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dimanche, 17 avril 2016

La Macédoine convoitée par les Américains

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La Macédoine convoitée par les Américains

Ex: http://www.katehon.com

Le 24 courant auront lieu des élections législatives anticipées en Macédoine, décidées après la démission du Premier ministre, Nikola Grouevski, à l'issue d'une cabale organisée contre lui par des mouvements stipendiés par les services américains, tels que les Fondations Georges Soros qui fleurissent dans les pays de l'est de l'Europe.

Dépourvue certes d'accès à la mer, la Macédoine occupe néanmoins une place stratégique importante au cœur des Balkans, attirant la convoitise des Américains. Elle est entourée par la Grèce, la Bulgarie, la Serbie, l'Albanie et le Kosovo. Durant son histoire, illustre depuis Alexandre le Grand, elle a subi des mutations territoriales, des mouvements migratoires à l'instar de la vague de migration actuelle qui frappe le continent européen, enrichissant sa culture mais compliquant la compréhension des enjeux politiques aussi bien de ce pays que de cette région de l'Europe. Cette complexité et cette mosaïque s'illustrent par le nom qu'elle a offert à des plats composés de mélanges de légumes ou de fruits, à l'instar de la « balkanisation », une terminologie qui fait référence au processus de fragmentation des Etats et des régions en entités plus petites, hostiles les unes envers les autres.

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En effet, la Macédoine contemporaine s'est tissée au cours des guerres des Balkans, entre le XIXème et le XXème siècle, comme le décrit bien le journaliste et essayiste, Milenko Nedelkovski : d'abord, lors des soulèvements contre les Ottomans dont le plus célèbre est celui du 2 août 1903, le jour de la Saint Elie, ensuite son passage à une autonomie limitée sous la Fédération de Yousolavie, en 1944, avant d'accéder à l'indépendance en 1991, à l'issue de la chute de l'ex-Union soviétique et la dislocation de la Fédération yougoslave.

Mais cette indépendance n'est pas dépourvue de difficultés qu'elle rencontre avec ses voisins. La Grèce lui conteste son nom, craignant une sécession d'une partie du nord de son territoire, à l'instar du pays Basque partagé entre la France et l'Espagne.

Dans une moindre mesure, la Serbie et le Bulgarie sont méfiants de leur voisin et maintiennent avec lui des relations distantes. L'essor économique de la Macédoine, pays limitrophe de la Bulgarie et de la Grèce, membres de l'Union européenne qui endurent des difficultés, augmente cette crainte.

Par ailleurs, les rapports entre la Macédoine avec l'Albanie sont difficiles en raison d'un conflit opposant les Macédoniens d'origine albanaise, de confession musulmane, aux Macédoniens chrétiens de rite orthodoxe. Ce conflit a éclaté en 2001, menaçant ce pays d'une sécession au profit du Kosovo, ce qui explique aussi ses relations actuellement tendues avec cette province.

Cet imbroglio est un terrain d'expérimentation favorable aux projets visant la création du chaos non seulement dans les Balkans mais dans l'ensemble des pays de l'Est de l'Europe allant jusqu'aux frontières de la Russie.

Les Américains, présents dans la région comme ils le sont dans le Caucase, alimentent ces divisions et ces conflits par le biais du « soft power », notamment à travers les Fondations précitées de George Soros.

L'ambassade américaine de Skopje est une véritable forteresse, un bâtiment impressionnant s'étendant sur plusieurs hectares avec une technologie sophistiquée, pour dissuader et exercer une hégémonie sur cette région. Les Macédoniens semblent excédés par ces intrigues et soutiennent massivement leur Premier Ministre sortant, Nicolas Gruevski, candidat du parti patriote (VMRO-DPME) à ces élections qui, nous l'espérons, confirmeront l'indépendance de ce pays.

 

lundi, 07 décembre 2015

Albania, uno scenario di primo piano nel jihadismo dei Balcani

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Albania, uno scenario di primo piano nel jihadismo dei Balcani

Giovanni Giacalone

Ex: http://www.ispionline.it

L'Albania sta assumendo un ruolo centrale riguardo alla radicalizzazione islamica nei Balcani. Lo conferma l'arresto, a Tirana, di due reclutatori dell'ISIS che, tra l'altro, avevano stretti legami con l'Italia. Una questione importante è legata al contesto delle moschee radicali albanesi, potenzialmente veri e propri centri di reclutamento di individui in situazioni socio-economiche precarie, a cui l'ISIS sembra offrire "nuove opportunità". Per questo motivo, e perché si contano già più di 140 jihadisti albanesi in Siria, l'Albania risulta un paese a rischio: da monitorare con attenzione.

L’Albania è recentemente diventata un panorama di primo piano per quanto riguarda la radicalizzazione islamista nei Balcani, con reti di propaganda e reclutamento attive sul territorio e con una stima di 140-160 jihadisti partiti per la Siria con l’obiettivo di unirsi a Isis e a gruppi qaedisti.  Risultano numerose le moschee fuori controllo, terreno potenzialmente fertile per la propaganda jihadista ed emergono inoltre interessanti i legami con l’Italia.

La rete di Genci Balla e Bujar Hysa e i legami con Almir Daci

Il principale network albanese di reclutamento era guidato da Genci Balla e Bujar Hysa, due imam attualmente in carcere a Tirana e sotto processo con l’accusa di propaganda e reclutamento. I predicatori erano stati arrestati nel marzo 2014 assieme ad altri sette individui: Gert Pashja (il punto di riferimento in Turchia che coordinava i viaggi dall’Albania alla Siria), Fadil Muslimani, Orion Reci, Edmond Balla, Astrit Tola, Zeqir Imeri e Verdi Morava.  Imeri e Hysa sono inoltre stati accusati di detenzione e fabbricazione di armi (Art. 278/2 Cod Penale albanese).1

Due degli arrestati avevano legami, diretti o indiretti, anche con l’Italia; Verdi Morava aveva infatti risieduto per diversi anni in Italia, dove aveva conseguito una laurea in ingegneria meccanica ed era inoltre titolare di una società di trasporti a Bologna.

Grande-albanie.pngBujar Hysa aveva invece svolto un ruolo chiave nel reclutamento di Aldo Kobuzi e di Maria Giulia Sergio. A inizio gennaio 2014 veniva intercettata una telefonata tra Hysa e il cognato di Aldo, Mariglen Dervishllari, il quale avvertiva l’imam: “Ti sto mandando mio fratello; gli ho dato il tuo numero di cellulare”.  Senza il supporto della rete di Balla e Hysa sarebbe stato impossibile per i due volontari jihadisti organizzare  e finanziarsi il viaggio in Siria.

Anche Dervishllari e sua moglie, Serjola Kobuzi, pare siano giunti in Siria grazie al supporto della medesima rete di reclutamento. E’ tra l’altro di due giorni fa la conferma della morte di Mariglen Dervishllari, avvenuta in territorio siriano e in circostanze ancora da chiarire.

Un altro personaggio che merita attenzione è Almir Daci, ex imam della moschea di Leshnica, nella zona di Pogradec, anch’egli legato alla rete di Balla e Hysa. Daci è apparso con il nome  “Abu Bilqis Al-Albani” nel noto video sui Balcani rilasciato dall’Isis a giugno 2015 e dal titolo “Honor is Jihad”. Daci non era soltanto in contatto con Dervishllari ma è anche ritenuto responsabile del reclutamento di Ervis Alinji e Denis Hamzaj, due ragazzi albanesi presumibilmente morti in Siria. Secondo fonti di Tirana, Hamzaj si sarebbe laureato in un’università italiana prima di rientrare in Albania e scomparire.2

Le moschee radicali

La Comunità Islamica Albanese (KMSH) ha recentemente chiesto l’aiuto delle Istituzioni per controllare le moschee radicali.  Secondo alcune stime sarebbero ben 89 le moschee a rischio e fuori della giurisdizione della KMSH, molte delle quali in zone ritenute a rischio, come la periferia di Tirana, Kavaja, Cerrik, Librazhd e Pogradec. Nei mesi scorsi sono poi stati segnalati diversi nuovi cantieri destinati alla costruzione di moschee e i cui finanziamenti risultano al momento poco chiari.3,4,5

In settimana presso la moschea Mezezit di Tirana, dove predicava Bujar Hysa, è stato nominato un imam ufficiale legato alla Comunità Islamica Albanese; potrebbe essere il primo passo verso una serie di misure che prevedono un allargamento del controllo sulle moschee da parte dell’Islam ufficialmente riconosciuto.

Albania come “trampolino di lancio” per i jihadisti

I reclutatori dell’Isis trovano terreno fertile in Albania,  focalizzandosi in molti casi su individui in precarie condizioni sociali, culturali ed economiche; è a questo punto che entra in gioco il meccanismo di reclutamento individuato dall’analista russo Alexei Grishin, fondato su approcci individuali al reclutamento, a seconda dell’età, del sesso, della condizione socio-psicologica del “candidato”. Un vero e proprio processo di “screening” col quale si individuano i “punti sensibili” sui quali far leva: risentimento nei confronti del contesto sociale, disagio economico, problematiche psicologiche di rilievo, esigenze personali. Non a caso l’Isis promette un’identità, uno stipendio, il matrimonio, illude i potenziali reclutati di ricoprire un ruolo di tutto rilievo nella costruzione di un’entità statale secondo dei dettami religiosi totalmente decontestualizzati e manipolati.

Al momento le stime ufficiali parlano di circa 140 jihadisti albanesi attivatisi in Siria: una trentina sarebbero rientrati in patria, una decina sarebbero morti. I nuclei familiari di albanesi trasferitisi nello “Stato Islamico” sarebbero  intorno ai 18 e 17 gli orfani.6

Conclusione

L’Albania sta progressivamente assumendo un ruolo di primo piano nel panorama jihadista balcanico, sia come sede di radicalizzazione e reclutamento e sia come luogo di partenza per la Siria. Uno scenario che non è certo da meno rispetto a quello bosniaco, con una storia di radicalizzazione un po’ più datata. L’incremento del radicalismo nel Pase delle Aquile rischia di avere conseguenze, dirette e indirette, anche sull’Italia, vista la vicinanza geografica e gli intensi rapporti tra le due aree; un contesto dunque da monitorare attentamente.

Giovanni Giacalone,  ISPI Associate Research Fellow

1.http://www.pp.gov.al/web/Prosecution_Office_sent_to_trial...

2.http://www.itstime.it/w/il-video-di-is-sui-balcani-a-mess...

3.http://www.lapsi.al/lajme/2015/11/26/raporti-sekret-89-xh...

4.http://www.balkaninsight.com/en/article/albania-muslims-c...

5.http://shqiptarja.com/home/1/gurra-xhamia-e-unaz-s-s--re-...

6.http://www.lapsi.al/lajme/2015/11/26/ekskluzive-17-f%C3%A...

Documento: 

commentarygiacalone1.12.2015.pdf

dimanche, 13 septembre 2015

Les Balkans menacés aussi par le GREXIT

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Les Balkans menacés aussi par le GREXIT

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr

Tournons un court instant le projecteur vers les Balkans et regardons ce qu'on y craint aujourd'hui plus que tout.


En effet, tout l'été, plusieurs pays des Balkans, ceux qui ont de forts liens financiers et commerciaux avec la Grèce sont en état d'alerte devant une contagion possible de la crise grecque, la sortie toujours possible d'Athènes de l'euro zone, sur leurs territoires. En mai dernier, la banque américaine Morgan Stanley avait ainsi anticipé de possibles problèmes de paiement pour la Bulgarie, la Roumanie et la Serbie du fait que de nombreuses banques grecques possèdent une participation en actions importante dans ces trois pays. Les banques centrales de Bulgarie et de Roumanie ont officiellement écarté depuis avoir un quelconque problème sur leurs avoirs, insistant même pour souligner que dans tous les cas, il s'agissait ou s'agira de banques nationales à participation grecque et non de banques purement grecques. Pourtant, 25 % du système financier bulgare est, par exemple, aux mains de quatre banques grecques : Alpha Bank, UBB, Pireaus Bank et Postbank et ces quatre banques grecques sont présentes dans tous les Balkans.  La crise bancaire internationale qui se dessine n'annonce donc rien de bon pour la région. Certains experts craignent que la panique n'ait des effets largement négatifs dans tous les Balkans, l'une des régions toujours les plus fragiles de l'Europe. Les relations économiques entre la Bulgarie et la Grèce sont étroites et ce, pas seulement dans le secteur financier mais aussi en ce qui concerne les infrastructures, l'industrie et le commerce bilatéral. 7 % des exportations bulgares vont vers la Grèce. Le Grexit affectera aussi forcément la Bulgarie à travers les 300 000 Bulgares qui travaillent en Grèce et qui comme tout immigré, enverront moins d'argent au pays ou alors des fonds totalement dévalués en drachmes.


Par rapport à la Grèce, la Roumanie n'est guère mieux lotie. 


Moins exposée que la Bulgarie, les autorités roumaines craignent aussi les effets collatéraux de la crise grecque comme une dévaluation de leur monnaie, le leu. Dans tous les cas, la Banque nationale roumaine avoue redouter, à court terme, de sérieuses difficultés monétaires et budgétaires. De plus, à Bucarest, la sortie de la Grèce de l'euro aura nécessairement un effet négatif sur l'entrée de la Roumanie dans l'euro zone. La Roumanie qui a reporté plusieurs fois cette entrée dans la monnaie unique européenne, la souhaite pourtant pour 2019 ou 2020.


Situation Serbe 


La Banque Centrale a assuré que l'exercice dans le pays des quatre banques grecques citées plus haut n'est pas en danger ni menacée. Entre 2005 et 2011, la Grèce fut d'ailleurs le troisième investisseur en Serbie avec un total de 1 300 millions d'euros qui généra 25 000 emplois. Mais depuis 2011, l'investissement grec s'est bien évidemment tari en raison de la faillite de l'Etat hellénique même si l'échange commercial entre les deux pays demeure toujours élevé avec le chiffre en 2014 de 427,12 millions d'euros.


La Hongrie mobilise son armée


La Hongrie a déjà entamé la construction d'une barrière, d'un mur le long de ses 175 km de frontière avec la Serbie afin de contenir l'afflux de migrants, principalement des réfugiés originaires de Syrie, qui tentent de rejoindre l'espace Schengen . Hier, la Bulgarie annonçait l'envoi de blindés et de militaires le long de sa frontière avec la Macédoine. L'Autriche s'est aussi résolu à mobiliser des militaires afin de soutenir l'action de l'État autrichien dans les camps de réfugiés et les centres d'accueil. 


Lundi, près de 2.000 migrants sont entrés dans l'Union européenne par la frontière serbo-hongroise. Un record pour une seule journée mais l'Europe est prospère et en paix, nous avait-on promis. Vous en souvenez-vous ?

samedi, 30 mai 2015

Was ist los in Mazedonien?

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Was ist los in Mazedonien?

von Karl Müller

Ex: http://www.zeit-fragen.ch

Vor 14 Jahren, im Jahr 2001, stand das nördlich an Serbien und südlich an Griechenland grenzende kleine Balkanland Mazedonien monatelang in den Schlagzeilen. Das Land drohte in einem Bürgerkrieg zu versinken. Kämpfer einer mazedonischen UÇK, unterstützt von der kosovarischen Organisation mit demselben Namen und auch von US-Geheimdiensten und US-Militärs, überzogen Mazedonien mit Anschlägen und Angriffen auf Polizei und Militär des Landes. Die UÇK-Kämpfer und ein grosser Teil der westlichen Politiker und Medien sprachen damals von einem berechtigten Kampf gegen die Diskriminierung der albanisch-stämmigen Bevölkerung im Lande, andere Stimmen ordneten die Gewalttaten der UÇK, ähnlich wie beim Kosovo, in grössere geopolitische Zusammenhänge ein. Im August 2001 einigten sich die Konfliktparteien auf ein Abkommen, das der albanisch-stämmigen Bevölkerung gesellschaftliche und politische Sonderrechte einräumte. Einer der damaligen führenden UÇK-Kämpfer aus dem Jahr 2001, Ali Ahmeti, sitzt heute in der Regierung des Landes.
Die vergangenen 14 Jahre war es ruhig geworden um das Land. Seit 2005 ist Mazedonien Beitrittskandidat für die EU. Es heisst sogar, das Land wolle in die Nato. Aber die Regierung des Landes hat sich den Sanktionen der US-Regierung und der EU-Regierungen gegen Russland nicht angeschlossen. Statt dessen hat sie sich bereit erklärt, eine Transitstrecke in Mazedonien für die von Russland geplante Pipeline durch die Türkei (Turkish Stream) zu bauen. Die Führung der Pipeline-Trasse durch die Türkei hatte Russ­land mit der Türkei Anfang 2015 ausgehandelt. Sie soll statt South Stream, deren geplanter Verlauf durch Bulgarien von der EU behindert wurde, gebaut werden, um russisches Erdgas ungehindert nach Südosteuropa bis hin nach Österreich transportieren zu können. Mazedonien ist als Transitland für den Pipelinebau sehr wichtig.1


Seit 2 Wochen ist Mazedonien in die Schlagzeilen zurückgekehrt. Anlass war eine Razzia der Polizei des Landes in der Stadt Kumanovo. Dort gibt es ehemalige UÇK-Kämpfer, die Attentate geplant haben sollen. Sehr wahrscheinlich sind sie auch am Drogenhandel beteiligt. Die Stadt gilt als Zwischenstation für aus Afghanistan kommende Drogentransporte. Sie liegt ganz nahe bei der Grenze zu Serbien, aber auch nahe der Grenze zum Kosovo, der Hauptumschlagplatz für die Drogentransporte nach Europa ist. Bei der Razzia in Kumanovo kam es zu stundenlangen Feuergefechten, bei denen 22 Menschen starben, darunter 8 Polizisten.

 

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Westliche Medien kommentierten die Ereignisse unterschiedlich. Manche sprachen von einem zu harten Vorgehen der mazedonischen Sicherheitskräfte, das ethnisch motiviert gewesen sei und sich gegen die albanisch-stämmige Bevölkerung gerichtet habe. Andere behaupten, der Ministerpräsident des Landes habe die Feuergefechte in Kumanovo inszeniert, um von eigenen Problemen und der Unzufriedenheit der Bevölkerung abzulenken. Richard Howitt von den sozialistischen Fraktion im EU-Parlament meinte gar, die Bürger Mazedoniens hätten nach den Kämpfen in Kumanovo ein Trauma erlitten.


Interessanterweise hat aber selbst der ehemalige UÇK-Kämpfer und das heutige Regierungsmitglied Ali Ahmeti in einem Interview mit der österreichischen Zeitung «Die Presse» (19.5.2015) zugegeben: «Ich kann nicht verneinen, dass wir einige der Leute kennen, die daran beteiligt waren. Einige davon waren frühere Mitglieder der UÇK.» Um dann aber gleich im Anschluss Russ­land zu attackieren: «Meine Sorge ist auch: Warum hat Moskau aus der Sache ein Thema gemacht? Russlands Aussenminister Lawrow hat gesagt, die euroatlantische Erweiterung auf dem Balkan sei eine Provokation für Russland. Und vor einigen Tagen hat Lawrow bei einem Besuch in Serbien behauptet, die Vorfälle in Mazedonien seien von der Nato, der EU und Washington provoziert worden. Ich weise das massiv zurück.»


In der Tat hat der russische Aussenminister jetzt schon mehrfach geäussert, dass hinter den Vorgängen in Mazedonien der erneute Versuch einer «farbigen Revolution» steckt (siehe Text auf Seite 2). Ein paar Tage nach den Feuergefechten in Kumanovo gab es in der Hauptstadt des Landes Demonstrationen gegen den Ministerpräsidenten und die Forderung nach seinem Rücktritt und nach Neuwahlen. In westlichen Medien, zum Beispiel von der international ausgestrahlten Deutschen Welle, werden diese Proteste in den höchsten Tönen als Ausdruck demokratischen Aufbegehrens gewürdigt. Dem Ministerpräsidenten werden illegale Abhöraktionen und Korruption vorgeworfen. Kritik an der Regierungsspitze und Forderungen nach grundlegenden Änderungen der Politik sind auch der Tenor der Stellungnahmen aus der EU und den USA. Lauter als in den vergangenen Jahren wird von EU-Politikern ein baldiger EU-Beitritt des Landes gefordert. Besonders hervor tun sich dabei Politiker aus dem EU-Parlament. Der Integrationsprozess in die EU, so der Abgeordnete der Europäischen Volkspartei im EU-Parlament, Edward Kukan, sei eines der wichtigen Instrumente, die helfen könnten, die Krise zu überwinden. Die EU-Kommission forderte die mazedonische Regierung auf, wieder auf die «richtige Spur» zu kommen, also in Richtung EU-Mitgliedschaft und EU-Politik.


Kritische Stimmen aus Russland und aus Serbien – dort beobachtet man bis in die Regierung hinein die Vorgänge in Mazedonien mit grösster Sorge – werden hingegen als «Verschwörungstheorie» abgetan – so zum Beispiel von der Deutschen Presseagentur (dpa) am 19. Mai oder von der Zeitung «Die Welt» am 20. Mai – und sogar ins Gegenteil gewendet. So heisst es, Russland wolle Mazedonien dem westlichen Bündnis entreissen und das westliche Bündnis spalten. So zum Beispiel vom SPD-Politiker und ehemaligen Staatssekretär im deutschen Verteidigungsministerium Walter Kolbow. Kolbow war Staatssekretär unter dem deutschen Verteidigungsminister Rudolf Scharping von der SPD, der 1999 einer der deutschen Wortführer für den völkerrechtswidrigen Krieg gegen Jugoslawien war. Auch die US-Regierung zeigt sich an dem kleinen Land auf dem Balkan sehr interessiert. Bei n-tv.de hiess es am 20. Mai: «Die Krise im Land bereitet auch der US-Regierung Sorgen. Seine Regierung verfolge das Geschehen in Mazedonien genau, sagte der Sprecher des US-Aussenministeriums Jeff Rathke. Die Behörden müss­ten die gegen die Regierung erhobenen Vorwürfe prüfen, die sich ‹aus jüngsten Enthüllungen› ergäben.»
Interessant ist aber auch, was die Schweizer Internetseite Schweizer Magazin berichtet. Dort heisst es in einem Beitrag vom 20. Mai zu den Demonstrationen gegen die mazedonische Regierung: «Am vergangenen Wochenende wurden einige tausend Demonstranten aus allen Ecken des Landes mit Bussen herangekarrt, von denen viele für ihre Demonstrationsbegeisterung sogar 500 Denar erhielten. Sie sollten auf Anweisung von George Soros Medien mit geschickten Kameraeinstellungen die Zahl der Demonstranten als ‹100 000› präsentieren.» Zudem sollen von den Regierungsgegnern Schlägertrupps engagiert worden sein.
Wie dem auch sei, es gibt gute Gründe dafür, sich ein genaueres Bild zu machen, das über die Berichte der westlichen Mainstream-Medien hinausgeht. Dem dient für einen ersten Blick die folgende Zusammenstellung.    •

1    Eine ausführliche Analyse zur Bedeutung der Balkan-Staaten für die europäische Energieversorgung leistet der Artikel von Jens Berger: Europa und der kalte Pipeline-Krieg, www.nachdenkseiten.de  vom 20.5.2015

Mazedonien – Blaupause nach dem Muster von «Regime change»

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Mazedonien – Blaupause nach dem Muster von «Regime change»

Interview mit Zivadin Jovanovic*,

Präsident des Belgrad Forum for a World of Equals

Ex: http://www.zeit-fragen.ch

Sputniknews: Bei seinem kürzlichen Besuch in Serbien äusserte sich Sergej Lawrow über die Sorge Russlands hinsichtlich der Gewalt in Mazedonien und der Idee eines «Gross­albaniens». Welche Unterstützung haben albanische Nationalisten auf dem Balkan und international?

