mercredi, 09 janvier 2013
Elementos 38: Werner Sombart / Elementos 37: Federalismo
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samedi, 05 janvier 2013
Terre et Peuple Magazine n°54 Hiver 2012
Terre et Peuple Magazine n°54
Hiver 2012
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jeudi, 29 novembre 2012
L’ISLAMISMO CONTRO L’ISLAM?
L’ISLAMISMO CONTRO L’ISLAM?
Sommario del numero XXVIII (4-2012) d'Eurasia - Rivista di studi geopolitici
http://www.eurasia-rivista.org/
Lo strumento fondamentalista
“Il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale”. Questa frase, che Samuel Huntington colloca in chiusura del lungo capitolo del suo Scontro delle civiltà intitolato “L’Islam e l’Occidente”1, merita di essere letta con un’attenzione maggiore di quella che ad essa è stata riservata finora.
Secondo l’ideologo statunitense, l’Islam in quanto tale è un nemico strategico dell’Occidente, poiché è il suo antagonista in un conflitto di fondo, che non nasce tanto da controversie territoriali, quanto da un fondamentale ed esistenziale confronto tra difesa e rifiuto di “diritti umani”, “democrazia” e “valori laici”. Scrive infatti Huntington: “Fino a quando l’Islam resterà l’Islam (e tale resterà) e l’Occidente resterà l’Occidente (cosa meno sicura) il conflitto di fondo tra due grandi civiltà e stili di vita continuerà a caratterizzare in futuro i reciproci rapporti”2.
Ma la frase riportata all’inizio non si limita a designare il nemico strategico; da essa è anche possibile dedurre l’indicazione di un alleato tattico: il fondamentalismo islamico. È vero che nelle pagine dello Scontro delle civiltà l’idea di utilizzare il fondamentalismo islamico contro l’Islam non si trova formulata in una forma più esplicita; tuttavia nel 1996, allorché Huntington pubblicò The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, una pratica di questo genere era già stata inaugurata.
“È un dato di fatto – scrive un ex ambasciatore arabo accreditato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – che gli Stati Uniti abbiano stipulato delle alleanze coi Fratelli Musulmani per buttar fuori i Sovietici dall’Afghanistan; e che, da allora, non abbiano cessato di far la corte alla corrente islamista, favorendone la propagazione nei paesi d’obbedienza islamica. Seguendo le orme del loro grande alleato americano, la maggior parte degli Stati occidentali ha adottato, nei confronti della nebulosa integralista, un atteggiamento che va dalla benevola neutralità alla deliberata connivenza”3.
L’uso tattico del cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico da parte occidentale non ebbe inizio però nell’Afghanistan del 1979, quando – come ricorda in From the Shadows l’ex direttore della CIA Robert Gates – già sei mesi prima dell’intervento sovietico i servizi speciali statunitensi cominciarono ad aiutare i guerriglieri afghani.
Esso risale agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché Gran Bretagna e Stati Uniti, individuato nell’Egitto nasseriano il principale ostacolo all’egemonia occidentale nel Mediterraneo, fornirono ai Fratelli Musulmani un sostegno discreto ma accertato. È emblematico il caso di un genero del fondatore del movimento, Sa’id Ramadan, che “prese parte alla creazione di un importante centro islamico a Monaco in Germania, intorno al quale si costituì una federazione ad ampio raggio”4. Sa’id Ramadan, che ricevette finanziamenti e istruzioni dall’agente della CIA Bob Dreher, nel 1961 espose il proprio progetto d’azione ad Arthur Schlesinger Jr., consigliere del neoeletto presidente John F. Kennedy. “Quando il nemico è armato di un’ideologia totalitaria e dispone di reggimenti di fedeli devoti, – scriveva Ramadan – coloro che sono schierati su posizioni politiche opposte devono contrastarlo sul piano dell’azione popolare e l’essenza della loro tattica deve consistere in una fede contraria e in una devozione contraria. Solo delle forze popolari, genuinamente coinvolte e genuinamente reagenti per conto proprio, possono far fronte alla minaccia d’infiltrazione del comunismo”5.
L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti armati in Asia centrale, gl’interventi a favore delle bande sovversive in Libia ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.
Il fondatore di An-Nahda, Rachid Ghannouchi, che nel 1991 ricevette gli elogi del governo di George Bush per l’efficace ruolo da lui svolto nella mediazione tra le fazioni afghane antisovietiche, ha cercato di giustificare il collaborazionismo islamista abbozzando un quadro pressoché idilliaco delle relazioni tra gli USA e il mondo islamico. A un giornalista del “Figaro” che gli chiedeva se gli americani gli sembrassero più concilianti degli Europei il dirigente islamista tunisino ha risposto di sì, perché “non esiste un passato coloniale tra i paesi musulmani e l’America; niente Crociate, niente guerra, niente storia”; ed alla rievocazione della lotta comune di americani e islamisti contro il nemico bolscevico ha aggiunto la menzione del contributo inglese6.
La “nobile tradizione salafita”
L’islamismo rappresentato da Rachid Ghannouchi, scrive un orientalista, è quello che “si richiama alla nobile tradizione salafita di Muhammad ‘Abduh e che ha avuto una versione più moderna nei Fratelli Musulmani”7.
Ritornare al puro Islam dei “pii antenati” (as-salaf as-sâlihîn), facendo piazza pulita della tradizione scaturita dal Corano e dalla Sunna nel corso dei secoli: è questo il programma della corrente riformista che ha i suoi capostipiti nel persiano Jamal ad-Din al-Afghani (1838-1897) e nei suoi discepoli, i più importanti dei quali furono l’egiziano Muhammad ‘Abduh (1849-1905) e il siriano Muhammad Rashid Rida (1865-1935).
Al-Afghani, che nel 1883 fondò l’Associazione dei Salafiyya, nel 1878 era stato iniziato alla massoneria in una loggia di rito scozzese del Cairo. Egli fece entrare nell’organizzazione liberomuratoria gli intellettuali del suo entourage, tra cui Muhammad ‘Abduh, il quale, dopo aver ricoperto una serie di altissime cariche, il 3 giugno 1899 diventò Muftì dell’Egitto col beneplacito degl’Inglesi.
“Sono i naturali alleati del riformatore occidentale, meritano tutto l’incoraggiamento e tutto il sostegno che può esser dato loro”8: questo l’esplicito riconoscimento del ruolo di Muhammad ‘Abduh e dell’indiano Sir Sayyid Ahmad Khan (1817-1889) che venne dato da Lord Cromer (1841-1917), uno dei principali architetti dell’imperialismo britannico nel mondo musulmano. Infatti, mentre Ahmad Khan asseriva che “il dominio britannico in India è la cosa più bella che il mondo abbia mai visto”9 ed affermava in una fatwa che “non era lecito ribellarsi agli inglesi fintantoché questi rispettavano la religione islamica e consentivano ai musulmani di praticare il loro culto”10, Muhammad ‘Abduh trasmetteva all’ambiente musulmano le idee razionaliste e scientiste dell’Occidente contemporaneo. ‘Abduh sosteneva che nella civiltà moderna non c’è nulla che contrasti col vero Islam (identificava i ginn con i microbi ed era convinto che la teoria evoluzionista di Darwin fosse contenuta nel Corano), donde la necessità di rivedere e correggere la dottrina tradizionale sottoponendola al giudizio della ragione e accogliendo gli apporti scientifici e culturali del pensiero moderno.
Dopo ‘Abduh, capofila della corrente salafita fu Rashid Rida, che in seguito alla scomparsa del califfato ottomano progettò la creazione di un “partito islamico progressista”11 in grado di creare un nuovo califfato. Nel 1897 Rashid Rida aveva fondato la rivista “Al-Manar”, la quale, diffusa in tutto il mondo arabo ed anche altrove, dopo la sua morte verrà pubblicata per cinque anni da un altro esponente del riformismo islamico: Hasan al-Banna (1906-1949), il fondatore dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani.
Ma, mentre Rashid Rida teorizzava la nascita di un nuovo Stato islamico destinato a governare la ummah, nella penisola araba prendeva forma il Regno Arabo Saudita, in cui vigeva un’altra dottrina riformista: quella wahhabita.
La setta wahhabita
La setta wahhabita trae il proprio nome dal patronimico di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab (1703-1792), un arabo del Nagd di scuola hanbalita che si entusiasmò ben presto per gli scritti di un giurista letteralista vissuto quattro secoli prima in Siria e in Egitto, Taqi ad-din Ahmad ibn Taymiyya (1263-1328). Sostenitore di ottuse interpretazioni antropomorfiche delle immagini contenute nel linguaggio coranico, animato da un vero e proprio odium theologicum nei confronti del sufismo, accusato più volte di eterodossia, Ibn Taymiyya ben merita la definizione di “padre del movimento salafita attraverso i secoli”12 datagli da Henry Corbin. Seguendo le sue orme, Ibn ‘Abd al-Wahhab e i suoi partigiani bollarono come manifestazioni di politeismo (shirk) la fede nell’intercessione dei profeti e dei santi e, in genere, tutti quegli atti che, a loro giudizio, equivalessero a ritenere partecipe dell’onnipotenza e del volere divino un essere umano o un’altra creatura, cosicché considerarono politeista (mushrik), con tutte le conseguenze del caso, anche il pio musulmano trovato ad invocare il Profeta Muhammad o a pregare vicino alla tomba di un santo. I wahhabiti attaccarono le città sante dell’Islam sciita, saccheggiandone i santuari; impadronitisi nel 1803-1804 di Mecca e di Medina, demolirono i monumenti sepolcrali dei santi e dei martiri e profanarono perfino la tomba del Profeta; misero al bando le organizzazioni iniziatiche e i loro riti; abolirono la celebrazione del genetliaco del Profeta; taglieggiarono i pellegrini e sospesero il Pellegrinaggio alla Casa di Dio; emanarono le proibizioni più strampalate.
Sconfitti dall’esercito che il sovrano egiziano aveva inviato contro di loro dietro esortazione della Sublime Porta, i wahhabiti si divisero tra le due dinastie rivali dei Sa’ud e dei Rashid e per un secolo impegnarono le loro energie nelle lotte intestine che insanguinarono la penisola araba, finché Ibn Sa’ud (‘Abd al-’Aziz ibn ‘Abd ar-Rahman Al Faysal Al Su’ud, 1882-1953) risollevò le sorti della setta. Patrocinato dalla Gran Bretagna, che, unico Stato al mondo, nel 1915 instaurò relazioni ufficiali con lui esercitando un “quasi protettorato”13 sul Sultanato del Nagd, Ibn Sa’ud riuscì ad occupare Mecca nel 1924 e Medina nel 1925. Diventò così “Re del Higiaz e del Nagd e sue dipendenze”, secondo il titolo che nel 1927 gli venne riconosciuto nel Trattato di Gedda del 20 maggio 1927, stipulato con la prima potenza europea che riconobbe la nuova formazione statale wahhabita: la Gran Bretagna.
“Le sue vittorie – scrisse uno dei tanti orientalisti che hanno cantato le sue lodi – lo han reso il sovrano più potente d’Arabia. I suoi domini toccano l’Iràq, la Palestina, la Siria, il Mar Rosso e il Golfo Persico. La sua personalità di rilievo si è affermata con la creazione degli Ikhwàn o Fratelli: una confraternita di Wahhabiti attivisti che l’inglese Philby ha chiamato ‘una nuova massoneria’”14.
Si tratta di Harry St. John Bridger Philby (1885-1960), l’organizzatore della rivolta araba antiottomana del 1915, il quale “aveva occupato alla corte di Ibn Saud il posto del deceduto Shakespeare”15, per citare l’espressione iperbolica di un altro orientalista di quell’epoca. Fu lui a caldeggiare presso Winston Churchill, Giorgio V, il barone Rothschild e Chaim Weizmann il progetto di una monarchia saudita che, usurpando la custodia dei Luoghi Santi tradizionalmente assegnata alla dinastia hascemita, unificasse la penisola araba e controllasse per conto dell’Inghilterra la via marittima Suez-Aden-Mumbay.
Con la fine del secondo conflitto mondiale, durante il quale l’Arabia Saudita mantenne una neutralità filoinglese, al patrocinio britannico si sarebbe aggiunto e poi sostituito quello nordamericano. In tal senso, un evento anticipatore e simbolico fu l’incontro che ebbe luogo il 1 marzo 1945 sul Canale di Suez, a bordo della Quincy, tra il presidente Roosevelt e il sovrano wahhabita; il quale, come ricordava orgogliosamente un arabista statunitense, “è sempre stato un grande ammiratore dell’America, che antepone anche all’Inghilterra”16. Infatti già nel 1933 la monarchia saudita aveva dato in concessione alla Standard Oil Company of California il monopolio dello sfruttamento petrolifero, mentre nel 1934 la compagnia americana Saoudi Arabian Mining Syndicate aveva ottenuto il monopolio della ricerca e dell’estrazione dell’oro.
