concert avec la Russie, la Chine, les Corées et le Japon. L’objectif majeur est de se dégager de la dépendance à l’égard du pétrole saoudien et, par ricochet, des sources pétrolières contrôlées par les Etats-Unis.

 

Ces six points ne pourront jamais être réalisés par le personnel politique actuel. Ceci n’est pas une conclusion qui m’est personnelle, fruit d’une aigreur à l’endroit de l’établissement politique dominant. L’analyse, qui conclut à cette incompétence générale du personnel politique établi, existe déjà, coulée dans des ouvrages de référence, solidement charpentés. Ils constituent une source inépuisable d’idées politiques nouvelles, de programmes réalisables. Erwin Scheuch, Hans-Herbert von Arnim, Konrad Adam, la tradition anti-partitocratique italienne, l’oeuvre d’un Roberto Michels, critique des oligarchies, l’oeuvre de l’ancien ministre de Franco, Gonzalo Fernandez de la Mora, nous livrent les concepts de combat nécessaires pour déployer une critique offensive et générale des partitocraties et des “cliques” (Scheuch) en place. Cette critique doit contraindre à terme les “élites sans projet” à laisser le terrain à de nouvelles élites, capable d’apporter les vraies réponses aux problèmes contemporains. Pour finir, il me paraît utile de méditer une opinion émise jadis par Arthur Moeller van den Bruck, qui disait que la politique partisane (la partitocratie) était un mal, parce que les partis s’emparent de l’appareil d’Etat, alors que celui-ci devrait en théorie appartenir à tous; ainsi s’instaure, dit Moeller van den Bruck, un “filtre” entre le peuple réel et le monde de la politique, qui détruit toute immédiateté entre gouvernés et gouvernants.

 

Seule cette immédiateté, postulée par Moeller van den Bruck, fonde la véritable démocratie, qui ne peut être que populiste et organique. S’il n’y a ni populisme ni organicité en permanence, l’Etat dégénère en une institution rigide et purement formelle, inorganique et dévitalisée. 

 

Cette grande idée de l’immédiateté dans le politique pur permet de réaliser de véritables projets et de démasquer les messages idéologiques qui nous conduisent sur de fausses routes. C’est à la restauration de cette immédiateté que nous entendons oeuvrer.

 

Robert STEUCKERS,

Forest-Flotzenberg/Friedrichsroda (Thüringen), avril 2004.

 

(*) Original allemand: R. Steuckers, “Europa der Völker statt US-Globalisierung”, in Veröffentlichungen der Gesellschaft für Freie Publizistik, XX. Kongress-Protokoll 2004, Die Neue Achse. Europas Chancen gegen Amerika, Gesellschaft für Freie Publizistik e. V., Oberboihingen, 2004, ISBN 3-9805411-8-5. Ont également participé à ce Congrès, Dr. Rolf Kosiek, Dr. Dr. Volkmar Weiss, Dr. Walter Post, Prof. Dr. Wjatscheslaw Daschitschew [Viatcheslav Dachitchev], Harald Neubauer, Dr. Pierre Krebs, Dr. Gert Sudholt.

 

(**) Le mot grec “oikos” est de même racine indo-européenne que le latin “vicus”, signifiant “village”, soit un site bien circonscrit dans l’espace. Le terme latin “vicus” a donné le néerlandais “wijk” (quartier) et le suffixe onomastique anglais “-wich”, comme dans “Greenwich”, par exemple, qui donnerait “Groenwijk” en néerlandais. Le son “w” ou “v” ayant disparu dans le grec classique et s’étant maintenu dans les langues latines et germaniques, la forme originale est “[w/v]oikos”, où l’on reconnaît les deux consonnes, inamovibles, tandis que les voyelles varient. Le “k” est devenu “tch” en anglais, selon les mêmes règles phonétiques qui ont donné le passage de “castellum” (latin) à “castel’ (vieux français), à “cateau” ou “casteau” (picard), à “château” (français moderne); ou encore le passage de “canis” (latin) à “ki” (picard du Borinage) puis à “chien” (français moderne) et à “tché” (wallon de Liège). De “tché”, on passe ensuite au domaine germanique où bon nombre de “k” latins ont donné un “h” aspiré, en passant par le son intermédiaire écrit “ch” en néerlandais et en allemand (exemple: “canis”/ “hond/Hund”; “cervus”/ “cerf” / “hert”/”Hirsch”, etc.). Les noms de peuples suivent aussi la même règle: les “Chattes” de l’antiquité sont devenus les “Hessois” (“Hessen”) d’aujourd’hui, en tenant compte que le “t” se transforme en double “s”, selon les règles des mutations consonantiques, propres aux langues germaniques continentales.

 

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vendredi, 23 avril 2010

LEAP: les finances des USA et du Royaume-Uni en grand danger dès 2010

LEAP : les finances des USA et du Royaume-Uni en grand danger dès 2010

Communiqué public du Laboratoire Européen d’Anticipation Politique (LEAP), 15 avril 2010

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Comme l’avait anticipé le LEAP – Europe 2020, il y a déjà plusieurs mois, et contrairement à ce qu’ont raconté la plupart des médias et des « experts » au cours des dernières semaines, la Grèce a bien l’Eurozone pour lui apporter soutien et crédibilité (notamment en matière de future bonne gestion, seule garante d’une sortie du cycle infernal des déficits publics croissants) (1). Il n’y aura donc pas de cessation de paiement grecque, même si l’agitation autour de la situation grecque est bien l’indicateur d’une prise de conscience croissante que l’argent est de plus en plus difficile à trouver pour financer l’immense endettement public occidental : un processus désormais « insoutenable », comme le souligne un récent rapport de la Banque des Règlements Internationaux.

Le bruit fait autour de la Grèce par les médias, anglais et américains en particulier, aura tenté de cacher à la plupart des acteurs économiques, financiers et politiques, le fait que le problème grec n’était pas le signe d’une prochaine crise de la zone Euro (2) mais, en fait, un indice avancé du prochain grand choc de la crise systémique globale, à savoir la collision entre, d’une part, la virtualité des économies britannique et américaine fondées sur un endettement public et privé insoutenable et, d’autre part, le double mur de la maturité des emprunts venant à échéance à partir de 2011, cumulée à la pénurie globale de fonds disponibles pour se refinancer à bon marché.

Comme nous l’avons expliqué dès Février 2006, lors de notre anticipation sur son imminence, il ne faut pas oublier que la crise actuelle trouve son origine dans l’effondrement de l’ordre mondial créé après 1945, dont les Etats-Unis ont été le pilier, secondé par le Royaume-Uni.

Aussi, pour comprendre la portée réelle des évènements générés par la crise (comme le cas grec par exemple), il convient de rapporter leur signification aux faiblesses structurelles qui caractérisent le cœur du système mondial en pleine déliquescence : ainsi, pour notre équipe, le « doigt grec » ne montre pas tant l’Eurozone que les dangers explosifs des besoins exponentiels de financement du Royaume-Uni et des Etats-Unis (3).

Prévision des émissions de dette souveraine en 2010 (Total : 4.500 milliards de dollars) - Sources : FMI / Hayman Advisors / Comcast, mars 2010

Rappelons-nous qu’au cours d’une période où la demande de financements dépasse l’offre disponible, comme c’est le cas aujourd’hui, les montants d’émission de dettes souveraines en valeur absolue jouent un rôle plus important que les ratios (montants en valeur relative).

Un exemple très simple peut le démontrer : si vous disposez de 100 euros et que vous avez deux amis, l’un « pauvre », A, qui a besoin de 30 Euros et l’autre « riche », B, de 200 Euros ; même si B peut vous donner en gage sa montre de luxe qui vaut 1.000 Euros alors que A n’a qu’une montre à 20 euros, vous ne pourrez pas aider B car vous ne disposez pas des moyens suffisants pour satisfaire son besoin de financement ; alors qu’en discutant gage et intérêt, vous pouvez décider de le faire pour A.

Cette mise en perspective invalide ainsi tout les raisonnements qui fleurissent dans la plupart des médias spécialisés et qui se fondent sur le ratio d’endettement : en fait, selon leur raisonnement, il est évident que vous allez aider B, puisque son taux d’endettement est nettement plus favorable (20%) que celui de A (150%) ; mais, dans le monde de la crise, où l’argent n’est pas disponible en quantités illimitées (4), la théorie se heurte au mur de réalité : vouloir est une chose, pouvoir en est une autre.

Ainsi, le LEAP – Europe 2020 pose deux questions très simples :

. Qui pourra/voudra soutenir le Royaume-Uni après le 6 mai prochain, quand son désordre politique exposera inéluctablement la déliquescence avancée de tous ses paramètres budgétaires, économiques et financiers ?

La situation financière du pays est tellement dangereuse que les technocrates en charge de l’Etat ont élaboré un plan, soumis aux partis en lice pour les prochaines élections législatives, afin d’éviter tout risque de vacance du pouvoir qui pourrait entraîner un effondrement de la Livre sterling (déjà très affaiblie) et des bons du Trésor (Gilts) britanniques (dont la Banque d’Angleterre a racheté 70% des émissions de ces derniers mois) : Gordon Brown resterait Premier Ministre, même s’il perd les élections (sauf si les Conservateurs peuvent se targuer d’une majorité suffisante pour gouverner seuls) (5).

En effet, sur fond de crise économique et politique, les sondages laissent penser que le pays s’oriente vers un « Hung Parliament », sans majorité claire. La dernière fois où cela est arrivé, c’était en 1974, sorte de préalable politique à l’intervention du FMI dix-huit mois plus tard (6).

Pour le reste, le gouvernement manipule les indicateurs dans un sens positif, afin de créer les conditions d’une victoire (ou d’une défaite maîtrisée).

Pourtant, la réalité reste déprimante. Ainsi, l’immobilier britannique est piégé dans une dépression qui empêchera les prix de retrouver leurs niveaux de 2007 avant plusieurs générations (autant dire jamais) selon Lombard Street Research (7). Et les trois partis se préparent à affronter une situation post-électorale catastrophique (8).

Selon le LEAP – Europe 2020, le Royaume-Uni pourrait connaître une situation « à la grecque » (9), avec la déclaration par les dirigeants britanniques qu’en fait, la situation du pays est infiniment pire qu’annoncée avant les élections.

Les rencontres multiples, fin 2009, du ministre britannique des finances, Alistair Darling, avec Goldman Sachs, constituent un indice très fiable de manipulation, en matière de dette souveraine. En effet, comme nous l’écrivions dans [notre] dernier [numéro], il suffit de suivre Goldman Sachs pour connaître le prochain risque de cessation de paiement d’un Etat.

Besoins de financement du gouvernement fédéral US, 2010-2014 (en milliers de milliards de dollars) – En foncé : le déficit fédéral. En clair : la dette arrivant à maturité (les futurs emprunts à court terme ne sont pas comptabilisés) (10)

. Qui pourra/voudra soutenir les Etats-Unis une fois que le détonateur britannique (11) aura été mis à feu, déclenchant la panique sur le marché des dettes souveraines dont les Etats-Unis sont de très loin le premier émetteur ? D’autant plus que l’ampleur des besoins en matière de dette souveraine se conjugue à l’arrivée à échéance, à partir de cette année, d’une montagne de dettes privées américaines (immobilier commercial et LBO à refinancer, pour un total de 4.200 milliards de dollars de dettes privées arrivant à échéance aux Etats-Unis d’ici 2014, avec une moyenne d’environ 1.000 milliards USD/an) (12).

 

Par hasard, c’est le même montant que l’émission globale de nouvelles dettes souveraines pour la seule année 2010, dont près de la moitié par le gouvernement fédéral américain. En y ajoutant les besoins de financement des autres acteurs économiques (ménages, entreprises, collectivités locales), c’est donc près de 5.000 milliards de dollars que les Etats-Unis vont devoir trouver en 2010 pour éviter la « panne sèche ».

Et notre équipe anticipe deux réponses tout aussi simples :

. Pour le Royaume-Uni, le FMI et l’UE peut-être (13) ; et nous allons assister à partir de l’été 2010 à la « bataille de la Banque d’Angleterre » (14) pour tenter d’éviter un effondrement simultané de la Livre sterling et des finances publiques britanniques.

Dans tous les cas, la Livre n’en sortira pas indemne et la crise des finances publiques va générer un plan d’austérité d’une ampleur sans précédent.

. Pour les Etats-Unis, personne ; car l’ampleur des besoins de financement dépassera les capacités des autres opérateurs (FMI compris) (15), et cet épisode entraînera directement, à l’hiver 2010/2011, l’explosion de la bulle des bons du Trésor US, sur fond de remontée massive des taux d’intérêts pour financer les dettes souveraines et les besoins de refinancement des dettes privées, entraînant une nouvelle vague de faillites d’établissements financiers.

Mais il n’y a pas que les Etats qui peuvent entrer en cessation de paiement. Une Banque centrale peut aussi faire faillite quand son bilan est composé d’ « actifs-fantômes » (16) et la Fed va devoir faire face à un risque réel de faillite, comme nous l’analysons dans ce numéro.

L’hiver 2010 va également être le théâtre d’un autre phénomène déstabilisateur aux Etats-Unis : le premier grand test électoral depuis le début de la crise (17), où des millions d’Américains vont probablement exprimer leur « ras-le-bol » d’une crise qui dure (18), qui n’affecte pas Washington et Wall Street (19) et qui génère un endettement public américain désormais contre-productif : un Dollar emprunté génère désormais une moins-value de 40 cents (voir graphique ci-dessous).

Evolution de la productivité marginale de la dette au sein de l'économie américaine, en dollars (ratio PIB/Dette 1966-2010) - Source : EconomicEdge, mars 2010 (cliquez sur le graphique pour l'agrandir)

On peut ne pas être d’accord avec les réponses que fournit notre équipe aux deux questions posées ci-dessus.

Cependant, nous sommes convaincus que ces questions sont incontournables : aucune analyse, aucune théorie sur l’évolution mondiale des prochains trimestres n’est crédible, si elle n’apporte pas de réponses claires à ces deux interrogations : « qui pourra/voudra ? ».

De notre côté, nous pensons comme Zhu Min, le gouverneur adjoint de la banque centrale chinoise, que « le monde n’a pas assez d’argent pour acheter encore plus de bons du Trésor américains » (20).

Dans ce [numéro], notre équipe a donc décidé de faire le point sur ces risques majeurs pesant sur le Royaume-Uni et les Etats-Unis et d’anticiper les évolutions des prochains mois, dans le contexte croissant d’une « guerre de velours » entre puissances occidentales (guerre financière, monétaire, commerciale). Et nous dévoilons une série de recommandations pour faire face au double choc des besoins de financement britanniques et américains.

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Notes :
(1) C’est le type de contrainte que le Royaume-Uni va devoir s’imposer tout seul après les prochaines élections, ou bien via une intervention directe du FMI ; et que les Etats-Unis sont incapables de s’imposer, sans qu’une crise majeure affecte leur dette publique.

(2) Non seulement la peur diffusée à longueur d’interviews d’experts était sans fondement, mais en plus le cas grec a bien servi à pousser la zone Euro à se doter des instruments et procédures qui lui manquaient en matière de gouvernance. Et nous ne mentionnons même pas l’évidente frustration de nombreux commentateurs et experts qui auraient rêvé de voir l’Allemagne refuser sa solidarité et/ou qui faisaient du cas grec la preuve de leurs théories économiques sur les zones monétaires. A ce sujet, l’équipe du LEAP – Europe 2020 souhaite rappeler son opinion : les théories économiques, que ce soit sur les zones monétaires ou sur d’autres sujets, ont autant de valeur que les horoscopes. Elles ne disent rien sur la réalité, mais tout sur l’esprit de leurs auteurs et de ceux qu’ils « ciblent » avec leurs analyses. Une zone monétaire n’existe et ne dure que s’il y a une volonté politique forte et pérenne de partager un destin commun : ce qui est le cas de l’Eurozone. Pour le comprendre, il faut s’intéresser à l’Histoire et non pas à l’économie. Ainsi, pour éviter de répéter à longueur d’articles ses préjugés de baby-boomer et ses dogmes théoriques, un prix Nobel d’économie comme Paul Krugman ferait mieux d’étudier l’Histoire. Cela permettrait aux lecteurs du New York Times et des nombreuses autres publications qui le reprennent dans le monde entier, de cesser de se focaliser à tort sur les quelques arbres qui cachent la forêt.

(3) Comme nous l’avons souvent rappelé depuis plus d’un an, il est bien évident que la zone Euro possède aussi des pays qui font face à des besoins de financement très importants et cela contribue justement à créer un environnement difficile pour le refinancement de toute dette publique importante. Or, les deux « champions » toutes catégories, en matière de besoins de financement/refinancement, sont les Etats-Unis et le Royaume-Uni.

(4) Nous insistons sur ce fait essentiel : les sauvetages de banques par les Etats, puis désormais les risques de faillite de ces mêmes Etats, illustrent le fait que, contrairement au discours lénifiant qui peuple les médias, l’argent n’est pas disponible en quantités illimitées. Quand tout le monde en a besoin, c’est à ce moment là qu’on s’en rend compte.

(5) Source : Guardian, 30 mars 2010

(6) Source : BBC / National Archives, 29 décembre 2005

(7) Source : Telegraph, 06 avril 2010

(8) Source : The Independent, 06 avril 2010

(9) C’est après leur victoire électorale que les nouveaux dirigeants grecs ont déclaré que la situation budgétaire du pays était beaucoup plus mauvaise qu’annoncée.

(10) Ces estimations sont fondées sur les anticipations officielles du gouvernement fédéral qui, selon le LEAP – Europe 2020, sont beaucoup trop optimistes, tant en matière de rentrées fiscales (les rentrées seront plus faibles) qu’en ce qui concerne les dépenses de stimulation de l’économie US (les dépenses seront plus élevées).

(11) Depuis 2006, à travers de nombreux [numéros], nous avons largement explicité les liens structurels entre la City et Wall Street et le rôle de « flotteur » que joue le Royaume-Uni par rapport au vaisseau américain. En l’occurrence, la défiance vis-à-vis de la dette de Londres déclenchera de manière irréversible une défiance vis-à-vis de Washington.

(12) Source : Brisbane Times, 15 décembre 2009

(13) Peut-être, car il n’y a aucun mécanisme de solidarité financière qui s’impose dans l’UE, surtout pour un pays qui refuse depuis des décennies tout engagement contraignant avec ses partenaires européens. Le « splendide isolement » peut devenir un terrible piège, quand le vent tourne. Reste donc le FMI … dont Gordon Brown était étrangement si préoccupé de remplir à nouveau les caisses l’année dernière !

(14) Et à la différence de la bataille d’Angleterre (juin 1940 – octobre 1940), qui vit les pilotes de la RAF, assistés du radar, empêcher l’invasion nazie des îles britanniques, les « pilotes » des établissements financiers de la City, assistés de l’Internet, contribueront à aggraver le problème en fuyant vers l’Asie et l’Eurozone.

(15) Le LEAP – Europe 2020 avait indiqué début 2009 qu’une fois passé l’été 2009, il serait impossible de canaliser la crise. L’année dernière, les besoins de financement US étaient encore dans la gamme des interventions possibles d’un FMI recapitalisé à hauteur de 500 milliards de dollars (suite au G-20 de Londres). Outre le fait que cette somme n’est plus disponible dans son intégralité, puisque le FMI a dû déjà débourser plus de 100 milliards de dollars d’aide aux pays les plus gravement touchés par la crise, cette année, la mobilisation de ce montant ne représenterait que 10% des besoins de court terme des Etats-Unis ; autant dire, une goutte d’eau.

(16) Comme l’ont démontré les informations enfin communiquées par la Fed sur l’état de son bilan. Sources : Huffington Post, 22 mars 2010 ; Le Monde, 06 avril 2010

(17) L’élection présidentielle de 2008 a été concomitante avec la perception qu’une crise commençait. En novembre 2010, les électeurs exprimeront leurs opinions après deux pleines années de crise. C’est une grande différence.

(18) A la différence de ce que proclament Wall Street et Washington, la crise est toujours là et les PME américaines sont de plus en plus pessimistes. Un détail très utile pour comprendre les statistiques US : elles ignorent généralement les PME dans l’établissement de leurs différents indicateurs. Quand on sait qu’aux Etats-Unis aussi, les PME constituent le socle de l’économie, cela relativise fortement la valeur de ces statistiques (même non manipulées). Source : MarketWatch, 13 avril 2010

(19) Pour évaluer l’ampleur du problème socio-politique américain, ce n’est pas tant le rapport de force Démocrates/Républicains qui va être intéressant à suivre, mais l’évolution des extrêmes au sein de ces deux partis et le développement de tout ce qui se situe hors des deux partis.

(20) Source : Shanghai Daily, 18 décembre 2009

LEAP – Europe 2020

(Merci à SPOILER)

vendredi, 16 avril 2010

Le Malafette della globalizzazione

Archives de Synergies Européennes -  2004

Louis VINTEUIL:

Le Malefatte della globalizzazione

sarkozy-pour-un-capitalisme-nouveau.jpgL’Europa dei nostri giorni, sotto la maschera di questa pallida caricatura che é l’Unione Europea, é sottomessa ad un processo di omogeneizzazione di cui i vettori e i principi capitalisti e militari sono quelli del “manu-militarismo” e “manu-monetarismo”.