Zivadin Jovanovic: Wir sind alle wirklich sehr besorgt wegen der laufenden Destabilisierung von Mazedonien. Zu den wachsenden sozio-ökonomischen Problemen in der Region kommen hier nun massive Gewalt und die politische Destabilisierung von Mazedonien hinzu. Die Idee von Grossalbanien ist alt, aber sie ist durch die Nato-Aggression von 1999 unterstützt worden, und 2008 wurde die Idee weiter verstärkt durch die unilaterale Sezession der serbischen Provinzen Kosovo und Metohija, unterstützt und anerkannt von den USA und den meisten Regierungen der EU/Nato-Mitgliedstaaten. Es kann kaum bezweifelt werden, dass die gegenwärtige Destabilisierung von Mazedonien nicht ohne den Willen und ohne die Unterstützung derselben westlichen Kräfte geschehen kann. Stellungnahmen von verschiedenen westlichen Hauptstädten, die Teilnahme von einigen westlichen Botschaftern an den Demonstrationen in Skopje, die Slogans und allgemein die westliche Propaganda sind mehr als deutlich. Serbien ist gewiss eines der Länder in der Region, die für die Stabilisierung von Mazedonien sind und die die Idee von «Grossalbanien» verurteilen.

Denken Sie, dass die gegenwärtigen Proteste ein Versuch sind, die jetzige Regierung von Mazedonien zu destabilisieren? Und glauben Sie, dass diese Versuche mit den «farbigen Revolutionen» und den «Regime change»-Operationen zusammenhängen, die vom Westen gesponsert waren, das heisst im ehemaligen Jugoslawien (Otpor!), in Georgien (Rosenrevolution) oder in der Ukraine (Euro­maidan)?

Ich denke, dass die jetzigen Vorgänge in Mazedonien nach dem «Regime change»-Muster in Serbien (Jugoslawien) und in anderen Orten in Europa und in Nordafrika verlaufen, oder wie die derzeitigen Versuche, Brasilien, Venezuela und Argentinien zu destabilisieren. Es gibt sicherlich bestimmte Details, die von Land zu Land verschieden sind, aber die wesentlichen Phasen und Instrumente sind die Propagandamaschinerie, um in der Bevölkerung Unzufriedenheit zu schaffen, massive Proteste und sogar bewaffnete Zwischenfälle zu organisieren, Forderungen nach «Veränderungen» voranzutreiben und schliesslich legal gewählte Regierungen zu stürzen.

Lawrow sagte, dass die jüngsten «Ereignisse in Mazedonien vor dem Hintergrund des Verzichts der mazedonischen Regierung, sich der Sanktionspolitik gegen Russland anzuschliessen, ablaufen» und Skopje zudem «eine aktive Unterstützung in bezug auf den Bau der Gaspipeline Turkish Stream gezeigt» hat. Sind die USA daran interessiert, die Region für geopolitische Zwecke zu destabilisieren?

Ich glaube, Lawrow hat Recht. Die USA haben Angst, die Kontrolle über Europa und über Europas Zusammenarbeit mit Russland zu verlieren. Diesbezüglich betrachtet Wa­shington jedes Projekt, das Europa auf lange Sicht eigenständig, sicher und unabhängig macht, so wie South Stream, Turkish Stream oder irgendein anderes Projekt, als seinen geostrategischen Interessen entgegenstehend und versucht, das mit allen Mitteln zu verhindern. Mazedonien ist keinesfalls gross oder stark, aber es sieht Turkish Stream und den Freihandel mit Russland als im besten Interesse seines Landes. Bedauerlicherweise haben die USA ausser ihren eigenen Interessen kein Interesse für irgend jemanden, schon gar nicht für Mazedonien. Das ist die imperiale Logik. Aber die Zeit für die Weltpolizei ist abgelaufen. Die Geschichte schreitet weiter ungeachtet imperialer Prognosen.    •

*    Zivadin Jovanovic war von 1998 bis 2000 Aussenminister der Bundesrepublik Jugoslawien.

Quelle: www.beoforum.rs/en  vom 19.5.2015
(Übersetzung Zeit-Fragen)

jeudi, 28 mai 2015

L’ombra della rivoluzione colorata torna sui Balcani

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Nel caos macedone

L’ombra della rivoluzione colorata torna sui Balcani

Marcello Ciola

Ex: http://www.ilgiornale.it
 

Verso la fine di aprile un gruppo di rappresentanti dal Regno Unito, Stati Uniti, Turchia e Danimarca, auto-proclamandosi come “delegazione dell’OSCE”, si era recato nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia (FYROM) con la “missione” di porre domande e richieste al governo del neo eletto (ma al quarto mandato dal 2006) Nikola Gruevski.

Il Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nei giorni successivi aveva presentato una interrogazione al segretario in carica dell’OSCE, il serbo Ivica Dadic, per far luce sulla faccenda. In tempi più recenti, sempre Lavrov ha sostenuto l’ipotesi che in FYROM si fosse ordito un tentativo di “rivoluzione colorata” proprio in occasione di quella “missione”.

Sono noti a tutti i fatti relativi agli scontri armati tra forze di polizia macedoni e un commando di reduci dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) avvenuti a Kumanovo lo scorso 9 maggio e le proteste iniziate il 17 maggio a Skopje - in principio i due eventi erano stati programmati simultaneamente. Allo stesso modo, sono conosciute le motivazioni che hanno spinto diverse decine di migliaia di manifestanti a scendere in piazza: il premier macedone è accusato di autoritarismo, corruzione e, soprattutto, di spionaggio. Le intercettazioni sono state consegnate (presumibilmente da servizi segreti stranieri) nelle mani del leader dell’opposizione, il socialdemocratico Zoran Zaev, che fu accusato di corruzione, arrestato insieme a 5 suoi collaboratori 8 anni fa per poi essere graziato dall’ex presidente del suo partito e allora presidente della FYROM, Branko Crvenkovski. Ora, i due sono alla testa della protesta di Skopje accompagnati dall’ex primo ministro Radmila Sekerinska, già membro di spicco della fondazione Open Society del magnate George Soros (che ha sovvenzionato diverse rivoluzioni colorate nel vecchio blocco socialista), e da Srdja Popovic, leader dell’istituto CANVAS (legato a doppio filo con OTPOR, organizzazione che ha guidato la rivolta contro Milosevic in Jugoslavia). Insieme, invocano le dimissioni del governo in carica minacciando una nuova majdan in stile ucraino, ottenibile sfruttando le divisioni etniche, religiose e storiche connaturate nella FYROM. Immediato è stato il sostegno giunto dagli Stati Uniti e, più specificatamente, di Victoria Nuland, sottosegretario di Stato per gli Affari Europei, e da Paul Wohlers, ambasciatore USA presso Skopje. Come qualche cronista ha sottolineato, il sostegno che gli USA (e di alcuni suoi alleati) hanno garantito alla protesta di Skopje e al partito socialdemocratico può essere legato alle scelte politiche di Gruevski nei confronti della Russia. Infatti, il Premier macedone non ha appoggiato le sanzioni contro la Russia e, soprattutto, ha supportato il progetto di gasdotto Turkish Stream, sostituto del fallito South Stream, risolvendo l’impasse in cui si erano trovati al Cremlino. Con questa strategia, la FYROM si è candidata come hub balcanico fondamentale per il transito delle risorse energetiche russe, che dal suo territorio giungerebbero in Austria passando da Serbia e Ungheria. Così facendo, però, Gruevski ha suscitato dei malumori oltre oceano, rischiando di portare in Macedonia quell’instabilità tipicamente balcanica che ora affligge tutto il limes dello spazio ex-sovietico. Per alcuni, le radici del colosso russo Gazprom non devono consolidarsi nei Balcani e non è un caso che si facciano pressioni internazionali sempre più forti per costruire un nuovo Kosovo, la Vojvodina, tra Serbia e Ungheria e non è un caso che lo spettro del “pan-albanismo”, supportato dal mito della Grande Albania, sia utilizzato come chiave di volta della stabilità/instabilità balcanica a partire dalla Grecia per finire in Serbia passando per il Montenegro e per la FYROM, ora nell’occhio del ciclone.

Malgrado la difficoltà della situazione, Gruevski mostra una forte volontà di percorrere la strada dell’interesse nazionale seppur rimanendo nell’alveo della koiné europea – si veda l’incontro con Papa Francesco degli scorsi giorni e l’organizzazione di un incontro con Lavrov nel prossimo futuro, pur mirando all’adesione al blocco europeo e atlantico. Bruxelles e Washington, però, non sembrano accontentarsi di un’adesione alla UE e alla NATO (cosa che accadrebbe anche con i socialdemocratici al potere); piuttosto, sembrano volere l’ennesima chiusura politica nei confronti dei russi, forzando un cambio di regime attraverso l’instabilità della Macedonia e conseguentemente di tutta la regione. Ancora una volta, i Balcani si dimostrano essere quella “grande polveriera” che erano 100 anni fa.

Marcello Ciola
Associate analyst del think tank “Il Nodo di Gordio”
www.NododiGordio.org

mercredi, 27 mai 2015

Une révolution de couleur en Macédoine

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Une révolution de couleur en Macédoine

Auteur : Paul Craig Roberts
Traduction Dominique Muselet 
Ex: http://zejournal.mobi

Pendant la guerre froide Washington avait peur que les communistes ne fomentent des manifestations et ne les fassent  dégénérer en révolutions pendant que des politiciens acquis à leur cause attendaient dans les coulisses pour prendre le pouvoir et ainsi étendre l’empire soviétique. Aujourd'hui, c’est exactement ce que fait Washington.

Nous avons récemment assisté à une opération de ce genre en Ukraine et, maintenant, une autre semble avoir lieu en Macédoine.

La fondation National Endowment for Democracy a été créée en 1983. Son but officiel est de promouvoir la démocratie à l'étranger. Son véritable but était de fomenter des désordres en Europe de l'Est soviétique. Aujourd'hui, la NED utilise l’argent de nos impôts pour renverser les gouvernements qui ne sont pas alignés sur Washington.

La NED finance des organisations non-gouvernementales (ONG) dans les pays que Washington veut déstabiliser. Ces ONG opèrent sous couvert de promouvoir «la démocratie » et les «droits de l'homme». Elles recrutent des meneurs  parmi les étudiants idéalistes et les politiciens mécontents, et les lancent contre le gouvernement en place dont  Washington souhaite réduire l'indépendance.

Les étudiants idéalistes sont tout simplement les dupes de ces ONG, et les politiciens mécontents veulent uniquement le  pouvoir et ils sont prêts à servir Washington pour l'obtenir.

Selon le secrétaire d'Etat adjoint, Victoria Nuland, Washington a dépensé 5 milliards  de dollars en Ukraine pour former des politiciens et implanter des d'ONG faisant office de cinquième colonne de Washington. Lorsque le président de l'Ukraine, Viktor Ianoukovitch, a refusé d'aligner l'Ukraine sur les intérêts de Washington, Washington a lâché ses cinquièmes colonnes, et le gouvernement de M. Ianoukovitch a été renversé par la violence. Malgré tous les discours de Washington sur la démocratie, le fait que le gouvernement de M. Ianoukovitch soit démocratiquement élu et que la prochaine élection doive avoir lieu seulement quelques mois plus tard, n'a pas empêché Washington de renverser Ianoukovitch.

Maintenant, le même sort semble attendre l'Arménie, l'Azerbaïdjan, le Kirghizistan, et la Macédoine. La plupart des Américains ne savent pas où sont ces pays. L'Arménie et l'Azerbaïdjan se trouvent à l'est de la mer Caspienne et sont d’anciennes provinces de l'Union soviétique. Le Kirghizistan est une ancienne province soviétique à la  frontière de la Chine. La Macédoine, lieu de naissance d'Alexandre le Grand, est une ancienne partie du nord de la Grèce, mais au 20e siècle des morceaux de la Macédoine sont passés en Bulgarie, Serbie et Albanie avant de devenir une province de Yougoslavie. Quand Washington a détruit la Yougoslavie, la Macédoine est devenue une république indépendante de deux millions d’habitants. La Macédoine est un pays enclavé, entouré par la Grèce au sud, la Bulgarie à l'est, l'Albanie à l'ouest, et au nord par le Kosovo créé par la Serbie et Washington.

Pourquoi Washington veut-il contrôler la Macédoine?

Le gouvernement macédonien a refusé de se joindre aux sanctions de Washington contre la Russie et il soutient le projet de pipeline de gaz naturel russo-turc qui livrera le gaz naturel russe à l’Europe en traversant la Turquie jusqu’à la frontière grecque.

La Grèce est pillée par l'Union européenne, le FMI et les banques néerlandaises  et allemandes. Cela pousse la Grèce dans les bras de la Russie du fait que le soutien russe est la seule solution que la Grèce a trouvé pour mettre fin à l'austérité écrasante que l'UE impose au peuple grec. La Macédoine se trouve entre la Grèce et la Serbie, un pays qui ne porte pas Washington et l'UE dans son cœur, depuis la dislocation de la Serbie qui a suivi l’agression de Washington et de l'OTAN. Washington n’aime pas l’idée que l'énergie russe, sur laquelle il n’aurait aucun contrôle, soit livrée à ses Etats vassaux européens via les alliés de la Russie en Europe.

En prenant le contrôle de la Macédoine, Washington espère couper la Grèce de la Serbie et peut-être réussir à convaincre la Grèce de s’aligner sur le projet de pipeline de Washington qui approvisionnerait l'Europe à partir de l'Azerbaïdjan, réduisant, de ce fait, l'influence de la Russie en Europe.

La Macédoine a une minorité albanaise. L'Albanie est un vassal de Washington et un membre de l'OTAN. Washington soutient les Albanais dissidents de Macédoine, les manifestants sont dans les rues, le gouvernement macédonien est accusé de corruption comme le fut le gouvernement ukrainien, et le Département d'Etat américain exprime son inquiétude devant la crise politique macédonienne que Washington a orchestrée.

Washington ne cesse de se gargariser avec la démocratie et les droits humains, mais n'a aucun respect ni pour l’une ni pour les autres. Le seul intérêt de ces notions pour Washington, est qu’il peut s’en servir pour accuser les gouvernements qu’il veut renverser de ne pas les respecter.

Le gouvernement russe comprend ce qui se passe.  Mais on ne sait pas encore si le fait d’avoir assisté  sans rien faire au renversement  du gouvernement ukrainien lui a servi de leçon.

Pour les Etasuniens, à la différence de Washington, la question est de savoir si la quête effrénée de l'hégémonie américaine mérite de risquer une guerre avec la Russie et la Chine. Les néo-conservateurs, qui contrôlent la politique étrangère des États-Unis d’une main de fer, croient que l'hégémonie passe au-dessus de tout. Mais les Etasuniens tirent-ils assez de plaisir par procuration du fait qu’une poignée de néoconservateurs règne en maîtres sur le monde, pour accepter le risque d'une guerre nucléaire?

La politique d’agression pure et simple que Washington mène contre la Russie devrait inquiéter non seulement le peuple américain mais aussi le monde entier. Une guerre se prépare. Une guerre avec la Russie signifie également une guerre avec la Chine. Ce n’est  pas une guerre que Washington et ses vassaux ni l’humanité en tant que telle peuvent gagner.

Dr Paul Craig Roberts a été secrétaire adjoint au Trésor pour la politique économique et rédacteur en chef adjoint du Wall Street Journal. Il a été chroniqueur à Business Week, Scripps Howard News Service, et Creators Syndicate. Il a occupé de nombreux postes universitaires. Ses articles sur internet ont attiré l’attention mondiale. Les derniers livres de Roberts sont : L'échec de capitalisme du laissez faire et la dissolution économique de l'Occident et Comment l'Amérique fut perdue.

vendredi, 15 mai 2015

Pulverfass Mazedonien

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Pulverfass Mazedonien

von Frank Marten

Ex: http://www.blauenarzisse.de

Am Wochenende lieferten sich mazedonische Streitkräfte mit albanischen Separatisten Feuergefechte. Mazedonien droht ein neuer Bürgerkrieg. Balkan-​Experte Frank Marten zu den historischen und ethnischen Hintergründen.

Die Vergangenheit scheint den kleinen Balkanstaat fest im Griff zu haben. 22 Tote, Dutzende Verletzte und zahlreiche zerstörte Bauten gab es am Wochenende – das erinnert an scheinbar längst vergangene Zeiten. Der Zwischenfall vor einigen Tagen im mazedonischen Städtchen Kumanovo könnte ein schlechtes Omen für die Zukunft Mazedoniens sein.

Der Vielvölkerstaat Mazedonien

Wer diesen Konflikt verstehen will, muss die ethnische Zusammensetzung des Landes betrachten. Die Bevölkerung der Republik Mazedoniens ist heterogen aufgeteilt: Knapp 64 Prozent sehen sich als slawische Mazedonier, die vor allem im Süden, im Westen und im Zentrum des Landes ansässig sind. Rund 25 Prozent der in der kleinen Republik lebenden Bevölkerung sind dagegen Albaner, die vor allem im Osten des Landes und an den Grenzen zum Kosovo und der Republik Albanien leben. Als politisches und kulturelles Zentrum dieser großen Minderheit gilt die Stadt Tetovo im Nordwesten des Landes an der Grenze zum Kosovo. Es handelt sich um die drittgrößte Stadt Mazedoniens.

Dementsprechend ist es nicht verwunderlich, dass gerade dort die Idee der Separation albanischer Gebiete von Mazedonien die meisten Anhänger findet. Beflügelt von dem Erfolg der „Befreiungsarmee des Kosovo“ (UCK) gründete sich um die Jahrtausendwende ein mazedonischer Ableger. Dessen Ziel war die Lossagung der albanisch besiedelten Gebiete Mazedoniens und der Anschluss dieser Gebiete an Albanien. Besonders umkämpft waren 2001 die Gebiete rund um Tetovo und das Grenzgebiet zum Kosovo sowie zur Republik Albanien.

Die UCK im Kosovo

In den knapp sechsmonatigen Kämpfen zwischen albanischen Separatisten und mazedonischen Sicherheitskräften begingen beide Seiten schwere Menschenrechtsverletzungen gegenüber der anderen Ethnie und ihren sakralen Bauten. Denn die Mehrheit der albanischen Mazedonier sind Muslime. Beendet wurde der Aufstand durch den Vertrag von Ohrid vom August 2001. Dieser gab den Albanern mehr Rechte als jemals zuvor in der mazedonischen Geschichte. Beispielsweise wurde die albanische Sprache nun als Kommunalsprache anerkennt. Gebieten mit eine überwiegend albanisch sprechenden Bevölkerung wurden im Rahmen des Abkommens mehr Selbstverwaltung und Entscheidungsgewalt eingeräumt.

Das Abkommen beendete zwar das Blutvergießen, nicht jedoch das durch den Aufstand ausgelöste Misstrauen zwischen den Ethnien. Der frühere mazedonische UCK-​Chef Ali Ahmeti gründete nach dem Aufstand die albanische Partei „Demokratische Union für Integration“, die die drittgrößte Partei im Land darstellt. Sie hat sich die Ausweitung der Rechte der Albaner auf die Fahnen geschrieben. Dennoch sei angemerkt, dass Ahmeti zu den eher moderaten Kräften gehört und auf Wahlen anstatt Blutvergießen setzt.

Die demographische Landnahme

Der überwiegende Teil der Mazedonier fürchtet eine Übernahme ihres Landes durch die albanische Minderheit. Schon jetzt bekommen albanische Mütter wesentlich mehr Kinder als mazedonische Frauen. Und dieser Prozess scheint sich ohne Unterbrechung fortzusetzen. Das Misstrauen auf beiden Seiten ist hoch. Knapp sieben Jahre nach der Beendigung des Aufstandes wurde im albanisch besiedelten Bezirk der Hauptstadt Skopje das „Museum der Freiheit“ eröffnet. Es sorgte vor allem mit der Zurschaustellung der Erfolge und Symbole der mazedonischen UCK für Furore innerhalb Mazedoniens.

Der Zwischenfall von Kumanovo bestärkte die Mazedonier in ihrem Misstrauen gegenüber den albanischen Nachbarn. Die UCK, die nach dem Aufstand von 2001 von der Bildfläche verschwunden war, taucht nun wie der Phoenix aus der Asche mit einem lauten Donnerschlag wieder auf. Dennoch ist wenig über den Vorfall bekannt: Laut der mazedonischen Regierung sollte es sich um eine Razzia gegen albanische Separatisten gehandelt haben, die vor einigen Wochen einen Grenzposten zur albanischen Grenze für einige Stunden übernommen hatten.

Verschwörungen um Kumanovo

Aus der Razzia entwickelte sich ein Feuergefecht zwischen den Separatisten und den mazedonischen Sicherheitskräften. Laut der mazedonischen Regierung, bestehend aus einer Koalition der christlich-​konservativen VMRO-​DPMNE mit der national-​albanischen DIU, seien diese vom Ausland aus gesteuert worden. Doch dieser Aussage wird sowohl aus dem Kosovo als auch aus Albanien widersprochen. Manche Oppositionelle vermuten hinter dem Vorfall von Kumanovo jedoch ein Ablenkungsmanöver der umstrittenen Regierung.

Denn die steht seit Wochen unter dem Protest der Straße. Grund dafür sei die illegale Abhörung von knapp 20.000 kritischen Journalisten und Oppositionellen gewesen, so internationale Medienberichte. Bauscht die mazedonische Regierung den Vorfall also medial auf, um somit von ihren eigenen Schandtaten abzulenken?

Nachbarstaaten heizen den Konflikt an

Wie dem auch sei – die Antwort der Nachbarstaaten ließ nicht lange auf sich warten. So kritisierten sowohl Albanien als auch das Kosovo die Vorgehensweise der mazedonischen Sicherheitskräfte. Sie forderten die mazedonische Regierung zur Einhaltung der Bestimmungen von Ohrid auf. Bulgarien, das sich als Schutzmacht Mazedoniens sieht, forderte eine lückenlose Aufklärung des Vorfalls. Diese Forderung teilt auch die Republik Serbien, die nach dem Vorfall bereits Polizeitruppen an der serbisch-​mazedonischen Grenze stationierte. Dort geht die Angst vor einem „Großalbanien“ um. Denn die UCK fordert auch die Angliederung von Teilen Südserbiens an das von ihr angestrebte „Großalbanische Reich“.