I Fratelli Musulmani
Usurpata la custodia dei Luoghi Santi ed acquisito il prestigio connesso a tale ruolo, la famiglia dei Sa’ud avverte l’esigenza di disporre di una “internazionale” che le consenta di estendere la propria egemonia su buona parte della comunità musulmana, al fine di contrastare la diffusione del panarabismo nasseriano, del nazionalsocialismo baathista e – dopo la rivoluzione islamica del 1978 in Iran – dell’influenza sciita. L’organizzazione dei Fratelli Musulmani mette a disposizione della politica di Riyad una rete organizzativa che trarrà alimento dai cospicui finanziamenti sauditi. “Dopo il 1973, grazie all’aumento dei redditi provenienti dal petrolio, i mezzi economici non mancano; verranno investiti soprattutto nelle zone in cui un Islam poco ‘consolidato’ potrebbe aprire la porta all’influenza iraniana, in particolare l’Africa e le comunità musulmane emigrate in Occidente”17.
D’altronde la sinergia tra la monarchia wahhabita e il movimento fondato nel 1928 dall’egiziano Hassan al-Banna (1906-1949) si basa su un terreno dottrinale sostanzialmente comune, poiché i Fratelli Musulmani sono gli “eredi diretti, anche se non sempre rigorosamente fedeli, della salafiyyah di Muhammad ‘Abduh”18 e in quanto tali recano inscritta fin dalla nascita nel loro DNA la tendenza ad accettare, sia pure con tutte le necessarie riserve, la moderna civiltà occidentale. Tariq Ramadan, nipote di Hassan al-Banna ed esponente dell’attuale intelligencija musulmana riformista, così interpreta il pensiero del fondatore dell’organizzazione: “Come tutti i riformisti che l’hanno preceduto, Hassan al-Banna non ha mai demonizzato l’Occidente. (…) L’Occidente ha permesso all’umanità di fare grandi passi in avanti e ciò è avvenuto a partire dal Rinascimento, quando è iniziato un vasto processo di secolarizzazione (‘che è stato un apporto positivo’, tenuto conto della specificità della religione cristiana e dell’istituzione clericale)”19. L’intellettuale riformista ricorda che il nonno, nella sua attività di maestro di scuola, si ispirava alle più recenti teorie pedagogiche occidentali e riporta da un suo scritto un brano eloquente: “Dobbiamo ispirarci alle scuole occidentali, ai loro programmi (…) Dobbiamo anche prendere dalle scuole occidentali e dai loro programmi il costante interesse all’educazione moderna e il loro modo di affrontare le esigenze e la preparazione all’apprendimento, fondate su metodi saldi tratti da studi sulla personalità e la naturalità del bambino (…) Dobbiamo approfittare di tutto ciò, senza provare alcuna vergogna: la scienza è un diritto di tutti (…)”20.
Con la cosiddetta “Primavera araba”, si è manifestata in maniera ufficiale la disponibilità dei Fratelli Musulmani ad accogliere quei capisaldi ideologici della cultura politica occidentale che Huntington indicava come termini fondamentali di contrasto con l’Islam. In Libia, in Tunisia, in Egitto i Fratelli hanno goduto del patrocinio statunitense.
Il partito egiziano Libertà e Giustizia, costituito il 30 aprile 2011 per iniziativa della Fratellanza e da essa controllato, si richiama ai “diritti umani”, propugna la democrazia, appoggia una gestione capitalistica dell’economia, non è contrario ad accettare prestiti dal Fondo Monetario Internazionale. Il suo presidente Muhammad Morsi (n. 1951), oggi presidente dell’Egitto, ha studiato negli Stati Uniti, dove ha anche lavorato come assistente universitario alla California State University; due dei suoi cinque figli sono cittadini statunitensi. Il nuovo presidente ha subito dichiarato che l’Egitto rispetterà tutti i trattati stipulati con altri paesi (quindi anche con Israele); ha compiuto in Arabia Saudita la sua prima visita ufficiale e ha dichiarato che intende rafforzare le relazioni con Riyad; ha dichiarato che è un “dovere etico” sostenere il movimento armato di opposizione che combatte contro il governo di Damasco.
Se la tesi di Huntington aveva bisogno di una dimostrazione, i Fratelli Musulmani l’hanno fornita.
NOTE:
1. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, p. 319.
2. Ibidem, p. 310.
3. Rédha Malek, Tradition et révolution. L’enjeu de la modernité en Algérie et dans l’Islam, ANEP, Rouiba (Algeria) 2001, p. 218.
4. Stefano Allievi e Brigitte Maréchal, I Fratelli Musulmani in Europa. L’influenza e il peso di una minoranza attiva, in: I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, a cura di M. Campanini e K. Mezran, UTET, Torino 2010, p. 219.
5. “When the enemy is armed with a totalitarian ideology and served by regiments of devoted believers, those with opposing policies must compete at the popular level of action and the essence of their tactics must be counter- faith and counter-devotion. Only popular forces, genuinely involved and genuinely reacting on their own behalf, can meet the infiltrating threat of Communism” (http://www.american-buddha.com/lit.johnsonamosqueinmunich.12.htm)
6. “- Les Américains vous semblent-ils plus conciliants que les Européens? – A l’égard de l’islam, oui. Il n’y a pas de passé colonial entre les pays musulmans et l’Amérique, pas de croisades; pas de guerre, pas d’histoire… – Et vous aviez un ennemi commun: le communisme athée, qui a poussé les Américains à vous soutenir… – Sans doute, mais la Grande-Bretagne de Margaret Thatcher était aussi anticommuniste…” (Tunisie: un leader islamiste veut rentrer, 22/01/2011; http://plus.lefigaro.fr/article/tunisie-un-leader-islamiste-veut-rentrer-20110122-380767/commentaires).
7. Massimo Campanini, Il pensiero islamico contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2005, p. 137.
8. Cit. in: Maryam Jameelah, Islam and Modernism, Mohammad Yusuf Khan, Srinagar-Lahore 1975, p. 153.
9. Cit. in: Tariq Ramadan, Il riformismo islamico. Un secolo di rinnovamento musulmano, Città Aperta Edizioni, Troina (En) 2004, p. 65.
10. Massimo Campanini, Il pensiero islamico contemporaneo, cit., p. 23.
11. Cit. in: Tariq Ramadan, op. cit., p. 143.
12. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1989, p. 126.
13. Carlo Alfonso Nallino, Raccolta di scritti editi e inediti, Vol. I L’Arabia Sa’udiana, Istituto per l’Oriente, Roma 1939, p. 151.
14. Henri Lammens, L’Islàm. Credenze e istituzioni, Laterza, Bari 1948, p. 158.
15. Giulio Germanus, Sulle orme di Maometto, vol. I, Garzanti, Milano 1946, p. 142.
16. John Van Ess, Incontro con gli Arabi, Garzanti, Milano 1948, p. 108.
17. Alain Chouet, L’association des Frères Musulmans, http://alain.chouet.free.fr/documents/fmuz2.htm. Sulla presenza dei Fratelli Musulmani in Occidente, cfr. Karim Mezran, La Fratellanza musulmana negli Stati Uniti, in: I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, cit., pp. 169-196; Stefano Allievi e Brigitte Maréchal, I Fratelli Musulmani in Europa. L’influenza e il peso di una minoranza attiva, ibidem, pp. 197-240.
18. Massimo Campanini, I Fratelli Musulmani nella seconda guerra mondiale: politica e ideologia, “Nuova rivista storica”, a. LXXVIII, fasc. 3, sett.-dic. 1994, p. 625.
19. Tariq Ramadan, op. cit., pp. 350-351.
20. Hassan al-Banna, Hal nusir fi madrasatina wara’ al-gharb, “Al-fath”, 19 sett. 1929, cit. in: Tariq Ramadan, op. cit., p. 352.
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mercredi, 28 novembre 2012
Zuerst - Dezember 2012
Aktuelle Ausgabe
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lundi, 19 novembre 2012
Geopolitica, vol. I, no. 3 (Autunno 2012)
In corso di stampa: l’inizio della distribuzione è previsto per il 29 novembre
Geopolitica, vol. I, no. 3 (Autunno 2012)
CHE COS’È LA GEOPOLITICA?
274 pp., cartografie b/n, ISBN 9781907847134
Sommario dei contenuti:
Editoriale
Geopolitica: una scienza in evoluzione
Tiberio Graziani
La rinascita della geopolitica sembra aver soppiantato negli ultimi decenni le analisi tipiche delle Relazioni Internazionali riguardo alla identificazione dei futuri scenari globali. Tuttavia, a fronte del successo mediatico di tale disciplina, scarsi risultano essere le riflessioni teoriche a suo sostegno. Manca infatti ancora una valida teoria della geopolitica. Tale carenza sembra essere dovuta alla sua caratteristica di disciplina limite tra impostazione operativa e approccio speculativo.
Focus
Che cos’è la geopolitica?
Aymeric Chauprade
La geopolitica è una scienza dotata d’una propria e precisa metodologia. Essa si può definire come lo studio delle relazioni politiche tra poteri statali, intra-statali e trans-statali a partire dai criteri geografici. Tali criteri sono non solo quelli della geografia fisica, ma anche identitaria (etnica e religiosa) e delle risorse. La nuova scuola francese di geopolitica, inaugurata da Thual nei primi anni ’90, rifiuta qualsiasi ideologizzazione, semplificazione e riduzionismo della storia. Sfortunatamente, il termine “geopolitica”, dopo essere stato a lungo rigettato, è ora diventato di moda al punto che giornalisti che si occupano di affari internazionali sono spesso definiti dai media come “geopolitici”, pur non praticando affatto la materia. Il termine è stato assimilato dall’ideologia dominante ma svuotato di contenuto.
Quarantatre teorie e concetti per un modello geopolitico
Phil Kelly
Lo studio della geopolitica classica richiede un modello che ne raccolga gli assunti, i concetti e le teorie, selezionandoli e inquadrandoli rispetto a una ben precisa definizione. Definita la geopolitica come lo studio dell’impatto di certe caratteristiche geografiche sul comportamento degli Stati, s’individuano almeno 43 teorie o concetti che possono appartenere al modello della geopolitica classica. Tra essi ve ne sono alcuni connessi alla dicotomia centro-periferia, altri all’idea del perno, altri ancora al ruolo di confini e frontiere o alla nozione di spazio. Quest’articolo vuol essere un primo passo per elevare la geopolitica a metodo di studio delle relazioni internazionali.
A cosa serve la geopolitica? Alcune lezioni dal caso turco
Emidio Diodato
La geopolitica non serve a esprimere l’interesse nazionale e le percezioni spaziali dei popoli, bensì a formulare scenari. V’è la geopolitica degli analisti, che indica vincoli e opportunità ai decisori; la geopolitica dei critici, che decostruisce questi scenari; e la geopolitica delle relazioni internazionali. La geopolitica può infatti inserirsi come paradigma nelle relazioni internazionali, avendo i suoi tratti distintivi nell’impostazione globale e nell’attenzione per i processi di controllo e gestione dello spazio. Il caso della Turchia offre alcuni esempi e lezioni.
Spunti di riflessione su geopolitica e metodo: storia, analisi, giudizio
Matteo Marconi
La geopolitica conosce un successo straordinario nel linguaggio giornalistico e sempre più si va diffondendo anche in ambito accademico, pur non avendo una chiara definizione disciplinare. Questo saggio si propone di discutere i presupposti per una fondazione scientifica della geopolitica, tentando di unire all’interno dello stesso problema di ricerca la storia della disciplina, l’analisi dei casi concreti e il giudizio su di essi. La geopolitica sarà scientifica solo se saprà risvegliarsi alla migliore tradizione della sua origine di pensiero, cioè come critica della frammentazione del sapere e della separazione tra scienza e politica.
Itinerario d’un geopolitico del XX secolo
François Thual & Emile Chapuis
Il brano seguente è tratto dall’opera La passion des autres. Itinéraire d’un géopoliticien du XX siècle. Conversation avec Emile Chapuis, pubblicata da CNRS Editions di Parigi nei primi mesi del 2011. François Thual, tra i più importanti studiosi di geopolitica viventi, vi ripercorre la propria carriera, sintetizza i propri studi e riflessioni, formula previsioni per il futuro. La parte qui presentata si riferisce all’introduzione ed alle conclusioni del libro, dove discute la sua concezione della geopolitica, lo scopo e i limiti del modello geopolitico, la natura della guerra.
