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samedi, 03 octobre 2015

Presseschau - Oktober 2015

 

vendredi, 02 octobre 2015

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Ex: http://www.lintellettualedissidente.it

In tanti in Europa esultano per l’indebolimento dell’immagine della Germania; ma tralasciando gli asti interni al vecchio continente, ridere per le disgrazie tedesche non appare molto saggio: con una Berlino espugnata, è l’intera Europa ad uscire indebolita!
 

Merkel_Untergang.jpgAlzi la mano che non rida quando, il primo della classe, magari quel ‘secchione’ con gli occhiali che non perde occasione nel dimostrare la propria bravura e la contestuale impreparazione altrui, viene beccato con le mani nel sacco. In tutte le classi di tutto il mondo, quando magari un soggetto del genere viene colto impreparato è una festa per tutti e chi da mesi ha una sfilza di impreparati, improvvisamente torna entusiasta di andare a scuola. Si può quindi comprendere come mai molti italiani, alla notizia del ‘trucchetto’ della Volkswagen, hanno iniziato a ridacchiare ed a sfoderare tutta la retorica da sindrome di ultimo della classe: ‘Anche loro barano’, ‘adesso la Germania non può più dirci nulla’ oppure ancora ‘Germania Kaputt’, sono state le frasi più in voga sui social network in questi giorni. Va bene ridacchiare per le disgrazie di un paese che da anni bacchetta mezza Europa al grido di ‘austerity e rigore’, ma al tempo stesso è ben utile chiarire come in realtà la situazione non è così semplice come una banale querelle tra compagni di classe. In realtà, sulla disgrazia Volkswagen c’è ben poco da ridere e per due ragioni; in primo luogo, è da stolti oggi sfoderare retorica germanofoba.

La Germania, come detto anche in passato, nonostante i suoi difetti e nonostante possa ispirare poca ‘simpatia’, è un grande paese di 140 milioni di abitanti, traino dell’economia europea e dunque imprescindibile per ogni ipotesi di rilancio del vecchi continente; il suo posizionamento poi, ne fa un paese ponte (la storia, tra muri costruiti e muri divelti lo dimostra) tra occidente ed oriente ed un suo indebolimento costituirebbe un ulteriore ostacolo nelle relazioni tra Europa e Russia. Ma soprattutto, altro motivo per cui non è saggio ridere delle disgrazie Volkswagen, è abbastanza palese come l’uscita dei dati che mostrano il trucco sui dati in merito le emissioni, è strumentale; si è voluto dare un colpo molto forte all’orgoglio, all’economia ed all’immagine della Germania. La Volkswagen è cuore dell’industria tedesca, oltre che vanto da diversi decenni; al di là delle migliaia di posti di lavoro, il colosso delle auto è simbolo stesso dell’efficienza della Germania. Colpire adesso, suona come un avvertimento; Berlino in questi giorni era pronta a far valere il suo peso diplomatico sulla questione siriana: Angela Merkel aveva valutato la possibilità di considerare Assad un interlocutore, in più la pressione interna di molti imprenditori tedeschi danneggiati dalle sanzioni alla Russia, stava spingendo la cancelliera a primi passi verso il riavvicinamento a Mosca, pur senza mai citare (almeno in questi giorni) la possibilità di togliere da subito tali sanzioni.

volkswagen-dans-la-tourmente_1592965_418x209.jpgIn poche parole, la Germania era pronta a fare la sua parte; una parte che, seppur invisa a molte cancelliere europee, le spetta di diritto essendo l’economia più forte del continente ed il paese più popolato d’Europa. La politica estera tedesca presenta molte lacune e molte criticità, ma al tempo stesso ‘tifare’ per un peso minore di Berlino nello scacchiere internazionale, vuol dire tagliare fuori definitivamente il vecchio continente da ogni possibile ruolo da protagonista nelle crisi principali. Ed è inoltre proprio Berlino ad avanzare perplessità su alcuni aspetti del TTIP, che invece gli americani vorrebbero far approvare in tempi brevi; tale trattato transatlantico dovrà essere ostacolato soprattutto dal movimento di opinione che da 3 anni a questa parte si sta sviluppando in tutta Europa, ma anche una Germania che avanzava perplessità poteva certamente essere un valido baluardo di difesa. L’aver lanciato le prove del trucco Volkswagen sulle emissioni di gas comunque, non è probabilmente legato direttamente ad uno dei singoli casi prima citati; esso, visto dal luogo da cui è partito (dagli USA), è probabilmente ricollegabile ad un avvertimento generale: la Germania oltre certi limiti non può andare.

In tempi non sospetti, quando tutti elogiavano o temevano la Germania, in più ambienti ed anche nelle colonne del nostro giornale, si lanciava un avvertimento: Berlino può solo ‘giocare’ ad essere una potenza internazionale, resta però pur sempre un paese occupato da centinaia di basi straniere da 70 anni a questa parte e quindi ogni starnuto all’interno della Cancelleria viene valutato e studiato dall’esterno e se qualcosa non combacia con gli interessi dei proprietari di tali basi militari, allora arrivano questo genere di avvertimenti. Quel che sta subendo la Germania in questi giorni, è un attacco a tutto tondo, con tanto di main streaming sguinzagliati contro di essa; della fine del mito e del sogno tedesco se ne parla ormai da giorni, mentre la Volkswagen (non immune certamente da colpe ma, probabilmente, non l’unica industria automobilistica ad aver ‘barato’ nel corso della storia) viene catalogata come il ‘mostro del mese’ da attaccare. ‘Ben gli sta’, potrebbe obiettare qualcuno; ma in realtà no: come detto sopra, l’animo tedesco potrà essere anche poco preposto all’empatia, ma la Germania indebolita è preludio allo schianto definitivo dell’Europa. Giusta (a volte) o sbagliata (spesso) che sia, la via tedesca è l’unica europea rimasta; se anche questa arteria diplomatica viene tranciata, arriverà il via libera definitivo ad un’Europa meramente schiava di potenze straniere. Ed in ottica futura, per sperare ancora in una ripresa del nostro continente, non si può immaginare una Germania indebolita.

 

The Power of False Narrative

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The Power of False Narrative

Exclusive: “Strategic communications” or Stratcom, a propaganda/psy-op technique that treats information as a “soft power” weapon to wield against adversaries, is a new catch phrase in an Official Washington obsessed with the clout that comes from spinning false narratives, reports Robert Parry.

By Robert Parry

In this age of pervasive media, the primary method of social control is through the creation of narratives delivered to the public through newspapers, TV, radio, computers, cell phones and any other gadget that can convey information. This reality has given rise to an obsession among the power elite to control as much of this messaging as possible.

So, regarding U.S. relations toward the world, we see the State Department, the White House, Pentagon, NATO and other agencies pushing various narratives to sell the American people and other populations on how they should view U.S. policies, rivals and allies. The current hot phrase for this practice is “strategic communications” or Stratcom, which blends psychological operations, propaganda and P.R. into one mind-bending smoothie.

I have been following this process since the early 1980s when the Reagan administration sought to override “the Vietnam Syndrome,” a public aversion to foreign military interventions that followed the Vietnam War. To get Americans to “kick” this syndrome, Reagan’s team developed “themes” about overseas events that would push American “hot buttons.”

Tapping into the Central Intelligence Agency’s experience in psy-ops targeted at foreign audiences, President Ronald Reagan and CIA Director William J. Casey assembled a skilled team inside the White House led by CIA propaganda specialist Walter Raymond Jr.

From his new perch on the National Security Council staff, Raymond oversaw inter-agency task forces to sell interventionist policies in Central America and other trouble spots. The game, as Raymond explained it in numerous memos to his underlings, was to glue black hats on adversaries and white hats on allies, whatever the truth really was.

The fact that many of the U.S.-backed forces – from the Nicaraguan Contras to the Guatemalan military – were little more than corrupt death squads couldn’t be true, at least according to psy-ops doctrine. They had to be presented to the American public as wearing white hats. Thus, the Contras became the “moral equals of our Founding Fathers” and Guatemala’s murderous leader Efrain Rios Montt was getting a “bum rap” on human rights, according to the words scripted for President Reagan.

The scheme also required that anyone – say, a journalist, a human rights activist or a congressional investigator – who contradicted this white-hat mandate must be discredited, marginalized or destroyed, a routine of killing any honest messenger.

But it turned out that the most effective part of this propaganda strategy was to glue black hats on adversaries. Since nearly all foreign leaders have serious flaws, it proved much easier to demonize them – and work the American people into war frenzies – than it was to persuade the public that Washington’s favored foreign leaders were actually paragons of virtue.

An Unflattering Hat

Once the black hat was jammed on a foreign leader’s head, you could say whatever you wanted about him and disparage any American who questioned the extreme depiction as a “fill-in-the-blank apologist” or a “stooge” or some other ugly identifier that would either silence the dissenter or place him or her outside the bounds of acceptable debate.

Given the careerist conformity of Washington, nearly everyone fell into line, including news outlets and human rights groups. If you wanted to retain your “respectability” and “influence,” you agreed with the conventional wisdom. So, with every foreign controversy, we got a new “group think” about the new “enemy.” The permissible boundary of each debate was set mostly by the neoconservatives and their “liberal interventionist” sidekicks.

That this conformity has not served American national interests is obvious. Take, for example, the disastrous Iraq War, which has cost the U.S. taxpayers an estimated $1 trillion, led to the deaths of some 4,500 American soldiers, killed hundreds of thousands of Iraqis, and unleashed chaos across the strategic Middle East and now into Europe.

Most Americans now agree that the Iraq War “wasn’t worth it.” But it turns out that Official Washington’s catastrophic “group thinks” don’t just die well-deserved deaths. Like a mutating virus, they alter shape as the outside conditions change and survive in a new form.

So, when the public caught on to the Iraq War deceptions, the neocon/liberal-hawk pundits just came up with a new theme to justify their catastrophic Iraq strategy, i.e., “the successful surge,” the dispatch of 30,000 more U.S. troops to the war zone. This theme was as bogus as the WMD lies but the upbeat storyline was embraced as the new “group think” in 2007-2008.

The “successful surge” was a myth, in part, because many of its alleged “accomplishments” actually predated the “surge.” The program to pay off Sunnis to stop shooting at Americans and the killing of “Al Qaeda in Iraq” leader Abu Musab al-Zarqawi both occurred in 2006, before the surge even began. And its principal goal of resolving sectarian grievances between Sunni and Shiite was never accomplished.

But Official Washington wrapped the “surge” in the bloody flag of “honoring the troops,” who were credited with eventually reducing the level of Iraqi violence by carrying out the “heroic” surge strategy as ordered by President Bush and devised by the neocons. Anyone who noted the holes in this story was dismissed as disrespecting “the troops.”

The cruel irony was that the neocon pundits, who had promoted the Iraq War and then covered their failure by hailing the “surge,” had little or no regard for “the troops” who mostly came for lower socio-economic classes and were largely abstractions to the well-dressed, well-schooled and well-paid talking heads who populate the think tanks and op-ed pages.

Safely ensconced behind the “successful surge” myth, the Iraq War devotees largely escaped any accountability for the chaos and bloodshed they helped cause. Thus, the same “smart people” were in place for the Obama presidency and just as ready to buy into new interventionist “group thinks” – gluing black hats on old and new adversaries, such as Libya’s Muammar Gaddafi, Syria’s Bashar al-Assad and, most significantly, Russia’s Vladimir Putin.

Causing Chaos

In 2011, led this time by the liberal interventionists – the likes of Secretary of State Hillary Clinton and White House aide Samantha Power – the U.S. military and some NATO allies took aim at Libya, scoffing at Gaddafi’s claim that his country was threatened by Islamic terrorists. It was not until Gaddafi’s military was destroyed by Western airstrikes (and he was tortured and murdered) that it became clear that he wasn’t entirely wrong about the Islamic extremists.

The jihadists seized large swaths of Libyan territory, killed the U.S. ambassador and three other diplomatic personnel in Benghazi, and forced the closing of U.S. and other Western embassies in Tripoli. For good measure, Islamic State terrorists forced captured Coptic Christians to kneel on a Libyan beach before beheading them.

Amid this state of anarchy, Libya has been the source of hundreds of thousands of migrants trying to reach Europe by boat. Thousands have drowned in the Mediterranean. But, again, the leading U.S. interventionists faced no accountability. Clinton is the frontrunner for the Democratic presidential nomination, and Power is now U.S. Ambassador to the United Nations.

Also, in 2011, a similar uprising occurred in Syria against the secular regime headed by President Assad, with nearly identical one-sided reporting about the “white-hatted” opposition and the “black-hatted” government. Though many protesters indeed appear to have been well-meaning opponents of Assad, Sunni terrorists penetrated the opposition from the beginning.

This gray reality was almost completely ignored in the Western press, which almost universally denounced the government when it retaliated against opposition forces for killing police and soldiers. The West depicted the government response as unprovoked attacks on “peaceful protesters.” [See Consortiumnews.com’s “Hidden Origins of Syria’s Civil War.”]

This one-sided narrative nearly brought the U.S. military to the point of another intervention after Aug. 21, 2013, when a mysterious sarin gas attack killed hundreds in a suburb of Damascus. Official Washington’s neocons and the pro-interventionists in the State Department immediately blamed Assad’s forces for the atrocity and demanded a bombing campaign.

But some U.S. intelligence analysts suspected a “false-flag” provocation by Islamic terrorists seeking to get the U.S. air force to destroy Assad’s army for them. At the last minute, President Obama steered away from that cliff and – with the help of President Putin – got Assad to surrender Syria’s chemical arsenal, while Assad continued to deny a role in the sarin attack. [See Consortiumnews.com’s “The Collapsing Syria-Sarin Case.”]

 

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Upset over Iran

Putin also assisted Obama on another front with another demonized “enemy,” Iran. In late 2013, the two leaders collaborated in getting Iran to make significant concessions on its nuclear program, clearing the way for negotiations that eventually led to stringent international controls.

These two diplomatic initiatives alarmed the neocons and their right-wing Israeli friends. Since the mid-1990s, the neocons had worked closely with Prime Minister Benjamin Netanyahu in plotting a “regime change” strategy for countries that were viewed as troublesome to Israel, with Iraq, Syria and Iran topping the list.

Putin’s interference with that agenda – by preventing U.S. bombing campaigns against Syria and Iran – was viewed as a threat to this longstanding Israeli/neocon strategy. There was also fear that the Obama-Putin teamwork could lead to renewed pressure on Israel to recognize a Palestinian state. So, that relationship had to be blown up.

The detonation occurred in early 2014 when a neocon-orchestrated coup overthrew elected Ukrainian President Viktor Yanukovych and replaced him with a fiercely anti-Russian regime which included neo-Nazi and other ultra-nationalist elements as well as free-market extremists.

Ukraine had been on the neocon radar at least since September 2013, just after Putin undercut plans for bombing Syria. Neocon Carl Gershman, president of the U.S.-government-funded National Endowment for Democracy, wrote a Washington Post op-ed deeming Ukraine “the biggest prize” and a key steppingstone toward another regime change in Moscow, removing the troublesome Putin.

Gershman’s op-ed was followed by prominent neocons, such as Sen. John McCain and Assistant Secretary of State for European Affairs Victoria Nuland, urging on violent protests that involved firebombing the police. But the State Department and the mainstream media glued white hats on the Maidan protesters and black hats on the police and the government.

Then, on Feb. 20, 2014, a mysterious sniper attack killed both police and demonstrators, leading to more clashes and the deaths of scores of people. The U.S. government and press corps blamed Yanukovych and – despite his signing an agreement for early elections on Feb. 21 – the Maidan “self-defense forces,” spearheaded by neo-Nazi goons, overran government buildings on Feb. 22 and installed a coup regime, quickly recognized by the State Department as “legitimate.”

Though the fault for the Feb. 20 sniper attack was never resolved – the new Ukrainian regime showed little interest in getting to the bottom of it – other independent investigations pointed toward a provocation by right-wing gunmen who targeted police and protesters with the goal of deepening the crisis and blaming Yanukovych, which is exactly what happened.

These field reports, including one from the BBC, indicated that the snipers likely were associated with the Maidan uprising, not the Yanukovych government. [Another worthwhile documentary on this mystery is “Maidan Massacre.”]

One-Sided Reporting

Yet, during the Ukrainian coup, The New York Times and most other mainstream media outlets played a role similar to what they had done prior to the Iraq War when they hyped false and misleading stories about WMD. By 2014, the U.S. press corps no longer seemed to even pause before undertaking its expected propaganda role.

So, after Yanukovych’s ouster, when ethnic Russians in Crimea and eastern Ukraine rose up against the new anti-Russian order in Kiev, the only acceptable frame for the U.S. media was to blame the resistance on Putin. It must be “Russian aggression” or a “Russian invasion.”

When a referendum in Crimea overwhelmingly favored secession from Ukraine and rejoining Russia, the U.S. media denounced the 96 percent vote as a “sham” imposed by Russian guns. Similarly, resistance in eastern Ukraine could not have reflected popular sentiment unless it came from mass delusions induced by “Russian propaganda.”

Meanwhile, evidence of a U.S.-backed coup, such as the intercepted phone call of a pre-coup discussion between Assistant Secretary Nuland and U.S. Ambassador Geoffrey Pyatt on how “to midwife this thing” and who to install in the new government (“Yats is the guy”), disappeared into the memory hole, not helpful for the desired narrative. [See Consortiumnews.com’s “NYT Still Pretends No Coup in Ukraine.”]

When Malaysia Airlines Flight 17 was shot down over eastern Ukraine on July 17, 2014, the blame machine immediately roared into gear again, accusing Putin and the ethnic Russian rebels. But some U.S. intelligence analysts reportedly saw the evidence going in a different direction, implicating a rogue element of the Ukrainian regime.

Again, the mainstream media showed little skepticism toward the official story blaming Putin, even though the U.S. government and other Western nations refused to make public any hard evidence supporting the Putin-did-it case, even now more than a year later. [See Consortiumnews.com’s “MH-17 Mystery: A New Tonkin Gulf Case.”]

The pattern that we have seen over and over is that once a propaganda point is scored against one of the neocon/liberal-hawk “enemies,” the failure to actually prove the allegation is not seen as suspicious, at least not inside the mainstream media, which usually just repeats the old narrative again and again, whether its casting blame on Putin for MH-17, or on Yanukovych for the sniper attack, or on Assad for the sarin gas attack.

Instead of skepticism, it’s always the same sort of “group think,” with nothing learned from the disaster of the Iraq War because there was virtually no accountability for those responsible.

Obama’s Repression

Yet, while the U.S. press corps deserves a great deal of blame for this failure to investigate important controversies independently, President Obama and his administration have been the driving force in this manipulation of public opinion over the past six-plus years. Instead of the transparent government that Obama promised, he has run one of the most opaque, if not the most secretive, administrations in American history.

430190069_obama_lies_answer_1_xlarge.jpegBesides refusing to release the U.S. government’s evidence on pivotal events in these international crises, Obama has prosecuted more national security whistleblowers than all past presidents combined.

That repression, including a 35-year prison term for Pvt. Bradley/Chelsea Manning and the forced exile of indicted National Security Agency contractor Edward Snowden, has intimidated current intelligence analysts who know about the manipulation of public opinion but don’t dare tell the truth to reporters for fear of imprisonment.

Most of the “leaked” information that you still see in the mainstream media is what’s approved by Obama or his top aides to serve their interests. In other words, the “leaks” are part of the propaganda, made to seem more trustworthy because they’re coming from an unidentified “source” rather than a named government spokesman.

At this late stage in Obama’s presidency, his administration seems drunk on the power of “perception management” with the new hot phrase, “strategic communications” which boils psychological operations, propaganda and P.R. into one intoxicating brew.

From NATO’s Gen. Philip Breedlove to the State Department’s Under Secretary for Public Diplomacy Richard Stengel, the manipulation of information is viewed as a potent “soft power” weapon. It’s a way to isolate and damage an “enemy,” especially Russia and Putin.

This demonization of Putin makes cooperation between him and Obama difficult, such as Russia’s recent military buildup in Syria as part of a commitment to prevent a victory by the Islamic State and Al Qaeda. Though one might think that Russian help in fighting terrorism would be welcomed, Nuland’s State Department office responded with a bizarre and futile attempt to build an aerial blockade of Russian aid flying to Syria across eastern Europe.

Nuland and other neocons apparently would prefer having the black flag of Sunni terrorism flying over Damascus than to work with Putin to block such a catastrophe. The hysteria over Russia’s assistance in Syria is a textbook example of how people can begin believing their own propaganda and letting it dictate misguided actions.

On Thursday, Obama’s White House sank to a new low by having Press Secretary Josh Earnest depict Putin as “desperate” to land a meeting with Obama. Earnest then demeaned Putin’s appearance during an earlier sit-down session with Netanyahu in Moscow. “President Putin was striking a now-familiar pose of less-than-perfect posture and unbuttoned jacket and, you know, knees spread far apart to convey a particular image,’ Earnest said.

But the meeting photos actually showed both men with their suit coats open and both sitting with their legs apart at least for part of the time. Responding to Earnest’s insults, the Russians denied that Putin was “desperate” for a meeting with Obama and added that the Obama administration had proposed the meeting to coincide with Putin’s appearance at the United Nations General Assembly in New York on Monday.

“We do not refuse contacts that are proposed,” said Yuri Ushakov, a top foreign policy adviser to Putin. “We support maintaining constant dialogue at the highest level.” The Kremlin also included no insults about Obama’s appearance in the statement.

However, inside Official Washington, there appears to be little thought that the endless spinning, lying and ridiculing might dangerously corrode American democracy and erode any remaining trust the world’s public has in the word of the U.S. government. Instead, there seems to be great confidence that skilled propagandists can discredit anyone who dares note that the naked empire has wrapped itself in the sheerest of see-through deceptions.

Investigative reporter Robert Parry broke many of the Iran-Contra stories for The Associated Press and Newsweek in the 1980s. You can buy his latest book, America’s Stolen Narrative, either in print here or as an e-book (from Amazon and barnesandnoble.com). You also can order Robert Parry’s trilogy on the Bush Family and its connections to various right-wing operatives for only $34. The trilogy includes America’s Stolen Narrative. For details on this offer, click here.

Société civile – Entre chaos, désobéissance et prise du pouvoir

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Société civile – Entre chaos, désobéissance et prise du pouvoir

Michel Garroté
Politologue, blogueur

Ex: http://www.lesobservateurs.ch

Les cinquante dernières années ont vu la victoire anti-culturelle, amorale et politicarde du courant initié dès le début des années 1960, puis, plus encore, par cette fumisterie que l’on nomme Mai 68. La civilisation française a progressivement perdu toute colonne vertébrale. A gauche comme à droite, la langue française est massacrée tous les jours par la caste politico-médiatique confortablement installée. L’individualisme prime sur les valeurs et sur le bon sens. Le concept de République est aujourd’hui vide et creux. La laïcité est devenue allahïcité. La culture classique -- à la fois judéo-chrétienne et gréco-latine -- est interdite de séjour sur son propre territoire.

L’immigration-invasion est majoritairement musulmane, pour ne pas dire islamique. L’islamo-gauchisme, c’est très « tendance » ; et oser écrire, cela est très incorrect. Une personne ouvertement de droite est aussitôt qualifiée « d’extrémiste de droite », de « frontiste » ou de « lepéniste ». Le travail des idées a été remplacé par de pseudo-débats aussi médiocres que sectaires. Dans cette ambiance, la société civile aura bientôt le choix entre le chaos, la désobéissance ou la prise du pouvoir.

Parler la langue de Mitterrand comme une lourde vache batave

Le chroniqueur catholique de droite Bernard Antony a récemment écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Je suis resté hier devant mon poste un peu plus longtemps que d’ordinaire, je me suis promené dans les chaînes : à deux ou trois reprises, çà et là, l’indigent spectacle de François Hollande proférant d’ineptes assertions sur le bombardement du camp d’entraînement à Deir ez-Zor pour les jihadistes qui, paraît-il, ont besoin d’aller là-bas, si loin, pour apprendre à tirer à la kalach, à dégoupiller une grenade ou à placer une charge. Toutes choses pourtant que n’importe quel caïd de Marseille se ferait une joie de leur enseigner juste pour le plaisir du service rendu.

Bernard Antony : Mais le pire, ce n’est pas qu’il prend les Français pour des billes, c’est qu’il parle la langue de Mitterrand comme une lourde vache batave avec des mots impropres, des pronoms relatifs inappropriés, et des accords du participe massacrés. Cela ne manque pas de provoquer les quolibets des orateurs africains qui tous, je l’ai vérifié jadis dans les rencontres du Parlement Européen, se font un point d’honneur de s’exprimer parfaitement dans la langue de Bossuet, conclut Bernard Antony (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Refaire des tissus, refaire des paysans, des esprits indépendants

Dans son dernier livre, Philippe de Villiers écrit (extraits ; voir lien vers source en bas de page) : Un jour, on retrouvera les étymologies : la patrie, la terre des pères, renvoie à la paternité. La nation – natio : naissance – renvoie à la maternité. On a voulu fabriquer une société de frères sans père ni mère. Il faudra bien reconnaître, face à la guerre contre la famille et contre la famille des familles – la communauté nationale –, l’objection de conscience, le refus de l’impôt quand on ne voudra plus payer de sa vie la mort des autres. Les premiers objecteurs iront en prison. Puis les murs de la prison tomberont, on ne peut pas emprisonner tout un peuple.

Philippe de Villiers : Car ceux qui luttent contre la vie et brisent les attachements vitaux ont choisi de ne pas survivre. Ils feront place nette. Ils n’auront pas de successeurs. Les derniers survivants seront les enfants des cercles de survie, les évadés de l’ordre marchand. Heureusement, dans un vieux pays, rien n’est irréversible. Il y a comme une mémoire quasi minérale du sol natal : le déracinement déracine tout, sauf le besoin d’enracinement. Nos âmes expirantes retrouveront un jour les sagesses instinctives. Il faudra refaire des tissus, refaire des paysans, des esprits indépendants, comme on replante des fleurs après l’hiver, conclut Philippe de Villiers (fin des extraits ; voir lien vers source en bas de page).

Une succession de trahisons et de reniements

De son côté, l’analyste Alexandre Latsa écrit (extraits ; voir lien vers source en bas de page) : Le 18 septembre dernier, un évènement assez inattendu s’est produit sur le plateau de l’émission "On n’est pas couché" (ndmg - il ne s’agit pas ici de la prestation récente de Nadine Morano). Pour la première fois sans doute depuis que le tandem de débat qui anime les discussions avec les invités existe, ces derniers ont été remis à leur place par un authentique intellectuel dont on ne peut que saluer l'honnêteté et la rigueur intellectuelle qui a été la sienne au cours de cet échange et qui, il faut bien le dire, aura laissé le binôme totalement KO, comme on peut le voir ici et.

Alexandre Latsa : Cet échange sur le plateau d'une émission du service public aura permis une nouvelle fois de constater le fossé qui existe au sein de tendances politiques pourtant plutôt similaires au sens large, entre les exécutants du système médiatique et le dernier noyau d'authentiques intellectuels français dont sans aucune hésitation, Michel Onfray fait partie tout comme par exemple Éric Zemmour. L'air totalement sonné, hagard même diront certains, de Léa Salamé ou Yann Moix sur le plateau le 18 septembre, ne peut pas ne pas nous rappeler la puissance lourde des démonstrations zemmouriennes qui mainte fois laissèrent les invités KO. Des états de fait traduisant l'écart cosmique de niveau entre Michel et Éric, et ceux qui sont censés analyser et évaluer leurs réflexions et leur production intellectuelle.

 

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Alexandre Latsa : De gauche et de droite, Michel et Éric sont pourtant équipés d'un logiciel de fonctionnement commun, logiciel les rapprochant sans doute en réalité beaucoup plus que ne les éloignent leurs pourtant réelles différences d'orientation politique.

Alexandre Latsa : Parmi ces points communs de fond et de forme on peut citer :

Une authentique maîtrise du verbe.

Une rhétorique axée sur la stratégie de vérité et l'analyse des faits.

Une pensée authentiquement cartésienne et donc française.

Une conscience nationale et/ou populaire affirmée.

La profonde remise en question des élites politiques ou médiatiques.

Le refus de cette insupportable menace permanente d'assimilation au Front national.

La tentative de compréhension des éléments visiblement sur une longue durée historique.

Et enfin, la tentative de résister à cette nouvelle dictature qu'est devenue l'information de l'instantané, qui favorise l'émotion au détriment de la réflexion.

Alexandre Latsa : A gauche, cette rupture est plus visible qu'à droite tant les 30 dernières années ont vu la totale victoire culturelle, morale et politique de la culture initiée par mai 68, une prise de pouvoir qui s'est affirmée au cours des années 1980. Une nouvelle gauche née sur les cendres du parti communiste et qui au cours des décennies suivantes s'est transformée en une nébuleuse sociale-démocrate sans idéologie et dont les principaux représentants n'ont plus que pour compétence leur aptitude à subsister au sein de la grande kermesse médiatique, cet espace oligarchique transnational au sein duquel, fondamentalement, le peuple n'existe pas, pas plus du reste que n'y existe la nation française.

Alexandre Latsa : A ce titre et pour se convaincre de la dépendance des premiers envers les seconds, une lecture attentive des excellents dossiers de l'Observatoire des Journalistes et de l'information permet de mieux comprendre ces nouvelles interactions. Les dynamiques qui ont pris naissance en amont de mai 68 et ont abouti à ce Maïdan français avaient pour corolaire historique naturel d'entraîner la disparition totale de l'ancienne gauche, que l'on peut qualifier de plutôt nationale, populaire et cohérente. Une disparition rendue nécessaire pour permettre la prise de pouvoir de cette Nouvelle Gauche qui, sous couvert d'aspirations sociétales fort séduisantes et d'une soi-disant sacro-sainte liberté individuelle, avait surtout pour raison et finalité historique de s'accorder avec l'hyper économisme dominateur et transnational.

Alexandre Latsa : L'histoire politique de notre pays de 1981 à 2015 n'aura finalement été qu'une succession de trahisons et de reniements opérés par les enfants de mai 68, ces libertaires capitalistes qui ont soutenu les processus économiques destructeurs (pour le petit peuple) et parfois antidémocratiques de la construction européenne, que l'on pense respectivement à l'instauration de l'espace Schengen en 1995 ou au référendum de 2005 sur la Constitution européenne. Nul doute que pour cette caste, l'entrée en vigueur du traité transatlantique soutenu par tous les socialistes européens sera vraisemblablement un soulagement mais aussi et surtout, au fond, un aboutissement.

Alexandre Latsa : De nombreux points communs avec notre classe politique, qui a au cours des quatre dernières décennies évolué de telle façon que notre président est devenu une sorte de VRP, et notre Assemblée nationale, chambre d'enregistrement des décisions américaines. Un comble alors que la France, en tant qu'Etat indépendant, devrait avoir à sa tête un président qui ne pense qu'aux intérêts supérieurs de la nation et une Assemblée qui valide les grandes directions insufflées par le chef de l'Etat.

Alexandre Latsa : Pourtant, ici et là, de nouvelles dynamiques apparaissent. Les Français sont visiblement de plus en plus nombreux à mesurer l'incompétence de leur classe politique et à comprendre que la solution ne viendra pas d'en haut mais d'en bas, du peuple. Nombreux sont ceux qui envisagent désormais de nouvelles figures politiques issues pourquoi pas de la société civile. De tels scénarios ont du reste déjà été envisagés, que ce soit avec Michel Onfray et Éric Zemmour. L'avenir pourrait-il voir l'émergence d'un gouvernement d'union nationale issu de la société civile ?, conclut Alexandre Latsa (fin des extraits ; voir lien vers source en bas de page).

Michel Garroté

http://www.bernard-antony.com/2015/09/devant-mon-poste.html

http://lesalonbeige.blogs.com/my_weblog/2015/09/de-la-d%C3%A9sob%C3%A9issance-civile-%C3%A0-lesp%C3%A9rance-selon-philippe-de-villiers.html

http://fr.sputniknews.com/points_de_vue/20150928/1018441210.html#ixzz3n8iJtIzf

   

La légitimité pulvérisée de la “gouvernance” anglo-saxonne

La légitimité pulvérisée de la “gouvernance” anglo-saxonne

Ex: http://www.dedefensa.org

gov13-45EC-4FB1-98F88D9C1DECF511.jpgUne “crise de légitimité” est, à notre époque, nécessairement une crise de communication (en plus de ses composants politiques propres). La pratique statistique en politique (sondages, enquêtes) en fournit notamment mais principalement le moyen, pour le meilleur ou pour le pire, et elle exerce une influence considérable sur les psychologies. Pour cette raison, le dernier sondage Gallup aux USA représente une grave menace pour “le gouvernement des États-Unis” as a whole (toute l’organisation du gouvernement, – administration, Congrès, Cour Suprême, structure de lobbying, d’influence et de corruption, etc.). Ce sondage intervient à l’heure où la démission (effective le 30 octobre) du républicain John Boehner de sa fonction de Speaker (Président de la Chambre des Représentants et deuxième personnage dans la ligne de succession du président en cas d’indisponibilité) autant que de sa fonction de Représentant met en évidence la crise profonde du parti majoritaire (républicain), de plus en plus pressé par son aile droite populiste et anti-fédéraliste. Cela apparaît à l’heure où la politique de l’administration, intérieure et extérieure, avec les démocrates solidaires, est férocement contestée et extraordinairement inefficace...

(L’esprit populiste de révolte anti-Washington qu’exsude un tel sondage dont on va voir le détail rejoint celui qui apparaissait  dans cet autre sondage extraordinaire d’il y a trois semaines où une partie appréciable des citoyens se dit favorables à une prise de pouvoir par l’armée : « L’institut indique que 29% des citoyens américains envisagent des circonstances dans lesquelles ils seraient favorables à cela, la prise du pouvoir par les militaires des forces armées US, – dont 20% chez les démocrates et 43% chez les républicains. Le résultat chez les républicains est stupéfiant : 43% favorables à un coup d’État militaire, 32% défavorables... Longue vie à la Grande République ! »)

• Le sondage dont nous parlons aujourd’hui dit que 60% des citoyens veulent un “troisième parti de gouvernement”, ce qui implique, remarque Eric Zuesse qui le commente, la perception d’un système jugé bon dans sa conception initiale mais brisé par des incapables et des corrompus, et non d’un système contesté puisqu’il ne s’agit pas de l’appel à un parti protestataire ou révolutionnaire. La critique, plus conformiste dans ses causes et éventuellement discutable (le système US est-il si bon ?) est a contrario radicale même si elle est utopique dans ses conséquences : tout le personnel actuel doit être éliminé, pour permettre la création d’un nouveau parti de gouvernement, avec des hommes non-corrompus appliquant le système jugé originellement bon. Ce pourcentage d’hostilité au gouvernement n’a été atteint qu’une fois, lors de la crise de la cessation temporaire d’activité du gouvernement (lock-out) à cause d’un différend avec le Congrès, de l’automne 2013. Une telle crise dessine à nouveau et va encore aggraver le sentiment du public, qui rejette ainsi aussi bien les démocrates que les républicains.

En même temps, Gallup relève les réponses terribles à une autre question, sur la corruption du gouvernement. 75% des personnes interrogées estiment que le gouvernement as a whole souffre d’une “corruption généralisée”, contre 55% des personnes interrogées en 2005 et 66% en 2009. Ce résultat explique le précédent et l’aggrave en le justifiant, en le légitimant. La conséquence logique a contrario, tirée par Eric Zuesse dans Off-Guardian.org le 25 septembre 2015, est évidemment que le gouvernement des États-Unis, Washington D.C. as a whole, a perdu toute légitimité. Combien de temps et comment peut-on survivre dans un tel état d’illégitimité mis en évidence par le système de la communication, dans un pays qui reste “techniquement”, du point de vue de la communication, sous un régime démocratique théorique très strict qui a besoin au moins de l’apparence comptable du soutien de la population ?

« A Gallup poll issued on September 25 is headlined “Majority in U.S. Maintain Need for Third Major Party,” and it opens: “A majority of Americans, 60%, say a third major political party is needed because the Republican and Democratic parties ‘do such a poor job’ of representing the American people.” When Gallup started polling on this matter in 2003, only 40% wanted a different major party from the two existing major parties. The only other time when as high as 60% wanted a new major party was in October 2013, when the government shut down — something that now threatens to repeat. No other period had a percentage this high. [...] The way the question has been phrased is: “In your view, do the Republican and Democratic parties do an adequate job of representing the American people, or do they do such a poor job that a third major party is needed?” [...]

» When this polling started in 2003, it was not yet clear to most Americans that President George W. Bush’s repeated statements that he had seen conclusive proof that Saddam Hussein was stockpiling weapons of mass destruction (WMD) were mere lies; it was not yet clear that Bush had not actually seen any  such proof as he claimed existed; but, gradually the American public came to recognize that their government had, in fact, lied them into invading a country which actually posed no national security threat to the United States; and, so, gradually, this 40% rose to 48% in 2006, and then to 58% in 2007, as the realization that their government had lied finally sank in, gradually, among the American electorate. [...]

» Another Gallup poll, issued on September 19th, was headlined “75% in U.S. See Widespread Government Corruption.” 75% answered “Yes” to: “Is corruption widespread throughout the government in this country?” This could offer yet another explanation as to why 60% of Americans answer no to the question of “do the Republican and Democratic parties do an adequate job of representing the American people?” However, unlike the proposed Iraq War explanation, that one doesn’t possess any clear relationship to 2003. [...] Gallup provided no further details, except that, when Obama came into office, the percentage was 66%. So, a decade back, in 2005, the percentage was somewhere above 50%, and then it was 66% when Obama entered the White House in 2009, and it’s 75% today.

» The U.S. Government thus now faces a crisis of legitimacy. »

• Au Royaume-Uni, ce qui devrait être perçu nécessairement, même si indirectement, comme une crise de légitimité, est provoqué par l’arrivée de Jeremy Corbyn à la tête du parti travailliste. Le nouveau chef du parti travailliste introduit un discours nécessairement antiSystème même s’il est daté par certains côtés, parce qu’il se nourrit de certains arguments antiSystème extrêmement radicaux. (Corbyn est attaqué comme une sorte d’“antiquité trotskiste” pour mettre en évidence son côté désuet, mais ce qui compte c’est le discours antiSystème, pas du tout désuet celui-là, qu’il développe du fait de ses positions idéologiques.) Du coup, Corbyn est l’objet d’une guérilla interne très intense de la fraction-Système très puissante dans la direction du parti travailliste, et d’attaques d’une puissance inouïe de la communication du parti conservateur et de la presse-Système, considérés dans ce cas comme une fraction extérieure alliée à la fraction-Système interne des travaillistes. C’est là une situation opérationnelle difficile pour Corbyn, mais qui, d’un point de vue général, mesure le degré de panique haineuse du Système dans le chef de ces réactions extrêmes jusqu’à être autodestructrices du Système (rien pour nous étonner là-dedans...). Cette attitude, telle qu’on la perçoit aisément, porte un risque considérable de délégitimation du pouvoir-Système britannique, là aussi as a whole, – expression anglaise si bien appropriée. C’est donc, avec ce qu’on a vu de Washington D.C., tout le “modèle de gouvernance” anglo-saxon qui est en cause. (On pourrait même dire que c’est tout le système de l’“anglosphère” qui est en cause, si l’on ajoute des remous non négligeables qui affectent les gouvernements australien et canadien dans leurs propres pays.)

Toutes les attaques contre Corbyn sont justifiées du point de vue du Système et effectivement appuyées sur une ligne-Système considérée par les tenants du Système comme dominante et plus ou moins acceptée par le public ; cette affirmation peut être admise avec réticence par les plus optimistes (par rapport à la puissance du Système), et doit être largement mise en doute par les réalistes au regard des extraordinaires avatars auxquels se heurte le Système ces dernières années, et de plus en plus ces derniers mois sinon ces dernières semaines. Ainsi, mettre en évidence que Corbyn est viscéralement eurosceptique, comme le font également ses détracteurs, pourrait paraître un bon argument en fonction du prochain (2016) référendum sur l’appartenance de UK à l’UE, à cause de l’opinion majoritaire dans le pays ; mais voilà qu’il perd chaque jour de sa force à mesure que l’opinion jusqu’ici favorable à l’UE change très vite pour aller vers la majorité contraire à cause de la crise des migrants-réfugiés où l’on voit l’UE imposer des quotas d’accueil des personnes déplacées aux États-membres, alors que la cause est aujourd’hui très impopulaire en Angleterre. (Les circonstances se mélangent sans cohérence : Corbyn est eurosceptique mais favorable à l'accueil de réfugiés, l'opinion était plutôt pro-UE mais, à cause des quotas de réfugiés, devient anti-UE. Qu'importe s'il y a un effet général antiSystème...)

 

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La dernière attaque en date contre Corbyn porte sur ses opinions qu’il exprima in illo tempore sur la manipulation qu’on a faite du 11-septembre, sur l’exploitation que les gouvernements anglo-saxons firent de cette attaque pour justifier et déclencher notamment l’attaque contre l’Afghanistan, et donc, dans cette logique, implicitement sur l’enchaînement des diverses guerres, agressions, ingérences, introductions de désordre, etc., qui se sont développées depuis avec les résultats qu’on sait. C’est le Daily Telegraph qui a ressorti ces interventions passées de Corbyn. On reprend ici un compte-rendu de I24.News, qui donne en français un rapport acceptable en nous épargnant les anathèmes d’usage de ces deux aspects (passé de Corbyn, guérilla anti-Corbyn au sein du parti travailliste)

« Le nouveau chef du parti travailliste britannique Jeremy Corbyn, aurait écrit en 2003 que les attaques du 11 septembre 2001 aux Etats-Unis avaient été “manipulées” pour encadrer Oussama Ben Laden et son organisation al-Qaïda ”en vue de faciliter une invasion de l'Afghanistan par l'Occident”, rapporte le journal Telegraph, Selon le quotidien britannique, Corbyn, qui a été élu chef du Labour il y a deux semaines a écrit, en 2003, un article pour le journal socialiste ‘Morning Star’ dans lequel il affirmait que “les historiens étudieront avec intérêt la manipulation de l'information au cours des 18 derniers mois”.

» Le Telegraph a ainsi publié quelques extraits de l'article de Corbyn : “Après le 11 septembre, les allégations selon lesquelles Ben Laden et Al-Qaida étaient les auteurs de cet atrocité ont été diffusées rapidement et avec fracas”. “Cela s'est transformé en une attaque contre les talibans et ensuite, subtilement, il y a eu un changement de régime en Afghanistan.” [...]

» Par ailleurs, le parti travailliste britannique aborde son congrès annuel plus divisé que jamais après l'élection à sa tête de Jeremy Corbyn, dont les positions très à gauche alimentent un climat de guérilla au sein du Labour. Réuni à Brighton, station balnéaire du sud de l'Angleterre, à partir de dimanche, le parti a quatre jours pour se mettre en ordre de bataille. Et la tâche ne s'annonce pas simple pour son leader, tenu de faire un grand écart entre les militants radicaux qui ont voté pour lui et les députés du parti aux positions plus centristes. Jeudi encore, Kim Howells, un des anciens secrétaires d'Etat de Tony Blair, a prévenu qu'ils étaient plusieurs à se préparer à une “guerre civile” pour ne pas laisser “une bande de vieux trotskistes prendre le pouvoir”.

» Leur détermination est renforcée par les débuts balbutiants de Jeremy Corbyn, empêtré dès les premiers jours dans plusieurs polémiques, comme lorsqu'il a refusé de chanter l'hymne national lors d'une cérémonie de commémoration. Autre dossier brûlant: la position du Labour vis-à-vis du référendum à venir sur le maintien du Royaume-Uni dans l'Union européenne. Ces dernières années, le parti a été viscéralement pro-européen. Mais Corbyn est un eurosceptique historique qui avait voté pour la rupture au référendum de 1975, afin de dénoncer le libre-marché. »

Il faut traiter conjointement ces deux aspects (USA et UK), même si les tenants et les aboutissants sont différents. Dans les deux cas, et sans trop s’attarder au sort de l’un ou l’autre des trouble-fêtes (une nouvelle orientation du parti républicain, le rôle déstructurant dans le parti républicain de Donald Trump, la position et la politique de Corbyn, le sort du parti travailliste, etc.), il s’agit d’un affaiblissement dramatique sinon vertigineux de la structure du pouvoir, de la gouvernance dans les puissances anglo-saxonnes. L’affaire est couronnée, activée, accélérée, par une désaffection terrible du public, qui se traduit désormais en une dynamique de délégitimation accélérée et non plus en manifestations de contestation et de mécontentement. Il y a une dynamique autodestructrice en cours dans les pouvoirs anglo-saxon, et les rumeurs diffamatoires lancées contre un Corbyn ou l’éventuelle radicalisation jusqu’à une fracture interne du parti républicain US ne profitent à aucune fraction en particulier parce que son principal effet est la poursuite de la dévastation du pouvoir anglo-saxon dans sa spécificité de Système bipartite où les deux partis forment les deux ailes du parti unique. Et le fait est qu’il n’y a rien pour remplacer cela...

 

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... Et le fait est que cela est logique. Ce que nous décrivons ici et là est constitué de diverses dynamiques antiSystème, – quelle que soient les vertus de ces choses/de ces acteurs, et même s’il n’y a aucune vertu  qu’importe. L’effet antiSystème est parfaitement observable et identifiable, mais on doit le prendre pour ce qu’il est et ne pas le parer, lui, de vertus qu’il n’a pas et qu’il ne peut avoir puisque son action n’existe qu’en référence à l’existence du Système et que la destruction du Système conditionne tout. En aucun cas ne sont en train de s’esquisser, encore moins de se construire, des alternatives viables ; mais d’abord une seule chose : dans tous les cas se manifestent des effets destructeurs dont pâtit le Système, et c’est la seule chose qui importe parce que c’est la seule chose possible dans l’état actuel des choses. Rien ne peut être fait, rien ne peut être construit, tant que le système n’est pas détruit. C’est là une logique implacable qui repose sur des facteurs irrémédiables et irréversibles. En un mot, nous ne pouvons concevoir un après-Système tant que le Système n’est pas complètement détruit ; nous ne pouvons concevoir que de l’anti-Système pour participer à l’accélération de son autodestruction, – et c’est effectivement ce qui se passe, et à quelle vitesse.

mercredi, 30 septembre 2015

The Paranoid German Mind: Counting Down to the Next War

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The Paranoid German Mind:

Counting Down to the Next War

Tom Sunic, Ph.D.

Ex: http://www.theoccidentalobserver.net

Having lost, during and after World War II, over 9 million of its soldiers and civilians, Germany has had to wallow in expiation and self-abnegation.  Its present grotesque multicultural policy of Willkomenskultur (“welcoming culture” toward non-European migrants), openly heralded by Chancellor Angela Merkel and her government, is the direct result of the lost war. Germany’s role of an exemplary host country for millions of non-European migrants has been a major linchpin of its legal system over the last 70 years —  and by default for present day Central European countries subject today to floods of non-European migrants. The countries that were most loyal to National Socialist Germany in World War II, the contemporary Hungary, Croatia and to some extent Slovakia and Baltic countries further north, have similar self-denying dilemmas — due, on one  hand, to their historically friendly pro-German ties, and on the other, due to the obligatory rituals of antifascist mea culpas, as demanded by Brussels and Washington bureaucrats.  I have put together for TOO some excerpts from the chapter “Brainwashing the Germans” from my book Homo americanus: Child of the Postmodern Age, 2007 (foreword by Kevin MacDonald) (The second edition of this book is to be published by Washington  Summit Publishers). I guess some of those lines below might shed some light into extremely serious political developments in Europe today.

  *   *   *

In the aftermath of World War II, the role of Frankfurt School “scholars,” many of whom were of Jewish extraction, was decisive in shaping the new European cultural scene.  Scores of American left-leaning psychoanalysts — under the auspices of the Truman government — swarmed over Germany in an attempt to rectify not just the German mind but also to change the brains of all Europeans.  But there were also a considerable number of WASP Puritan-minded scholars and military men active in post-war Germany, such as Major Robert A. General McClure, the poet Archibald MacLeish, the political scientist Harold Laswell, the jurist Robert Jackson and the philosopher John Dewey, who had envisaged copying the American way of democracy into the European public scene.

As a result of Frankfurt School re-educational efforts in war-ravaged Germany, thousands of book titles from the fields of genetics and anthropology were removed from library shelves and thousands of museum artifacts were, if not destroyed by the preceding Allied fire-bombing, shipped to the USA and the Soviet Union. Particularly severe was the Allied treatment of German teachers and academics, wrote Caspar von Schrenck-Notzing, a prominent postwar conservative German scholar in his book on the post-WWII brainwashing of the German people. In his seminal book Schrenck-Notzing  writes that the Western occupying authorities considered that the best approach in curing the defeated Germany was by treating Germans as a nation of “clinical patients” in need of a hefty dose of liberal and socialist therapy.  Since National Socialist Germany had a significant support among German teachers and university professors, it was to be expected that the US re-educational authorities would start screening German intellectuals, writers, journalists and film makers first.

Having destroyed dozens of major libraries in Germany, with millions of volumes gone up in flames, the Allied occupying powers resorted to improvising measures in order to give some semblance of normalcy to what was later to become “democratic Germany.”

During the post-WWII vetting of well-known figures from the German world of literature and science, thousands of German intellectuals were obliged to fill out forms known in at the time as “Der Fragebogen” (The Questionnaire).  In his satirical novel under the same name and translated into English as The Questionnaire, German novelist and a former conservative revolutionary militant, Ernst von Salomon, describes American “new pedagogues” extorting confessions from the German captives, who were subsequently either intellectually silenced or dispatched to the gallows. Schrenck-Notzing  provides his readers with a glimpse of the mindset of the Allied educators showing the very great influence of the Frankfurt School:

Whoever wishes to combat fascism must start from the premises that the central breeding ground for the reactionary person is represented by his family.  Given that the authoritarian society reproduces itself in the structure of the individual through his authoritarian family, it follows that political reaction will defend the authoritarian family as the basis for its state, itsculture and its civilization. (my  emphasis)

From Ethno-Nationalism to National-Masochism

Much later,  Patrick J. Buchanan, in a similar vein, in his The Death of the West  also notes that Frankfurt School intellectuals in postwar Germany, having been bankrolled by the American military authorities, succeeded in labeling National Socialist sympathizers as “mentally sick,” a term which would later have a lasting impact on political vocabulary and the future development of “political correctness”  in Europe and America.  Political prejudice, notably, a sense of authority and the resentment of Jews, were categorized as “mental illnesses” rooted in traditional European child-rearing. The ideology of antifascism became by the late twentieth century a form of “negative legitimacy” for Germany and the entire West.  It implicitly suggested that if there was no “fascist threat,” the West could not exist in its present form.

Later on, German political elites went a step further. In order to show to their American sponsors their new democratic credentials and their philo-Semitic attitudes, in the early 1960’s they introduced legislation forbidding any historical revisionism of World War II and any critical study of mass immigration into Western Europe, including any study of negative socio-economic consequences of multiculturalism and multiracialism.

As of today the German Criminal Code appears in its substance more repressive than the former Soviet Criminal Code.  Day after day Germany has to prove to the world that it can perform self-educational tasks better than its former American tutor.  It must show signs of being the most servile disciple of the American hegemon, given that the “transformation of the German mind (was) the main home work of the military regime.” 

In addition to standard German media vilification of local “trouble-makers” — i.e. “right -wingers” —  Germany also requires from its civil servants obedience to constitutional commands and not necessarily their loyalty to the people or to the state of Germany. This is pursuant to Article 33, Paragraph 5, of its Basic Law.  ]) The German legal scholar Josef Schüsselburner,Germany’s observes that the powerful agency designed for the supervision of the Constitution (the famed “Office for the Protection of the Constitution” [Verfassungsschutz]) is “basically an internal secret service with seventeen branch agencies (one on the level of the federation and sixteen others for each constituent federal state).  In the last analysis, this boils down to saying that only the internal secret service is competent to declare a person an internal enemy of the state.

Given that all signs of German nationalism, let alone White racialism, are reprimanded in Germany on the grounds of their real or purported unconstitutional and undemocratic character, the only patriotism allowed in Germany is “constitutional patriotism” — Germany is de jure a  proposition nation:  “The German people had to adapt itself to the Constitution, instead of adapting the Constitution to the German people,” writes the German legal scholar, Günther Maschke. German constitutionalism, continuesSchüsselburner, has become “a civil religion,” whereby “multiculturalism has replaced the Germans by the citizens who do not regard Germany as their homeland, but as an imaginary “Basic Law country.”   As a result of this new civil religion, Germany, along with other European countries, has now evolved into a “secular theocracy.”

Similar to Communism, historical truth in Western Europe is not established by an open academic debate but by state legislation. In addition, German scientists whose expertise is the study of genetically induced social behavior, or who lay emphasis on the role of IQ in human achievement or behavior, and who downplay the importance of education or  environment — are branded as “racists.“

When Muslim Arabs or Islamists residing in Germany and elsewhere in Europe are involved in violent street riots, the German authorities do tolerate to some extent name calling and the sporadic usage of some anti-Arab or anti-Turkish jokes by local autochthonous (native) Germans. Moreover, a Muslim resident living in Germany can also legally and temporarily get away with some minor anti-Semitic or anti-Israeli remark—which a White German Gentile cannot dream of.  By contrast, a non-Jewish German average citizen, let alone a scholar, cannot even dream about making a joke about Jews or Muslims—for fear of being labeled by dreaded words of “anti-Semitism” or “racism.”

Tom Sunic is author (www.tomsunic.com)

LES CONDITIONS D’UNE «IMMIGRATION HEUREUSE»

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LES CONDITIONS D’UNE «IMMIGRATION HEUREUSE»

Yves-Marie Laulan*
Ex: http://metamag.fr
 
Il n’y a pas « d’immigration heureuse », ni au départ, ni à l’arrivée. Une immigration, surtout si elle porte sur des chiffres élevés, exerce forcément des effets traumatisants dans le pays de départ. Les  migrants vont tout abandonner, dans l’espoir souvent déçu, d’une vie de félicité. Dans le pays d’arrivée, l’entrée en masse d’éléments étrangers par l’origine, la langue, les coutumes ne peut manquer, la première vague d’émotion passée, de produire des réactions de réserve, puis d’hostilité. C’est très exactement ce qui est en train de se produire en Europe où les frontières se ferment les unes après les autres, devant l’arrivée d’une foule d’indésirables . (Le terme d’indésirable n’a rien de péjoratif en soi. Il faut le comprendre au pied de la lettre, à savoir des personnes non désirées, dont l’entrée sur le territoire national ne correspond  en rien à un manque  ou un besoin national sur le plan économique ou social. Or, faut-il le rappeler en France , le marché du  travail est totalement saturé notamment en raison des politiques malthusiennes poursuivies par tous les gouvernements successifs de notre pays, y compris le gouvernement socialiste actuel . La générosité française officielle s’arrête au niveau des déclarations publiques).

La France ne fait pas exception à cette règle quoi qu’en disent  les médias et, maintenant, les autorités religieuses, au plus haut niveau . C’est entendu, la France est un pays généreux où le droit d’asile a toujours honoré notre pays. Mais, avant de se lancer tête baissée,au nom de la « tarte à la crème » de la France « terre d’asile », dans un nouvelle vague d’immigration d’une ampleur inégalée susceptible d’engendrer des réactions de xénophobie, certains faits doivent être tenus présents à l’esprit, au risque de passer pour  un esprit grincheux.
 
1- En premier lieu, il faut rappeler que depuis 15 à 20 ans au moins, notre pays accueille chaque année entre 200 et 250 000 immigrés , sans compter les immigrés clandestins, si bien que la France abrite aujourd’hui une population de clandestins non déclarés et non titulaires de « documents », estimée à 300 000 à 500 000   personnes (selon les personnes bénéficiant de l’AMG  soit près d’un million), dont une très grand majorité de musulmans venant du Maghreb et d’Afrique noire et maintenant du Moyen-Orient. Ainsi s’explique que le pourcentage d’enfants d’immigrés scolarisés dans nos écoles se rapproche de 20 %, soit près d’un cinquième. Dans 10 à 20 ans, ces enfants deviendront adultes et constitueront un pourcentage relativement élevé de  la population, soit un Français sur 5.(Source CICM, le Centre interministériel de Contrôle de l’Immigration créé en 2005)

Cela est tout à fait compréhensible car les sources de l’immigration actuelle proviennent quasi exclusivement de pays musulmans (à l’exclusion de pays de tradition chrétienne  ou simplement laïque). Les pays musulmans exportent massivement leurs fidèles (et leurs problèmes) . Il est avéré que les flux migratoires proviennent exclusivement de pays musulmans. L’Islam, la religion de l’échec social, engendrerait-il naturellement les conflits et le chaos ? L’immigration syrienne et irakienne ne fera que renforcer la présence, déjà considérable de l’Islam dans notre pays (et, demain, l’immigration africaine potentielle !). L’immigration actuelle n’est pas un évènement  neutre. C’est un phénomène religieux de la plus haute importance dont les conséquences se feront sentir pour les siècles à venir . L’exemple type est la Tchétchénie, pays slave, colonisé par les Turcs au 16° siècle, devenu un foyer de rébellion musulmane irréductible en territoire orthodoxe. Il est peu croyable que les pouvoirs publics ferment benoitement les yeux sur cette caractéristique pourtant évidente, au nom de la laïcité.

2- En second lieu , il faut rappeler qu’en dehors de l’émotion suscitée par le spectacle désolant de ces cohues d’adultes et de leurs familles en route vers l’Eldorado allemand ou français, l’installation d’adultes présente de redoutable problèmes d’assimilation et de cohabitation avec les populations d’accueil. Toute immigration de quelque ampleur est nécessairement déstabilisante dans l’immédiat, et plus encore à terme, en perturbant les équilibres établis dans la population d’accueil en termes de financement, de chômage et de majorités électorales au plan local et national. (Rappelons à cet égard que François Hollande a été élu avec 2 millions de voix d’immigrés et de leurs descendants).
 
3- Une dernière considération est à prendre en compte. Peut-on sérieusement instaurer une politique d’immigration forcément importante et donc coûteuse sans prendre en compte l’avis des gens, c’est-à-dire de la population d’accueil ? La question s’est récemment posée en Allemagne où Angéla Merkel avait, dans un premier temps, avancé que son pays était prêt à recevoir un million de migrants. Mais cette déclaration imprudente avait promptement déclenché un véritable raz de marée humain en direction de l’ Allemagne et de l’Autriche. En conséquence, la Chancelière a été, sans tarder,  contrainte de tourner casaque peu de temps après devant les réactions plus que réservées des pays voisins (Hongrie , Slovaquie, Croatie etc.,), vite débordés par ces flots humains mis en mouvement par les déclarations allemandes ,mais aussi et surtout par les répercussions franchement hostiles sur le plan  intérieur, en  Bavière notamment.

Ces péripéties appellent deux types de réflexion. 

En premier lieu, les dirigeants européens, Allemagne en tête, n’ont nullement pris conscience de l’importance des problèmes migratoires qui ne font pas partie de leur univers mental habituel. Or les migrations d’aujourd’hui et, plus encore, celles de demain, représentent un phénomène démographique totalement inédit dans l’histoire du monde,en raison de l’énormité des flux migratoires mis en cause. On est désormais en présence d’une problématique totalement nouvelle que les gouvernements ne sont nullement préparés à affronter. L’attitude de l’Allemagne en est la preuve la plus récente.L’immigration d’aujourd’hui représente désormais une véritable dynamite sociale dont les effets sur le plan politique peuvent être foudroyants. Or, ni en France, ni en Allemagne, n’existe un Ministère des Migrations habilité à traiter raisonnablement de ces problèmes. Or c’est un sujet chargé d’émotion et d’hypocrisie  où, plus que tout autre, foisonnent les clichés et les idées fausses.

En second lieu, le traitement des phénomènes démographiques, et notamment des migrations, a été jusqu’à présent abordé comme des  manifestations relativement bénignes,voire secondaires, peu dignes de retenir l’attention des pouvoirs publics.

On en voudra pour preuve la totale liberté accordée à l’INED, qui est un démembrement de l’État placé théoriquement sous la tutelle du ministère des Affaires sociales. Mais cette administration jouit en réalité d’une  totale impunité  ce qui a permis à ses responsables, depuis longtemps pénétrés par une idéologie tiers mondiste, de déverser dans la presse peu informée de ces problèmes (et donc dans  l’opinion publique),un flot ininterrompu d’informations inexactes, déformées ou tronquées. Jusqu’au jour où l’opinion publique effarée  a été placée devant un fait accompli .

4- Or le monde a changé. La problématique migratoire revient au premier plan. Il faudra s’en accommoder et, sous peine de provoquer de graves désordres dans la société civile, prendre l’avis des gens, c’est-à-dire de l’opinion publique. Cela signifie que les problèmes migratoires ne devront plus être traités comme un élément relevant exclusivement et arbitrairement des pouvoirs régaliens de l’État. Il convient de mettre le public à l’épreuve et le placer devant ses responsabilités.

A cet égard, la décision prise sous la présidence de Valery Giscard d’Estaing avec Jacques Chirac, Premier Ministre, de mettre en œuvre le rapprochement familial par un simple décret représente une de ces mesures aux conséquences incroyablement marquantes (de 30 000 à50 000 entrées annuelles sur le territoire français dans des  conditions plus que douteuses) prise avec légèreté, comme par mégarde, sans y accorder la moindre importance . C’est typiquement l’exemple à ne pas suivre. A l’avenir toute décision concernant les problèmes migratoires devrait faire , a minima, l’objet d’un large débat public au niveau du Parlement. (Valéry Giscard d’Estaing s’en est par la suite « mordu les doigts »,  bien  mais trop tard ).

Mais il faudrait aller plus loin et ne pas hésiter à tenir un référendum destiné à doter les décisions prises en ce domaine de la plus forte légitimité politique, compte tenu de l’importance capitale des migrations dont on perçoit bien qu’elles façonnent  l’avenir même de la France.
 

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Et puisque les médias s’égosillent à soutenir mordicus que les Français sont largement disposés à recevoir les migrants, une dernière mesure destinée à mettre à l’épreuve les bonnes dispositions de l’opinion publique serait de créer une taxe spécialement dévolue au financement d’un « Fonds pour l’Accueil des Migrants ». Car les conseilleurs ne sont pas forcément les payeurs. Et il n’est pas exclu que l’enthousiasme proclamé par les médias ne se refroidisse pas singulièrement devant ces perspectives d’alourdissement de la pression fiscale.
 
Par ailleurs et enfin, l’accueil des migrants devrait  se faire sous conditions,à savoir :
-L’apprentissage obligatoire de la langue française et de la nation française, son histoire et ses institutions
-l’acceptation d’une formation professionnelle pour exercer un métier dans les secteurs déficitaires de l’économie,
-l’installation à résidence dans des régions défavorisées et dépeuplées où leur arrivée serait susceptible de revitaliser ces zones.
Ces réfugiés ne pourraient pas, en outre, bénéficier des aides sociales sans fournir, en contrepartie,  une prestation économique significative sous peine de créer de nouvelles couches d’assistés sociaux à  perpétuité.

 

mardi, 29 septembre 2015

Quand la réalité vient sèchement démentir le monde virtuel que s’était construit les élites occidentales...

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Quand la réalité vient sèchement démentir le monde virtuel que s’était construit les élites occidentales...

Entretien avec le Prof. David Engels

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un entretien donné par David Engels à Atlantico et consacré à la réaction des élites européenne à la crise multiforme qui touche leur continent. Professeur d'histoire à l'Université libre de Bruxelles, David Engels a récemment publié un essai fort intéressant intitulé Le déclin - La crise de l'Union européenne et la chute de la République romaine (Toucan, 2013).

Atlantico : En quoi des évènements majeurs comme ceux de Charlie Hebdo au mois de janvier, mais aussi la crise des migrants que l'Union européenne gère péniblement, ont-ils pu constituer un choc pour la vision qu'avaient les élites occidentales du monde ? Dans quelle mesure ces dernières se voient-elles bousculées ?

David Engels : En analysant les diverses expressions d’opinion dans les grands médias, je ne suis pas certain de la mesure dans laquelle on peut vraiment parler d’un bousculement des opinions établies au sein des élites occidentales. Certes, les nombreux drames humanitaires et sécuritaires des derniers mois ont été vécus comme extrêmement affligeants, à la fois par le grand public et par les milieux politiques et intellectuels, mais ce qui l’est encore plus, c’est l’absence totale de véritable remise en question d’une certaine vision du monde qui est à l’origine de ces drames.

Comprenons-nous bien : quand je parle ici de « responsabilité », ce n’est pas dans un sens moralisateur, mais au contraire, dans un sens pragmatique. Car il faut bien séparer deux aspects : d’un côté, le drame migratoire, la crise économique et les dangers du fondamentalisme musulman nous mettent devant des contraintes morales et nécessités pragmatiques que nous ne pouvons nier sans inhumanité ; d’un autre côté, il faudrait enfin cesser d’ignorer que ces crises sont en large part dues au dysfonctionnement politique, économique et identitaire profond de notre propre civilisation.

Il faudrait enfin accepter les nouveaux paradigmes sociaux qui s’imposent et prendre les mesures, à l’intérieur comme à l’extérieur, pour arrêter la casse, au lieu de surenchérir sur nos propres erreurs. Car c’est exactement ce que nous faisons pour le moment. Le refus de mener une politique extérieure européenne digne de ce nom a-t-il laissé le champ libre aux interventions des États-Unis et provoqué un exode ethnique sans pareil ? Retirons-nous encore plus de notre responsabilité politique et cantonnons-nous à faire le ménage des autres ! La libéralisation de l’économie nous a-t-elle poussés dans une récession sans pareil ? Pratiquons encore plus de privatisations et d’austérité ! Le remplacement des valeurs identitaires millénaires de notre civilisation par un universalisme matérialiste et individualiste a-t-il créé partout dans le monde la haine de notre égoïsme arrogant ? Prêchons encore plus les vertus d’un prétendu multiculturalisme et de la société de consommation !

Dès lors, le véritable enjeu n’est pas la question de savoir s’il faut accueillir ou non les réfugiés syriens, iraquiens ou afghans – la réponse découle obligatoirement des responsabilités de la condition humaine –, mais plutôt la nécessité d’œuvrer courageusement et efficacement pour que les réfugiés puissent rapidement retourner chez eux et trouver un pays stabilisé, au lieu de rester en Europe et d’être exploités soit par une économie en recherche d’une main d’œuvre bon marché, soit par des groupuscules islamistes fondamentalistes. Le véritable enjeu, ce n’est pas l’assainissement des finances grecques, mais plutôt la réforme d’un système économique global permettant à des agences de notation privées de rendre caduques toutes les tentatives désespérées de diminuer les dettes souveraines des États avec l’argent des contribuables européens. Le véritable enjeu, ce n’est pas la question de savoir s’il faut renvoyer chez eux les nombreux étrangers nationalisés depuis des décennies, mais plutôt, comment les intégrer durablement dans notre société et maintenir le sens de la loyauté et solidarité envers notre civilisation européenne.

D'ailleurs, comment décririez-vous cette vision "virtuelle" du monde d'après ces élites ? En quoi consist(ai)ent ces représentations mentales ?

David Engels : La vision du monde développée par la majorité de nos élites actuelles est caractérisée, consciemment ou inconsciemment, par une profonde hypocrisie me faisant souvent penser à la duplicité du langage idéologique pressentie par Orwell, car derrière une série de mots et de figures de pensée tous aussi vaticanisants les uns que les autres, se cache une réalité diamétralement opposée. Jamais, l’on n’a autant parlé de multiculturalisme, d’ouverture et de « métissage », et pourtant, la réalité est de plus en plus caractérisée par l’hostilité entre les cultures et ethnies. Jamais, l’on n’a autant prêché l’excellence, l’évaluation et la créativité, et pourtant, la qualité de notre système scolaire et universitaire est en chute libre à cause du nivellement par le bas généralisé. Jamais, l’on n’a autant fait pour l’égalité des chances, et pourtant, notre société est de plus en plus marquée par une polarisation dangereuse entre riches et pauvres. Jamais, l’on n’a autant appelé à la protection des minorités, aux droits de l’homme et à la tolérance, et pourtant, le marché du travail est d’une dureté inouïe et les droits des travailleurs de plus en plus muselés. Jamais, l’on ne s’est autant vanté de l’excellence de nos démocraties, et pourtant, la démocratie représentative, sclérosée par la technocratie et le copinage à l’intérieur, et dépossédée de son influence par les institutions internationales et les « nécessités » de la globalisation, a abdiqué depuis bien longtemps. Force est de constater que non seulement nos élites, mais aussi les discours médiatiques dominés par l’auto-censure du « politiquement correct » sont caractérisés par un genre de schizophrénie de plus en plus évidente et non sans rappeler les dernières années de vie de l’Union soviétique avec son écart frappant entre la réalité matérielle désastreuse d’en bas et l’optimisme idéologique imposé d’en haut…

david engels,actualité,europe,affaires européennes,politique internationale,entretien,déclin,déclin européenCertains intellectuels avancent l'idée que cette déconnexion découle de la fin de la guerre froide, qui les aurait contraint à penser le monde de manière pragmatique. Comment expliquer que ces élites en soient arrivées-là ?

David Engels : Oui, la fin de la Guerre Froide me semble aussi être un élément crucial dans cette équation, car la défaite de l’idéologie communiste et le triomphe du capitalisme ont fait disparaître toute nécessité de respecter l’adéquation entre discours politique et réalité matérielle afin de ne pas donner l’avantage à l’ennemi idéologique, et ont instauré, de fait, une situation de parti unique dans la plupart des nations occidentales. Certes, nous maintenons, sur papier, un système constitutionnel marqué par la coexistence de nombreux partis politiques, mais la gauche, le centre et la droite sont devenus tellement proches les uns des autres que l’on doit les considérer désormais moins comme groupements idéologiques véritablement opposés que comme les sections internes d’un seul parti.

De plus, n’oublions pas non plus l’ambiance générale de défaitisme et d’immobilisme auto-satisfait qui s’est installée dans la plupart des nations européennes depuis déjà fort longtemps : la valorisation de l’assistanat social, l’américanisation de notre culture, le louange de l’individualisme, la perte des valeurs et repères traditionnels, la déconstruction de la famille, la déchristianisation, l’installation d’une pensée orientée uniquement vers le gain rapide et la rentabilité à court terme – tout cela a propulsé l’Europe dans un genre d’attitude volontairement post-historique où l’on vivote au jour le jour tout en laissant la solution des problèmes occasionnés aujourd’hui à de futures générations, selon cette maxime inoubliable d’Henri Queuille qui pourrait servir de devise à la plupart de nos États : « Il n'est pas de problème dont une absence de solution ne finisse par venir à bout. »

A quel point est-ce que ce décalage a pu s'observer ? Quels en sont, selon vous, les exemples les plus marquants ?

David Engels : Le potentiel d’un décalage formidable entre l’idéal et la réalité des démocraties libérales modernes s’est déjà manifesté dans l’entre-deux-guerres, période d’ailleurs non sans quelques ressemblances évidentes avec la nôtre. Mais la Guerre Froide, avec l’immobilisme de la politique étrangère qu’elle a imposée aux États et avec les avantages sociaux qu’elle a apportés aux travailleurs dans les sociétés capitalistes, a, pendant quelques décennies, endigué cette évolution. Néanmoins, au plus tard depuis le 11 septembre, il est devenu évident que l’Occident fait fausse route et va de nouveau droit dans le mur. Ainsi, en mettant délibérément de côté l’importance fondamentale des identités culturelles au profit d’une idéologie prétendument universaliste, mais ne correspondant en fait qu’à l’idéologie ultra-libérale, technocratique et matérialiste développée dans certains milieux occidentaux, l’Ouest a provoqué l’essor du fondamentalisme musulman et ainsi le plus grave danger à sa sécurité. De manière similaire, en contrant le déclin démographique généré par la baisse des salaires et l’individualisme érigé au titre de doctrine officielle par l’importation cynique d’une main d’œuvre étrangère bon marché sans lui donner les repères nécessaires à une intégration efficace, nos élites ont durablement déstabilisé la cohésion sociale du continent. De plus, en concevant l’Union européenne non comme un outil de protection de l’espace européen contre les dangers de la délocalisation et de la dépendance de biens étrangers, mais plutôt comme moyen d’arrimer fermement le continent aux exigences de ces « marchés » aussi anonymes que volatiles et rapaces, nos hommes politiques ont créé eux-mêmes toutes les conditions nécessaires à la ruine des États européens structurellement faibles comme la Grèce ainsi qu’à la prise d’influence de quelques grands exportateurs comme l’Allemagne. Finalement, en appuyant les interventions américaines en Afghanistan et en Iraq, puis en projetant, sur le « printemps » arabe, une réalité politique occidentale, l’Europe a été complice de la déstabilisation du Proche Orient et donc de l’exode de ces centaines de milliers de réfugiés dont le continent commence à être submergé. Et je pourrai continuer encore longtemps cette liste illustrant les égarements coupables de nos élites politiques et intellectuelles…

David Engels (Atlantico, 20 septembre 2015)

Comprendre l'Islam, entretien avec Guillaume Faye pour son nouveau livre

Comprendre l'Islam, entretien avec Guillaume Faye pour son nouveau livre

http://editionstatamis.com/2015/09/18...

05:41 L'islamisme véritable nature de l'Islam ?
08:40 Possibilité d'islamisation massive de la France et de l'Europe dans l'avenir ?
10:50 l'invasion des Francs et Wisigoths est-elle comparable à celle des musulmans ?
14:54 L'idéologie égalitariste est-elle responsable ?
19:16 Quelle est l'origine de DAESH et peuvent t-ils avoir des combattants sur le sol français dans l'avenir ?

Invitation to Become Who We Are

Invitation to Become Who We Are

BECOME WHO WE ARE
10/31/15
Washington, DC

Registration: http://NPIEvents.com
Eventbrite: http://becomewhoweare.eventbrite.com

 

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lundi, 28 septembre 2015

Migrants – La fin de l’Europe des Nations

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Migrants – La fin de l’Europe des Nations

Michel Garroté
Politologue, blogueur
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

On se demandait comment les « migrants » étaient aussi bien renseignés sur la façon d’arriver en Europe. Voici la réponse : W2Eu (Welcome to Europe, Bienvenue en Europe), un réseau de sites Internet en anglais, français, arabe ainsi que des manuels gratuits généreusement distribués donnant toutes les astuces, adresses, numéros de tél., etc. Un de ces manuels a été découvert sur une plage de l’île grecque de Lesbos par des reporters de la chaîne TV Sky News. Ces informations ont été confirmées tout récemment par Christine Tasin, Présidente de Résistance républicaine, sur le site Internet français Riposte laïque (voir le premier lien et le deuxième lien en bas de page). Rappelons tout de même que ce qui se déroule actuellement a été planifié il y a quarante ans, comme l’a démontré à maintes reprises l’historienne Bat Ye’Or (http://ripostelaique.com/linvasion-de-leurope-a-ete-methodiquement-preparee-il-y-a-quarante-ans.html).

De son côté, l’analyste Alexandre Latsa vient de publier une étude détaillée sur ces réseaux qui organisent le flux migratoire islamique massif vers l’Europe (extraits adaptés ; voir le troisième lien en bas de page) : Au cours du mois d’août 2015, alors que la crise des migrants s’est mise à faire la une de la majorité du flux médiatique global, une bien étonnante nouvelle est apparue entre les milliers de lignes d’actualité. Selon le magazine autrichien Direkt, auquel un membre des services de renseignements militaires autrichiens se serait confié, « les services secrets autrichiens disposeraient d’informations démontrant l’implication d’organisations ayant créé un système destiné à favoriser la dynamique migratoire que l’Europe subit ».

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Reprise uniquement sur différents médias non-alignés, cette information avait jusqu’alors paru fantaisiste et surtout relever d’une tendance complotiste américanophobe. Pourtant, peu à peu, Internet a fait son travail et la marée montante d’informations a permis aux commentateurs attentifs ici et là de commencer à récupérer et mettre en lien des informations plus que surprenantes et pour le moins inattendues. Il y a tout d’abord eu l’apparition publique de cette galaxie d’ONG d’extrême gauche à l’ADN majoritairement allemand, ONG qui ont déployé une énergie considérable à faire absorber de force ce flux humain dont plus personne ne connaît réellement aujourd’hui la réelle dimension, mais dont tout le monde peut constater à quel point il est de densité suffisante pour avoir mis à mal la vie sans frontières des vieilles Nations européennes.

Les Allemands ne sont cependant pas les seuls coupables de cette collaboration envers des migrants dont on comprend bien qu’il sera difficile de les inciter à repartir en Libye, Irak ou Somalie après avoir eu un aperçu même sommaire et brutal de la vie en Scandinavie, en France ou en Allemagne.

De nombreux projets croisés et transnationaux ont commencé à voir le jour, comme par exemple l’association franco-allemande SOSMEDITERRANNEE qui bénéficie notamment de subventions de BNP Paribas afin de « sauver des migrants et les accompagner vers les dispositifs d’information et d’assistance aux migrants sur le territoire européen » (Source).Ne faudrait-il pas plutôt commencer par prévenir le suicide chez nos agriculteurs ou nos petits artisans, aider nos jeunes femmes dans le besoin (les futures mères européennes), parfois contraintes de se prostituer pour payer leurs études, ou tout simplement s’occuper des dizaines de milliers de SDF qui jalonnent les rues des villes européennes ?

Cette affaire européenne n’en est peut-être pas une .Il y a d’abord cette surprenante nouvelle qui tombe à point nommé, à savoir la naissance en Grande-Bretagne d’un nouveau type d’établissement financier destiné aux étrangers et aux migrants et leur permettant d’ouvrir un compte en ligne en s’épargnant les habituelles tracasseries administratives. Il y a ensuite cette analyse minutieuse faite par Vladimir Shapak. Vladimir Shapak est le créateur d’une application du nom de Scai4Twi  permettant l’analyse de l’ADN d’un Tweet, à savoir son contenu et son origine territoriale. L’analyse de plus de 19.000 tweets liés à la thématique des « migrants » a ainsi permis de tirer des conclusions bien étonnantes. Tout d’abord, 93% des tweets émis contenaient des informations positives sur l’Allemagne et l’Autriche et 76%  contenaient des hashtags #RefugeesWelcome+Germany, alors que seuls 6% de ces messages étaient émis d’Allemagne, 36% de sources géo-localisées en Angleterre et en Amérique, parmi lesquelles de nombreux éminents médias américains ou responsables d’ONG américaines dont le trafic de tweets a été particulièrement important, comme on peut le constater  ici.

Plus étonnant encore, les liens forts discrets mais surprenants qui entourent la puissante association allemande Fluchthelfer. Fluchthelfer est un site militant appelant les citoyens européens à devenir des « agents d’évasions » en covoiturant des migrants de façon citoyenne et discrète lors de leur déplacements en Europe ou de leur retour de vacances en zones frontalières, telles l’Italie ou la Grèce. En clair, à devenir des passeurs et des trafiquants d’êtres humains et en violant la loi, comme le démontre leur  vidéo de promo  dans laquelle on  peut voir de bons vieux Allemands transporter un jeune homme visiblement originaire d’Afrique en lui faisant traverser les inexistantes frontières du dispositif Schengen.

Au cours du mois d’août 2015, des blogueurs se sont intéressés à Fluchthelfer pour découvrir que le nom de l’association avait été déposé, sur Internet, par une puissante structure américaine : l’institut  Ayn-Rand, ultra libertaire sur le plan sociétal et dont le conseil d’administration est composé autant d’anciens membres de Goldman Sachs que de membres du Cato Institute, ce dernier prônant également « les libertés individuelles, un gouvernement réduit, les libertés économiques et la paix ». Depuis ces « fuites », en juillet et août, le nom de domaine Fluchthelfer a été déposé, le 1er septembre, par un hypothétique Escape Institute dont  le titulaire, s’affichant sous le nom de « Paul Ribbeck », utilise un  anonymiseur internet  au logo rouge et noir. Ce même Paul Ribbeck prétend fournir « des outils de communication informatique pour les personnes et les groupes qui militent en faveur d’un changement social libérateur ».

Fluchthelfer a été  initié  en Allemagne par le  collectif PENG  qui, parallèlement à son activisme Internet et sociétal, coopère avec des groupes libertaires  tels que, par exemple,  les Pussy Riot ou encore Voïna. Les lecteurs souhaitant en savoir plus sur ces associations et leurs activités peuvent consulter  cet article  qui recense leurs faits les plus glorieux. Les liens entre les réseaux américains et européens afin de favoriser, aider et même soutenir cette poussée migratoire sont de moins en moins secrets et c’est l’Open Society de Georges Soros qui affirme sur son site  soutenir « les associations œuvrant à apporter des solutions relatives à la sécurité et au bien entre migrants légaux et illégaux ».

Bref, une destruction des Etats européens et des identités assistée des forces les plus destructrices de la planète, car pendant que les activistes européens travaillent à leur autodestruction ainsi qu’à celle des leurs, l’Etat islamique, lui, infiltre  les colonnes de faux réfugiés. Dans le même temps, cette grande démocratie qu’est le Qatar et qui soutient le terrorisme en Syrie vient d’acheter et d’imposer des places pour migrants à La Sorbonne, complétant sur le plan financier une invasion imposée à l’Europe et aux Européens qui devrait finir par amener la Guerre globale sur le continent européen. Voilà donc un scénario imposé par des réseaux globaux, qu’ils soient libertaires capitalistes, gaucho-libertaires ou islamiques radicaux, et dont l’objectif, de la Californie à Berlin en passant par Paris, Bruxelles, Raqqa ou Doha, reste le même : la destruction des Etats européens, conclut Alexandre Latsa (fin des extraits adaptés ; voir le troisième lien en bas de page).

Michel Garroté, 25 septembre 2015

http://ripostelaique.com/comment-ils-organisent-linvasion-de-leurope.html

http://w2eu.info/map.fr.html

http://alexandrelatsa.ru/2015/09/vague-de-migrants-en-europe-vers-la-piste-americaine/#more-8956

Le Camp des saints en Croatie

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Le Camp des saints en Croatie

par Tomislav Sunic

Ex: http://www.polemia.com

Tomislav Sunić est un écrivain et traducteur américano-croate, ancien professeur aux Etat-Unis en science politique et ancien diplomate.

♦ A quelque chose malheur est bon. C’est grâce à la poigne communiste que l’Europe de l’Est, y compris la Croatie encadrée en ex-Yougoslavie, a su préserver son visage blanc et sa mémoire historique. Pendant les Trente Glorieuses les immigrés africains, levantins et maghrébins surent fort bien que leurs hôtes en France et en Allemagne seront plus samaritains que le commissaire de l’Est dont les lendemains refusèrent obstinément de chanter.

Il fut prévisible que, suite à l’actuel choc migratoire en provenance du Moyen Orient et de l’Afrique, le peuple croate crachera sa colère envers l’UE ou les immigrés – ou tous les deux à la fois.

Ayant jadis fort bien appris la pensée unique communiste, la présente vulgate multiculturelle imposée par Bruxelles compte fort peu de disciples au sein du peuple croate. Les paroles acerbes à l’encontre des immigrés, qui seraient sujets aux dispositions de la loi Fabius-Gayssot en France ou sévèrement réprimés en Allemagne en vertu du paragraphe 130 du Code pénal, sont librement proférées en Croatie par beaucoup de ses citoyens. Contrairement à la France et à l’Allemagne, les vocables « racisme », « xénophobie » ou « convivialité multiculturelle » portent en Croatie un signifié dérisoire, digne de la langue de bois communiste. Se dire blanc et catholique à haute voix est souvent considéré comme un signe d’honneur croate.

Mais il ne faut pas s’y tromper pour autant.

La classe dirigeante croate, à l’instar des autres pays est-européens, est composée dans sa grande majorité de rejetons des anciens apparatchiks yougo-communistes dont le but suprême consiste à montrer à Bruxelles que la Croatie se comporte plus catholiquement que le Pape, à savoir qu’elle est plus européiste que la Commission européenne. Le côté mimétique des dirigeants croates n’a rien de neuf, ayant été hérité du passé yougoslave où les anciens communistes croates devaient se montrer davantage comme de bons Yougoslaves et de meilleurs titistes que leurs homologues serbes. Une peur bleue d’être dénoncés aujourd’hui par Bruxelles ou Washington comme des dérives « fascistes », « racistes » ou « oustachis », fait que Zagreb ne bouge pas sans l’assentiment de Washington ou de Bruxelles. Cela est souvent le cas au gré des circonstances : quand Washington misait dans les années 1990 sur la carte albanaise et antiserbe, les nationalistes croates s’étaient vu la porte grande ouverte ; quand, en revanche, la vulgate multiculturelle devient la règle, la Croatie est censée devenir un pays dépotoir pour les nouveaux migrants.

On peut tracer un parallèle avec l’Allemagne qui doit, elle aussi, jouer à la surenchère humanitaire envers les immigrés, s’imaginant que son passé, qui refuse de passer, sera ainsi mieux neutralisé. Soumise, après la Deuxième Guerre mondiale, à une rééducation exemplaire, il n’est pas étonnant que Mme Merkel et ses amis fassent des discours ultra-humanitaristes et antifascistes. Hélas, les paroles délirantes des Allemands sur leur « Willkommenskultur » (culture d’accueil) résonnent bien différemment aux oreilles des migrants venus de l’Afrique et de l’Asie.

Le grand avantage du flux migratoire en Europe de l’Est est qu’il se déroule de façon désordonnée et imprévue, ce qui ne motive guère ni les Croates ni les Serbes ni les Hongrois à accueillir les nouveaux venus à bras ouverts. Contrairement à la tactique bolchevique du salami, à laquelle les Occidentaux s’étaient déjà bel et bien habitués, le soudain drame migratoire en Europe de l’Est semble annoncer le nouveau printemps pour tous les Européens. Notre avant-guerre a commencé !

Tomislav Sunic
24/09/2015

www.tomsunic.com

Correspondance Polémia – 26/09/2015

dimanche, 27 septembre 2015

DAESH, la nouvelle armée secrète de l’OTAN?

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DAESH, la nouvelle armée secrète de l’OTAN?

par Kendal Manis

Ex: http://sans-langue-de-bois.eklablog.fr

Quelles relations entretiennent les Etats-Unis avec Daesh ? Un rappel historique des méthodes ambiguës de l'OTAN et la mise en perspective de la guerre contre le terrorisme soulèvent bon nombre de questions. Sans verser dans la théorie du complot simpliste, cet article nous rappelle que les grandes puissances n'ont pas de principes, seulement des intérêts. A compléter par l'analyse des causes profondes qui, tant en Occident qu'au Moyen-Orient, ont rendu possible l'accomplissement de cette stratégie du chaos. (IGA)

À l’aube du XXIème siècle, les attentats du 11 septembre à New York commis par le mouvement Al-Qaïda ont marqué un tournant historique irréversible bouleversant profondément les relations internationales. Plus récemment, les attentats qui ont frappé la France les 7 et 9 janvier 2015 ont remis à jour une des questions politiques les plus épineuses à laquelle sont confrontées les État-nations et les populations civiles qui en sont les premières victimes : le terrorisme islamiste, officiellement ennemi numéro un de l’Occident après la chute du bloc soviétique.

Depuis 2001, des organisations similaires ou proches d’Al-Qaïda ont éclos partout à travers le monde, mettant des régions entières à feu et à sang. D’Afrique—Al-Qaïda au Maghreb islamique, Boko Haram, Al-Shabab—jusqu’au Moyen-Orient—l’Etat Islamique en Irak et au Levant, Al-Nousra—, les forces militaires, les techniques de propagande, les réseaux de recrutement ainsi que les ressources financières de ces mouvements transnationaux affichent une progression inexorable contre laquelle les États sembleraient avoir du mal à résister.

Depuis les attentats du World Trade Center, le « monde libre » serait face à une menace d’envergure diffuse et imprévisible. Le président américain Bush parlait d’un « axe du mal » (1) contre lequel il fallait à tout prix lutter, tandis que la théorie du choc des civilisations (2) était érigée en grille de lecture légitime des relations internationales par les dirigeants politiques et les médias. Nous serions dans une guerre opposant la civilisation, incarnée par l’Occident, à la barbarie et l’obscurantisme de l’Orient musulman. Cette vision du monde réductrice marquée par un orientalisme contemporain (3) permet l’éclosion de représentations schématiques qui influencent bon nombre d’individus.

L’inconscient collectif est marqué par l’idée d’une incompatibilité quasi naturelle entre l’Islam et l’Occident et de la crainte d’une menace terroriste de « barbus » qui veulent imposer partout la charia. En témoigne la progression des partis d’extrême-droite islamophobes en Europe.

Quelles sont les raisons de la montée en puissance fulgurante de ces organisations qui ont comme mode d’action la violence politique ? À l’heure où le terrorisme est une préoccupation mondiale, comprendre les mouvements armées islamistes suppose une analyse de leur genèse, c’est-à-dire une étude des premières organisations de ce type dans l’histoire moderne afin de découvrir les conditions de leur apparition, leur soutien et leur objectif.

Le secret politico-militaire le mieux gardé du XXème siècle a été révélé pour la première fois en 1990 lorsque le premier ministre italien dévoila l’existence d’une unité paramilitaire secrète liée à l’OTAN, nommée « Gladio ». Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, Washington et Londres ont formé par le biais de leur services secrets un ensemble d’armées non conventionnelles et souterraines destinées à lutter contre les forces politiques de gauche. L’ancien général nazi Reinhard Gehlen a été chargé de mettre sur pied un réseau composé d’éléments d’extrême-droite dans le but de combattre par les moyens illégaux l’avancée idéologique et potentiellement militaire des Soviétiques. Il est l’instigateur des cellules terroristes secrètes Stay-Behind (4). Exerçant dans chacun des seize pays de l’OTAN ainsi que dans quatre pays neutres (Suède, Finlande, Autriche, Suisse), ces armées anticommunistes, qui agissaient à l’insu des parlements et des populations civiles, recrutaient entre autres leurs membres parmi les collaborateurs de Vichy et les monarchistes en France, les fascistes et les mafieux en Italie, les nazis en Allemagne (5) , ainsi que les ultra-nationalistes et islamistes en Turquie.

Toute doctrine et idéologie pouvant détourner les peuples de la lutte des classes et les nations des velléités souverainistes étaient soutenues et promues. Parmi elles, le nationalisme agressif (6) en Europe de l’Ouest ainsi que le fondamentalisme religieux au Moyen-Orient étaient des armes redoutables.

Durant la guerre froide, l’islamisme a été érigé par la Maison Blanche en alternative à la gauche et au nationalisme arabe qui revêtait un caractère socialiste et souverainiste (7) . Le terrorisme islamiste a été promu par les États-Unis en Turquie en 1978 lors du massacre anti-communiste de Maras, et à plus grande échelle deux ans plus tard en Afghanistan dans la guerre contre l’Union Soviétique. Avec le fiasco au Vietnam, l’occupation au sol d’un pays étranger était devenue trop impopulaire pour la Maison-Blanche qui a alors changé de stratégie. Plutôt que d’envoyer leurs propres soldats et voir leur image s’écorner au niveau national et international, jouer subtilement la carte de l’ingérence en s’appuyant sur des entités locales par le biais d’opérations spéciales clandestines se révélait être une option privilégiée pour les dirigeants américains. Ainsi, le premier mouvement djihadiste moderne transnational a vu le jour sous l’impulsion des Etats-Unis, par le biais de leurs alliés comme l’Arabie saoudite (8) , dictature intégriste à leur solde, qui mobilisa via ses réseaux de mosquées plus de 35 000 moudjahidines venus des quatre coins du monde, et particulièrement d’Europe. À leur tête un certain Ben Laden, proche collaborateur de la CIA. Ceci n’est plus un secret pour personne diront certains, à juste titre, sachant qu’Hillary Clinton reconnaît elle même que ce sont les USA qui ont créé Al-Qaïda (9).

Sous la houlette de l’OTAN, au mépris des droits de l’Homme et de la démocratie, des organisations armées secrètes ont été formées, mais qu’est-ce qui nous prouve qu’il n’en existe plus aujourd’hui ? Quant est-il de Daesh ? Pour savoir qui est derrière cette organisation, il suffit de voir les intérêts de qui elle sert et qui la soutient.

L’Iran, qui est le plus grand ennemi du couple Israël-Arabie saoudite au Moyen-Orient, voit ses deux principaux alliés de la région, à savoir l’Irak et la Syrie, se faire littéralement envahir par l’organisation djihadiste. Daesh combat tous les ennemis de l’Occident : le gouvernement syrien, le Hezbollah libanais, le Hamas palestinien (10) , ainsi que la branche syrienne du PKK (YPG-YPJ), grand ennemi de la Turquie.

Il faut également avoir à l’esprit que les parrains du terrorisme islamiste - l’Arabie saoudite et le Qatar - sont de fidèles alliés de l’Occident. Au regard du rapport des pouvoirs, les États-Unis, première puissance économique (11) et militaire au monde, ont incontestablement les moyens de faire pression sur ces nations-amies afin qu’elles arrêtent de financer le terrorisme. Mais force est de constater qu’aucune politique concrète de fond n’est menée dans ce sens.

La Turquie, qui est membre de l’OTAN et qui par conséquent ne peut conduire une politique étrangère allant à l’encontre des intérêts des pays de l’alliance, est aujourd’hui le point de passage principal des djihadistes vers la Syrie, et soutient massivement les « rebelles » de l’ASL ou les terroristes d’Al-Nosra et de Daesh (12) en leur fournissant une aide logistique et militaire (13) , notamment des armes, des camps d’entrainement à Gaziantep et Hatay, et des soins dans les hôpitaux (14).

Fait qui peut paraître « paradoxal » ou totalement incroyable, Israël soigne des djihadistes du Front Al-Nosra sur son territoire (15) et empêche toute progression de l’armée syrienne en bombardant les positions de celle-ci. Dans un article publié sur Le Figaro, Roland Hureaux met au jour la duplicité de la politique étrangère française : « Inutile de dire que nos armes et notre appui logistique sont allés exclusivement aux djihadistes, en particulier au Front al-Nosra, nouveau nom d’al-Qaida, dont les différences avec Daesh sont bien minces. Les mêmes qui enlèvent ou massacrent les chrétiens - et d’autres. La soi-disant Armée syrienne libre qui, disait-on , était l’objet de notre sollicitude demeure un fantôme - et un alibi pour aider les islamistes » (16) . En septembre 2014, on a appris de la bouche de l’ambassadrice de l’Union européenne en Irak, Mme Jana Hyboskova, que « plusieurs membres de l’UE ont acheté du pétrole non-raffiné à l’EIIL » (17).

Il semblerait que l’Occident réutilise la méthode afghane des années 1980 de guerre par procuration, c’est-à-dire de guerre par intermédiaire. Alors comment expliquer les bombardements de la « coalition anti-Daesh » ? A-t-elle une crédibilité ? En réalité, les Etats-Unis jouent subtilement sur deux tableaux à la fois, voulant à tout prix alimenter le complexe industrialo-militaire (18) qui pèse beaucoup dans leur économie (19) et préserver leur « identité de rôle » (20) aux yeux de l’opinion publique internationale, celle de défenseur de la liberté et de la démocratie. Ne frappant pas le coeur de l’organisation (Raqqa) et ayant une portée très limitée, ces frappes sporadiques ont comme seule finalité de feindre la guerre contre l’EI, ce qui sert dans le même temps celle-ci dans sa rhétorique de propagande anti-occidentale, permettant le recrutement de militants (21) .

Il y a récemment des informations inédites qui ont vu le jour dans des médias de masse qu’on peut difficilement accuser de conspirationnistes. Dans un reportage sur France 2 (22) se basant sur les dires de Mike German, agent spécial pendant 25 ans ayant démissionné, on apprend que le FBI a poussé des musulmans à commettre des attentats terroristes : « L’agence attirerait des musulmans dans ses filets à l’aide d’agents infiltrés qui vont les pousser à faire l’apologie d’actes de terrorisme. Dans ces cellules identifiées par l’agence, ni armes, ni ressources, ni complot avant l’arrivée de ces informateurs (agents secrets), prêts à souffler mot pour mot à leurs contacts les délits pour lesquels ils seront condamnés. L’ancien agent explique à la journaliste Virginie Vilar la méthode mise en place par le FBI, prêt à fournir des armes, de l’argent ainsi que le plan de l’attaque. Pour lui, "c’est de la fabrication d’affaires". C’est aussi la conclusion d’un rapport de l’ONG Human Rights Watch publié le 21 juillet 2014 » . (23)

Il semblerait que cette tactique soit aussi employée en France. Le journal Le Point, qu’on peut encore moins qualifier d’adepte de la théorie du complot, titre le 7 juin 2012 : « Mohamed Merah travaillait pour les RG » (24). On apprend dans cette affaire que Merah a été envoyé au Pakistan, en Afghanistan et en Syrie par un « ami » qui se révèle être en fait un agent des services français, qui l’a poussé à la radicalisation. On peut alors avoir des interrogations légitimes sur les attentats de Charlie Hebdo et le rôle des services secrets français.

Hier la CIA créait de « faux mouvements de gauche qui se livraient à des exactions et des actes condamnables uniquement pour faire croire à la population, que ces actes terroristes étaient l’oeuvre de la gauche » (25) . Aujourd’hui, les services occidentaux le feraient-ils avec les islamistes, pour stigmatiser les musulmans vivant sur leur territoire ? L’organisation État Islamique serait-elle la nouvelle armée secrète de l’OTAN ayant pour but d’affaiblir à terme l’Iran ? Le terrorisme djihadiste aurait-il pu être aussi puissant sans le soutien des alliés de l’Occident ? Al-Qaïda et les organisations de ce type constitueraient-ils des prétextes pour envahir des pays (Irak, Afghanistan), des instruments pour mener des guerres par procuration (Lybie, Syrie, Yémen), au niveau domestique des justifications aux lois liberticides, des moyens de stigmatisation et d’exclusion permettant de se débarrasser de la « racaille » partant servir de chaire à canon, et de détourner l’attention du public des vrais problèmes sociaux (chômage, crise économique) en désignant des bouc-émissaires ? Tous les éléments entre nos mains tendent à répondre à ces question par l’affirmative.

Si par hasard, certains ne sont toujours pas convaincus, résumons : les Etats-Unis ont créé dans le passé des « organisations de l’ombre » pratiquant le terrorisme, ils ont formé le premier mouvement armé islamiste transnational, leurs alliés-clients, la Turquie, l’Arabie-Saoudite, le Qatar financent les djihadistes, Israël les soigne, la France les arme, des pays de l’Union Européenne leur achète du pétrole, et des attentats terroristes sont commis en territoire occidental par des individus radicalisés et armés par ces mêmes services secrets. Pour ceux qui crient à la thèse « complotiste », rappelons que les complots font partie du répertoire d’action des services de renseignement. C’est leur métier.

« Comment la prétendue coalition contre les égorgeurs serait-elle crédible, alors que, pour des raisons différentes, beaucoup de ses membres ont partagé avec eux (et partagent encore pour certains), des intérêts stratégiques, politiques, économiques ? » (Charb, directeur de Charlie Hebdo)

Kendal Manis est l’auteur du mémoire de recherche « Maras 78’ : terrorisme américano-islamiste en Turquie ».


Notes :

1. RIGAL-CELLARD Bernadette, « Le président Bush et la rhétorique de l’axe du mal », Études 9/2003 (Tome 399) , p. 153-162

2. HUNTINGTON Samuel, Le Choc des Civilisations, Paris, Odile Jacob, 1997, 402 pages.

3. SAID Edward, L’orientalisme. L’orient créé par l’occident, Paris, Seuil, 2005, « Introduction », 456 pages

Voir aussi Edward Said on Orientalism, [Consulté le 12/12/2014], disponible à l’adresse :https://www.youtube.com/watch?v=fVC...

4. TUNC Aziz, Maras Kiyimi Tarihsel Arka Plani ve Anatomisi, Istanbul, Belge Yayinlari, 2011, p.119

5. Le responsable de la Gestapo Klaus Barbie a été recruté par la CIA. GANSER Daniele, Les armées secrètes de l’OTAN, Plogastel, Demi-Lune, 2005, p.262

6. Il faut faire une distinction entre le nationalisme agressif, qui a un caractère raciste, et le nationalisme défensif, qu’on peut qualifier de « patriotique ».

7. COLLON Michel, LALIEU Grégoire, La Stratégie du Chaos, Impérialisme et Islam, Investig’action, 2014, p.275

8. LALIEU Grégoire, Entretiens avec Mohammed Hassan, Jihad Made In USA, Bruxelles, Investig’Action, p.222

9. Hillary Clinton : ’We Created al-Qaeda’ [Consulté le 27/03/2015], disponible à l’adresse :https://www.youtube.com/watch?v=WnL...

10. rfi, Syrie : le groupe EI envahit le camp de Yarmouk, proche de Damas [en ligne], 1er avril 2015,[Consulté le 18/04/2015]. Disponible à l’adresse : http://www.rfi.fr/moyen-orient/2015...

11. En PIB par habitant.

12. La frontière entre ces différents mouvements est poreuse. En septembre 2013, plus de 40 000 hommes membres de l’ASL font défection pour intégrer le Front Al-Nosra. Georges Mabrunot, Le Figaro, Syrie : des rebelles modérés rejoignent le camp des islamistes radicaux [en ligne], 26 septembre 2013, [Consulté le 29/03/2015]. Disponible à l’adresse : http://www.lefigaro.fr/internationa...

13. Hélène Sallon, Le Monde, L’étrange soutien de la Turquie aux réseaux djihadistes de Syrie [en ligne], 24 janvier 2014, [Consulté le 18/04/2015]. Disponible à l’adresse :http://www.lemonde.fr/europe/articl...

14. Une vidéo de la chaîne de télévision turque IMC montrent la connivence entre les militants de DAESH et les soldats de l’armée turque à la frontière turquo-syrienne. Les soldats laissent passer les jihadistes vers la Syrie. IŞİD’in sınırın sıfır noktasından geçişi İMC TV kameralarında (1), [Consulté le 23/01/2015], disponible à l’adresse : http://www.dailymotion.com/video/x2... Voir aussi : Nouvelle preuve de collaboration d’Erdogan avec Daesh, [Consulté le 23/01/2015], disponible à l’adresse :https://www.youtube.com/watch?v=oIf...

15. i24 News, Israël soigne des djihadistes d’Al-Qaïda blessés en Syrie (Wall Street Journal) [en ligne],14 mars 2015. [Consulté le 12/04/2015]. Disponible à l’adresse :http://www.i24news.tv/fr/actu/inter...

16. Roland Hureaux, Syrie : l’incompréhensible politique étrangère de la France, [en ligne], 18 août 2015, [Consulté le 26/08/2015]. Disponible à l’adresse : http://www.lefigaro.fr/vox/monde/20...

17. L’Humanité, Des pays de l’Union européenne achètent du pétrole aux barbares, [en ligne], 25 septembre 2014, [Consulté le 26/08/2015]. Disponible à l’adresse : http://www.humanite.fr/blogs/des-pa...

18. Si on adopte une analyse de la politique étrangère des États-Unis par les processus organisationnels, théorisé par Graham Allison. BRAILLARD Philippe, Théories des Relations Internationales, Paris, PUF, 1977, « Modèles concep-tuels et la crise des missiles de Cuba », pp.172-196.

19. « Dans les mois qui ont suivis l’annonce d’Obama sur le bombardement des positions de l’État islamique, les cours de l’action Lockheed ont grimpé de 9,3%, ceux de General Dynamic de 4,3% et ceux de Rayteon et de Northrup Grumman de 3,8% ». LALIEU, Entretiens avec Mohammed Hassan, Jihad Made In USA, p.229

20. WENDT Alexender, « Anarchy is what States Make of it : The Social Construction of Power Politics », International Organiszation, n°46 (2), 1992, pp 391-425

21. JULES Alain, ETAT ISLAMIQUE. Bachar al-Assad : l’Etat islamique s’est renforcé grâce aux raids US [en ligne], 30 mars 2015. [Consulté le 12/04/2015]. Disponible à l’adresse :http://allainjules.com/2015/03/30/e...

22. Virginie Vilar, France 2, VIDEO. Le FBI accusé de fabriquer de faux complots terroristes [Publié le 13/02/2015], disponible à l’adresse : http://www.francetvinfo.fr/replay-m...

23. L’express, Le FBI a poussé des musulmans à commettre des attentats selon Human Rights Watch, [en ligne], 21 juillet 2014, [Consulté le 03/02/2015]. Disponible à l’adresse :http://www.lexpress.fr/actualite/mo...

24. Armel Méhari et Aziz Zemouri, Le Point, Mohamed Merah travaillait pour les RG [en ligne], 7 juin 2012, [Consulté le 01/03/2015]. Disponible à l’adresse : http://www.lepoint.fr/societe/merah... Voir aussi : Mohamed MERAH était un agent des services français selon l’avocate de sa famille… [Consulté le 24/04/2015], disponible à l’adresse : https://www.youtube.com/watch?v=Ej4...

25. GANSER Daniele, Op. Cit., p.226

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Un rapport secret Américain montre que Obama a soutenu l’Etat islamique contre Bachar

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Un rapport secret Américain montre que Obama a soutenu l’Etat islamique contre Bachar

par Sylvia Bourdon

Ex: http://fr.awdnews.com

Un rapport secret Américain, montre que l’Occident observait déjà, depuis 2012 l’émergence de l’Etat Islamique. Malgré cela, les Américains ont laissé faire. Ils virent une chance de déstabiliser Bachar pour le faire tomber. Ce document témoigne d’une erreur politique majeure, dont découle ce tsunami migratoire vers l’Europe et une considérable restriction des libertés des citoyens et de leurs droits fondamentaux.

L’opinion publique Occidentale observait avec un immense étonnement, en été 2014, la naissance de l’Etat Islamique surgir du néant. Malgré les observations d’un grand nombre de services secrets, personne n’arrivait à expliquer, comment des troupes d’islamistes radicaux, extrêmement bien équipés en armement, purent devenir du jour au lendemain, la plus grande menace pour la paix mondiale. Dès lors, il ne se passe plus un jour qui ne prouve, que les soldats d’Allah sont devenus le plus grand danger pour l’Europe. Les droits des citoyens en Europe, comme aux Etats Unis ont été considérablement réduits et les musulmans sont depuis soumis à toutes les suspicions. La situation en Syrie va de mal en pis. Des milliers de Syriens viennent se réfugier en Europe, où leur sont opposés méfiance et rejet. Dans les discussions actuelles sur le dossier « réfugiés », on « réfléchit » sur ces vagues de réfugiés pour étudier, comment arrêter ces flux sur place.

Concernant la Syrie et la Libye, les suggestions restent dans le vague, ce qui donne l’impression que, dans le fond, on ne peut rien faire. Les guerres existent depuis toujours et partout. L’UE envoie des navires de guerre en Méditerranée, pour tirer sur les bateaux des « réfugiés » malgré les avertissements des organisations humanitaires. En même temps, les grands Etats Européens, comme l’Angleterre, la France, la Pologne ou l’Espagne refusent d’accueillir plus de réfugiés.

Désormais, des documents ont fait surface, qui démontrent, que toutes ces calamités auraient pu être vraisemblablement évitées. Un mélange d’incompétence, de cynisme et de froids calculs de pouvoirs, auraient conduit à cette situation devenue hors contrôle par la fondation de l’Etat Islamique.

L’observatoire Américain « Judicial Watch » vient de publier une partie d’un rapport « déclassé » du Service Secret Américain de la Défense, la Defense Intelligence Agency (DIA). De ce rapport ressort que, dès 2012, la DIA possédait des données qui démontraient la formation de l’Etat Islamique au Moyen Orient. Selon le rapport, des groupes d’opposition Syrienne ambitionnaient un tel Etat, comme une arme efficace pour faire tomber le Président Bachar El Assad. Cependant, les services secrets Américains n’auraient pas empêché ce projet. Bien au contraire, ils y voyaient une chance d’y imposer leurs propres intérêts aux Moyen Orient. Le but essentiel, en 2012 étant la chute d’Assad.

Le journaliste d’investigation, Nafeez Ahmed, qui collaborait au Guardian et aujourd’hui au magazine US, Vice, publie sur leur site web une analyse sans illusion sur le développement de la situation. Il affirme que les Etats Occidentaux, en coordination avec les pays du Golfe et la Turquie, financèrent en toute conscience ces groupes islamistes violents aux fins de déstabiliser Assad, tout en anticipant la création de l’Etat Islamique en Irak et en Syrie. Au lieu d’arrêter leur soutien à ces groupes, dont la proximité avec Al Qaida était connue, Washington et les autres capitales Européennes ont persisté à regarder ce développement comme positif.

Ahmed rapporte :

« De ce document déclassé US, découle clairement que le Pentagone, prévoyait l’émergence de l’Etat Islamique, comme suite directe de leur stratégie. Le Pentagone décrit cette possibilité, comme une chance stratégique pour déstabiliser le régime Syrien. »

Cette stratégie fait suite, selon le « Middle East Eye » aux réflexions de la RAND Corporation, qui avait déjà, il y a des années, recommandé de monter les unes contre les autres, les différentes croyances musulmanes. Si les chiites et les sunnites se combattent, cela augmenterait les possibilités d’influence dans la région. La stratégie « divide et impera », diviser pour mieux régner est devenue partie intégrante de toutes les activités politiques.

Ahmed, qui est un journaliste de sérieuse réputation, dont les analyses solides reposent sur des entretiens avec un grand nombre de spécialistes militaires et services secrets, estime comme « hypocrite », lorsque l’Occident déclare vouloir mener la guerre à l’Etat Islamique. Il désigne la signification géostratégique du conflit, comme une guerre de substitution. Les précurseurs de l’Etat Islamique auraient reçu des fonds et des armes de l’Occident, comme indiqué dans le rapport : « L’Occident, les pays du Golfe et la Turquie doivent soutenir l’opposition Syrienne, pendant que la Russie, la Chine et l’Iran soutiennent le régime Assad. De ce rapport secret est mis en exergue, que tous les services secrets Américains, étaient au courant, comme le Ministère de la Défense, le Secrétariat d’Etat, ainsi que les alliés Occidentaux. Est-ce que l’Allemagne étant informée des projets des islamistes, ne ressort pas directement des documents. Cependant, aux vues de cette large coalition contre l’EI, on peut le supposer.

L’émergence de l’Etat Islamique a mis en place de nouvelles dispositions de lutte contre le terrorisme, comme la surveillance de masse et le devoir « Orwellien » de dénonciation.  Ce que le gouvernement Américain et les gouvernements Européens traduisent en censure des médias, la scrutation d’activistes, de journalistes et des minorités ethniques, en particulier les musulmans. Mais, ce rapport du Pentagone dévoile, contrairement à ce que déclarent les gouvernements Européens, que la menace a bien été provoquée par leurs funestes erreurs politiques qui ont consisté à avoir soutenu secrètement la terreur islamique, pour des raisons de géopolitique douteuses.

Sylvia Bourdon

samedi, 26 septembre 2015

Vague de migrants en Europe: vers la piste américaine?

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Vague de migrants en Europe: vers la piste américaine?

Ex: http://fr.sputniknews.com

Au cours du mois d’août 2015, alors que la crise des migrants s’est mise à faire la une de la majorité du flux médiatique global, une bien étonnante nouvelle est apparue entre les milliers de lignes d’actualité.

Selon le magazine autrichien Direkt, auquel un membre des services de renseignement militaires autrichiens se serait confié, "les services secrets autrichiens disposeraient d'informations démontrant l'implication d'organisations ayant créé un système destiné à favoriser la dynamique migratoire que l'Europe subit".

Reprise uniquement sur différents médias non-alignés, cette information avait jusqu'alors paru fantaisiste et surtout relever d'une tendance complotiste américanophobe. Pourtant, peu à peu, Internet a fait son travail et la marée montante d'informations a permis aux commentateurs attentifs ici et là de commencer à récupérer et mettre en lien des informations plus que surprenantes et pour le moins inattendues.

Il y a tout d'abord eu l'apparition publique de cette galaxie d'ONG d'extrême gauche à l'ADN majoritairement allemand, ONG qui ont déployé une énergie considérable à faire absorber de force ce flux humain dont plus personne ne connaît réellement aujourd'hui la réelle dimension, mais dont tout le monde peut constater à quel point il est de densité suffisante pour avoir mis à mal la vie sans frontières des vieilles nations européennes.

Les Allemands ne sont cependant pas les seuls coupables de cette collaboration envers des migrants qui sont en majorité des migrants économiques dont on comprend bien qu'il sera difficile de les inciter à repartir en Libye, Irak ou Somalie après avoir eu un aperçu même sommaire et brutal de la vie en Scandinavie, France ou Allemagne. De nombreux projets croisés et transnationaux ont commencé à voir le jour, comme par exemple l'association franco-allemande SOSMEDITERRANNEE qui bénéficie notamment de subventions de BNP Paribas afin de "sauver des migrants et les accompagner vers les dispositifs d'information et d'assistance aux migrants sur le territoire européen" (Source).

Ne faudrait-il pas plutôt commencer par prévenir le suicide chez nos agriculteurs ou nos petits artisans, aider nos jeunes femmes dans le besoin (les futures mères européennes), parfois contraintes de se prostituer pour payer leurs études, ou tout simplement s'occuper des dizaines de milliers de SDF qui jalonnent les rues des villes européennes?

Cette affaire européenne n'en est peut-être pas une.

Il y a d'abord cette surprenante nouvelle qui tombe à point nommé, à savoir la naissance en Grande-Bretagne d'un nouveau type d'établissement financier destiné aux étrangers et aux migrants et leur permettant d'ouvrir un compte en ligne en s'épargnant les habituelles tracasseries administratives.

Il y a ensuite cette analyse minutieuse faite par Vladimir Shapak. Vladimir Shapak est le créateur d'une application du nom de Scai4Twi permettant l'analyse de l'ADN d'un Tweet, à savoir son contenu et son origine territoriale. L'analyse de plus de 19.000 tweets liés à la thématique des "migrants" a ainsi permis de tirer des conclusions bien étonnantes. Tout d'abord, 93% des tweets émis contenaient des informations positives sur l'Allemagne et l'Autriche, et 76% contenaient des hashtags #RefugeesWelcome+Germany, alors que seuls 6% de ces messages étaient émis d'Allemagne, 36% de sources géo-localisées en Angleterre et en Amérique, parmi lesquelles de nombreux éminents médias américains ou responsables d'ONG américaines dont le trafic de tweets a été particulièrement important, comme on peut le constater ici.

Plus étonnant encore, les liens forts discrets mais surprenants qui entourent la puissante association allemande Fluchthelfer. Fluchthelfer est un site militant appelant les citoyens européens à devenir des "agents d'évasions" en covoiturant des migrants de façon citoyenne et discrète lors de leur déplacements en Europe ou de leur retour de vacances en zones frontalières, telles l'Italie ou la Grèce. En clair, à devenir des passeurs et des trafiquants d'êtres humains et en violant la loi, comme le démontre leur vidéo de promo dans lequel on peut voir de bons vieux Allemands transporter un jeune homme visiblement originaire d'Afrique en lui faisant traverser les inexistantes frontières du dispositif Schengen.

Au cours du mois d'août 2015, des blogueurs se sont intéressés à Fluchthelfer pour découvrir que le nom de l'association avait été déposé, sur Internet, par une puissante structure américaine: l'institut Ayn-Rand, ultra libertaire sur le plan sociétal et dont le conseil d'administration est composé autant d'anciens membres de Goldman Sachs que de membres du Cato Institute, ce dernier prônant également "les libertés individuelles, un gouvernement réduit, les libertés économiques et la paix". Depuis ces "fuites", en juillet et août, le nom de domaine Fluchthelfer a été déposé (le 1er septembre) par un hypothétique Escape Institute dont le titulaire, s'affichant sous le nom de "Paul Ribbeck", utilise un anonymiseur internet au logo rouge et noir. Ce même Paul Ribbeck prétend fournir "des outils de communication informatique pour les personnes et les groupes qui militent en faveur d'un changement social libérateur".

Fluchthelfer a été initié en Allemagne par le collectif PENG qui, parallèlement à son activisme Internet et sociétal, coopère avec des groupes libertaires tels que, par exemple, les Pussy Riot ou encore Voïna. Les lecteurs souhaitant en savoir plus sur ces associations et leurs activités peuvent consulter cet article qui recense leurs faits les plus glorieux.

Sans surprise, les liens entre les réseaux américains et européens afin de favoriser, aider et même soutenir cette poussée migratoire sont de moins en moins secrets, et c'est l'Open Society de Georges Soros qui affirme sur son site soutenir « les associations oeuvrant à apporter des solutions relatives à la sécurité et au bien entre migrants légaux et illégaux ».

Bref, une destruction des Etats européens et des identités assistée des forces les plus destructrices de la planète, car pendant que les activistes européens travaillent à leur auto-destruction ainsi qu'à celle des leurs, l'Etat islamique, lui, infiltre les colonnes de faux refugiés. Dans le même temps, cette grande démocratie qu'est le Qatar et qui soutient le terrorisme en Syrie vient d'acheter et d'imposer des places pour migrants à La Sorbonne, complétant sur le plan financier une invasion imposée a l'Europe et aux Européens qui devrait finir par amener la Guerre globale sur le continent européen.

Voilà donc un scénario imposé par des réseaux globaux, qu'ils soient libertaires capitalistes, gaucho-libertaires ou islamiques radicaux, et dont l'objectif, de la Californie à Berlin en passant par Paris, Bruxelles, Raqqa ou Doha, reste le même: la destruction des Etats européens.

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vendredi, 25 septembre 2015

Syrie: Des intérêts coloniaux de la Grande-Bretagne et de la France à la protection de l’approvisionnement en matières premières pour les USA

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Syrie: Des intérêts coloniaux de la Grande-Bretagne et de la France à la protection de l’approvisionnement en matières premières pour les USA

Interview de Karin Leukefeld*

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch

Dans les médias, on parle déjà d’une migration moderne des populations. De même, on débat de la responsabilité des soi-disant bandes de passeurs pour le transport de réfugiés qu’on soupçonne être des criminels ou sinon des migrants économiques aisés. Les vraies causes de la misère de masse des réfugiés ne sont guère étudiées. La correspondante en Syrie, Karin Leukefeld, décrit dans une interview accordée à Jens Wernicke, la situation d’une guerre économique par procuration détruisant de plus en plus l’Etat syrien, affamant la population et provoquant la fuite de 11 millions de Syriens.


Jens Wernicke: A ma connaissance, vous êtes la seule journaliste allemande, à part Jürgen Todenhöfer, qui se trouve réellement sur place au Moyen Orient, qui discute avec les gens concernés et qui en tire des analyses qualifiées sans que ce soient des stéréotypes. En ce moment, vous revenez d’un voyage en Syrie. Quelle est la situation sur place?

Karin Leukefeld: Cela dépend où on se trouve en Syrie. Dans la région côtière, c’est calme. Il y a même des Syriens vivant actuellement en Europe, qui s’y rendent pour y passer leurs vacances et retrouver leurs familles. Cependant, on y trouve de nombreux déplacés internes, donc l’espace libre se fait rare partout.

A Idlib, une province limitrophe de la région côtière, ce trouvent l’«Armée de la conquête» et le Front al-Nusra. Des dizaines de milliers de personnes se sont enfuies, certains villages sont assiégés. A Alep, la situation est très sérieuse. C’est la guerre entre divers groupes armés et l’armée syrienne. De grandes parties de la ville sont détruites, l’approvisionnement en eau et en courant est souvent interrompu, les denrées alimentaires sont très chères, là où on en trouve. Des groupes armés tirent des grenades de mortier, des missiles et des projectiles fabriqués par eux-mêmes en direction des quartiers habités et l’armée syrienne riposte.
A l’est d’Alep, il y a des régions contrôlées par les Kurdes, d’autres sont contrôlées par l’«Etat islamique en Irak et au Levant» auto-proclamé (EI). Là, on est en grande insécurité, les fronts changent quotidiennement, les forces aériennes syriennes et l’«Alliance anti-EI», dirigée par les Etats-Unis, effectuent leurs attaques. Depuis peu, les forces aériennes turques effectuent également des raids. Elles attaquent les positions du Parti des travailleurs du Kurdistan (PKK) dans le nord de l’Irak. Dans le nord de la Syrie, elles attaquent les régions contrôlées par les Kurdes syriens. L’attaque est menée sous le mot d’ordre «lutte contre l’‹Etat islamique›». Au nord d’Alep, les Etats-Unis et la Turquie veulent imposer une «zone de protection». C’est une mesure militaire à l’intérieur du territoire syrien exigeant la permission du Conseil de sécurité de l’ONU. Puisque celle-ci n’existe pas, il s’agit donc d’une attaque contre un Etat souverain et d’une violation du droit international.
Les régions habitées de la province centrale de Homs sont contrôlées par le gouvernement syrien et l’armée. Les zones désertiques, s’étendant de l’est jusqu’à la frontière avec l’Irak ne sont pas sûres. La situation à Tadmur, une ville moderne, proche de Palmyre, n’est pas claire. Dans le cloître de Deir Mar Elian, que j’ai souvent visité, le prêtre Jacques Mourad et un autre religieux ont été kidnappés. On n’a aucune trace d’eux. Entretemps, les habitants de Qaryatayn et de Sadat, dont une grande partie sont des chrétiens, ont été chassés par l’Etat islamique.
A Damas, 7 millions de personnes ont trouvé refuge; ce sont des réfugiés internes, venant de toutes les parties du pays. La situation est assez calme, l’électricité et l’eau manquent, de la banlieue de Damas, où se trouvent les bases du Front islamique et d’al-Nusra on tire souvent sur la ville. L’armée syrienne riposte.
A Sweida, où habitent les Druses et les chrétiens, la situation est encore calme. J’y vais chaque fois que je suis en Syrie. Deraa et le Golan, à la frontière israélienne, sont toujours disputés. Actuellement, une grande bataille pour Zabadani, située à la frontière libanaise, est en cours. Là, se trouve un quartier général des groupes armés combattant aux alentours de Damas. L’armée syrienne et le Hezbollah libanais, luttant en commun, veulent reconquérir cette base stratégiquement importante pour ces combattants.
La vie est chère. La livre syrienne n’a plus qu’un cinquième de son pouvoir d’achat comparé à 2010. Beaucoup d’habitants ont tout perdu; on mendie, la viande s’est raréfiée à table, pour autant qu’il y ait encore une table. Le taux de chômage est à 40%, les enfants travaillent pour aider la famille et ne vont plus à l’école. La moitié des 500?000 Palestiniens syriens ont fui, car leurs camps, qui étaient plutôt des villes, sont détruits.
Les centres économiques de la Syrie – situés autour d’Alep, de Homs et de Damas – sont presque totalement détruits. La Syrie possédait sa propre industrie pharmaceutique, une excellente industrie textile, un secteur agroalimentaire et d’importantes réserves céréalières: tout a été détruit, pillé et vendu en Turquie. Les modestes réserves pétrolières dans l’est du pays sont contrôlées par des groupes de combattants, le pétrole étant vendu dans le pays, également au gouvernement, ou souvent aussi transporté illégalement hors du pays.
Entretemps, une grande partie des stations d’extraction de pétrole ont été bombardées par l’alliance anti-EI. Et puis les sites archéologiques syriens, datant de plus de 10?000 ans avant notre ère – sont occupés, assiégés, pillés, détruits par des combattants.
La situation est dure, la misère est grande. Surtout pour les Syriens en fuite. 4 millions ont fui dans les pays voisins, 7 millions supplémentaires sont des réfugiés internes à l’intérieur de la Syrie.
Ce qui est vraiment perfide c’est que ces flux migratoires sont politiquement instrumentalisés. Le conflit interne de la Syrie a d’abord été élargi en un conflit régional, puis en une guerre internationale par procuration. Partout où les habitants se sont enfuis, des groupes armés, soutenus par des forces régionales et internationales, se sont installés. Puis, on a déclaré que le gouvernement syrien n’avait plus le contrôle dans son pays, qu’il était en outre le problème fondamental, la «racine de tous les maux» en Syrie. Tout récemment un porte-parole du Secrétariat d’Etat américain vient de le répéter: il a déclaré que la Syrie est un «Etat en déliquescence» dans lequel on peut s’ingérer aux niveaux humanitaire et militaire.

Et cette pauvreté, cette misère que vous décrivez et qui fait fuir les gens: d’où vient-elle, quelles en sont les raisons? Et que voulez-vous dire avec le terme de «guerre par procuration»? Je vous prie de préciser cela …

La Syrie est un pays en développement. En 2010, la situation avait déjà beaucoup évolué, et on prévoyait qu’en 2015, donc cette année, le pays serait à la cinquième place des puissances économiques du Monde arabe.
Actuellement, la Syrie se trouve juste devant la Somalie. La crise économique causée par la guerre est encore aggravée par les sanctions économiques de l’UE. Ce que nous observons dans ce pays est aussi une guerre économique contre un pays ascendant.
Les sanctions économiques édictées par l’UE, commencèrent déjà fin 2011 et concernaient le commerce du pétrole et du gaz ainsi que le secteur financier. La compagnie aérienne syrienne n’avait plus le droit d’atterrir sur les aéroports européens, tous les projets bilatéraux furent arrêtés, le personnel fut retiré, la Syrie fut isolée. Au début, l’Etat et la population purent encore surmonter les pénuries grâce à leurs propres réserves, mais le jour vint, où celles-ci furent épuisées. L’Etat obtint un soutien financier et des crédits de l’Iran. Ainsi, on put diminuer les pertes de l’industrie pétrolière. On put livrer du pétrole et du gaz à la population, à l’industrie encore en fonction et à l’armée. L’économie nationale fut cependant soumise à la guerre, une économie de guerre se développa.
Avec ses sanctions économiques, l’UE veut officiellement mettre sous pression la direction politique et militaire du pays afin de la faire plier et démissionner. Cela n’a pas eu lieu. C’est donc la société qui fut sanctionnée; on détruisit ses moyens d’existence créés et développés avec de grands efforts. Dorénavant, c’étaient les profiteurs de guerre qui gagnèrent de l’argent: les milices, les contrebandiers, les marchands du marché noir.
Au delà de la politique des sanctions, on détruisit de façon ciblée l’économie syrienne au niveau matériel. Cela était le plus apparent à Alep et à Damas. Au cours de l’été 2012, il y a eut une attaque coordonnée qui aurait dû mener à la chute du gouvernement syrien. A Damas, quatre hauts militaires et membres des services secrets furent tués lors d’une attaque contre le Conseil national de sécurité. Directement après, suivirent des attaques contre Alep et Damas. Ces vagues d’attaques furent effectuées par des combattants qui avaient été retirés de Homs après que la bataille pour Babr Amr avait été gagnée par les forces armées syriennes. Ces combattants s’étaient rassemblés aux alentours de ces deux grandes villes où ils furent soutenus par les forces locales. Le coup d’Etat ne réussit pas, car les responsables d’Alep et de Damas refusèrent d’ouvrir les portes de la ville aux groupes de combattants. En réaction à ce refus, les zones industrielles autour d’Alep et de Damas furent détruites et pillées et on en fit des bases pour de futures attaques contre ces deux villes.
Le fait qu’il s’agit réellement d’une guerre par procuration est évident aussitôt qu’on prend en compte que le dit Etat islamique, appelé «Daech» dans le pays, n’est nullement surgi du néant, comme nos médias dominants veulent nous le faire croire. Des sponsors régionaux et internationaux le soutienne ce qui semble lui permettre de disposer de ressources financières inépuisables.
Ces sponsors utilisent les combattants pour détruire les Etats nationaux, créés au Levant, il y a 100 ans, contre la volonté des populations de l’époque. En ce temps, les intérêts coloniaux de la Grande Bretagne et de la France primaient, aujourd’hui, il s’agit de la protection des matières premières pour l’Occident dirigé par les Etats-Unis. Le courroux des Etats du Golfe contre la politique indépendante défendue en Syrie, se reflète dans l’armement et la formation de groupes de combats irréguliers, dominés par «Daech». Le terrain sociétal qui les nourrit, c’est la pauvreté.

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Pourriez-vous nous donner un exemple concret de cette «spirale de la pauvreté» dont il semble s’agir?

Prenons une entreprise vendant des équipements médicaux à des cabinets et des hôpitaux. Jusqu’à présent, cette entreprise achetait les équipements en Allemagne. Suite aux sanctions de l’UE, plus rien ne pouvait être acheté ou livré. Acheter dans un autre pays était difficile pour cette entreprise, car tous les transferts financiers étaient interrompus. La Banque centrale syrienne est soumise aux sanctions, personne n’a le droit de faire des affaires avec elle. Pour contourner cela, l’entreprise allemande livre par exemple les produits à une entreprise libanaise qui les vend à l’entreprise syrienne. Le Liban n’est pas soumis aux sanctions de l’UE. Le transfert de marchandises se renchérit ainsi massivement.
 Un autre exemple est que les parents, dont les enfants font des études à l’étranger, ne peuvent plus leur envoyer de l’argent parce que les banques syriennes n’ont plus le droit de faire des affaires. La même chose est valable pour les bourses du gouvernement syrien pour les étudiants à l’étranger. Ou prenons l’exemple des médicaments: jusqu’à présent, ils étaient très avantageux grâce à une bonne production en Syrie. L’industrie pharmaceutique est pratiquement détruite, donc, il faut importer les médicaments par le Liban ou se les procurer de la Turquie par contrebande – ce qui permet d’exiger des prix astronomiques.

Et les intérêts à l’arrière-plan de ce conflit – de quelles forces parlons-nous? A qui pensez-vous, en parlant de «sponsors»?

Les sponsors sont ceux qui soutiennent les groupes armés contre le régime syrien et l’armée. La Russie et l’Iran, qui soutiennent le gouvernement syrien, sont ses alliés parce qu’ils sont liés avec l’Etat syrien par des accords de droit international. Les Etats régionaux, la Turquie, l’Arabie saoudite et le Qatar sont plutôt des «sponsors», parce qu’ils se servent des groupes pour leurs propres objectifs, et si c’est opportun, ils les laissent tomber. Cela est également valable pour les sponsors parmi les Etats européens, de l’Australie et des Etats-Unis.
Le chaos déployé en Irak et en Syrie profite avant tout aux Etats du Golfe, à la Turquie et aux Etats-Unis. Evidemment pas à la population, mais aux élites politiques et industrielles, en premier lieu à l’industrie de l’armement. La péninsule arabe s’est transformée au cours des dernières 5 années en un immense dépôt d’armes. Des militaires occidentaux, étatiques et privés, entraînent des combattants, les arment et les envoient à la guerre. Les Etats-Unis livrent du matériel de guerre valant plusieurs milliards dans les Etats du Golfe et en Israël. L’Allemagne arme les Peschmerga kurdes du nord de l’Irak et les entraîne, et la Turquie profite en tant que pays membre de l’OTAN de sa position de front face à la Syrie et à l’Irak. La Syrie est évidemment aidée militairement par la Russie et l’Iran, mais cela se passe, comme déjà dit, sur la base d’accords bilatéraux.
D’ailleurs, dans aucun des pays affectés par le «printemps arabe», le mouvement de protestation de la jeunesse éclairée et moderne n’a survécu nulle part! En Tunisie, en Egypte et en Syrie les événements sont déterminés par l’islam politique, que ce soit en tant que groupe de combat ou d’opposition.

Face à tout cela, le fanatisme religieux des gens sur place est certes également important, car il contribue pour ainsi dire à de véritables «guerres religieuses» …

Les Syriens n’ont jamais été des fanatiques religieux! Ce sont uniquement les Frères musulmans, qui propagent un islam politique, ou plus précisément une aile des Frères musulmans syriens, qui ont essayé, à la fin des années 1970, de se révolter contre le parti baathiste ayant imposé un Etat séculaire. Cette révolte se termina en 1982 par le massacre de Hama. Des milliers de personnes moururent suite aux attaques aériennes de l’armée syrienne. Des milliers disparurent ou se retrouvèrent en prison. Ceux qui en furent capables prirent la fuite et les Frères musulmans furent interdits sous peine de mort.
Il va de soi que cela continue d’agir. Beaucoup de jeunes gens, qui sont engagés dans des unités de combat islamiques, parlent de Hama, quand on leur demande pourquoi ils combattent. Un jeune homme, tout en manifestant pacifiquement, m’a raconté en 2011 lorsque tout commença, que son oncle avait disparu à Hama et que suite à cela toute sa famille soutenait l’opposition. Toutefois, il faut aussi rappeler que l’aile des Frères musulmans de Damas s’opposait à la révolte armée dans les années 1970.
Le rôle des Frères musulmans dans la montée de l’islam politique radical ne doit pas être sous-estimé. Le parti gouvernemental AKP en Turquie est aussi un parti frère des Frères musulmans, et un sondage a démontré que plus de 10% de la population turque ne voit pas l’«Etat islamique en Irak et au Levant» comme étant une organisation terroriste dont on doit avoir peur, tout au contraire, ils le soutiennent comme une force légitime. Cela n’est possible que parce que le gouvernement turc poursuit lui-même une ligne de l’islam politique. Dans un Etat séculaire une telle chose serait impensable.
Mais retournons en Syrie. Il y eut beaucoup de conflits politiques, mais au niveau culturel et religieux, la Syrie a toujours été un pays tolérant et ouvert. Actuellement, on tente aussi de détruire cette tolérance. Cela ne vient pas «d’en bas» ou «de l’âme des êtres humains» vivant sur place – c’est une conséquence des intérêts géopolitiques et des affrontements stratégiques.

Flag_of_the_French_Mandate_of_Syria_(1920)_svg.jpgAinsi, les gens fuient et souffrent parce que le dit Occident recouvre leur patrie de guerre et la met économiquement à genoux? Les méchantes bandes de passeurs, dont nous entendons beaucoup parler dans nos médias, ne sont pas le problème principal, expliquant pourquoi 11 millions de Syriens sont en fuite?

Les bandes de passeurs sont la conséquence d’une politique totalement erronée au Moyen Orient, non pas la cause. Ces bandes font partie de l’économie de guerre. Sans guerre, ils n’auraient rien à faire. Ils utilisent les mêmes voies pour transporter illégalement des armes, de la munition, des équipements, des téléphones par satellite et des combattants ainsi que des drogues et toutes choses dont on a besoin pour faire la guerre en Syrie.
Les réfugiés rencontrent sur ces sentiers de contrebande des combattants, les organisateurs sont les mêmes. Le bureau des Nations Unis pour la lutte contre la drogue et le crime a présenté un rapport détaillé sur ces voies de contrebande.
Aussi longtemps que l’on peut gagner beaucoup d’argent avec la guerre et la souffrance des gens concernés, on ne peut pas s’attendre à de grands changements.

Comment se fait-il que dans nos médias, on ne rapporte rien de pareil ou alors, si quelque information passe, ce sont en règle générale des infos totalement indifférenciées?

Il faudrait poser ces questions aux médias dominants. Ils doivent diriger, guider et «classer» la perception de la population, c’est ainsi qu’on définit leur tâche depuis peu. Pour moi, cela veut dire qu’ils définissent la direction de nos réflexions et la manière de «classer» un conflit. Cela a peu à voir avec la réalité dans les régions de conflits, d’autant plus que beaucoup de collègues ne s’y trouvent pas, mais plus souvent ils sont dans une ville d’un pays voisin ou dans le studio de leur propre chaîne télévisuelle ou radio. Un pendant à cette présentation serait un reportage, rapportant les options et les développements guerriers, mais donnant au moins autant de place aux propositions, initiatives et développements politiques non armés.

Que faudrait-il, selon vous, changer en Syrie pour que la paix puisse être rétablie? Et: y’a-t-il quelque chose que nous, la population allemande, puissions faire pour soulager la misère dans le pays?

Les Etats-Unis et la Russie doivent se mettre d’accord sur une procédure commune pour stabiliser la Syrie et l’Irak et en intégrant les forces armées et le gouvernement syriens ainsi que l’armée et le gouvernement irakiens. Il faut laisser de côté toutes conditions préalables – telles que «Assad n’a pas d’avenir en Syrie». Les acteurs syriens doivent être soutenus et non empêchés de participer à la table de négociations. Tout le monde doit s’abstenir d’influencer la situation en faveur de ses propres intérêts. La Turquie doit être forcée – par l’OTAN ou bilatéralement par certains pays membres de l’OTAN – de cesser son soutien au prétendu Etat islamique. Si elle ne le fait pas, il faut sanctionner militairement la Turquie. Et les pays d’origine des djihadistes internationaux doivent empêcher les combattants ou sympathisants islamistes de partir à l’étranger. Pour ce faire, il faut aussi ouvrir dans les Etats respectifs le débat sur une cohabitation respectueuse et une égalité des chances.
La population doit surtout assister les réfugiés arrivant en Allemagne. Toutefois, le gouvernement fédéral, qui a contribué à leur fuite par sa politique erronée, ne doit pas être libéré de sa responsabilité pour ces personnes. Au Bundestag, dans les Parlements des Länder, dans les syndicats, les écoles, les églises, les blogs et les réunions politiques –il faut partout expliquer les réels dessous de la guerre en Syrie. C’est la responsabilité de quiconque voulant mettre fin à cette guerre.

Encore un dernier mot?

Oui. 70 ans après la fin de la Seconde Guerre mondiale, je veux rappeler le poème de Wolfgang Borchert: «Alors une seule chose compte: dire NON!». Dans le voisinage direct de l’Europe, dans l’espace méditerranéen oriental et dans diverses parties de l’Afrique ont lieu, sans cesse depuis 25 ans, des guerres qui s’étendent de plus en plus. En ajoutant le conflit israélo-palestinien, nous sommes en guerre au Proche-Orient depuis 1948. Avec l’occupation de l’Irak en 2003, en violation du droit international, les Etats-Unis ont finalement ouvert la «porte de l’enfer», les mises en garde étaient déjà nombreuses en ce temps-là.
Les Palestiniens sont depuis bientôt 70 ans en fuite ou vivent – par exemple dans la bande de Gaza ou en Cisjordanie – comme des prisonniers dans leur propre pays. Des Irakiens fuient leur pays, maintenant les Syriens. L’Occident attise ces guerres, l’Allemagne aussi en livrant des armes et en se taisant face aux violations du droit international. L’opposition politique au Bundestag ou au Parlement européen n’est pas à la hauteur de sa tâche en ce qui concerne la guerre et la paix. De nombreux médias jouent aux va-t-en-guerre.
Je regrette le temps des grands mouvements pour la paix et contre la guerre, qui se retrouvèrent jadis dans la rue contre la guerre en Irak. Ils doivent se rassembler sans se laisser diviser. Le mouvement pour la paix doit se manifester dans la rue contre ces guerres!

Merci de cet entretien.    •

* Karin Leukefeld, 1954, a étudié l’ethnologie, l’islam et les sciences politiques et est libraire de formation. Elle fut responsable des relations publiques entre autre de la Fédération d’initiatives citoyennes pour la protection de l’environnement (BBU), des Verts (parti fédéral) ainsi que du bureau d’information El Salvador. Depuis l’an 2000, elle est correspondante indépendante pour toutes questions concernant le Proche-Orient. Son site internet: www.leukefeld.net

(Propos recueillis par Jens Wernicke)
(Traduction Horizons et débats)
Source: www.nachdenseiten.de/?p=27340
du 27/8/15

L'Empire américain renforce-t-il sa domination sur l'Europe?

L'Empire américain renforce-t-il sa domination sur l'Europe? La réponse est oui.

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

imcom-e-garrison-2010-2.jpgL'on observe souvent, à tort ou raison, que les Etats-Unis abordent dorénavant une série de crises auxquelles ils feront mal face, et qui pourraient mettre en danger leur domination globale (global dominance). Ces crises résultent en grande partie des retombées de diverses politiques qu'ils avaient menées jusqu'à aujourd'hui au service de cette domination, et dont ils avaient mal mesuré les effets pervers.
Mais d'autres observateurs plus avertis estiment au contraire que l'Empire américain supportera aisément ces crises, et en profitera pour renforcer sa situation dans le monde, ainsi que la tutelle imposée aux pays qu'ils mis au service de leurs intérêts. Parmi ces pays et en priorité se trouvent les pays de l'Union européenne. Dès la fin de la deuxième guerre mondiale l'Empire en avait fait le bastion avancé de sa lutte contre la Russie. Continuer à maintenir l'Europe dans ce rôle de zone-tampon est plus indispensable pour lui que jamais. Dorénavant en effet s'est constitué un bloc euro-asiatique, autour de Moscou et de Pékin (BRIC), dans lequel les Américains voient un ennemi existentiel. De par sa proximité géographique avec la Russie, l'Europe leur sert plus que jamais de bastion avancé.

Les Européens leur ont facilité ce jeu. Beaucoup trouvent des avantages dans le rôle de mercenaires des forces de l'Empire. En 2014 cependant, les Etats-Unis ont renforcé bien plus visiblement qu'auparavant leur contrôle sur l'Europe. Ils ont réussi à mettre à leur service les nouvelles forces dont l'Europe dispose depuis quelques années, évitant qu'elles puissent collaborer avec l'ennemi existentiel, au premier duquel se trouve plus que jamais la Russie.

La crise ukrainienne, provoquée essentiellement par la diplomatie du dollar et des services secrets grâce à laquelle les Etats-Unis se sont toujours imposés dans leur entourage géopolitique, leur a permis de ridiculiser toute velléité européenne de servir d'arbitre entre Washington, Kiev et Moscou. C'est Washington qui décide souverainement si les accords dits de Minsk2 sont effectivement appliqués par les parties. Ils ont toujours prétendu jusqu'à ce jour que ce n'était pas le cas, que la responsabilité de la crise ukrainienne incombait à la Russie et à ses projets d' « invasion militaire » Ils ont ainsi imposer à la Russie des « sanctions » dont les Européens sont les premières victimes.

C'est également Washington, avec l'appui de ses alliés composant la « troïka » (FMI, Banque centrale européenne et conseil européen) qui a empêché tout règlement sain de la crise grecque. Celui-ci aurait consisté pour la Grèce à quitter l'euro et se rapprocher du BRIC, pour rependre une certaine indépendance géopolitique, sans pour autant rompre ses liens avec l'Union. Mais quel exemple désastreux la Grèce aurait-elle ainsi donné, aux yeux des Etats européens refusant de se laisser enfermés dans une alliance atlantique leur enlevant toute indépendance !

Duda

La même diplomatie américaine du dollar et des services secrets vient de provoquer en Pologne l'élection à la présidence de la République d'un certain Andrzej Duda, surtout connu jusqu'à présent pour ses convictions anti-européenne et pro-Otan. Qui le savait ailleurs en Europe? La Pologne, s'étant déjà tristement illustrée ces derniers mois par son soutien aux pro-nazis de Kiev, n'aidera en rien la diplomatie européenne à jouer de nouveau un rôle d'arbitre en Ukraine.

Sur le plan militaire, l'armée américaine a multiplié les bases militaires dans de nombreuses parties du continent européen. A partir de celles-ci ils organisent des déploiement de troupes et les « manœuvres conjointes » , cherchant à pousser la Russie à des prises de risques militaires dont le le commandement US  profiterait immédiatement. Les Européens continentaux acceptent de cette façon d'être rayés de la carte les premiers si un conflit avec des armes nucléaire fussent-elles tactiques éclatait entre l'Otan et la Russie.

Sur le plan des changes, les Européens n'ont jamais combattu, au prétexte imposé par Wall Street de laisser jouer le marché, les manœuvres répétées de la Banque fédérale pour empêcher l'euro de s'élever au dessus d'une quasi parité avec le dollar. Ceci entre autres conséquences empêche tout investissement industriel et prise de participation dans les entreprises américaines en provenance des Européens. Dans le même temps, avec un dollar élevé, les entreprises américaines peuvent plus facilement acheter les fleurons de l'industrie européenne, l'exemple le plus spectaculaire ayant été l'achat de Alstom par General Electric.

Concernant l'hèroîque autant qu'hérétique  travailliste de gauche britannique Jeremy Corbyn, qui avait recommandé que le Royaume Uni sorte de l'Otan, insulte suprême au pays de la Special Relationship avec les Etats-Unis, beaucoup disent que ses jours sont comptés. Peut-être pas encore en ce qui concerne sa propre vie, mais sûrement au Labour.  La mobilisation contre lui des travaillistes atlantistes, menés par Tony Blair, est sans précédents.

Enfin, depuis quelques semaines les vagues de plus agressives de migrants qui menaçant à terme non seulement l'économie mais la société européenne ont été, comme nul ne devrait l'ignorer, provoquées par des interventions de l'Amérique dans les zones sensibles du Moyen-Orient. Ces interventions se sont faites notamment avec la complicité de deux bons alliés, la Turquie et l'Arabie saoudite. Elles prennent en prétexte la lutte contre Daesh, ledit Daesh ayant été initialement mis en place par Washington, et restant aujourd'hui discrètement soutenu par lui.

L'implosion de l'Europe se produira nécessairement si ne ce sont plus des milliers de migrants qui entrent en Europe, mais des millions et dizaines de millions, provenant notamment de l'Afrique. Or en Afrique l'Amérique a toujours les mains libres, par dictateurs locaux interposés, pour affaiblir ce qui reste d'influence européenne et pour y développer leurs propres intérêts, au détriment de ceux des Africains.

Ajoutons que dans l'immédiat la signature imminente imposée par Washington du Traité de Libre-échange transatlantique (TTIP) ruinera les quelques velléités d'indépendance, au plan réglementaire et économique, qu'espéraient conserver les Etats européens.

Tous ces facteurs superposés obligeront les Européens qui voulaient jouer la carte d'un monde multipolaire, à se réfugier sans discuter d'avantage sous la protection d'une monde unipolaire dominé par les Etats-Unis.

* Pour plus de sources, voir GEAB , Introduction de l'article référencé  http://geab.eu/en/2016-the-year-of-india-and-the-last-chance-for-an-organized-systemic-global-transition/#_ftn1

Jean Paul Baquiast

jeudi, 24 septembre 2015

Terrorismo Islamico: perché non esiste in Giappone

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Terrorismo Islamico: perché non esiste in Giappone

Articolo a cura di Cristiano Ruzzi dell’Associazione culturale Zenit

Ex: http://www.associazioneculturalezenit.org

Negli ultimi anni, oltre alla crisi economica, il mondo ha dovuto affrontare anche il problema emergente dell’estremismo islamico e, per confermare ciò, basta dare un’occhiata ai numeri sempre più crescenti degli attacchi terroristici nel mondo.

Dal 2011, con la comparsa sulla scena mondiale dell’ISIS, il numero delle vittime degli attacchi di fattrice islamica è nettamente cresciuto, assieme alla quota di Musulmani nel terrorismo mondiale che è sempre più in costante avvicinamento al 100%.

Nel 2013, secondo il Dipartimento di Stato Statunitense, un totale di 9.707 attacchi di origine terrorista è avvenuto in tutto il mondo, provocando più di 17.800 morti e più di 32.500 feriti. In aggiunta, più di 2.990 persone sono scomparse o sono state prese in ostaggio. Le informazioni riguardo i perpetratori sono state riportate, dal materiale di base, per il 32% degli attacchi terroristi nel 2013.

E di questo 32%, solo tre gruppi terroristici musulmani, i Talebani, ISIS e Boko Haram, sono stati ritenuti responsabili di 5.655 morti, all’incirca del 31.76 percento. Ciò vuol dire che della prima percentuale la stragrande maggioranza sono state perpetrate da soli tre gruppi terroristici, ossia più del 50% che esiste in questo mondo sempre più turbolento.

A questo punto sembrerebbe che non ci sia un singolo Paese dove i musulmani non possano innalzare le proprie bandiere, invece no! Esiste uno Stato abbastanza singolare, non uniforme al pietismo che oramai prevale sempre di più nel continente americano ed europeo, dove non è stato finora perpetrato un attacco terroristico sul proprio suolo. Il nome di questo Paese è il Giappone.

Ovviamente, si penserà che il Giappone ha raggiunto questo risultato attraverso politiche d’integrazione super efficaci, attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie ed assegnando miliardi di yen nella costruzione di centinaia di moschee e di scuole islamiche in tutto il territorio nazionale, vietando il maiale nei luoghi pubblici, introducendo ore separate per maschi e femmine nelle piscine, con i dottori maschili che non osano toccare i genitali delle loro pazienti, le donne musulmane che ottengono un immenso aiuto sociale ogni volta che hanno un figlio, i tribunali della Sharia introdotti nel sistema giudiziario giapponese ed, infine, il Corano che viene considerato come un testo sacro.

Niente di tutto questo. La soluzione a tale rompicapo è tanto semplice, quanto efficace: il Giappone è semplicemente chiuso ai musulmani, non nel senso che sono banditi, ma che il numero di permessi date alle persone provenienti dai Paesi islamici è molto basso. Ottenere un visto di lavoro non è facile per chi profeta la religione di Maometto, anche se sono fisici, ingegneri e manager mandati da compagnie straniere che sono attive nella regione. Come risultato, il Giappone è un “Paese senza musulmani”.

Non c’è una stima precisa della popolazione musulmana. Secondo la dichiarazione dell’ex presidente dell’Associazione Islamica Giapponese Abu Bakr Morimoto “per dirla francamente, solo un migliaio. Nel senso più ampio, voglio dire, se non escludiamo coloro che sono diventati musulmani per motivi, diciamo, matrimoniali, e non praticano la religione: allora il numero sarebbe di poche migliaia”.

Invece, uno dei leader della comunità Islamica in Giappone, Nur Ad – Din Mori, alla domanda “Che percentuale della popolazione totale del Giappone è musulmana?” ha risposto “Uno su centomila”.

Attualmente la popolazione Giapponese è di 130 milioni e quindi, se le risposte dei due leader Islamici sono corrette, dovrebbero esseri circa 1300 musulmani. Ma anch’essi, che hanno ottenuto i permessi dall’immigrazione e vivono da molti anni nel Paese hanno pochissime chance di diventare cittadini a tutti gli effetti.

Ufficialmente il Giappone vieta di esortare le persone ad adottare la religione dell’Islam, e qualsiasi musulmano che incoraggi ciò è visto come proselite di una cultura straniera indesiderabile. I promotori, per l’appunto, che sono troppo attivi rischiano la deportazione e, qualche volta, dure condanne di carcere.

La lingua arabe è insegnata in pochissimi istituti accademici: se ne può trovare, infatti, soltanto uno, l’Istituto Arabo Islamico a Tokyo. Inoltre l’università internazionale, sempre nella Capitale, non offre corsi di arabo. Importare il Corano in Arabo è praticamente impossibile, ed è permesso solo la versione adattata in Giapponese.

Fino a poco tempo fa, c’erano solo due moschee in Giappone: la Tokyo Jama Masjid e la moschea di Kobe. Ora, il numero totale di siti di preghiera è contato in circa trenta moschee a piano singolo ed un centinaio di stanze d’appartamento stanziati per le preghiere, e la società giapponese si aspetta, appunto, che tali persone preghino nelle loro case: non esiste, infatti, alcuna preghiera collettiva nelle strade o nelle piazze, e chi lo fa può ottenere delle multe molto “salate” o, in quei casi in cui la polizia giapponese ritiene seri, espellere dal Paese i partecipanti.

Dal punto di vista lavorativo, le aziende giapponesi in cerca di lavoratori stranieri fanno espressamente notare che non sono interessati ai musulmani. Non esiste alcuna traccia di Sharia, ed il cibo Halal è estremamente difficile da trovare.

La popolazione, in generale, tende a percepire l’Islam come una “religione strana e pericolosa” che un vero cittadino giapponese dovrebbe evitare, e gli omicidi avvenuti ad inizio anno dei due connazionali Haruna Yukawa and Kenji Goto per mano dell’ISIS non ha certamente migliorato la situazione.

La cosa più interessante, di tutto ciò, e che i giapponesi non si sentono in colpa per un approccio così “discriminatorio” all’Islam, e che non dovrebbero chiedere scusa ad alcuno per il modo negativo in cui percepiscono tale religione. Certamente fanno trattati economici con gli arabi per il gas ed il petrolio, questo sì, e mantengono buone relazioni con gli esportatori medesimi, ma non con l’islam, e neanche con l’immigrazione musulmana. E, cosa strana, i musulmani in Giappone non provocano rivolte, non marchiano i giapponesi come “razzisti”, non bruciano macchine, spaccano finestre, tagliano le teste dei soldati per essere stati in Afghanistan, Iraq o in qualunque altro posto sulla Terra – e non c’è stato un singolo giapponese vittima di un attacco terrorista sul proprio suolo nazionale negli ultimi trent’anni.

Che l’Europa, attanagliata non solo dell’estremismo islamico ma anche dell’immigrazione selvaggia, debba prendere da esempio il modello giapponese per trattare direttamente il problema? Chissà.

 

Oskar Freysinger: La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays

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«La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays»

Interview d’Oskar Freysinger, conseiller national et conseiller d’Etat du Valais

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch 

Au cours de l’été 2015, le conseiller national Oskar Freysinger a déposé une motion (cf. encadré) obligeant le Conseil fédéral à engager sans tarder des négociations avec la Russie en vue d’un accord de libre-échange. Dans l’interview ci-dessous, Oskar Freysinger explique les raisons pour lesquelles il a fait cette démarche.

Horizons et débats: Monsieur le Conseiller national, qu’est-ce qui vous a amené à déposer cette motion parlementaire?

Oskar Freysinger: Lorsqu’on considère les développements de ces derniers 25 ans, il est évident que pendant des décennies, nous nous sommes orientés uniquement vers les Etats-Unis, partant de l’idée que l’ami se trouve à l’Ouest et que tout cela n’aurait que des avantages économiques. Concernant l’économie, cela peut être en partie justifié, mais le prix que nous avons payé est très élevé. Nous avons par exemple dû abandonner le secret bancaire, ce qui a amené beaucoup de désavantages, par exemple lors de l’«arrangement» avec l’UBS, en raison de notre entière orientation envers le système américain.

Qu’est-ce que cela signifie?

Avec ce système de bonds, on crée une richesse artificielle reposant uniquement sur le papier-monnaie, imprimé continuellement. Ainsi, on s’endette sans aucune retenue. Malheureusement, les banques suisses sont de plus en plus embourbées dans ce système.

N’y a-t-il pas d’alternatives?

C’est ce que je me suis aussi demandé. En fait, il s’agissait pour moi de diriger le regard vers l’Est pour nous débarrasser du vieux mythe que l’ennemi se trouve là-bas. Au cours de l’histoire, la Russie a toujours fait preuve d’une relation amicale envers la Suisse. La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays après les guerres napoléoniennes, lors du Congrès de Vienne. De même, depuis 1992, nous n’avons pas de raison de nous plaindre de la Russie. Il n’existe aucun exemple prouvant que ce pays ait décidé quelque chose de négatif pour notre pays.

Qu’est-ce que vous en concluez?

Il n’y aura pas d’avenir pour l’Europe sans la Russie. Nous devrions faire le nécessaire pour nous associer avec la Russie. Pour moi, c’est incompréhensible pourquoi Madame Merkel ne s’en est pas encore rendu compte.

Comment le comprenez-vous?

Je me demande pour quelle raison les Etats-Unis exercent une telle influence sur Merkel, car une alliance entre l’Allemagne et la Russie serait une pierre angulaire pour un essor économique incroyable. Mais c’est justement ce que craignent les Anglo-Saxons. Si l’Allemagne s’associait à la Russie, les deux deviendraient en peu de temps la première puissance économique du monde. Ils dameraient le pion aux Américains.

Quelle est la réaction des Etats-Unis?

Ils créent des sources de division à l’aide de la Pologne et de l’Ukraine.

Quelles en sont les conséquences pour la Suisse?

Nous sommes libres, car nous ne sommes pas dans l’OTAN et ne sommes pas liés par des accords – spécialement avec les Etats-Unis. La Russie est pour nous un pays très intéressant en tant que partenaire économique, rien qu’en raison des matières premières, mais aussi dans le domaine culturel et il existe des liens historiques. Pour nos entreprises, la Russie représente un marché très intéressant. Elle a une économie en pleine évolution et Poutine essaie de sauvegarder l’indépendance et la souveraineté de son pays. Je ne vois pas pourquoi nous devrions laisser les Américains nous empêcher d’établir des relations privilégiées avec la Russie.

Lorsqu’il s’agit de la situation en Europe, les relations avec nos Etats voisins jouent naturellement un rôle essentiel, notamment avec l’Allemagne. Comment voyez-vous ces relations?

Les relations avec l’Allemagne n’ont jamais été simples. En ce moment c’est la carte de l’amitié qui se joue, mais honnêtement, la Suisse est une concurrente pour l’Allemagne, car elle est active dans le même domaine qu’elle. Je n’ai certes rien contre des relations amicales avec nos pays voisins, tout au contraire, c’est très important. Mais nous ne devons jamais nous placer dans une position subordonnée. Nous n’avons pas à accepter de traité colonial. La Suisse est un Etat indépendant et souverain, nous ne sommes pas membre de l’UE, nous ne sommes pas membres de l’OTAN et cela, les autres Etats doivent le respecter. Lorsque nous voyons les intérêts que l’UE a dans le territoire de la Suisse, cela nous donne un autre point de vue. Déjà, il y a plus de 300?000 frontaliers gagnant tous les jours leur salaire en Suisse, ce qui apporte des devises s’écoulant dans l’UE. En outre, nous avons l’accord sur les transports terrestres. Là, la Suisse ne demande que la moitié du prix réel pour chaque camion de l’UE traversant la Suisse. Avec les Accords bilatéraux, l’UE a beaucoup gagné et elle continuera à en profiter. De nous traiter de «profiteurs», c’est tout simplement un mensonge.

Quels sont les points problématiques dans ces accords?

Dans le fond, c’est une situation contractuelle toute simple. S’il n’y avait pas la «clause guillotine», cela pourrait être positif pour les deux parties. Ce qui dérange c’est cette clause dite guillotine, on ne négocie pas à l’ombre d’une guillotine. Dès le début, j’ai trouvé incompréhensible comment la Suisse avait pu accepter une telle chose. La devise de l’UE était: tout ou rien. Ce n’est pas une base de négociation, on devrait pouvoir négocier chaque objet individuellement.

Quels pourrait être l’avenir dans ce domaine?

Ce qui nous attend avec l’accord-cadre c’est la reprise automatique de la juridiction de l’UE et la reconnaissance d’un tribunal arbitral européen et cela est inacceptable. C’est une stratégie perfide pour provoquer une adhésion indirecte à l’UE. Si nous demandions directement au peuple suisse s’il veut adhérer à l’UE, nous aurions probablement un taux de rejet de 85%. C’est totalement inacceptable de contourner cela, en provoquant une adhésion de facto au moyen de lois reprises de façon «dynamique» à l’aide d’un accord-cadre, en ne parlant pas d’une reprise automatique mais d’un développement dynamique, menant ainsi les gens par le bout du nez.

Dans cette situation, il est extrêmement important que la Suisse se cherche des partenaires contractuels honnêtes. D’après ce que vous venez de dire, la Russie serait un tel partenaire. Comment le Conseil fédéral a-t-il réagi à votre motion?

Il a écrit que 12 cycles de négociations avaient déjà eu lieu entre la Russie et l’AELE mais que malheureusement les négociations ont été interrompues suite à la crise ukrainienne et qu’il refusait donc ma motion.

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Mais pourquoi ne peut-on pas négocier avec la Russie maintenant?

Le Conseil fédéral le justifie avec la crise en Ukraine. Bien qu’aujourd’hui nous sachions exactement que la crise en Ukraine a été initiée par les Etats-Unis. Le putsch sur le Maïdan n’était pas du tout une révolte populaire tombée du ciel au cours de la nuit. Cela a été orchestré, organisé et financé. Là derrière, il y a les services secrets américains, la CIA, poursuivant l’objectif de perturber les relations entre la Russie et l’Allemagne, voire l’UE. C’était aussi une réaction au fait que la Russie n’ait pas laissé tomber la Syrie. Lorsqu’il s’agissait de Kadhafi – on a bien vu le résultat en Libye –, les Chinois et les Russes se sont fait avoir, ils ont donc appris cette leçon. Concernant la Syrie, ils sont restés fermes. C’est pour cette raison que Bachar al-Assad est toujours en place. Le monstre créé par les Etats-Unis, l’Etat islamique, continue à être financé par eux et soutenu par Israël et l’Arabie saoudite. Pour ces pays, il est pratique que l’Etat islamique continue à exister, car de cette manière les Sunnites et les Shiites continueront à se déchirer dans d’interminables conflits. C’est l’Union européenne qui en paye le prix, car maintenant des masses de réfugiés et de requérants d’asile arrivent en Europe. Tout ce jeu est d’une perfidie macabre, c’est hypocrite, c’est cynique. Les Etats-Unis parlent à tout moment des droits de l’homme qu’ils défendent partout dans le monde. Cependant, ils sont par exemple étroitement liés avec l’Arabie saoudite, un pays avec lequel ils ont depuis 1973 un pacte «dollar contre pétrole». Là, les droits de l’homme n’ont aucune importance. On y discrimine les femmes, on y fouette des êtres humains, on y décapite plus de 250 personnes par année, tout cela n’a aucune importance. Nous nous faisons sans cesse mener par le bout du nez.

Comment interprétez-vous la réponse du Conseil fédéral?

Encore une fois, on se montre soumis face aux Etats-Unis. Mais les Anglo-Saxons poursuivent toujours leurs propres intérêts et ne se soucient pas guère des intérêts des autres. Ils jouent les policiers du monde, mais ce sont eux qui déclenchent partout sur notre planète les plus grands incendies. Ce sont eux, les incendiaires, se présentant par la suite comme des pompiers héroïques.

Qu’est-ce que cela signifie pour la Suisse?

Nous sommes un pays libre et indépendant et nous ne devrions pas participer à ce jeu. Ce que font les autres, c’est leur affaire, mais nous, nous devrions poursuivre une politique autonome et commencer sans attendre des négociations avec la Russie, même si cela ne plaît pas aux Etats-Unis. La situation ne peut guère empirer. Je ne pense pas que les Etats-Unis vont se rapprocher avec leur 6e flotte pour envahir la Suisse. Nos relations avec les Etats-Unis sont déjà en piteux état. C’est hypocrite de faire comme s’ils étaient nos meilleurs amis. Ils ne le sont pas, ils l’ont prouvé maintes fois par leur comportement. Dans ce marché, nous n’avons plus rien à gagner.

Pourquoi la Suisse n’a-t-elle pas changé de position depuis longtemps?

Apparemment, on n’a pas encore eu le courage de se libérer du diktat américain. On semble préférer se soumettre et subir sans broncher.

Que faire?

Il serait urgent de revoir ses positions, notamment dans les domaines de l’économie et des banques. La Russie a besoin d’une place financière indépendante, la Suisse pourrait jouer ce rôle. Mais pas seulement pour la Russie mais aussi pour la Chine, l’Inde et les autres Etats du BRICS. Nous devrions coopérer avec ces Etats, parce que là, les pressions sont moins fortes qu’avec l’OTAN et l’espace de l’UE. Des conditions coloniales règnent dans ces organisations. Les grands écrasent ou harcèlent les petits. Depuis des décennies, nous vivons le harcèlement américain. Dans les relations humaines, on appelle cela ainsi. Cela n’a rien à voir avec des relations d’égal à égal entre deux partenaires qui s’acceptent et se respectent. Voici le grand qui octroie sa volonté au petit. C’est indigne pour la Suisse.

Comment pourrait-on organiser les relations économiques avec la Russie?

Pour nos vins, il y aurait un marché. Là, je parle en Valaisan. Mais nos PME produisant en Suisse avant tout des produits de niche de haute valeur ajoutée ont un niveau technologique élevé. Des produits industriels fabriqués en Suisse ont beaucoup à offrir dans le domaine de la mécanique et de la technologie, c’est évidemment aussi valable pour le domaine des services. Dans le domaine bancaire, la Suisse est de toute façon à la pointe. Les Russes par contre ont d’immenses gisements de matières premières et c’est un énorme marché. Nous pouvons aussi importer certains produits de Russie et créer de joint-ventures. Cela demande bien sûr une analyse soigneuse. A une époque, où les richesses minières se raréfient et enchérissent, un commerce réciproque avec la Russie serait extrêmement profitable. Je pense à des relations économiques étroites dépassant de loin des relations purement économiques et financières.

Quelle devrait être l’attitude de la Suisse?

Nous sommes un Etat souverain et autonome. Notre démocratie directe est unique et pourrait servir d’orientation pour d’autres Etats démocratiques. Nous devons entrer dans les négociations comme partenaire d’égal à égal et ne pas nous soumettre à un autre Etat. Notre neutralité nous permet de mener des négociations avec tout Etat au monde. Et je le répète, un accord de libre-échange avec la Russie serait un grand avantage pour notre pays.

Monsieur le Conseiller national, nous vous remercions pour cet entretien.    

(Interview réalisée par Thomas Kaiser)

 

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Motion: Accord de libre-échange avec la Russie

Texte déposé
Le Conseil fédéral est chargé d’engager immédiatement des négociations avec la Russie au sujet d’un accord de libre-échange.
Développement
1.    La Suisse a conclu des accords de libre-échange avec de nombreux Etats de par le monde, soit notamment avec la Chine, l’Ukraine, le Japon, l’Egypte etc.
2.    Jusqu’à présent la Suisse n’a cependant pas conclu d’accord bilatéral de libre-échange avec la Russie en tant que tel.
3.    Grâce à un tel accord, la Russie pourrait devenir un important partenaire commercial pour la Suisse et lui permettre ainsi de réduire sa forte dépendance vis-à-vis de l’Europe.
4.    Une intensification des rapports commerciaux russo-suisses pourrait permettre à notre pays de stimuler l’innovation et d’augmenter sa prospérité.
5.    La Russie est un pays riche en matières premières, en particulier en combustibles fossiles. La Suisse grâce à une diversification de ses fournisseurs, pourrait réduire sa dépendance vis-à-vis d’autres Etats.
6.    La Suisse, à la pointe de la technologie pourrait profiter des échanges commerciaux avec un pays qui s’intéresse fortement à ce domaine et ainsi réaliser de nouvelles avancées.
7.    La Russie fait partie de notre continent et ne doit pas être mise à l’écart. L’Europe ne peut assurer sa prospérité et préserver la paix sans la Russie.
8.    Les rapports qu’entretiennent la Suisse et la Russie ont toujours été particuliers. Au cours de leur histoire toutefois, les deux Etats ont toujours eu des échanges étroits. Un accord de libre-échange permettrait de renouer avec cette tradition et profiterait à tous.

La stratégie du chaos des néocons touche l’Europe

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La stratégie du chaos des néocons touche l’Europe

Auteur : Robert Parry
Traduction Christine Abdelkrim-Delanne/Afrique Asie
Ex: http://zejournal.mobi

Le chaos des réfugiés qui se développe en Europe, aujourd’hui – médiatisé par les photos poignantes du petit Aylan Kurdi dont le corps a échoué sur une plage de Turquie – est né des ambitions démesurées des néocons américains (conservateurs américains) et leurs acolytes les libéraux interventionnistes qui ont décidé de transformer le Moyen Orient et d’autres parties du monde par la stratégie du « changement de régime » .

Au lieu des mirifiques promesses de « promotion de la démocratie » et de « droits de l’homme », ces « anti-réalistes » n’ont fait que répandre la mort, la destruction et la déstabilisation à travers le Moyen Orient et certaines régions d’Afrique, puis, aujourd’hui, en Ukraine et au cœur de l’Europe. Cependant, comme ces forces néocons contrôlent toujours le « Discours Officiel », leurs théories, comme le fait qu’il n’y a pas assez de « changements de régime », bénéficient toujours la Une des médias.

Par exemple, Fred Hiatt, éditorialiste néocon du Washington Post, a accusé les « réalistes » d’être responsables de la cascade de catastrophes. Hiatt les a accusés, eux et le président Barack Obama, de ne pas être intervenus plus agressivement en Syrie dans le but de renverser le président Bachar al-Assad, depuis longtemps candidat des néocons au « changement de régime ».

En réalité, on peut faire remonter cette explosion accélérée de souffrances humaines à l’influence sans égale des néocons et de leurs compagnons de route libéraux qui se sont opposés à tout compromis politique, et, dans le cas de la Syrie, ont bloqué tout effort réaliste de trouver un accord de partage de pouvoir entre Assad et ses opposants politiques non terroristes.

Dès 2014, les néocons et les « faucons libéraux » ont saboté les accords de paix syriens à Genève en bloquant la participation iranienne et en transformant la conférence sur la paix en compétition unilatérale de vociférations durant laquelle les dirigeants de l’opposition syrienne financée par les États-Unis ont hurlé sur les représentants d’Assad qui sont rentrés chez eux. Pendant ce temps, les journalistes du Post et leurs amis n’ont eu de cesse de harceler Obama pour bombarder les forces d’Assad.

La folie de l’approche des néocons est devenue plus évidente l’été 2014 lorsque l’IS (l’État islamique), un rejeton d’Al-Qaïda qui a massacré des Syriens soupçonnés d’être favorables au gouvernement, a intensifié sa campagne sanglante de décapitation en Irak où ce mouvement hyper brutal a d’abord émergé comme « Al-Qaïda en Irak » en réponse à l’invasion américaine en 2003.

Il aurait dû être clair à la mi-2014 que si les néocons avaient réussi et si Obama avait lancé une campagne massive de bombardement pour détruire l’armée d’Assad, le drapeau noir du terrorisme aurait flotté sur la capitale syrienne de Damas et le sang aurait coulé à flots dans les rues.

Mais, aujourd’hui, un an plus tard, les « Hiatt » n’ont pas appris la leçon, et le chaos que fait exploser la stratégie néocons est en train de déstabiliser l’Europe. Aussi choquant et dérangeant que cela puisse l’être, rien de cela ne devrait être une surprise, les néocons ayant toujours entraîné le chaos et la destruction dans leur sillage.

La première fois que j’ai rencontré les néocons dans les années 1980, on leur avait donné l’Amérique latine comme terrain de jeu. Le président Ronald Reagan avait accrédité plusieurs d’entre eux, et fait entrer dans le gouvernement américain des illuminés comme Eliott Abrams et Robert Kagan. Mais Reagan les avaient maintenus relativement hors du « Royaume de la toute-puissance » : le Moyen Orient et l’Europe.

Ces zones stratégiques étaient réservées aux « adultes », des gens comme James Baker, George Schultz, Philip Habib et Brent Scowcroft. Les pauvres centre-Américains, occupés à essayer de se débarrasser de générations de répression et de sous-développement imposés par des oligarchies de droite dure, ont dû affronter les idéologues néocons qui ont généré escadrons de la mort et génocides contre les paysans, les étudiants et les travailleurs.

Sans surprise, il arriva un flot de réfugiés, particulièrement du Salvador et du Guatemala, vers le nord et les États-Unis. Le « succès » des États-Unis, dans les années 1980, en écrasant les mouvements sociaux progressifs et en renforçant les contrôles oligarchiques, a laissé la plupart des pays d’Amérique centrale dans les griffes de régimes corrompus et des syndicats du crime, entraînant toujours plus de vagues de ce que Reagan appelait les « feet people » (les gens à pied) par le Mexique à la frontière sud des États-Unis.

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Installer le chaos au Moyen Orient

Mais les néocons n’étaient pas satisfaits d’être assis à la table des enfants. Pendant l’administration Reagan, ils ont essayé de se hisser parmi les « adultes » à la table des grands. Par exemple, des néocons comme Robert McFarlane et Paul Wolfowitz, ont poussé la politique de leurs amis Israéliens contre l’Iran que les Israéliens considéraient alors comme un contrepoids à l’Irak. Cette stratégie a finalement conduit à l’« affaire Iran-Contra », le pire scandale de l’administration Reagan.

L’aile droite et les médias dominants américains n’ont jamais admis l’histoire compliquée de l’Iran-Contra et l’information sur différents aspects de criminalité dans ce scandale n’a jamais été diffusée. Les démocrates ont, également, préféré le compromis à la confrontation. C’est pourquoi, la plupart des néocons importants ont survécu aux affres de l’Iran-Contra, laissant leurs membres bien en place pour la phase suivante de leur montée en puissance.

Dans les années 1990, les néocons ont mis en place une infrastructure bien financée de think-tanks et de médias, bénéficiant à la fois des largesses des militaro-industriels qui finançaient les think-tanks et des organismes financés par le gouvernement comme le National Endowment for Democracy (NDM) (Fonds national pour la démocratie) dirigé par le néocon Carl Gershman.

Les néocons ont politiquement tiré le plus grand parti de la guerre du Golfe 1990-1991 grâce à l’armée américaine. De nombreux Américains ont commencé à considérer la guerre comme amusante, un jeu vidéo dans lequel les forces « ennemies » étaient détruites à distance. Dans les programmes TV d’actualités, les commentateurs au discours musclé ont fait fureur. Si vous vouliez être pris au sérieux, vous ne pouviez pas vous tromper en prenant la position la plus machiste, ce que j’appelle parfois l’« effet grondement er-er-er ».

Combiné avec l’écroulement de l’Union soviétique en 1991, la notion de suprématie militaire américaine fut sans égale et sans contestation, et a engendré les théories néocons visant à transformer la « diplomatie » en « ultimatums » américains. Au Moyen Orient, cette vision fut partagée par les Israéliens de la ligne dure qui en avaient assez de négocier avec les Palestiniens et autres Arabes.

À la place des négociations, il y aurait un « changement de régime » pour tout gouvernement qui n’adopterait pas la ligne. Cette stratégie a été élaborée en 1996, quand un groupe de néocons, dont Richard Perle et Douglas Feith, sont intervenus en Israël pour soutenir la campagne de Benjamin Netanyahu et ont concocté un document stratégique intitulé : « A Clean Break : A New Strategy for Securing the Realm ».

L’Irak a été la première cible sur la liste des néocons, mais suivait immédiatement la Syrie et l’Iran. L’idée centrale était qu’une fois éliminés ou neutralisés les régimes aidant les Palestiniens et le Hezbollah, Israël pourrait dicter ses conditions de paix aux Palestiniens qui n’auraient d’autre choix que d’accepter ce qu’on leur offrait.

En 1998, le projet Project for the New American Century, élaboré par les néocons Robert Kagan et William Kristol, appelait à une invasion américaine de l’Irak, mais le président Bill Clinton a reculé devant une décision aussi extrême. La situation a changé, cependant, à l’arrivée du président George W. Bush et les attaques du 9/11 (attentats des Twin Towers) qui ont terrifié et rendu furieuse l’opinion publique américaine.
Immédiatement, les néocons ont eu un Commandant en Chef pour approuver la nécessité d’éliminer Saddam Hussein, et il ne fut pas difficile de persuader les Américains, bien que l’Irak et Saddam Hussein n’avaient rien à voir avec le 9/11 (cf www.consortiumnews.com « The Mysterious Why of the Iraq War »)

La mort du « Réalisme »

L’invasion de 2003 a sonné la mort du « réalisme » en matière de politique étrangère à Washington. Vieux ou morts, les « adultes » se turent ou ont fait la sourde oreille. Du Congrès et de l’Exécutif aux think-tanks et aux principaux médias d’information, pratiquement tous les « leaders d’opinion » étaient des néocons et de nombreux libéraux se rangèrent derrière les arguments de Bush en faveur de la guerre.

Et même si le « groupe pensant » de la guerre d’Irak avait pratiquement complètement tort à la fois sur les armes de destruction massive comme justification de la guerre et sur l’idée que ce serait « du gâteau » de mettre en place un nouvel Irak, pratiquement aucun de ceux qui avaient soutenu le fiasco, n’a été sanctionné pour l’illégalité de l’invasion ou pour le soutien à un plan totalement dénué de bon sens.

Au lieu de répercussions négatives, ceux qui ont soutenu la guerre en Irak – les néocons et leurs complices Libéraux et Faucons (aile dure des Républicains) ont essentiellement renforcé leur contrôle sur la politique étrangère américaine et les majors du secteur médiatique d’information. Du New York Times et Washington Post à la Brooking Institution et l’American Entreprise Institute, le programme de « changement de régime » a continué d’élargir son influence.

Peu importait que la guerre sectaire en Irak tue des centaines de milliers de personnes et provoque le déplacement de millions d’autres ou qu’elle donna l’occasion d’émerger à la branche impitoyable d’al Qaïda en Irak. Pas même l’élection de Barack Obama, en 2008, pourtant un opposant à cette guerre, n’a changé cette dynamique globale.

Plutôt que de résister au nouvel ordre en matière de politique internationale, Obama s’est incliné, retenant des joueurs clefs de l’équipe de sécurité nationale du président Bush, tels que le Secrétaire à la Défense, Robert Gates et le général David Petraeus, et recrutant des va-t-en-guerre démocrates, dont Hillary Clinton qui est devenue Secrétaire d’État, et Samantha Power du Conseil national de sécurité.

Ainsi, le culte du « changement de régime » n’a pas seulement survécu au désastre irakien, il s’est développé. Chaque fois qu’un problème émergeait à l’étranger, « La » solution était le « changement de régime », accompagné de l’habituelle diabolisation d’un dirigeant ciblé, du soutien à une « opposition démocratique » et d’appels à l’intervention militaire. Le président Obama, probablement un « closet realist » (réaliste de cabinet) s’est retrouvé dans le rôle du « timoré en chef », poussé, à contrecœur, d’une croisade pour un « changement de régime » à une autre.

En 2011, par exemple, la Secrétaire d’État, Hillary Clinton et Power, du Conseil national de sécurité, ont convaincu Obama de s’allier avec quelques dirigeants européens « chauds pour la guerre » pour réussir le « changement de régime » en Libye, où Mouammar Kadhafi s’était lancé dans l’offensive contre des groupes qu’il avait identifiés comme des terroristes islamistes, dans l’est libyen.

Pour Clinton et Power il s’agissait de tester leurs théories de « guerre humanitaire » – ou « changement de régime » – visant à chasser du pouvoir un « voyou » comme Kadhafi. Obama a rapidement adhéré et, avec le soutien technologique crucial de l’armée américaine, une campagne de bombardements dévastateurs a détruit l’armée de Kadhafi, l’a chassé hors de Tripoli, pour finalement le conduire à son assassinat par la torture.

Nous sommes venus, nous avons vu, il est mort !

Hillary Clinton s’est dépêchée de tirer parti de ce « changement de régime ». Dans un échange d’email, en août 2011, son ami de longue date et conseiller personnel, Sidnay Blumenthal, fit l’éloge de la campagne de bombardement visant à détruire l’armée de Kadhafi et salua l’expulsion du dictateur gênant de Tripoli.
« Tout d’abord, bravo à vous ! C’est un moment historique et c’est à vous qu’on l’attribuera », écrivait Blumenthal à Clinton le 22 août 2011. « Si Kadhafi lui-même est finalement renversé, vous devriez, bien sûr, faire une déclaration publique devant les caméras où que vous vous soyez, vous devez aller devant les caméras. Vous devez entrer dans les archives de l’Histoire à ce moment-là… La phrase la plus importante est : « stratégie victorieuse ».

Clinton transmit le conseil de Blumenthal à Jake Sullivan, un proche assistant du Département d’État. « SVP, lire ci-dessous, écrit-elle, Sid a bien vu ce que je dois dire, mais c’est conditionné à la chute de Kadhafi qui donnera une dimension plus spectaculaire. J’hésite car je ne sais pas combien j’aurais d’occasions ».
Sullivan répondit : « Cela peut être bon pour vous de vous exprimer juste après son départ, pour marquer le coup… Vous pouvez aussi donner plus de poids en vous présentant physiquement, mais il paraît censé de formuler quelque chose de définitif, comme, par exemple, la Doctrine Clinton ».

Cependant, lorsque Kadhafi a abandonné Tripoli ce jour-là, le président Obama a saisi cette occasion pour faire une déclaration triomphale. Clinton a dû attendre jusqu’au 20 octobre 2011, lorsque Kadhafi fut capturé, torturé et assassiné, pour exprimer sa satisfaction sur le « changement de régime ».

Dans une interview télévisée, elle a célébré la nouvelle dès qu’elle s’est affichée sur son téléphone mobile en paraphrasant la célèbre déclaration de Jules César après la victoire des Romains en 46 av. J.C : « Veni, vidi, vici » – (Je suis venu, j’ai vu, j’ai vaincu). Clinton a adapté la fanfaronnade de César en « Nous sommes venus, nous avons vu, il est mort ». Puis elle a ri et applaudi.

Il est probable que la « Doctrine Clinton » serait devenue une stratégie d’« interventionnisme libéral » pour procéder à un « changement de régime » dans des pays en crise, où le dirigeant cherchant à éliminer une menace sécuritaire, et dont les États-Unis désapprouvent l’action. Mais le problème avec la fanfaronnade de Clinton sur la « Doctrine Clinton », c’est que l’aventure libyenne a rapidement tourné à l’aigre. Les terroristes islamistes contre lesquels Kadhafi avait mis en garde, se sont emparés de vastes pans de territoire et ont transformé le pays en un nouveau « champ de ruines », comme en Irak.

Le 11 septembre 2012, l’attaque du consulat américain à Benghazi et la mort de l’ambassadeur américain Christopher Stevens et trois autres membres du personnel diplomatiques a fait exploser cette réalité aux yeux des Américains. Il est apparu que Kadhafi n’avait pas tout à fait tort sur la nature de son opposition.

Finalement, la violence extrême en Libye s’est tellement développée de façon incontrôlée que les États-Unis et les pays européens ont abandonné leurs ambassades à Tripoli. Depuis, les terroristes de l’État islamique se sont mis à décapiter des chrétiens coptes sur les plages libyennes et à massacrer d’autres « hérétiques ». En pleine anarchie, la Libye est devenue une voie pour les migrants désespérés qui cherchent un passage vers l’Europe en traversant la Méditerranée.

Guerre à Assad

Parallèlement au « changement de régime » en Libye, la même démarche a été engagée en Syrie. Les néocons et les interventionnistes libéraux ont fait pression pour le renversement du président Bachar al-Assad, dont le gouvernement s’est fissuré en 2011 après ce qui est rapidement devenu une rébellion violente conduite par des éléments extrémistes, bien que la propagande occidentale l’ait présentée comme l’opposition « modérée » et « pacifique ».

Pendant les premières années de guerre civile en Syrie, le prétexte fut la répression injustifiée de ces rebelles « modérés » et la seule réponse fut le « changement de régime » à Damas. Les affirmations d’Assad selon lesquelles l’opposition incluait de nombreux extrémistes islamistes fut largement méprisée, comme le furent les avertissements de Kadhafi en Libye.

Le 21 août 2013, une attaque au gaz sarin dans la banlieue de Damas a tué des centaines de civils. Le Département d’État américain et les médias dominants ont immédiatement accusé les forces d’Assad en même temps qu’ils exigeaient une vengeance militaire contre l’armée syrienne.

Malgré les doutes au sein des milieux du renseignement américain sur la responsabilité d’Assad dans cette attaque, que certains analystes considèrent, au contraire, comme une provocation terroriste anti-Assad, les vociférations des néocons de Washington et des interventionnistes libéraux en faveur de la guerre furent intenses et tout doute fut balayé d’un revers de la main.
Cependant, le président Obama, conscient du scepticisme des milieux du renseignement, a renoncé à une frappe militaire et finalement œuvré à un accord négocié par le président russe Vladimir Poutine dans lequel Assad acceptait de remettre tout son arsenal chimique, bien qu’il continuât à nier son implication.

Bien que l’accusation contre le gouvernement syrien à propos de l’attaque fut finalement tombée à l’eau – avec l’accumulation des preuves d’une opération déguisée par les radicaux sunnites pour tromper les Américains et les pousser à intervenir à leurs côtés – la « pensée de groupe » officielle de Washington a refusé de reconsidérer ce jugement précipité. Hiatt se réfère toujours à la « sauvagerie des armes chimiques » d’Assad.

Toute suggestion selon laquelle la seule option réaliste en Syrie est un compromis autour du partage du pouvoir qui inclurait Assad – qui est considéré comme le protecteur des minorités chrétienne, chiite et alaouite – est rejeté par le slogan « Assad doit partir ».

Les néocons ont créé une croyance populaire selon laquelle la crise syrienne aurait été évitée si seulement Obama avait suivi leur conseil en 2011, à savoir une nouvelle intervention américaine pour obtenir en force un autre « changement de régime ». Cependant, l’issue plus que probable aurait été, soit une autre occupation illimitée et sanglante de la Syrie par l’armée américaine, soit le drapeau noir du terrorisme flottant sur Damas.

Au tour de Poutine

Le président russe, Vladimir Poutine, est un autre « voyou », depuis l’échec, en 2013, du projet de bombardement de la Syrie. Il a rendu fou de rage les néocons par sa collaboration avec Obama pour obtenir la remise des armes chimiques syriennes, puis en œuvrant à des négociations sérieuses avec les Iraniens sur leur programme nucléaire. Malgré les désastres du « changement de régime » en Irak et en Libye, les néocons voulaient à nouveau utiliser leur baguette magique en Syrie et en Iran.

Poutine a été puni par les néocons américains, dont Carl Geshman, le président du NED (la Fondation nationale pour la démocratie), et le secrétaire d’État adjoint pour l’Europe, Victoria Nuland (l’épouse de Robert Kagan) par leur aide au « changement de régime » en Ukraine, le 22 février 2014, et le renversement du président élu Viktor Yanukovych, et en mettant en place un régime violemment anti-Russie, à la frontière.

Aussi satisfaits qu’aient été les néocons de leur « victoire » à Kiev et de leur diabolisation réussie de Poutine dans les grands médias américains, l’Ukraine a suivi la pente post- changement de régime prévisible conduisant à la guerre civile. Les Ukrainiens de l’ouest ont lancé une brutale « opération anti-terroriste » contre la population russe de l’est qui a résisté au coup d’État soutenu par les États-Unis.

Des milliers d’Ukrainiens sont morts et des millions ont été déplacés, alors que l’économie nationale ukrainienne basculait vers la faillite. Cependant, les néocons et leurs amis Libéraux et Faucons démontrèrent à nouveau leur capacité de propagande en mettant toutes les responsabilités sur le compte de « l’agression russe » et de Poutine.

Bien qu’Obama ait été, apparemment, pris de court par le « changement de régime » en Ukraine, il s’est joint rapidement au concert d’accusations contre la Russie et Poutine. L’Union européenne s’est, également rangée derrière la demande américaine de sanctions contre la Russie malgré le mal que ces mêmes sanctions infligeaient à l’économie européenne déjà vacillante. Aujourd’hui, la stabilité de l’Europe subit une autre pression avec le flot de réfugiés qui arrivent des zones de guerre au Moyen Orient.

Des dizaines d’années de chaos

Si on regarde, aujourd’hui, les conséquences et les coûts de la dernière dizaine d’années marquées par la stratégie néocons/libéraux-Faucons de « changement de régime », le nombre de morts en Irak, Syrie et en Libye dépasse, selon les estimations, le million tandis que plusieurs millions de réfugiés arrivent dans des pays moyen-orientaux fragiles et pèsent sur leurs ressources.

Des centaines de milliers d’autres réfugiés et de migrants ont fui vers l’Europe, aggravant la pression importante sur les structures sociales du continent déjà affectées par la récession sévère qui a suivi le crash de Wall Street en 2008. Sans la crise des réfugiés, la Grèce et d’autres pays du sud de l’Europe batailleraient quand même pour répondre aux besoins de leurs citoyens.

En revenant en arrière un instant et en mesurant l’impact de la politique des néoconservateurs américains, on peut être étonné de l’étendue du chaos qu’ils ont créé sur une large partie de la planète. Qui aurait pensé que les néocons auraient réussi à déstabiliser non seulement le Moyen Orient, mais, également, l’Europe…

Et pendant que l’Europe se débat, les marchés d’exportation chinois se resserrent, provoquant une instabilité dans cette économie cruciale, et, de ce choc, les répercussions se font sentir aux États-Unis.

Nous assistons aux tragédies humaines provoquées par les idéologies des néocons/Libéraux-Faucons à travers la souffrance des Syriens et autres réfugiés débarquant en Europe et la mort d’enfants noyés dans la fuite désespérée de leurs parents loin du chaos créé par le « changement de régime ». Mais les griffes des néocons/libéraux-Faucons sur Washington finiront-elles par se casser ? Un débat sur les dangers de la stratégie du « changement de régime » sera-t-il même autorisé dans le futur ?

Pas si les « Fred Hiatt du Washington Post » ont quelque chose à dire à ce sujet. La vérité est que Hiatt et autres néocons maintiennent leur domination sur les grands médias américains. Ce que nous pouvons, donc, attendre des différents médias dominants, c’est plus de propagande néocons mettant le chaos non sur le compte de leur politique de « changement de régime », mais sur l’échec de parvenir à davantage de « changements de régime ».

Le seul espoir est que de nombreux Américains ne se fassent pas avoir, cette fois, et qu’un « réalisme » tardif revienne dans la stratégie géopolitique américaine, consistant à rechercher des compromis raisonnables pour restaurer l’ordre politique dans des endroits comme la Syrie, la Libye et l’Ukraine. Au lieu de toujours plus de confrontations dures à la « Rambo », peut-être y aura-t-il, finalement, des tentatives sérieuses de réconciliation.

Mais l’autre réalité est que les forces interventionnistes se sont enracinées profondément à Washington, dans l’Otan, dans les grands médias d’information et même dans les institutions européennes. Il ne sera pas facile de débarrasser le monde des graves dangers créés par les stratégies néocons.

Note:

Robert Parry, directeur du site www.ConsortiumNews.com, est un journaliste d’investigation. Il a publié de nombreux articles pour Associated Press et Newsweek dans les années 1980 sur l’affaire Iran-Contra et l’implication de la CIA. Il est l’auteur, entre autres, d’une trilogie sur la famille Bush et ses connexions avec l’extrême droite américaine).

mercredi, 23 septembre 2015

Het “Mensisme” – een nieuwe en (opnieuw) wereldvreemde utopische ideologie

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Het “Mensisme” – een nieuwe en (opnieuw) wereldvreemde utopische ideologie
 
 
Peter Wim Logghe
Ex: Deltastichting - Nieuwsbrief - nr. 96 - September 2015
 
Utopisten hebben dat gemeen dat iedereen die ook maar één woordje twijfel durft uitspreken over de haalbaarheid, de wenselijkheid en het menselijke van betrokken utopie, ongenadig wordt neergesabeld als “onverdraagzaam, als “bekrompen”, ja, als “ongelovige”. Elke zin voor nuance verdwijnt, want de minste twijfel bij haalbaarheid en wenselijkheid kan het utopisch project trouwens onderuit halen.

Dit gevoel bekroop mij toen ik de commentaar las van de Oostenrijkse bondskanselier Werner Faymann, die over het Hongaarse terughoudend beleid ten opzichte van de asielinvasie zei: “Dit beleid doet denken aan de holocaust”.  Intussen roepen politici, kerkoverheden, schooloverheden, en andere leidende kringen (die meestal héél ver af wonen van asielcentra…) in West-Europa op om méér te doen voor de arme drommels die aan onze deuren kloppen.

Linkse stellingen krijgen opnieuw vrij baan in de media. Voorheen was het “de school voor iedereen”, “het huwelijk voor iedereen”, nu klinkt het luid “asiel voor iedereen”, “Roeselare is een stad voor iedereen”, “open grenzen voor iedereen”, “geen mens is illegaal”.  Uit dit alles kan men gemakkelijk de oud-linkse utopische wensvoorstellingen distilleren, zoals ze al altijd hebben bestaan. De Sehnsucht (aldus Peter Kuntze in Junge Freiheit) naar een “betere wereld”, naar een ordening zonder hiërarchie, zonder boven en onder, zonder grenzen,  een wereld dus die voor iedereen openstaat, en waar iedereen gelijk is. De volmaakt gelukkige wereld, want hoe zou je in een wereld waarin iedereen gelijk is, nog ongelukkig kunnen zijn? De communistische utopie inderdaad, in het nieuwe jasje van “Mensisme” gestoken.

Brengt de asielinvasie ongemakken met zich mee, overlast en zelfs open criminaliteit, dan staat het utopisch netwerk klaar om een en ander in het juist kader te zetten, zoals onlangs in een pamflet van “Refugees Welcome Saarland” duidelijk werd. Een Syrische, bedronken asielzoeker had een Duitser aangevallen. Deze "criminele daad" kan op geen enkele manier gelinkt worden aan een bepaalde mensenkring, die men vluchtelingen kan noemen”. Criminele daden worden niet gepleegd “door Duitsers, zwarten, gehandicapten of vluchtelingen, maar door mensen”.  En net als bij alle mensen zijn er bij asielzoekers “ook nette, propere mensen en mensen met minder goede bedoelingen”.

bobo191326.jpgUtopisch denken staat meestal zeer ver af van de realiteit. De utopische wensdroom die nu over Europa trekt – en die de kloof tussen het “conservatieve”  en dus “bekrompen” voetvolk, en de utopisch denkende kaste van beleidsvoerders steeds breder en dieper maakt – gaat in elk geval uit van een mensenbeeld dat losstaat van elke realiteit. Het gaat over “de mens”, waarbij abstractie gemaakt wordt van zijn genetische, etnische, geschiedkundige, en socioculturele achtergrond, en van zijn of haar relaties met heden en werkelijkheid. Het gaat om een omhulsel zonder inhoud, “de mens” geplaatst in “de wereld”.

In niets is het optimisme van de asielutopisten te stoppen. Ontstaat er wrevel in verschillende Beierse gemeenten en dorpen bij het zien van de grote groepen vluchtelingen, dan stelt de Duitse overheid  dat “steden en dorpen zich moeten openstellen voor het vreemde en het zien als verrijking”. Dezelfde praatjes werden 40 jaar geleden in België al verteld. Intussen blijft het wachten op concrete voorbeelden van verrijking.

Utopisme is een geloof, en elk geloof in een utopie is irrationeel. Enkele linkse militanten en kadermensen zijn in het verleden al tot de vaststelling gekomen dat dit utopisme zelf de oorspronkelijke kern van het linkse denken – de levensvoorwaarden van de eigen, autochtone arbeiders verbeteren – heeft doen verwateren, de vraag is alleen of hun bekering op tijd komt en nog iets kan uithalen.  Want de essentie van hetgeen momenteel over Europa rolt, en wat zich klaarmaakt om de komende maanden naar ons continent af te zakken, kan men moeilijk anders noemen dan een “omvolking”, of de “Grote Ruiloperatie”.  De omschrijving zelf is trouwens irrelevant, het resultaat is hetzelfde: autochtone Europese volkeren zullen op korte termijn in het eigen land tot minderheden worden.  En daarnaast wendt de kaste opperpriesters van de Nieuwe Utopie zich arrogant af van het eigen volk, en zeker van de intellectuelen van het eigen volk, die het met de neus op de feiten durven duwen.

Een licht ontvlambare toestand, zegt u?
 
Peter Logghe
 

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Ratier: les meilleurs s'en vont, les pires restent!

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lundi, 21 septembre 2015

Ron Paul Discusses Evangelical Zionists’ Support for US Wars

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Ron Paul Discusses Evangelical Zionists’ Support for US Wars

By Adam Dick
Ron Paul Institute & http://www.lewrockwell.com

Ron Paul, the former United States presidential candidate and Republican House of Representatives member from Texas, discussed in an August 8 radio interview evangelical Zionists who support the US government’s wars overseas. Paul examines the matter with Patriot’s Lament show host Joshua Bennett on KFAR radio of Fairbanks, Alaska.

Asked by Bennett why so many religious people in America are pro-war, Paul responds that, while the reasons vary from one person to the next, evangelical Zionism, which is taught by preachers at some churches, “has a lot to do with it.” Paul continues that the use of Christianity to support preventative or preemptive wars is “a gross distortion” of what Paul believes “the Christian faith is all about.” Paul explains in the interview that he sees Jesus as “the Prince of Peace.”

Also discussed in the 24-minute interview are Paul’s new book Swords into Plowshares — in which Paul writes extensively regarding the relationship among religion, war, and peace — as well as three projects Paul has undertaken since leaving the House in January of 2013 — the Ron Paul Institute for Peace and Prosperity, the Ron Paul Liberty Report, and the Ron Paul Curriculum.

Listen to Paul’s complete interview here.

Ron Paul Institute Executive Director Daniel McAdams and Senior Fellow Adam Dick have also been guests on the KFAR radio show.

Listen to McAdams’ interview here.

Listen to Dick’s interview here.

Corbyn et la question de l’antiSystème

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Corbyn et la question de l’antiSystème

Ex: http://www.dedefensa.org

L’élection de Jeremy Corbyn à la tête du parti travailliste britannique a constitué un événement politique exceptionnel : d’abord par la marge formidable de 59,5% des voix (le plus haut score atteint pour l’élection d’un nouveau dirigeant d’un des grands partis au Royaume-Uni) ; ensuite, par les matières qui ont été débattues lors de la campagne (outre le sujet général de l’austérité qui est une toile de fond du débat et non pas un débat, tous les grands sujets de politique extérieure) ; enfin, par la personnalité de l’acteur principal Corbyn, militant marxiste pur et dur, complètement marginalisé dans l’ensemble-Système travailliste depuis des années, donc lui-même hors-Système et qui s’impose pourtant irrésistiblement en brisant ce cadre avec une puissance totalement inattendue.

C’est ce dernier point qu’explique abondamment l’excellent chroniqueur et activiste US Chris Hedges, dans une interview qu’il a donnée le 15 septembre à RT. L’entretien porte d’abord sur le parallèle qu’on peut faire ou ne pas faire entre Corbyn et Sanders, que nous laisserons de côté mais dont on gardera à l’esprit que Hedges considère Corbyn comme un vrai révolutionnaire, au contraire de Sanders aux USA ; puis l'on enchaîne sur la signification de la victoire de Corbyn pour la gauche en Europe, et sur le “message” que la victoire de Corbyn envoie au reste de l’Europe. On appréciera que, même dans les questions faites par l’intervieweur, on trouve de ces “nuances” qui conduisent à juger cet évènement d’une part en termes d’idéologie sinon de “particratie” (ce que la gauche comme la droite restent, dans le contexte évoqués, lorsqu’elles se considèrent en tant que telles), d’autre part en termes de confrontation entre le Système et “le reste” (ditto, l’antiSystème).

... Car la question est bien celle-ci, et bien peu de commentateurs l’abordent de cette façon : Corbyn est-il un élu et une victoire de la gauche ou bien un élu et une victoire de l’antiSystème ? Ce n’est pas, ce ne peut être la même chose, sinon à raisonner dans des termes d’il y a un demi siècle ou d'un siècle et demi, alors que toutes les activités politiques constituées se faisaient sous le contrôle du Système sans que personne n’y prît garde expressément ; cela, sauf dans le chef de certaines catégories d’intellectuels et d’artistes dans certaines périodes bien spécifiques, et l’une ou l’autre complète exception politique, comme un de Gaulle.

RT : « The EU's most notable left-wing parties have been jubilant over Corbyn's victory. Why is this so important for them? »

Chris Hedges : « Well, because it is part of this popular revolt against neo-liberalism, austerity, corporate domination of our political and our cultural life, and of course it caught everyone by surprise. Corbyn was a 200-1 outsider, but they just rose up. I think it’s tapped into a kind of revulsion that’s global, that Podemos certainly tapped into, Syriza tapped into in Greece with the neoliberal order. And Corbyn represents it in a way that Bernie Sanders really doesn’t. »

RT : « What message does this Labour Party election in the UK send to the rest of Europe?

Chris Hedges : « This sends a message essentially to the international banking community that says that their ability to impose conditions that cause suffering - especially among working men and women - is one that larger and larger segments of population will not tolerate. Corbyn has even raised the possibility of withdrawing from the EU precisely because of the EU’s treatment of the Greek people. He pointed out that all of this money is not going to the Greeks - it is going to the international banking system. I think he is a kind of an example of this surge among the grassroots that’s rising up to defy the neo-liberal order and in particular the international banking system that is strangling countries... »

WSWS.org accorde bien sûr une place de choix à l’élection de Corbyn. Il y a un long texte d’analyse de Julie Hyland du 15 septembre 2015 (14 septembre dans sa version anglaise). Le sectarisme considérable du site de la IVème Internationale trotskiste qui éclate dans la deuxième partie du texte, – “Trotski sinon rien”, – a l’avantage paradoxal de conduire à une analyse acceptable du phénomène Corbyn. Les enseignements qui sont présentés sont donc :

1) Corbyn est incontestablement un homme de gauche, et même d'une gauche dure et pas loin d'être révolutionnaire, mais ce n’est pas l’“homme d'une gauche dure”, ni même cette “gauche dure”-là qui ont été élus, mais tout ce qu’il (Corbyn) représente, symboliquement, de plus opposé au Système, tout ce qu’il y a nécessairement d’antiSystème en lui, sans qu’il ne le réalise ni ne l’exprime nécessairement.

 

pod28-thickbox_default2.jpg2) Corbyn fait partie de cette “réaction de gauche”, comme Syriza, comme Podemos, même comme Sanders aux USA, de même qu’il y a une “réaction de droite”, comme le FN en France, les deux constituant les deux ailes d’une “réaction générale”... Mais “réaction” contre quoi ? “Contre de vrais dynamiques populaires qui s’expriment contre le Système, en faisant croire qu’ils (ces mouvements de ‘réaction’) les représentent alors qu’ils les canalisent et les contrôlent en vérité, parce qu’eux-mêmes (ces mouvements de ‘réaction’) sont en fait manipulés par la bourgeoisie et les oligarchies”, dit l’auteure en agitant sa pancarte “Trotski sinon rien” ; “Contre le Système, cette réaction de dynamique populaire passant par tout ce qui peut servir de véhicule pour ceux veulent exprimer leur position antiSystème”, dirions-nous en observant qu’il est préférable de ne pas faire compliqué quand on peut faire simple, d’autant plus que Trotski n’est plus parmi nous pour prendre les choses en mains.

3) L’élection de Corbyn a ouvert une brèche considérable qui pourrait, selon les évènements, se traduire par des prolongements que nous qualifierions d’antiSystème et extrêmement importants ; mais ces évènements et leurs prolongements resteront sans suite parce que « manœuvres, compromis et trahisons suivront inévitablement une victoire de Corbyn...» Voici le passage du texte de Hyland exprimant ces trois considérations.

« Pour évaluer les résultats de l'élection au leadership du Labour, il faut prendre en compte plusieurs facteurs interdépendants. L'idée reçue après la défaite écrasante des travaillistes à l'élection générale de mai était qu'ils avaient perdu parce que leur programme d’“austérité allégée” était en contradiction avec un consensus public soutenant des réductions des dépenses encore plus fortes, plus de mesures anti-immigrés et une hausse des dépenses militaires. La course à la direction devait marquer un nouveau virage à droite des travaillistes, comme le montrait l'insistance de la dirigeante par intérim Harriet Harman pour que les députés travaillistes s'abstiennent sur le projet de loi sur la protection sociale du gouvernement conservateur, qui va encore appauvrir des millions de gens. Mais l'élection a ouvert une fissure juste assez large pour donner une idée de l'hostilité de la classe ouvrière et d’une partie de la classe moyenne à de telles mesures et cela a perturbé le plan initial.

» Corbyn, député travailliste vétéran “de gauche”, qui s'est présenté sur un programme anti-austérité, a réussi à obtenir 59,5 pour cent des voix, plus que le total combiné de ses trois adversaires: Andy Burnham (19 pour cent), Yvette Cooper (17 pour cent) et Liz Kendall (4,5 pour cent). Cela en dépit, ou plutôt partiellement à cause des interventions répétées de Tony Blair qui exhortait à poursuivre son “héritage”. Ses exclamations ont garanti la déroute humiliante de Kendall, la candidate la plus blairiste. L'absence de soutien important pour les panacées droitières du New Labour, même dans la coquille rétrécie du Parti travailliste, est un reflet de l'état des rapports de classe en général.

» Ce n'est pas là juste un phénomène britannique. Les implications transformant le monde de la crise financière de 2008, crèvent partout la croûte putréfiée de la politique officielle. Une aggravation générale, économique, sociale et géopolitique de la crise du capitalisme mondial déstabilise les mécanismes traditionnels de domination, alimente le mécontentement social et politique et jette la politique bourgeoise dans un état de bouleversement et de flux.

» Cherchant à retrouver son équilibre politique, la bourgeoisie tente un réajustement politique lui permettant d'empêcher une classe ouvrière de plus en plus incommode d’échapper à son contrôle et de se lancer sérieusement à l’assaut du pouvoir. Cela explique d’une part la montée des forces fascistes et xénophobes tels que le Front national en France et d’autre part les expériences avec des forces de “gauche”, comme Syriza en Grèce, Bernie Sanders aux États-Unis et Corbyn en Grande-Bretagne.

» Évaluant la victoire de Corbyn, certains commentateurs considèrent, comme le dit l’ancien rédacteur du Daily Telegraph Charles Moore, que le “prochain choc porté au système” pourrait créer “un marché électoral pour ... le Bourbon barbu du bolchevisme”. Andrew Sparrow du Guardian est d’avis qu’une éruption “nullement impensable …d’une sorte de catastrophe économique... pourrait conduire les travaillistes menés par Corbyn à défier les experts et à prendre le pouvoir de la même manière que Syriza en Grèce”.

» Les travailleurs doivent considérer de tels calculs comme un sévère avertissement. Les leçons de la capitulation abjecte de Syriza en Grèce doivent être comprises, de sorte que les travailleurs ne soient pas aveuglés par les manœuvres, compromis et trahisons qui suivront inévitablement une victoire de Corbyn...»

Il est vrai que la victoire de Corbyn a été saluée, parfois de manière extatique par qui de droit, comme une “victoire de la gauche authentique”, et cette interprétation a aussitôt rétréci le champ du débat, dans le chef des mêmes commentateurs, à la seule “gauche” comme ayant la capacité d’emporter une telle “victoire” qui ne peut être comprise que comme une “victoire contre le Système”. Cette façon de voir montre que ceux qui font cette interprétation n’ont pas encore compris qu’une “victoire contre le Système” n’est pas nécessairement, loin s’en faut, une “victoire antiSystème“, alors que ce qu’il faut, à l’image de Trotski, c’est “l’antiSystème sinon rien”. Par exemple et triste exemple, Syriza a bien remporté une “victoire contre le Système” lors de son élection en janvier et jusqu’au référendum en juillet, mais la chose s’est achevée par la capitulation que l’on sait quelques jours plus tard. L’épisode démontre qu’une “victoire contre le système” n’est rien si elle ne se structure pas décisivement en une “victoire antiSystème” (dans ce cas, un “plan B” type-Grexit pouvait être tenté en guise decstructuration). La cause en est que Syriza était et reste un “parti de gauche” hors-Système, ce qui est un pas dans la bonne direction qui ne change pas grand’chose sinon rien, et nullement un “parti antiSystème”, ce qui est le pas essentiel qui changerait tout.

On retrouve les mêmes demi-mesures, les mêmes demi-exhortations, les mêmes demi-envolées, les mêmes demi-attaques antiSystème ou les mêmes attaques demi-antiSystème dans le Plan B pour l’Europe, de Jean-Luc Mélenchon, Stefano Fassina, Zoe Konstantopoulou, Oskar Lafontaine et Yanis Varoufakis, parmi lesquels on pourrait mettre bientôt un Jeremy Corbyn selon les circonstances. Tout y est parfaitement classé, avec les anathèmes de service et les “répulsions” à peine non-dites qu’on sait, pour qui l’on sait. Les antiSystème de gauche comme ceux de droite ont l’estomac fragile et disposent d’une quantité considérable de répulsion pour leurs vis-à-vis de l’autre bord (mais plus ceux de gauche que ceux de droite, nous semble-t-il, puisqu’il arrive de telles occurrences où Marine Le Pen envoya ses félicitations à Syriza lors de son élections, qui lui furent, nous semble-t-il à nouveau, retournées dans le style “il n’y a pas d’abonné...” ; et l’on peut chercher à savoir qui, dans ce cas-là et dans les stratégies proposées, Le Pen conseillant à Tsipras de quitter l’euro, se conduisait le plus en antiSystème). Les antiSystème des deux bords préfèrent en général la défaite assurée du camp antiSystème avec leur vertu partisane conservée pieusement à la défaite possible du Système dans l’audace de la conceptualisation de l’antiSystème avec ses conséquences. Difficile, très très difficile de les faire sortir de leurs arrière-cuisines...

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L'observation à la fois la plus évidente et la plus pertinente nous vient par conséquent d’un philosophe, dit-“de gauche” en plus, mais déjà largement suspecté d’apostasie dans les salons parisiens, – dès lors qu’on s’éloigne de la “ligne générale” chargée de la pédagogie permante de la démocratie et qui revient en fait au contraire de ce qu’elle prétend être. Interrogé par RT-France sur cette vaste question (implicitement celle du rassemblement des antiSystème), Onfray a une réponse qui a la vertu et l’intelligence de l’évidence ; c’est-à-dire, la proposition de facto de substituer aux “valeurs“ en général partisanes qui servent surtout de feuilles de vigne pour tenter de dissimuler la vanité et l’hybris de chaque parti, les principes par définition universels dans leur puissance structurante et qui constituent la seule force conceptuelle capable de créer véritablement une essence antiSystème. Pour autant, Onfray n’est pas du tout optimiste, – ou plutôt devrions-nous dire, “par conséquent, Onfray n’est pas du tout optimiste...” Effectivement, dans cette orientation-là nous partageons complètement ce sentiment  à la lumière des réactions diverses que nous avons rapidement passées en revue. (La seule réserve qui nuance ce pessimisme réside évidemment dans la stupidité du Système parce que, après des décennies sinon des siècles de domination, après plus de quinze ans de blairisme triomphant carburant à la spin-communication avec le soutien de toute la surpuissance dont il est capable, déboucher sur un Corbyn à la tête du parti de Tony Blair ce n’est pas très convainquant...)

RT France : « Jacques Sapir a lancé l'idée d'un mouvement rassemblant tous les souverainistes, allant même jusqu'à une alliance avec le FN. Vous avez estimé que “l’idée est bonne (...) de fédérer les souverainistes des deux bords”. Pourquoi ? »

Michel Onfray : « Les souverainistes sont majoritaires dans l’opinion mais inexistants parce que répartis dans des partis très hétérogènes qui comptent pour rien dans la représentation nationale. Mais jamais un électeur de Mélenchon ne soutiendra une thèse de Marine Le Pen et vice versa. Seul un tiers au-dessus des partis pourrait fédérer ces souverainistes de droite et de gauche. »

RT France : « Cette proposition de Sapir ne traduit-elle pas une recomposition des lignes politiques dont le pivot (ou l'axe) ne serait plus l'économie mais le rapport à l'Europe ? Comment voyez-vous cette recomposition politique du paysage français ? »

Michel Onfray : « L’idée est juste, mais elle n’aboutira pas. Les souverainistes sont représentés par des politiciens qui n’ont en tête que leur ego, leur trajectoire personnel, leur narcissisme. Aucun ne sera capable de jouer la fédération sous la bannière d’un tiers en s’effaçant. Entre la France et eux, ils ne choisiront pas la France. »

Mis en ligne le 17 septembre 2015 à 16H23

dimanche, 20 septembre 2015

Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

 

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Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

Ex: http://journal-neo.org

By Witold Gadowski and Konrad Stachnio

I am talking with Witold Gadowski, a well-known Polish journalist and co-author of Insha Allah Martyrs blond. The first picture tells the story about the Islamic State and suffering of Christians. The film premiere will be held in Spain and Paris.

Whether ISIS has something to do with the current crisis of immigration in Europe?

At the moment the whole activity of the headquarters of the Islamic State is directed to export the Islamic ideology in the interpretation of Abu Bakr al-Baghdadi. Hundreds of young people trained in the Islamic State are now sent as refugees to Europe and North America. Just talk to the spokesman of Western special services to confirm this trend. The training which took place almost officially in Turkish military camps, at the moment it is held in secret. I have seen this training. Volunteers for the Islamic ‘revolution’ are currently becoming a large stream flowing from the former republics of the Soviet Union, mainly Tajikistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Kazakhstan and the flow from China. It is currently the largest recruitment area. The Islamic State army no longer needs as many volunteers as it did. It does not lead such large operations on land as it did a few months ago. Of course, there are also Chechens, but they are highly valued as officers and experienced guerrillas.

Do you think that Islamic terrorism will be carried out in Europe on a solo terrorist tactics and strategies of a lone wolf?

Well-paid professionals have already built a virtual network a long time ago in different countries that are continually being infected by this ideology. So the activities of these lonely wolves who can commit suicide attacks can be carried out anywhere in Europe.

The economics of terrorism says: we attack where we can terrorize the public opinion the most, where people will be agitated about this fact for at least a week or two. While deciding to attack Charlie Hebdo they knew what they were doing because even after a month from the attack people held marches. They simply brought fear in.

What do the current terrorist networks consist of ? If we are using a bomb, but nobody talks about it, then this bomb brings no effect. If we are forcing the bomb in Baghdad where about 100 people died, it is news only for one day as there are bombs exploding daily  and people are not interested in following these developments. When somewhere in the center of the “free world” we are killing women and children, then fear starts becoming a factor. The economics of the terrorism has always been the same since 1972, when the Black September attacked the Olympics in Munich. Now the terrorism acts through media. These images of violence are being copied millions of times and it is them that terrorize. It is a purpose of terrorists. Killing particular people is not bringing such effects as intimidating the public opinion.

ISIS is an extremely intelligent creature because the people in charge of the activities of ISIS learned from the operation carried out by the Americans against Taliban in Afghanistan. ISIS never creates large miliwashboard formations, and if it creases them then they are placed in civilian areas. So the greatest numbers of ISIS units are located in Mosul. Why? – because it is a 1,5 million city. Bombing ISIS units infests a humanitarian disaster on civilians. This is carnage and none of the free country governments wants to be part of. ISIS is perfectly aware of that. ISIS do not use radio communicators at all. They learned this on the case of Al-Qaeda and earlier on Chechen cases as well. Dudayev was killed because of a satellite phone so all the information is provided through few couriers. These couriers transmit information very quickly. There is no radio, Internet connections or any other electronic way that could be traced by the American system. That is why they are dangerous because they always attack under cover of darkness, turmoil, etc. Then they leave their places very quickly where they live normally. We won’t distinguish ISIS fighters from civilians. Going into every village we only see the religious police, and those people who guide street movement and so on. But we do not see the ISIS units. They are all hid in private homes. At one moment when it comes orders they can leave many places and strike in one place. This is the strategy of ISIS. Besides, they change strategy all the time. Kurds told us that t ISIS attacks differently all the time. Americans do not have a chance to win this war from the air.

Whether you think that ISIS can prepare in Europe some bigger action?

In Dabiq magazine in three articles I read about Rome, the Pope and the anticipated activities of the Islamists against the Pope and Rome. One of the covers of Dabiq is the Saint Peter’s Basilica with the black banner of the Prophet waving over it. One of the main articles of the magazine says that the Islamists want to conquer Rome. In their way of thinking today Rome stands for the West. This article is simply a call to kill the Pope, as the representative of Rome – that is one reason.

They always announce it. When they killed the Dutch filmmaker, they had earlier reported that they would kill him and they did. Considering Charlie Hebdo they also previously served the information that they would take care of them and finally killed them. The bombings in Madrid and London were also announced, in the end they did it. So I would not have played down their announcement. Yes they lead a strong propaganda war, but it goes along with a particular activity.

Konrad Stachnio is an independent Poland based journalist, he hosted a number of radio and TV programs for the Polish edition of Prison Planet, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.