Die Angst vor einem erneuten Aufstand der Albaner ist nicht unbegründet: Durch die desolate Wirtschaftslage des Balkanstaates und die um sich greifende Korruption teilen viele Albaner den Wunsch eines geeinigten Großalbaniens unter der Flagge des schwarzen Adlers. Die mazedonische Politik sollte sich nun ihrer desolaten Lage bewusst werden und die Probleme im Land, die sie teilweise selbst zu verantworten hat, mit demokratischen Mitteln bekämpfen: „Nein“ zum albanischen Separatismus, „Ja“ zur regionalen Selbstverwaltung unter dem Schutz des mazedonischen Staates. Das bismarcksche Prinzip von „Zuckerbrot und der Peitsche“ könnte auch im tiefsten Balkan funktionieren. Von einem erneuten Blutvergießen hat niemand etwas – weder die Albaner noch die Mazedonier.

Anm. d. Red.: BN-​Autor Frank Marten hat mehrere Auslandsaufenthalte im Balkan, darunter auch im Kosovo und in Mazedonien, verbracht. Hier berichtet er über seine Reise in den Kosovo.

jeudi, 14 mai 2015

Échec du coup d'État US en Macédoine

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Échec du coup d'État US en Macédoine

Auteur : Thierry Meyssan

Ex: http://zejournal.mobi

La Macédoine vient de placer hors d'état de nuire un groupe armé dont elle surveillait les commanditaires depuis au moins huit mois. Elle a prévenu ainsi une nouvelle tentative de coup d'État, planifiée par Washington pour le 17 mai. Il s'agissait d'élargir à la Macédoine le chaos déjà installé en Ukraine de manière à prévenir le passage d'un gazoduc russe vers l'Union européenne.

L’affaire de Kumanavo

La police macédonienne a lancé, le 9 mai 2015, à l’aube, une opération pour arrêter un groupe armé qui s’était infiltré dans le pays et qu’elle soupçonnait de préparer divers attentats.

La police avait évacué la population civile avant de donner l’assaut.

Les suspects ayant ouvert le feu, il s’ensuivit une dure bataille qui fit 14 morts du côté des terroristes et 8 du côté des forces de l’ordre. 30 personnes ont été faites prisonnières. On dénombre quantité de blessés.

Pas une action terroriste, mais une tentative de coup d’État

La police macédonienne était manifestement bien renseignée avant de lancer son opération. Selon le ministre de l’Intérieur, Ivo Kotevski, le groupe préparait une très importante opération pour le 17 mai (c’est-à-dire lors de la manifestation convoquée par l’opposition albanophone à Skopje).

L’identification des suspects a permit d’établir qu’ils étaient presque tous anciens membres de l’UÇK (Armée de libération du Kosovo).

Parmi ceux-ci, on trouve :

- Sami Ukshini, dit « Commandant Sokoli », dont la famille joua un rôle historique au sein de l’UÇK.
- Rijai Bey, ancien garde du corps de Ramush Haradinaj (lui-même trafiquant de drogues, chef militaire de l’UÇK, puis Premier ministre du Kosovo. Il fut jugé par deux fois par le Tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie pour crimes de guerre, mais acquitté car 9 témoins cruciaux furent assassinés durant son procès).
- Dem Shehu, actuel garde du corps du leader albanophone et fondateur du parti BDI, Ali Ahmeti.
- Mirsad Ndrecaj dit le « Commandant de l’Otan », petit fils de Malic Ndrecaj commandant de la 132e Brigade de l’UÇK.

Les principaux chefs de cette opération, dont Fadil Fejzullahu (mort pendant l’assaut), sont des proches de l’ambassadeur des États-Unis à Skopje, Paul Wohlers.

Ce dernier est fils d’un diplomate états-unien, Lester Wohlers, qui joua un rôle important dans la propagande atlantiste et dirigea le service cinématographique de l’U.S. Information Agency. Le frère de Paul, Laurence Wohlers, est actuellement ambassadeur en République centrafricaine. Paul Wohlers lui même, ancien pilote de la Navy, est un spécialiste du contre-espionnage. Il fut directeur adjoint du Centre d’opérations du département d’État (c’est-à-dire du service de surveillance et de protection des diplomates).

Pour qu’il n’y ait aucun doute sur les commanditaires, le secrétaire général de l’Otan, Jens Stoltenberg, intervenait avant même la fin de l’assaut. Non pas pour déclarer sa condamnation du terrorisme et son soutien au gouvernement constitutionnel de Macédoine, mais pour transformer le groupe terroriste en une opposition ethnique légitime : « C’est avec une vive inquiétude que je suis les événements se déroulant à Kumanovo. J’adresse toute ma sympathie aux familles des personnes tuées ou blessées. Il est important que tous les dirigeants politiques et responsables de communauté s’emploient ensemble à rétablir le calme et fassent procéder à une enquête transparente pour déterminer ce qui s’est passé. J’appelle instamment chacun à faire preuve de retenue et à éviter toute nouvelle escalade, dans l’intérêt du pays et de l’ensemble de la région. »

Il faut être aveugle pour ne pas comprendre.

En janvier 2015, la Macédoine déjouait une tentative de coup d’État au bénéfice du chef de l’opposition, le social-démocrate Zoran Zaev. Quatre personnes étaient arrêtées et M. Zaev se voyait confisquer son passeport, tandis que la presse atlantiste commençait à dénoncer une « dérive autoritaire du régime » (sic).

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Zoran Zaev est publiquement soutenu par les ambassades des États-Unis, du Royaume-Uni, d’Allemagne et des Pays-Bas. Mais il n’existe à ce jour de trace dans la tentative de coup d’État que de la responsabilité US.

Le 17 mai, le parti social-démocrate (SDSM) de Zoran Zaev devait organiser une manifestation. Il devait distribuer 2 000 masques de manière à empêcher la police d’identifier les terroristes au sein du cortège. Durant la manifestation, le groupe armé dissimulé par ces masques devait attaquer diverses institutions et lancer une pseudo-« révolution » comparable à celle de la Place Maidan de Kiev.

Ce coup d’État était coordonné par Mile Zechevich, un ancien employé d’une des fondations de George Soros.

Pour comprendre l’urgence de Washington à renverser le gouvernement de Macédoine, il faut revenir sur la guerre des gazoducs. Car la politique internationale est un grand échiquier où chaque mouvement de pièce provoque des conséquences sur les autres.

La guerre du gaz

 

Le gazoduc Turkish Stream devrait passer à travers la Turquie, la Grèce, la Macédoine et la Serbie pour déservir l’Union européenne en gaz russe. A l’initiative du président hongrois, Viktor Orbán, les ministres des Affaires étrangères des pays concernés se sont réunis le 7 avril à Budapest pour se coordonner face aux États-Unis et à l’Union européenne.

Depuis 2007, les États-Unis tentent de couper les communications entre la Russie et l’Union européenne. Ils sont parvenus à saboter le projet South Stream en contraignant la Bulgarie à annuler sa participation, mais le 1er décembre 2014, à la surprise générale, le président russe Vladimir Poutine lançait un nouveau projet en réussissant à convaincre son homologue turc Recep Tayyip Erdo?an de faire accord avec lui bien que la Turquie soit membre de l’Otan. Il était convenu que Moscou livrerait du gaz à Ankara et que celui-ci en livrerait à son tour à l’Union européenne, contournant ainsi l’embargo anti-russe de Bruxelles. Le 18 avril 2015, le nouveau Premier ministre grec, Aléxis Tsípras, donnait son accord pour que le gazoduc traverse son pays. Le Premier ministre macédonien, Nikola Gruevski, avait, quant à lui, discrètement négocié en mars dernier. Enfin, la Serbie, qui faisait partie du projet South Stream, avait indiqué au ministre russe de l’Énergie, Aleksandar Novak, lors de sa réception à Belgrade en avril, qu’elle était prête à basculer sur le projet Turkish Stream.

Pour stopper le projet russe, Washington a multiplié les initiatives :
- en Turquie, il soutient le CHP contre le président Erdo?an en espérant lui faire perdre les élections ;
- en Grèce, il a envoyé le 8 mai, Amos Hochstein, directeur du Bureau des ressources énergétiques, pour sommer le gouvernement Tsípras de renoncer à son accord avec Gazprom ;
- il prévoyait —à toutes fins utiles— de bloquer la route du gazoduc en plaçant une de ses marionnettes au pouvoir en Macédoine ;
- et en Serbie, il relance le projet de sécession du bout de territoire permettant la jonction avec la Hongrie, la Voïvodine.

Dernière remarque et non des moindres : le Turkish Stream alimentera la Hongrie et l’Autriche mettant fin au projet alternatif négocié par les États-Unis avec le président Hassan Rohani (contre l’avis des Gardiens de la Révolution) d’approvisionnement avec du gaz iranien.


- Source : Thierry Meyssan

mardi, 12 mai 2015

La CIA déclenche une attaque sous faux drapeau en Macédoine

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La CIA déclenche une attaque sous faux drapeau en Macédoine pour contrer le projet gazier russo-grec

par Yann de Kerguezec
Ex: http://breizatao.com

Alors que la Russie vient de nouer un partenariat énergétique stratégique avec la Turquie et la Grèce pour un gazoduc commun devant rejoindre la Serbie, la Hongrie, l’Autriche et l’Italie. La CIA a réagi en déclenchant une agitation islamo-nationaliste albanaise depuis le Kosovo en Macédoine. Un exemple caricatural de l’alliance stratégique islamo-atlantiste en Europe.

Alternative au projet South Stream

De la même façon que la Russie achemine son gaz en Allemagne via le gazoduc “North Stream” (“Courant Nord”), Moscou entend garantir son partenariat avec l’Union Européenne en développant un projet analogue pour l’Europe méridionale et centrale, “South Stream” (“Courant Sud”) tout en contournant l’Ukraine.

Les USA, soucieux de briser une alliance stratégique euro-russe afin de s’assurer de la domination mondiale au détriment des Européens et des Russes, tentent en effet de créer un “cordon sanitaire” tourné contre Moscou partant des états baltes jusqu’à la Mer Noire, Ukraine incluse. D’où le coup d’état mené à Kiev par la CIA dans ce pays en février 2014.

Suite à cet événement, Washington a obtenu l’abandon du soutien bulgare au projet “South Stream” qui devait voir le jour :

 

Vladimir Poutine, actant de la soumission de la Bulgarie aux USA, annonçait formellement, début décembre 2014, l’abandon du projet “South Stream” (source) :

“Comme nous n’avons toujours pas reçu la permission de la Bulgarie, nous pensons que dans la situation actuelle la Russie ne peut pas poursuivre la réalisation de ce projet”.

Accord russo-turco-grec

La Turquie ambitionnait de faire transiter du gaz d’Asie Centrale et d’Orient –  en concertation avec les USA – sur son territoire vers l’Europe dans le cadre du projet de gazoduc “Nabucco”. Ce concurrent direct au projet “South Stream” a été progressivement abandonné et Moscou vient d’offrir à Ankara une alternative : le “Turkish Stream”.

Ce gazoduc permettra de livrer, dès 2016, la Turquie en gaz à un prix revu à la baisse par Gazprom (source). Avec l’arrivée d’Alexis Tsipras au pouvoir à Athènes, le nouveau gouvernement grec est à la recherche de toutes les opportunités économiques possibles.

Moscou a profité de ce changement politique pour proposer aux Grecs l’extension du projet turco-russe à la Grèce. Ce qu’a rapidement accepté le gouvernement d’extrême-gauche. Cet accord entre la Russie et la Grèce avait été salué par l’Allemagne, Berlin s’opposant de plus en plus fermement à l’ingérence américaine dans les affaires euro-russes (source).

La Macédoine en ligne de mire de la CIA

Avec la création de ce “Turkish Stream”, la Russie dispose d’une alternative au South Stream pour l’acheminement de son gaz vers l’Italie, la Serbie et la Hongrie. Aussi, les efforts américains en Ukraine et en Bulgarie pour couper l’accès du gaz russe au marché européen sont-ils sérieusement menacés d’échec.

Cette perspective d’un accord entre la Grèce et la Russie fait littéralement paniquer Washington qui a envoyé il y a deux jours un émissaire à Athènes pour exiger de la Grèce qu’elle abandonne son partenariat avec Moscou (source). Le ministre de l’Energie grec a redit la volonté de la Grèce de maintenir son projet de participation au projet russe.

Mais pour réaliser le “Balkans Stream”, alternative au “South Stream”, il faut que la Russie puisse faire transiter le gazoduc conjoint par la Macédoine.

Agitation albano-islamiste fomentée par la CIA

La CIA a donc décidé d’agiter ses fidèles vassaux de la mafia albanaise. Ainsi, une attaque menée depuis le Kosovo, un non-état où est située une des plus grandes bases américaines en Europe (Camp Bondsteel), a frappé le territoire macédonien au non d’un séparatisme albanais sur les frontières de l’actuelle Macédoine. Après avoir tué 22 personnes, les assaillants se sont ensuite repliés vers leur base arrière, protégés par les forces de l’OTAN.

Le but de la manoeuvre est clair : faire échec à l’alternative d’acheminement de gaz russe en Europe en menaçant de guerre indirectes les autorités macédoniennes susceptibles de rejoindre l’accord entre Russes, Grecs et Turcs.

En guise de hors d’oeuvre, les Macédoniens ont vu une résurgence récente de l’action des musulmans albanais sur leur territoire. D’abord une action contre 4 policiers s’était déroulée fin avril (source).

Le but est bien sûr de mener une guerre non-conventionnelle identique à celle menée en Syrie par les USA et leurs vassaux,  en agitant leurs alliés musulmans locaux.

Dans le même temps, des provocations multiples de la part des ultranationalistes musulmans d’Albanie ont visé la Serbie, comme l’annonce faite en avril d’une annexion “inéluctable” du Kosovo par Tirana (source). Une façon indirecte pour Washington de faire chanter Belgrade, au cas où le gouvernement serbe accepterait de faire transiter le gaz russe vers l’Europe centrale, Hongrie et Autriche notamment.

Révolution colorée en Macédoine

En parallèle, l’OTAN et les USA pourraient tenter de créer une crise politique visant à mettre au pouvoir un gouvernement fantoche, sur le modèle ukrainien, afin de contrecarrer le projet russe établi en concertation avec les Serbes, les Grecs et les Hongrois.


- Source : Yann de Kerguezec

La Macedonia sarà un’altra Majdan

La Macedonia sarà un’altra Majdan

Dovrebbe essere interesse primario del nostro governo fornire tutto l'aiuto possibile al premier Gruevski per garantire la stabilità del territorio macedone. Se, come il nordafrica, anche i balcani precipitano nel caos, l'Italia in primis, ma l'Europa tutta, si troverà circondata da guerre guerreggiate.
 
 
 
Ex: http://www.lintellettualedissidente.it 
 

Macedoine-municipalites-map.gifSoros, Nuland e la loro felice compagnia stanno cercando in ogni modo di mettere a ferro e fuoco la Repubblica di Macedonia. I loro burattini all’ interno del territorio macedone, ovvero l’attuale leader dell’ opposizione nonchè presidente del partito social democratico Zoran Zaev, insieme al vecchio presidente macedone Branko Cervenkovski, stanno però fallendo una mossa dopo l’altra. Non è servito a nulla comprare giornali locali, fare centinaia di siti internet uniti ad una propaganda pressante sui siti web, non è servito neppure possedere le televisioni “24 Vesti” o “Telma”, il popolo Macedone è ben informato e sta eroicamente resistendo, tenendo bene a mente i fatti ucraini di piazza Majdan. Nonostante abbia un PIL di poco più di 10 miliardi di dollari, nulla se paragonato ad esempio al denaro gestito dai grandi fondi d’investimento internazionali come i 4000 miliardi di Blackrock, l’attuale presidente Gruevski sta lottando con onestà e coraggio per evitare lo scenario peggiore, resistendo ad ogni tipo di attacco, come ad esempio l’accusa di aver spiato 20000 macedoni, in realtà operazione orchestrata dalla CIA come ha ammesso in un incontro privato, segretamente ripreso, proprio Zoran Zaev.  I motivi  per cui la Macedonia è sotto attacco sono: il ruolo di anello debole dei paesi balcanici per la costruzione del gasdotto Turkish stream – Balkan stream e oltretutto la pace nei balcani favorirebbe la messa in atto della “nuova via della seta cinese” collegando commercialmente il porto greco del Pireo all’ Ungheria, dunque al cuore dell europa attraverso Macedonia e Serbia.

Ma gli squali della grande finanza non si arrendono così facilmente e stanno puntando tutto sulla manifestazione del 17 maggio. Lo scopo dei manifestanti sarà quello di rimanere in piazza con le tende per giorni, replicando il copione delle altre rivolte colorate o delle primavere arabe. L’atmosfera viene riscaldata dai recentissimi eventi di Kumanovo, dove 80 uomini armati si sono scontrati con la polizia causando diversi feriti e 8 morti tra le forze di sicurezza. La stampa occidentale e l’opposizione macedone hanno subito accusato il governo di aver orchestrato tutto. In realtà si è trattata di un operazione eterodiretta, quei guerriglieri provenivano certamente dal Kosovo e fanno parte di quei mercenari a basso costo che l’intelligence del west tiene sempre pronti all’ attacco come dei cani da combattimento. Il governo Serbo si è subito dimostrato attento ed ha mandato proprie forze armate al confine con la Macedonia per evitare il diffondersi della violenza. Gruevski avrà la capacità di resistere, si spera riuscendo ad evitare scenari da guerra civile. Anche il governo albanese ha oggi esortato le comunità albanesi della Macedonia a non restare in piazza. Ma il governo macedone non può essere abbandonato da noi europei.Dovrebbe essere interesse primario del nostro governo fornire tutto l’aiuto possibile al premier Gruevski per garantire la stabilità del territorio macedone. Se, come il nordafrica, anche i balcani precipitano nel caos, l’Italia in primis, ma l’Europa tutta, si troverà circondata da guerre guerreggiate.

 

samedi, 25 avril 2015

Will Greece Join the Eurasian Union?

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F. William Engdahl

Ex: http://journal-neo.org

Will Greece Join the Eurasian Union?

At the very least the new Greek government realizes it must play in a deadly power game over the future of the nation in an asymmetrical manner. The so-called Troika—EU Commission, European Central Bank and IMF—is demanding blood from a turnip when it comes to Greece. So after hitting a granite wall in appealing for easing of the austerity to permit Greek economic growth to begin climbing back to solvency, the government of Greek Prime Minister Alexis Tsipras is looking at every option. The latest move is their looking east to Moscow and then Beijing. The Greek crisis, which began in October 2009 is at a critical crossroads.

In 2007-2008 as the US-centered sub-prime real estate debt crisis first erupted, Greek state debt was around 100% of GDP, higher than EU average but not unprecedented and manageable. By 2014 the debt had soared to 175% of GDP, higher than even Italy. The country had to take €240 billion from the Troika to avoid debt default, a step that would have brought German and French banks holding Greek bonds to likely default. At the start of the Greek crisis Greek bonds were held by mainly EU banks who found the higher interest rates attractive. When a bank crisis in Germany and France threatened as a Greek default threatened, the EU governments, the IMF and the European Central Bank took over 80% of Greek sovereign debt, letting the private banks once more off the hook at the expense of Greek and European taxpayers.

Either the Euro or Dollar goes

Greece was literally the Achilles Heel of the Euro and Washington and Wall Street hit it with a savagery not seen since they ran the Asia Crisis and Russian sovereign default crises in 1997-1998. When Greece imploded in late 2009 the dollar was the main currency under threat of abandonment. The Chinese were openly rebuking the US Government for letting its own deficits and debt explode at a rate well over $1 trillion a year. The response of the US Treasury Financial Warfare Division, the Federal Reserve and of Wall Street and the rating agencies was to launch a counter attack on the euro to “save” the dollar. It worked and few of the naïve Berlin politicians, certainly not Schäuble, nor Merkel, had a clue how sophisticated the Washington currency war machinery had become. They began to find out.

The USA credit rating agencies, led by Standard & Poors and Moody’s, took the unprecedented step of downgrading Greek government debt three notches in one day in April 2010 just as EU Governments had agreed a Greek rescue plan. That downgrade to so-called junk status meant that pension funds and insurance companies around the world were immediately forced to dump their Greek bonds by law, forcing interest rates Greece must pay to borrow, were it even able, to unpayable levels. A cabal of New York hedge fund managers led by George Soros met to coordinate Geek speculative attacks, worsening the crisis and the costs to Greek taxpayers.

What did Greece get for that new debt? A bloody austerity dictate from the EU, led by German Finance Minister Wolfgang Schäuble whose austerity demands made Heinrich Brüning in 1931 look like an angel of mercy. Unemployment soared to depression levels of 27% for the general population, falling to 25.7% in January 2015—hailed by Brussels and Berlin as a “sign” their austerity is working!—youth unemployment reaching well over 60%. The IMF as always, dictated massive cuts in public employees and health and education services to “save” money, only making tax revenues decline more. It all demonstrated what Germans knew painfully well from the 1930’s, namely that austerity never solves a debt crisis, only real economic growth.

The left party of Tsipras, Syriza, which evolved out of the Greek Communist Party after the collapse of the Soviet Union was elected in January by a desperate electorate fed up with depression and Weimar-style austerity without end. Tsipras’ mandate is to get a better economic future for Greeks. His only option at this point is to opt out of the Euro and perhaps also out of the EU and NATO.

The British Telegraph reported on April 2, a week before likely IMF loan payment default by Greece that Greece was drawing up drastic plans to nationalize the country’s banking system and introduce a parallel currency to pay bills unless the eurozone takes steps to defuse the simmering crisis and soften its demands. Sources close to the ruling Syriza party said the government is determined to keep public services running and pay pensions as funds run critically low. The Telegraph cites a senior Greek official: “We are a Left-wing government. If we have to choose between a default to the IMF or a default to our own people, it is a no-brainer. We may have to go into a silent arrears process with the IMF. This will cause a furore in the markets and means that the clock will start to tick much faster,” the source told The Telegraph.

Failing to get one Euro of genuine relief from Schäuble or the EU, and with the prospect of default on a €458 million repayment to the IMF or default on state pensions, Tsipras flew to Moscow to meet with Putin. Despite that Greece paid the €458 million to the International Monetary Fund on April 9, the real question is the next payments Greece must make every week in April and a further $7.75 billion it will have to pay in May and June, while struggling to pay its own government staff and state pensions.

Greece as Russian Energy Hub?

The Putin Tsipras meeting prepared for possible future steps that could alter the future of not only Greece but of the entire EU. President Putin announced after his talks with Tsipras on April 8 that Tsipras did not ask Russia for financial aid.

What they did discuss was potentially far more significant for Greece. They talked about energy projects including Putin’s proposed Turkish Stream to deliver Russian gas to Turkey instead of directly to the EU after Brussels, pushed by Washington, sabotaged the Russian South Stream gas project.

Turkish Stream proposes to deliver gas to the Greek border adjacent to Turkey. Greek Energy Minister Panagiotis Lafazanis said that Athens supports Russia’s planned Turkish Stream pipeline project, as well as extending the gas route to Greece. Russia and Turkey signed a memorandum of understanding on the construction of the gas pipeline between the two countries under the Black Sea in December 2014. Greece would then become a distribution hub to further passage of gas to consumers in southern Europe including Italy, an alternative to the defunct South Stream.