Intervista a Carlo Jean
Daniele Scalea
Intervista a cura di Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”. Il generale Jean discute di definizione e finalità della geopolitica, e suo stato in Italia. La presente intervista è stata realizzata il 6 luglio 2012.
Geografia, geopolitica e Heartland: la politica estera britannica e l’eredità di Sir Halford Mackinder
Geoffrey Sloan
H.J. Mackinder sviluppò, unendo la prospettiva geografica di lungo periodo a quella strategico-militare, una visione delle relazioni internazionali concettualizzata nella teoria dell’Heartland. Il presente articolo mira a riepilogare l’esposizione di tale teoria che diede prima nel 1904 e poi nel 1919, e analizzare l’operato di Mackinder quando per la prima e unica volta nella sua vita si trovò in condizione d’influire concretamente sulla politica estera britannica, in qualità di alto commissario in Russia Meridionale durante la guerra civile. Infine, si valuta quanto la teoria dell’Heartland sia ancora rilevante nella situazione geopolitica odierna.
Il percorso di un geopolitologo tedesco: Karl Haushofer
Robert Steuckers
Il testo che segue, realizzato come recensione del primo dei due sostanziosi volumi che il professor Hans-Adolf Jacobsen ha dedicato a Karl Haushofer, si concentra sul periodo in cui si forma la visione geopolitica dell’autore tedesco. Si ripercorrono dunque il suo periodo in Giappone, l’esperienza di combattimento nella Prima Guerra Mondiale, e l’elaborazione delle prime teorie geopolitiche negli anni ’20, incentrate principalmente sulla zona del Pacifico. La conclusione è che la geopolitica tedesca di Haushofer prese avvio prima dell’avvento del nazismo e come cambiamento nazional-rivoluzionario più o meno russofilo.
Lev Gumilëv e la geopolitica contemporanea
Dario Citati
La teoria etnologica e le ricerche storiche dello studioso russo Lev Gumilëv (1912-1992) hanno esercitato una grande influenza sulle dottrine geopolitiche in molti Paesi dell’ex Unione Sovietica. L’articolo esamina in dettaglio
il pensiero di questo Autore, proponendone una specifica interpretazione complessiva per poi passare in rassegna le letture che ne hanno dato numerosi intellettuali e politici contemporanei: dagli esponenti della cosiddetta etnogeopolitica russa all’eurasismo kazako, dalla proiezione geostrategica di un ex Generale dell’esercito russo alle riflessioni dell’ex Presidente del Kirghizistan Askar Akaev. Ne emerge una ricezione estremamente differenziata, indicante che l’attualizzazione propriamente geopolitica del suo pensiero è frutto molto più della rielaborazione altrui che dei suoi contenuti intrinseci. Ciò malgrado, la sua eredità occupa un posto di rilievo nell’ambito della
storia della storiografia e del pensiero sociale.
Polvere, spade e pietre: la comparsa del pensiero geopolitico presso gli storici greci dell’età classica
Mehdi Lazar
Se la geopolitica è lo studio degli antagonismi tra poteri o dell’influenza sui territori – tali antagonismi sono indotti non soltanto da interpretazioni oggettive degli attori ma anche soggettive – allora la geopolitica è antica. Poiché gli antagonismi tra poteri sono propri delle società umane, i pensatori della loro epoca hanno cominciato molto presto a commentare, riportare, spiegare e interpretare questi conflitti. Nella Grecia di allora gli storici viaggiarono, insegnarono, combatterono, pensarono e rifletterono su questioni geopolitiche con formulazioni che soddisfacevano criteri molto diversi ma che fornivano tutte delle risposte, in parte, in un contesto generale. Di conseguenza, molti concetti geopolitici classici fecero la loro comparsa in Europa per la prima volta.
L’interpretazione geopolitica del continuum spazio-temporale nell’ambito delle scienze storiche
Vladislav Gulevič
Quando nasce la comprensione propriamente geopolitica dei rapporti fra gli Stati? In questa breve riflessione teorica si propende per una risposta duplice. Da un lato, le relazioni fra i popoli e fra gli Stati hanno avuto sin dall’Antichità un carattere «oggettivamente» geopolitico per via dell’influenza che in forme diverse lo spazio geografico ha sempre esercitato sulla storia. Dall’altro lato, una coscienza geopolitica dello Stato, intesa come rappresentazione di sé e dei propri interessi in relazione allo spazio, è un fenomeno sostanzialmente moderno. Sebbene l’antagonismo fra Roma e Cartagine costituisca forse il primo esempio di coscienza geopolitica da parte di un’entità politica, soltanto con le riflessioni degli ultimi secoli la geopolitica ha assunto una fisionomia specifica come disciplina e come orientamento programmatico delle classi dirigenti.
La geopolitica contemporanea e i problemi globali di un mondo in cambiamento
Aleksej G. Černišov
La geopolitica, disciplina che per definizione studia i processi di lunga durata, non può esimersi dall’affrontare uno dei più difficili problemi del mondo contemporaneo: il divario tra una disponibilità limitata di risorse e la tendenza globale a stili di vita insostenibili con essa. Il caso del petrolio, a rischio di esaurimento ma ancora determinante sia nelle economie sia nelle strategie geopolitiche dei diversi Stati, ne costituisce esempio emblematico. L’articolo sviluppa una riflessione generale sull’importanza di inserire questo problema tra le priorità dell’analisi geopolitica, insistendo su due punti: la comprensione che dietro il «villaggio globale» si celano irriducibili diversità identitarie ed enormi disparità di condizione fra fasce di popolazione; la necessità di concepire la geopolitica non nei termini di una corsa allo sviluppo per garantirsi un vantaggio a breve-medio termine sugli altri Paesi, bensì come strategia di lungo periodo che miri anche ad un equilibrio tra bisogni e risorse.
La Geopolitica dei Grandi spazi multidimensionali
Vladimir A. Dergačëv
A cavallo tra il secondo e il terzo millennio, nella geopolitica si è verificato un Rinascimento – un ritorno della geopolitica alla sua veste di scienza interdisciplinare analitica. Si avvertiva un urgente bisogno di sistemi analitici dotati di un moderno pensiero geopolitico. Senza la previsione geopolitica è impossibile immaginare il futuro di un Paese. Un buon statista è tenuto a conoscere il pensiero geopolitico. La geopolitica deve diventare una parte integrante della cultura generale. Ogni persona che ambisce ad un attivismo civile nella società dovrebbe avere delle nozioni di geopolitica. L’articolo descrive le principali posizioni della teoria geopolitica dei Grandi spazi multidimensionali, illustrata come “nuova geopolitica”.
Geoeconomia: un nuovo paradigma per lo studio della politica mondiale
Ernest G. Kočetov
La Geoeconomia è entrata nel dibattito scientifico e nella pratica mondiale per porre fine alle controversie del vecchio mondo della Pace di Vestfalia. L’attacco al sistema economico semifeudale si è svolto in maniera potente e
senza compromessi, da tre fronti contemporaneamente, ossia da tre scuole geoeconomiche con i propri pionieri: nordamericana (con M. Parmelle, E. Luttwak e altri), russa (E. Kočetov, A. Neklessa e altri) e italiana (C. Jean, P. Savona e altri). Animato da umanismo e nuove conoscenze, mira a costruire la pace. Per capire l’idea di questo potente paradigma umanitario, la geopolitica, bisogna osservare i principi fondamentali, le caratteristiche e i meccanismi della geoeconomia. Nell’articolo è esposto il senso di questa disciplina.
La dicotomia geopolitica terra-mare nell’epoca della globalizzazione
Alessio Stilo
La scuola geopolitica classica, sia quella di matrice anglosassone sia quella “continentale”, si connotava per aver riprodotto la millenaria contrapposizione tra potenze talassiche e potenze telluriche. La disamina riassume le maggiori teorie geopolitiche del secolo scorso e analizza lo scenario internazionale contemporaneo alla luce della dualità geopolitica terra/mare e servendosi delle moderne teorie delle relazioni internazionali. S’intende pertanto, seguendo una metodologia comparativa, riconsiderare il ruolo della geopolitica classica nello studio delle relazioni interstatuali, svincolandolo dal determinismo tipico di un approccio meramente ambientale, onde arricchirlo attraverso l’apporto delle varie scienze ausiliarie e dei diversi fattori analitici.
Orizzonti
ATOM Project. L’impegno del Kazakhstan per un uso responsabile dell’energia nucleare nel mondo
Luca Bionda
Il fabbisogno energetico mondiale legato soprattutto alle prospettive di sviluppo delle nuove potenze mondiali contribuisce ad orientare l’interesse del mondo scientifico e tecnologico verso la diversificazione delle fonti energetiche, dando nuova linfa al dibattito sull’uso del nucleare per scopi civili. Ad oltre 25 anni dal mai dimenticato incidente nucleare di Černobyl’ ed a seguito dei recenti avvenimenti presso la centrale giapponese di Fukushima Dai-ichi del Marzo scorso, il tema della sicurezza nucleare si ripropone in modo prepotente a livello internazionale. Anche sul fronte del nucleare per scopi bellici il dibattito è sempre vibrante. Per quanto riguarda le iniziative volte a scongiurare la proliferazione nucleare nel mondo per scopi militari, senza dubbio meritevole di considerazione è il cosiddetto “ATOM Project”, nata con il supporto del Centro Nazarbayev per volontà dello stesso presidente kazaco.
La società postmoderna dei consumi e i valori estetici della cultura popolare
Wang Ning
Il postmodernismo da tempo esercita una forte influenza sulla vita e la cultura cinese. La nuova cultura popolare di consumo sfida la produzione e circolazione della cultura elitaria. In Cina v’è una notevole differenza tra ricchi e poveri, cittadini e contadini. A Pechino e nelle città costiere la cultura di consumo è dominante, anche se l’80% della popolazione sta ancora modernizzando i suoi stili di vita. La cultura popolare è benvenuta dalla maggioranza della popolazione, che ne fruisce tramite i moderni mezzi di comunicazione. Pochi dei suoi prodotti diventeranno però opere d’arte canoniche degne d’essere riscoperte dai critici e ricercatori del futuro. Su questa base gl’intellettuali umanisti dovrebbero assumere un giusto atteggiamento verso la prevalenza della cultura popolare nella società consumista postmoderna. La versione italiana di quest’articolo è stata curata da Lavinia Benedetti (Università di Catania, ricercatrice) su incarico diretto dell’Autore.
“Primavera Araba” o “Risveglio Islamico”?
Ghorbanali Pour Marjan Varjovi
Negli ultimi 18 mesi, in Nordafrica e nel Vicino Oriente, sono accaduti alcuni eventi politici di cui sono state fornite differenti interpretazioni. Nell’articolo seguente si cercano di chiarire alcuni punti cruciali. Il primo è quello, non solo terminologico, della scorrettezza dell’appellativo “Primavera Araba”, frutto di un malinteso o d’una volontà di distorsione occidentale: quello in corso è in realtà un risveglio islamico Tale Risveglio Islamico è in relazione con la Rivoluzione Islamica dell’Iran, e da essa trae ispirazione, ma s’inserisce in un processo di più ampia portata sia geografica sia storica. Il suo effetto sarà la nascita d’una nuova civiltà islamica, improntata all’islamismo moderato e al rifiuto dell’occidentalizzazione.
Il problema del Kashmir: un confronto con lo Xinjiang e qualche possibile soluzione
Anand Pratap Singh
L’India amministra oggi circa il 43% del Kashmir, ma il governo indiano su queste aree è contestato dal Pakistan, il quale controlla circa il 37% della regione, vale a dire l’Azad Kashmir e le zone settentrionali di Gilgit e Baltistan. Una piccola porzione di Kashmir è controllata infine dalla Cina. Nell’articolo si prendono in esame gli interessi geopolitici di India, Pakistan e Cina collegati alla regione del Jammu e Kashmir. Si effettua inoltre un confronto tra come l’India ha gestito la questione del Kashmir e come la Cina quella dello Xinjiang. Affinché si trovino pace e sicurezza in Kashmir, è necessario interrompere i sospetti tra le tre parti che da tempo condizionano le loro relazioni, così come sono necessari contemporaneamente una più ampia autonomia per il popolo del Kashmir.
I BRICS e la ricerca di un nuovo ordine mondiale
Zorawar Daulet Singh
I BRICS incarnano la speranza di costruire un’alternativa al sistema di governance mondiale, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale e guidato da USA, Europa e Giappone, ormai in crisi e screditato. Sono errati i moniti degli analisti occidentali, secondo cui l’alternativa all’unipolarismo sarebbe solo il caos, o che vedono nei BRICS la forza in grado di sorreggere la globalizzazione senza intaccare il predominio occidentale. È altresì vero che i BRICS non potranno rimpiazzare gli USA come egemone, dal momento che alla potenza economica non corrisponde una pari forza militare; né i BRICS potranno costruire una vera alternativa di governance mondiale finché non riusciranno a risolvere i loro squilibri interni e di gruppo.