In questo senso, l’Unione Europea costituisce un meccanismo regionale politico-economico.

In questa stessa direzione, i regimi capitalisti ultraliberali così come i sociali-liberali che sono in opera nella maggior parte dei paesi europei non costituiscono che dei meccanismi regolatori degli interessi del grande capitale finanziario raggruppato nel G7.
Le fondamenta dell’attuale costruzione europea risiedono su un sistema di valori ereditati dal Rinascimento: antropocentrismo, concezione tecnica e scientifica della vita, economicismo esacerbato, obsidionalité et biosidionalité tecnologica che considerano la natura umana come un prodotto di consumo illimitato.

Dietro il benessere materiale universale e la prosperità globale si nasconde una strategia di sviluppo, che non é in effetti che una strategia di violenza, di cui i punti cardine sono l’egocentrismo, l’antropocentrismo e la concezione dell’esistenza fondata sulla crescita continua indifferenziata e di cui le armi sono lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali e umane su scala planetaria.

Questa strategia della crescita continua (il cui padre spirituale é Joseph Retinger) non é che al fondo di una strategia della tensione che si realizza nell’utilizzo entropico dell’uomo e della natura e diventano la forma contemporanea dell’evoluzionismo global high-tech.

Il primo progetto di questa Europa capitalista iniziata a Bilderberg negli anni ‘50 e che fu tinta di un certo maccartismo americano, sarà completata dalla dottrina della Trilaterale che farà dell’Europa una confederazione, una riserva di caccia di oligarchie finanziarie internazionali.

L’Europa trasformata in un immenso supermercato, grande azienda sottomessa al gioco del mercato speculatore.

Manipolazione Mentale generalizzata


Quello che caratterizza la società globale é innegabilmente la manipolazione mentale generalizzata. In effetti la società globale é un vasto laboratorio dove ci si ingegna a creare attraverso il controllo delle coscienze una società “psico-civilizzata” che, grazie alla genetica, sperimenta la clonazione degli esseri umani, decerebrati e addomesticati.

É una qualche sorta di remake del “Procedimento Bokanosky” immaginato da Aldous Huxley ne “Il mondo nuovo”.

L’inizio é, secondo la volontà di Francis Fukuyama, con l’uso delle bio-tecnonologie, di abolire il tempo e la concretezza naturale, per mettere un termine alla storia e abolire gli esseri umani in quanto esseri concreti per andare al di là dell’umano. Attraverso i metodi della manipolazione mentale si realizza in questa società globale una nuova forma di schiavismo moderno.

In effetti, nel passaggio al XXI secolo, le nuove tecnologie, informatiche e riguardanti le immagini, rovesciano tutti i dati della vita quotidiana e altrettanto fanno per i campi di tutte le investigazioni scientifiche. Lo schermo diventa fatale e onnipresente, come del resto il regno dello spettacolo e del simulacro. É dall’interno del mondo invaso da immagini che si può vedere la manipolazione “videografica”, lo spiegarsi del regno degli artifici e delle simulazioni, il realizzarsi una nuova sacralizzazione dell’immagine e della sua presenza. La manipolazione mentale di cui parlo é collegata a quella che eserciterebbe una setta globale. In effetti, c’é una parentela flagrante tra la setta, che esige il consenso intimo ad un gruppo dato e l’adesione al mercato globale, società allo stesso tempo globale e frammentata in cellule consumistiche rese narcise. La società-bulla dei culti settari è soltanto il plagio microsociologico della setta globale planetaria che somma ciascuno di diventare un “piacevole e membro flessibile dell’umanità”.

Come nelle sette, la società globale che si propone d’abolire il tempo e la storia, nasconde in se stessa una volontà di suicidio collettivo respinta, essendo l’autodistruzione vissuta in modo indolore quasi come se fosse un viaggio spirituale verso una nuova incarnazione.

Si tratta sostanzialmente di una nuova forma di “Karma” moderno. La rivoluzione tecnologica, il regno del cyberspazio, la rivoluzione numerica e lo sviluppo delle reti elettroniche d’informazione provocano una sindrome di saturazione conoscitiva. Colpiti da un flusso continuo di informazioni e di immagini, gli individui sono sempre meno in grado di pensare e decidere, ma finalmente pronti a lavorare; sempre più stressati e abbruttiti.

La cyber-cretinizzazione


Siamo nel cuore della cyber-cretinizzazione.

La manipolazione mentale giunge alla colonizzazione dell’inconscio e dell’immaginazione, come spazio intimo onirico, simbolico ed archetipale.
Il capitalismo tradizionale, che si accontentava precedentemente della pubblicità, si attacca oggi ai settori del sogno, dell’immaginazione e alle visioni più intime del mondo.

Questa colonizzazione dell’immaginazione si opera con la diffusione di supplettivi come la science-fiction, prêt-à-porter dell’immaginario che si rivolge ai “piani interni” dell’inconscio, di un immaginario standardizzato, povero, che si riduce generalmente a forme bastarde di divulgazione, nulle tanto sul piano letterario che intellettuale.

Lo svago immaginario contemporaneo che mira ad instaurare una società di gioia permanente si riduce ad un incitamento collettivo all’acquisto. La produzione simbolica, precedentemente regolata all’evoluzione dei secoli, è diventata frenetica. Lo scopo è qui di arrivare ad una perdita d’identità e delle capacità reattive. Così la società globale è una vasta tecno-utopia a proposito della quale Armand Mattelart scrive “che si rivela un’arma ideologica di primo piano nei traffici d’influenza, in attesa di naturalizzare la visione libero-scambista dell’ordine mondiale, la teocrazia liberale”.

Una Nuova Forma di “Razzismo Globale”


L’egoismo, l’antropocentrismo e lo scientismo, che fanno da basi evoluzioniste del globalismo, sono le matrici di una nuova forma di “razzismo globale”. Infatti, da una parte la sua politica ultra-liberale e dall’altra le discriminazioni culturali ed economiche che implica, il globalismo tende ad aumentare le divisioni all’interno dello sviluppo psicologico e sociale degli uomini, che non corrisponde più all’evoluzione della sua dinamica biologica.

I tipi classici di questa nuova forma di razzismo e d’eugenismo globale derivano dalle nuove forme di manipolazione genetica e di clonazione che rovesciano il corso naturale e biologico degli uomini, mentre aumentano le disparità culturali ed economiche. Una nuova forma di darwinismo sociale postmoderno appare sotto le caratteristiche dell’ultraliberalismo globale che non lascia alcuna possibilità ai popoli ed agli individui. Una nuova forma di umanizzazione globale dell’essere umano appare con il globalismo attraverso la creazione e la promozione di un genotipo generico, consumatore flessibile interamente condizionato dall’ideologia dominante.

Questa nuova umanizzazione é l’opposto della bio-pluralità dei popoli e della terra che tende sempre più a scomparire. Il globalismo veicola in se una concezione antropocentrica della scienza mentre la scienza dovrebbe essere biocentrica. D’altra parte, il globalismo è soltanto l’espressione dell’americanizzazione unilaterale del mondo intero, l’americanismo come universalismo, l’americanismo come mondialismo, l’americanismo come neocolonialismo moderno.

Nel periodo successivo alla rivoluzione d’ottobre, Lenin scriveva: “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”.

Alla soglia del terzo millennio, il capitale internazionale fa crescere la distribuzione: il globalismo americano diventa la fase suprema dell’imperialismo moderno. Con questo globalismo impegnato a portare la prosperità a livello planetario, si è visto emergere delle “città globali”, che hanno generato un processo d’impoverimento crescente che si può qualificare come “bidonvillizzazione” accelerata su scala mondiale.

La “Formula delle 3D”


In altre parole, la fondazione del villaggio planetario accresce le differenze tra ricchi e poveri.

Nuova divisione internazionale del lavoro, nuovi conflitti sociali, capitale speculativo al 90%, ecco la nuova faccia dello sfruttamento capitalista dei grandi gruppi multinazionali. Effettivamente ciò che si intende con “mondializzazione”, è la generalizzazione del sistema capitalista a tutti gli stati del pianeta.
Il “laisser faire”, tanto caro ad Adam Smith, si è trasformato in un nuovo slogan che brama allo smantellamento delle barriere doganali, la soppressione di ogni specie di costrizioni al libero spostamento dei capitali pur esigendo la “non ingerenza” degli stati nella regolazione delle economie.

“Tutto ciò che lo Stato può fare, è non fare nulla “, dichiarano i mondialisti. Di qui la formula delle 3 D che é sempre più consacrata: de-intermediazione, de-regolamentazione ed de-chiusura dei mercati. La mondializzazione ha creato un vasto orizzonte economico che resta quasi vuoto sul piano simbolico e che si offre di conseguenza all’immaginazione utopistica.

Tuttavia si assiste paradossalmente al declino della americanità come utopia, spazio di sogno e di sostituzione.

Molti fatti supportano la tesi del fallimento della grande utopia americana: la democrazia radicale, il melting pot, i miti latino-americani dell’ibridazione o dell’ibridazione biologica da cui doveva risultare una razza superiore, sono tutta altrettante utopie che non hanno trovato traduzioni nel settore sociale ed economico ed alle quali si sono sostituiti i modelli di ghettizzazione razziale ed etnica.

L’ideologia globalista è in realtà un processo di falsificazione negativa e perfida del mondo.

Louis VINTEUIL.
traduzione di Gorgonzola per Comedonchisciotte.net

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samedi, 10 avril 2010

George Soros, ou la "conscience du monde"

george-soros1.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 2004

 

George SOROS,

ou la "conscience" du Monde

 

Par Heather Cottin

(http://www.artel.co.yu)

 

« OUI, J’AI UNE POLITIQUE ETRANGERE : MON OBJECTIF EST DE DEVENIR LA CONSCIENCE DU MONDE. »

 

Il ne s’agit nullement d’un cas de trouble narcissique de la personnalité; voici, en fait, comment George Soros applique aujourd’hui le pouvoir de l’hégémonie des Etats-Unis dans le monde. Les institutions de Soros et ses machinations financières sont en partie responsables de la destruction du socialisme en Europe de l’Est et dans l’ancienne URSS. Il a également jeté son dévolu sur la Chine. Il a également fait partie de toute cette entreprise d’opérations en tous genres qui ont abouti au démantèlement de la Yougoslavie. Alors qu’il se donne du philanthrope, le rôle du milliardaire George Soros consiste à resserrer la mainmise idéologique de la globalisation et du nouvel ordre mondial tout en assurant la promotion de son propre profit financier. Les opérations commerciales et « philanthropiques » de Soros sont clandestines, contradictoires et coactives. Et, pour ce qui est de ses activités économiques, lui-même admet qu’il n’a pas de conscience, en capitaliste fonctionnant avec une amoralité absolue.

 

SON GOUROU ? SIR KARL POPPER,  THéORICIEN DE LA “SOCIéTé OUVERTE”

 

En maître d’œuvre du nouveau secteur de la corruption qui trompe systématiquement le monde, il se fraie un chemin jusqu’aux hommes d’Etat planétaires et ils lui répondent. Il a été proche de Henry Kissinger, de Vaclav Havel et du général polonais Wojciech Jaruzelski.(2) Il soutient le dalaï-lama, dont l’institut est installé au Presidio, à San Francisco, lequel Presidio héberge également, entre autres, la fondation dirigée par l’ami de Soros, l’ancien dirigeant soviétique Mikhaïl Gorbatchev.(3) Soros est une figure de pointe du Conseil des Relations extérieures, du Forum économique mondial et de Human Rights Watch (HRW). En 1994, après une rencontre avec son gourou philosophique, Sir Karl Popper, Soros ordonnait à ses sociétés de se mettre à investir dans les communications en Europe centrale et de l’Est.

 

L’administration fédérale de la radio et télévision de la République tchèque a accepté son offre de eprendre et de financer les archives de Radio Free Europe. Soros a transféré ces archives à Prague et a dépensé plus de 15 millions de dollars pour leur entretien.(4)

 

Conjointement avec les Etats-Unis, une fondation Soros dirige aujourd’hui Radio Free Europe/Radio Liberty, laquelle a étendu ses ramifications au Caucase et en Asie.(5) Soros est le fondateur et le financier de l’Open Society Institute. Il a créé et entretient le Groupe international de Crise (GIC) qui, entre autres choses, est actif dans les Balkans depuis le démantèlement de la Yougoslavie. Soros travaille ouvertement avec l’Institut américain pour la Paix – un organe officiellement reconnu de la CIA.

 

Lorsque les forces hostiles à la globalisation battaient de la semelle dans les rues entourant le Waldorf-Astoria, à New York, en février 2002, George Soros était à l’intérieur et tenait un discours devant le Forum économique mondial. Quand la police entassa les manifestants dans des cages métalliques à Park Avenue, Soros vantait les vertus d’une « société ouverte » et rejoignait ainsi Zbigniew Brzezinski, Samuel Huntington, Francis Fukuyama et d’autres.

 

 

 

 

 

QUI EST CE TYPE ?

 

George Soros est né en Hongrie en 1930 de parents juifs si éloignés de leurs racines qu’ils passèrent même une fois leurs vacances en Allemagne nazie.(6) Soros vécut sous le régime nazi mais, au moment du triomphe des communistes, il alla s’installer en Angleterre en 1947.

 

Là, à la London School of Economics, il subit l’influence du philosophe Karl Popper, un idéologue anticommuniste adulé dont l’enseignement constitua la base des tendances politiques de Soros. Il est malaisé de trouver un discours, un ouvrage ou un article de la plume de Soros qui n’obéisse à l’influence de Popper.

 

Anobli en 1965, Popper inventa le slogan de « Société ouverte », qu’on allait retrouver plus tard dans l’Open Society Fund and Institute de Soros. Les disciples de Popper répètent ses mots comme de véritables fidèles. La philosophie de Popper incarne parfaitement l’individualisme occidental. Soros quitta l’Angleterre en 1956 et trouva du travail à Wall Street où, dans les années 60, il inventa le « fonds de couverture » : « (…) les fonds de couverture satisfaisaient les individus très riches (…) Les fonds en grande partie secrets, servant habituellement à faire des affaires en des lieux lointains (…) produisaient des retours astronomiquement supérieurs. Le montant des ‘enjeux’ se muaient souvent en prophéties qui se réalisaient d’elles-mêmes : ‘les rumeurs circulant à propos d’une situation acquise grâce aux énormes fonds de couverture incitaient d’autres investisseurs à se hâter de faire pareil’, ce qui, à son tour, augmentait les mises de départ des opérateurs en couverture. »(7)

 

Soros met sur pied le Quantum Fund en 1969 et se met à boursicoter dans la manipulation des devises. Dans les années 70, ses activités financières glissent vers « l’alternance entre les situations à long et à court terme (…) Soros se mit à gagner gros à la fois sur la montée des trusts d’investissement dans l’immobilier et sur leur effondrement ultérieur. Durant ses vingt années de gestion, Quantum offrit des returns étonnants de 34,5% en moyenne par an. Soros est particulièrement connu (et craint) pour sa spéculation sur les devises.

 

(…) En 1997, il se vit décerner une distinction rare en se faisant traiter de scélérat par un chef d’Etat, Mahathir Mohamad, de Malaisie, pour avoir participé à un raid particulièrement rentable sur la monnaie de ce pays. »(8)

 

C’est via de telles martingales financières clandestines que Soros va devenir multimilliardaire. Ses sociétés contrôlent l’immobilier en Argentine, au Brésil et au Mexique, la banque au Venezuela et elles figurent au nombre des commerces de devises les plus rentables au monde, donnant naissance à la croyance générale que ses amis très haut placés l’ont aidé dans ses aventures financières, et ce pour des raisons tant politiques que liées à l’appât du gain.(9)

 

SOROS ? UN DRACULA QUI SUCE LE SANG DU PEUPLE !

 

George Soros a été blâmé pour avoir fait sombrer l’économie thaïlandaise en 1997.(10) Un activiste thaï a même déclaré : « Nous considérons George Soros comme une sorte de Dracula. Il suce le sang du peuple. »(11) Les Chinois l’appellent « le crocodile » du fait que ses efforts économiques et idéologiques en Chine n’étaient jamais satisfaits et parce que ses spéculations financières ont engendré des millions de dollars de profit lorsqu’il a mis le grappin sur l’économie thaï et sur celle de la Malaisie.(12)

 

Un jour, Soros s’est fait un milliard de dollars en un jour en spéculant (un mot qu’il déteste) sur la livre britannique. Accusé de prendre « de l’argent à chaque contribuable britannique lorsqu’il spéculait contre le sterling », il avait répondu : « Lorsque vous spéculez sur les marchés financiers, vous ne vous embarrassez pas de la plupart des préoccupations morales auxquelles est confronté un homme d’affaires ordinaire. (…) Je n’avais pas non plus à m’embarrasser de questions de morale sur les marchés financiers. »(13)

 

Soros est schizophréniquement insatiable quand il s’agit de s’enrichir personnellement de façon illimitée et il éprouve un perpétuel désir d’être bien considéré par autrui : « Les commerçants en devises assis à leurs bureaux achètent et vendent des devises de pays de tiers monde en grande quantités. L’effet des fluctuations des cours sur les personnes qui vivent dans ces pays n’effleure même pas leurs esprits.

 

Il ne devrait pas le faire non plus : ils ont un travail à faire. Si nous nous arrêtons pour réfléchir, nous devons nous poser la question de savoir si les commerçants en devises (…) devraient contrôler la vie de millions de personnes. »(14)

 

C’est George Soros qui a sauvé la peau de George W. Bush lorsque la gestion par celui-ci d’une société de prospection pétrolière était sur le point de se solder par un échec. Soros était le propriétaire de la Harken Energy Corporation et c’est lui qui avait racheté le stock des actions en baisse rapide juste avant que la société ne s’effondre. Le futur président liquida a presque un million de dollars. Soros déclara qu’il avait agi de la sorte pour acheter de « l’influence politique ».(15) Soros est également un partenaire du tristement célèbre Carlyle Group. Officiellement fondée en 1987, la « plus importante société privée par actions du monde », qui gère plus de 12 milliards de dollars, est dirigée par « un véritable bottin mondain d’anciens dirigeants républicains », depuis l’ancien membre de la CIA, Frank Carlucci, jusqu’à l’ancien chef de la CIA et ancien président George Bush père. Le Carlyle Group tire la majeure partie de ses rentrées des exportations d’armes.

 

L’ESPION PHILANTHROPE

 

En 1980, Soros commence à utiliser ses millions pour s’en prendre au socialisme en Europe de l’Est. Il finance des individus susceptibles de coopérer avec lui. Son premier succès, c’est en Hongrie qu’il l’obtient. Il reprend le système éducatif et culturel hongrois, mettant hors d’état de fonctionnement les institutions socialistes partout dans le pays. Il se fraie directement un chemin à l’intérieur du gouvernement hongrois. Ensuite, Soros se tourne vers la Pologne, contribuant à l’opération Solidarité, financée par la CIA, et, la même année, il étend également ses activités à la Chine. L’URSS vient ensuite.

 

Ce n’est nullement une coïncidence si la CIA a mené des opérations dans tous ces pays. Son objectif était également le même que celui de l’Open Society Fund : démanteler le socialisme. En Afrique du Sud, la CIA dénichait des dissidents anticommunistes. En Hongrie, en Pologne et en URSS, via une intervention non dissimulée menée à partir de la Fondation nationale pour la Démocratie, l’AFL-CIO, l’USAID et d’autres institutions, la CIA soutenait et organisait les anticommunistes, le type même d’individus recrutés par l’Open Society Fund de Soros. La CIA allait les appeler ses « atouts ». Comme le dit Soros : « Dans chaque pays, j’ai identifié un groupe de personnes – certaines sont des personnalités de premier plan, d’autres sont moins connues – qui partageaient ma foi… »(16)

 

L’Open Society de Soros organisait des conférences avec des anticommunistes tchèques, serbes, roumains, hongrois, croates, bosniaques, kosovares.(17) Son influence sans cesse croissante le fit soupçonner d’opérer en tant que partie du complexe des renseignements américains. En 1989, le Washington Post se faisait l’écho d’accusations d’abord émises en 1987 par des officiels du gouvernement chinois et prétendant que le Fonds de Soros pour la Réforme et l’Ouverture de la Chine avait des connexions avec la CIA.(18)

 

AU TOUR DE LA RUSSIE

 

Après 1990, les fonds de Soros visent le système éducatif russe et fournissent des manuels à toute la nation.(19) En effet, Soros se sert de la propagande de l’OSI pour endoctriner toute une génération de la jeunesse russe. Les fondations de Soros ont été accusées d’avoir orchestré une stratégie visant à s’assurer le contrôle du système financier russe, des plans de privatisation et du processus des investissements étrangers dans ce pays. Les Russes réagissent avec colère aux ingérences de Soros dans les législations. Les critiques de Soros et d’autres fondations américaines ont affirmé que l’objectif de ces manœuvres était de « faire échouer la Russie en tant qu’Etat ayant le potentiel de rivaliser avec la seule superpuissance mondiale ».(20)

 

Les Russes se mettent à soupçonner que Soros et la CIA sont interconnectés. Le magnat des affaires, Boris Berezovsky, allait même déclarer : « J’ai presque tourné de l’œil en apprenant, il y a quelques années, que George Soros était un agent de la CIA. »(21) L’opinion de Berezovsky était que Soros, de même que l’Occident, « craignaient que le capitalisme russe ne devînt trop puissant ».

 

Si l’establishment économique et politique des Etats-Unis craint la concurrence économique de la Russie, quelle meilleure façon y a-t-il de la contrôler que de dominer les médias, l’éducation, les centres de recherche et le secteur scientifique de la Russie ? Après avoir dépensé 250 millions de dollars pour « la transformation de l’éducation des sciences humaines et de l’économie au niveau des écoles supérieures et des universités », Soros injecte 100 millions de dollars de plus dans la création de la Fondation scientifique internationale.(22) Les Services fédéraux russes de contre-espionnage (FSK) accusent les fondations de Soros en Russie d’« espionnage ». Ils font remarquer que Soros n’opère pas seul ; il fait partie de tout un rouleau compresseur recourant, entre autres, à des financements de la part de Ford et des Heritage Foundations, des universités de Harvard, Duke et Columbia, et à l’assistance du Pentagone et ses services de renseignements américains.(23) Le FSK s’indigne de ce que Soros a graissé la patte à quelque 50.000 scientifiques russes et prétend que Soros a cultivé avant tout ses propres intérêts en s’assurant le contrôle de milliers de découvertes scientifiques et nouvelles technologies russes et en s’appropriant ainsi des secrets d’Etats et des secrets commerciaux.(24)

 

CUNY, AGENT DE LA CIA  EN TCHéTCHéNIE?

 

En 1995, les Russes avaient été très en colère suite aux ingérences de l’agent du Département d’Etat, Fred Cuny, dans le conflit tchétchène. Cuny se servait du secours aux sinistrés comme de couverture, mais l’histoire de ses activités dans les zones de conflit internationales intéressant les Etats-Unis, auxquelles venaient s’ajouter les opérations d’investigations du FBI et de la CIA, rendaient manifestes ses connexions avec le gouvernement américain. A l’époque de sa disparition, Cuny travaillait sous contrat pour une fondation de Soros.(25) On se sait pas assez aux Etats-Unis que la violence en Tchétchénie, une province située au cœur de la Russie, est généralement perçue comme étant le résultat d’une campagne de déstabilisation politique que Washington voit d’un très bon œil et, en fait, orchestre probablement. Cette façon de présenter la situation est suffisamment claire aux yeux de l’écrivain Tom Clancy, au point qu’il s’est senti libre d’en faire une affirmation de fait dans son best-seller, La somme de toutes les peurs. Les Russes ont accusé Cuny d’être un agent de la CIA et d’être l’un des rouages d’une opération de renseignements destinée à soutenir l’insurrection tchétchène.(26) L’Open Society Institute de Soros est toujours actif en Tchétchénie, comme le sont également d’autres organisations sponsorisées par le même Soros.

 

La Russie a été le théâtre d’au moins une tentative commune de faire grimper le bilan de Soros, tentative orchestrée avec l’aide diplomatique de l’administration Clinton. En 1999, la secrétaire d’Etat Madeleine Albright avait bloqué une garantie de prêt de 500 millions de dollars par l’U.S. Export-Import Bank à la société russe, Tyumen Oil, en prétendant que cela s’opposait aux intérêts nationaux américains. La Tyumen voulait acheter des équipements pétroliers de fabrication américaine, ainsi que des services, auprès de la société Halliburton de Dick Cheney et de l’ABB Lummus Global de Bloomfield, New Jersey.(27) George Soros était investisseur dans une société que la Tyumen avait essayé d’acquérir. Tant Soros que BP Amoco avaient exercé des pressions afin d’empêcher cette transaction, et Albright leur rendit ce service.(28)

 

L’ENTRETIEN D’UN ANTISOCIALISME DE GAUCHE

 

L’Open Society Institute de Soros trempe les doigts dans toutes les casseroles. Son comité de directeurs est un véritable « Who's Who » de la guerre froide et des pontifes du nouvel ordre mondial. Paul Goble est directeur des communications : « Il a été le principal commentateur politique de Radio Free Europ ». Herbert Okun a servi dans le département d’Etat de Nixon en tant que conseiller en renseignements auprès de Henry Kissinger. Kati Marton est l’épouse de Richard Holbrooke, l’ancien ambassadeur aux Nations unies et envoyé en Yougoslavie de l’administration Clinton. Marton a exercé des pressions en faveur de la station de radio B-92, financée par Soror, et elle a également beaucoup œuvré en faveur d’un projet de la Fondation nationale pour la démocratie (une autre antenne officielle de la CIA) qui a collaboré au renversement du gouvernement yougoslave.

 

Lorsque Soros fonde l’Open Society Fund, il va chercher le grand pontife libéral Aryeh Neier pour la diriger. A l’époque, Neier dirige Helsinki Watch, une prétendue organisation des droits de l’homme de tendance nettement anticommuniste. En 1993, l’Open Society Fund devient l’Open Society Institute.

 

Helsinki Watch s’est mué en Human Rights Watch en 1975. A l’époque, Soros fait partie de sa Commission consultative, à la fois pour le comité des Amériques et pour ceux de l’Europe de l’Est et de l’Asie centrale, et sa nébuleuse Open Society Fund/Soros/OSI est renseignée comme bailleuse de fonds.(29) Soros a des relations étroites avec Human Rights Watch (HRW) et Neier écrits des articles pour le magazine The Nation sans mentionné le moins du monde qu’il figure sur les fiches de paie de Soros.(30)

 

Soros est donc étroitement lié à HRW, bien qu’il fasse de son mieux pour le dissimuler.(31) Il déclare qu’il se contente de bailler des fonds, de mettre les programmes au point et de laisser les choses aller d’elles-mêmes. Mais les actions de HRW ne s’écartent en aucune façon de la philosophie de son bailleur de fonds. HRW et OSI sont très proches l’un de l’autre. Leurs vues ne divergent pas. Naturellement, d’autres fondations financent également ces deux institutions, mais il n’empêche que l’influence de Soros domine leur idéologie.

 

Les activités de George Soros s’inscrivent dans le schéma de construction développé en 1983 et tel qu’il est énoncé par Allen Weinstein, fondateur de la Fondation nationale pour la démocratie. Wainstein déclare ceci : «Une grande partie de ce que nous faisons aujourd’hui était réalisée en secret par la CIA voici 25 ans. »(32)

 

LéGITIMER LES STRATéGIES AMéRICAINES

 

SorosTimeMagCover.jpgSoros opère exactement dans les limites du complexe de renseignements. Il diffère peu des trafiquants de drogue de la CIA au Laos, dans les années 60, ou des moudjahidine qui tiraient profit du trafic de l’opium tout en menant des opérations pour le compte de la CIA contre l’Afghanistan socialiste des années 80. Il canalise tout simplement (et ramasse) beaucoup plus d’argent que ces marionnettes et une partie bien plus importante de ses affaires se font au grand jour. Sa franchise, dans la mesure où il en fait preuve, réside dans un contrôle factice des dégâts, lequel sert à légitimer les stratégies de la politique étrangère américaine.

 

La majorité des Américains qui, aujourd’hui, se considèrent politiquement au centre-gauche, sont sans aucun doute pessimistes à propos des chances d’assister un jour à une transformation socialiste de la société. Par conséquent, le modèle de « décentralisation » à la Soros, ou l’approche « fragmentée » de «l’utilitarisme négatif, la tentative de réduire au minimum la quantité de misère », qui constituait la philosophie de Popper, tout cela leur plaît, en gros.(33) Soros a financé une étude de HRW qui a été utilisée pour soutenir l’assouplissement de la législation en matière de drogue dans les Etats de Californie et d’Arizona.(34) Soros est favorable à une législation sur les drogues – une manière de réduire provisoirement la conscience de sa propre misère. Soros est un corrupteur qui tutoie le concept de l’égalité des chances. A un échelon plus élevé de l’échelle socio-économique, on trouve les social-démocrates qui acceptent d’être financés par Soros et qui croient aux libertés civiques dans le contexte même du capitalisme.(35) Pour ces personnes, les conséquences néfastes des activités commerciales de Soros (lesquelles appauvrissent des gens partout dans le monde) sont édulcorées par ses activités philanthropiques. De la même manière, les intellectuels libéraux de gauche, tant à l’étranger qu’aux Etats-Unis, ont été séduits par la philosophie de l’« Open Society », sans parler de l’attrait que représentait ses donations.

 

La Nouvelle Gauche américaine était un mouvement social-démocratique. Elle était résolument antisoviétique et, lorsque l’Europe de l’Est et l’Union soviétique se sont effondrées, peu de gens au sein de cette Nouvelle Gauche se sont opposés à la destruction des systèmes socialistes. La Nouvelle Gauche n’a ni gémi ni protesté lorsque les centaines de millions d’habitants de l’Europe de l’Est et de l’Europe centrale ont perdu leur droit au travail, au logement à loyer décent et protégé par la loi, à l’éducation gratuite dans des écoles supérieures, à la gratuité des soins de santé et de l’épanouissement culturel. La plupart ont minimisé les suggestions prétendant que la CIA et certaines ONG – telles la Fondation nationale pour la Démocratie ou l’Open Society Fund – avaient activement participé à la destruction du socialisme. Ces personnes avaient l’impression que la détermination occidentale à vouloir détruire l’URSS depuis 1917 avait vraiment peu de chose à voir avec la chute de l’URSS. Pour ces personnes, le socialisme a disparu de son plein gré, du fait de ses défauts et lacunes.

 

LA  “NOUVELLE GAUCHE” IGNORE TOUJOURS LES MACHINATIONS  AMéRICAINES

 

Quant aux révolutions, comme celles d’un Mozambique, de l’Angola, du Nicaragua ou du Salvador, annihilées par des forces agissant sous procuration ou retardées par des « élections » très démonstratives, les pragmatistes de la Nouvelle Gauche n’en ont eu que faire et ont tourné les talons. Parfois même, la Nouvelle Gauche a semblé ignorer délibérément les machinations post-soviétiques de la politique étrangère américaine.

 

Bogdan Denitch, qui nourrissait des aspirations politiques en Croatie, a été actif au sein de l’Open Society Institute et a reçu des fonds de ce même OSI.(36) Denitch était favorable à l’épuration ethnique des Serbes en Croatie, aux bombardements par l’Otan de la Bosnie et de la Yougoslavie et même à une invasion terrestre de la Yougoslavie.(37) Denitch a été l’un des fondateurs et le président des Socialistes démocratiques des Etats-Unis, un groupe prépondérant de la gauche libérale aux Etats-Unis. Il a également présidé longtemps la prestigieuse Conférence des Universitaires socialistes, par le biais de laquelle il pouvait aisément manipuler les sympathies de beaucoup et les faire pencher du côté du soutien à l’expansion de l’Otan.(38) D’autres cibles du soutien de Soros comprennent Refuse and Resist the American Civil Liberties Union (refus et résistance à l’Union américaine de défense des libertés civiques), et toute une panoplie d’autres causes libérales.(39) Soros allait acquérir un autre trophée invraisemblable en s’engageant dans la Nouvelle Ecole de Recherches Sociales de New York, qui avait été longtemps une académie de choix pour les intellectuels de gauche. Aujourd’hui, il y sponsorise le Programme pour l’Europe de l’est et l’Europe centrale.(40)

 

MICHEL KOZAK : INSTALLER DES “DIRIGEANTS SYMPATHIQUES”

 

Bien des gens de gauche inspirés par la révolution nicaraguayenne ont accepté avec tristesse l’élection de Violetta Chamorro et la défaite des sandinistes en 1990. La quasi-totalité du réseau de soutien au Nicaragua a cessé ses activités par la suite. Peut-être la Nouvelle Gauche aurait-elle pu tirer quelque enseignement de l’étoile montante qu’était Michel Kozak. L’homme était un vétéran des campagnes de Washington visant à installer des dirigeants sympathiques au Nicaragua, à Panama et à Haïti, et de saper Cuba – il dirigeait la Section des Intérêts américains à La Havane.

 

Après avoir organisé la victoire de Chamorro au Nicaragua, Kozak a poursuivi son chemin pour devenir ambassadeur des Etats-Unis en Biélorussie, tout en collaborant à l’Internet Access and Training Program (IATP – Progr. d’accès et d’initiation au net), sponsorisé par Soros et qui œuvrait à la « fabrication de futurs dirigeants » en Biélorussie.(41) Dans le même temps, ce programme était imposé à l’Arménie, l’Azerbaïdjan, la Géorgie, le Kazakhstan, le Kirghizistan, le Turkménistan et l’Ouzbékistan. L’IATP opère à visière relevée avec le soutien du département d’Etat américain. Au crédit de la Biélorussie, il faut ajouter qu’elle a fini par expulser Kozak et toute la clique de l’Open Society de Soros et du département d’Etat américain. Le gouvernement d’Aleksandr Lukachenko a en effet découvert que, quatre ans avant de s’installer à Minsk, Kozak organisait la ventilation des dizaines de millions de dollars destinés à alimenter l’opposition biélorusse. Kozak travaillait à l’unification du coalition d’opposition, il créait des sites web, des journaux et des pôles d’opinion, et il supervisait un mouvement de résistance estudiantine semblable à l’Otpor en Yougoslavie. Kozak fit même venir des dirigeants de l’Otpor pour former des dissidents en Biélorussie.(42) Juste à la veille du 11 septembre 2001, les Etats-Unis relançaient une campagne de diabolisation contre le président Aleksandr Lukachenko. Cette campagne allait toutefois être remise sur feu doux pour donner la priorité à la « guerre contre le terrorisme ».

 

Par l’entremise de l’OSI et du HRW, Soros était l’un des principaux sponsors de la station de radio B-92 à Belgrade. Il fonda l’Otpor, l’organisation qui recevait ces « valises d’argent » afin de soutenir le coup d’Etat du 5 octobre 2000 qui allait renverser le gouvernement yougoslave.(43) Un peu plus tard, Human Rights Watch aidait à légitimer l’enlèvement et la médiatisation du procès de Slobodan Milosevic à La Haye sans aucunement faire état de ses droits.(44)

 

Louise Arbour, qui a œuvré comme juge au sein de ce tribunal illégal, siège actuellement au conseil du Groupe international de crise de Soros.(45) Le gang de l’Open Society et de Human Rights Watch a travaillé en Macédoine, disant que cela faisait partie de sa « mission civilisatrice ».(46) Il faut donc s’attendre à ce qu’on « sauve » un jour cette république et que s’achève ainsi la désintégration de l’ancienne Yougoslavie.

 

DES MANDATAIRES DU POUVOIR

 

En fait, Soros a déclaré qu’il considérait sa philanthropie comme morale et ses affaires de gestion d’argent comme amorales.(47) Pourtant, les responsables des ONG financées par Soros ont un agenda clair et permanent. L’une des institutions les plus influentes de Soros n’est autre que le Groupe international de Crise, fondé en 1986.

 

Le GIC est dirigé par des individus issus du centre même du pouvoir politique et du monde des entreprises. Son conseil d’administration compte entre autres en ses rangs Zbigniew Brzezinski, Morton Abramowitz, ancien secrétaire d’Etat adjoint aux Etats-Unis; Wesley Clark, ancien chef suprême des alliés de l’Otan pour l’Europe; Richard Allen, ancien conseiller national à la sécurité des Etats-Unis. Il vaut la peine de citer Allen : l’homme a quitté le Conseil national de la sécurité sous Nixon parce qu’il était dégoûté des tendances libérales de Henry Kissinger; c’est encore lui qui a recruté Oliver North pour le Conseil national de la sécurité sous Reagan, et qui a négocié l’échange missiles-otages dans le scandale des contras iraniens. Pour ces quelques individus, « contenir des conflits » équivaut à assurer le contrôle américain sur les peuples et ressources du monde entier.

 

Dans les années 1980 et 1990, sous l’égide de la doctrine reaganienne, les opérations secrètes ou à ciel ouvert des Etats-Unis battaient leur plein en Afrique, en Amérique latine, dans les Caraïbes et en Asie. Soros était ouvertement actif dans la plupart de ces endroits, oeuvrant à corrompre d’éventuels révolutionnaires en devenir, à sponsoriser des hommes politiques, des intellectuels et toute autre personne susceptible d’arriver au pouvoir lorsque l’agitation révolutionnaire serait retombée. Selon James Petras : « A la fin des années 1980, les secteurs les plus perspicaces des classes néo-libérales au pouvoir comprirent que leurs menées politiques polarisaient la société et suscitaient un ample mécontentement social.

 

UNE STRATéGIE PARALLèLE “à PARTIR DE LA BASE”

 

Les politiciens néo-libéraux se sont mis à financer et à promouvoir une stratégie parallèle ‘à partir de la base ‘, la promotion d’organisations en quelque sorte ‘tirées du sol’, à l’idéologie ‘anti-étatique’ et censées intervenir parmi les classes potentiellement conflictuelles, afin de créer un ‘tampon social’. Ces organisations dépendaient financièrement de ressources néo-libérales et étaient directement engagées dans la concurrence avec des mouvements socio-politiques pour la fidélité des dirigeants locaux et des communautés militantes. Dans les années 1990, ces organisations, décrites comme ‘non gouvernementales’, se comptaient par milliers et recevaient quelque 4 milliards de dollars pour l’ensemble de la planète. »(48)

 

Dans Underwriting Democracy (Garantir la démocratie), Soros se vante de « l’américanisation de l’Europe de l’Est ». Selon ses propres dires, grâce à ses programmes d’éducation, il a commencé à mettre en place tout un encadrement de jeunes dirigeants « sorosiens ». Ces jeunes hommes et femmes issus du moule éducatif de la Fondation Soros sont préparés à remplir des fonctions de ce qu’on appelle communément des « personnes d’influence ». Grâce à leur connaissance pratique des langues et à leur insertion dans les bureaucraties naissantes des pays ciblés, ces recrues sont censées faciliter, sur le plan philosophique, l’accès à ces pays des sociétés multinationales occidentales. Le diplomate de carrière Herbert Okun, qui siège en compagnie de George Soros au Comité européen de Human Rights Watch, entretient d’étroites relations avec toute une série d’institutions liées au département d’Etat, allant de l’USAID à la Commission trilatérale financée par Rockefeller. De 1990 à 1997, Okun a été directeur exécutif d’une organisation appelée le Corps des bénévoles des Sercvices financiers, qui faisait partie de l’USAID, « afin d’aider à établir des systèmes financiers de marché libre dans les anciens pays communistes ».(49) George Soros est en complet accord avec les capitalistes occupés à prendre le contrôle de l’économie mondiale.

 

LA RENTABILITE DU NON-MARCHAND

 

Soros prétend qu’il ne fait pas de philanthropie dans les pays où il pratique le commerce des devises.(50) Mais Soros a souvent tiré avantage de ses relations pour réaliser des investissements clés. Armé d’une étude de l’ICC et bénéficiant du soutien de Bernard Kouchner, chef de l’UNMIK (Administration intérimaire des Nations unies au Kosovo), Soros a tenté de s’approprier le complexe minier le plus rentable des Balkans.

 

En septembre 2000, dans sa hâte de s’emparer des mines de Trepca avant les élections en Yougoslavie, Kouchner déclarait que la pollution dégagée par le complexe minier faisait grimper les taux de plomb dans l’environnement.(51) C’est incroyable, d’entendre une chose pareille, quand on sait que l’homme a applaudi lorsque les bombardements de l’Otan, en 1999, ont déversé de l’uranium appauvri sur le pays et ont libéré plus de 100.000 tonnes de produits cancérigènes dans l’air, l’eau et le sol.(52) Mais Kouchner a fini par obtenir gain de cause et les mines ont été fermées pour des « raisons de santé ». Soros a investi 150 millions de dollars dans un effort pour obtenir le contrôle de l’or, l’argent, le plomb, le zinc et le cadmium de Trepca, lesquels confèrent à cette propriété une valeur de 5 milliards de dollars.(53)

 

Au moment où la Bulgarie implosait dans le chaos du « libre marché », Soros s’acharnait à récupérer ce qu’il pouvait dans les décombres, comme Reuters l’a rapporté au début 2001 : « La Banque européenne de Reconstruction et de Développement (BERD) a investi 3 millions de dollars chez RILA [une société bulgare spécialisée dans les technologies de pointe], la première société à bénéficier d’un nouveau crédit de 30 millions de dollars fixé par la BERD pour soutenir les firmes de high-tech en Europe centrale et de l’Est. (…) Trois autres millions de dollars venaient du fonds américain d’investissements privés Argus Capital Partners, sponsorisé par la Prudential Insurance Company of America et opérant en Europe centrale et de l’Est. (…) Soros, qui avait investi quelque 3 millions de dollars chez RILA et un autre million de 2001 (…) demeurait le détenteur majoritaire. »(54)

 

CERNER LES PROBLEMES

 

Ses prétentions à la philanthropie confèrent à Soros le pouvoir de modeler l’opinion publique internationale lorsqu’un conflit social soulève la question de savoir qui sont les victimes et qui sont les coupables. A l’instar d’autres ONG, Human Rights Watch, le porte-voix de Soros sur le plan des droits de l’homme, évite ou ignore la plupart des luttes de classes ouvrières organisées et indépendantes.