Putin remarked after his talks with Tsipras at their joint press conference in Moscow on 8 April, “Of course, we have discussed the prospects of realization of the large infrastructure project which we call Turkish Stream — a key project for transporting Russian gas to the Balkans, maybe to Italy, the countries of Central Europe. The new route will provide for the Europeans’ needs in fuel, and would allow Greece to become one of the main power distribution centers on the continent, could help attract significant investments into the Greek economy.” Greece would also earn gas transit fees of hundreds of millions of euros annually if it joins the Turkish stream pipeline project.

In turn, Tsipras said that Athens is interested in attracting investment in construction of the pipeline on its territory to handle gas coming through the Turkish Stream.

According to media reports, Putin and Tsipras will also focus on possible discounts on Russian natural gas for Greece. In addition Russia discussed investing in joint venture companies with the Greek government. Initial projects to be explored include a public Greek-Russian company and Russian investment in the harbor at Thessaloniki that the IMF demands be privatized as well as railway participation. Following last week’s talks with Russian Energy Minister Alexander Novak and Russian energy company Gazprom CEO Alexei Miller, Lafazanis said that Athens had asked for a cut in its price for Russian natural gas.

Russia and Eurasia?

Putin called for trade relations to be restored between Russia and the EU, including Greece. He said the two had discussed “various ways of co-operating, including major projects in energy. Under these plans, we could provide loans for certain projects,” Putin said, adding that it was not a question of aid. One of those plans is for the pipeline called “Turkish Stream”, to channel natural gas from the Turkish-Greek border into Greece.

For his side Tsipras made clear his government opposed any new sanctions on Russia, something that Washington was not at all pleased about, with US media editorials attacking Greece for being the mythical Trojan Horse for Russia to get back into the EU orbit. Responding in his typically droll humor, the Russian president told BBC, “About mythology and Trojan horses and so forth: the question would be valid if I was the one going to Athens,” he said. “We are not forcing anyone to do anything.”

Recent polls show that well over 63% of Greeks are warm to Russia as an ally, while only 23% feel warm towards the EU. The two countries, Russia and Greece, share a common Orthodox religion and historically were close. Costas Karamanlis, Greek conservative Prime Minister from 2004-09 pursued a “diplomacy of the pipelines,” where he saw Greece as a gateway for Russian oil and gas to Europe. Washington and Brussels were furious. Karamanlis was voted out in suspicious circumstances a year after signing a gas deal with President Putin, just before the revelation of the financial crisis. After he lost elections in 2009, it emerged that Russia’s FSB security agency had warned its Greek counterpart, EYP, of a 2008 plot to assassinate Karamanlis to halt his pro-Moscow energy alliance.

Trojan Horses, Achilles Heels and the rich heritage of Greek mythology do nothing to solve the crisis of Greece, which, in reality, is the general crisis of European civilization.

What no one in Berlin, Paris or Rome dare to address is the reality that the European Union countries are dying. Demographically, economically and morally they are in a death agony downward spiral. Either they make a definitive break with the bankrupt Washington and NATO Atlantic dollar world and throw their lot fully behind making the Eurasian Economic Union led by Russia into a viable new region of economic prosperity, along with China and the New Silk Road high-speed rail projects criss-crossing Eurasia, or in four or five years at best the EU will be choking in its own debt and economic depression as is Greece today.

The only other option open at this time, the option of the status quo financial powers that be, was tried in Nazi Germany, Vichy France and Mussolini Italy in the 1930’s. We don’t need to try that again.

F. William Engdahl is strategic risk consultant and lecturer, he holds a degree in politics from Princeton University and is a best-selling author on oil and geopolitics, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.
First appeared: http://journal-neo.org/2015/04/16/will-greece-join-the-eurasian-union/

jeudi, 23 avril 2015

Dwingen de Grieken Europa te kiezen tussen Amerika of Rusland?

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Dwingen de Grieken Europa te kiezen tussen Amerika of Rusland?

Slechts 23% Grieken is positief over EU, 63% ziet Rusland als nieuwe bondgenoot - Deelname Europese machten aan Aziatische Infrastructuur Investerings Bank signaal van naderende geopolitieke machtsverschuiving

De toenadering die Griekenland zoekt tot Rusland baart de gevestigde orde in Brussel en Washington grote zorgen. De Russische president Putin wil na het mislukken van het South Stream oliepijpleiding project een alternatieve pijpleiding aanleggen via Turkije naar Griekenland, waardoor Griekenland een belangrijke energie’hub’ voor Zuid- en Centraal Europa zal worden. Er zijn zelfs geruchten dat als de EU en het IMF de druk op de Grieken niet wil verlichten, het land mogelijk tot de pas opgerichte Euraziatische Unie zal toetreden. Dat zal Europa voor het blok zetten: blijven we vasthouden aan het financieel, politiek en moreel op zijn allerlaatste benen waggelende Amerika, of kiezen we voor nieuwe ongekende economische mogelijkheden in heel Azië?

Niet Griekse volk, maar Europese banken gered

Toen in 2007-2008 de financiële crisis losbarstte lag de Griekse staatsschuld rond de 100% van het BNP – hoger dan het Europese gemiddelde, maar niet onhoudbaar. Tot 2014 explodeerde deze schuld echter naar 175% van het BNP en moest het land met drie bailout pakketten van € 240 miljard overeind worden gehouden.

Een staatsbankroet had hoogstwaarschijnlijk de Franse en Europese banken, die grote hoeveelheden Griekse schuldpapieren hadden opgekocht, doen omvallen. Daarom namen de EU, het IMF en de ECB ruim 80% van de Griekse staatsschuld over – niet om het volk te helpen, maar om de banken te redden. De rekening werd bij de Europese belastingbetaler neergelegd.

Amerikaanse financiële aanval op de EU

Omdat de financiële crisis de snel uit de hand lopende –jaarlijks met ruim $ 1 biljoen stijgende- staatsschuld van de VS blootlegde, openden de Amerikanen om hun dollar te redden de aanval op de EU. Pal nadat de EU-regeringen in april 2010 hadden ingestemd met het Griekse reddingsplan, werd het land door de Amerikaanse kredietbeoordelaar Standard & Poor’s in één klap met drie stappen afgewaardeerd naar de ‘junk’ status.

Het gevolg was dat verzekeraars en pensioenfondsen wereldwijd hun Griekse waardepapieren afstootten, wat de rente die het land voor kredieten moest betalen gigantisch deed stijgen. Griekenland kwam in een uitzichtloze crisis terecht. In ruil voor financiële hulp eisten het EU en het IMF snoeiharde bezuinigingen. Gevolg: de werkeloosheid steeg naar 27%, onder jongeren zelfs naar 60%. De belastinginkomsten daalden en de Griekse publieke voorzieningen stortten in.

Wanhopige Grieken zoeken hulp in Moskou

Het wanhopige Griekse volk stemde vervolgens op de extreemlinkse Syriza partij, die uit de communistische partij is voortgekomen. Partijleider Tsipras beloofde een einde te maken aan de harde bezuinigingen en zei dat hij daarvoor desnoods uit de EU en de NAVO zou treden. Tevens werd begonnen met serieuze voorbereidingen voor de herinvoering van de eigen munt, de drachme, en het nationaliseren van het bankensysteem.

Omdat Syriza vastbesloten was om de publieke voorzieningen, ambtenaren en pensioenen overeind te houden, zou er geen geld meer over zijn om het IMF terug te betalen. Daarom reisde Tsipras naar Moskou, naar eigen zeggen echter niet om te bedelen om geld, maar om te praten over intensievere economische samenwerking die het land weer uit het slop zou kunnen halen. In ruil daarvoor beloofde Tsipras geen nieuwe Europese sancties tegen Rusland goed te zullen keuren.

Russisch aardgas via Turkije en Griekenland naar Europa

Eén van de onderwerpen was de door Putin voorgestelde Turkish Stream pijpleiding, die Russisch aardgas via Turkije naar Griekenland moet gaan leveren. Deze leiding moet in de plaats komen van het mislukte Russische South Stream project, dat Brussel onder grote Amerikaanse druk had gesaboteerd, omdat Washington niet wil dat Rusland een nog belangrijkere rol in de energievoorziening aan Europa gaat spelen.

In december 2014 hadden Rusland en Turkije al een verklaring ondertekend om de bouw van Turkish Stream mogelijk te maken. Griekenland wordt in dit plan een belangrijke ‘hub’ voor het verdere transport van Russisch aardgas naar Italië, de Balkan en Centraal Europa. Dat levert de Grieken alleen al aan doorvoerrechten enige honderden miljoenen euro’s per jaar op. Ook zal het land weer aantrekkelijker worden voor investeringen.

Putin en Tsipras bespraken tevens een korting op de prijs van Russische olie en het opzetten van joint ventures met de Griekse regering. Pilotprojecten zouden de uitbouw van de haven van Thessaloníki zijn –die volgens het IMF moet worden geprivatiseerd- en investeringen in de Griekse spoorwegen.

‘Trojaans paard’?

De Griekse leider stelde duidelijk tegen nieuwe Europese sancties tegen Rusland te zijn. Daar was men in Washington bepaald niet blij mee. In Amerikaanse media werd Griekenland zelfs een ‘Trojaans paard’ genoemd, waarmee Rusland de EU zou binnendringen. Putin reageerde op zijn immer droge humoristische wijze: ‘Wat mythologie, Trojaanse paarden en zo betreft: die vraag zou terecht zijn als ik naar Athene zou gaan. Wij dwingen niemand iets te doen.’

63% Grieken wil Rusland, nog maar 23% de EU

Opiniepeilingen wijzen uit dat 63% van de Grieken Rusland als nieuwe bondgenoot begroet. Nog maar 23% is positief over de EU. Rusland en Griekenland delen daarnaast de orthodoxe christelijke religie en historisch goede betrekkingen.

Dat onderstreept dat niet alleen Griekenland, maar heel het Westen in een algemene crisis terecht is gekomen. Demografisch, financieel, economisch, politiek en moreel is de EU in een dodelijke neerwaartse spiraal terecht gekomen.

Europa moet kiezen tussen Amerika of Rusland

Feitelijk dwingen de Grieken met hun toenadering tot Rusland Europa tot de keus: of we breken met de failliete dollarwereld, met Washington en met de almaar agressiever wordende NAVO, en zetten vol in op samenwerking met de door Rusland geleide Euraziatische Unie en met China; of de schuldenlast in de EU is over 4 tot 5 jaar zo onhoudbaar geworden, dat we in een zelfde economische depressie belanden als Griekenland, waardoor onze welvaartsstaat definitief verdwijnt.

Er is nog een andere optie, namelijk die in de jaren ’30 door de heersende financiële machten door Nazi-Duitsland, Vichy-Frankrijk en Mussolini-Italië werd gekozen, met de bekende verschrikkelijke gevolgen. Daar zal werkelijk niemand in Europa op zitten te wachten. (1)

Aansluiting Europa, Japan, Australië bij Chinese Investeringsbank

Gelukkig gloort er hoop, want ondanks grote bezwaren en dreigementen van Amerika besloten Frankrijk, Duitsland en Groot Brittannië onlangs mee te doen met de oprichting van China’s Aziatische Infrastructuur Investerings Bank (AIIB). Die wordt door de VS als een grote bedreiging gezien voor het door Washington gedomineerde IMF en voor de positie van de dollar als enige wereld reservemunt.

Ook de traditionele Amerikaanse bondgenoten Australië en zelfs Japan sloten zich bij de AIIB aan, dat van plan is om tot in lengte van decennia biljoenen te gaan investeren in de opbouw van de infrastructuur in Azië.

Voor de VS is de aansluiting van zijn vazalstaten in Europa en Azië een enorme geopolitieke nederlaag, die mogelijk verstrekkende gevolgen zal hebben en een radicale machtsverschuiving op onze planeet teweeg zal brengen - een die ervoor zal zorgen dat niet langer één supermacht met behulp van financiële en militaire dreiging en chantage de rest van de wereld zijn wil kan opleggen. (2)

Xander

(1) KOPP
(2) KOPP

Zie ook o.a.:

17-03: Stratfor: VS wil ten koste van alles alliantie Duitsland-Rusland voorkomen (/ ‘Amerika zet volken tegen elkaar op om te voorkomen dat ze zich tegen VS keren – VS zet in op het ten val brengen van Rusland en de EU’)
10-03: China en Rusland lanceren in herfst anti-dollar alliantie
28-02: 10 redenen waarom de VS en de EU uit zijn op oorlog (/ Het Vrije Westen bestaat niet meer)
22-02: Stratfor over nieuwe oorlog in Europa: Niemand zal voor de EU willen sterven (/ Brussel maakte fatale fout door enkel banken te redden en gewone man in de steek te laten)
08-02: ‘Europa moet oorlogskoers VS en NAVO loslaten en samen met Rusland wereldvrede redden’
05-01: 12 experts verwachten wereldwijde economische chaos in 2015

vendredi, 27 mars 2015

De pyrrhusoverwinning van SYRIZA

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De pyrrhusoverwinning van SYRIZA

Ex: http://www.solidarisme.be

“Als we nog één veldslag winnen, gaan we (eraan) ten onder!” Dat antwoordde de Griekse koning Pyrrhus in 279 v. Chr. na een zoveelste moeizame overwinning op de Romeinen. Vandaag ziet het ernaar uit dat Alexis Tsipras, de nieuwe Griekse premier, goed op weg is een nieuwe betekenis te geven aan het begrip dat sindsdien bekend staat als “pyrrhusoverwinning”.

De verkiezingsoverwinning van Tsipras lijkt wel de kroniek van een aangekondigde dood. Herinnert u zich nog dat hij eind januari met veel bombarie de samenwerking met de gehate Trojka (Europese Commissie, Europese Centrale Bank en Internationaal Monetair Fonds) opgezegde? Wel, amper een maand later, op 20 februari, had zijn minister van Financiën al een akkoord met diezelfde Trojka bereikt. Met andere woorden, de samenwerking is al hervat nog voor ze goed en wel was opgezegd. “We hebben een veldslag gewonnen, maar nog niet de oorlog”, zei Tsipras, van wie niet kan worden gezegd dat hij ook de eerlijkheid van Pyrrhus heeft. Als een verlenging van het bestaande(!) noodpakket al een gewonnen veldslag wordt genoemd, is het duidelijk dat Tsipras’ “oorlog” erin alleen in bestaat om Griekenland koste wat kost in de eurozone te houden.

Minister van Financiën Yanis Varoufakis noemde het akkoord dat hij had bereikt met de Trojka (in de hoedanigheid van de Eurogroep) “een kleine stap in de juiste richting”. Waaruit die (mars)richting dan wel bestaat? Toch niet de verkiezingsbeloften van het uiterst-linkse SYRIZA, waarvoor Tsipras en hijzelf verkozen zijn? De enige overwinning die ze op hun conto kunnen schrijven, bestaat erin dat de voorwaarden van het (bestaande) noodpakket versoepeld zijn en de Grieken een “alternatief” besparingsplan mogen opstellen. Daarmee vervallen onder meer de verplichting van de Trojka om de lonen en pensioenen te verlagen (maar dat betekent nog geen verhoging!) alsook die om de btw op voeding en geneesmiddelen te verhogen (maar dat betekent nog geen verlaging!). Met andere woorden: het was al slecht en het zal even slecht blijven. Er verandert gewoon niets. Het status-quo wordt verlengd. Griekenland blijft aan het kredietinfuus liggen en zal dat krediet met rente en sociale rampen dubbel en dik moeten terugbetalen.

Wel veranderd zijn de woorden “Trojka”, “memorandum” en “crediteurs”, die in de tekst van de Eurogroep werden geschrapt en vervangen door “instellingen”, “akkoord” en “partners”. Zo luidt het in de open brief van een ontgoochelde Manolis Glezos, Europees parlementslid voor Syriza en verzetsheld uit de Tweede Wereldoorlog (cf. “SYRIZA Begins to Crack: ‘Legendary’ SYRIZA MEP Apologises to the Greek People for Their Deception”, XA Ameriki, 23 februari 2015). De hele maskerade, een typisch staaltje van politiek-correcte taalmanipulatie, kan echter niet verhullen dat alvast een heleboel verkiezingsbeloften van Syriza niet ingelost zullen worden. Zo zal het minimumloon niet worden verhoogd tot 751 euro en evenmin de privatiseringsgolf van de vorige regering teruggedraaid. Zelfs nieuwe privatiseringen worden helemaal niet uitgesloten, hooguit zullen ze voortaan aan een uitvoerige beoordeling onderworpen worden. Dat was tot nog toe niet het geval in het door corruptie geplaagde Griekenland. Griekenland blijft dus een land onder Europese curatele, waar inspecteurs van de Trojka, excuseer, “instellingen” de besparingen zullen superviseren. Een land dat van zijn nationale soevereiniteit enkel nog de soevereine schuld overhoudt.

Het probleem met verkiezingen in Griekenland of elders is natuurlijk dat kiezers zich steeds weer blindstaren op beloftes van de burgerlijke partijen (die niet het volk als geheel, maar fracties van de burgerij vertegenwoordigen). Ze hebben meestal niet het flauwste benul van hoe die beloftes verwezenlijkt moeten worden. De verkiezingen zijn zelf ook een maskerade, omdat ze de illusie voeden dat de sociale hiërarchie zichzelf periodiek even opheft, kan worden geteld en opnieuw uitgevonden. Daar is natuurlijk niets van aan. SYRIZA is niet alleen op vlak van kiezersbedrog in hetzelfde bedje ziek als de andere partijen, maar ook dwaas als het oprecht geloofde dat verkiezingen genoeg zijn om een verandering van de machtsverhoudingen te bewerkstelligen. De sociale hiërarchie blijft immers wat ze is: een hiërarchie van geldgevers en geldnemers, schuldeisers en schuldenaars. Hét kiezersbedrog dat in de sterren geschreven stond, was natuurlijk de onmogelijke belofte van SYRIZA om Griekenland in de Eurozone te houden en tegelijk het door diezelfde Eurozone opgelegde besparingsbeleid af te wijzen. Gezien de trotskistische, internationalistische en eurocommunistische achtergronden van die partij hoeft dat niet te verbazen. Zo hielden Tsipras en ECB-voorzitter Mario Draghi in juni vorig jaar al topoverleg als “internationalisten” onder elkaar. Een andere ogenschijnlijke eigenaardigheid is dat Syriza banden zou hebben met het Institute for New Economic Thinking (INET) van George Soros, de superspeculant van joodse komaf die al langer protestbewegingen financiert in Oost- en nu dus ook Zuid-Europa (cf. “Wie sich George Soros als Euro-Retter inszeniert”, Wirtschaftswoche, 14 februari 2013).

Het moge duidelijk zijn dat SYRIZA zonder stappenplan aan zijn “revolutie” begonnen is. De eerste stap die de partij zou moeten zetten is natuurlijk uit de Eurozone treden en naar de drachme terugkeren. Die laatste kan dan tegen een voordelige wisselkoers (of zelfs meervoudige wisselkoers) de uitvoer aanzwengelen om de handelsbalans te versterken. De eerste stap naar een sociale revolutie is dus een nationale revolutie door een herbevestiging van de staat in zijn hoedanigheid van uitvoerende macht. De publieke opinie in de EU-landen, zelfs in Griekenland, is de afgelopen jaren echter zodanig bang gemaakt voor de mogelijke gevolgen van een euro-exit dat ze blind is geworden voor de rampzalige werkelijkheid van de euro in Griekenland zelf. Natuurlijk is uit Eurozone treden alleen niet genoeg, maar het is wel de eerste stap. Wie het geldwezen – en dus ook de kapitaalvorming en het kapitaalverkeer – op een andere leest wil schoeien kan dat immers niet doen zonder een eigen betaalmiddel en een eigen, liefst genationaliseerde nationale bank.

mardi, 17 mars 2015

Entretien avec Slobodan Despot

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Slobodan Despot: « Le traitement spécial réservé aux Russes et aux Serbes est motivé par leur insoumission »

Entretien avec Slobodan Despot 

Slobodan Despot est écrivain et éditeur. Il a notamment publié Despotica en 2010 (Xenia) et Le miel en 2014 (Gallimard). Suisse d’origine serbe, il porte un intérêt tout particulier au monde slave. Nous avons discuté avec lui de la manière dont les médias, les politiques et les intellectuels occidentaux rendaient compte du conflit en Ukraine.

PHILITT : En 1999, l’OTAN et l’Occident ont déclenché une guerre au Kosovo en niant l’importance culturelle et historique de cette région pour le peuple serbe. Aujourd’hui, l’Occident semble ignorer l’importance de l’Ukraine pour le peuple russe. Avec 15 ans d’écart, ces deux crises géopolitiques ne sont-elles pas le symbole de l’ignorance et du mépris de l’Occident envers les peuples slaves ?

Slobodan Despot : La réponse est dans la question. On agit de fait comme si ces peuples n’existaient pas comme sujets de droit. Comme s’il s’agissait d’une sous-espèce qui n’a droit ni à un sanctuaire ni à des intérêts stratégiques ou politiques vitaux. Il y a certes des peuples slaves et/ou orthodoxes que l’OTAN traite avec une apparente mansuétude — Croates, Polonais, Roumains, Bulgares — mais uniquement à raison de leur docilité. On ne les méprise pas moins pour autant. Cependant, le traitement spécial réservé aux Russes et aux Serbes est motivé par leur insoumission à un ordre global dont l’Occident atlantique se croit à la fois le législateur et le gendarme. On peut déceler dans l’attitude occidentale vis-à-vis de ces deux nations des composantes indiscutables de ce qu’on appelle le racisme. Le journaliste suisse Guy Mettan publie d’ailleurs ce printemps une étude imposante et bienvenue sur la russophobie.

PHILITT : Comme l’explique Jacques Sapir, deux revendications légitimes se sont affrontées dans le cadre de la crise de Crimée : la liberté des peuples à disposer d’eux-mêmes et le respect de l’intégrité territoriale d’un État. Est-il possible, selon vous, de dépasser cette tension ?

Slobodan Despot : La Crimée fut arbitrairement rattachée, on le sait, à l’Ukraine par Khrouchtchev dans les années 50, à une époque où l’URSS semblait appelée à durer des siècles et où, du même coup, ses découpages intérieurs ne signifiaient pas grand-chose. L’éclatement de l’Empire a soulevé de nombreux problèmes de minorités, d’enclaves et de frontières inadéquates. La Crimée est non seulement une base stratégique de premier plan pour la Russie, mais encore une terre profondément russe, comme elle l’a montré lors de son référendum de mars 2014. Les putschistes de Kiev, sûrs de la toute-puissance de leurs protecteurs occidentaux, ont oublié de prévoir dans leur arrogance que leur renversement de l’ordre constitutionnel allait entraîner des réactions en chaîne. Or, non seulement ils n’ont rien fait pour rassurer les régions russophones, mais encore ils ont tout entrepris pour que celles-ci ne songent même plus à revenir dans le giron de Kiev.

De toute façon, le rattachement de la Crimée n’est, on l’oublie trop vite, que la réponse du berger russe à la bergère américaine, qui a jugé bon en 1999 de détacher à coup de bombes le Kosovo de la Serbie. Le bloc atlantique et ses satellites ont par la suite reconnu cet État mort-né malgré l’existence d’une résolution de l’ONU (n° 1244) affirmant clairement la souveraineté de la Serbie sur cette province. C’est au Kosovo qu’a eu lieu la violation du droit international qu’on dénonce en Crimée.

