jeudi, 30 janvier 2014
CYBER-SECURITY: NUOVA POLITICA EUROPEA
CYBER-SECURITY: NUOVA POLITICA EUROPEA
Caterina Gallo
Ex: http://www.eurasia-rivista.org
“Lo spazio cibernetico è sempre più il luogo della competizione strategica. La sua accessibilità a basso costo e la pervasività lo rendono il luogo ideale per la proliferazione di minacce vecchie e nuove.
Dalla militarizzazione all’attività di reti criminali, il cybermondo rischia di essere il luogo del caos assoluto, se non adeguatamente governato da regole condivise. Per gli operatori di intelligence la tutela della sicurezza nazionale dalle minacce cibernetiche è una nuova, importante sfida”. (1)
Tale è il quadro di riferimento nell’approccio a una realtà che, nello specifico campo della comunicazione, rappresenta il bing bang della cibernetica (2) volta a mutare i concetti di spazio e di tempo intesi come un dato rapporto tra soggetti, nonché tra soggetto e oggetto (3). E, a seguito dell’estendersi dello scandalo globale per i programmi di intercettazione della National Security Agency (Nsa) svelati dalla talpa Edward Snowden, a danno dei principali leader mondiali; sta prendendo sempre più piede la crescente diffusione di tecnologie e sistemi di comunicazione, sviluppo di attori non-statuali e redistribuzione del potere tra gli attori statuali, che hanno modificato il profilo delle “minacce e dei rischi” (4) con cui gli Stati devono confrontarsi. Nella medesima cornice e in coerenza con quanto sostenuto, si affaccia prepotentemente e con insistenza nello “scacchiere della globalizzazione” l’intelligence, assumendo un ruolo sempre più incisivo e determinante. Segnato da risvolti inquietanti, da tinte cupe e grigie: l’informazione è diventata il “cuore della sicurezza del Paese (5); partendo da questo principio, l’intelligence, tramite la raccolta di dati e conseguente analisi, partecipa attivamente alle risoluzioni complesse nel campo della sicurezza nazionale” (6). Concetto che ha subito nel tempo “alterazioni”, ma in particolare notevoli obiezioni, ampliandosi in direzione di una trasformazione: “da una sicurezza quasi esclusivamente di tipo militare e “Stato-centrica” a una sicurezza multidimensionale e non più connessa a minacce e rischi provenienti solamente da attori statuali” (7).
Di diverso avviso è il premier britannico David Cameron: “Se le cose stanno così, ha accusato il premier davanti al Parlamento di Londra, quanto è accaduto ha danneggiato la sicurezza nazionale. Sotto molti aspetti lo hanno ammesso quelli dello stesso Guardian, ha aggiunto, quando, su garbata richiesta del mio consigliere in materia e segretario di gabinetto (Jeremy Heywood), hanno distrutto la documentazione in loro possesso”. Pertanto, è fondamentale che l’intelligence si doti di rapporti e interagisca con l’esterno, con le risorse della società, anche se apparentemente sembra contrastare con il principio di riservatezza, che nel tempo ha subito una profonda evoluzione. Riservatezza intesa nel senso di garantire uno spazio di autonomia e di apertura verso altri soggetti che, intricati e coinvolti in una fitta rete di comunicazione, questi possano sentirsi liberi grazie alla protezione offerta dalla propria sfera privata. Nella società della comunicazione, il problema attuale non è solo di impedire l’acquisizione illegittima di informazioni personali, ma di impedire intrusioni legalizzate, ossia di controllare il flusso di informazioni sia in entrata che in uscita. Ciò è reso possibile mediante un controllo diretto che garantisca il processo di selezione delle informazioni: “proteggersi dall’invadenza dei messaggi che ci arrivano dall’esterno e che influenzano lo sviluppo della personalità” (8).
L’unico possibile argine per far sì che l’Europa si rafforzi in tal senso “è di poter giocare alla pari con i partner americani e avere più peso di fronte all’amministrazione americana”, questa la proposta di Viviane Reding, commissario Ue alla giustizia. E ha aggiunto: “Vorrei pertanto usare questa occasione per un maggiore servizio segreto di cooperazione tra gli Stati membri dell’Ue, in modo che possiamo parlare una comune voce forte con gli Stati Uniti; la Nsa ha bisogno di un contrappeso”. Nei suoi piani, l’obiettivo è di creare entro il 2020 un “European Intelligence Service” (Eis) tanto potente quanto il “National Security Agency” (agenzia d’intelligence istituita negli USA per potenziare la sicurezza nazionale, rafforzata successivamente a seguito dell’attacco delle torri gemelle, costituisce il più potente strumento di controllo mondiale delle telecomunicazioni), una sorta di CIA europea, che sia in grado di coordinare e sostituire i diversi servizi segreti dei 28 Stati membri.
Sebbene la maggioranza degli esperti russi sostiene che l’idea di Viviane Reding sia destinata a fallire, l’analista dell’Istituto di studi europei presso l’Accademia di scienze russa, Dmitry Danilov, ha affermato che “una serie di motivi mi fanno credere che non si potrà creare un sevizio o un’agenzia centralizzata all’interno dell’Unione Europea. Persino nel campo della cooperazione su questioni della difesa o della politica di sicurezza il progresso è molto lento”. A ragion veduta l’agente dei servizi russi Roman Romatchiov dichiara che “si tratta di una reazione allo spionaggio globale degli USA. L’Europa vuole prendere la rivincita. Per questo deve organizzare campagne sui mass media, lanciare delle idee per far credere ai cittadini europei che anche i loro governi si danno da fare”. A tal fine, un fondamentale campo di sfida per l’intelligence sarà quello della cyber security (9).
Capire la complessità di questa nuova dimensione della sicurezza e comprenderne l’impatto reale sugli interessi nazionali è il primo passo per realizzare una politica efficace di cyber security. Per tale ragione il centro di ricerca di Cyber Intelligence and Information Security (CIS) dell’Università Sapienza di Roma ha elaborato un documento di notevole importanza, il “2013 Italian Report on Cyber Security: Critical Infrastructure and Other Sensitive Sectors Readiness” (10), presentato ufficialmente il 9 dicembre 2013 in collaborazione con il Dipartimento Informazione per la Sicurezza (DIS), alla presenza del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle Informazioni per la Sicurezza, Sen. Marco Minniti. Il Rapporto, realizzato da studiosi e ricercatori italiani, vuole essere un contributo accademico per accrescere e consolidare la comprensione e il dibattito nazionale su uno dei temi più caldi di rilevanza internazionale e che suscitano polemiche di portata mondiale, qual è lo stato dell’arte nella protezione, da attacchi cibernetici, delle infrastrutture critiche nazionali e dei settori economici sensibili.
La minaccia cibernetica, pur riguardando la dimensione del cyberspazio, risulta in grado di incidere su una pluralità di settori interconnessi quali: la sottrazione di dati a fini predatori, la violazione della proprietà intellettuale, il furto di identità, il proposito di danneggiare la funzionalità delle infrastrutture critiche o di manipolare informazioni al fine di delegittimare le istituzioni o favorire il proselitismo in rete, lo spionaggio vero e proprio con la sottrazione di informazioni privilegiate o segreti industriali, per alterare la concorrenza e favorire la superiorità strategica di un Paese.Per rispondere a tale inconveniente, l’attività informativa è stata orientata alla sicurezza delle reti telematiche e sistemi informatici delle aziende di rilevanza strategica (11), e quindi si è proceduto nel circoscrivere la minaccia proponendo soluzioni volte a garantire la sicurezza dei dati e ridurre i costi di gestione dei sistemi informatici, quali il cloud computing (12). A tal proposito, il 27 settembre 2012 la Commissione europea ha adottato una strategia denominata “Sfruttare il potenziale del cloud computing in Europa” (13). La strategia punta ad incrementare il ricorso alla “nuvola” in tutti i settori economici, il gruppo di esperti rappresenta un elemento chiave di questa strategia e degli sforzi della Commissione di promuovere il mercato unico digitale, già avviati nell’ambito di altre iniziative legislative, come la riforma UE sulla protezione dei dati (14).
Implicazioni
È molto difficile trarre conclusioni per una problematica in rapida evoluzione, tuttavia, alla luce di quanto esposto la cyber security diventa un aspetto importante che richiede di porre maggiore attenzione a livello politico-istituzionale, necessaria anche a livello internazionale. “Nel 2009 il vertice USA – UE ha per la prima volta riconosciuto la cyber security come sfida globale (non bilaterale, né regionale)” (15), segnalando nel contempo l’intento di: “rafforzare il (…) dialogo USA – UE per individuare e rendere prioritari i settori nei quali sia possibile intervenire congiuntamente per costruire un’infrastruttura che sia sicura, resistente e affidabile per il futuro”. (16) Tutto ciò ha reso necessaria una maggiore presa di coscienza dell’affidabilità da riporre nei confronti degli stakeholder (settore pubblico/governativo, settore privato/industria e società civile) preposti alla formulazione di politiche in tutti campi del settore cyber tra cui monitoraggio, investimenti, contromisure, armonizzazione terminologica e normativa.
Il settore privato impegnato nella ricerca e sviluppo delle ICT, un ruolo improntato nella consulenza, preparazione e attuazione delle procedure e protocolli in materia informatica; parte integrante di un’architettura strategica, incentrata nella protezione della sicurezza dello Stato. Quindi, si rende necessario fare un passo avanti al fine di prendere coscienza e capire quanto sta accadendo a livello di sicurezza informatica, “ossia che è proprio l’insieme dei dati e di conoscenza che fa di una nazione, innovativa e competitiva a livello mondiale, un sistema Paese che è diventato oggetto di attenzione malevola da parte di entità di difficile individuazione, ma non per questo meno pericolosi di avversari su un campo di battaglia concreto”. (17)
*Caterina Gallo laureata in Scienze delle Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Salerno
Note
(1) “Minacce alla sicurezza. Cyberspazio e nuove sfide”, G. Ansalone, Rivista italiana di intelligence, 3 – 2012.
(2) Il termine (etimologicamente derivante dal greco kubernetike (arte del governo del timoniere) è stato coniato dal matematico Norberto WIENER (La cibernetica trad. Di O Beghelli, Milano, 1953) la cui definizione quale “scienza del controllo e della comunicazione fra gli animali e le macchine” richiama appunto quell’attività di interazione che viene a stabilirsi tra più agenti in un medesimo contesto operativo.
(3) “Se telefono, radio, televisione, computer determinano un nuovo rapporto tra noi e i nostri simili, tra noi e le cose, tra le cose e noi, allora i mezzi di comunicazione ci plasmano qualsiasi sia lo scopo per cui le impeghiamo ed ancor prima che assegniamo ad essi uno scopo”, “Psiche e tecne. L’uomo nell’età della tecnica, U. Galimberti, Milano, pag. 633.
(4) In ambito intelligence, si intende generalmente per minaccia un fenomeno, una situazione e/o condotta potenzialmente lesivi della sicurezza nazionale. Può essere rappresentata dalle attività di Stati (nel qual caso include anche l’eventualità del ricorso allo strumento militare), di organizzazioni non statuali o di singoli individui. Oltreché per indicare la tassonomia degli agenti (individui e organizzazioni) e degli eventi (fenomeni e condotte) pericolosi per la sicurezza, il termine è impiegato in un’ accezione che si riferisce anche alla probabilità che tali eventi si verifichino. Nell’ambito dell’analisi controterrorismo, tale probabilità viene stimata sulla base di una valutazione tanto dell’intento dell’attore terroristico preso in esame quanto della sua capacità di tradurre tale intento offensivo in una concreta azione dannosa. In questa accezione, la minaccia costituisce una delle variabili in funzione delle quali è valutato il rischio. Con il termine rischio si intende un danno potenziale per la sicurezza nazionale che deriva da un evento (tanto intenzionale che accidentale) riconducibile ad una minaccia, dall’interazione di tale evento con le vulnerabilità del sistema Paese o di suoi settori e articolazioni e dai connessi effetti. Minaccia, vulnerabilità e impatto costituiscono, di conseguenza, le variabili principali in funzione delle quali viene valutata l’esistenza di un rischio e il relativo livello ai fini della sua gestione, ossia dell’adozione delle necessarie contromisure (tanto preventive che reattive). “Relazione sulla Politica dell’informazione per la sicurezza” Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 2011.
(5) “Con lo sviluppo dell’Information Technology si è venuto a creare un nuovo spazio, o se si preferisce una nuova dimensione spaziale nell’ambito della quale viene ad esplicarsi l’attività umana in tutte le sue manifestazioni e rispetto al quale il medium informatico costituisce un organo, vale a dire uno strumento di percezione e, al tempo stesso, di creazione dello spazio medesimo; costituito dalle interazioni che vengono a stabilirsi tra le intelligenze artificiali create per effetto dei sistemi informatici (il cui studio forma oggetto specifico della cibernetica) nonché dalle relazioni che vengono a stabilirsi all’interno di esso: ciò che si suole denominare: cyberspazio”. “La formazione di regole giuridiche per il cyberspazio”, V. De Rosa, Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2 – 2003, pp. 361 – 400.
(6) “Intelligence e sicurezza nazionale”, A. Politi, http://www.servizisegreti.eu/sicurezza-nazionale-ed-intelligence/.
(7) “Evoluzioni e prospettive future del diritto alla privacy e della libertà di informazione nel diritto europeo e comunitario” M. Carnevalini, La comunità internazionale, 4/2002, pp. 683 – 697.
(8) “Il Consiglio di sicurezza nazionale: esperienze internazionali e prospettive italiane”, Strategie di sicurezza nazionale, Istituto Italiano di Studi Strategici, C. Neri, dicembre 2012.
(9) “Sotto il profilo della collaborazione internazionale, più che in ogni altro settore la coopera ione con gli Organismi informativi degli altri Paesi sviluppati deve mirare a costruire veri e propri percorsi comuni e condivisi, nella piena consapevolezza che un attacco informatico può avere impatto transnazionale e intercontinentale e che la vulnerabilità di un singolo Paese può riflettersi sulla sicurezza globale”, “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”. Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 2009.
(10) “2013 Italian Cyber Security Report. Critical Infrastructure and Other Sensitive Sectors Readiness”, http://www.dis.uniroma1.it/~cis/media/CIS%20Resources/2013CIS-Report.pdf
(11) “Per meglio rispondere alle sfide sempre più incalzanti poste dalla minaccia cibernetica alcuni Stati si sono dotati di organismi di coordinamento nazionale costituendo un’entità centrale presso il vertice dell’Esecutivo. Tale è la situazione adottata nel Regno Unito, dove la struttura cui è affidato l’indirizzo strategico delle azioni in ambito governativo, denominata OCSIA (Office Of Cyber Security and Information Assurance), è istituita in seno al Cabinet Office; in Francia, dove l’Agence Nationale de la Sécurité des Systèmes d’Information (ANSSI) opera alle dirette dipendenze del Primo Ministro; negli USA,dove sebbene la responsabilità federale dell’azione di prevenzione e contrasto della minaccia cibernetica sia affidata al Dipartimento della Homeland Security (DHS), l’organismo di coordinamento, rappresentato dal Cybersecurity Coordinator è istituito e opera in seno al National Security Council, struttura di diretto supporto del Presidente in materia di sicurezza nazionale”, (“Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 2011.
(12) “Il cloud computing è un insieme di modelli di servizio che si sta diffondendo con grande rapidità tra imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini perché incoraggia un utilizzo flessibile delle proprie risorse (infrastrutture e applicazioni) o di quelle messe a disposizione da un fornitore di servizi specializzato. L’innovazione e il successo delle cloud (le nuvole informatiche ) risiede nel fatto che, grazie alla raggiunta maturità delle tecnologie che ne costituiscono la base, tali risorse sono facilmente configurabili e accessibili via rete, e sono caratterizzate da particolare agilità di fruizione che, da una parte semplifica il dimensionamento iniziale dei sistemi e delle applicazioni mentre, dall’altra, permette di sostenere gradualmente lo sforzo di investimento richiesto per gli opportuni adeguamenti tecnologici e l’erogazione di nuovi servizi”, “Cloud computing: indicazioni per l’utilizzo consapevole dei servizi”, Garante per la protezione dei dati personali.
(13) “Sfruttare il potenziale del cloud computing in Europa – di cosa si tratta e che implicazioni ha per gli utenti?”, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-12-713_it.htm.
(14) “LIBE Committee vote backs new EU data protection rules”, 22 ottobre 2013, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-13-923_en.htm.
(15) “Osservatorio di politica internazionale. Cybersecurity: Europa e Italia”, n. 32 maggio 2011, Istituto Affari Internazionali
(16) “3 novembre 2009 EU-US Summit declaration”, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/er/110929.pdf
(17) “Soggetti e ambiti della minaccia cibernetica: dal sistema- paese alle proposte di cyber governante?”, G. Tappero Merlo, La Comunità internazionale, 1/2012, pp. 25 – 53
Fonti
http://euobserver.com/justice/121979;
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/eu/10425418/Brussels-demands-EU-intelligence-service-to-spy-on-US.html;
http://italian.ruvr.ru/2013_12_24/L-Europa-vuole-una-propria-CIA/
http://news.supermoney.eu/politica/2013/11/datagate-cortina-fumogena-o-danneggiamento-ai-sistemi-di-sicurezza-degli-stati-controllati-0039939.html
http://www.servizisegreti.eu/sicurezza-nazionale-ed-intelligence/
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : cyber-sécurité, cyber-security, europe, affaires européennes, politique internationale, espionnage, nsa | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Do “Colour Revolutions” Happen Spontaneously?
Do “Colour Revolutions” Happen Spontaneously?
These questions are posed by columnists following the emergence and development of “colour revolutions” in other world regions, particularly the events in Ukraine, which have seen a resurgence in recent times. Experts are especially perplexed by the actions of EU and U.S. politicians, calling the Ukrainian opposition to greater action against the country’s legally elected government – with whom, incidentally, the EU and the U.S. foster diplomatic relations, as officially attested to by those currently in power in Kiev. The matter is not only limited to calls by U.S. Senator John McCain & Company to change out the current Ukrainian regime, however; it extends also to organized financial support of individual opposition “leaders”, to whom residency is undoubtedly offered in the U.S. or countries of the EU “for revolutionary services”. A prime example of this is the Ukrainian opposition “leader” Klitschko, who has received residency in the U.S. and Germany.
Within this context, conclusions drawn by experts of the highly respected French Centre for Research on Intelligence (CF2R) may prove especially interesting: conclusions on whether “colour revolutions” are spontaneous or could be the result of coordinated operations.
The French experts believe that revolutionary reform activists in countries of Eastern Europe as well as the Arab world – in particular the April 6th Youth Movement which ousted Egyptian president Hosni Mubarak – and even South America were educated through seminars on “nonviolent revolution” strategy, held in Serbia by the famous organization, CANVAS (Centre for Applied Nonviolent Action and Strategies), which was born in 2001 of the Serbian political entity Otpor!, becoming a training centre for “nonviolent action” after the felling of Slobodan Milosevic’s regime.
CF2R experts tracked the activities of CANVAS “advisors” preparing for Georgia’s Rose Revolution and the Orange Revolution in Ukraine, as well as their close ties with the Belorussian organization Zubr (“Bison”), founded in 2001 with the goal of toppling the regime of Alexander Lukashenko. They also discovered CANVAS ties with the Venezuelan opposition.
During the winter of 2011 flags with CANVAS emblems, inherited from Otpor!, were waved by Egyptian students of the April 6th Youth Movement, playing an active role in the demonstrations on the streets of Cairo.
CF2R paid particular attention to CANVAS’s claimed funding sources, as activities of this structure require substantial financial support. In the words of CANVAS director Srda Popovic, the organization operates “exclusively on private donations”. Authors of the study, however, paint quite a different picture. According to informed French sources two American organizations actively finance CANVAS – the International Republican Institute (IRI) and Freedom House.
The International Republican Institute is a political organization associated with the U.S. Republican Party, founded in 1983 following American President Ronald Reagan’s speech before the British Parliament in Westminster, where he offered political parties and organizations abroad aid in creating “infrastructures for democracy”. It is well known that the IRI is financed by the U.S. government (in particular, through the State Department, the Agency for International Development – USAID – and the National Endowment for Democracy). Its activities include “providing broad assistance to political parties and training their activists”.
The French experts, however, clearly indicate that the International Republican Institute is, in fact, nothing more than a screen for the CIA. Under these circumstances it is worth noting that the famous activist of the Euro Maidan in Kiev, U.S. Senator John McCain, is not only a representative of the U.S. Republican Party, but also a champion of the IRI. On the basis of this information questions as to who may be guiding his actions are answered in and of themselves.
As far as Freedom House, its main activity is the “export of American values”. This Non-Government Organization was founded in 1941 and conducts research on the status of political and civil liberties in various countries. Between 60 and 80 percent of its budget is made up of grants from the U.S. government (mainly the State Department and USAID). Until 2005 its director was former CIA head James Woolsey, which, according to the opinion of CF2R experts, clearly indicates U.S. intelligence involvement with Freedom House activities. A highly remarkable fact, established by the French, is Freedom House’s invitation to famous Egyptian blogger Israa Abdel Fattah, co-founder of the April 6th Youth Movement, to attend an event held by the organization. There, she underwent training in a program for “political and social reformers”. All activities were funded by USAID.
The financial participation of the IRI and Freedom House, as well as that of the U.S. Special Forces hidden behind them, can be traced in “revolutionary activities” not only in Egypt, but also in Tunisia, Libya, Syria and other States in the Middle East region.
As noted by the French, it is extremely difficult under these conditions not to notice the U.S. role and American manipulation of events in the Middle East in recent years, even with the lack of direct references to such activities on the part of the Obama administration. Even more surprising is the fact that the Western press has been and continues to be highly discreet on this issue (with rare exceptions) and is silent about the relationship between current events in the Arab world and US “advisors”. “Even individuals who are usually forthcoming with ‘conspiracy theories’ are strangely silent”, remark the French experts.
Given that the activities of the IRI, Freedom House, USAID and other organizations heavily used by Washington in “political reforms” continue to be carried out (and not only in the Middle East), we can hardly expect a quick decline of “revolutionary” movements in the world, including those in the Middle East, Ukraine and elsewhere.
Vladimir Platov, Middle East expert, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.
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La quenelle, petite histoire d’un grand mensonge politico-médiatique
La quenelle, petite histoire d’un grand mensonge politico-médiatique
Analyse rétrospective détaillée de l'évolution du sens donné à la quenelle par les médias dominants, avec les causes, les objectifs et les techniques employées.
Coup de tonnerre en ce 21 Janvier 2014, la quenelle, ce geste « infamant » qui a valu à Nicolas Anelka d'être attaqué par la Fédération anglaise de football, n'est pas un geste antisémite. Enfin, pas tout à fait. Il ne l'est que quand il est dirigé contre une synagogue ou un lieu de mémoire, entendez la Shoah, déclarée « sanctuaire » intouchable par Manuel Valls.
http://www.youtube.com/watch?v=BmAH...
Ainsi l'a déclaré Roger Cukierman, président du CRIF, au micro du Figaro.
http://video.lefigaro.fr/figaro/vid...
Ce revirement dans l'interprétation « officielle » (c'est à dire médiatique) de la signification de la quenelle clôt, je l'espère, un mensonge grotesque, initié par le pendant de Monsieur Cukierman, j'ai nommé Alain Jakubowicz, actuel président de la LICRA.
En effet ce dernier avait lancé « l'affaire » de la quenelle, par une déclaration dans le « reportage » (désolé pour tous ces guillemets mais le vocabulaire utilisé fait partie de la guerre sémantique menée par les médias) de France 2, diffusé dans l'émission « Complément d'enquête » le 19 décembre 2013.
http://www.france2.fr/emissions/com...
Donc selon ce monsieur, ce geste est, de toute évidence, un salut nazi inversé, signifiant la sodomisation des victimes de la Shoah (les guillemets seraient trop faibles pour exprimer l'aspect douteux de cette affirmation). Et sur quoi base-t-il son exégèse ? Sur des photos postés sur internet de « quenelliers », terme désignant les auteurs de ce geste « nauséabond » (terme préféré des médias pour qualifier la chose).
Tout d'abord, ces photos se comptent tout au plus en dizaines, sur un stock en ligne de plusieurs milliers (pour une vision d'ensemble, http://www.dieudosphere.com/les-que...)
Ensuite, on peut leur attribuer d'autres significations, comme celle de dire, : « j'emmerde la sacralisation et l'instrumentalisation de la Shoah par les instances juives, ou, j'en ai marre de bouffer de la Shoah matin, midi et soir, voire même au goûter, ou, je ne supporte plus la domination en France du lobby sioniste, ou, je veux blasphémer, et je ne peux me tourner que vers ce symbole puisqu'il est permis de caricaturer Mohammed, le prophète de l'Islam (cf http://fr.wikipedia.org/wiki/Carica...) ou de représenter le Christ en « putain du diable » (cf http://rue89.nouvelobs.com/rue89-cu...) mais pas de toucher à cette nouvelle religion qu'est la Shoah, ou je n'aime pas les juifs et je veux le montrer ». Je ne suis pas dans la tête des gens, donc je me garderai bien de juger de la signification que chacun peut attribuer à ce geste.
Enfin, à supposer que ces gens soient réellement des « antisémites » (terme vague censé désigner la haine des juifs pour ce qu'ils sont et non pour ce qu'ils font, mais dont le sens très élastique varie en fonction de qui l'emploie et contre qui il l'emploie. (Pour rappel les ashkénazes ne sont pas des sémites alors que les saoudiens le sont. Lire « l'invention du peuple juif » de Shlomo Sand pour les explications détaillése)), depuis quand attribue t-on la signification d'un geste en fonction de son objet d'application ? Si un néo-nazi se prend en photo en train d'uriner sur le mur des lamentations, doit on en conclure que le fait de pisser est antisémite ? Si on filme un homme en train de faire un doigt à un groupe de juifs, doit on proscrire à jamais l'érection du majeur, considéré comme antisémite ? Je laisse à chacun le soin d'exercer sa faculté de raisonnement et de tirer les conclusions que la logique impose.
Cela fait environ dix ans que l'humoriste Dieudonné (qui ne fait plus rire personne selon Manuel Valls et les journalistes de télévision, mis à part peut être les dizaines voire centaines de milliers de personnes qui ont vu ses spectacles et les millions qui ont visionné ses vidéos) pratique ce geste, sans que celui ci ait jamais été qualifié d'antisémite, malgré que son créateur l'ait été des centaines de fois.
Alors, pourquoi ce soudain revirement ? Pourquoi cet emballement ? Pour une raison très simple.
A partir du moment où la quenelle a généré autour d'elle un buzz énorme et où des milliers gens s'en sont emparés comme un signe de ralliement anti-système, les tenants et bénéficiaires de ce système (dont l'élite sioniste n'est qu'un composant, avec celui des élites politiques, financières, bancaires, médiatiques et industrielles) l'ont perçu comme une menace potentielle, car il s'inscrivait dans le cadre d'une crise totale (spirituelle, politique, financière, industrielle, culturelle et écologique), dont nous sommes loin d'être sortis. Face au risque d'une coagulation des mécontents autour de cette bannière, il fallait neutraliser ce risque en diabolisant le symbole qui commençaient à unifier les colères.
