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vendredi, 25 janvier 2013

Prezzolini on Representative government

Prezzolini on Representative government

Giuseppe_Prezzolini

“Representative government is artifice, a political myth, designed to conceal from the masses the dominance of a self-selected, self-perpetuating, and self-serving traditional ruling class.”


Giuseppe Prezzolini, Italian dissident, soldier & organic intellectual

mercredi, 16 janvier 2013

Il ricordo di Adriano Romualdi (1940-1973)

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Ricorrenze. Il ricordo di Adriano Romualdi (1940-1973), intellettuale controcorrente

Pubblicato il 17 dicembre 2012 da Gianfranco de Turris
Categorie : Personaggi Rassegna stampa
Ex: http://www.barbadillo.it/ 

Se lo sono chiesto, ce lo siamo chiesto, me lo hanno chiesto nel 1983, nel 1993, nel 2003: che cosa avrebbe fatto, che cosa avrebbe detto, che avrebbe scritto, come si sarebbe comportato Adriano se fosse stato vivo?

Una domanda cui non è facile rispondere, anche per uno come me che della storia fatta con i “se” si occupa. Una domanda però che sottintende un senso di distacco, di privazione, ancora d’incredulità di fronte al suo destino, di sotterranea ammirazione per un uomo immaturamente e tragicamente scomparso a causa di un’imperscrutabile e terribile decisione del Fato (che nel 2000 ha voluto ripetersi con Marzio Tremaglia), anche da parte di chi non l’ha mai conosciuto se non, forse, attraverso i suoi scritti.

Adriano era della mia generazione, quella degli anni ’40, ma il primo di tutti essendo nato proprio nel 1940: oggi avrebbe avuto 63 anni, un signore di una certa età con sicuramente alle spalle molti libri, moltissimi articoli, forse anche una carriera universitaria.

Personalmente già mi sono posto l’interrogativo presentando il volume di tutti gli scritti di Adriano dedicati ad Evola (Su Evola, Fondazione Evola, 1998), ma oggi come oggi non riesco a pensare esattamente alla sua posizione rispetto alla politica odierna, se non che sarebbe stato intransigentemente all’opposizione di quella attualmente espressa dal partito erede del MSI, soprattutto sarebbe stato contro la sua politica non-culturale. Infatti, l’azione di Adriano fu sempre su questo piano che possiamo definire metapolitica, secondo gli insegnamenti evoliani. In tutti questi anni, se fosse vissuto, la sua importanza avrebbe potuto essere, nonostante alcune sue rigidità caratteriali, quella di un catalizzatore culturale: sarebbe diventato un’importante figura di riferimento, organizzatore e promotore d’iniziative, in polemica con l’ufficialità. Per semplice induzione sono quasi sicuro che avrebbe polemizzato con gli indirizzi presi, nella sua ultima fase, dalla Nuova Destra, e penso proprio che in qualche modo ambiguo avrebbero cercato d’incastrarlo, com’è successo a molti altri, durante gli anni del terrorismo e dello stragismo, in qualcosa di losco, di certo lontanissimo dal suo modo di pensare e dai suoi intenti. Era, infatti, una personalità di primo piano, anche per essere il figlio di Pino, uno dei fondatori del MSI ed alla fine vice-segretario, e si esponeva parlando e scrivendo: insomma poteva dare fastidio e per le sue idee e per essere una figura aggregatrice.

Era, proprio per quel suo scarto di pochi anni di età, un “fratello maggiore” (mi pare che la definizione sia di Maurizio Cabona), perché l’unico “maestro” della Destra italiana del dopoguerra, anche se non voleva essere chiamato così, era e rimane Julius Evola, di cui Adriano, per la lunga vicinanza e frequentazione, e per essere stato il primo a divulgarne ed interpretarne la “visione del mondo”, può considerarsi l’unico vero “allievo”. Come tale, come “fratello maggiore”, aiutò ed incoraggiò diversi di noi aprendoci le pagine de L’Italiano, uno dei mensili politico-culturali degli anni ’70, su cui si fecero le ossa in molti e dove si dibatterono argomenti oggi comuni ma che allora erano “nuovi” per la Destra ufficiale e del tutto trascurati: non solo cinema e narrativa contemporanea, ma anche fumetti, uso dei mass media, scienza, ecologia, letteratura fantastica, nuove tecnologie e nuove forme d’espressione, analisi della persuasione occulta, tendenze del costume italiano.

Una parte cospicua della storia della cosiddetta “destra pensante” si dovrà fare esaminando le pagine de L’Italiano soprattutto nel periodo in cui Adriano se n’occupò abbastanza direttamente, cioè negli anni della “contestazione”, fra il 1967 ed il 1973.

Era, infatti, del parere che più che lamentarsi della situazione esistente si dovesse agire concretamente sul piano, appunto, culturale e metapolitico. Conclude, infatti, così il suo saggioPerché non esiste una cultura di Destra del 1965 ed in edizione definitiva del 1970: “Bastano pochi cenni per tracciare le linee di sviluppo di una cultura di destra. Ma quest’astratto orientamento incomincerà a prendere forma quando dei singoli si metteranno a scrivere ed a fare”.

Penso che molti dei suoi amici di allora, magari prendendo strade personali diverse, questa via l’abbiano seguita: hanno scritto ed hanno fatto, nei limiti quantitativi consentiti dalle difficoltà insite all’establishment culturale italiano, per parlare degli ostacoli frapposti dalla stessa Destra ufficiale.

Ma l’hanno fatto.

L’idea che Adriano aveva di cultura la espresse in questo suo saggio, ancor oggi attuale e preveggente, per il semplice motivo che, a distanza di quasi 40 anni, le condizioni – diciamo così ambientali – non sono cambiate affatto. Le ragioni essenziali e di fondo di questa storica difficoltà della “cultura di destra”, a parte le situazioni contingenti e pratiche che non venivano per nulla da lui sottovalutate, Adriano le sintetizzava così: “Ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio dell’egemonia ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo, neo-illuminismo e scientismo a sfondo psicanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d’estrazione “sociale”. Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione del mondo unitaria dell’uomo, dei fini della storia e della società”.

Invece – ecco la contrapposizione secondo le sue parole – “dalla parte della Destra nulla di tutto questo. Ci si aggira in un’atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese (…). A Destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica. Si è “patriottico-risorgimentali” e s’ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l’idea unitaria. Oppure si è per un “liberalismo nazionale” e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l’Ordine Europeo. O, ancora, si parla di “Stato Nazionale del Lavoro” e si dimentica che una Repubblica Italiana fondata sul lavoro ce l’abbiamo già – purtroppo – e che ricondurre in questi termini la nostra alternativa significa soltanto abbassarsi al rango di Socialdemocratici di complemento”.

E concludeva: “Basta poco ad accorgersi che se a Destra non c’è una cultura, ciò accade perché manca una vera idea della Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica, antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe oleografie politiche”.

Ecco perché nel saggio La “nuova cultura” di Destra, Adriano criticava le idee dell’allora nominato “consigliere culturale” del MSI, Armando Plebe, che era riuscito ad annacquare la piattaforma ideale dell’allora Destra Nazionale facendola diventare neo-illuminista, pragmatica, de-ideologizzata ed al massimo anti-comunista: “egli”, scriveva Adriano, “sotto il profilo ideologico è piuttosto un liberale che un uomo di Destra”. Plebe incassò e non replicò, ma si ricordò di queste critiche, tanto che dopo la sua morte non ebbe la minima remora a definire la posizione di Adriano come “l’aspetto più retrivo ed infecondo della cultura di destra”. Quasi quasi aveva ragione a contrario: nel senso che le posizioni dell’attuale partito che dovrebbe rappresentare la Destra italiana sembrano essere proprio quelle propugnate da Plebe; basti leggere il colloquio-intervista del suo presidente a La Repubblica (4 Novembre 2003) dove, alla domanda “Quali sono le nuovi componenti culturali del suo partito”, così risponde: “Indicherei tre radici essenziali: nazionale, nell’accezione non di nazionalismo ma di amor-patrio; liberale; cattolica”. Come ben si vede, Adriano aveva già capito tutto 40 anni fa. La sua posizione, infatti, faceva riferimento alla “Rivoluzione Conservatrice” nel senso più ampio, e non solo tedesco, del termine. Lo confermò in quello che fu uno dei suoi ultimi scritti: la risposta ad un’inchiesta su “le scelte culturali dei giovani di destra” che avevo preparato per Il Conciliatorema che poi venne pubblicata, poiché si era bruscamente troncata la mia collaborazione con il mensile milanese, sulla rivista dell’Ingegner Volpe, Intervento, nell’aprile 1973, pochi mesi prima del fatale incidente, e che ora ho riunito nel volume I non-conformisti degli anni Settanta(Ares, 2003).

Una rivoluzione che, come ben si sa, si rivolgeva ai valori del passato per andare avanti, secondo una definizione di Moeller Van Den Bruck da Adriano citata: “Essere conservatori non significa dipendere dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni”. Frase che – se permettete – accosterei ad un altro grande cui mi avvicinano alcuni miei interessi: Tolkien, il quale a sua volta diceva: “Autore o amatore di fiabe è colui che non si fa servo delle cose presenti”. In fondo esprimono lo stesso concetto.

Nel prendere questa posizione Adriano metteva in pratica i dettami di Julius Evola che già nel 1950, scrivendo per i ragazzi reduci dell’esperienza della RSI, su Orientamenti al punto secondo consigliava di abbandonare il contingente e mantenere l’essenziale. Per questo motivo, Adriano, pur essendo dissenziente su certe posizioni evoliane, poteva concludere così la sua risposta all’inchiesta prima ricordata: “Se mi è permessa una valutazione personale, noi che abbiamo letto da adolescenti Gli uomini e le rovine (e non siamo poi così pochi) siamo nel nostro ambiente – grazie ad Evola – i soli non qualunquisti”. Appunto, quel che è diventata la Destra ufficiale di oggi. Ma questa possibilità da lui indicata, purtroppo, non è mai stata sfruttata, né sembra possibile farlo attualmente anche se ci sarebbero le condizioni teoriche ottimali per farlo. Infatti, la Sinistra è ideologicamente,culturalmente e moralmente allo sbando: regge solo per il suo essersi da mezzo secolo innestata profondamente nei gangli della cultura italiana e per il rimanervi grazie alla forza d’inerzia, alla convivenza ed al mutuo soccorso. Oggi a sinistra si stanno ammettendo le colpe delle stragi compiute dopo il 25 aprile, si stanno ammettendo i compromessi ed i silenzi colpevoli nei confronti di Stalin e Togliatti, si riconosce l’asservimento degli storici ad una visione comunista con il conseguente condizionamento d’intere generazioni, si ammettono connivenze, complicità, conformismi. Eppure, non si riesce ad approfittare di questo momento di gravissima crisi perché l’ambiente della Destra Politica non è cambiato rispetto a quello descritto da Adriano 40 anni fa, non si è creata una “visione del mondo”, si è andati avanti alla giornata al punto da, alla fine, negare se stessa, rinnegando il proprio passato praticamente in blocco, rifiutando tutti i suoi riferimenti culturali, preferendo il Nulla o il qualunquismo (il che è quasi la stessa cosa) ad un serio ripensamento e ad una riattualizzazione: non ha rifiutato il contingente e mantenuto l’essenziale, ma ha rifiutato sia il contingente che l’essenziale. Ha tagliato, com’è stato scritto con grande compiacimento dei progressisti (ma strumentalmente, ai fini della politica-politicante), tutte le sue radici. Aggiungiamo che ha distrutto i ponti ed ha bruciato i vascelli alle sue spalle: ma non esiste alcun futuro senza un passato. Tanto meno con un passato costruito all’impronta, da neofiti, da nuovi arrivati. Ma c’è di peggio. Non ci si limita a rifiutare il passato di tutto un mondo umano, ma, per essere ben accetti, lo si denigra e lo si offende, andando addirittura contro certe correnti storiografiche che cercano di riequilibrare giudizi puramente ideologici su di esso, con un cinismo assoluto e strumentale. Sicché, per tornare a noi, si è potuto leggere che Adriano era un esaltato, che viveva condizionato dal nibelungico crepuscolo del nazismo, al punto di essere affetto da “autismo ideologico” e di rappresentare una “cultura di addetti alla nostalgia” (Marco De Troia, Fronte della Gioventù, Settimo Sigillo, 2001), quasi un piccolo cattivo maestro nazista, razzista e radicale (G.S. Rossi, La destra e gli ebrei, Rubettino, 2003), perché ovviamente il grande cattivo maestro era Julius Evola, entrambi contrapposti ai “buoni” del vecchio MSI, quelli che poi avrebbero creato l’attuale entità politica sua erede.

Di fronte a questo rinnegamento e a questa denigrazione da parte di una destra che si vuole accreditare presso i “poteri forti” attuali, non si può fare a meno di pensare a qualcosa di concreto, non solo ricordando Adriano, ma ristampando in edizione critica le sue opere da troppo tempo scomparse. Fosse vissuto sino ad oggi, con alle spalle il curriculum culturale di 40 anni di attività, sarebbe stato un punto di riferimento, come ho detto, di una resistenza non solo culturale e metapolitica, ma anche morale. Non essendoci più, noi non possiamo far altro che cercare di seguire gli spunti, le idee, i riferimenti che ci ha lasciato, adeguandoli ai tempi naturalmente, come del resto avrebbe fatto anche lui. Tempi questi che, mai – credo – Adriano avrebbe voluto prevedere, pur avendoli in parte immaginati, anche nelle sue visioni più pessimistiche.

A cura di Gianfranco de Turris

dimanche, 06 janvier 2013

Rassegna Stampa

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano
 

Come l'economia di guerra USA provocò l'attacco giapponese
di Robert Higgs [05/01/2013]
Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte]

L’antieuropeismo necessario, l’antiamericanismo indispensabile
di Gianni Petrosillo [05/01/2013]
Fonte: conflittiestrategie

Un intervento umanitario in Siria, 150 anni fa
di Pascal Herren [05/01/2013]
Fonte: Europeanphoenix

Ripoliticizzare la decrescita
di Marino Badiale, Fabrizio Tringali [05/01/2013]
Fonte: il-main-stream

Le quattro virtù cardinali: temperanza
di Francesco Lamendola [05/01/2013]
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

La guerra è colpa dei dittatori...
di Fabrizio Fratus [05/01/2013]
Fonte: iltalebano.com

Le metamorfosi della destra
di Stenio Solinas [05/01/2013]
Fonte: il giornale [scheda fonte]

L'energumeno Monti
di Francesco Mario Agnoli [05/01/2013]
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Food-sharing: condividere comunitariamente il cibo per evitarne lo spreco
di Laura Pavesi [05/01/2013]
Fonte: ilcambiamento

Il consumismo? La colpa è della politica in crisi
di Francesco Bevilacqua [05/01/2013]
Fonte: ilcambiamento

Cronache sottili: 2012, appunti su un anno passato
di Andrea G. Sciffo [05/01/2013]
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Thriller Ingroia e gli zombie arancioni
di Marino Badiale e Fabrizio Tringali [05/01/2013]
Fonte: il-main-stream.blogspot

Dalla tecnocrazia alla scienza comunitaria
di Michele Corti [05/01/2013]
Fonte: ruralpini

La «democratica» Birmania bombarda i Kachin
di Fabio Polese [05/01/2013]
Fonte: agenziastampaitalia

Grandi banche indagate per frode
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi [05/01/2013]
Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

Riabitare la realtà, verso un recupero della cultura
di Etain Addey [05/01/2013]
Fonte: ilcambiamento

 
 

 

dimanche, 23 décembre 2012

Monti crise de la gouvernance et de la démocratie

Monti crise de la gouvernance et de la démocratie

par Jean-Gilles MALLIARAKIS

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Pas facile de mesurer, même pour un pays aussi proche que l'Italie, les conditions politiques locales. Ainsi la menace de démission de Mario Monti, formulée le 9 décembre, si elle devait se confirmer est ressentie comme une formidable menace pour la gouvernance européenne. Le motif de cette crise réside dans l'annonce d'un retour de son prédécesseur sur la scène électorale.

Or les choses qui paraissent simples au départ, se compliquent souvent à l'usage. Les organes de la désinformation parisienne nous apprenaient ainsi, le 12 décembre, que Silvio Berlusconi change son fusil d'épaule. Il se dit prêt à se retirer en cas de candidature du chef du gouvernement, aux élections législatives anticipées (1)⇓ "J'ai proposé à Monti d'être candidat en tant que chef de file du centre modéré et il a dit qu'il ne le voulait pas. Si sa position change, je n'aurai aucun problème à m'écarter (...) Je n'ai pas d'ambition personnelle", déclare maintenant l'ancien président du Conseil.

Observons aussi que tout ceci pose en fait la question de la démocratie dans chacun de nos pays que nous croyons encore des États souverains.

Ce n'est pas en effet dans le cadre des débats internes, que fut décidée la chute de deux gouvernements, celui de Silvio Berlusconi à Rome et celui de Georges Papandréou à Athènes. Ils furent éliminés en fait lors de la réunion de Cannes du 3 novembre 2011 en marge du G20.

Les deux personnages n'incarnaient à vrai dire, dans leurs pays respectifs, ni les mêmes idées, ni les mêmes pratiques, ni les mêmes configurations psychologiques

Mais l'un comme l'autre se trouvaient confrontés à la même situation financière inextricable. Celles-ci résultent de pratiques budgétaires désormais incompatibles avec l'Union monétaire.

Il se trouve cependant que l'un comme l'autre disposait de majorités parlementaires. Assurant leur légitimité au regard des règles démocratiques celles-ci les avaient soutenus jusque-là.

On jugeait alors inadmissible le cas du chef de gouvernement grec, président de l'Internationale socialiste. Mais on ne lui reprochait pas la suite d'erreurs d'orientations économiques, pourtant impardonnables, et démagogiques, infligées à son pays à partir de sa victoire électorale de l'automne 2009.

On n'acceptait simplement pas l'idée qu'il pût soumettre à référendum l'accord financier de sauvetage conclu avec ses partenaires européens et avec les bailleurs de fonds. Cette procédure aurait pu sembler pourtant la moindre manifestation de politesse à l'égard du peuple souverain.

Quant à son homologue de Rome on avait laissé passer toutes ses frasques et incongruités : on n'acceptait pas son esquisse, tant soit peu bâclée, en quelques jours, de rétablissement des comptes publics. Or, rappelons-le, les finances de l'État italien dégagent ce qu'on appelle des "excédents primaires", c'est-à-dire des amorces de remboursement de la dette. En revanche, depuis plusieurs années les nouveaux emprunts contractés par le Trésor Public hexagonal servent à financer les échéances des prêts antérieurs. (2)⇓

La manière dont les deux hommes furent alors débarqués a fait l'objet d'un témoignage, pour une fois recevable, venant d'un témoin direct, le petit ministre parisien des finances Baroin. Il n'hésite pas d'ailleurs à contredire aujourd'hui, dans son livre (3)⇓ les déclarations qu'il diffusait à l'époque pour convaincre le monde de la solidité de la Zone Euro.

Et donc, sous la pression du Directoire de fait au sein de l'Union européenne, et Berlusconi et Papandréou ont dû laisser la place. Celui-ci s'est retiré au profit d'un gouvernement provisoire constitué, pour quelques mois, autour du respectable banquier central Loukas Papadimos. Celui-là s'est démis au profit d'un ministère technique dirigé par Mario Monti, honnête transfuge de la Commission.

Certains ont cru pouvoir monter en épingle les liens réels ou supposés avec la finance internationale et plus précisément avec la firme Goldman Sachs. Ils auraient sans doute gagné en crédibilité en pointant d'autres ramifications : le malaise est le même, on l'exorcise comme on veut, ou comme on peut.

Ainsi tout le monde cite cette fameuse banque, presque comme on pourrait parler des clients de la SNCF, mais on omet soigneusement de rappeler le rôle néfaste de Strauss-Kahn aux côtés de Papandréou, ou la réunion du groupe de Bilderberg à Vouliagmeni en 2009, à laquelle participait le gentil fonctionnaire de l'OCDE Papakostantinou qui allait devenir ministre [socialiste] des Finances du calamiteux gouvernement.

La réalité cependant n'est pas aussi "journalistique" ; elle ne correspond pas nécessairement à un "complot" : elle résulte en effet d'une contradiction mécanique.

Ainsi lorsque Mario Monti annonce sa décision à la fois "irrévocable", mais "à terme", et quoique soumise à condition suspensive... lorsqu'il dit qu'il déclare qu'il se retirera "après le vote sur la loi d'orientation budgétaire" ... supposée répondre en décembre 2012 à des objectifs posés en novembre 2011... il paraît logique de se poser certaines questions subsidiaires.

L'Italie va de toute manière vers des élections. Anticipées ou non, la différence ne semble pas considérable. Le parti "démocrate" ex-démocrate sinistre, et ex-communiste, est présenté comme bénéficiant d'un fort vent en poupe. Que se passera-t-il dès lors si le nouveau gouvernement remet en cause, comme le suffrage universel pourrait bien l'y inviter, les conséquences monétaires des accords européens ?

Conservant pour ma part une certaine sympathie pour Gianfranco Fini, considéré comme un traître par les inconditionnels berlusconiens, et actuellement président de la chambre des députés italiens, je consulte toujours ses commentaires et je lis celui du 9 : à propos de la démission [annoncée] du chef du gouvernement, il trouve qu'elle "fait honneur à son sens des responsabilités". Certes : mais comment compte-t-on s'y prendre pour faire face aux pressions qui vont, immanquablement s'exercer sur l'État italien et sur sa Trésorerie du fait de cette hypothétique décision.

Nous disposons, avec la Grèce, hélas pour ce pays, d'un laboratoire expérimental particulièrement riche en enseignements depuis 2009.

On doit mettre en cause la lucidité de tous ceux qui, depuis, ont répété successivement "l'Espagne c'est pas pareil", "l'Italie c'est pas pareil". Ils diront bientôt que "la France c'est pas pareil", comme les chips et les chipsters, alors qu'en réalité ce sera pareil, les mêmes causes [le surendettement] provoquant les mêmes effets [la ruine].

Qu'avons-nous pu observer en Grèce :

1° Ne perdons pas de vue le malheur d'une partie du pays. À ce jour le chômage atteint officiellement un taux de 24,8 % et les jeunes prennent comme aux pires heures de l'Histoire, chemin de l'exil. Tous les journaux de l'Hexagone en parlent. On peut regretter cependant qu'ils en profitent pour distiller un sous-entendu permanent... celui dont nous ont toujours intoxiqués les républiques successives "tout va mieux en France"... comme s'il fallait remercier notre classe politique de lambeaux de prospérité que l'État central parisien n'a pas encore gâchés.

2° Les manifestations de masse contre l'austérité se sont soldées par des échecs. Elles ne servent à rien sinon à renforcer la méfiance des investisseurs, et même à encourager la sortie, légale ou non, des capitaux : pourquoi détenir un compte bancaire local susceptible de changer de devise de référence du jour ou lendemain ?

3° la sympathie des Étrangers ne produit pas grand-chose. Elle s'émousse très rapidement, dans le meilleur des cas, quand elle ne se transforme pas en suspicion et hostilité.

4° l'incompréhension des médiats, des observateurs et même des décideurs les amène à confondre la classe politique et le pays en général, à assimiler les discours des imprécateurs et de l'opposition aux actes réels du gouvernement, etc.

Au total les réponses technocratiques à la crise, opérées par d'irresponsables et molles synarchies n'ont fait dans un premier temps que renforcer les courants d’opinions protestataires. Fort heureusement, les baudruches apparues depuis plusieurs mois commencent à se dégonfler.

Car, quelle que soit l'aide extérieure, un pays ne peut s'en sortir que par lui-même.

La simple "gouvernance", ce mot horrible réduisant les choses à leur dimension administrative, cela ne suffit jamais. Les mesures les plus arithmétiquement évidentes requièrent l'adhésion des hommes.

Plus tard l'opinion prend conscience de l'obligation de ne pas dépenser l'argent dont on ne dispose pas, plus le rétablissement se révèle douloureux.

Il était bien tard à Athènes en juin 2012 lorsque fut enfin constitué le gouvernement d'Antonis Samaras.

Et, en France l'heure tourne, au point que le soir tombe, quand chaque semaine le gouvernement Ayrault annonce de nouvelles dépenses non financées.

JG Malliarakis
        

Apostilles

  1. cf. AFP du 12/12/2012 à 18:42
  2. cf. "Pour une libération fiscale" chapitre "L'Etau budgétaire de 2012"
  3. cf "Journal de crise" JC Lattès, 2012, 220 pages.

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mardi, 04 décembre 2012

Rassegna Stampa (Nov. 2012/2)

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano (Nov. 2012/2)
  • Trans-Iran
    di Antonello Sacchetti - Giovanna Canzano [29/11/2012]
    Fonte: giovannacanzano.it



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lundi, 19 novembre 2012

Geopolitica, vol. I, no. 3 (Autunno 2012)

 

Che cos’è la geopolitica?

In corso di stampa: l’inizio della distribuzione è previsto per il 29 novembre

Geopolitica, vol. I, no. 3 (Autunno 2012)

CHE COS’È LA GEOPOLITICA?

“Geopolitica” è oggi un termine molto in voga, usato e persino abusato. Infatti, lo si ritrova spesso utilizzato come sinonimo di “politica internazionale”, affrontata non di rado con un approccio giornalistico. In realtà, la Geopolitica vera e propria è qualcosa di diverso. Si tratta d’una disciplina accademica che si sta affermando in molti paesi, d’un approccio interpretativo e analitico le cui origini affondano a oltre un secolo fa. Ma se gli equivoci prosperano, è anche perché la geopolitica ancora manca d’una chiara definizione degli obiettivi e metodologica, condivisa nel mondo scientifico. Da qui l’esigenza di porsi il fatidico interrogativo: che cos’è la geopolitica?
274 pp., cartografie b/n, ISBN 9781907847134
 

Sommario dei contenuti:

 

Editoriale

Geopolitica: una scienza in evoluzione
Tiberio Graziani

La rinascita della geopolitica sembra aver soppiantato negli ultimi decenni le analisi tipiche delle Relazioni Internazionali riguardo alla identificazione dei futuri scenari globali. Tuttavia, a fronte del successo mediatico di tale disciplina, scarsi risultano essere le riflessioni teoriche a suo sostegno. Manca infatti ancora una valida teoria della geopolitica. Tale carenza sembra essere dovuta alla sua caratteristica di disciplina limite tra impostazione operativa e approccio speculativo.

Focus

Che cos’è la geopolitica?

Aymeric Chauprade

La geopolitica è una scienza dotata d’una propria e precisa metodologia. Essa si può definire come lo studio delle relazioni politiche tra poteri statali, intra-statali e trans-statali a partire dai criteri geografici. Tali criteri sono non solo quelli della geografia fisica, ma anche identitaria (etnica e religiosa) e delle risorse. La nuova scuola francese di geopolitica, inaugurata da Thual nei primi anni ’90, rifiuta qualsiasi ideologizzazione, semplificazione e riduzionismo della storia. Sfortunatamente, il termine “geopolitica”, dopo essere stato a lungo rigettato, è ora diventato di moda al punto che giornalisti che si occupano di affari internazionali sono spesso definiti dai media come “geopolitici”, pur non praticando affatto la materia. Il termine è stato assimilato dall’ideologia dominante ma svuotato di contenuto.

 
Quarantatre teorie e concetti per un modello geopolitico

Phil Kelly

Lo studio della geopolitica classica richiede un modello che ne raccolga gli assunti, i concetti e le teorie, selezionandoli e inquadrandoli rispetto a una ben precisa definizione. Definita la geopolitica come lo studio dell’impatto di certe caratteristiche geografiche sul comportamento degli Stati, s’individuano almeno 43 teorie o concetti che possono appartenere al modello della geopolitica classica. Tra essi ve ne sono alcuni connessi alla dicotomia centro-periferia, altri all’idea del perno, altri ancora al ruolo di confini e frontiere o alla nozione di spazio. Quest’articolo vuol essere un primo passo per elevare la geopolitica a metodo di studio delle relazioni internazionali.

 
A cosa serve la geopolitica? Alcune lezioni dal caso turco

Emidio Diodato

La geopolitica non serve a esprimere l’interesse nazionale e le percezioni spaziali dei popoli, bensì a formulare scenari. V’è la geopolitica degli analisti, che indica vincoli e opportunità ai decisori; la geopolitica dei critici, che decostruisce questi scenari; e la geopolitica delle relazioni internazionali. La geopolitica può infatti inserirsi come paradigma nelle relazioni internazionali, avendo i suoi tratti distintivi nell’impostazione globale e nell’attenzione per i processi di controllo e gestione dello spazio. Il caso della Turchia offre alcuni esempi e lezioni.

 
Spunti di riflessione su geopolitica e metodo: storia, analisi, giudizio

Matteo Marconi

La geopolitica conosce un successo straordinario nel linguaggio giornalistico e sempre più si va diffondendo anche in ambito accademico, pur non avendo una chiara definizione disciplinare. Questo saggio si propone di discutere i presupposti per una fondazione scientifica della geopolitica, tentando di unire all’interno dello stesso problema di ricerca la storia della disciplina, l’analisi dei casi concreti e il giudizio su di essi. La geopolitica sarà scientifica solo se saprà risvegliarsi alla migliore tradizione della sua origine di pensiero, cioè come critica della frammentazione del sapere e della separazione tra scienza e politica.

 
Itinerario d’un geopolitico del XX secolo

François Thual & Emile Chapuis

Il brano seguente è tratto dall’opera La passion des autres. Itinéraire d’un géopoliticien du XX siècle. Conversation avec Emile Chapuis, pubblicata da CNRS Editions di Parigi nei primi mesi del 2011. François Thual, tra i più importanti studiosi di geopolitica viventi, vi ripercorre la propria carriera, sintetizza i propri studi e riflessioni, formula previsioni per il futuro. La parte qui presentata si riferisce all’introduzione ed alle conclusioni del libro, dove discute la sua concezione della geopolitica, lo scopo e i limiti del modello geopolitico, la natura della guerra.

 
Intervista a Carlo Jean

Daniele Scalea

Intervista a cura di Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”. Il generale Jean discute di definizione e finalità della geopolitica, e suo stato in Italia. La presente intervista è stata realizzata il 6 luglio 2012.

 
Geografia, geopolitica e Heartland: la politica estera britannica e l’eredità di Sir Halford Mackinder

Geoffrey Sloan

H.J. Mackinder sviluppò, unendo la prospettiva geografica di lungo periodo a quella strategico-militare, una visione delle relazioni internazionali concettualizzata nella teoria dell’Heartland. Il presente articolo mira a riepilogare l’esposizione di tale teoria che diede prima nel 1904 e poi nel 1919, e analizzare l’operato di Mackinder quando per la prima e unica volta nella sua vita si trovò in condizione d’influire concretamente sulla politica estera britannica, in qualità di alto commissario in Russia Meridionale durante la guerra civile. Infine, si valuta quanto la teoria dell’Heartland sia ancora rilevante nella situazione geopolitica odierna.

 
Il percorso di un geopolitologo tedesco: Karl Haushofer

Robert Steuckers

Il testo che segue, realizzato come recensione del primo dei due sostanziosi volumi che il professor Hans-Adolf Jacobsen ha dedicato a Karl Haushofer, si concentra sul periodo in cui si forma la visione geopolitica dell’autore tedesco. Si ripercorrono dunque il suo periodo in Giappone, l’esperienza di combattimento nella Prima Guerra Mondiale, e l’elaborazione delle prime teorie geopolitiche negli anni ’20, incentrate principalmente sulla zona del Pacifico. La conclusione è che la geopolitica tedesca di Haushofer prese avvio prima dell’avvento del nazismo e come cambiamento nazional-rivoluzionario più o meno russofilo.

 
Lev Gumilëv e la geopolitica contemporanea

Dario Citati

La teoria etnologica e le ricerche storiche dello studioso russo Lev Gumilëv (1912-1992) hanno esercitato una grande influenza sulle dottrine geopolitiche in molti Paesi dell’ex Unione Sovietica. L’articolo esamina in dettaglio
il pensiero di questo Autore, proponendone una specifica interpretazione complessiva per poi passare in rassegna le letture che ne hanno dato numerosi intellettuali e politici contemporanei: dagli esponenti della cosiddetta etnogeopolitica russa all’eurasismo kazako, dalla proiezione geostrategica di un ex Generale dell’esercito russo alle riflessioni dell’ex Presidente del Kirghizistan Askar Akaev. Ne emerge una ricezione estremamente differenziata, indicante che l’attualizzazione propriamente geopolitica del suo pensiero è frutto molto più della rielaborazione altrui che dei suoi contenuti intrinseci. Ciò malgrado, la sua eredità occupa un posto di rilievo nell’ambito della
storia della storiografia e del pensiero sociale.

 
Polvere, spade e pietre: la comparsa del pensiero geopolitico presso gli storici greci dell’età classica

Mehdi Lazar

Se la geopolitica è lo studio degli antagonismi tra poteri o dell’influenza sui territori – tali antagonismi sono indotti non soltanto da interpretazioni oggettive degli attori ma anche soggettive – allora la geopolitica è antica. Poiché gli antagonismi tra poteri sono propri delle società umane, i pensatori della loro epoca hanno cominciato molto presto a commentare, riportare, spiegare e interpretare questi conflitti. Nella Grecia di allora gli storici viaggiarono, insegnarono, combatterono, pensarono e rifletterono su questioni geopolitiche con formulazioni che soddisfacevano criteri molto diversi ma che fornivano tutte delle risposte, in parte, in un contesto generale. Di conseguenza, molti concetti geopolitici classici fecero la loro comparsa in Europa per la prima volta.

 
L’interpretazione geopolitica del continuum spazio-temporale nell’ambito delle scienze storiche

Vladislav Gulevič

Quando nasce la comprensione propriamente geopolitica dei rapporti fra gli Stati? In questa breve riflessione teorica si propende per una risposta duplice. Da un lato, le relazioni fra i popoli e fra gli Stati hanno avuto sin dall’Antichità un carattere «oggettivamente» geopolitico per via dell’influenza che in forme diverse lo spazio geografico ha sempre esercitato sulla storia. Dall’altro lato, una coscienza geopolitica dello Stato, intesa come rappresentazione di sé e dei propri interessi in relazione allo spazio, è un fenomeno sostanzialmente moderno. Sebbene l’antagonismo fra Roma e Cartagine costituisca forse il primo esempio di coscienza geopolitica da parte di un’entità politica, soltanto con le riflessioni degli ultimi secoli la geopolitica ha assunto una fisionomia specifica come disciplina e come orientamento programmatico delle classi dirigenti.

 
La geopolitica contemporanea e i problemi globali di un mondo in cambiamento

Aleksej G. Černišov

La geopolitica, disciplina che per definizione studia i processi di lunga durata, non può esimersi dall’affrontare uno dei più difficili problemi del mondo contemporaneo: il divario tra una disponibilità limitata di risorse e la tendenza globale a stili di vita insostenibili con essa. Il caso del petrolio, a rischio di esaurimento ma ancora determinante sia nelle economie sia nelle strategie geopolitiche dei diversi Stati, ne costituisce esempio emblematico. L’articolo sviluppa una riflessione generale sull’importanza di inserire questo problema tra le priorità dell’analisi geopolitica, insistendo su due punti: la comprensione che dietro il «villaggio globale» si celano irriducibili diversità identitarie ed enormi disparità di condizione fra fasce di popolazione; la necessità di concepire la geopolitica non nei termini di una corsa allo sviluppo per garantirsi un vantaggio a breve-medio termine sugli altri Paesi, bensì come strategia di lungo periodo che miri anche ad un equilibrio tra bisogni e risorse.

 
La Geopolitica dei Grandi spazi multidimensionali

Vladimir A. Dergačëv

A cavallo tra il secondo e il terzo millennio, nella geopolitica si è verificato un Rinascimento – un ritorno della geopolitica alla sua veste di scienza interdisciplinare analitica. Si avvertiva un urgente bisogno di sistemi analitici dotati di un moderno pensiero geopolitico. Senza la previsione geopolitica è impossibile immaginare il futuro di un Paese. Un buon statista è tenuto a conoscere il pensiero geopolitico. La geopolitica deve diventare una parte integrante della cultura generale. Ogni persona che ambisce ad un attivismo civile nella società dovrebbe avere delle nozioni di geopolitica. L’articolo descrive le principali posizioni della teoria geopolitica dei Grandi spazi multidimensionali, illustrata come “nuova geopolitica”.

 
Geoeconomia: un nuovo paradigma per lo studio della politica mondiale

Ernest G. Kočetov

La Geoeconomia è entrata nel dibattito scientifico e nella pratica mondiale per porre fine alle controversie del vecchio mondo della Pace di Vestfalia. L’attacco al sistema economico semifeudale si è svolto in maniera potente e
senza compromessi, da tre fronti contemporaneamente, ossia da tre scuole geoeconomiche con i propri pionieri: nordamericana (con M. Parmelle, E. Luttwak e altri), russa (E. Kočetov, A. Neklessa e altri) e italiana (C. Jean, P. Savona e altri). Animato da umanismo e nuove conoscenze, mira a costruire la pace. Per capire l’idea di questo potente paradigma umanitario, la geopolitica, bisogna osservare i principi fondamentali, le caratteristiche e i meccanismi della geoeconomia. Nell’articolo è esposto il senso di questa disciplina.

 
La dicotomia geopolitica terra-mare nell’epoca della globalizzazione

Alessio Stilo

La scuola geopolitica classica, sia quella di matrice anglosassone sia quella “continentale”, si connotava per aver riprodotto la millenaria contrapposizione tra potenze talassiche e potenze telluriche. La disamina riassume le maggiori teorie geopolitiche del secolo scorso e analizza lo scenario internazionale contemporaneo alla luce della dualità geopolitica terra/mare e servendosi delle moderne teorie delle relazioni internazionali. S’intende pertanto, seguendo una metodologia comparativa, riconsiderare il ruolo della geopolitica classica nello studio delle relazioni interstatuali, svincolandolo dal determinismo tipico di un approccio meramente ambientale, onde arricchirlo attraverso l’apporto delle varie scienze ausiliarie e dei diversi fattori analitici.

Orizzonti

 
ATOM Project. L’impegno del Kazakhstan per un uso responsabile dell’energia nucleare nel mondo

Luca Bionda

Il fabbisogno energetico mondiale legato soprattutto alle prospettive di sviluppo delle nuove potenze mondiali contribuisce ad orientare l’interesse del mondo scientifico e tecnologico verso la diversificazione delle fonti energetiche, dando nuova linfa al dibattito sull’uso del nucleare per scopi civili. Ad oltre 25 anni dal mai dimenticato incidente nucleare di Černobyl’ ed a seguito dei recenti avvenimenti presso la centrale giapponese di Fukushima Dai-ichi del Marzo scorso, il tema della sicurezza nucleare si ripropone in modo prepotente a livello internazionale. Anche sul fronte del nucleare per scopi bellici il dibattito è sempre vibrante. Per quanto riguarda le iniziative volte a scongiurare la proliferazione nucleare nel mondo per scopi militari, senza dubbio meritevole di considerazione è il cosiddetto “ATOM Project”, nata con il supporto del Centro Nazarbayev per volontà dello stesso presidente kazaco.

 
La società postmoderna dei consumi e i valori estetici della cultura popolare

Wang Ning

Il postmodernismo da tempo esercita una forte influenza sulla vita e la cultura cinese. La nuova cultura popolare di consumo sfida la produzione e circolazione della cultura elitaria. In Cina v’è una notevole differenza tra ricchi e poveri, cittadini e contadini. A Pechino e nelle città costiere la cultura di consumo è dominante, anche se l’80% della popolazione sta ancora modernizzando i suoi stili di vita. La cultura popolare è benvenuta dalla maggioranza della popolazione, che ne fruisce tramite i moderni mezzi di comunicazione. Pochi dei suoi prodotti diventeranno però opere d’arte canoniche degne d’essere riscoperte dai critici e ricercatori del futuro. Su questa base gl’intellettuali umanisti dovrebbero assumere un giusto atteggiamento verso la prevalenza della cultura popolare nella società consumista postmoderna. La versione italiana di quest’articolo è stata curata da Lavinia Benedetti (Università di Catania, ricercatrice) su incarico diretto dell’Autore.

 
“Primavera Araba” o “Risveglio Islamico”?

Ghorbanali Pour Marjan Varjovi

Negli ultimi 18 mesi, in Nordafrica e nel Vicino Oriente, sono accaduti alcuni eventi politici di cui sono state fornite differenti interpretazioni. Nell’articolo seguente si cercano di chiarire alcuni punti cruciali. Il primo è quello, non solo terminologico, della scorrettezza dell’appellativo “Primavera Araba”, frutto di un malinteso o d’una volontà di distorsione occidentale: quello in corso è in realtà un risveglio islamico Tale Risveglio Islamico è in relazione con la Rivoluzione Islamica dell’Iran, e da essa trae ispirazione, ma s’inserisce in un processo di più ampia portata sia geografica sia storica. Il suo effetto sarà la nascita d’una nuova civiltà islamica, improntata all’islamismo moderato e al rifiuto dell’occidentalizzazione.

 
Il problema del Kashmir: un confronto con lo Xinjiang e qualche possibile soluzione

Anand Pratap Singh

L’India amministra oggi circa il 43% del Kashmir, ma il governo indiano su queste aree è contestato dal Pakistan, il quale controlla circa il 37% della regione, vale a dire l’Azad Kashmir e le zone settentrionali di Gilgit e Baltistan. Una piccola porzione di Kashmir è controllata infine dalla Cina. Nell’articolo si prendono in esame gli interessi geopolitici di India, Pakistan e Cina collegati alla regione del Jammu e Kashmir. Si effettua inoltre un confronto tra come l’India ha gestito la questione del Kashmir e come la Cina quella dello Xinjiang. Affinché si trovino pace e sicurezza in Kashmir, è necessario interrompere i sospetti tra le tre parti che da tempo condizionano le loro relazioni, così come sono necessari contemporaneamente una più ampia autonomia per il popolo del Kashmir.

 
I BRICS e la ricerca di un nuovo ordine mondiale

Zorawar Daulet Singh

I BRICS incarnano la speranza di costruire un’alternativa al sistema di governance mondiale, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale e guidato da USA, Europa e Giappone, ormai in crisi e screditato. Sono errati i moniti degli analisti occidentali, secondo cui l’alternativa all’unipolarismo sarebbe solo il caos, o che vedono nei BRICS la forza in grado di sorreggere la globalizzazione senza intaccare il predominio occidentale. È altresì vero che i BRICS non potranno rimpiazzare gli USA come egemone, dal momento che alla potenza economica non corrisponde una pari forza militare; né i BRICS potranno costruire una vera alternativa di governance mondiale finché non riusciranno a risolvere i loro squilibri interni e di gruppo.

Gli autori:

LUCA BIONDA Direttore Programma “Sistema Italia” dell’IsAG
AYMERIC CHAUPRADE Direttore di “Realpolitik.tv”, già professore di Geopolitica all’École de Guerre
ALEKSEJ G. ČERNYŠOV Professore di Politologia e preside della Facoltà di Tecnologie sociali (Università di Economia e Commercio di Mosca (RGTEU)
EMILE CHAPUIS Giornalista
DARIO CITATI Ricercatore associato e direttore del Programma “Eurasia” dell’IsAG, dottorando in Slavistica (Università La Sapienza di Roma)
ZORAWAR DAULET SINGH Ricercatore presso il Center for Policy Alternatives di Nuova Delhi
VLADIMIR A. DERGAČËV Doktor nauk in Scienze geografiche
EMIDIO DIODATO Professore associato in Scienze politiche (Università per Stranieri di Perugia)
TIBERIO GRAZIANI Presidente dell’IsAG, direttore di “Geopolitica”
VLADISLAV GULEVIČ Analista del Centro di Studi Conservatori, Università Statale di Mosca
CARLO JEAN Generale dell’Esercito Italiano, docente alla Link Campus University (Roma)
PHIL KELLY Docente di Scienze politiche (Emporia State University, Kansas, USA)
ERNEST G. KOČETOV Presidente dell’Accademia Pubblica di Scienze Geoeconomiche e Globalistiche
MEHDI LAZAR Ispettore del Ministero dell’Istruzione francese. Dottore in geografia presso l’Università Panthéon Sorbonne, laureato al Centre d’Etudes Diplomatiques et Stratégiques e all’Institut Français de Géopolitique.
MATTEO MARCONI Docente di Geografia politica ed economica (Università La Sapienza di Roma), direttore del Programma “Teoria geopolitica” dell’IsAG
WANG NING Professore di Letteratura comparata e direttore del Centro di Letterature comparate e studi culturali all’Università Tsinghua di Pechino, titolare della Cattedra Zhiyuan di Lettere e filosofia presso l’Università Jiatong di Shanghai
GHORBANALI POUR MARJAN VARJOVI Consigliere per gli affari culturali dell’Ambasciata della Repubblica Islamica d’Iran in Italia
ANAND PRATAP SINGH Dipartimento di Scienza politica, Babasaheb Bhimrao Ambedkar University, Lucknow (India)
GEOFFREY SLOAN Direttore del Graduate Institute for Political and International Studies (GIPIS), Università di Reading
ROBERT STEUCKERS Direttore di “Synergies européennes”
ALESSIO STILO Dottore in Relazioni internazionali (Università degli Studi di Messina)
FRANÇOIS THUAL Docente presso il Collège interarmées de défense e la École Pratique des Hautes Etudes

 

Rassegna Stampa

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano
 
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samedi, 17 novembre 2012

Julius Evola et la Modernité

Julius Evola et la Modernité

 

00:05 Publié dans Philosophie, Traditions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : julius evola, tradition, traditionalisme, italie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Italia in marcia!

 

vendredi, 16 novembre 2012

L'Eni, Mattei e la maledizione del petrolio

L'Eni, Mattei e la maledizione del petrolio

di Benito Li Vigni

Fonte: Il Blog di Beppe Grillo [scheda fonte]

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Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

jeudi, 15 novembre 2012

La Turquie menace l’Union Européenne et l’ENI italienne

Andrea PERRONE:

La Turquie menace l’Union Européenne et l’ENI italienne: intolérable!

 

Ankara veut entrer dans l’Union Européenne mais sa politique dite “néo-ottomane” cherche à empêcher les pétroliers italiens de l’ENI d’exploiter des gisements au large de Chypre!

 

chypre-gaz-400-de-haut_0.jpgLa Turquie réclame que l’Europe fasse un pas décisif et prenne des décisions immédiates pour faire accéder définitivement la Turquie à l’UE mais, simultanément, elle menace une importante société pétrolière européenne, l’ENI italienne, parce que celle-ci s’apprête à signer des accords avec Chypre pour exploiter les gisements de gaz au large de l’île. Pour le gouvernement d’Ankara, les mesures visant à favoriser le plus rapidement possible l’entrée de la Turquie dans l’UE devraient être prises au terme de l’actuelle présidence cypriote. De plus, la Turquie compte entrer dans le club des Vingt-Sept d’ici 2023. Ce langage fort a été tenu par le premier ministre turc Recep Tayyip Erdogan, flanqué de son ministre des affaires européennes, Egemen Bagis, dans les colonnes du quotidien turc “Hurriyet”: “A la fin de la présidence cypriote, nous attendons une avancée décisive de la part de l’UE. L’UE a actuellement une attitude contraire à ses propres intérêts. Elle doit se ‘repenser’ et accélérer le processus d’adhésion de la Turquie”, a conclu le ministre. “Nous avons dit qu’avant 2023, la Turquie devrait être un membre à part entière de l’UE”, a ajouté Bagis dans ses réponses au journaliste de “Hurriyet”, mais nous n’avons pas l’intention d’attendre jusqu’à la fin de l’année 2023”.

 

La République de Chypre va bientôt céder la présidence de l’UE à l’Irlande: ce sera en décembre de cette année. Le 31 octobre, Recep Tayyip Erdogan a lancé un avertissement aux technocrates de Bruxelles, en affirmant que si l’UE ne garantit pas l’adhésion d’Ankara pour avant 2023, la Turquie retirera sa candidature. Erdogan fixe ainsi pour la première fois une date-butoir pour l’adhésion définitive de son pays à l’UE. “Je ne crois pas qu’ils se tiendront sur la corde raide aussi longtemps”, a précisé Erdogan lors de sa visite récente à Berlin où il a répondu aux questions des journalistes allemands, “mais si nous retirons notre candidature, l’UE y perdra et, en bout de course, l’UE perdra la Turquie”.

 

Pour notre part, et nonobstant la croissance continue du PIB turc, qui frise aujourd’hui les 9%, nous ne pensons pas, à l’instar des derniers sondages, que les Européens et les Turcs souffriront tant que cela si Ankara s’éloigne de l’UE. Il nous semble plus intéressant d’observer les turbulences que crée le gouvernement turc lorsqu’il déclare se tenir prêt à réviser les accords actuels permettant à l’ENI de travailler sur territoire turc si l’entreprise pétrolière italienne forge un accord avec Chypre pour exploiter les gisements gaziers au large de l’île. Le ministre turc des affaires étrangères, Ahmet Davutoglu, créateur de la nouvelle politique “néo-ottomane” vient d’annoncer dans un communiqué: “Comme nous l’avons déjà envisagé à maintes reprises, ..., les entreprises qui coopèrent avec l’administration grecque-cyptriote seront exclues de tous les futurs projets turcs dans le domaine énergétique”. Le contentieux qui oppose l’ENI à la Turquie, suite à l’accord prévu entre l’entreprise italienne et Nicosie, remonte déjà au 30 octobre 2012, immédiatement après que le gouvernement cypriote ait annoncé la concession de quatre licences d’exploitation de gaz, tout en précisant qu’il en négociera les termes de partenariat avec les Italiens de l’ENI, les Sud-Coréens de Kogas, les Français de Total et les Russes de Novatek. Aujourd’hui, le ministre des affaires étrangères turc a invité les entreprises et les gouvernements de ces quatre pays à “agir selon le bon sens”, les incitant à ne pas oeuvrer dans les eaux cypriotes et à retirer leurs offres.

 

Le ministre turc de l’énergie, Taner Yildiz, sûr de lui, a déclaré hier selon le quotidien “Hurriyet” qu’il était prêt à revoir tous les investissements de la société pétrolière italienne en Turquie, si celle-ci scelle un accord avec Chypre pour exploiter les gisements de gaz des eaux cyptriotes. “Nous soumettrons à révision leurs investissements en Turquie si l’ENI est impliquée”. Déjà au cours de ces derniers mois, Ankara avait protesté à plusieurs reprises auprès du gouvernement cypriote, qualifiant d’“illégales” toutes éventuelles activités d’exploitation au large de l’île et envoyant dans les eaux cyptriotes des militaires, des sous-marins et des navires de guerre. De son côté, Chypre est déforcée car elle est divisée en deux depuis l’été 1974, lorsque les troupes turques ont envahi l’île et occupé sa partie septentrionale, en réponse à un coup perpétré par des éléments philhellènes à Nicosie, qui voulaient réaliser l’ENOSIS, l’union de Chypre à la mère-patrie grecque. Depuis lors, l’île ne s’est plus jamais recomposée et les deux entités, nées des événements de 1974, ont continué à vivre séparément, hermétisées totalement l’une par rapport à l’autre mais en paix, en dépit d’une colonisation forcée favorisée en totale illégalité par la Turquie, qui a incité une fraction de ses concitoyens à prendre possession de la partie nord de Chypre.

 

Andrea PERRONE.

( a.perrone@rinascita.eu ; article paru dans “Rinascita”, Rome, le 6 novembre 2012; http://rinascita.eu/ ).

mercredi, 14 novembre 2012

L’idéal de l’Empire de Prométhée à Épiméthée

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L’idéal de l’Empire de Prométhée à Épiméthée

par Massimo CACCIARI

Nous reproduisons ci-dessous un texte intéressant du philosophe et homme politique italien, Massimo Cacciari, cueilli sur le site du quotidien Libération. Massimo Cacciari est l’auteur de nombreux essais et une partie de son œuvre est traduite en français. Les éditions de l’Éclat ont ainsi publié en 2011 un texte intitulé « Le Jésus de Nietzsche ».

Métapo Infos

Incontestablement, la période qui va de l’écroulement du « socialisme réel » à la nouvelle « grande crise » que nous traversons actuellement peut être définie véritablement comme une époque. Le terme Épochè indique, en effet, l’arrêt, l’interruption, mais non pas comme s’il s’agissait d’un espace vide, d’un intervalle. Il signifie, au contraire, un resserrement dans le cours du temps, une abréviation extraordinaire, dans laquelle ses caractères essentiels s’expriment comme contractés les uns sur les autres et les uns contre les autres. L’époque, de ce point de vue, n’est donc nullement un « temps long », mais le concentré de ses significations dans un spasme, qui les révèle et peut aussi, en même temps, les dissoudre. De ce même point de vue, on peut définir comme « époque » la grande guerre civile qui a anéanti la centralité politique de l’Europe entre 1914 et 1944 : trente ans seulement, à peine plus que « notre » 1989 – 2011. Dans l’époque, se précipitent évidemment des idées, des facteurs, des contradictions mûries dans le « temps long » – et c’est pourquoi il est impossible de la comprendre de manière isolée. Mais elle assume toutefois une valeur révélatrice et déploie les mêmes éléments qui étaient déjà à l’œuvre selon des dimensions et des énergies nouvelles. Alors que, précisément, toute « normalité » est arrêtée, ce qui semblait à première vue normal et facilement prévisible dans ses développements s’exprime désormais selon des formes inattendues et inquiétantes. Dans un certain sens, l’époque assume toujours une valeur « apocalyptique ». Conséquence évidente de cet état de choses : l’affirmation d’une extraordinaire porosité des mots. Leur puissance « apophantique » décroît redoutablement. Le rapport entre les mots et les choses qu’ils devraient désigner se fait dans la plus grande insécurité. Que signifient aujourd’hui les mots démocratie ? marché ? paix ? Ou encore : nous avons fait l’unité européenne – mais que signifie l’Europe ? l’Occident ? Ainsi, le terme époque résume aussi en soi sa profonde signification sceptique : toute époque authentique se révèle également en tant que doute radical sur son propre passé et ne s’ouvre au futur que de manière hasardeuse.

À la veille d’une telle « époque », les signes qui permettent de la lire restent cachés. Les temps semblent même favoriser des prévisions contraires. La veille d’une époque se caractérise par un certain bavardage sur notre capacité à « contrôler » l’avenir, tandis que l’époque qui suit semble « faite » pour démontrer la loi éternelle de l’hétérogenèse des fins. Ce fut le cas de l’anno mirabile 1989. La troisième guerre mondiale était terminée. Un seul Titan restait en scène, à la puissance inapprochable. Mais c’était un Titan qui, malgré son nom, se voulait non-violent. C’était un Prométhée bienfaiteur des misérables mortels, qui aurait travaillé et se serait volontiers sacrifié pour harmoniser et unifier leurs désaccords et leur assurer justice et bien-être. Comme Prométhée, il avait en réserve, pour nous, le don le plus précieux : la raison, le nombre, la capacité de calculer et de transformer. L’affirmation de son modèle de rationalité aurait été le fondement de la sécurité et de la paix.

Aube ou crépuscule ? L’époque rapproche les couleurs jusqu’à les confondre. Mais tous ou presque obéirent à cette Annonce, comme à l’aube d’un Nouveau Commencement. Le tragique vingtième siècle de la « tyrannie des valeurs » déclinait enfin et surgissait l’âge de la concorde entre science, technique, marché, démocratie et « droits de l’homme ». Qu’il y ait pu y avoir une symbiose inavouable entre les deux Titans (à partir d’une origine commune !) – qu’ils n’aient pu régner qu’ensemble – et que, donc, la fin de l’un ait pu représenter une menace mortelle pour l’autre – tout cela ne fut même pas suspecté. Tout au plus les traditionnels adversaires du vainqueur s’exercèrent à en dénigrer la puissance solitaire – justifiés en cela par l’indécente jubilation de ses vassaux.

L’époque qui s’est ouverte alors a fait justice de cette antiquaille, nous rappelant le célèbre dit romain : vae victoribus ! « Malheur aux vainqueurs ! » On ne remporte pas la victoire dans la guerre tant qu’on n’a pas remporté la victoire dans la paix. Prométhée pouvait-il vaincre ? Ce Titan pouvait-il mener à terme l’ordinatio ad unum, cette « aspiration à l’unité » de cette planète toujours plus étriquée et plus pauvre, pour laquelle il se sentait depuis longtemps appelé ? Certes, il représentait le courant spirituel et politique le plus fort d’Occident, la seule puissance hégémonique qui avait survécu au suicide d’Europe, profondément enracinée dans une grande culture populaire, forte de valeurs partagées. Mais là aussi résidait sa faiblesse. Sa propre puissance créait l’illusion que le monde pouvait être guidé depuis les sommets du Capitole. Il l’avait déjà été péniblement au cours des décennies précédentes à travers le foedus, l’« alliance », toujours incertaine, mais aussi toujours opérante, entre Empire d’Occident et Empire d’Orient. L’écroulement de ce dernier ébranlait de manière automatique des régions tout entières, stratégiques d’un point de vue géopolitique et sur lesquelles le vainqueur n’avait quasiment aucune prise : il « libérait » des énergies auparavant contrôlées de quelque manière et contraintes à jouer toujours, en tout cas à l’intérieur de la « guerre mondiale »; il brisait le conflit, en le rendant illisible pour celui qui avait été formé à calculer selon les paramètres « universalistes » de cette guerre.

L’époque a mis à l’ordre du jour, impérieusement, l’idée d’Empire – et tout aussi impérieusement elle l’a démantelée. Voici un exemple éclatant de cette morsure du temps qu’une époque représente. L’occasion impériale s’avérait presque comme nécessaire à la proclamation de la victoire. Les vassaux européens suivaient, en applaudissant, son char. Mais les adversaires en faisaient tout autant. Aucune apologie de l’Empire ne fut plus convaincante, concernant le destin qu’il aurait dû représenter, que les critiques de ses détracteurs. Mais Prométhée n’est pas intrinsèquement capable d’Empire. Il ne sait pas le concevoir ex nationibus; il n’a aucune idée du pluralisme (idéologique, religieux, culturel) qui est immanent à son concept; par conséquent, il ne parvient pas à donner naissance à des formes de gouvernements authentiquement « impériales ». La guerre – que, tout au long des années 60 et 70, le vainqueur s’était déjà montré incapable de conduire efficacement en dehors des schémas de la rationalité militaire, fondés sur le concept de justus hostis – n’était que la poursuite de la faillite de la politique par d’autres moyens. L’Empire dure jusqu’au 11 septembre. Puis l’époque en consume l’écroulement.

Le 11 septembre crée l’illusion d’une relance en grandes pompes de l’idée impériale; en réalité, elle en marque la fin. Les désastreuses guerres de Bush junior en poursuivent le fantôme, tandis qu’elles essaient de masquer les causes aussi matérielles qui en décrètent la faillite.

Il s’est avéré, toujours lors de ce temps bref, dans le dialogue tout aussi bref de l’époque, que le nouvel Empire avait construit une grande partie de son hégémonie en étendant sa dette; il s’est avéré que son peuple, même en se fondant sur la foi en sa propre mission, s’est caractérisé par une épargne négative. Il s’est avéré que les politiques de l’aspirant Empire ont donné libre cours à la plus glorieuse période de dérégulation que l’histoire du capitalisme ait peut-être jamais connue et à l’écroulement de toute forme de contrôle sur les activités économiques et financières. Il s’est avéré que tout cela portait le vainqueur à dépendre tout d’abord du Japon, puis de la Chine pour le financement de sa propre dette. Il s’est avéré encore que ce financement impliquait la « reddition » à la Chine sur des questions fondamentales, comme son entrée dans l’O.M.C. en tant qu’économie de marché (sic !) et le maintien de sa monnaie à des niveaux incroyablement bas. Il s’avère maintenant que l’Empire est dans une situation de « souveraineté limitée », comme n’importe quel État de la vieille Europe.

Naturellement les ressources de Prométhée sont immenses. Mais il est évident que ses velléités d’unification ont échoué. Et elles ne pouvaient qu’échouer. La présidence d’Obama enregistre et administre cet échec. Ce sera un blasphème – et ça l’est certainement – mais on ne peut s’empêcher de le penser. Qui n’a pas salué comme un nouveau lever du jour la perestroïka de Gorbatchev ? Quelqu’un s’en souvient-il ? Mais Gorbatchev était, tragiquement, uniquement, rex destruens, « roi démolisseur ». Lourd destin – mais il revient toujours à quelqu’un dans l’Histoire de devoir défaire, de n’avoir rien d’autre à faire que défaire, sans même espérer pouvoir repartir de là. Il n’y a pas de feu sans cendres. Obama : nouvelle ère, nouveau siècle, et même : nouveau millénaire. Nouveau visage à tout point de vue – comme Gorbatchev, qui ne ressemblait certes pas aux vieux staliniens, ni au typique représentant du K.G.B., comme Poutine. Obama : voici la possibilité de relancer l’idée impériale selon le fil d’Ariane des « droits de l’homme » de l’Évangile démocratique, de l’œcuménisme dialogique. Avec l’icône éternelle de J.F.K. dans le dos. Mais il semble qu’il ne lui reste qu’à « démonter » les guerres des autres, qu’à traiter avec les « maudites » agences de notation, qui, après avoir réduit en poussière tout contrôle effectif dans les années de la grande bulle, désignent maintenant, comme des censeurs sévères, les victimes imminentes à la spéculation internationale; qu’à essayer de donner une forme plausible à l’embrouillamini inextricable qui s’est formé entre économie américaine et République populaire chinoise.

Il n’y a aucun Empire à la fin de l’époque, et moins encore quelque organisation multipolaire fondée sur d’authentiques alliances. Celui qui, il y a vingt ans, semblait pouvoir aspirer à servir de « cocher » global, arrive à peine aujourd’hui à se tenir debout. Celui qui remplit aujourd’hui une fonction économique et financière clé n’est nullement en mesure d’assumer une fonction politiquement hégémonique. Le premier pourra-t-il renaître ? Le second pourra-t-il se transformer en puissance politique globale ? Les anciennes et nouvelles puissances pourront-elles donner vie à une organisation commune, à partir des « fondamentaux » financiers, économiques et commerciaux ? L’époque suspend son jugement. Les Prométhée qui croient tout prévoir ne sont que ceux qui la projettent et la préparent. Finalement, on « calcule » comment ce qui est arrivé correspond à ce qui était attendu en moindre proportion – et l’on n’ose pas faire de prévision. L’époque commence avec Prométhée, le «  prévoyant », et s’achève avec Épiméthée, « celui qui réfléchit après coup ». De la modestie de son doute et du réalisme désenchanté de ses analyses, nous pourrons peut-être tirer quelque bénéfice.

Massimo Cacciari

• Traduit de l’italien par Michel Valensi

• D’abord mis en ligne sur le site de Libération, le 30 juin 2012, puis repris par Métapo Infos, le 6 août 2012.


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dimanche, 11 novembre 2012

J. Evola: Der Adelige Geist (1942)

Julius Evola:

Der Adelige Geist (1942)

Ex: http://www.velesova-sloboda.org/

Julius Evola (1898-1974) gilt als bedeutendster antimoderner Denker und Theoretiker der Tradition. Er stammte aus einem sizilianischen-normannischen Adelsgeschlecht und nahm als Artillerieoffizier am I. Weltkrieg teil. Während des Krieges schrieb er für die futuristische Zeitschrift Noi. Evola versuchte sich auch selbst als Künstler und begann als Futurist um 1915 mit dem Malen (eine erste Werkschau fand 1918 im Palazzo Cova in Mailand statt). Aus dem Krieg kehrte Evola 1920 nach Rom zurück und widmete sich neben der Malerei (Kunsttheoretisches Werk: Arte astratta, posizione teoretica, 1920) bis Mitte der 1920er verstärkt der Esoterik und Philosophie und schrieb zahlreiche Aufsätze. Später leitete er die Zeitschriften UR (hinter der eine okkulte Gruppierung stand) und Torre. Seit 1925 in Italien als Autor tätig, gelang es ihm 1928 mit dem Werk imperialismo pagano (Heidnischer Imperialismus, deutsch: Leipzig 1933) von 1928 erstmals außerhalb Italiens größere Aufmerksamkeit zu erregen, insbesondere weil er von den bisher gewählten esoterisch-philosophischen Themenstellungen abweichend, deutlich politischer wurde und scharfe Kritik an der Moderne übte. Die Rückkehr zu der von Evola kulturanalytisch beschriebenen Tradition mit ihren vorchristlichen Mythen und Lebensgesetzen wurde darin zur politischen Forderung erhoben. Im Jahr 1934 veröffentliche Evola sein Schlüsselwerk Rivolta contro il mondo moderno (Revolte gegen die moderne Welt), in der er seine Kulturanalyse erweiterte und eine Gesamtschau der Traditionen aller Indogermanischen Kulturen anbot (Die „Welt der Tradition“). Evola beschrieb die Moderne kulturkritisch als „Zeitalter des Wolfes aus der nordischen Welt“, die der verlorenen Welt der Tradition gegenübersteht.

„Der aristokratische Pessimismus“ (Alain de Benoist) der aus dem Schlüsselwerk spricht machte Evola nicht nur Freunde. Viele Köpfe des seit 1927 in Italien unangefochten herrschenden Faschismus kritisieren seine elitäre Haltung. Neben weiteren esoterischen Studien über den Yoga und den Buddhismus, veröffentlicht Evola 1937 die Studie Il mistero del Graal (Das Mysterium des Grals), die sich mit der Gralsidee als vorchristlichem Weistum auseinandersetzt. 1945 hielt sich Evola in Wien auf und wurde bei einem Bombenangriff schwer verletzt. Er kehrte 1948 nach Italien zurück und blieb trotz vielfacher Anfeindungen schriftstellerisch tätig. Sein Spätwerk Cavalcare la tigre (Den Tiger reiten, 1961) darf als Fortsetzung der Revolte angesehen werden, ist aber auf das ‚Überleben’ des Traditionalisten in der Moderne ausgelegt und wurde von der Rechten Italiens vielfach positiv aufgenommen, weil es eine lebbare antimoderne Haltung zum Ausdruck bringt. Evola starb am 11. Juni 1974 in Rom. Seine Asche wurde von Freunden, die seinem letzten Wunsch folgten, auf den 4634m hohen Monte Rosa in den Walliser Alpen getragen und in einer Gletscherspalte versenkt. [Eine längere Einführung bietet: Alain de Benoist: Aus rechter Sicht. Bd.2. Tübingen 1984. S.343-S.354.]

 

Julius Evola: Grundlagen eines Ordens: Der Adelige Geist (1942)

[Orden: von lat. Ordo (Stand, Verfassung, richtige Reihenfolge und Ordnung) ist ein für Evolas Denken zentraler Begriff. Er benennt damit die männerbündische Organisationsform, die zum ältesten kulturellen Erbe der Indogermanischen Welt gehört. Anzuführen sind die Kşhatriya, die in einer Kaste organisierten Krieger der Indo-arischen Kultur. Als Spätformen die weltlichen und „geistlichen“ Ritterorden des abendländischen Mittelalters wie den der Templer (gegründet 1120) und den Deutschen Orden (gegründet 1198). Im Herbst des Mittelalters der im Zuge der Türkenabwehr in Rumänien gegründete Drachenorden (1408) sowie der im Großherzogtum Burgund gegründete Orden vom Goldenen Vlies (1430), der sich bewußt auf die griechisch-heroischen Argonauten-Mythos berief. Im Mythos: Die Marut, die Jungmannengefolgschaft des Indo-arischen Kriegsgottes Indra. Die germanische Kampf- und Kultgemeinschaft der Asgardsrei oder Einherjer, gehört ebenso dieser Tradition an (Odin-Wodan als Gott der Männerbünde). Zu den Überresten in der Volkskultur vgl. Otto Höfler: Kultische Geheimbünde der Germanen. Bd. I. Frankfurt 1934.]

Da der Adelige Geist allen seinen Äußerungen vorangeht und über sie hinausragt, setzt die Frage jedes konkreten aristokratischen Gebildes die vertiefte Kenntnis vom Wesen dieses Geistes voraus. Man soll sich jedenfalls darüber klar sein, daß es sich für einen Wiederaufbau nicht um eine bloß politische, mehr oder weniger mit dem verwaltenden und gesetzgebenden Körper des Staates verbundene Klasse handelt. Es handelt sich vor allem um ein an bestimmte Schichten gebundenes Prestige und Beispiel, die eine Atmosphäre gestalten, einen höheren Lebensstil herauskristallisieren, besondere Formen des Empfindens wecken und damit tonangebend für eine neue Gemeinschaft sein sollen. Man könnte daher an eine Art Orden denken, in dem männlichen und asketischen Sinn, der diesem Ausdruck in der ghibellinischen, [Ein Schlüsselbegriff des Europäischen Mittelalters. Der Begriff Ghibellinen taucht Anfang des 13. Jht. in Reichsitalien auf. Er leitet sich von der Stammburg des salischen Kaiserhauses Waiblingen ab und wurde als Schlachtruf zu ‚ghibellino’ italienisiert. Mit diesem gaben sich die Parteigänger des staufischen Kaiserhauses zu erkennen. Hintergrund waren die Machtkämpfe um das Reich, in denen die staufische Partei sich gegen eine Reichsopposition (die Welfen, italienisiert ‚Guelfen’) und gegen ein anti-staufisches Papstum behauptete. Später wurde der Sinngehalt erweitert und löste sich von der Benennung einer Fraktion im imperialen Thronstreit, so daß mit ghibellinisch klar und deutlich die pars imperatoris (die Partei des Kaiserhauses) im Gegensatz zur Partei des Papstes bezeichnet wurde. Der Begriff wurde in der ersten Hälfte von Kaiser Friedrich II. (1194-1250) in den politischen Wortschatz in Reichsitalien aufgenommen und wurde in der Moderne von Parteigängern einer traditional verankerten imperialen Idee für sich in Anspruch genommen.] mittelalterlichen Kultur innewohnte.

Kaiser Friedrich II. Zeitgenössische Miniatur auf Pergament (1230), Domschatz von Salerno.

Kaiser Friedrich II. Zeitgenössische Miniatur
auf Pergament (1230), Domschatz von Salerno.

Noch besser könnte man aber an die alt-arischen und indo-arischen [Evola bezieht sich auf die für ihn vorbildhafte Kultur des alt-arischen bzw. Indo-arischen Indien. Um 1500 v.d.Z eroberten Indogermanische Stämme (Arier) den Subkontinent und unterwarfen seine Urbevölkerung (Drawiden). Auf erstere gehen die Sprachen Vedisch und Sanskrit zurück. Neben den kriegerischen, sind vor allem die kulturellen Leistungen der Indo-arischen Kultur wertvolle Anknüpfungspunkte, so z.B. die Verfassung der Veden, philosophisch-mythologischen Texten, die noch heute die Grundlagen des Hinduismus darstellen.] Gemeinschaften denken, wo bekanntlich die Elite in keiner Weise materiell organisiert war, wo sie ihre Autorität nicht aus der Vertretung irgendeiner greifbaren Gewalt oder einem abstrakten Prinzip herleitete, sondern durch einen unmittelbaren, von ihrer Essenz ausstrahlenden Einfluß ihren Rang bewahrte und tonangebend für die entsprechende Kultur war. Die moderne Welt kennt viele Nachahmungen des Elitismus, von denen man Abstand nehmen muß. Der Adelige Geist ist in seinem Wesen antiintellektualistisch. Er ist auch nicht mit einer unbestimmten autoritären oder diktatorischen Idee zu verwechseln. Schon der Umstand, daß man von einer "Diktatur des Proletariats" sprechen konnte, zeigt uns heute die Notwendigkeit einer näheren Bestimmung hinsichtlich Diktaturen und Autoritätsgedanken. Man hat übrigens versucht, das Phänomen des Elitismus - d.h. einer führenden Minderheit - als ein historisches Schicksal hinzustellen. Vilfredo Pareto [1848-1923; Der italienische Ökonom und Soziologe arbeitete zu den Themen ‚Ideologie-Kritik’ und ‚Elitenkreislauf’. Er gilt als einer der bedeutendsten Soziologen und lehrte ab 1891 an der Universität Lausanne. Laut Pareto ist die Geschichte ‚ein Friedhof der Aristokratien’. Revolutionäre und evolutionäre Systemwechsel beschrieb er aus soziologischer Perspektive. Er ging dabei davon aus, daß bei diesem einen Ablösung der Elite durch eine Reserveelite erfolgte, die Masse jedoch nicht zum Zuge komme.] hat diesbezüglich von einem "Kreislauf der Eliten" gesprochen, die einander ablösen, indem sie durch eine mehr oder weniger gleichartige Technik des Herrschens abwechselnd aufsteigen und sich verschiedener Ideen bedienen, die aber in diesem Zusammenhang weniger eigentliche Ideen sind als Suggestionen, bzw. zweckmäßig vorbereitete Kristallisationszentren für irrationale Suggestivkräfte. Elitismus erscheint hier also als ein rein formaler Begriff: eine gewisse Schicht ist insofern Elite, als sie die Macht ergriffen hat und es ihr gelingt, eine gewisse Suggestion auszuüben, während nach normaler Auffassung dies nur insofern der Fall sein sollte, als die Elite eine auserwählte Gruppe ist (Elite kommt von lat. eligo - wählen), der Überlegenheit, Prestige und Autorität innewohnen, die von gewissen unveränderlichen Grundsätzen, einem bestimmten Lebensstil und einer bestimmten Essenz untrennbar sind. Der wahre Adelige Geist kann daher nichts mit den Spielarten eines Herrschens auf machiavellistischer [Nicolo Machiavelli (1469-1527) kann als Begründer der Politikwissenschaft angesehen werden. Er schrieb mit Il Principe (Der Fürst) 1513 (gedruckt postum 1532) ein die politische Verhältnisse des territorial zersplitterten Italiens beschreibendes Handbuch für den Fürsten bzw. Territorialherrn. Machiavellis Fürstenhandbuch erläutert ohne Pathos nach größtmöglichem politischem Nutzen orientiertes Handeln. Ideale soll der Fürst bei der Ausübung von Macht hinten anstellen und sich ganz dem Machterwerb und Machterhalt widmen.] oder demagogischer Grundlage gemeinsam haben, wie es bei den antiken Volkstyranneien und im Tribunal des Plebs [Kurzform für die Plebejer, die Angehörigen der römischen Volksmasse] der Fall war. Er kann auch nicht nur auf einer Lehre des "Übermenschen" beruhen, wenn man in der Beziehung nur an ein wild gewachsenes Führertum denkt, d.h. an eine Macht, die nur auf die rein individuellen und naturverhafteten Gaben gewalttätiger und furchterregender Gestalten gestützt ist. In seinem Wesenskern ist hingegen der wahre Geist "olympisch" [Die ursprüngliche Bedeutung von olympisch geht auf den griechisch-antiken Mythos und seine Kosmogonie zurück. Dieser lag ein Urkampf zwischen den olympischen Göttern (Zeus, Ares, Apollon) und den Titanen als machtvollen Gegenspielern zu Grunde, der mit der Niederlage der „reinen titanischen Kraftwesen“ und der Herrschaft der Olympier, den Schöpfern, endete. Die olympischen Spiele der griechischen Antike waren deshalb als Bestandteile des Kultus den Göttern Zeus und Apollon gewidmet, denen in Olympia Altäre geweiht waren. Mit olympisch meint Evola: im Geiste des ursprünglichen, also kämpfend und siegreich für eine höhere Idee. Olympisch steht ferner für heroisch und schöpferisch. Vgl. Julius Evola: Grundrisse d.f.R. Berlin 1943. S.167 und 169.]

Rückbesinnung auf die Antike: Skulpturengruppe, Rom.

Rückbesinnung auf die Antike: Skulpturengruppe, Rom.

- wir sagten, daß er für uns aus einer schon metaphysischen Ordnung erwächst. Die Grundlage des adeligen Typs ist vor allem geistig. Der Sinngehalt des Geistigen hat aber, wie schon angedeutet, wenig mit dem modernen Begriff desselben zu tun: er verbindet sich mit einem eingeborenen Sinn der Souveränität, einer Verachtung für die profanen, gemeinen, erworbenen, aus Geschicklichkeit, Schlauheit, Gelehrsamkeit und sogar Genialität herrührenden Dinge, einer Verachtung, die sich gewissermaßen der des Asketen nähert, sich jedoch von dieser durch die restlose Abwesenheit von Pathos und Feindseligkeit unterscheidet. Man könnte das Wesen der wahren adeligen Natur in dieser Form umfassen: eine Überlegenheit dem Leben gegenüber, die zur Natur, zur Rasse [Evolas Rassenbegriff ist weniger biologisch als charakterlich begründet. Der Evola-Kenner Martin Schwarz deutete den Terminus ‚Rasse’ in Evolas Denken als „Nähe zum Ursprung“. Diese Nähe ist zu allererst seelisch und charakterlich bedingt und findet erst dann ihren Ausdruck im Körperlichen. Vgl. Martin Schwarz: Biographisch-bibliographische Vorbemerkungen, in: Julius Evola: Tradition und Herrschaft. Aufsätze von 1932-1952. Aschau  i. Ch. 2003. S.10.] geworden ist. Diese Überlegenheit, die wohl Asketisches an sich hat, schafft jedoch im adeligen Typ keine Zwiespälte: wie eine zweite Natur überragt und durchdringt sie in ruhiger Weise den niederen menschlichen Teil und setzt sich in gebieterische Würde, Kraft, Linie, in ruhige und beherrschte Haltung der Seele, der Worte und der gebärden um. So ruft sie einen Menschentyp ins Leben, dessen ruhevolle, unantastbare innere Macht im schärfsten Gegensatz zu der des titanischen, prometheischen und tellurischen [Diese Begriffe stammen aus Evolas Lehre von den Rassen als „Rassen des Geistes“. Evola trägt den „Völkervermischungen im mittelmeerischen Raum“ Rechnung und stellt insbesondere die „pelasgisch-mittelmeerischen“ und die „afrikanisch-mittelmeerischen“ Einschläge (Grundrisse, S. 31f.) ebenso wie einen „orientaloiden Einschlag“ (T.16) in Italien fest. Bezugspunkt bleibt für ihn die arisch-nordische Rasse als „aktive Rasse“ (T.12) bzw. „sonnenhafte Rasse“ (T.1), die er im republikanischen Rom als „treibende und vorherrschende Kraft“ (S. 36) wirken sieht. Ein frühes Bildnis des Buddha (T.8) zieht er als Beleg für ein übergreifendes Wirken dieser geistigen Rasse in der Indogermanischen Welt heran. Die in Der Adelige Geist genannten Begriffe, nämlich „tellurisch“ oder „titanisch“, „promethisch“ (mit Bezug auf den Titanen Prometheus) müssen vor eben skizzierten Hintergrund als rassisch-bedingte Geisteshaltungen verstanden werden. Mit „tellurisch“ (von lat. tellus: Grund und Boden, ursprüngl. von Tellus, der altrömischen Göttin der Saatfelder. Für Evola: auf den Ertrag ausgerichtet, matriarchalisch) bezieht er sich auf eine aktive geistige Haltung, die am „Selbstzweck“ (T.14) ausgerichtet ist und „keinen höheren Anhaltspunkt“ (ebda) besitzt und damit nicht als arisch-römisch angesprochen werden kann. Ebenso die Adjektive „titanisch“ und „promethisch“, die eine aktive Geisteshaltung beschreiben, die machtstrebend ist, ohne einer höheren Idee verhaftet zu sein.] Typs steht.

Diskurswerfer. Menschen und Marmorbilder.

Diskurswerfer. Menschen und Marmorbilder.

 

(Veröffentlichung in: Die neue Rundschau, 1942)

 

Nachwort:

Der von Evola eingeführte Terminus Adeliger Geist ist nicht mit dem historisch-politischen Herrschaftsanspruch und dem Lebensstil des Adels als herrschender Schicht (Aristokratie) in der europäischen Geschichte gleichzusetzen – diese sind höchstens Ausdrucksformen, die Verfall und Entartung unterworfen sind. Es geht Evola darum, die grundlegende geistige Haltung bzw. das ihm innewohnende Wesen (die ‚Essenz’), die sich trotz vieler Brüche in Überresten bis zum Verfall der Aristokratie bzw. dem beginnenden politischen Ende des aristokratischen Zeitalters (Französische Revolution von 1789) erhalten hat, von seinem Ursprung aus und als geistige Grundlage zu betrachten. Man könnte den Begriff Adeliger Geist auch allgemein als charakterlich ‚edel’ oder ‚elitär-heroisch’ bzw. ‚höheren Idealen verpflichtet’ deuten. Evola wendet sich hier besonders scharf gegen den in der Verfallszeit der Moderne propagierten Elitebegriff, der eine durch Finanzmittel und anstudierte Bildung (Funktions- bzw. Herrschaftswissen ohne Bindung an höhere Ideale) herrschende und kulturell unfruchtbare Clique bezeichnet. ‚Antimaterialistisch’ und ‚Antiintellektualistisch’ in reiner Haltung, dazu ein Leben nach dem Grundsatz ‚Das beste Wort ist die Tat’ sind die für Evola vom Adeligen Geist durchdrungene Elite kennzeichnende Tugenden.

Der Adelige Geist ist damit das geistige Fundament auf dem sich traditionale, männerbündische Organisationsformen gründen müssen. Hier schwebt Evola als historisches Beispiel der Ritterorden vor, der im europäischen Mittelalter eine zentrale Stellung einnahm. Evola analysiert bei seinen Betrachtungen Rittertum und Ritterorden mit durchdringender Schärfe: „Das Rittertum verkündet als Ideal mehr den Helden als den Heiligen, mehr den Sieger als den Märtyrer; es anerkennt als Wertmaßstab mehr Treue und Ehre als caritas [Nächstenliebe] und Liebe … in seinen Scharen duldet es den nicht, der das christliche Gebot ‚Du sollst nicht töten’ buchstäblich befolgen wollte. Als Grundsatz anerkennt es nicht Liebe zum Feind, sondern Kampf mit ihm und Großmut nur im Siege. So behauptete das Rittertum in einer nur dem Namen nach christlichen Welt eine fast ungemilderte heldisch-heidnische und arische Ethik“ [Julius Evola: Die Unterwelt des christlichen Mittelalters. Europäische Revue Juli/September 1933, in: Julius Evola: Tradition und Herrschaft. Aufsätze von 1932-1952. Aschau i. Ch. 2003. S.37.]. Ähnlich die Deutung des deutschen Philosophen Peter Sloterdeijk, der die „Unerträglichkeit des Widerspruchs zwischen dem christlichen Liebesgebot und der feudalen Kriegerethik“ feststellt und weiter ausführt: „Im Heiligen Krieg wurde aus dem unlebbaren Gegeneinander einer Liebesreligion und einer Heldenethik ein lebbarer Aufruf: Gott will es“ [Peter Sloterdeijk: Kritik der zynischen Vernunft. Frankfurt a. M. 1983. S.436f.]

Wie gelesen: Ein Bezugspunkt im evolianischen Denken ist die Indo-arische Kultur Indiens, die durch ihre sakralen Texte spricht. Der heute oft mißverstandene Begriff Arier muß jedoch in seiner ursprünglichen Bedeutung verstanden und scharf von dem politisierten späteren Sinngehalt getrennt werden. Zunächst als Aryá (als Adjektiv „arisch“) stellte er einen Volksnamen dar. So bezeichneten die Dichter der Götterpreislieder der Rig-Veda (sanskr. „Wissen von den Versen“, 1200 v.d.Z.) ihre Götter und sich selbst. Trotzdem besteht ein übergeordneter Deutungsgehalt, denn „arisch“ bedeutet in der Rig-Veda zudem „rechtmäßig, in Ehren stehend, edel“ und das Substantiv „Arier“ demnach „Edler, Gebieter“. In erster Linie Kultur- und auch Sprachbegriff, darf aber nicht übersehen werden, daß schon damals der Begriff auch zur Abgrenzung von der unterworfenen Urbevölkerung verwendet wurde. Später wurde der Begriff in den politischen Bereich überführt und verengte sich zusehends politisch und kulturell („nordeuropäisch“ oder „nordisch“), wobei es zur einer Verballhornung und Beliebigkeit der Anwendung bzw. Mißbrauch im Dritten Reich kam [Vgl. Ingo Leither: Der Hinduismus als Ausdruck arischen Geistes, in: Hagal. Studien zu Tradition, Metaphysik und Kultur 2 (2005). S.30f.]

Die Anschauungen Machiavellis sind für Evola Ausdruck einer titanischen Idee: Machtgewinn und Machterhalt durch eine „Technik der Macht“ und nicht an eine höhere Idee gebunden. Man spricht heute allgemein auch von „machiavellistischer“ Politik, wenn diese skrupellos und ohne Ideale bzw. Werte ist. Dabei kommt etwas zu kurz, daß Machiavelli, der selbst nicht adelig und ein zeitlebens ein Dienstmann war, eine klare und durchdringende Studie gelungen ist, die sich auch dem Kriegswesen widmet. Was Evola an dessen Werk kritisiert, sind die profanen Nützlichkeitserwägungen, denen laut Machiavelli Herrschaft folgen soll. Diesen steht eben jener Adelige Geist als geistige Grundhaltung unversöhnlich gegenüber. Wohl gemerkt: es geht hier um zwei geistige Prinzipien, die herrschendes Handeln bestimmen sollten. Betrachtet man aus historischem Blickwinkel gerade die Epoche in der Machiavelli lebte (Renaissance) so findet sich in dieser neben dem Wirken des machiavellistischen Prinzips auch das des Adeligen Geistes. Als historisches Beispiel möchte ich Kaiser Maximilian I. (1459-1519) anführen, der seine Herrschaft und Herrschaftsausübung ganz deutlich an der imperialen Idee eines göttlich legitimierten Kaisertums ausrichtete und deshalb sich – entgegen vieler politischen Erwägungen – nicht von dieser Idee lossagte, obwohl diese der Hausmachtpolitik des Habsburgers oftmals im Wege stand. Die Idee des Kaisers als semper augustus (ewiger Mehrer des Reichs) war für Maximilian sicherlich eine ganz bedeutende Motivation und hierin ist das Wirken des von Evola skizzierten Adelige Geistes zu beobachten. Auf dieses Wirken deutet auch die Tatsache hin, daß Maximilian, der in die burgundische Dynastie einheiratete und danach tief von der kulturell ungeheuer fruchtbaren burgundischen Feudalkultur beeinflußt wurde, ein begeisterter Mäzen und Teilnehmer spätmittelalterlicher Ritterturniere war und bereits früh als „letzter Ritter“ angesprochen wurde. Auch der Ordensgedanke wurde von Maximilian aufgegriffen und transformiert. Selbst Ritter des burgundischen Ordens vom Goldenen Vlies [vgl. Anmerkung zu „Orden“] schwebte Maximilian, der früh die Bedeutung der Landsknechte und ihrer Kampfformationen in der spätmittelalterlichen Schlacht erkannte, ein „Landsknechtsorden“ vor. Dieser sollte die Landsknechte aus dem Söldnerdasein lösen und sie durch eine ideelle Grundhaltung und Ordensverfassung unter Maximilians Führung an die Reichsidee binden [Vgl. Günther Franz: Vom Ursprung und Brauchtum der Landsknechte, in: MIÖG 41 (1953). S.79-98]. Auf der anderen Seite war Maximilian aber auch ein skrupelloser Machtpolitiker, der bereit war, erreichtes hohen Risiken auszusetzen und gerne Bündnisse wechselte, wenn dieses politisch opportun wurde. In diesem Sinne muß auch die Heiratspolitik des Habsburgerkaisers gedeutet werden, die Macht und Reichtum des Hauses Habsburg vergrößerte, sich aber zuletzt für das Reich teilweise negativ auswirkte (machiavellistische Haltung).

© Edition des Textes, Nachwort, Kurzbiographie von Siegling (Juli/Heuert 2006)

 

Filippo Sgarlata: Pflug vom Schwert beschützt (XXI. Biennale der Modernen Kunst, Venedig 1938).

Filippo Sgarlata: Pflug vom Schwert beschützt.
(XXI. Biennale der Modernen Kunst, Venedig 1938)

samedi, 10 novembre 2012

Italie : Un pillage antidémocratique

Italie : Un pillage antidémocratique
 
par Audrey d'Aguanno
 

L’opinion l’a oublié un peu vite mais l’Italie a été victime d’un putsch financier. Avec Mario Monti, notre sœur latine est sous administration directe de Goldmann Sachs. Française d’origine italienne, résidant en Italie, Audrey d’Aguanno apporte ici son éclairage. Texte repris par Polémia de l’excellent site espagnol Elmanifiesto.
Européens victimes de la crise financière : unissez-vous !
Polémia

mario_monti_Jesuit_lady_of_war_2.jpgEn novembre 2011, la démocratie italienne recevait un grand coup de pied aux fesses. Le technicien Mario Monti fut imposé, nommé, chargé de gouverner le pays… sans que le vote populaire soit sollicité : le scandale est évité par la bénédiction d’une classe politique ignarde et corrompue (et… inutile face à la crise), et grâce aux éloges des médias obéissants prétextant que les techniciens sont des gens sacrément intelligents.

Depuis que Mario Monti a pris les rênes de l’Italie, tel un super-héros américain qui allait résoudre en trois calculs et quatre équations des années de mauvaise gestion des finances publiques, les conséquences de la crise sont devenues bien plus tangibles au commun des mortels. En effet, si la grande majorité des Italiens, quand elle n’a pas applaudi, a tranquillement continué ses achats compulsifs et ses vacances en tour operator, une autre frange de la population n’a pas battu des mains, allant jusqu’à se tirer une balle dans la tête. Cette expression pourrait en être une si le nombre de suicides dus à la crise et aux mesures d’austérité ne dépassait pas les deux par semaine : suicides, dépressions, récession, licenciements, fermetures d’entreprise, asphyxie fiscale, record des prix des carburants. Le gouvernement des super-mathématiciens aurait-il raté quelque formule ?

Ou bien ce petit pays, très riche en or (alors troisième réserve mondiale), recouvert de petites entreprises indépendantes du pouvoir maléfique des actionnaires, qui détenait sa propre dette publique et jouissait d’excédents budgétaires annuels les plus importants au monde, a-t-il fait l’objet d’une « remise à niveau » du capitalisme financier apatride ?

Sauvetage des intérêts des banques

La manœuvre de M. Monti – qui n’est pas sans rappeler celle d’un Cavallo avant le désastre argentin ou, plus proche, d’un Papademos en Grèce – est donc bien une tentative de sauvetage… mais des intérêts des banques d’affaires au grand dam des peuples. Car, rappelons-le, l’énormité des dettes publiques n’est pas engendrée par une mauvaise administration publique mais par l’usurpation de la souveraineté monétaire, passée des mains des peuples aux crocs des établissements bancaires privés. Ceux-ci, imposant leurs taux d’intérêt, créent la dette publique que le citoyen doit alors rembourser par la sueur de son front. Une véritable extorsion !

La crise est donc tout bénéfice pour ses responsables, qui en tirent avantages grâce aux politiques d’austérité permettant les dernières privatisations et la mise à mort de l’Etat Providence : retraites, santé, éducation, culture, patrimoine, tout passe à la trappe de la cure Monti, avec, en plus, une bonne dose de culpabilité (mensongère) de la population qui aurait « vécu au-dessus de ses moyens ». On comprend alors mieux les raisons de la suspension du processus démocratique : difficile de trouver un électorat pour soutenir un tel programme.

Délocalisation par appauvrissement et précarisation des populations sud-européennes

Et si, après le pillage et les destructions causés par les plans de rigueur, mis en œuvre plus généralement dans tout le sud du continent, les Européens deviennent des misérables, peu importe, on pourra toujours les utiliser comme main-d’œuvre bon marché. En voilà un bon moyen de résoudre les futurs problèmes d’approvisionnement dus à l’augmentation drastique du pétrole que l’on devra affronter d’ici quelques années ! « De toute façon la croissance en Europe est bloquée, alors tant qu’à faire… »

Il faut l’admettre, cette nouvelle forme de délocalisation par appauvrissement et précarisation des populations sud-européennes est géniale.

Arrêtons donc de nous demander pourquoi une classe dirigeante laisse crever ainsi son peuple. Cette phrase est un oxymore : ces « dirigeants » n’ont pas de peuple ; ils n’ont pas de pays : ils haïssent et éliminent les frontières ; pas de racines : ils les détruisent et œuvrent pour un monde globalisé sans attaches. Ils ne dirigent pas mais nous conduisent vers le précipice. A moins d’un réveil de notre part.

Audrey d’Aguanno
25/10/2012

Voir :

Draghi, Papadimos, Monti : le putsch de Goldman Sachs sur l’Europe (édito 11/2011)
Goldman Sachs : le putsch du désespoir
http://www.elmanifiesto.com/

Correspondance Polémia – 1/11/2012

Casapound, une terrible beauté est née!

Chronique de livre: Casapound, une terrible beauté est née!

Ex: http://zentropa.info/

casapoud italia.jpg

bkcpi.jpg« Casapound, une terrible beauté est née ! » est le premier ouvrage paru aux Editions du Rubicon, les éditions du réseau MAS. Il s’agit de la traduction du livre d’Adriano Scianca, responsable culturel de Casapound, parue en Italie sous le titre « Reprendersi Tutto » que nous pouvons traduire par « Tout se réapproprier ». En environ 360 pages, l’ouvrage tend à développer 40 concepts qui font Casapound, le désormais célèbre mouvement néo-fasciste italien qui tient son nom de l’immeuble imposant occupé depuis de longues années au 8 de la Via Napoléone III à quelques pas de la gare centrale de Termini, à Rome.

L’ouvrage débute dans son édition française par une préface de Gabriele Adinolfi, qu’on ne présente plus. L’introduction de l’ouvrage est de Flavio Nardi, également animateur culturel au sein de CPI et la conclusion de Gianluca Iannone, responsable de CPI et chanteur du groupe de rock ZetaZeroAlfa. L’édition française est agrémentée d’un cahier couleur de 24 pages qui permet de pénétrer un peu l’ambiance du mouvement : esthétique, manifestations, affrontements avec les adversaires politiques, rôle central de la jeunesse, culture, slogans, etc… Nous trouvons également une photo de quelques militants du MAS devant la Casapound Latina.

Le livre permet par l’intermédiaire des 40 concepts d’aborder des thèmes variés comme l’histoire du fascisme, la genèse de CPI, les principes et les valeurs, le rôle central de l’esthétique et de la culture et in fine l’esprit du mouvement. Bien que nous soyons partisan de la philosophie selon laquelle dans un mouvement, il faut soit tout prendre, soit ne rien prendre, il n’est pas pour autant contre-productif de voir dans ce livre des pistes de réflexions.

Quelques figures ressortent clairement de l’ouvrage : Ezra Pound, Filipo Tommaso Marinetti, Gabriele d’Annunzio, Friedrich Nietzsche, Julius Evola. A travers ces cinq personnalités nous trouvons une philosophie centrale à l’ouvrage : l’action et la volonté. Adriano Scianca tire clairement une ligne dans l’ouvrage entre les partisans de l’action, forcément révolutionnaire, et les partisans de la réaction, qui ne le sont pas. Que ce soit à travers des mouvements artistiques (futurisme), à travers des épopées révolutionnaires (la prise de Fiume) ou par la philosophie de la construction du « surhomme » et de l’élévation de soi (Nietzsche, Evola), l’auteur est clair sur les intentions du mouvement : agir, aller de l’avant, aller là où on ne nous attend pas, donner le rythme et en somme tout reprendre. Cette volonté d’aller de l’avant correspond au concept « d’estremocentroalto », qui fait l’objet d’un Manifeste, définit dans l’ouvrage et qui se résume ainsi « Putain, à partir de maintenant nous allons faire ce que nous voulons ! » (p.99). Ainsi que l’écrit l’auteur « Estremocentroalto, c’est cela. En finir d’écouter les autres, ceux qui font la révolution au bar, mettre fin à la confusion, à l’aliénation, à la scission. Commencer à faire ce qu’il nous plaît, en en prenant la responsabilité. Estremocentroalto c’est une manière de se revendiquer d’une communauté en marche et libérée du lest pour avancer plus vite. » (p.99)

Cette vitalité possède elle-même sa propre philosophie, certainement un peu « abrupte » pour nos contemporains. L’auteur s’y penche dans les chapitres « Mort » et « Vie ». Nous comprenons rapidement de quoi il est question. Un homme ne doit pas vivre pour vivre mais vivre pour exploiter au maximum ses capacités. Ainsi la construction d’un homme meilleur va de paire avec la constitution d’un ordre nouveau. La vie va de paire avec le sourire et la joie qui reviennent régulièrement dans l’ouvrage. Comme le dit Adriano Scianca, « le sourire est solaire ». L’auteur est à ce titre sans pitié avec ce qu’on appelle les « prolife » à qui il reproche d’être des mouvements défensifs. C'est-à-dire, réactionnaires. "L'Estremocentroalto a beaucoup d'ennemis avec un seul nom: Réaction." (p.333), ou encore: «  […]la logique créative a laissé la place à une logique défensive. Qu’y a-t-il de moins vital, en effet, que les nombreux mouvements prolife, constitués de visages creux et exsangues d’enfants de chœur en service actif permanent ? La vie est une explosion, non une valeur ! »(p.345). Adriano Scianca ne fait ici qu’écrire ce que nous sommes nombreux à avoir constaté, les mouvements de défense de la vie ou de la famille « traditionnelle », sont souvent des mouvements bourgeois et réactionnaires. Adriano Scianca n’hésite pas à égratigner au passage la dite « famille traditionnelle » qu’il qualifie de « bourgeoise et individualiste » (p.346). Ce qui se dégage ici c’est une vision très différente des rapports sociaux. La famille bourgeoise ne crée rien, elle reproduit. Or quel est le sens profond de la philosophie du livre ? Action et volonté, donc créer, fonder et « donner vie » (p.345).

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Le chapitre « Marbre » est surement un des plus intéressants du livre, car il explique concrètement le fruit de cette action : fonder. Ce chapitre mêle un certain nombre d’éléments tout à fait pertinents : la nécessité de délimiter l’espace, le rapport au sacré (les lecteurs avisés pourront surement établir un lien avec l’œuvre de Mircea Eliade), la capacité pour les hommes de modeler leur environnement (assécher un marais, par exemple) et bien sur des considérations esthétiques, puisque CASAPOVND s’affiche en lettres de marbre sur le fronton du bâtiment romain et aussi, d’une certaine manière, la ville nouvelle fondée va se donner à voir aux hommes par son style architectural qui est au cœur de ce qui permet d’identifier une civilisation. Car ne nous y trompons pas, Adriano Scianca sait pour quel objectif lutte CPI : fonder une civilisation. Rien de moins. Ainsi le chapitre débute par cet échange :

« Qu’est-ce que l’italianité ? »
« L’italianité c’est le marbre qui l’emporte sur le marécage. »

Cet échange nous renvoie aussi à la question de l’identité, perçue par Adriano Scianca comme étant en perpétuelle évolution. La fondation est au cœur de l’identité définie par l’auteur. Ainsi Adriano Scianca oppose le mythe de la fondation de Rome, où Romulus va délimiter l’espace et tuer son frère qui transgresse la limite avec la légende de Caïn et Abel. Voila ce qu’en dit Adriano Scianca : « Caïn est enraciné, actif et construit son monde. Abel est déraciné et n’a aucune intention de s’affirmer dans une dimension historique et humaine, qu’il estime profane et insignifiante » et lorsque Caïn tue son frère « La punition de YHVH n’est pas choisie au hasard puisque Caïn, le paysan lié à la terre, devra cheminer sur la route de l’exil et devenir nomade ». (p.226) Voila comment Adriano Scianca trace une nouvelle fois un profond sillon, entre une pensée héritée des mythes antiques européens, basés sur la divinisation de la terre, de la cité, la métaphysique de l’action, l’esprit d’aventure, de création et de conquête, et la pensée de l’Ancien testament qui condamnerait la capacité de l’homme à créer et à agir, puisque seul YHVH est créateur, et qui fait de toute les figures créatives, actives, vitalistes et enracinées, des figures lucifériennes. On peut voir un lien ici entre Lucifer et Prométhée. L’identité développée par l’auteur se base donc sur des principes, une philosophie et non simplement sur du patrimoine ou des héritages. L’auteur critique la vision d’une identité-musée. « […] pour un mouvement identitaire d’inspiration fasciste, donc toujours existentialiste et jamais essentialiste, l’identité n’est pas un simple fait tenu pour acquis dont il suffirait d’affirmer tautologiquement la présence ! Au contraire ! L’affirmation identitaire surgit précisément dans le but de conquérir un objectif, de dépasser une résistance, d’accomplir un parcours et d’affirmer une vision de soi. » (p. 186). L’histoire de l’Europe et des européens est une perpétuelle refondation. Les européens de demain doivent concevoir l’identité comme un ensemble de ce qui fut, de ce qui est et de ce qu’ils feront. Adriano Scianca ne brosse pas ici une vision défensive et résistante de l’identité contre des menaces dont il faudrait se défendre, mais il exhorte à une vision volontariste de l’identité. Ainsi page 188 nous pouvons lire que « La nation n’existe jamais et il faut sans cesse la créer ». Cette phrase, qui peut paraître anodine est en réalité lourde de sens. De même que la phrase d’Oswald Spengler qui conclue le chapitre Identité : « Celui qui parle trop de race n’en a aucune. Ce qui compte ce n’est pas la pureté mais la vigueur raciale qu’un peuple possède. » (p.189). Une nouvelle fois, Adriano Scianca dessine une limite entre ceux qui ont un esprit défensif et ceux qui ont un esprit de conquête. Par la suite, le chapitre Tradition est l’occasion d’aborder assez longuement Julius Evola et de mettre ici aussi un coup de pied dans les conceptions attentistes. L’auteur cite en introduction du chapitre Gianluca Iannone à ce sujet : « Julius Evola ? […] « l’un de ces intellectuels lus et diffusés principalement comme clé expérimentale, surtout pour justifier l’immobilisme d’une partie du milieu. En vérité, Evola a été autre chose qu’un gourou qui, sur un fauteuil à roulettes et dans une semi obscurité, prêchait la formation du Moi aristocratique en attendant la grande guerre ». (p.312) Evola doit donc fournir non pas les armes intellectuelles d’un immobilisme aristocratique mais être lu comme une clé de compréhension de la Tradition et de ce qui nous amène à lutter. Lutter pour quoi ? Pour fonder un empire ? Pour créer une nouvelle civilisation. Ainsi s’exprime Julius Evola : « On peut se demander ce qui, au fond, distingue l’idéal impérial de celui religieux. En général, on peut dire ceci : le premier se fonde sur une expérience immanente, l’autre sur une expérience dualiste de l’esprit. Quand on ne conçoit pas de hiatus entre esprit et réalité, ni qu’on ne cherche le premier hors du second (Mon royaume n’est pas de ce monde…), la manifestation spirituelle est aussi celle d’une puissance qui vainc, subjugue et ordonne la réalité. L’inséparabilité de l’idée de puissance et de l’idée de spiritualité est le pivot de l’idéal impérial et guerrier. » (pp.207-208). Nous sommes donc des « sentinelles impériales » (p.206), et portons notre empire en nous, dans n’importe quelle situation, même quand le contexte nous est hostile. Rien ne peut se fonder sans l’esprit de lutte. Car il est toujours question de lutte. La lutte, c’est la vie. Puisque chaque jour où le soleil se lève, nous devons au minimum lutter contre la faim et la soif. Ce qui n’est pas la vie, en revanche, c’est l’usure et le chapitre en question l’explique bien : « L’art, la maison, le travail : voici trois victimes de l’usure. Avec l’usure meurt la beauté, la dimension la plus profonde et la plus haute de la vie. La maison meurt, l’âtre, le terrain solide sur lequel se base toute existence réellement humaine. Enfin, le travail se meurt, qui ne donne plus de fruits, qui dépérit, qui devient stérile. » (pp. 328-329).

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Face à ce monde gris et décharné engendré par l’usure, Casapound oppose le style, l’explosivité, l’imaginaire. Car une chose est certaine, et le mouvement est critiqué pour ça, Casapound pourrait de l’extérieur passer pour un mouvement festif. Ce qui est à l’origine de Casapound peut laisser songeur au premier abord. Ce ne sont ni des prêches enflammés d’un tribun populiste, ni les manifestations contre les ennemis de la nation, ni les milliers d’autocollants venant s’écraser sur nos poteaux comme une vague s’éclate sur une digue, rien de tout ça n’est vraiment à l’origine de Casapound, à l’origine il y’a un bar, le Cutty Sark et un groupe de rock, ZetaZeroAlfa. Casapound, qui ne portait pas alors ce nom là il y’a 15 ans, est d’abord un mouvement culturel devenu un mouvement social puis un mouvement politique. D’abord il y’a la communauté, soudée autour des soirées du Cutty Sark et des concerts de ZZA, une communauté capable d’occuper des bâtiments pour loger des familles romaines. Une communauté vivante qui grâce à la culture et à son action sociale agrège peu à peu les jeunes italiens, pour devenir le mouvement que nous connaissons. Gianluca Iannone n’hésite pas à rappeler la genèse du mouvement en conclusion du livre : « Nous sommes encore surpris de voir comment, autour d’un groupe de rock, s’est construit un mouvement national qui agit dans tous les domaines de la vie quotidienne du pays, qu’il s‘agisse du sport, de la solidarité, de la culture ou de la politique. » Un pied de nez aux critiques du « gramscisme de droite » et à tous ceux qui n’envisagent la politique que sous l’angle du sérieux. D’ailleurs le chapitre Art est clair : « Pour la première fois un mouvement naît spontanément métapolitique, à savoir entièrement libéré des références aux partis et aux stratégies politiques. »(p.52). L’auteur de poursuivre : « […] on connaît l’intuition de Walter Benjamin, qui opposait l’esthétisation de la politique futuro-fasciste à la politisation de l’art communiste. ». Casapound Italia est assurément un mouvement esthétique, une esthétique qui parle à la jeunesse. Casapound Italia c’est aujourd’hui la jeunesse, celle qui fréquente les bars, les concerts, les ateliers de tatouages, les clubs de sport, les universités, au premier abord, la même que la nôtre, sauf que… cette jeunesse qui vit à fond peut devenir une redoutable machine politique capable de se mobiliser pour le logement, pour les travailleurs, pour la défense d’un monument, pour l’université populaire, l’école publique, pour le don du sang, une jeunesse capable de venir aux victimes d’un tremblement de terre et de lutter contre le vampirisme des banques. Derrière les t-shirts de hardcore, les pantalons à carreaux ou les piercings dans le nez se cachent de véritables  « légions impériales » (p.206) à l’assaut du futur. Idée que nous trouvons dans le préambule du chapitre Jeunesse : « A l’époque de la précarité et des castes de vieux oligarques, alors que toute boussole et toute latitude semblent perdues, le Blocco en appelle au rassemblement des jeunes en leur disant qu’il est possible, si on le veut, de redevenir les protagonistes de l’Histoire. Qu’il est possible, par la volonté et le sacrifice de reprendre en main son destin, de tout se réapproprier. » (p.167).  Massés derrière la tortue fléchée du mouvement ou derrière l’éclair cerclé du Blocco Studentesco, dont Adriano Scianca donne la signification dans le chapitre Symbolique, ils veulent conquérir l’avenir et crient « Giovinezza al potere ! », la jeunesse au pouvoir.

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Le chapitre Style poursuit et complète naturellement le chapitre Art. Contrairement à la vision américaine du « staïle », le style décrit par Casapound est dynamique et vertical. Adriano Scianca va même jusqu’à dire « Faire une chose précisément d’une certaine manière, parce que c’est ainsi que les choses doivent être faites et non d’une manière quelconque, parce que la forme est le plus essentiel. » (p.306) Cela peut évoquer les débats qui ont court chez les sportifs comme « gagner avec la manière », car ce qui compte ce n’est pas seulement de gagner, c’est d’avoir proposé un beau jeu. D’avoir fait honneur à son sport, de ne pas l’avoir dénaturé. Il en va de même ici pour l’action politique. Elle prend son sens avec les formes et grâce aux formes. « Il faut faire de la vie une œuvre d’art » peut-on lire page 308. L’auteur rappelle d’ailleurs l’étymologie du terme qui viendrait soit de « stylus », petit scalpel qui servait à écrire et donc à tracer et à donner du sens, ou alors du grec « stylos », la colonne. Le style c’est « l’homme vertical », la droiture : « Sens de la droiture, du dos bien droit, de l’homme vertical. La construction d’une figure saine, solaire, bien droite comme un menhir, comme un sceptre royal, comme une épée : voila l’objectif d’une anthropo-technique positive, activée et stylée ». (p.309). Ainsi Casapound a développée une esthétique propre et nombreux sont les militants et sympathisants italiens et étrangers qui adhèrent en premier lieu à l’esthétique Casapound.

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Le livre d’Adriano Scianca est également riche en réflexions diverses sur des thèmes aussi variés que l’amour, l’espoir, l’antifascisme, le fascisme, l’anarchie, les Juifs, l’honneur, la guerre, la violence, l’histoire, les différences, et bien sûr les femmes, si importantes pour la société et dont le mouvement défend le « temps d’être mère » (tempo di essere madri) mais n’enferme pas seulement dans la maternité. Ces thèmes peuvent faire l’objet d’un chapitre ou se retrouver de façon transversale. Les chapitres politiques auront surtout le mérite de rétablir quelques vérités historiques sur l’histoire du fascisme et sur la praxis fasciste quant aux religions. Si l’auteur est assez clair dans son rejet du « judéo-christianisme », il n’en demeure pas moins qu’il reconnaît la possibilité aux croyants de trouver une place dans la société moyennant l’abandon de certaines ambitions politiques. Ainsi le sionisme autant que la puissance de l’Eglise sont critiqués. Cela tranche clairement avec le nationalisme français, dans lequel l’élément catholique est souvent apparu comme un ferment d’unité. Il n’en est rien de l’autre côté des Alpes, car l’unité territoriale, politique, tout comme la mise en place d’une mystique propre furent freinée par l’Eglise, autant chez les catholiques conservateurs que chez les « catho-communistes » comme les appelle Scianca. On retrouve en filigrane l’opposition séculaire entre l’Empire et l’Eglise.

La lecture de ce livre n’a fait que me conforter dans mes impressions sur Casapound, bien que, comme je l’indiquais en préambule, certains passages pourraient être débattus ou critiqués. Il n’en demeure pas moins que derrière le décorum, Casapound est une entité vivante dotée d’une pensée propre. Et si nous pouvons appréhender le mouvement de l’extérieur, il convient d’en cerner les dynamiques internes. Ce livre peut y aider. Il doit aussi être une base sérieuse de réflexion pour nous tous sur ce que doit être le militantisme du IIIe millénaire. Il sera aussi une révélation pour certains, sur ce qu’ils sont ou ne sont pas. Objet militant, support intellectuel, source d’imaginaire ou retour au réel, ce livre doit aussi être une invitation au voyage pour palper, même timidement, cet organisme vivant et essayer de comprendre ce qui se cache derrière les apparences. Que Gabriele Adinolfi se rassure, en France aussi nous sommes nombreux à être des romantiques, à nous retrouver dans l’esthétisation de la politique et à rejeter les bigoteries diverses.

Pour le mot de la fin, nous pouvons le laisser à Gianluca Iannone :

« Parce que, lorsque tu donnes tout, tu possèdes tout.
Parce que ce que tu ne possèdes pas encore, tu te le réappropries. » (p. 363)

En deux mots : Tout reprendre !

Jean

Note du C.N.C.: Toute reproduction éventuelle de ce contenu doit mentionner la source.

 

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jeudi, 08 novembre 2012

Escursione Monte Inici

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Miglio e le sue Lezioni di Scienze Politiche

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Miglio e le sue Lezioni di Scienze Politiche

Una riflessione sull’attualità della storia delle idee e delle prassi politiche illustrata dallo scomparso costituzionalista italiano

Teodoro Klitsche de la Grange

Ex: http://rinascita.eu/  

In due volumi – Storia delle dottrine politiche e Scienza della politica - sono raccolte le “Lezioni di politica” di Gianfranco Miglio. Il primo volume su la Storia delle dottrine Politiche, mentre il secondo tratta la Scienza della politica e sono stati curati rispettivamente da Davide Bianchi e da Alessandro Vitale. La ricostruzione delle lezioni, fatte prevalentemente su registrazioni (e non su appunti degli allievi) ha evitato il consueto problema della fedeltà degli appunti al pensiero dello studioso.
Nella presentazione al primo volume Lorenzo Ornaghi e Pierangelo Schiera esordiscono scrivendo che “Si sta verificando, da qualche tempo, un fatto abbastanza raro nel panorama italiano degli studi sulla politica: la ristampa di scritti di Gianfranco Miglio risalenti ormai a più di cinquant’anni fa. Se questa è la misura della classicità, allora si deve cominciare a pensare che egli sia diventato un Classico”; ed è proprio l’impressione confermata dalla lettura di questi volumi: Miglio è un classico. E lo è non solo per il suo richiamarsi al pensiero (o ai pensatori) politici “classici” (da Tucidide a Machiavelli, da Hobbes agli elitisti, da Burke a Schmitt), ma perché, con le sue opere, vi aggiunge altro. Sull’approccio metodologico Daniele Bianchi nell’introduzione al primo volume scrive “Miglio aveva in uggia (come poche altre cose) la politologia empirica di marca anglosassone, per cui la sua Scienza della politica – a cui alla fine approdò – aveva contorni specifici, decisamente minoritari nella comunità scientifica italiana. Non essendo rivolta a misurare dati quantitativi, la sua era una Scienza della politica “concettuale” dei comportamenti umani nelle cose politiche. In altre parole, compito del politologo era per lui quello di dissodare il territorio sterminato e informe della storia, per portare alla luce le “costanti” nelle azioni degli uomini (p. 21). In effetti anche nella “Presentazione” alle Categorie del politico, scritta da Miglio si ritrova questa considerazione, nel commento che lo studioso lariano fa all’analogo ironico giudizio espresso da Schmitt nella “Premessa” a detto volume. E’ inutile dire che il pensiero di Miglio, pur non essendo “quantitativista” era tuttavia rigorosamente realista.
A tale proposito è interessante quanto Miglio sostiene nella “Lezione introduttiva” sul nesso che lega fatti e idee nella storia della politica “Il nesso che lega idee e fatti, ideologie e istituzioni è molto stretto: sarebbe infatti impossibile ricostruire una storia delle istituzioni senza fare riferimento alle ideologie che la sorreggono. In altre parole le ideologie non sono altro che la “bandiera” delle classi politiche, vessillo che permea di sé le istituzioni quando le classi stesse giungono al potere. Di norma, infatti il succedersi delle classi politiche reca con se anche l’avvento di nuove istituzioni, o la trasformazione delle precedenti, processi in cui le ideologie giocano un ruolo decisivo” (pp. 29-30).
L’altro rapporto su cui Miglio ritorna spesso, in ambedue i volumi (soprattutto nel secondo) è quello tra idee e istituzioni (e tra politica e diritto, in parte coincidente).
Scrive lo studioso lariano: “Ogni apparato ideologico è correlato a un sistema istituzionale, risulta perciò impossibile studiare delle istituzioni prescindendo completamente dalle ideologie che le hanno prodotte… Con le discipline giuridiche la politica intrattiene gli stessi rapporti che vi sono con le istituzioni, dato che il diritto è una sequela di procedure convenute; non è anzi eccessivo affermare che sarebbe impossibile pensare il diritto come qualcosa di autonomo, al di fuori della politica e delle istituzioni a cui attende. In altri termini, il diritto non è altro che un’ideologia tradotta in sistema, per cui ogni istituto è, più o meno direttamente, ascrivibile a una dottrina politica (o più di una)”.
Nell’introduzione al secondo volume il curatore Alessandro Vitale sottolinea che l’errore più grave nel leggere le lezioni “sarebbe però quello di considerarle espressione di semplice o addirittura eccessiva ‘eccentricità’. Questa visione facile e distorta impedirebbe, infatti, di cogliere la coerente e irriducibile ‘classicità’ del percorso di Miglio nello studio della politica. Quella che appare come originalità individuale, magari eccentrica e certamente isolata, è in realtà la coerente prosecuzione di un lungo percorso di riflessione sulla dimensione del ‘politico’ e sulle sue ‘regolarità’, passato attraverso il filtro di numerose discipline e la lezione dei più grandi teorici di tutti i tempi… nonché attraverso l’opera dei maggiori political scientists, che da un metodo prescientifico (dalle origini dei Mosca, Pareto, Michels) sono passati a quello rigoroso dei Weber e degli Schmitt”. Così l’inclusione della parte iniziale (i primi tre capitoli), anche se in taluni tratti si possa ritenerla un po’ ridondante “rimane tuttavia significativa, in quanto rispecchia la sua insofferenza per una cultura, come quella italiana, a lungo rimasta retorica, idealistica e poco empirica. Egli, in particolare, mal sopportava la crescente perdita di rigore e l’irrazionalismo tipico di epistemologie relativiste, che hanno sempre ritenuto equivalenti e intercambiabili tutte le opinioni configgenti nello studio della politica”.
I due volumi sono così densi di giudizi e considerazioni originali che considerarli tutti farebbe di questa recensione un piccolo trattato. Perciò ci limitiamo a due tra i più significativi e ricorrenti (anche in altre opere di Miglio).
La prima è la funzione – carattere principale che lo studioso lariano considera (compito) della scienza politica, cioè la scoperta e analisi delle “regolarità”, “costanti”, “invarianti” (termine quest’ultimo che si può trarre da altri campi e da altri studiosi) della politica.
Come scrive Miglio “Il processo conoscitivo è un processo sempre volto alla ricerca di regolarità. Non c’è conoscenza se non di fenomeni ripetibili. Soltanto con il confronto è possibile entrare nel reale, che di per sé rimane neutro, non risponde, non ha significato: attribuiamo semplicemente significati al mondo reale, distinguendo”, di fronte a un fenomeno che appare nuovo, “all’analisi accurata si rivelerà come qualcosa che era già conosciuta e che si è presentata soltanto in una combinazione differente”. Ci sono regolarità che hanno, almeno nella nostra cognizione ed esperienza, carattere universale; onde è facile prevedere che, in una situazione futura, continueranno a ripresentarsi, anche al di là delle intenzioni e aspirazioni degli attori del processo storico.
Ad esempio il marxismo; questo negava, nello stadio finale (da raggiungere) della società senza classi, due delle regolarità della politica (nel caso anche “presupposti del politico” di Julien Freund): ossia quella della classe politica (in altra prospettiva del comando/obbedienza), cioè dello Stato (l’ente politico) come apparato di governo di pochi su molti; e quella dell’amico-nemico, perché la società senza classi sarebbe stata pacifica, essendone la struttura economica “irenogenetica”. Abbiamo visto com’è andata: la società senza classi non s’è mai vista, neanche all’orizzonte, perché non si poteva realizzare (era contraria alle due “regolarità”); il socialismo reale si è fermato alla (fase della) dittatura del proletariato perché questo non negava (anzi potenziava) le regolarità suddette, essendo una dittatura (di un partito rivoluzionario, cioè di pochi) finalizzata alla guerra contro il nemico (di classe).
Miglio tiene ben presente l’epistemologia di Popper “Lo scienziato ha a che fare con previsioni probabilistiche. Ciò che assumiamo come certezza ha soltanto un elevato grado di probabilità e in un senso tutto operativo, perché adoperiamo come leggi certe, come ipotesi di regolarità certe, quelle che non sono ancora state falsificate. Quanto più a lungo una proposizione di questo tipo resiste alla falsificazione, tanto più possiamo fondarci su di essa: ma questa è sempre e soltanto altamente probabile”. Le regolarità - non falsificate, ma falsificabili – costituiscono poi la base della prevedibilità delle attività politiche.
L’altro è il rapporto tra politica e diritto.
Per Miglio lo Stato moderno è essenzialmente (e prevalentemente) un prodotto del diritto come contratto – scambio; e tutto il diritto è procedura. Il diritto pubblico ha qualcosa di “equivoco”. Adoperando il concetto d’istituzione “arriviamo a una conclusione solo apparentemente paradossale: quello che chiamiamo «Stato (moderno)», essendo un complesso di procedure convenute, di ordinamenti giuridici, non è politica. Si capisce allora perché lo Stato e la politica tendono ad andare per la loro strada”.
Per cui occorre districare “l’intreccio tra politica e diritto e distinguere fra quello che nello Stato è ormai diventato soltanto diritto (e quindi solo “contratto-scambio”) da ciò che invece perennemente sfugge a questa istituzionalizzazione, ossia la politica, generata e legata a un rapporto che non è di “contratto”, che non produce diritto, come quello relativo all’obbligazione politica”; l’analisi del problema delle istituzioni “ci ha condotto non solo a chiarire un problema tecnico molto rilevante, ma anche ad avere ennesima conferma della validità dell’ipotesi dalla quale abbiamo preso le mosse, che distingue radicalmente l’obbligazione politica dall’obbligazione-contratto”.
Il dualismo di Miglio è diverso e radicale: dove c’è obbligazione politica non c’è contratto-scambio: la commistione di queste negli ordinamenti (concreti) non può confondere le differenze. Si può concordare su questo (cioè sulla distinzione dei concetti) con Miglio, ma comunque la commistione c’è.
Tale posizione è così in contrasto con quanto scritto (anche) dai teorici dell’istituzionalismo giuridico (e non solo da loro), d’altra parte apprezzati da Miglio, come Maurice Hauriou e Santi Romano.
Posizione tradizionale nella dottrina giuridica, atteso che risale alla distinzione di Ulpiano “Publicum ius est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem”, D I, De Iustitia et jure, I. Il fundamentum distinctionis più rilevante tra diritto pubblico e diritto privato è condensato da Jellinek – e ripetuto prima e dopo di lui da altri (tanti), che il diritto privato regola i rapporti di coordinazione tra individui, quello pubblico di subordinazione. Nel pensiero di Hauriou la distinzione tra “diritto disciplinare” e “diritto comune” richiama da vicino la distinzione di Max Weber tra ordinamento amministrativo e ordinamento regolativo. Ma quello che è più importante è che, in concreto, il diritto pubblico esiste perché esistono dei rapporti che, anche se fondati sull’obbligo politico (il rapporto comando/obbedienza) costituiscono situazioni giuridiche nei rapporti tra poteri pubblici e tra questi e i cittadini dove è tutto un pullulare di diritti, obblighi, potestà, interessi legittimi interdipendenti. Anche se (molti) di quei rapporti intercorrono tra soggetti non in situazione di parità (ad esempio interessi legittimi/potestà) ciò non toglie che non siano giuridici e che non vi sia (quasi sempre) un giudice per dirimere le liti e statuire su tali diritti.
Rimane quindi una differenza profonda tra diritto pubblico e privato, conseguenza dei principi del Rechtstaat che, necessariamente, impongono una “giuridificazione” o “giustizializzazione” anche se non totale, al potere politico, (uno Stato dove non c’è qualcosa di assoluto – scriveva de Bonald – non s’è mai visto) e in particolare al rapporto di comando-obbedienza.
Nel complesso i due volumi, anche grazie alla chiarezza espositiva dello studioso lariano, costituiscono una lettura agevole e stimolante. E soprattutto portano una ventata di aria fresca in discipline spesso aggravate da un buonismo precettivo (i famosi “paternostri”) e anche da una certa ripetitività conformista. E queste, da sole, sono ragioni più che valide per leggerli e studiarli.
 
 
Gianfranco Miglio
Lezioni di politica - (Volume primo Storia delle dottrine politiche) - (Volume secondo Scienza della politica), Bologna 2011, Ed. Il Mulino, pp. 346 € 27,00 (I° Volume); pp. 512 € 33,00 (II° Volume).
 

http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=17424

dimanche, 04 novembre 2012

Ciao, Pino

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Addio a Pino Rauti, simbolo del Msi

Addio a Pino Rauti, simbolo del Msi

Pino Rauti era nato a Cardinale (Catanzaro) il 19 novembre del 1926

Giovanissimo partecipò alla nascita del Movimento sociale italiano di cui fu anche leader. Aveva 85 anni. Assunta Almirante: «E’ stato uno dei grandi della destra italiana»
 
 

È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di questa mattina nella sua casa di Roma. Nel 1946, giovanissimo, contribuì alla nascita del Movimento.  

“E’ stato uno dei bravi, dei grandi di questa destra”. le parole di Assunta Almirante, vedova di Giorgio Almirante, storico leader del Movimento sociale, che ha ricordato i guai giudiziari di Rauti, coinvolto nelle inchieste sul terrorismo stragista neofascista: “Molto ingiustamente è stato indicato come un uomo che aveva commesso errori che è stato accertato che non erano suoi, come la strage di piazza Fontana”. Per la vedova Almirante Rauti “è stato una persona di grande intelligenza, è stato indicato come il fondatore di Ordine nuovo ma era un uomo di partito come pochi ce ne sono stati”.  

 

Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha espresso«il più profondo cordoglio per la scomparsa di Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana». «Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura, Rauti - conclude - ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati».  

Il «fascista di sinistra», come è stato definito Giuseppe Umberto Rauti, nacque a Cardinale, in provincia di Catanzaro, il 19 novembre 1926. Fascista di sinistra in contrapposizione con il «fascismo di destra» incarnato da Giorgio Almirante, prima, e da Gianfranco Fini poi. L’attenzione di Rauti si concentrava, infatti, sulla socializzazione e sui temi dell’anticapitalismo e del terzomondismo interpretando, dal suo punto di vista, i motivi ispiratori del fascismo. Questo lo ha relegato per lungo tempo in una posizione minoritaria all’interno del Msi, partito che, giovanissimo, contribuisce a fondare alla fine del 1946. Nei primi anni cinquanta contribuisce a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) insieme ad alcuni appartenenti alla corrente così detta «pagana» e «germanica» della prima organizzazione disciolta nel luglio del 1947.  

 

Dopo due attentati a Roma, presso il Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi: Pino Rauti, Fausto Gianfranceschi, Clemente Graziani, Franco Petronio, Franco Dragoni e Flaminio Capotondi. Tra gli arrestati anche il filosofo Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: Graziani, Gianfranceschi e Dragoni furono condannati a un anno e undici mesi. Altri dieci imputati a pene minori. Tutti gli altri vennero assolti. Tra loro Evola, Rauti ed Erra. Con la fine del processo si concluse definitivamente anche l’adozione della sigla FAR. Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, dà vita al centro studi Ordine Nuovo. Nel 1956 Ordine Nuovo esce dal MSI. Arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti. Successivamente Giorgio Freda ed altri esponenti di estrema destra entreranno a far parte di Ordine Nuovo. Negli anni sessanta e settanta, il nome di questa organizzazione verrà usato per rivendicare una serie di attentati, ai quali Rauti si dichiarerà sempre estraneo. Nel maggio del 1965 l’istituto di studi militari Alberto Pollio organizza un convegno sulla «guerra rivoluzionaria», a Roma all’Hotel Parco dei Principi, che viene finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di un raduno fra fascisti, alte cariche dello Stato e imprenditori: Rauti presenta una relazione su «La tattica della penetrazione comunista in Italia». Il 16 aprile 1968 parte insieme ad altri 51 estremisti di destra (fra cui l’agente del SID Stefano Serpieri, Giulio Maceratini, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Franco Rocchetta) da Brindisi per un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione, nella Grecia dei Colonnelli, a spese del governo greco. Con l’arrivo alla segreteria del MSI nel 1969 di Giorgio Almirante, Rauti e un gruppo di dirigenti rientrò nel partito, e alla guida del movimento restò Clemente Graziani.  

 

Il 4 marzo 1972 il giudice Stiz di Treviso esegue mandato di cattura contro Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. Successivamente l’incriminazione si estenderà agli attentati del 12 dicembre. Il 21 novembre 1973 trenta aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati dalla magistratura per ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e viene decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1974, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo, viene scoperta l’organizzazione eversiva internazionale fascista Aginter Press con la quale ha stretti rapporti anche Rauti attraverso l’agenzia Oltremare per la quale lavora. Nessuna di queste inchieste ha mai accertato qualche reato a suo carico. Successivamente Pino Rauti fu inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e in merito il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio. Assolto il 16 novembre 2010 in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale (insufficienza di prove). Nelle richieste del pm Roberto Di Martino, per quanto concerne la posizione di Pino Rauti si afferma che la sua è una «responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto».  

 

Nel 1972 Rauti viene eletto deputato alla Camera nelle file del Msi nel collegio di Roma, dove verrà sempre rieletto fino alle elezioni del 1994. È promotore di una stagione di rinnovamento dentro il partito, lanciando un quindicinale «Linea», e organizzazioni parallele, dal Movimento giovani disoccupati, ai Gruppi Ricerca Ecologica, e sostenendo i Campo Hobbit fu riferimento delle nuove generazioni del Fronte della Gioventù. La sua era detta la componente dei «Rautiani». Nel 1979, al XII congresso del MSI-DN, viene eletto vicesegretario. È animatore di mozioni congressuali come «Linea futura» (1977), «Spazio Nuovo» (1979 e 1982) e «Andare oltre» (1987). Il 14 dicembre 1987, al XV congresso del MSI a Sorrento, raccoglie quasi la metà dei consensi, insieme alla corrente di Beppe Niccolai, per l’elezione a segretario, ma è battuto da Gianfranco Fini, sostenuto dal segretario uscente e padre nobile del partito Giorgio Almirante, ormai gravemente malato.  

 

lundi, 29 octobre 2012

Pietrangelo Buttafuoco

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mercredi, 24 octobre 2012

CIAO, ALBERTO

CIAO, ALBERTO

Oggi, una mattina come tante, iniziata non bene e non male, nella normalità, mentre stavo iniziando a dedicarmi alle mie occupazioni quotidiane, squilla il telefono, è un mio / nostro sodale che mi da la triste notizia che Alberto B. Mariantoni è andato oltre.

Mi scorrono nella mente ricordi, immagini, idee, le interminabili discussioni fatte in altrettante interminabili nottate, la voglia di combattere contro questo mondo ingiusto ed inumano. Vado a prendere una sua lettera autografa – e già anche nei tempi di internet c’è ancora chi scrive a mano – scritta in bella calligrafia – perché per Alberto, come per la Tradizione estremo orientale, scrivere bene significava pensare bene, scritta con la penna stilografica, come si faceva una volta, anche se si lamentava che l’inchiostro non era più buono come quello di un tempo, la giro e rigiro tra le mani: non riesco a concentrarmi.

Mi sostiene solamente la consapevolezza che continueremo a stare insieme, anche se non materialmente, perché, ad un certo grado di affinità, gli spiriti si pensano.

Economista, saggista, storico, solo pochissime altre personalità possono vantare di essere state autenticamente ribelli ed eretiche. La sua attenzione si è da sempre focalizzata sulla indispensabilità di uscire dall’apparente insolubile dualismo capitalismo-marxismo. Lo studio dei meccanismi dell’economia e, di conseguenza monetari, attraverso l’analisi delle ricorrenti ed inspiegabili crisi inflazionistiche ed economiche formano, negli ultimi tempi, il nucleo centrale del suo interesse extra-storico e politico.

I suoi articoli e saggi di economia, purtroppo, conoscono una lunga notte. Le sue tesi sconvolgono le classiche coordinate di analisi economico-politica. Come pensare che economia libera ed economia statizzata in realtà abbiamo le medesime matrici e producano i medesimi risultati? Come pensare che esse congiuntamente decidano dei destini delle monete ? Come pensare che esse siano organizzativamente e finalisticamente simili ?

Alberto ancora una volta colpirà nel segno.

Testimone e protagonista del suo tempo non indietreggiò, mai, davanti al suo destino, anche quando questo gli fu avverso. Forse proprio per questa sua coerenza, tutto un “ certo “ ambiente lo ha isolato, contribuendo, tuttavia, a farne un uomo troppo alto per essere intaccato da critiche meschine.

Tante volte varcò la porta della stima personale e del successo, a differenza di altri che a quella porta bussarono, con il cappello in mano, senza mai varcarla.

E questo è, forse, il peccato che questo nostro tempo di nani non gli perdona.

“ A mio giudizio, abbiamo quella illudente e fuorviante percezione della nostra esistenza, in quanto continuiamo testardamente ed incosapevolmente a volere assolutamente “ leggere” o interpretare la realtà che ci contorna, attraverso le lenti deformanti e snaturanti della “visione ideologica” della vita e della storia”, così ci diceva e scriveva.

Ciao Alberto.

Claudio Marconi   FotoAlberto

ALBERTO B. MARIANTONI È “ANDATO AVANTI”

ALBERTO B. MARIANTONI È “ANDATO AVANTI”

Ex: http://www.eurasia-rivista.org/  

 

ALBERTO B. MARIANTONI È “ANDATO AVANTI”

La redazione di “Eurasia” dà l’estremo saluto ad Alberto Bernardino Mariantoni, politologo, saggista storico, esperto di questioni del Vicino Oriente e studioso delle religioni.

Lo ricordiamo come collaboratore della rivista, in particolare col suo storico saggio Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum”. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente (“Eurasia” 3/2005), il quale ha avuto l’inestimabile merito di sollevare definitivamente la questione dell’occupazione della nostra terra da parte di eserciti stranieri. Dopo tale illuminante articolo, anche i media collaborazionisti cosiddetti “autorevoli” dovettero “correre ai ripari” per tamponare la falla, ovvero la “fuga di notizie”, che rischiava di trasformarsi in un’alluvione; così avvenne che in una trasmissione di una rete televisiva nazionale, citando il saggio di Mariantoni, venne imbastita una ridicola messinscena tra “esperti” i quali, arrampicandosi sugli specchi, cercavano di minimizzare l’inaudita gravità di un apparato tentacolare che, per la sua sola presenza, rende nulla ogni pretesa di indipendenza e sovranità delle nazioni sottoposte a pluridecennale imposizione.

Lo ricordiamo anche come uomo, generoso, tollerante, sempre disponibile e mai “in cattedra”, sebbene, grazie alla sua esperienza diretta delle cose di cui trattava, si sarebbe potuto atteggiare a “professore” più di tanti altri che, per molto meno, fanno sfoggio di conoscenze puramente libresche, imparate dai “bignamini”.

Mariantoni era un “interventista della cultura”, nel più aureo filone dei grandi Italiani che, del loro sapere, non han fatto una base per guadagnare onori e prebende vivendo sempre da “struzzi”, ma lo hanno costantemente messo a disposizione di una “battaglia” sentita come improrogabile: quella per la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare di tutti i popoli del mondo.

Per chi intendesse saperne di più su questa grande figura di italiano, mediterraneo ed europeo, consigliamo la lettura dei testi contenuti nel suo sito personale: http://www.abmariantoni.altervista.org/

Addio Alberto, che la morte ti sia lieve. Come tu stesso dicevi sempre, è solo la vita che va verso la vita. 

Enrico Galoppini, a nome della Redazione di “Eurasia”

Who was Alberto B. Mariantoni?

Alberto Bernardino Mariantoni è nato a Rieti ( I ), il 7 Febbraio del 1947.

E’ laureato in Scienze Politiche e specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni del Vicino Oriente. E’ Master in Vicino e Medio Oriente.

Politologo, scrittore e giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per circa quindici anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed internazionali, come «Le Journal de Genève», «Radio Vaticana», «Avvenire», «Le Point», «Le Figaro», «Cambio 16», «Diario de Lisboa», «Caderno do Terceiro Mundo», «Evénements», «Der Spiegel», «Stern», «Die Zeit», «Berner Zeitung», «Il Giornale del Popolo», «Gazzetta Ticinese», «24Heures», «Le Matin», «Al-Sha’ab», Al-Mukhif Al-Arabi», nonché «Antenne2», «Télévision Suisse Romande», «Televisione Svizzera Italiana», ecc.

E’ esperto di politica estera e di relazioni internazionali, con particolare riferimento ai paesi arabi e musulmani e dell’Africa centrale ed occidentale. Ha al suo attivo decine e decine di inchieste e di reportages in zone di guerra e di conflitti politici. E’ autore di oltre trecento interviste ai protagonisti politici ed istituzionali dei paesi del Terzo Mondo e della vita politica internazionale.

Ha insegnato presso la Scuola di Formazione continua dei giornalisti di Losanna. E’ stato Professore invitato presso numerose Università Europee e Vicino-Orientali.

Ha scritto: «Gli occhi bendati sul Golfo» (Jaca Book, Milano 1991); «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (Pygmalion, Paris, 1992); «Le storture del male assoluto» (Herald Editore, Roma, 2011); con AA.VV., «Una Patria, una Nazione, un Popolo» (Herald Editore, Roma 2011); con AA.VV., «Nuova Oggettività – Popolo, Partecipazione, Destino» (Heliopolis Edizioni, Pesaro, 2011).

Dal 1994 al 2004, è stato Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese.

Nel 2009-2010 ha collaborato, come docente, con lo I.E.M.A.S.V.O - Istituto 'Enrico Mattei' di Alti Studi sul Vicino e Medio Oriente di Roma.

English:

Alberto Bernardino Mariantoni was born in Rieti (Italy), on February 7th, 1947.

He graduated in Political Sciences and specialized in Political Economy, and Islamic studies and Religions of the Middle-East. He is also a post-graduate Master in the Near and Middle East.

As a political commentator, writer and journalist he was – for more than twenty years – permanent correspondent at the United Nations in Geneva (Switzerland). For approximately fifteen years he was included in the list of front-page editorialists of “Panorama” (a major, nationally distributed Italian news magazine). He has collaborated with top-ranking, prestigious national and international media organs, such as “Le Journal de Genève”, “Radio Vaticana”, “Avvenire”, “Le Point”, “Le Figaro”, “Cambio 16”, “Diario de Lisboa”, “Caderno do Terceiro Mundo”, “Evénements”, “Der Spiegel”, “Stern”, “Die Zeit”, “Berner Zeitung”, “Il Giornale del Popolo”, “Gazzetta Ticinese”, “24Heures”, “Le Matin”, “Al-Sha’ab”, and “Al-Mukhif Al-Arabi”, plus “Antenne2”, “Télévision Suisse Romande”, “Televisione Svizzera Italiana”, etc.

He is an expert on foreign politics and international relations, with particular reference to Arabic and Muslim countries, and the countries of Central and West Africa. He has authored many dozens of inquiries into, and reports from, war zones/regions struck by political conflicts. He has also authored more than 300 interviews with political and institutional personages of Third World countries and the international political scene.

He has taught for the continuing professional development school for journalists in Lausanne (Switzerland). He has been ‘guest professor’ at various European and Near-East Universities.

He has written: «Gli occhi bendati sul Golfo» (blindfolded on the Gulf) (published by Jaca Book, Milan, 1991) and «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (the unsaid on the Israel-Arab conflict) (published by Pygmalion, Paris, 1992);«Le storture del male assoluto» (Herald Editore, Roma, 2011); con AA.VV., «Una Patria, una Nazione, un Popolo» (Herald Editore, Roma 2011); con AA.VV., «Nuova Oggettività – Popolo, Partecipazione, Destino» (Heliopolis Edizioni, Pesaro, 2011).

From 1994 to 2004, he was Chairman of the Italian-Palestinian Chamber of Commerce.

In 2009-2010, he collaborated as professor with I.E.M.A.S.V.O – ‘Enrico Mattei’ Advanced Studies Institute on the Near and Middle East, Rome (Italy).

 

mercredi, 17 octobre 2012

Julius Evola e l’esperienza del Gruppo di Ur

Julius Evola e l’esperienza del Gruppo di Ur.

La storia “occulta” dell’Italia del Novecento

Ex: http://www.centrostudilaruna.it/

Evola_l-res.jpgIn Italia gli anni fra il 1927 ed il 1929 sono segnati da una vicenda spirituale, esoterica e culturale, sconosciuta al grande pubblico e poco esaminata dagli storici, ma che, nondimeno, è una esperienza importante perché é la più significativa della cultura esoterica italiana (ed anche europea) del Novecento: il Gruppo di Ur, diretto dal filosofo Julius Evola – e l’omonima rivista Ur negli anni 1927-28, poi divenuta Krur nel 1929. Di questo gruppo esoterico facevano parte le personalità più significative dell’esoterismo italiano di quel tempo, quali Arturo Reghini (studioso del pitagorismo e fondatore del Rito Filosofico Italiano), Giulio Parise, Giovanni Colazza (antroposofo, interlocutore diretto e fiduciario di Rudolf Steiner in Italia), insieme ad altri insigni esoteristi quali, ad esempio, Guido De Giorgio, il poeta Girolamo Comi, forse lo psicanalista Emilio Servadio (ma la partecipazione di quest’ultimo è controversa), il kremmerziano Ercole Quadrelli e vari altri altri.

La peculiarità di questo sodalizio stava nell’essere un momento ed un tentativo di sintesi fra varie correnti di spiritualità esoterica, quindi élitaria, selettiva, non accessibile a tutti. Tale sintesi veniva cercata anzitutto sul piano spirituale, “magico-operativo”, poi anche su quello dell’elaborazione culturale, in termini di dottrina esoterica, quale si esprimeva sulla rivista Ur-Krur. Erano infatti presenti nel gruppo una certa corrente massonica (impersonata da Reghini e Parise) che intendeva riportare la massoneria ai suoi significati originari, depurandola delle degenerazioni profane e mondane che l’avrebbero caratterizzata dall’illuminismo francese in poi, insieme alla corrente di ispirazione kremmerziana (impersonata dall’esoterista che sulla rivista Ur si firmava Abraxa), richiamantesi cioè agli insegnamenti di Giuliano Kremmerz (fondatore della Fratellanza Terapeutica di Myriam) alla corrente antroposofica, fino a quella dell’esoterismo cristiano. Evola impersona la linea di un paganesimo integrale distante sia dall’indirizzo massonico (col quale vi fu una rottura nel 1928), sia dall’esoterismo cristiano.

Ciò che noi conosciamo di questa esperienza lo evinciamo dai contenuti della rivista, nonché da quanto lo stesso Evola racconta nel suo libro autobiografico Il Cammino del Cinabro.

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Diamo al lettore un sia pur sommario inquadramento storico-culturale per contestualizzare il senso e la funzione di Ur. Siamo nell’Italia del fascismo-regime, per dirla col linguaggio di Renzo De Felice. Le leggi speciali che introducono il regime a partito unico sono del 1926. Gli anni di Ur sono quelli delle trattative fra Stato e Chiesa per risolvere la questione romana, rimasta irrisolta dal 1870 con l’annesso problema del rapporto fra cattolici e Stato unitario.

Sul piano internazionale, il Trattato di Versailles del 1919 ha messo in ginocchio la Germania ed ha lasciato nell’opinione pubblica italiana un profondo e diffuso senso di frustrazione per quella che viene considerata la “vittoria mutilata”. L’economia internazionale è alla vigilia di una crisi – quella di Wall Street del 1929, che influirà profondamente sullo sviluppo delle relazioni fra gli Stati. La nascita del fascismo nel 1919 – ossia di un movimento che si richiama al simbolo romano del fascio littorio – e i primi anni del governo Mussolini dal 1922 in poi segnano un momento importante di apertura di nuovi spazi di influenza della cultura esoterica nei confronti del nuovo indirizzo politico e quindi nei confronti dello Stato.

E’ un tema complesso, inedito fino a pochi anni orsono ed approfondito in modo scientifico, per la prima volta, nel libro Esoterismo e Fascismo (a cura di Gianfranco De Turris, Mediterranee, Roma, 2006), cui hanno contribuito ben 35 studiosi, di diversa provenienza culturale e delle più diverse specializzazioni e che ha rappresentato lo sviluppo elaborativo di una monografia della rivista Hera (al tempo in cui era diretta da Adriano Forgione) sullo stesso tema, pubblicata nel 2003, dallo stesso curatore.

Per entrare meglio in argomento, è bene lasciare la parola allo stesso Evola, in un suo brano significativo nel Cammino del Cinabro: “Già il Reghini, quale direttore della rivista Atanor e poi Ignis… si era proposto di trattare le discipline esoteriche e iniziatiche con serietà e rigore, con riferimenti a fonti autentiche e con uno spirito critico. Il “Gruppo di Ur” riprese la stessa esigenza, però accentuandone maggiormente il lato pratico e sperimentale. Sotto la mia direzione esso fece uscire dei fascicoli mensili di monografie destinate ad essere riunite in volumi epperò coordinate in modo che si avesse, in buona misura, uno sviluppo sistematico e progressivo della materia… Fu adottato il principio dell’anonimia dei collaboratori perché – era detto nell’introduzione – “la loro persona non conta, quel che possono dire di valido non è loro creazione o escogitazione ma riflette un insegnamento superindividuale e oggettivo”… Nell’introduzione, come punto di partenza veniva posto ancora una volta il problema esistenziale dell’Io, la crisi di chi non crede più ai valori correnti e a tutto ciò che dà abitualmente, sul piano sia intellettuale, sia pratico, sia umano, un senso all’esistenza. Il presupposto ulteriore era che di fronte a tale crisi non si scartasse, non si ricorresse a dei lenitivi, ma nemmeno si crollasse, che in base al fatto irreversibile ormai determinatosi si fosse invece decisi assolutamente a “dissipare la nebbia, ad aprirsi una via”, volgendo verso la conoscenza di sè e, in sé , dell’Essere” (J.Evola, Il Cammino del Cinabro, Scheiwiller, Milano, 1972, pp.83-84).

Questa conoscenza ha il carattere di una scienza che, pur non avendo a che fare con cose e con fenomeni esteriori, ma concernendo le forze più profonde dell’interiorità umana, procede in modo sperimentale, con gli stessi criteri di obiettività e di impersonalità delle scienze esatte. Ad essa si lega “una tradizione unica che, in varie forme di espressione, si può ritrovare in tutti i popoli, ora come sapienza di antiche élites regali e sacerdotali, ora come conoscenza adombrata da simboli sacri, miti e riti le cui origini si perdono in tempi primordiali, da Misteri e da iniziazioni”.

Il punto di partenza è quindi il rifiuto dei valori correnti, di tutto ciò che abitualmente dà un senso alla vita; il riferimento è ai valori del mondo cattolico-borghese, verso i quali si avverte una profonda insoddisfazione esistenziale. E’ un tema che già compariva, in forme diverse, nella fase artistica di J. Evola, quella del dadaismo, di cui fu il maggiore esponente italiano; il linguaggio artistico del dadaismo si configura infatti, come una rottura verso i canoni tradizionali dell’arte dell’800 e di tutto il mondo che quell’arte esprimeva.

Tale rifiuto non è però fine a se stesso, ma sfocia in una ricerca costruttiva di diversi e più alti orizzonti,verso una conoscenza di sé e, in sé, dell’Essere, che non è una speculazione astratta, ma una concreta e sperimentale ricerca interiore, secondo una precisa metodica che non è una escogitazione individuale di questo o quell’autore, ma il frutto di una scienza antica, millenaria e universale, al di là delle sue varie forme espressive, secondo le diversità di tempo e di luogo.

Il fine di Ur, sul piano operativo-spirituale, è dunque quello di evocare una forza metafisica, attirandola col magnete psichico costituito dalla “catena” di Ur e dalle correlative operazioni di catena sulle quali, nella rivista omonima, si leggono precise istruzioni. Questa “forza” doveva poi trovare un suo sbocco, una sua estrinsecazione sul piano dell’azione culturale ed anche su quello politico.

urflauto5.jpgLe monografie della rivista furono poi raccolte in volume col titolo della rivista e poi, nella loro prima riedizione (1955, a cura dell’editore Bocca di Milano, poi per le Edizioni Mediterranee di Roma nel 1971) presero il titolo di Introduzione alla Magia, aggiungendo come sottotitolo “quale Scienza dell’Io”.

Nell’introduzione del testo si precisava che il termine “Magia” non era adoperato nel senso popolare e nemmeno in quello adoperato nell’antichità, perché non si trattava di certe pratiche, reali o superstiziose, volte a produrre fenomeni extra-normali. Il Gruppo di Ur si riferiva essenzialmente al senso etimologico del termine (nella lingua iranica la radice “Mag” vuol dire sapiente), ossia ci si riferiva al sapere iniziatico in una sua speciale formulazione, ispirata ad un atteggiamento “solare”, ossia attivo e affermativo rispetto alla sfera del sacro. A tal riguardo si può ricordare una celebre frase di Plotino “Sono gli Déi che devono venire a me, non io agli Déi”, per rendere l’idea di questo peculiare orientamento spirituale. Peraltro la radice Ur in caldaico significa fuoco, ma vi era anche un senso aggiuntivo, quello di “primordiale, di “originario” che esso ha come prefisso in tedesco.

I contributi del Gruppo di Ur davano dunque orientamenti, spunti, sollecitazioni con l’esposizione di metodi, di discipline, di tecniche, insieme ad una chiarificazione del simbolismo tradizionale; inoltre con relazioni di esperienze effettivamente vissute e infine con la traduzione e la ripubblicazione di testi delle tradizioni occidentali e orientali integrati da opportuni commenti, quali, ad esempio, il Rituale Mithriaco del Gran Papiro Magico di Parigi, i Versi aurei di Pitagora, testi ermetici come la Turba Philosophorum, alcuni canti del mistico tibetano Milarepa, passi del canone Buddhista, brani scelti di Kremmerz, di Gustav Meyrink, di Crowley. Un quarto profilo di Ur riguardava i contributi di inquadramento dottrinario sintetico nonché puntualizzazioni critiche.

Evola scrive al riguardo “Indirizzi molteplici di scuole varie venivano presentati, a che il lettore avesse modo di scegliere in base alle sue particolari predisposizioni o inclinazioni”.

Ur si presenta quindi come una elaborazione critica della spiritualità esoterica tradizionale e, correlativamente, della cultura esoterica sia sul piano tecnico-operativo che su quello dell’esegesi testuale e dell’inquadramento dottrinario. Esso è, al tempo stesso, un momento di confronto pluralistico fra vari indirizzi iniziatici, in modo che il lettore possa scegliere avendo una panoramica generale, una visione d’insieme dei molteplici indirizzi operativi presenti nella spiritualità esoterica della prima metà del Novecento.

Va peraltro evidenziato che Ur fu il primo sodalizio a pubblicare il Rituale Mithriaco, fuori da ogni consorteria accademica e fu la prima rivista a pubblicare in Italia alcune pratiche del Buddhismo Vajrayana sotto il titolo La Via del diamante-folgore (si tratta della pratica di Vajrasattva – il Buddha della purificazione – e della sua “Sposa”, cioé la sua Shakti), dimostrando una apertura mentale ed una lucidità che ne facevano una vera e propria avanguardia sia sul piano spirituale-operativo, che su quello dell’elaborazione culturale che anticipava di gran lunga, cioè di molti decenni, la diffusione in Italia delle religioni orientali…

Peraltro la pubblicazione del Rituale Mithriaco si inseriva in un disegno – cui lo stesso Evola accenna espressamente nel Cammino del Cinabro – volto ad esercitare una influenza sul regime politico allora vigente, per svilupparne le potenzialità legate all’assunzione del fascio littorio come simbolo. In altri termini, una influenza volta a radicalizzare e potenziare l’anima “pagana” del fascismo, con ripercussioni concrete in termini politici e di orientamento culturale. Il commento di Ur al Rituale Mithriaco non sembra lasciare dubbi al riguardo, visto che si parla di un conflitto fra paganesimo e cristianesimo tuttora attuale e non confinato nella lontana antichità del IV secolo d.C. E’ un tema che, in altra sede, ho già ampiamente approfondito, poiché il disegno spirituale e di sistematizzazione dottrinaria aveva anche un suo profilo politico preciso, forse contando anche sul sostegno di alcune componenti interne al Partito nazionale fascista, sull’anticlericalismo di una certa area liberal-risorgimentale e, come ho già dimostrato altrove, sul tacito sostegno – quantomeno in termini di tolleranza – dello stesso Mussolini, poiché altrimenti non si spiega la libertà di movimento di questa rivista che, in un momento delicatissimo del rapporto diplomatico fra Stato e Chiesa, interviene con una affermazione di antagonismo nei confronti della religione cristiana. Le confidenze del Duce al suo biografo Yvon De Begnac sono eloquenti al riguardo (Y. De Begnac, Taccuini Mussoliniani (con prefazione di Renzo De Felice), Il Mulino, Bologna, 1990). Negli stessi anni – e precisamente nel 1928 – Evola pubblica Imperialismo Pagano, col significativo sottotitolo Il fascismo dinnanzi al pericolo eurocristiano. Le tesi del libro – ossia la necessità per il fascismo di attuare una rivoluzione spirituale in senso “pagano” – suscitarono le proteste dell’Osservatore Romano e contrasti anche nell’area della pubblicistica fascista.

Ur e Imperialismo Pagano si collocano quindi nell’ambito del medesimo disegno – poi storicamente fallito – volto a influire sulla direzione spirituale e politica del regime fascista (cfr. J. Evola, La Via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra (a cura di Stefano Arcella), Fondazione J.Evola-Controcorrente, Napoli, 2007).

Al di là di questo profilo esoterico-politico, intendo soffermarmi sui contributi di Giovanni Colazza (che si firmava Leo) e sull’influenza che il suo orientamento ebbe sulla formazione di Evola.

I contributi di questo esoterista si distinguono per una impostazione tutta concentrata sulla interiorizzazione personale di una visione animata e attiva della realtà, del mondo e della vita. Il primo contributo, dal titolo “Barriere”, è molto eloquente in questo senso. Non vi sono riferimenti a rituali magici, né a cerimoniali, ma tutto è imperniato sulla elaborazione cosciente di una visione e percezione più sottile e profonda delle cose. Si insiste quindi sulla responsabilità personale, sullo sviluppo di un percorso di consapevolezza in cui l’uomo opera su sé stesso per trasformarsi.

Nella prospettiva di Colazza, gioca quindi un ruolo fondamentale la volontà unita all’autoosservazione con la calma interiore di un critico. E’ una via dell’anima cosciente in cui ci si osserva come se si stesse osservando un altro. E’ evidente che sulla formazione di Colazza gioca un ruolo fondamentale l’influenza di Steiner e delle sue opere nelle quali viene tramandata la “scienza dello spirito”, che l’esoterista austriaco definisce antichissima e millenaria, non confondibile quindi con una escogitazione intellettuale soggettiva.

I contributi successivi di Leo vanno nella stessa direzione e sono un ulteriore approfondimento della medesima impostazione. Peraltro egli contribuisce all’introduzione ed al commento del Rituale Mithriaco insieme a Pietro Negri (Reghini), a Luce (Parise) e ad EA (Evola), come in Ur è esplicitamente attestato.

Ho avuto modo, già in altra sede, di evidenziare come la lettura evoliana dei Misteri di Mithra risenta dei contenuti della Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner soprattutto nel punto in cui parla di questa volontà individuale che afferma la centralità di una coscienza calma ed autosufficiente e rifiuta la dimensione dell’agitazione e della perenne insoddisfazione della vita profana e ordinaria. E l’incontro con Colazza contribuì sicuramente a questo ampliamento di orizzonti del giovane filosofo romano.

E’ degno di attenzione che, nel III volume di Introduzione alla Magia (che corrisponde alla raccolta della rivista Krur del 1929) venga pubblicato un contributo non firmato – e quindi riferibile al direttore di Ur, ossia ad Evola – che si intitola “Liberazione delle facoltà”; si tratta di una sequenza metodica di esercizi personali, che riguardano il dominio del pensiero, il dominio dell’azione, l’equanimità, la positività come nuovo stile di pensiero, l’apertura mentale o spregiudicatezza e, infine, il riepilogo contestuale dei 6 esercizi.

Ognuno di questi esercizi dura 1 mese e vanno praticati nell’ordine in cui li abbiamo menzionati. Il primo riguarda la fortificazione del principio cosciente rispetto al flusso dei pensieri e consiste nella “concentrazione sull’oggetto insignificante”. Il secondo concerne la fortificazione della volontà cosciente rispetto al proprio agire che da agire abitudinario deve trasformarsi in agire consapevole. Il terzo riguarda lo sviluppo di un calmo distacco rispetto agli eventi, piacevoli o spiacevoli che siano, della propria vita, senza che ciò implichi insensibilità o indifferenza, ma la capacità di non lasciarsi trascinare né dalla gioia né dal dolore. Il quarto esercizio attiene allo sviluppo del pensiero positivo, ossia la capacità di saper cogliere gli aspetti positivi, benefici, di ogni cosa e di ogni evento, senza che ciò significhi scadere in un ingenuo ottimismo o non vedere gli aspetti negativi della realtà, ma sapendo valorizzare ciò che, in ogni cosa, può aiutare la nostra evoluzione di coscienza. Il quinto concerne l’apertura mentale, la capacità di saper uscire fuori dagli schemi ordinari, ammettendo la possibilità che della realtà facciano parte altri aspetti non ordinari. Il sesto è un momento di sintesi e di coordinamento dei 5 esercizi precedenti. Ognuno di questi esercizi è integrato da una precisa pratica di visualizzazione di una corrente eterica allo scopo di mettere in movimento le nostre energie che, nella fisiologia occulta, sono quelle del cosiddetto “corpo eterico” e dei “centri energetici”(i “chakra” della tradizione esoterica indiana).

Orbene tali esercizi di liberazione delle facoltà del pensiero, dell’agire, della calma e della solarità nel modo di affrontare la vita, sono esattamente, con un sola variante tecnica nel 1° esercizio, i sei esercizi fondamentali insegnati da Rudolf Steiner e ripubblicati in Italia dall’editrice Antroposofica di Milano. Steiner muore nel 1925 mentre il Gruppo di Ur si colloca negli anni fra il 1927 ed il 1929, per cui l’influenza di Steiner su Ur, sotto questo particolare aspetto, è storicamente documentata.

Eppure lo stesso Evola, nel suo libro Maschera e Volto dello spiritualismo contemporaneo (ora: Mediterranee, Roma, 2008), critica chiaramente e duramente la visione storica e cosmologica di Steiner che giudica come una visione evoluzionista e quindi antitradizionale (Evola si richiamava infatti alla dottrina dei cicli e della “regressione delle caste”, la storia venendo vista come un processo regressivo) ma in Krur riprende un preciso insegnamento operativo steineriano, anche se non cita Steiner.

Orbene, è evidente, a questo punto che, sotto alcuni specifici aspetti operativi, Evola risentì dell’influenza di Steiner attraverso la mediazione e l’insegnamento di Colazza che partecipava ad Ur con precisi insegnamenti di carattere operativo. A volte, i rapporti fra gli studiosi di esoterismo e fra i ricercatori spirituali sono più complessi di quanto possa apparire a prima vista.

* * *

Articolo originariamente pubblicato su Hera di settembre 2012.

mardi, 09 octobre 2012

Entretien avec le « Blocco Studentesco »

Militantisme étudiant: entretien avec le « Blocco Studentesco »



Ex: http://zentropa.info/

Tout d’abord, je vous remercie de nous avoir donné la possibilité de nous entretenir avec vous! Pourriez-vous nous parler brièvement du Blocco Studentesco pour ceux d’entre nos lecteurs qui ne sont pas déjà familiers avec vous: qui êtes-vous, et quelle est votre relation avec Casapound Italia?

Le Blocco Studentesco a été fondée en 2006 au sein de l’expérience de Casapound qui en un peu plus de deux ans a pu acquérir une grande importance dans la ville de Rome, surtout par la résonnance de sa lutte sociale pour le logement et sa proposition de loi sur le « Mutuo Sociale ». Beaucoup de jeunes garçons et de jeunes filles avaient alors approché notre mouvement et nous avons décidé de commencer à faire de la politique même au sein des écoles, de slycées et des universités en fondant un syndicat ayant le même esprit que celui qui a caractérisé l’avant-garde du mouvement Casapound.

Quelles ont été les principales raisons de la fondation d’un syndicat étudiant indépendant?

La stratégie de Casapound Italie est de s’investir dans tous les aspects de la société: politique, sport, le bénévolat, la culture, etc… Ainsi, lorsque les conditions ont été rassemblés, il a été décidé «d’entrer» dans les écoles, puis, par la suite, dans les universités. Nous avons une vision du monde et de monuments historiques très précises. Le monde de l’éducation en Italie est le paradigme et de l’enseignement qui s’opposent radicalement et celle de la gérontocratie qui domine la société italienne. Pour cette raison, nous demandons de donner plus de poids et de représentation aux étudiants, réitérant le principe de “la jeunesse au pouvoir.” Notre travail se caractérise également par un constant souci de la justice sociale, comme le démontre notre engagement en faveur de la réduction des coûts des manuels scolaires et le financement public de l’éducation.

Historiquement parlant, les activités des organisations étudiantes nationalistes finlandaises ont été plutôt inexistantes depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale. Qu’en est-il en Italie: y a-t-il eu des expériences à la votre qui méritent d’être mentionnées?

En Italie, la situation est au moins partiellement différente de celle finlandais. L’héritage du fascisme, en dépit de la “damnation mémorielle” imposée par les vainqueurs de la Seconde Guerre mondiale, ne s’est jamais éteinte au sein de notre peuple. Après la guerre, a été fondé un parti néo-fasciste, le MSI. Ce parti a toujours eu des organisations de jeunesse et d’étudiants tels que le Front de la jeunesse ou Fuan (Front d’Action National University), qui, malgré des hauts et des bas et des choix discutables de la direction du MSI, ont au fil des années effectuées un gros travail à une époque où l’extrême gauche était une force politique majeure. On peut se souvenir notamment de l’expérience des grandes manifestations étudiantes des années 70, mouvement de révolte qui a donné naissance à « Terza posizione ». Puis, dans les année 2000, la syndicalisme étudiant « nationaliste » a connu une période d’impasse avant la renaissance représenté par le Blocco Studentesco.

Vous avez également participé à plusieurs élections, avec de bons résultats, notamment 28% des des voix aux élections du secondaire en 2010, ce qui est spectaculaire pour une organisation «politiquement incorrect» comme vous l’êtes. Quels ont été vos principaux thèmes de campagne lors de ces élections?

Le Blocco a toujours obtenu des résultats électoraux considérés comme impensables il y a quelques années. Dans les écoles de la province de Rome il représente encore 25% des élèves, et cette année nous avons remporté les élections pour la représentation de l’organe représentatif élu de la deuxième Université de Rome, Tor Vergata. Les principaux thèmes de nos campagnes électorales étudiantes sont souvent les mêmes que pour notre programme national, à savoir la Jeunesse au pouvoir et de nombreuses mesures sociales. Aussi dans l’imaginaire collectif le « Blocco » se présente comme le seul véritable rempart contre hégémonie politique et culturelle de l’extrême gauche.

Pour de nombreux nationalistes le vrai pouvoir ne se trouve pas dans les mains des personnes « démocratiquement élues », et donc participer à toute élection est largement dépourvue de sens. Comment pour votre part abordez vous l’élection, pensez-vous qu’elle est une influence réelle sur le cours des choses?

Le Blocco voit l’élection en tant que moyen jamais comme une fin. Nous sommes conscients que le vrai pouvoir ne réside pas dans les organes démocratiquement élus. En ce qui concerne le monde étudiant c’est encore plus vrai car les organismes représentatifs des élèves n’ont presque jamais de véritable pouvoir. Participer aux élections est toujours une vitrine permettant de propager ses idées et d’avoir possibilité de réaliser certains projets si l’ont est éléu. En plus pour un mouvement considéré comme politiquement incorrect en effet, démontrer un large consensus est crucial, cela donne une légitimité. Nous continuons nos combats dans les rues notamment par des actions fortes telles que des « blitz » (action coups de poings où les militant investissent un lieu non autorisé pour y faire entendre leur message), des manifestations et des occupations, mais nous savons aussi que les élections peuvent aider à mener notre combat. La chose importante est de garder sa lucidité et un centrage politique et existentiel, pour ne pas être «corrompu» par le système démocratique. Nous sommes convaincus que nous pouvons réussir, peut-être que ceux qui ont «peur» de l’élection ne sont pas convaincus de s’y présenter tout en restant fidèles à eux-mêmes.

Casapound Italia est bien connu pour être plus qu’une simple organisation politique. Quel genre d’activités autres que la politique le Blocco Studentesco peut-il avoir?

Le Blocco Studentesco, contrairement à Casapound Italie, est spécialisée dans le domaine de la politique dans les écoles et les universités. Cependant, nous avons souvent en effet des activités « collatérales » telles que l’organisation de tournois sportifs, de soirées festives communautaires ou des actions de solidarité en faveur des orphelinats ou même à l’échelle internationale pour soutenir le peuple Karen.

Les universités en Europe sont malheureusement souvent devenus des bastion pour les agitateurs anti-nationaux, traditionnellement d’extrême gauche, mais aujourd’hui aussi de la droite libérale capitaliste. Avez-vous été confrontés dans votre militantisme universitaire à ces deux catégories d’individus?


Oui, bien sûr, certains d’entre nous ont également subi des tentatives d’intimidation de la part des enseignants et des directeurs pour leurs activités politiques. Avec la droite libérale, il y a essentiellement des confrontations dialectiques et idéologiques. Avec l’extrême gauche, la situation est assez différente, car on y trouve de nombreuses franges violentes. Cependant, nous sommes habitués à nous défendre, nous et notre liberté d’expression, nous ne sommes certainement pas du genre à nous laisser impressionner.

Les problèmes rencontrés par les jeunes d’aujourd’hui semblent être plus ou moins partout en Europe l’aliénation par le marché, à savoir, la soumission à la culture de consommation sens, la perte de l’identité…. Avez-vous des liens avec d’autres les mouvements de jeunesse en Europe? Quelle est votre opinion sur la possibilité d’un mouvement « Paneuropéen » de coopération?

Nous n’avons aucun lien réel avec des mouvements en particulier, mais nous observons toujours avec intérêt d’autres expériences européennes. Nous sommes toujours disponibles pour nous confronter à d’autres pays européens, comme en témoignent les rencontres avec certains mouvements d’étudiants nationalistes en Flandre ou les militants de Respuesta Estudiantil à Madrid. Probablement, au niveau de la coopération entre les différents mouvements sociaux et nationaux, il y a du travail. Il y a probablement encore beaucoup trop de fragmentation et peu d’organisations véritablement solides et cohérentes.

Quels sont les plans du Blocco Studentesco pour l’avenir?

Le but ultime, c’est la révolution. Il est nécessaire de poursuivre le travail entrepris, mais aussi d’en faire toujours davantage, de créer, de conquérir de nouveaux espaces. En Italie, nous vivons un véritable coup d’Etat réalisé par le président de la République Giorgio Napolitano sur la pression des pouvoirs financiers qui nous ont imposé un gouvernement, le gouvernement Monti, non élu par le peuple et qui met progressivement en vente notre pays. Face à cela, nous devons mener une grande bataille contre ces ennemis de l’Italie et de l’Europe, offrant un modèle de société alternatif à travers les différentes structures de Casapound en Italie.

Last but not least, je vous remercie une nouvelle fois pour cette interview. N’hésitez pas à ajouter quelques mots à l’adresse de nos lecteurs finlandais.

C’est nous qui vous remercions de votre intérêt et de votre interview!

Pas grand chose à ajouter, parce que la situation que nous vivons en Italie et en Europe est claire. Il y a juste beaucoup à faire pour faire tomber un système basé sur l’injustice sociale, la négation de l’identité et la destruction de l’esprit humain. Nous conclurons par une citation de Benito Mussolini, toujours d’actualité: «L’action force les portes sur lesquelles est écrit «interdit». L”attaque audacieuse peut toujours renverser l’obstacle. “

dimanche, 07 octobre 2012

Rubrique d'Italie

Rubrique d'Italie

par Gabriele Adinolfi

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Gabriele Adinolfi

RIVAROL

N° 3062 du 28/09/2012

 

LE PREMIER ministre italien, Mario Monti, vient d’avouer publiquement qu’il a entraîné la Péninsule dans la récession. Il était impossible de nier l’évidence. Le taux d’imposition transalpin est devenu aujourd’hui le plus élevé du monde ; il n’y a eu aucune mesure favorable à la production menacée par la concurrence étrangère ; le chômage a grandi à des niveaux que l’Italie n’avait jamais connus, même pas en 1929 ; la consommation a chuté brutalement (les hôtels et les restaurants dans les principales localités touristiques ont vu un effondrement de 60 % de leur chiffre d’affaire cet été) alors que l’épargne familiale est attaquée. Le “spread”, le nouvel épouvantail invoqué lors du putsch qui avait fait tomber M. Berlusconi, ce “spread” (c’est-à-dire la différence entre les titres italiens et les titres allemands) que M. Monti s’était déclaré certain de réduire très vite et de façon considérable, reste au même niveau qu’il était lors de son arrivée “providentielle”. Et puisque les technocrates avaient expliqué aux Italiens que ne pas réduire le différentiel en quelques mois aurait signifié faire faillite, il est difficile pour Mario Monti de ne pas admettre maintenant qu’il a traîné le pays dans un gouffre.

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 ATOMISER MÊME LE COMMERCE

 

Si les Italiens surpris par ces aveux commencent seulement à se poser des questions c’est qu’ils n’avaient pas compris tout de suite l’objectif réel du gouvernement putschiste qui n’est pas de redresser le pays mais de le mettre à genoux suivant les intérêts financiers de ses patrons.

 

Mario Monti n’a pas été si longuement président européen de la Commission Trilatérale par hasard.

 

Et le but qu’il poursuit avec son équipe est totalement et sciemment contraire aux intérêts de ses concitoyens.

 

La restructuration globale que la Trilatérale essaye de gérer prévoit la mise à genoux de certains pays qui ne sont pas trop habitués à respecter les règles fixées par les patrons de la finance mondiale. L’Italie, riche d’initiatives corsaires, fait partie de ces pays rebelles et le gouvernement Monti est en train de la massacrer. Au point qu’il a présenté à la rentrée un projet de loi par lequel tout paiement au-dessus de cinquante euros devrait s’effectuer obligatoirement par carte bancaire, y compris dans les magasins.

 

Ce que ceci signifierait en intérêts usuriers et en paralysie du petit commerce est évident.

 

Certes, il est probable que ce seuil soit rejeté par le Parlement et qu’on finisse par se mettre d’accord sur un autre chiffre. Vraisemblablement les deux cents euros que visait la proposition originaire de l’équipe Monti ce printemps.

 

Le gouvernement fut alors obligé de se contenter de déclarer illégal tout règlement en espèce qui dépasserait les 499 euros. Une loi anti-économique et de saveur communiste qui a eu un premier impact violent sur le commerce mais qui ne sera rien par rapport à l’atomisation qui suivra l’ajustement prévu.

 

ELIMINER L’ETAT SOCIAL

 

Cela ne touche pas les Français car si le plan de restructuration global prévoit de mettre à genoux totalement l’Italie, pour ce qui concerne la France il se limite à la contrer, l’amadouer et l’affaiblir.

 

Il est donc improbable que l’Hexagone importe ces mesures anéantissantes.

 

En revanche, sur un autre sujet, l’Italie “montienne” risque de devenir un modèle pour la France “hollandienne”. Il s’agit de l’attaque sans répit de l’ Etat social et des acquis du travail, de la retraite et de la santé.

 

En moins d’un an, dans cette offensive, le gouvernement Monti a fait plus de dégâts qu’un saccage de barbares. Le travail n’est plus considéré comme un “droit”, si l’on se fonde sur les déclarations publiques du gouvernement italien.

 

Dans tous les conflits avec occupations d’usines qui ont fait rage depuis le début de l’année en Italie, l’exécutif a régulièrement donné tort aux travailleurs, révisant le droit du travail qui pourrait tranquillement s’appeler désormais droit d’exploitation du travail.

 

En dix mois de licenciements sauvages, une seule et unique fois le gouvernement s’est prononcé pour les travailleurs et s’était opposé au Tribunal qui avait décrété la fermeture de leur entreprise : il s’agit de l’Ilva de Tarante, qui a été reconnue responsable de milliers de cas de cancer dans la ville et ses alentours.

 

Mise à part cette parenthèse, le gouvernement a toujours pris position pour des choix libéraux style XIXe siècle, en s’engageant à effacer les conquêtes sociales obtenues par Mussolini et dont on a continué en bonne partie à bénéficier même après la défaite de 1945.

 

Le gouvernement technique a travaillé dur en ce sens-là. Dans quelques mois il aura sa relève et ce qui est prévu c’est justement une majorité de “gauche” qui puisse se permettre de piétiner les travailleurs.

 

DES MINEURS ENTONNANT LE CHANT DE L’ARMÉE

 

En prévision de ceci tous les leaders populistes de droite ont été attaqués et mis à l’écart (Berlusconi, Bossi, Formigoni), le vote populiste désorienté a été poussé vers une gauche virtuelle (le MoVimento 5 Stelle de l’acteur comique Beppe Grillo).

 

La bataille finale contre l’Etat social sera livrée par une majorité de gauche avec la complicité de dirigeants syndicaux qui trahiront encore et toujours leurs troupes.

 

La seule solution, c’est que les travailleurs puissent se passer des syndicalistes et prendre un élan tout seuls.

 

Début septembre les mineurs sardes de l’Alcoa ont rejeté les conseils des syndicalistes, ils ont durci leur lutte et, au moment de se battre contre la Celere (CRS) ont choisi d’entonner non pas une chanson rouge mais le chant de la Brigata Sassari, la brigade d’infanterie mécanisée qui a son siège dans la même province des mineurs.

 

Suite à cet affrontement la gauche a cherché à les récupérer mais le maire de Turin, Piero Fassino, dirigent du Parti Démocratique, ancien dirigeant du Parti Communiste (dont le PD est une filiation) et fils d’un chef partisan, a dû se sauver précipitamment du cortège des mineurs auquel il prétendait participer.

 

Un exemple isolé mais peut-être aussi prémonitoire d’une orientation syndicaliste nationale révolutionnaire. C’est justement ce que les technocrates mondialistes et les usuriers craignent le plus et qu’ils veulent désamorcer en tentant d’empêcher toute représentation politique ou syndicale de cette mouvance.

 

Et c’est pourquoi la gauche imprégnée de progressisme se prépare à liquider l’Etat social alors que la droite privée de tous ses leaders populistes se prépare à tenir un discours réactionnaire et antisocial elle aussi.

 

LES RÉACS DE BIG BROTHER

 

Et voici où l’on retrouve des parallèles entre la France et l’Italie.

 

Pendant que la gauche hollandienne s’apprête à lancer l’offensive contre les acquis sociaux, à droite on entend déjà chanter une chanson complémentaire à celle de l’Elysée.

 

Le rejet, compréhensible en soi, de la culture soixante-huitarde et de la banqueroute dont celle-ci est coresponsable, se manifeste de plus en plus. Ceux qui éprouvent ce rejet ne font souvent nullement la part des choses, manifestant dans le même temps leur soutien moral et idéologique à l’œuvre de destruction effectuée par l’élite mondialiste.

 

Le repli du politique vers le culturel s’accompagne quant à lui souvent d’un regard aigu et perçant, mais celui qui, en jouant au philosophe blasé et au misanthrope cultivé, se laisse aller à cette tentation qui lui paraît intelligente peut se retrouver aujourd’hui à jouer et à danser comme un idiot précisément comme le lui demande Big Brother.

 

C’est déjà en bonne partie le cas de la droite nationale, puisque l’anti-islamisme fait pencher certains vers le soleil couchant et vers l’Etat hébreu par peur du fantôme de la « guerre des civilisations ».

 

Un schéma tellement faux que les partisans de l’Occident sont obligés de se mentir tous les jours.

 

Comment s’expliquer, autrement, que ce qui est réalisé par ceux qui nous demandent de nous mobiliser en défense de notre civilisation, c’est d’armer les Frères Musulmans et Al-Qaïda, comme en Libye et en Syrie, et de cultiver entretemps dans les banlieues un potentiel explosif qui répond aux desideratas du Qatar, de l’Arabie Séoudite et des Etats-Unis.

 

Si à cette tromperie nous allons ajouter aussi un mépris réactionnaire de l’Etat social, il nous ne reste plus qu’à demander à Soros et Rockefeller s’ils veulent bien de nous comme valets ou comme cire-pompes, les places plus rentables dans leur cortège étant déjà prises.