PHILITT : Concernant le conflit ukrainien, chaque camp dénonce l’action d’agents d’influence en tentant de minimiser la spontanéité des événements. Quelle est la part de réalité et de fantasme de cette lecture géopolitique ?

Slobodan Despot : Je rappellerai un cas d’école très peu connu. Toute la Crimée se souvient d’un incident gravissime survenu au lendemain du putsch de Maïdan, lorsque des casseurs néonazis bien coordonnés ont arrêté sur l’autoroute une colonne de 500 manifestants criméens revenant de Kiev, mitraillé et incendié leurs autocars, tabassé et humilié les hommes et sommairement liquidé une dizaine de personnes. Les médias occidentaux ont totalement occulté cet épisode. Comme il s’agissait de faire passer le référendum criméen pour une pure manipulation moscovite, il était impossible de faire état de cet événement traumatique survenu moins d’un mois avant le vote.

ukrmichseg.jpgLes exemples de ce genre sont légion. Le livre très rigoureux du mathématicien français Michel Segal, Ukraine, histoires d’une guerre (éd. Autres Temps), en décompose un certain nombre en détail. Il faut reconnaître que le camp « occidentiste » a l’initiative de la « propagande contre la propagande », c’est-à-dire de la montée en épingle d’opérations d’influence supposées. Il jouit en cela d’une complaisance ahurissante des médias occidentaux. Or, dans un conflit comme celui-là, où tous les protagonistes sortent des écoles de manipulation soviétiques, les chausse-trapes sont partout et seul un jugement fondé sur la sanction des faits avérés et sur la question classique « à qui profite le crime ? » permettrait d’y voir clair. Nous en sommes loin ! Le plus cocasse, c’est que l’officialité nous sert à journée faite des théories du complot russe toujours plus échevelées tout en condamnant le « complotisme » des médias alternatifs …

PHILITT : Dans la chaîne causale qui va de la mobilisation « humanitaire » jusqu’à l’intervention militaire, quelle est la place exacte des intellectuels qui l’approuvent ? Sont-ils de simples rouages ?

Slobodan Despot : Les intellectuels ont joué me semble-t-il un rôle bien plus important dans cet engrenage au temps de la guerre en ex-Yougoslavie. J’ai conservé les articles des BHL, Jacques Julliard, Glucksmann, Deniau etc… On a peine à croire, vingt ans plus tard, que des gens civilisés et hautement instruits aient pu tomber dans de tels états de haine ignare et écumante. Même le bon petit abbé Pierre, saint patron des hypocrites, avait appelé à bombarder les Serbes ! J’ai également conservé les écrits de ceux qui, sur le moment même, avaient identifié et analysé cette dérive, comme l’avait fait Annie Kriegel.

Aujourd’hui, à l’exception burlesque de Lévy, les intellectuels sont plus en retrait. Ils vitupèrent moins, mais s’engagent moins également pour la paix. Mon sentiment est que leur militantisme crétin au temps de la guerre yougoslave les a profondément décrédibilisés. Leur opinion n’intéresse plus personne. Du coup, dans l’actualité présente, le rôle des agents d’influence ou des idiots utiles est plutôt dévolu à d’obscurs « experts » académico-diplomatiques, souvent issus d’ONG et de think tanks plus ou moins liés à l’OTAN. Ces crustacés-là supportent mal la lumière du jour et abhorrent le débat ouvert. Il est caractéristique qu’Alain Finkielkraut ait dû me désinviter de son Répliques consacré à l’Ukraine suite à la réaction épouvantée d’un invité issu de ce milieu à la seule mention de mon nom. À quoi leur servent leurs titres et leurs « travaux » s’ils ne peuvent endurer un échange de vues avec un interlocuteur sans qualification universitaire ?

PHILITT : Bernard-Henri Lévy compare, dès qu’il en a l’occasion, Vladimir Poutine à Hitler ou encore les accords de Minsk à ceux de Munich signés en 1938. Cette analyse possède-t-elle une quelconque pertinence ou relève-t-elle de la pathologie ?

Slobodan Despot : M. Lévy a un seul problème. Il n’a jamais su choisir entre sa chemise immaculée et la crasse du monde réel. Il se fabrique des causes grandiloquentes à la mesure de sa peur et de sa solitude de garçon mal aimé errant dans des demeures vides qu’il n’a jamais osé abandonner pour mener la vraie vie selon l’esprit à laquelle il aspirait. Je le vois aujourd’hui mendier la reconnaissance par tous les canaux que lui octroie son immense fortune — journalisme, roman, reportage, théâtre et même cinéma — et ne recueillir que bides et quolibets. Et je l’imagine, enfant, roulant des yeux de caïd mais se cachant au premier coup dur derrière les basques de son père ou de ses maîtres. Dans mes écoles, on appelait ces fils-à-papa cafteurs des « ficelles » et nul n’était plus méprisé que ces malheureux-là. Aussi, lorsque j’entends pérorer M. Lévy, je ne pense jamais à l’objet de sa harangue, mais à l’enfant en lui qui m’inspire une réelle compassion.

PHILITT : Vous écriviez, pour annoncer une conférence qui s’est tenue à Genève le 25 février : « On a vu se mettre en place une « narratologie » manichéenne qui ne pouvait avoir d’autre dénouement que la violence et l’injustice. Si l’on essayait d’en tirer les leçons ? » Le storytelling est-il devenu la forme moderne de la propagande ?

zerodark.jpgSlobodan Despot : C’est évident. Il se développe en milieu anglo-saxon (et donc partout) une véritable osmose entre l’écriture scénaristique et l’écriture documentaire. Cas extrême : le principal « document » dont nous disposions sur l’exécution supposée de Ben Laden en 2011 est le film de Kathryn Bigelow, Zero Dark Thirty, qui a tacitement occupé dans la culture occidentale la place du divertissement et de l’analyse, et de la preuve. La réussite cinématographique de ce projet (du reste dûment distinguée) a permis d’escamoter toute une série d’interrogations évidentes.

Sur ce sujet du storytelling, nous disposons d’une enquête capitale. En novembre 1992, Élie Wiesel emmena une mission en Bosnie afin d’enquêter sur les « camps d’extermination » serbes dénoncés par la machine médiatique cette année-là. Ayant largement démenti cette rumeur, la mission Wiesel fut effacée de la mémoire médiatique. Par chance, il s’y était trouvé un homme de raison. Jacques Merlino, alors directeur des informations sur France 2, fut outré tant par l’excès de la campagne que par l’escamotage de son démenti. Il remonta jusqu’à l’agence de RP qui était à la source du montage. Son président, James Harff, lui expliqua fièrement comment il avait réussi à retourner la communauté juive américaine pour la convaincre que les victimes du nazisme de 1941 étaient devenues des bourreaux nazis en 1991. Il ne s’agissait que d’une story, d’un scénario bien ficelé. La réalité du terrain ne le concernait pas.

Les stories simplistes de ce genre ont durablement orienté la lecture de cette tragédie. Ceux qui s’y opposaient, fût-ce au nom de la simple logique, étaient bâillonnés. Le livre de Merlino, Les vérités yougoslaves ne sont pas toutes bonnes à dire (Albin Michel), fut épuisé en quelques semaines et jamais réimprimé, et son auteur « récompensé » par un poste… à Pékin !

PHILITT : Comment expliquer la faible mémoire des opinions occidentales ? Comment expliquer qu’elles aient « oublié » les preuves qui devaient être apportées de l’implication russe dans la destruction du MH-17 ? Le storytelling remplace-t-il, dans l’esprit du public, la causalité mécanique par une causalité purement morale ?

Slobodan Despot : Nous vivons en effet dans une époque hypermorale — ou plutôt hypermoralisante. L’identification des faits est subordonnée à l’interprétation morale qui pourrait en découler. Si, par exemple, voir des « jeunes » molester une gamine devant votre immeuble risque de vous inspirer des pensées racistes et sécuritaires, vous êtes prié de ne pas constater l’altercation et de passer votre chemin. C’est très vil au point de vue de la moralité individuelle, mais correct selon la moralité sociétale. Une même « école du regard » a été imposée au sujet de la Russie. Au lendemain de la tragédie du vol MH-17, la sphère politico-médiatique s’est mise à conspuer le président russe en personne comme s’il avait abattu l’avion de ses propres mains. Aujourd’hui, plus personne n’en souffle mot, le faisceau d’indices étant accablant pour le camp adverse. Ces dirigeants et ces personnalités publiques disposent de suffisamment de jugeote et de mémoire pour mener rondement et même cyniquement leurs propres affaires. Mais dans un contexte impliquant l’intérêt collectif, comme la guerre contre la Russie, ils abandonnent tout sens de la responsabilité et du discernement et se comportent comme des midinettes hyperventilées. Leur tartufferie n’est même plus un vice, mais une composante anthropologique. Ils réalisent le type humain totalement sociodépendant que le nazisme et le communisme ont tenté de mettre en place avant d’être coupés dans leur élan.

PHILITT 

jeudi, 12 février 2015

Emir Kusturica : « L’Ukraine, un remake de la Yougoslavie »

bih1.jpgEmir Kusturica : « L’Ukraine, un remake de la Yougoslavie »

 
Le Cinéaste, musicien, écrivain, acteur serbe, Emir Kusturica

Rencontrer le cinéaste franco-serbe, c’est l’assurance d’un entretien nourri par l’actualité, les questions de géopolitique internationale et les méfaits de la mondialisation capitaliste. Emir Kusturica, auteur d’un recueil de nouvelles paru le 7 janvier, « Étranger dans le mariage », n’est jamais avare de lumineuses digressions.

D’ordinaire, Emir Kusturica exploite sa fibre artistique dans la musique et le cinéma : le guitariste du No Smoking Orchestra est aussi le lauréat de deux palmes d’or pour « Papa est en voyage d’affaires » et « Underground ». Le cinéaste franco- serbe s’était déjà essayé à la littérature dans une autobiographie, « Où suis-je dans cette histoire ? ». Il tente aujourd’hui une incursion dans la fiction avec « Étranger dans le mariage », un recueil de six nouvelles autour de la famille, de la guerre et de l’absurdité du quotidien dans la Yougoslavie des années 1970. Certes, les récits apparaissent très inégaux et la truculence de Kusturica, pourtant très cinématographique, peine à provoquer les mêmes émotions qu’à l’écran. Reste que s’il ne réussit pas tout à fait son passage à l’écrit, il demeure une voix singulière incontournable face au formatage des choses de l’esprit.

HD. Pourquoi avez-vous choisi de vous exprimer par le biais de la littérature ?

EMIR KUSTURICA. J’ai compris que je pouvais être créatif en réalisant mon film « Guernica » pendant mes études à l’école de cinéma de Prague. Depuis, ma créativité n’a jamais cessé. J’ai eu la chance de me trouver. Je peux mettre en place ma vie en rapport avec mes différents projets. Depuis mes premiers films, j’ai une bonne relation avec le public. C’est probablement parce que je ne cherchais pas à communiquer mais à faire mes films. J’explore au plus profond mon histoire familiale. J’essaie d’aller vers l’obscurité. Mais cela tient d’abord à un désir. L’art est certes l’aboutissement d’une communication mais l’artiste ne communique pas avec le public mais avec son propre besoin de créer.

HD. Pour quelles raisons vos histoires sont-elles si personnelles ?

E. K. Je suis très lié au langage cinématographique du début des années 1970. Ce sont des années dorées pour le cinéma et l’art en général. Les États-Unis, qui façonnent le monde militairement et artistiquement, étaient dans les années 1970 beaucoup plus libres qu’aujourd’hui. Après le Vietnam, il y a eu beaucoup de films sur la guerre perdue des Américains. Depuis, l’expression libre est devenue une expression contrôlée. Aujourd’hui, la NSA (Agence nationale de sécurité – NDLR) écoute tous les citoyens américains. C’est effrayant. Dans les années 1970, l’Amérique parlait du fascisme, du nazisme. Souvenez-vous de « Cabaret », le film de Bob Fosse, de « Macadam Cowboy », de « Cinq pièces faciles ». Il y avait presque une philosophie existentialiste, parlant librement de la vie, de la défaite au Vietnam, écrivant des livres. Et puis patatras, au cinéma, George Lucas a commencé à recréer l’univers, Spielberg a fait ses « ET ». La conception de Ronald Reagan de divertir l’esprit, en particulier des Américains pour les éloigner d’une position critique, et de transformer les films en pur divertissement l’a emporté. Les gens qui ont continué à faire ce qu’ils voulaient ont été marginalisés, leurs films peu ou mal diffusés. Aujourd’hui, nous en subissons toujours les conséquences. En Europe, le cinéma est davantage tourné vers le cinéma d’auteur. Mais la pression économique rend les auteurs de plus en plus politiquement corrects.

« L’UKRAINE MARQUE UN TOURNANT. LA RUSSIE N’ACCEPTE PLUS SON ENCERCLEMENT AVEC L’ÉLARGISSEMENT CONTINU DE L’OTAN. »

HD. Que vous inspirent les événements en Ukraine ?

E. K. La guerre humanitaire est en fait une légalisation de la guerre. Wall Street dépend de la guerre. La valeur psychologique d’une action dépend de la manière dont vous êtes agressif dans certaines parties du monde. Plusieurs guerres, de tailles réduites, se déroulent un peu partout à travers la planète. Désormais, l’option des conflits de basse intensité apparaît épuisée. Et l’Ukraine marque un tournant. La Russie n’accepte plus son encerclement avec l’élargissement continu de l’OTAN. L’idéologue américain Zbigniew Brzezinski a largement écrit sur « l’enjeu eurasien », capital à ses yeux, à savoir la maîtrise et la colonisation de la Russie et de l’espace ex-soviétique. L’Ukraine est donc une première étape vers ce démantèlement imaginé par Brzezinski.

HD. Ne vous rappelle-t-il pas ce qui s’est produit en ex-Yougoslavie ?

E. K. À Kiev, l’histoire des snipers qui ont ouvert le feu sur la place Maïdan ressemble de manière troublante aux événements de Sarajevo en 1992. Durant le siège de la ville, des tireurs isolés ont terrorisé les habitants et personne à Sarajevo ne savait d’où venaient ces snipers. Exactement comme à Kiev. On ne sait toujours pas qui a ouvert le feu sur les manifestants et les forces de l’ordre. Aujourd’hui, une autre vérité que celle imposée par les médias apparaît. C’est ce que tentait de décrire mon film « Underground » : une autre réalité. Il a été réalisé en 1995. La vérité sur ces deux événements, les dirigeants la connaissent. Ils en sont même parties prenantes et essaient de nous abuser en feignant d’être des imbéciles. Les grandes puissances jouent sur un échiquier où l’Ukraine et l’ex-Yougoslavie apparaissent comme des pions. Il s’agit d’une répétition d’un scénario qui s’est produit en Yougoslavie et a mené à son éclatement pour des enjeux similaires : l’extension de l’OTAN et de l’UE. La construction de l’UE est responsable des deux drames. Afin de s’agrandir et accroître son influence, elle divise les États pour imposer sa loi à de petits territoires. Pour moi, ce qui est inacceptable, c’est que les gens s’en accommodent. Heureusement, il y a des instants d’espoir.

« LES ÉTATS-UNIS ET LE CAMP ATLANTISTE IMPOSENT LEUR VÉRITÉ ET SE COMPORTENT EN VAINQUEURS DE LA GUERRE FROIDE. »

L’arrivée au pouvoir des communistes en Grèce en fait partie. Leur victoire est historique et peut, comme en Amérique latine, porter un véritable élan. Ce phénomène se répétera dans les années qui viennent. La montée de l’extrême droite et des partis fascistes, voire nazis comme en Ukraine où ils sont au pouvoir, créera en face une résistance. Le clash est inévitable.

HD. L’hystérie de la presse à l’égard de la Russie et de Poutine vous rappelle le traitement médiatique à l’égard des Serbes durant la guerre de Yougoslavie ?

milo60360.jpgE. K. Cela a été le point de départ. En 1992, les divers acteurs ont mis en avant certains aspects pour créer une atmosphère favorisant un conflit. Ils ont ensuite légalisé une intervention au nom de l’aide humanitaire. Toute possibilité de paix a été écartée et la Yougoslavie a été démembrée à leur guise, laissant Slobodan Milosevic pour seul responsable. Le Kosovo est un bel exemple de leur mensonge et de leur justice aléatoire. Ils ont soutenu la séparation de cette région au nom du droit des peuples mais la refusent à la Crimée ! Les États-Unis et le camp atlantiste imposent leur vérité car ils se comportent en vainqueurs de la guerre froide. Ils estiment avoir triomphé du marxisme et tué le communisme.

Tous les événements qui ont suivi la chute du mur de Berlin révèlent les fausses promesses faites à Mikhaïl Gorbatchev sur la non-extension de l’OTAN. Cela résume leur conception de la diplomatie pour assurer leur suprématie. L’extension de l’orbite euro-atlantique est impérative. Le siècle qui vient pour les États-Unis sera un tournant. L’accroissement de leur richesse et de leur influence dépend de leur domination du modèle libéral. Ce modèle qu’ils ont imposé au reste de la planète à travers la mondialisation est fondé sur la compétition, l’exploitation et les inégalités. Cette compétition, les États-Unis ne pourront plus la remporter indéfiniment avec la montée de puissances émergentes. Devant cette phase de déclin, ils trichent. Mais ils n’avaient pas prévu que l’Eurasie se dresserait contre la domination de l’euro-atlantisme. La proximité géographique compte et la Russie et la Chine finiront par coopérer.

HD. Vous critiquez beaucoup le capitalisme, pourquoi alors avoir participé à une fête à Davos ?

E. K. J’étais à Davos pour une banque russe. J’avais besoin d’argent pour payer les musiciens de mon festival de Kunstendorf. On m’a donné beaucoup d’argent, avec lequel j’ai pu financer ce festival.

Entretien réalisé par VADIM KAMENKA et MICHAËL MÉLINARD

L’Humanité Dimanche, 5 FÉVRIER, 2015

KUSTURICA EN CINQ FILMS
1985. « Papa est en voyage D’affaires ». Pour son deuxième long métrage, le réalisateur, alors yougoslave, décroche sa première palme d’or, à seulement 31 ans.
1989. « Le temps des gitans ». il reçoit le prix de la mise en scène à Cannes.
1993. « Arizona Dream ». Pour sa première expérience américaine, Emir Kusturica s’offre un casting de rêve (Johnny Depp, Jerry Lewis, faye Dunaway) et fait voler des poissons sur une chanson d’iggy Pop. il est récompensé par un ours d’argent à Berlin.
1995. « UnDergroUnD ». il obtient sa deuxième palme d’or avec cette fresque historico-familiale de la Yougoslavie sur 50 ans, des années
1940 jusqu’à son éclatement dans les années 1990. Le film déclenche une polémique autour du caractère supposé pro-serbe de l’oeuvre.
1998. « CHat noir, CHat BLanC ». après avoir un temps songé à arrêter de tourner, Kusturica revient à la réalisation avec un film apaisé et décroche le lion d’argent du meilleur réalisateur à Venise.
A Lire :
« ÉTRANGER DANS LE MARIAGE », D’EMIR KUSTURICA, TRADUIT DU SERBO-CROATE PAR ALAIN CAPPON. ÉDITIONS JC LATTÈS, 270 PAGES, 20 EUROS.
 

mercredi, 04 février 2015

Conférence pour le Kosovo

Conférence CNC / Front Européen pour le Kosovo (14.02.2015)

conf esfk.jpg

Note: Roeselare est une commune belge proche de l'autoroute E 403. Elle se situe à une demi-heure de la frontière (côté Lille).

mardi, 16 décembre 2014

L’avenir de la Grèce et un Plan Marshall pour le bassin Méditerranéen

L’avenir de la Grèce et un Plan Marshall pour le bassin Méditerranéen

par Dean Andromidas
4 Juin 2012

Ex: http://www.solidariteetprogres.org

C’est désormais un cliché d’affirmer que le traitement infligé à la Grèce par la Troïka BCE/UE/FMI, avec son mémorandum d’austérité, est une injustice à l’égard d’un pays qui a été le berceau de la civilisation occidentale, mais cela n’en demeure pas moins vrai, et cela est également le cas pour le bassin méditerranéen dans son ensemble.

La civilisation occidentale a vu le jour dans le bassin méditerranéen car ceux qui y vivaient étaient, comme peuple de la mer, en contact avec des peuples et des cultures très lointains. La Méditerranée réunissait les civilisations de toute l’Eurasie, s’étendant des îles de l’Atlantique jusqu’au Pacifique et se trouvait, par ses contacts avec l’Afrique au sud, au carrefour des grandes voies commerciales de l’époque.

La zone d’influence économique de la civilisation égyptienne n’était pas limitée à la vallée du Nil en Afrique mais s’étendait, à travers la Mer Rouge, à l’Océan Indien et même au-delà, jusqu’à la côte ouest des Amériques. Au nord, par ses relations avec les états maritimes de la mer Egée, souvent connus comme pays des Hellènes, l’Égypte avait une fenêtre commerciale sur les régions nordiques du continent eurasiatique – comme en témoigne la présence d’ambre, originaire des pays Baltes, dans les anciennes tombes des pharaons.

La Grèce incorpora le commerce et l’influence culturelle de son gigantesque arrière-pays, nommé la Scythie, une région qui inclut aujourd’hui les Balkans, l’Ukraine et une partie de la Russie, et qui s’étend jusqu’à la Baltique. A l’est, les conquêtes d’Alexandre le Grand comprenaient une région déjà en contact avec la Grèce pendant plusieurs millénaires, avant même que son armée n’atteigne l’Inde. De la même façon, Rome, ou plus généralement la civilisation de la péninsule italienne, avait pour arrière-pays toute l’Europe occidentale.

Des voies commerciales parcouraient ces vastes régions, apportant au bassin méditerranéen de nouveaux types de matières premières comme l’étain, indispensable à la production du bronze, beaucoup plus dur et durable.

Mais les plus « durables » parmi les ressources qui vinrent à circuler à travers le bassin méditerranéen étaient des idées nouvelles et des conceptions de l’homme et de l’univers, comme en témoigne de manière saisissante l’impact de la science et de la philosophie égyptiennes sur celles de la Grèce. Les temples grecs furent conçus selon les mêmes principes que ceux des Égyptiens : en tant qu’instruments astronomiques. Ceci dit, ils s’en différenciaient de par leur bien plus grande beauté ; c’est cette conception de beauté qui devint la fondation-même de ce que nous appelons aujourd’hui la civilisation occidentale.

Après la chute des civilisations grecque et romaine en Méditerranée, la civilisation islamique prit son essor et continua à porter les idées des anciens, contribuant ainsi aux débuts de la Renaissance européenne. Mais le centre de développement économique se déplaça ensuite vers le nord, puis l’Empire vénitien se métamorphosant en Compagnie des Indes Orientales, puis finalement en ce qui allait devenir l’Empire britannique, la Méditerranée se vit condamnée à l’arriération et l’Afrique aux ravages du colonialisme. Le manque de développement dans cette région a conduit au plus dramatique des déficits pour l’ensemble de la civilisation : celui de la génération d’idées nouvelles.