 

En Colombia, des dirigeants ouvriers sont très fréquemment assassinés par des paramilitaires opérant de concert avec le gouvernement sponsorisé par les Etats-Unis. Du fait que ces syndicats s’opposent à l’économie néo-libérale, HRW garde à propos de ces assassinats un relatif silence. En avril dernier, José Vivanco, de HRW, a témoigné en faveur du Plan Colombia devant le Sénat américain (55) : « Les Colombiens restent dévoués aux droits de l’homme et à la démocratie. Ils ont besoin d’aide. Human Rights Watch ne voit pas d’inconvénient fondamental à ce que ce soient les Etats-Unis qui fournissent cette aide. »(56)

 

HRW met les actions des combattants de la guérilla colombienne, qui luttent pour se libérer de l’oppression de la terreur d’Etat, de la pauvreté et de l’exploitation, sur le même pied que la répression des forces armées financées par les Etats-Unis et celle des escadrons paramilitaires de la mort, les AUC (Forces colombiennes unies d’autodéfense). HRW a reconnu le gouvernement de Pastrana et de ses militaires, dont le rôle était de protéger les droits à la propriété et de maintenir le statu quo économique et politique. Selon HRW, 50% des morts de civils sont l’œuvre des escadrons de la mort tolérés par le gouvernement.(57). Le pourcentage exact, en fait, est de 80%.(58)

 

HRW a validé les élections dans leur ensemble et l’accession au pouvoir du gouvernement Uribe, en 2002. Uribe est un parfait héritier des dictateurs latino-américains que les Etats-Unis ont soutenu dans le passé, bien qu’il ait été « élu ». HRW n’a pas eu de commentaire à propos du fait que la majorité des habitants ont boycotté les élections.(59)

 

CUBA DéMONISé PAR “HUMAN RIGHTS WATCH”

 

Dans le bassin caraïbe, Cuba est un autre opposant au néo-libéralisme à avoir été diabolisé par Human Rights Watch. Dans l’Etat voisin de Haïti, les activités financées par Soros ont opéré de façon à venir à bout des aspirations populaires qui ont suivi la fin de la dictature des Duvalier, et ce, en torpillant le premier dirigeant haïtien, démocratiquement élu, Jean-Bertrand Aristide. Ken Roth, de HRW, a abondé utilement dans le sens des accusations américaines reprochant à Aristide d’être « antidémocratique ». Pour étayer son idée de la « démocratie », les fondations de Soros ont entamé à Haïti des opérations complémentaires de celles si inconvenantes des Etats-Unis, telles la promotion par USAID de personnes associées aux FRAPH, les fameux escadrons de la mort sponsorisés par la CIA et qui ont terrorisé le pays depuis la chute de « Baby Doc » Duvalier.(60)

 

Sur le site de HRW, le directeur Roth a critiqué les Etats-Unis de ne pas s’être opposés à la Chine avec plus de véhémence. Les activités de Roth comprennent la création du Tibetan Freedom Concert (Concert pour la liberté du Tibet), un projet itinérant de propagande qui a effectué une tournée aux Etats-Unis avec d’importants musiciens de rock pressant les jeunes à soutenir le Tibet contre la Chine.(61) Le Tibet est un projet de prédilection de la CIA depuis de nombreuses années.(62)

 

Récemment, Roth a réclamé avec insistance que l’on s’oppose au contrôle de la Chine sur sa province riche en pétrole du Xinjiang. Avec l’approche colonialiste du « diviser pour conquérir », Roth a essayé de convaincre certaines membres de la minorité religieuse des Ouïgours au Xinjiang que l’intervention des Américains et de l’Otan au Kosovo contenait une promesse en tant que modèle pour eux-mêmes. Déjà en août 2002, le gouvernement américain avait soutenu quelque peu cette tentative également.

 

Les intentions américaines à propos de cette région sont apparues clairement lorsqu’un article du New York Times sur la province de Xinjiang, en Chine occidentale, décrivait les Ouïgours comme une « majorité musulmane vivant nerveusement sous domination chinoise. Ils « sont bien au courant des bombardements de la Yougoslavie par l’Otan, l’an dernier, et certains les encensent pour avoir libéré les musulmans du Kosovo; ils s’imaginent pouvoir être libérés de la même manière ici ».(63) Le New York Times Magazine, de son côté, notait que « de récentes découvertes de pétrole ont rendu le Xinjiang particulièrement attrayant au yeux du commerce international » et, en même temps, comparaît les conditions de la population indigène à celles du Tibet.(64)

 

DES DEFICIENCES EN CALCUL

 

Lorsque les organisations sorosiennes comptent, elles semblent perdre toute notion de vérité. Human Rights Watch affirmait que 500 personnes, et non pas plus de 2.000, avaient été tuées par les bombardiers de l’Otan au cours de la guerre de Yougoslavie, en 1999.(65) Elles prétendent que 350 personnes seulement, et non pas plus de 4.000, étaient mortes suite aux attaques américaines en Afghanistan.(66) Lorsque les Américains ont bombardé Panama en 1989, HRW a préfacé son rapport en disant que « l’éviction de Manuel Noriega (…) et l’installation du gouvernement démocratiquement élu du président Guillermo Endara amenait de grands espoirs au Panama (…) ». Le rapport omettait de mentionner le nombre de victimes.

 

Human Rights Watch a préparé le travail de terrain pour l’attaque de l’Otan contre la Bosnie, en 1993, avec de fausses allégations de « génocide » et de viols par milliers.(67) Cette tactique consistant à susciter une hystérie politique était nécessaire pour que les Etats-Unis puissent mener à bien leur politique dans les Balkans. Elle a été réutilisée en 1999 lorsque HRW a fonctionné en qualité de troupes de choc de l’endoctrinement pour l’attaque de la Yougoslavie par l’Otan. Tout le bla-bla de Soros à propos du règne de la loi a été oublié d’un seul coup. Les Etats-Unis et l’Otan ont imposé leurs propres lois et les institutions de Soros étaient derrière pour les soutenir.

 

Le fait de trafiquer des chiffres afin d’engendrer une réaction a été une composante importante de la campagne du Conseil des relations étrangères après le 11 septembre 2001. Cette fois, il s’agissait des 2.801 personnes tuées au World Trade Center. Le Conseil des relations étrangères (CRE) se réunit le 6 novembre 2001 afin de planifier une « grande campagne diplomatique publique ». Le CRE créa une « Cellule de crise indépendante sur la réponse de l’Amérique au terrorisme ». Soros rejoignit Richard C. Holbrooke, Newton L. Gingrich, John M. Shalikashvili (ancien président des chefs d’état-major réunis) et d’autres individus influents dans une campagne visant à faire des morts du WTC des outils de la politique étrangère américaine. Le rapport du CRE mit tout en œuvre pour faciliter une guerre contre le terrorisme.

 

VANTER ET DéFENDRE LA POLITIQUE éTRANGèRE AMéRICAINE

 

On peut retrouver les empreintes de George Soros un peu partout, dans cette campagne : « Il faut que les hauts fonctionnaires américains pressent amicalement les Arabes amis et autres gouvernements musulmans non seulement de condamner publiquement les attentats du 11 septembre, mais également de soutenir les raisons et les objectifs de la campagne antiterroriste américaine. Nous n’allons jamais convaincre les peuples du Moyen-Orient et de l’Asie du Sud de la légitimité de notre cause si leurs gouvernements restent silencieux. Il nous faut les aider à éviter tout retour de flamme pouvant émaner de telles déclarations, mais il faut que nous les convainquions de s’exprimer de vive voix. (…) Encouragez les musulmans bosniaques, albanais et turcs à apprendre à des auditoires étrangers à considérer le rôle des Américains dans le sauvetage des musulmans de Bosnie et du Kosovo en 1995-1999 ainsi que nos liens étroits et de longue durée avec les musulmans dans le monde entier. Engagez les intellectuels et les journalistes du pays à prendre la parole également, quels que soient leurs points de vue. Informez régulièrement la presse régionale en temps réel pour encourager des réponses rapides. (…) Insistez sur la nécessité de faire référence aux victimes (et citez ces dernières nommément afin de mieux les personnaliser) chaque fois que nous discutons de nos motifs et de nos ob­jectifs.»(68)

 

Bref, les déficiences sorosiennes en calcul servent à vanter et à défendre la politique étrangère américaine.

 

Soros est très ennuyé par le déclin du système capitaliste mondial et il veut faire quelque chose à ce propos, et maintenant, encore. Récemment, il déclarait : « Je puis déjà discerner les préparatifs de la crise finale. (…) Des mouvements politiques indigènes sont susceptibles d’apparaître qui chercheront à exproprier les sociétés multinationales et à reprendre possession des richesses ‘nationales’. »(69)

 

Soros suggère le plus sérieusement du monde un plan pour contourner les Nations unies. Il propose que les « démocraties du monde devraient prendre les rênes et constituer un réseau mondial d’alliances qui pourraient travailler avec ou sans les Nations unies ». Si l’homme était psychotique, on pourrait penser qu’il était en crise, à ce moment précis. Mais le fait est que l’affirmation de Soros : « les Nations unies sont constitutionnellement incapables de remplir les promesses contenues dans le préambule de leur Charte » reflète la pensée des institutions réactionnaires du genre de l’American Enterprise Institute.(70) Bien que maints conservateurs font référence au réseau de Soros comme étant de gauche, si l’on aborde la question de l’affiliation des Etats-Unis aux Nations unies, Soros est exactement sur la même longueur d’onde que les semblables de John R. Bolton, sous-secrétaire d’Etat pour le Contrôle des Armes et les Affaires de Sécurité internationale qui, en même temps que « de nombreux républicains du Congrès, croient qu’il ne faut pas accorder davantage de crédit au système des Nations unies ».(71) La droite a mené une campagne de plusieurs décennies contre l’ONU. Aujourd’hui, c’est Soros qui l’orchestre. Sur divers sites web de Soros, on peut lire des critiques des Nations unies disant qu’elles sont trop riches, qu’elles ne sont guère désireuses de partager leurs informations, ou qu’elles se sont affaiblies dans des proportions qui les rendent impropres à la manière dont le monde devrait tourner, selon George Soros, du moins.

 

LES “PROGRESSISTES” OCCIDENTAUX ONT DONNé UN BLANC-SEING à SOROS

 

Même les auteurs écrivant dans The Nation, des auteurs censés en savoir beaucoup plus, ont été influencés par les idées de Soros. William Greider, par exemple, a récemment découvert quelque pertinence dans la critique de Soros disant que les Nations unies ne devrait pas « accueillir les dictateurs de pacotille et les totalitaristes ni les traiter en partenaires égaux ».(72) Ce genre de racisme eurocentrique constitue le noyau de l’orgueil démesuré de Soros. Quand il affirme que les Etats-Unis peuvent et devraient diriger le monde, c’est un plaidoyer pour le fascisme à l’échelle mondiale. Pendant bien trop longtemps, les « progressistes » occidentaux ont donné un blanc-seing à Soros. Il est probable que Greider et les autres trouvent que l’allusion au fascisme est excessive, injustifiée et même insultante.

 

Mais écoutez plutôt, et d’une oreille attentive, ce que Soros lui-même a à dire : « Dans la Rome ancienne, seuls les Romains votaient. Sous le capitalisme mondial moderne, seuls les Américains votent. Les Brésiliens, eux, ne votent pas. »

 

Heather COTTIN.

 

vendredi, 02 avril 2010

Welkom in de geglobaliseerde wereld

Welkom in de geglobaliseerde wereld

http://yvespernet.wordpress.com/

globalisation.jpgZoals ik in een artikel schrijf dat binnenkort verschijnt, meer info volgt, zijn vreemde buitenlandse kapitaalsgroepen gevaarlijk. Men heeft de Amerikaanse hedgefunds die bedrijven vaak dwingen om per kwartaal direct grote winsten te boeken, nogmaals een reden om de publicatie van kwartaalresultaten af te schaffen. Deze publicatie is trouwens ingevoerd door Amerikaanse druk en nog maar redelijk recent.

Maar niet alleen de yankee’s proberen zich in te kopen in de Europese economie. De opmars van China is al lang bezig en zeker met hun gigantische overschatten aan buitenlandse deviezen en hun kunstmatig laag gehouden Remnibi kunnen zij zich vaak inkopen in grote bedrijven.

De Chinese autobouwer Geely neemt het Zweedse Volvo Cars definitief over van het Amerikaanse moederconcern Ford. De twee autobouwers hebben vanmiddag een bindend akkoord ondertekend in Göteborg, in Zweden [...] De overname van Volvo Cars is een mijlpaal voor de Chinese auto-industrie. Het is de grootste buitenlandse overname ooit voor een Chinese automaker. China is een van de grootste automarkten ter wereld.

Bron: http://www.deredactie.be/cm/vrtnieuws/economie/100328GeelyVolvo

Maar vooral het laatste stuk in het artikel is interessant, en het toont ook ineens dat deze Chinese aankoop zeker geen alleenstaand geval is.

Geely (Chinees Jili “geluk en voorspoed”) werd in 1986 opgericht als koelkastenproducent. Later begon het auto-onderdelen en motorfietsen te bouwen, sinds ‘98 ook auto’s. Het is nu een van de grote autoproducenten in China. Geely kocht onlangs ook een controlebelang van 51% in Manganese Bronze, de Britse bouwer van Londense taxi’s. Nu komt daar Volvo Cars bij.

Bron: http://www.deredactie.be/cm/vrtnieuws/economie/100328GeelyVolvo

Wie het beste meent voor zijn of haar volk en dus volksnationalistisch is, is duidelijk ook een antiglobalist. Dit soort socio-economische ontwikkelingen zorgen ervoor dat de volkeren de controle volledig over hun eigen economie verliezen. “Werk in eigen streek”  is een oude slogan van de Vlaamse Beweging, die uiteraard volledig terecht is. Maar wat is de waarde daarvan als men gaat werken voor een Chinees bedrijf, dat z’n energie krijgt van Franse kerncentrale’s en dat bereikbaar is via een openbaar vervoer in Franse handen…

jeudi, 01 avril 2010

Bill Gates talks about "vaccines to reduce population"

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Bill Gates talks about
‘vaccines to reduce population’


By F. William Engdahl

Ex: http://www.engdahl.oilgeopolitics.net/

 

Microsoft founder and one of the world’s wealthiest men, Bill Gates, projects an image of a benign philanthropist using his billions via his (tax exempt) Bill & Melinda Gates Foundation, to tackle diseases, solve food shortages in Africa and alleviate poverty. In a recent conference in California, Gates reveals a less public agenda of his philanthropy―population reduction, otherwise known as eugenics.

Gates made his remarks to the invitation-only Long Beach, California TED2010 Conference, in a speech titled, “Innovating to Zero!.” Along with the scientifically absurd proposition of reducing manmade CO2 emissions worldwide to zero by 2050, approximately four and a half minutes into the talk, Gates declares, "First we got population. The world today has 6.8 billion people. That's headed up to about 9 billion. Now if we do a really great job on new vaccines, health care, reproductive health services, we lower that by perhaps 10 or 15 percent."1 (author’s emphasis).

In plain English, one of the most powerful men in the world states clearly that he expects vaccines to be used to reduce population growth. When Bill Gates speaks about vaccines, he speaks with authority. In January 2010 at the elite Davos World Economic Forum, Gates announced his foundation would give $10 billion (circa €7.5 billion) over the next decade to develop and deliver new vaccines to children in the developing world.

The primary focus of his multi-billion dollar Gates Foundation is vaccinations, especially in Africa and other underdeveloped countries. Bill and Melinda Gates Foundation is a founding member of the GAVI Alliance (Global Alliance for Vaccinations and Immunization) in partnership with the World Bank, WHO and the vaccine industry. The goal of GAVI is to vaccinate every newborn child in the developing world.2

Now that sounds like noble philanthropic work. The problem is that the vaccine industry has been repeatedly caught dumping dangerous―meaning unsafe because untested or proven harmful―vaccines onto unwitting Third World populations when they cannot get rid of the vaccines in the West.3 Some organizations have suggested that the true aim of the vaccinations is to make people sicker and even more susceptible to disease and premature death.4

Dumping toxins on the Third World

In the aftermath of the most recent unnecessary Pandemic declaration of a global H1N1 swine flu emergency, industrial countries were left sitting on hundreds of millions of doses of untested vaccines. They decided to get rid of the embarrassing leftover drugs by handing them over to the WHO which in turn plans to dump them for free on select poor countries. France has given 91 million of the 94 million doses the Sarkozy government bought from the pharma giants; Britain gave 55 million of its 60 million doses. The story for Germany and Norway is similar.5

As Dr. Thomas Jefferson, an epidemiologist with the Cochrane Research Center in Rome noted, “Why do they give the vaccines to the developing countries at all? The pandemic has been called off in most parts of the world. The greatest threat in poor countries right now is heart and circulatory diseases while the virus figures at the bottom of the list. What is the medical reason for donating 180 million doses?”6 As well, flu is a minor problem in countries with abundant sunshine, and it turned out that the feared H1N1 Pandemic “new great plague” was the mildest flu on record.

The pharmaceutical vaccine makers do not speak about the enormous health damage from infant vaccination including autism and numerous neuro-muscular deformities that have been traced back to the toxic adjuvants and preservatives used in most vaccines. Many vaccines, especially multi-dose vaccines that are made more cheaply for sale to the Third World, contain something called Thimerosal (Thiomersol in the EU), a compound (sodium ethylmercurithiosalicylate), containing some 50% mercury, used as a preservative.

In July 1999 the US’ National Vaccine Information Center declared in a press release that, "The cumulative effects of ingesting mercury can cause brain damage." The same month, the American Academy of Pediatrics (AAP) and the Centers for Disease Control and Prevention (CDC) alerted the public about the possible health effects associated with thimerosal-containing vaccines. They strongly recommended that thimerosal be removed from vaccines as soon as possible. Under the directive of the FDA Modernization Act of 1997, the Food and Drug Administration also determined that infants who received several thimerosal-containing vaccines may be receiving mercury exposure over and above the recommended federal guidelines.7

A new form of eugenics?

Gates’ interest in inducing population reduction among black and other minority populations is not new unfortunately. As I document in my book, Seeds of Destruction8, since the 1920’s the Rockefeller Foundation had funded the eugenics research in Germany through the Kaiser-Wilhelm Institutes in Berlin and Munich, including well into the Third Reich. They praised the forced sterilization of people by Hirtler Germany, and the Nazi ideas on race “purity.” It was John D. Rockefeller III, a life-long advocate of eugenics, who used his “tax free” foundation money to initiate the population reduction neo-Malthusian movement through his private Population Council in New York beginning in the 1950’s.

The idea of using vaccines to covertly reduce births in the Third World is also not new. Bill Gates’ good friend, David Rockefeller and his Rockefeller Foundation were involved as early as 1972 in a major project together with WHO and others to perfect another “new vaccine.”

The results of the WHO-Rockefeller project were put into mass application on human guinea pigs in the early 1990's. The WHO oversaw massive vaccination campaigns against tetanus in Nicaragua, Mexico and the Philippines. Comite Pro Vida de Mexico, a Roman Catholic lay organization, became suspicious of the motives behind the WHO program and decided to test numerous vials of the vaccine and found them to contain human Chorionic Gonadotrophin, or hCG. That was a curious component for a vaccine designed to protect people against lock-jaw arising from infection with rusty nail wounds or other contact with certain bacteria found in soil. The tetanus disease was indeed, also rather rare. It was also curious because hCG was a natural hormone needed to maintain a pregnancy. However, when combined with a tetanus toxoid carrier, it stimulated formation of antibodies against hCG, rendering a woman incapable of maintaining a pregnancy, a form of concealed abortion. Similar reports of vaccines laced with hCG hormones came from the Philippines and Nicaragua.9

Gates’ ‘Gene Revolution in Africa’

The Bill and Melinda Gates Foundation, along with David Rockefeller’s Rockefeller Foundation, the creators of the GMO biotechnology, are also financing a project called The Alliance for a Green Revolution in Africa (AGRA) headed by former UN chief, Kofi Annan. Accepting the role as AGRA head in June 2007 Annan expressed his “gratitude to the Rockefeller Foundation, the Bill & Melinda Gates Foundation, and all others who support our African campaign.” The AGRA board is dominated by people from both the Gates’ and Rockefeller foundations.10

Monsanto, DuPont, Dow, Syngenta and other major GMO agribusiness giants are reported at the heart of AGRA, using it as a back-door to spread their patented GMO seeds across Africa under the deceptive label, ‘bio-technology,’ a euphemism for genetically engineered patented seeds. The person from the Gates Foundation responsible for its work with AGRA is Dr. Robert Horsch, a 25-year Monsanto GMO veteran who was on the team that developed Monsanto’s RoundUp Ready GMO technologies.  His job is reportedly to use Gates’ money to introduce GMO into Africa.11

To date South Africa is the only African country permitting legal planting of GMO crops. In 2003 Burkina Faso authorized GMO trials. In 2005 Kofi Annan’s Ghana drafted bio-safety legislation and key officials expressed their intentions to pursue research into GMO crops. AGRA is being used to create networks of “agro-dealers” across Africa, at first with no mention of GMO seeds or herbicides, in order to have the infrastructure in place to massively introduce GMO.12

GMO, glyphosate and population reduction

GMO crops have never been proven safe for human or animal consumption. Moreover, they are inherently genetically ‘unstable’ as they are an unnatural product of introducing a foreign bacteria such as Bacillus Thuringiensis (Bt) or other material into the DNA of a given seed to change its traits. Perhaps equally dangerous are the ‘paired’ chemical herbicides sold as a mandatory part of a GMO contract, such as Monsanto’s Roundup, the most widely used such herbicide in the world. It contains highly toxic glyphosate compounds that have been independently tested and proven to exist in toxic concentrations in GMO applications far above that safe for humans or animals. Tests show that tiny amounts of glyphosate compounds would do damage to a human umbilical, embryonic and placental cells in a pregnant woman drinking the ground water near a GMO field.13

One long-standing project of the US Government has been to perfect a genetically-modified variety of corn, the diet staple in Mexico and many other Latin American countries. The corn has been field tested in tests financed by the US Department of Agriculture along with a small California bio-tech company named Epicyte. Announcing his success at a 2001 press conference, the president of Epicyte, Mitch Hein, pointing to his GMO corn plants, announced, “We have a hothouse filled with corn plants that make anti-sperm antibodies.”14

Hein explained that they had taken antibodies from women with a rare condition known as immune infertility, isolated the genes that regulated the manufacture of those infertility antibodies, and, using genetic engineering techniques, had inserted the genes into ordinary corn seeds used to produce corn plants. In this manner, in reality they produced a concealed contraceptive embedded in corn meant for human consumption. “Essentially, the antibodies are attracted to surface receptors on the sperm,” said Hein. “They latch on and make each sperm so heavy it cannot move forward. It just shakes about as if it was doing the lambada.”15 Hein claimed it was a possible solution to world “over-population.” The moral and ethical issues of feeding it to humans in Third World poor countries without their knowing it countries he left out of his remarks.