Gli autori:
LUCA BIONDA Direttore Programma “Sistema Italia” dell’IsAG
AYMERIC CHAUPRADE Direttore di “Realpolitik.tv”, già professore di Geopolitica all’École de Guerre
ALEKSEJ G. ČERNYŠOV Professore di Politologia e preside della Facoltà di Tecnologie sociali (Università di Economia e Commercio di Mosca (RGTEU)
EMILE CHAPUIS Giornalista
DARIO CITATI Ricercatore associato e direttore del Programma “Eurasia” dell’IsAG, dottorando in Slavistica (Università La Sapienza di Roma)
ZORAWAR DAULET SINGH Ricercatore presso il Center for Policy Alternatives di Nuova Delhi
VLADIMIR A. DERGAČËV Doktor nauk in Scienze geografiche
EMIDIO DIODATO Professore associato in Scienze politiche (Università per Stranieri di Perugia)
TIBERIO GRAZIANI Presidente dell’IsAG, direttore di “Geopolitica”
VLADISLAV GULEVIČ Analista del Centro di Studi Conservatori, Università Statale di Mosca
CARLO JEAN Generale dell’Esercito Italiano, docente alla Link Campus University (Roma)
PHIL KELLY Docente di Scienze politiche (Emporia State University, Kansas, USA)
ERNEST G. KOČETOV Presidente dell’Accademia Pubblica di Scienze Geoeconomiche e Globalistiche
MEHDI LAZAR Ispettore del Ministero dell’Istruzione francese. Dottore in geografia presso l’Università Panthéon Sorbonne, laureato al Centre d’Etudes Diplomatiques et Stratégiques e all’Institut Français de Géopolitique.
MATTEO MARCONI Docente di Geografia politica ed economica (Università La Sapienza di Roma), direttore del Programma “Teoria geopolitica” dell’IsAG
WANG NING Professore di Letteratura comparata e direttore del Centro di Letterature comparate e studi culturali all’Università Tsinghua di Pechino, titolare della Cattedra Zhiyuan di Lettere e filosofia presso l’Università Jiatong di Shanghai
GHORBANALI POUR MARJAN VARJOVI Consigliere per gli affari culturali dell’Ambasciata della Repubblica Islamica d’Iran in Italia
ANAND PRATAP SINGH Dipartimento di Scienza politica, Babasaheb Bhimrao Ambedkar University, Lucknow (India)
GEOFFREY SLOAN Direttore del Graduate Institute for Political and International Studies (GIPIS), Università di Reading
ROBERT STEUCKERS Direttore di “Synergies européennes”
ALESSIO STILO Dottore in Relazioni internazionali (Università degli Studi di Messina)
FRANÇOIS THUAL Docente presso il Collège interarmées de défense e la École Pratique des Hautes Etudes
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mercredi, 14 novembre 2012
Die europäische Misere
Die europäische Misere
Von Mag. Wolfgang Dvorak-Stocker
Eigentlich befaßt sich die NO nur am Rande mit tagespolitischen Ereignissen, da sie als Vierteljahresschrift ergänzend zu den Wochen- und Monatsmagazinen eher grundsätzliche Fragen und langfristige Entwicklungen behandeln will. Doch die Vorgänge rund um den ESM sind für unsere Zukunft so bedeutend, daß wir in dieser Nummer eine topaktuelle Analyse des Entscheids der deutschen Bundesrichter in Karlsruhe aus der Feder von Univ.-Doz. Dr. Friedrich Romig bringen. Wie geht es weiter? Den Weg in einen echten Bundesstaat mit übergeordneter Budgetkompetenz etc., wie ihn etwa Außenminister Spindelegger will, hält Romig mit guten Gründen für nicht beschreitbar und ein weiteres Durchwurschteln mit immer neuen Rettungsschirmen für Griechenland und eine steigende Anzahl weiterer Staaten wird ohne Zweifel in einen Kollaps führen, der die EU als solche in den Abgrund stürzen könnte. Für Romig bleibt als einzige Lösung die möglichst zügige Renationalisierung der Währungen.
Auch Dr. Hans-Dietrich Sander befaßt sich in seinem Kommentar mit der galoppierenden Krise und meint, der Euro wäre vor allem eingeführt worden, um die Dominanz der D-Mark zu brechen und auch in der heutigen Lage ginge es in der EU in erster Linie darum zu verhindern, „daß sich Deutschland wieder aufrappelt – es wären dann die beiden Weltkriege vergeblich geführt worden“. So sehr ich Sander schätze, kann ich ihm in diesem Punkt jedoch nicht rechtgeben. Welches Deutschland sollte sich da „aufrappeln“, mit einer schrumpfenden Einwohnerzahl gegenüber Weltmächten wie den USA mit der 5fachen Bevölkerung der BRD (rechnet man nur die autochthonen Deutschen), gegenüber China und Indien mit fast der 20fachen Bevölkerungszahl? Allein die demographische Entwicklung wird Deutschland und alle anderen europäischen Länder vor so gewaltige Probleme stellen –und zwar auch dann, wenn die Immigrationsfrage wider Erwarten doch noch im Sinne der europäischen Völker gelöst werden kann -, daß die nächsten Jahrzehnte nahezu ausschließlich von ihr beherrscht sein werden. Das alternde und schrumpfende Europa ist keine Gefahr für andere Weltmächte mehr, höchstens Objekt der Begierde. Natürlich wird man nachdenklich, wenn man – wie unter „Zitiert“ auf S. 5 - liest, welche Rolle die USA bei der aufgezwungenen türkischen Massenimmigration in die BRD spielten. Doch die USA wollen alle Welt in kleine Klone ihrer selbst verwandeln, nicht nur uns. Die Misere, in der sich Deutschland mit seinem großen Bevölkerungsanteil nichteuropäischer Zuwanderer befindet, ist etwa in Frankreich oder England noch viel größer. Auch dort haben die Eliten ihr Volk verraten und – wie bei Englands Labour Party aktenkundig – aus parteitaktischem Interesse die Zuwanderung gefördert.
Hat, wie Stephan Baier in seiner Analyse meint, bei der Schaffung des Euros nicht der Gedanke Pate gestanden, damit über eine Hartwährung zu verfügen, die dem Dollar auf den Weltmärkten Paroli bieten könnte – eine Art erweiterte D-Mark mit bald 300 statt nur 80 Millionen Menschen als Basis? Wären die vereinbarten Stabilitätskriterien eingehalten worden, der Euro hätte diese Funktion erfüllt. Doch sie wurden nicht eingehalten – auch von Deutschland und Österreich nicht. Man kann nur Hartwährungspolitik betreiben oder Weichwährungspolitik. Tertium non datur. Daher halte ich es für die sinnvollste Lösung, daß jene Länder, die ersteres wollen, unter strengen Kriterien zusammengeschlossen bleiben – um dem Euro auf den Weltmärkten die denkbar beste Position zu verschaffen – und alle anderen, die dies nicht wollen oder können, zu anderen Lösungen greifen, ob diese nun eine eigene Währung oder einen gemeinsamen, weicheren Währungsverbund bedeuten.
Gegenwärtig geschieht nichts von dem, die EU macht die Krise, in die die europäischen Länder durch ihr selbstverantwortetes, nationalstaatliches Handeln gestürzt sind, nur noch schlimmer. Das sieht auf anderen Politikfeldern nicht besser aus. Auch in der Immigrationsfrage stehen die Institutionen der EU weit eher auf der Seite der Treiber als jener der Bremser oder gar Rückführer. Wie geht es weiter?
Ich stimme Stephan Baiers Analyse voll zu, daß Europa aufgrund der geopolitischen, vor allem demographischen Entwicklungen aus vitalem Selbstbehauptungsinteresse zu einem Zusammenschluß, einem gemeinsamen Vorgehen finden muß und daß dazu die europäische Integration der gebotene Weg ist. Wenn dieser aber in die falsche Richtung führt, wenn die europäische Vielfalt (und die daraus erwachsende Konkurrenz), die seit jeher die genuine Stärke dieses Kontinents ausgemacht hat, durch falsche Vereinheitlichung und Zentralisierung gefährdet wird, wenn gar die EU, wie die beiden genannten Beispiele zeigen, gerade jene Zwecke torpediert, zu deren Verfolgung sie eigentlich geschaffen worden sein sollte –die weltpolitische Stärkung unseres Kontinents und die Bewahrung seiner Identität – dann ist die Zeit gekommen, alternative Wege zu gehen. Alternative Wege, die, wie gezeigt, nicht antieuropäisch, sondern anders-europäisch sein müßten.
Noch ist es aber nicht so weit, noch hat nicht einmal die FPÖ ein echtes, durchdachtes Alternativprogramm vorgelegt, und nationale Parteien in anderen Ländern auch nicht. Noch geht es um die konkreten Beschlüsse unserer Politiker zur Bewältigung der gegenwärtigen Krise. Ich bin mir nicht sicher, ob hier nicht schon Kompetenzen und verfassungsrechtliche Verpflichtungen in strafrechtlich relevanter Form überschritten wurden – eine Frage, deren Klärung sich Juristen annehmen sollten. Wie ist etwa das Abstimmungsverhalten der österreichischen Grünen – gegen eine europäische Schuldenbremse, aber für österreichische Megahaftungen zugunsten der Schuldnerländer - erklärbar, wenn nicht damit (siehe Zitate auf S. 9), daß hier der alte linksradikale Affekt wirksam ist, nach dem man alles tut, was dieses Land ruiniert und alles zu verhindern sucht, was dieses stabilisieren könnte!
Neue Ordnung III/2012
Die europäische Misere Seite 2
Austria infelix Seite 3
Zitiert Seite 4
Knap & klar Seite 4–5
Angst vor Revolten Seite 6–7
Von Dr. Hans-Dietrich Sander
§ 3h des Verbotsgesetzes menschenrechtswidrig! Seite 8
Anonymous gegen Künstler und Autoren Seite 8
Verzwickte Verwandtschaft Seite 8
Zitate zur Eurokrise Seite 9
Deutsche und Österreicher Seite 9
Warum wir den Euro brauchen Seite 10–12
Von Mag. Stephan Baier
Karlsruhe hat die ESM-Klagen abgewiesen Seite 13–16
Von Univ.-Doz. Dr. Friedrich Romig
Verhängnis Obama und keine Alternative Seite 17–19
Brief aus Amerika
Von Univ.-Prof. Paul Gottfried
Die verschwiegene Katastrophe Seite 20–23
Über die Intelligenz und ihre Feinde
Von Dr. Angelika Willig
Stadt ohne Gott? – Urbanität und religiöser Wandel in der Spätmoderne Seite 24–29
Von Wolfgang Saur
Heidentum Seite 30–36
Von Dr. Baal Müller
Otto I., der Große Seite 37–42
Von Dr. Falko Gramse
Reiter in deutscher Nacht Seite 43–51
Nationalisten in deutschen Romanen
Von Manfred Müller
Gedichte Seite 52
Libri legendi Seite 54–55
Aktuelles [NO II/2011]
Der demografische Wandel: Informative und gut gestaltete Animation über die Bevölkerungsentwicklung bis 2058
Muslimische Mehrheit in Europa binnen 20 Jahren: Interview mit dem angesehenen ägyptischen Prediger Amr Khaled, der seine Glaubensbrüder in Europa vor „überzogenen Reaktionen“ (wie Terroranschlägen) auf „Provokationen“ (wie islamkritische Karikaturen) warnt, da dies nur jenen Kräften in die Hände spielen würde, die die Muslime aus Europa entfernen wollen. Diese sollten sich ruhig verhalten und als wertvolle Mitglieder der Gesellschaft bewähren, da nur mehr die nächsten 10 Jahre für ihre Stellung kritisch sein würden.
Der amerikanische Traum: Zweiteiliger Cartoon (aus den USA), der sich kritisch mit der Rolle der amerikanischen Notenbank Fed im besonderen und des Banksystems im allgemeinen auseinandersetzt. Sicher wird manches allzu sehr simplifiziert und die Kritik teilweise stark überspitzt, doch handelt es sich um einen exzellent gemachten Zeichentrick-Film, der einige wesentliche Grundinformationen vermittelt. Fast eine Million Mal wurde der Film bereits aufgerufen. Die Fassung mit deutschen Untertiteln hat eine libertäre Organisation ins Netz gestellt. Teil 1, Teil 2
Hintergrundinformationen zu den handelnden Personen finden sich auf der offiziellen Seite des Filmproduzenten
Eine Monarchie im 21. Jahrhundert: Die französischen Monarchisten streben eine „Démocratie Royale“ an. Informative Seite über ihre politischen Konzepte mit vielen Zitaten von Louis Alphonse de Bourbon (Ludwig XX.) über sein Selbstverständnis.
Absturz des Berliner Schulsystems: So chaotisch geht es an deutschen Schulen zu
Bitte unterstützen Sie die Initiative für ein gegliedertes und vielfältiges Schulsystem! www.bildungsplattform.or.at
Sehr interessantes Interview mit Gaddafis Sohn Saif
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mardi, 13 novembre 2012
COMPACT November 2012
COMPACT November 2012
Inhalt COMPACT 11/2012
Titelthemen
- Wird Steinbrück Kanzlerin?
- Merkel: Die Patin & ihre Rivalen
- NSU-Morde: Die Spur der Stasi-Waffen
- Erdogan: Zündeln für den Weltkrieg
- Hysterie: Alles Antisemiten – außer Mutti
- Dossier: Wie wird Deutschland wieder souverän?
Vollständiger Inhalt
- Steinbrück: Kandidat der Bilderberger.
Von Jürgen Elsässer - Von der Leyen: Aufstieg aus dem Sumpf.
Von Niki Vogt - System Merkel: Die Patin und ihre Rivalen.
Interview mit Gertrud Höhler
POLITIK
- Cem Özdemir: Ein schwäbischer Anatolier.
Von Lion Edler - NSU-Morde: Die Rätsel der Ceska 83.
Von Kai Voss - Wahlalternative 2013: <<Ich fürchte um die Demokratie>>
Interview mit Konrad Adam - Hyterie: Alles Antisemiten – außer Mutti.
Von Ken Jebsen - Syrien/Türkei: Spurensuche in Akcakale.
Von Hasan Bögün - Irankrieg: Von Stuxnet zu Flame.
Von Frederike Beck
DOSSIER Wie wird Deutschland wieder souverän?
- EU/ESM/Euro: Mit der Freiheit unvereinbar.
Von Karl Albrecht Schachtschneider - Wie souverän ist Deutschland.
Von Oliver Janich - Paris-Berlin-Moskau.
Von Eberhard Straub - Ein neues Bündnis ist nötig.
Von Natalia Narochnitskaya
LEBEN
- Goethe-Wochen in Frankfurt: Das Rauschen des Papiergeldes.
Von Andreas Rieger - Euro: Politisch korrekte Scheine
Von Malte Olschewski - Wolfgang Schreyer zum 85. Geburtstag: Ein Fenster zur Welt.
Von Marcus Mittelstraß - Alexander von Humboldt: Alle sind zur Freiheit bestimmt.
Von Utz Anhalt - Fotoessay: Ewiges Moskau, junges Moskau.
Fotos: Jörg Esefeld & Sascha Neroslavsky - Kleine Genüsse. Stefan Bludau, Elisabeth Bachmaier, Philippe Guichard
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samedi, 10 novembre 2012
Zuerst - Oktober 2012
Aktuelle Ausgabe
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vendredi, 09 novembre 2012
Elementos n°34 y n°35
ELEMENTOS Nº 34. EL PROBLEMA DE LA TÉCNICA EN LOS AUTORES KR (vol. I)
Enlace Revista documento pdf
SUMARIO.-
La pregunta sobre la Técnica en los revolucionario-conservadores,
Enlace Revista documento pdf
SUMARIO.-
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dimanche, 04 novembre 2012
Nouvelle revue d'Histoire: le conflit du trône et de l'autel
“Le conflit du Trône et de l’Autel”, par Dominique Venner
Editorial de La Nouvelle Revue d’Histoire
N°63, novembre-décembre 2012
Tout grand évènement religieux a des causes politiques et historiques. Cette observation se vérifie particulièrement en Europe dans l’histoire du christianisme, en raison des liens étroits et conflictuels établis entre l’Église et l’État, le Sacerdoce et l’Empire, le Trône et l’Autel. Tel est le sujet du dossier de la NRH de novembre 2012 (n° 63). Si vous prenez le temps de le lire, vous découvrirez certainement une face des choses qui vous paraîtra neuve. L’étude historique comme nous la pratiquons n’a pas pour but de rabâcher les clichés entretenus par une transmission paresseuse des savoirs scolaires. Elle à pour but de nous donner des instruments pour comprendre les mystères du passé et ceux du présent afin de construire notre avenir.
Il existe bien d’autres religions (ou de sagesses religieuses) à travers le monde et d’origine vénérable, mais aucune n’a eu un destin comparable au christianisme, en ce sens où aucune n’a édifié sur la longue durée une telle institution de pouvoir se posant à la fois en rivale ou en appui du Trône ou de l’État. Analyser cette particularité excède naturellement les limites de cet éditorial (1). Je me limiterai donc à rappeler deux particularités historiques majeures.
À la suite d’une série d’imprévus historiques majeurs, à la fin du IVe siècle de notre ère, un culte d’origine orientale et en constants changements fut adopté comme religion d’État obligatoire d’un Empire romain devenu largement cosmopolite. Pour faire bref, je ne crois pas du tout à la vieille thèse selon laquelle la nouvelle religion aurait provoqué la décadence de l’Empire. En revanche, c’est évidemment parce que « Rome n’était plus dans Rome » depuis longtemps, que les empereurs, à la suite de Constantin et de Théodose (malgré l’opposition de Julien), décidèrent, pour des raisons hautement politiques, d’adopter cette religion.
En trois gros siècles (l’espace de temps qui nous sépare de Louis XIV), la petite secte juive des origine était devenue une institution sacerdotale frottée de philosophie grecque que saint Paul avait ouverte à tous les non-circoncis (Galates, 3-28), une religion qui se voulait désormais celle de tous les hommes.
Ce projet d’universalité chrétienne coïncidait avec l’ambition universelle de l’Empire. Il en était même le décalque, ce qui favorisa son adoption après des périodes de conflits (sans parler des nombreuses hérésies). Pour un empire à vocation universelle, une religion qui se voulait celle de tous les hommes convenait mieux que la religion des dieux autochtones de l’ancienne cité romaine. On pense rarement à cette réalité capitale. Tout plaidait politiquement en faveur de cette adoption, et les apologistes chrétiens n’ont pas manqué de le souligner. À la différence de l’ancienne religion civique, la nouvelle était individuelle et personnelle. Par la prière, chaque fidèle était en relation implorante avec le nouveau Dieu. Celui-ci ne s’opposait pas au pouvoir impérial : « Rendons à César ce qui est à César et à Dieu ce qui est à Dieu ». Les difficultés surgiront ultérieurement sur la délimitation du territoire accordé à César (le Trône) et à Dieu (l’Autel).
Par la voix de saint Paul, l’Église naissante avait justifié l’autorité des Césars : « Tout pouvoir vient de Dieu » (Romains, 13). À la condition toutefois que les Césars lui reconnaissent le monopole de la religion et de la parole sacrée. À cet égard, l’Empire multiethnique de l’époque ne pouvait souhaiter mieux qu’une religion prête à le servir en unifiant tous les peuples et toutes les races dans l’adoration d’un même Dieu sans attache ethnique.
L’empereur Constantin, imité en cela par ses successeurs en Orient (Byzance) était bien décidé à intervenir dans les affaires d’une Église qu’il voulait soumise, et à mettre de l’ordre dans les disputes théologiques grosses de désordres. Son autorité s’imposa ainsi au Concile de Nicée (326) qui établit les fondements de l’orthodoxie catholique en donnant une assise au mystère de la trinité divine. Devenue obligatoire, ce qui impliquait la conversion de tout titulaire d’autorité, l’Église naissante devint une formidable machine de pouvoir, épousant les structures de cette non moins formidable institution qu’était l’Empire.
Un siècle après Constantin et Théodose, surgit un nouvel imprévu historique aux conséquences colossales. Depuis longtemps, le gigantisme de l’Empire avait conduit à le diviser en deux : empire d’Occident (capitale Rome en attendant Ravenne) et empire d’Orient (capitale Constantinople). Une primature était accordée à Constantinople en raison du déplacement oriental du centre géométrique, ethnique et économique, de l’Empire. Cela d’autant que la présence toujours accrue à l’Ouest de populations germaniques, dites « barbares », créait une instabilité mal maîtrisée.
C’est ainsi qu’en 476, le dernier empereur fantoche d’Occident (Augustule) fut déposé par un chef hérule nommé Odoacre qui renvoya les insignes impériaux à Constantinople. Cet évènement signait la fin discrète de l’empire d’Occident (2). Ne subsistaient à l’Ouest que deux pouvoirs issus partiellement de l’ancienne Rome. Celui d’abord des rois et chefs germaniques adoubés par l’Empire, qui sont à l’origine de tous les royaumes européens. Celui, ensuite, plus ou moins concurrent d’une Église, riche et puissante, représentée par ses évêques, héritiers de l’administration diocésaine romaine.
Ce serait trop simplifier les choses que de distinguer alors pouvoir politique et pouvoir religieux, tant ce dernier disposait d’une part notable de la richesse et de la puissance publique. Mais dans ce monde neuf d’un Occident en ébullition, vont apparaître bientôt deux autres pouvoirs juxtaposés aux précédents, celui du pape, évêque de Rome, et celui des empereurs d’Occident et de rois qui, à la façon de Philippe le Bel, se voudront « empereur en leur royaume ». Ainsi se dessine le cadre historique d’équilibres et de conflits qui se sont prolongés jusqu’à nous (2).
Dominique Venner
Notes
(1) J’ai développé les observations de cet éditorial dans mon livre Le Choc de l’Histoire (Via Romana, 2011). Notamment p. 108 et suivantes, que complètent les réflexions du chapitre Mystique et politique(p. 155).
(2) L’Empire d’Occident fut relevé en l’an 800 par Charlemagne, ce qui suscita l’irritation de l’empereur byzantin.
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samedi, 27 octobre 2012
Terre & Peuple n°53
Terre & Peuple n°53
Le numéro 53 de la revue est centré sur ‘le Nouveau Moyen Âge’, celui que nous nous préparons à aborder.
L’éditorial de Pierre Vial, intitulé ‘Boomerang’, évoque le drame qu’a vécu le conseiller général des Pays de Loire Djamel Gharbi. Tunisien d’origine, il passait ses vacances dans le pays de ses ancêtres avec sa femme et sa fille de 12 ans. Ils ont été attaqués et violentés par une bande de salafistes qui jugeaient leur tenue indécente. La presse a bien dû en parler et citer la vertueuse indignation du ministre Fabius. Dans le même registre, le ministre de l’Intérieur Manuel Vals a fait un « déplacement structurant » à Amiens dévastée par les dernières émeutes ethniques. Pour lui, tout ça c’est la faute à la crise. Voilà qui annonce encore un petit effort pour mieux saupoudrer les zones.
Pierre Vial tresse une couronne de fraternelles immortelles à Alain de Benoist à l’occasion du dernier livre de celui-ci, ‘Mémoire vive’. Cela vient heureusement compenser la recension vitriolée qu’en a donnée Rivarol.
L’Ambassadeur Perrin découvre les dessous véritables de la ‘poignée de main de Montoire’, que les bien-pensants ont outrageusement exploitée pour torpiller le Maréchal Pétain. Il révèle qu’il y a eu deux Montoire, un avant et un après la rencontre Hitler-Franco.
Pierre Vial, médiéviste spécialiste du Temple, règle magistralement le compte des clichés idéologiques qui visent à faire du moyen âge un simple intermède (d’un millénaire !) d’obscure barbarie entre l’Âge d’Or de l’antiquité gréco-romaine et les lumières retrouvées de la Renaissance, voie royale vers les Lumières modernes de la révolution libérale. Plutôt que faire débuter le moyen âge en 476 à la fin de l’Empire romain d’Occident, pour le terminer en 1492 à la fin de la Reconquista, il propose les dates de 410 et 1453 : la prise de Rome par les Wisigoths et celle de Constantinople par les Turcs. Il tord le cou à la légende noire mise en place à la Révolution. Elle se devait de diaboliser la féodalité comme le mal absolu : les seigneurs vivaient de brigandage et leurs plaisirs étaient barbares. De grands historiens, tel Georges Duby, ont bien remis les pendules à l’heure. Michel Pastoureaux également, pour qui on vivait mieux, et plus longtemps, sous saint Louis que sous Louis XIV. Pour Pierre Vial, dans les temps incertains aujourd’hui imminents, les valeurs du moyen âge, tant de virilité guerrière et de loyauté fidèle, du suzerain comme du vassal, que de solidarité vécue autant que des familles et des clans, des métiers et des compagnonnages, des ordres monastiques et chevaleresques, ces valeurs là devraient être aujourd’hui les modèles dont s’inspirer pour notre survie.
Evoquant la remise en forme actuelle de l’armée russe, Alain Cagnat dresse d’abord un tableau apocalyptique de la dislocation de l’ex-Armée rouge. Après les révélations humiliantes d’une série de dysfonctionnements, qui s’étaient manifestés déjà lors de ses interventions contre les soulèvements hongrois (1956) et tchèque (1968), et la morne retraite de l’Afghanistan (1989), elle avait été démembrée entre les anciennes républiques de l’Union. Commence alors le calvaire des soldats qui ne sont plus payés ni équipés : certaines unités de garnisons sibériennes abandonnées sont mortes de faim ! Les désertions sont alors légion et la corruption (des officiers sont allés jusqu’à vendre du combustible nucléaire) est banale. C’est dans ces conditions qu’Eltsine lance dans la guerre en Tchétchénie 38.000 soldats et 800 blindés. Un régiment entier va être taillé en pièce par 5.000 Tchétchènes et Elstsine va être contraint à demander un cessez-le-feu infamant. C’est de cette situation que Poutine va hériter, au moment où le terrorisme frappe Moscou. Il parviendra, dans la seconde guerre de Tchétchénie, à rendre son honneur à l’armée russe. L’essai sera même glorieusement transformé lorsqu’il écrase ensuite l’attaque de l’Ossétie du Sud par une Georgie soutenue par les occidentaux.
Alain Cagnat encore esquisse un pittoresque portrait des haredim, les tenants d’un judaïsme ultra-orthodoxe, dont font partie les hassidim (voir le personnage du Rabbi Jacob de Gérard Oury). Les haredim sont des opposants farouche du sionisme. Pour eux, la shoah est la punition du ciel pour ceux qui ont entrepris par la force la conquête d’Israël, alors qu’elle ne doit être l’œuvre que du seul Messie au jour du Jugement.
Pour Claude Valsardieu, c’est 1905 la date charnière entre les temps anciens et une ère nouvelle qui va associer des chimères, chimères politique (le communisme de Lénine), physique (l’espace-temps d’Einstein) et esthétique (l’art abstrait de Picasso). Et il énumère toute une théorie de faits de ce moment de l’histoire, fort convaincants à cet égard. Entre autres la conclusion cette année là de l’Entente cordiale, déterminante pour la guerre à mener à l’Allemagne ; c’est aussi le moment de l’écrasement des Boers (28.000 civils morts, dont 22.000 enfants, dans les premiers camps de concentration de l’histoire ; celui de la guerre russo-japonaise, avec la pulvérisation de la flotte russe ; c’est le moment de la découverte des pétroles de la Caspienne et du Kouristan iranien ; c’est la naissance du mouvement ‘Jeunes Turcs’ d’Enver Pacha, qui va bientôt contraindre le Sultan à abdiquer ; c’est le percement de l’Isthme de Panama ; c’est la mise en place des premiers empires industriels modernes (Rockfeller et sa Standard Oil et Henry Ford et ses automobiles) ; c’est le moment où les Etats-Unis sont prêts à reprendre la relève de l’Empire britannique pour encercler les puissances du continent et les empêcher de s’entendre ; c’est la date de la première révolution russe, matée par Stolypine ; en France, c’est le temps où l’armée est démoralisée par l’Affaire Dreyfus et par son épuration par les laïcs fanatiques, après l’abolition du Concordat. C’est aussi l’époque où l’avion des frères Wright décolle de quelques mètres, où Méliès développe le premier cinématographe et où sont reçues les premières émission de radiophonie.
Observant que, même dans notre famille, les créateurs d’art sont devenus rares et qu’Ezra Pound proclamait que l’art lui aussi exige un effort, François Desnoyers nous en console en évoquant le Russe Andreï Biély (1880-1934), ‘le poète métaphysique de l’horreur’. Le premier roman de Biély, ‘La Colombe d’argent’ (éd. L’Âge d’homme) est une satire fulgurante d’une Russie profondément païenne. Cette première œuvre sert d’utile introduction à sa poésie. Pour Biély, les malheurs de la ‘culture aryenne’ viennent de ce qu’elle trahit son origine hindoue. Lorsqu’il découvre Rudolf Steiner, c’est le choc : il devient avec sa femme, une fille de Tourguéniev, un membre actif de la communauté steinérienne qui va construire le temple Goetheanum.
André Lama commente la réédition (éd. Dualpha) de ses deux volumes ‘Des dieux et des empereurs’ sous un nouveau titre ‘Causes ethniques de la chute de l’empire romain’. A la question de savoir qui est l’empereur qui a ses préférence, il répond qu’il convient de distinguer les périodes, très différentes, de l’empire, mais désigne quand même Aurélien comme l’un des plus valeureux.
Sandra décrit par le détail les dolmens découverts en 1961 en Franche-Comté, dans les bois de Buisseret en Haute-Saône. Leur mobilier funéraire est conservé au Musée de Besançon. Elle en profite pour préciser que la Bretagne n’a pas le monopole de ce genre de mégalithes, qui sont répandus dans toute la France et au-delà, notamment en Wallonie, à Wéris où notre ami Gérald a organisé une de ses récentes randonnées d’explorations historiques.
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mercredi, 24 octobre 2012
Rébellion 55 !
SOMMAIRE
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jeudi, 04 octobre 2012
IMPERIO: ORDEN ESPACIAL Y ESPIRITUAL
IMPERIO: ORDEN ESPACIAL Y ESPIRITUAL
Enlace Revista electrónica
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SUMARIO.-
Translatio Imperii: del Imperio a la Unión,
¿Hacia un modelo neoimperialista?
Gran espacio e Imperio en Carl Schmitt,
¿Europa imperial?,
Imperialismo pagano,
El concepto de Imperio en el Derecho internacional,
por Carl Schmitt
Nación e Imperio,
El Imperium a la luz de la Tradición,
Imperio sin Imperator,
Imperio: Constitución y Autoridad imperial, por Michael Hardt y Antonio Negri
La teoría posmoderna del Imperio,
El Imperium espiritual de Europa: de Ortega a Sloterdijk,
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mardi, 02 octobre 2012
Le numéro 55 de la revue Rébellion
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vendredi, 14 septembre 2012
Rébellion n°54
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jeudi, 19 juillet 2012
Reflechir & Agir no. 41
Reflechir & Agir
no. 41
p 03 - Editorial
p 04 - Tour d'horizon / En bref
p 12 - Héritage : Qu'est-ce que le Maghreb ?
p 15 - Dossier : L'école, le grand pourrissoir
p 16 - La Fabrique du crétin
p 19 - Le Pourrissement programmé des esprits
p 21 - Paroles de profs
p 23 - Les Hauteurs béantes de l'école
p 27 - Il était une fois... le bourrage de crâne
p 30 - L'Histoire (des vainqueurs)
p 31 - Apprentissage et travail manuel :
le grand mépris
p 33 - L'école privée est-elle la panacée ?
p 34 - Etat sociologique de la jeunesse
p 35 - L'éducation nationale est-elle réformable ?
p 37 - Entretien avec Christian Vander :
Voyage au bout de la Zeühl
p 42 - Histoire : Actualités de Jacques Bainville
p 44 - Réflexion : L'anarchisme de droite,
l'exigence d'une liberté irréductible
p 47 - Tradition : Alain Daniélou, la tradition et l'Hindutva
p 50 - Littérature : Roger Nimier 50 ans après
p 53 - Un livre est un fusil :
Je suis partout (anthologie 1932-1944)
p 54 - Notes de lecture
p 65 - Cinéma : Il était une fois Sergio Leone
p 67 - Musique : Sexe, national-bolchevisme & rock'n'roll
avec Jean Yanne et Les Charlots
p 69 - Musique : Chroniques de disques
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mardi, 03 juillet 2012
Roman 20-50, revue d'étude du roman du XXè siècle
Roman 20-50, revue d'étude du roman du XXè siècle
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mercredi, 27 juin 2012
Tekos - nr. 146
Tekos - nr. 146
INHOUDSOPGAVE
Editoriaal
François Brigneau (1919-2012)
door Peter Van Windekens
CasaPound Italia te Antwerpen
door Peter Van Windekens
CasaPound (CP), opgericht op 26 december 2003, is een Italiaanse rechtsradicale politieke en sociale beweging die haar naam ontleent aan de Noord-Amerikaanse dichter, criticus, uitgever en sympathisant van het (Italiaanse) fascisme, Ezra Pound (1885-1972). CP wil een alternatief bieden voor de lopende globaliseringsprocessen en tegen de overheersing van het markt- en consumptiedenken, om aldus een ethiek van volkssoevereiniteit tot stand te brengen. Terzelfdertijd wenst CP plaats te bieden aan collectieve weerstand, uitwerking en actie, waarbij het voor elke persoon mogelijk blijft uitdrukking te geven aan zijn / haar eigen ambities en persoonlijkheid.
Het ontstaan van CP ging gepaard met de bezetting – of noem het “kraken” - van een leegstaand gebouw te Rome, via Napoleone III nr.8, in de multiculturele Esquilinowijk, grenzend aan het Piazza met dezelfde naam, vlakbij het Termini treinstation. Vandaag wonen er 23 families, in totaal 70 personen waarvan 12 kinderen. Aan de hand van meerdere gelijkaardige acties in de hoofdstad alsook in andere Italiaanse steden, door mobilisaties en verschillende initiatieven, heeft CP haar naam kunnen verankeren binnen heel het territorium van het Apennijns Schiereiland.
Derhalve is CP zichtbaar aanwezig in vele Italiaanse steden en kleinere centra van zowat elke regio, van Aosta tot Palermo. In het noorden van Rome palmde men het verlaten treinstation Farneto in om het dra om te dopen tot “Area 19”. Vooral concerten en grote manifestaties vinden er nu hun weg. In het oosten van Rome, meerbepaald in de Alberone wijk, heeft CP het Circolo Futurista uit de grond gestampt, een ideale plek voor theateropvoeringen en tentoonstellingen. In functie hiervan heeft de organisatie, naast een ‘club voor artiesten’, een theaterschool in het leven geroepen. Ook gitaar-, basgitaar- en drumlessen zijn aan CP besteed. De vereniging is zelfs de ‘uitvinder’ van een artistieke trend, het “Turbodinamismo” .....
Afghanistan: een niet te winnen oorlog
door Francis Van den Eynde
Eugene Terre’blanche en de
Afrikaner Weerstandsbeweging (deel 8)
Door Peter Van Windekens
Deel 7 van de reeks over Eugene Terre’blanche en de Afrikaner Weerstandsbeweging (zie TeKoS nr.145, p.18-25) omvatte twee thema’s. Het eerste, tevens de minst uitgebreide topic, toonde aan hoe de media in de persoon van de Britse regisseur Nick Broomfield Terre’blanche en zijn aanhangers over de hekel haalden. Ten overstaan van de hele wereld werden zij voor schut gezet als een bende randdebielen. Het tweede thema, dat overigens het merendeel van het artikel uitmaakte, toonde een heel ander aspect van de nationalistische Afrikaner beweging: het extreme militantisme onder de vorm van enerzijds een goed voorbereide wapenroof en anderzijds, maar tevens veel erger: het treffen van doelwitten met bomaanslagen en (vooral) het ombrengen van mensen. Deze keer was het niet de ‘Volksleier’ die alle aandacht voor zich opeiste, dan wel een van zijn naaste medewerkers, de ook reeds vernoemde Piet Rudolph. Deze laatste vormde bovendien de spil van een terroristische organisatie, de ‘Orde Boerevolk’, die niet weinig schade berokkende en/of slachtoffers maakte. Opvallend in dit gedeelte was echter ook dat de meeste betichten, na weliswaar een uitzonderlijk lange voorhechtenis, dienden te worden vrijgelaten bij gebrek aan concrete bewijzen. De rol van Eugene Terre’blanche in deze bijdrage bleef beperkt tot de herhaaldelijke formele ontkenning dat zijn organisatie ook maar iets met de zaak te maken had .....
De groene hoek
door Guy de Maertelaere
Begrafenis van Emil Cioran in Parijs
door Hendrik Carette
Schrijvers en Lezers
door Peter Logghe en Peter Van Windekens
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samedi, 16 juin 2012
Il Mediterraneo tra l’Eurasia e l’Occidente: i sommari
Il Mediterraneo tra l’Eurasia e l’Occidente: i sommari
È uscito il numero XXVI (2/2012) della rivista di studi geopolitici “Eurasia”, un volume di 264 pagine intitolato:
IL MEDITERRANEO TRA L’EURASIA E L’OCCIDENTE
Ecco di seguito l’elenco degli articoli presenti in questo numero, con un breve sommario per ciascuno di essi.
IL MEDITERRANEO TRA L’EURASIA E L’OCCIDENTE di Claudio Mutti
“Chi controlla il territorio costiero governa l’Eurasia; chi governa l’Eurasia controlla i destini del mondo”. Questa celebre formula, proposta dallo studioso americano Nicholas J. Spykman (1893-1943) in un libro che apparve postumo mentre era in corso il secondo conflitto mondiale, può aiutare a comprendere il significato geopolitico della “primavera araba”. Ricordiamo che secondo Spykman, esponente della scuola realista, gli Stati Uniti dovrebbero concentrare il loro impegno su un’area fondamentale per l’egemonia mondiale: si tratta di quel “territorio costiero” (Rimland) che, come una lunga fascia semicircolare, abbraccia il “territorio centrale” (il mackinderiano Heartland), comprendendo le coste atlantiche dell’Europa, il Mediterraneo, il Vicino e il Medio Oriente, la Penisola Indiana, l’Asia Monsonica, le Filippine, il Giappone. Non appare perciò infondata una lettura della “primavera araba” alla luce dei criteri geostrategici dettati da Spykman, i quali suggeriscono agli Stati Uniti l’esigenza di mantenere in uno stato di disunione e di perenne instabilità il “territorio costiero” – nel quale rientrano anche le sponde meridionali ed orientali del Mediterraneo.
AL DI LÀ DELL’ETHOS DELL’OCCIDENTE di Fabio Falchi
Nella conferenza “La fine della filosofia e il compito del pensiero” Martin Heidegger non esita ad asserire che «la fine della filosofia significa: inizio della civilizzazione mondiale fondata sul pensiero occidentale-europeo».Tuttavia, se da un lato si deve riconoscere nella tecnoscienza il centro ordinatore della nostra epoca, dall’altro è innegabile che l’Occidente non possa non entrare in relazione con culture “diverse”, in grado di “resistergli” sotto il profilo geopolitico, e che esso stesso rechi in sé ciò che lo “contraddice”, vuoi sotto l’aspetto economico e antropologico (Karl Marx e Karl Polanyi), vuoi sotto quello politico e culturale (Carl Schmitt). Non si dovrebbe allora vedere in ciò, tenendo anche conto che “occidentale” ed “europeo” non sono affatto sinonimi, il segno di «un primo incalzante lampeggiare dell’Ereignis», cioè di una “luce” al di là dell’ethos dell’Occidente?
LA LIBIA CHE È STATA DISTRUTTA di Giovanni Armillotta
Nel saggio si esaminano essenzialmente i processi istituzionali e l’ingegneria costituzionale che hanno presieduto alla fondazione della Prima Repubblica Libica (1969-1977) e della Jamâhîriyya (1977-2011). Analizziamo la tal forma di governo venuta alla luce nella comunità internazionale: le novità e le differenze rispetto ai tradizionali significati della repubblica nei sensi liberal-democratico “occidentale” che democratico-popolare in adozione nei Paesi marxisti posti sia ad Ovest che in Estremo Oriente. Vediamo le cause che hanno favorito l’emergere della Libia quale primo Paese africano ai vertici del prodotto interno lordo procapite, fino al crollo – auspici le liberalizzazioni economiche – della Jamâhîriyya, il cui soffocamento da parte delle potenze postcolonialiste ha fatto precipitare l’ex Stato maghrebino nel tribalismo, nella violenza e nell’integralismo islamico a tutto vantaggio dell’imperialismo e dello sfruttamento dei popoli.
QUO VADIS, TURCHIA? di Aldo Braccio
C’è una duplice possibilità, un diverso destino che incombe sulla Turchia nel medio e lungo termine: sovranità e indipendenza, ovvero essere parte integrante dell’”asse del male” di occidentale invenzione, o essere “serva (alleata di ferro) della NATO”, in prosecuzione dell’impegno filoatlantico imposto al Paese a partire dal secondo dopoguerra. In altri termini, vi è la possibilità di una Turchia ancorata a una concezione unipolare del mondo, a guida occidentale e particolarmente a guida statunitense, e quella di un Paese che fa affidamento su una futura, prossima dimensione multipolare del pianeta e cerca di favorirne l’avvento.
TURCHIA E SIRIA di Aldo Braccio
Il dipanarsi delle relazioni storiche fra queste due nazioni – sorte dalla dissoluzione dell’impero ottomano – è significativo della difficoltà di ricostruire uno stabile centro geopolitico nell’area vicinorientale. Le contraddittorie strategie di Ankara sono oggi all’origine di una nuova fase di tensione che non corrisponde agli interessi e alle aspirazioni né dello Stato turco né di quello siriano e che provoca evidente imbarazzo nell’opinione pubblica dei due Paesi.
BOICOTTAGGIO CONTRO IL REGIME SIONISTA di Claudia Ciarfella
La campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) contro le politiche del governo israeliano in Palestina, avviata il 9 luglio 2005, costituisce ad oggi il caso più cruciale e delicato di boicottaggio per fini politici e umanitari: la campagna fu lanciata attraverso un appello della società civile palestinese, sottoscritto poi da numerose altre associazioni, sindacati e personalità di spicco in tutto il mondo, e punta a colpire Israele su vari fronti. Il movimento BDS non tenta di salvaguardare solamente la categoria dei palestinesi nei Territori Occupati, bensì mira al rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini arabo-palestinesi di Israele ed, infine, di quelli dei profughi palestinesi, in primis circa il loro diritto al ritorno nelle proprie terre, così come stabilito dalla Risoluzione 194/1948 delle Nazioni Unite. Il grado di incisività della campagna BDS in relazione alla forza politica ed economica di Israele è ancora oggetto di accesi dibattiti.
“TRIPOLI, SUOL DEL DOLORE…” di Alessandra Colla
Dopo una gestazione trentennale, il 29 settembre 1911 le ambizioni colonialistiche del giovane Regno d’Italia sfociano nell’aggressione alla Libia: dichiarata guerra con un pretesto all’Impero ottomano, possessore di quella regione nordafricana, l’Italia si imbarca in un’avventura destinata a segnare irrimediabilmente il corso degli eventi futuri che vedranno protagonista il bacino del Mediterraneo e le terre che vi si affacciano. Sorta di prova generale della guerra 1915-1918, il conflitto italo-turco costituisce da un lato la prima grande campagna di informazione/disinformazione di massa della storia italiana, e dall’altro il terreno ideale per la sperimentazione della nuova tipologia bellica che s’imporrà nel XX secolo: il bombardamento aereo.
LA “PRIMAVERA” DELLA LEGA ARABA di Finian Cunningham
Dal 1945 in poi, la Lega degli Stati Arabi ha sospeso due soli Stati membri: la Libia e la Siria, ambedue nel 2011. L’organizzazione araba ha fornito un sostegno all’azione neocolonialista degli USA e dei loro alleati.
L’EVOLUZIONE NEOOTTOMANA di Federico Donelli
L’articolo analizza il fondamento ideologico e culturale dell’attuale politica estera della Turchia. Definita da molti analisti come una politica di stampo neoottomano, questa, fonda le proprie radici negli anni ottanta e nella carismatica figura di Turgut Ozal che per primo cercò di rilanciare le ambizioni turche attraverso un deciso richiamo del glorioso passato imperiale. L’idea che l’odierna Turchia possa rivivere il ruolo centrale degli antichi fasti ottomani è alla base della dottrina e dell’azione politica del Primo Ministro Erdoğan e del suo ideologo Davutoğlu. In un Vicino Oriente in cui regna un clima di generale instabilità la Turchia è quindi sempre più legittimata a proporsi come il Paese guida della regione.
UN PERICOLO PER L’EURASIA di Andrea Fais
Mentre negli USA e in Europa i canali d’informazione hanno scatenato un clima di entusiasmo per le “primavere arabe”, altrove le reazioni a questi eventi hanno registrato toni contrastanti e umori controversi. Mosca ed Astana avvertono la minaccia di una destabilizzazione che, come auspicato negli USA, potrebbe far saltare le cerniere eurasiatiche comprese tra Egitto e Xinjiang e tra Siria e Tatarstan; Pechino vede nello sconvolgimento del Nordafrica un attacco occidentale all’Unione Africana e ai programmi di sviluppo patrocinati dalla Cina nel Continente Nero.
CHE COSA VUOL DIRE REPUBBLICA ISLAMICA? di Ali Reza Jalali
Il sistema politico iraniano si basa sull’Islam ed in particolare sulla forma sciita, corrente minoritaria per numero di fedeli rispetto all’Islam sunnita. Le istituzioni iraniane quindi sono sottoposte alla tutela di una guida religiosa di alto rango, che ha il compito di intervenire nelle attività dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutico, giudiziario) quando questi si allontanano dai principi islamici. I fondatori della Repubblica Islamica dell’Iran hanno però voluto adattare all’idea tradizionale di Stato islamico i precetti di un moderno sistema costituzionale: questa interessante sfida,che si è concretizzata con la Rivoluzione islamica del 1979, continua oggi ad affascinare gli intellettuali, iraniani e non.
INTRIGO CONTRO LA SIRIA di Alessandro Lattanzio
La Siria è sottoposta a una pressione internazionale, che viene esercitata tramite diversi mezzi: militari, spionistici, terroristici, economici e mediatici. Organizzare una simile operazione ha richiesto molto tempo, grandi risorse ed un’ampia rete internazionale, che comprende sia capi di stato ed ex-ministri, sia docenti, politici e militanti arabi, turchi e occidentali, ovviamente con il necessario sostegno di dissidenti, terroristi e traditori di origine siriana. L’articolo si propone di definire il quadro dell’intrigo contro la Siria.
LA SFIDA DELLA MEZZALUNA TURCA di Vincenzo Maddaloni
Se si pensa che fino ad alcuni mesi fa la marina israeliana e quella turca compivano le manovre congiunte sotto l’egida della NATO, si può capire l’ansia di Tel Aviv quando si è saputo che nei radar della flotta turca le navi e gli aerei israeliani non sono più segnalati come «amici» ma come «ostili». Con i suoi ottantacinque milioni di abitanti a schiacciante maggioranza islamica la Turchia è il secondo paese NATO per potenza militare e ha un forte orgoglio nazionale, memore della storia imperiale ottomana.
GUERRA DI LIBIA: BANCHE, PETROLIO E GEOPOLITICA di Claudio Moffa
Gen. Wesley Clark: “… Una decina di giorni dopo l’11 settembre 2011, andai al Pentagono. Un Generale che aveva collaborato con me mi chiamò: ‘Sir, vi devo parlare un secondo … abbiamo preso la decisione di attaccare l’Iraq’. ‘Una guerra contro l’Iraq? E perché?’ ‘Non lo so! Credo che non sanno più che fare’ . ‘Hanno trovato forse qualche prova di legami tra Saddam e Al Qaeda?’ ‘No, No ..” … Tornai a trovarlo qualche settimana dopo, erano cominciati i bombardamenti in Afghanistan. ‘Stiamo ancora preparandoci ad attaccare l’Iraq?’ ‘Ancora peggio, Sir!’. Prese un foglietto dal tavolo e disse: ‘l’ho appena avuto dalla Segreteria della Difesa. E’ un promemoria che illustra un piano per prendere (to take) 7 paesi in 5 anni’ ” “Cominciamo con l’Iraq, poi la Siria e il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e infine l’Iran” (http://blog.alexanderhiggins.com/2011/05/22/general-wesley-clark-revealsplan-invade-iraq-syria-lebanon-lybia-somalia-sudan-iran-22858/)
LA FUNZIONE EURASIATICA DELL’IRAN di Claudio Mutti
La strategia statunitense, finalizzata a conseguire il controllo del bordo esterno del continente eurasiatico, ha individuato nell’Iran il segmento centrale di quella fascia islamica che rappresenta il potenziale presidio dell’Eurasia sul versante meridionale. Nell’area che va dall’Asia centrale al Vicino Oriente, l’influenza iraniana è in grado di contrastare la penetrazione occidentale, che ha i suoi attuali veicoli nei movimenti settari appoggiati dalle petromonarchie del Golfo. L’asse Mosca-Teheran può risolvere le contraddizioni esistenti tra la Russia e i musulmani dell’Asia centrale e caucasica, contraddizioni alimentate ed utilizzate dall’Occidente per destabilizzare l’area.
LA DESTABILIZZAZIONE DELLA SIRIA di Carlo Remeny
Ma che cosa c’entra la violenza in Siria con la “Primavera araba”, ammesso che di primavera si possa parlare? Nulla. Si tratta, invece, di un attacco ben preparato da Paesi che per anni hanno recitato la parte degli amici di Damasco con l’obiettivo di monitorare la Siria per lanciare al momento opportuno la loro sfida mortale ad una componente fondamentale dell’alleanza tra Iran, Siria e Resistenza libanese, tanto temuta dall’Occidente.
LA PRIMAVERA EGIZIANA DEL 1919 di Lorenzo Salimbeni
Nell’autunno del 1919 l’Egitto, all’epoca sotto protettorato britannico ed ancora unito con il Sudan, fu attraversato da un movimento rivoluzionario che si opponeva al persistere della presenza britannica, nonostante le promesse di piena indipendenza con le quali era stato stimolato il coinvolgimento egiziano nella Prima Guerra Mondiale. Gli insorti ricevettero la solidarietà di Gabriele d’Annunzio e della Lega dei popoli oppressi che stava prendendo corpo nell’ambito dell’impresa che aveva portato il poeta abruzzese a prendere il controllo di Fiume: non mancarono gli abboccamenti fra emissari fiumani ed egiziani, però non vi furono risultati concreti.
STRATEGIA E GEOPOLITICA DELL’AMERICA LATINA, parte seconda, di Miguel Ángel Barrios
Di fronte alle novità geopolitiche di grandezza epocale di cui è apportatore il secolo XX, l’autore si domanda se l’America Latina possa trasmettere un suo specifico contributo ad un mondo multipolare, che affermerà e sottolineerà le differenze, le diversità e le pluralità. Egli ritiene che, perconseguire un tale scopo, sia indispensabile recuperare l’esercizio del pensiero strategico, al fine di riscattarlo e renderlo capace di far fronte alle molteplici sfide della globalizzazione. L’argomentazione si articola dunque in tre parti, tre veri e propri saggi, il primo dei quali (“Approssimazioni teorico-pratiche”) si prefigge di mettere in luce l’importanza del pensiero strategico e dell’azione strategica. L’autore effettua preliminarmente una panoramica storica della strategia, dalla prospettiva in cui prende forma una teoria generale della guerra; quindi egli colloca la strategia, in quanto metodo di ragionamento, nel campo dell’azione sociale.
INTERVISTA AD ALDO COLLEONI, ex Console della Corea del Nord a cura di Marco Bagozzi
A COLLOQUIO CON MASSIMO FINI di Luca Bistolfi
INTERVISTA A FRANCO CARDINI a cura di Enrico Galoppini
INTERVISTA A SERGEI MARTYNOV, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Bielorussia a cura di Stefano Vernole
L’INDIPENDENZA DELL’EGITTO NEI PIANI DELL’ASSE a cura di Stefano Fabei
Alessandro Lattanzio, Songun, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2012. Recensione di Augusto Marsigliante
Domenico Quirico, Primavera araba. Le rivoluzioni dall’altra parte del mare, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Recensione di Claudio Mutti
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dimanche, 10 juin 2012
Terre & Peuple n°51 - "Fuir la ville?"
Le numéro 51 de Terre & Peuple Magazine est centré autour du thème ‘Fuir la ville ?’
Dans son éditorial, Pierre Vial, qui relève l’intérêt et l’importance des résultats électoraux des populistes, rappelle toutefois que ce n’est pas là notre préoccupation première, laquelle est de maintenir le cap sur Thulé, pour préserver la continuité plurimillénaire de notre sang.
Xavier Eeman esquisse le portrait du mouvement politique et social Casa Pound, très actif d’abord à Rome et à présent dans toute l’Italie. Il mène une action permanente (occupation d’immeubles, logements et restaurants sociaux, clubs sportifs, concerts, etc) qui entend inventer l’avenir tout en assumant un passé dans lequel il ne se laisse pas enfermer.
Y fait pendant les confidences d’un cadre de la police judiciaire, notamment sur les règles de procédure rendues absurdes au point qu’il est persuadé que les élus qui les ont pondues pressentaient le risque de se trouver eux-même un jour en garde à vue ! Le même précise qu’il porte toujours un marteau de Thor sous son gilet pare-balles.
Robert Dragan dénonce la prestation désopilante et révélatrice, sur France Culture, de trois historiens du système qui, dans un français aussi approximatif que progressiste, ont prétendu défendre (soutenir) les lois mémorielles qui prétendent défendre (interdire) la contestation de génocides.
Pierre Vial ouvre le dossier central sur le film ‘Une hirondelle fait le printemps’, qui pose les bonnes questions quant à la décision de rompre avec le genre de vie qu’impose le système.
Jean Haudry décline, avec l’inventaire des noms de la ville chez les Indo-Européens, l’histoire de l’évolution de leur habitat, rural à l’origine et ensuite urbain.
Balmat, un ami identitaire qui a fait retour à la terre, se laisse interviewer sur les obstacles à la rupture avec la ville et sur sa faisabilité, notamment en se faisant éventuellement un devoir d’émarger tant que possible à la providence de l’Etat.
Arnaud de Robert, du MAS (Mouvement d’Action Sociale) pousse le cri de la fourmi : l’électoralisme n’est qu’une de nos armes. C’est en lui opposant l’Organique que nous avons à attaquer l’ennemi à sa racine, dans ses valeurs relatives (peurs, individualisme, consumérisme, désinformation, soumission, et). C’est par une organisation en réseau, dans laquelle Terre & Peuple incarne le pôle culturel, que nous avons à développer en synergies parallèles des actions sociales, économiques alternatives, sportives, artistiques, dans la discipline, la joie et la détermination. Il cite l’article 35 de la Déclaration des Droits de l’Homme : ‘Quand le gouvernement viole les droits du peuple, l’insurrection est le plus sacré des droits et le plus indispensable des devoirs.’
Pour Yvan Lajeanne, la ville constitue, en cas d ‘effondrement économique, un piège à rats. Il remarque qu’il y a en France mille communes de moins de cinquante habitants.
Robert Dragan note que 90% des Français vivent en EDU (espaces à dominante urbaine), lieux d’échanges des ‘aires de polarisation rurales’. L’agriculture représente moins de 3% de la population active. Les Français moyens s’évadent vers les grandes banlieues, mais un cadre supérieur ne peut pas survivre loin d’une métropole. Une opération de répartition spatiale des allogènes vise à les essaimer dans les campagnes. On doit relever une ‘diagonale du vide’, des Ardennes au Massif central.
Claude Perrin décortique, dans le sillage de Gustave Le Bon (‘La psychologie des foules’) et de Konrad Lorenz (‘L’agression’), les lois de l’unité mentale des foules et les risques de leur brutalité. Dans les observations du phénomène, il avertit contre la manipulation des statistiques.
Pierre Vial retrace l’histoire, depuis les temps préhistoriques, de la ville, lieu sacré de regroupement privilégié où se retrouver périodiquement, dont les hameaux néolithiques ne sont que la préfiguration. Dans l’Egypte antique, le même hiéroglyphe désigne la mère, la maison ou la ville. Toutefois, si le village invitait à perpétuer la tradition, la cité incite à l’innovation. Redoute défensive et agglutination de réserves humaines mobilisables, la cité se doit d’être un lieu d’ordre juridique souverain. Dans l’orient antique, cette nécessité débouchera sur le schéma totalitaire et l’obsession monothéiste. La cité grecque, au contraire, peuplée de citoyens et non de sujets, est toute autre. Le Grec a inventé la liberté : l’ordre n’est pour lui qu’une application du Beau et du Bien, par la conciliation des forces dionysiaques et apolliniennes. Cet ordre ne peut se fonder durablement que sur l’homogénéité ethnique, Aristote le souligne : l’hétérogénéité est facteur de sédition. Rome, qui en est un bon exemple, ne sera plus dans Rome dès lors que l’édit de Caracalla fera de n’importe qui un Romain. Les villes du moyen âge, sièges d’abord de l’autorité (de l’évêque et du comte) vont s’enrichir et s’affranchir (édifier des beffrois), voire s’associer (la Hanse), s’ériger en républiques, attirer les surplus démographiques des campagnes. Le XIXe siècle industriel va accentuer l’exode rural et l’exploitation capitaliste va rendre la ville révolutionnaire (la Commune).
Yvan Lajeannne, sans prophétiser la ‘Pétrocalypse’, note que l’agriculture industrielle utilise dix calories énergétiques pour fabriquer une calorie alimentaire. Au niveau actuel, il nous reste 40 années de pétrole (à consommation constante). Le sevrage va être douloureux et les tensions ont déjà commencé.
Alain Cagnat épingle, à propos de la Hongrie et de son premier ministre Viktor Orban, l’hostilité agressive de l’Union européenne à l’égard des peuples européens. Ont eu à la subir les Danois, les Français, les Néerlandais, les Irlandais, les Autrichiens. Hystériques, les bonnes âmes démocratiques réclament à présent des sanctions contre la Hongrie, coupable d’avoir abandonné sa dénomination ‘République de Hongrie’ et d’inscrire dans sa constitution « Dieu bénisse le peuple hongrois. » Et d’étendre aux crimes communistes l’imprescriptibilité d’application aux crimes nazis. Et de considérer l’embryon comme un être humain. Et de réserver le mariage aux couples mixtes. Et de reconnaître le droit de vote aux Hongrois de l’étranger (des minorités dans certains pays limitrophes). Enfin, bouquet final, de déprivatiser la banque centrale et d’imposer une taxe de crise aux banques (à 80% étrangères). Si l’Union européenne n’aime pas Orban, les Hongrois l’aiment : ils étaient plus de cent mille à lui manifester leur soutien.
Le même Alain Cagnat dénonce la pratique déloyale des puritains anglo-saxons, qui diabolisent leurs concurrents pour se justifier moralement, au nom d’une prétendue mission messianique, de les anéantir ensuite par les armes. La première guerre mondiale a ainsi permis aux puissances libérales de liquider les empires centraux réactionnaires, au moment où ceux-ci étaient en passe de devenir des challengers économiques et navals encombrants. Bien plus qu’à éradiquer la peste brune, la deuxième guerre mondiale a servi à empêcher la constitution d’un bloc continental. En trente ans, l’alliance a assujetti l’Europe et n’a plus qu’un adversaire : l’URSS. Au nom de la liberté, celle-ci sera mise à mort par épuisement dans une course aux armements et à l’espace. Dans le monde unipolaire qui fait suite, le Mal qui requiert le feu du ciel a d’abord été l’Irak et sa menace de destructions massives, avant d’être le terrorisme global de l’islamisme incarné par le spectre fantastique de Ben Laden. Dans l’apparente stratégie du chaos qui nous place à la veille de la troisième guerre mondiale, la modération est clairement le fait de l’Iran, de la Russie et de la Chine.
Ce numéro 51 se referme sur le large éventail des recensions des livres et périodiques qu’a lus Pierre Vial durant ce trimestre : une moisson de très riches heures.
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vendredi, 08 juin 2012
Sezession, Heft 48, Juni 2012
Sezession
Aktuelle Druckausgabe (10 €)
Heft 48, Juni 2012
Abonnement der Sezession
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mardi, 29 mai 2012
La chevauchée littéraire, devenue mythique d’Artus
La chevauchée littéraire, devenue mythique d’Artus
Hervé Glot
Ex: http://metamag.fr/
Pierre Joannon
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samedi, 26 mai 2012
Au sommaire du numéro 53 de la revue Rébellion :
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vendredi, 25 mai 2012
Hommage à Schoendoerffer...
Hommage à Schoendoerffer...
Le numéro de mai 2012 de la revue Le spectacle du monde est en kiosque.
Le dossier est consacré à un hommage au cinéaste Pierre Schoendoerffer, récemment décédé. On pourra y lire, notamment, des articles de Michel Marmin ("Le cinéaste des valeurs perdues"), de Bruno de Cessole ("L'heure des héros fatigués"), de Jérôme Leroy ("Willsdorf ou la gloire du sous-off"), de Marc Charuel ("Soldat de l'image") et de Philippe Franchini ("De l'Indochine au Vietnam"), ainsi qu'un entretien avec Jacques Perrin ("Pierre aura été un modèle pour beaucoup").
Hors dossier, on pourra aussi lire des articles de François Bousquet ("Drieu dans la Pléiade", "Virginia Woolf au féminin") ou de Jean-François Gautier ("Claude Debussy, génie tutélaire"). Et on retrouvera aussi les chroniques de Patrice de Plunkett et d'Eric Zemmour ("La fin des modérés").
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lundi, 21 mai 2012
Le Bulletin célinien n°341 - mai 2012
Le Bulletin célinien n°341 - mai 2012
- Marc Laudelout : Bloc-notes
- *** : Hommages à Claude Duneton
- Benoît Le Roux : Céline vu de Rennes en mars 1939
- Louis La Motte-Meurdel : Bagatelles pendant un massacre ou Céline à Rennes [1939]
- Paul Werrie : Entre Céline et Robert Poulet
- B. C. : Une version célinienne du mythe de Babel (2)
Un numéro de 24 pages, 6 € franco.
Le Bulletin célinien, B. P. 70, Gare centrale, BE 1000 Bruxelles.
Le Bulletin célinien n°341 - Bloc-Notes
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