 Le Pont terrestre eurasiatique

L’avenir des économies de la Grèce et de tous les pays balkaniques est dans
la réhabilitation de leur position géostratégique à l’est de la Méditerranée, comme portail d’accès au développement économique pour l’Eurasie au nord-ouest, pour l’Asie du Sud et du Sud-Ouest à l’est, et pour l’Afrique au sud. La Grèce retrouvera son rôle historique grâce à un développement économique de la plus grande envergure, dans le cadre d’un nouveau Plan Marshall méditerranéen.

Les principaux vecteurs intercontinentaux de ces connections sont tracés sur la Figure 1. La péninsule des Balkans se situe à la jonction méditerranéenne orientale de ces voies commerciales ; équipée de transports intermodaux pour le fret et les passagers (rails, routes, canaux, aéroports et ports de mer), la position géographique sans parallèle de la Grèce et des Balkans sera optimisée au bénéfice de tous.

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Figure 1.

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(source : EIR)

Tout d’abord, considérons brièvement les grands couloirs intercontinentaux traversant la péninsule des Balkans. Ensuite, comme nous le ferons de manière plus détaillée ci-dessous, portons notre attention sur quelques une des principales voies situées dans la péninsule en tant que telle, en particulier les réseaux ferroviaires et routiers, les voies navigables et le développement portuaire. La péninsule définit deux axes nord-sud majeurs : le couloir de la mer Adriatique à l’ouest et celui de la mer Egée à l’est, qui se poursuit à l’intérieur du continent en passant par le port de Thessalonique tout en continuant le long du couloir des fleuves Axios et Vadar-Morava.

  1. Au nord, la Grèce et les Balkans se rattachent au couloir de développement est-ouest du Pont terrestre eurasiatique. Côté ouest, ils sont connectés au ports internationaux d’Anvers, de Rotterdam et d’Hamburg à travers le canal Rhin-Main. Côté est, ils sont liés au bassin de la mer Noire par le couloir du Danube ; plus loin vers l’est, ce couloir se prolonge le long du fleuve Dnieper, du canal Don-Volga, et à travers la mer Caspienne jusqu’aux profondeurs de l’Asie centrale et de la Sibérie occidentale. Ainsi, la Grèce et les Balkans seraient intégrés dans les couloirs ferroviaires trans-eurasiatiques qui parcourent l’ensemble du continent.
  2. À l’est et au sud-est, la Grèce et les Balkans sont d’abord connectés aux réseaux ferroviaires menant en Turquie et traversant la péninsule anatolienne, qui se poursuivent vers l’est jusqu’en Asie du Sud, en passant par l’Irak et l’Iran, jusqu’au sous-continent indien.
  3. La Grèce et les Balkans sont également connectés à l’Afrique : par voie de terre, les connections passent par la Turquie, continuent direction sud en Jordanie et traversent le Sinaï pour atteindre l’Afrique du Nord et de l’Est. Les connections maritimes par la Méditerranée vont de soi, mais la facilité du transport par mer s’étend aussi à une échelle globale – par le canal de Suez et le détroit de Gibraltar.

Il est vrai que tout au long de ces voies intercontinentales, y compris les voies maritimes, il y a des connections manquantes ; elles ont été proposées et étudiées depuis fort longtemps, mais n’ont jamais été construites, en particulier en Afrique. Un nouveau Plan Marshall pour la Grèce, les Balkans et le bassin méditerranéen remet ces projets sur la table, cette fois-ci comme priorité absolue pour la reconstruction du monde :

  • En Méditerranée, le tunnel de Gibraltar ainsi qu’un nouveau canal de Suez, élargi ;
  • En Eurasie, la voie ferrée en Sibérie orientale et le pont et/ou tunnel du détroit de Béring ;
  • En Afrique, la construction d’un réseau ferroviaire transcontinental est urgent ; la pénurie d’eau dans le désert du Sahel peut être résolue grâce à l’apport d’une partie du fleuve Congo vers le nord, jusqu’au bassin tchadien.

Dans toutes ces régions, un programme accéléré en énergie nucléaire est également fondamental.

 Une approche de type « TVA » pour les Balkans

Dans ce contexte élargi, les nombreux objectifs prioritaires de développement en Grèce et dans les Balkans deviennent clairs.

Le caractère géographique de la péninsule est défini par la chaîne montagneuse des Balkans au nord-est, en Bulgarie et en Serbie ; par les montagnes du Rhodope au sud de la chaîne des Balkans en Bulgarie ; et par les Alpes Dinariques au nord-ouest. Le caractère montagneux de la Grèce est manifeste autant par la chaîne du Pinde dans la partie continentale du territoire que sur ses quelque 2000 îles ; un formidable atout naturel sont ses 14 485 kilomètres de côte : 4830 km sur le continent et 9655 km autour des îles, d’où sa longue et riche histoire maritime.

Cette alternance caractéristique entre crêtes et hautes vallées s’étend à toute la péninsule balkanique, jusqu’au nord à sa frontière avec la grande plaine de Hongrie. La cartographie de la péninsule est aussi définie par la mer sur ses trois flancs : à l’ouest, la mer Adriatique et la mer Ionienne ; au sud, la Méditerranée ; et à l’est, la mer Egée, la mer de Marmara et la mer Noire. Sa frontière nord est le plus souvent associée aux fleuves Danube, Save et Kupa. L’étendue du territoire ainsi définie s’élève à 490 000 km².

La Grèce compte une population de 11 millions, environ autant que la Belgique, mais dispersée sur un territoire plus de quatre fois plus étendu, soit 132 000 km². Dans son ensemble, la région des Balkans a un peu plus de 42 millions d’habitants :

Ancienne République yougoslave de Macédoine : 2,06 millions
Albanie : 2,9 millions
Serbie : 7,3 millions
Kosovo : 2 millions
Bosnie-Herzégovine : 4,6 millions
Monténégro : 0,66 millions
Croatie : 4,5 millions
Bulgarie : 7,4 millions

L’ensemble de la région s’est trouvée plongée dans le chaos et la misère au cours de la guerre civile des années 90, avec les bombardements de l’OTAN et la destruction d’une infrastructure déjà inadéquate, et a par conséquent subi une baisse de sa population.

Les quelques projets de reconstruction mis en chantier ont provoqué, à cause du contexte européen et international de globalisation et d’austérité, une atrophie de l’industrie et de l’agriculture qui auraient dû au contraire se développer au bénéfice de la région. Ainsi, en Serbie par exemple, c’est une industrie textile sous-payant sa main d’oeuvre qui a été encouragée, pour fournir la vente au détail des multinationales.

Une approche par le haut est indispensable à un véritable développement agro-industriel de pointe, s’inspirant de la célèbre « Tennessee Valley Authority » de Franklin Roosevelt. La Tennessee Valley Authority (TVA) était une agence du gouvernement fédéral des Etats-Unis, créée en mai 1933 par le Congrès américain pour satisfaire les besoins en matière de voies navigables, de contrôle des inondations, d’électricité, de fabrication d’engrais et de développement économique dans la vallée du fleuve Tennessee. La TVA ne fut pas seulement conçue comme outil d’approvisionnement en électricité, mais comme une organisation au service du développement économique régional qui, grâce au nouvel apport en électricité et à au savoir-faire des experts du gouvernement fédéral, allait rapidement moderniser l’économie et la société de la région.

L’énorme débit du fleuve Tennessee et de ses affluents définit la zone concernée. Elle couvre sept États différents et fut considérée et développée comme un tout malgré sa grande étendue. Le grand centre scientifique d’Oak Ridge (état du Tennessee), célèbre depuis pour ses avancées dans la technologie nucléaire, fut établi dans ce contexte ; l’agriculture et l’industrie de pointe s’accrurent de manière considérable, comme le voulait le Président Roosevelt.

Bien que la péninsule des Balkans soit très différente dans les particularités – plusieurs fleuves plus petits, des montagnes plus hautes et plus accidentées, des villes historiques et des sites anciens au lieu de la nature sauvage –, et même si le bassin de la vallée du Tennessee est plus vaste que la Grèce à elle seule (105 868 km²), le principe de la TVA n’en n’est pas moins approprié.

Adopter le format de la TVA en l’étendant à une agence ou société multinationale, sur la base d’un traité accordant une autorité conjointe aux états impliqués dans sa gestion, serait une option politiquement attrayante pour la création de voies navigables communes et autres modes de transport, et même pour de plus vastes zones de développement régional.

Les Balkans et la Grèce ont besoin d’une mise à jour complète de leurs systèmes d’approvisionnement énergétique, de transport, de service médical et d’hygiène publique, ainsi que d’autres services aux habitants des zones rurales comme urbaines. Ils ont également besoin d’eau en abondance, d’un système d’irrigation et de contrôle des inondations, et également d’un système de défense contre les tremblements de terre et les éruptions volcaniques. L’établissement de centres pour la science et l’éducation joueront un rôle fondamental.

 Les corridors prioritaires pour la péninsule

Considérons d’abord les transports. Une évaluation rapide des routes de transports et de développement prioritaires pour les régions de cette péninsule doit prendre en compte la situation telle qu’elle était il y a vingt ans, avec les corridors de « développement prioritaires » pour des lignes ferroviaires modernisées (ainsi que les routes, aqueducs et autres infrastructures qui leur sont liés) choisis par les ministres des Transports lors de la Seconde conférence sur les transports pan-européens de mars 1994 en Crête. Dix corridors européens ont été désignés, parmi lesquels cinq traversaient la Grèce et/ou les Balkans.

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FIgure 2.

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(source : UE)

La figure 2 montre une carte de l’infrastructure en transport de la Communauté européenne, présentée lors de la conférence de Crête et montrant un « Aperçu d’un réseau de transport ferroviaire européen à grande vitesse – 2010 ». En plus des lignes à grande vitesse pour la Grèce elle-même, le schémas montre des flèches-vecteurs dans le reste des Balkans indiquant la direction d’autres routes à définir. Il va sans dire qu’une très faible partie des travaux envisagés pour « 2010 » se sont matérialisés, la seule exception étant la complétion, historique, du canal liant le Danube au Rhin, créant ainsi une voie navigable à travers toute l’Europe, de la mer Noire à la mer du Nord, comme l’avait imaginé Charlemagne il y a plus de mille ans.

La figure 3 montre le trajet emprunté par ce canal traversant plusieurs pays (carte de 1992), ainsi que la situation géostratégique de la péninsule des Balkans par rapport à la Méditerranée. Cependant, les couloirs intermodaux à travers les Balkans, incluant la Grèce, vers les mers Egée et Adriatique, et par conséquent vers l’Asie et l’Afrique, doivent encore être construits. Cette perspective de développement doit être relancée de manière urgente. Sur les 10 couloirs désignés à la Conférence de 1994, les liaisons de transport prioritaires s’appliquant particulièrement aux Balkans sont :

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Figure 3.

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(source : EIR, 1992)

Corridor 4 : Depuis la liaison ouest-est à travers l’Europe, de Berlin jusqu’à Istanbul (Berlin-Nurembourg-Prague-Bratislava-Györ-Budapest-Arad-Craiova-Sofia-Istanbul), une branche doit pouvoir relier Sofia à Thessalonique.

Corridor 5 : Depuis la grande ligne ouest-est reliant le nord de l’Italie à l’Ukraine, plusieurs branches importantes doivent conduire jusqu’aux Balkans. Le corridor principal étant : Venise-Trieste/Koper-Ljubliana-Budapest-Ouzhgorod-Liviv, étendu à Rijecka-Zagreb-Budapest et Ploce-Sarajevo-Osijek-Budapest.

Corridor 8 : De la mer Adriatique à la mer Noire, de l’Albanie aux ports de Varna et de Burgas sur la mer Noire. Durres-Tirana-Skopje-Sofia-Plovdiv-Burgas-Varna.

Corridor 9 : Depuis la Grèce jusqu’à Moscou, en partant du port grec d’Alexandroupolis, dans l’est du pays, vers Dimitrovgrad-Bucharest-Chisnau-Lyubaskeva-Kiev-Moscou.

Corridor 10. De Salzbourg à Thessalonique (Salzbourg-Ljublijana-Zagreb-Belgrade-Nis-Skopje-Veles-Thessalonique). L’ancienne voie romaine Egnatia, de l’Adriatique au Bosphore, est une route de développement prioritaire.

 L’axe nord-sud de la mer Egée

Cet axe, qui part du sud depuis le port de Pirée (figure 2) et remonte vers le nord via Thessalonique jusqu’à la vallée du Danube, englobant les routes désignées ci-dessus dans les corridors 4 et 10, est un moteur de grande importance pour le développement.

Le port de Pirée, à Athènes, était, jusqu’à la récente crise financière, le dixième plus grand port à containers de toute l’Europe et son plus grand en terme de passagers. Jusqu’à maintenant il a été le seul port majeur de Grèce, avec très peu de transbordement. Mais son potentiel comme entrepôt d’envergure internationale est évident.

La Chine a très vite compris la location stratégique du port de Pirée, et la China Ocean Shipping Co. (Cosco) a loué un de ses deux terminaux consacrés à la manipulation des containers pour une période de 35 ans. Le port de Pirée sert de plaque tournante pour les exportations chinoises vers l’Europe de l’Est et Centrale.

Ce qui est requis maintenant est un plan directeur pour l’expansion et la modernisation du port afin de le transformer en « Rotterdam » de la Méditerranée orientale – une idée populaire depuis longtemps en Grèce. Les limitations locales à l’expansion des installations portuaires ne sont pas des contraintes réelles, car il y a de nombreux autres sites en eau profonde pouvant être développés et gérés sous l’autorité d’une seule agence portuaire, pour les transbordements domestiques et internationaux.

Ceci nous amène à la nécessité de moderniser le réseau ferroviaire et routier en Grèce et dans l’ensemble des Balkans, afin de permettre un trafic de fret intermodal à part entière. Les routes vers le nord depuis Athènes/Pirée ont été améliorées, mais pas les chemins de fer. Avant la crise, il y avait un projet pour mettre la ligne Athènes-Thessalonique à double voie sur toute sa longueur, ce qui exigeait la construction de plusieurs tunnels à travers les montagnes. Cela faisait partie du plan pour construire des liaisons ferroviaires à grande vitesse, afin de réduire le temps de parcours entre les deux villes de six à trois heures. Les travaux ont été toutefois suspendus. De plus, la Grèce a reçu l’ordre, dans le cadre du mémorandum d’austérité de la Troïka, de fermer tout service ferroviaire vers l’extérieur du pays !

Ces projets doivent relancés immédiatement. Cet ligne ferroviaire nord-sud est un pilier pour le développement des Balkans et au-delà. Thessalonique est la deuxième plus grande ville de Grèce. Avant la première guerre mondiale, elle était considérée comme le centre cosmopolite des Balkans, mais après le deuxième guerre mondiale et la division de l’Europe qui a suivi la Guerre froide, elle a perdu beaucoup de son attrait. Comme plaque tournante pour les transports, elle peut jouer à nouveau un rôle crucial. Par exemple, Thessalonique représente pour Sofia, en Bulgarie, un accès à la mer encore plus proche que les ports de Burgas et de Varna sur la mer Noire.

Une fois ce potentiel reconnu – ainsi que celui de beaucoup de ports en Grèce pouvant être agrandis pour servir une économie méditerranéenne en expansion – il faudra également améliorer le réseau routier vers l’intérieur du continent. Un exemple permettant d’illustrer ce point pour tous les autres couloirs fluviaux de la péninsule des Balkans : les vallées de l’Axios/Vardar et de la Morava.

En remontant au nord-ouest de Thessalonique, se trouve la rivière Axios qui dans l’Ancienne République yougoslave de Macédoine (FYROM) devient la Vardar. Là où se trouve la ligne de partage des eaux entre la Vardar vers le sud et la Morava vers le nord, une route et un chemin de fer permettent déjà de se rendre jusqu’à Nis puis Belgrade en Serbie. L’importance de ce couloir pour le développement de tous les pays adjacents ne devrait pas être sous-estimée.

Il existe sur les tables à dessin depuis des décennies un projet pour relier l’Axios/Vadar à la Morava, qui se jette dans le Danube à l’est de Belgrade. La réalisation d’une telle liaison fluviale s’est trouvée bloquée par les coûts substantiels associés aux défis technologiques, en commençant par le fait qu’il n’y a aucune navigation sur l’une ou l’autre de ces rivières, même si elles forment un axe central pour la FYROM et la Serbie. Aucun canal ne relie le système Rhin-Main-Danube à la Méditerranée, que ce soit depuis l’Adriatique ou la mer Egée ; il faut passer par la mer Noire pour revenir en Méditerranée. Ceci limite le transbordement du fret.

Un canal de jonction

Il y a des arguments légitimes contre un canal reliant les deux bassins fluviaux dans ce couloir, incluant le nombre excessif d’écluses requises et autres considérations similaires, mais cette proposition devrait être réévaluée à la lumière des technologies modernes et des besoins de la région.

Les bassins hydrographiques de la Morava et de la Vardar (Axios en Grèce) ont de toute manière besoin d’être aménagés pour toutes sortes de raisons – contrôle des inondations, besoins en eau potable, irrigation, et navigation là où c’est possible – comme pour plusieurs autres rivières de la région par ailleurs.

 L’axe adriatique

Le développement de l’infrastructure grecque dans la région bordant l’Adriatique est important pour l’ensemble des Balkans, incluant pour l’Albanie.

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Figure 4.
(Source : UE)

Le Plan pan-européen (corridor 7 décrit ci-dessus) trace les routes prioritaires pour des chemins de fer modernes, reliant cette région à l’Eurasie (figure 4). Sur la côte grecque de l’Adriatique se trouve le port de Igoumenitsa, l’un des plus importants de la région, avec plus de 200 000 passagers et 120 000 camions par an au cours des années récentes, et une importante liaison par ferry entre la Grèce, les îles grecques et l’Italie. Un projet est en cours pour développer plus avant une liaison entre les ports de Taranto, le deuxième plus grand port d’Italie et d’Igoumenitsa, puis vers l’autoroute Egnatia Odos traversant le nord de la Grèce, pour rejoindre les ports de Thessalonique, Kavala et Alexandropoulis, et ensuite Istanbul.

Ceci ouvrirait l’accès à tous les Balkans, incluant l’Albanie, la FYROM et la Bulgarie. Plus au sud se trouve le port de Patras sur la pointe nord-ouest du Péloponnèse, avec son port-sud récemment complété, et le nouveau pont Rion-Antirion sur le golfe de Corinthe, qui a accru la situation stratégique du port.

Encore plus au sud il y a le port de Kalamata, faisant face à la Libye. Cet axe a également été désigné comme prioritaire, formant le corridor intermodal Ionique/Adriatique, qui reliera Kalamata, Patras-Igoumenitsa, et Thessalonique, grâce à un chemin de fer et un réseau routier. Or, même si tout cela a été désigné comme prioritaire, peu de travaux ont été réalisés, et absolument rien depuis la crise.

Nous nous sommes concentrés ici sur les couloirs de transport et de développement les plus cruciaux, mais qui demandent au préalable une action des plus urgente pour l’accroissement de la puissance électrique installée et de l’eau disponible, ainsi que des capacités en terme d’industrie et la modernisation de l’agriculture.

L’énergie. Il y a un déficit dans la production d’énergie dans toute la région, auquel il faut remédier rapidement. Il n’a aucune centrale nucléaire en Grèce, ni dans l’ancienne Yougoslavie, et il faudra par conséquent en construire un certain nombre pour répondre aux besoins en énergie abondante et à un coût abordable engendrés par cette vaste renaissance industrielle que notre programme vise à créer. Il faudra également de l’énergie pour dessaler l’eau de mer à grande échelle.

Parmi les autres sources d’énergie il y a le gaz naturel, actuellement fourni dans une très large mesure par la Russie. Ceci permet déjà d’intégrer la région au développement de l’Eurasie. Toutes les populations de la région soutiennent le projet de gazoduc South Stream promu par la Russie, qui va traverser la mer Noire et fournir tous les pays balkaniques en gaz, de même que l’Italie et l’ouest de l’Europe.

L’agriculture : La Grèce et les Balkans sont actuellement importateurs net de nourriture, non pas à cause d’un potentiel limité mais à cause de la mondialisation imposée par l’Union européenne et l’OMC. Près de 40% de la nourriture en Grèce est importée, et tout cela est actuellement menacé en raison de la crise. Des mesures doivent être prises rapidement pour renverser cette dépendance aux importations, et accroître la productivité agricole et la production domestique de nourriture. Une décision qui s’impose est de transformer la culture du coton à des fins d’exportation en production locale de nourriture.

La Grèce et une grande partie des Balkans font partie de ce que les agronomes appellent l’« agro-climat méditerranéen », ce qui signifie qu’il existe des conditions très favorables à la culture d’agrumes, d’olives, de raisins et autres cultures de ce type. Il y a des zones adaptées à la culture de céréales comme le blé, le maïs et l’orge. La surface cultivable de la zone agro-climatique méditerranéenne est limitée par les montagnes, avec des plateaux plus frais et des saisons de croissance plus courtes, mais tout ceci peut être compensé en optimisant chaque type de terre et la saison croissance par une irrigation plus poussée, et grâce à l’utilisation de technologies plus avancées comme des semences à haut rendement et des races animales plus performantes. Au total, seul 20% du territoire grec est propice à l’agriculture, mais il y a dans cet inventaire des pâturages, des fermes de montagne, des terres dans les deltas des rivières et plaines côtières qui peuvent être rendues beaucoup plus productives.

Il faut appliquer de manière plus systématique les technologies spatiales comme les satellites et la télédétection pour la surveillance des niveaux d’eau et des sols, et pour aider à déterminer comment mieux développer le potentiel agricole dans diverses régions. Les technologies formant ce qu’on appelle « l’agriculture de précision » – les systèmes de géolocalisation à distance, la collecte et le stockage des données – aideront les agriculteurs à optimiser les rendements, par une application plus précise des fertilisants et des eaux d’irrigation, un meilleur labourage des sols, un ensemencement et un moissonnage plus efficaces. Les agronomes grecs ont déjà préparé une grande partie du travail.

Ce qui est requis est le développement maximal de ces possibilités dans le cadre d’une poussée pour le développement de la Méditerranée. Tout ceci peut se faire avec l’établissement d’agences de développement régionales comme une Agence des bassins de l’Axios/Vardar-Morava, ou même une Agence du bassin du bas-Danube.

Pour l’eau, les ressources de base pour la péninsule dans son ensemble doivent être accrues, ainsi que la fiabilité et la prévention des inondations, en initiant plusieurs projets de liaison entre bassins comme ceux que nous avons déjà indiqués, ainsi que des barrages pour le stockage de l’eau et la régulation des débits.

La pluviométrie annuelle moyenne est plus grande sur le côté adriatique de la péninsule, avec 1016 mm, ainsi que sur les flancs ouest des montagnes, mais les plus grandes régions agricoles sont plutôt situées à l’est, là où la pluviométrie n’est que de 760 mm ou même de 380 mm ou moins.