Spermicides hidden in GMO corn provided to starving Third World populations through the generosity of the Gates’ foundation, Rockefeller Foundation and Kofi Annan’s AGRA or vaccines that contain undisclosed sterilization agents are just two documented cases of using vaccines or GMO seeds to “reduce population.”

And the ‘Good Club’

Gates’ TED2010 speech on zero emissions and population reduction is consistent with a report that appeared in New York City’s ethnic media, Irish.Central.com in May 2009. According to the report, a secret meeting took place on May 5, 2009 at the home of Sir Paul Nurse, President of Rockefeller University, among some of the wealthiest people in America. Investment guru Warren Buffett who in 2006 decided to pool his $30 billion Buffett Foundation into the Gates foundation to create the world’s largest private foundation with some $60 billions of tax-free dollars was present. Banker David Rockefeller was the host.

The exclusive letter of invitation was signed by Gates, Rockefeller and Buffett. They decided to call themselves the “Good Club.” Also present was media czar Ted Turner, billionaire founder of CNN who stated in a 1996 interview for the Audubon nature magazine, where he said that a 95% reduction of world population to between 225-300 million would be “ideal.” In a 2008 interview at Philadelphia’s Temple University, Turner fine-tuned the number to 2 billion, a cut of more than 70% from today’s population. Even less elegantly than Gates, Turner stated, “we have too many people. That’s why we have global warming. We need less people using less stuff (sic).”16

Others attending this first meeting of the Good Club reportedly were: Eli Broad real estate billionaire, New York’s billionaire Mayor Michael Bloomberg and Wall Street billionaire and Council on Foreign Relations former head, Peter G. Peterson.

In addition, Julian H. Robertson, Jr., hedge-fund billionaire who worked with Soros attacking the currencies of Thailand, Indonesia, South Korea and the Asian Tigen economies, precipitating the 1997-98 Asia Crisis. Also present at the first session of the Good Club was Patty Stonesifer, former chief executive of the Gates foundation, and John Morgridge of Cisco Systems. The group represented a combined fortune of more than $125 billion.17

According to reports apparently leaked by one of the attendees, the meeting was held in response to the global economic downturn and the numerous health and environmental crises that are plaguing the globe.

But the central theme and purpose of the secret Good Club meeting of the plutocrats was the priority concern posed by Bill Gates, namely, how to advance more effectively their agenda of birth control and global population reduction. In the talks a consensus reportedly emerged that they would “back a strategy in which population growth would be tackled as a potentially disastrous environmental, social and industrial threat.”18

Global Eugenics agenda

Gates and Buffett are major funders of global population reduction programs, as is Turner, whose UN Foundation was created to funnel $1 billion of his tax-free stock option earnings in AOL-Time-Warner into various birth reduction programs in the developing world.19 The programs in Africa and elsewhere are masked as philanthropy and providing health services for poor Africans. In reality they involve involuntary population sterilization via vaccination and other medicines that make women of child-bearing age infertile. The Gates Foundation, where Buffett deposited the bulk of his wealth two years ago, is also backing introduction of GMO seeds into Africa under the cloak of the Kofi Annan-led ‘Second Green Revolution’ in Africa. The introduction of GMO patented seeds in Africa to date has met with enormous indigenous resistance.

Health experts point out that were the intent of Gates really to improve the health and well-being of black Africans, the same hundreds of millions of dollars the Gates Foundation has invested in untested and unsafe vaccines could be used in providing minimal sanitary water and sewage systems. Vaccinating a child who then goes to drink feces-polluted river water is hardly healthy in any respect. But of course cleaning up the water and sewage systems of Africa would revolutionize the health conditions of the Continent.

Gates’ TED2010 comments about having new vaccines to reduce global population were obviously no off-the-cuff remark. For those who doubt, the presentation Gates made at the TED2009 annual gathering said almost exactly the same thing about reducing population to cut global warming. For the mighty and powerful of the Good Club, human beings seem to be a form of pollution equal to CO2.






1 Bill Gates, “Innovating to Zero!, speech to the TED2010 annual conference, Long Beach, California, February 18, 2010, accessed here

2 Telegraph.co.uk, Bill Gates makes $10 billion vaccine pledge, London Telegraph, January 29, 2010, accessed here

3 Louise Voller, Kristian Villesen, WHO Donates Millions of Doses of Surplus Medical Supplies to Developing countries,  Danish Information, 22 December 2009, accessed here

4 One is the Population Research Institute in Washington

5 Louise Voller et al, op. cit.

6 Ibid.

7 Noted in Vaccinations and Autism, accessed here

8 F. William Engdahl, Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation, Global Research, Montreal,  2007, pp. 79-84.

9 James A. Miller, Are New Vaccines Laced With Birth-Control Drugs?, HLI Reports, Human Life International, Gaithersburg, Maryland; June-July 1995.

10 Cited in F. William Engdahl, "Doomsday Seed Vault" in the Arctic: Bill Gates, Rockefeller and the GMO giants know something we don’t, Global Research, December 4, 2007, accessed here

11 Mariam Mayet, Africa’s Green Revolution rolls out the Gene Revolution, African Centre for Biosafety, ACB Briefing Paper No. 6/2009, Melville, South Africa, April 2009.

12 Ibid.

13 Nora Benachour and Gilles-Eric Seralini, Glyphosate Formulations Induce Apoptosis and Necrosis in Human Umbilical Embryonic, and Placental Cells, Chemical Research in Toxicology Journal, American Chemical Society, ,  (1), pp 97–105.

14 Robin McKie, GMO Corn Set to Stop Man Spreading His Seed, London, The Observer, 9 September 2001.

15 Ibid. McKie writes, “The pregnancy prevention plants are the handiwork of the San Diego biotechnology company Epicyte, where researchers have discovered a rare class of human antibodies that attack sperm…the company has created tiny horticultural factories that make contraceptives…Essentially, the antibodies are attracted to surface receptors on the sperm,” said Hein.  “They latch on and make each sperm so heavy it cannot move forward.  It  just shakes about as if it was doing the lambada.”

16 Ted Turner, cited along with youTube video of  Turner in Aaron Dykes, Ted Turner: World Needs a 'Voluntary' One-Child Policy for the Next Hundred Years, Jones Report.com, April 29, 2008.
Accessed here

17 John Harlow, Billionaire club in bid to curb overpopulation, London, The Sunday Times May 24, 2009. Accessed here

18 Ibid.

19 United Nations Foundation, Women and Population Program, accessed here
 

mercredi, 24 mars 2010

LEAP: les cinq séquences de la phase de dislocation géopolitique globale

LEAP : les cinq séquences de la phase de dislocation géopolitique globale

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Communiqué public du Laboratoire Européen d’Anticipation Politique (LEAP), du 15 mars 2010

En cette fin de premier trimestre 2010, au moment où sur les fronts monétaires, financiers, commerciaux et stratégiques, les signes de confrontations se multiplient au niveau international, tandis que la violence du choc social de la crise se confirme au sein des grands pays et ensembles régionaux, le LEAP/Europe2020 est en mesure de fournir un premier séquençage anticipatif du déroulement de cette phase de dislocation géopolitique mondiale.

Hercule capturant Cerbère, par Hans Sebald Beham, 1545 - Cliquez sur l'image pour l'agrandir


Nous rappelons que cette phase ne peut être un prélude à une réorganisation pérenne du système international que si, d’ici le milieu de cette décennie, les conséquences de l’effondrement de l’ordre mondial hérité de la seconde guerre mondiale et de la chute du Rideau de Fer, sont pleinement tirées. Cette évolution implique, notamment, une refonte complète du système monétaire international, pour remplacer le système actuel, fondé sur le Dollar américain, par un système basé sur une devise internationale, dont la valeur dérive d’un panier des principales monnaies mondiales, pondérées par le poids respectif de leurs économies.

En publiant, l’année dernière à la même époque, un message en ce sens sur une pleine page du Financial Times, à la veille du sommet du G-20 à Londres, nous avions indiqué que la « fenêtre de tir » idéale pour une telle réforme radicale, se situait entre le printemps et l’été 2009, faute de quoi le monde s’engagerait dans la phase de dislocation géopolitique globale à la fin 2009 (1).

Cliquez sur le graphique pour l'agrandir

L’ « Anneau de Feu » des dettes souveraines – Répartition graphique des Etats, en fonction de leur dette et de leur déficit publics (en % PIB) – Source : Reuters Ecowin, 02/2010

L’échec du sommet de Copenhague en décembre 2009, qui met fin à près de deux décennies de coopération internationale dynamique sur ce sujet, sur fond de conflits croissants entre Américains et Chinois, et de division occidentale sur la question (2), est ainsi un indicateur pertinent, qui confirme cette anticipation de nos chercheurs. Les relations internationales se dégradent dans le sens d’une multiplication des tensions (zones et sujets), tandis que la capacité des Etats-Unis à jouer leur rôle d’entraînement (3), ou même tout simplement de « patron » de leurs propres clients, s’évanouit chaque mois un peu plus (4).

En cette fin de premier trimestre 2010, on peut notamment souligner :

. la dégradation régulière des relations sino-américaines (Taïwan, Tibet, Iran, parité Dollar-Yuan (5), baisse des achats de Bons du Trésor US, conflits commerciaux multiples…)
. les dissensions transatlantiques croissantes (Afghanistan (6), OTAN (7), contrats ravitailleurs US Air Force (8), climat, crise grecque…)
. la paralysie décisionnelle de Washington (9)
. l’instabilité sans répit au Moyen-Orient (10) et l’aggravation des crises potentielles Israël-Palestine et Israël-Iran
. le renforcement des logiques de blocs régionaux (Asie, Amérique latine (11) et Europe en particulier)
. la volatilité monétaire (12) et financière (13) mondiale accrue
. l’inquiétude renforcée sur les risques souverains
. la critique croissante du rôle des banques US associée à une réglementation visant à régionaliser les marchés financiers (1)
. etc.

Evolution de la rentabilité (en %) du New York Stock Exchange de 1825 à 2008 – Sources : Value Square Asset Management / Yale School of Management, 2009

Parallèlement, sur fond d’absence de reprise économique (15), les confrontations sociales se multiplient en Europe, tandis qu’aux Etats-Unis, le tissu social est purement et simplement démantelé (16). Si le premier phénomène est plus visible que le second, c’est pourtant le second qui est le plus radical. La maîtrise de l’outil de communication international par les Etats-Unis, permet de masquer les conséquences sociales de cette destruction des services publics et sociaux américains, sur fond de paupérisation accélérée de la classe moyenne du pays (17). Et cette dissimulation est rendue d’autant plus aisée que, à la différence de l’Europe, le tissu social américain est atomisé (18) : faible syndicalisation, syndicats très sectorisés sans revendication sociale générale, identification historique de la revendication sociale avec des attitudes « anti-américaines » (19)… Toujours est-il que, des deux côtés de l’Atlantique (et au Japon), les services publics (transports en commun, police, pompier…) et sociaux (santé, éducation, retraite…) sont en voie de démantèlement, quand ils ne sont pas purement et simplement fermés ; que les manifestations (20), parfois violentes, se multiplient en Europe, tandis que les actions de terrorisme domestique ou de radicalisation politique (21) sont de plus en plus nombreuses aux Etats-Unis.

En Chine, le contrôle croissant de l’Internet et des médias est, avant tout, un indicateur fiable de la nervosité accrue des dirigeants pékinois, en ce qui concerne l’état de leur opinion publique. Les manifestations sur les questions de chômage et de pauvreté continuent à se multiplier, contredisant le discours optimiste des leaders chinois sur l’état de leur économie.

En Afrique, la fréquence des coups d’Etat s’accélère depuis l’année dernière.

Et en Amérique latine, malgré des chiffres macro-économiques plutôt positifs, l’insatisfaction sociale nourrit les risques de changements de cap politique radicaux, comme on l’a vu au Chili.

Evolution de la dépense nominale (22) dans l’OCDE (en % du PNB de l’année précédente) – Source : MacroMarketMusings / David Beckworth, 11/2009

L’ensemble de ces tendances est en train de former très rapidement un « cocktail socio-politique explosif », qui conduit directement à des conflits entre composantes de la même entité géopolitique (conflits Etats fédérés/Etat fédéral aux Etats-Unis, tensions entre Etats-membres dans l’UE, entre Républiques et Fédération en Russie, entre provinces et gouvernement central en Chine), entre groupes ethniques (montée des sentiments anti-immigrés un peu partout) et recours au nationalisme national ou régional (23) pour canaliser ces tensions destructrices. L’ensemble se déroulant sur fond de paupérisation des classes moyennes aux Etats-Unis, au Japon et en Europe (en particulier au Royaume-Uni et dans les pays européens et asiatiques (24), où les ménages et les collectivités sont les plus endettés).

Dans ce contexte, le LEAP/E2020 considère que la phase de dislocation géopolitique mondiale va se dérouler selon cinq séquences temporelles, qui sont développées dans ce [numéro], à savoir :

0. Initiation de la phase de dislocation géopolitique mondiale – T4 2009 / T2 2010
1. Séquence 1 : Conflits monétaires et de chocs financiers
2. Séquence 2 : Conflits commerciaux
3. Séquence 3 : Crises souveraines
4. Séquence 4 : Crises socio-politiques
5. Séquence 5 : Crises stratégiques

Par ailleurs, dans ce numéro [...], notre équipe présente les huit pays qui lui paraissent plus dangereux que la Grèce en matière de dette souveraine, tout en présentant son analyse de l’évolution post-crise de l’économie financière, par rapport à l’économie réelle. Enfin, le LEAP/E2020 présente ses recommandations mensuelles (devises, actifs…), y compris certains critères pour une lecture plus fiable des informations, dans le contexte particulier de la phase de dislocation géopolitique mondiale.

——————-

Notes :

(1) Joseph Stiglitz et Simon Johnson ne disent désormais pas autre chose, quand ils estiment que la crise est en train de devenir une occasion ratée de réforme du système financier mondial, qui va conduire rapidement à de nouveaux chocs. Source : USAToday, 12/03/2010

(2) Américains et Européens ont des positions diamétralement opposées sur ce sujet et l’arrivée au pouvoir de Barack Obama n’a fait que rendre plus compliqué le positionnement public des Européens (puisqu’ils se sont affirmés d’emblée « Obamaphiles »), sans changer la donne sur le fond.

(3) Même dans le domaine de la recherche, la place des Etats-Unis recule très rapidement. Ainsi, le classement mondial des meilleures institutions de recherche ne compte plus que six institutions américaines sur les quinze premières, contre quatre européennes et deux chinoises ; et aucune, dans les trois premières places. Source : Scimago Institutions Rankings 2009, 03/2009

(4) Comme l’illustre l’attitude d’Israël, qui agit dorénavant de manière presque injurieuse vis-à-vis de Washington. C’est un indicateur important, car personne mieux que les alliés les plus proches, n’est en mesure de percevoir le degré d’impuissance d’un empire. Les ennemis, ou bien les alliés récents ou éloignés, sont incapables d’une telle perception, car ils n’ont pas un accès aussi intime au pouvoir central, ni un recul historique suffisant pour pouvoir déceler une telle évolution. L’éditorial de Thomas Friedman dans le New York Times du 13/03/2010 illustre bien le désarroi des élites américaines, face à l’attitude de plus en plus désinvolte de leur allié israelien, et également l’incapacité de l’administration américaine à réagir fermement à cette désinvolture.

(5) Le ton monte considérablement sur cette question, qui devient un enjeu de pouvoir symbolique autant qu’économique, pour Pékin comme pour Washington. Sources : China Daily, 14/03/2010 ; Washington Post, 14/03/2010.

(6) Le repli probable d’un grand nombre de troupes de l’OTAN hors d’Afghanistan, en 2011, conduit ainsi la Russie et l’Inde à développer une stratégie commune, notamment avec l’Iran, pour prévenir un retour des Talibans au pouvoir ! Source : Times of India, 12/03/2010

(7) Outre la chute du gouvernement néerlandais sur la question de l’Afghanistan, c’est maintenant d’Allemagne que vient l’idée d’intégrer la Russie à l’OTAN, une bonne vieille idée russe, au prétexte que l’OTAN n’est plus pertinente dans sa forme actuelle. Source : Spiegel, 08/03/2010

(8) Les Européens sont tous très remontés, suite à la décision de Washington d’éliminer, de facto, l’offre européenne du grand contrat de renouvellement des ravitailleurs de l’US Air Force. Cette décision marque probablement la fin du mythe (en vogue en Europe) d’un marché transatlantique des armements. Washington ne laissera pas d’autres compagnies que les siennes gagner de tels grands contrats. Les Européens vont donc devoir envisager sérieusement de se fournir essentiellement, eux aussi, auprès de leur industrie de défense. Source : Financial Times, 09/03/2010

(9) Même le Los Angeles Times du 28/02/2010 se fait l’écho des inquiétudes de l’historien britannique Niall Ferguson, qui estime que l’ « empire américain » peut désormais s’effondrer du jour au lendemain, comme ce fut le cas pour l’URSS.

(10) Et le fait que l’ensemble du monde arabe est désormais fortement affecté par la crise économique mondiale, va ajouter à l’instabilité régionale chronique. Source : Awid/Pnud, 19/02/2010

(11) Le Vénézuela s’équipe ainsi d’avions de chasse chinois. Une situation de scénario de politique fiction, il y a seulement cinq ans. Source: YahooNews, 14/03/2010

(12) Comme nous l’avions anticipé dans les précédents [numéros], la « crise grecque » se dissipant, on retourne aux réalités des tendances lourdes de la crise et, comme par hasard, depuis quelques jours, on commence à voir de nouveau des analyses qui mettent en perspective la perte, par les Etats-Unis, de leur notation AAA concernant leur dette ; et la fin du statut de monnaie de réserve du Dollar. Sources : BusinessInsider/Standard & Poor’s, 12/03/2010

(13) Le graphique ci-dessous illustre la volatilité toujours plus forte qui caractérise les places financières et qui, selon le LEAP/E2020, est un indice de risque systémique majeur. Si on regarde la rentabilité du New York Stock exchange sur plus de 180 ans, on constate que les années de la décennie passée (2000-2008 et on pourrait certainement y ajouter 2009) figurent aux extrêmes des meilleurs et des pires résultats. C’est un résultat statistiquement improbable, sauf à ce que les marchés financiers, et les tendances qui les animent, soient entrés dans une phase d’incertitude radicale, détachés de l’économie réelle et de son inertie. La taille des ordres passés sur les marchés financiers mondiaux s’est ainsi réduite de 50% en cinq ans, sous l’effet de l’automatisation et des méthodes à « haute fréquence », accroissant donc leur volatilité potentielle. Source : Financial Times, 21/02/2010

(14) Le récent avertissement du Secrétaire d’Etat au Trésor US, Thimoty Geithner, concernant les risques de dérive transatlantique en matière de réglementation financière, n’est que le dernier indice de cette évolution. Source : Financial Times, 10/03/2010

(15) Dernier exemple en date, la Suède, qui pensait avoir traversé la crise, se retrouve à nouveau plongée dans la récession, au vu des très mauvais chiffres du 4° trimestre 2009. Source : SeekingAlpha, 02/03/2010

(16) Le taux de chômage US est désormais voisin de 20%, avec des pics à 40%-50% pour les classes sociales défavorisées. Pour éviter de faire face à cette réalité, les autorités américaines pratiquent, à très grande échelle, une manipulation des chiffres de la population active et de la population à la recherche d’emploi. L’article de Steven Hansen publié le 21/02/2010 sur SeekingAlpha et intitulé « Which economic world are we in ? », offre une perspective intéressante à ce sujet.

(17) Une analyse, certes radicale mais très bien documentée et assez pertinente de cette situation, est développée par David DeGraw sur Alternet du 15/02/2010.

(18) Source (y compris les commentaires) : MarketWatch, 25/02/2010

(19) C’est la suspicion du « Rouge », du « Coco », qui dormirait dans chaque syndicaliste ou manifestant pour des causes sociales.

(20) Même aux Etats-Unis, où les étudiants manifestent contre les hausses des droits d’inscription et où la population s’inquiète de la fermeture de la moitié des écoles publiques dans une ville comme Kansas City, tandis qu’à New York ce sont 62 brigades de pompiers qui vont être supprimées. Sources : New York Times, 04/03/2010 ; USAToday, 12/03/2010 ; Fire Engineering, 11/03/2010

(21) De Joe Stack aux Tea Parties, la classe moyenne américaine tend à se radicaliser très rapidement depuis la mi-2009.

(22) La dépense nominale est la valeur totale des dépenses, dans une économie non corrigée de l’inflation. C’est, en fait, la valeur de la demande totale. On constate, sur ce graphique, que la crise marque un effondrement de la demande.

(23) Le terme régional est utilisé ici au sens géopolitique, d’ensemble régional (UE, Asean…).

(24) Ainsi en Corée du Sud, l’endettement des ménages continue de s’aggraver avec la crise, tandis que les entreprises accumulent des réserves de liquidités au lieu d’investir, car elles ne croient pas à la reprise. Source : Korea Herald, 03/03/2010

LEAP Europe 2020

(Merci à SPOILER)

jeudi, 11 mars 2010

Carrefour: "We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!"

Carrefour: “We maken winst, dus we gaan mensen ontslaan!”

Het is volop in het nieuws momenteel. Carrefour zal in België 1.672 banen schrappen. Blijkbaar zou Carrefour zoveel verlies maken dat ze niet anders kunnen. Maar een artikel in Trends doet wel anders vermoeden:

De winkelketen Carrefour maakte in ons land eind 2008 nog 66 miljoen euro nettowinst. Ook het bedrijfsresultaat klokte dat jaar nog af op 46 miljoen euro. De 1,6 miljard aan geldbeleggingen maakten de situatie van Carrefour België helemaal minder zwartgallig dan de berichten de afgelopen week deden vermoeden.

Bron: http://trends.rnews.be/nl/economie/nieuws/bedrijven/de-nettowinsten-van-carrefour-belgie/article-1194668433895.htm

Wat is hier aan de hand? Heel simpel, Carrefour doet zoals zovele bedrijven, namelijk aan winstmaximalisatie. An sich is dat geen probleem zolang de bedrijven verankerd zijn in de lokale gemeenschap, en dan spreek ik meer dan over een economisch belang (zijnde winst maken en jobs maken). Het gaat ook over het besef van de beheerders van een bedrijf wat de rol en impact van hun bedrijf is op de maatschappij. Iets dat bij multinationals maar zéér zelden aanwezig is, want men nu ook vandaag de dag bij Carrefour ziet. Werk in eigen streek is belangrijk, werk voor en door eigen volk is de logische én noodzakelijke aanvulling daarop.

Wanneer men enkel aan (nog meer) winst denkt, dan krijgt men dit soort toestanden. Het walgelijkste voorbeeld hiervan is bij momenten het pleidooi voor lagere lonen, etc… van bepaalde organisaties met het dreigement dat ze anders naar China gaan. Wel, dat ze dan maar vertrekken. Wij moeten niet gaan denken dat wij op enig moment kunnen gaan werken voor de Chinese lonen zonder enig moment zeer zwaar in te boeten op levenskwaliteit.

jeudi, 17 décembre 2009

Questions internationales: mondialisation et criminalité

Dans les kiosques !

Impératif ! Lecture vivement conseillée !

Questions Internationales n°40 Novembre/Decembre 09 HQ [Hotfile]

mardi, 08 décembre 2009

Qu'est-ce que la démondialisation?

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Qu'est-ce que la démondialisation?

Ex: http://unitepopulaire.org/

« Le modèle de démondialisation se déline en onze point clés :

1        Le centre de gravité de l’économie doit être la production destinée au marché intérieur et non à l’exportation.

2        Le principe de subsidiarité doit être inscrit dans la vie économique par des incitations à produire les biens à l’échelle locale ou nationale tant que cela peut se faire à des coûts raisonnables, afin de protéger la communauté.

3        La politique commerciale (autrement dit les quotas et les barrières douanières) doivent avoir pour but de protéger l’économie locale contre les importations de matières premières subventionnées, à des prix artificiellement bas.

4        La politique industrielle (qui inclut subventions, barrières douanières et échanges commerciaux) doit avoir pour objectif de revitaliser et de renforcer le secteur manufacturier.

5        Toujours remises à plus tard, les mesures de redistribution équitable des revenus et des terres (y compris la réforme foncière en milieu urbain) peuvent créer un marché intérieur dynamique qui deviendra le pilier de l’économie et produira au niveau local des ressources financières pour l’investissement.

6        Accorder moins d’importance à la croissance, mettre l’accent sur l’amélioration de la qualité de vie et renforcer l’équité, c’est contribuer à réduire les déséquilibres environnementaux.

7        La mise au point et la diffusion de technologies vertes doivent être encouragées tant dans l’agriculture que dans l’industrie.

8        Les décisions économiques stratégiques ne peuvent être laissées au marché ni aux technocrates. Toutes les questions vitales (déterminer quelles industries développer, celles qu’il faut abandonner progressivement, quelle part du budget de l’Etat consacrer à l’agriculture, etc.) doivent au contraire faire l’objet de débats et de choix démocratiques.

9        La société civile doit en permanence surveiller et superviser le secteur privé et l’Etat, selon un processus qui doit être institutionnalisé.

10     Le régime de la propriété doit évoluer pour devenir une économie mixte intégrant coopératives et entreprises privées et publiques mais excluant les groupes multinationaux.

11     Les institutions mondiales centralisées comme le FMI ou la Banque mondiale doivent céder la place à des institutions régionales bâties non sur l’économie de marché et la mobilité des capitaux, mais sur des principes de coopération qui, selon l’expression utilisée par Hugo Chavez pour décrire son Alternative Bolivarienne pour les Amériques (ALBA), “transcendent la logique du capitalisme”.

Le modèle de démondialisation a pour objectif d’aller au-delà de la théorie économique étriquée de l’efficacité, pour laquelle le critère essentiel est la réduction du coût unitaire, quelles qu’en soient les conséquences en termes de déstabilisation sociale ou écologique. Il s’agit de dépasser un système de calcul économique qui, selon les termes de l’économiste John Maynard Keynes, a transformé “l’existence tout entière en parodie d’un cauchemar de comptable”. »

 

Walden Bello, membre de la Chambre des représentants des Philippines, professeur de sociologie, Foreign Policy in Focus (USA), septembre 2009

mardi, 01 décembre 2009

Suicide by Multiculturalism

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Suicide by Multiculturalism

The charade is up. It’s now apparent that Nidal Hasan was acting upon the Islamic doctrine of holy war when he carried out mass murder at Fort Hood. But will this fact, like so many others, make any appreciable difference in our future course? Almost a decade has passed since the September 11th attacks, but Americans are more confused than ever on the origin, meaning and intent of Muslim militancy. We deceive ourselves with our own false vision of humanity; in doing so we race further toward destruction.

Through the evil he willed, Hasan delivered news the post-Christian West can’t bear to hear: modern universalism, the movement toward a secularized, borderless world of voters and consumers, is an unsustainable fraud. Witness the delusion that reigns at the highest levels of power. The U.S. Army Chief of Staff, General George Casey, gave us a perfect display of the elites’ unswerving dedication to its ideological program:

It would be a shame—as great a tragedy as this was—it would be a shame if our diversity became a casualty as well.

Given the establishment’s response to the atrocity, its representatives prefer death (not their own, of course, but yours will do well enough) to facing not only the reality of jihad, but the bankruptcy of the liberal project.

Hasan also reminded us about the very nature of the centuries-long war waged by Islam against Dar el-Harb (the House of War, i.e. the world outside Islamic power). Actions ranging from full-blown invasions to smaller-scale operations that would today be termed “crime” or “terrorism” form the original basis of this faith’s expansion. Today’s West has actively facilitated the other key component of the growth of Islam, migration. With little regard to vital cultural and historical context, our elites have sown the ground for the current conflict by importing Muslim peoples en masse, a feat of recklessness without precedent.

This is not to imply a special animus against Muslims. But we must be cognizant of an enduring antagonism between civilizations that cannot be explained away by fashionable theories. Only an ignorant and fevered imagination would deem violence carried out in the name of Islam worldwide as some sort of contemporary anomaly.

Those who shrug about the growth of Islam in the West will obfuscate their way to an apology for multiculturalist policies at home and interventions abroad. Favorite terms used by officials and media commentators to expel all clarity from discussion include “extremist” and “Islamist.” It would be laughable to think about Mohammed and his followers as they fought to dominate the Arabian Peninsula and beyond as “Islamist extremists.” Were the Moors who overran Spain and threatened France also “extremists”? Or the Turks who captured Constantinople and ravaged their way deep into Europe? They were warriors fulfilling the imperatives of conquest laid out by their religion’s founder.

9:29. Fight against those who believe not in Allah, nor in the Last Day, nor forbid that which has been forbidden by Allah and His Messenger and those who acknowledge not the religion of truth (i.e. Islam) among the people of the Scripture (Jews and Christians), until they pay the Jizya with willing submission, and feel themselves subdued.

We are confronted with a belief system that since its inception has claimed nothing less than dominion over the entire earth. Liberal society cannot admit this, for to do so would subvert its organizing principles and its very own pretense to universality. 

Liberalism celebrates our common humanity in the most superficial manner (individual desire), while denying the essences of cultures and peoples. The exaltation of “human capital” as interchangeable and “enriching,” no matter the country of origin, has led to the phenomenon of Londonistan. America attempts to lay the foundations for Main Street in places like Kandahar and Mosul, and with its blood and debt buys only disaster.

All these frenzied exertions to assert the universal validity of the liberal ideal are speeding its demise. The pseudo-religion of the philosophes, bourgeois revolutionaries, and today’s managerial class was designed to destroy Christianity by mimicking and supplanting it. Yet it has now encountered an alien faith against which it possesses few defenses.

Modern Westerners have no historical context, no notion of the centuries of Islamic campaigns against Christendom because they have forgotten their faith and cultural heritage. Only a decadent society would invite waves of immigration from a culture with a well-established record of hostility. And only a society truly unhinged would then undertake military interventions in those nations for the sake of an ideological chimera. The Fort Hood massacre is an acute symptom of our civilization’s suicidal tendencies.

How can America and the West step back from the brink?

Honesty would make for a fine start.

Article URL: http://www.takimag.com/site/article/suicide_by_multiculturalism/

lundi, 30 novembre 2009

Modus Operandi de la desinformacion

desinformacion.jpgModus Operandi de la desinformación

El martes 10 de noviembre, el Ministerio de Defensa de Corea del Sur anunció que una patrulla norcoreana había cruzado la línea fronteriza marítima en el Mar Amarillo (o Mar Occidental) lo que provocó que un buque de la Marina de Corea del Sur realizara “disparos de advertencia” a los que respondieron los norcoreanos. Según la agencia noticiosa surcoreana Yonhap, el patrullero de Pyongyang “aparentemente sufrió daños”, aunque no se informó de víctimas.

La frontera marítima en aguas del Mar Occidental es una zona altamente conflictiva donde se han librado enfrentamientos con numerosas bajas entre buques de las dos Coreas. Pyongyang rechaza la controvertida Línea del Límite del Norte (NLL), impuesta al final de la Guerra de Corea (1950-1953) por las tropas de la ONU lideradas por EEUU.

Este incidente agregó significación a una reciente denuncia por desinformación maliciosa formulada por el destacado pacifista y escritor estadounidense Bruce K. Gagnon, coordinador de la “Red global contra las armas y el poder nuclear en el espacio”.


Se trata de un suceso que, sin ser excepcional ni novedoso, resalta la sistemática manipulación que caracteriza al modus operandi de la gran prensa corporativa.

Relataba Gagnon que el diario The Washington Post de la capital estadounidense había publicado el 13 de octubre de 2009 un artículo titulado “Disparó Corea del Norte cinco misiles”, referido al hecho cierto de que esa nación asiática lanzó tal cantidad de misiles de corto alcance tras lo cual declaró una prohibición de la navegación en aguas frente a sus costas orientales y occidentales, sin mencionar en lo absoluto las motivaciones que había tenido Pyongyang para adoptar esas medidas.

“Lo que fue convenientemente excluido de la noticia es que Estados Unidos y los militares surcoreanos acababan de iniciar grandes maniobras militares conjuntas en el Mar Occidental (o Amarillo), situado entre Corea y China, que tendrían lugar del 13 al 16 de octubre y que incluirían la participación del grupo de combate del portaviones USS George Washington. Corea del Norte temía que Estados Unidos y Corea del Sur (que ahora construye misiles de largo alcance capaces de alcanzar en profundidad el territorio de Corea del Norte) planearan utilizar la circunstancia para lanzar un ataque sorpresivo contra ellos”, observa Gagnon.

“Después de todo, -añade- ellos conocen de los ataques de EEUU contra Iraq y Afganistán, y escuchan el entrechoque de los sables de guerra que Estados Unidos blande contra Irán. Corea del Norte no puede descuidarse ante la ocurrencia de estos grandes ejercicios militares. Cuando tienen lugar, ellos dejan todo lo que estén haciendo y se preparan para la defensa de su país. Es esa una razón por la que su economía presenta tantos problemas.”

“Por eso, como medida preventiva, ellos dispararon al mar, sin intención ofensiva, los 5 misiles de corto alcance, a fin de advertir (al eventual atacante) que ellos estaban alertas”, dice Gagnon.

El Washington Post había escrito que, “la Secretaria de Estado, Hillary Clinton, reaccionando ante los informes sobre el lanzamiento de los misiles, declaró que Estados Unidos y sus aliados están tratando de demostrar a Corea del Norte que la comunidad internacional no aceptará la continuidad de su programa nuclear”.

Ironiza Gagnon que “Estados Unidos finge sorpresa por este comportamiento extravagante e inesperado de la ‘inestable’ Corea del Norte y utiliza el incidente como pretexto para recordar al mundo que los buenos americanos están trabajando fuertemente para detener el programa nuclear de Corea del Norte. Estados Unidos, en otras palabras, es apenas un ingenuo observador. El tío bueno sólo sacude la cabeza, consternado, ante la conducta de aquellos norcoreanos tan extravagantes”.

El objetivo de la inocente información –dice- es hacer que en la mente del lector norteamericano y en las de los de otros lugares del mundo bajo influencia de los medios corporativos que controla Washington quede sólo la idea de que los maniáticos norcoreanos, una vez más, han disparado misiles contra objetivos fantasmas.

Relata Gagnon que, habiendo tenido acceso al cúmulo de informaciones omitidas, pudo constatar de qué manera Estados Unidos y el Washington Post engañaban al público, incluso a la mayor parte de los congresistas de Estados Unidos, que ignoraba el grave peligro que significaban esos ejercicios que llevaban a cabo su país y Surcorea frente a las costas de Corea Democrática y de China, algo que la noticia sobre los cinco misiles pasó por alto.

Grupos de pacifistas en Corea del Sur, identificados con el intríngulis del asunto, se manifestaron en protesta durante los días de las maniobras conjuntas, sin que ello fuera reportado por los medios en Corea del Sur ni, mucho menos, por el Washington Post.

Gagnon considera que se trata de un revelador ejemplo de la forma en que se estigmatiza a Norcorea desde la Guerra de Corea. “La práctica es la misma que se ha usado contra Cuba durante muchos años, contra Irak, y en la actualidad contra Irán, Afganistán y Pakistán. Es el modus operandi de Estados Unidos”.

Manuel E. Yepe

Extraído de Argenpress.

~ por LaBanderaNegra en Noviembre 18, 2009.

mardi, 10 novembre 2009

Les convergences paradoxales de l'extrême gauche et de la superclasse mondiale

h-20-1565986-1244233639.jpgLes convergences paradoxales de l'extrême gauche et de la superclasse mondiale

Communication de Jean-Yves Le Gallou, ancien député français au Parlement européen, président de Polémia, à la XXVe Université annuelle du Club de l’Horloge le 18 octobre 2009


Comme Polémia l’a annoncé, le Club de l’Horloge a tenu son université annuelle les 17 et 18 octobre 2009 avec pour thème général :

CRISE ÉCONOMIQUE :

LA RESPONSABILITÉ DE LA “SUPERCLASSE MONDIALE”

Polémia qui était présent à cette manifestation mettra en ligne sur son site dans les jours à venir plusieurs des interventions. Cette série commence par l’allocution de son président Jean-Yves Le Gallou qui a traité un aspect socio-économique assez peu connu du public qui reste ancré sur le clivage d’un patronat appartenant plutôt à une droite conservatrice et opposé au gauchismes, au mondialisme et à l’altermondialisme.

Il a articulé son exposé :

LES CONVERGENCES PARADOXALES DE L'EXTREME GAUCHE ET DE LA SUPERCLASSE MONDIALE

en neuf points annoncés ci-après, la communication en totalité pouvant être téléchargée en pdf

1/ L’extrême gauche sert de bulldozer à la superclasse mondiale : elle procède à la déforestation du couvert culturel des nations.

2/ La superclasse mondiale veut le libréchangisme mondial. L’extrême gauche sape le sentiment national.

3/ La superclasse mondiale veut la suppression des frontières. L’extrême gauche soutient les délinquants étrangers clandestins.

4/ La superclasse mondiale veut une main-d’œuvre interchangeable. L’extrême gauche prône la table rase.

5/ La superclasse mondiale veut ouvrir de nouveaux champs à la production et à la consommation marchande. L’extrême gauche l’aide en fragilisant la famille.

6/ La superclasse mondiale craint par-dessus tout l’émergence de courants identitaires et souverainistes qui briseraient la dynamique de la mondialisation. L’extrême gauche joue un rôle d’obstruction face aux populismes nationaux.

7/ La convergence entre le grand patronat et le projet sociétal de la gauche et de l’extrême gauche

8/ En échange de ses services, l’extrême gauche bénéficie de la complaisance de la superclasse mondiale.

9/ Le cosmopolitisme, idéologie commune de l’extrême gauche et de la superclasse mondiale.

Polémia



Téléchargement pdf de la communication de Jean-Yves Le Gallou
http://www.polemia.com/pdf/Convergencesparadoxa.pdf


 Jean-Yves Le Gallou

mardi, 03 novembre 2009

Triste mondialisation...

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Triste mondialisation...

Ex: http://unitepopulaire.org/

« En vingt ans, les pays de l'Est se sont mondialisés à la vitesse grand V. A peine le mur de Berlin était-il tombé que les enseignes du "monde libre" déboulaient en force pour y planter leur logo. […] Les mêmes chaînes de vêtements low-cost, les mêmes fast-foods, les mêmes centres commerciaux, reproduits à l'identique et à l'infini aux quatre coins de la planète. Les sorties dans les shopping centers sont d'ailleurs devenues un but d'excursion en soi. […]

Grâce à Ikea, les intérieurs du monde ont d'ailleurs de plus en plus tendance à tous se ressembler. Ne dit-on pas que, déjà, un Européen sur dix aurait été conçu sur un lit Ikea ? Pour ensuite vivre sa vie dans des salons et des chambres à coucher copies conformes des pages du catalogue.

Question gastronomie, voyager loin ne permet plus forcément de manger différemment et de découvrir des plats typiques. Tant il devient difficile d'échapper à la dictature des hamburgers et à leurs corollaires : les pizzas, les crêpes et les sandwiches, assortis de quelques nouilles sautées. Ces fleurons de la world food nous poursuivent jusqu'au bout du monde, sur les plages de Tunisie ou de Thaïlande, comme au pied des pyramides d'Egypte ou de la Grande Muraille de Chine.

Est-ce pour éviter tout dépaysement ? L'aéroport de Genève vient en tout cas d'inaugurer "un nouveau concept de restauration" (sic) qui, sous l'appellation Les Jardins de Genève, réunit la quintessence de la bouffe mondialisée – Burger King, Starbucks Coffee, Upper Crust... Mais à l'heure où même le Musée du Louvre à Paris va prochainement accueillir un McDonald's, il n'y a plus qu'à s'incliner. Et à se diriger dare-dare vers le premier M jaune venu, pour y commander tranquillement son McRösti. »

 

Catherine Morand, Le Matin Dimanche, 18 octobre 2009

mardi, 27 octobre 2009

Dans trois ans, la prochaine crise?

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Dans trois ans, la prochaine crise?

 

Brigitte Unger est économiste, spécialisée dans les questions financières globales. Elle enseigne aux Pays-Bas à l’Université d’Utrecht. Dans un entretien accordé au journal autrichien “Standard” (Vienne), elle explique que la crise économique mondiale n’est nullement jugulée. On a colmaté les brèches par des artifices conjoncturels et, ajoute-t-elle, “on n’a même pas  commencé à aborder les problèmes fondamentaux de la crise”. Le problème crucial, c’est que cela ne vaut pas la peine, dans les conditions actuelles, d’investir dans l’économie productive. “Tout l’argent est fourré dans les marchés financiers parce l’économie réelle ne permet pas assez de pouvoir d’achat”, explique Mme Unger. “Les moyens financiers dégagés par le secteur financier sont quatre fois supérieurs à ceux que procure l’économie réelle”. Il y a donc quatre fois plus d’argent en circulation qu’il n’y a de biens et de marchandises: “John Paulson, gestionnaire américain des “Hedge-funds”, a gagné quatre milliards de dollars en un an; avec la  meilleure volonté du monde, il ne peut pas les investir dans l’économie réelle”.

 

Ensuite, la césure qui sépare pays riches et pays pauvres ne cesse de s’approfondir: “Ceux qui pourraient acheter, n’ont pas d’argent. Et ceux qui ont de l’argent, ne peuvent le dépenser, excepté dans l’économie financière. Voilà pourquoi je crois que nous sommes en train de recréer une bulle”. Mme Unger ne peut prévoir quand elle éclatera: “Mais, une chose est certaine, dans deux ou trois ans nous vivrons encore une crise plus aiguë, si nous ne  changeons rien aux fondements de notre économie”.

 

(source: “Junge Freiheit”, Berlin, n°43/2009).

00:30 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : finances, économie, crise, globalisation, capitalisme | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

jeudi, 15 octobre 2009

The Economic Recovery is an Illusion

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The Economic Recovery is an Illusion
The Bank for International Settlements (BIS) Warns of Future Crises


Global Research, October 3, 2009

War is Peace, Freedom is Slavery, Ignorance is Strength, and Debt is Recovery

 

In light of the ever-present and unyieldingly persistent exclamations of ‘an end’ to the recession, a ‘solution’ to the crisis, and a ‘recovery’ of the economy; we must remember that we are being told this by the very same people and institutions which told us, in years past, that there was ‘nothing to worry about,’ that ‘the fundamentals are fine,’ and that there was ‘no danger’ of an economic crisis.

 

Why do we continue to believe the same people that have, in both statements and choices, been nothing but wrong? Who should we believe and turn to for more accurate information and analysis? Perhaps a useful source would be those at the epicenter of the crisis, in the heart of the shadowy world of central banking, at the global banking regulator, and the “most prestigious financial institution in the world,” which accurately predicted the crisis thus far: The Bank for International Settlements (BIS). This would be a good place to start.

 

The economic crisis is anything but over, the “solutions” have been akin to putting a band-aid on an amputated arm. The Bank for International Settlements (BIS), the central bank to the world’s central banks, has warned and continues to warn against such misplaced hopes.

 

What is the Bank for International Settlements (BIS)?

 

The BIS emerged from the Young Committee set up in 1929, which was created to handle the settlements of German reparations payments outlined in the Versailles Treaty of 1919. The Committee was headed by Owen D. Young, President and CEO of General Electric, co-author of the 1924 Dawes Plan, member of the Board of Trustees of the Rockefeller Foundation and was Deputy Chairman of the Federal Reserve Bank of New York. As the main American delegate to the conference on German reparations, he was also accompanied by J.P. Morgan, Jr.[1] What emerged was the Young Plan for German reparations payments.

 

The Plan went into effect in 1930, following the stock market crash. Part of the Plan entailed the creation of an international settlement organization, which was formed in 1930, and known as the Bank for International Settlements (BIS). It was purportedly designed to facilitate and coordinate the reparations payments of Weimar Germany to the Allied powers. However, its secondary function, which is much more secretive, and much more important, was to act as “a coordinator of the operations of central banks around the world.” Described as “a bank for central banks,” the BIS “is a private institution with shareholders but it does operations for public agencies. Such operations are kept strictly confidential so that the public is usually unaware of most of the BIS operations.”[2]

 

The BIS was founded by “the central banks of Belgium, France, Germany, Italy, the Netherlands, Japan, and the United Kingdom along with three leading commercial banks from the United States, including J.P. Morgan & Company, First National Bank of New York, and First National Bank of Chicago. Each central bank subscribed to 16,000 shares and the three U.S. banks also subscribed to this same number of shares.” However, “Only central banks have voting power.”[3]

 

Central bank members have bi-monthly meetings at the BIS where they discuss a variety of issues. It should be noted that most “of the transactions carried out by the BIS on behalf of central banks require the utmost secrecy,”[4] which is likely why most people have not even heard of it. The BIS can offer central banks “confidentiality and secrecy which is higher than a triple-A rated bank.”[5]

 

The BIS was established “to remedy the decline of London as the world’s financial center by providing a mechanism by which a world with three chief financial centers in London, New York, and Paris could still operate as one.”[6] As Carroll Quigley explained:

 

[T]he powers of financial capitalism had another far-reaching aim, nothing less than to create a world system of financial control in private hands able  to dominate the political system of each country and the economy of the world as a whole. This system was to be controlled in a feudalist fashion by the central banks of the world acting in concert, by secret agreements arrived at in frequent private meetings and conferences. The apex of the system was to be the Bank for International Settlements in Basle, Switzerland, a private bank owned and controlled by the world’s central banks which were themselves private corporations.[7]

 

The BIS, is, without a doubt, the most important, powerful, and secretive financial institution in the world. It’s warnings should not be taken lightly, as it would be the one institution in the world that would be privy to such information more than any other.

 

Derivatives Crisis Ahead

 

In September of 2009, the BIS reported that, “The global market for derivatives rebounded to $426 trillion in the second quarter as risk appetite returned, but the system remains unstable and prone to crises.” The BIS quarterly report said that derivatives rose 16% “mostly due to a surge in futures and options contracts on three-month interest rates.” The Chief Economist of the BIS warned that the derivatives market poses “major systemic risks” in the international financial sector, and that, “The danger is that regulators will again fail to see that big institutions have taken far more exposure than they can handle in shock conditions.” The economist added that, “The use of derivatives by hedge funds and the like can create large, hidden exposures.”[8]

 

The day after the report by the BIS was published, the former Chief Economist of the BIS, William White, warned that, “The world has not tackled the problems at the heart of the economic downturn and is likely to slip back into recession,” and he further “warned that government actions to help the economy in the short run may be sowing the seeds for future crises.” He was quoted as warning of entering a double-dip recession, “Are we going into a W[-shaped recession]? Almost certainly. Are we going into an L? I would not be in the slightest bit surprised.” He added, “The only thing that would really surprise me is a rapid and sustainable recovery from the position we’re in.”

 

An article in the Financial Times explained that White’s comments are not to be taken lightly, as apart from heading the economic department at the BIS from 1995 to 2008, he had, “repeatedly warned of dangerous imbalances in the global financial system as far back as 2003 and – breaking a great taboo in central banking circles at the time – he dared to challenge Alan Greenspan, then chairman of the Federal Reserve, over his policy of persistent cheap money.”

 

The Financial Times continued:

 

Worldwide, central banks have pumped thousands of billions of dollars of new money into the financial system over the past two years in an effort to prevent a depression. Meanwhile, governments have gone to similar extremes, taking on vast sums of debt to prop up industries from banking to car making.

 

White warned that, “These measures may already be inflating a bubble in asset prices, from equities to commodities,” and that, “there was a small risk that inflation would get out of control over the medium term.” In a speech given in Hong Kong, White explained that, “the underlying problems in the global economy, such as unsustainable trade imbalances between the US, Europe and Asia, had not been resolved.”[9]

 

On September 20, 2009, the Financial Times reported that the BIS, “the head of the body that oversees global banking regulation,” while at the G20 meeting, “issued a stern warning that the world cannot afford to slip into a ‘complacent’ assumption that the financial sector has rebounded for good,” and that, “Jaime Caruana, general manager of the Bank for International Settlements and a former governor of Spain’s central bank, said the market rebound should not be misinterpreted.”[10]

 

This follows warnings from the BIS over the summer of 2009, regarding misplaced hope over the stimulus packages organized by various governments around the world. In late June, the BIS warned that, “fiscal stimulus packages may provide no more than a temporary boost to growth, and be followed by an extended period of economic stagnation.”

 

An article in the Australian reported that, “The only international body to correctly predict the financial crisis ... has warned the biggest risk is that governments might be forced by world bond investors to abandon their stimulus packages, and instead slash spending while lifting taxes and interest rates,” as the annual report of the BIS “has for the past three years been warning of the dangers of a repeat of the depression.” Further, “Its latest annual report warned that countries such as Australia faced the possibility of a run on the currency, which would force interest rates to rise.” The BIS warned that, “a temporary respite may make it more difficult for authorities to take the actions that are necessary, if unpopular, to restore the health of the financial system, and may thus ultimately prolong the period of slow growth.”

 

Further, “At the same time, government guarantees and asset insurance have exposed taxpayers to potentially large losses,” and explaining how fiscal packages posed significant risks, it said that, “There is a danger that fiscal policy-makers will exhaust their debt capacity before finishing the costly job of repairing the financial system,” and that, “There is the definite possibility that stimulus programs will drive up real interest rates and inflation expectations.” Inflation “would intensify as the downturn abated,” and the BIS “expressed doubt about the bank rescue package adopted in the US.”[11]

 

The BIS further warned of inflation, saying that, “The big and justifiable worry is that, before it can be reversed, the dramatic easing in monetary policy will translate into growth in the broader monetary and credit aggregates.” That will “lead to inflation that feeds inflation expectations or it may fuel yet another asset-price bubble, sowing the seeds of the next financial boom-bust cycle.”[12] With the latest report on the derivatives bubble being created, it has become painfully clear that this is exactly what has happened: the creation of another asset-price bubble. The problem with bubbles is that they burst.

 

The Financial Times reported that William White, former Chief Economist at the BIS, also “argued that after two years of government support for the financial system, we now have a set of banks that are even bigger - and more dangerous - than ever before,” which also, “has been argued by Simon Johnson, former chief economist at the International Monetary Fund,” who “says that the finance industry has in effect captured the US government,” and pointedly stated: “recovery will fail unless we break the financial oligarchy that is blocking essential reform.”[13] [Emphasis added].

 

At the beginning of September 2009, central bankers met at the BIS, and it was reported that, “they had agreed on a package of measures to strengthen the regulation and supervision of the banking industry in the wake of the financial crisis,” and the chief of the European Central Bank was quoted as saying, “The agreements reached today among 27 major countries of the world are essential as they set the new standards for banking regulation and supervision at the global level.”[14]

 

Among the agreed measures, “lenders should raise the quality of their capital by including more stock,” and “Banks will also have to raise the amount and quality of the assets they keep in reserve and curb leverage.” One of the key decisions made at the Basel conference, which is named after the Basel Committee on Banking Supervision, set up under the BIS, was that, “banks will need to raise the quality of their so-called Tier 1 capital base, which measures a bank’s ability to absorb sudden losses,” meaning that, “The majority of such reserves should be common shares and retained earnings and the holdings will be fully disclosed.”[15]

 

In mid-September, the BIS said that, “Central banks must coordinate global supervision of derivatives clearinghouses and consider offering them access to emergency funds to limit systemic risk.” In other words, “Regulators are pushing for much of the $592 trillion market in over-the-counter derivatives trades to be moved to clearinghouses which act as the buyer to every seller and seller to every buyer, reducing the risk to the financial system from defaults.” The report released by the BIS asked if clearing houses “should have access to central bank credit facilities and, if so, when?”[16]

 

A Coming Crisis

 

The derivatives market represents a massive threat to the stability of the global economy. However, it is one among many threats, all of which are related and intertwined; one will set off another. The big elephant in the room is the major financial bubble created from the bailouts and “stimulus” packages worldwide. This money has been used by major banks to consolidate the economy; buying up smaller banks and absorbing the real economy; productive industry. The money has also gone into speculation, feeding the derivatives bubble and leading to a rise in stock markets, a completely illusory and manufactured occurrence. The bailouts have, in effect, fed the derivatives bubble to dangerous new levels as well as inflating the stock market to an unsustainable position.

 

However, a massive threat looms in the cost of the bailouts and so-called “stimulus” packages. The economic crisis was created as a result of low interest rates and easy money: high-risk loans were being made, money was invested in anything and everything, the housing market inflated, the commercial real estate market inflated, derivatives trade soared to the hundreds of trillions per year, speculation ran rampant and dominated the global financial system. Hedge funds were the willing facilitators of the derivatives trade, and the large banks were the major participants and holders.

 

At the same time, governments spent money loosely, specifically the United States, paying for multi-trillion dollar wars and defense budgets, printing money out of thin air, courtesy of the global central banking system. All the money that was produced, in turn, produced debt. By 2007, the total debt – domestic, commercial and consumer debt – of the United States stood at a shocking $51 trillion.[17]

 

As if this debt burden was not enough, considering it would be impossible to ever pay back, the past two years has seen the most expansive and rapid debt expansion ever seen in world history – in the form of stimulus and bailout packages around the world. In July of 2009, it was reported that, “U.S. taxpayers may be on the hook for as much as $23.7 trillion to bolster the economy and bail out financial companies, said Neil Barofsky, special inspector general for the Treasury’s Troubled Asset Relief Program.”[18]

 

Bilderberg Plan in Action?

 

In May of 2009, I wrote an article covering the Bilderberg meeting of 2009, a highly secretive meeting of major elites from Europe and North America, who meet once a year behind closed doors. Bilderberg acts as an informal international think tank, and they do not release any information, so reports from the meetings are leaked and the sources cannot be verified. However, the information provided by Bilderberg trackers and journalists Daniel Estulin and Jim Tucker have proven surprisingly accurate in the past.

 

In May, the information that leaked from the meetings regarded the main topic of conversation being, unsurprisingly, the economic crisis. The big question was to undertake “Either a prolonged, agonizing depression that dooms the world to decades of stagnation, decline and poverty ... or an intense-but-shorter depression that paves the way for a new sustainable economic world order, with less sovereignty but more efficiency.”

 

Important to note, was that one major point on the agenda was to “continue to deceive millions of savers and investors who believe the hype about the supposed up-turn in the economy. They are about to be set up for massive losses and searing financial pain in the months ahead.”

 

Estulin reported on a leaked report he claimed to have received following the meeting, which reported that there were large disagreements among the participants, as “The hardliners are for dramatic decline and a severe, short-term depression, but there are those who think that things have gone too far and that the fallout from the global economic cataclysm cannot be accurately calculated.” However, the consensus view was that the recession would get worse, and that recovery would be “relatively slow and protracted,” and to look for these terms in the press over the next weeks and months. Sure enough, these terms have appeared ad infinitum in the global media.

 

Estulin further reported, “that some leading European bankers faced with the specter of their own financial mortality are extremely concerned, calling this high wire act ‘unsustainable,’ and saying that US budget and trade deficits could result in the demise of the dollar.” One Bilderberger said that, “the banks themselves don't know the answer to when (the bottom will be hit).” Everyone appeared to agree, “that the level of capital needed for the American banks may be considerably higher than the US government suggested through their recent stress tests.” Further, “someone from the IMF pointed out that its own study on historical recessions suggests that the US is only a third of the way through this current one; therefore economies expecting to recover with resurgence in demand from the US will have a long wait.” One attendee stated that, “Equity losses in 2008 were worse than those of 1929,” and that, “The next phase of the economic decline will also be worse than the '30s, mostly because the US economy carries about $20 trillion of excess debt. Until that debt is eliminated, the idea of a healthy boom is a mirage.”[19]

 

Could the general perception of an economy in recovery be the manifestation of the Bilderberg plan in action? Well, to provide insight into attempting to answer that question, we must review who some of the key participants at the conference were.

 

Central Bankers

 

Many central bankers were present, as per usual. Among them, were the Governor of the National Bank of Greece, Governor of the Bank of Italy, President of the European Investment Bank; James Wolfensohn, former President of the World Bank; Nout Wellink, President of the Central Bank of the Netherlands and is on the board of the Bank for International Settlements (BIS); Jean-Claude Trichet, the President of the European Central Bank was also present; the Vice Governor of the National Bank of Belgium; and a member of the Board of the Executive Directors of the Central Bank of Austria.

 

Finance Ministers and Media

 

Finance Ministers and officials also attended from many different countries. Among the countries with representatives present from the financial department were Finland, France, Great Britain, Italy, Greece, Portugal, and Spain. There were also many representatives present from major media enterprises around the world. These include the publisher and editor of Der Standard in Austria; the Chairman and CEO of the Washington Post Company; the Editor-in-Chief of the Economist; the Deputy Editor of Die Zeit in Germany; the CEO and Editor-in-Chief of Le Nouvel Observateur in France; the Associate Editor and Chief Economics Commentator of the Financial Times; as well as the Business Correspondent and the Business Editor of the Economist. So, these are some of the major financial publications in the world present at this meeting. Naturally, they have a large influence on public perceptions of the economy.

 

Bankers

 

Also of importance to note is the attendance of private bankers at the meeting, for it is the major international banks that own the shares of the world’s central banks, which in turn, control the shares of the Bank for International Settlements (BIS). Among the banks and financial companies represented at the meeting were Deutsche Bank AG, ING, Lazard Freres & Co., Morgan Stanley International, Goldman Sachs, Royal Bank of Scotland, and of importance to note is David Rockefeller,[20] former Chairman and CEO of Chase Manhattan (now J.P. Morgan Chase), who can arguably be referred to as the current reigning ‘King of Capitalism.’

 

The Obama Administration

 

Heavy representation at the Bilderberg meeting also came from members of the Obama administration who are tasked with resolving the economic crisis. Among them were Timothy Geithner, the US Treasury Secretary and former President of the Federal Reserve Bank of New York; Lawrence Summers, Director of the White House's National Economic Council, former Treasury Secretary in the Clinton administration, former President of Harvard University, and former Chief Economist of the World Bank; Paul Volcker, former Governor of the Federal Reserve System and Chair of Obama’s Economic Recovery Advisory Board; Robert Zoellick, former Chairman of Goldman Sachs and current President of the World Bank.[21]

 

Unconfirmed were reports of the Fed Chairman, Ben Bernanke being present. However, if the history and precedent of Bilderberg meetings is anything to go by, both the Chairman of the Federal Reserve and the President of the Federal Reserve Bank of New York are always present, so it would indeed be surprising if they were not present at the 2009 meeting. I contacted the New York Fed to ask if the President attended any organization or group meetings in Greece over the scheduled dates that Bilderberg met, and the response told me to ask the particular organization for a list of attendees. While not confirming his presence, they also did not deny it. However, it is still unverified.

 

Naturally, all of these key players to wield enough influence to alter public opinion and perception of the economic crisis. They also have the most to gain from it. However, whatever image they construct, it remains just that; an image. The illusion will tear apart soon enough, and the world will come to realize that the crisis we have gone through thus far is merely the introductory chapter to the economic crisis as it will be written in history books.

 

Conclusion

 

The warnings from the Bank for International Settlements (BIS) and its former Chief Economist, William White, must not be taken lightly. Both the warnings of the BIS and William White in the past have gone unheralded and have been proven accurate with time. Do not allow the media-driven hope of ‘economic recovery’ sideline the ‘economic reality.’ Though it can be depressing to acknowledge; it is a far greater thing to be aware of the ground on which you tread, even if it is strewn with dangers; than to be ignorant and run recklessly through a minefield. Ignorance is not bliss; ignorance is delayed catastrophe.

 

A doctor must first properly identify and diagnose the problem before he can offer any sort of prescription as a solution. If the diagnosis is inaccurate, the prescription won’t work, and could in fact, make things worse. The global economy has a large cancer in it: it has been properly diagnosed by some, yet the prescription it was given was to cure a cough. The economic tumor has been identified; the question is: do we accept this and try to address it, or do we pretend that the cough prescription will cure it? What do you think gives a stronger chance of survival? Now try accepting the idea that ‘ignorance is bliss.’

 

As Gandhi said, “There is no god higher than truth.” 

 

For an overview of the coming financial crises, see: "Entering the Greatest Depression in History: More Bubbles Waiting to Burst," Global Research, August 7, 2009.


Endnotes

 

[1]        Time, HEROES: Man-of-the-Year. Time Magazine: Jan 6, 1930: http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,738364-1,00.html

 

[2]        James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 2

 

[3]        James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 6

 

[4]        James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 148

 

[5]        James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 149

 

[6]        Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324-325

 

[7]        Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324

 

[8]        Ambrose Evans-Pritchard, Derivatives still pose huge risk, says BIS. The Telegraph: September 13, 2009: http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/banksandfinance/6184496/Derivatives-still-pose-huge-risk-says-BIS.html

 

[9]        Robert Cookson and Sundeep Tucker, Economist warns of double-dip recession. The Financial Times: September 14, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/e6dd31f0-a133-11de-a88d-00144feabdc0.html

 

[10]      Patrick Jenkins, BIS head worried by complacency. The Financial Times: September 20, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/a7a04972-a60c-11de-8c92-00144feabdc0.html

 

[11]      David Uren. Bank for International Settlements warning over stimulus benefits. The Australian: June 30, 2009:

http://www.theaustralian.news.com.au/story/0,,25710566-601,00.html

 

[12]      Simone Meier, BIS Sees Risk Central Banks Will Raise Interest Rates Too Late. Bloomberg: June 29, 2009:

http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601068&sid=aOnSy9jXFKaY

 

[13]      Robert Cookson and Victor Mallet, Societal soul-searching casts shadow over big banks. The Financial Times: September 18, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/7721033c-a3ea-11de-9fed-00144feabdc0.html

 

[14]      AFP, Top central banks agree to tougher bank regulation: BIS. AFP: September 6, 2009: http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5h8G0ShkY-AdH3TNzKJEetGuScPiQ

 

[15]      Simon Kennedy, Basel Group Agrees on Bank Standards to Avoid Repeat of Crisis. Bloomberg: September 7, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aETt8NZiLP38

 

[16]      Abigail Moses, Central Banks Must Agree Global Clearing Supervision, BIS Says. Bloomberg: September 14, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=a5C6ARW_tSW0

 

[17]      FIABIC, US home prices the most vital indicator for turnaround. FIABIC Asia Pacific: January 19, 2009: http://www.fiabci-asiapacific.com/index.php?option=com_content&task=view&id=133&Itemid=41

 

Alexander Green, The National Debt: The Biggest Threat to Your Financial Future. Investment U: August 25, 2008: http://www.investmentu.com/IUEL/2008/August/the-national-debt.html

 

John Bellamy Foster and Fred Magdoff, Financial Implosion and Stagnation. Global Research: May 20, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13692

 

[18]      Dawn Kopecki and Catherine Dodge, U.S. Rescue May Reach $23.7 Trillion, Barofsky Says (Update3). Bloomberg: July 20, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aY0tX8UysIaM

 

[19]      Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va

 

[20]      Maja Banck-Polderman, Official List of Participants for the 2009 Bilderberg Meeting. Public Intelligence: July 26, 2009: http://www.publicintelligence.net/official-list-of-participants-for-the-2009-bilderberg-meeting/

 

[21]      Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va



 

Andrew Gavin Marshall is a Research Associate with the Centre for Research on Globalization (CRG). He is currently studying Political Economy and History at Simon Fraser University.



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mardi, 13 octobre 2009

La colonisation financière

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

LA COLONISATION FINANCIERE

 

Une nouvelle ère de colonisation a commencé avec l'éreintement de l'Europe. Aux colonies de peuplement s'ajoute la co­lonisation financière par le dollar, à nouveau sur le devant de la scène à l'approche de la décision européenne en faveur de l'Euro, et après les dernières fluctuations des monnaies asiatiques très liées à cette monnaie. Depuis 1945 la colonisation à la romaine avait repris une grande importance, avec des Américains installant des bases à statut spécial au sein des autres pays; mais avec la vassalité financière “la colonisation reprend des formes oubliées, celle des fiefs vénitiens ou des ma­hones génoises, celle peut-être des Phéniciens et des Carthaginois” (1).

 

Le fondement du pillage financier: créer la crédulité

 

De 1945 à l985 s'est déroulé une guerre de quarante ans, guerre froide, gagnée par ceux qui ont été capables d'en financer les coûts (2). Le système de Bretton-Woods jusqu'en 1971 en fut la première étape. La seconde, qui se termina en l980, fonctionna avec la planche à billet; la titrisation, l'emprunt, se développèrent à la troisième étape. La crise des paiements internationaux de 1973 à l990 se ramène donc à un processus respiratoire tout à fait spécifique aux financiers: le gonflement des croyances (des creances), suivi d'un dégonflement. De 1973 à 1982, les soviets de la finance ont fait naître de nouvelles créances: exporter vers les PVD (Pays en Voie de Développement) en leur accordant prêts et crédits. De 1980 à 1985, la politique monétaire américaine fit naître de nouvelles créances, le déficit budgétaire, dont la contrepartie était les exporta­tions vers les USA. Chaque fois, les stratégies gagnantes sont: détenir et faire naître de nouvelles créances puis racheter les occasions décotées lorsque la valeur de ces créances s effondre.

 

Depuis l990, la nouvelle stratégie des colonisateurs financiers est de transformer les opinions en réalité grâce aux nou­veaux instruments financiers créés sur les marchés à terme. Ces nouveaux instruments ont deux effets :

- Ils font advenir les phénomènes redoutés. Les ventes et achats pour se couvrir contre les fluctuations, les engendrent...

- Ils accroissent le rôle des spéculateurs. Ceux-ci se présentent comme crédibles, et trouvent en face d'eux des crédules.

 

La méthode n'est rien de plus qu'une extension des procédés de fabrication de l'histoire sainte au travers des miracles : le prédicateur se rend crédible pour faire des dupes. En affectant une valeur de vérité à ses inventions, il les transforme en réalités. A l'heure présente, le colonisateur financier observe que des regroupements régionaux sont à l'œuvre, qu'il lui faut empêcher ou “investir”. Les différentes variantes sont: délocalisation, fusion-acquisition, partenariats, transferts de technologie, cessions de brevets, licences. Dans le cas de l'Asie, le mécanisme de création de créances et la tentative de les racheter après dévaluation forcée est enclenché. Un exemple paradigmatique de la méthode du colonisateur est tiré d'un cas brésilien: une créance de 10 millions de $ est vendue 2,5 millions. Une entreprise l'achète et propose au Brésil de l'abandonner en échange de cruzeiros. L'entreprise peut ainsi acheter des entreprises brésiliennes...

 

Dans le cas de l'Europe, comment se présente la situation face au colonisateur?

 

L'Europe et les Etats-Unis, un conflit potentiel

 

Les faux-monnayeurs américains, en soumettant le monde au dollar, installent partout la dépendance matérielle et suppri­ment la liberté de penser. Et celui qui travaille simplement pour exécuter les ordres de maîtres étrangers ou de leurs sei­gneurs “raquedenare” locaux perd sa joie de travailler, ses forces créatrices, son élan, ses plus hautes aptitudes. Les dol­lars mis en circulation dans le monde ne deviendront de la fausse monnaie que lorsqu'un fournisseur soupçonneux la décla­rera fausse et ne reconnaitra pas qu'elle est un pouvoir d'achat. C'est en dénonçant la création ex nihilo  de dollars que cette devise deviendra de la fausse monnaie. Car c'est le degré d'acceptabilité ou de refus d'une monnaie qui permet de la quali­fier de vraie ou de fausse. Mais il existe une solidarité entre faux-monnayeurs et receleurs: on ne dénonce pas la monnaie que l'on détient soi-même sous peine de se ruiner. Que va-t-il se passer avec l'Euro?

 

Les USA, de fait, sont passés aux antipodes des intérêts de l'Europe et, sans le déclarer, sans fanfares, agissent pour em­pêcher son union. Les USA refusent l'équilibre des forces. Tous les équilibres ont été rompus à leur profit. Ils exercent une hégémonie sur l'économie (finance, commerce, services, ressources) et sur la stratégie mondiale. «La monnaie unique, loin d'être une innocente innovation, constituera, dès sa création, un casus belli  justifiant pour les USA, la plus grave des crises» (3). La quête de l'or et le pillage de la planète s'accompagnent d'un continuel besoin de justifier ces atrocités par des arguments tirés de la morale biblique. Pour les Al Capone américains, il est impératif d'associer le pillage du monde à une mission acceptable moralement. Déjà, en 1870, les USA avaient imposé aux Mexicains un régime de paiement financier qui réduisit l'économie de ce pays au statut de colonie... Par le biais de la seconde guerre mondiale, les soviets financiers américains ont conquis l'espace économique allemand et ont éliminé en prime la France et la Grande-Bretagne. Ils ont conquis le marché japonais et son espace économique. La fin de la guerre froide a cédé les zones d'influence soviétique. La guerre du Golfe, en 1990-91, leur a permis de prélever une dime supplémentaire sur l'Europe et, par l'usage infernal des superstitions de l'ancien testament, de faire financer à celle-ci leur mainmise sur le Moyen-Orient. En 1997, les USA sont les seuls maîtres de l'économie mondiale. Or le monde, vu de Washington, est un vaste marché où les frontières nationales sont considérées comme une “inconvenance”. Les congrégations de trafiquants pieux cherchent le monopole et la rente en liant le monde, pays par pays, aux USA, par un enchevêtrement d'accords et l'usage de leur mon­naie.

 

Les USA ne s'attaquent pas de front à l'Europe, mais cherchent à l'étouffer.

- Au plan militaire: l'OTAN vassalise l'Allemagne et la France. Récemment, l'Irak puis la Bosnie ont été deux occasions de mettre les Européens sous commandement US.

- Au plan commercial: les USA ne veulent pas céder l'accès à leur marché, alors que tous les pays doivent laisser ou­verts les leurs. Et la bataille est permanente sur les marchés internationaux. Une fois, les industries étrangères sont ex­clues du marché public US; une fois, il y a des sanctions fiscales sur les importations. Etc.

- Dans la technologie de pointe, le multimédiat, le monopole US a été acquis par une astucieuse utilisation des tech­niques d'inscription des brevets. Le brevet US est accepté partout dans le monde. Le brevet étranger doit être évalué aux USA.

 

Il est impossible de discuter avec les USA. Leurs exigences, leurs intérêts et leurs croyances deviennent des impératifs religieux, au nom de l'humanité et autres billevesées, qui doivent devenir la politique de tout un chacun. La monnaie unique est donc nécessaire et urgente car les mesures internes à l'Europe sont vaines: les eurosceptiques proposent de se rapprocher des USA et de dupliquer leur modèle. Ils sont tombés dans le piège du leadership US. Hier, certains politi­ciens prenaient leurs ordres à Moscou. Aujourd hui, ils obéissent à Washington... La monnaie unique ne sera pas seulement la monnaie de l'Union Européenne, mais aussi une deuxième monnaie internationale. Des producteurs de matières pre­mières pourront demander de signer des contrats en euros. Alors, l'investissement étranger aux USA en dollar, qui est de 500 à 800 milliards par an, cessera en grande partie. De plus, la vente internationale de dollars provoquera un excédent de liquidités.

 

La réaction des USA peut être de détruire l'Euro par une manœuvre politique interne à l'Europe; par exemple en déclen­chant une nouvelle guerre civile ou en faisant appel à la Russie dont la dette pourrait être épongée, si elle œuvrait contre l'Europe et en faveur des USA.

 

Le colonisateur financier brise les économies et détache l'homme de ses frères. Partout, désunion, solitude. Les soviets financiers américains sont des mangeurs d'âmes, froids comme la goule des cimetières. Longtemps en Europe, la plupart des banquiers se sont efforcés de maintenir la vie financière sur des voies conformes à l'esprit social et à l'honnêteté. Mais la guerre de 1914-1918, avec son lot de profiteurs, ses dettes, et les ententes entre soviets du prolétariat et soviets du capital a détruit cette civilisation sans la remplacer. Les Européens vont-ils continuer à se comporter comme une délégation d'Athènes vaincue face aux satrapes perses? Vont-ils se secouer au bord de l'abîme?

 

Frédéric VALENTIN.

 

Notes:

(1) René SEDILLOT, Histoire des colonisations, Fayard, 1958, p.638.

(2) Alain SIMON, Géopolitique et stratégies d'entreprise. Créances et Croyances, Interfaces, 1993.

(3) Emile COURY, L'Europe et les Etats-Unis, un conflit potentiel, Editions de l'aube, 1996, p.10. [115 pages, 95 FF].

 

lundi, 12 octobre 2009

Le crépuscule du dollar

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Le crépuscule du dollar

Voilà maintenant plus de deux ans, bien avant que la crise économico-financière mondiale n’éclate, que Polémia s’est fait l’écho d’une rumeur qui circulait dans les milieux financiers internationaux, en livrant quelques articles prélevés dans la grande presse anglo-saxonne : certains pays du Moyen et de l’Extrème-Orient, grands producteurs de pétrole et de gaz ou grands consommateurs de matières énergétiques, envisageaient, devant la volonté hégémonique des Etats-Unis, d’abandonner le dollar comme monnaie de référence pour les facturations de pétrole et de se replier soit carrémént sur l’euro soit sur une nouvelle monnaie spécifique qu’il restait à définir.
Cette idée semble aujourd’hui prospérer.
Robert Fisk, correspondant de The Independent au Moyen-Orient, fait état de « réunions secrètes » réunissant les Pays du Golfe, les Bric, le Japon, la Chine et la France, pour mettre fin à l’usage du dollar pour les transactions énergétiques et le remplacer par un panier de monnaies dans lequel entreraient notamment le yen japonnais et le yuan chinois, l’euro, l’or et une nouvelle monnaie commune émise par le Gulf Co-operation Council, réunissant l’Arabie saoudite, Abu-Dhabi, le Kowëit et le Qatar. Des réunions secrètes auraient déjà été tenues entre les ministres des finances des pays concernés auxquels se seraient joints les gouverneurs des banques centrales de la Russie, de la Chine, du Japon et du Brésil.
L’article de The Independant, publié le 6 octobre, a inévitablement provoqué une certaine nervosité sur les marchés des changes et de l’or, bien que de nombreuses informations reprises ici soient déjà du domaine public.

Polemia ( http://polemia.com/ )


Les pays Arabes du Golfe Persique planifient - avec la Chine, la Russie, le Japon et la France - de mettre fin à la facturation du pétrole en dollars, et vont utiliser à la place un panier de monnaies, dont le yen japonais et le yuan chinois, l’euro, l’or et la nouvelle devise commune que doivent adopter les nations appartenant au Conseil de Coopération du Golfe, incluant l’Arabie Saoudite, Abu Dhabi, le Koweït et le Qatar. C’est là un tournant majeur sur le plan financier pour le Moyen- Orient.

Des réunions secrètes ont déjà eu lieu, auxquelles participaient les ministres des Finances et les gouverneurs des banques centrales de Russie, de Chine, du Japon et du Brésil, afin d’élaborer ce projet qui aura pour conséquence que le cours du pétrole ne sera plus exprimé en dollars.

Ces plans, confirmés à The Independent par des sources des milieux bancaires du Golfe et de Hong Kong, pourraient expliquer la hausse soudaine du cours de l’or, mais ils annoncent également une transformation en profondeur sur le marché du dollar dans les neuf ans à venir.

Les Américains, qui savent que des réunions ont eu lieu - bien qu’ils n’aient pas encore appris les détails - vont sûrement lutter contre ces manoeuvres internationales auxquelles participent des alliés jusque-là fidèles comme le Japon et les pays Arabes du Golfe. Parallèlement à ces rencontres, Sun Bigan, l’ancien envoyé spécial chinois au Moyen-Orient, a mis en garde contre le risque d’aggraver les différends entre la Chine et les Etats-Unis dans leur lutte d’influence pour le pétrole du Moyen-Orient. Les « querelles bilatérales et les affrontements sont inévitables », a-t-il déclaré à la Asia and Africa Review. «
Nous ne pouvons pas relâcher notre vigilance sur [l’apparition d’une] hostilité au Moyen-Orient au sujet des intérêts énergétiques et de la sécurité. »

Cela sonne comme une dangereuse prédiction d’une guerre économique à venir opposant les USA et la Chine pour le pétrole du Moyen-Orient - qui une fois encore transformerait les conflits régionaux en une bataille pour la suprématie entre grandes puissances. La Chine utilise progressivement plus de pétrole que les États-Unis parce que sa croissance est moins économe en énergie. La devise de transition pouvant être utilisée durant cet abandon du dollar, selon des sources bancaires chinoises, pourrait être l’or. Une indication des montants énormes impliqués est fournie par le total des réserves détenues par Abou Dhabi, l’Arabie saoudite, le Koweït et le Qatar, estimées à 2 100 milliards de dollars.

Le déclin de la puissance économique américaine résultant de la récession mondiale actuelle a été implicitement reconnu par le président de la Banque mondiale, Robert Zoellick. « L’un des héritages de cette crise pourrait être la prise de conscience que les relations de pouvoir économique ont changé », a-t-il déclaré à Istanbul, avant la tenue cette semaine des réunions du FMI et la Banque Mondiale. Mais c’est l’extraordinaire nouvelle puissance financière de la Chine - alliée au ressentiment des pays producteurs et consommateurs de pétrole contre la puissance d’intervention de l’Amérique dans le système financier international - qui a motivé ces dernières discussions impliquant les Etats du Golfe.

Le Brésil a manifesté son intérêt pour participer à ces règlements de pétrole hors dollar, ainsi que l’Inde. De fait, la Chine semble être la plus enthousiaste parmi toutes les puissances financières impliquées, notamment en raison de ses énormes échanges avec le Moyen-Orient.

La Chine importe 60 pour cent de son pétrole, dont une majeure partie en provenance du Moyen-Orient et de la Russie. Les Chinois ont des concessions de production pétrolière en Irak - qui sont bloquées par les États-Unis jusqu’à cette année - et depuis 2008 ont signé un accord de 8 milliards de dollars avec l’Iran pour développer les capacités de raffinage et les ressources gazières. La Chine a également conclu des accords pétroliers au Soudan (où elle s’est substituée à des intérêts américains) et a négocié des concessions pétrolières avec la Libye, où tous les contrats de ce type prennent la forme de coentreprises (joint-ventures).

En outre, les exportations chinoises vers la région représentent désormais pas moins de 10 pour cent du total des importations des pays du Moyen-Orient. Elles concernent un large éventail de produits, allant des voitures aux systèmes d’armes, l’alimentation, les vêtements, et même des poupées. Confirmant la puissance financière croissante de la Chine, le président de la Banque centrale européenne, Jean-Claude Trichet, a demandé hier à Pékin de laisser le yuan s’apprécier par rapport à un dollar dont le cours est à la baisse - ce qui par voie de conséquence desserrerait la dépendance de la Chine envers la politique monétaire américaine - afin d’aider à rééquilibrer l’économie mondiale et d’alléger la pression à la hausse sur l’euro.

Depuis les accords de Bretton Woods - qui furent signés après la Seconde Guerre mondiale et avaient défini l’architecture du système international financier moderne - les partenaires commerciaux de l’Amérique ont dû faire face aux conséquences de la prééminence de Washington et plus récemment à l’hégémonie acquise par le dollar, qui sert de principale monnaie de réserve mondiale.

Les Chinois pensent que les Américains ont persuadé la Grande-Bretagne de rester en dehors de l’euro afin d’éviter un mouvement plus précoce de désaffection par rapport au dollar. Des sources chinoises du secteur bancaire indiquent que les discussions sont allées trop loin pour être désormais bloquées. « Les russes finiront par introduire le rouble dans ce panier de devises », nous a déclaré un important courtier de Hong Kong. « Les Britanniques sont coincés entre les deux, et ils entreront dans la zone euro. Ils n’ont pas le choix car il ne leur sera pas possible d’utiliser le dollar américain. »

Nos sources chinoises dans la finance estiment que le président Barack Obama est trop mobilisé par le redressement de l’économie américaine pour pouvoir se préoccuper des conséquences considérables qu’aura l’abandon du dollar dans neuf ans. La date limite pour la transition entre les devises a été fixée à 2018.

Les États-Unis ont brièvement abordé cette question au sommet du G20 à Pittsburgh. Le gouverneur de la Banque Centrale de Chine et d’autres officiels ont manifesté à voix haute leurs inquiétudes sur le dollar depuis des années. Leur problème est qu’une grande partie de leur richesse nationale est conservée sous forme d’avoirs libellés en dollars.

« Ces plans vont changer la face des transactions financières internationales », déclare un banquier chinois. « L’Amérique et la Grande-Bretagne doivent être très inquiètes. Vous comprendrez à quel point ils sont préoccupés en entendant le tonnerre de dénégations que cette information va provoquer. »

L’Iran a annoncé le mois dernier que ses réserves de devises étrangères seraient désormais conservées en euros plutôt qu’en dollars. A coup sûr, les banquiers se souviennent de ce qui est arrivé au dernier pays producteur de pétrole du Moyen-Orient qui ait décidé de vendre son pétrole en euros plutôt qu’en dollars. Quelques mois après que Saddam Hussein eut claironné sa décision, les Américains et les Britanniques ont envahi l’Irak.

Robert Fisk
The Independent
06/10/2009


Publication originale The Independent, traduction Contre Info
http://www.independent.co.uk/news/business/news/the-demise-of-the-dollar-1798175.html


Correspondance Polémia

00:25 Publié dans Economie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : finances, dollar, etats-unis, globalisation | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

dimanche, 27 septembre 2009

Pertinence et limites de l'altermondialisme

rabehl.jpgPertinence et limites de l'altermondialisme

Ex: http://unitepopulaire.org/

« Les analyses de l’impérialisme qui proviennent du milieu altermondialiste méritent d’être lues. Il leur manque toutefois une base sociale. Les altermondialistes espèrent séduire les syndicats et les partis de gauche, mais bien souvent ils se bornent à jouer la révolution pour éviter d’avoir à la faire. Ils ignorent par ailleurs la conception marxiste de la nation, oubliant que l’Etat national, la culture nationale, la démocratie nationale ou encore le droit national constituaient la forme spécifique de la démocratie et de la liberté pour des auteurs comme Marx et Engels, Lénine et Kautsky, Otto Bauer et Rudolf Hilferding. Pour ces derniers, le peuple et la nation ne pouvaient être dissociés. Ce défaut rend les altermondialistes incapables d’analyser la façon dont le capital financier et les grandes entreprises multinationales s’emploient, par la spéculation et la corruption, à faire éclater les cadres nationaux et à faire échapper leurs profits à tout contrôle de l’Etat. Dans de telles conditions, on peut très bien imaginer que certains milieux capitalistes ont tout intérêt à ce que se développe un altermondialisme qui contribue, lui aussi, à effacer les frontières. La vraie résistance, elle, passe par la libération nationale. »

Bernard Rabehl, écrivain et figure historique de l’extrême gauche allemande, interviewé par Eléments n°131, avril-juin 2009