Comme avec le Front National dans les années 80, qui servit de repoussoir aux masses qui remettaient en cause la politique migratoire (destinée à faire pression à la baisse sur les salaires par la mise en concurrence des travailleurs et à affaiblir la cohésion du sentiment d'appartenance national, force pouvant résister à la domination du « marché » (terme vague pour désigner l'ensemble des puissances industrielles et financières qui ont progressivement supplanté la puissance étatique)), la quenelle arriva à point pour neutraliser cette nouvelle contestation qui ne rentrait plus dans les traditionnelles catégories droite/gauche (dont Alain Soral, passé du PC au FN, avant de le quitter après un détour Chevènement, est une parfaite illustration) .
En permettant de lui donner un nom, un visage, la quenelle permit aux pouvoirs en place de combattre cette contestation par des méthodes bien connues, mais qui ont fait leur preuve.
D'abord désigner un « méchant », l'affubler de titres infamants (fasciste, révisionniste, conspirationniste, raciste, nazi, et bien sûr, le pire de tous, antisémite), parler de lui sans cesse, sans lui donner la possibilité de répondre (cf http://www.youtube.com/watch?v=GLmu...), binariser le débat (genre « ou vous êtes de notre côté ou vous êtes du côté des terroristes »), et lier tous les gens susceptibles de porter un message critique similaire sous le terme nébuleux de nébuleuse, ou galaxie pour rester dans le registre astronomique (cf http://www.lefigaro.fr/actualite-fr...HYPERLINK "HYPERLINK" ). Ce genre de procédés est parfaitement décrit dans le livre 1984 de Georges Orwell.
Ensuite utiliser les chiens de garde (journalistes de télévisions, antifas, antiracistes, LICRA, CRIF, JSS News) pour neutraliser ces opposants de différentes façons :
• Diabolisation
http://www.youtube.com/watch?v=EvCK...
• Délation et traque
http://www.youtube.com/watch?v=H_Up...
• « Education » des masses sur le danger d'écouter ces individus
http://www.youtube.com/watch?v=p7tu...
• Chantage à l'antisémitisme (si tu aimes ce gars qui est antisémite, alors c'est que tu l'es aussi. CQFD)
http://www.youtube.com/watch?v=Mimz...
• Censure
http://www.youtube.com/watch?v=CBRz...
• Attaque physique
http://www.youtube.com/watch?v=Kax4...
• Procès
http://www.youtube.com/watch?v=gNxA...
Sauf que le diable, cette fois ci, est bicéphale. Dieudonné ne serait donc que le le vecteur artistique d'une idéologie dangereuse élaborée par Alain Soral.
http://www.youtube.com/watch?v=0BXC...
Donc pour lutter contre cette opposition, les journalistes vont d'abord donner un double sens à la quenelle, sous une forme pseudo interrogative (geste antisémite ou simple geste anti-système ?), avant de progressivement glisser vers le sens officiel, à savoir la première. Voici un aperçu de cette évolution à travers un échantillonnage d'articles du Monde, le journal de référence de la bien-pensance.
11 Décembre 2013.
http://www.lemonde.fr/politique/art...
« Provocation antisystème pour les uns, gestuelle antisémite pour d'autres, la quenelle garde une signification très floue. »
Notons que « les autres » ne désigne à l'époque qu'Alain Jakubowicz, qui fera néanmoins des émules dans le milieu très fermé des journalistes de télévision. Notons également que le titre de l'article annonce déjà la couleur en parlant de geste antisémite sans utiliser le conditionnel.
Gardez cependant à l'esprit que nul complot n'est nécessaire. Les journalistes passent leur temps à reprendre le travail de leurs confrères et ont une mentalité de meutes. Ils n'attaquent jamais seuls, sont lâches par nature ou par nécessité car ils savent qu'ils sont tous sur un siège éjectable, et sont mentalement et idéologiquement formatés dès qu'ils sortent du CFJ (Centre de Formation des Journalistes). Voir à ce propos l'excellent livre de François Ruffin, « Les petits soldats du journalisme » (http://www.acrimed.org/article935.html) et la conférence de Roberd Ménard sur la mentalité de ses confrères (http://www.youtube.com/watch?v=N_x-...HYPERLINK "HYPERLINK" ).
24 Décembre 2013
http://www.lemonde.fr/societe/artic...
« Main sur l'épaule et bras tendu, ce « salut » popularisé par Dieudonné M'bala M'bala garde une signification très floue. Pour ses détracteurs, il s'apparente au salut nazi. Pour les fans de l'humoriste, il s'agit d'une provocation anti-système. »
A noter que pour faire une quenelle, la main n'est pas sur mais contre l'épaule, et que le bras n'est tendu que de façon lâche, mais la formulation crée dans notre esprit une image mentale proche d'un Hitler en train de dire bonjour.
26 Décembre 2013
http://www.lemonde.fr/societe/artic...
« Ce geste réputé antisémite ou antisystème a été érigé par l’humoriste controversé Dieudonné en signe de ralliement repris par les milieux d’extrême droite. »
Si l'interrogation subsiste encore, on peut voir le début de la manipulation. En effet ce geste a été repris par tous les milieux, dont l'extrême droite ne constitue qu'une frange. Mais en martelant cela sans cesse, on pousse à ce que les personnes qui croient au discours des médias dominants et sont terrifiés à l'idée d'être associés aux « méchants fachos » cessent de faire ce geste et que ceux qui sont déjà plus radicalisés se l'approprient encore plus, puisqu'ils ne croient plus les médias menteurs.
Pour ceux qui croient que ce geste de ralliement ne concerne que des gens d'extrême droite, je les renvoie à cet article qui a le mérite de l’honnêteté intellectuelle.
http://www.huffingtonpost.fr/jeremi...
30 Décembre 2013
http://www.lemonde.fr/sport/article...
« En effectuant cette « quenelle », posture inventée par Dieudonné et dont ses fans ont fait un signe de ralliement, l'attaquant de 34 ans a suscité l'émoi outre-Manche. Cette gestuelle est interprétée comme antisémite. »
Par qui ? Là, on n'a plus d'interrogation mais on a encore la question de interprétation. On avance.
31 Décembre 2013
http://www.lemonde.fr/idees/article...
« Peu importe que la « quenelle » ait été ou non élaborée par une référence explicite au salut nazi. La question est de savoir au nom de quelle idéologie ses promoteurs essaient d’en faire un signe de ralliement. Le doute n’est pas permis sur ce point, tant la popularisation de cette gestuelle est le fait de Dieudonné et de sa garde rapprochée, c’est-à-dire d’un groupe soudé par l’antisémitisme. »
La question de la signification de la quenelle ne se pose plus, la messe est dite. La quenelle est antisémite car portée par un antisémite. Très bien, doit on alors interdire la svatiska, détournée par Hitler ? A-t-on le droit d'appeler son fils Adolf ? Le mot « camarade » doit il être banni car associé à un régime responsable de la mort de millions de personnes ?
31 Décembre 2013
http://www.lemonde.fr/idees/article...
« Les attaques récentes visant la garde des sceaux signaient le retour du racisme colonial archaïque, mais dont les ressorts n'ont pas entièrement disparu. Voici que l'antisémitisme, avec Dieudonné, s'installe dans l'actualité, en même temps que le geste de la « quenelle », vague synthèse du salut nazi et du bras d'honneur, de la haine des juifs et du rejet du système. »
Le doute n'est plus permis. Désormais les deux définitions de la quenelle n'en font qu'une.
07 Janvier 2014
« Nicolas Anelka n'a sans doute pas fait exprès de choisir Noël pour effectuer sa quenelle devant des millions de téléspectateurs, mais, avec ce geste-là, il aura offert à la France un joli cadeau : celui d'obliger ses citoyens à choisir leur camp. Car ce salut nazi inversé n'est pas, contrairement à ce qu'on voudrait nous faire croire, un acte de résistance au système. »
Les deux définitions ont disparu pour faire la place à la seule qui vaille. Le problème est qu'Anelka n'a pas franchement la tête de l'emploi pour le rôle d'Hitler. C'est pas grave, on ne va pas se laisser emmerder par le réel.
09 Janvier 2014
« Tout le monde sait que ce geste dit “de la quenelle” est un geste antisémite, tout le monde sait qu'il ne s'agit pas de spectacles d'un humoriste mais de meetings politiques qui diffusent la haine »
Tout le monde le sait, et tout le monde s'appelle Manuel Valls. Merci de m'apprendre que je sais ce que je savais pas Monsieur le Ministre.
09 Janvier 2014
http://www.lemonde.fr/societe/artic...
« Durant deux heures, l'ambiance a été électrique devant le Zénith de Nantes, où des fans déçus par l'interdiction du spectacle de Dieudonné l'ont soutenu en chantant en chœur la chanson du polémiste ananas. Des « quenelles », le geste de ralliement au polémiste, se voulant antisystème mais souvent jugé antisémite, étaient aussi visibles, avec des bras tendus très haut rappelant le salut nazi. »
Ou comment se contredire dans la même phrase. En effet, comment faire une quenelle avec le bras tendu très haut ? Facile, en faisant le salut nazi avec le bras tendu très bas. CQFD.
10 Janvier 2014
http://www.lemonde.fr/politique/art... ;
« Deux élèves ont été exclus jeudi 9 janvier du lycée Rosa-Parks de Montgeron (Essonne) pour, notamment, la photographie d'une « quenelle » réalisée à l'intérieur de leur établissement, et après une plainte pour apologie de crime contre l'humanité déposée par un enseignant qui les a brièvement conduit en garde à vue. »
Ou comment le tragique aboutit au comique. Si quelqu'un peut établir une progression logique entre la quenelle de deux adolescents dans un lycée , hors de tout contexte « shoatique », et l'apologie de crime contre l'humanité, je lui offrirai le prix du sophiste de l'année, à savoir un livre de Bernard Henri Lévy, « l'Idéologie française », qui démontre avec brio que la culture française (et donc les français par extension) est intrinsèquement fasciste et antisémite, et donc contraire à l'esprit des Lumières, dont le véritable esprit est dans le judaïsme. Je ne plaisante pas.
12 Janvier 2014
« La « quenelle », le geste antisémite popularisé par Dieudonné M’Bala M’Bala, a ensuite connu une montée en puissance exponentielle sur les réseaux sociaux. »
Ce n'est plus une certitude, c'est un axiome.
13 Janvier 2014
http://www.lemonde.fr/societe/video...
« Au lendemain de la venue à Vence du polémiste d'extrême droite Alain Soral, qui s'est illustré par des propos sur la mort de l'ancien premier ministre israélien Ariel Sharon, une trentaine de personnes se sont réunies lundi matin à Nice pour effectuer le geste antisémite dit de la « quenelle » ».
C'est bon, c'est acquis, on ne reviendra plus dessus. Et à propos de propos, quels sont les propos d'Alain Soral sur Ariel Sharon ? La réponse se trouve ici http://www.youtube.com/watch?v=y4b0DI1ZfNo. A chacun de juger sur pièce du caractère scandaleux ou non de ses déclarations.
Et si vous n'avez pas eu votre dose de scandales voici une déclaration de Monsieur Sharon : « Le désir de ne pas faire de mal à des civils innocents à Gaza menera à la souffrance des vrais innocents : les habitants du sud d’Israël. Les habitants de Gaza ne sont pas innocents, ils ont élu le Hamas. Les Gazaouis ne sont pas des otages ; ils ont choisi librement et doivent en assumer les conséquences [...]. Pourquoi les citoyens de Gaza ont-ils l’immunité ? [...] Si les Cubains attaquaient Miami, La Havane n’en subirait-elle pas les conséquences ? C’est ce qu’on appelle “la dissuasion” –Si vous me tirez dessus, je vous tirerai dessus. Rien ne justifie que l’“Etat de Gaza” puisse tirer sur nos villes en toute impunité. Nous devons raser des quartiers entiers à Gaza. Raser tout Gaza. Les Américains n’ont pas arrêté avec Hiroshima –les Japonais ne se rendaient pas assez vite, alors ils ont aussi frappé Nagasaki. »
19 Janvier 2014
http://www.lemonde.fr/sport/article...
« Le sponsor du maillot des « Baggies », le promoteur Zoopla, a menacé de son soutien qui s'élève à trois millions de livres par an si Anelka était à nouveau sélectionné. L'un des propriétaires de l'entreprise, de confession juive, serait à l'origine de cet ultimatum qu'applaudit le Sunday Times : « Pourquoi financer un club dont l'une des stars soutient l'extermination des juifs ? »
Même défi que pour les deux élèves exclus mais plus difficile cette fois. Celui qui pourra pétablir une articulation logique entre un hommage d'Anelka à son ami Dieudonné dans la tourmente (de l'aveu de son auteur) et le soutien au génocide des juifs gagnera le DVD de « Le jour et la nuit », dont la seule erreur a été humblement reconnue par son auteur, Bernard Henri Lévy : « Si je regrette une chose, c'est d'avoir été un peu… mégalo. J'ai fait trop grand, trop fort, trop beau, trop tout… L'erreur était probablement là. »
Ce qui nous ramène au début de cet article, et à la date du 21 Janvier. Je ne porte pas de jugement pour savoir si Dieudonné est antisémite ou non, pour plusieurs raisons :
• Je ne suis pas dans sa tête ni dans son cœur.
• La Justice est censée juger les actes et non les hommes, et j'essaie de suivre la même démarche. Et je ne vois pas au nom de quel principe journalistique les médias s'instituent en tribunaux. Frédéric Taddeï n'était pas dans cette démarche, il se contentait de laisser s'exprimer une multitude d'opinions en mettant les siennes de côté, comme ce devrait être le cas de tous les journalistes qui se prétendent neutres et objectifs, et c'est pour cela qu'il a subi toutes ces critiques de ses confrères.
• Le terme antisémite n'est pas bien défini dans les médias et sert d'instrument pour étouffer la critique du sionisme. (c'est comme si je traitais de raciste anti-asiatique un blanc qui se permettrait de critiquer la politique du gouvernement chinois).
• Le sketch chez Marc-Olivier Fogiel qui lui a valu d'être traîné dans la boue ne contenait RIEN contre les juifs en tant que personnes, mais s'attaquait à l'occupation de territoires palestiniens par des colons israéliens. Et je comprends, sans pour autant le légitimer, qu'avoir été attaqué aussi violemment (y compris physiquement), aussi injustement et aussi longtemps par un lobby représentant une population donnée, ait pu faire naître en lui un ressentiment à l'égard de cette communauté. Dieudonné a manqué de discernement, mais ce n'est pas encore un crime à ce que je sache. La plupart des gens auraient réagi de la même manière. Nous ne sommes pas que des êtres de raison. Peut être aurait il dû écouter Eric Zemmour (à qui je tiens à rendre hommage pour ne pas avoir hurlé avec les loups), ou lire les livres de Jacob Cohen, Shlomo Sand, Norman Finkelstein, ou Gilad Atzmon, pour s'apercevoir de toute la diversité de pensées au sein de la communauté juive.
• Je n'aime pas la moraline (qui est à la morale ce que la chiasse est à l'étron).
-
On a le droit de ne pas aimer les juifs, les homosexuels, les noirs ou les arabes, le crime ne résidant pas dans le sentiment ou la pensée, mais dans le le fait de faire un acte répréhensible basé sur ce sentiment ou cette pensée.
Chacun est libre de penser continuer à penser ce qu'il veut de Dieudonné mais je tenais à exposer ce mensonge factuel de façon précise, sourcée et argumentée. Je ne saurais trop conseiller à ceux qui ne seraient pas encore convaincus de regarder tous ses spectacles dans l'ordre chronologique et de constater par eux même l'emploi qui est fait de la quenelle. Il serait vraiment intéressant d'analyser les causes de l'échec de cette propagande, et le triomphe d'internet sur la télévision, mais ce sera l'objet de ma prochaine tribune.
- Source : Agoravox
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mercredi, 29 janvier 2014
Crise ukrainienne : entretien avec Xavier Moreau
Crise ukrainienne : entretien avec Xavier Moreau
Les diplomaties américaine et allemande sont passées maîtresses dans l’art d’utiliser ces groupuscules (…)
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lundi, 27 janvier 2014
La politique énergétique européenne
Michel Gay
Ex: http://metamag.fr
Depuis 10 ans, la politique énergétique de l'Europe est un désastre qui continue à s'amplifier. La première directive européenne de 2003 concernant les énergies renouvelables, dites "vertes" a été à l’origine de toutes les dérives.
Alors que la France avait mené depuis le Général de Gaulle une politique indépendante, responsable, cohérente, la Commission Européenne a décidé en 2001 d’imposer à chaque pays des directives motivées par des a priori idéologiques et ne tenant pas compte des spécificités de chaque pays.
Cette première directive de 2003, fixant un objectif de 21% de la consommation intérieure brute à partir des sources d'énergies renouvelables en 2010, a été une imposture. Sous la pression de l’Allemagne, de lobbies écologistes anti-nucléaires, très influents à Bruxelles, et de la passivité inadmissible des négociateurs français, le nucléaire a été volontairement éliminé des énergies non émettrices de gaz à effet de serre (GES), alors que l’objectif de la directive était principalement la lutte contre le réchauffement climatique.
L’Europe a gravement failli en excluant le nucléaire des énergies non émettrices de GES et elle est responsable de dizaines de milliards d’euros engloutis en pure perte. La directive dite des 3 x 20, qui lui a succédé en 2008, a été appliquée dans notre pays par la loi de programmation du 3 août 2009 issue du Grenelle de l’environnement. Cette loi prévoit en particulier que la part des énergies renouvelables sera portée à 23% en 2020 dans la consommation d'énergie finale. Elle a été votée à la quasi unanimité des députés. Les conséquences économiques, environnementales et sociétales pour notre pays sont désastreuses.
Des dizaines de milliards d’euros ont été engloutis en pure perte dans les éoliennes et les panneaux photovoltaïques. L’investissement devra être renouvelé trois fois par rapport au nucléaire compte tenu de la durée de vie de ces installations qui est au maximum de 20 ans. Ceci entraîne une augmentation du coût de l’électricité à la charge des consommateurs, et notamment des plus pauvres. Et pendant 20 ans, EDF a une obligation d'achat de l’électricité à des prix exorbitants. Cela entraîne aussi un accroissement des émissions de CO2 dues à l’intermittence qu'il faut compenser par des centrales à gaz ou à charbon comme en Allemagne en ce moment.
De plus, la fabrication des modules solaires se fait en Chine et nous achetons nos éoliennes au Danemark, à l'Allemagne et à l'Espagne. L’objectif de 5 GWc d'énergie solaire prévu en 2020 par le Grenelle de l’environnement sera atteint fin 2013, soit 6 ans plus tôt. Il aura coûté en investissement plus de 30 milliards d’euros qu’il faudra renouveler trois fois sur 60 ans alors que l’énergie produite, à peine 1% de la production totale, pouvait être produite par un réacteur nucléaire de 600 MW ( le tiers de la production de Fessenheim qui comprend deux réacteurs de 900 MW) pour un investissement de moins de deux milliards, soit 7 fois moins. Les consommateurs et les contribuables paieront plus de 1,5 milliards par an et ceci pendant 20 ans, soit une augmentation de la facture annuelle d’électricité d’une cinquantaine d’euros!
La directive européenne des 3 x 20 concernant l’efficacité énergétique faisant référence à l’énergie primaire conduit à pénaliser le recours à l’électricité pour le chauffage au profit du gaz, ce qui est une aberration. Un des objectifs de la directive européenne concernant la libéralisation des marchés de l’électricité est de déstabiliser le leader européen et même mondial de l'électricité, EDF. Toute politique énergétique responsable, doit être basée sur les deux objectifs prioritaires suivants :
1) L’indépendance énergétique, c'est-à-dire dire la diminution du recours aux énergies fossiles importées,
2) Le coût le plus bas possible de l’énergie. Le commissaire européen (M. Oettinger) semble enfin découvrir ces objectifs avec 10 ans de retard.
L’Europe doit elle intervenir ? La question est posée du rôle de l’Europe dans la politique énergétique. Il n'est pas indispensable d’avoir recours aux technocrates de Bruxelles pour prendre des décisions de bon sens. Plus de 90 % de notre électricité est produite sans émissions de CO2 grâce au nucléaire et aux barrages. La réduction des gaz à effet de serre n’est donc pas un objectif prioritaire dans la politique énergétique de la France qui est un des pays les plus vertueux au monde dans ce domaine. Il faut rappeler que notre pays représente 65 millions d’habitants de la planète sur plus de 7 milliards d’habitants dont la plupart se désintéressent totalement du réchauffement climatique. Il en découle les principales propositions suivantes :
1) Garantir une part d’au moins 75% de nucléaire pour continuer à bénéficier d'une production massive d'électricité à bon marché.
2) Prolonger la durée de vie du parc actuel jusqu’à 60 ans si possible.
3) Préparer le recours dés 2050 aux réacteurs de la génération 4 en lançant le plus rapidement possible la construction du réacteur ASTRID (600 MWe) prévue à Marcoule et intensifier aussi la recherche sur le cycle Thorium - Uranium 233.
4) Accroître le recours à l’électricité en remplacement des matières fossiles (dans l’industrie, le chauffage, les transports par le développement des voitures électriques, les liaisons ferroute,...
5) Stopper de toute urgence les aides accordées aux énergies éoliennes et surtout au panneaux photovoltaïques dont les coûts pour la nation se chiffrent à plusieurs milliardsd’euros dépensés en pure perte. Ces subventions inutiles ont atteint 3,6 Mds€ en 2011, 4,33 Mds€ en 2012 et la Commission de régulation de l'énergie prévoit 5,1 Md€ en 2013.
6) Supprimer les obligations de rachat par EDF de l’électricité provenant de ces énergies à des prix scandaleusement élevés et dont le coût se répercute pendant 20 ans au niveau du consommateur et notamment des plus pauvres. Cette taxe qui va perdurer doit apparaître comme un impôt.
7) Modifier la norme aberrante RT 20124 qui pénalise le recours à l’électricité pour le chauffage au profit du gaz.
8) Mener une action incitative contre tous les gaspillages (y compris financiers dans certaines énergies renouvelables) par une politique de formation à l’école et d’information par les moyens audio visuels.
9) Poursuivre les actions décidées par la loi du 9 août 2009 concernant les rénovations thermiques des bâtiments et le transport.
10) Développer l‘utilisation de la biomasse pour la production électrique, le chauffage collectif, développer la filière du biogaz.
11) Supprimer ou modifier le principe de précaution, véritable frein à l’innovation et au progrès, que seuls l’Allemagne, la France et le Brésil ont inscrit dans leur constitution.
Dans le contexte actuel de mondialisation et de libéralisation de l’énergie imposé par l’Union européenne, il appartient à l’Etat, comme cela a été le cas pendant 60 ans, d’avoir la maîtrise de la politique énergétique du pays.
La politique européenne menée depuis plus de 10 ans, politique mise en oeuvre dans notre pays en 2012 avec le Grenelle de l’environnement, est une faute grave qui ne peut conduire qu'à un désastre encore plus grand pour la compétitivité de notre industrie, déjà si mal en point, et pour le niveau de vie des français. Il faut être conscient que les dégâts "acquis" par contrat devront être supportés par tous les français pendant prés de 20 ans.
Comme l’a écrit le 2 février 2012 le Président Giscard d'Estaing : "L'abandon de l'indépendance énergétique de la France serait plus qu'une faute, ce serait un crime".
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Deutsche Russen in Sibirien
Deutsche Russen in Sibirien
Ex: http://www.blauenarzisse.de
BN-Gespräch. Alexander Geier ist Vorsitzender des Deutsch-Russischen Hauses (DRH) im sibirischen Tomsk. Frank Marten sprach mit ihm über Geschichte, Gegenwart und Identität der Russlanddeutschen.
BlaueNarzisse.de: Herr Geier, spielen die deutschen Wurzeln bei den Russlanddeutschen heute überhaupt noch eine Rolle?
Diese Frage kann ich nicht eindeutig beantworten. Es gibt auf jeden Fall starke regionale Abweichungen. So hat sich die deutsche Sprache bei den Russlanddeutschen in Kasachstan wesentlich besser erhalten als bei den Russlanddeutschen in Sibirien. Die Gründe für diese Entwicklung kann ich jedoch selber nicht nennen. Ein positives Beispiel für Sibirien ist die Situation der Russlanddeutschen in Omsk. Denn bereits 1911 sind unter dem damaligen russischen Ministerpräsidenten Pjotr Stolypin (er stammte aus Dresden, Red.) zahlreiche Russlanddeutsche aus dem Wolgagebiet ausgewandert. Aus ökonomischen Gründen kamen sie in die Gegend um das sibirische Omsk.
Als was sehen sie sich? Als Russe, Deutscher oder als Synthese?
Diesbezüglich bin ich hin und hergerissen. Aufgrund meiner Erziehung und meiner Kindheit würde ich mich als Deutscher sehen. Obwohl meine Eltern in Russland lebten, genoss ich eine deutsche Erziehung. So las mir meine Großmutter stets deutsche Gedichte und Märchen vor.
Aber aufgrund meines Lebensschwerpunktes in Russland mit meinen vielen russischen Freunden bin ich auch Russe. Deshalb sind mir viele Deutsche bei meinen Besuchen in Deutschland fremd. Die Russlanddeutschen in Russland jedoch sehe ich als meine Landsmänner. Zusammenfassend kann ich sagen, dass ich mich als Deutscher, der in Russland lebt, fühle.
Was macht für sie eine spezifisch deutschrussische Kultur aus? Was unterscheidet sie von deutscher Kultur?
Die Basis für die Russlanddeutsche wurde vor mehr als 200 Jahren mit dem Erlass Katharina der Großen gelegt. So benutzen wir Russlanddeutsche Ausdrücke und Redewendungen, die heutzutage in Deutschland niemand mehr verwendet. Beispielsweise begrüßen sich einzelne Russlanddeutsche mit der Redewendung „Zeit bieten“. Wenn man in Deutschland sagt, „Das Leben geht vorbei“, sagen die Russlanddeutschen: „Nur der Buchel bleibt hinten“. Aufgrund dieser traditionellen Sprachweise sind auch die Handlungsweisen der Russlanddeutschen von traditionellen Intentionen geprägt.
Gibt es eine besondere „deutschrussische Mentalität”? Wie würden sie diese beschreiben?
Wie bereits erwähnt, sind die Russlanddeutschen traditioneller als die Deutschen in Deutschland. Der Vater wird stets als Patriarch der Familie wahrgenommen. Ich beispielsweise sieze meinen Vater, der nun mit meiner Mutter in Deutschland lebt. Die traditionelle Rollenverteilung innerhalb der Familie genießt bei den Russlanddeutschen immer noch einen hohen Stellenwert.
Ich kenne einen Mann, der russlanddeutsche Wurzeln hat, sich selbst jedoch als Angehöriger der russischen Ethnie sieht. Dieser zeichnet allerdings seit knapp 30 Jahren dreimal am Tag das Wetter auf und konnte den Projektteilnehmern die Wetterlage an einem bestimmten Tag vor sechs Jahren schildern. Dieses Beispiel zeigt, dass die meisten Russlanddeutschen aufgrund ihrer Liebe zur Ordnung und zur Sorgfalt im Herzen immer Deutsche geblieben sind.
Woher stammt Ihre Familie? Wie und wann kam diese nach Russland?
Meine Familie entstammt dem Dialekt nach aus dem Dreiländereck der heutigen Bundesländer Hessen, Rheinland-Pfalz und Baden-Württemberg. In das damalige Zarenreich ist die Familie nach dem Erlass Katharina der Großen ab 1763 übergesiedelt. Jedoch habe ich keine Angaben über den genauen Zeitpunkt.
Wie kamen Sie in das sibirische Tomsk?
Ich wuchs in Kasachstan auf und lebte dort bis zu meinem zwanzigsten Lebensjahr. Nach Sibirien ging ich in erster Linie aufgrund meines Studiums in Novosibirsk. Im Alter von 27 Jahren zog ich 1986 nach Tomsk. Sie war damals eine für Ausländer geschlossene Stadt.
Was machen Sie heute im DRH? Welche Aufgaben hat es?
Das DRH in Tomsk wurde 1993 gegründet und ist eine staatliche Institution. Wie der Name erahnen lässt, stehen bei uns die Russlanddeutschen im Fokus unserer Arbeit. Unser primäres Ziel ist die Erhaltung der russlanddeutschen Kultur und Sprache. In diesem Sinne führen wir viele Projekte durch, organisieren Sprachcamps und Austausche mit deutschen Schulen oder Institutionen. Im Mai 2013 tagte ein Deutsch-Russisches Managertreffen bei uns in Tomsk. Daneben bieten wir selbstverständlich Sprachkurse in Deutsch an und haben sogar eine Tanzgruppe.
Wie werden die Russlanddeutschen von der Mehrheit der Russen wahrgenommen? Gibt es Probleme?
Im modernen Russland gibt es glücklicherweise keine Probleme oder Vorurteile gegenüber uns Russlanddeutschen. Dies war zur Zeit der Sowjetunion anders. Ich durfte beispielsweise niemals in die DDR reisen. Für die Mehrheit der Russlanddeutschen wurden die Hürden für einen Auslandsaufenthalt erheblich erhöht.
Funktioniert heute die Zusammenarbeit mit staatlichen Agenturen und Behörden?
Da das DRH eine staatliche Institution ist, pflegen wir natürlich Kontakte und Beziehungen zu anderen Agenturen und Behörden. Aufgrund dessen ist das DRH dem Kulturdepartement von Novosibirsk unterstellt. Wir finanzieren uns aus dem Regionalfond des Oblast (Einheit für einen größeren Verwaltungsbezirk, Red.) Tomsk.
Gibt es eine Zusammenarbeit mit deutschen Behörden, Organisationen bzw. Verbänden der Russlanddeutschen?
Natürlich existiert eine Zusammenarbeit. Allein aufgrund der Vielzahl von Russlanddeutschen in Deutschland pflegen wir zahlreiche Kontakte zu den verschiedenen Verbänden der Russlanddeutschen. Des weiteren gibt es Kontakte zum Deutschen Akademischen Austauschdienst e. V. (DAAD), dem Goethe-Institut, der Robert-Bosch Stiftung und dem Deutschen Generalkonsulat in Novosibirsk.
Herr Geier, vielen Dank für das Gespräch!
Anm. der Red.: Mit der Geschichte der Russlanddeutschen hat sich Fabian Flecken hier beschäftigt.
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dimanche, 26 janvier 2014
Hoe een aanslag in Sochi het Midden Oosten in brand kan steken
Ex: http://xandernieuws.punt.nl
'Aanslag' bij het Olympisch Stadion in Sochi. Bedenk dat er tijdens de O.S. in Londen en het WK-Vrouwenvoetbal in Berlijn vergelijkbare plaatjes verschenen. Toen gebeurde er gelukkig niets.
Achter de berichten in de reguliere media over mogelijke aanslagen door islamitische terroristen op de Olympische Winterspelen in het Russische Sochi gaat een veel groter en belangrijker geopolitiek steekspel schuil, waarbij de kans dat dit plotseling uitmondt in een nieuwe, massale oorlog in het Midden Oosten veel groter is dan door de meeste mensen wordt gedacht.
'Echte' of 'false-flag' aanslag
Diverse inlichtingendiensten houden serieus rekening mee met een aanslag op de Olympische Winterspelen in Sochi. Dit zou zowel een 'echte' aanslag als een 'false-flag' aanslag kunnen zijn, waarbij het bewust de andere kant op kijken door de autoriteiten en daardoor terroristen vrij baan geven, ook als 'false-flag' kan worden aangemerkt.
Een aanslag tijdens Sochi hoeft niet eens van het kaliber '9/11' te zijn om te worden opgevat als een aanslag op de hele wereld, en niet enkel op Rusland. De gevolgen van zo'n aanslag zouden daarom minstens zo verstrekkend kunnen zijn als na 9/11, en in het slechtste geval zelfs kunnen uitlopen op een nieuwe Wereldoorlog.
De Russische president Vladimir Putin, die na de recente aanslagen in Volgograd woedend zwoer het islamitische terrorisme in zijn land totaal te vernietigen, zal een aanslag in Sochi kunnen aangrijpen om daar de onverkorte steun van het Russische volk voor te krijgen, en waarschijnlijk ook van veel andere landen.
Saudiërs dreigen impliciet met aanslagen
In de aanloop naar de Winterspelen gebeurde er iets heel belangrijks. Prins Bandar bin Sultan, de minister van Inlichtingen van Saudi Arabië, bezocht in augustus vorig jaar Putin, en gaf hem de boodschap dat zijn land weliswaar geen terreuraanvallen op Sochi zal steunen, maar dat de Saudi's wel in staat zijn om onder bepaalde voorwaarden de plannen van terroristen te stoppen.
Dit was niets anders dan indirecte chantage. De Saudi's zijn namelijk mordicus tegen de Russische steun voor de Syrische president Bashar Assad, en hoopten met het impliciete dreigement eventuele geplande terreuraanslagen op Sochi niet te zullen stoppen, Putin zover te krijgen zijn politieke en militaire steun voor Assad op te geven.
Aan de ene kant zal Putin bepaald niet blij zijn geweest met het Saudische dreigement. Aan de andere kant biedt het hem een uitstekende gelegenheid en een perfect alibi om een eventuele aanslag tijdens Sochi ten volle uit te buiten, om zo de strategische positie van Rusland in het Midden Oosten fors te versterken.
Arabische Lente door Westen gepland
Zoals we al vaak hebben schreven is Syrië van groot strategisch belang voor Rusland. Het Westen probeert onder leiding van president Obama het regime Assad ten val te brengen, zodat er net als destijds in Egypte een Moslim-Broederschapregering kan worden opgezet. De wereld heeft tegelijkertijd kunnen zien hoe de doelbewust door het Witte Huis veroorzaakte Arabische Lente diverse moslimlanden in chaos heeft gestort, iets dat Putin in Syrië ten koste van alles wil voorkomen, omdat hij dan een belangrijke bondgenoot kwijtraakt.
Dat de Arabische Lente geen spontane volksopstand was, maar ruim van tevoren door het Westen was gepland, bleek onder andere uit een gelekte email van 1300 woorden, die op 8 juni 2008 door de voormalige Britse ambassadeur in Libië aan premier Tony Blair werd verzonden. Hierin werd reeds het later uitgevoerde plan besproken om de Libische leider Muammar Gadaffi af te zetten, en te vervangen door een islamistisch marionettenregime.
Na het verwijderen en laten vermoorden van Gadaffi werd het Amerikaanse consulaat in Benghazi gebruikt als CIA-basis voor het doorsluizen van grote hoeveelheden wapens naar de Syrische rebellen. Dat was de reden dat de regering Obama weigerde toe te geven dat de aanval op het consulaat op 9/11/13, waarbij onder andere de Amerikaanse ambassadeur om het leven kwam, een terreuraanslag was, die hoogstwaarschijnlijk door de Russen werd gesteund.
Net geen Derde Wereldoorlog in september 2013
Wat eveneens niet in het nieuws kwam, was dat de wereld in september 2013 slechts op een haartje na aan de Derde Wereldoorlog is ontsnapt. Destijds hebben we uitgebreid bericht over de toen zeker lijkende Amerikaanse aanval op Syrië, en ook over de grote Russische vloot die naar het oosten van de Middellandse Zee werd gestuurd. Later bleek uit betrouwbare bronnen dat Putin zijn vloot tussen de Amerikaanse vloot en Syrië posteerde, en letterlijk dreigde alles wat op Syrië zou afvliegen neer te schieten. Hierop besloot Obama om de Amerikaanse vloot terug te trekken en de aanval af te blazen.
Daarnaast speelt ook de invloedrijke terreurgroep ISIS (Al-Qaeda op het Arabische Schiereiland) een steeds grotere rol. Putin weet dat ISIS door het Westen wordt gesteund, en nieuwe aanvallen op het regime van Assad voorbereidt. De VS laat dit doelbewust gebeuren en heeft bij monde van minister John Kerry aangekondigd niet militair te zullen optreden tegen ISIS.
Russisch ingrijpen in Midden Oosten?
Het Saudische dreigement aan het adres van Moskou kan daarom voor Putin een uitgelezen, misschien zelfs wel onweerstaanbare mogelijkheid zijn om in het geval van een aanslag de Saudiërs, en daardoor ook het Westen en specifiek Obama, de schuld te geven. Obama zal in de ogen van de wereld opnieuw zwak en besluiteloos overkomen, niet bereid om daadwerkelijk op te treden tegen islamitische terroristen.
Putin is een erkende meester in het inspelen op en uitbuiten van geopolitieke veranderingen, en zal bij een aanslag -'echt' of 'false-flag'- dan ook geen enkele moeite hebben zich te presenteren als de enige sterke wereldleider die bereid en in staat is het kwaadaardige islamisme te bestrijden. Het strategische overwicht dat Rusland door ingrijpen in het Midden Oosten zou kunnen bereiken, zou wel eens te aanlokkelijk kunnen zijn voor Putin om aan zich voorbij te laten gaan.
Hoe dat ingrijpen eruit zal zien, is giswerk. Komt er een Russische interventie in Syrië? Een aanval (al dan niet met of via Iran) op Saudi Arabië en/of Israël? Bij een eventuele escalatie in Syrië kan namelijk ook Israël betrokken raken, dat zoals bekend stilzwijgend met Saudi Arabië samenwerkt. Beide landen hebben namelijk het eveneens door Rusland gesteunde Iran, tevens bondgenoot van Assad, als aartsvijand.
Schaakspel Oost - West
Terrorisme is niets anders dan een tactiek die door alle belangrijke wereldspelers wordt aangewend, of dat nu door directe steun met wapens is, of indirect door terreurgroepen ongehinderd hun gang te laten gaan. Achter een eventuele aanslag in Sochi zal dan ook veel meer dan enkel een groepje islamistische fanatici zitten. Zij zullen slechts pionnen zijn in het geopolitieke schaakspel, dat Oost en West ook na de val van de communisme tegen elkaar zijn blijven spelen.
2014 buitengewoon kritiek
Een schaakspel, dat steeds gevaarlijker wordt. Mede gezien de spanningen in en rond Syrië, Iran, Libanon (Hezbollah), Egypte en Israël / de Palestijnen heeft het er namelijk veel van weg dat we in 2014 een buitengewoon kritieke fase ingaan. De kaarten in het Midden Oosten zullen mogelijk al binnenkort opnieuw worden geschud. Daarbij zal er niet veel voor nodig zijn om de huidige, toch al zeer ontvlambare situatie te laten exploderen in een grote regionale oorlog, die misschien wel een op een nieuwe Wereldoorlog kan uitlopen.
Xander
(1) Northeast Intelligence Network
Zie ook o.a.:
19-01: 'Putin dreigt met kernbom op Mekka'
18-01: Atlantische Raad:
Buitengewone crisis nodig om Nieuwe Wereld Orde te redden
12-01: Cauldron (1): Midden Oosten op rand van profetische explosie
2013:
26-11: Zwakke Obama brengt Derde Wereldoorlog dichterbij
14-09: Inlichtingen-insider: Mogelijk alsnog oorlog tegen Syrië door enorme false-flag aanslag
06-09: VS, Rusland en China bereid tot oorlog over Syrië om controle over gas en olie
06-09: Senator Graham waarschuwt voor aanslag met kernbom
31-08: 'Binnenkort mega false-flag om publiek van oorlog te overtuigen'
27-08: Inlichtingen insider: Derde Wereldoorlog begint in Syrië
21-06: DHS-insider (vervolg): Deze herfst chaos in VS en oorlog met Syrië
11-06: DHS-insider: Obama start totalitaire internetcensuur en wereldoorlog
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vendredi, 24 janvier 2014
La guerre civile froide ?...
La guerre civile froide ?...
par Jacques Sapir
Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com
Nous reproduisons ci-dessous un point de vue de Jacques Sapir, cueilli sur son blog RussEurope et consacré à l'ambiance d'avant-guerre civile qui règne en France en ce début d'année.
La guerre civile froide ?
Les dernières péripéties, pour ne pas dire les galipettes, de François Hollande ont eu tendance à masquer un instant le sérieux de la situation dans le pays en ce début d’année. Il est vrai que notre Président casqué se rendant à la nuit dans le lit de sa blonde rejoue, mais sur le mode dérisoire et un peu ridicule, les grands mythes de l’Antiquité. Le fait que ce lit soit dans un appartement d’une personne liée au gang de la Brise de Mer ajoute ici ce qu’il faut de sordide à la parodie. L’important n’est cependant pas là ; mais l’important existe bien.
On peut se demander si, en France, nous ne vivons pas actuellement les prémices d’une guerre civile. Cette question, en apparence absurde, mérite cependant d’être posée à la vue des événements que l’on a connus ces dernières années. Dans une note datant de l’automne 2012, j’évoquais la possibilité de la crise de légitimité du pouvoir. Nous y sommes désormais. L’année 2014 risque fort d’être marquée par une accumulation de mouvement sociaux dont la convergence mettrait directement en cause le pouvoir. Or, la crise de légitimité a ceci de particulier qu’elle pose directement la question non pas de la politique suivie, que l’on peut en fonction de ces opinions considérer comme bonne ou mauvaise, mais du fait que le pouvoir soit habilité à mener une politique. C’est pourquoi il faut s’attendre à ce que la contestation du pouvoir puisse prendre un tour violent dans le cours de cette année.
En fait, l’exercice du pouvoir, la Potestas, dépend de sa légitimité que lui confère l’Auctoritas. Ces notions, habituelles sous la plume des juristes d’inspiration chrétienne, ne sont pourtant nullement liées obligatoirement à cette sphère. On comprend bien, même intuitivement, la nécessité de séparer la capacité à exercer un pouvoir politique de la légitimité, ou de la justesse, qu’il y a à le faire. Il n’est donc pas nécessaire d’être chrétien, ni même de croire en Dieu, pour remarquer la pertinence de la distinction entre Auctoritas et Potestas.
Cette question est d’habitude passée sous silence, parce que nul ne conteste la légitimité du pouvoir, surtout d’un pouvoir issu d’institutions qui sont en théorie démocratiques. Mais, force et de constater que l’opposition au pouvoir, qu’elle vienne de la droite ou de la gauche, est désormais moins une opposition à ce que fait ce pouvoir qu’un opposition à sa capacité même à faire.
La violence politique, fille de l’illégitimité
La vie politique française est en effet marquée depuis quelques années par une incontestable montée du niveau des affrontements, qu’ils soient verbaux, symboliques, et parfois même physiques. Nous vivons, en réalité, l’équivalent des prémices d’une guerre civile « froide », qui menace à chaque instant de se réchauffer. L’ex-Président, Nicolas Sarkozy, en a fait l’expérience durant son mandat, et en particulier à partir de 2009-2010. Il fut l’objet d’attaques dont le caractère haineux ne fait aucun doute, et qui provenaient – ce fait est à noter – tant de la gauche, ce qui peut être compréhensible, que de la droite. On a mis ces attaques sur le compte du « style » imposé par ce Président, dont les dérapages verbaux et les outrances étaient légions, et qui tendait à ramener toute action, et donc tout mécontentement, à lui seul. Ce n’était pas pour rien que l’on parlait d’un « hyper-président », rejetant – au mépris de la constitution – son Premier ministre dans l’ombre. Cependant, l’élection de son successeur, François Hollande, se présentant comme un Président « normal », n’a rien changé à cette situation. On peut, par ailleurs, s’interroger sur le qualificatif de « normal » accolé à Président. La fonction présidentielle est tout sauf « normale ». Que le style de l’homme puisse se vouloir « modeste » est plausible, surtout après les outrances, et les Fouquet’s et Rolex de son prédécesseur. Mais il faut bien constater que rien n’y fit. L’opinion, jamais charmée par l’homme qui dès son élection n’a pas eu « d’état de grâce » comme les autres Présidents, s’en est rapidement détournée. Le voici au plus bas des sondages, voué aux gémonies sans avoir jamais été encensé. Tout est prétexte, à tort ou à raison, à reproches et critiques. Il se voit désormais contester par certains la possibilité même de gouverner. Comme son prédécesseur, il fait l’objet de critiques dévastatrices parfois même dans son propre camp politique qui vont bien au-delà de sa simple personne. Les mouvements sociaux, qui sont naturels dans un pays et dans une société qui sont naturellement divisés, prennent désormais des dimensions de plus en plus violentes et radicales. Après la « manif pour tous », voici les « bonnets rouges ».
On a dit, et ce n’est point faux, que la présence de la crise, la plus significative que le capitalisme ait connu depuis les années 1930, expliquait cette tension. Mais, même si cette crise est exemplaire, le pays en a connu d’autres depuis les années 1980. Il faudrait, pour retrouver ce même état de tension, revenir à la fin des années 1950 et à la guerre d’Algérie. Mais l’on sait, aussi, que la IVème République était devenue largement illégitime. De même, on explique souvent, et pas à tort, qu’Internet est devenu un lieu ambigu, entre espace privé et espace publique, qui est particulièrement propice à la libération d’une parole autrement et autrefois réprimée. Cette explication, même si elle contient sa part de vérité, ne tient pourtant pas face à la spécificité de la crise française. En effet, les effets d’Internet sont les mêmes dans tous les pays développés. Or, du point de vue de la violence politique, pour l’instant essentiellement symbolique, mais dont on pressent qu’elle pourrait se développer en une violence réelle, il y a bien une différence entre la France et ses voisins. Il faut donc aller chercher plus en amont les sources de cette radicalisation et surtout voir qu’au-delà de l’homme (ou des hommes) – aussi ridicule voire haïssable qu’il puisse être – elle touche à la fonction et au système politique dans son entier. Nous vivons, en réalité, une crise de légitimité.
Cette crise se manifeste dans le fait que l’on conteste non plus la politique menée, ce qui est normal en démocratie, mais l’exercice même de la politique tant par l’UMP que par le PS. Désormais la distinction, largement factice la plupart du temps, entre le pouvoir et le pays réel, devient une réalité. Cette opposition n’est pas sans rappeler celle entre « eux » et « nous » (Oni et Nachi) qui était de mise dans les régimes soviétiques lorsque le système a commencé à se bloquer. Toute personne qui a travaillé sur les dernières années du système soviétique, tant en URSS que dans les pays européens, ne peut qu’être sensible à cette comparaison. La perte de légitimité était, là, liée à la combinaison de problèmes économiques (la « stagnation ») et politiques, dont l’origine vient de l’écrasement du réformisme soviétique à Prague en août 1968.
En France, cette perte de légitimité du système politique et du pouvoir, dont nous voyons les effets se déployer de manière toujours plus désastreuse devant nos yeux, a une cause et un nom : le référendum de 2005 sur le projet de constitution européenne. Les référendums sur l’Europe ont toujours été des moments forts. Contrairement à celui sur le traité de Maastricht, où le « oui » ne l’avait emporté que d’une courte tête, le « non » fut largement majoritaire en 2005 avec 55% des suffrages. Pourtant, ce vote fut immédiatement bafoué lors du Traité de Lisbonne, signé en décembre 2007 et ratifié par le Congrès (l’union de l’Assemblée nationale et du Sénat) en février 2008. De ce déni de démocratie, qui ouvre symboliquement la Présidence de Nicolas Sarkozy, date le début de la dérive politique dont nous constatons maintenant la plénitude des effets. La démocratie dite « apaisée », dont Jacques Chirac et Lionel Jospin se voulaient être les hérauts, est morte. Nous sommes entrés, que nous en ayons conscience ou pas, dans une guerre civile « froide ».
La souveraineté, la légitimité et la légalité
Ce déni a réactivé un débat fondamental : celui qui porte sur les empiètements constants à la souveraineté de la Nation et par là à la réalité de l’État. Ces empiètements ne datent pas de 2005 ou de 2007 ; ils ont commencé dès le traité de Maastricht. Mais, le déni de démocratie qui a suivi le referendum de 2005 a rendu la population française plus réceptive à ces questions. Ceci est aussi dû à l’histoire politique particulière de notre pays. La construction de la France en État-Nation est un processus qui remonte en fait au tout début du XIIIème siècle, voire plus loin. On peut prendre comme événement fondateur la bataille de Bouvines (27 juillet 1214), qui a marqué le triomphe d’un roi « empereur en son royaume » face à ces ennemis, les trois plus puissants princes d’Europe (Othon IV de Brunswick, Jean Sans Terre et Ferrand de Portugal). La culture politique française a intégré ce fait, et identifie le peuple et son État. Plus précisément, le processus historique de construction de la souveraineté de la Nation française n’a été que l’autre face du processus de construction de la communauté politique (et non ethnique ou religieuse) qu’est le peuple français1 . À cet égard, il faut comprendre à la fois la nécessité d’une Histoire Nationale, fondatrice de légitimité pour tous les pays, et le glissement, voire la « trahison » de cette histoire en un roman national. Suivant les cas, et les auteurs, ce « roman », qui toujours trahit peu ou prou l’histoire, peut prendre la forme d’un mensonge (du fait des libertés prises par ignorance ou en connaissance de cause avec la réalité historique). Mais ce mensonge est nécessaire et parfois il est même salvateur en ceci qu’il construit des mythes qui sont eux-mêmes nécessaires au fonctionnement de la communauté politique. Toute communauté politique a besoin de mythes, mais la nature de ces derniers nous renseigne sur celle de cette communauté.
La souveraineté est indispensable à la constitution de la légitimité, et cette dernière nécessaire pour que la légalité ne soit pas le voile du droit sur l’oppression. De ce point de vue il y a un désaccord fondamental entre la vision engendrée par les institutions européennes d’une légalité se définissant par elle-même, sans référence avec la légitimité, et la vision traditionnelle qui fait de la légalité la fille de la légitimité. Cette vision des institutions européennes aboutit à la neutralisation de la question de la souveraineté. On comprend le mécanisme. Si le légal peut se dire juste par lui-même, sans qu’il y ait besoin d’une instance capable de produire le juste avant le légal, alors on peut se débarrasser de la souveraineté2. Mais, sauf à proclamer que le législateur est omniscient et parfaitement informé, comment prétendre que la loi sera toujours « juste » et adaptée ? Ceci est, par ailleurs le strict symétrique de la pensée néoclassique en économie qui a besoin, pour fonctionner et produire le néo-libéralisme, de la double hypothèse de l’omniscience et de la parfaite information3. La tentative de négation si ce n’est de la souveraineté du moins de sa possibilité d’exercice est un point constant des juristes de l’Union Européenne. Mais ceci produit des effets ravageurs dans le cas français.
La question de l’identité
Dès lors, une remise en cause de la souveraineté française prend la dimension d’une crise identitaire profonde mais largement implicite, pour une majorité de français. Dans cette crise, les agissements des groupuscules « identitaires » ne sont que l’écume des flots. Les radicalisations, qu’elles soient religieuses ou racistes, qui peuvent être le fait de certains de ces groupuscules, restent largement minoritaires. Les Français ne sont pas plus racistes (et plutôt moins en fait…) que leurs voisins, et nous restons un peuple très éloigné des dérives sectaires religieuses que l’on connaît, par exemple aux États-Unis.
Mais, le sentiment d’être attaqué dans l’identité politique de ce qui fait de nous des « Français » est un sentiment désormais largement partagé. La perte de légitimité de ceux qui exercent le pouvoir, qu’ils soient de droite ou de gauche, peut se lire comme un effet direct de l’affaiblissement de l’État qui découle de la perte d’une partie de sa souveraineté. On mesure alors très bien ce que la légitimité doit à la souveraineté. Non que l’illégitimité soit toujours liée à la perte de souveraineté. Des pouvoirs souverains peuvent s’avérer illégitimes. Mais parce qu’un pouvoir ayant perdu sa souveraineté est toujours illégitime. Or, la légitimité commande la légalité. On voit ici précisément l’impasse du légalisme comme doctrine. Pour que toute mesure prise, dans le cadre des lois et des décrets, puisse être considérée comme « juste » à priori, il faudrait supposer que les législateurs sont à la fois parfaits (ils ne commettent pas d’erreurs) et omniscients (ils ont une connaissance qui est parfaite du futur). On mesure immédiatement l’impossibilité de ces hypothèses.
Pourtant, considérer que le « juste » fonde le « légal » impose que ce « légal » ne puisse se définir de manière autoréférentielle. Tel a d’ailleurs été le jugement de la cour constitutionnelle allemande, qui a été très clair dans son arrêt du 30 juin 2009. Dans ce dernier, constatant l’inexistence d’un « peuple européen », la cour arrêtait que le droit national primait, en dernière instance, sur le droit communautaire sur les questions budgétaires. Il est important de comprendre que, pour la cour de Karlsruhe, l’UE reste une organisation internationale dont l’ordre est dérivé, car les États demeurent les maîtres des traités4, étant les seuls à avoir un réel fondement démocratique. Or, les États sont aujourd’hui, et pour longtemps encore, des États-Nations. C’est la souveraineté qu’ils ont acquise qui leur donne ce pouvoir de « dire le juste ». Bien sûr, un État souverain peut être « injuste », ou en d’autres termes illégitime. Mais un État qui ne serait plus pleinement souverain ne peut produire le « juste ». De ce point de vue, la souveraineté fonde la légitimité même si cette dernière ne s’y réduit pas.
Ceci permet de comprendre pourquoi il faudra revenir sur ces trois notions, Souveraineté, Légitimité et Légalité, à la fois du point de vue de leurs conséquences sur la société mais aussi de leur hiérarchisation. Ces trois notions permettent de penser un Ordre Démocratique, qui s’oppose à la fois à l’ordre centralisé des sociétés autoritaires et à l’ordre spontané de la société de marché. Il peut d’ailleurs y avoir une hybridation entre des deux ordres, quand l’ordre planifié vient organiser de manière coercitive et non démocratique le cadre dans lequel l’ordre spontané va ensuite jouer. C’est d’ailleurs très souvent le cas dans la construction de l’Union européenne dont la légalité est de plus en plus autoréférentielle. La notion d’Ordre Démocratique assise sur la hiérarchisation des Souveraineté, Légitimité et Légalité aboutit à une critique profonde et radicale des institutions européennes. Mais le problème ne s’arrête pas là. En effet, il nous faut aussi penser ces trois notions hors de toute transcendance et de toute aporie religieuse, car la société française, comme toutes les sociétés modernes, est une société hétérogène du point de vue des croyances religieuses et des valeurs. C’est pourquoi, d’ailleurs, la « chose commune », la Res Publica, est profondément liée à l’idée de laïcité, comprise non comme persécution du fait religieux mais comme cantonnement de ce dernier à la sphère privée. Voici qui permet de remettre à sa juste place le débat sur la laïcité. Cela veut aussi dire que la séparation entre sphère privée et sphère publique doit être perçue comme constitutive de la démocratie, et indique tous les dangers qu’il y a à vouloir faire disparaître cette séparation. Mais, parce qu’il a renié les principes de cette dernière, parce qu’il vit en réalité dans l’idéologie du post-démocratique, notre Président est bien le dernier qui ait le droit de s’en offusquer.
Jacques Sapir (RussEurope, 12 janvier 2014)
Notes :
- On se reportera ici au livre de Claude Gauvart, Histoire Personnelle de la France – Volume 2 Le temps des Capétiens, PUF, Paris, 2013. [↩]
- Maccormick, Neil, Questioning Sovereignty, Oxford, Oxford University Press, 1999 [↩]
- Sapir, Jacques, Les trous noirs de la science économique, Paris, Albin Michel, 2000. [↩]
- M-L Basilien-Gainche, L’Allemagne et l’Europe. Remarques sur la décision de la Cour Constitutionnelle fédérale relative au Traité de Lisbonne, CERI-CNRS, novembre 2009, http://www.sciencespo.fr/ceri/sites/sciencespo.fr.ceri/fi... [↩]
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La France redécouvre la répression
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Protest in Kiev, gerechtvaardigd of is er meer aan de hand ?
Protest in Kiev, gerechtvaardigd of is er meer aan de hand ?
Inleiding
Op 21 november 2013 kondigde de Oekraïense president Janoekovitsj aan dat hij het Associatieverdrag met de Europese Unie niet zou ondertekenen. Kort daarna begon de heibel op het Kiëvse Onafhankelijkheidsplein oftewel Maydan. De Westerse media berichtten over tienduizenden boze Oekraïners die de straat opkwamen om te protesteren tegen de president. Deze laatste werd door de manifestanten beschouwd als een 'verrader' die de 'Europese droom' van de Oekraïners had stuk geslagen.
De versie die de Westerse media over de rellen in Kiëv verkondigt, ligt wel eventjes anders.
Foto : zware rellen met pro-EU betogers in Kiev
De inhoud van het Associatieverdrag
In sommige Oekraïense media werd het Associatieverdrag zodanig voorgesteld alsof Oekraïne al dan niet onmiddellijk lid zou worden van de EU. Daar was tot heden helemaal geen sprake van. Zelfs in een verre toekomst zou een volwaardig lidmaatschap onmogelijk blijven. De kansen op effectieve toetreding tot de EU van Turkije liggen veel hoger dan die van Oekraïne. Met de Turken werd wel al over effectieve toetreding gepraat.
Na het ondertekenen van het Associatieverdrag met de EU blijft de vroegere visumregeling tussen beide partijen geldig. Dit wil zeggen dat de Oekraïners, net zoals Russen en andere door de EU ongewensten voor een bezoek of verblijf binnen de EU, moeten blijven voldoen aan de huidige visumverplichtingen. EU-burgers mogen zonder visum dan wel Oekraïne binnen. De massa van Maydan denkt ten onrechte dat ze na het ondertekenen van het Associatieverdrag visumvrij verkeer zullen krijgen binnen de EU.
Het is wel zo dat de Europese markt geopend zou worden voor de Oekraïnse goederen. Maar er is meer wat men niet vertelt. Alle goederen zullen moeten voldoen aan de voorwaarden opgelegd door de EU. Het spreekt vanzelf dat dit de doodsteek wordt voor de kleine Oekraïense boer en Oekraïense tuinders maar ook voor zowat de gehele Oekraïense industrie.
Niet enkel het eindproduct maar ook het hele productieproces van alle geproduceerde goederen – van de komkommer tot de elektronica – moet aangepast worden aan de Europese normen. Zelfs de spoorwegen zullen moeten heraangelegd worden. We spreken hier over toch wel 30.000 kilometer spoorlijnen.
Foto : Oekraïens president Viktor Yanoekovitsj en Russisch president Vladimir Poetin in Moskou.
De totale kost van alle noodzakelijke aanpassingen wordt geschat op 160 miljard dollar. Dit zou moeten gebeuren binnen een termijn die vastgesteld wordt op maximaal 4 jaar. Voor de Oekraïense begroting betekent dit een niet te dragen last. De EU voorziet geen compensaties zoals de Baltische landen en Polen vroeger wel verkregen, en zoals Bulgarije en Roemenië heden wel krijgen.
Het ondertekenen van het Associatieverdrag betekent ondanks het feit dat men niet kan spreken over toetreding tot de EU een totaal verlies van de soevereiniteit van Oekraïne. Het plan voorziet de vorming van een 'Raad van bestuur' met de vertegenwoordigers van de EU en Oekraïne waar de Oekraïners in de minderheid zullen vertoeven en zonder vetorecht. De EU kan aldus alles opleggen wat het wil. De Oekraïners hebben zelfs het recht niet om 'nee' te zeggen.
Rusland en Oekraïne vandaag
Tot op heden geniet Oekraïne van een economisch zeer gunstige voorkeursbehandeling met Rusland. Er zijn nauwelijks invoertaxen en grenscontroles. De ingevoerde goederen ondergaan geen pestcontroles. Tot 40 procent van de Oekraïense productie vindt zijn weg naar Rusland en andere landen van de Douane Unie (een Euraziatische economische Unie bestaande uit Rusland, Wit-Rusland en Kazachtstan waar de soevereiniteit van de landen voor 100% wordt gerespecteerd).
Indien Oekraïne zou toetreden tot het statuut van vazal of nog erger kolonie van de EU, dan is Rusland verplicht de grenzen met Oekraïne te sluiten. Dit zal moeten gebeuren ter bescherming van de Russische interne markt tegen de invoer van goedkope overgesubsidiëerde Europese producten zoals melk. Volgens het associatieverdrag met de EU wordt Oekraïne verplicht de hele markt open te stellen voor alle goederen en producten die zich binnen de EU bevinden.
Een voorbeeld. Overgesubsidiëerde Europese landbouwproducten kosten de helft van dezelfde producten geproduceerd in Rusland. Oekraïne wordt zo een transitland voor goedkope Europese producten richting Rusland omdat Oekraïne in het EU-scenario zowel open grenzen met de EU als met Rusland zal hebben. Dit gaat ten koste van de eigen Russische boeren.
Het verdrag, de NAVO en Rusland
Het ondertekenen van het Associatieverdrag houdt ook in dat Oekraïne verplicht wordt om overal ter wereld aan NAVO-missies deel te nemen. Er bestaat zelfs een clausule om in Oekraïne NAVO-basissen op te richten. Een basis in Kharkov (helemaal ten oosten van Oekraïne, aan de huidige Russische grens) stelt de NAVO-luchtmacht in staat om Moskou binnen de 15 minuten te bereiken. Slechte ervaringen met de NAVO hebben reeds aangetoond dat men niet naïef mag zijn. De NAVO is geen defentiepact. De NAVO valt zonder probleem aan. Dit zagen we o.a. in Servië en in Libië.
Rusland is niet blind, niet doof en niet dom. De Russen beseffen het grote gevaar van een NAVO-basis in de achtertuin. Om geopolitieke en aldus ook om militaire redenen kan zo'n verdrag niet ondertekend worden. Dit verdrag zou op termijn en zware bedreiging vormen voor Rusland met een terechte tegenaanval tot gevolg.
Ieder welgevormd geopolitieker weet dat de EU het Europese verlengstuk is van de NAVO. De meeste EU-landen zijn effectief lid van de NAVO. Het verschil tussen de EU-NAVO en Rusland vindt men terug in een uitspraak van president Poetin : 'Amerikanen hebben geen bondgenoten nodig. Zij willen enkel vazallen. Rusland gaat zo niet te werk'. Wie de Russische buitenlandse politiek kent, weet dat dit klopt.
In deze zaak handelt Rusland als een soeverein land dat uiteraard de belangen van het eigen volk behartigd. Rusland wil ten alle prijze de veiligheid van haar grenzen verzekeren.
Foto : betogers verwelkomen de Russische Zwarte Zeevloot (Sevastopol, Krim)
De Krim maakt heden deel uit van Oekraïne hoewel de Krim historisch steeds Russisch was. De Krim is een cadeautje van Chroetsjov in de jaren '50. Hij schonk de Krim aan een toenmalige Oekraïense leider. Ze dachten toen in termen van het eeuwig bestaan van de Sovjet-Unie. In welke Sovjet-republiek de Krim lag, was toen van geen belang. Na de val van de Sovjet-Unie in 1991 lag de Krim plots in het buitenland. Daar bevond zich toen al een deel van de Russische Vloot. Volgens aangegane verdragen mag de Russische Vloot daar tot in 2017 verblijven op voorwaarde dat er niets maar dan ook niets wordt vernieuwd en gemoderniseerd.
In een Oekraïne als vazal van de NAVO en als kolonie van de EU is in Amerikaanse ogen geen plaats voor de Russische Vloot. Dan wordt deze vervangen door een Amerikaanse vloot. Daarmee krijgen de VS totale controle over de Zwarte Zee. De ultieme Angelsaxische droom van totale omsingeling en opsluiting van Rusland wordt dan werkelijkheid.
Oekraïnekreeg recent een lening van 15 miljard dollar van Rusland. Terug te betalen in stukjes, als het al zover komt. Rusland weet dat de kans groot is dat ze het geld nooit meer terug zien maar dit is ingecalculeerd. Het geld komt in stukjes en brokjes naar Oekraïne want Rusland is niet van gisteren. Bij een pro-westerse machtsovername (putch) stopt de geldkraan.
Oekraïne krijgt nu goedkoop gas uit Rusland. Het contract zit uitgekiend in elkaar. Rusland levert gas aan een normale prijs, de prijs van de wereldmarkt. Maar Rusland heeft voor Oekraïne een clausule met korting toegevoegd waardoor de Oekraïners zeer goedkoop hun huizen kunnen verwarmen. Dit is zeer leuk gedaan door de Russen. Maar er is nog iets. De contracten gelden enkel maar voor drie maanden. Bij een pro-westerse machtsovername (putch) stopt de aanvoer van goedkoop Russisch gas. Het wordt voor de Oekraïners zeer leuk indien ze er aan denken om een spelletje Russen pesten te spelen. Laat ons voor hen hopen dat ze in dat geval goed tegen de kou kunnen.
Foto : betogers tegen NAVO-aanwezigheid in Oekraïne
Leugens rond de protesten
Alle nadelen die het associatieverdrag tussen de EU en Oekraïne met zich meebrengen zoals de kolonisatie van hun land en verlies van zowat alle rechten die een soeverein land bezit, het vernietigen van hun industrie, het vernietigen van het zeker niet slecht sociaal stelsel, worden door de Westerse media en door de betogers verzwegen. Van een leugen meer of minder valt men daar in Kiëv niet meer om.
Het aantal betogers wordt zoals tijdens elke 'revolutie' zwaar overdreven. Er zijn er wel vele maar niet zoveel als de media beweren.
Indien men uitgaat van dagelijks 10.000 betogers en men telt de nodige onkosten die de betogingen met zich meebrengen, zoals voedsel, drank, WC-hokjes, hout voor het vuur, enzovoort, dan worden de onkosten door specialisten berekend op 700.000 dollar per dag. Wie betaalt dit ? Dan spreken we nog niet over de dagvergoedingen die de betogers krijgen. Het kan goed zijn dat niet iedereen geld krijgt om daar in de kou te staan, maar er zijn verschillende bronnen zoals aanwervende websites, waar de betaalde geldsommen staan afgedrukt. Deze websites spreken over het ontvangen een Oekraïens maandloon in ruil voor een week betogen.
Foto : Betogers zwaar betaald om rel te schoppen ?
Rusland blijft opvallend afwezig op het Onafhankelijksheidsplein. Wat doen Victoria Nuland (secretaris assistent voor Europese en Eurazische Zaken (Assistant Secretary of State for European and Eurasian Affairs), John McCain (VS-senator), Michail Saakasjvili (voormalig Georgisch president en opgeleid in de VS), Marko Ivcovic (aanvoerder van de Servische pro-Amerikaanse Bulldozer Revolutie), en liberalen zoals Bart Somers in Kiëv ? Is dat geen rechtstreekse inmenging ? Deze heerschappen maken de Oekraïense 'oppositie' toch wel heel onaantrekkelijk.
Foto : VS-senator John McCain steunt de pro-westerse oppositie. De sponsors worden duidelijk.Rond McCain de verenigde 'oppositie', van liberaal tot uiterst-rechts.
Foto : Marko Ivcovic (aanvoerder van de Servische pro-Amerikaanse Bulldozer Revolutie) in Servië in 2000, nu in Kiev. Dezelfde tactiek : bulldozers.
Niemand spreekt over de 'gevoelens' van de bewoners van Oost-Oekraïne. In het oosten van het land is de haat tegen de betogers zwaar aan het toenemen. Daar is men niet gediend met de schorriemorrie dat Kiev onveilig maakt.
Laatste berichten tonen aan de (betaalde) opstandelingen over zullen gaan tot zeer zwaar geweld om de Berkoet (de elitetroepen van het leger, de Oekraïnse versie van de Spetznas) te dwingen te schieten. En dan is het hek helemaal van de dam.
Foto: betogers provoceren politie met als doel geweld van de ordediensten uit te lokken
Besluit :
Dat een land oppositie heeft die de regering controleert en lastige vragen stelt, is heel normaal voor een democratie. Ware Oekraïense oppositie zou voor niemand een moreel probleem kunnen vormen. Oppositie is een normaal gegeven in een ware democratie.
Elke regering maakt fouten. Ook de Oekraïense regering. Elke regering, elke politieke bestuursvorm heeft te maken met corruptie. Een goede regering tracht de corruptie en andere misbruiken zoveel mogelijk tegen te gaan. Tot daar kan men volgen.
Oekraïne ondergaat wat andere landen ook ondergingen. Amerikaanse sponsors manipuleren de oppositie om zo een vazallenregering in het zadel te krijgen. Dit was zo in Georgië, In Oekraïne voor Janoekovitsj, in Servië vlak na Milojevitsj, in in Irak, Libië, … . In sommige landen hebben de kiezers gemerkt dat de Amerikaanse kwaal erger was dan de situatie ervoor waardoor men opnieuw voor het oude onafhankelijke regime koos (Georgië, Servië, Oekraïne).
De oppositie bestaat uit een vreemd allegaartje van rariteiten. Men vindt er liberalen samen met ultra-nationalisten en zelfs neonazi's. De meeste van de neonazi's zouden ten tijde van het Derde Rijk zelf in een kamp verzeild geraken wegens slecht gedrag. Deze neonazi's zouden in het systeem waar ze voor staan absoluut niet kunnen handelen zoals ze nu in Oekraïne doen.
Het valt op dat deze ultra's zich zo goed kunnen vinden met EU-symbolen en Amerikaanse vlaggen en persoonlijkheden. We weten uit ervaring dat na de revolutie, indien die door hen zou gewonnen worden, de liberalen het zaakje overnemen waarop de ultra's voor de bewezen diensten bedankt zullen worden met een schop onder de kont. Heibel met garantie, noemt zoiets.
Foto: uiterst-rechtse betoger provoceert politie met als doel geweld van de ordediensten uit te lokken
Een Tweede Oranjerevolutie is voor Oekraïne en voor heel Europa geen goede zaak. Geopolitieke aardverschuivingen zullen volgen. Oekraïne lijkt een beetje op België maar dan met een verticale scheidslijn. Oost-Oekraïne is het economisch rendabele deel. Daar ligt ook de Krim. Oost-Oekraïne bezit de meeste grondstoffen van het land. West-Oekraïne, met het russofobe Lvov als centrum, is een deel van het historische Galicië. Galicia is heden een arme streek. Bij een nieuwe pro-Amerikaanse en pro-EU regering zal Oost-Oekraïne zich afscheuren. Er circuleren nu al namen voor dit nieuw land op het net : Novo-Rossiya (Nieuw-Rusland).
De grote winnaar is hoe dan ook Rusland want ofwel blijft heel Oekraïne een vriend van Rusland ofwel Oost-Oekraïne. En dan zou Galicië wel eens aan de EU kunnen hangen. In dat geval heeft de EU er een zeer arme regio bij die opnieuw tonnen geld zal verslinden.
Foto : één van de vele pro-Russische betogingen in Oost-Oekraïne
Oekraïne is het natuurlijke zusterland van Rusland. In de Kiev-Rus begon de geschiedenis van het latere Rusland. Kiev hoort bij Rusland net zoals Kosovo bij Servië hoort en West-Vlaanderen bij Vlaanderen. Het slecht geregelde separatisme van 1991, gebaseerd op grenzen die eigenlijk historisch nooit bestonden, leidt nu naar situaties die onbegrijpelijk zijn. Solzjenitsin sprak over de historische samenhang van Groot-Rusland (Rusland), Klein-Rusland (Oekraïne) en Wit-Rusland. Het is erg om vast te stellen dat broedervolkeren elkaar de das trachten om te doen onder vreemd bevel. Zonder Amerikaanse inmenging was het nooit zo ver gekomen.
Kris Roman, Voorzitter Euro-Rus
Svetlana Astashkina, Medewerker Euro-Rus
Foto : kaart hoe Nieuw-Rusland (onafhankelijk Oost-Oekraïne) er zou kunnen uitzien
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De Carla Bruni à Julie Gayet: les starlettes présidentielles
De Carla Bruni à Julie Gayet: les starlettes présidentielles
par Guillaume Faye
Ex: http://www.gfaye.com
Actrice de catérorie B, mignonne, sympa, et au talent moyen, (rien à voir avec les Adjani, Deneuve, Huppert…), la starlette Julie Gayet, qui n’est d’ailleurs plus toute jeune, a réussi un coup de com magistral pour booster sa carrière : s’afficher comme la maitresse de Flamby, surnom irrévérencieux attribué à M. François Hollande. Devenir la maîtresse d’un homme en vue, surtout s’il est président de la République, voilà qui permet de compenser, par la médiatisation, un talent improbable.
Mais ce qui est intéressant, c’est le parallèle à faire avec M. Sarkozy, l’ennemi juré de M. Hollande. Comme si ce dernier suivait, par une sorte de fatalité tragi-comique, le parcours de son prédécesseur détesté et possible challenger à la prochaine élection présidentielle. Tel un vaudeville qui se répète. Carla Bruni, elle non plus, n’était pas au top niveau de la chansonnette ; mais, mannequin ayant atteint la limite d’âge, elle a réussi à se refaire une santé par l’effet marketing de son mariage avec le président de la République. Calcul réussi : ses prestations ”musicales” et ”artistiques”, qui seraient passées inaperçues si elle avait épousé mon libraire – ou qui n’auraient probablement pas eu lieu – ont recueilli un certain succès. Le marketing est plus fort que le talent et ça ne date pas d’aujourd’hui.
Ces deux charmantes quadras, qui appartiennent à la gamme moyenne/basse du showbiz (comme une Renault Clio par rapport à une Aston Martin Vanquish) ont, avec une certaine intelligence, tenté de grimper dans la gamme supérieure en devenant la favorite du chef de l’État. Bien joué. On verra si ça marche, si Julie Gayet obtient des rôles phare et si Carla Bruni se hisse au niveau de Barbara. Peu probable, mais sait-on jamais ? La médiocrité est parfois compensée par la notoriété.
Celle qui a mal joué son coup, c’est la journaliste moyenne gamme Valérie Massonneau, épouse Trierweiler, qui s’est carbonisée en envoyant son tweet pour soutenir un opposant électoral de Ségolène Royal, par un réflexe de jalousie, gaffe impayable dont elle doit évidemment se mordre les doigts. Valérie, par rapport à Julie et à Carla n’a pas été une bonne courtisane, parce qu’elle a laissé apparaître, par naïveté, son ambition sans les fards nécessaires. Elle n’a sans doute jamais lu Saint Simon et sa chronique du Grand Siècle où le duc explique qu’une courtisane doit cultiver l’impassibilité.
On pourrait comparer, en effet, ces dames aux Pompadour et Du Barry. Mais ça n’a rien à voir. Les maîtresses des rois avaient, comme leur royal amant, du panache. En revanche, les histoires à rebondissement, et parfaitement similaires, des deux PR successifs Sarkozy et Hollande, avec leurs nanas ont un côté petit-bourgeois horriblement banal et vulgaire. Le pire, c’est M. Hollande, avec son casque et son scooter qui va en catimini voir sa chérie. Qui délaisse son épouse pour une première maîtresse et puis largue cette dernière pour une nouvelle courtisane plus jeune et ce, sans savoir gérer la confidentialité de sa vie privée. « Pauvre petit bonhomme ! » comme l’écrit méchamment un grand quotidien américain. L’incapacité totale des services de protection, incapables de repérer un paparazzi et a fortiori un tueur n’a pas tellement d’importance (1).
Ce qui est plus grave, c’est la dévalorisation symbolique du chef de l’État, commencée par M. Sarkozy et aggravée par M. Hollande, dégradant l’un comme l’autre la fonction souveraine. Ce bal des courtisanes, femmes, demi-épouses, maîtresses, étalé sur la place publique est non seulement la risée des médias internationaux mais un très mauvais signal envoyé aux Français.
Bien sûr, il faut respecter l’intimité et la sincérité de chacun, amoureuses, sexuelles et conjugales. Mais quand on est élu chef de l’État français, on n’est plus un citoyen comme les autres. La notion de ”vie privée” n’est plus pertinente. Ou alors, il faut choisir un autre métier. Ni M. Sarkozy ni M. Hollande, dont la ressemblance est au fond assez étonnante, n’ont vraiment compris ce que signifiait être président de la République française. Les courtisanes, elles, l’ont bien compris.
Note:
(1) On ne voit pas très bien qui pourrait vouloir attenter à M. Hollande. Sa vacuité politique est sa meilleure protection. Ce qui explique le relâchement des services de sécurité.
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jeudi, 23 janvier 2014
Francotiradores no identificados disparan contra manifestantes en Kiev
Ex: http://www.elespiadigital.com/
Manifestantes han muerto en el centro de Kiev por heridas de bala, según han informado varios medios locales, aunque la policía ucraniana negó que haya empleado armas de fuego en los enfrentamientos que prosiguen desde el domingo pasado. La agencia Liga.Novosti informó -citando a la oposición- que las personas resultaron muertas por disparos de francotiradores ocultos en la calle Grushevski, junto a la sede del Gobierno y escenario de los últimos enfrentamientos. El portavoz del Ministerio del Interior, Serguei Burlakov, ha asegurado que no se puede responsabilizar a la Policía por la muerte de los manifestantes dado que no portan armas de fuego.
La “oposición” de Ucrania amenazó con "atacar" si no se cumplían sus exigencias
Líderes de la oposición ucraniana amenazaron con "pasar a la ofensiva" si el presidente Víktor Yanukóvich no cumple con sus exigencias. "Si el presidente no responde mañana, vamos a pasar a la ofensiva", declaró uno de los líderes opositores, el exboxeador ultra Vitali Klitschko. La violencia la tenían planificada…
Además, el que se ha convertido en una de las cabezas visibles más populares de la oposición instó a los manifestantes a quedarse en el centro de Kiev, defender la plaza de la Independencia (Maidán) y prepararse para una ofensiva policial en su contra.
Otro político opositor ucraniano, Arseni Yatsenyuk, dio a Yanukóvich un ultimátum de 24 horas para responder a sus peticiones.
Una ola de violencia provocada por una nueva “red Gladio” que agrupa a unos dos mil agitadores
Las protestas que sacuden Ucrania desde el pasado noviembre entraron en una fase violenta. El Parlamento endureció las sanciones antidisturbios, mientras que los enfrentamientos entre los manifestantes y la Policía se han cobrado víctimas mortales.
La noche del miércoles un grupo de desconocidos tomó el control de un edifico en la céntrica calle Kreschátik de la capital ucraniana, en el que se encuentra una oficina del canal de televisión municipal Kiev, informó el servicio de prensa del ayuntamiento citando a varios empleados de la cadena.
El número de heridos entre los agentes de seguridad durante los disturbios en Kiev ascendió a 218, según informó la página web del Ministerio del Interior de Ucrania. 99 de ellos tuvieron que ser hospitalizados con lesiones, fracturas, quemaduras, heridas de arma blanca o envenenamiento con sustancias desconocidas.
Los manifestantes construyeron una segunda línea de barricadas en la calle de Grushevski, cerca del hotel Dnepr. Mientras tanto, los neumáticos en llamas bloquean la misma calle en el tramo cercano al estadio del Dinamo de Kiev.
Los dos hombres que habían sido considerados muertos en la calle de Grushevski recibieron heridas de balas: una de calibre 7,62 milímetros de un rifle de francotirador Degtiariov, y otra de calibre 9 milímetros, presumiblemente de una pistola Makárov, informa la cadena Expreso.
Un hombre de 22 años que anteriormente fue declarado muerto por la oposición está vivo, informan los médicos de un hospital de la capital ucraniana. El joven se cayó desde lo alto de la columnata de 13 metros de altura que se encuentra próxima al estadio del Dinamo de Kiev.
La céntrica calle de Grushevski está cubierta de humo negro procedente de la quema de los neumáticos que los manifestantes han traído de todo Kiev. Según la agencia Unian, su objetivo es crear una cortina de humo que dificulte el asalto policial de Maidán, donde se concentran 2.000 personas.
Desalojos, secuestros y agresiones a la población civil por parte de los “manifestantes”
Un vehículo blindado de las fuerzas especiales desmanteló las barricadas de los violentos. Las autoridades de Kiev pidieron a quienes trabajen en el centro urbano que abandonen sus oficinas a las 16:00 (hora local).
Los manifestantes de Maidán se arman con mazas metálicas de fabricación casera. Los agentes de seguridad han encontrado casi 100 mazas en el edificio de la administración capitalina, que los protestantes tomaron durante cierto periodo de tiempo grupos ultras.
"En todos los disturbios en Kiev participan los mismos grupos radicales", afirma un comunicado del Ministerio del Interior ucraniano.
La Fiscalía General de Ucrania denuncia el secuestro de más de 50 personas durante la noche. Según revelan los testigos, los golpearon y llevaron a una dirección desconocida. Según la explicación ofrecida por los fiscales, estos hechos evidencian el crecimiento de la violencia por parte de los integrantes de las agrupaciones extremistas y otras respecto a las fuerzas del orden y la población civil.
La Policía de Kiev empezó a retirar las barricadas en el centro de la capital de Ucrania. A su vez, los manifestantes comenzaron a lanzar piedras y cócteles molotov contra los agentes, obligándoles a retirarse, aunque luego respondieron a los ataques con granadas aturdidoras. Posteriormente, las fuerzas especiales reanudaron el proceso de desmantelamiento.
El primer ministro de Ucrania, Nikolái Azárov, dijo a una cadena de televisión rusa que la información sobre el número de participantes de las protestas antigubernamentales ha sido exagerada por los medios. Por otro lado, la participación en el mitin de los detractores de la integración en la UE está minusvalorada. En el denominado 'Euromaidán', afirmó, "se han reunido tres provincias", mientras que "en el otro Maidán [conocido en la prensa local como 'Antimaidán'] está representada toda Ucrania".
Tres de los hospitalizados en Kiev han perdido un ojo en los enfrentamientos callejeros. A otro se le amputó una mano a consecuencia del traumatismo recibido. Los manifestantes usan palos con punta metálica que repartieron entre ellos los organizadores de la protesta.
"Esas varas son una arma blanca peligrosa que ellos están dispuestos a emplear para herir a los agentes de las fuerzas del orden", afirmó el comunicado difundido por el Departamento de Seguridad Pública de la Policía ucraniana.
Yanukovich llama al diálogo
El mandatario ucraniano pide a la oposición en un comunicado publicado en su página web que se siente a la mesa del diálogo. "Os pido que no respondáis a los llamamientos radicales, todavía no es tarde parar y arreglar el conflicto de forma pacífica", declaró el presidente ucraniano, Víktor Yanukóvich, en un mensaje a los manifestantes antigubernamentales en Kiev.
Injerencia occidental descarada apoyando a los grupos violentos
El Ministerio de Justicia de Ucrania ha expresado su preocupación por los diplomáticos extranjeros que visitan los edificios administrativos tomado por la oposición. "Los manifestantes están preparando cócteles molotov en esos edificios", dijo la ministra de Justicia, Yelena Lukash, llamando a los países europeos a condenar la violencia cometida por la oposición en Kiev.
Las Fuerzas Armadas de Ucrania no participarán en los acontecimientos relacionados con las protestas en Kiev. "Todo el personal militar y todos los equipos se encuentran en sus lugares de emplazamiento permanente", dijo una fuente del Ministerio de Defensa de Ucrania a la agencia Interfax.
José Manuel Durão Barroso, presidente de la Comisión Europea, ha lamentado las víctimas mortales en Ucrania y ha pedido a las autoridades que tomen medidas para controlar la crisis. "Estamos conmocionados por la muerte de dos manifestantes y expresamos nuestras condolencias más profundas a sus familias. Pedimos a todas las partes que se abstengan del uso de la violencia", insistió.
La Embajada de EE.UU. en Ucrania advierte sobre la imposición de Washington de sanciones a quienes hayan usado fuerza contra los participantes de Euromaidán.
"Tenemos información de que todo esto se está estimulando principalmente desde el extranjero", dijo el ministro ruso de Asuntos Exteriores, Serguéi Lavrov, en referencia a las protestas que sacuden Ucrania. "Resulta que estos promotores ni siquiera tienen en cuenta los intereses de la propia oposición ucraniana, ya que intentan incitarla a la violencia".
"Quienes organizan los disturbios están violando todas las normas de comportamiento europeas", dijo el jefe de la diplomacia rusa. "Cuando algo semejante suceda en los países de la Unión Europea, nadie pondrá en duda la necesidad de medidas duras para detener la violencia y los disturbios", agregó Lavrov.
En el mismo sentido se expresó nuestro redactor Gustavo Morales en declaraciones a Rusia Today: http://actualidad.rt.com/video/actualidad/view/117727-ucrania-injerencia-europa-gobierno-militar
El Ministerio de Asuntos Exteriores de Ucrania confirmó la detención en Kiev de un empleado de Radio Liberty que lanzaba "objetos prohibidos" a los agentes policiales. El trabajador de la emisora no se identificó como tal durante la detención ni llevaba distintivos, aseguran fuentes del ministerio.
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Europäische Visionen
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Hungary asserts its energy independence with South Stream
Hungary asserts its energy independence with South Stream
Ex: http://routemag.com
During recent talks in Budapest, the prime minister of Hungary, Viktor Orbán, and Gazprom’s CEO, Alexey Miller, announced that the construction of South Stream in Hungary will begin in April 2015. “We would like to see a South Stream on the territory of Hungary,” Orbán said. “It’s far better to have it running through the country than bypassing it.” Work completed on a tight schedule is a hopeful sign that both parties are taking their commitment to the project seriously.
Budapest’s decision may be “a final blow” to the delayed Nabucco pipeline, wrote Bloomberg. The Hungarian state secretary for energy affairs, Pál Kovács, was laconic when speaking about Nabucco as a potential alternative: “First of all, the international company <Nabucco> didn’t do everything it could have to ensure the success of this project. I must point out that apparently ten years was not enough time for them to put together a realistic and competitive concept; during that period they just wore everyone out and collected impressive fees and salaries, but after ten years we now have a clearer picture.”
At this point, South Stream is the only viable way for Hungary to solidify its position in the region as a transit power. South Stream Transport Hungary, a 50%-50% joint venture between Gazprom and the state-owned Hungarian Electricity Works (MVM), decided to finish construction in record time. The parties agreed to speed up the design and survey work, as well as the spatial planning and environmental impact assessment for the 229-kilometer-long Hungarian section of the South Stream. The first supplies of Russian natural gas are expected in Hungary as early as 2017. The National Development Ministry of Hungary claimed, “the country’s government will do everything in its power to remove any obstacles either to the realization of the South Stream gas pipeline or to the creation of a solution that is acceptable to all parties.”In other words, the investment environment in Hungary is ripe for development.
Energy cooperation will be definitely high on the agenda during Viktor Orbán’s present visit to Moscow. The two nations are in negotiations to upgrade Hungary’s only nuclear power plant, for which Russia plans to provide a EUR 10 billion loan. However, a significant focus will be on the South Stream project. Development Minister Zsuzsa Németh smoothed the way for the talks. In November at a conference titled “South Stream: The Evolution of a Pipeline,” she declared that all Hungarian energy solutions are developed in accord with the European Union energy policy, in order to ensure strong, long-term partnerships. [1]
Russia enjoys the unique status of being an important strategic partner for Hungary in matters pertaining to energy. In order to speed up coordination and implementation, the Hungarian government has declared South Stream to be a project of special importance to the national economy. In 2008, the then-prime minister, Ferenc Gyurcsány, and Vladimir Putin signed an agreement regarding Hungary’s participation in the Russian pipeline project. And in the summer of 2010, Orbán and his party Fidesz suddenly threw their political weight behind the deal with Russia. The prime minister of Hungary may use harsh rhetoric in his domestic policy, but he seems to understand the importance of taking a multi-pronged approach and diversifying his gas supplies.
Such a deliberate policy is not uncommon in Eastern Europe. South Stream may lack full backing at the EU level, but the most important regional players, such as Austria, see it as a cornerstone of European energy security. For example, Deutsche Welle has noted that Gerhard Mangott, a professor of political science at Innsbruck University and an established policy advisor, views the current critical position of the EU towards South Stream as questionable. According to Prof. Mangott, the South Stream project in fact increases the EU’s energy security. “This isn’t a matter of additional gas and increased dependency on Russia, rather this is an alternative pipeline, which is more modern and robust in type.”
Until very recently the European Commission had no objections to Hungary’s plans for energy independence. In his 2011 speech on South Stream, the EU commissioner for energypromised that “we <the European Commission> will not impose any unreasonable or unjustified level of administrative or regulatory requirements <on South Stream> and will act as fair partners. ”But today the relations between Budapest and Brussels are badly strained. Hungary’s sovereign government has been portrayed in the EU media as the community’s enfant terrible. One can only hope that the European Commission will respect Hungary’s sovereign energy policy, because a competitive approach and a transparent business environment rank high on the EU’s list of free-market values.
In no small measure the EU itself needs Russia’s natural gas to diversify its supplies and obtain clean fuel for its recovering industrial sector. Under such conditions it is counterproductive to burden a project that is in the interest of both parties with unnecessary red tape.Even worse, the bureaucratization (or, rather, eurocratization?) of South Stream seems to correlate with the ups and downs of Brussels’s foreign-policy strategy in Kyiv. As a result, the European Commission changes its bargaining position towards the continent’s largest infrastructure project depending on external political impulses. Is it fair to assume that the “invisible hand” of the European market was offended by failure in Kyiv?
[1] In 2012 Hungary received 5.3 billion cubic meters of natural gas from Russia.
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mercredi, 22 janvier 2014
Ukraine, Russie, Europe
Ukraine, Russie, Europe
Le Cercle Georges Sorel est le cercle de formation politique et culturelle du réseau M.A.S. Il organise régulièrement des conférences et des débats. Comme le grand philosophe et grand théoricien Georges Sorel, notre cercle entend dépasser les clivages idéologiques pour fonder l'alternative.
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« On ne va pas aller mourir pour du pétrole »
«On ne va pas aller mourir pour du pétrole»
Entretien avec Aymeric Chauprade
Aymeric Chauprade, docteur en sciences politiques, savant de renommée internationale, l’un des spécialistes de pointe de la géopolitique en France, assigne à la Russie un rôle de première importance dans la mise en place du monde moderne. En quoi la croissance de l’influence russe est-elle liée à la renaissance de l’Orthodoxie ? Comment notre pays peut-il aider les chrétiens persécutés du Moyen-Orient ? Comment son rôle particulier est-il lié aux protestations récentes de millions de Français contre le mariage homosexuel ?
C’est là le sujet de notre discussion avec Aymeric Chauprade.
La foi et l’argent
Thomas : qu’est-ce qui attire particulièrement votre attention dans la Russie d’aujourd’hui ?
Aymeric Chauprade : Je comprends pourquoi, pour les Français de ma génération ou même plus jeunes, la Russie est si attirante aujourd’hui, et pourquoi les gens apprennent le russe et déménagent ici pour y fonder leur propre affaire. Ce n’est pas une sorte de phénomène marginal, le flot de ces gens est de plus en plus significatif. Ils ne sont pas, bien sûr, des dizaines de milliers, mais ils sont nombreux. Et ce phénomène est nouveau. Avant, les jeunes gens partaient aux U.S.A., brûlaient du « rêve américain ». Et maintenant, vient le remplacer le « rêve russe ». Et il est lié, à la différence du rêve américain, non aux aspects matériels et financiers, mais ce qui est plus important, à la recherche de soi, en tant qu’homme, à un retour aux sources chrétiennes. Pour la plupart des Européens, qui se réfèrent à leur culture chrétienne, la Russie incarne de plus en plus une sorte de contre modèle de l’Europe, en ce qui concerne les valeurs familiales et spirituelles.
Thomas : C’est étonnant, vous avez, pour un étranger, une idée si flatteuse des Russes…
A.C. : Bien sûr, les Russes participent à la société de consommation comme tous les autres dans le monde entier. Mais tout de même, ici, en Russie, on rencontre chez les gens quelque chose de profond, (peut-être la « mystérieuse âme russe » ?), la conviction que l’argent n’est pas dans la vie la valeur suprême. Et cela est vraiment attirant pour les jeunes Français, ceux du moins qui se trouvent en quête de plus profond que l’élargissement de leurs possibilités matérielles. C’est paradoxal, mais c’est un fait. Je vois d’un côté, en Russie, quelque chose de très proche de la culture américaine : le besoin d’amasser, le désir de déballer son niveau de réussite. Mais d’un autre côté, il y a là quelque chose qu’on ne trouve pas dans la culture américaine : si l’on fait connaissance avec un Russe d’une façon moins superficielle, on s’aperçoit que mise à part la soif de réussite, il y a en lui le désir de se trouver lui-même : « Qui suis-je et pourquoi est-ce que je vis » ? Et à mon avis, cela est directement lié en premier lieu au retour des Russes vers la religion, en partie à l’Orthodoxie. C’est une renaissance religieuse, le besoin de restaurer le lien du présent avec toute l’histoire russe. Je n’idéalise pas, cela plane dans l’air et se sent clairement. C’est seulement une réalité qu’on peut constater.
Thomas : Et que s’est-il donc passé pour que la Russie soit brusquement devenue attirante aux yeux des étrangers sur le plan des affaires ? Qu’est-ce qui a changé ?
A.C. : La façon de considérer la Russie a changé. Quand on disait « la Russie » dans les années 90, on comprenait la mafia. Et cela faisait peur de venir travailler ici et y investir de l’argent, on pouvait tout perdre d’un coup. Mais de telles associations n’existent plus. Les gens ont senti que sur le plan économique, ici, c’était maintenant sans danger. Il existe une différence colossale entre le tableau que tracent de la Russie les médias pro-américains et ce que connaissent de la Russie les analystes économiques. Les premiers considèrent tout ce qui est lié à la Russie d’une façon strictement critique.
Les seconds regardent les choses d’une façon lucide et réaliste et savent qu’en Russie, toutes les conditions sont rassemblées pour y conduire des affaires. J’ai personnellement entendu dire lors d’une conférence au directeur d’une compagnie française très importante : « Avant, nos entrepreneurs allaient en Chine, mais en réalité, personne n’a rien pu y gagner, à part les marques de luxe. Aujourd’hui, les compagnies françaises importantes gagnent beaucoup d’argent en Russie. Celui qui investit ici fait de bonnes affaires ».
La comparaison avec la Chine est vraiment intéressante. Il y eut en effet la période du boum chinois, les Européens ont pris pied dans le marché chinois, et au début, semblait-il, les bénéfices croissaient à des rythmes extraordinaires. Mais la différence entre les cultures est telle que les gens tombaient dans une véritable frustration et sortaient de ce marché : ils ne parvenaient pas à être « chez eux » dans cette civilisation, ils restaient de toute façon « étrangers » en Chine. Alors que les Russes et les Français, malgré toutes les différences sont en fin de compte très proches.
Thomas : En quoi la renaissance économique du pays est-elle liée au retour des Russes vers la religion ?
A.C. : J’ai rencontré des Russes qui sont matérialistes à 100 %. Mais j’ai aussi rencontré personnellement ceux qui gagnent beaucoup d’argent mais se souviennent qu’il y a quelque chose de plus grand que l’argent, par exemple le salut de l’âme. Ces entrepreneurs qui sont loin d’être pauvres décident à un certain moment de dépenser une partie (parfois importante) de l’argent gagné pour financer des projets liés à l’Église, à l’éducation, à l’illumination, afin que les gens viennent à la foi en Dieu. C’est à mes yeux très important. À ce propos, cela existe aux U.S.A., dans les milieux protestants. En France, justement, cela nous manque beaucoup, peu de gens qui, ayant gagné beaucoup d’argent voudraient l’affecter à la cause de la renaissance de la religion et des valeurs spirituelles. De mon point de vue, c’est la maladie gravissime de l’Europe Occidentale contemporaine.
Rattraper et dépasser l’Occident ?
Thomas : Quelles sont vos impressions personnelles de votre participation au club de discussion « Valdaï » en septembre 2013 ?
A.C. : Honnêtement, j’en garde des sentiments mitigés. D’un côté, j’ai été impressionné par le niveau du déroulement de l’évènement lui-même, la diversité des experts très intéressants et l’organisation intelligente des discussions. Mais ce qui me troublait d’un autre côté, c’est que la philosophie générale de « Valdaï » est pénétrée de part en part par la vision du monde occidentale et libérale. J’avais l’impression que toute une classe de politiques russes, rassemblés à Valdaï, pas tous mais la majorité, essaie de dépasser l’Occident sur le plan des valeurs libérales. Et ils essaient de le faire de telle manière que la Russie reçoit ces valeurs comme la norme. D’après moi, c’est étrange. La Russie sur le plan spirituel et culturel a toujours suivi son propre chemin historique, et elle a aujourd’hui la possibilité de créer son propre modèle de civilisation sans copier l’Occident. Cela sonnera peut-être comme une provocation, mais quand à Valdaï j’ai entendu certains politiques, j’ai eu l’impression qu’ils se sentaient comme des représentants d’un pays du tiers-monde, et tentaient de toutes leurs forces de se montrer à leur avantage devant l’Occident « civilisé », comme pour dire : « Nous aussi, nous avons le progrès, regardez comme nous sommes libéraux. » Comme s’ils étaient des élèves, et que de l’Occident étaient venus des professeurs qui leur disaient avec condescendance : « Eh bien que voulez-vous, il vous faut encore, bien sûr, travailler à la lutte contre la corruption, à la défense des droits des minorités. Vous avez bien sûr fait des progrès particuliers, mais ce n’est quand même pas suffisant. » Et les savants russes, s’excusant, répondent : « Oui, oui, oui, nous allons essayer, nous allons grandir. » Je considère que la Russie mérite mieux.
Thomas : Mais il y vraiment en Russie de grands problèmes de corruption, tout le monde le sait…
A.C. : Je ne veux pas dire qu’en Russie tout soit rose. Je dis que dans les questions de civilisation et de culture, la Russie a ses réalités historiques, et il n’y a pas de nécessité à l’évaluer toujours sur le fond des pays occidentaux. Il va sans dire qu’en Russie, comme dans tout autre pays, il y a des problèmes. Il faut lutter impitoyablement contre la corruption, Mais soit-dit en passant, elle existe aussi de la corruption en Occident.
Thomas : Est-ce possible ?
A.C. : Le fait est que les critères pour déterminer le niveau de corruption de tel ou tel pays sont établis et installés par des agences occidentales et que d’après leurs estimations, en France, en Allemagne ou aux U.S.A. la corruption, cela va sans dire, ne peut exister. C’est pourquoi je ne prendrais pour preuves leurs estimations qu’en Russie tout va mal qu’avec prudence. J’affirme qu’en Europe, la corruption existe aussi. Peut-être n’est-elle pas aussi voyante, aussi criante, mais elle existe. Elle est seulement cachée, masquée, exprimée d’une autre manière que « Je te donne l’argent, tu me fais le contrat ». Dans le cas de l’Occident, il est plutôt question d’une corruption de l’esprit, du caractère des gens eux-mêmes. C’est une sorte de profonde corruption morale, exprimée en cela qu’on a complètement exclu Dieu de notre vie. Mais personne n’a parlé à Valdaï de cette corruption fondamentale du monde occidental.
Il faut défendre les chrétiens
Thomas : Pourquoi les persécutions de chrétiens au Moyen-Orient sont-elles devenues si cruelles ces derniers temps ?
A.C. : En fait, les chrétiens du Moyen-Orient se trouvent depuis longtemps dans une situation de continuelle pression. La Turquie en est l’éclatant exemple. Au début du XXe siècle, huit pour cent de la population turque était chrétienne, et il est aujourd’hui question de quelques centièmes d’un pour cent. Il n’y a pourtant pas, en Turquie, de persécution physique des chrétiens. En revanche, on interdit l’enregistrement de nouvelles paroisses, et les gens sont obligés de quitter le pays d’eux-mêmes. En un mot, on essaie doucement et en silence d’étouffer le christianisme. Et c’est la situation générale des pays du Moyen-Orient.
Mais il y a une autre tendance, une relation ouvertement grossière et cruelle aux chrétiens. Cette tendance s’est activée particulièrement après la guerre d’Irak. Il faut malheureusement reconnaître que les guerres des U.S.A. dans cette région ont facilité à leur manière l’émergence du fondamentalisme islamique, en particulier sunnite. Que ce soit il y a quelques années en Irak ou aujourd’hui en Syrie, ce sont les mêmes extrémistes sunnites. Ils détruisent les églises, scient les croix, profanent les icônes et, bien sûr, éliminent physiquement les chrétiens, parmi lesquels apparaissent à nouveau de véritables martyrs. C’est pourquoi si le régime du président de la Syrie Bachar el Assad s’effondre, il est tout à fait évident que les persécutions ne feront que s’intensifier. En un mot, ces jeux politiques, cette union entre les U.S.A., la Grande-Bretagne et, à mon grand regret, la France, font les affaires des islamistes fondamentalistes dans leur lutte contre les chrétiens. Je souligne que je ne parle pas de l’islam dans son ensemble en tant que religion mais bien des fondamentalistes, c’est-à-dire d’un groupe particulier de gens aux dispositions guerrières à l’intérieur du monde musulman.
La Russie, dans la situation de la persécution des chrétiens au Moyen-Orient peut jouer un rôle vraiment historique, tout à fait dans le courant de toute l’histoire russe. Car au cours de nombreux siècles, jusqu’à la révolution de 1917, la Russie a été le défenseur assidu des chrétiens d’Orient. Et il est indispensable aujourd’hui, à mon avis, qu’elle redevienne ce défenseur. Il faut que la Russie qui se retrouve grâce au renouveau de l’Orthodoxie, envoie au monde le signal : « Nous sommes un État chrétien et les défenseurs des chrétiens. En dehors des chrétiens d’Orient, nous soutiendrons tous les chrétiens qui s’opposent à l’imposition des principes d’individualisme, au Diktat des minorités, à la légalisation du mariage homosexuel et ainsi de suite. Nous les soutiendrons pour défendre les valeurs traditionnelles ». De la sorte, ce sont précisément les valeurs traditionnelles qui deviendront la principale ressource russe, son principal outil, et feront de la Russie un acteur important de la politique mondiale. J’y crois et m’efforce de promouvoir cette idée de toutes les manières. Et je sais qu’en Russie, beaucoup considèrent que c’est justement dans cette direction qu’il faut avancer : s’engager dans l’éducation, expliquer le christianisme aux gens, pour devenir un État qu’on puisse appeler chrétien de plein droit.
Thomas : Le thème de la persécution des chrétiens est-il évoqué par les médias occidentaux ?
A.C. : Ça dépend. Dans l’ensemble, on peut dire que la tendance est de le minimiser. Mais la situation s’arrange petit à petit, car Internet apparaît comme une puissante source d’information alternative. Les ressources d’Internet rappellent aux principaux média traditionnels, par exemple, à des journaux français tels que Le Figaro ou Libération, l’état réel des affaires. Et quand de pareils médias ne disent rien d’un événement comme l’exécution de chrétiens à Maaloula, ces choses surgissent sur Internet, et les médias ne peuvent faire autrement que de les mettre en lumière. C’est pourquoi la situation évolue. Et de plus en plus de chrétiens en France se rendent compte que les chrétiens au Moyen Orient, par exemple les coptes en Égypte, sont réellement en danger.
La France se réveille
Thomas : En avril 2013, la loi sur le mariage homosexuel est entrée en vigueur en France, ce qui a suscité de massives actions de protestations de la part des défenseurs des valeurs traditionnelles. Qu’en pensez-vous ?
A.C. : Il s’est produit en France un événement d’une importance colossale. Bien sûr, auparavant, s’est produit un regrettable événement : la loi sur la légalisation du mariage homosexuel a été adoptée. La plupart des ministres, les socialistes et les « Verts », ont soutenu et soutiennent le mouvement en ce sens. Chaque jour que Dieu fait, pas à pas, ils s’efforcent avec persévérance de détruire l’aspect chrétien de la France contemporaine. Un exemple tout récent : ils ont promu la proposition de supprimer du calendrier français les fêtes chrétiennes pour les remplacer par des fêtes juives et musulmanes. Mais la société réagit quand même. Trois millions de personnes étaient dans la rue pour protester contre la légalisation du mariage homosexuel. Des gens d’âges divers, de bonnes familles, étaient prêts à manifester avec le risque d’être arrêtés, pour dire non à cette loi et défendre la seule conception normale de la famille. Sur ce point, il s’est produit quelque chose de très important. Bien qu’aujourd’hui la vague de protestation ait reflué, elle a enclenché tout un processus, ouvert la voie à tout un mouvement de résistance, comme si un ressort sur la porte s’était tendu sous la pression, la serrure avait été arrachée, et la porte s’était ouverte toute grande. Les gens savent maintenant qu’ils ont une plateforme où ils peuvent se rassembler pour défendre les valeurs familiales traditionnelles. En outre, il y a aussi d’autres directions de « combat » : la question de l’immigration, la question de l’islamisation etc. Je suis persuadé que nous assistons à un processus très important : le réveil des Français. Bien que pour parler d’une façon imagée, les forces du mal soient de toute façon très puissantes.
Thomas : Beaucoup sont persuadés que le mouvement pour la défense des valeurs traditionnelles doit prendre une dimension internationale. Que pensez-vous, sur ce point, d’une collaboration entre le France et la Russie ?
A.C. : C’est justement là-dessus que je m’efforce de travailler. C’est le thème qui m’occupe en permanence. Je suis persuadé que personne ne gagnera dans la solitude. C’est comme la lutte avec le nazisme; la menace était si forte qu’on ne pouvait la contrer qu’en s’unissant, et ce n’est pas par hasard que la Russie a trouvé un allié dans la Résistance française. Nous avons aujourd’hui devant nous une nouvelle forme de totalitarisme. Il n’est extérieurement pas aussi évident, il est masqué, il ne porte pas de casque militaire, mais c’est bien un totalitarisme, quoique rampant, on impose aux gens les valeurs libérales, on met en doute les concepts traditionnels de dignité de la personne, on pousse l’homme à se révolter contre Dieu, et en ce sens, le nouveau totalitarisme revêt des traits vraiment sataniques. Il faut opposer à ce totalitarisme une puissante résistance. Et si la Russie se déclare un État chrétien, et le défenseur des valeurs chrétiennes, cela deviendra justement une réponse, et la création d’un contre-modèle à ce que l’on impose aux gens en Occident. On le leur impose précisément. Je ne considère pas, par exemple, que la légalisation du mariage homosexuel réponde à une position sincèrement motivée des gens ordinaires dans les pays d’Europe. Non, c’est celle de la minorité au pouvoir qui cherche à imposer ses critères au peuple : ils ont fabriqué la théorie du genre qui « fonde » la légalisation des mariages homosexuels. Je suis sûr que les Européens de base eux-mêmes, comme d’ailleurs les Américains, n’en veulent pas. Et si on leur propose un contre modèle, ils l’adopteront. La Russie, en collaboration avec d’autres pays et organisations sociales qui soutiennent la famille traditionnelle peut le réaliser.
Thomas : Mais pourtant, comme les informations nous l’ont appris, bien que trois millions de Français soient sortis dans la rue, pas moins de 60 % de la population française, c’est-à-dire la majorité, soutenaient cette légalisation du mariage homosexuel. Et vous nous dites que ce n’est pas l’avis du peuple…
A.C. : Il faut parler ici de la logique de l’histoire de l’humanité en tant que telle. La majorité des gens, dans n’importe quel pays à n’importe quelle époque est malheureusement passive. C’est seulement un fait historique. Cela concerne n’importe quel peuple. Cela signifie que si un gouvernant inculque le mal, le peuple le reçoit et suit le mal. Si le gouvernant fait le bien, le peuple l’accepte et suit le bien. Cela ne signifie pas que la société est stupide, pas du tout. Simplement la plupart des gens vit au quotidien, s’occupe de ses affaires au jour le jour. Ce n’est pas mal, ce sont de bonnes gens qui éveillent en moi personnellement une vive sympathie. Mais on ne peut pas les appeler des citoyens conscients, on ne peut pas dire qu’ils réfléchissent à ce qui se passe dans leur État. C’est toujours une minorité qui est consciente, dans la société, et qui se bat et s’oppose. Elle va se battre, par exemple, pour la liberté de l’homme, ce qui, en fin de compte, veut dire la lutte pour le triomphe d’une vérité chrétienne. Ce schéma est valable pour toutes les sociétés. Rappelez-vous la Résistance française, dont les participants étaient bien sûr en minorité. Et même en U.R.S.S., il y eut de la même manière le mouvement des dissidents qui résistaient au régime soviétique, et pourtant les Soviétiques en majorité n’étaient pas des partisans du régime déterminés, la majorité simplement se taisait, nageait dans le sens du courant. Je le répète, telle est la philosophie de l’histoire. C’est la minorité active qui fait l’histoire, et la question est seulement de savoir quel choix elle va faire, dans le sens du bien ou dans celui du mal.
Thomas : N’êtes-vous pas seul de cet avis parmi vos collègues en France ? Le fait est que beaucoup généralisent, affirmant : « On considère en Occident… » Comme si l’Occident était quelque chose d’homogène, où l’avis des gens est unifié, et où les experts isolés, par exemple vous-même, vous êtes plutôt l’exception à la règle, le vecteur d’un avis marginal sur les choses. En quoi cela correspond-il à la réalité ?
A.C. : Je trouve important de le dire en Russie, dans une interview pour une publication russe. La réalité objective est la suivante : la majorité des gens en Occident ne réfléchit pas aux questions dont nous parlons maintenant. Et la minorité qui vit et travaille tous les jours avec ces questions se partage en deux groupes : le premier, ce sont ceux qui considèrent l’individualisme général comme la norme, et le deuxième, ce sont ceux qui trouvent indispensable de revenir aux racines chrétiennes. C’est là, je le répète, le tableau objectif. Ce sont ces deux minorités qui créent les partis et les organisations politiques. Ensuite, c’est la question du libre choix des citoyens aux élections. Pour parler de la France, il existe aujourd’hui un parti qui, d’après les analystes, dans un proche avenir deviendra le premier de France par sa popularité, c’est le Front national. Un parti qui se dresse contre le système existant. Ses partisans ne sont pas une minorité, c’est une partie notable des Français qui affirment l’importance des valeurs chrétiennes, la dignité de la personne, le danger de l’islamisation de la France, le refus de participer aux guerres des U.S.A., etc. Il ne convient donc pas de me considérer comme un bien grand original. Non, une grande quantité de gens, en France, raisonnent selon la même logique. Parmi les économistes, parmi les militaires. Si vous pratiquez un sondage chez les officiers, vous verrez que 30 ou 40 % d’entre eux sont disposés envers la Russie de façon très, très positive; beaucoup plus positive qu’envers les U.S.A. J’ai enseigné dix ans à des officiers, j’avais presque trois mille étudiants, je sais de quoi ils parlent et ce qu’ils pensent. Sans conteste, il est parmi eux des « atlantistes » des gens qui sont à cent pour cent pour l’O.T.A.N., qui raisonnent jusqu’à maintenant en termes de guerre froide; soi-disant, « les Russes sont d’affreux communistes ». Mais il y a une part significative d’officiers, particulièrement chez les jeunes, qui raisonnent d’une façon radicalement différente.
Thomas : Vous avez évoqué le parti « le Front national ». En Russie, la tendance est de craindre comme le feu les mots « national », « nationalité » etc. On confond le mot « nationalisme » avec le mot « nazisme ». Et tout ce qui est « national » entraîne une association directe avec fascisme, agression, génocide, camps de concentration, extermination physique des immigrés… Existe-t-il, d’après vous, un nationalisme pacifique et à quoi ressemble-t-il en pratique ?
A.C. : Il existe. L’exemple en est justement le Front national qui s’est déclaré dès le début comme un parti patriotique. Ce n’est pas un parti de nationalistes, si l’on comprend le nationalisme comme un synonyme d’agression. Le parti patriotique s’efforce de conserver le visage historique de la France, défend sa civilisation et sa culture contre les changements du système qui se produisent sous l’influence des étrangers. Il n’a jamais été question de chasser immédiatement du pays tous les immigrés. La question, c’est que le multiculturalisme nuit à la France dans un sens purement démographique, les gens qui sont arrivés des pays arabes et leurs enfants occupent de plus en plus la France et de ce fait, provoquent la guerre civile. Ce que nous voulons, c’est que les étrangers s’assimilent, c’est-à-dire deviennent proprement des Français. Cela peut naturellement être lié à l’adoption du christianisme. Mais pas forcément : celui qui trouve important pour lui de rester dans l’islam doit simplement connaître et accepter la culture française, ne pas obliger sa femme à porter le voile intégral, etc. C’est là le programme du Front national. On n’y trouve pas un mot sur le recours à la force contre les immigrés. En outre, parmi les députés élus à l’assemblée nationale il y a des Arabes, ce que peu de gens savent. Nous pensons simplement qu’une immigration trop abondante nuit à la France. Comme elle nuit à ces mêmes étrangers qui viennent en France
Je suis moi-même partisan du dialogue entre les civilisations. J’ai beaucoup travaillé et enseigné, par exemple au Maroc. J’ai pris parole à l’O.N.U. comme expert du Maroc. J’ai des dizaines d’amis et de collègues parmi les musulmans, je crois en une politique arabe de la France. Les pays arabes sont nos voisins par la Méditerranée. Nous avons d’excellentes relations avec eux. La seule chose que nous devions faire, c’est contrôler les flux migratoires. Car aujourd’hui, cela ne peut pas continuer ainsi. Autrement la société française va tout simplement exploser, parce que la prospérité du gouvernement va s’écrouler, beaucoup de jeunes étrangers viennent en France dans l’espoir de vivre des allocations.
Être ou avoir
Thomas : Vous parlez beaucoup de religion. Dans quelle mesure la religion, en tant que domaine fondamentalement non matériel, peut-être un facteur géopolitique ?
A.C. : La géopolitique comprend au minimum trois choses fondamentales : La première c’est la géographie physique, c’est-à-dire où et comment le pays se situe, qui sont ses voisins, son ouverture sur la mer, etc. La deuxième, c’est la géographie des ressources, le pétrole, le gaz naturel, etc. Et la troisième, c’est la géographie identitaire, comment les gens se voient, quelle est leur identité. C’est relié directement aux conflits ethniques et religieux, car l’identité religieuse est l’une des plus importantes pour l’homme. En ce sens, on peut réduire de façon imagée la problématique de la géopolitique à deux verbes principaux, qui, dans la langue française sont également des auxiliaires qui servent à constituer les temps, le verbe avoir et le verbe être. À travers le verbe être, l’homme définit justement son identité, c’est-à-dire qu’il répond à la question : « que suis-je en cette vie ? » Cela concerne les questions de religion : « je suis chrétien », « je suis musulman », « je suis juif ».
L’identité religieuse a une énorme signification, car elle définit le système de valeurs de cette personne concrète, la façon dont il va percevoir le monde alentour. Et au moment où il se définit et commence à voir le monde précisément comme cela et pas autrement, cela devient un facteur de géopolitique. Car l’homme ne vit pas seul au monde mais en relation avec les autres. En un mot, la religion du point de vue géopolitique n’est pas pour les gens une question de connaissance théologique, ni de vie spirituelle intérieure, mais de recherche de sa propre identité, la tentative de décider « qui je suis » et d’agir en conséquence.
Beaucoup considèrent qu’en géopolitique domine tout ce qui est lié au verbe « avoir » : qui a quelles armes, les ressources naturelles, les technologies etc. C’est bien sûr important, mais ce n’est pas le plus important. Car on ne va pas aller mourir pour du pétrole. En ce sens, c’est le verbe « être » qui occupe la première place : les gens sont prêts à faire la guerre s’ils défendent leur identité, leur vision du monde, ce qui leur est cher.
L’identité religieuse, je le répète, est pour l’homme en un sens la principale, parce que la façon dont voit ses relations avec Dieu, avec l’Absolu, avec les valeurs supérieures, détermine celle dont il va construire ses relations avec tout le reste du monde terrestre.
Thomas : Et quel rôle jouent la religion et la foi dans votre vie ?
A.C. : Je m’intéresse beaucoup à tout ce qui est lié au catholicisme dans le monde contemporain. Mais l’Orthodoxie me fascine, je sens en elle quelque chose d’originel, un christianisme pur qui n’a pas été obscurci, le reflet de la foi des premiers chrétiens. En Occident, nous le savons, ces notions se sont en partie perdues.
Je suis marié, j’ai quatre enfants. Et la religion est pour moi une chose centrale et vitale. Ce qui ne change rien au fait que je suis pécheur, que la force et la profondeur de ma foi sont moindres que je le juge nécessaire. La religion, c’est ce qui permet de rendre plus digne notre façon de vivre et de s’opposer aux séductions du monde, comme par exemple, l’argent et les belles filles, qui sont d’ailleurs très nombreuses en Russie. On ne tient que grâce à la foi, la foi en Celui qui est plus grand que tout cela.
• Propos recueillis par Thomas et mis en ligne sur L’Esprit européen, le 15 décembre 2013.
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dimanche, 19 janvier 2014
Crusade Without the Cross: The Paradox of the Greek Left
Crusade Without the Cross:
The Paradox of the Greek Left
By Dimitris Michalopoulos
Ex: http://www.counter-currents.com
To Francis Parker Yockey
In memoriam
Following the end of the Greek Civil War in 1949, many of the defeated Communists fled to countries behind the Iron Curtain. Most of them were to die before they could see their homeland again. Those who survived in the exile, came back to Greece as late as 1975. For not all of them wanted to compromise with the right-wing 1949-1974 regime of Greece. Still, do you know what was the first reaction of the defeated fighters upon reaching the countries of the Soviet bloc, late in the 1940s? When they were asked to take a bath for sanitary reasons, they declined; for they did not want the oil spread on their body by the Orthodox priests during the christening ceremony to be removed!
Such was the statement of a Greek Communist intellectual in Paris, in 1995. I was bewildered. I was then considered to be a “specialist” on the relations between Greece and the countries of the Eastern bloc and I thought I knew “everything” on the “colonies” that the Greek Communists had founded mainly in the “People’s Democracies” and in the Soviet Union. I knew that the Greek Orthodox clergy had supported either overtly or in veiled terms the Communist “rebellion” in Greece. Still from the Greek Church’s backing up the Communists to the latter’s desire not to “lose the oil of the christening” there was a big gulf. That is why upon my coming back to Greece, I started looking into the matter. The result of my research? My Paris interlocutor was right.
It is not possible to recount the history of the Marxist ideas in Greece, without taking into account the Greek Orthodox Church. And so for two reasons: a) The Modern Greek nationhood relies wholly upon the Church. As a matter of fact, Greek is considered to be every Orthodox Christian who “recognizes the spiritual jurisdiction of the [Greek] Patriarchate of Constantinople”;[1] and b) thanks precisely to the Greek Church, Materialism was disseminated in the Balkans and, further, was raised to “official”, i.e. State ideology in the Romanian countries long before the 1789 Revolution in France.[2]
This story of materialistic ideas that were spread in the Balkans by the Greek Orthodox Church is a long (and very interesting) one. The roots are to be found in Byzantium itself. For from the eleventh century on, a revival of Platonism and neo-Platonism took place in Constantinople; and this revival led up to a kind of crypto-paganism. The 1453 capture of the Byzantine capital by the Ottomans put an end to this neo-platonic current; and Gennadius I Scholarius, the first Constantinopolitan Patriarch to be in office following the fall of the Byzantine Empire, directed the philosophical research of his flock towards the “beacon of Aristotle’s thought.” Still, this direction was to have very important consequences.
Ecclesiastical Preamble
The Greek Orthodox Patriarchate in Constantinople/Istanbul was criticized prior to the 1821-1829 Greek War of Independence very mildly by the Left, viz. the Greek Enlightenment scholars and their disciples. And for good reason; for the Greek Enlightenment, thanks to the protection of the Orthodox Church, anticipated the French one by several decades. In other words, materialist doctrines were being taught throughout Greece by Greek Orthodox . . . clergymen. And as a result the Enlightenment principles became the State Ideology in Balkan countries long before they prevailed in France.
In such a contradictory evolution, two characters assumed the key role, namely Cyril Lucar (1572-1638) and Theophilus Corydaleus (1570-1646). Both were disciples of Cesare Cremonini (1550-1631) at the University of Padua; and both wholeheartedly adopted Cremonini’s materialistic interpretation of Aristotle’s thought.[3] For if St Thomas Aquinas (1225-1274) had managed to espouse the creeds of the Roman Catholic Church with Stagirite’s teaching, it was Pietro Pomponazzi (1462-1525), professor at the Padua University from 1509 to 1512, who paved the path to the Enlightenment.
P. Pomponazzi published in 1516 his book De immortalitate animae (= On the Immortality of the Soul). He had moved at that time from the University of Padua to the one in Bologna; the impact of his book’s coming out, nonetheless, was terrible throughout Italy and even Europe. It triggered a real revolution in Christian thought; and this revolution was to culminate in 1517, i.e., merely a year later, with Luther’s Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum, i.e., the famous Ninety-Five Theses.
As a matter of fact, Pomponazzi overtly disagreed in his book on the Immortality of the Soul with St Thomas Aquinas’ teaching. The latter, based on the Aristotelian intellectual production, professed that the human soul could survive separation from the body; yet Pomponazzi declared that the soul’s survival was incompatible with entelechy, i.e., the Actualizing Form, a fundamental concept in Stagirite’s thinking and teaching. The corollary was the solemnization of the belief that the human soul was tied irreversibly to the human body; and so all doors were opened to materialism.
It was C. Cremonini who crossed triumphantly the door opened by Pomponazzi. He was appointed professor at Padua University in 1591, and since the Papal jurisdiction did not encompass Padua (for it was protected by the Venetian Republic), he felt free to propagate his Aristotelian-based materialism. His enthusiastic admirers and followers saw in him Aristoteles redivivus (= Aristotle reborn), the princeps philosophorum (= Prince of the Philosophers), the genius Aristotelis (= Aristotle’s genius) and so on.[4]
The result? When Cyril Lucar, Cremonini’s student and follower, became Patriarch of Constantinople, he appointed Th. Corydaleus, also a follower of Cremonini, director of the Patriarchal Academy,[5] a prestigious institution of higher learning. Most likely it was in 1625;[6] and so Materialism came under the aegis and the virtual protection of the Greek Patriarchate, the leading one of the Orthodox Christendom. So, the Patriarchal Academy developed into the avant-garde of the European Left.[7]
That is why the “progressive mind” of the Patriarch Cyril I Lucar is nowadays enthusiastically acclaimed in Greece and in the Western countries as well. No matter that he was converted to Calvinism and even wrote a Confession of Faith clearly endorsing Protestant theses:[8] Confessio fidei reverendissimi domini Cyrilli, Patriarchae Constantinopolitani nomine et consensus Patriarcharum Alexandrini et Hierosolymitani, . . . , scripta Constantinopoli mense Martio anni 1629.[9] He was of course anathematized by an Ecclesiastical Council held in Constantinople in 1638.[10] Still, his memory remains unharmed.[11] For the Left-wing intelligentsia see in him the “Father of the Greek Enlightenment.”[12]
It is true that he founded an important printing house in 1627,[13] the first Greek one in the Levant. What is more, he was put to death by the Ottoman authorities, due mainly to accusations of the Jesuits who saw in him a bitter foe of the Roman Church. Still, the truth is that he was a Calvinist[14] and most likely a materialist.
His companion and zealous ally, Th. Corydaleus, was undoubtedly a materialist; and he did not dissimulate his ideas, though he was a Greek Orthodox clergyman. Unlike Cyril Lucar he did not suffer death at the hands of the Ottomans. Quite the contrary! He was ordained Metropolitan Bishop of Naupactus and Arta.[15] Further, he founded a school in Athens, his native city, where he continued teaching materialism shrouded in Aristotelian thought till the end of his life. He created chaos in his Metropolitan See; he became a monk in 1622 and renounced his vows in 1625; yet he was never stigmatized by the Greek Orthodox Church.[16] And the Ottoman authorities, properly “indoctrinated” by the Constantinopolitan Patriarchate, ever never bothered him.
He wrote several books that enjoyed great popularity in both Greece and the Graecized Balkan countries as well up to the late eighteenth century. Needless to say that this popularity was mostly due to the high regard the Greek clergy had for them.[17] The result? The Maurokordatos family, a rich and very influential Greco-Jewish Constantinopolitan one, managed to have Sevastos Kyminitēs, their protégé and an ardent Corydaleus’ supporter,[18] appointed as head of the Bucharest Princely Academy. This Academy, along with the Patriarchal one in Constantinople, was a renowned educational institution, one of the very few in the Balkans at that time. No sooner than appointed, S. Kyminitēs began propagating materialism rooted in Aristotle’s thought. And even though he was totally disliked by his students, he enjoyed the protection of the Maurokordatos family, was a favorite with the Patriarchal Court at Constantinople and the Ottoman authorities as well. He maintained, therefore, his post until 1702, the year of his death. The corollary was that thanks to him materialism became the state Ideology in the Romanian Lands, Walachia and Moldavia,[19] then vassal countries of the Ottoman Empire.
The Left in Independent Greece
The Modern and Contemporary Greek people is a multiracial mixture. Since acceptance of the jurisdiction of the Greek Orthodox Patriarchate at Constantinople was, in practice, the exclusive criterion of being regarded as Greek, it goes without saying that Modern Greeks are descendants of all the Balkan’s Christian nations – and mainly of Albanians, Slavs, and Romanians.[20] Civil strife flourished in such an ambiance; and democratic/socialist ideas thrived as well.
The first wholly democratic current, with obvious tendencies to turn actually into a socialist movement, was that of Theodōros Grivas, in Acarnania, viz. the south-western part of Mainland Greece. Thanks to his achievements during the Greek War of Independence, Grivas was a general of the Greek Army under Otho, the first King of Greece (1832-1862). Nonetheless, he had in view a radical change of Greece’s Statehood structures. In the framework of the revolution that put an end to Otho’s reign, in October 1862, he formed a “People’s Army” 4,500 strong, and declared he was “ready for a march to Athens” with the intention of proclaiming the Republic, endow Greece with a federal structure, and “rehabilitate the landless peasantry.” In short, he was in open conflict with the Provisory Government that assumed power after King Otho’s fall, and aspired only at establishing the so-called “Royal Republic” regime. Undoubtedly, Grivas had sympathizers in the main agglomerations of the country; that is why his “Popular Army”, wherein mostly landless peasants were recruited, struck terror among the wealthy social strata. Had he survived and put into effect his “march to Athens,” the course of the Modern History of Greece would be different. But in 1862 he was 65 years old and suffered from asthma; and he passed away on October 24, 1862 (Old Style).[21]
Rumors are going about him even today in Mainland Greece. He is said to have been poisoned by the British; and that he wanted to capture Athens in order to paint red the royal palace. Be that as it may, not only had the 1862 Grivas movement a clear-cut socialist character but many partisans of him proved to be ready to rise up in arms against the establishment.[22] It was on his ‘precedent’ that the communist uprising would be molded in the twentieth century.
* * *
The Greek Communist Party was founded on November 17, 1918 as the Socialist Labour Party of Greece.[23] It was renamed Communist Party of Greece (Kommounistiko Komma Hellados/K.K.E.) not earlier than late November, 1924.[24] From its very beginning, the K.K.E. had three key problems to cope with: a) the Macedonian Issue; b) the Trotskyite current within it; and c) the elaboration of a “revolutionary process” fit for Greece.
As for the first question, it must be kept in mind that the autochthonous population of Macedonia were Slavs; and those Slavs had often a Bulgarian national conscience. Whatever the fact of the matter, Macedonians were seeking independence; and the Greek Communists toed that very line in 1922.[25]
Such a decision, quite in accordance with the traditional/initial Marxist internationalism, was utterly disapproved by the public opinion of Greece and was abandoned at last. Pantelēs Pouliopoulos, nonetheless, the first Secretary-General of the newborn K.K.E. was put on trial and got eighteen months in prison.[26] Following his release in 1926, he was re-elected Secretary-General; yet he was at odds with the Party apparatus – already a Stalinist one. As a result he deserted the K.K.E. and founded his own Communist group,[27] baptized “Spartacus” after the journal they were publishing from 1928 on.[28]
The Greek “Spartacists” were overtly Trotskyites; and their deep disagreement with the Stalinist K.K.E. arose early in 1934. For it was then that Pouliopoulos published his book “A Democratic or a Socialist Revolution in Greece?”[29] and turned down the “revolutionary process” advocated by the K.K.E. The latter, obviously based on the Russian experience, “deserted” the workers and was seeking an alliance with the democratic bourgeois parties and, above all, the peasantry. Pouliopoulos and his Trotskyites, on the other hand, insisted on the necessity to propagate Marxism among the 100,000 “industrial proletarians,” dwelling mostly in Piraeus, the seaport of Athens.[30]
As for Piraeus, Pouliopoulos was correct: the workers there were mostly Right-wing or overtly fascists.[31] He tried, nevertheless, to indoctrinate them with Marxism’s Trotskyite variety but in vain. Meanwhile the K.K.E. concluded alliance with the Liberal Party (founded by Eleutherios Venizelos prior to World War I); yet this rapprochement accelerated the march of Greek politics towards the authoritarian government established jointly by King George II and his Prime Minister, Iōannēs Metaxas, on August 4, 1936.
Pouliopoulos, further, had a tragic end. Arrested by the Police of the authoritarian government in 1937, he declined the “offer” to leave his “homeland.” He was, therefore, imprisoned and, following the 1941 occupation of Greece by the Axis Powers, he was interned in an Italian concentration camp. At last, he was shot in 1943 by way of reprisal for a guerrilla attack against an Italian military train.[32] And an important “detail”: one of his “companions” was Andreas Papandreou,[33] who accepted the police’s offer to leave Greece, fled to the United States, became a university professor and, thanks to his American citizenship, Prime Minister of Greece in 1981.[34]
Civil Strife (1942-1949)
The authoritarian government established in August, 1936, stopped the Communist Party’s course to power. Still, the K.K.E. had one more card to play, namely the refugees who had immigrated into Greece from Turkey in the early 1920s. That was due to an agreement concluded by the two countries at Lausanne, Switzerland, in 1923, following the crushing defeat the Greeks suffered at the hands of the Turkish Nationalist Army. In the framework of this agreement, a compulsory exchange of populations was bilaterally agreed; as a result, ca. 1,500,000 people fled from Turkey into Greece.
If truth be told, this exchange had little, if any, relevance with the two involved countries. The crux was Macedonia and the framework, nay, the very basis of the machinations was the famous dogma of Sir Halford Mackinder. According to the latter’s doctrine if the “Slavs.” in practice the Russians, achieved to put under their control the seashore of Macedonia, they would “stand” as “world masters.”[35]
It is certain that Sir Halford Mackinder, one of the founders of the Jewish-run London School of Economics, announced his theory in 1904. Still, this announcement was all but a crystallization of ideas existing long before Sir Halford. For early in the nineteenth century the British Foreign Office already saw in the Ottoman Empire (that ruled Macedonia at that time) a “bulwark against Russian expansion.”[36] The collapse of this “bulwark”, nonetheless, was easily foreseen after the 1878 Berlin Congress. The corollary was that Greeks, under undisputable British influence, should be substituted for the autochthonous Macedonians. Such Greeks would come only from Asia Minor. That is why the 1923 Greco-Turkish “compulsory” exchange of populations was notified in advance by Eleutherios Venizelos as early as 1914.[37] The bulk of Macedonian Moslems (ca. 500,000 people overall) had emigrated into Turkey as soon as the Balkan wars were over. The Greeks, in essence the Christian Orthodox dwellers of Anatolia, were exhorted by the “heads” of their communities to leave their homeland (most likely upon advice of the Greek Orthodox Patriarchate in Istanbul); and so in spite of the entreaties of their Turkish compatriots to stay.[38]
Therefore, the point is that the 1,500,000 people who immigrated into Greece and used to live there in unpredictable misery, were hopeful that they would soon be back in their homeland; but in 1926 their hope proved to be vain. That is why they took up the Communist ideology. The repercussions on Greek politics would be very serious.
In fact, from the early 1920s on the electoral strength of the K.K.E. was steadily rising. From 2% of the electorate in 1929, it attained 5% in 1932, 6% in 1933 and 9.5% in 1935.[39] It was one of the strongest Communist parties in Eastern Europe; and it is an irony that Greece was the sole country to escape from the Iron Curtain.
* * *
In 1941 Greece was occupied by the Axis Powers, namely Germany and Italy. Still, in that very year, on September 27, 1941, the National Liberation Front (Ethniko Apeleutherōtiko Metōpo/E.A.M.) was founded, wherein the K.K.E. was the leading force.[40] On June 7, 1942, moreover, the “armed struggle” against the occupation troops began by the E.A.M.’s “military arm,” namely “People’s National Liberation Army” (Ethnikos Laïkos Apeleutherōtikos Stratos/E.L.A.S).[41] The latter was under a leadership of Arēs Velouchiōtēs, a fortune-hunter who soon proved to be a military genius. From 1943 on, the whole of Greece was ruled by E.A.M. and strictly controlled by E.L.A.S. The Right-wing guerilla forces were speedily and savagely exterminated. The only exception was Epirus, where there flourished a nationalist armed movement, the “National Troops of Greek Partisans” (Ethnikai Homades Hellēnōn Antartōn/E.O.E.A.), guided by Napoleōn Zervas, a commissioned officer of the (regular) Greek Army.
Needless to say that E.A.M./E.L.A.S. were particularly powerful in the very regions where the Th. Grivas’ socialist movement had taken place in the nineteenth century. Still, it is essential to insist on the fact that the Communist-run guerilla troops were substantially assisted by the Greek Orthodox clergy. Even two Metropolitan Bishops overtly adhered to E.A.M.,[42] whilst the rank-and-file of E.L.A.S. included priests in cassocks.[43] The behavior, on the other hand, of the E.L.A.S. troops towards the Orthodox clergy and, generally speaking, the Church was more than kind.[44] For the Communist-run E.A.M. used to see in the Church a pillar of its power.
Thanks to the “Revolution” proclaimed by Arēs Velouchiōtēs already in 1942, ten to seventeen Italian and German divisions were nailed down in Greece early in 1943.[45] So, towering were the ambitions of the Communists: they considered the “struggle” against the occupation troops as the “First Stage” of the “Socialist Revolution in Greece.” Yet they reckoned without their host; and in that very case the “host” was Stalin. In May, 1943, he actually dissolved the Comintern, because “he had never seriously endorsed the [Trotskyite] idea of the World Revolution.”[46] The “dissolution” was, moreover, a friendly gesture to Great Britain and the U.S.A.; for Stalin was already preoccupied with the reconstruction “of his devastated country.”[47]
Late in September, 1944, the Greek Government “in exile” at Cairo was informed that the dogma of Sir Halford Mackinder was again in force. For the British wanted a cordon sanitaire to be formed by the countries on the north-eastern Mediterranean seashore, in order to stop the “Russian expansion.”[48] Such a country was, of course, Greece; and Stalin speedily agreed not to send Soviet troops in the Greek parts of Macedonia and Thrace.[49] In the evening of October 9, 1944, Churchill had a meeting with Stalin in the Kremlin: the agreement was “formally” concluded; and the British Prime Minister stated the following on October 27, in the House of Commons:
Upon the tangled questions of the Balkans, where there are Black Sea interests and Mediterranean interests to be considered, we were able to reach complete agreement and I do not feel that there is any immediate danger of our combined war effort be weakened by divergences of policy or doctrine, in Greece, Roumania, Bulgaria or Yugoslavia and, beyond the Balkans, Hungary. We have reached a very good working agreement about all these countries singly and in combination, in the object of . . . providing . . . for a peaceful settlement after the war is over.[50]
That meant that Greece was to be held under exclusive British control and that Yugoslavia was not going to be encompassed in the “Russian sphere of influence.” As a result, the Russophile E.A.M./E.L.A.S. were abandoned – and the tragedy of the Greek Left began.
* * *
During the operations against the occupation troops, the E.L.A.S. units were abundantly supplied by the British. And when, in October, 1944, the Germans evacuated Athens, the Communists considered the time to be ripe for the power to be seized by themselves. Early in December, 1944, therefore, a huge demonstration took place in the very center of the Greek capital; yet, contrary to what was going on so far, the Police opened fire. It was the beginning of the Civil War or, according to the Communists, the “Second Stage” of the “Revolution.” Churchill was eloquent in Parliament:
So far as has been ascertained the facts are as follows: the Greek Organization called E.A.M. had announced their intention to hold a demonstration on December 3rd. The Greek Government at first authorised this, but withdrew their permission when E.A.M. called for a general strike to begin on December 2nd. The strike in fact came into force early on December 3rd. Later in the morning the E.A.M. demonstration formed up and moved to the principle square of Athens, in spite of Government ban. On the evidence so far available I am not prepared to say who started the firing which then took place. The Police suffered one fatal casualty and had three men wounded. The latest authentic reports give the demonstration’s casualties as 11 killed and 60 wounded.[51]
Moscow remained silent, nay, indifferent.[52] What is more (and strangely enough) the battle in Athens were fought not by the well-trained units of E.L.A.S.[53] but by the latter’s Athens reserves – in fact bands of ill-equipped teenagers who were literally massacred by the British troops then occupying Athens.[54] Even today the accusations of “betrayal” against the 1944 Communist’s leadership are common. Still, the facts are not yet established. Two things are clear, nevertheless: a) the head of the Athens police force at that time, Angelos Ewert, was a British agent;[55] b) the Communist leadership that fled to the U.S.S.R. after the final defeat suffered by K.K.E. armed forces at the hands of the National Army in 1949 were never trusted by Stalin and, as a rule, met a “bad end.”[56]
In January, 1945, an agreement was reached between the British and the Communist troops. The latter laid down their arms, and were given the promise that they could develop freely political activity henceforth. Yet Churchill was determined to have “no peace without victory.”[57] A reign of terror followed;[58] A. Velouchiōtēs was murdered in 1945; and exasperated the Greek Communists triggered off the so-called “Third Stage” of their “Revolution” in 1946. In practice this was one more phase of the Civil War. It was to last until the summer of 1949. The Communist Army was defeated by the well-equipped National one and thanks to Tito’s attitude as well; for the latter, after his rupture with Stalin, overtly toed the line of the Western Powers.
All that time the Russians remained silent; and their “expansion” towards the Mediterranean Sea never took place. Simultaneously, autochthonous Macedonians, of Slavic stock, regarded as “Communists” by the Greek authorities, left their homes and fled either to Yugoslavia or in other countries of the “Iron Curtain.”[59]
Greece was once more a “Western Country.”
As an Epilogue
In April, 1967, two or three days after the military coup, at 2.00’ in the night, there was a ring at the front door. I woke up at once, though I sleep very soundly; I rushed out of my room and I went to look at what was going on.
All my family was up and about: three policemen had entered our home and were searching my father’s bookcase. Needless to say that they were silly people. What were they expecting to find out? The “dangerous” books, viz. the Marxist ones, were already carried by my Mother to the house of her own parents; and no policeman had the idea to search over there. The search, however, was about an hour long; afterwards, the policemen said good bye, and left our home.
That night I slept on my parents’ bed, between my dad and my mother, although I was 15. If truth be told, I was then and there like a baby; and my father kept patting my head, in order to calm me. The day after all our phone communications (either at home or in my father’s lawyer office) were cut off. You can imagine what it means for a barrister not to be able to make a phone call. Fortunately, we were without telephone only a year. For in 1968 we had again the ‘right’ to call up.
It was this way that my High-School classmate and daughter of a leading Communist lawyer, answered to my entreaty. I had asked her to give an account of her experience – in her capacity as member of an influential family of the Greek Left; and she described to me the “most terrifying night” in her life. Her father was the Secretary-General of the E.A.M. in Thessaly; he was sentenced to death by a Court-Martial in the 1940s and he survived thanks to personal and family connections. Yet he was tired by his bitter experience of the “lost Communist Revolution”; and a couple of years following my classmate’s “most terrifying night”, he passed away due to a heart attack.
The military coup in question was the one brought off in Greece on April 21st, 1967. It had little (if anything) to do with Fascism. It is well-established today that its main reason lay in Mackinder’s dogma. The 1967 Six-Day Arab-Israeli War, triggered off in the first decade of June, was in view long before it started. And it was clear that, following either an Arab victory (not likely) or defeat (most possible) the Soviet “presence” in the Eastern Mediterranean would be considerably increased.[60] Meantime, Greece was in a long political crisis; and the political ascendancy of Andreas Papandreou would undoubtedly pave the way for a “mass infiltration” of “Communists”, i.e., Russophile Left-wing people into the Greek State apparatus.[61] That is why the Israelis and the “military establishment” of the United States stirred up the coup and, of course, approved of it, whilst the U.S.A. Department of State disavowed it.[62]
This is the framework wherein the tragedy of the Greek Left took place. The Greek Left knew very little about Marx and Marxism. As a rule, the E.A.M./E.L.A.S. people used to see in Communism a remedy for the traumas that Greek National Life was leaving on their psyche. The refugees from Asia Minor wanted to go back to their “homes” and were frustrated by the foiling of their expectations. The peasants wished to have a less hard life. Educated people, like the father of my classmate, were seeking for the modernization and, if possible, Europeanization of the incredibly archaic social structures of Modern and Contemporary Greek nationhood. Almost the whole of them were conservative householders and good members of Greek Orthodox Church’s congregation. They were engaged in a “Crusade” in order to cure the painful paradoxes of Modern Greece. Yet they did not realize that their “Cross” was lost in the pitiless implementation of Mackinder’s Geopolitics.
Notes
[1] Correspondance du comte Capodistria, président de la Grèce, I (Geneva : Cherbouliez, 1839), p. 265.
[2] See Dimitris Michalopoulos, “The Enlightenment, the Porte and the Greek Church: A Paradox of Balkan History”, in Seyfi Kenan (ed.), The Ottomans and Europe. Travel, Encounter and Interaction (Istanbul: ISAM, 2010), pp. 449-468
[3] Ariadna Camariano-Cioran, Les académies princières de Bucarest et Jassy et leurs professeurs (Salonika : Institute for Balkan Studies, 1974), p. 181.
[4] Cléobule Tsourkas, Les débuts de l’enseignement philosophique et de la libre pensée dans les Balkans. La vie et l’œuvre de Théophile Corydalée (Salonika : Institute for Balkan Studies, 19672), p. 192.
[5] Ibid., p. 22.
[6] Steven Runciman, The Great Church in Captivity. Translated into Greek by N. K. Paparrodou (Athens: Bergadēs, 1979), p. 489.
[7] Ibid.; C. Tsourkas, Les débuts de l’enseignement philosophique…, p. 195; cf. Ariadna Camariano-Cioran, Les académies princières…, p. 181.
[8] Vasileios Stauridēs, Historia tou Oikoumenikou Patriarcheiou, 1453-sēmeron (= History of the Ecumenical Patriarchate, 1453-today), Salonika: Kyriakidēs Bros, 1987, p. 40.
[9] “Kyrillos I Loukaris” (= Cyril I Lucar), Encyclopedia Papyros-Larousse-Britannica (in Greek), vol. 37th (Athens: Papyros, 1989), p. 50.
[10] V. Stauridēs, Historia tou Oikoumenikou Patriarcheiou…, p. 49.
[11]“Kyrillos I Loukaris”, Encyclopedia Papyros-Larousse-Britannica, vol. 37th, p. 50.
[12] Ibid.
[13] V. Stauridēs, Historia tou Oikoumenikou Patriarcheiou…, p. 40.
[14] S. Runciman, The Great Church in Captivity, p. 475ff.
[15] Cl. Tsourkas, Les débuts de l’enseignement philosophique…, pp. 78-80.
[16] Ibid., p.76.
[17] Ibid., p. 103.
[18] N. Iorga, Byzance après Byzance (Bucharest : Association International d’Études du sud-est européen. Comité national roumain, 1971), pp. 212-213; Cl. Tsourkas, Les débuts de l’enseignement philosophique…, p. 173.
[19] Ariadna Camariano-Cioran, Les académies princières…, pp. 363-373, 667.
[20] Dimitris Michalopoulos, Fallmerayer et les Grecs, Istanbul : Isis, 2011.
[21] Archives des Affaires étrangères (Paris [hereafter : AAE]), Mémoires et documents. Grèce, vol. 7 (1830-1862), f. 212r.; D. Michalopoulos, Vie politique en Grèce pendant les années 1862-1869 (Athens : University of Athens/Saripoleion, 1981), pp. 52-55.
[22] AAE, Correspondance politique, Grèce, vol. 85 (novembre-décembre 1862), ff. 46v., 85r., 102v.
[23] Panos Lagdas, Arēs Velouchiōtēs . Ho prōtos tou agōna (=Arēs Velouchiōtēs. The First one in the [Armed Communist] Struggle), vol. I (Athens: Kypselē, 1964), p. 121.
[24] Dēmētrēs Livieratos, Pantelēs Pouliopoulos. Henas dianooumenos epanastatēs (=Pantelēs Pouliopoulos, an Intellectual Revolutionary), Athens: Glaros, 1992, p. 23.
[25] D. Livieratos, Pantelēs Pouliopoulos…, p. 25ff.
[26] Ibid., pp. 27-28.
[27] Ibid., p. 30.
[28] Ibid., p. 35.
[29] Pantelēs Pouliopoulos, Dēmokratikē ē Sosialistikē epanastasē stēn Hellada, Athens, 19662.
[30] Ibid., pp. 181,191.
[31] Dimitris Michalopoulos, « La Roumanie et la Grèce dans la Seconde Guerre mondiale », Revue Roumaine d’Histoire (Bucharest), tome XLIII (2004), pp. 227- 229.
[32] D. Livieratos, Pantelēs Pouliopoulos…, pp. 87-90.
[33] Andreas Papandreou, Democracy at Gunpoint. The Greek Front (Penguin Books, 1973), pp. 68, 70.
[34] Oral testimony by Aikaterinē Anastasiadou, sister of P. Pouliopoulos’ wife (1996).
[35] Orestēs E. Vidalēs, To synchrono geōpolitiko perivallon kai hē ethnikē mas politikē (= The Contemporary Geopolitical Environment and [Greek] national policy), Athens: Hellinikē Euroekdotikē, 1988, p.23ff.
[36] Theophilus C. Prousis, Lord Strangford at the Sublime Porte (1821): The Eastern Crisis (Istanbul: Isis, 2010), p. 38.
[37] Eleutherios Venizelos Papers (Athens), I/35/1, E. Venizelos to the Greek minister at Bucharest (Athens, late in 1914). Published in : Dimitris Michalopoulos, Attitudes parallèles. Éleuthérios Vénisélos et Take Ionescu dans la Grande Guerre (Athens : Historical Institute for Studies on Eleutherios Venizelos and his Era, 2008), pp. 35-36.
[38] Markos Vafeiadēs, Apomnēmoneumata (= Memoirs), vol. I (Athens : Diphros, 1984), p. 44.
[39] Sp. Linardatos, Pōs eftasame stēn 4ē Augoustou (= How did we reach on August 4th), Athens: Themelio, 1965), pp. 61, 152.
[40] Dionysēs Charitopoulos, Arēs, ho archēgos tōn ataktōn (= Ares, Leader of the Irregulars), vol. I (Athens: Exantas, 1997), p. 71.
[41] P. Lagdas, Arēs Velouchiōtēs…, vol. II (Athens : Kypselē, 1964), pp. 15-21.
[42] D. Charitopoulos, Arēs…, vol. I, 453-454; vol. II (Athens: Exantas, 2004), pp. 249, 260.
[43] Ibid., vol. I, pp. 398-400; vol. II, pp. 53-54, 249.
[44] Ibid., vol. I, p. 400; P. Lagdas, Arēs Velouchiōtēs…, vol. II, pp. 239-240.
[45] Archives of the Foreign Ministry of Greece (hereafter: AYE), Archeion presvy Athanasiou Politē (= Ambassador Athanasius Politēs’ Papers), 9, A. Politēs, Greek ambassador to the Soviet Union, to the Greek Government at Cairo, telegram No. 44, Kuibyshev, February 14, 1943; and telegram No. 123, Kuibyshev, April 8, 1943.
[46] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 9, A. Politēs to the Greek Government at Cairo, telegram No. 229, Kuibyshev, May 26, 1943.
[47] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 9, A. Politēs to the Greek Government at Cairo, telegram No. 240, Kuibyshev, June 4, 1943.
[48] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, the Press Office of the Greek Government at Cairo, to A. Politēs, telegram No. 617, Cairo, October Ist, 1944.
[49] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, the Press Office of the Greek Government at Cairo, to A. Politēs, telegram No. 422, Cairo, October 2, 1944.
[50] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, “The Prime Minister’s statement on the Moscow talks… Issued by the Press Department of the British Embassy”, Moscow, Saturday, October 28, 1944.
[51] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, “Prime Minister’s answer in Parliament…to question about incidents in Athens on December 3rd.”
[52] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, A. Politēs to the Foreign Ministry of Greece, dispatch 1204/E, Moscow, December 4. 1944.
[53] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 10, Dēmētrios Pappas, Greek Ambassador in Cairo, to A. Politēs, dispatch No. 6113, Cairo, December 22, 1944.
[54] Ibid.
[55] Sp. V. Markezinēs, Synchronē Politikē Historia tēs Hellados, 1936-1975 (= Political History of Contemporary Greece, 1936-1975), vol. III (Athens: Papyros: 1944), p. 56 (note 40).
[56] N. I. Mertzos, Svarnout. To prodomeno antartiko (= Svarnout. The Betrayed Guerilla), Salonika, 19846, pp. 10-11.
[57] Sp. V. Markezinēs, Synchronē Politikē Historia tēs Hellados…, vol. II (Athens: Papyros, 1994), pp. 38-39.
[58] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 11. (A file full of Tass bulletins concerning the situation in Greece.) Oral testimonies recollected by the author of these lines as well.
[59] AYE, Archeion presvy Athanasiou Politē, 11, A.Politēs to the Foreign Ministry of Greece, dispatch No. 1032/C, Moscow, September 17, 1945. (According to the Tass Agency, reliable in that case.)
[60] AYE, 1967, 2.4, “The Middle East Crisis.” Memorandum signed by D. N. Karagiannēs, ref.number GMA35-1368, Athens, August 5, 1967.
[61] AYE, 1967, 5.1, Colonel Iōannēs Sorokos, military attaché of the Greek Embassy in Washington, to the Greek Ambassador to the U.S.A., No. 1312/0009, Washington, D. C., May 10, 1967.
[62] Ibid.; Alexandros Matsas, Greek Ambassador in Washington, D.C., to the Foreign Ministry of Greece, dispatch No. 1674, Washington, D.C., May 19, 1967.
Source: Ab Aeterno no. 13, October-December, 2012.
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Viktor Orban in Moscow
Viktor Orban in Moscow
Ex: http://www.strategic-culture.org |
The first EU-Serbia intergovernmental conference coming up in January is supposed to demonstrate the progress of Serbia's application to join the European Union. «Serbia must continue the reforms it has begun, the results of which will be a key indicator in assessing the integration process», stated the European Parliament Committee on Foreign Affairs. At the same time, in a discussion on Serbia's European prospects, members of the European Parliament hailed the local elections held in Kosovo in late 2013 as «a big step forward on the path to democracy». The politicization of Serbia's application to join the EU is obvious. This refers to the socioeconomic requirements being made of Belgrade and recommendations to revise the parameters of cooperation with Russia in the energy field, as they do not conform to the spirit of the European Union, the Energy Charter and the Third Energy Package. However, how can one talk about «nonconformity» if within the EU itself the approaches of individual countries to choosing an energy policy are increasingly different? The European Union is not a monolith. A number of its member countries have already made it clear that they do not plan to uncomplainingly follow the directives of Brussels in the energy field, although they do not call their EU membership into question (at least, not yet). At the very moment when the European Parliament members in Strasbourg were starting their discussions at their winter session, Hungarian Prime Minister Viktor Orban arrived in Moscow for a working visit... Over the past two decades, relations between Russia and Hungary have seen complicated periods. There have been both actions of the Hungarian government against Russian oil and gas companies (mainly against Surgutneftegaz) and attempts by Budapest to play a «double game» on the energy field. However, in the last few years relations have been improving. Viktor Orban's working visit to Moscow in January 2013 was a momentous occasion. At that time, during his meeting with Russian President Vladimir Putin, the head of the Hungarian government suggested that Russia participate in the modernization of Hungary's energy system. And now these plans are beginning to be implemented. According to Sergei Kirienko, the head of the state corporation Rosatom, nuclear energy is becoming an important area of bilateral Russian-Hungarian cooperation. «Negotiations with Hungary are in the active stage», stated Kirienko. This refers to Russia's participation in building two new power producing units at Hungary's Paks nuclear power plant (in addition to the existing four which were built with the help of the USSR) with a total output of 2500-3400 MW. The contract is valued at 10 billion dollars. «Over 40 percent of the work volume», according to V. Putin, «is to be done by the Hungarian side. This means that approximately three billion dollars will be allocated for supporting jobs in Hungary, and tax revenues alone will come to over a billion dollars.» And if one adds the agreements reached by Moscow and Budapest in late 2013 on strict adherence, regardless of possible complications, to the previously agreed-upon schedule for the construction of the Hungarian part of the South Stream gas pipeline and the start of Russian gas deliveries to Hungary in early 2017, one must acknowledge that cooperation between Russia and Hungary in the energy field is becoming a strategic partnership. There are two main reasons for the progressive development of relations between Russia and Hungary. The first is connected with tension in the relations between Budapest and Brussels. Pressure from EU leadership on Hungary has become increasingly overt over the past few years, touching on both the state sovereignty of Hungary and the sentiments of its people. It is sufficient to recall the improvisations of German politicians with regard to the need to send paramilitary units to Hungary or the proposal discussed in the European Commission to impose sanctions on Budapest for peculiarities of Hungarian national legislation which did not please Brussels. In the eyes of Hungarians, all of this has significantly reduced the attractiveness, to put it mildly, of the European Commission's recommendations in other areas as well, including energy. Furthermore, why not follow the example of German business in this matter? In recent years it has been conducting an independent policy of cooperating with Russia in the energy field. This refers, in particular, to the recent withdrawal of the German energy holding RWE from the Nabucco project. Furthermore, Russian-Hungarian cooperation has a good financial and economic basis. Russian proposals are simply more profitable, well-planned and serious than similar proposals from Western companies. This is proven by a simple fact: today Russia supplies 80% of oil and 75% of natural gas consumed in Hungary. As the Hungarian press acknowledges, among all the candidates for the contract, only Rosatom is prepared to provide appropriate preliminary financing for the project to develop the Paks nuclear power plant. At first the French company Areva and the Japanese-American company Westinghouse planned to take part in the tender, but Hungary never received any concrete proposals from them. The Russian corporation, on the other hand, proposed terms which serve the interests of the Hungarian side. It must be said that Hungary's interest in developing atomic energy does not exactly suit the priorities of the European Union, where many are dreaming of a «shale revolution», which would bring Europe no less, but rather more, of an ecological threat than a nuclear plant. The Hungarian government's stake on the development of nuclear energy, observing, of course, all safety requirements, is an important step on a Europe-wide scale. As shown by Russia's cooperation with other countries, in particular Iran, Russian proposals fully meet safety requirements. So the energy alliance of Moscow and Budapest may serve as an example for other European countries. |
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vendredi, 17 janvier 2014
NSA : Allemagne et USA dans un tunnel
NSA : Allemagne et USA dans un tunnel
Le grand quotidien allemand Süddeutsche Zeitung (SZ) donne des détails importants, à partir de sources de première main, sur les négociations entre les USA et l’Allemagne concernant les activités d’espionnage, de surveillance et d’écoute de la NSA en Allemagne. (On connaît la position en flèche de l'Allemagne à cet égard [voir le 12 décembre 2013et le 20 décembre 2013].) Ces informations sont prises avec d’autant plus d’attention que le quotidien SZ a une réputation considérable de sérieux et une influence à mesure, largement répercutée par son tirage important. Pour ce cas précis de la crise Snowden/NSA, le SZ n’a pas l’habitude de diffuser des informations polémiques, ni de faire dans un anti-américanisme militant, par conséquent les indications qu’ils donnent doivent d’autant plus être considérées avec préoccupation par ceux qui espèrent un arrangement Allemagne-USA.
Le 14 janvier 2014, Russia Today a consacré un article aux informations du SZ, dont le titre annonce clairement l'humeur (“Les Amérticains nous mentent”). «Tuesday’s edition of Süddeutsche Zeitung daily came out with the headline ‘The Americans lied to us’. The German daily was quoting an unnamed high-ranking local official who claimed that even in the wake of the recent scandal, when it emerged that the NSA had been tapping the mobile telephone of German Chancellor Angela Merkel, the White House would not promise to stop listening to German politicians’ phone calls. [...]
»According to Süddeutsche and a report on public broadcaster NDR, during the negotiations the US officials were expected to give German counterparts access to the alleged listening station, believed to be on the top floor of the US embassy in Berlin, and to shed light on how long Merkel’s phone had been monitored and whether she was Germany's only key politician to be targeted. Süddeutsche has quoted a “German expert familiar with the state of the negotiations” as saying “we're getting nothing.” As a result, according to the newspaper, the head of Germany’s foreign intelligence agency (BND) Gerhard Schindler stated that if things don't improve, he would prefer not to sign the deal at all.»
Reuters publie un article, ce même 14 janvier 2014, où le caractère abrupt des mauvaises nouvelles des négociations est démenti ou du moins édulcoré par le ministre de l'intérieur, sans pour autant donner de précisions rassurantes. Le SZ n’est pas nommé, ce qui permet d’éviter une éventuelle polémique avec le quotidien et semblerait confirmer implicitement ou indirectement au moins les difficultés de la négociation. L’agence Reuters obtient elle-même des précisions officieuses allemandes qui ne sont pas plus optimistes, tandis que les déclarations du côté US restent également très imprécises.
«A government source in Berlin told Reuters the United States remained interested in a deal but was loath to give a blanket pledge not to try to monitor government members. Caitlin Hayden, a spokeswoman for the U.S. National Security Staff at the White House said discussions with Germany so far had yielded “a better understanding of the requirements and concerns that exist on both sides”. “Such consultations will continue among our intelligence services as a part of our shared commitment to strengthen our practical cooperation in a manner that reflects the shared threats we face, the technological environment in which we operate, our close relationship with one another, and our abiding respect for the civil and political rights and privacy interests of our respective citizens,” Hayden told Reuters.
»German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier said on Tuesday he was anything but relaxed about the matter but there was still time to make progress. “A next step will be that we look at the reforms to be announced by President Obama with regard to limiting the activities of intelligence agencies.”
A côté de ces prises de position incertaines mais qui tentent d’écarter l'impression selon laquelle SZ a donné des indications réellement significatives, des réactions officielles d’hommes politiques à propos de l’article incriminé finissent par donner à celui-ci, au contraire, toute l’apparence de sérieux et de fondement qui importe. On trouve là des indications plus justes de l’intérêt qu’il faut accorder aux nouvelles donn,ées : les négociations entre les USA et l’Allemagne, concernant les garanties demandées par les Allemands, ne progressent pas, au point que l’on peut parler d’une impasse.
«Lawmakers in Berlin reacted sharply to the Sueddeutsche report with several who are in Merkel's grand coalition warning of consequences if the talks collapse. “The Americans understand one language very well – and that's the language of business,” said Stephan Mayer, a senior lawmaker in the ranks of Merkel's conservatives. He told Reuters that if the deal fails, Germany should consider barring U.S. companies from getting public sector contracts because it could not be ruled out that U.S. contractors would engage in espionage activities. “I would want to pull out this sword that there could be economic sanctions at stake here,” Mayer said.
»Michael Hartmann, a senior Social Democrat lawmaker, also called for sanctions if the talks unravelled. “If these reports are true I can only warn the Americans that they haven't heard the explosion over here,” Hartmann told German radio. “We're not going to allow millions of Germans, right up to the chancellor, to be eavesdropped on. We have to tell the United States that U.S. companies operating in Germany and can't guarantee the security of our data will not get any contracts from us anymore.”»
Un expert allemand consulté par Reuters, Sancho Gaycken, donne l’appréciation cynique habituelle, à savoir qu’un accord de limitation et de contrôle des écoutes de surveillance et d’espionnage est impossible à atteindre en pratique technique, que tout le monde le sait, et que si même il y a accord personne n’aura aucune confiance en lui. («It's a naive to think a ‘no-spy’ deal would be possible but there's no harm raising the issue. It's not terribly surprising. Not many people really expected it would happen and even if there was a deal, would anyone really trust it?»)
L’appréciation de Gaycken n’a guère d’intérêt, comme en général celles de spécialistes dans ce genre d’affaires, lorsqu’ils prétendent donner des avis techniques d’où l’on pourrait sortir des appréciations politiques. La question n’est donc pas de savoir si un accord qui serait atteint serait éventuellement et effectivement efficace, ou si un accord éventuellement et effectivement efficace pourrait être atteint, ou si encore un accord effectif aurait la confiance de quiconque quant à sa validité. En un sens, ce que dit Gaycken est une évidence dont tous les Allemands sont évidemment informés depuis l’origine de cette affaire. Ce qu’il importe de savoir, c’est bien le but de la démarche allemande, c’est-à-dire de savoir si les dirigeants allemands considèrent comme un objectif de sécurité nationale de décréter que tout doit être fait pour assurer des mesures de défense effectives contre la NSA, – en d’autres mots, si oui ou non les activités de la NSA doivent être appréciées comme des activités “hostiles” et traitées comme telles.
Une indication à ce propos est la remarque faite par le ministre allemand des affaires étrangères, qui reflète le malaise, ou la détermination c’est selon, des dirigeants politiques allemands. La remarque renvoie l’ensemble de la problématique, et notamment les négociations entre l’Allemagne et les USA, vers le débat politique intérieur US à ce sujet, notamment le débat entre le président et le Congrès où une partie importante des parlementaires réclame des mesures décisives de “réforme“ de la NSA. Si les mesures que va annoncer Obama vis-à-vis de la NSA sont sérieuses, les Allemands devraient estimer qu’il existe une possibilité que la NSA soit effectivement contrainte, sur instruction politique, de limiter elle-même ses activités. Dans le cas contraire, si les mesures annoncées par Obama s’avéraient être de type “cosmétiques”, les négociations entre les USA et l’Allemagne devraient alors effectivement conduire à un échec. De ce point de vue, les indications données par SZ sont certainement justes, parce qu’effectivement ces seules négociations ne pourront aboutir à quelque résultat que ce soit, et il est donc logique que les négociateurs allemands n’obtiennent rien de sérieux de leurs interlocuteurs. Par conséquent, si Obama ne donne pas satisfaction (et aux critiques US de la NSA, et aux attentes des Allemands), les négociations déboucheront sur une absence d’accord et l’Allemagne reprendra complètement sa liberté.
... “Reprendre sa liberté”, pour l’Allemagne, cela signifie se juger fondée de prendre toutes les mesures défensives possibles, avec notamment des ruptures de collaboration avec les firmes US, l’établissement de nouveaux réseaux, etc. Mais ces mesures techniques, à l’efficacité discutable, ne constitueraient dans ce cas qu’une partie mineure des réactions auxquelles seraient conduits sinon contraints les dirigeants allemands, tant par leur opinion publique, que par leurs industriels, que par leurs bases politiques au niveau parlementaire, voire par leurs services de sécurité nationale si ceux-ci ont été mis dans une position où ils doivent tenter d’obtenir des résultats effectifs de protection face à la NSA. Cela signifie qu’effectivement, la NSA et ses activités seraient décisivement considérées comme “hostiles”, et cette évolution au départ technique et de communication prendrait nécessairement une dimension politique. Elle interférerait sur les relations USA-Allemagne, et sur les relations transatlantiques qui vont avec, en introduisant dans toutes les nombreuses relations de sécurité qui existent un doute et un soupçon fondamentaux, et jusqu'à des mesures de prise de distance qui auraient des allures parfois proches d'une rupture.
SZ n’a fait que nous avertir que tout le monde attend Obama, parce qu’on ne peut faire autrement qu’attendre Obama et ses décisions. Accessoirement, l'article de SZ, si les services de communication US s'en sont avisés jusqu'à le faire traduire, permet indirectement d’avertir Obama que les Allemands attendent très sérieusement des mesures concrètes contre la NSA... Cela n’est pas nécessairement, ni rassurant, ni prometteur du point de vue de la cohésion interne du bloc BAO, de l’Allemagne et des USA dans ce cas ; après tout, l’on pourrait reprendre la déclaration de Gaycken à propos de la décision d’Obama, en remplaçant le mot “deal” par le mot “decision” (“It's a naive to think a ‘no-spy’ [decision] would be possible ... It's not terribly surprising. Not many people really expected it would happen and even if there was a [decision], would anyone really trust it?»).
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jeudi, 16 janvier 2014
Beppe Grillo demande le boycott des journaux qui désinforment
Italie: Beppe Grillo demande le boycott des journaux qui désinforment
Le comique italien Beppe Grillo (un mélange de Coluche et de …Dieudonné) dénonce depuis longtemps la presse italienne soupçonnée de mettre sous silence ou de déformer ses propos. Il a franchi un pas de plus en demandant expressément de ne plus acheter deux quotidiens La Nazione et La Repubblica.
La Nazione est le plus ancien quotidien régional d’Italie, basé à Florence et réputé proche de Matteo Renzi, maire de Florence et nouveau secrétaire du Parti Démocratique (PD, gauche). Dans un graphique reprenant les résultats électoraux les plus récents, La Nazione a purement et simplement « oublié » le Mouvement 5 Étoiles (M5S) de Beppe Grillo pourtant premier parti italien (hors coalitions) aux élections de février 2013 ! Le M5S est classé avec les « autres » y compris des mouvements qui n’ont eu aucun élu, alors qu’il est largement représenté à la Chambre comme au Sénat…
Plus subtile, La Repubblica, premier quotidien national italien et proche de la gauche, manipule l’information dans un article du 10 janvier pour induire que le Mouvement 5 Étoiles ne tient pas ses promesses. Beppe Grillo a toujours refusé le remboursement des dépenses électorales sur l’argent public. Un article indique le contraire précisant que le M5S a perçu 600 000 euros au titre du remboursement. Il faut lire une toute petite note en bas de page pour y apprendre : « remboursements non utilisés par décision du Mouvement 5 Étoiles ». Factuellement, le journal n’a ainsi rien à se reprocher, il a livré toute l’information, mais la présentation induit évidemment (intentionnellement ?) le lecteur en erreur.
Grillo dénonce une « désinformation méthodique, chirurgicale, répétée qui dénote un comportement volontaire qui ne laisse rien au hasard. Un comportement maniaque, pathologique … celui de la désinformation ».
Heureusement, rien de tel ne pourrait arriver en France, bien entendu…
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mercredi, 15 janvier 2014
France and Saudi Arabia: The Union of “Misfits”
France and Saudi Arabia: The Union of “Misfits”
While the international community summarizes the achievements of the year 2013, exerting even further efforts in reducing the risk of the armed violence spread in the Middle East (especially in Syria , as well as through the settlement of the Iranian nuclear program stand-off) , the head of the Elysee Palace decided to put a rather peculiar final chord to his political activities of the last year.
He chose not to bother himself with peaceful initiatives, especially with those that could improve the social life of the French residents, which those residents have been waiting for since the day of his inauguration. That’s a funny fact if we are to take into consideration that the siting French President represents the socialist party, which by definition should be close to the day-to-day problems of the ordinary working people. And the people decided to pay the President with the same disrespect they’ve been treated with, this fact was established by the poll conducted in late December 2013 by BFM-TV-RMC. This poll showed that Francois Holland was supported by 2% of the French population, which means that the rest 98 % didn’t show any trust for him. The results despite the “devotion to democratic principles” Francois Holland has named as his top priority were banned by Elysee Palace.
Francois Hollande decided to end the year 2013 with a trip to Saudi Arabia , thereby securing the alliance of the two»» nations “rejected” by the United State and a number of other countries. These two have ultimately failed to understand the causes and the significance of the events that occurred at the end of the year in the Middle East therefore they were not able to adapt to the new reality . Another reason for becoming “misfits” is the eagerness the Elysee Palace and Riyadh has shown in staging the chemical provocations in Damascus along with the massive support these countries have shown to the Syrian militants , allowing the spread of Wahhabi ideas not across the Midlle East alone, but in France itself .
According to many political analysts, Hollande has today become the most loyal ally of Saudi Arabia in its attempts to strengthen the so-called ” Sunni arc ” in the fight against Shiite Iran and Syria. The key role in this fight is place by Lebanon and “Hezbollah”. Currently, “the misfits” share a number of foreign policy goals. It’s the tough position the two take on the Syrian issue and the idea of Bashar Assad’s toppling. It’s the views they share on the Iranian nuclear programme, in an effort to reduce the influence Iran enjoys in the region . The blind support Elysee Palace has been showing to Riyadh, can be explained, to some extent , by the famous generosity of the Saudi royal family members and the most generous of them all the head of Saudi intelligence services – Prince Bandar bin Sultan. Foreign politicians can expect substantial cash donations and diamond offerings if they are to support the Saudis and their Wahhabism. It allows Riyadh to manipulate Washington and Paris at their own will.
So, on 29 and 30 December Hollande flew to Saudi Arabia to take a good care of the military industry people that had brought him to power in the first place. On this trip he was accompanied by four of ministers and a group of 30 entrepreneurs.
The main goal of this trip – to secure bilateral strategic cooperation, to sign contracts for supplying the Sunni forces in Lebanon with even more firearms. The same very forces that have been fighting back to back with the Syrian armed opposition in a bloody war against the regular troops that defend their own country, against Syrian officials. Another goal of Hollande’s trip is to establish a close partnership in the intelligence field.
During the negotiations Saudi Arabia consented to allocate $ 3 billion to buy French weapons that would end up in the hands of the Lebanese Army. It is noteworthy that this financial “aid” amounts for two military budgets of Lebanon , that is a former French colony, just like Syria. However, this military aid to Beirut provided by Riyadh and Elysee Palace , aimed primarily at fighting the Lebanese “Hezbollah” will be of little to no help to the international efforts of reducing the regional tension, it wouldn’t be of any use either in promoting the authority of the Lebanese “sponsors” in Lebanon itself and in the Middle East in general.
It’s not that “Hezbollah” is on the side of the common enemy of Paris and Riyadh – President Bashar al-Assad . This new supplies will only further enhance the struggle between Sunnis and Shiites. The region itself will be militarized even further at the expense of the French arms and Saudi money. The ultimate goal of such a generous “gift” is to spread the Wahhabi ideas in Lebanon, which has not fully recovered from a 15 years long civil war . After all, today in the Sunni areas of Lebanon — the largest cities of the country – Tripoli and Sidon are facing a rise of Islamist rhetoric and Al Qaeda is gaining followers there on a daily basis, writes the Lebanese newspaper Al-Akbar.
However , in addition to this transaction , the leaders of France and Saudi Arabia discussed other aspects of bilateral military cooperation, clearly not designed to administer affairs of peace and actively prepare for a regional war . This is primarily a contract for 4 billion euros to modernize the French missiles Crotale ground -to-air with the French firm Thales. Negotiations on this issue for a long time been blocked due to lack of consent on the part of the Saudi elite, but this particular visit to the CSA became a new impetus to this cooperation , especially since the main competitors of French manufacturers in this issue – the U.S. – has somewhat cooled to Saudis .
As for the cooperation of the intelligence services of the two countries and the exchange of “mutual interest to intelligence information ,” France is planing to sell Riyadh the same type of a spy satellite that was sold by Astrium and Thales Alenia Space in the United Arab Emirates last summer. With this “tool” Saudi Arabia will be able to improve significantly the “effectiveness” of its intelligence services and monitor the activities of the armed forces of the enemy in the region. French ship and machine builders (DCNS, Thales and MBDA) received an order to strengthen the kingdom’s submarine fleet, to modernize the Saudi Navy frigates that would on par with Saudi petrodollars be protecting and promoting the Wahhabi values. France has also got a contract to equip the National Guard of the kingdom, as for the project of constructing 16 nuclear reactors on the Saudi soil, this part of the deal is still being negotiated.
Francois Hollande has stated in Riyadh that Saudi Arabia was a “leading partner of France in the Middle East” with a trade turnover of 8 billion euros in 2013, 3 of which is a share of French exports. The “holiday trip” can bring the French military-industrial people, as some experts believe, a hefty income of 250 billion euros over the next 7-10 years.
However, according to a number of experts, a considerable flow of French arms to Lebanon at the expense of the Saudi royal family can not be regarded as nothing else than a direct intervention of Paris and Riyadh in the affairs of this state, despite the publicly declared position of Francois Hollande and his foreign minister — Fabius that “France seeks to ensure the regional stability and security”. The Saudi efforts at fueling the regional conflicts in Iraq and Syria , and now being “allocated” to Lebanon .
Meanwhile, Damascus believes that if regional and Western states will stop providing the financial and military aid to the armed and terrorist groups that operate in Syria and in the neighboring countries, the violence in the region, will ultimately cease, giving way to the assembly of the “Geneva-2” international conference, said Syrian Ambassador to Russia Riad Haddad to NEO.
Vladimir Odintsov, political commentator and special contributor to the online magazine “New Eastern Outlook”.
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mardi, 14 janvier 2014
1972/2014 : Idéologie «antiraciste», la grande catastrophe!
1972/2014 : Idéologie «antiraciste», la grande catastrophe!
ex: http://www.polemia.com
« Un peu de modestie, de finesse, d’autocritique et de repentance seraient sûrement bienvenues »
♦ En 1972 la France était un pays indépendant, unitaire, fier de son passé et où les libertés étaient respectées. Quarante ans plus tard, l’idéologie nationale héritée de la monarchie, de la République et actualisée par le gaullisme a été remplacée par l’idéologie « antiraciste ». Les résultats sont désastreux : immigration de masse peu assimilable, société multiconflictuelle, perte du sens commun, alignement de la politique extérieure sur des intérêts étrangers, censure à répétition. Comment en est-on arrivé là ?
Jean-Yves Le Gallou fait le point pour Polémia.
1972: Alors que le président Pompidou est fragilisé par sa non-participation à la Résistance de 1940 à 1944, deux événements majeurs surviennent : le Parlement vote à l’unanimité la loi Pleven qui introduit – au nom de la lutte contre le « racisme » – le délit d’opinion dans la grande loi sur la liberté de la presse de 1881 ; les médias lancent « l’affaire Touvier », du nom de ce milicien protégé par l’Eglise catholique. Les deux piliers de l’antiracisme – pénalisation des opinions dissidentes, culpabilisation du passé français – sont ainsi posés.
1980: L’attentat contre la synagogue de la rue Copernic est attribué de manière purement mensongère par les médias à « l’extrême droite ». Jean Pierre-Bloch, patron de la LICRA, met en cause le « climat » : climat intellectuel pour aboutir à la neutralisation idéologique du Figaro-Magazine de Louis Pauwels, porteur d’une vraie pensée alternative ; climat politique visant la politique proche-orientale de Valéry Giscard d’Estaing jugée pas assez favorable à l’Etat d’Israël.
« L’antiracisme » est instrumentalisé par les socialistes et par certains milieux juifs (Le Renouveau juif d’Hajdenberg notamment) pour aboutir à l’élection de François Mitterrand en 1981.
1984/1985 : Fondation de SOS-Racisme, officine gouvernementale créée depuis l’Elysée par Jean-Louis Bianco, secrétaire général de la présidence, assisté d’un jeune conseiller… François Hollande en s’appuyant sur Eric Ghebali et Julien Dray de l’Union des étudiants juifs de France (UEJF) et Bernard-Henri Lévy. Les objectifs de SOS-Racisme sont à la fois idéologiques et politiques : promouvoir une société multiculturelle, culpabiliser et scinder la droite, encadrer et contrôler les populations issues du Maghreb (pour les faire « bien » voter tout en évitant une dérive pro-palestinienne).
1986: La mort de Malik Oussekine, un Franco-Maghrébin sous dialyse, à l’occasion des manifestations contre la loi Devaquet, débouche sur une campagne de sidération médiatique. Celle-ci contraint le gouvernement Chirac à renoncer à ses projets, notamment quant à la protection de la nationalité française. A cette occasion le lobby « antiraciste » prend la main de manière définitive sur la droite parlementaire.
1990: Alors qu’il existe 300 profanations de cimetière par an, la dégradation du cimetière juif de Carpentras fait l’objet d’une manipulation médiatique sans précédent. L’ensemble de la classe politique officielle défile sous le parrainage des associations « antiracistes » et d’organisations juives. Deux objectifs sont atteints : la consolidation du fossé entre le FN et le RPR/UDF ; le vote de la loi Gayssot faisant de l’analyse historique critique de la « Shoah » un délit de blasphème.
1993/1998 : Poursuites et condamnations de Maurice Papon pour « crime contre l’humanité ». La condamnation de Papon, haut fonctionnaire français, préfet de police du général De Gaulle (qui lui conféra le grade de commandeur de la Légion d’honneur), député RPR, ministre de R. Barre, est un acte essentiel : c’est l’extension à l’Etat français, en 1998, de la culpabilisation imposée à l’Allemagne en 1945. Cela a aussi pour conséquence le désarmement moral de l’appareil d’Etat face à l’immigration : les associations « antiracistes » empruntant volontiers la figure du juif comme bouclier pour les immigrés clandestins.
2001 : Première loi Taubira, loi mémorielle définissant comme crime contre l’humanité les traites négrières (occidentales seulement) et l’esclavage.
Années 2000/2010 : Pendant longtemps le combat « antiraciste » a été mené par les associations spécialisées (LICRA, MRAP, LDH et SOS-Racisme) bénéficiant d’importantes subventions publiques nationales et locales et recevant des dommages et intérêts de leurs procès; à partir des années 2000, certaines institutions juives prennent directement le relais. Lors de son dîner annuel, avec un parterre plus brillant que pour la Fête nationale du 14 juillet, devant les plus hautes autorités de l’Etat, de la justice, de l’économie et des médias, le CRIF (Conseil représentatif des institutions juives de France) fixe la feuille de route : promotion de la société multiculturelle, renforcement de la législation et de la lutte « antiraciste », notamment sur Internet, soutien indéfectible à l’Etat d’Israël et lutte contre les pays qui y sont réputés hostiles.
Années 2000/2010 (bis) : Adoption d’un mode opératoire comparable au CRIF par le CFCM (Conseil consultatif du culte musulman) et le CRAN (Conseil représentatif des associations noires). Prise en tenaille des Français de souche.
Fin des années 2000/début des années 2010 : L’UEJF prend la tête du combat judiciaire pour obtenir la mise en place d’une censure publique, voire privée, sur Internet.
Le lobby « antiraciste » : fabuleux pouvoir et fabuleux échec
Après 40 ans de grandes manœuvres « antiracistes », le bilan est désastreux.
Pour les libertés d’abord, avec la multiplication des lois liberticides. Dans tous les classements internationaux portant sur la liberté d’expression la France figure parmi les plus mauvais élèves : entre la 40e et la 50e place pour la liberté de la presse selon Reporters sans frontières ; en troisième position (devant la Russie pourtant si souvent vilipendée !) pour les condamnations pour atteinte à la liberté d’expression par la Cour européenne des droits de l’homme (pourtant très politiquement correcte…) ; aux premiers rangs pour les requêtes auprès des grands fournisseurs d’accès Internet.
Pour la concorde intérieure ensuite : la société multiculturelle est un échec manifeste. Ni l’assimilation, ni même l’intégration n’ont fonctionné. Le seul lieu (hors celui, contraint, du travail) où des gens de culture, de religion et de race différentes se retrouvent ce sont les spectacles de… Dieudonné ou les réunions de Soral. Bref, là où ils se rient du Système selon les uns, du lobby sioniste selon les autres. Fabuleux échec du lobby « antiraciste »: c’est contre lui que s’organise la seule cohabitation black-blanc-beur !
Pour l’indépendance nationale enfin : L’alignement de la politique française sur des intérêts étrangers est de plus en plus préoccupant ; promue par BHL, l’intervention en Libye a été un succès militaire mais une catastrophe géopolitique ; et l’aventurisme de François Hollande sur la Syrie a nui à l’image de la France.
Pour les institutions juives aussi : Depuis l’affaire Dreyfus la communauté juive jouissait d’un statut moral lié à celui de l’innocence injustement persécutée ; en se plaçant systématiquement du côté de la censure, les institutions juives risquent de perdre leur statut de représentants d’opprimés pour celui d’odieux persécuteurs. C’est grave et c’est prendre un double risque : se placer en opposition de l’esprit français traditionnellement frondeur ; et heurter de plein fouet la sensibilité des jeunes générations, à la fois parce que, pour elles, la seconde guerre mondiale est finie depuis 70 ans… et parce qu’elles sont viscéralement attachées aux libertés sur Internet, véritable sujet du débat. Enfin, l’immigration massive encouragée par le lobby « antiraciste » a pour conséquence la constitution de ghettos musulmans et africains qui cultivent une forte sensibilité antisioniste, voire antisémite.
Bien sûr, ce serait une faute que de confondre les juifs dans leur ensemble et ceux qui prétendent parler en leur nom ; on ne saurait davantage passer sous silence le remarquable engagement du côté de l’identité française et de la patrie d’hommes comme Alain Finkielkraut ou Eric Zemmour. Pour autant, il semblerait raisonnable que les dirigeants des institutions juives aient la force de procéder à leur examen de conscience : à l’égard de leur communauté comme à l’égard de la France. Un peu de modestie, de finesse, d’autocritique et de repentance seraient sûrement bienvenues.
Changer de paradigmes
Quant au peuple français dans son unité, il lui faut changer de paradigmes dominants : renvoyer le lobby « antiraciste » à ses échecs ; cesser de le subventionner ; cesser de l’écouter et supprimer ses privilèges judiciaires. Vite !
Jean-Yves Le Gallou
9/01/2014
Voir aussi :
L’affaire Dieudonné : l’arbre qui cache la forêt de l’offensive contre Internet
Evolution des libertés en France : Cent restrictions en quarante ans
Défendre la liberté d’expression contre la police de la pensée
« Je ne sais rien
mais je dirai (presque) tout »
Par Yves Bertrand
Conversations politiquement incorrectes
Sarkozy et Hollande, candidats officiels du CRIF
Le CRIF : la tentation du lobby
Le CRIF refuse de donner « un certificat de Cacherout » à Marine Le Pen
Le dîner du CRIF : nuisible aux libertés, à la souveraineté et à l’identité françaises
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Le Royaume-Uni, “État-voyou”
Le Royaume-Uni, “État-voyou”
Ex: http://www.dedefensa.org
Une opération secrète, l’Opération Tiberius, a été lancée en 2003 pour évaluer le degré de corruption et de pénétration par le crime organisé de différents organes de sécurité intérieure et de justice du Royaume-Uni. Un rapport a été établi après la conduite à bien de cette Opération Tiberius. The Independent, qui a obtenu un exemplaire du rapport, a publié plusieurs articles sur ce document (les 9 janvier 2014, 10 janvier 2014 et encore 10 janvier 2014). L’Opération Tiberius montre une pénétration systématique par la corruption, les pressions, le chantage, etc., du crime organisé dans les principaux organes de police, de la justice, du système carcéral, des impôts, des douanes, etc., bref tout ce qui forme l’appareil interne de la sécurité et de la justice courantes dans ce pays. (On signalera également un article de Russia Today, du 11 janvier 2014, reprenant nombre d’informations de The Independent en les synthétisant.)
Les informations publiées signalent notamment, en présentant les résultats de l’Opération Tiberius à partir des informations de The Independent, que cette opération a été réalisée par des voies tout à fait inhabituelles, échappant au contrôle des organismes impliqués. Tiberius semble avoir été prioritairement confiée à des services tels que le MI5 (contre-espionnage) et le MI6 (renseignement extérieur), et selon des voies et moyens secrets telles que des écoutes clandestines, des interceptions de courrier, etc. (Il est donc probable que le GCHG a été aussi impliqué dans l’enquête, pouvant alors, pour une très rares occasions, mettre en évidence l’utilité des actions de surveillance et d’espionnage clandestines ; mais c’est ironiquement, ou de façon révélatrice, pour démontrer le degré de corruption structurelle du Système dont lui-même, le GCHQ, est partie prenante d’une autre façon mais dans le même esprit... L'exception qui confirme la règle.)
«Tiberius, which was compiled from a number of covert intelligence sources including police informants, telephone intercepts, information from MI5 and MI6, as well as thousands of historical files, came to the appalling conclusion: “Quite how much more damage could be done is difficult to imagine.”»
Il semble qu'on ne trouve pas d'indication de date pour la clôture de l’Opération Tiberius mais il est manifeste qu’une telle action demande plusieurs années aussi bien pour l’ampleur du travail que pour les conditions de l’action (le secret nécessaire pour l’enquête). Dans tous cas, tout indique, bien entendu, que la situation actuelle est aussi catastrophique que celle que décrit Tiberius, et même qu’elle a empiré.
«In 2003 Operation Tiberius found that men suspected of being Britain’s most notorious criminals had compromised multiple agencies, including HM Revenue & Customs, the Crown Prosecution Service, the City of London Police and the Prison Service, as well as pillars of the criminal justice system including juries and the legal profession.
»The strategic intelligence scoping exercise – “ratified by the most senior management” at the Met – uncovered jurors being bought off or threatened to return not-guilty verdicts; corrupt individuals working for HMRC, both in the UK and overseas; and “get out of jail free cards” being bought for £50,000. The report states that the infiltration made it almost impossible for police and prosecutors to successfully pursue the organised gangs that police suspected controlled much of the criminal underworld. The author of Tiberius, which was compiled from intelligence sources including covert police informants, live telephone intercepts, briefings from the security services and thousands of historical files, came to the desperate conclusion: “Quite how much more damage could be done is difficult to imagine.”
»The fresh revelations come a day after The Independent revealed that Tiberius had concluded the Metropolitan Police suffered “endemic police corruption” at the time, and that some of Britain’s most dangerous organised crime syndicates were able to infiltrate New Scotland Yard “at will”.
»In its conclusions, the report stated: “The true assessment of the damage caused by these corrupt networks is impossible to make at this stage, until further proactive scoping has been undertaken.” “However a statement by an experienced SIO [senior investigating officer] currently attached to SO 1(3) gives some indication of the depth of the problem in east and north-east London: ‘I feel that at the current time I cannot carry out an ethical murder investigation without the fear of it being compromised.’” “The ramifications of this statement are serious and disturbing and provide a snapshot of the current threat to the criminal justice system. Additionally the fact that none of these syndicates have been seriously disrupted over the last five years provides an insight into the effectiveness of their network.»
L’Opération Tiberius ouvre un nouveau chapitre de l’évolution autodestructrice du Système, qui est l'introduction dans les structures fondamentales mêmes des pays les plus avancés du bloc BAO des mêmes évolutions de désordre et de de déstructuration-dissolution qu’on trouve dans nombre de régions sensibles, dans les systèmes de coopération transnationaux, dans les structures financières transnationales, dans l’évolution des mœurs sociétaux, etc. L’évolution de la structure de sécurité intérieure du Royaume-Uni selon-Tiberius ressemble aussi bien à l’évolution des marchés financiers dont on connaît la structure criminelle prédominantes, qu’à certaines situations déstabilisées comme celles du Moyen-Orient, où le crime organisé prend une part de plus en plus importante dans les activités terroristes. Mais dans ce cas extrême du Royaume-Uni, il s’agit de la corruption spectaculaire et dramatique des structures pérennes, l’effacement accéléré des activités dépendantes de la dimension régalienne des plus vieilles nations de notre civilisation (devenue contre-civilisation, et ceci expliquant cela), la disparition des notions de souveraineté, de légitimité et d’autorité dans ces États. Il est difficile d’envisager les conséquences de cette sorte d’évolution de complète perversion des principes sur lesquels se sont fondées ces nations, mais on aura de la difficulté à ne pas être très pessimiste.
Par ailleurs, si l’événement est considérable, il ne peut surprendre en aucune façon. Il est évident qu’on ne peut attendre rien d’autre, au niveau de ces services essentiels de l’État, lorsqu’on considère l’exemple que donnent les directions politiques, qui conduisent des politiques au nom de narrative mensongères, qui mènent des activités de sécurité nationale dans la plus complète illégalité, qui se trouvent souvent pris dans des scandales de corruption et trouvent en général pour la “retraite” politique de leurs membres les plus éminents une place dans des circuits de conférences, des positions diverses dans divers circuits humanitaires et autres, qui leur assurent des émoluments considérables dont la réelle signification ne peut être trouvée que dans la définition d’une forme spécifique de corruption. La corruption des services de sécurité intérieure britannique répond évidemment à la corruption du gouvernement britannique (Blair et la suite), à la corruption de groupes industriels comme l’est BAE avec ses liens avec l’Arabie, à la corruption de la City au travers des diverses crises qu’elles déclenchent elle-même et qui sont d’un très grand rapport financier pour elle.
Il n’empêche, l’originalité de la situation exposée par Tiberius est bien entendu qu’elle touche le fondement même de la structure étatique, celui qui doit fournir la sûreté de la vie quotidienne de la population au travers des activités de justice, de police et le reste. Disons qu’on touche là à l’ultimité du processus de déstructuration-dissolution des structures nécessaires à la vie en société, et qu’on se trouve alors dans la situation d’une impasse générale puisqu’il n’y a rien de structuré au-delà. Bien entendu, nul ne peut préciser de quelle façon les conditions de la vie sociale et de la vie nationale en seront affectées mais là aussi le pessimisme est de rigueur. Cette ultimité se résume par le fait de la compromission ultime des pays du bloc BAO les plus avancés dans la promotion du Système et des théories et consignes qui l’accompagnent, donc les pays du bloc BAO qui ont le plus souvent dénoncé les modèles rétifs ou les modèles de mauvaise réputation des “États-voyous” (“rogue state”) en prônant leur élimination, éventuellement à coup d’expéditions lointaines comme celle de la Libye. Le Royaume-Uni est en effet un de ces pays-phares, symboliquement le plus signifiant du Système avec les USA, et c’est lui qui se trouve menacé de devenir, si ce n’est déjà fait, un de ces rogue states que la bonne réputation du Système autant que son équilibre ne peuvent en aucune manière accepter. On peut même observer qu’une telle évolution implique une fragilisation extrême du pays affecté, qui constitue un élément de grande vulnérabilité pour le Système.
Qui plus est, ce même “État-voyou” de type postmoderne est en train d’accoucher d’une “structure” sécuritaire qui va se déstructurer elle-même en se morcelant d’une façon extrêmement antagoniste, avec des conséquences déstabilisantes profondes très probables. On peut s’interroger désormais à propos de ce que vont être les rapports de la police britannique, du Yard, avec le MI5 et le MI6, les premiers sachant qu’ils sont sous surveillance des seconds, les seconds estimant désormais que la police du pays est plus ou moins manipulées par le crime organisé. Ce pas en avant de plus vers le désordre incontrôlé est intéressant parce qu’on ne voit plus très bien quel autre “pas en avant” il reste à faire ; et l’on peut alors espérer qu’au-delà, c’est l’abîme.
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dimanche, 12 janvier 2014
Germany's military strategy
Germany's military strategy
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Défense, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : stratégie, géostratégie, politique internationale, géopolitique, défense, défense européenne, défense allemande, allemagne, europe, bundeswehr, affaires européennes, manuel ochsenreiter | | del.icio.us | | Digg | Facebook
L’affaire Dieudonné : l’arbre qui cache la forêt de l’offensive contre Internet
Ex: http://www.polemia.com
L’affaire Dieudonné : l’arbre qui cache la forêt de l’offensive contre Internet
« Car, si personne ne bouge, c’est la pensée (…) qui sera étouffée ».
« Il y a un moment où […] il est du devoir de la parole publique de dire. Valls l’a fait, Valls a eu raison. Il n’y a rien de commun, rien, entre le travail d’un humoriste dont la liberté d’expression et donc de provocation est effectivement sacrée, et l’entreprise d’un agitateur néonazi qui fait ouvertement campagne sur des thèmes qui ne sont pas des opinions mais des délits. »
(**) Souligné par nous
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