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mardi, 05 janvier 2010

Limes 6/2007 - Pianeta India

Limes 6/2009 in edicola e in libreria dal 31 dicembre

Pianeta India

Sommario






EDITORIALE - IL GIGANTE BUONO





(clicca sulle miniature per andare alle carte)



PARTE I INDIA/INDIE

Francesca MARINO - Esiste l’India?

Quasi nulla accomuna il miliardo e duecento milioni di indiani: né la lingua, né la religione, né l’etnia, né le condizioni socio-economiche. Eppure l’identità nazionale esiste e si propone come modello di convivenza. Una lezione per l’Occidente.

Meghnad DESAI - Un paese di successo che resta molto povero
Le riforme economiche degli ultimi vent’anni hanno prodotto tassi di crescita invidiabili, persino in piena recessione globale. Ma centinaia di milioni di indiani sopravvivono ancora con uno o due dollari al giorno. La stabilità politica e la questione delle caste.
Enrica GARZILLI - Gandhi dinasty
Una grande famiglia per la più grande democrazia del mondo, dove le cariche si tramandano per via parentale. Dal padre del primo capo del governo indiano fino al figlio di Sonia, una storia di potere, influenza e nepotismo.
K.P.S. GILL - La resistibile ascesa dei maoisti nel Bengala senza Stato
Le tappe storiche del movimento naxalita in uno degli Stati più poveri e martoriati della Federazione Indiana. Auge e declino dei ‘nemici’ marxisti. La debole risposta dello Stato. Chi vincerà le prossime elezioni?
Ajai SAHNI - Il cancro maoista si batte con più Stato
La guerriglia naxalita guadagna terreno nelle immense campagne dell’India, escluse dalla modernizzazione. L’ideologia non c’entra niente: a spingere i contadini alla rivolta è la miseria. E decenni di politica corrotta e incompetente.
Kanchan LAKSHMAN - Il Pakistan resta uno Stato canaglia
Malgrado le pressioni americane e i successi dell’intelligence indiana, Islamabad continua a sostenere il terrorismo jihadista. La strage di Mumbai dimostra che, ormai, la minaccia va ben oltre il Kashmir. La mappa del rischio. Le risposte di Delhi.
Daniela BEZZI - Corridoio rosso
Viaggio nel Jharkhand tribale, epicentro di un territorio ingovernabile conteso da etnie, movimenti ribelli, grandi industrie a caccia di materie prime. L’efficienza dei maoisti. Una campagna elettorale tra miseria, corruzione e India Shining.
Francesca MARINO - Il Gujarat è questione di Modi
Lo Stato dell’India occidentale è nelle mani del primo ministro Narendra Modi. Implicato nei massacri del 2002, deve la sua forza al rigore morale e alle capacità amministrative. Strumenti che presto potrebbero portarlo alla guida del paese.
Bhikhu PAREKH - Il dolore di Gandhi se tornasse in India
Lo Stato per il quale il Mahatma si era battuto e che aveva tanto amato oggi calpesta i princìpi del maestro. Corruzione, povertà, indifferenza e ignoranza rispecchiano il fallimento del progetto originario. Le basi del risorgimento gandhiano.
Chitvan GILL - Tutte le strade portano a Delhi
Città dalle mille anime, la capitale dell’India è un concentrato di stranezze e contraddizioni. Nella sua storia tragica e grandiosa è racchiusa l’essenza di una nazione in bilico fra passato e futuro. Che non ha paura del mondo. Ma ha imparato a temere se stessa.
Luca MUSCARÀ - Slums e globalizzazione
In India fioriscono le megalopoli, dove si concentrano in modo stridente le contraddizioni fra le punte ipermoderne dell’industria e la miseria delle baracche. Trecentodieci milioni di anime in cinquemila città: l’urbanizzazione indiana procede senza sosta.
S.D. MUNI - La diaspora indiana: una risorsa strategica emergente
Dai servi per debiti ai grandi manager, l’India ha esportato nel mondo le sue due facce. Dopo esser stati mal considerati, oggi gli emigrati sono premiati con alte onorificenze. I casi della Birmania, dell’Africa Orientale, del Golfo e delle Figi. Le rimesse e il Kerala.
Marco RESTELLI - Se dici cinema dici India
L’industria della cellulosa di Delhi ha saputo negli anni superare i confini nazionali e imporsi nel mondo. Grazie al Middle Cinema, sintesi perfetta tra le pellicole di Bollywood e i film d’autore, e alle cifre d’incasso. Ma l’Italia non se ne èaccorta.
Paola TAVELLA - Nehru e i Mountbatten: amore, sesso e geopolitica
La relazione fra il primo leader indiano e la moglie dell’ultimo viceré britannico sarà al centro di un film che già scatena polemiche internazionali. Un rapporto speciale che favorì l’India nella partizione del Punjab.
Alberto BRACCI TESTASECCA - Il viaggio freak nell’India del velo di Maya


PARTE II NON (ANCORA?) UNA GRANDE POTENZA

Parag KHANNA - Il futuro dell’India è tra i grandi del mondo
Conversazione con Parag KHANNA, direttore della Global Governance Initiative e Senior Research Fellow presso l’American Strategy Program della New America Foundation di Washington, a cura di Fabrizio MARONTA
Beniamino NATALE - La fine di Cindia: venti di guerra sul confine indo-cinese
Negli ultimi mesi sono riesplose le dispute geopolitiche e le antiche rivalità fra Delhi e Pechino. La ricognizione di una frontiera mai definita evidenzia i rischi di un nuovo conflitto fra le due potenze nucleari. Il caso Tibet e la questione dell’Arunachal Pradesh.
P.R. CHARI - A che serve la Bomba
Messi da parte i princìpi gandhiani e considerata la minaccia della coppia Cina-Pakistan, dagli anni Sessanta Delhi ha lavorato al nucleare militare. Il ruolo decisivo di Indira Gandhi. Le ambigue concezioni strategiche delle Forze armate indiane.
Ezio FERRANTE - Oceano nostro
Delhi considera l’Indiano come un vastissimo mare nostrum e sta attrezzando la sua Marina per sostenere tale ambizione. I porti strategici e la produzione in proprio di portaerei. Fantastrategie antiamericane.
Vijay PRASHAD -Tutta colpa dei britannici se ci scanniamo per le frontiere
Le linee tracciate frettolosamente da Londra in Asia meridionale, in specie fra India e Pakistan, sono all’origine dei contenziosi frontalieri nella regione. Conflitti spesso illogici, ma che alimentano potenti warfare States. La disputa sino-indiana.
Raimondo BULTRINI - Dove rinascerà il Dalai Lama?
Il caso del monastero di Tawang, nell’estremo Nord dell’India, dove potrebbe reincarnarsi la guida spirituale tibetana. Un altro motivo di tensione nei rapporti fra Pechino e Delhi. Se l’Oceano di Saggezza si sdoppia.


PARTE III AFPAK: UNA GUERRA INDO-PAKISTANA

Nirupama SUBRAMANIAN e Pervez HOODBHOY - Gemelli diversi
Dopo gli attentati di Mumbai l'Indiasi interroga su quale atteggiamento tenere con il suo turbolento vicino. Spente le luci di una possibile distensione, prevale la prudenza. Meglio un Pakistan democratico ma instabile o la relativa affidabilità dell’esercito? Un’opinione indiana e una pakistana a confronto.
Ayesha SIDDIQA e B. RAMAN - Afghanistan, triangolo a due lati
Solo il concorso di tutti gli attori regionali potrebbe, forse, stabilizzare il baricentro degli equilibri centrasiatici dopo il ritiro definitivo delle truppe Usa. Ma le geometrie immaginate a Islamabad e Delhi, sorrette da paure e ambizioni contrapposte, si elidono l’una con l’altra. Un analista pakistano e uno indiano ci spiegano i rispettivi perché.
Praveen SWAMI - Chi tocca il Kashmir muore
L’assassinio di Fazal Haq Qureshi, leader dei musulmani kashmiri favorevoli al dialogo con Delhi, riapre lo scontro nella regione contesa fra India e Pakistan. Dalla partizione ad oggi, la tormentata storia del conflitto indica che la pace è ancora lontana.


liMesIN PIÙ

John C. HULSMAN - No, he can’t
Dalla disputa israelo-palestinese all’Afghanistan e all’Iran, per il presidente Usa la forbice tra aspettative e risultati si è pericolosamente allargata. Gli eccessi retorici e le aporie strategiche del miglior leader di cui l’America disponga. Qualche suggerimento per far meglio.
Matteo TACCONI - La Bosnia che non esiste entrerà in Europa quando l’Europa sarà morta
La pace fredda, al massimo tiepida, non ha alternative in quel che resta del paese spartito tra croati, serbi e bosgnacchi. Con i soldi altrui e sotto il protettorato internazionale, le tre etnie dominanti si sono arroccate nei rispettivi territori.
Marco ANSALDO - In Corea del Nord non si può passeggiare
Nonostante un certo ammodernamento, il paese asiatico resta isolato dal resto del mondo. Una cortina d’acciaio, fatta di controllo serrato, autocensura e austerità, è stesa con sapienza dal potere che la lascia penetrare solo dagli aiuti umanitari.
Raymond BARRE - Alexandre Kojève, il consigliere del principe (presentazione di Marco FILONI)



Gli articoli del volume elencati in questo sommario sono disponibili solo nella versione di Limes su carta, acquistabile in edicola e in libreria fino all'uscita del volume successivo (e dopo presso l'ufficio arretrati). Sul sito invece è possibile leggere articoli, commenti e (video)carte sul tema della rivista nelle settimane immediatamente successive, oltre poi ai normali contenuti su tutti gli argomenti geopolitici pubblicati quotidianamente su www.limesonline.com.

mercredi, 23 décembre 2009

"Antaios", fer de lance de la reconquête païenne

sep.gifArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1999

"Antaios", fer de lance de la reconquête païenne

 

Anne MUNSBACH

 

«... les légions de nos vieilles légendes accourues à l'appel de leur dernier empereur païen».

Jean Raspail, Septentrion.

 

Infortunés Dieux! Les dévots de la Bonne Parole leur jettent l'anathème, les prophètes leur lancent blâmes et malédictions, les Grands Prêtres de l'Exégèse manifestent intransigeance et haine, des rires moqueurs fusent. Il y a donc fort à faire pour soulever la chape de clichés qui recouvre depuis des lustres les lumières du Paganisme. Pourtant, il existe une revue du nom d'Antaios qui résiste avec autant de superbe que d'ironie. Elle s'entend à éclairer la véritable signification du Paganisme, à le dépouiller de son aura de scandale et à ainsi le réhabiliter. Sous le regard lucide de son directeur, l'helléniste Christopher Gérard, se révèlent alors les prophètes pour ce qu'ils sont: des cabotins, renvoyés à la niche dans un grand éclat de rire, écho souverain du fameux rire des Dieux chanté par Homère.

 

Antaios, Revue d'Etudes Polythéistes

 

C'est à l'occasion du 1600ème anniversaire de l'interdiction par l'Empereur Théodose de tous les cultes païens (8 novembre 392) qu'a été fondée Antaios, Revue d'Etudes Polythéistes. Pourquoi ce nom? Antaios est un géant de la mythologie grecque. Fils de Gaïa (la Terre) et de Poseidon (l'Océan), il vivait dans le désert de Libye et terrassait tout voyageur traversant son territoire. Seul Héraclès en vint à bout. Il avait en effet découvert le secret de la vigueur miraculeuse du géant: tant qu'il touchait la Terre, l'élément primordial dont il était issu, il était invulnérable. Pour l'anéantir, il suffisait donc de l'en séparer. «La symbolique de ce mythe est claire: c'est en gardant le contact avec notre sol que nous resterons nous-mêmes, capables de relever tous les défis, d'affronter toutes les tempêtes. En revanche, si nous nous coupons de nos origines, si nous oublions nos traditions, tôt ou tard nous serons balayés, tels des fétus de paille, privés de force et de volonté... Ce sol protecteur, ce sol vivifiant, c'est le Paganisme immémorial, c'est l'antique fidélité à nos Dieux. Non point des Dieux personnels et miséricordieux, jaloux et intolérants, image ô combien dégradée et infantilisante du Sacré mais des principes intemporels, des modèles éternels qui doivent nous permettent de nous projeter dans un avenir grandiose, digne de nos aieux». Voilà présenté avec une concision lumineuse le manifeste d'Antaios.

 

La reconnaissance du patriarche de Wilflingen

 

Antaios est aussi le nom de la revue fondée en 1959 par Ernst Jünger et Mircea Eliade. Les deux hommes s'y sont interrogés sur la nature du Sacré et ont montré que, par la connaissance des mythes, il était possible «de rééquilibrer la conscience humaine, de créer un nouvel humanisme, une anthropologie où microcosme et macrocosme correspondraient à nouveau. Ils témoignaient ainsi de cette certitude qu'un redressement spirituel était encore envisageable dans les années soixante, et qu'il pouvait mettre fin à la décadence ou aux affres d'un temps d'interrègne»  (1). Dans le dernier volume de ses mémoires, Ernst Jünger saluait l'heureuse initiative de Christopher Gérard de perpétuer Antaios  et l'encourageait vivement à poursuivre (2). Il soulignait, dans plusieurs lettres adressées à la revue, qu'il en appréciait l'esprit. Précieuse reconnaissance d'un écrivain qui, par-delà la mêlée, a toujours su rester fidèle à lui-même! Fort de cette filiation, son directeur a rapidement imprimé sa marque à Antaios. Cette publication, dont la réflexion rigoureuse se nourrit des disciplines les plus pointues, est en effet plus qu'une simple revue érudite. Elle a su sortir du cercle des livres et des discussions désincarnées pour se forger une méthode personnelle à mille lieues de tout académisme. Cette méthode est tout à la fois savoir “tactile” capable d'écouter la pierre et d'extraire la légende du marbre, érudition sauvage glanant ses repères hors des boulevards des idées convenues, regard sensible à la poésie du monde, surtout connaissance vivante née de l'expérience “sui generis”. Cela a déjà valu aux lecteurs d'Antaios cinq années de lectures souvent intenses, en tout cas jamais insignifiantes.

 

Le Paganisme, religion cosmique

 

Lorsqu'au IVe siècle le Christianisme accéda au statut de religion reconnue et protégée par l'Etat romain, l'évangélisation ne se développa réellement que dans les centres urbains. Les campagnes quant à elles restèrent imperméables à l'influence chrétienne. Antaios revendique hautement le titre de “païen” que les Chrétiens donnèrent alors, par dérision, à leurs adversaires. Ce furent en effet les gens de la campagne, les pagani  (les ruraux), qui les derniers restèrent fidèles aux enseignements du Polythéisme: eux seuls saisissaient encore le sens de l'univers. Vivant en symbiose avec la nature, les sociétés rurales avaient en effet une perception aiguë des cycles cosmiques et des éléments naturels qui imposent leur empreinte à la terre. Cette perception de ce qu'elles nommaient le Divin éclatait sans cesse à leurs yeux. Rien ne leur était dès lors plus étranger que l'idée d'un Dieu lointain, et plus encore d'un Dieu caché. Pour établir comme interlocuteurs et alliés ces forces naturelles, les sociétés rurales apprirent à les apprivoiser et à les respecter. C'est pourquoi fut mise en œuvre toute une structure du Sacré. La personnification des forces naturelles sous forme d'entités divines était un élément essentiel de cette structure. Les rites, qu'ils fussent de reconnaissance, de protection, de coercition ou encore de conciliation, permettaient quant à eux d'établir tout un réseau de relations avec le roc, la foudre, l'arbre ou la rivière. De nos jours, il n'est plus question «de croire dans les esprits ou les différentes entités de la nature. En revanche, le sens du fonctionnement normal du cycle naturel, cosmique, est essentiel pour replacer l'homme dans l'univers» (3). Or, les forêts sont saccagées, et Gaïa se transforme en désert. La déperdition du tellurique au profit de l'auto-extension sans frein du technologique explique l'impuissance accrue de l'homme à faire surgir des significations d'une nature intemporelle L'homme ne parvient donc plus à percevoir le lien l'unissant au Cosmos, il s'est coupé de ses Dieux. Il se met alors à confectionner des abstractions ou à imaginer des Dieux hors du monde.

 

Le Sacré

 

«Les seules expériences du Sacré seraient stériles si l'homme ne possédait des structures intellectuelles et imaginaires pour les recueillir. Celles-ci lui permettent, en premier lieu, la perception, la préhension de la manifestation du Sacré. En deuxième lieu, sa com-préhension par le fait même de donner un sens à ses expériences et, en troisième lieu, sa transmission, sa communication par les structures de la tradition, par le rite et le mythe» (4). Structurer le Sacré passe donc par sa mise en forme au travers de symboles, de mythes et de rites, notions qu'Antaios décrypte à diverses reprises (5) et qu'il est essentiel d'évoquer ici avant de poursuivre plus loin. «L'expérience du Sacré étant, par essence, indicible et non rationnelle, elle ne saurait faire l'objet d'aucune description concrète et nécessite dès lors le recours à la symbolique»  (6), sous forme d'images  —ce sont les symboles—, et sous forme de récits  —ce sont les mythes. D'où notre besoin d'artistes et de poètes, dont Antaios  offre un récital éblouissant (7): ils se font porte-parole des Dieux en les rendant sensibles. Loin d'être des distractions stériles pour intellectuels blasés, symboles et mythes suggèrent le Sacré par effet rétroactif: ils sont donc sources inépuisables de connaissances et de recherches de significations. Une troisième mise en forme du Sacré est le rite. Le rite, constitué de gestes ou d'actes ordinaires sublimés et codifiés, «a pour fonction essentielle d'amener les hommes et les Dieux à communier, à fonder l'Ordre du monde dans une présence commune, génératrice de l'ordre social» (8). Structurer le Sacré permet ainsi de penser et d'ordonner l'univers et, au-delà, de vivre en harmonie avec lui, de s'y fondre.