En plusieurs endroits les niveau d’eau retenus par des barrages sont en déclin, incluant dans la vallée du Drin (ne pas confondre avec la Drina), qui est parallèle à l’ouest de la Varda. Le bassin du Drin comprend l’Albanie, la FYROM, la Serbie et le Monténégro, ainsi que le lac Ohrid situé à la frontière entre la FYROM et l’Albanie. Ces systèmes constituent d’importantes ressources en eau pour les pays concernés mais sont inadéquates pour l’instant. Un potentiel existe dans certaines régions pour la navigation, mais dans tous ces endroits la gestion de l’eau est essentielle pour le contrôle des inondations. Le potentiel hydro-électrique n’as pas non plus été entièrement utilisé. L’infrastructure pour le traitement des eaux usées fait par ailleurs cruellement défaut.

Le dessalement de l’eau est une priorité, surtout à Thessalonique et ailleurs sur la côte égéenne où les précipitations sont faibles. Le dessalement par le nucléaire est la seule méthode efficace à grande échelle. (Voir la section sur l’Espagne pour les détails.)

 La Grèce, une immense puissance maritime marchande

La Grèce possède la plus grande flotte marchande du monde. En plus de son importance pour l’activité économique, cela implique également un grand réservoir de main d’oeuvre qualifiée dans les secteurs industriels, maritimes et de la machine-outil, et une capacité pour la construction navale pouvant être réorientée vers les tâches les plus complexes. Cette ressource est vitale pour le développement méditerranéen dans son ensemble.

Les sociétés de fret maritime grecques contrôlent 3325 navires, avec une capacité de 226,92 millions de tonnes en lourd en 2011. La flotte arborant le pavillon grec comprenait 2,014 vaisseaux avec une capacité de 43,39 millions de tonnes en lourd, représentant 39,52% de la capacité de l’Union européenne. En décembre 2009, les entreprises grecques avaient commandé 748 nouveaux navires avec une capacité totale de 64,9 millions de tonnes en lourd. Les installations impliquées dans la construction navale et l’entretien des navires comptent parmi les plus grands établissements industriels du pays, et peuvent être mobilisées pour faire face à tous les défis nécessaires à l’intégration de la Grèce dans le développement de l’Eurasie et de l’Afrique.
A Pirée, il y a 1200 sociétés de fret maritime, employant directement ou indirectement plus de 250 000 grecs.

La Grèce consacre une partie significative de ses capacités de construction navale dans la production de navire plus petits, tels des bateaux de pêche et des caboteurs, puisque la navigation entre les îles est importante. Elle possède néanmoins quatre à six grands chantiers navals capables de construire et de réparer des navires de plus de 20 000 tonnes. Trois d’entre eux peuvent construire des navires de plus de 100 000 tonnes. Il y a beaucoup de place pour une extension de la production, car ces chantiers ont des capacités non utilisées en raison de la crise.

Tous ces chantiers navals fournissent une capacité en machine-outil pour la production des métaux aux formes les plus variées. Le chantier Elefsis en est un exemple probant : il a non seulement produit des bateaux à la fine pointe du progrès, incluant des navires et ferrys rapides et modernes pour le marché grec, mais aussi des wagons pour la Société nationale des chemins de fer grecs. Ainsi l’industrie navale, en collaboration avec plusieurs autres entreprises industrielles grecques, sont capables de construire tous les éléments nécessaires à l’infrastructure du pays, incluant les composants destinés aux chemins de fer, aux ponts et chaussées, aux barrages, aux turbines pour la production d’électricité, aux usines pour le dessalement et à la pétrochimie.

Une caractéristique négative et largement connue du secteur naval grec devrait être néanmoins soulignée : ce secteur industriel fait historiquement partie du complexe financier de la City de Londres, au service depuis des décennies de l’Empire britannique. Mais avec l’effondrement du système monétaire actuellement en place, ce nœud d’intérêts britanniques dans l’assurance, le transport maritime et les transactions sur les matières premières est affaibli.

Avec une nouvelle approche associée à un Plan Marshall pour le bassin de la Méditerranée, ces capacités précieuses que possède la Grèce dans le domaine du commerce et de la construction maritime peuvent être réorientées au service du développement industriel, mettant ainsi fin à des décennies de servitude vis-à-vis des cartels de la City, qui ont massivement utilisé les vaisseaux grecs pour le transport de pétrole, de céréales et autres matières premières dans des conditions de (pseudo) libre-marché.

 Voyageurs des mers, regardez vers l’espace

Les Hellènes étaient à l’origine les « peuples de la mer » immortalisés dans l’Iliade d’Homer. Ce poème célèbre a aussi décrit l’alliance entre les peuples de la mer et la civilisation égyptienne, les deux étant des navigateurs et des astronomes. C’est à partir de cette « alliance » scientifique que s’est développée la grande culture des poètes grecs et la philosophie platonicienne, culminant avec la conquête de l’Empire perse et la propagation de la culture hellénique à travers la Méditerranée ainsi que jusqu’au centre de l’Asie.

Notre Plan Marshall va initier le processus de transformation de la Grèce, de son statut actuel de voyageurs des mers à celui de voyageurs de l’espace, dans la mesure où ce pays pourra participer à ce grand impératif extraterreste définissant l’avenir de l’humanité : le projet Lune-Mars, en chemin vers d’autres régions de notre galaxie. D’une certaine manière, le processus a déjà commencé.

Il est sans difficile d’imaginer comment l’industrie navale pourrait construire des vaisseaux spatiaux, mais dans un cas précis elle a déjà été embauchée pour la production d’un vaisseau spécialisé par le modeste programme spatial grec, qui n’en n’est pas moins à la fine pointe dans certains domaines.

Le chantier naval d’Elefis a construit le Delta-Berenke, un vaisseau spécial auto-propulsé utilisé comme plate forme stable pour accueillir le Télescope à neutrino d’un mètre cubique (Km3Net), l’un des quatre existant aujourd’hui dans le monde, et déployé à 17 kilomètre au large des côtes du Péloponnèse, à 5200 mètres de profondeur. La direction générale du projet est à Pylos, une petite ville située dans la baie de Navarino. L’ancienne cité de Pylos, à quelques kilomètre de la ville moderne, était le lieu où se trouvait le palais de Nestor, comme le rapporte l’Iliade. D’où le nom du projet : Nestor. Pylos, une ville fréquentée par les touristes, se trouve ainsi transformée en quartier général de l’un des projets de recherche les plus sophistiqués de toute l’Europe. Ainsi, opérant depuis la profondeur des mers, ces chercheurs pourront explorer les parties les plus profonde de notre galaxie.

Une grande partie de cette infrastructure serait à double usage, telle l’érection de 50 stations dans les régions sismiques d’Europe pour surveiller les signes précurseurs de séismes, et la mise en orbite de 10 satellites pour détecter depuis l’espace d’autres précurseurs de séismes et qui, en même temps, pourront nous permettre de mieux étudier les radiations cosmiques. Tout ceci ferait partie d’un vaste programme de type Manhattan intégrant plusieurs grands laboratoires à l’échelle internationale. Le vieil aéroport d’Athènes serait un site idéal pour accueillir l’un de ces laboratoires. L’aéroport est actuellement en vente, comme exigé par le mémorandum de la Troïka !

La Grèce est bien placée pour participer à un tel programme. Il y a aujourd’hui 12.000 scientifiques grecs qui travaillent à l’extérieur du pays, et ce nombre va en augmentant tous les jours. Pendant que la Grèce dépense par habitant moins que presque tous les autres pays de l’Union européenne, la recherche qui s’y fait est de la plus haute qualité en comparaison avec ce qui se fait ailleurs en Europe. Les chercheurs grecs sont groupés dans une poignée de centres de recherche, comme l’Observatoire national, le Centre national de recherche scientifique Demokritos, des instituts basés aux grandes universités d’Athènes et de Thessalonique et plusieurs autres.

Fondé en 1842, l’Observatoire national est organisé autour de cinq programmes, incluant l’Institut d’astronomie, l’astrophysique, les applications spatiales et la télédétection. Le projet Nestor est une retombée des travaux conduits à l’Observatoire national. L’observatoire a déjà des programmes pour la physique des interactions Terre-Soleil, incluant l’étude de la météo spatiale. Le programme de télédétection peut déjà s’appliquer à l’étude des séismes. Même si l’Institut s’est agrandi au cours de la dernière décennie, il est encore relativement petit et pourrait, avec un financement approprié, être élargi rapidement.

Le Centre national de recherche scientifique a été fondé dans les années 50 comme Centre de recherche nucléaire Demokritos, dans le cadre du programme international Atoms for Peace d’Eisenhower, qui lui a fourni un réacteur expérimental. La fondation de cet institut avait déclenché une vague de rapatriement de chercheurs qui s’étaient exilés à cause des faibles opportunités existant alors dans le pays.

Aujourd’hui, le Centre Demokritos est impliqué dans un large éventail de recherche de base, employant quelque 1000 chercheurs et administrateurs. Ainsi, les bases pour le développement d’un large laboratoire intégré à un grand projet international comme celui que nous venons de décrire existent déjà.

La Grèce peut devenir un portail scientifique, servant comme centre international pour l’accueil d’étudiants et de chercheurs en provenance d’Asie, des Balkans, d’Afrique et de certaines régions d’Eurasie.


vendredi, 12 décembre 2014

Entrevista con Solidaridad Kosovo

Entrevista con Solidaridad Kosovo:

“Podemos afirmar que el Kosovo de hoy es lo que se conoce vulgarmente como ‘estado fallido'”

SOLIDARIDADKOSOVO
Minuto Digital ha tenido la oportunidad de entrevistar a la ONG Solidaridad Kosovo, una organización italo-franco-hispana, que ayuda a los cristianos de la región serbia de Kosovo. Sus cooperantes españoles realizaron su última misión humanitaria el pasado mes de septiembre. Es por ello que desde este digital, no hemos querido perder la oportunidad de saber de su labor humanitaria, así como de conocer la experiencia de primera mano de estos voluntarios, con el fin de conocer la situación real de Kosovo, un territorio independizado unilateralmente en el 2008 y que España no reconoce.

En primer lugar gracias por conceder esta entrevista a Minuto Digital. Seguimos desde hace tiempo vuestra actividad y la conocemos, pero quizás muchos de nuestros lectores no sepan de vosotros. ¿Qué es y por qué de Solidaridad Kosovo?

La gratitud es nuestra porque Minuto Digital se interese por Kosovo y nuestra labor humanitaria allí.

Los voluntarios y María, Directora de la escuela, posan con el material donado para habilitar la cocina de la escuela

Los voluntarios y María, Directora de la escuela, posan con el material donado para habilitar la cocina de la escuela

Solidaridad Kosovo es una ONG encargada en la cooperación y el desarrollo de la provincia serbia de Kosovo. El motivo de nuestra existencia es la de socorrer a la población serbia de Kosovo, una minoría perseguida por motivos étnicos y religiosos.

¿Cómo surgió la idea de crear Solidaridad Kosovo?

Realmente Solidaridad Kosovo, es la rama española de la organización francesa del mismo nombre creada en el año 2004. Uno de sus cofundadores, Nikola Mirkovic, amigo nuestro desde época universitaria, fue el que nos alentó a constituirnos en España al mostrarnos sus excelentes trabajos de campo.

¿Además de en Francia y España, en que países más se encuentra Solidaridad Kosovo?

Solidaridad Kosovo tiene sede, también, en Italia desde el año pasado. Estos voluntarios, hasta la fecha, han realizado dos misiones humanitarias a Kosovo y Metohija.

Cuando a un ciudadano español le hablan de Kosovo, rápidamente se le viene a la mente crimen organizado e islamismo. ¿Es esto cierto o se trata de un tópico?

Para nada es un tópico, si no que es un hecho demostrable empíricamente. Desde que Kosovo es una entidad territorial independiente de facto, en esta región se ha multiplicado la corrupción, el crimen organizado y el extremismo islámico. Podemos afirmar que el Kosovo de hoy es lo que se conoce vulgarmente como “estado fallido”, una situación ésta que acaba afectando tanto a los países limítrofes como aquellos que no lo son.

Lourdes dona el medicamento a las doctoras Anna y Ruza

Lourdes dona el medicamento a las doctoras Anna y Ruza

En este sentido, es una realidad patente que las mafias albanokosovares dominan el tráfico de heroína y la trata de blancas en muchos países europeos, incluida España. Por otro lado, Kosovo es el segundo territorio europeo, tras Bosnia, con mayor número de voluntarios alistados al Estado Islámico en Siria e Irak.

Tras los últimos incidentes del partido clasificatorio para la Eurocopa entre Serbia y Albania, diversos periodistas y colectivos han calificado a este conflicto como étnico. ¿Qué pueden decirnos al respecto de estas manifestaciones?

La violencia desatada en Belgrado en dicho partido, vino precedida por la irrupción en el estadio de un “drone” con una pancarta que mostraba un mapa de lo que se conoce como “Gran Albania”; aquellos territorios que los ultranacionalistas albaneses consideran como propios y que comprenden zonas de Serbia, Macedonia, Montenegro y Grecia.

Si lo miramos desde este prisma, podría parecer que se trata de un conflicto exclusivamente étnico, aunque estaríamos obviando otras variables que igualmente han aparecido en la prensa occidental. Un ejemplo de los que estamos diciendo, lo podemos ver en los meses de agosto y septiembre, cuando diversos rotativos se hicieron eco de las detenciones de decenas de extremistas islámicos en Kosovo, que persuadidos por diferentes imanes, estarían preparando atentados terroristas en aquella región y en países adyacentes.

¿Qué países adyacentes son esos?

Además de Serbia, Montenegro, Grecia y especialmente Macedonia, donde se vislumbra un futuro muy negro, como consecuencia de los

Foto del resto del material cedido al hospitalillo de Leposavic

Foto del resto del material cedido al hospitalillo de Leposavic

violentos enfrentamientos entre eslavos y albaneses que sacuden esa nación periódicamente. El más grave de estos disturbios, aparecido en distintos medios de comunicación, ocurrió el pasado mayo. Una turba de miles de fanáticos, rodearon una Corte de Justicia para exigir la liberación de unos terroristas que habían asesinado a 6 cristianos ortodoxos.

¿La persecución contra cristianos es contra ortodoxos, o abarca otras confesiones?

Contra ortodoxos, católicos y protestantes, como así lo admite el Informe Internacional de Libertad Religiosa emitido por el Departamento de Estado de Estados Unidos. Especialmente sorprendente fue el derribo, a principios de año, de la estatua de la albanesa Madre Teresa de Calcuta en la localidad de Peja. Según los autores de este acto de terror vandálico, la Madre Teresa, al ser cristiana, “no era una verdadera albanesa, sino una valaca”.

En Kosovo también existen otras minorías que son perseguidas por cuestiones étnicas y religiosas, como pueden ser los gorani(islámicos a los que se considera infieles por sus creencias eclécticas), los croatas, los judíos o los gitanos, entre otros. Últimamente hemos detectado también discriminación hacia todas aquellas personas que practicando el Islam, festejan el día de la Ashura.

Volviendo a su labor humanitaria, veo en su página Web www.soliaridadkosovo.es que han estado recientemente en Kosovo.¿Qué nos pueden contar acerca de esa misión humanitaria?

En efecto, el pasado mes de septiembre estuvimos en Kosovo realizando una nueva misión humanitaria. Fue una experiencia contradictoria, gratificante y triste al mismo tiempo. Por un lado, nos sentimos satisfechos por la ayuda prestada a familias necesitadas, pero por otro lado nos invadió una gran tristeza e impotencia al observar la extrema pobreza y la discriminación que sufre la minoría serbia en Kosovo. Hoy en día nadie vive así de mal en el continente europeo.

Durante los cuatro días que estuvimos en el lugar, habilitamos una cocina en una escuela de Banja, donamos ropa y juguetes a albaneses católicos y serbios ortodoxos que conviven en la aldea de Crkolez, ayudamos con enseres a una familia muy pobre de Novo Brdo y compramos multitud de medicamentos para el centro médico de Leposavic. Así mismo, hicimos entrega del material donado por las Fundaciones del Atlético de Madrid y Sevilla al equipo de fútbol de la localidad de Gracanica.

He visto en su página, también, que recibieron un premio de manos del prestigioso cineasta Emir Kosturica. ¿Qué nos pueden contar de ese encuentro?

Realmente fuimos premiados en el año 2012 por el diario serbio Vercenje Novosti por la “acción más noble del año”. Emir Kosturica hizo entrega del premio al cofundador francés Arnaud Gouillon. Por lo que nos comentó, se trata de una persona muy amable y simpática que valora y aprecia muchísimo nuestra labor humanitaria. Algo que viniendo de quien viene, te llena de satisfacción

Para finalizar, ¿Cómo se puede ayudar a Solidaridad Kosovo?

Toda ayuda que recibamos es buena, ya sea material o económica. Invitamos a todos aquellos interesados en ponerse en contacto con nosotros en el correo solidaridadkosovo@hotmail.com

mercredi, 03 décembre 2014

LA CENTRALITÀ DELLA BULGARIA NELLE STRATEGIE EURASIATICHE DELLA RUSSIA

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LA CENTRALITÀ DELLA BULGARIA NELLE STRATEGIE EURASIATICHE DELLA RUSSIA

Francesco Trupia

Ex: http://www.eurasia-rivista.org

La nuova fase politica in Bulgaria caratterizzata dall’elezione di Borisov alla guida di un governo di minoranza, potrebbe rappresentare una delle pagine più importanti per il Paese soprattutto in politica estera.
Nella “partita del gas” tra Russia ed Unione Europa, la Bulgaria rivelerebbe tutta la sua centralità geopolitica convincendo Putin ad iniziare nuove strategiche relazioni.
La cooperazione potrebbe seguire quella che nei Balcani hanno promosso Bulgaria, Ungheria e Austria in merito al ripristino dei lavori del South-Stream.
La conclusione del gasdotto aumenterebbe la leadership russa all’interno del settore energetico che, oltre al North-Stream nel Mar Baltico, permetterebbe alla Russia di aggirare il campo minato ucraino, uno dei governi più ostili come quello romeno, il Bosforo ed il Dardanelli.
Inoltre, il South-Stream ridurrebbe l’importanza dell’altro gasdotto bulgaro voluto dall’Unione Europea, il Nabucco, ufficializzando per quest’ultima una doppia sconfitta dopo le sanzioni contro Mosca.

La scarsa informazione dei media occidentali sugli avvenimenti politici legati alla Bulgaria non tolgono al Paese l’importante ruolo all’interno della regione dei Balcani e, soprattutto, all’interno del blocco eurasiatico.
La centralità della Bulgaria sembra essere riemersa, sia da un punto geopolitico che strategico, in una delle pagine più negative della sua storia nazionale.
Le elezioni di inizio ottobre, infatti, sembrano aprire una nuova fase di instabilità politica rappresentata dall’elezione di Bojko Borisov, leader del partito GERB, che governerà in un esecutivo di minoranza dopo l’uscita dalla coalizione del Partito Patriottico poco prima dell’investitura dei nuovi ministri.

Oltre ai problemi strutturali del Paese, il nuovo Governo bulgaro dovrà affrontare seriamente gli accordi e gli obiettivi presi nei mesi scorsi in politica estera.
Nonostante il neo Capo del Governo sia deciso a mantenere una chiara posizione euro-atlantica, tale orientamento, in linea con quelle del vecchio governo socialista di Plamen Orešarski, sembra poter subire un svolta verso nuove strategie capaci di ripercuotersi in campo europeo e non solo.

Una delle sfide principali della Bulgaria si giocherà sul campo della cooperazione con Mosca nel settore energetico.
Le tensioni tra Russia e Ucraina, con le conseguenti sanzioni europee contro il Cremlino, hanno avuto gravi ripercussioni nel tessuto sociale bulgaro.
La Bulgaria dipende per oltre l’85% del suo fabbisogno nazionale dal gas russo, che arriva tramite un gasdotto che attraversa anche Ucraina e Romania.
Quest’ultimo, secondo le dichiarazioni del Ministro dell’Energia, che ha convocato in questi giorni il Consiglio per le Crisi, ha smesso di erogare la fornitura prevista.
Le inadempienze russe, non causate da decisione del Cremlino, vengono attualmente sostituite da Sofia con gli approvvigionamenti del giacimento bulgaro di Chiren che, però, prevede il passaggio dalle centrali di riscaldamento da gas a olio combustibile.
Anche all’interno del settore agricolo, il Ministero degli Affari Esteri bulgaro ha da poco ufficializzato i dati inerenti la perdita di oltre dieci milioni di lev a causa dei blocchi commerciali contro Mosca.

Tale scenario sembra condurre il neo premier Bojko Borisov ad un cambio di strategie iniziato a delinearsi durante gli ultimi lavori diplomatici svolti con Ungheria prima ed Austria poi.
Durante questi appuntamenti, dove si è palesata la volontà politica del nuovo Governo di Sofia, il Presidente bulgaro Rosen Plevneliev ha definito di prioritaria importanza il ripristino e la celere conclusione dei lavori del gasdotto South-Stream.
Evitare drammi come quelli dell’inverno 2009, quando gran parte del Paese rimase senza rifornimenti energetici per quasi un mese, andrebbe di pari passo ad una sempre più stretta relazione tra i Paesi balcanici e la Russia.

 

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Le parole di Rosen Plevneliev hanno dato ragione all’Ambasciatore russo presso l’Unione Europea, Vladimir Chizhov, che aveva definito il blocco dei lavori del South-Stream lo scorso giugno una «decisione politica», da interpretare nel più ampio quadro delle sanzioni europee contro la politica di Vladimir Putin.

Proprio la costruzione del gasdotto, proveniente dalla Russia e che oltrepassa il Mar Nero, era stata bloccata dagli Stati Uniti d’America e dalla stessa Bruxelles, nonostante garantisca, insieme al suo gemello North-Stream sul Mar Baltico, certezze sugli approvvigionamenti energetici ai Paesi dell’Unione Europea.
Mentre il Congresso degli Stati Uniti aveva riferito all’ex premier Plamen Orešarski di disporre la sospensione dei lavori del South-Stream in chiara ottica anti-Russia, la Commissione Europea impugnava l’intera normativa comunitaria sulla libera concorrenza contro i lavori del gasdotto in Bulgaria, interrompendo il progetto per l’assenza di un terzo partner in grado di concorrere commercialmente con la russa Gazprom.

Rispetto allo scorso giugno, qualora la Bulgaria riuscisse a completare i lavori del South-Stream e a rispettare la legislazione europea, la Russia riuscirebbe ad aggirare – sebbene in parte – il campo minato creato dal Governo filoeuropeo di Kiev.
La Romania e la stessa Ucraina, Paesi di transito del gasdotto che ad oggi conduce l’energia verso la Bulgaria, rappresentano i due Paesi dei Balcani euroasiatici più ostili alla già forte leadership di Putin.
L’unità d’intenti fuoriuscita dagli incontri tra i Presidenti di Bulgaria, Ungheria e Austria, quest’ultima decisa addirittura a sostenere i costi della conclusione del South-Stream, condurrebbe ad un ulteriore diminuzione delle forniture proprio in Ucraina e in Romania e, conseguentemente, ad un isolamento dei due stessi Paesi.
In tal caso, appare assai difficile che Kiev e Bucarest possano ricevere aiuti energetici da un’Unione Europea che, a sua volta, dipende per circa 1/3 dalle forniture provenienti dalla Russia.

Inoltre, la Bulgaria potrebbe divenire uno dei centri logistici strategicamente più importanti per Mosca, non solo per i due gasdotti gemelli presenti nel Mar Baltico e nel Mar Nero.
Le nuove relazioni tra i due Paesi potrebbero condurre Bojko Borisov ad implementare il ruolo del Paese all’interno dei Balcani grazie al rispristino di due vecchi progetti di fondamentale importanza nella “partita del gas”: il Belen Nuclear Power Point, presente nella città di Pleven, e il gasdotto Burgas-Alexandropoli.
Se il primo progetto sembra essere ormai bloccato a causa dei numerosi rischi ambientali, il progetto del Dzhugba-Burgas-Alexandropoli condurrebbe Mosca a bypassare punti geopolitici importanti come quello del Bosforo e dei Dardanelli.
Dopo il blocco dei lavori avvenuto tra il 2009-2013 a causa dell’opposizione delle comunità locali, il gasdotto riuscirebbe grazie alla sua bipartizione a rifornire l’Italia meridionale dopo essere passato per la Grecia, attraverserebbe inoltre l’Italia del nord arrivando in Serbia, Ungheria, Slovenia ed infine in Austria.
Tale progetto era stato in realtà riconsiderato dall’ex premier Plamen Orešarski e attualmente potrebbe rientrare nell’agenda del Governo di Bojko Borisov; questo accoglimento consentirebbe al Paese di rispettare gli accordi contrattuali siglati dalla Gazprom e dalla Bulgarian Energy Holding.

I nuovi possibili progetti di cooperazione tra Mosca e Sofia nel settore energetico potrebbero ampliarsi anche su altri piani, come quello della sicurezza militare.
La Nato ha imposto nei mesi scorsi alla Bulgaria una modernizzazione del proprio esercito, distaccandosi dalla dipendenza russa ed acquistando nuovi radar 3D come previsto dal Piano 2020 avente l’obiettivo di garantire sicurezza militare ad ogni singolo Stato.
Tuttavia, Boyko Borisov aveva dichiarato prima della sua elezione di non voler rispettare lo stesso programma militare della Nato, in quanto la Bulgaria non dispone di fondi sufficienti.

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Le decisioni di Sofia potrebbero focalizzare nel Paese le “attenzioni” della Commissione Europea e della stessa Nato, che ha già dichiarato di voler avallare una procedura d’infrazione contro il Paese.

Il riavvicinamento tra Bulgaria e Russia, soprattutto se incentrato sui piani di sviluppo del settore energetico, rappresentano per le politiche dell’Unione Europea una doppia sconfitta.
La possibile conclusione dei lavori del South-Stream eliminerebbe di fatto qualsiasi funzione strategica del Nabucco, altro gasdotto che attraversa la Bulgaria e che collega la Turchia all’Austria.
Il progetto, fortemente voluto dall’Unione Europea proprio per sostituirsi alle dipendenze del gas russo, oggi sembra essere superato da Mosca nonostante le attuali sanzioni.


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samedi, 15 novembre 2014

Nouveau scandale de connivences d’une instance européenne avec la mafia albanaise du Kosovo

« Eulex, la mission de l’Union Européenne chargée d’établir au Kosovo un état de droit, est secouée par un nouveau scandale de corruption révélée le 28 octobre [2014] par le journal kosovar Koha Ditore.

La Tchèque Jaroslava Novotna, procureur en chef de la mission et le juge italien Francesco Florit, chef du collège des juges d’Eulex, soit deux des fonctionnaires les plus importants de la mission, sont accusés d’avoir perçu de l’argent de la part de la mafia albanaise afin de classer des dossiers liés au crime organisé et d’acquitter des personnes soupçonnées de délits graves (meurtre, corruption, etc). On estime les sommes versés par la mafia albanaise à environ 350 000 euros.

Ces accusations sont portées par le procureur spécial de la mission européenne de justice, la britannique Mariah Bamieh qui a ouvert l’enquête il y a un an, suite à des écoutes téléphoniques démontrant les relations entre les fonctionnaires européens et certains accusés albanais.

Parmi les dossiers concernés, on retrouve notamment Fatmir Limaj, ex-ministre kosovar et un des commandants de l’UCK, accusé puis acquitté par le Tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie (TPIY) de crimes de guerre [sous pressions du gouvernement français NDLR].

Après avoir pris connaissance de ces écoutes téléphoniques, Mariah Bamieh a alerté la direction d’Eulex mais elle n’a pas reçu le soutien escompté. Bien au contraire, elle aurait été victime d’une campagne de dénigrement au sein de la mission. Finalement, Mariah Bamieh a été récemment suspendue de son poste.

Suite aux bombardements de l’OTAN et la prise du pouvoir par les terroristes albanais de l’UCK en 1999, les Serbes du Kosovo et les autres minorités ont subi une épuration ethnique particulièrement sanglante. Les survivants Serbes vivent aujourd’hui dans des enclaves protégés par des militaires. Les dirigeants albanais du Kosovo, issus de l’UCK et soutenus par les États-Unis et bon nombre de gouvernements européens, n’ont été que très peu inquiétés par la justice internationale à l’instar d’Hashim Thaçi, ex-commandant de l’UCK et premier ministre actuel du Kosovo, accusé par l’ex-procureur du TPIY, Carla Del Ponte, d’être impliqué dans un trafic d’organes prélevés sur des prisonniers serbes déportés et exécutés. » Source: Langadoc.info:

Selon un rapport du Conseil de l’Europe publié le 15 janvier 2010:

« le trafic de récolte d’organes organisé par l’UCK, connu depuis des années, a été confirmé. Le rapport intitulé: «Le traitement inhumain de personnes et trafic illicite d’organes humains au Kosovo» identifie le « premier ministre » de la province, récemment réélu,  Hashim Thaçi, comme le patron d’un groupe albanais « mafieux«  spécialisé dans la contrebande d’armes, de drogues, de personnes et d’organes humains dans toute l’Europe. Le rapport révèle que les plus proches collaborateurs de Thaci exfiltraient les Serbes à travers la frontière vers l’Albanie après la guerre pour les assassiner et vendre leurs organes sur le marché noir. En outre, le rapport accuse Thaçi d’avoir exercé un «contrôle violent » sur le commerce de l’héroïne depuis une décennie. »

Hacim Taçi est toujours premier ministre du Kosovo. Ainsi que le révèle ce dernier scandale, la mafia albanaise de l’UCK, alliée de l’OTAN, poursuit son « œuvre » dans la province en toute quiétude .

mercredi, 22 octobre 2014

Rusland en Servië, 'brothers in arms'

 

Door: Dirk Rochtus

Rusland en Servië, 'brothers in arms'

Maandag is het precies 70 jaar geleden dat Belgrado, de hoofdstad van Servië, bevrijd werd door het Rode Leger. De Russische president Vladimir Poetin verscheen er al vier dagen op voorhand om die verjaardag te vieren.

Servië en Rusland zijn als twee handen op één buik. Dat was honderd jaar geleden zo, bij het uitbreken van de Eerste Wereldoorlog, en dat is nog altijd zo vandaag de dag, te midden van een crisis die de relaties tussen Rusland en de Europese Unie (EU) vertroebelt. Servië mag dan wel sinds januari toetredingsonderhandelingen voeren met de EU, maar de liefde voor de grote Slavische broeder is er niet minder om.

Jubel

Op doorreis naar de EU-Aziëtop in Milaan liet Poetin zich op donderdag 16 oktober in Belgrado bejubelen door een uitbundige massa. 'Vladimir, red de Serviërs!' viel er zelfs te lezen op borden die inwoners van de stad met zich meedroegen. De Serviërs voelen zich miskend in hun overlevingsstrijd als natie – getuige de oorlog in Joegoslavië in de jaren 90 van vorige eeuw en de uitroeping van de provincie Kosovo tot onafhankelijke republiek door de Albanese meerderheid in 2008. De steun van Moskou zowel moreel als economisch is dan ook erg welkom voor de Serviërs. Voor hun hoge bezoeker uit Rusland organiseerden ze wat graag een grootse militaire parade zoals ze sinds het einde van het communistische bewind niet meer had plaatsgevonden.

Sleutelpartner

In een interview met het Servische tijdschrift Politika zei Poetin letterlijk: 'Servië was en blijft een van de sleutelpartners van Rusland in Zuidoost-Europa'. Een voorbeeld van die goede samenwerking is het project South Stream, de aanleg van een pijpleiding waarmee Russisch gas vanaf 2017 via de Zwarte Zee, Bulgarije, Servië en Hongarije naar Oostenrijk als poort tot de EU zou moeten vloeien. Dat is ook een van de redenen waarom Wenen fervent de toetreding van Servië tot de EU verdedigt (naast het feit dat er 250 000 Serviërs in Oostenrijk wonen). Oekraïne is in het hele gasverhaal de gebeten hond. South Stream zou Oekraïne links laten liggen waardoor dit land heel wat inkomsten moet derven. Mocht Oekraïne bovendien gas aftappen van het bestaande pijpleidingensysteem, dreigde Poetin met een vermindering van de gaslevering aan de EU.

Armoede

Servië heeft het economisch erg moeilijk. De regering moet er onpopulaire maatregelen doordrukken om het staatsbankroet af te wenden. Hogere gasprijzen zouden heel wat gewone Serviërs in armoede dompelen. Servië is dan ook alleen al om economische redenen aangewezen op goede banden met Rusland. Er zijn maar twee kandidaat-lidstaten van de EU, Servië en Macedonië, die niet meedoen met de sancties tegen Rusland (omwille van de Oekraïne-crisis). Zo voert Servië bijvoorbeeld Duitse goederen zonder etikettering uit naar Rusland waarmee het een vrijhandelsakkoord heeft. De Duitse minister van Landbouw Christian Schmidt riep de Servische premier Aleksandar Vučić daarom op om de sancties van de EU tegen Rusland ernstig te nemen. De vraag is of dit van Servië kan worden verwacht, van een land dat zich vaak onbegrepen heeft gevoeld en nog voelt door Europa, van de grote Slavische broeder daarentegen met loftuitingen en met interessante akkoorden, zeven in totaal, over ondermeer energie, infrastructuur en wapenindustrie, overstelpt wordt.

vendredi, 20 juin 2014

La Regina dei Balcani

mercredi, 28 mai 2014

HAARP : les vraies causes des inondations en Serbie

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HAARP : les vraies causes des inondations en Serbie

par Laurent Glauzy

Ex: http://anti-mythes.blogspot.com

« Le 18 mai 2014, après sa victoire aux Masters 1000 de Rome, le n° 2 mondial de tennis d’origine serbe, Novak Djokovic, s’est exprimé au sujet des inondations qui ravagent actuellement l’ex-Yougoslavie, ayant provoqué la mort de plus de trente personnes et contraint des dizaines de milliers de personnes à évacuer leur maison : « C’est une catastrophe avec des proportions bibliques, je ne comprends pas que les médias internationaux en parlent si peu. »
Et pour cause ! Le projet Haarp, arme de destruction massive et climatique entre les mains des Illuminati, serait bien, une fois de plus, à l’origine de ces catastrophes.
 
Dans son livre paru en 1970, Between Two Ages : America’s Role in the Technetronic Era (Entre deux âges : le rôle de l’Amérique dans l’ère technétronique), Zbigniew Brzezinski, un des principaux concepteurs de la politique étrangère américaine, directeur de la sécurité nationale du président Carter, mentionne : « La technologie mettra à la disposition des grandes nations des procédés qui leur permettront de mener des guerres furtives, dont seule une infime partie des forces de sécurité auront connaissance. Nous disposons de méthodes climatiques permettant de créer des sécheresses et des tempêtes, ce qui peut affaiblir les capacités d’un ennemi potentiel et le pousser à accepter nos conditions. Le contrôle de l’espace et du climat a remplacé Suez et Gibraltar comme enjeux stratégiques majeurs. »
Cette arme secrète abordé par Zbigniew Brzezinski correspond au projet Haarp, qui prépare notre monde à un Nouvel ordre mondial que les occultistes appellent l’« âge d’or » et à propos duquel Henry Kissinger, secrétaire d’État américain de 1973 à 1977 (du président Nixon), a déclaré : « Oui, beaucoup de gens mourront lorsque sera établi le nouvel ordre mondial. Mais ce sera un monde bien meilleur pour tous ceux qui survivront. » [Cf. Extraterrestres, les messagers du New Age ou Du mystère des Crop Circles au Mind Control : Quand la CIA et l’ufologie préparent un nouvel armement, 2009, p. 244.] Ces propos sont d’autant plus troublant lorsqu’ils émanent d’un homme d’origine juive allemande. Mais il est vrai que les satanistes ou les Illuminati sont au-dessus de toutes les religions.
Voilà l’avenir que nous prépare la secte supra-maçonnique, les survivants des Pike, Weishaupt : des holocaustes auxquels les populations de l’ancienne Yougoslavie, par des pluies diluviennes, ou de l’Afrique, par des périodes de sécheresses sans précédent, sont à présent confrontées.
Le docteur en science militaire Konstantin Sivkov, qui a travaillé pour l’État-major russe de 1995 à 2007, pense également que l’OTAN a utilisé cette arme climatique dans la massacre rituel contre la Yougoslavie, entre 1991 et 2001. Sirkov atteste qu’il est possible d’engendrer sur une zone limitée des pluies diluviennes comme déjà lors de la guerre du Vietnam, ou d’assurer un temps clair favorable au vol des avions de combat.
Des journalistes de grande renommée, qui ne se plient pas à la vulgate officielle, ont depuis longtemps ouvert les yeux sur les réalités de ce monde entre les mains de satanistes.
Ainsi, à propos du projet Haarp et des inondations de Serbie, John Robles, diplômé en russe de l’Université de Pennsylvanie, expose sur le site de la radio The Voice of Russia que « plusieurs de ses contacts en Serbie parlent d’un déluge sans précédent en lien avec le projet américain Haarp. » Il affirme notamment qu’un journaliste de la Pravda serbe a reçu des appels anonyme lui demandant de ne plus écrire sur ce programme d’arme climatique secret et sur une des stations mettant en œuvre le trait discret ELF System qui serait implantée à Barajevo. Cette base de localité proche de Belgrade, est munie d’antennes surdimensionnées.
On se souvient qu’en 2012, la Serbie menaçait non seulement de ne pas entrer dans l’Union européenne, mais d’accueillir de nouvelles enceintes militaires russes. En outre, sa population refuse les plans mondialistes au Kosovo. Qui plus est, le projet de gazoduc South Stream lancé par le président russe Vladimir Poutine devrait, fin 2015, alimenter l’Europe en gaz par un réseau qui traverse les Balkans, et plus particulièrement la Serbie, qui se trouvera au cœur du dispositif. Peut-être ces faits expliquent-ils les malheurs aussi imprévisibles qu’inégalés qui affligent précisément la Serbie ? »
Laurent Glauzy

vendredi, 23 mai 2014

L'Albanie en 1914

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L’Albanie en 1914

Par Erich Körner-Lakatos

Une construction étatique fragile dans les Balkans

En 1479, l’Albanie était devenue turque. Dans les dernières décennies du 19 siècle, on imaginait qu’elle le resterait encore longtemps. En effet, plus des deux tiers des habitants du pays étaient musulmans et fournissaient au Sultan de la lointaine Istanbul d’excellents et fidèles soldats. Le plus célèbre d’entre eux fut Mehmed Ali, devenu en 1841le khédive (ou: vice-roi) d’Egypte. Il mit un terme à la domination des mamelouks et fonda une dynastie qui perdura jusqu’en 1952. Le dernier souverain égyptien de cette dynastie fut le roi Farouk I.

L’Albanie resta un solide bastion ottoman, même quand l’Empire turc vacillait et était contraint, dans les Balkans, d’accorder l’indépendance à la Serbie, à la Bulgarie et à la Grèce puis d’accepter l’occupation de la Bosnie par l’Autriche-Hongrie.

En 1910, les temps changent: les Skipetars se révoltent. La conscience nationale émerge chez eux aussi, comme auparavant chez leurs voisins slaves. Dans le Kosovo, on assiste à des massacres. Le soulèvement est d’abord maté à grand peine par les Turcs, parce qu’au même moment, ils doivent affronter les Italiens en Tripolitaine.

A partir d’octobre 1912 se déclenche la première guerre balkanique. Les Ottomans sont durement étrillés par les armées de la Ligue Balkanique, qui regroupe la Serbie, la Bulgarie, la Grèce et le Monténégro. Les armées bulgares ne sont finalement arrêtées par les soldats du Sultan qu’à quelques kilomètres d’Istanbul, le long de la ligne de défense de Çatalça. Les Albanais profitent de l’opportunité pour se proclamer indépendants le 28 novembre par la voix du Musulman Ismail Kemal Bey, siégeant dans sa ville natale de Valona.

Aucun voisin de cette nouvelle Albanie n’est heureux: Nikola du Monténégro veut étendre son petit royaume vers le sud; son concurrent de Belgrade évoque l’histoire pour obtenir le Kosovo et, qui plus est, la Serbie souhaite détenir une fenêtre sur l’Adriatique. Les Grecs, eux, se souviennent des minorités grecques qui peuplent le Nord de l’Epire.

Un autre Etat, non balkanique cette fois, énonce des revendications: l’Italie. Celle-ci avait subi les moqueries des chanceleries européennes pendant longtemps, surtout après la défaite d’un corps expéditionnaire italien en Abyssinie en 1896, vaincu par des troupes indigènes éthiopiennes. Mais l’Italie avait vengé l’affront: elle venait de vaincre l’Empire ottoman et lui avait arraché la Libye et l’archipel de Rhodes. Elle briguait désormais la rive orientale de l’Adriatique de façon à contrôler entièrement ce prolongement de la Méditerranée vers le nord et d’en verrouiller l’accès.

Lors de la conférence des ambassadeurs à Londres en juillet 1913, l’Autriche-Hongrie a plaidé pour la création d’une Albanie ethniquement homogène. La double monarchie austro-hongroise n’avait nul intérêt à un accroissement de puissance des Serbes et des Monténégrins. Le Tsar russe, lui, soutenait les revendications serbes et monténégrines, qui voulaient une Albanie aussi réduite que possible. Les tiraillements entre diplomates ont débouché, comme d’habitude, sur un compromis. Le Kosovo est attribué à la Serbie, si bien que deux Albanais sur trois seulement vivent désormais dans la nouvelle principauté. Le Roi Nikola du Monténégro revient de Londres les mains vides. Il voulait obtenir la ville de Skutari, sur le lac du même nom, mais les diplomates européens ne donnent aucune suite à ses desiderata . Il est obligé de retirer ses troupes quand l’Autriche menace d’entrer dans le pays et bloque avec sa flotte les côtes du Monténégro, de concert avec d’autres puissances.

Guillaume-I-2.jpgLe 6 février 1914, les grandes puissances européennes s’accordent pour donner la couronne princière d’Albanie au Prince allemand Wilhelm zu Wied, devenu de ce fait le “Mbret des Skipetars”. Sa ville de résidence devient Durazzo, sur la côte adriatique. L’autre candidat, un noble d’origine albanaise, le Prince Ahmed Fuad, descendant de Mehmed Ali, est débouté.

Le Prince Wilhelm zu Wied était né le 26 mars 1876 à Neuwied près de Coblence. L’épouse du Roi de Roumanie Carol I, Elisabeth zu Wied (connue sous le nom de “Carmen Sylva”), est une tante de Wilhelm d’Albanie. Celui-ci est protestant, une confession qui n’est pas représentée en Albanie. En soi, c’est un avantage car le pays est déjà suffisamment divisé: les 800.000 habitants de la nouvelle principauté indépendante sont aux deux tiers musulmans; un cinquième est orthodoxe; 10% sont catholiques. A cela s’ajoute un clivage d’ordre linguistique entre les Albanais du Nord, qui se servent d’un dialecte particulier, et les Albanais du Sud qui parlent “tosque”. C’est ce parler des régions méridionales qui va s’imposer comme langue officielle dans le pays.

Le Prince Wilhelm n’a aucune fortune personnelle digne de ce nom. Quand il achète un yacht anglais, c’est grâce à des spéculations sur les devises. Le nouveau souverain s’embarque sur un navire autrichien, le “Taurus” qui prend la mer en direction de Durazzo, où il arrive le 7 mars 1914. Le Prince et sa famille y résideront dans des conditions fort modestes, comparées à celle des princes d’Europe centrale.

Le pouvoir que détient ce prince de sang allemand est très réduit. Un homme, avec sa tribu, est fidèle au Prince zu Wied: Ahmed Zogu qui, plus tard, deviendra le Roi du petit Etat.

Wilhelm, lui, ne parvient pas à s’adapter au monde albanais, totalement étranger pour lui. Un soulèvement populaire l’oblige à quitter le pays au bout de quelques mois, le 3 septembre 1914. Le nouvel homme fort est Essad Pacha Toptani.

Pendant la première guerre mondiale, les forces de l’Entente occupent le pays. A partir de janvier 1916, le Nord de l’Albanie est placé sous administration autrichienne, ce qui procure à la population de meilleures conditions de vie. Le front divise le pays jusqu’à la fin du conflit, de l’Adriatique au Lac d’Ohrid.

Erich Körner-Lakatos.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°13-14/2014; http://www.zurzeit.at ).

Le Roi Zog: une vie mouvementée

Albanie-Zog-I.jpgLa journée du 8 octobre 1895 est un jour de joie pour Djemal Pacha Zogu, un chef de tribu de la région de Mati en Albanie centrale. Un fils, Ahmed, vient de naître dans la résidence fortifiée de ce spadassin. Plus tard, le jeune Ahmed recevra sa formation dans une école du Bosphore. Après la guerre, il entame une carrière fulgurante: en 1920, il devient ministre de l’intérieur; deux ans plus tard, il est premier ministre. En janvier 1925, il est le président de l’Etat albanais. Il survivra à cinquante-cinq attentats! Pendant l’été de l’année 1928, le Parlement albanais décide que le pays doit devenir une monarchie. Le couronnement a lieu le 1 septembre. Le nouveau roi, Zogu I, jure sur le Coran et sur la Bible.

Le 27 avril 1938, il épouse une aristocrate hongroise désargentée, la Comtesse Géraldine Apponyi. Le 5 avril 1939, nait le Prince Leka. Deux jours plus tard, des hôtes indésirés ruinent le bonheur personnel du Roi: les troupes italiennes —22.000 hommes— débarquent sur les côtes albanaises. Le Duce a toujours rêvé de la “Mare Nostrum”... Zogu fuit vers la Grèce, au volant du cabriolet Mercedes-Benz 540K, de couleur rouge écarlate, qu’il avait reçu en cadeau du chef de l’Etat allemand...

En exil, Zogu a vécu à Londres, en Egypte et en France, où il mourra, seul roi d’Albanie de l’histoire, le 9 avril 1961. Son épouse Géraldine lui survivra quatre décennies. Elle était revenue à Tirana en 2001, où elle décédera paisiblement à son tour, quelques mois plus tard, à l’âge de 87 ans. Son fils Leka est mort en novembre 2011.

EKL.

00:05 Publié dans Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : histoire, europe, balkans, albanie, zog i | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook