In attesa della conferenza di sabato 3 Ottobre , presso la libreria di Raido, scopriamo la figura e il pensiero di Carlo Costamagna, tramite anche l’ausilio dell’ultimo libro scritto da Rodolfo Sideri
a cura della Redazione
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In un’epoca di “democrazia liquida”, di sovranità limitata e quant’altro, parlare del pensiero politico di Carlo Costamagna significa entrare a gamba tesa sulle categorie moderne del politico. Ed è proprio questo il merito di Carlo Costamagna: oggettivizzare in forma giuridica e politica quella “rivolta contro il mondo moderno” che rischia, altrimenti, di essere un’inattuabile visione del mondo.
E’ questo, perciò, il merito dell’ultimo libro di Rodolfo Sideri – “L’Umanesimo nazionale di Carlo Costamagna” che riscopre questo illustre sconosciuto del ‘900, e riporta alla luce pagine importantissime della sua troppo poco nota opera. Opera riedita in minima parte, ma comunque fondamentale e da conoscere.
Tutta l’opera di Costamagna parte da un quesito: avrebbe potuto, il Fascismo, sorto grazie agli irripetibile eventi della Prima Guerra Mondiale, superare le contingenze temporali che lo avevano informato per divenire dottrina a-temporale dello Stato? E’ per questo che Costamagna cerca di definire la “dottrina fascista dello Stato”. Infatti, non è di “scienza” bensì di “dottrina” che devesi parlare nei confronti dello Stato. Lo Stato non è mera organizzazione politica: è “ordine” che contiene la diseguaglianza intrinseca di chi lo compone. E’ “ordine” poichè fondato su di una visione superiore: non un contratto sociale, semmai, reciproca subordinazione ad una volontà superiore e formatrice.
“Fascismo” è per Costamagna perciò un movimento “restauratore” della vera Idea di Stato (e di Uomo). Per questo Costamagna si batte in seno al Fascismo cercando spazio e consenso alle sue idee. Idee radicali, forse troppo per un movimento rivoluzionario divenuto prima regime e poi, in alcuni casi, burocrazia statolatrica. Costamagna propugna idee che lo rendono antipatico a chi aveva fatto carriera col Fascismo: invoca la formazione di una élite che vada al comando, integralmente fascista; invoca la funzione temporanea dello stesso “duce”, subordinata all’affermazione del vero Stato, secondo il leitmotiv diffuso fra i fascisti più intrepidi: “Deve essere Mussolini a servire il Fascismo, e non il Fascismo servire Mussolini”
Lo Stato è realtà a sè, non è un “fatto giuridico”. E’ realtà irriducibile. Ed in Costamagna la concezione dello Stato diventa tutt’uno con quella dell’uomo: perché a quell’uomo avente dimensione spirituale ed integrale non potrà che corrispondere uno stato analogo.
Costamagna afferma, di conseguenza, la superiorità dello Stato su tutto: nazione, popolo, diritto stesso. Lo Stato è autosufficiente, è principio generatore. Si oppone così alla visione contrattualistica che pone l’individuo, ed il razionalismo, a fondamento dello Stato. E’ la riaffermazione totale del principio virile ed aristocratico della politica. La grande politica, potremmo dire.
Costamagna si schiera contro l’illuminismo, il liberalismo ed il positivismo in genere. E va oltre. La sua acuta analisi lo porta a comprendere che è proprio nella frattura, già segnalata da Evola e Guenon, determinata dal razionalismo e poi proseguita con Umanesimo e Rinascimento, che stanno i motivi della decadenza attuale.
Le pagine di Costamagna sulla sovranità sono una anticipazione beffarda al triste destino delle nazioni europee post-1945. Il vero Stato o è sovrano o non è. E’ uno schiavo eunuco, lo stato senza vera sovranità.
La questione del “bene comune” invece – un vero e proprio mantra del liberalismo e dell’individualismo moderno – secondo Costamagna si può risolvere solo alla luce di un’esperienza e d’una visione spirituale. Dove, però, per bene comune si intende un bene “politico”, e non misurabile secondo i criteri edonistici della felicità o, peggio, quelli economicistici della ricchezza.
Non è questa la sede per affrontare la biografia politica di Costamagna, che meriterebbe dei capitoli a parte che neanche il libro di Sideri, nella sua economia complessiva, può affrontare se non di sfuggita. Molto ci sarebbe da dire in merito al capitolo del rapporto con Gentile ed Evola. Rispetto al primo, non possiamo che ribadire e sottoscrivere le posizioni di Costamagna contro quell’idealismo liberale di Gentile che nulla aveva a che realmente spartire con il Fascismo. Ricordiamo di sfuggita che solo per un limite del Fascismo, che non seppe o non volle essere coerente con le sue premesse rivoluzionarie, non si apportò nella cultura politica quella spinta radicale che invece uomini come Costamagna, ardentemente fascisti – della “prima ora”, a differenza di Gentile – invocavano a gran voce. Gentile dagli anni ‘30, cioè dopo il consolidamento istituzionale del Fascismo, non ebbe vita facile, bersagliato com’era dall’eterogeneo mondo degli anti-idealisti fascisti.
Quanto al rapporto con Evola, parlano abbastanza le collaborazioni alla rivista di Costamagna “Lo Stato”. Inoltre, un capitolo a parte, pressoché sconosciuto, meriterebbe il progetto che nel secondo dopoguerra avrebbe visto Evola, su incarico di Berlino, costituire delle “uova del drago” a Roma all’indomani della conquista alleata. A tale progetto Costamagna avrebbe partecipato attivamente ma, altro non è dato sapere.
Capitolo a parte, su cui si sofferma Sideri, è dedicato ai rapporti fra Costamagna e la Rivoluzione Conservatrice germanica (austriaca e tedesca), nei rapporti con Spann e Schmitt in particolare. L’economia dell’opera non ha consentito di approfondirli ma, pure, Sideri sottolinea alcuni aspetti di convergenza e di divergenza che ci fanno dire come Costamagna abbia superato (positivamente) alcuni limiti di entrambi i filoni. Anche sul grandissimo Carl Schmitt, Costamagna infatti segna il punto, soprattutto circa le differenti vedute in merito al cosiddetto Führerprinzip.
Non male per un illustre sconosciuto…
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