 

Un lieu, un peuple, des Dieux

 

Face à la pluralité de paysages, de climats et de végétations qui existent de par le monde, on comprend aisément qu'en fonction de chaque lieu s'instaurent des modalités de vie différentes et donc, pour chaque peuple et, a fortiori, pour chaque culture, des manières différentes d'appréhender le Divin, de structurer le Sacré et ainsi, de penser et d'ordonner l'univers. Sont dès lors générés des Dieux, symboles de l'histoire conjointe d'un lieu et d'un groupe humain qu'il soit famille, genos,  phratrie, dème ou cité. Ces Dieux, ces genii loci  intensifient le sentiment de communion sociale et par là-même s'enracinent dans une culture. Voilà qui explique l'attachement irréductible du Païen à sa terre et son amour pour une communauté historique. Le Paganisme est donc une religion de lieu et de corps, inscrite dans la mémoire collective. Antaios  souligne d'ailleurs qu'il n'y a pas qu'un Paganisme, mais des Paganismes: chacun correspondant à une société donnée  —ou à une personne donnée—  et à un moment précis, répondant à des interrogations sans cesse mobiles et à des conditions de vie toujours changeantes. Et Christopher Gérard d'expliquer que la vision qu'il expose n'est qu' «une approche du Paganisme, en l'occurrence celle qui est la mienne, hic et nunc. Je n'entends donc nullement me poser en représentant de la totalité du courant néo-paien contemporain. Je suis d'ailleurs convaincu qu'il existe autant d'approches paiennes que de Paiens. Et n'est-ce pas dans la nature des choses, puisque le propre des divers Paganismes, anciens ou nouveaux, est précisément cette exaltation de l'infinie pluralité de l'être» (9).

 

Terre d'Europe

 

La vision officielle de l'Europe  —cette fameuse U.E.—  est erronée et fatale car elle axe toute sa démarche sur la puissance économique, oubliant volontairement ses valeurs ancestrales. Cette vision ne peut dès lors qu'aboutir à la création d'une superstructure sans racines populaires, un monstre froid condamné à disparaître. Elle nie en effet l'essence de l'Europe: cet équilibre entre des peuples et des cultures qui, comme les cités de l'antique Grèce, communient dans une sphère culturelle commune sans cependant désirer, ni être capables de se fondre dans le même moule. Dans ce cadre qui ne reconnaît plus d'autre fin que le profit, d'étranges cultes et de terribles perversions apparaissent. C'est le temps des faux Dieux: «de nouvelles Divinités féroces et implacables ont surgi sous les traits du machinisme envahissant, de l'efficacité et de la rentabilité, des contrats sociaux, de l'esprit des lois, du culte de l'Etat-Providence, du décalogue des Droits de l'homme, des slogans du marketing électoral. L'homme, écrasé, domestiqué, asservi comme jamais il ne l'a été, n'a plus aucun accès au Sacré pour consoler son coeur et éclairer son esprit, il a seulement le culte du vulgaire matérialisme où tout se juge à l'aune du profit et d'un bien-être illusoire, sans aucune spiritualité» (10). Face à ce crépuscule matérialiste, les Dieux peuvent nous aider. Non qu'ils nous offrent une panacée, un nectar qui soigne tous nos maux, mais ils représentent notre héritage le plus ancien et le plus riche. Ils sont le substrat sur lequel peuvent croître les solutions qui conviennent aux défis actuels et futurs. Il faut donc retrouver ces Dieux, ceux de la forêt celtique comme les porteurs de lumière méditerranéens. Il faut retrouver nos mythes, ces récits fondateurs du mental européen: c'est dans leur esprit que se trouve le souffle de notre avenir. Pour défendre ces héritages les plus lointains, Christopher Gérard et son équipe travaillent sans relâche. C'est leur façon de demeurer fidèles à nos Dieux et de témoigner de leur présence. C'est leur façon de nous rappeler que toute Renaissance est un appel à la plus ancienne mémoire, qui est païenne: l'histoire de la civilisation européenne le montre. Pour nous tenir en éveil, Antaios  est d'ailleurs composée “à la dure”, avec des phrases concises, sculptées d'images flamboyantes. Pas d'hésitations, ni de langueurs. Pas de mauvaises graisses, mais des protéines pures. Et un français de qualité!

 

Une vision impériale pour l'Europe de demain

 

La vision européenne d'Antaios table sur une société “polythée” qui, en ce sens, est «celle qui permet l'existence de communautés indépendantes, autonomes, voire rivales, mais dont les rapports sont strictement codifiés afin d'éviter que les inévitables conflits dégénèrent en guerre. Pour citer le cas yougoslave, pareille tragédie pourrait être évitée au sein d'une structure de type “polythée”, voire impériale, à savoir un ensemble hétérogène de peuples relativement homogènes, où les droits des minorités seraient garantis. Sur le plan politique, le Polythéisme prend en compte, avec beaucoup de réalisme, ce désir inné d'autarcie et de complétude» (11). La meilleure forme politique pour notre continent serait donc celle d'un bloc aux dimensions impériales, bâti sur des structures fédérales, où identités et spécificités, véritables ciments cohésifs des sociétés, seraient préservées. Se constituerait ainsi une pluralité de patries charnelles sous l'égide d'une instance impériale dont les rôles seraient ceux d'arbitre souverain et de protecteur, fonctions profondément ancrées dans la conception européenne du Politique. Seule cette structure peut être garante de l'indépendance et de la puissance de l'Europe, structure «dont on retrouve les prémices chez l'Empereur Julien (331-363), dans sa théorie des Dieux ethnarques (nationaux), où il fonde un type de cosmopolitisme impérial» (12): l'organisation politico-religieuse de la société s'y fait le reflet de l'organisation du monde divin. Beau témoignage d'une société fondée en harmonie avec le Cosmos!

 

L'axe eurasiatique

 

Dans chacun de ses numéros, Antaios propose des dossiers thématiques solidement charpentés. Ont ainsi été présentés aux lecteurs deux dossiers sur l'“Hindutva” (13). «Ce terme sanskrit désigne l'Hindouité, c'est-à-dire l'identité de l'Inde essentielle —l'Inde védique— qui a survécu, tout en évoluant, à plus de quatre millénaires de turbulences: invasions musulmanes, colonisation anglaise  —comme l'Irlande—,  agissements de diverses missions chrétiennes et enfin assauts d'une modernité particulièrement destructrice... Récemment, le concept d'“Hindutva”, qui ne se réduit pas au seul Hindouisme, a été utilisé par V. D. Savarkar, l'une des grandes figures du mouvement national indien, pour inciter les Hindous à recourir à leur héritage védique, celui de l'Inde antérieure, la plus grande Inde» (14). Il s'agit d'une tradition proche de la nôtre car issue du même tronc indo-européen, tout en en étant séparée par l'influence de la culture autochtone dravidienne et des millénaires d'histoire. Il n'empêche que l'Hindouisme a su conserver l'antique sagesse de nos ancêtres indo-européens, de mieux en mieux connus aujourd'hui «malgré le discrédit causé par des distorsions opérées au XIXème siècle pour justifier l'expansionnisme pangermanique, malgré aussi de maladroites tentatives de nier l'antique patrimoine ancestral qui est le nôtre, ou encore de le vider de son sens au nom d'une idéologie spirituellement correcte (15)... Les Védas, autant qu'Homère ou les Eddas, constituent nos textes sacrés car ils renvoient tous à une religiosité primordiale, la religion cosmique de la tribu indo-européenne encore indivise, notre tradition hyperboréenne. En Inde, cet héritage n'a pas été saccagé, falsifié et nié comme en Europe ou, en tout cas, la résistance a été plus vive. L'acculturation causée par la christianisation toute superficielle de notre continent, datant surtout de la Contre-Réforme (et de l'avènement de l'Etat moderne) n'a pas eu lieu aux Indes. La tradition paienne y est ininterrompue et le lien toujours possible avec les Brahmanes, les frères de nos Druides. Zeus et Indra, Shiva et Dionysos peuvent, et doivent, se retrouver pour assurer à l'Europe le dépassement du nihilisme qui la ronge. Le recours à cette source pure n'est en rien l'imitation imbécile d'une civilisation à bien des égards fort lointaine. Nous n'avons pas à nous convertir servilement, comme tant d'Occidentaux déboussolés, à un Hindouisme de pacotille; nous n'avons pas à nous réfugier dans les bras de gourous, par un phénomène de régression infantile ou de néo-primitivisme» (16), piège qu'avait brillamment évité Alain Daniélou dont l'étude de l'œuvre constitue la ligne directrice des dossiers “Hindutva”. Indianiste, sanskritiste, musicologue, Alain Daniélou «reste l'un des rares Européens à avoir été accueilli non pas dans un ashram, mais dans la société traditionnelle de l'Inde, et ce, pendant plus de quinze ans... Son œuvre et sa vie constituent un pont sans doute unique entre deux civilisations ou plutôt deux conceptions de la place et du rôle des sociétés humaines sur la planète: l'une, régissant la dernière civilisation traditionnelle vivante, a cherché à établir un équilibre non seulement entre les groupes humains, mais entre ceux-ci et le monde naturel, considéré comme la patrie des Dieux. C'est la civilisation polythéiste, celle du temps cyclique et des mythologies. L'autre conception, infiniment plus récente, est celle du temps linéaire, du Monothéisme. Elle prône l'instabilité économique, politique et sociale, l'anéantissement des différences et le rejet des traditions, dans un but de domination de la nature et de Progrès» (17). Face à cette morne réalité, «l'Inde nous appelle à retrouver le regard de l'homme archaïque pour mieux affronter les défis du prochain millénaire, qui sera à la fois postchrétien et postrationaliste. Tout le monde connaît, sans l'avoir vraiment lue, la phrase souvent tronquée de Malraux: “La tâche du prochain siècle, en face de la plus terrible menace qu'ait connue l'humanité, va être d'y réintégrer les Dieux”. Or l'Inde n'a jamais rompu le contrat avec ses Dieux, cette “Pax Deorum”, qui est le fondement de toute société traditionnelle. L'“Hindutva” possède aussi une vocation universelle, et non pas universaliste car il ne s'agit pas de réductionnisme mais bien de la persistance du vieux singularisme paien: l'acceptation des différences et des saines alternances, fondatrices d'une civilisation qui honore et respecte le divers autrefois chanté par Segalen» (18). Dans ce domaine, le témoignage d'Alain Daniélou est décisif. Ce qu'il nous apprend des fondements philosophiques, historiques et sociaux du système des castes est remarquable d'intelligence et de pondération: «le système des castes, dans l'Inde, a été créé dans le but de permettre à des races, des civilisations, des entités culturelles ou religieuses très diverses de coexister. Il fonctionne depuis près de 4000 ans avec des résultats remarquables. Quels que soient les défauts qu'il présente, ce but essentiel ne doit pas être oublié. Le principe fondamental de l'institution des castes est la reconnaissance du droit de tout groupe à la survie, au maintien de ses institutions, de ses croyances, de sa religion, de sa langue, de sa culture, et le droit pour chaque race de perpétuer, c'est-à-dire le droit de l'enfant de continuer une lignée, de bénéficier de l'héritage génétique affiné par une longue série d'ancêtres. Ceci implique l'interdiction des mélanges, de la procréation entre races et entités culturelles diverses. “Le principe de toute vie, de tout progrès, de toute énergie, réside dans les différences, les contrastes”, enseigne la cosmologie hindoue. “Le nivellement est la mort”, qu'il s'agisse de la matière, de la vie, de la société, de toutes les formes d'énergie. Tout l'équilibre du monde est basé sur la coexistence et l'interdépendance des espèces et de leurs variétés. Encore de nos jours, une des caractéristiques du monde indien est la variété des types humains, leur beauté, leur fierté, leur style, leur ‘race’, et ceci à tous les niveaux de la société. Tout groupe humain, laissé à lui-même, s'organise selon ses goûts, ses aptitudes, ses besoins. Ceux-ci étant différents, l'essentiel de la liberté, de l'égalité, consiste à respecter ces différences. Une justice sociale digne de ce nom ne peut que respecter le droit de chaque individu, mais aussi de chaque groupe humain, de vivre selon sa nature, innée ou acquise, dans le cadre de son héritage linguistique, culturel, moral, religieux qui forme la gangue protectrice permettant le développement harmonieux de sa personnalité. Toute tentative de nivellement se fait sur base d'un groupe dominant et aboutit inévitablement à la destruction des valeurs propres des autres groupes, à l'asservissement, à l'écrasement physique, spirituel ou mental des plus faibles. Ceux-ci, par contre, s'ils sont assimilés en assez grand nombre, prennent leur revanche en sabotant graduellement les vertus et les institutions de ceux qui les ont accueillis ou asservis. C'est ainsi que finissent les Empires» (19).

 

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Face à cette déliquescence se bâtiront de nouveaux Empires, dans le respect de l'autonomie, de la personnalité et des croyances des différentes ethnies qu'ils chapeauteront. Dans ce contexte, l'Inde est appelée à jouer un rôle actif aux côtés d'une Europe assumant son antique vocation impériale et grande-continentale, elle «constitue l'une des clefs de voûte d'un édifice appelé à braver les siècles: le grand espace eurasiatique qui reposera, pour nos régions, sur un pôle carolingien (franco-allemand) enfin réactivé» (20). Seul ce bloc impérial peut faire front aux visées expansionnistes des Etats-Unis et, par-delà, au projet d'homogénéisation planétaire.

 

Une éthique au service de l'Imperium

 

La puissance d'une nation repose sur la force de ses citoyens. En ce sens, les Dieux, en tant que personnifications des forces naturelles et par-delà, symboles de la plénitude des valeurs, sont des modèles à suivre pour tout citoyen, lequel choisit une ou plusieurs Divinités tutélaires, incarnations de ses exigences morales et spirituelles. Les Dieux sont donc d'authentiques archétypes qui nous renvoient à notre singularité, à notre aspiration au dépassement. Le Polythéisme permet «aux hommes, tous uniques, d'adorer le Dieu correspondant à leur nature profonde (Sol et Luna par exemple), à leur héritage (un Bantou ou un Lapon n'adoreront pas les mêmes divinités qu'un Mexicain), à l'étape de leur quête spirituelle (sans pour autant forcer quiconque à en mener une, comme dans certain Catholicisme hypocrite), à l'âge de la vie... A chacun selon ses possibilités et ses désirs»  (21).

 

Qui parle de modèles, doit parler de mise en critique, seule capable de faire avancer la pensée: se dessine alors la réflexion philosophique, avec sa volonté de chercher et de choisir en toute liberté d'esprit. Instigateur d'une démarche et d'un engagement, le Polythéisme est donc la religion par excellence de l'homme responsable qui, par son action, contribue à l'équilibre de la société et au-delà à celui du Cosmos. A chacun dès lors de jouer pleinement le rôle que lui a assigné le Destin dans l'Ordre sociocosmique. En ce sens, le respect des contrats et des engagements, la fidélité à la parole donnée sont essentiels, comme le sont le maintien des diversités, la reconnaissance de tous les dons et talents. La multiplicité des rôles est en effet le gage du plein épanouissement de toute société: «tous les hommes sont égaux en droit (au singulier). Cela ne signifie pas qu'ils aient les mêmes droits. Etant extraordinairement différents, et chacun n'ayant droit qu'à ce dont il est capable (sans léser autrui), les hommes ont des droits différents. Une société fondée sur l'égalité des chances aboutirait ainsi à l'émergence d'une aristocratie naturelle»  (22). Cette vision doit pousser chacun de nous à devenir celui qu'il est destiné à devenir, à conquérir le Royaume invisible qu'il porte en lui. Le fameux adage “Connais-toi toi-même et tu connaîtras l'univers et les Dieux” (le Gnôthi seauton hellénique) prend alors tout son sens. Cette éthique souveraine s'oppose à la présomption des religions de la Révélation où, pour être admis à participer au Divin, l'homme doit recevoir la grâce d'un Dieu personnel. Le Polythéisme est donc porteur d'une plénitude de sens dont les religions schématiques ont écrasé la richesse. La caractéristique principale des Monothéismes est en effet «la réduction: le Monothéisme coupe, tranche, réduit les éléments de la vie pour n'en garder que ce qu'il considère comme essentiel. Voilà l'essence du Monothéisme: aux capacités multiples de la Déité, il n'en retient que telle ou telle. La différence avec le Polythéisme grec est nette: le Monothéisme judéo-chrétien fonctionne sur la réduction. Et la modernité n'est que la forme laïcisé de cette réduction monothéiste judéo-chrétienne, avec la Parousie, les conceptions sotériologiques,... qui trouvent leur aboutissement, et peut-être leur achèvement, dans la forme profane qu'est le rationalisme moderne» (23). Apparaissent les vérités uniques, leurs ukases et ostracismes, comme les idées collectives, catéchismes niais à l'usage des masses. Le Polythéiste quant à lui reconnaît la richesse et la pluralité du monde. Il sait que “sa” religion n'est qu'une approche et ne refuse pas de prendre en compte celle des autres, d'où son absence de prosélytisme: «l'essence même du Polythéisme est la tolérance, l'essence du Monothéisme est l'intolérance et le fanatisme qui l'accompagne. Il suffit de se pencher sur l'histoire des religions pour s'en convaincre. Jamais on ne pourra me citer une religion polythéiste qui ait fait de l'intolérance son principe fondamental. Et qu'on ne vienne pas nous parler des persécutions, car, outre le fait que nombre d'entre elles sont de pures inventions des auteurs des Actes des Martyrs, elles n'avaient pas un caractère religieux, mais politique... Alors que tous les génocides de l'histoire, même s'ils n'ont que rarement pu aller jusqu'à une solution finale, aussi bien que les ethnocides, se sont perpétrés au nom d'une idéologie monolâtrique. Sans compter le fait que tout Monothéisme est destructeur de toute tradition ancestrale. Ainsi en a-t-il été dès que les Chrétiens ont triomphé. Dois-je citer la destruction des civilisations de l'Amérique latine, et surtout le plus grand génocide de l'histoire, celui des Indiens de l'Amérique du Nord par les trop fameuses tuniques bleues, et le plus petit, mais le plus complet, celui des Tasmaniens par le colonisateur anglais? De l'idéologie monothéiste sont nées les idéologies réductionnistes politiques, tout aussi destructrices, j'entends le national-socialisme et le communisme, si proches dans leurs principes et leur finalité, que je m'étonne qu'on puisse encore se dire communiste après les crimes dont cette idéologie s'est souillée» (24). Face aux folies et à l'“hybris”, les Dieux nous ont toujours montré la juste voie. Avec eux, les totalitarismes, héritiers d'une conception aliénante de la relation homme-nature, esprit-corps, raison-sentiments, n'auraient pu prendre racines: la sagesse du “juste milieu” (le remarquable mèden agan delphique: rien de trop) les aurait immédiatement refoulés!

 

Amor Fati

 

Pour les Païens, il n'existe pas de transcendance absolue, de Toute Puissance, tel Big Brother, distribuant châtiments et saluts, béquilles d'une humanité incapable de faire face à ses responsabilités. Les Dieux sont nés du chaos initial : ils sont des émanations du monde où ils se manifestent. La perspective d'un au-delà, au sens chrétien, est donc totalement absurde pour un Païen, nous rappelle Christopher Gérard dans le premier Cahier d'Etudes Polythéistes  (25). Le Païen conçoit plutôt l'ici-bas comme lieu d'enchantements multiples: il suffit d'ouvrir les yeux pour en être convaincu. D'où l'importance  —maintes fois soulignée dans Antaios—  du regard, de ce que les Grecs, nos maîtres, appelaient théôria,  l'observation des manifestations du Divin: la splendeur d'un orage, l'éclat du soleil, la clarté de la lune dans une clairière enneigée, les flammes rousses d'un grand feu dans la nuit, une vague déferlante, le rire d'un enfant, la beauté d'une femme,... Non, le monde n'est pas désenchanté! C'est le regard de la plupart des hommes d'aujourd'hui qui est dévitalisé. Les manifestations du Divin éclatent partout: à nous de les honorer par nos actes et nos œuvres, nous rendons ainsi grâce aux Dieux. L'esprit souffle en tous lieux: à nous de découvrir nos “lieux de mémoire”, lieux d'attaches et de souvenirs. «Pour ma part, je ne peux passer par Rome sans aller saluer le Panthéon, qui me paraît représenter, je ne sais pourquoi, l'esprit du Paganisme. Dans la Ville, je rends toujours une visite émue au Mithraeum souterrain de san Clemente et, flânant sur le Forum, je pense aux cendres d'Henry de Montherlant, fidèle de Sol Invictus. Je rends aussi visite à la Curie: je n'ai pas oublié que c'est là que Symmaque et toute l'aristocratie paienne siégèrent et, lors de l'Affaire de l'Autel de la Victoire, défendirent la liberté de conscience contre les diktats de l'Eglise. A Mistra, j'ai arpenté les rues de la ville fantôme en invoquant les mânes de Georges Gémisthe Pléthon, le philosophe néo-paien. Brocéliande, les Iles d'Aran, Athènes (l'Hephaisteon), et tout récemment Bénarès, la Ville Sainte, m'ont transporté d'enthousiasme et permis de percevoir les manifestations du divin. Expérience que l'on peut aussi vivre dans d'humbles sanctuaires celtes ou gallo-romains, et même dans de petites églises de campagne» (26), Christopher Gérard s'en fait le témoin: l'enchantement réside en nous-mêmes et dans le clair regard sur ce monde auquel nous sommes inextricablement liés.

 

L'homme libre tâche donc de se réaliser hic et nunc: «la valeur a à être donnée à la vie. La vie n'a pas de valeur par elle-même mais par ce que l'on en fait. On refuse de se laisser porter par la vie. La vie doit être vécue en volonté, sur le fond d'une décision résolue de création. Car la manière de donner de la valeur à la vie ne peut être la répétition du même, la répétition du morne, mais la création. Si je ne fais que me répéter, qu'importe l'interruption de la mort? Mais si je crée, de telle sorte que, par la mort, ce qui pouvait être cesse définitivement de pouvoir être, en ce cas, il y a bien une perte absolue... Certes! Mais il s'agit, précisément, de donner la plus haute valeur à ce qui doit périr» (27). Tel est le sens du Tragique, élément fondamental de la conception païenne du monde, claire conscience du Destin qui tranche implacablement la vie porteuse de fruits. Cet inexorabile Fatum  cher à Virgile se manifeste aussi à tout homme qui voit ses choix et ses actes, pris dans l'engrenage de l'Ordre inviolable du monde, tout à la fois le dépasser et avoir des répercussions qu'il ne peut contrôler. Malgré la conscience aiguë de ces limites, nul pathos, nul fatalisme n'accablent le Païen. Sans cesse il surmonte l'adversité, il maintient le cap, garde l'allure, ne comptant que sur lui (bel exemple du fameux meghin nordique: la foi en ses propres capacités). Tel est son honneur.

 

On comprend donc qu'Antaios  soit lue par les cherchants, les esprits libres, que la revue fasse place large à des écrivains non-conformistes et francs-tireurs (28). Face aux personnes dociles, adaptées aux dogmes cauteleux du politiquement correct, face aux baudruches qui voudraient nous dicter nos modes d'agir et de réfléchir, Antaios  éclate d'un rire incoercible qui n'a rien à voir avec la dérision confortable et en fin de compte résignée qui envahit ce monde vétuste. Frondeur, le rire d'Antaios conserve toute sa force dévastatrice: à chaque page, on bute sur une observation qui oblige à revoir positions faciles et plates certitudes. Par ces temps de pensée unique, il importe bien de marteler impitoyablement conformismes et dogmes...

 

Repenser la tradition païenne

 

La spiritualité païenne n'est en rien «la nostalgie de l'Age d'Or, du paradis avec son désir puéril de retour vers un état préscientifique, trop proche du mythe chrétien du péché originel. Elle n'est pas non plus une fuite hors du monde, qui serait la négation de notre esprit héroico-tragique: le Paien est de ce monde. Nulle macération, nul masochisme dans son impérial détachement. Le Paganisme n'est pas non plus un retour à des superstitions révolues, une sorte d'irrationalisme archéologique: nul refus de la science, de la technique, bien au contraire. Nul rejet de la raison, qu'il nous faut utiliser et intégrer comme outil dans notre Quête. Etre Paien au XXe siècle ne consiste pas à se livrer à des pratiques bizarres de “magie” ni à des cérémonies où l'exhibitionnisme le dispute au grotesque. En ce sens, le Paganisme ne s'identifie nullement à sa forme dégénérée, la sorcellerie, comme le prétendent divers mouvements américains» (29).

 

Antaios  est tout sauf une revue prospérant dans la rengaine nostalgique: ni repli dans une tour d'ivoire, ni regret frileux du passé, ni sentiment d'impuissance face à la modernité. Au contraire, elle fait le lien entre notre héritage ancestral et les exigences les plus novatrices du XXIème siècle. Car être Païen ne signifie pas tant renier le monde moderne que rechercher en lui la profondeur de ses racines, véritables garantes contre le triomphe de la superficialité, la durée éphémère des modes, le diktat de l'immédiateté, tous privilégiés, au nom du sacro-saint Progrès, par notre société. C'est par la mémoire que l'homme échappe à cette tyrannie de l'instant pour vivre dans l'éternité. La mémoire est chère au savant, à l'artiste et au lettré qui se remémorent pour mieux inventer et créer, elle l'est au citoyen qui se souvient des expériences passées pour mieux agir et décider. Par contre, le projet révolutionnaire de faire du passé table rase, comme le chantent les attardés de l'Internationale et les apôtres de l'amnésie consumériste, est un projet nihiliste et destructeur de l'homme dans ses racines. Comme si en coupant les anciennes racines de l'arbre, celui-ci pouvait prospérer sur ses plus récentes radicelles, jouets d'une saison, sans doute inaptes à soutenir la succession des orages et les pluies de l'adversité! Antaios  se fait le chantre de la mémoire. Son directeur explique qu'il se considère comme une sorte d'“archéologue de la mémoire” (30). Au travers d'Antaios,  il recherche en effet le noyau intérieur de notre culture et opère recours à sa spécificité et à ses Dieux, toujours vivants: «nous autres Paiens concevons le temps comme cyclique, à l'image des cycles cosmiques (solaire par exemple, avec les équinoxes et les solstices)... Le temps des Paiens est celui de l'Eternel Retour, pareil à la grande Roue qui tourne et tourne sans répit... Pour nous, il n'y a pas d'apocalypse, mais bien d'innombrables fins de cycles, éternellement recommencés. Une succession sans début ni fin de naissances, de croissances et de déclins, de crépuscules suivis de rénovations, de cataclysmes suivis de renaissances, au sein d'un Ordre (en grec: ‘Kosmos’) intemporel, où hommes et Dieux, mortels et Immortels, ont leur place et leur fonction. Le mythe du Progrès n'est pas le nôtre. Nous ne croyons pas au sens de l'histoire (concept à mes yeux totalitaire), à la ‘fin’ du Paganisme, à la ‘mort’ des Dieux... Si le temps est linéaire, comme le prétendent les théologies judéo-chrétienne et rationaliste, le Paganisme est impensable puisque ‘mort’, et scandaleux puisqu'allant à l'encontre du sacrosaint sens de l'histoire. Mais si comme nous le pressentons, le temps est cyclique, la perspective change du tout au tout... Si ses formes anciennes (liturgies, temples,...) ont cédé la place à d'autres qui s'en sont souvent largement inspiré, les archétypes, qui sont eux éternels, demeurent» (31).

 

Recourir aux Dieux ne signifie donc ni les embaumer, ni inventer des cultes incertains, mais s'alimenter à leur flamme et les repenser à la lueur de nos propres idéaux, attitudes qui nous préservent d'une hypertrophie de la mémoire et de créations pastiches, sans souffle, comme le sont le New Age et son cosmopolitisme niveleur, le rosicrucisme avec ses "initiations" payantes, la Wicca avec sa complaisance pour le "luciférisme" et autres miasmes putrides (32),... Les Dieux ne doivent pas devenir un refuge contre le monde contemporain, mais s'affirmer comme le creuset du Volksgeist  de notre époque, ce qu'Antaios  a compris: «le Paganisme a changé depuis les origines et il continuera à changer: les Paiens du IIIème millénaire seront à la fois proches et différents de leurs ancêtres celtes, grecs ou slaves. Car, au contraire des vieilles religions monothéistes figées dans les écritures de moins en moins lues et des dogmes risibles, le Paganisme est éternellement jeune puisqu'il évolue avec les peuples» (33).

 

Face au monde d'aujourd'hui, Antaios rappelle encore que la recherche du sens de l'univers est aussi liée à la science. Non pas une science mue, tel un pantin, par un déterminisme draconien, mais une science qui apprend l'humilité face à la nature. Un monde scientifique qui, lorsqu'il se tourne vers l'infiniment grand et l'infiniment petit, constate que l'horizon, loin de se rétrécir, s'élargit dans une perspective immense. Un monde scientifique qui se tient sur un seuil et se sent alors pris de vertige, je dirais: émerveillé. Comment pourrait-il en être autrement? Si, au-delà de démonstrations toujours incertaines et fragmentaires, la science ne peut indiquer à l'homme de certitudes, elle peut cependant l'aider à se déployer et, en tout cas, lui permettre de “sentir” l'Infini. La science (logos)  se rapproche alors du mythe (muthos) comme mode de connaissances, producteur de sens (34)...

 

Fides Aeterna: «c'est ce qui me frappe chez mes amis Hindous: cette fidélité à leur héritage plurimillénaire, ce refus de la rupture que constituerait la conversion, ce reniement. Je pense à ceux qui refusèrent de céder: les Saxons de Verden, les ‘pagani’ de nos campagnes, ces philosophes d'Athènes chassés de l'Université d'Athènes en 529 et un temps réfugiés en Perse... Je pense à cette chaîne, interrompue certes, de Paiens, fidèles aux Dieux, parfois clandestins, toujours résistants, qui rythment l'histoire de notre continent. En maintenant Antaios, je leur rends l'hommage qui leur est dû» (35). Fides Aeterna, telle est la belle devise d'Antaios qui, dans un monde voué aux ruptures, renoue les liens essentiels et offre à ses lecteurs un fil d'Ariane dans la confusion de notre temps. Saluons Antaios,  comme l'ont saluée, l'été dernier, les Brahmanes de Bénarès qui, à l'instar d'Ernst Jünger, encouragèrent Christopher Gérard à persévérer dans une œuvre appelée à triompher du temps...

 

Anne MUNSBACH.

 

Pour tout renseignement: Antaios, 168/2 rue Washington, B-1050 Bruxelles. Email: antaios-bru@hotmail.com

 

Notes:

 

(1) Isabelle ROZET, Le Mythe comme enjeu: la revue Antaios de Jünger et Eliade in Antaios 2, équinoxe d'automne 1993, p.17.

 

(2) Ernst JUNGER, Siebzig verweht V, Klett-Cotta, Stuttgart 1997, p.191. Dans chaque numéro d'Antaios, Christopher Gérard salue Ernst Jünger à travers la chronique «Jüngeriana» qui fait le point sur tout —ou presque tout— ce qui se dit et s'écrit sur ce guerrier de l'esprit.

 

(3) Relire Grimm. Entretien avec Jérémie Benoit in Antaios 12, solstice d'hiver 1997, p.22.

 

(4)-(6)-(8) Patrick TROUSSON, Le Sacré et le mythe in Antaios 6/7, solstice d'été 1995, p.30-31.

 

(5) Sur ce sujet, on lira, entre autres, l'entretien que le philosophe Lambros Couloubaritsis a accordé à Antaios  6/7.

 

(7) Ainsi, une passionnante étude sur Marc. Eemans, peintre et poète surréaliste thiois, éditeur de la revue méta ou para-surréaliste Hermès (1933-1939), les textes à la langue singulière et onirique du très nietzschéen Marc Klugkist, la fascinante figure des frères Grimm, l'anarque Guy Féquant, l'étrange François Augiéras, Henri Michaux, et tant d'autres...

 

(9) Christopher GERARD, Trouver un ciel au niveau du sol. Par-delà dualisme et nihilisme: une approche paienne, Cahiers d'Etudes Polythéistes 1, Ides de mai 1997, p.111. Qu'ils soient islandais, grec, letton, lithuanien, autrichien, Antaios fait place, au fil de ses numéros, aux différents courants d'une renaissance païenne. On se reportera aussi à l'entretien que Jean-François Mayer a accordé à Antaios: Penser la théopolitique. Entretien avec Jean-François Mayer in Antaios 10, solstice d'été 1996, pp.36-48, il y parle, entre autres, du renouveau païen dans diverses régions du monde.

 

(10) Jean VERTEMONT, Méditations sur la religion in Antaios 6/7, solstice d'été 1995,p.58.

 

(11)-(12) Christopher GERARD, Penser le Polythéisme in Antaios 6/7, solstice d'été 1995, p.47. Pour davantage de précisions, on lira L'Empereur Julien, Contre les Galiléens. Une imprécation contre le Christianisme, Ousia, Bruxelles 1995, dont Christopher Gérard nous propose une traduction dépoussiérée, accompagnée de commentaires pertinents ainsi que d'une introduction campant un contexte historique complexe. Dans la postface de l'ouvrage, Lambros Couloubaritsis analyse avec beaucoup d'acuité le sens philosophique et politique de ce traité antichrétien.

 

(13) Antaios 10, solstice d'été 96 et Antaios 11, solstice d'hiver 1996. A travers une série d'entretiens avec des penseurs de la mouvance hindouiste, ces numéros présentent, entre autres, les thèses du nationalisme hindou.

 

(14)-(16)-(18) Christopher GERARD, “Hindutva”  in Antaios 10, solstice d'été 1996, pp.3-5.

 

(15) Dans chaque numéro d'Antaios, la chronique “Etudes indo-européennes” passe au crible d'une critique avertie les ouvrages récents consacrés à la “res indo-europeana”.

 

(17) Jean-Louis GABIN, La Civilisation des différences in Antaios 10, solstice d'été 1996, p.87.

 

(19) Alain DANIELOU, Castes, égalitarisme et génocides culturels in Antaios 10, solstice d'été 1996, p.102. Les textes d'Alain Daniélou publiés dans Antaios le sont avec l'aimable autorisation de son héritier Jacques Cloarec. Ce dernier a créé un site Internet multilingue dédié à l'œuvre d'Alain Daniélou: http://www.imaginet.fr/-jcloarec/danielou. Une traduction italienne des textes sur le système des castes a été publiée par les éditions Barbarossa: Alain DANIELOU, Caste, egualitarismo e genocidi culturali, Società Editrice Barbarossa, Milano 1997.

 

(20) Christopher GERARD, “Hindutva”  in Antaios 10, solstice d'été 1996, p.5. Pour davantage de précisions sur cette vision impériale, on se reportera aux théories géopolitiques de Karl Haushofer. On lira aussi à ce sujet, Jean PARVULESCO, L'Inde et le mystère de la Lumière du Nord in Antaios  8/9, solstice d'hiver 1995, pp.103-115, qui évoque le rôle réservé à l'Inde dans cet Empire à construire.

 

(21 ) Christopher GERARD, Penser le Polythéisme in Antaios  6/7, solstice d'été 1995, p.46.

 

(22) Entretien avec le philosophe Marcel Conche in Antaios  8/9 solstice d'hiver, 1995, p.34.

 

(23) Eloge du savoir dionysien. Entretien avec Michel Maffesoli  in Antaios 10, solstice d'été 1996, p.27.

 

(24) Le Pèlerinage de Grèce. Entretien avec Guy Rachet in Antaios 10, solstice d'été 1996, pp.16-17. Sur le sujet des totalitarismes, on lira aussi l'entretien que l'ethnologue Robert Jaulin, résistant acharné à toute forme d'ethnocide, avait accordé à Antaios lors de la sortie de son dernier livre L'Univers des totalitarismes (Editions Loris Talmart 1996): L'Univers des totalitarismes. Entretien avec Robert Jaulin in Antaios 10, solstice d'été 1996, pp.33-35.

 

(25) Christopher GERARD, Trouver un ciel au niveau du sol. Par-delà dualisme et nihilisme: une approche paienne,  Cahiers d'Etudes Polythéistes 1, Ides de mai 1997. Ce premier Cahier a été publié à la suite d'une conférence prononcée dans les Ardennes lors d'un colloque “oecuménique” sur le thème de l'au-delà.

 

(26) Paganisme. Entretien avec Christopher Gérard, directeur d'Antaios in Solaria 10, hiver 1997-98, pp.15-16. Pour obtenir ce numéro, contacter le “Cercle Européen de Recherches sur les Cultes Solaires”, 63 rue Principale, F-67260 Diedendorf.

 

(27) Entretien avec le philosophe Marcel Conche in Antaios 8/9, solstice d'hiver 1995, p.35.

 

(28) Au fil des numéros d'Antaios, on suit ainsi la trace de l'insolent Michel Mourlet ou encore de l'inclassable Gabriel Matzneff. On lira notamment l'entretien que chacun des deux écrivains a accordé à Antaios: Entretien avec un Paien d'aujourd'hui: Michel Mourlet in Antaios 1, solstice d'été 1993, pp.11-14 et Portrait d'un anarque. Entretien avec Gabriel Matzneff in Antaios 12, solstice d'hiver 1997, pp.6-12.

 

(29) Christopher GERARD, Paganus  in Antaios 3, équinoxe de printemps 1994, p.21 .

 

(30) Paganisme. Entretien avec Christopher Gérard, éditeur d'Antaios in Solaria 10, hiver 1997-98, p.13.

 

(31 ) Christopher GERARD, Trouver un ciel au niveau du sol. Par-delà dualisme et nihilisme: une approche paienne, Cahiers d'Etudes Polythéistes 1, Ides de mai 1997, pp.V-VI.

 

(32) Antaios  a publié une excellente mise au point de son directeur sur la question des rapports entre Paganisme et Satanisme: Christopher GERARD, Wicca et Satanisme: des chemins qui ne mènent nulle part in Antaios 11, solstice d'hiver 1996, pp.37-44.

 

(33) Christopher GERARD, Paganus in Antaios 3, équinoxe de printemps 1994, p.22.

 

(34) Antaios  n'hésite pas à plonger au cœur des thèmes de prédilection des sciences physiques comme l'espace-temps, la logique, la cosmologie,... pour aboutir au constat qu'il existe des concordances entre science et mythe: ils forment les deux faces d'une même pièce qui serait le réel. Qu'on ne s'y méprenne pas: concordance ne signifie pas identité. Ce qui apparaît, c'est que ces deux approches différentes arrivent à exprimer des points de vue similaires, ou tout au moins complémentaires. Nous recommandons la lecture de l'étude du “conseiller scientifique” d'Antaios , le Docteur ès Sciences Physiques Patrick TROUSSON, Le Sacré et le mythe in Antaios 6/7, solstice d'été 1995, pp. 24-40, un chapitre y est consacré aux rapports entre mythe et science. On lira aussi l'entretien que Jean-François Gautier a accordé à Antaios au sujet de son essai L'Univers existe-t-il? (Actes Sud 1994), où il aborde la question des limites de la science: Entretien avec Jean-François Gautier. L'Univers existe-t-il? in Antaios 10, solstice d'été 1996, pp.54-63.

 

(35) Paganisme. Entretien avec Christopher Gérard, éditeur d'Antaios  in Solaria 10, hiver 1997-98, p.14.

 

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jeudi, 17 décembre 2009

Questions internationales: mondialisation et criminalité

Dans les kiosques !

Impératif ! Lecture vivement conseillée !

Questions Internationales n°40 Novembre/Decembre 09 HQ [Hotfile]

jeudi, 03 décembre 2009

Flash Magazine n°28 est paru!

FLASH INFOS MAGAZINE N° 28 EST PARU (www.flashmagazine.fr)

AU SOMMAIRE :

Dieudonné en Iran : l’artiste rencontre Mahmoud Ahmadinejad ! Les Américains et les sionistes ont beau dire… L’Axe du Mal nous fait tellement de Bien ! Dieudonné raconte à Flash ce qu’il n’a pas dit aux autres journaux !

Qu’est ce que l’amour ? Après la féminisation, la marchandisation, la perversion… Qu’en reste-t-il ? Flash fait l’état des lieux.
La tyrannie de la « beauté ». Ou quand les adolescentes américaines se font plastiquer et siliconer… À quels seins se vouer ?
Les révélations de notre correspondant aux USA, James OREGON.

Internet censuré. En Chine, en Iran… ? Non, en Australie ! Par Lionel PLACET

Téléthon versus Sidaction : Hier, les crimes de lèse-majesté, aujourd’hui ceux de lèse-charité. Topoline revient sur la polémique suscité par les propos « politiquement incorrects » tenus par Pierre Bergé.

Une petite sociologie de l’amour contemporain par Alain Soral.

Grand amour sur grand écran. Pas de Titanic ou d’Autant en emporte le vent, mais des petites pépites cinématographiques comme seul Flash sait en dénicher…

Pour s’abonner à Flash en ligne et en toute sécurité : www.flashmagazine.fr

– Et les chroniques habituelles de Jean Bourdier, Antoine Le Nort, Philéas, Pierre Le Vigan, Gabriel Fouquet, Philippe Randa, Marie-Claire Roy, etc.
– Tout cela, c’est dans FLASH !
– Pour s’abonner, c’est simple : Seulement 50 euros par an pour 26 numéros !
–Et rapide… sur le site : www.flashmagazine.fr…

© Philippe Randa, écrivain et éditeur (www.dualpha.com), est également rédacteur en chef adjoint de Flash Magazine (www.flashmagazine.fr). Ses chroniques sont libres de reproduction à la seule condition que soit indiquée leurs origines.

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mercredi, 02 décembre 2009

Trois nouveaux dossiers sur le site de la revue "Vouloir"

 

Sur http://vouloir.hautetfort.com/

 

Trois nouveaux dossiers !

Dossier “Spengler”

Dossier “Révolution conservatrice”

Dossier “Décisionnisme”

 

Dossier “Spengler”

 

 

 

Robert STEUCKERS:

Les matrices préhistoriques des civilisations antiques dans l’oeuvre posthume de Spengler: Atlantis, Kash et Touran

 

Robert STEUCKERS:

Le rapport Evola/Spengler

 

Oswald SPENGLER:

Le regard historique

 

Patrice BOLLON:

Oswald Spengler: le “Copernic de l’histoire”

 

William DEBBINS:

Le déclin de l’Occident

 

Gennaro MALGIERI:

Les années décisives

 

Mireille MARC-LIPIANSKY:

Crise ou déclin de l’Occident

 

Julius EVOLA:

L’Europe ou la conjuration du déclin?

 

Dossier “Révolution conservatrice”

 

 

 

Robert STEUCKERS:

“La Révolution Conservatrice”, thèse d’Armin Mohler

 

Robert STEUCKERS:

Révolution conservatrice, forme catholique et “ordo aeternus” romain

 

Dossier “Décisionnisme”

 

 

 

Holger von DOBENECK:

Panajotis Kondylis: Pouvoir et décision

 

Hans B. von SOTHEN:

Hommage à Panajotis Kondylis (1943-1998)

 

En annexe:

P. CHRISTIAS:

Ennemi et décision – Hommage à Panajotis Kondylis

 

Julien FREUND:

Que veut dire prendre une décision?

 

En annexe:

S. de la TOUANNE:

Julien Freund, penseur “machiavélien” de la politique

jeudi, 26 novembre 2009

Le Bulletin célinien n°313

Sortie du Bulletin célinien n°313, novembre 2009 :

Au sommaire :
- Marc Laudelout :
Bloc-notes (Céline à l’I.N.A.)
- Jacques Francis Rolland : Roger Vailland l’affabulateur
- M. L. : « Céline & Cie » : une nouvelle collection célinienne
- Eugène Fabre : Justice rendue à Céline (décembre 1961)
- Frédéric Saenen : Incorrect (au sens premier du terme). « Une histoire politique de la littérature ».
- M. L. : Pol Vandromme (« Une famille d’écrivains »)
- M. L. : Le souvenir de Robert Denoël
- M. L. : Louis-Albert Zbinden
- Michel Bergouignan : L.-F. Céline contradictoire et passionné (II)
- François Marchetti : Mort d’un éditeur courageux (Kay Holkenfeldt)
- Céline sur Internet

Le numéro 6€



Le Bulletin célinien
B.P. 70

B 1000 Bruxelles 22

lundi, 16 novembre 2009

Les archives de la revue VOULOIR sur le net!

bathsu10.jpg

Synergies Européennes

 

http://euro-synergies.hautetfort.com/

Communiqué – 16 novembre 2009

 

Chers amis,

 

L’équipe de SYNERGIES EUROPEENNES/France a entrepris de classer nos archives sur un nouveau site : http://vouloir.hautetfort.com/ . Vous y trouverez quelques deux cents articles, remontant jusqu’à 1981 !

 

Parmi les derniers articles affichés :

 

Luis FRAGA :

Cioran : un hurlement lucide

 

Carlos CABALLERO :

Mystiques et conquérants : Cioran et l’histoire d’Espagne

 

Luc NANNENS :

La découverte de Cioran en Allemagne

 

Michael WIESBERG :

Hommage à Emil Cioran

 

Ecole des Cadres / Synergies Européennes-France :

Techniques de manipulation des masses

 

Entretien avec Eric WERNER :

« Le Prince sait tout ce qui se passe, au moment même où cela se passe… »

 

Bertil HAGGMAN :

Carl Schmitt : Etat, Nomos et « Grands Espaces »

 

Guillaume FAYE / Robert STEUCKERS :

La leçon de Carl Schmitt

 

Julien FREUND :

Mon ami Carl Schmitt

 

Robert STEUCKERS :

L’encerclement de l’Iran à la lumière de l’histoire du « Grand Moyen Orient »

 

Laurent SCHANG :

Le Comte Jean de Pange, défenseur du régionalisme et théoricien du fédéralisme européen

 

Jean-François THULL :

Jean de Pange – L’Europe au cœur

 

Thomas MASTAKOURI :

L’exemple du héros

 

Georges GUSDORF :

Sur le bon usage du mythème

 

Tiana BERGER :

Hugo Fischer : le maître-à-penser d’Ernst Jünger

 

Ernst NIEKISCH :

Souvenir de Hugo Fischer

 

Laurent SCHANG :

Redécouvrons Hermann von Keyserling

 

Hugo DYSERINCK :

L’esprit européen chez Keyserling

 

Robert STEUCKERS :

Variations autour du thème « Russie »

 

http://vouloir.hautetfort.com/

jeudi, 12 novembre 2009

Nouvelle revue d'histoire: spécial "Allemagne"

 

NRH45

Bientôt disponible dans les kiosques à journaux!

De secrètes aristocraties, édito de la NRH n°45

Ce que nous allons dire ne nous éloigne pas du dossier de la NRH que nous consacrons à l’Allemagne, nation qui appartient à l’Europe de toujours et a nourri sa tradition. Le prétexte m’est offert par Péroncel-Hugoz, grand reporter au Monde durant une longue carrière, chroniqueur aujourd’hui à notre Revue, il me rapporte un propos de Jean-Paul Sartre au sujet d’Ernst Jünger : « Je le hais, non comme allemand, mais comme aristocrate… »

Sartre avait quelques défauts pesants. Il s’est trompé avec une rare obstination dans ses élans politiques. Passablement pleutre durant l’Occupation, il se mua en ayatollah dénonciateur, le danger passé, fustigeant ses confrères qui ne s’engageaient pas avec tout l’aveuglement requis en faveur de Staline, Mao ou Pol-Pot. Tout en s’égarant ainsi avec une constance infaillible, son flair était plein de finesse pour détecter l’esprit d’altitude qui lui faisait horreur ou, inversement, la bassesse vers quoi tendaient certaines fibres de son être (1).

Il ne s’était pas trompé pour Jünger : « Je le hais, non comme allemand, mais comme aristocrate… » Aristocrate, Jünger ne l’était pas en raison de sa naissance. Sa famille appartenait à la bourgeoisie cultivée du nord de l’Allemagne. S’il fut « aristocrate », autrement dit, s’il eut constamment de la noblesse et de la tenue, au moral et au physique, ce n’est pas pour être né avec une particule, celle-ci ne met jamais à l’abri des bassesses du cœur et de la conduite. S’il était « aristocrate », ce n’était pas affaire de rang, mais de nature.

Combattant héroïque dans sa jeunesse, écrivain fracassant de la “révolution conservatrice”, devenu ensuite une sorte de sage contemplatif, Jünger eut une vie exceptionnelle, traversant tous les dangers d’un siècle sombre, libre de toute souillure. S’il fut un modèle, c’est en raison de sa constante « tenue ». Mais sa tenue physique ne faisait que traduire celle de son esprit. Avoir de la tenue, c’est aussi se tenir à distance. A distance des passions basses et de la bassesse des passions. Ce qu’il y avait de supérieur en lui l’a toujours éloigné du sordide, de l’infâme ou du médiocre. Sa métamorphose du temps des Falaises de marbre peut surprendre, pour autant elle n’a rien de vile. Plus tard, le guerrier herborisant se reprit, écrivant dans Le Traité du rebelle que l’époque exigeait d’autres recours que les écoles de yoga. Ce sont les tentations doucereuses qu’il tenait maintenant à distance.

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Je viens d’écrire que Jünger n’était pas un aristocrate de naissance. Je corrige. Ce n’était pas un aristocrate par sa naissance, par origine familiale. Mais il l’était de naissance, par une mystérieuse alchimie intime. A la façon de la petite fille et de la concierge de L’élégance du hérisson (2). A la façon encore de Martin Eden, personnage éponyme du roman de Jack London (3). Né dans les bas-fonds et la pauvreté, Martin Eden avait une nature noble. Un hasard le mit tout jeune en présence d’un milieu raffiné et cultivé. Il s’éprit même d’une jeune fille appartenant à ce monde. La découverte de la littérature éveilla en lui une vocation d’écrivain et une formidable volonté de se surpasser, de sortir du néant d’où il venait. Ce qu’il fit, à la suite d’épreuves démesurées. Devenu écrivain célèbre, il découvrit simultanément la vanité du succès et la médiocrité de la jeune bourgeoise qu’il avait cru aimer. Dès lors, il se tua. Cette fin n’a pas d’importance pour mon propos. Des Martin Eden, qui survivent à leurs désillusions, il en existe, et il y en aura toujours. Ce sont des âmes nobles, énergiques et “aristocratiques”. Mais pour que de telles natures “se déclarent”, comme on dit des bons chiens de chasse, et ensuite se hissent vers le haut, le stimulant de modèles est irremplaçable. Les exemples vivants d’héroïsme intérieure et d’authentique noblesse forment à travers les âges une sorte de chevalerie secrète, un Ordre implicite, dont Hector le Troyen fut le précurseur. Ernst Jünger en fut une incarnation en notre temps. Sartre ne s’y était pas trompé.

Dominique Venner [2]


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lundi, 09 novembre 2009

Lucio Caraciolo: De l'autonomie du point de vue géopolitique

3_2009_Eurussia_280.jpgArchives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1998

Entretien avec Lucio Caracciolo, directeur de la revue Limes (Rome)

De l'autonomie du point de vue géopolitique

 

Pendant très longtemps il était politiquement incorrect de parler de géopolitique. Les vainqueurs de la Deuxième Guerre mondiale, dans l'urgence de dénazifier l'Europe avaient associé de façon exclusive cette importante discipline scientifique aux théories du Lebensraum (de l'espace vital) propagées par les théoriciens du Reich hitlérien. Finalement en Italie aussi, depuis quelque années, on peut à nouveau approcher cette discipline avec sérénité notamment grâce à une excellente revue trimestrielle de géopolitique, Limes, dirigée par Lucio Caracciolo. Dans le sillage du succès qu'elle a obtenu, de plus en plus souvent des publications à caractère géopolitique paraissent dans les librairies. La dernière en ordre chronologique est le Glossaire de géographie et de géopolitique  (Société Editrice Barbarossa), éditée par Enrico Squarcina. Sur les thématiques géopolitiques, nous avons interviewé le directeur de Limes.

 

Docteur Caracciolo, pouvez-vous nous résumer les contenus et les finalités de cette discipline?

 

Quand Michel Korinman, qui dirige avec moi Limes, m'a soumis le projet de lancer une revue italienne de géopolitique (depuis novembre 1996 nous avons une édition jumelle en France), nous avons expliqué immédiatement, à nous-mêmes et aux amis qui ont voulu participer à cette aventure, les termes originaux de notre approche. Nous n'avons pas la prétention d'élaborer les lois de l'histoire et encore moins de faire de la “science”. Beaucoup plus modestement, nous essayons d'analyser des cas particuliers dans des conflits de pouvoir sur base spatiale, donc pouvant être reproduits cartographiquement. Nous ne pensons pas pouvoir généraliser les cas singuliers en constantes universelles. Nous préférons examiner la façon dont les différentes parties en conflit  —pacifique ou militaire—  mandatent et utilisent des représentations politiques respectives pour réaliser leurs projets. Par exemple: Grande Serbie contre Grande Croatie, ou même Padanie contre Italie, et cela en nous efforçant de mettre les parties dans le même plan moral, même s'il est clair que chacun de nous a ses préférences et ses idées. C'est pourquoi dans Limes vous trouverez des points de vue de droite et de gauche, des positions laiques ou religieuses émanant de personnalités différentes quand elles ne sont pas carrément opposées, depuis Romano Prodi à Gianfranco Miglio, de Luciano Canfora à Virgilio Ilari, de Geminello Alvi à Sergio Romano. Ce n'est qu'en les confrontant dans leur dynamicité qu'on peut comprendre les raisons des uns et des autres.

 

En cette époque de globalisation, la conception de «nation» a-t-elle encore une signification quelconque? L'Italie peut-elle être considérée une nation à part entière?

 

Il est certain que la nation est toujours très importante. Et il est tout aussi vrai que l'Etat national, en tant qu'objet de relations internationales, compte toujours beaucoup. Mais je reste très prudent quand il s'agit de définir notre époque actuelle comme l'“époque de la globalisation”. Laissons aux historiens du futur le soin des interprétations. Il est clair que la croissance de l'interdépendance économique et culturelle multiplie les sujets géopolitiques. Aujourd'hui nous avons des régions, des provinces et même des villes possédant une vision géopolitique propre, et pour légitimer ces visions, elles aiment se donner le nom de “nations”. C'est le cas, entre autres, de la Padanie, dont je n'ai pas encore bien cerné le territoire (mais dans ce cas c'est moi qui devrait vous interviewer...).

 

Pour ce qui est de l'Italie, c'est une nation qui existe, en tant qu'Etat, depuis seulement 136 ans, même si l'idée d'Italie a 2000 ans d'histoire: elle descend de la réforme géopolitique de l'empereur Auguste dans le cadre de l'empire romain. Je ne connais pas beaucoup de nations aussi profondément enracinées dans le passé, sauf la Chine. Je suis convaincu que l'Italie durera encore longtemps, même si je n'ai pas de mal à imaginer une nation italienne intégrée dans un Etat européen.

 

Dans le dernier numéro de Limes, vous vous occupez de la politique étrangère de la Ligue du Nord en affirmant qu'elle se base sur les principes de l'ethno-fédéralisme. Vous citez aussi une pensée de Bossi: «C'est dans la nation, c'est-à-dire au sein d'un peuple ethniquement homogène, qu'on peut agir pour le mieux, mus par un meilleur élan affectif». Quelle est votre opinion?

 

77.jpgLa philosophie néo-existentialiste du sénateur Bossi dépasse largement mes facultés d'intelligibilité. Personnellement, j'éprouve un élan affectif majeur dans une relation amoureuse plutôt que dans le rapport avec ma nation. De plus, j'ai le vilain défaut de ne pas adhérer aux principes de l'ethno-fédéralisme, peut-être parce qu'en dépit de tous mes efforts, je ne les comprends toujours pas. Par ma nationalité, je suis italien, mais cela ne me suffit pas pour reconnaître les Italiens comme un peuple ethniquement homogène. Je ne sais pas trop ce qu'est une nation ethnique mais je suis certain que si elle devenait cette nation, je partirais ailleurs. Je suis encore partisan de l'idée qu'un état ethnique ne peut pas être un état libre et démocratique. Mais je n'ai pas la prétention de convaincre les liguistes et je suis très curieux d'entendre leurs argumentations.

 

Pouvez-vous vous exprimer sur le projet de créer des “eurorégions”, dans le style de celle souhaitée depuis longtemps par les Tyroliens?

 

Je ne suis ni favorable ni totalement défavorable aux eurorégions en tant qu'idée abstraite. Ce qui m'intéresse, ce sont plutôt les eurorégions singulières et, surtout, l'usage géopolitique qu'on en fait. Comment être contre ce projet, lorsqu'il s'agit de renforcer les liens économiques entre pays voisins ou d'améliorer les infrastructures de connexion entre frontières? Par contre, je suis préoccupé par le projet d'eurorégions qui, de façon claire ou occulte, remet en question les frontières européennes actuelles, en favorisant le surgissement de nouveaux murs sur le Continent. Si, par exemple, la création de l'eurorégion Tyrol signifie en clair rouvrir le contentieux entre l'Italie et l'Autriche, alors je suis totalement contre.

 

Est-ce que la présence de l'OTAN sur le territoire européen est encore justifiée? Que pensez-vous de l'élargissement de l'Alliance Atlantique?

 

L'OTAN représente une Amérique européenne et une Europe américaine. Je suis persuadé qu'après la fin de l'URSS nous avons encore besoin d'une présence américaine en Europe, pas tellement pour faire face à une invasion en provenance de l'Est mais plutôt pour stabiliser le Continent et éteindre les foyers de guerre, surtout dans l'aire adriatico-balkanique. Evidemment, nos intérêts ne correspondent pas toujours à ceux des Américains, c'est pourquoi nous devons faire entendre notre voix au sein de l'Alliance, tout en sachant que le poids qui donne la mesure est toujours l'Amérique. Quelle alternative? Une superpuissance Européenne? Une Allemagne comme superviseur du Continent? Mieux vaut rester sérieux et chercher à cultiver un rapport atlantique tant que ça dure. Je suis contre l'élargissement de l'OTAN pour plusieurs raisons (nouvelles divisions au cœur de l'Europe, humiliation gratuite de la Russie, marginalisation de l'Italie), mais surtout parce que je crains que cela n'entraîne un relâchement dans l'Alliance, donc une dégradation évidente de son bon fonctionnement. Cela finirait par donner de bons arguments à ceux qui, en Amérique, veulent liquider l'OTAN.

 

Des courants de pensée plutôt critiques vis-à-vis d'une future unification monétaire commencent à se propager. Pensez-vous qu'une Europe principalement économique et monétaire sera profitable aux peuples?

 

Le dernier volume de Limes  est consacré à cette problématique. Personnellement, plus j'y pense et plus je doute que l'Euro puisse servir à unir l'Europe. Au contraire, après Maastricht (mais pas uniquement à cause de Maastricht), je vois croître les tendances désagrégatrices, les particularismes, les nationalismes, l'inaptitude à trouver un point de médiation entre les intérêts nationaux. De ce fait, dans la meilleure des hypothèses, la préférence ira au projet anglais (aujourd'hui soutenu aussi par les Allemands) qui préconise une grande aire de libre-échange qui s'étend de l'Atlantique aux Balkans. Projet aussi légitime (et peut-être même réaliste...) qu'éloigné de l'idée classique d'Europe.

 

Limes s'est souvent préoccupé des rapports entre les Européens et le monde islamique. D'après vous, à quels scénarios pouvons-nous nous attendre dans un futur rapproché?

 

limes-la-cina-spacca-loccidente.jpgJe ne connais pas le futur, mais je crains que la schématisation du conflit de civilisation, inventé par le politologue américain Samuel Huntington, puisse un jour prévaloir. Si on suivait ce type de raisonnement, tout le monde serait perdant, aussi bien les Européens que les Islamiques. En outre, il n'existe pas d'ensemble géopolitique spécifique pour la détermination du monde islamique et nous n'avons aucun intérêt à promouvoir sa création. Si je peux avancer une suggestion, je dirais qu'il faut éviter à tout prix que le rapport avec le monde arabe et le monde islamique soit géré par des soi-disant experts (largement rémunérés), qui nous empêchent d'entendre la véritable voix des Arabes et des Islamiques.

 

Croyez-vous qu'il existe une possibilité quelconque pour que les nations voisines, telles l'Allemagne et l'Autriche, reconnaissent un jour la Padanie indépendante?

 

Dans Limes  vous trouverez des idées très divergentes sur la Padanie, y comprises naturellement celles de ses supporters. Nous avons même demandé au sénateur Bossi le privilège d'un entretien géopolitique sur la Padanie, dans le but d'expliquer clairement cet chose mystérieuse. Par exemple: quelles sont ses frontières? Comment pense-t-il légitimer son indépendance et se détacher du reste de l'Italie? Comment est-il possible de désagréger l'Italie tout en intégrant l'Europe? Je souhaite que bientôt le sénateur Bossi veuille apporter réponse à ces questions en nous honorant d'un interview. Quant à la reconnaissance de la Padanie de la part de l'Autriche et de l'Allemagne, j'ai bien peur que cela ne relève la possibilité zéro, à moins d'être d'accord pour briser l'Union Européenne ou d'imaginer un consensus italien à l'indépendance padane.

 

(propos recueillis par Gianluca Savoini pour le journal Padania, Milan).

 

samedi, 31 octobre 2009

Utlagi n°29

Utlagi

couv29 [1]

Numéro 29

  • Apprenons le norrois !
  • Botanicum : l’ortie
  • Ecrivain Breton : Fanch Elies
  • Hastings 14 Octobre 1066
  • HOMMAGE – BARBEY D’AUREVILLY
  • La chasse au léviathan par Jean Mabire
  • Michael Collins

Utlagi, c’est 116 articles présentés sur Internet, et beaucoup plus dans les revues.

Depuis 1999, cette revue s’adresse à tous ceux qui souhaitent découvrir l’histoire, la culture et les traditions de Normandie et de Bretagne.

Entièrement réalisée par des bénévoles amoureux de leurs Pays, elle est indépendante et ouverte à tous. Si vous souhaitez nous rejoindre, ou avoir des informations sur les anciens numéros de la revue, n’hésitez pas, contactez nous :

utlagi@orange.fr [2]


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[2] utlagi@orange.fr: mailto:utlagi@orange.fr

lundi, 26 octobre 2009

Terre & Peuple Magazine n°41

terreetpeuplen41

Editorial de Pierre Vial : Ils ont peur de la vérité

En Bref

- Chroniques de la décadence
- Nouvelles d’ici et d’ailleurs

Courrier des lecteurs
- Nationalisme et guerre

Guerre idéologique
- Eloge de la discrimination

Nos traditions
- Les fourneaux d’Epona

Culture

- Notes de lectures

DOSSIER – Notre écologie

Etat des lieux

- Georgie 2009

Source : Terre et peuple Provence

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samedi, 17 octobre 2009

Le Bulletin célinien n°312

Le Bulletin célinien n°312

Sortie du Bulletin célinien n° 312, octobre 2009.

Au sommaire :
* Marc Laudelout :
Bloc-notes
* Emmanuel Caloyanni : Ralph Soupault et Céline
* Serge Joncour & Camille Laurens : "Voyage" sur l'île déserte
* Omar Merzoug : Hommage à Philippe Bonnefis
* Alexandre Junod : Du "Voyage au bout de la nuit" à "End of the night"
* Roger Nimier : "Nord" de L.-F. Céline (1960)
* Michel Bergouignan : L.-F. Céline, contradictoire et passionné (I)


Un numéro de 24 pages, illustrations. Disponible contre un chèque de 6 € franco à l'ordre de M. Laudelout.

Le Bulletin célinien

B. P. 70

B 1000 Bruxelles 22

vendredi, 16 octobre 2009

"Potlatch": succès posthume d'une revue

Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1997

«POTLATCH»: SUCCES POSTHUME D'UNE REVUE

 

Ceux qui n'entendent pas se noyer dans la littérature “pataphysique” et veulent garder un regard serein et lucide sur le jeu social de notre belle société fin de siècle liront avec profit la reproduction d' une revue dont Guy Debord était l'un des principaux rédacteurs Potlatch. Cet auteur était encore bien jeune mais cela ne l'empêchait pas d'afficher un style déjà très particulier.9782070401345.jpg

 

Ce livre qui en résulte est d'abord un témoignage sur une époque: celle de la reconstruction de l'après-guerre qui marque aussi le départ de ce que l'économiste Jean Fourastié a nommé d'une expression depuis passé à la postérité  —“Les trente glorieuses”—  époque pendant laquelle l'économie occidentale a connu une croissance jusqu'alors inédite dans l'histoire de l'humanité.

 

Mais cet ouvrage est également l'aventure d'un groupe contestataire qui allait beaucoup faire parler de lui: c'est “la bande à Guy Debord”, nommée d'abord “Internationale lettriste”, scission de la gauche lettriste intervenue en 1952 et qui ensuite allait devenir la fameuse “Internationale Situationniste”.

 

Potlatch était envoyé gratuitement à des adresses choisies par sa rédaction, et à quelques-unes des personnes qui sollicitaient de le recevoir. Il n'a jamais été vendu. Potlatch fut à son premier numéro tiré à cinquante exemplaires. Son tirage, en augmentation constante, atteignait vers la fin environ 500 exemplaires. Ce bulletin paru 27 fois, entre le 27 juin 1954 et le 5 novembre 1957. Debord et ses amis allaient ensuite s'exprimer dans d'autres revues de l'Intemationale Situationniste (1).

 

Au premier abord, cela parait proprement incroyable qu'un bulletin gratuit et au tirage aussi modeste connaisse une pareille notoriété posthume, grâce à de gros tirages d'abord en 1985 par Gérard Lebovici puis maintenant par des éditions de poche (10 à 15.000 exemplaires au minimum). Oserions-nous imaginer pareil sort pour la collection de “Nouvelles de Synergies Européennes”!

 

A sa première lecture, on est d'abord surpris par l'originalité de ses prises de position et on s'interroge pour savoir comment dans les années cinquante, dans le petit monde parisien, on pouvait ne pas s'extasier devant la politique américaine, la construction des grands ensembles et des grands magasins, l'avènement de la consommation, des médias et des sports de masse et les élucubrations d'Elvis Presley. Une croissance économique exponentielle, des loisirs en pleine explosion et des syndicats assez consensuels pour obtenir un bout de gras de la bête qui grandit... bref le bonheur pour tous dans cette machine à faire l'Occident qui tourne à plein régime... Il leur en fallait donc du courage ou bien alors de l'inconscience pour défier dès 1954 ce qu'ils appellaient déjà notre “sinistre civilisation occidentale”. Et surtout une incroyable dose de lucidité et une méfiance instinctive face à l'idéologie du progrès véhiculée par le capitalisme libre-échangiste mettant en place l'univers, le nôtre maintenant, qui se profilait alors à l'horizon à grands pas.

 

Raymond Aron, Henri Michaux, Camus, Sartre, Simone de Beauvoir, Mauriac, Malraux, Le Corbusier, Quéneau mais aussi le Parti Communiste, la bourgeoisie ou l'art abstrait, aucune des vedettes de la société du spectacle qui se met en place ne sont épargnées par le démasquage judicieux des situationnistes si prompts à dénoncer la chape de plomb faite de bêtise et de conformisme qui commence à s'abattre sur la société et dont bien peu arrivent à percevoir les mécanismes par lesquels les impostures finissent par occuper le devant de la scène. Leurs adversaires les accusent d'être purement nihilistes. Je pense qu'il ne faut pas être aussi catégorique et que derrière cette apparence, on peut deviner un solide bon sens qui lutte avec les moyens du bord sans avoir aucune possibilité concrète de résister autrement.

 

C'est ainsi qu'en dehors de toutes leurs exécrations, nous retrouvons tous ces florilèges judicieux qui ne peuvent que nous réjouir: «Même les plus imbéciles meneurs des bourgeoisies européennes comprendront plus tard à quel point les succès de leur “indéfectibles alliés” les menacent, les enferment dans leur contrat irrévocable de gladiateurs mal payés de l'“American Way of Life”, les condamnent à marcher et à crever patriotiquement dans les prochains assommoirs de l'Histoire, pour leurs quarante-huit étoiles légèrement tricolores». Nous voyons en 1997, où nous en sommes dans le cadre de la politique mondiale imposée par les Etats-Unis.

 

Ensuite leur lucidité n'est pas moindre dans le domaine de l'urbanisme qui bouleverse la société: «Nos ministres et architectes urbanistes ont mis au point quelques taudis-types, dont les plans servent aux quatre coins de la France [...] .Dans leurs œuvres un style se développe, qui fixe les normes de la pensée et de la civilisation occidentale du vingtième siècle et demi. C' est le style “caserne” et la maison 1950 est une boîte.[...] Les casernes civiles qui s'élèvent à leur place ont une laideur gratuite qui appelle les dynamiteurs».  C'est exactement ce que le système lui-même est arrivé à faire avec certaines grandes tours (tours des Minguettes à Vénissieux et aussi en banlieue parisienne par exemple). Avec leur regard d'une acuité étonnante, ils devinaient déjà le futur problème des banlieues lorsqu'ils notaient: «L'aspect morne et stérile de la plupart des quartiers nouveaux»  pouvant produire des effets psychologiques sur les populations amenées à y habiter. Ils ne pouvaient donc mieux dire. En dehors de la rationalité marchande à l'œuvre, ils nommaient responsables les architectes, larbins des ministres qui acceptaient de faire ces basses œuvres à cause de: «leur pauvreté spirituelle et créatrice, leur manque total de simple humanité».

 

Enfin pour “enrober” ce beau monde, l'alliance de l'humanitarisme et du show-business parachève l'édifice pour endormir le bon peuple. Le commentaire sur Chaplin dans le rôle du Bernard Koutchner de l'époque et de l'abbé Pierre (déjà) intitulé “Flic et curé sans rideau de fer” mérite d'être cité dans son intégralité: «Chaplin en qui nous dénoncions dès la sortie tapageuse de Limelight [comme] “l'escroc aux sentiments, le maître chanteur de la souffrance” continue ses bonnes œuvres. On ne s'étonne pas de le voir tomber dans les bras du répugnant abbé Pierre pour lui transmettre l'argent “progressiste” du Prix de la Paix. Pour tout ce monde, le travail est le même: détourner et endormir les plus pressantes revendications des masses. La misère entretenue assure ainsi la publicité de toutes les marques: la Chaplin's Metro Paramounty gagne, et les Bons du Vatican». Par la suite cette pensée alors assez réactive allait donner naissance aux chefs d'œuvre de la pensée situationniste.

 

L' univers décrit par Potlatch  est exactement le même que celui qu'en 1981 le cinéaste libertaire Rainer Werner Fassbinder racontait dans son sublime film Lola, histoire d'une femme allemande  où justement en 1957, à Cobourg, petite ville du nord de la Bavière, se déroulait sous le regard acerbe du réalisateur le spectacle cruel d'une société qui déjà subissait les dégâts causés par le libéralisme américain en train de s'imposer dans cette Allemagne de la reconstruction: arasement des valeurs traditionnelles, prostitution généralisée et corruption des élites politiques, administratives et économiques. Les situationnistes n'employaient pas le mot de “corruption” sans doute pas encore passé dans le vocabulaire courant comme c'est la cas actuellement et sans doute parce qu'ils estimaient aussi que, dans son essence, même le système porte les germes de ce phénomène.

 

Bien entendu dans sa préface de 1985, Guy Debord ne cachait pas sa délectation d'assister au triomphe de ses thèses: «On sait aussi que personne, en dehors de l'Internationale situationniste, n'a plus jamais voulu formuler une critique centrale de cette société, qui pourtant tombe autour de nous; déversant en avalanche ses désastreux échecs, et toujours plus pressées d'en accumuler d'autres».  Nous voyons où nous en sommes aujourd' hui... Pour les raisons contenues dans cette phrase, il n'est pas inutile de lire ce livre et par là même d'un peu mieux comprendre le monde d'aujourd'hui.

 

Pascal GARNIER.

 

(l) Dans une prochaine livraison nous rendrons compte du volume paru chez Fayard, qui reproduit en fac-similé la revue de l'Internationale Situationniste.

 

Guy DEBORD présente Potlatch 1954-1957. Edition augmentée. Paris, Gallimard/Folio, n°2906, Octobre 1996, 291 p., 32 FF.

 

lundi, 07 septembre 2009

Nouvelle revue d'histoire n°44

La Nouvelle Revue d’Histoire n° 44 : Violence et politique

L612522

Bientôt disponible dans les kiosques à journaux.

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jeudi, 30 juillet 2009

Terre & Peuple n°39: l'arme géopolitique

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Terre & Peuple - Wallonie - Communiqué

 

 

TERRE & PEUPLE Magazine n°39

 

"L'arme géopolitique"

 

Dans son éditorial au numéro 39 du T&P Mag, qui évoque la dimension raciale du conflit antillais, né par hasard avec l’ère Obama, Pierre Vial relève que les mêmes qui qualifient ces violences de ‘culturelles et identitaires’ jugent ignoble le souhait de ‘préserver sa race’. Parce que contraire à une idéologie officielle largement admise par une population pressée de trahir dans l’espoir d’éviter le fameux choc. Il est temps dès lors de mettre en place la fraternité blanche.

 

Autour des nouveaux musées (Guggenheim, à Bilbao, Coop Himmelb(l)au à Lyon), FAV s’applique à une analyse de la ‘médiasphère’ qui vise à transformer le musée-conservatoire en un lieu d’actualités, présentant le musée lui-même comme l’événement sensationnel, pour assurer sa survie financière. Afin que l’individu, détribalisé, ingurgite sa ration d’images pieuses.

 

Emmanuel Ratier, documenté et vigilant, épingle une nouvelle monnaie norvégienne à l’effigie de Knut Hamsun, Prix Nobel enfermé à 85 ans dans un asile, après son éloge funèbre à Hitler. Bernard Kouchner, dénoncé par Pierre Péan, pour ses magouilles sous paravent humanitaire, et pour ses faux ‘camps d’extermination serbes’, s’en tient à accuser Péan d’antisémitisme, ce que Maurice Szafran et Joseph Cohen jugent être la mort du débat public.

 

Le gros dossier ‘L’arme géopolitique’ est assumé pour moitié par Alain Cagnat. Pour lui, trois affaires marquent le sort de la planète : l’oléoduc BTC/l’Irak/l’Afghanistan. Dès 1994, Halliburton (Dick Cheney) et Chevron (Condolezza Rice), pour affranchir les pétroles du Kazakstan du contrôle russe, projettent l’oléoduc BTC (de Bakou en Azerbaidjan, par Tbilissi en Georgie à Ceyhan en Turquie). En 2000, le PNAC (Project for a New American Century, de Cheney/Rumsfeld/Wolfowitz/Perle) programme la seconde guerre contre l’Irak, obstacle à l’hégémonie (énergétique) des States.

 

La ‘vieille Europe’ tente alors de dialoguer avec la Russie. La ‘jeune Europe’ orientale, revancharde, mise sur l’Amérique, seule à avoir résisté à l’URSS. Pour affaiblir l’Europe, les Etats-Unis accélèrent la dislocation de la poudrière multiculturelle des Balkans, y favorisant la pression islamiste (Albanie, Kosovo). Ils incitent l’Europe centrale à adhérer à l’UE et à l’OTAN, ce qui leur ouvre un double accès à la Mer Noire et présentent l’Iran (mais en fait la Russie) comme une menace (bouclier anti-missiles). Les Pays baltes (Lithanie/Lettonie) ayant pris le contrôle du grand oléoduc nord-ouest, la Russie entame la construction du BPS (Baltic Pipeline System) et Gazprom s’entend avec BASF et Ruhr Gaz pour mettre en place Northstream, que les Polonais s’ingénient à retarder. En Europe orientale et en Europe caucasienne : les Américains n’ont pas réussi, en Biélorussie, à déstabiliser le fidèle Loukachenko, ami des Russes.

 

Le GUAM (Organisation pour la démocratie et le Développement) s’affaire à détacher de l’influence russe l’Ukraine, la Georgie, l’Azerbaïdjan et la Moldavie. Il projette un oléoduc OBP entre la Mer Noire et la Pologne. Mais parallèlement, l’UE avec l’Allemagne et la Tchéquie fonde le Partenariat oriental, avec l’Europe orientale et caucasienne, y compris l’Azerbaïdjan. La Moldavie dépend fort de la Russie. L’Ukraine, d’abord emportée par la ‘révolution orange’ de Iouchtchenko, voit à présent sa ‘tsarine’ Ioulia Timochenko signer un accord avec Poutine dans la ligne d’un partenariat Europe-Russie indispensable à l’équilibre du continent. Reste en question la Crimée, rattachée à l’Ukraine par Khrouchtchev et qui compte 60% de Russes (75% à Sébastopol, base concédée à la flotte russe jusqu’en 2017 !). L’Arménie, fidèle à la Russie qui l’a sauvée des Ottomans, sous blocus de l’Azerbaïdjan et ravitaillée par l’Iran, compte sur sa puissante diaspora américaine.

 

L’Azerbaïdjan s’est épuré de ses Arméniens (pogroms en 1990) à l’exception du Nagorny-Karabakh (rattaché au pays par Staline), où ils sont encore 80%. Le pays détient d’énormes réserves de pétrole et de gaz. Puissamment soutenu par la Fondation Soros (dont il a néanmoins fait échouer la ‘révolution orange’), le président Aliyev joue l’équilibre. Les Azéris, chiites, sont travaillés par les islamistes iraniens. Dès son indépendance, la Géorgie, à qui Staline (géorgien lui-même) avait greffé trois territoires autonomes (Ossétie du Sud, Abkhazie et Adjarie), est entrée en guerre sanglante contre eux. Avec la ‘révolution des roses’, l’avocat newyorkais Michaïl Saakachvili a pris le pouvoir. Fort du soutien des Etats-Unis et d’Israël, il a lancé contre l’Ossétie du Sud une désastreuse opération, qui a révélé l’impuissance américaine et déterminé l’UE à dialoguer avec la Russie. Le Nord Caucase, qui groupe des républiques de la Fédération de Russie, musulmanes (Tcherkessie, Tchétchénie, Ingouchie, Daghestan) ou orthodoxe (Ossétie du Nord) est un patchwork multiculturel composé par Staline dans le but d’affaiblir chacune.

 

Ce sont des islamistes coriaces, que Poutine traite fermement (« jusque dans les chiottes »). Au Proche-Orient, Israël étant partie prenante des oléoduc BTC et gazoduc BTE vers la Turquie, il fallait que les Serbes soient virés du Kosovo. Toutefois, depuis la gaffe géorgienne, les Russes menacent les deux tracés. Dans les espérances occidentales, la Turquie devait hériter du ‘pouvoir de nuisance’ de la Russie. Bien que d’une stabilité douteuse, les Turcs peuvent affaiblir Russes comme Européens, chez qui, heureusement, les anti-turcs tiennent bon. C’est la Bible et leur propre histoire de Terre promise qui rapprocheraient les Américains d’Israël, leur treizième porte-avions. Toutefois, depuis le fiasco du Liban (2006) et l’échec de Tsahal à Gaza (2008), et avec sa nouvelle majorité explosive, la stabilité d’Israël ne tient plus qu’à l’instabilité de ses voisins. L’Egypte est gangrenée par les Frères musulmans, proches des Iraniens et du Hamas et qui contrôlent le Sinaï et la zone frontalière de Gaza. L’Arabie saoudite, ‘amie des Américains, achète sa tranquillité, en finançant les fondamentalistes ! Les Monarchies du Golfe ne sont que des lunaparks méprisés par tous les bons musulmans.

 

La Jordanie deviendra peut-être la Grande Palestine (si les Israéliens achèvent le ménage). La Syrie, hostile à Israël, est un des voyous de l’Axe du Mal, mais un interlocuteur incontournable. Le Liban n’existe que par le Hezbollah, qui en contrôle la moitié. L’Irak, après ses guerres Bush I et Bush II, a été officiellement pacifié par le général Petraeus (et l’accord avec le Mahdi chiite Moqtadar-al-Sadr). Sunites, chiites et Kurdes attendent pour reprendre leur guerre civile le départ des Américains. Lesquels ne resteraient que pour protéger les Kurdes (et leur pétrole). A défaut, ils auraient perdu pour rien quatre mille hommes, des centaines de milliards et gagné la haine de la planète. La concurrence entre les projets de gazoducs Nabucco c/Southstream (qui confronte l’UE à Gazprom russe et à ENI italienne) donne plusieurs longueurs d’avance aux seconds : les Russes ont déjà des accords avec la Hongrie, la Bulgarie, la Serbie, la Grèce et l’Autriche, de même qu’avec le Turkménistan, le Kazakhstan et l’Ouzbékistan, alors que l’avenir de Nabucco est encore incertain. Si les potentats de cinq républiques ex-soviétiques d’Asie centrale ont d’abord été aisément subjugués par quelques dizaines de millions de dollars, le mouvement s’est renversé.

 

Le président Karimov d’Ouzbékistan a sévèrement réprimé une manifestation encouragée par les Américains, qui n’ont eu que le temps de lui rappeler les droits de l’Homme que déjà ils étaient expulsés. Cible des islamistes, il préfère se rapprocher des Russes. De même, le Turkménistan, qui ne tolère aucun soldat étranger, a préféré les Russes aux Américains. Le président Nazarbaiev du Kazakhstan, pris entre ses Kazakhs au sud et ses Russes (30%) au nord, maintient difficilement l’unité. Son pétrole voyage par l’oléoduc CPC et, pour son gaz, il est partie prenante avec le Turkménistan d’un accord avec la Russie. Le bail de la base spatiale russe de Baïkonour court jusqu’en 2014 et celle de Sary Chagoun jusqu’en 2050. Le Kirghizistan (peuplé d’Indoeuropéens) a fait l’objet d’une ‘révolution des tulipes’. Il s’est retourné depuis contre les Américain, qui doivent évacuer la base militaire qu’ils louaient fort cher, alors que les Russes en reçoivent gratuitement ! Le Tadjikistan, pays persanophone pauvre, voisin de l’Afghanistan, est en guerre civile larvée et est occupé à la fois par les Russes et par les Américains.

 

Pour la Mer Caspienne, les Américains nourrissent le projet d’une ‘Caspian Guard’ aéronavale, officiellement pour empêcher les trafics de drogue et d’armes, mais il leur manque d’avoir un pied dans un pays riverain. Puissance stable du Moyen-Orient, l’Iran, peuplé d’Indoeuropéens chiites, regorge de pétrole. Il a le soutien de tous les damnés de la terre (sunites comme chiites irakiens, Hezbollah, Hamas, Frères musulmans, Afghans et Kurdes). Il est partie dans un axe Moscou-Téhéran-Pékin. Il a même passé un accord gazier avec la Turquie. Il ne renoncera pas à sa bombe atomique. A défaut de pouvoir le vaincre, les Américains doivent le convaincre.

 

L’Afghanistan est une aberration britannique, une mosaïque de peuples en guerre par tradition, où les Américains ont joué les islamistes contre les soviétiques. Le gouvernement Karzaï ne contrôle qu’un cinquième du pays. Il est impossible à l’OTAN de gagner, ni d’empêcher les Afghan d’être les premiers producteurs mondiaux d’héroïne. Au Pakistan voisin, la CIA a arrosé les fous d’Allah avec des torrents de dollars. La contagion s’est étendue et les talibans en sont à menacer les voies de ravitaillement américaines. Les bombardements de représailles touchent essentiellement des civils et font de nouvelles recrues antiaméricaines. La guerre au Cachemire achève d’affaiblir le front ‘occidental’. OTSC et OCS sont deux alliances antiaméricaines : l’Organisation du traité de sécurité collective est une réplique de l’OTAN, qui a permis à l’Ouzbékistan et au Kirghizistan de se débarrasser de leurs troupes américaines ; l’Organisation de coopération de Shanghaï, rassemble, avec la Russie et la Chine, le Kazakhstan, le Khirgizistan, l’Ouzbékistan et le Tadjikistan et elle a accepté l’Inde, le Pakistan, la Mongolie et l’Iran comme observateurs. L’Inde, le Japon et la Chine sont de faux colosses, peu impliqués encore dans le jeu géopolitique.

 

L’Inde, qui essaie une troisième voie occidentale, n’est en rien une nation. Elle est pratiquement en guerre avec le Pakistan (l’une comme l’autre ont la bombe atomique !). Le Japon est un satellite désarmé des Etats-Unis, dont la renaissance ne passera que par sa redécouverte des samouraïs. La Chine est une menace pour après-demain. Elle multiplie les relations avec la Russie et l’Iran et avec les républiques d’Asie centrale. Plus encore qu’avec les Tibétains, les Chinois ont des problèmes avec les Ouïghours, turcomongols musulmans sécessionnistes. Avec tout cela, les Américains ont perdu une partie de leurs pions et vont devoir abandonner un costume trop grand pour eux, les Russes ont regagné une grande partie de leurs positions et les Européens (UE) ont fait le mauvais choix.

 

Alain Cagnat, encore lui, pose le choix ‘Occident ou Eurosibérie ?’. L’Occident, protecteur de l’univers contre le Mal absolu du terrorisme, ce leurre destiné aux foules rendues stupides, se fissure. Obama promet un changement, dans la continuité car tout son entourage appartient au White Power. A l’inverse, dans la Russie (qu’on nous présentait comme définitivement humiliée), Poutine s’est attaqué aux oligarques (qu’on nous présentait comme des dissidents). Elle n’est plus une menace pour l’Europe et a intérêt à se rapprocher d’elle, ce que redoutent les Américains. Lesquels n’ont plus les moyens de leurs prétentions hégémoniques, avec une économie en faillite et une armée qui ne tolère pas les pertes ! Notre chance est l’Eurosibérie. Nos enfants ne nous pardonneront pas de la laisser passer, pas plus que nous ne devons pardonner à nos ancêtres d’avoir déclenché la première guerre mondiale.

 

Pour Pierre Vial, le gouvernement de la France, vendu à Washington, ne pouvait que déboulonner Aymeric Chauprade, esprit libre, de sa chaire de géopolitique au Collège Interarmées de Défense. Il y démontrait la nécessité pour la France et l’Europe de faire échec au mondialisme américain, produit de la finance newyorkaise. Chauprade avertit contre le potentiel révolutionnaire islamiste et conteste que les Etats-Unis aient les moyens de leur ‘destination divine manifeste’. Il mise au contraire sur la Russie, à qui ses richesses naturelles donnent les moyens de sa politique d’indépendance et de puissance.

Jean-Patrick Arteault annonce la guerre coloniale, dans la ligne de la géopolitique anglo-saxonne. Puissance maritime insulaire destinée à dominer le commerce, elle doit ‘contenir’ le continent, c’est-à-dire empêcher que la puissance réelle de celui-ci s’exprime.

 

Le messianisme judéo-yankee a nourri deux écoles de politique étrangère américaine. La première, Hard Power, divise le monde en vassaux ou en ennemis à abattre, au besoin par la force (R. Reagan, G. W. Bush). La seconde, Soft Power, préfère amener l’interlocuteur aux concessions, dans la voie d’un mondialisme cornaqué par l’oligarchie capitaliste et ses think tanks. La formule a l’avantage de sauver la face aux collaborateurs, à qui le berger fait oublier qu’ils ne sont que des moutons. Ils vendent à leur opinion publique l’image d’une Amérique bonne fille, qui nous a secourus et protégés contre l’indicible et qui mérite dès lors qu’on l’aide contre les méchants Afghans. Dans le genre Kollabo, le trio infernal de l’atlantisme français (Sarközy-Kouchner-Levitte) rêve de souffler aux Britanniques le rôle de premier caniche de Washington, apprenant à se plier sans donner le sentiment de se coucher. L’armée de terre américaine, qui veut guerroyer avec zéro mort, a un besoin urgent de supplétifs et, le dollar vacillant, de faire casquer les vassaux. Alors que le bourbier afghan est une nouvelle guerre coloniale qui ne pourra pas être gagnée, car son objectif géopolitique (entre autres, barrer à la Russie l’accès aux mers chaudes) ne satisfait pas les opinions publiques ni les combattants. Ceux-ci devraient se contenter d’apporter la démocratie et les droit de la femme à des moujahidins qui sont incomparablement mieux motivés à se défendre contre les mercenaires des oligarchies financières.

 

Pierre Vial clôture ce numéro en beauté. Et en chantant la profusion des beautés que vient de dévoiler l’archéologie dans les vestiges que ‘Nos ancêtres les gaulois et nos ancêtres les Germains’ nous ont laissés dans le Puy-de-Dôme, dans la Somme, en Corrèze, dans le coeur historique de Reims, à Saint Dizier en Haute-Marne. Le cliché des ‘barbares hirsutes’ a enfin rendu son âme dévote. Notamment entre les mains de Bossuet, pour qui la Providence avait choisi la voie lumineuse de la civilisation gréco-romaine pour apporter la vérité unique aux brutes sauvages de nos sombres forêts.

 

jeudi, 25 juin 2009

Rivista Disidencias n°8 : La esencia ideologica de la crisis economica

Revista Disidencias nº 8: La esencia ideológica de la crisis económica

Disidencias.
Revista de Ideas, Cultura, Alternativas
nº8, 2009: La esencia ideológica de la crisis económica

Disidencias: La esencia ideológica de la crisis económica

Disidencias: La esencia ideológica de la crisis económica

Editorial: Asociación Cultural Disidencias
Publicación: 2009.
Núm. de páginas: 224.
ISSN: 1888-8151

EDITORIAL
Los grandes debates, ausentes en el país del astracán.

IDEAS
Separatismo e imperialismo en el siglo XXI. James Petras
La población americana en 1492. Ángel Rosemblat
La reforma de la mentalidad moderna. René Guenón

ALTERNATIVAS
La regionalización de los mercados como factor de integración geopolítica. Tiberio Graziani
El nuevo ejército represivo del Sistema: los medios de comunicación. Manuel Freytas
España en su laberinto. Diego Camacho López-Escobar

ENTREVISTA
Entrevista al profesor Santiago Niño Becerra. El crash que se avecina. Juan A. Aguilar

DENUNCIA
La falsa historia del bombardeo atómico a Hiroshima y Nagasaki. Alfredo Embid
Las últimas palabras de Saddam Hussein. Mahdi Darius Nazemroaya
DOSSIER: La esencia ideológica de la crisis económica El financiarismo, estadio supremo del capitalismo. Alexander Duguin
El imperialismo internacional del dinero. Alberto Buela
BANKSTERS. Jorge Verstrynge

ORIENTACIONES
Juan Asensio o la conciencia de la literatura. José Luis González Ribera

LIBROS:
La Patria Libre. El semanario de la ruptura. Enrique Uribe
Giménez Caballero, visto sin prejuicios. Antonio Brea
Kosovo. La semilla del odio. Juan A. Aguilar

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samedi, 06 juin 2009

De nieuwe Branding is uit!

 De nieuwe Branding is uit!

lundi, 18 mai 2009

La Nouvelle revue d'histoire n°42

 

DISPONIBLE EN KIOSQUE !

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mercredi, 13 mai 2009

Terre & Peuple n°39 / Analyse

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TERRE & PEUPLE Magazine n°39

 

Analyse par les équipes de "Terre & Peuple - Wallonie"

 

Dans son éditorial au numéro 39 du T&P Mag, qui évoque la dimension raciale du conflit antillais, né par hasard avec l’ère Obama, Pierre Vial relève que les mêmes qui qualifient ces violences de ‘culturelles et identitaires’ jugent ignoble le souhait de ‘préserver sa race’. Parce que contraire à une idéologie officielle largement admise par une population pressée de trahir dans l’espoir d’éviter le fameux choc. Il est temps dès lors de mettre en place la fraternité blanche.

Autour des nouveaux musées (Guggenheim, à Bilbao, Coop Himmelb(l)au à Lyon), FAV s’applique à une analyse de la ‘médiasphère’ qui vise à transformer le musée-conservatoire en un lieu d’actualités, présentant le musée lui-même comme l’événement sensationnel, pour assurer sa survie financière. Afin que l’individu, détribalisé, ingurgite sa ration d’images pieuses.

Emmanuel Ratier, documenté et vigilant, épingle une nouvelle monnaie norvégienne à l’effigie de Knut Hamsun, Prix Nobel enfermé à 85 ans dans un asile, après son éloge funèbre à Hitler. Bernard Kouchner, dénoncé par Pierre Péan, pour ses magouilles sous paravent humanitaire, et pour ses faux ‘camps d’extermination serbes’, s’en tient à accuser Péan d’antisémitisme, ce que Maurice Szafran et Joseph Cohen jugent être la mort du débat public.

Le gros dossier ‘L’arme géopolitique’ est assumé pour moitié par Alain Cagnat. Pour lui, trois affaires marquent le sort de la planète : l’oléoduc BTC/l’Irak/l’Afghanistan. Dès 1994, Halliburton (Dick Cheney) et Chevron (Condolezza Rice), pour affranchir les pétroles du Kazakstan du contrôle russe, projettent l’oléoduc BTC (de Bakou en Azerbaidjan, par Tbilissi en Georgie à Ceyhan en Turquie). En 2000, le PNAC (Project for a New American Century, de Cheney/Rumsfeld/Wolfowitz/Perle) programme la seconde guerre contre l’Irak, obstacle à l’hégémonie (énergétique) des States. La ‘vieille Europe’ tente alors de dialoguer avec la Russie. La ‘jeune Europe’ orientale, revancharde, mise sur l’Amérique, seule à avoir résisté à l’URSS. Pour affaiblir l’Europe, les Etats-Unis accélèrent la dislocation de la poudrière multiculturelle des Balkans, y favorisant la pression islamiste (Albanie, Kosovo). Ils incitent l’Europe centrale à adhérer à l’UE et à l’OTAN, ce qui leur ouvre un double accès à la Mer Noire et présentent l’Iran (mais en fait la Russie) comme une menace (bouclier anti-missiles). Les Pays baltes (Lithanie/Lettonie) ayant pris le contrôle du grand oléoduc nord-ouest, la Russie entame la construction du BPS (Baltic Pipeline System) et Gazprom s’entend avec BASF et Ruhr Gaz pour mettre en place Northstream, que les Polonais s’ingénient à retarder. En Europe orientale et en Europe caucasienne : les Américains n’ont pas réussi, en Biélorussie, à déstabiliser le fidèle Loukachenko, ami des Russes. Le GUAM (Organisation pour la démocratie et le Développement) s’affaire à détacher de l’influence russe l’Ukraine, la Georgie, l’Azerbaïdjan et la Moldavie. Il projette un oléoduc OBP entre la Mer Noire et la Pologne. Mais parallèlement, l’UE avec l’Allemagne et la Tchéquie fonde le Partenariat oriental, avec l’Europe orientale et caucasienne, y compris l’Azerbaïdjan. La Moldavie dépend fort de la Russie. L’Ukraine, d’abord emportée par la ‘révolution orange’ de Iouchtchenko, voit à présent sa ‘tsarine’ Ioulia Timochenko signer un accord avec Poutine dans la ligne d’un partenariat Europe-Russie indispensable à l’équilibre du continent.

Reste en question la Crimée, rattachée à l’Ukraine par Khrouchtchev et qui compte 60% de Russes (75% à Sébastopol, base concédée à la flotte russe jusqu’en 2017 !). L’Arménie, fidèle à la Russie qui l’a sauvée des Ottomans, sous blocus de l’Azerbaïdjan et ravitaillée par l’Iran, compte sur sa puissante diaspora américaine. L’Azerbaïdjan s’est épuré de ses Arméniens (pogroms en 1990) à l’exception du Nagorny-Karabakh (rattaché au pays par Staline), où ils sont encore 80%. Le pays détient d’énormes réserves de pétrole et de gaz. Puissamment soutenu par la Fondation Soros (dont il a néanmoins fait échouer la ‘révolution orange’), le président Aliyev joue l’équilibre. Les Azéris, chiites, sont travaillés par les islamistes iraniens. Dès son indépendance, la Géorgie, à qui Staline (géorgien lui-même) avait greffé trois territoires autonomes (Ossétie du Sud, Abkhazie et Adjarie), est entrée en guerre sanglante contre eux. Avec la ‘révolution des roses’, l’avocat newyorkais Michaïl Saakachvili a pris le pouvoir. Fort du soutien des Etats-Unis et d’Israël, il a lancé contre l’Ossétie du Sud une désastreuse opération, qui a révélé l’impuissance américaine et déterminé l’UE à dialoguer avec la Russie. Le Nord Caucase, qui groupe des républiques de la Fédération de Russie, musulmanes (Tcherkessie, Tchétchénie, Ingouchie, Daghestan) ou orthodoxe (Ossétie du Nord) est un patchwork multiculturel composé par Staline dans le but d’affaiblir chacune. Ce sont des islamistes coriaces, que Poutine traite fermement (« jusque dans les chiottes »).

Au Proche-Orient, Israël étant partie prenante des oléoduc BTC et gazoduc BTE vers la Turquie, il fallait que les Serbes soient virés du Kosovo. Toutefois, depuis la gaffe géorgienne, les Russes menacent les deux tracés. Dans les espérances occidentales, la Turquie devait hériter du ‘pouvoir de nuisance’ de la Russie. Bien que d’une stabilité douteuse, les Turcs peuvent affaiblir Russes comme Européens, chez qui, heureusement, les anti-turcs tiennent bon. C’est la Bible et leur propre histoire de Terre promise qui rapprocheraient les Américains d’Israël, leur treizième porte-avions. Toutefois, depuis le fiasco du Liban (2006) et l’échec de Tsahal à Gaza (2008), et avec sa nouvelle majorité explosive, la stabilité d’Israël ne tient plus qu’à l’instabilité de ses voisins. L’Egypte est gangrenée par les Frères musulmans, proches des Iraniens et du Hamas et qui contrôlent le Sinaï et la zone frontalière de Gaza. L’Arabie saoudite, ‘amie des Américains, achète sa tranquillité, en finançant les fondamentalistes ! Les Monarchies du Golfe ne sont que des lunaparks méprisés par tous les bons musulmans. La Jordanie deviendra peut-être la Grande Palestine (si les Israéliens achèvent le ménage). La Syrie, hostile à Israël, est un des voyous de l’Axe du Mal, mais un interlocuteur incontournable.

Le Liban n’existe que par le Hezbollah, qui en contrôle la moitié. L’Irak, après ses guerres Bush I et Bush II, a été officiellement pacifié par le général Petraeus (et l’accord avec le Mahdi chiite Moqtadar-al-Sadr). Sunites, chiites et Kurdes attendent pour reprendre leur guerre civile le départ des Américains. Lesquels ne resteraient que pour protéger les Kurdes (et leur pétrole). A défaut, ils auraient perdu pour rien quatre mille hommes, des centaines de milliards et gagné la haine de la planète. La concurrence entre les projets de gazoducs Nabucco c/Southstream (qui confronte l’UE à Gazprom russe et à ENI italienne) donne plusieurs longueurs d’avance aux seconds : les Russes ont déjà des accords avec la Hongrie, la Bulgarie, la Serbie, la Grèce et l’Autriche, de même qu’avec le Turkménistan, le Kazakhstan et l’Ouzbékistan, alors que l’avenir de Nabucco est encore incertain. Si les potentats de cinq républiques ex-soviétiques d’Asie centrale ont d’abord été aisément subjugués par quelques dizaines de millions de dollars, le mouvement s’est renversé. Le président Karimov d’Ouzbékistan a sévèrement réprimé une manifestation encouragée par les Américains, qui n’ont eu que le temps de lui rappeler les droits de l’Homme que déjà ils étaient expulsés. Cible des islamistes, il préfère se rapprocher des Russes. De même, le Turkménistan, qui ne tolère aucun soldat étranger, a préféré les Russes aux Américains. Le président Nazarbaiev du Kazakhstan, pris entre ses Kazakhs au sud et ses Russes (30%) au nord, maintient difficilement l’unité. Son pétrole voyage par l’oléoduc CPC et, pour son gaz, il est partie prenante avec le Turkménistan d’un accord avec la Russie. Le bail de la base spatiale russe de Baïkonour court jusqu’en 2014 et celle de Sary Chagoun jusqu’en 2050. Le Kirghizistan (peuplé d’Indoeuropéens) a fait l’objet d’une ‘révolution des tulipes’. Il s’est retourné depuis contre les Américains, qui doivent évacuer la base militaire qu’ils louaient fort cher, alors que les Russes en reçoivent gratuitement ! Le Tadjikistan, pays persanophone pauvre, voisin de l’Afghanistan, est en guerre civile larvée et est occupé à la fois par les Russes et par les Américains. Pour la Mer Caspienne, les Américains nourrissent le projet d’une ‘Caspian Guard’ aéronavale, officiellement pour empêcher les trafics de drogue et d’armes, mais il leur manque d’avoir un pied dans un pays riverain.

Puissance stable du Moyen-Orient, l’Iran, peuplé d’Indoeuropéens chiites, regorge de pétrole. Il a le soutien de tous les damnés de la terre (sunites comme chiites irakiens, Hezbollah, Hamas, Frères musulmans, Afghans et Kurdes). Il est partie dans un axe Moscou-Téhéran-Pékin. Il a même passé un accord gazier avec la Turquie. Il ne renoncera pas à sa bombe atomique. A défaut de pouvoir le vaincre, les Américains doivent le convaincre. L’Afghanistan est une aberration britannique, une mosaïque de peuples en guerre par tradition, où les Américains ont joué les islamistes contre les soviétiques. Le gouvernement Karzaï ne contrôle qu’un cinquième du pays. Il est impossible à l’OTAN de gagner, ni d’empêcher les Afghan d’être les premiers producteurs mondiaux d’héroïne. Au Pakistan voisin, la CIA a arrosé les fous d’Allah avec des torrents de dollars. La contagion s’est étendue et les talibans en sont à menacer les voies de ravitaillement américaines. Les bombardements de représailles touchent essentiellement des civils et font de nouvelles recrues antiaméricaines. La guerre au Cachemire achève d’affaiblir le front ‘occidental’. OTSC et OCS sont deux alliances antiaméricaines : l’Organisation du traité de sécurité collective est une réplique de l’OTAN, qui a permis à l’Ouzbékistan et au Kirghizistan de se débarrasser de leurs troupes américaines ; l’Organisation de coopération de Shanghaï, rassemble, avec la Russie et la Chine, le Kazakhstan, le Khirgizistan, l’Ouzbékistan et le Tadjikistan et elle a accepté l’Inde, le Pakistan, la Mongolie et l’Iran comme observateurs. L’Inde, le Japon et la Chine sont de faux colosses, peu impliqués encore dans le jeu géopolitique. L’Inde, qui essaie une troisième voie occidentale, n’est en rien une nation. Elle est pratiquement en guerre avec le Pakistan (l’une comme l’autre ont la bombe atomique !). Le Japon est un satellite désarmé des Etats-Unis, dont la renaissance ne passera que par sa redécouverte des samouraïs. La Chine est une menace pour après-demain. Elle multiplie les relations avec la Russie et l’Iran et avec les républiques d’Asie centrale. Plus encore qu’avec les Tibétains, les Chinois ont des problèmes avec les Ouïghours, turcomongols musulmans sécessionnistes. Avec tout cela, les Américains ont perdu une partie de leurs pions et vont devoir abandonner un costume trop grand pour eux, les Russes ont regagné une grande partie de leurs positions et les Européens (UE) ont fait le mauvais choix.

Alain Cagnat, encore lui, pose le choix ‘Occident ou Eurosibérie ?’. L’Occident, protecteur de l’univers contre le Mal absolu du terrorisme, ce leurre destiné aux foules rendues stupides, se fissure. Obama promet un changement, dans la continuité car tout son entourage appartient au White Power. A l’inverse, dans la Russie (qu’on nous présentait comme définitivement humiliée), Poutine s’est attaqué aux oligarques (qu’on nous présentait comme des dissidents). Elle n’est plus une menace pour l’Europe et a intérêt à se rapprocher d’elle, ce que redoutent les Américains. Lesquels n’ont plus les moyens de leurs prétentions hégémoniques, avec une économie en faillite et une armée qui ne tolère pas les pertes ! Notre chance est l’Eurosibérie. Nos enfants ne nous pardonneront pas de la laisser passer, pas plus que nous ne devons pardonner à nos ancêtres d’avoir déclenché la première guerre mondiale.

Pour Pierre Vial, le gouvernement de la France, vendu à Washington, ne pouvait que déboulonner Aymeric Chauprade, esprit libre, de sa chaire de géopolitique au Collège Interarmées de Défense. Il y démontrait la nécessité pour la France et l’Europe de faire échec au mondialisme américain, produit de la finance newyorkaise. Chauprade avertit contre le potentiel révolutionnaire islamiste et conteste que les Etats-Unis aient les moyens de leur ‘destination divine manifeste’. Il mise au contraire sur la Russie, à qui ses richesses naturelles donnent les moyens de sa politique d’indépendance et de puissance.

Jean-Patrick Arteault annonce la guerre coloniale, dans la ligne de la géopolitique anglo-saxonne. Puissance maritime insulaire destinée à dominer le commerce, elle doit ‘contenir’ le continent, c’est-à-dire empêcher que la puissance réelle de celui-ci s’exprime. Le messianisme judéo-yankee a nourri deux écoles de politique étrangère américaine. La première, Hard Power, divise le monde en vassaux ou en ennemis à abattre, au besoin par la force (R. Reagan, G. W. Bush). La seconde, Soft Power, préfère amener l’interlocuteur aux concessions, dans la voie d’un mondialisme cornaqué par l’oligarchie capitaliste et ses think tanks. La formule a l’avantage de sauver la face aux collaborateurs, à qui le berger fait oublier qu’ils ne sont que des moutons. Ils vendent à leur opinion publique l’image d’une Amérique bonne fille, qui nous a secourus et protégés contre l’indicible et qui mérite dès lors qu’on l’aide contre les méchants Afghans. Dans le genre Kollabo, le trio infernal de l’atlantisme français (Sarközy-Kouchner-Levitte) rêve de souffler aux Britanniques le rôle de premier caniche de Washington, apprenant à se plier sans donner le sentiment de se coucher. L’armée de terre américaine, qui veut guerroyer avec zéro mort, a un besoin urgent de supplétifs et, le dollar vacillant, de faire casquer les vassaux. Alors que le bourbier afghan est une nouvelle guerre coloniale qui ne pourra pas être gagnée, car son objectif géopolitique (entre autres, barrer à la Russie l’accès aux mers chaudes) ne satisfait pas les opinions publiques ni les combattants. Ceux-ci devraient se contenter d’apporter la démocratie et les droit de la femme à des moujahidins qui sont incomparablement mieux motivés à se défendre contre les mercenaires des oligarchies financières.

Pierre Vial clôture ce numéro en beauté. Et en chantant la profusion des beautés que vient de dévoiler l’archéologie dans les vestiges que ‘Nos ancêtres les gaulois et nos ancêtres les Germains’ nous ont laissés dans le Puy-de-Dôme, dans la Somme, en Corrèze, dans le coeur historique de Reims, à Saint Dizier en Haute-Marne. Le cliché des ‘barbares hirsutes’ a enfin rendu son âme dévote. Notamment entre les mains de Bossuet, pour qui la Providence avait choisi la voie lumineuse de la civilisation gréco-romaine pour apporter la vérité unique aux brutes sauvages de nos sombres forêts.

mardi, 28 avril 2009

Terre & Peuple Magazine n°39

Terre et Peuple Magazine n°39 - Printemps 2009

 

Sommaire - TP Mag n°39

TERRE ET PEUPLE MAGAZINE - Terre et Peuple Magazine n°39 - Printemps 2009

Éditorial de Pierre Vial :

L'arme Géopolitique

Culture

- Les nouveaux musées

En Bref

- Chroniques de la décadence
- Nouvelles d'ici et d'ailleurs

Origines
- Nos racines généalogiques

Nos traditions
- Les fourneaux d'Epona

Droit de Réponse
- Courrier des lecteurs

Rencontre
- Entretien avec Gabriele Adinolfi

Darwinisme
Culture
- Scène de librairie ordinaire
- Notes de lectures

- La Science ou la Bible

DOSSIER - L'arme Géopolitique

 

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lundi, 20 avril 2009

Nationalisme allemand 1850-1920

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Archives de SYNERGIES EUROPEENNES - 1995

 

Nationalisme allemand 1850-1920

 

Le dernier numéro de la Revue d'Allemagne  est consacré au «Nationalisme allemand 1850-1920». Dans sa contribution, L. Dupeux écrit à propos des deux conceptions —la "française et l'"allemande"—  de la nation et du peuple: «...en fait, s'il est bien vrai que les deux conceptions-perceptions sont antagonistes, elles sont durcies et partiellement faussées dans le combat politique et idéologique. En premier lieu, il ne manque pas d'énoncés nuancés, surtout du côté français, mais ils sont souvent biaisés, voire tronqués, pour les besoins de la Cause. Ainsi de la fameuse définition avancée par Renan dans sa conférence en Sorbonne du 11 mars 1882: “Qu'est-ce qu'une Nation?”. L'auteur affirme, certes, et c'est resté célèbre, que l'existence d'une nation est “un plébiscite de tous les jours”; mais il fait aussi référence au passé, au “legs de souvenirs”, presque autant qu'au consentement actuel... En Allemagne, surtout après 1918 il est vrai, on verra des auteurs de premier rang comme Moeller van den Bruck, l'auteur du Droit des Peuples jeunes (1919), mais surtout du fameux Troisième Reich, évoquer la “volonté du peuple à devenir une nation”, solidaire face à l'Etranger, au “monde de Versailles”... Est-il par ailleurs nécessaire de rappeler que le nationalisme historisant existe aussi en France, surtout dans la nouvelle extrême-droite qui émerge après la crise boulangiste et celle de Panama, mais sans être absent au centre ni même toujours, quoi qu'on en dise (ou taise), à gauche? Qu'on songe au nationalisme barrésien, celui de “la terre et (des)morts”, ou au “nationalisme intégral” à références gréco-latines de Maurras; mais que l'on n'ignore pas par ailleurs le “patriotisme” et même le nationalisme “à la 93”  —entre autres— qui parcourt même les rangs communistes à partir de 1935 — non plus que les appels du PCF au “front national”, à l'époque de la Résistance... En vérité, les deux nationalismes, français et allemand, ne font pas que s'opposer: ils se font écho, positif ou négatif, et quand ils sont de la même famille “sociétale”, ils s'empruntent jusqu'au va-et-vient: ainsi dans les années vingt de ce siècle pour l'ultranationalisme d'Ernst Jünger, qui n'est pas sans devoir à Barrès, étant clair que celui-ci doit pas mal à la pensée romantique allemande». Un intéressant numéro avec entre autres des contributions de C. Baechler («Le Reich allemand et les minorités nationales 1871-1918») et de J.-P. Bled («Les Allemands d'Autriche et la question nationale,1850-1918») (P. MONTHÉLIE).

 

La Revue d'Allemagne, Centre d'Etudes Germaniques,  8 rue des Ecrivains, F-67.081 Strasbourg Cedex . Abonnement annuel pour quatre numéros: 260 FF.

vendredi, 20 mars 2009

La Nouvelle Revue d'Histoire: Vraies et fausses catastrophes

 

Disponible en kiosque !

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jeudi, 05 mars 2009

Bulletin célinien n°306

Le Bulletin célinien

Le Bulletin célinien, n° 306, mars 2009 :

Au sommaire :
-"Le Testament de Céline" de Paul Yonnet : entretien avec Christian Authier.

-"Entretiens avec le Professeur Y" au théâtre par Jean-Pierre Doche.

-"Études céliniennes" : présentation du n° 4 par André Derval.

-"Style, morale et anarchie chez Céline" par Xavier Garnier.










Le Bulletin célinien
B. P. 70
B 1000 Bruxelles 22, Belgique
http://louisferdinandceline.free.fr/
celinebc@skynet.be

vendredi, 20 février 2009

Freiheitskonservativismus is overleden

Freiheit Konservatismus is overleden
Uit: Nieuwsbrief Deltastichting nr. 22 - Februari 2009

De publicist Caspar von Schrenck-Notzing is overleden. Meer dan wie ook blijft zijn naam verbonden met hét Europese conservatieve tijdschrift bij uitstek Criticon. Het niveau was jarenlang toonaangevend voor zovele andere Europese tijdschriften.
 
Caspar Freiherr von Schrenck-Notzing werd geboren op 23 juni 1927 in een van de oudste patriciërsfamilies van München – een familie mét wapenschild trouwens. Zijn overgrootvader was industrieel en nationaal-liberaal lid van de Rijksdag, Gustav von Siegle. Zijn grootvader, Albert von Schrenck-Notzing, was een parapsycholoog. Een familie met naam en faam. Freiherr Caspar studeerde geschiedenis en sociologie, hij was aandeelhouder van WMF en BASF, en zou de eenmanszaak, die Criticon was, leiden van 1970 tot 1998.
 
Hij slaagde erin om een conservatieve politieke – en vooral meta-politieke – strekking opnieuw wortel te laten schieten in Duitsland. Geen evidentie, waar elke rechtse of conservatieve filosoof, politicoloog of politicus sowieso ad infinitum gecompromitteerd leek met het regime van de nationaal-socialisten. Von Schrenck-Notzing slaagde erin de conservatieve beweging opnieuw te intellectualiseren, terug van een intellectuele bagage te voorzien. Hij stond hierin niet alleen: Armin Mohler, Winfried Martini en Mohammed Rassem stonden hem gedurende vele jaren bij. Conservatief-revolutionair gedachtengoed sloeg zelfs opnieuw aan bij heel wat non conformistische jongeren. Junge Freiheit, Sezession en het Institut für Staatspolitik zijn wel bijzonder schatplichtig aan dit herlevend conservatisme dat in zijn talrijke uiteenlopende facetten zijn neerslag vond in het tijdschrift van von Schrenck-Notzing.
 
De taak van een rechtse, conservatieve beweging was in die jaren (jaren 50 en 60 van de vorige eeuw) niet gemakkelijk en totaal anders dan 30 jaar geleden. Kon ze in een vroeger tijdsgewricht de staat, het leger, het gerecht en de kerk als traditiegebonden instellingen verdedigen, schragen en uitdragen, dan bleken ze in de jaren 60 en 70 van de vorige eeuw steeds meer aangetast door het liberalisme en het egalitarisme. Zo schreef Caspar von Schrenck-Notzing: “We leven in een tijdperk van een wereldwijd ineenstorten van alle Europese posities”.
 
Vanuit zijn opleiding had von Schrenck-Notzing vooral interesse voor en was hij verontrust door de steeds grotere manipuleerbaarheid van de burgers. Hij publiceerde over dit onderwerp verschillende populaire werken zoals Charakterwäsche (1965 – over het door Amerika ingevoerde en gestuurde Reeducation), Zukunfsmacher (1968 – over nieuw links) en Demokratisierung (1972 – over het democratiebegrip van nieuw links).
 
Criticon droeg de naam van een boek van de jezuïet Baltasar Gracian, El Criticon. Vooral het liberalisme, waarmee de auteur aansluiting vond bij bepaalde tussenoorlogse moderne conservatieve bewegingen, werd door de uitgever als het grote, fundamentele gevaar voor Europa beschreven. Niet evident op een moment dat rechts in Europa zich vooral anticommunistisch opstelde. In Criticon kon men ook in die jaren ook bijdragen lezen die het liberalisme eigenlijk in hetzelfde kamp plaatsten als het communisme. Voorwaar visionair.
 
In 1998 gaf de Freiherr zijn tijdschrift uit handen, in de overtuiging dat twee jonge auteurs voldoende talent in huis hadden om zijn Criticon verder op het goede spoor te houden. Helaas, het blad ontwikkelde zich tot een (puur economisch) tijdschrift voor zelfstandigen, dat het zelfs nodig vond regelmatig vrij platte pro-Amerikaanse bijdragen te publiceren, zonder enige ruimte voor nuancering. Even later verdween het tijdschrift zelfs helemaal. De mythe Criticon leeft echter verder. Zo schreef de uitgever van Junge Freiheit, Dieter Stein, zelf een jonge publicist die gevormd werd door Criticon: “Tijdschriften zijn kristallisatiepunten van het geestelijk leven van een natie. Aan Criticon konden de edelste kristallen van het naoorlogse conservatisme groeien”.
 
Criticon in handen nemen en lezen was puur intellectueel genot. Von Schrenck-Notzing was, in tegenstelling tot wat men bij zijn naam zou kunnen denken, geen warme voorstander van de oude geld- en grondadel. Aristocraat zijn was voor hem een levenshouding. “Afstand nemen, ook tegenover zichzelf” was het motto dat hij zijn vrienden en zijn gezin steeds voorhield. Zijn ironische commentaren, ondertekend met zijn pseudoniem Critilo, zullen we ook in de komende jaren met veel genoegen herlezen.
 
Von Schrenck-Notzing was een echte Britse gentleman, hoe Duits en Europees zijn wortels ook waren. Dankzij Caspar von Schrenck-Notzing werden ook heel wat Vlamingen en Nederlanders ertoe aangezet hun blik onbevooroordeeld in de richting van Groot-Brittannië en de Angel-Saksische traditie te wenden en er kennis te maken met een rijke conservatieve, literaire en politieke, oogst. Freiherr von Schrenck-Notzing heeft zijn sporen getrokken, zoveel is duidelijk.

(Peter Logghe)

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In Memoriam: Caspar von Schrenck-Notzing und "Criticon"

Caspar von Schrenck-Notzing und Criticón

von Karlheinz Weißmann am 4. Februar 2009 - http://www.sezession.de/

schrenck

 [1]Heute wird Caspar von Schrenck-Notzing in München zu Grabe getragen. Damit geht auch ein Abschnitt in der Geschichte des deutschen Nachkriegskonservatismus zu Ende. In allen Würdigungen und Nachrufen wurde darauf hingewiesen, daß Schrenck-Notzing mit der Gründung der Zeitschrift Criticón die Tribüne für die rechte Intelligenz der siebziger und achtziger Jahre geschaffen hatte: von den katholischen Traditionalisten über die Adenauer-Fraktion und die Klassisch-Liberalen bis zu den Nominalisten und Nationalrevolutionären.

Geplant war das ursprünglich nicht. Datiert auf „Ammerland, im Mai 1970″ ging ein hektographierter Rundbrief ins Land, der das Erscheinen der ersten Ausgabe von Criticón ankündigte. Einleitend hieß es: „Bei dem Schwimmen gegen den Strom fällt es immer schwerer, aus der Sturzflut des Gedruckten jene Publikationen herauszufinden, die für die grundlegende und laufende Orientierung über Zeitfragen wesentlich sind.“ Deshalb sei es nötig, eine „Sammelstelle“ zu schaffen, die das Material sichte und den Leser auch auf das hinweise, was eventuell am Rande stehe. Die Nummer 1 war denn auch ein gerade zwölf Seiten umfassendes Heft ohne Umschlag im Format DIN A 4, dessen Schwerpunktthema das Denken Arnold Gehlens bildete (einleitender Text über Moral und Hypermoral von Armin Mohler, Autorenportrait von Gehlens Schüler Hanno Kesting), während man ansonsten nur Rezensionen und kurze Hinweise auf Organisationen, Veranstaltungen oder andere Zeitschriften fand.

Seine spätere Gestalt mit den auffallend farbigen Umschlägen, auf denen eben kein deutscher Adler, sondern ein Hahn in gallischer Manier prangte, nahm Criticón allerdings schon im Laufe des zweiten Erscheinungsjahrs an. Auch die Gliederung der einzelnen Nummer ergab sich frühzeitig. Die Autorenportraits bildeten über die Zeit hinweg eine Art Enzyklopädie der konservativen Meisterdenker, wobei Schrenck-Notzing großzügig jede Fraktion der geistigen Rechten zur Geltung kommen ließ, außerdem gab es theoretische wie aktuelle Aufsätze deutscher und ausländischer Autoren, sowie ein politisch-metapolitisches Editorial, das Schrenck-Notzing unter dem Pseudonym „Critilo“ – der „Kritische“ verfaßte.

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[2]Critilo gehörte zu den Figuren des allegorischen Romans El Criticón des spanischen Jesuiten Baltasar Gracián, nach dem Schrenck-Notzing seine Zeitschrift benannt hatte. Gracián war einer jener „Machiavellisten“, die die Freiheit liebten und deshalb die Macht der Gegen-Aufklärung einsetzten, um sich Einsicht in die tatsächlichen Weltzusammenhänge zu verschaffen. Das erklärt etwas von dem hohen analytischen und prognostischen Wert, den viele der in Criticón veröffentlichten Texte hatten. Zusammenfassend schrieb Schrenck-Notzing dazu: „Schwerpunkte von Criticón waren das russische Dissidententum (vor dem Nobelpreis für Solschenizyn), der amerikanische Konservatismus (vor der Wahl Reagans), der britische Konservatismus (vor der Wahl von Mrs. Thatcher), die Emigrationen der Ostblockstaaten (vor deren Zusammenbruch), die deutsche Identität (vor der Wiedervereinigung), Parteien und Medien (vor dem Ausufern des Parteien- und Medienstaates).“

Man muß sich dabei vergegenwärtigen, daß Criticón trotz oder gerade wegen dieser Qualität isoliert in der deutschen Zeitschriftenlandschaft stand. Selbst die Springer-Presse hatte kaum mehr als Häme für die „konservativen Standartenträger“ (Die Welt) übrig. Ein Sachverhalt, der auch durch vermehrte Anstrengungen nicht zu ändern war. Das ließ sich vor allem an den Überlegungen Schrenck-Notzings in den achtziger Jahren ablesen, mit Criticón aktuell einen eigenen, alle drei Wochen erscheinenden Nachrichtendienst herauszubringen. Ein Versuch, der bereits im Ansatz scheiterte. Kurze Zeit später mußte auch die Erscheinungsweise Criticóns von zweimonatlich auf vierteljährlich umgestellt werden.

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[3]Der Einsatzbereitschaft von Schrenck-Notzing ist es zu verdanken, daß Criticón trotzdem die damalige Krise des konservativen Zeitschriftensegments überstand, dessen Publikationen nach und nach verschwanden, weil die Verlegerpersönlichkeit, die sie getragen hatte, nicht mehr da war (Herderbücherei Initiative), aufgab (Mut), sich von der CSU umarmen ließ (Zeitbühne, Epoche) oder ihr Milieu verlor (Konservativ heute). Es war deshalb tragisch, daß die Auswahl eines Nachfolgers zu einem immer drängenderen Problem wurde und Schrenck-Notzings Wahl – Gunnar Sohn, ein langjähriger Mitarbeiter von Criticón – sich als Fehlentscheidung erwies. Die gewisse Häme, mit der die Neue Zürcher Zeitung im Frühjahr 2000 einen Artikel über das „neue Criticón“ betitelte mit „Kapitulation vor dem bösen alten Feind“ war ein Signal dafür, daß Sohn nach kurzem Lavieren, das Erbe, das er angetreten hatte, verriet. Das hatte auch mit objektiven Schwierigkeiten zu tun, die Zeitschrift wie bisher fortzuführen, hing aber vor allem mit der Inkompetenz Sohns zusammen.

Und das ist das erstaunliche: Criticón ist eine konservative Zweimonatsschrift, ein Blatt der rechten Intelligenz, sowohl nach seinem Selbstverständnis wie im Urteil der Kritiker. – Claus Leggewie 1987

Schrenck-Notzing wird diese Entwicklung mit Bitterkeit verfolgt haben, wenngleich er sich das niemals anmerken ließ. Durch die Zeitschrift Agenda, die seine Förderstiftung Konservative Bildung und Forschung (FKBF) mit einigen Nummern erscheinen ließ, versuchte er noch einmal zu den Anfängen von Criticón zurückzukehren und ein konservatives Rezensionsorgan zu schaffen. Geglückt ist das nur im Ansatz. Es war offenbar Zeit für etwas Anderes, und das Erscheinen der Sezession ist von Freund wie Feind als Versuch betrachtet worden, die Linie Schrenck-Notzings unter den gegebenen Umständen fortzusetzen.


Artikel ausgedruckt von Sezession im Netz: http://www.sezession.de

Adresse zum Artikel: http://www.sezession.de/caspar-von-schrenck-notzing-und-criticon.html

Adressen in diesem Beitrag:

[1] Bild: http://www.sezession.de/wp-content/uploads/2009/02/schrenck.jpg

[2] Bild: http://www.sezession.de/wp-content/uploads/2009/02/img4881.jpg

[3] Bild: http://www.sezession.de/wp-content/uploads/2009/02/img4891.jpg

13:41 Publié dans Hommages | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : allemagne, conservatisme, droite, philosophie, revue, politique, bavière | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook