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samedi, 31 mai 2014

Tradizione e rivoluzione: intervista con Renato Del Ponte

Tradizione e rivoluzione: intervista con Renato Del Ponte

In occasione della scorsa festa nazionale di CasaPound Italia, il professor Renato del Ponte ci ha gentilmente concesso la presente intervita. Presente alla festa di CPI per presentare in anteprima un libro da lui curato su Adriano Romualdi e il periodo della contestazione negli anni '70: "Lettere ad un amico" Ed. Arya.
 
Il Professore è tornato per noi sul suo percorso universitario, metapolitico e culturale. Ha trattato del suo rapporto con Julius Evola, della sua visione del mondo, delle vie che l'uomo differenziato può ancora percorrere nella presente epoca di fine ciclo.
 
Un'intervista introduttiva per chi vuole conoscere il lavoro di chi ha dedicato le proprie energie a vivificare e trasmettere quella fiamma mai assopita nella nostra identità: la Tradizione Romana.
 
Questo è il nostro primo video in italiano.
 
Un ringraziamento alle sezioni di CasaPound Liguria e Cuneo per aver reso possibile il presente incontro.
 
I Non Allineati.
 
Inizio :
Dalla Tradizione allo studio delle religioni.
4 min 30 : 
L'incontro con Julius Evola. 
7 min 15 :
L'influenza e il ruolo di Evola.
15 min 59 :
Tradizione e politica

 

mardi, 27 mai 2014

L’Ontologia sociale e l’etica comunitaria nel lascito filosofico di Costanzo Preve

L’Ontologia sociale e l’etica comunitaria nel lascito filosofico di Costanzo Preve

di Roberto Donini
Fonte: L'interferenza & http://www.ariannaeditrice.it

 

preve_libroLe radici della filosofia.

La morte di Costanzo Preve il 23 novembre 2013 è un vuoto enorme; leggendo il suo “Una nuova storia alternativa della filosofia”, pubblicato a ridosso del lutto, ci siconforta nella sua eredità spirituale rilegata in un libro di 32° di foglio e di 500 pagine. Il doloroso vuoto si acquieta nel pieno della sua umanità nelle nostre mani. Preve ci accompagna ne “il cammino ontologico-sociale della filosofia” presso i suoi fidati autori e lì ci mostra la genesi dei suoi concetti di riferimento. Noi, discenti spersi dal peso del tomo, ci troviamo invece di fronte ad un profilo di Storia “alternativa”e ad uno stile espositivo completamente rivoluzionato: amichevole. La sua Storia della Filosofia non è quella inevitabile “dossografia di opinioni” (p.58) dei manuali conseguente ad una concezione “della storia destoricizzata e desocializzata della filosofia” (p.58); partendo invece dal rovesciamento dell’approccio “formale accademico”, dal “riorientamento gestaltico”, il libro ci porta alla ricerca costante del filo conduttore del pensare filosofico nel suo fondamento ontologico-sociale. Coinvolti dalla lettura percorriamo il “cammino” e con un po’ di attenzione scorgiamo un doppio movimento: il filosofare che incontra le sue radici e la storia di Costanzo che si risolve in questo processo e mostra le sue radici.

La lezione di Costanzo Preve

In questa lunga lezione di storia della filosofia Preve riflette e condensa, l’impegno pedagogico di una vita, nella scuola e in una vastissima pubblicistica, sempre con la stessa cifra letteraria e oratoria e sempre con la stessa vis polemica antiaccademica. Il testo è innervato di accenni polemici alla “separatezza” degli accademici dalla vita ed in particolare nell’ultimo capitolo (p.471-473) tratteggia, usando la partizione di Kant, la storia della istituzione del Schulbegriff (filosofia di scuola, di facoltà) distinta dalla Welthegriff (la filosofia di tutti, “il prendersela con filosofia”). Lo sforzo in ogni pagina del suo libro, come in ogni opera della sua vita, è quello di ricomporre questo iato, che, ovviamente, ha un origine ontologico sociale: la costituzione del soggetto individualista, dell’io solipsista, funzionale all’atomizzazione sociale capitalista. Dal mondo (Welthegriff) alla scuola (Schulbegriff): l’esperienza demi-secolare del “vecchio professore scienziato e umanista” (p.450) Preve (non un attuale “prof il cui dimezzamento del titolo corrisponde al dimezzamento del prestigio sociale” p.450) riesce a modulare questa polarità: sa dei ragazzi (anche di noi lettori distratti dalla chiacchiera) e sa dei mostri sacri, dei filosofi eroi (mummificati nell’accademia) e li fa dialogare.

Il filo diSocrate: la comunità di pensiero

Attraverso la figura di Socrate “moscone della democrazia” eroe del <dialogo>,[che] credeva nella unità veritativa delle categorie del pensiero con la giustizia comunitaria delle categorie dell’essere sociale” (p.91), Preve circoscrivere il “dialogo” alla funzione comunitaria, togliendola dalla banale immagine di inconcludente chiacchiericcio di “un filosofo da bar o un ‘nemico della democrazia’”(p.90) . Questo profilo emerge soprattutto nelle pagine finali del libro (p 510-511), laddove chiarisce che il “sokratikòs logos” avesse regole e “senso” (come “versus”) precise –Ironia->Maieutica->Definizione concordata “omologhia”- con l’intento “di convincere al bene e di distogliere al male”(p. 511) e per fondare il “convincimento comunitario” (p.511). Si raccoglie il filo del tema socratico, iniziato nel capitolo specifico e proseguito con l’interprete Platone, ma presente in molti luoghi del libro dove con quel metodo “abduttivo” (p.70 un fatto Y normale che spiega un fatto X straordinario), si riempiono i silenzi riuscendo a dar parola al filosofo senza scrittura. Socrate, interno ad una comunità ancora solidale, può astrarre solo il primo elemento della natura umana quello della comunanza linguistica e razionale (zoon logon echon). A tale primo elemento i filosofi autentici, sono stati dediti, e nel tradurre –ben diverso dal semplificare- la filosofia verso l’atomizzazione dei discenti Preve è stato maestro insuperato, avendo “socraticamente” il coraggio di confrontarsi con i punti più alti possibili del discorso filosofico” (p.455).

Scoperta e riscoperta dell’antropologia sociale

Che significa “ontologia dell’essere sociale”? A quale specifico ciclo di pensiero si riferisce Preve? “Ontologia dell’essere sociale” è richiamo immediato al termine con il quale Lukacs maturo titola la sua opera in due volumi – e comprendete anche altri testi- per dare fondamento al marxismo, e liberarlo dalla sua caduta nell’economicismo, ma, per altro verso, è anche ritorno ad Aristotele che giunge ad una prima definizione ontologico sociale. Ai due autori possiamo guardare come i termini storico-temporali del discorso previano. Dalla configurazione ontologico sociale nel quale si trova, dalla crisi della società ateniese o meglio di una armonica comunità, Aristotele può astrarre, determinatamente, l’altra virtù fondamentale dell’uomo: “l’animale sociale” (politikon zoon). Questo secondo elemento della natura umana è possibile (non necessario) coglierlo al crepuscolo della polis (processo determinato) lì (la metodica genialità aristotelica) può formalizzare (dare necessità, potenza->atto) il concetto di “socialità” –soprattutto per la distinzione tra oikonomia (la regola misurata per la felicità di gestire la casa p.116) e chrematistica (arte di accumulare ricchezze senza alcun fine p.116). Dunque all’elemento razionale di Socrate, che sperimenta la crisi del linguaggio “convincente” dentro la comunità e pone l’elemento del logos stabilizzante, Aristotele aggiunge la socialità come concetto stabile che sopravvive alla crisi della comunità. Con analoga movenza hegeliana di crisicomprensione si incontra la riattualizzazione del problema ontologico in Lukacs; laddove dopo la rivoluzione contro il Capitale (Gramsci) del 1917 e l’insufficienza del puro volontarismo attualista (Storia e coscienza di Classe) vissuta nella sconfitta della rivoluzione in occidente il filosofo ungherese si propone di ridare un fondamento antropologico-sociale al marxismo.

Fenomenologia e logica dell’essere sociale

Entro questo ciclo temporale, limitato da due crisi, si svolge la “fenomenologia” dell’essere sociale, la sua formazione, che precede la possibilità (non la necessità) del “logos”: l’ontologia .

La proposta di Preve è di far dialogare, da presso, l’antropologia “comunitaria” antica con quella contemporanea e far misurare l’ontologia cioè l’originaria coestenzione di pensiero ed essere con la moderna scissione gnoseologica dei due termini seguita alla scissione e astrazione dell’io dalla comunità. Questo salto temporale, o corto circuito di Storia della Filosofia, permette di ritrovarsi alle scaturigini della relazione tra esseresocialitàstoricità riprendendo la deduzione hegeliana delle prime categorie della logica (essere) unitamente a quella della coscienza.

A) il presupposto antropologico assoluto, “slegato” da ogni ulteriore pensare –innato nei termini della “natura umana” di Chomsky (p.517) – è la “genericità” naturale dell’uomo quell’ ente naturale generico (Gattungswesen p.27) la definizione dal giovane Marx; per dirla con Aristotele la sua “potenzialità” –“essente in possibilità” (dynamei on) (p.133) – non limitata da “specializzazione”. A differenza degli altri animali la genericità prevale nella forma del pensiero indeterminato piuttosto che del riflesso determinato. A questo presupposto e precedenza dell’Io “fichtiano”, che investe il Non-Io si richiama costantemente Preve per confutare ogni materialismo, ogni chiusura determinista, ogni teoria del “rispecchiamento”.

B) In questa situazione di apertura (“esistenziale” nel senso di Heidegger) principia la coscienza: con Jaspers “l’uomo è l’unico animale in grado di anticipare la propria morte individuale , ne consegue che è anche l’unico animale costretto a dare senso (Sinngebung) alla propria vitae ad inserirla e collocarla in un ambito più generale.” (p.27); quindi, con Heidegger l’autenticità di quell’anticipo come potenzialità coincidente con la necessità (libertà e necessità coincidono nella morte, non si è liberi dalla morte), principia il sapere come “decisione” di raccogliere questi anticipi, questi significati “possibili”, sotto un simbolo generico-unico detto “essere”, stabile oltre le molteplici possibilità (p.27). Qui il riferimento è Parmenide che ricerca la stabilità della comunità di Elea e la chiama essere.

C) La fonte “abdutiva” della perimetrazione parmenidea della comunità è Pitagora, il partito della stabilità e del limite “statico geometrico” dell’akropolis (p.68) contro l’apeiron (Anassimandro) dell’agorà. Al concetto di limite possiamo guardare come ponte tra l’esigenza del pensiero di “determinarsi” –facendosi linguaggio- e quello dell’essere di comprendersi comunitariamente –la “sfericità” (p.70) parmenidea includente ed equidistante dai suoi singoli elementi- .

D) Come all’inizio della “Scienza della Logica” di Hegel, ci troviamo di fronte ad una genericità assoluta e ad un altalena tra limitatoillimitato, tra vitamorte. Ci troviamo nella situazione compresa da Eraclito “che il polemos è inevitabile, che la ricchezza privata è un infamia (fr.125a), e che nessuna sua perimetrazione numerica limitativa può arrestare la lotta di classe” (p.68). Questa oscillazione si fa significato attraverso un salto, una decisione, la scelta di sapere, perché c’è anche la possibilità alternativa di Schopenauer “decidere che [la vita] non ha avuto e non avrà nessun significato.” (p.27) . In fondo il “cammino” successivo e la interpretazione ontologico-sociale ha questo moto triadico (che poi è l’agire dell’Auriga Platonico, ancora in una situazione “bimondana” ma soprattutto la “phronesis”, la saggezza pratica aristotelica, – da intendersi come“una cresta, una vetta”, il vertice tra due posizioni e non mediocrità pilatesca p.112- modello della “praxis”): sapere i risultati dell’apertura e della chiusura, del conflitto e degli equilibri trovati, il significato determinato come circoscrizione dell’attività sensuale (rivolta all’apeiron) indeterminata. La dialettica di Preve è “positiva” nel duplice senso di “porre” con la decisione di pensare (di porsi nell’essere con Parmenide) e di “porre-raccogliere” il senso del processo nel terzo momento, nella sintesi, il “reale è razionale” hegeliano. Questo fidarsi del pensiero-comune-sociale (pensato da più io) è la eternità del pensiero greco che Preve enfatizza in più passi del libro citando la formula di Hegel per cui i greci hanno “ad un tempo animato e onorato il finito” (p.65).

La rottura della comunità: ideologia e socialità dell’essere.

Costanzo-Preve.jpgQuesta situazione è “logica”: la decisione astrae dal tempo un processo e lo rende “campo di pensiero”. Prima di tale atto, cioè del sorgere della filosofia greca, l’essere si era già radicato nella società, limitandosi “poieticamente” (facendosi cose) e praticamente (facendosi leggi). Per questo il nostro essere è sociale e determinato nel farsi, cioè storico: hegelianamente noi giungiamo alla conoscenza solo post factum. Per questo il nostro sapere è assoluto se ci si fida (scelta) della “fonte” sociale dell’essere e lo si studia nel tempo (vernfunt); altrimenti, si può rimanere in sé (scelta), nell’intelletto e dilatarlo al mondo, facendo delle proprie categorie, dei propri “stadi” l’assoluto (vernstandt). Preve con i primi 7 capitoli circoscrive definizione e spazio culturale (nella grecia antica) di ontologia dell’essere sociale e nei successivi 9 ne offre il fondamento storico con la “filosofia classica”, che lui considera senza cesure da Talete ad Aristotele contrariamente alla dossografia che invece la spezza tra “fisici-presocratici” e “Socrate, Platone e Aristotele” . Qui infatti, forzando Hegel con Marx, l’essere è tutto sociale o meglio comunitario: la riflessione filosofica ha al suo centro la polis come principio limitante (katechon) la smisuratezza (hybris) delle ricchezze, la crematistica. Due elementi subito si segnalano: 1) il pensiero attivato dall’urgenza dell’essere di significarsi (il fenomeno dell’autenticità di cui sopra) si costituisce anzitutto come ideologia, ciò che Marx chiama “falsa coscienza necessaria”, cioè schema “intellettualistico” per dirigere la prassi. L’idea invece ha la stessa origine ma finalizzata alla ricerca veritativa, alla con-templazione, cioè posta nel “tempio”, fuori dall’agone della polis. E’ un eccedenza, intende Preve, e subisce meno la trazione della prassi ma, nel sorgere, è indirettamente condizionata dalla storicità dell’essere. In ogni caso l’intreccio tra idea e ideologia è da sbrogliare ed in fondo questo è il lavoro specifico dello storico della filosofia; 2) la socialità, la nostra (di osservatori del 2000) predicazione dell’essere -essere è sociale- è posteriore alla scissione della comunità greca, all’insinaursi dell’illimitato (terribile è il giudizio di Preve su Alessandro Magno “il gangster”p.124, “’smisurato’ per eccellenza” p.125, che avvia questa dissoluzione) nella proporzione pitagorica e dunque al sorgere di una incomunicabile atomizzazione della comunità, che così si fa società con i caratteri specializzati del lavoro e astratto-intellettualistici del pensiero. Dunque sociale è la nostra consapevolezza post-comunitaria che permette di misurare lo stato dell’arte nella “epoca dellacompiuta peccaminosità” (Fichte) con un rimandare al soggetto della predicazione: all’essere comunitario antico. Tale fondamento è potuto riemergere prima “coscienzialmente” in Hegel, nella fenomenologia della “individua” coscienza infelice borghese e poi essere universalizzato da Marx nella “collettiva” categoria di alienazione che è la spiegazione “sociale” –la fenomenologia- del Capitalismo.

Sconfitta del tentativo marxista di ristabilimento comunitario e capitalismo assoluto

Poste queste solide basi, il testo offre la visione d’assieme dello sviluppo dei sistemi filosofici ellenistico-romani (capp. XVII-XIX), cristiano-medievali (capp. XX-XII) e moderni (XXIII-XXVI) come studio della loro genesi da “l’ontologia sociale”. La storia trova il suo focus nella Filosofia Classica Tedesca e in particolare nello scontro tra “gnoseologia” kantiana come compimento “della separazione tra le categorie dell’essere e le categorie del pensiero” (cap XXVII) e il ristabilimento hegeliano di un ontologia dell’essere sociale attraverso la sua compiuta storicizzazione (della coscienza, della storia fattuale, della storia della filosofia) (cap.XXXI). Preve ribadisce in questo testo, la continuità filosofica tra Hegel e Marx ma il rovesciamento nella prassi di Marx, produce una duplicazione: da una parte la scienza filosofica della possibilità ontologica, cioè della non-necessità della rivoluzione, dove la categoria qualitativa (ed etico valutativa) dell’alienazione, precede e fonda quella quantitativa del valore; dall’altra una scienza non filosofica come il materialismo storico, strumento per la lotta di emancipazione umana.

Le due parti ancora unite ne “Il Capitale” si separano nel marxismo ortodosso, socialdemocratico e poi anche in quello staliniano, prevalendo il “materialismo economicista”. Questa parabola è resa nei capitoli dedicati al marxismo ufficiale (cap.XXXV) e a quello eretico (cap.XXXVI). Il novecento filosofico tuttavia annunciato dal nichilismo di Nietzsche (cap.XXXVII) si compie con la crisi del soggetto borghese di Weber e con l’inveramento della metafisica nella tecnica di Heidegger (cap.XXXVIII), dunque con il tramonto del pensiero non strumentale (non finalizzato ad un meccanismo). Ma appunto questa ulteriore fenomenologia filosofica tiene il passo all’evoluzione del Capitalismo verso la sua configurazione Assoluta, quella che sopprimendo le antinomie delle classi moderne (borghesiaproletariato) impone una nuova ricognizione ontologica sociale se si vuol sostenere una nuova idea comunitaria (il cap.XXXIX dedicato al postmoderno filosofico).

Verso un etica dell’essere sociale: la libertà di Costanzo Preve.

Dentro questa navigazione da naufraghi Lukacs è il punto di riferimento più prossimo, avendo il pensatore ungherese già aperto la via di un confronto con la filosofia maggiore, con gli autori che Costanzo Preve riprende.

Perciò, nell’ultimo, XL capitolo, il più corposo del libro, Preve parla di Lukacs, più come un amico che come maestro e vuole sottolineare la “fratellanza” in quella battaglia per la filosofia che entrambi hanno dato nel marxismo –duro alla filosofia- e nella filosofia come campo di battaglia (la Kampfplatz di Kant), come sforzo etico-teoretico per la verità. Queste pagine condensano i temi del libro e Costanzo sintetizza la sua vasta eredità, per altre, ulteriori battaglie.

1) La biografia di Lukacs, iniziata alla scuola di due cavalli di razza come Weber e Simmel è parallela a quella di Costanzo, che con il suo “asinello”(p.454) non è un semplice “fan di Lukacs” (p.455). Entrambi, al termine di esperienze differenti e contesti storici incomparabili -l’epoca della rivoluzione per Lukacs e quella della fine del socialismo reale per Costanzo- giungono alla conclusione di un ritorno ad Hegel per salvare Marx, alla centralità del concetto di alienazione e soprattutto alla battaglia anticapitalista come battaglia etico-filosofica, dove cioè l’attività filosofia va restaurata nella sua autonomia e altezza, contro K.Lowit (p.424) e di tutti i filosofi che odiano la filosofia.

2) In tal senso benché la filosofia come “sapere” rimanga “la nottola della Minerva”, giungendo a chiudere e significare un processo in un tempo presente-logico, “permettendo di apprendere il proprio tempo nel pensiero” (p.23); tuttavia la costruzione “retrospettiva” del libro, con il ritorno verso Atene, è hegelianamente fatta per eliminare il “tempo progressivo” ed esaltare “cio che è ed è eternamente” (p.23). Cosa significa? Che la prospettica ricerca di comunità, l’ontologia che verrà, non si riferirà alla socialità antica come modello ma avrà lì un presupposto “potenziale” (non necessario). La costruzione “emotiva” del libro serve a confortarci: la comunità c’è sempre stata, non è solo astratta invenzione di visionari e anzi è l’ontologia del pensiero più alto della civiltà.

3) Chiarisce infine –dopo averlo sempre evidenziato lungo tutto il testo- come l’ontologia sociale non sia un riduzionismo materialista positivista. Al contrario, attraverso la valorizzazione di Fichte e della prassi assoluta del’Io (cap.XXIX), negando la teoria del rispecchiamento –propria della cattivo “materialismo dialettico” staliniano-, elimina un “prima” dell’idea. Il concetto filosofico lavora sempre su materiale ideale, cioè sulla risultante di un’azione modificante, su una prassi dell’Io sul Non-Io, su di un secondo grado. La filosofia non è mai fuori di se stessa ma nell’ontologico sociale considera la suo origine “pratica”: situazione diversa dall’empirico perché è azione pensata e producente relazioni umane, storia.

4) Un tema forte del libro è la rivalutazione della religione sia nei termini hegeliani di anticipazione “oggettivo-simbolica” dell’idea che nei termini ontologico sociali di rappresentazione popolare dell’assoluto-. Costanzo non la ritiene attività alienativa nei termini di Feuerbach –e in parte di Marx- ma piuttosto come variante spontanea di ideologia “necessaria”. Da una parte raccoglie sempre la situazione ontologico sociale di crisi della comunità e chiusura nel piccolo gruppo, dall’altra spiega la funzione media dell’ideologia. Infatti le rigorose argomentazioni della filosofia non possono sostituire le “suggestioni consolatorie”; il popolo moderno accede alla sua ontologia comunitaria, ha coscienza di sé, non attraverso il dialogo socratico e il governo “politico” platonico, ma con queste idealizzazioni imperfette che dicono della condizione attuale (alienata) e della potenziale liberazione futura (fede). Infine utilizza questa particolare accezione della religione e della fede per interpretarvi il fenomeno storico del marxismo.

5) Perciò la filosofia non può sostituirsi e precedere un’azione politica sociale di rifondazione comunitaria ma la militanza filosofica, “la filosofia per la filosofia” può costituire il punto di riferimento e l’ancoraggio entro una tradizione forte, alle forme storiche dell’ideologia . Gli Eroi di Costanzo sono quei pensatori che in qualche maniera hanno saputo dar sistemazione all’ontologia sociale e dunque Aristotele, Spinoza, Fichte, Hegel, Marx, i giganti sotto i quali appaiono grandissimi come Gramsci, Bloch e Lukacs. Anche questo sviluppo gerarchico e quasi angelico è propriamente hegeliano; un pantheon coerente di filosofi “forti” dove la teoresi è inscindibile dall’etica, dove cioè la relazione tra ideazione e socialità è chiara. In questo senso è da intendersi “la passione durevole” di Lukacs come maturazione e stabilizzazione della irruzione nella corruzione storica della “passione giovanile” di Fiche; di questo sviluppo “durevole” il garante “assoluto” è Spinoza, la sua Etica, il suo repubblicanesimo e la filosofia per tutti. In questo senso se l’impossibilità socratica di “scrivere” l’Etica per Lukacs, come sottolinea l’apertura di quest’ultimo capitolo, è anche quella dell’hegeliano e anti-deontologico (gli imperativi kantiani) Costanzo, ciò non significa l’impossibilità di sbilanciarsi sul domani con la propria vita testimoniata (nella welthbegriff) nel magistero e nell’attività politica, dov’è possibile incontrare il “metron” e il “katechon” greco, la democrazia radicale di Spinoza, lo Stato razionale di Hegel, il lavoro liberato di Marx, una totalità potenziale da opporre alla fichtiana “epoca della compiuta peccaminosità”, al Capitalismo Assoluto come necessità dominante. Come Spinoza “è un fatto miracoloso ed indeducibile, un dono che la filosofia ha fatto ai mortali” (p.196) eccezione alla determinazione ontologico-sociale; così Costanzo “appare” nella nostra storia, in-determinato socialmente, assolutamente libero e “scorretto” e forse per questo capace di criticare larga parte delle necessità della nostra epoca e per questo, dialetticamente, trattegiarne un etica, una potenzialità, che il peso e il vincolo del novecento, la responsabilità verso un campo di “battaglia politica” e non solo filosofico, non permisero a Lukacs che resta però lo scopritore dell’ontologia sociale.


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dimanche, 04 mai 2014

Grillo’s Populist Plan for Italy

beppe-grillo.jpg

Quantitative Easing for the People: Grillo’s Populist Plan for Italy

Default on the public debt, nationalization of the banks, and a citizen dividend could actually save the Italian economy.

Comedian Beppe Grillo was surprised himself when his Five Star Movement got 8.7 million votes in the Italian general election of February 24-25th. His movement is now the biggest single party in the chamber of deputies, says The Guardian, which makes him “a kingmaker in a hung parliament.”

Grillo’s is the party of “no.” In a candidacy based on satire, he organized an annual "V‑Day Celebration," the "V" standing for vaffanculo (“f—k off"). He rejects the status quo—all the existing parties and their monopoly control of politics, jobs, and financing—and seeks a referendum on all international treaties, including NATO membership, free trade agreements and the Euro.

"If we get into parliament,” says Grillo, “we would bring the old system down, not because we would enjoy doing so but because the system is rotten." Critics fear, and supporters hope, that if his party succeeds, it could break the Euro system.

But being against everything, says Mike Whitney in Counterpunch, is not a platform:

To govern, one needs ideas and a strategy for implementing those ideas. Grillo’s team has neither. They are defined more in terms of the things they are against than things they are for. It’s fine to want to “throw the bums out”, but that won’t put people back to work or boost growth or end the slump. Without a coherent plan to govern, M5S could end up in the political trash heap, along with their right-wing predecessors, the Tea Party.

Steve Colatrella, who lives in Italy and also has an article in Counterpunch on the Grillo phenomenon, has a different take on the surprise win. He says Grillo does have a platform of positive proposals. Besides rejecting all the existing parties and treaties, Grillo’s program includes the following:

  • unilateral default on the public debt;
  • nationalization of the banks; and
  • a guaranteed “citizenship” income of 1000 euros a month.

It is a platform that could actually work. Austerity has been tested for a decade in the Eurozone and has failed, while the proposals in Grillo’s plan have been tested in other countries and have succeeded.

Default: Lessons from Iceland and South America

Default on the public debt has been pulled off quite successfully in Iceland, Argentina, Ecuador, and Russia, among other countries. Whitney cites a clip from Grillo’s blog suggesting that this is also the way out for Italy:

The public debt has not been growing in recent years because of too much expenditure . . . Between 1980 and 2011, spending was lower than the tax revenue by 484 billion (thus we have been really virtuous) but the interest payments (on the debt of 2,141 billion) that we had to pay in that period have made us poor. In the last 20 years, GDP has been growing slowly, while the debt has exploded.

. . . [S]peculators . . . are contributing to price falls so as to bring about higher interest rates. It’s the usurer’s technique. Thus the debt becomes an opportunity to maximize earnings in the market at the expense of the nation. . . . If financial powerbrokers use speculation to increase their earnings and force governments to pay the highest possible interest rates, the result is recession for the State that’s in debt as well as their loss of sovereignty.

. . . There are alternatives. These are being put into effect by some countries in South America and by Iceland. . . . The risk is that we are going to reach default in any case with the devaluation of the debt, and the Nation impoverished and on its knees. [Beppe Grillo blog]

Bank Nationalization: China Shows What Can Be Done

Grillo’s second proposal, nationalizing the banks, has also been tested and proven elsewhere, most notably in China. In an April 2012 article in The American Conservative titled “China’s Rise, America’s Fall,” Ron Unz observes:

During the three decades to 2010, China achieved perhaps the most rapid sustained rate of economic development in the history of the human species, with its real economy growing almost 40-fold between 1978 and 2010. In 1978, America’s economy was 15 times larger, but according to most international estimates, China is now set to surpass America’s total economic output within just another few years.

According to Eamonn Fingleton in In The Jaws of the Dragon (2009), the fountain that feeds this tide is a strong public banking sector:

Capitalism's triumph in China has been proclaimed in countless books in recent years. . . . But . . . the higher reaches of its economy remain comprehensively controlled in a way that is the antithesis of everything we associate with Western capitalism. The key to this control is the Chinese banking system . . . [which is] not only state-owned but, as in other East Asian miracle economies, functions overtly as a major tool of the central government’s industrial policy.

Guaranteed Basic Income—Not Just Welfare

Grillo’s third proposal, a guaranteed basic income, is not just an off-the-wall, utopian idea either. A national dividend has been urged by the “Social Credit” school of monetary reform for nearly a century, and the U.S. Basic Income Guarantee Network has held a dozen annual conferences. They feel that a guaranteed basic income is the key to keeping modern, highly productive economies humming.

In Europe, the proposal is being pursued not just by Grillo’s southern European party but by the sober Swiss of the north. An initiative to establish a new federal law for an unconditional basic income was formally introduced in Switzerland in April 2012. The idea consists of giving to all citizens a monthly income that is neither means-tested nor work-related. Under the Swiss referendum system of direct democracy, if the initiative gathers more than 100,000 signatures before October 2013, the Federal Assembly is required to look into it.

Colatrella does not say where Grillo plans to get the money for Italy’s guaranteed basic income, but in Social Credit theory, it would simply be issued outright by the government; and Grillo, who has an accounting background, evidently agrees with that approach to funding. He said in a presentation available on YouTube:

The Bank of Italy a private join-stock company, ownership comprises 10 insurance companies, 10 foundations, and 10 banks, that are all joint-stock companies . . . They issue the money out of thin air and lend it to us. It’s the State who is supposed to issue it. We need money to work. The State should say: “There’s scarcity of money? I’ll issue some and put it into circulation. Money is plentiful? I’ll withdraw and burn some of it.” . . . Money is needed to keep prices stable and to let us work.

The Key to a Thriving Economy

Major C.H. Douglas, the thought leader of the Social Credit movement, argued that the economy routinely produces more goods and services than consumers have the money to purchase, because workers collectively do not get paid enough to cover the cost of the things they make. This is true because of external costs such as interest paid to banks, and because some portion of the national income is stashed in savings accounts, investment accounts, and under mattresses rather than spent on the GDP.

To fill what Social Crediters call “the gap,” so that “demand” rises to meet “supply,” additional money needs to be gotten into the circulating money supply. Douglas recommended doing it with a national dividend for everyone, an entitlement by “grace” rather than “works,” something that was necessary just to raise purchasing power enough to cover the products on the market.

In the 1930s and 1940s, critics of Social Credit called it “funny money” and said it would merely inflate the money supply. The critics prevailed, and the Social Credit solution has not had much chance to be tested. But the possibilities were demonstrated in New Zealand during the Great Depression, when a state housing project was funded with credit issued by the Reserve Bank of New Zealand, the nationalized central bank. According to New Zealand commentator Kerry Bolton, this one measure was sufficient to resolve 75% of unemployment in the midst of the Great Depression.

Bolton notes that this was achieved without causing inflation. When new money is used to create new goods and services, supply rises along with demand and prices remain stable; but the “demand” has to come first. No business owner will invest in more capacity or production without first seeing a demand. No demand, no new jobs and no economic expansion.

The Need to Restore Economic Sovereignty

The money for a guaranteed basic income could be created by a nationalized central bank in the same way that the Reserve Bank of New Zealand did it, and that central bank “quantitative easing” (QE) is created out of nothing on a computer screen today. The problem with today’s QE is that it has not gotten money into the pockets of consumers. The money has gotten—and can get—no further than the reserve accounts of banks, as explained here and here. A dividend paid directly to consumers would be “quantitative easing” for the people.

A basic income guarantee paid for with central bank credit would not be “welfare” but would eliminate the need for welfare. It would be social security for all, replacing social security payments, unemployment insurance, and welfare taxes. It could also replace much of the consumer debt that is choking the private economy, growing exponentially at usurious compound interest rates.

As Grillo points out, it is not the cost of government but the cost of money itself that has bankrupted Italy. If the country wishes to free itself from the shackles of debt and restore the prosperity it once had, it will need to take back its monetary sovereignty and issue its own money, either directly or through its own nationalized central bank. If Grillo's party comes to power and follows through with his platform, those shackles on the Italian economy might actually be released.

jeudi, 01 mai 2014

E riparleremo di gentil uomini di fortuna

Il tempio vuoto

mardi, 29 avril 2014

Sangria

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mercredi, 23 avril 2014

"Beauty is difficult"

dimanche, 20 avril 2014

Italiani

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vendredi, 18 avril 2014

Quella strage fascista?

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mercredi, 16 avril 2014

Pasolini: Faschismus, Antifaschismus und Konsumgesellschaft

PASOLINI.jpg

Pier Paolo Pasolini: Faschismus, Antifaschismus und Konsumgesellschaft

Martin Lichtmesz 

Ex: http://www.sezession.de

Die April-Ausgabe von Jürgen Elsässers Magazin Compact bringt ein Dossier über „Querdenker jenseits von links und rechts“ mit Beiträgen über Alain Soral [2] und Pier Paolo Pasolini [3]. Besonders interessant ist ein erstmals auf Deutsch publiziertes Interview mit Pasolini aus dem Jahr 1974.

Die Leser seiner „Freibeuterschriften“ [4] werden mit seinen Gedanken zum „Totalitarismus der Konsumgesellschaft“, zur „falschen Toleranz“ und zum „Faschismus der Antifaschisten“ bereits vertraut sein; nichtsdestotrotz lesen sich seine Analysen auch nach 40 Jahren schockierend aktuell. trans Pier Paolo Pasolini: Faschismus, Antifaschismus und Konsumgesellschaft

Das Werk Pier Paolo Pasolinis übt seit gut zwei Jahrzehnten eine schier unerschöpfliche, widerspruchsgeladene Faszination auf mich aus. Er gehört zu jenen Autoren, die unmöglich auf einen einzigen Nenner zu bringen sind oder in eine Schublade passen. Im März hatte ich Gelegenheit, seinen Film „Das Evangelium nach Matthäus [5] (1964) auf der Leinwand zu sehen. Ein aufwühlender, einzigartiger Film, der ästhetisch tief in jahrtausendealten europäischen Traditionen wurzelt, das paradoxe Wunder eines von religiöser Wucht beseelten Werkes aus der Hand eines selbsterklärten Atheisten und Marxisten.

Derselbe Mann war auch imstande, die120 Tage von Sodom [6] des Marquis de Sade zu verfilmen, sein letzter, radikalster und am meisten mißverstandener Film. Ich bin mir sicher, daß der vom Christentum faszinierte Marxist Pasolini der Prophezeiung des katholischen „Reaktionärs“ Nicolás Gómez Dávila am Ende seines Lebens resigniert zugestimmt hätte: „Marx und die Evangelien werden verblassen. Die Zukunft gehört der Pornographie und Coca-Cola“.

Es war mitten in den „anni di piombo“, den „Jahren des Bleis“, in denen links- und rechtsterroristische Akte Italien erschütterten, als Pasolini konstatierte, daß der linke Antifaschismus auf ein Phantom der Vergangenheit fixiert sei, das ihn daran hindere, die „erste, wahre Revolution von rechts“ zu erkennen. Was er hiermit allerdings meinte – befangen in marxistischer Terminologie und zu einem linksintellektuellen Publikum sprechend – hat mit der politischen Rechten im eigentlichen Sinne oder im Sinne ihres Selbstverständnisses wenig bis gar nichts zu tun.

Im Gegenteil räumt diese „Revolution“, die in erster Linie eine technologische ist, die „überkommenen gesellschaftlichen Institutionen“ wie „Familie, Kultur, Sprache, Kirche“, mit deren Verteidigung die Rechte im allgemeinen assoziiert wird, radikal ab, um an ihre Stelle die Herrschaft des totalen Konsums zu setzen. Die Welt soll also in einen totalen Supermarkt verwandelt werden, um auf eine Formulierung von Houellebecq anzuspielen, der in vielerlei Hinsicht, etwa in der Kritik der sexuellen Permissivität, ein Erbe Pasolinis ist.

Die neue bürgerliche Herrschaft braucht nämlich Konsumenten mit einer ausschließlich pragmatischen und hedonistischen Mentalität; denn der Zyklus von Produktion und Konsum vollzieht sich am reibungslosesten in einer technizistischen und rein irdischen Welt.

Diese „Revolution“ bedeutet aber auch: Konformismus, Vermassung, Gleichmacherei, Sprachverlust, flächendeckende Medienindoktrination als Folgen, die Vernichtung der „verschiedenen Arten, ein Mensch zu sein“. Gemäß der marxistischen Terminologie setzte Pasolini hier den Begriff der „Bourgeoisie“ ein, die „das ganze Universum nach ihrem Bild umzugestalten“ sucht.

Alles, was auf dieser Welt vital ist und anders ist, soll entwurzelt und in einen konsumierenden „Bourgeois“ verwandelt werden: die süditalienischen Bauern ebenso wie das Lumpenproletariat der Vorstädte Roms, die neapolitanische Volkskultur ebenso wie die Menschen der Dritten Welt, für die Pasolini leidenschaftliche Sympathien hatte  – und in die er auch wohl gewisse, eher romantisch zu nennende Hoffnungen setzte. „Bourgeois“ meint im Wesentlichen, was „Tiqqun“ heute als „Bloom“ [7] bezeichnen.

Pasolini scheute sich nicht, diesen Prozeß als wahre „anthropologische Mutation“, ja als „Völkermord“ zu bezeichnen. Der alte Faschismus habe die „Seele des italienischen Volkes“ nicht einmal ankratzen können. Der neue, „hedonistische Faschismus“ dagegen zerstöre sie radikal, ebenso wie die anderer Völker und Kulturen. In einem meiner frühesten Artikel für die Junge Freiheit habe ich anläßlich des 30. Todestags Pasolinis auf diese Zusammenhänge hingewiesen [8], und auch auf die zum Teil verblüffende Nähe zu liberalismuskritischen Köpfen der Rechten, wie Armin Mohler, Ezra Pound oder Jean Cau.

Das ist ein Punkt, den viele Libertäre, mögen sie sich auch noch so sehr gegen Egalitarismus und Sozialismus stellen, nicht verstehen können. [9] Ein radikal entfesselter Markt, der keine Götter über sich anerkennt, ist noch effektiver in der Planierung der Kultur und der „Kulturen“ (wie Alain de Benoist sagen würde), als irgendein sozialistisches System. Und sein utopisches Endziel ähnelt demjenigen des Marxismus wie ein Ei dem anderen. Am Ende steht eine durchrationalisierte, durchökonomisierte, pazifizierte, post-historische, masseneudaimonistische Welt. Das ist auch eine Pointe der berühmten Rede des Fernsehmoguls [10] aus Sidney Lumets Film „Network“ (1976), ebenfalls aus der Feder eines marxistischen Autors (Paddy Chayevsky).

Der Schriftsteller Ulrich Schacht [11] formuliert es so – der „Kapitalist“ von heute sage:

„Konsumenten, aller Länder vereinigt euch!“ Die Erde muß planiert werden in ein gigantisches Kaufhaus. Der Mensch muß reduziert werden auf die Persönlichkeitsstruktur einer permanenten Produktions- und Konsumptionsmonade.

Die von Pasolini kritisierten Illusionen der Linken angesichts dieses Prozesses erinnern mich ein wenig an diejenigen unserer heutigen Libertären (die ungefähr für das stehen, was die Linke heute als „Neoliberalismus“ bezeichnet), zumindest in einem bestimmten prinzipiellen Sinn. Es sieht sozusagen die eine Partei nicht, daß sie nur die andere Backe der Zange spielt, und sie täuschen sich beide über die Natur der Zange. Pasolini schrieb 1973 über die Ausbreitung der Massenkultur:

Diese Lage der Dinge wird von der gesamten Linken akzeptiert; denn wer bei diesem Spiel nicht abseits stehen will, der hat keine andere Wahl, als es zu akzeptieren. Von daher rührt der allgemeine Optimismus der Linken, der energische Versuch, sich die von der technologischen Zivilisation geschaffene neue Welt anzueignen, die nichts mehr gemein hat, mit all dem, was davor war. Die Linksradikalen gehen in dieser Illusion noch einen Schritt weiter, indem sie dieser von der technologischen Zivilisation geschaffenen neuen Form der Geschichte geheimnisvolle Kräfte der Erlösung der Erneuerung zuschreiben.

Indem nämlich diese Entwicklung eine Explosion bewirken werde, die den letzten Funken „proletarischen Klassenbewußtseins“ entzünden und eine neue Welt möglich machen werde. Heute, mehrere Generationen später, haben sich hier die Akzente gewiß verschoben, gemäß einer siegreichen Tendenz, die wiederum von Pasolini an der Linken von 1968ff. kritisiert wurde. Wenn heute Linksradikale und Antifanten von Revolten und Aufständen träumen [12], dann sprechen hier in erster Linie verzogene, neurotisierte, wurzellose Bürgerskinder, Söhne und Töchter einer ultrapermissiven Konsum- und Wohlstandsgesellschaft, die allenfalls nach noch mehr Liberalisierung und nach noch mehr Staatsversorgung schreien.

Von einer „proletarischen“ Bewegung kann hier keine Rede sein, auch nicht von einem „Klassenbewußtsein“. All das ist unendlich weit von der asketischen Linken früherer Zeiten entfernt. Was nach dem Kladderadatsch kommen soll, bleibt unklar. Über die Diffusität des eigenen Anliegens täuscht man sich mit einer opiatartigen Fixierung auf das „faschistische“ Krokodil hinweg, wahrscheinlich noch versessener als zu Pasolinis Zeiten. Wenn diverse rechtsextreme Gruppen, die nur einen kleinen Bruchteil ihrer antifantischen Gegner ausmachen, in diesem Zirkus mitspielen, dann tun sie nichts weiter, als den Kult um ein Phantom aus dem Gruselkabinett der Weltgeschichte seitenverkehrt zu adaptieren.

Weiterhin werden außereuropäische Einwanderer (die entgegen den Hoffnungen Pasolinis auch nichts weiter wollen, als am westlichen Konsumkuchen mitzunaschen) in den Status eines quasi-geheiligten revolutionären Subjekts erhoben und „kulturmarxistische“ Agenden verfochten, die indessen auch von den Reichen und Mächtigen massiv gefördert werden. Warum zum Beispiel sowohl Jeff Bezos als auch Mark Zuckerberg und Lloyd Blankfein emsige Propagandisten der „gay marriage“ sind – darüber wird auch auf der Linken nicht genügend nachgedacht.

Was hätte nun wohl ein Pasolini, der aus seiner Homosexualität nie einen Hehl gemacht hat, zu der Verbürgerlichung der Homosexuellen und zu ihrer Instrumentalisierung im Kulturkampf des Kapitals gesagt? Was zur Entwertung der Ehe zu einem Konsumartikel für die narzißtische Laune einer Minderheit? [13]

Bevor ich zu den erstaunlichen Zitaten aus dem in Compact 3/2014 abgedruckten Interview mit Pasolini komme, will ich vorab folgende luzide Passage hervorheben, die wir uns gut merken sollten:

Ich würde nicht sagen, dass ein Lehrer, der von einem gewissen Linksextremismus angeregt ist und einem jungen Rechten sein Diplom nicht gibt, intolerant ist. Ich sage, dass er ein Terrorisierter ist. Oder ein Terrorist.

In der Tat: „Intoleranz“ ist letztlich eine zu harmlose und zu private Kategorie für diese Dinge. Wenn etwa Antifanten Autos unliebsamer Journalisten [14] anzünden oder die Wohnhäuser unliebsamer Politiker mit Farbbeutelmenetekeln [15] versehen, so sind das klare terroristische Akte, die der Einschüchterung, der Drohung und der Erzeugung von Angst und Druck dienen. Dasselbe beabsichtigen Antifajournalisten, die die Namen von meistens wehr- und machtlosen Menschen in einem verzerrten und verhetzenden Kontext „outen“, und sich dabei einen Dreck darum scheren, ob sie eine Karriere, eine Lebensgrundlage, eine Familie oder die Zukunftsaussichten eines jungen Menschen zerstören. „Google“ ist einer der besten Freunde ihrer Strategien – womit sich auch in diesem Punkt eine seltsame Allianz zwischen den Linksradikalen und den weltumspannenden meinungs- und bewußtseinsteuernden Monopolkraken ergibt.

Anfang der Sechziger Jahre hatte Pasolini, der als Skandalautor galt und diesen Ruf auch nach Kräften förderte, mehrere Hexenjagden und demütigende Diffamierungskampagnen seitens der damals noch mächtigen rechten und konservativen Presse erlitten. Er wurde mit rufschädigenden gerichtlichen Klagen überhäuft – unter anderem wurde ihm die Verführung Minderjähriger und die „Herabwürdigung religiöser Symbole“ zur Last gelegt. Es war wohl diese traumatische Erfahrung, die ihn für seine spätere Wahrnehmung der Ausgrenzungsmechanismen der heutigen Gesellschaft sensibilisierte. Er war in dieser Hinsicht unbestechlich. Auch nach der kulturellen Linkswende der Sechziger Jahre weigerte er sich, mit dem Strom zu schwimmen.

Aber ich habe gesagt, dass diese Ereignisse Terrorismus und nicht Intoleranz seien, weil für mich die wirkliche Intoleranz die der Konsumgesellschaft ist, die der von oben zugestandenen Freizügigkeit, die die wahre, schlimmste, hinterhältigste, kälteste und unerbittlichste Form der Intoleranz ist. Weil es eine Intoleranz ist, die die Maske der Toleranz trägt. Weil sie nicht wahr ist. Weil sie jedes Mal, wenn die Macht es nötig hat, widerruflich ist. Weil es der wahre Faschismus ist, aus dem sich der gekünstelte Antifaschismus ergibt: nutzlos, heuchlerisch, und im Grunde genommen vom Regime geschätzt.

Was Pasolini hier beschreibt, wird heute jeder am eigenen Leibe erfahren, der es wagt, sich auch nur einen Schritt weit vom Konsens der „politisch Korrekten“ zu entfernen. Und es handelt sich hierbei keineswegs bloß um den zufälligen Radau von „linken Spinnern“, wie einige Libertäre oder auch Konservative glauben, sondern es geht hier um eine Sache, die eine entscheidende systemische Rolle spielt.

Wichtig ist allerdings auch Pasolinis Beobachtung, daß diejenigen, die sich an diesem Spiel der Denunziation und Ausgrenzung beteiligen, zu einem guten Teil selbst Terrorisierte sind. Der Terror wird wie ein Stachel weitergegeben; darum gibt es bald niemanden, der ohne Stachel herumläuft. Wo der Stachel aber steckt, breiten sich auch Angst und Unsicherheit aus. So wird die Masse zur Konformität und zum Stillhalten erzogen.PPP 480x255 Pier Paolo Pasolini: Faschismus, Antifaschismus und Konsumgesellschaft [16]

Nun also Pasolini im Originalton. [3]

Es existiert heutzutage ein veralteter Antifaschismus, der im Grunde genommen lediglich einen guten Vorwand bildet, um ein reales Antifaschismuspatent verliehen zu bekommen. Es handelt sich um einen billigen Antifaschismus, dessen Gegenstand und Ziel ein archaischer Faschismus ist, den es nicht mehr gibt und den es niemals wieder geben wird. Gehen wir von Fascista, dem jüngsten Film von [Nico] Naldini aus. Dieser Film also, der sich mit der Frage nach den Beziehungen zwischen einem Führer und der Masse beschäftigt, zeigt sowohl den Führer, Mussolini, als auch jene Masse als zwei absolut veraltete Figuren. Ein Führer wie dieser ist heutzutage absolut undenkbar, nicht nur aufgrund der Belanglosigkeit und Irrationalität dessen, was er sagt, sondern auch, weil es in der modernen Welt überhaupt keinen Platz, keine Glaubwürdigkeit für ihn gäbe. Alleine das Fernsehen würde ihn schon erfolglos machen, ihn politisch zerstören. Die Methoden dieses Führers waren für Podien, für Kundgebungen vor „riesigen“ Menschenmassen geeignet, aber sie würden auf einem Bildschirm keineswegs funktionieren.

Das ist keine einfache Feststellung, oberflächlicher und rein technischer Art, sondern das Symbol einer totalen Veränderung unserer Art zu sein und zu kommunizieren. Das Gleiche gilt für die Menschenmenge, diese „riesige“ Menge. Es reicht, einen Blick auf diese Gesichter zu werfen, um zu sehen, dass „diese Menge“ nicht mehr existiert, dass sie begrabene Tote sind, unsere Ahnen. Das genügt, um zu verstehen, dass „dieser  Faschismus“ niemals wiederkehren wird. Deshalb ist ein guter Teil des heutigen Antifaschismus, oder zumindest des sogenannten Antifaschismus, entweder naiv und stupide oder ein bloßer Vorwand und unehrlich; tatsächlich bekämpft er ein totes und begrabenes, veraltetes Phänomen, das niemandem mehr Angst einjagen kann, oder er tut so, als ob er es bekämpfen würde. Alles in allem ist es ein durchaus bequemer und billiger Antifaschismus.

Ich bin zutiefst davon überzeugt, dass der wahre Faschismus das ist, was die Soziologen viel zu brav „die Konsumgesellschaft“ genannt haben, eine Definition, die harmlos und rein informativ erscheint. Es ist weder das eine noch das andere. Wenn man die Wirklichkeit gut beobachtet und wenn man vor allem in den Gegenständen, der Landschaft, dem Städtebau und insbesondere in den Menschen zu lesen weiß, sieht man, dass die Folgen dieser unbekümmerten Konsumgesellschaft selbst die Folgen einer Diktatur sind, eines eindeutigen Faschismus. In dem Film von Naldini sieht man, dass die jungen Leute untergeordnet waren und Uniform trugen… Aber es gibt einen Unterschied: Kaum hatten die jungen Leute von damals ihre Uniform wieder ausgezogen und sich auf den Weg aufs Land und zu ihren Feldern gemacht, wurden sie wieder ganz die Italiener, die sie vor fünfzig oder hundert Jahren, also vor dem Faschismus, gewesen waren.

Der Faschismus hatte aus ihnen Marionetten, Diener gemacht – sie vielleicht auch zum Teil überzeugt – aber er hatte sie nicht wirklich im Grunde ihrer Seele, in ihrer Art getroffen. Der neue Faschismus dagegen, die Konsumgesellschaft, hat die jungen Leute grundlegend verändert, sie an der intimsten Stelle getroffen,

(…)

Es gibt aber auch noch diese bedeutendere Tatsache: Der Faschismus, den die damaligen Menschen gekannt hatten, ich meine diejenigen, die Antifaschisten gewesen waren und zwanzig Jahre lang Erfahrungen mit Faschismus, Krieg, Widerstand gemacht hatten, dieser Faschismus war alles in allem ein besserer Faschismus als der heutige. Ich denke, dass zwanzig Jahre Faschismus nicht so viele Opfer forderten, wie es die letzten Jahre taten.

Furchtbare Ereignisse wie die Massaker von Mailand, Brescia, Bologna [Bombenanschläge Ende der 1960er und Anfang der 1970er Jahre] haben sich in jenen zwanzig Jahren nicht ereignet. Gewiss, es gab die Ermordung Mateottis [Giacomo Mateotti, sozialistischer Abgeordneter, 1924 von den Faschisten ermordet], es gab weitere Opfer auf beiden Seiten, aber Verbrechen von der Kraft, Gewalt, Bösartigkeit,  Unmenschlichkeit und eisigen Kälte wie jene seit dem 12. Dezember 1969 (Bombenanschlag in Mailand) hatte es in Italien noch nie gegeben.

Was diese genannten Massaker betrifft, so war Pasolini überzeugt, daß sie Inszenierungen einer „Strategie der Spannung“ (siehe übrigens auch hier [17] und hier [18]) waren:

Folgen wir den schwarzen Spuren. Ich habe diesbezüglich eine vielleicht etwas romantische Idee, die ich aber für wahr halte. Hier ist sie: Die Menschen an der Macht, und ich könnte sicherlich unverblümt Namen zitieren, ohne große Furcht, mich zu irren – sagen wir mal einige der Leute, die uns seit dreißig Jahren regieren –  organisierten zunächst die Strategie der antikommunistischen Spannung und dann, als sich die Furcht vor der Umwälzung von 1968 und der unmittelbaren kommunistischen Gefahr gelegt hatte, organisierten diese gleichen Menschen an der Macht die Strategie der antifaschistischen Spannung. Die Massaker wurden also von den gleichen Personen ausgeführt, sie haben zuerst das Massaker der Piazza Fontana [in Mailand, 1969] begangen und es den Linksextremisten angehängt, anschließend die Massaker von Brescia und Bologna und es den Faschisten angehängt,womit sie eilig versuchten, ihre antifaschistische Unschuld wiederzuerlangen, die sie nach der Volksabstimmungskampagne und nach der Volksabstimmung brauchten, um die Macht weiter verwalten zu können, als ob nichts gewesen wäre.

Wie kann man seine Konklusion auf heutige Verhältnisse anwenden?

Deshalb gibt es viel Hass, viele zutiefst schockierte Menschen und wenig, wenig Fähigkeit zu vergeben… Es ist nur so, dass dieser mal aufrichtige, dann wieder vollkommen unaufrichtige Hass ein falsches Objekt hat, nämlich die veralteten Faschisten, dabei müsste es die reale Macht sein.

Die „Antifaschisten“ von heute haben das immer noch nicht begriffen. Sie sind, konträr zu ihrem Selbstbild, nichts anderes als Spielfiguren und Handlanger dieser „realen Macht“.

Pasolini2 248x400 Pier Paolo Pasolini: Faschismus, Antifaschismus und Konsumgesellschaft [19]

Deutsche Erstübersetzung eines Interviews, geführt von Masimo Fini in L’Europeo, 26. Dezember 1974.  Aus der französischen Ausgabe der Freibeuterschriften (Écrits corsaires, Flammarion, 1976) übersetzt von Philippe Guichard. Vollständig lesen in der Printausgabe COMPACT 3/2014 – hier bestellen. [20]

Bilder: „Pasolini prossimo nostro“ (Giuseppe Bertolucci, 2006)

Article printed from Sezession im Netz: http://www.sezession.de

URL to article: http://www.sezession.de/44179/pier-paolo-pasolini-faschismus-antifaschismus-und-konsumgesellschaft.html

URLs in this post:

[1] Image: http://www.sezession.de/44179/pier-paolo-pasolini-faschismus-antifaschismus-und-konsumgesellschaft.html/pasolini_pier_1975_salo

[2] Alain Soral: http://www.sezession.de/37611/franzosischer-blatterwald-3-alain-soral-und-das-imperium.html

[3] Pier Paolo Pasolini: http://juergenelsaesser.wordpress.com/2014/03/22/der-alte-faschismus-und-der-heuchlerische-antifaschismus/

[4] „Freibeuterschriften“: http://jungefreiheit.de/service/archiv/?jf-archiv.de/

[5] „Das Evangelium nach Matthäus: http://www.youtube.com/watch?v=h7ewh5k5-gY

[6] 120 Tage von Sodom: https://www.youtube.com/watch?v=YpqTaxVBCzM

[7] „Tiqqun“ heute als „Bloom“: https://www.diaphanes.net/titel/theorie-vom-bloom-7

[8] auf diese Zusammenhänge hingewiesen: http://jungefreiheit.de/service/archiv/?jf-archiv.de/archiv05/200544102847.htm

[9] nicht verstehen können.: http://www.sezession.de/43950/amazon-vs-antaios-und-der-glaube-der-libertaeren.html

[10] berühmten Rede des Fernsehmoguls: https://www.youtube.com/watch?v=yuBe93FMiJc

[11] Der Schriftsteller Ulrich Schacht: https://www.youtube.com/watch?v=hgKCSv4ZvOs

[12] Revolten und Aufständen träumen: http://www.sezession.de/schlagwort/der-kommende-aufstand

[13] Ehe zu einem Konsumartikel für die narzißtische Laune einer Minderheit?: https://www.youtube.com/watch?v=YpqTaxVBCzM&feature=player_detailpage#t=4442

[14] Autos unliebsamer Journalisten: http://jungefreiheit.de/kultur/medien/2014/berlin-auto-von-konservativem-journalisten-niedergebrannt/

[15] Farbbeutelmenetekeln: http://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2014/linksextremisten-bedrohen-cdu-politiker-wansner/

[16] Image: http://www.sezession.de/44179/pier-paolo-pasolini-faschismus-antifaschismus-und-konsumgesellschaft.html/ppp

[17] hier: http://www.sezession.de/28908/du-bist-terrorist.html

[18] hier: http://www.sezession.de/28793/wer-sind-die-terroristen.html

[19] Image: http://www.sezession.de/44179/pier-paolo-pasolini-faschismus-antifaschismus-und-konsumgesellschaft.html/pasolini2

[20] Printausgabe COMPACT 3/2014 – hier bestellen.: http://www.compact-magazin.com/compact-maerz-2014/

[21] : http://www.kondylis.net/rezensionen/hansmartinlohmann.pdf

[22] : http://gutenberg.spiegel.de/buch/4951/3

[23] : http://www.metallized.it/public/articoli2/Blood_Axis_BA_1.jpg

[24] : http://

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vendredi, 11 avril 2014

Entrevista con Giorgio Freda

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Entrevista con Giorgio Freda

Esta entrevista fue publicada por el “Comité de Solidaridad con Giorgio Freda”, con sede en Lausana, con el título: “Giorgio Freda, ¿”nazimaoísta o revolucionario inclasificable”?

¿Cual ha sido la contribución política y cultural que pensáis haber conseguido con las “Edizioni di Ar”?

Necesitamos distinguir entre diversos planos. Si se habla de evaluar la eficacia sobre el plano político-cultural creo que la contribución ha sido bastante discreta, visto y considerado que los dos mil suscriptores de las “edizioni di Ar” no representan nada desde este punto de vista. Pero desde el punto de vista de su validación objetiva creo que nuestra iniciativa ha ofrecido a dos mil personas la posibilidad de acceder a determinados instrumentos que anteriormente o estaban prohibidos o eran inencontrables. En 1964, por ejemplo, cuando las “edizioni di Ar” publicaron su primer libro (“Sobre la desigualdad de las razas humanas”, de Gobineau), el medio al cual nos dirigíamos estaba completamente falto de una cierta cultura que no fuese oleográfica, pietista o hagiográfica. Un medio cultural miserable y desolado para el cual nuestros libros -en particular las obras de Evola- significaban una ruptura drástica y provocadora… Entre otras obras significativas que hicieron impacto cabe destacar las de Cornelio Codreanu, capitán de la Guardia de Hierro rumana.

¿La obra de Codreanu puede haber contribuido a orientar de un cierto modo a los militantes políticos de un cierto radicalismo de la derecha?

Para ser sincero, las obras de Codreanu pueden haber dado nacimiento a ciertos equívocos… He notado que muchos, leyendo sus textos, se inflaman, mientras que al leer una obra de Evola se imaginan ser hombres diferentes y se fabrican una serie de alivios para superar su efectiva miseria existencial. Sobre el plano de la intervención política, no creo que las “edizioni di Ar” hayan conseguido sus resultados. Debo insistir más en los valores testimoniales de esta iniciativa editorial, que ha conducido a mucha gente a meditar sobre la falsedad de sus posiciones intelectuales.

“La Desintegración del Sistema” recoge, por una parte, una crítica severa de las posiciones nacional-europeas y por la otra propone la constitución de un frente común del neofascismo y de la ultraizquierda para la destrucción del sistema. ¿Cómo es que esta obra no ha tenido un eco en la ultraizquierda? ¿Es posible este frente? ¿Es qué sentido es evaluada la situación italiana?

Comencemos por la última pregunta. En los últimos años la situación italiana ha sufrido una involución antes que una evolución. Desde mi punto de vista y desde el de los amigos que asumieron junto a mí, en 1969, una misma línea de combate, la ultraizquierda de la Italia de los ´60 aparecía animada por unas tendencias que no eran estúpidas: pensábamos que podrían llegar a superar la fascinación y la seducción de la imaginería del antifascismo. En otros términos, pensábamos que la ultraizquierda podría representar una vanguardia, un vehículo paralelo a otros vehículos que marchaban en la misma dirección: la ruptura del sistema. Un sistema que, desde 1945, hace pesar sobre la vida política italiana una interminable y lúgubre noche. Pero apenas el aparato de la izquierda institucional comenzó con su proyecto contrarrevolucionario, la ultraizquierda respondió eficazmente al milagro sagrado del antifascismo; la ultraizquierda sólo puede ir a remolque de la izquierda oficialista. Desde otras consideraciones, reposa más sobre la experiencia personal que sobre consideraciones abstractas y categóricas. Aún cuando el militante de la ultraizquierda coincida en puntos con el militante de la “destra radicale”, en el momento de avanzar en su diagnostico, de reflejar los valores de convergencia, en el momento de la intervención activa, el hombre de la ultraizquierda se cree poseído, condicionado, manipulado por los radicales de la derecha. Así, manifiesta un miedo, se siente culpable. Es suficiente que un viejo partisano les diga: Hemos luchado treinta años contra el nazi-fascismo, y tú, joven intelectual de izquierdas, tú nos traicionas uniéndote a los que combatimos tantos años. Y entonces se vuelve y grita: Tú, fascista, tú no te acuestas conmigo porque nos animen las mismas exigencias, por una voluntad de abatir al enemigo común, sino para provocarme. Nosotros, los de la izquierda revolucionaria no tenemos nada que hacer con los provocadores fascistas, y es mucho mejor que retornemos a la gran madre de la izquierda democrática burguesa.

Si, pero la ultraizquierda ignora vuestras tesis de unidad antiburguesa y hacen pasar por provocadores a aquellos que, al contrario, partiendo de las posiciones neofascistas, han rechazado la invitación a batirse contra la ultraizquierda (1)

fr351271605.jpgEs verdad. este equívoco es alimentado por los mercenarios del MSI, “Movimento Sionista Italiano”, un conjunto de borregos vendidos a los intereses del partido judío-americano. Así, mientras nosotros intentábamos proponer al radicalismo de izquierda y de derecha un bloque político unitario y homogéneo en la acción y diversificado en sus premisas doctrinarias, los dos partidos a la extrema derecha y a la extrema izquierda (MSI y PCI), que favorecen el equilibrio del sistema político de centro, viendo sus posiciones amenazadas, realizaron una obra de reacción simétrica: desde un lado el PCI arroja fuera a sus viejos parientes (a los que inmediatamente les inunda la nostalgia) y, por el otro, el MSI lanza a sus bandas armadas. De este modo, “los Freda” devienen en nazis para los unos y en maoístas para los otros, sin posibilidad de apelación. La fórmula paradójica del “nazimaoísmo” -no del todo falsa, pero no del todo justificada- permite escindir sus elementos constitutivos, porque los comunistas tienden a relevar el aspecto “nazi” para aterrorizar a sus compañeros, y los neofascistas del MSI evidencian sobre todo el aspecto “maoísta” para detener a sus camaradas… Quisiera aclarar otro punto. Ocurre que yo no soy y no me considero un intelectual, si debo considerarme una cosa, yo soy un soldado político, y no se reconoce a un soldado político por sus bellas palabras, sino por su comportamiento, por el ejemplo que propone. En otras palabras, quien quiera entender que entienda. No creo que por el hecho de haber elaborado ciertos temas tenga que provocar ciertas conversiones. Los mil quinientos ejemplares de la “La Desintegración del Sistema” fueron publicados después de mi arresto y después de que se concentraran sobre mí las sospechas de la organización de la masacre de Piazza Fontana. Para ser sincero, este texto está más prisionero de la ultraizquierda que del neofascismo. Y lo afirmo sobre la base de ciertos hechos que me han hecho reflexionar..

En efecto, hemos oído decir que ciertos grupos de la ultraizquierda han estudiado y tamizado el “programa Freda”.

Este texto no es mi programa. Constituye la representación, sobre el plano ideológico, de algunas exigencias comunes a un determinado “medio”. Una parte de “Joven Europa”, por ejemplo, asume algunas de estas posiciones. Igualmente, el grupo “Lotta di Popolo”, de Roma, ha elaborado tesis similares a las de la “Desintegración”. Por ello insisto en el carácter impersonal de estas tesis.

Tu interpretación de la cuestión judía está perfectamente expuesta en una entrevista con Mutti. ¿Podrías resumirla?

Se puede decir paradójicamente que la cuestión judía no existe porque todo el mundo está hebreizado. El antisemitismo es un concepto general, vulgar y banal. Desde un punto de vista etimológico, este término no corresponde al tipo de polémica que queremos señalar. Decimos, por ello, antijudaísmo o antihebreísmo. Hoy en día hablar de judaísmo o de americanismo, de sionismo o de occidentalismo, es más o menos la misma cosa, y la lucha antijudía se identifica con la lucha contra el occidente americanizado.

¿Es posible actualmente oponer la idea de Europa a la de Occidente? ¿En qué modo la Europa-Nación puede representar un mito, una idea-fuerza?

¿Quién lo ha dicho? No es casualidad que este slogan sea adorado por los chicos del MSI, las tesis que durante años, desde el fin de la guerra, han sido víctimas del histerismo pequeño-nacionalista. Al menos, hombres como Jean Thiriat tienen el mérito de haber alargado los horizontes, de contribuir a arrojar ese provincianismo de muchos militantes de la extrema derecha. Pero la dimensión europea no es suficiente por sí sola para crear una idea-fuerza. Este es el límite de Jean Thiriart…

Precisamente es la ausencia de una orientación tradicionalista la que ha permitido ciertas afirmaciones antiárabes. Por otra parte, ciertos sectores han presentado la lucha de liberación europea como una aspiración a un nuevo imperialismo que sabría ocupar el puesto de los vencedores de Yalta. De aquí deriva una cierta adhesión de Thiriart a un concepto “maquiavélico” de la política que hace que sea vista como el reflejo de las acciones de ciertos personajes como Felipe el Guerrero, Pedro el Grande o Lenin…

Sabemos muy qué es lo que es el alma burguesa del concepto de la nación, un alma que se manifiesta en fenómenos que van de la aparición de la monarquía nacionalista hasta los diversos sentimientos nacionales del presente siglo. Segundo, para mí los árabes han cometido un error tremendo cuando decidieron hacerle el juego a las superpotencias en vez de apoyar en Europa a las fuerzas que se oponían a las mismas superpotencias. Cierto, los árabes han sido víctimas de la propaganda del imperialismo que perseguía presentar a estas fuerzas como los herederos del fascismo de ayer, y no han sabido distinguir entre los nostálgicos del colonialismo y los que se oponían al colonialismo burgués. Así, cuando alguien le dice a un libio, “Freda es nazi”, el libio traduce, “Freda es nazi, luego es fascista, luego es uno de esos que nos explotaron decenios ha”. Así, cuando Freda les propone un diálogo sobre el colonialismo, responden con un “nno-mme-interesa”. En consecuencia, si queremos ser indulgentes con la actual política de los árabes, debemos por lo menos concluir que no disponemos de datos suficientes, a menos que no queramos trabajar con los presupuestos de la “Realpolitik”. Recuerdo que los palestinos, en el Norte, a la hora de organizar una manifestación, se dirigieron a los organizadores comunistas y socialistas, aún sabiendo que entre los segundos se encontraban los mayores propagandistas del sionismo en Italia.

Una pregunta sobre la revolución china. En tus “Dos cartas concordantes” se propone una interpretación original de la revolución china. Esta simpatía política por los regímenes del Tercer Mundo (2), ¿viene determinada por la aversión hacia el mercantilismo y el imperialismo o de aquella convicción de que sería positivo el advenimiento del Cuarto Estado en vistas a una restauración de lo humano absoluto (3)? ¿En qué se distingue de Evola?

Evola ve el advenimiento del Cuarto Estado como la subversión prevaricadora del proletariado. El Cuarto Estado, como yo lo entiendo, si se quiere respetar su eventual autonomía original, no puede ser la clase del proletariado, porque el proletariado no tiene ninguna autonomía, siendo, desde un punto de vista sociológico y no psicológico, el resultado de un desplazamiento burgués…

En efecto, el marxismo ha dicho que “el proletariado sigue a la burguesía como su sombra”…

Si, en esta hipótesis se funda la ecuación Cuarto Estado = proletariado. Por otra parte, yo no veo qué impide aceptarla. Si algo debe seguir a la era burguesa, desde luego no va a ser la sociedad proletaria, pues ¿acaso no forman una sola cosa?

Jünger había anunciado la era del Trabajador…

Es otro que coloca, “sic et sempliciter”, la identidad Cuarto Estado igual a proletariado, y debe rendirse en que su hipótesis no está verificada históricamente, porque los regímenes que han sido considerados como socialistas, proletarios, etc. no son sino prolongaciones de los regímenes burgueses.

Es imposible recoger en un único juicio los regímenes que se dicen socialistas. Los estados burocráticos de la Europa oriental pueden ser prolongaciones burguesas, pero no así los regímenes socialistas de China, Camboya, etc., aunque la China ha cambiado profundamente desde la muerte de Piao…

De acuerdo. Las categorías del pensamiento occidental no pueden ser inmediatamente aplicadas a los medios culturales totalmente diferentes. No es posible que la tradición china, pese a las contaminaciones que Occidente ha tratado de imponerle, pueda disolverse, y por consecuencia un marxismo-leninismo chino es, en realidad, imposible. Es imposible que los exégetas del rabino de Trevi (Marx) puedan ver sus tesis aplicadas indiferentemente a los judíos franceses, los intelectuales italianos y los campesinos chinos. No soy un sinólogo, nunca he visto China, a no ser bajo sus representaciones occidentales.

En un escrito de 1932 René Guènon predecía la destrucción del aspecto externo de la tradición china (el confucionismo), pero afirmaba que su aspecto interno (el taoísmo) sabría sobrevivir. Y, en efecto, se aprecian numerosísimos aspectos taoístas en la doctrina de Mao. Por otra parte, los últimos desarrollos de la realidad china son preocupantes…

Por retomar la cuestión del advenimiento del Cuarto Estado y del inicio de la nueva era, ¿podríamos decir que ha comenzado sin que nos diéramos cuenta? ¿ O se puede decir -por usar una bella imagen de Evola- que el punto más oscuro de nuestra noche todavía no ha pasado? En el segundo caso nos encontramos ante la presencia de formas históricas fosilizadas, cara a un mundo de caracoles, de fósiles abandonados en la riada de la marea cíclica. Frente a estos hechos, ¿qué valor pueden tener los restos escolásticos de los talmudistas del tradicionalismo?

¿Te refieres a los “evolamaníacos”?

Sí, a los sacristanes del evolismo, a aquellos que con la excusa de la inminencia del fin del mundo y del advenimiento del Mesías, dicen que no se puede hacer nada, y se dedican a disertar sobe los valores de los sacro. Pero me consta que no hablan con Dios, sino, todo lo más, con los curas…

Pasemos a otro problema. ¿Existe alguna posibilidad de resistencia a la represión desatada en Italia y de desarrollar un movimiento de oposición al régimen democrático?

Una oposición al régimen en Italia se ejerce indudablemente por algunas de las vanguardias de la ultraizquierda, como las “Brigadas Rojas”. Por parte del radicalismo de la derecha, conozco un solo caso: la ejecución de un magistrado que se distinguía particularmente en su celo represivo (4), pero no se puede decir que esto traiga una producción en cadena, como se dice en las fábricas; es un hecho esporádico. Combatir al régimen quiere decir ajusticiar a sus magistrados, quiere decir golpear de modo ejemplar a sus hombres más representativos…

La represión indiscriminada contra la ultraizquierda y los neofascistas, ¿no podría favorecer la tesis invocada en “La Desintegración del Sistema”, realizar la unidad de acción de los opositores al sistema?

Esto no lo puedo anunciar, pero si así fuera me quedaría la pequeña satisfacción personal de haber anticipado tal fenómeno…

lunes 15 de diciembre de 2008

NOTAS:

1) En Italia, un “radical” suele ser un miembro de la “destra”, y un “ultra” un militante de izquierdas.

2) La simpatía por el Tercer Mundo no es rara entre los intelectuales, así como la confusión que suele crear, veamos dos ejemplos aparentemente contradictorios: “Entre Guevara y Mishima, entre el intelectual suramericano que busca la “bella morte” entre el surco de los “liberadores” (en español, en el original) y entre los “caudillos” de las sendas románticas de la independencia y el escritor nipón que reivindica con su espectacular Harakiri la ética del heroísmo, existe una fidelidad común a los valores tradicionales”

(“Momentos de la experiencia política latinoamericana”, Ludovico Garriccio, Bolonia 1974)

“Castro es un promotor de la liberación. Se ha visto obligado a arrojarse a un imperialismo por la terrible amenaza de la vecindad del otro. Pero el objetivo de los cubanos es la liberación de los pueblos de América Latina. Su intención es la de construir una extensa red de puentes para la liberación de los países continentales. El “Che” es un símbolo de esta liberación. Ha sido grande porque ha servido a una gran causa, la ha encarnado. Es un hombre para un ideal. El espíritu sigue siendo el factor fundamental de la relación entre el hombre y el arma, porque ésta última, por muy moderna que sea, sigue siendo un objeto inerte sin la intervención del hombre”

(entrevista de Jean Thiriart al general Perón, en “La Nation Européene”)

3) Es la tesis de Evola en “Cabalgar el tigre”: la lucha actual consiste en la aceleración de todas las contradicciones del sistema, en vistas a su derrumbe total que permitiría edificar una nueva sociedad. Y la mayor contradicción sería la toma del poder por el “Cuarto Estado”.

4) Vittorio Occorsio, ejecutado por los N.A.R. el 11 de julio de 1976.

mercredi, 02 avril 2014

Sovranità?

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Castro, Guevara

lundi, 31 mars 2014

Life is Always Right

Life is Always Right:
Futurism & Man in Revolt

By Mark Dyal

Ex: http://www.counter-currents.com

“We are not only more revolutionary than you, but we are beyond your revolution.” – F. T. Marinetti[1]

“You must know that blood has no value or splendor unless it has been freed from the prison of the arteries by iron or fire.” – F. T. Marinetti[2]

In the early days of July 1923, a heroic and blasphemous storm blew across the Carso plain and down into the Po river valley. Its daring speed and electrified energy created an atmosphere that transfixed those who scrambled for the safety of porticoes, sensing that this storm would put to a test all that had survived such storms in the past. Indeed, by the time it reached the flag-ringed buildings of Milan’s Piazza San Sepolcro the conflagration seemed to laugh at the memory of the structures that fell in its wake. And in that great and hallowed piazza, Giuseppe Prezzolini cowered away from the window, intent to finish the work that taxed his overwrought senses.

Prezzolini, the fine journalist and literary critic, was deep in rumination about perspective. How, he wondered, could those who sought to revolutionize the world champion something as amorphous and changing as perspective? How could revolt, of all things, proceed without the order and precision of truth and objectivity? How could the pathetic moans of an amateurish whore be confused with an ecstatic symphony of pleasure; or worse, how could the exalted battle cries of the world’s new masters be merely the cacophonous baying of a frightened herd of sheep? With this problem in mind, he tapped out his work, “Fascism and Futurism,” and thereby gave his readers a new perspective on the storm blowing through his proud and sanctified abode.

From Prezzolini’s perspective, the storm was violent and uncontrollable. It raged without memory with the instruments of war: grenades, mortars, and bombs seemed to explode in response to the piercing thrusts of rifle-bound bayonets, lashing wildly at the orderly and sensible piazza below. With every blow he shrank deeper into the comfort of his writing chair. Soon, however, a dreadful thought occurred to him, and he rushed to the window. Relieved and gratified, he smiled a knowing smile when he saw that the tattered symbols of reason, truth, and morality were still on guard against the vile anarchic forces besieging them.

From Prezzolini’s perspective, reason, truth, and morality were synonymous with the successful Revolution that had climaxed nine months earlier, bringing humanity one step closer to the perfection of liberty – a political and mystical right of men properly bound by duty and responsibility to the State.[3] Of course, much had happened in the meantime, and the soon-to-dissipate storm outside his window would be just as soon forgotten. As he remembered, Fascism and Futurism once had much in common. Especially in the days following the Great War, when Marinetti’s men led the revolutionary syndicalists, arditi, and critical artists into the fascist movement – back then they even called themselves “ardito-futuristi,” each with his own love of danger, violence, and reawakened instincts of the man of war.[4]

In they came, he remembered, crowding into the Industrial and Commercial Hall just outside his door. They were drunk on Sorel, proclaiming conflict a “permanent necessity” in the fight against a passive and flaccid existence. The failure of social revolution, one of them said, especially in the wake of industrialization and the creation of the urbanized mass man, was due to cowardice; the syndicalists just failed to act – and were ultimately betrayed by the Movement and Party crazed socialists.

This, according to Marinetti – the leader of this band of misfits, is one reason the Futurists claimed to be “mystics of action,” seeing the nation-State as a bastion of conservatism, repression, bureaucracy, and clericalism: even with neo-classical rulers, one might say, the State is and will always be the enemy of free men – men on the outside, in the beyond, in the nether regions of what is permissible and “good for business.”

As such, they would move against the State in the squadristi bands that almost became the ruin of The Revolution. Disdainful of the police, they were illegal, spontaneous, often haphazard, and arbitrary – hardly the stuff that goes into the establishment and defense of law and order!

 

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So, this perpetually violent man in revolt, freed from moral and historical constraints and Statist duties and responsibilities, was to become the new “Futurist man:” a man, as Marinetti said, that is not human (for without the essential elements of the human – rationality, morality, and memory – all perfectly suited to justify slavish adherence to being-bourgeois – then one is no longer human, but something else – something monstrous, something rapacious, something joyous). Marinetti said that the bourgeois State corrodes vital energy, that it feeds upon humanized herd-animals with deadened wills yoked to universalized assumptions of natural goodness and happiness. But Prezzolini would ask him today as he did then, what good could this Futurist man bring to The Revolt? He is be too reckless, too free, and too dangerous to be of any use to men trying to build a State.

Squadrismo! Yes, he remembered, that’s what it was about: embodied radicalism, joyful violence, and the destruction of the forces of order that so perfectly connected mind, body, and State. Ruefully, he shook his head, eager to forget the ravages of such unchecked, unscripted, and useless virility. The Futurists’ virility – the cult of speed, the contempt for the masses, and the antipathy toward bureaucracy – had certainly infected the early days of the Fascist Revolution. But fighting to become-other, to move beyond duties and responsibilities while embracing the flux and chaosmos of the man in revolt, this is a far cry from fighting for the honor and glory of the State. In the former the heroic man will die alone, but in the other – in the fight that we men of the State promise and demand – the heroic man never dies. Instead he is made grander and more meaningful than he ever could have been on his own.

However, standing here in the afterglow of the creation of the Fascist State – the very symbol of victory! – Prezzolini began to laugh aloud at the memory of what would one day be called the creation of the “two fascisms.”[5]

But then, in the summer of 1921, it was the moment of truth for Prezzolini’s Revolt. Would it follow the disdainful revolutionary violence of the Futurists and arditi into an unknowable future? Or would it turn toward the bourgeois shopkeepers and landowners who sought a stable and prosperous State built on the foundations of a glorious national past? Would it be swept up in the unbridled action of the men in revolt, or would it become The Revolution? Would it maintain its core as a pack of elite and daring fighting men – those who dared, in fact, to cast off all bourgeois duties and responsibilities, to “cut all roots and understand nothing but the delight of danger and quotidian heroism?”[6] Or would it embrace its historical responsibility and create something lasting, something immortal, like a Party and State?

Indeed it would, and did – disposing of both the Futurists and ardito-squadristi alike in several purging acts of political rationality – and set itself up as the apotheosis of “hierarchy, tradition, and authority.”[7] But as the storm blew, and the rotary engines intoxicated with their own speed and sound blasted at the security of the paving stones below his window, Prezzolini felt uneasy, as if something violent, cruel, and beyond the strictures of justice was seeping through the cracks in his sanctified workspace.

At once he knew its source: Marinetti. Blasphemer! Madman! The fool who wanted to use violence to destabilize the subjective – and subjectifying – forces of the bourgeois form of life! And to what end? Well, Prezzolini knew quite well to what end. Look at this, he screamed to his soul as he grabbed the tear sheet:

And so, let the glad arsonists with charred fingers come! Here they are! Here they are! Go ahead! Set fire to the shelves of the libraries! Turn aside the course of the canals to flood the museums! . . . Seize your pickaxes, axes, and hammers, and tear down, pitilessly tear down the venerable cities! . . . You raise objections? Stop! Stop! We know them. We’ve understood! The refined and mendacious mind tells us that we are the summation and continuation of our ancestors – maybe! Suppose it so! But what difference does it make? We don’t want to listen![8]

And so Prezzolini wrote a serendipitous march, a pointed and reserved tome in defense of the tradition and past splendor that found itself under attack from these irresponsible derelicts. Look again, his tormented cogito demanded; they actually call themselves “barbarians – the recalcitrant defaulters of the Ideal!”[9]

“Fascism, if I am not mistaken,” he began to write, “wants hierarchy, tradition, and observance of authority. Fascism is content when it invokes Rome and the classical past. Fascism wants to stay within the lines of thought that have been traced by the great Italians and the great Italian institutions, including Catholicism. Futurism, instead, is quite the opposite of this. Futurism is a war against tradition; it is a struggle against museums, classicism, and scholastic honors. How can this be reconciled with Fascism, which instead is trying to restore all our moral values?”[10]

Thank God, he murmured. Thank God! Thank God we had the decency, the sensibility, and the duty to distance our glorious Party and State from these lunatics. Perspective had made Prezzolini wise, for he knew that revolution had no future. The future, as history had already shown, is with the State. So be it if Fascism had to become a counter-reformation that betrayed the revolutionary energies and critical vitalism of its founding members:[11] the State and nothing but the State, as Mussolini said – a “spiritual and moral fact!”[12] We will properly manage the social domain, he thought defiantly. We will bring continuity and regularity to all that is in flux. We will make sedentary all that flows freely.[13] We will make homogenous all that is different. We will bring law and order, rationality and peace![14] If the people are not up to the task, if they chafe at the imposition of their rulers’ and bosses’ sovereignty, if they feel no allegiance to their duties and responsibilities to the State, then . . . let them go and play with Marinetti!

Does he not understand? We are the State, we are law, and we are order, sanctified by God and international treaty! What do his Futurists wish to be? Outside! Beyond the State! Don’t they know? There is no outside – we are “the Logos, the philosopher-king, the transcendence of the Idea, the interiority of the concept, the republic of minds, the tribunal of reason, the bureaucrats of thought, man as legislator and subject, . . . the interiorized image of a world order!”[15] When you leave that, dear Marinetti – dear “recalcitrant traitor of the Idea,” where do you go?

BAL

To war, was Marinetti’s answer. Only war, he said, can create the conditions and assemblages conducive to revolution. And when you are a man alone – a man in a pack, perhaps – and find yourself without a war, well, what then? You create the necessary conditions and assemblages of your own life. You “murder the moonlight,” you “destroy time and space,” living instead in “eternal and omnipresent velocity” – the velocity of courage and aggression, of “words and thought-in-freedom,” destroying any and all stagnant prudence, “utilitarianism, opportunistic cowardice” and reactive ressentiment that you used to think justified your élan vital.[16] You create mayhem – you live without tradition, without dogma, incessantly inventing new means with which to astonish your bourgeois instincts, nurtured instead by the “new sensibility” that will decompose all that you know about beauty, greatness, religiousness, solemnity, and cultivation.[17]

Live without tradition! Prezzolini was aghast. Live without memory! Again he wondered if Marinetti and these Futurists understood the implications of their ideas. Memory, he would remind them, serves a great purpose, for it alone creates a person capable of repaying debt;[18] and debt is the basis of civilization – for indeed, how can civilization proceed without all comic, bodily, and social tributes necessarily paid?[19] And just what do the Futurists think they are forgetting? What is the purpose, if you will, of forgetting? What responsibilities, duties, and debts, must they forget? They will say that forgetting laziness, slowness, and feminine sensibility so as to affirm life as acceleration. Like Bergson they want to make time a subjective duration and bundle of intensities – a velocity carrying other velocities –

Our life should always be a velocity carrying other velocities: mental velocity + velocity of the body + velocity of the vehicle that carries the body + velocity of the element that carries the vehicle. We should dislocate thought from its mental road and put it in a material one. Velocity destroys the laws of gravity, renders the values of time and space subjective . . . Kilometers and hours are not universally the same; for the speeding man they vary in length and duration . . . Increasing lightness. You’ve triumphed over the law which forces man to crawl . . . Gasoline is divine . . . Speed in a straight line is massive, crude, unthinking. Speed with and after a curve is velocity that has become agile, acquired consciousness.[20]

Thought and existence in the production of time as flows and affects (+ and + and + and + . . . until life bursts forth from any attempts to negate and strangle its potential), extricating time itself from its rightful and natural milieu as a universal constraint of matter.[21]

But everyone knows not only that this is madness, but also that is just the beginning. Look how Marinetti dances with the sirens of our doom – with the very forces that will bring the logic of historical progress to a halt – when he advises us to “exalt the aggressive will of man, without remembrance, and to emphasize yet again the ridiculous vacuity of nostalgic memory, of shortsighted history, and of the past that is dead.”[22] And his friend Boccioni says that Futurism is here to destroy the past so as to create a “void populated by primitives and barbarians” – all with an anti-artistic sensibility connected and driven only by rhythmic movement, planes, and lines – without the sublimity of ideal forms and archetypes.[23]

But what can Boccioni possibly mean with this ridiculous suggestion? Is he trying to offer a basis of re-differentiation for the un-differentiated man? But haven’t we moved beyond such quaint notions of a return to primitivism? Just then Prezzolini was alarmed by a loud crash amongst the din of the storm. It sounded like the screech of rubber tires spinning out of control, hurling machine and life aloft like a nomadic arrow in flight – au milieu, fixed by neither the archer who shot it nor the target at which it was aimed – dancing its way to the horizon in a fiery rainbow of exploding and shrapnelizing glass and metal, the particles of each in conjunction with the other, as well as any body upon which they impacted.

To his horror the detonation was followed by a chorus of voices explaining the storm to a pair of young punks, “Life is always right,” it said, “The artificial paradises with which you hope to assassinate it are worthless.”[24] Woe to any man who goes outside in times like this, he thought; better to die now than continue this risk. And with that he cursed his ears for having been party to the impudence of these foolish men, ever more fearful that they could link his dear and tender soul to what they had overheard. He shrank evermore, and decided that a drink might calm his nerves.

And anyway, he realized as he savored his cup of hot milk, isn’t Boccioni a Futurist? Of all people he should know better. And what does a “barbarian void” offer that the State does not? Carlo Carrà gave us a sense of what the barbarian void seeks in distancing itself from the State: creation – to understand life in terms far removed from the purely representational form of rational bureaucratic thought that he called “illustrationism.” Illustrationism involves a tracing of life’s potentials, always governed by traditions, conventions, and the all-seeing Ideal.[25]

What Futurism proposes instead is an unbridled creationism, in which painters paint sound, movement, and uncover all of the affective qualities awaiting a revolt in the quantities of human instincts:

 . . . Words unmoored, ideas unbound, free of the enslavement of instinctual energy and techniques of living to forms and ideas that castrate as much as they create. Outside of work we find invention. Outside of schools we find free thought. Outside of del giorno concepts, theories, estimations, and potentials — beyond the straight and narrow path that they delineate: an echo of the refrain of the walking dead! . . . the funereal normality of thinking and being in the service of forces that demand so little of us: the ease of believing and submitting to banality and commonality – we seek and demand of ourselves a life taken out of bounds.

Painting smells, he had to laugh at that one. That would be like legislating or commanding revolution. He was shocked at himself, as for one horrifying moment he found himself talking just like them! But his uncertainty brought his mind back to its work. How do these barbarian Futurists plan to create anything, especially in light of Marinetti’s war against grammar and linguistic convention, he thought. “Words-in-freedom,” Marinetti says, will undermine and disrupt the codifying principles of language – principles that shape consciousness and the functional interplay with reality. He asks us to abandon the use of “I,” which anthropomorphizes a particularly bourgeois understanding of the subject, positing instead a “return to the molecular” and an understanding of the splinters and shards of our subjectivity that hold the keys to our revolutionary potentials.[26]

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He asks us to “destroy syntax and scatter one’s nouns at random, just as they are born,” to “abolish adjectives and adverbs,” which force, and presume, a pause in the flow of experience, and create a “tedious unity of tone,” which only exists in language. What’s more, he suggests that verbs only be used in their infinitive form, so as to create an elasticity of relations (in contrast to an enslavement of the moving and doing verb to the parasitic “I”) and to “give a sense of the continuity of life and the elasticity of intuition.”[27]

In this light, Prezzolini quickly realized that what the Futurists were doing was dangerous and a threat to the victory of the Fascist State. The human being, it is true, can be herded into vast conglomerates and easily convinced of its universal values and properties. But just because man can so readily live in a herd, is this its optimal potential? This is the question that Prezzolini now discovered at the heart of the Futurist manifestos. With their attacks on language as an automation machine commanding the interconnection and coordination of beings for territorializing despotic tasks that serve only the most slavish of the herd, Futurists were attempting to short circuit the ties of the social contract. They understood that the conscious organism must be compatible with the social system in which it exists.[28]

Shifts in the modalities of social life – like barbarian voids or packs – must entail a concomitant shift in consciousness and functional interplay with existence. Attention, cognitive processing, decision-making, and expression all undergo constant mutation in order to maintain their association with sense-making apparatuses of the particular collective modality.[29] Understood even in this simplified way, one sees very clearly the implications of the State presenting itself as “the rational and reasonable organization of a community,” with the “interior or moral spirit of the people” as the organizing principle of a “harmonious universal absolute spirit.” The State justly becomes the nexus of correct-thinking, pure reason, and personal mastery.[30] If those links are broken, and sense no longer can be made (or made to be made), then the duties, debts, and responsibilities yoking man to a sociality that makes a mockery of his instincts make no sense. Mayhem!

Our Father in heaven, Prezzolini stuttered as he began pacing the room. Suddenly the storm seemed to rage much louder. Our Father, he said again, if only those were marching boots I hear and not the dissonant hum of warplanes and failing power generators. His work now seemed to have the importance of a Papal Bull. This throwing the past into the sea so as to increase one’s agility in evading roadblocks – surely these roadblocks, these very barriers to chaos are the keys to our victory! – can only lead to ruin. But to destroy the very bases of order and right thinking in the present is even more egregious. Men of this type must be led – for their own good and for the good of The Revolt. Yes! They must be led, or be eliminated.

Certainly this is clear when we read in Marinetti’s “War, the Only Hygiene of the World,” of his disappointment with the disarmament of revolutionary energy when it is handed over to the leaders of The Revolt, who, as he says, are “fatally interested in preserving the status quo, calming down violence, and opposing every desire for adventure, risk, and heroism.”[31] But again, we must reproach Marinetti for failing to understand the importance of prudence, opportunism, and building a mass-based organization of great political and social potential.

And when we say that this organization with universal appeal and dedication to wisdom and order is to be immortal, what does Marinetti say? He says that the Futurist “lovers and defenders of heroic instincts” feel “only repugnance at the idea of striving for immortality, for at bottom it is no more than the dream of minds vitiated by usury.”[32]

To him and the others, he would return their repugnance with interest! He smiled at the irony, for now he was the one who had the ear of the Duce. Perhaps, he thought furiously, the entirely contingent circumstances that aligned these maniacs with The Revolt once justified their cancerous dereliction, but they have no role to play in the State. And so he returned to his oft-interrupted work:

Fascism cannot accept the destructive program of Futurism, and instead it will have to restore the very values that clash with Futurism. Political discipline and hierarchy are also literary discipline and hierarchy. Words are rendered empty when political hierarchies are made pointless. Fascism, if it truly wants to win its battle, has to consider Futurism as having already been absorbed for what it could provide as a stimulus, and has to repress it for whatever it may still possess that is revolutionary, anticlassical, and unruly.[33]

And so, while Marinetti and his merry band of Futurist revolutionaries waged a war without frontlines against the Parties, values, representations, and power of the bourgeois world – bringing a storm of uncontrollable aggression and dereliction to all of the hallowed halls that glorified the empire of the Last Man, Giuseppe Prezzolini finished his work, its last sentences littered with defenses of hierarchy and order, and “words in their proper place, obeying the rules, and respecting nature.”[34] He then mailed it to the appropriate governmental commission appointed to reform education for their approval and enlightened council.

Notes

[1] Filippo Tommaso Marinetti, “Beyond Communism,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 260.

[2] Filippo Tommaso Marinetti, “Let’s Murder the Moonlight,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 55.

[3] Emilio Gentile, The Struggle for Modernity: Nationalism, Futurism, and Fascism (Westport, CT: Praeger, 2003), 21.

[4] Adrian Lyttleton, The Seizure of Power: Fascism in Italy, 1919–1929, Revised Edition (London: Routledge, 2004), 46–49.

[5] Lyttleton 55.

[6] Filippo Tommaso Marinetti, “We Abjure our Symbolist Masters,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 93–95.

[7] Giuseppe Prezzolini, “Fascism and Futurism,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 276.

[8] Filippo Tommaso Marinetti, “The Founding and Manifesto of Futurism,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 53.

[9] Filippo Tommaso Marinetti, “Quarter Hour of Poetry of the Decima MAS,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 505

[10] Prezzolini, 276.

[11] Lyttleton, 370.

[12] Benito Mussolini, The Political and Social Doctrine of Fascism, translated by Jane Soames (New York: The Gordon Press, 1976), 21.

[13] James C. Scott, Seeing Like a State (New Haven: Yale University Press, 1998), 2.

[14] Robert H. Wiebe, The Search for Order, 1870–1920 (New York: Hill and Wang, 1967), 154.

[15] Gilles Deleuze and Félix Guattari, On the Line, translated by John Johnston (New York: Semiotext(e), 1983), 56.

[16] Filippo Tommaso Marinetti, “The Founding and Manifesto of Futurism,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 51.

[17] Filippo Tommaso Marinetti, “The Variety Theater,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 159–61.

[18] Maurizio Lazzarato, The Making of the Indebted Man: An Essay on the Neoliberal Condition, translated by Joshua David Jordan (Los Angeles: Semiotext(e), 2012), 40.

[19] Friedrich Nietzsche, On the Genealogy of Morality, translated by Carol Dithe, edited by Keith Ansell-Pearson (Cambridge: Cambridge University Press, 2007), 41.

[20] Filippo Tommaso Marinetti, “The New Religion-Morality of Speed,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 224–29.

[21] Franco “Bifo” Berardi, The Uprising: On Poetry and Finance (Los Angeles: Semiotext(e), 2012), 90–92.

[22] Filippo Tommaso Marinetti, Critical Writings (New Edition), translated by Doug Thompson, edited by Günter Berghaus (New York: Farrar, Straus, and Giroux, 2006), 252.

[23] Umberto Boccioni, “Futurist Sculpture,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 118.

[24] Filippo Tommaso Marinetti, “Tactilism,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 266.

[25] Carlo Carrà, “Warpainting (Extracts),” in Futurist Manifestos, edited by Umbro Apollonio (Boston: MFA Publications, 2001), 202–5.

[26] Filippo Tommaso Marinetti, “Words-in-Freedom,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 147.

[27] Filippo Tommaso Marinetti, “Technical Manifesto of Futurist Literature,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 119–20.

[28] Berardi 17.

[29] Berardi 123.

[30] Gilles Deleuze and Félix Guattari, Nomadology: The War Machine, translated by Brian Massumi (New York: Semiotext(e), 1986), 42–43.

[31] Filippo Tommaso Marinetti, “War, the Only Hygiene of the World,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 85.

[32] Filippo Tommaso Marinetti, “Multiplied Man and the Reign of the Machine,” in Futurism: An Anthology, edited by Lawrence Rainey, Christine Poggi, and Laura Wittman (New Haven: Yale University Press, 2009), 89.

[33] Prezzolini 277–78.

[34] Prezzolini 278.

 


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dimanche, 30 mars 2014

EU Sanctions Against Russia to Cripple European Economy

Euro MP Pino Arlacchi

The EU sanctions against Russia would cripple the European economy instead, Euro MP Pino Arlacchi. “The position of the European Union should be different from the US position. Europe should not insist on the extension of sanctions. These sanctions are unwise. In fact, they are directed against us,” he said.

Arlacchi believes that the European Union would not be pushing the sanctions further. “Europe has every reason to cooperate with the Russian Federation, there is no obstacle for this,” he said, adding that the US has a completely different position.

“The US wants to become a global government, and any country that does not agree with this, becomes their enemy. The relations between Russia and the US are likely to stay tensed,” the Euro MP said.

The Ukrainian crisis was provoked by the EU interference with the internal affairs of the country, Euro MP Pino Arlacchi said.

“The EU supported the rebellion in Ukraine, without taking into account that Ukraine is a complicated country,” he said. Most of Ukraine is pro-Russian and even speaks Russian language, Arlacchi noted.

“We have supported a mild revolution… But we did not take into account the presence of the fascist elements in the new government. Five ministers have ties with the neo-Nazi ideology in their biographies. Bashfully we avert our eyes from seeing what is happening,” the politician confessed.

The US President Barak Obama has decided to visit Amsterdam, Haag, Brussels, Vatican, Rome and the Saudi Arabia. During his visits, Obama is to discuss Ukrainian issue with the countries’ officials. The US has to fulfill its plan, aimed at separation of Ukraine from Russia. After the Crimea decided to integrate with Russia, the plan took a different option from what the US had primarily expected. Some experts think that Obama will “accidentally” come to Kiev in order to support the legitimacy of the current Ukrainian government.

Current speech of the White House and the Department of State assume that there would be a lot of anti-Russian rhetoric during Obama’s visits. On March 26, Obama is to deliver a geopolitical speech, which is likely to be anti-Russian, in Brussels. Brussels will hold the EU-US conference and meeting with the Secretary General of NATO. Obama is to participate in the nuclear safety conference in Haag and urgent summit of G7. He is likely to lobby trade sanctions against Russia.

The results of the meeting with the Secretary General of NATO are evident. The meeting with the EU countries is a complicated issue. President Obama will try to persuade the EU to impose sanctions against Russia, but he can hardly do this. European nations don’t want to be an instrument in the hands of the US, paying for this with sanctions against Russia.

It’s hard to imagine that Europe will begin an economic fight against Russia, Natalia Kalinina, the Institute of World Economy and International Relations analyst, says.

“Today’s world economy is interrelated, so any wrong decision can destroy the system. That’s why talks about sanctions won’t end with any actions. In fact, the US is trying to put pressure upon the EU, but the latter will keep its economic relations with Russia.

There would be no Obama’s visits, if the US hadn’t failed to fulfill its “Ukrainian scenario”, European media says. There have been no EU-US conferences under the rule of President Obama. European countries became enraged after they found out that the US National Security Agency had used wiretapping against the EU officials. Obama refused to sign an agreement that would guarantee the disuse of such tools. If there was no conflict in Ukraine, Obama would face a numerous accusations from the part of the EU. The White House hopes that Ukrainian crisis, provoked with the help of the US, will help to overshadow Europeans’ discontent.

“If the Ukrainian crisis hadn’t occurred, President Obama would have held another type of conference with the EU,” Heather Conley, Head of European projects at the Washington Center for strategic and internationals studies, says. Ukrainian issue discussions are to “smooth things over in the EU-US relations, but they won’t help to abandon the problems”.

Nowadays, European media prefers to stick to anti-Russian rhetoric. However, the public opinion is changing. Today, the Independent published an article of Sir Tony Brenton, former British ambassador in Russia. He can hardly be called a “supporter of Russia”. Ex-ambassador proposes to recognize the Crimea’s integration with Russia.

In this article Brenton enumerates all real as well as pretended reasons of Russian complaints against the West – NATO extension to the East, support of Chechen separatists, Russophobe former president of Georgia Mikheil Saakashvili and semi-fascist government in Kiev. He proposes not to threaten Russia with sanctions and isolation, but to resume a dialogue.

Russia is ready for such a dialogue, Vilen Ivanov, councilor of Russian Academy of Sciences, says. The fact that Russia doesn’t response on the US bank sanctions is the proof of this intention.

“The fact that Russia doesn’t impose reciprocal sanctions means that Russian government acts wisely as this step couldn’t ameliorate the international relations. It might also show that Russia regards sanctions seriously.”

Without considering Russian interests and concerns, there would be no Ukrainian crisis settlement, Vilen Ivanov says. The US is better to listen to Brenton’s opinion, because the US rarely listens to such statements from the country’s most devoted partner in Europe.

“Though the West has managed to unite in imposing minor sanctions, it can hardly do the same with major sanctions, which would hit our own economies. Ukraine, even without the Crimea, is so closely connected to Russia that it would never gain prosperity without Moscow”.

“While not imposing reciprocal sanctions against the EU and the US, Russia shows its readiness to begin a dialogue. European ministers, especially Britain’s PM, should come to meet Russia. Western officials should take into account real concerns of Russia about the fact that the West is about to swallow Ukraine.”

Reprinted from The Voice of Russia.

samedi, 29 mars 2014

2,1 miljoen Venetianen stemmen voor afscheiding van Italië

2,1 miljoen Venetianen stemmen voor afscheiding van Italië

Veneto kan jaarlijks € 20 miljard uitsparen die nu verdwijnt naar corrupt Zuid Italië


Ruim de helft van het aantal kiezers in Veneto, waar Venetië de hoofdstad van is, wil zich afscheiden van Italië en de EU.

Grotendeels genegeerd door de Europese reguliere media is er de afgelopen week een referendum in Veneto, de Italiaanse regio met Venetië als hoofdstad, gehouden. Onderwerp: onafhankelijkheid van Italië en daarmee de EU, of niet? 2,1 miljoen Venetianen, maar liefst 90% van de deelnemers, stemden vóór de afscheiding en het stoppen van het sluizen van belastinggeld naar Rome. Terwijl de EU met zeer bedenkelijke kunstgrepen oostwaarts probeert uit te breiden, wordt in diverse lidstaten de roep om los te breken uit de wurgende greep van Brussel almaar sterker.

Het online gehouden referendum was onofficieel, omdat het niet werd georganiseerd door de overheid, maar door een private partij. Gianluca Busato, de initiatiefnemer, hoopt nu dat er nu ook een officieel referendum komt over de afscheiding van Veneto van Italië.

‘Geen cent belasting meer naar Rome’

‘Als de meerderheid van de burgers deelneemt en dan ‘ja’ stemt, zullen we onmiddellijk een totale belastingafdrachtstop invoeren. Tijdens de aanvankelijke overgangsperiode zullen we geen cent belastinggeld aan de Italiaanse staat betalen,’ zei Busato, woordvoerder van het platform Plebiscito.eu, tegen het Wirtschaftsblatt.

‘Wij hebben het niet over een gewelddadige machtsovername, maar de mensen zullen de soevereiniteit over hun portemonnee hebben,’ aldus Busato. De Venetianen hopen hun welvaart te behouden en verhogen in een samenleving, die dan niet langer de last van het corrupte zuiden van Italië hoeft te dragen.

Besparing jaarlijks € 20 miljard

Volgens berekeningen van de populaire partij Lega Nord (de Italiaanse PVV), dat eveneens streeft naar afscheiding van Italië, kan Veneto met de onafhankelijkheid jaarlijks minstens € 20 miljard euro uitsparen. De organisatoren van het online referendum lieten zich inspireren door de afscheidingscampagnes in Schotland en de Spaanse regio Catalonië. (1) Ook in Baskenland, Bayern, Trentino (Zuid Tirol) en andere regio’s winnen afscheidingsbewegingen aan kracht.

Front National

In Frankrijk worden vandaag net als afgelopen woensdag in Nederland gemeenteraadsverkiezingen gehouden. De socialist Francois Hollande, de meest impopulaire president die het land ooit heeft gehad, zal volgens prognoses veel stemmen kwijtraken aan het Front National van Marine Le Pen, dat net als de PVV en de Britse UKIP van Nigel Farrage strijdt tegen de macht van Brussel. (2)

Oekraïne als afleiding

Het is niet ondenkbaar dat de EU het conflict in Oekraïne doelbewust aangrijpt om de aandacht van de Europeanen af te leiden van de grotendeels door het beleid van Brussel veroorzaakte aanhoudende economische en financiële crisis, en daardoor de dreigende interne verkruimeling en scheuring van de Unie.

Xander

(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten
(2) Wirtschaftsblatt

samedi, 15 mars 2014

Gabriele D’Annunzio y los orígenes del fascismo

GABRIELE D'ANNUNZIO

 

por Adriano Erriguel

Hoy es difícil admitirlo, pero en sus inicios el fascismo italiano no hacía presagiar el rumbo funesto que terminaría tomando para la historia de Europa.

Surgido del caos como una oleada de juventud, el fascismo pertenecía a una época revolucionaria en la que, ante los viejos problemas, se vislumbraban nuevas soluciones. En su momento fundacional el fascismo italiano se presentaba como una actitud más que como una ideología, como una estética más que como una doctrina, como una ética más que como un dogma. Y fue el poeta, soldado y condottiero Gabriele D´Annunzio quien esbozó, de la manera más rotunda, ese fascismo posible que nunca pudo ser, y que terminó dando paso a un fascismo real que malogró sus promesas iniciales para embridarse, de la forma más obtusa, hacia el abismo.

Poeta laureado y héroe de guerra, exhibicionista y demagogo, megalómano e histrión, nacionalista y cosmopolita, místico y amoral, asceta y hedonista, drogadicto y erotómano, revolucionario y reaccionario, talento del eclecticismo, del reciclaje y del pastiche, genio precursor de la puesta en escena y de las relaciones públicas: D´Annunzio fue un postmoderno avant la lettre cuyas obsesiones se nos antojan asombrosamente contemporáneas. El incendio que contribuyó a provocar tardaría en extinguirse, pero después nada volvería a ser lo mismo. ¿Por qué rememorar, hoy en día, a este maldito?
Tal vez porque en una atmósfera monocorde de corrección política, de transgresiones amaestradas y de pensamiento desnatado figuras como la suya funcionan como contramodelo, y nos recuerdan que, después de todo, la imaginación, sí, puede llegar al poder.

Años incendiarios

Hubo una época de vitalidad incontenible que, sobrecargada de tensiones e ideas de alto voltaje, precisó de una guerra mundial para ventilar sus contradicciones. Los pocos años que median entre 1900 y 1914 conocieron un extraordinario incendio en el arte y en la literatura, en el pensamiento y en la ideología, que pronto se propagó a todo el mundo. Uno de los epicentros de ese incendio fue Italia – más en concreto el eje entre Florencia y Milán –, lugar donde prendió “el sueño de un futuro radiante que surgiría tras haber purificado el pasado y el presente por el hierro y por el fuego”.(1)

Esta piromanía artístico-literaria se alimentaba, en sus estratos más profundos, de una revolución filosófica y cultural cuidadosamente incubada durante la segunda mitad del siglo XIX: un vendaval ideológico que arremetía contra el positivismo racionalista de la triunfante civilización burguesa. Frente a la tabulación de la existencia por la economía y por la razón este nuevo vitalismo reivindicaba el poder de lo irracional, del instinto y del subconsciente, y frente al optimismo liberal en un mundo pacificado por el progreso oponía una concepción trágica y heroica de la existencia. En este clima intelectual surgió una apuesta que, por su radicalidad, bien podría calificarse de nuevo mito. Un mito destinado a cortar la historia en dos mitades.

El ensayista italiano Giorgio Locchi dio hace tres décadas el nombre de “suprahumanismo” a una corriente de ideas que encontró su formulación más acabada en la obra de Friedrich Nietzsche – en un plano filosófico –, y en la obra de Richard Wagner – en un plano artístico y mitopoético –. En su esencia, según Locchi, el suprahumanismo consistía en “una conciencia históricamente nueva, la conciencia del fatídico advenimiento del nihilismo, esto es – para decirlo con una terminología más moderna –, de la inminencia del fin de la historia”.(2)

Esencialmente antiigualitarista, el suprahumanismo se situaba frente a las corrientes ideológicas que configuraron dos milenios de historia: el “cristianismo en cuanto proyecto mundano, la democracia, el liberalismo, el socialismo: corrientes todas que pertenecían al campo igualitarista”. La aspiración profunda del suprahumanismo – que para Locchi no era sino la emergencia del inconsciente precristiano europeo al ámbito de la consciencia – consistía en proceder a una refundación de la historia, a través del advenimiento de un hombre nuevo. Con un método de acción: el nihilismo como única vía de salida del nihilismo, un nihilismo positivo que bebía la copa hasta las heces y que hacía tabla rasa para construir, sobre las ruinas y con las ruinas, el nuevo mundo.

Más que una corriente organizada el suprahumanismo se configuró como un clima intelectual europeo que impregnó, en grados diversos, el pensamiento, la literatura y el arte de comienzos del siglo XX, con Francia como laboratorio ideológico y con Italia como teatro de todos los experimentos. En la ebullición italiana de aquellos años se agitaban sindicalistas revolucionarios, vanguardistas, anarquistas, y nacionalistas, y todos llevaban, en grados diversos, la impronta suprahumanista. Pero el protagonista indiscutible entre todos los aspirantes a incendiarios era el movimiento futurista.

El futurismo fue la primera vanguardia auténticamente global, no sólo en el sentido geográfico sino en cuanto vehiculaba una aspiración a la totalidad.(3) Lejos de limitarse a ser una propuesta artística el futurismo se extendía al pensamiento, a la literatura, a la música, al cine, al urbanismo, a la arquitectura, al diseño, a la moda, a la publicidad, a la política. El futurismo portaba “la euforia por el mundo de la técnica, de las máquinas y de la velocidad” y empleaba “un nuevo lenguaje sintético, metálico, sincopado”. No desdeñaba “la apología de la violencia y de la guerra, exaltaba la raza entendida como estirpe – no como racismo vulgar – y sobre todo como promesa de una suprahumanidad futura”(4). Sus enemigos eran la burguesía, el romanticismo la tradición, el clero, las familias, todo lo viejo, en suma. El futurismo era la vanguardia por excelencia, la teorización radical de una voluntad pirómana. Algo que parecía estar, en principio, en las antípodas de D´Annunzio.

En el momento de apogeo de las vanguardias y del estallido de la primera guerra mundial Gabriele D´Annunzio – celebrado en toda Italia como Il Vate – era el escritor más famoso de la península, para muchos su principal poeta después de Dante. Pero para los futuristas su estilo – abundante en manierismos modernistas, decadentistas y simbolistas, en florilegios y en retórica ochocentista – podía ser considerado por derecho propio como el lenguaje de ese mausoleo al que ellos querían prender fuego.

Pero entre los futuristas y D´Annunzio se trataba más bien de amor y odio. En la estela de Byron, Il Vate pensaba que un poeta podía ser también un héroe. Al estallar la guerra mundial, y haciendo gala de la versatilidad que ya había mostrado en su carrera literaria, se tornó de poeta decadente en poeta combatiente. Y se invistió de una nueva misión, la de ejemplarizar el ideal suprahumanista y su aspiración máxima: la superación del mundo burgués y la llegada de un “hombre nuevo” que encarnase una nueva ética de la acción. El estilo es el hombre. Pocas figuras tan dispuestas como la suya para simbolizar los nuevos tiempos.

Florilegios para una masacre

La muerte está aquí…tan hermosa como la vida, embriagadora, llena de promesas, transfiguradora.
GABRIELE D´ANNUNZIO

Hoy es difícil comprender la pulsión suicida de una civilización que, en la cúspide de su poder, organizó su propio holocausto. El estallido de la primera guerra mundial fue celebrado como derroche de vitalidad, como catarsis y como regeneración moral. El entusiasmo belicista no conocía fronteras de ideología o de clase, y los artistas e intelectuales de toda Europa se aprestaron a convertirse en la voz de la nación. Ninguna otra voz cantó a la guerra con tanto arrebato como la de D´Annunzio. Ninguna otra oratoria preparó a tantos compatriotas, por la gloria y seducción de las palabras, para matar y morir. Ningún otro apóstol de la guerra se mostró tan ávido de asumir, en su propia carne, los efectos de lo que predicaba.

Cuando Italia anunció su entrada en guerra Il Vate se encontraba en la cúspide de su gloria. Celebrado en toda Europa, rodeado de lujos y cubierto de mujeres, todo le invitaba a contemplar la guerra desde una cómoda distancia. Pero con 52 años se alistó en los Lanceros de Novara, unidad con la que llegaría a participar en decenas de acciones. El ejército, consciente del potencial propagandístico de su figura, le permitió servir de la manera en la que el impacto público fuera más notable. Y le permitió utilizar la que sería su arma más letal: la palabra.

Durante cuatro años de guerra D´Annunzio habló y habló. Habló en las trincheras y en las retaguardias, en los aeródromos y en las bases navales, en los funerales masivos y en la hora de los ataques. Sus discursos eran sugestivos y magnéticos, destinados a ganar no el intelecto sino las emociones. En ellos las miserias físicas más crudas eran orladas de un nimbo de gloria, los combatientes eran héroes y mártires – tan nobles como los héroes de la antigüedad clásica o las legiones de Roma –, y la guerra era una sinfonía heroica en la que sus palabras repicaban como “oleadas hipnóticas de lenguaje: sangre, muerte, amor, dolor, victoria, martirio, fuego, Italia, sangre, muerte…” Aunque conocía de primera mano el horror de la carnicería continuaba predicando su fe en “las virtudes purificadoras de la guerra y diciendo a las tropas que eran sobrehumanas”. Hablaba de banderas ondeando sobre el cielo de Italia, de ríos llenos de cadáveres, de la tierra sedienta de sangre. No disimulaba la atrocidad de la guerra – a la que describía como las torturas que Dante nunca imaginó para su Infierno –pero a los soldados les decía que su sacrificio tenía un sentido, y les elogiaba de una forma en la que nunca se hubieran reconocido, y les repetía que la sangre de los mártires clamaba por más sangre, y que sólo por la sangre la Gran Italia se vería redimida. (5)<

Una apologética de la matanza que resulta, a cien años vista, difícil de digerir. ¿Se lo creía?

No es ésa la cuestión. Y parece insuficiente conformarse aquí con una lectura “no anacrónica”, o limitarse a señalar que “ése era el lenguaje de la época”. Tal vez sería más indicado proceder a una inversión de perspectiva. O a una lectura diferente, en clave suprahumanista.

La guerra como experiencia interior

La reputación que D´Annunzio adquirió durante la guerra se debe más a sus hechos que a sus palabras. Lejos de ser un “soldado de papel” no desperdició ocasión de poner su vida en peligro, y a lo largo de tres años llegó a combatir por tierra, mar y aire. Con un talento precursor para la publicidad sabía que los pequeños actos de terrorismo tenían más fuerza psicológica que los ataques masivos, y se especializó en acciones suicidas – aéreas y navales según los cánones futuristas – con valor simbólico e impacto mediático. Voló en numerosas ocasiones sobre los Alpes – en una época en la que eso era algo extraordinario – para bombardear al enemigo, ocasionalmente con hojas de propaganda. Y cuando los austríacos pusieron precio a su cabeza lideró una incursión suicida, en una torpedera con un puñado de hombres, contra el puerto enemigo de Buccari.(6) En una de sus misiones aéreas perdió la visión de un ojo y parcialmente la del otro, lo que ocultó durante un mes para seguir volando. Finalmente tuvo que permanecer varios meses inmovilizado para salvar la vista.

Suspendido de espaldas y entre dolores y pesadillas compuso su poema Notturno. La perspectiva de la ceguera era para él ocasión de superación, más que de abatimiento. Se confesaba feliz en la grandeza de su pérdida – los ciegos en acción eran considerados como la aristocracia de los heridos –y se recreaba en la agudización de sus sentidos del oído y del olfato. De creerle, esa sensación de felicidad nunca le abandonaría a lo largo de toda la guerra. (7)

El verdadero D´Annunzio se revela, más que en sus trompeterías patrióticas, en su correspondencia y en sus diarios. En ellos trasluce su actitud suprahumanista frente a la guerra. Si algo llama la atención en sus anotaciones es la “fluctuación constante entre lo espantoso y lo pastoral”. Todo se hace para él objeto de celebración, hasta los detalles más nimios: desde las explosiones y los ataques a la bayoneta hasta el brillo de una libélula en el barro o la aparición fugaz de un pájaro carpintero entre los árboles calcinados. De creerle, D´Annunzio fue feliz en medio del hambre, de la sed, del frío extremo, de las heridas y de los bombardeos, porque su entusiasmo omnívoro por la vida podía con todo ello, porque todo ello no era sino uno y lo mismo: la manifestación de esa vida que él consumía con un entusiasmo voluptuoso. ¿Qué era la guerra, sino un agujero en la vida ordinaria a través del cuál se manifestaba algo más alto?… “la vida tal y como debe ser, y que pasa ante nosotros, la Vida – en palabras de Ernst Jünger – como esfuerzo supremo, voluntad de combatir y dominar”.(8)

El paralelismo entre D´Annunzio y Jünger no es casual, ambos manifiestan una común actitud suprahumanista. La misma avidez de experiencias, el mismo desafío al azar, la misma preocupación estética, la misma ausencia de moralismo. Contrasta en el caso del prusiano – aparte de la objetividad acerada de su estilo – la práctica ausencia de cualquier nota patriótica. Pero cabe también pensar que en D´Annunzio la prosopopeya nacionalista no era el grano, sino la paja. Un arma de guerra como otras muchas. Cabe pensar que lo esencial para él era esa disciplina del sufrimiento de la que hablaba Nietzsche, ese Amor fati que no es sino un gran a la vida en toda su crudeza.

Más que de exaltación belicista se trata de una opción filosófica, muy distinta de la postura moralizante y lastimera de otros escritores. Cuando Wilfred Owen, Heinrich Maria Remarque o Ernest Hemingway denuncian y condenan la guerra indudablemente tienen razón, pero no por eso dejan de subrayar una obviedad. Ocurre que ellos viven la guerra desde la sensibilidad horrorizada del hombre moderno. Pero cuando Ernst Jünger escribe: “aquellos que únicamente han sentido y conservado la amargura de su propio sufrimiento, en lugar de reconocer en ella (la guerra) el signo de una alta afirmación, ésos han vivido como esclavos, no tuvieron Vida Interior, sino solamente una existencia pura y tristemente material”, lo que hace es expresar esa sensibilidad inmemorial que considera que el espíritu lo es todo. “Todo es vanidad en este mundo – continúa Jünger – sólo la emoción es eterna. Sólo a muy pocos hombres les es dado poder hundirse en su sublime inutilidad”. Amor fati. El lenguaje “moral” no tiene nada que hacer aquí. Si acaso, el lenguaje de La Iliada.

Otro elemento interesante es el uso que D´Annunzio hace del tiempo histórico. La dicotomía nuevo/viejo, un tema recurrente en su pensamiento, alcanzaría expresión plena en sus anotaciones bélicas. Siempre a la caza de analogías históricas “cada soldado de infantería le recordaba a algún episodio del glorioso pasado, cada campesino agotado a un intrépido marinero veneciano, a un legionario romano, a un caballero medieval, a algún santo marcial recreado en un cuadro renacentista. Su visión del pasado glorioso de Italia recubría el horrible conflicto de un velo teatral y rodeaba de glamour a los excrementos, a la basura y a los montones de muertos”.(9) Para el poeta de Pescara el armamento podía ser moderno, pero los hombres que lo manejaban – los jóvenes reclutas que asemejaba a héroes míticos o arquetipos – pertenecían a una tradición intemporal.

Esta confusión del pasado y del presente ilustra a su manera un elemento que Giorgio Locchi asociaba a la mentalidad suprahumanista: la concepción “no-lineal” del tiempo, la presencia constante del pasado como una dimensión que está dentro del presente junto a la dimensión del futuro. Es la idea revolucionaria – frente a las concepciones lineales, ya sean “progresistas” o “cíclicas” – de la tridimensionalidad del tiempo histórico: en cada conciencia humana “el pasado no es otra cosa que el proyecto al cual el hombre conforma su acción histórica, proyecto que trata de realizar en función de la imagen que se forma de sí mismo y que se esfuerza por encarnar. El pasado aparece entonces no como algo muerto, sino como una prefiguración del porvenir”.(10)

Locchi asociaba esta “nostalgia del porvenir” a la imagen “esférica” del tiempo esbozada en Así habló Zaratustra, así como a uno de los significados canalizados por el mitema nietzschiano del Eterno Retorno. Confusión del pasado y del porvenir, nostalgia de los orígenes y utopía del futuro: la concepción suprahumanista del tiempo – sentida de forma seguramente inconsciente por D´Annunzio y muchos otros – pone en primer plano la libertad del hombre frente a todo determinismo, porque el pasado al que religarse es siempre objeto de elección en el presente, así como objeto de interpretación cambiante. El momento presente “nunca es un punto, sino una encrucijada: cada instante presente actualiza la totalidad del pasado y potencia la totalidad del futuro”. (11) De manera que el pasado nunca es un dato inerte, y cuando se manifiesta en el futuro lo hace de forma siempre nueva, siempre desconocida.

Señala Hughes-Hallett que “la guerra trajo a D´Annunzio la paz”. Había encontrado una trascendental “tercera dimensión” del ser, más allá de la vida y la muerte. Partir en misión peligrosa era para él alcanzar un éxtasis comparable al de los grandes místicos. La guerra le trajo “aventura, propósito, una cohorte de bravos y jóvenes camaradas a los que amar con un amor más allá del que se dedica a las mujeres, una forma de fama, nueva y viril, y la intoxicación de vivir en peligro mortal constante”.(12)

Acabó la guerra reconocido como un héroe y cubierto de condecoraciones. Y entonces él y muchos como él – aquellos reclutas que a los que comparaba con los héroes míticos del pasado – debían volver a sus casas, a sus talleres, a sus matrimonios de conveniencia, a la monotonía de sus aldeas….

Comenzaba a nacer el fascismo.

¿Adiós a las armas?

La revolución victoriosa llegará. Pero no la harán las almas bellas, como la suya, la harán los sargentos y los poetas.
MARGARITA SARFATTI, en el film El joven Mussolini. 1993.

Cuando el 23 de marzo de 1919 un batiburrillo de futuristas, de ex arditi (tropas de asalto del ejército italiano), de sindicalistas revolucionarios y de antiguos socialistas fundaba en la plaza del Santo Sepulcro en Milán el primer Fasci di combattimento nadie sabía en realidad qué iba a resultar de todo aquello. Su cabeza visible era el ex sargento Benito Mussolini, un político maniobrero y posibilista recién expulsado del Partido Socialista italiano. Mussolini afirmaba que los fascistas evitarían el dogmatismo ideológico: “nos permitimos el lujo de ser aristocráticos y democráticos, conservadores y progresistas, reaccionarios y revolucionarios, de aceptar la ley y de ir más allá de ella”. Y añadía que “ante todo somos partidarios de la libertad. Queremos la libertad para todos, aún para nuestros enemigos”.(13) El primer programa fascista, visiblemente escorado hacia la izquierda, recogía la herencia intelectual del sindicalismo revolucionario.

Visto en perspectiva no cabe duda hoy de que el fascismo histórico fue un fenómeno ideológico completo. Pero en sus inicios parecía el fruto de una gran improvisación. Mussolini proclamaba entonces: el fascismo es la acción y nace de una necesidad de acción. En primer lugar recogía muchas de las aspiraciones urgentes de la “generación perdida” que había hecho la guerra, y que consideraba que el estado de Italia – un país pobre y atrasado, con desigualdades crónicas, sin coberturas sociales, con una victoria “mutilada” por los aliados y en proa a una guerra civil – hacía impensable una vuelta a la era de los partidos burgueses y a sus danzas electorales. Pero en un sentido más profundo – tal y como señala el historiador Zeev Sternhell – antes de convertirse en fuerza política el fascismo fue un fenómeno cultural, una manifestación extrema – aunque no la única posible – de un fenómeno mucho más amplio.(14)

El antecedente intelectual más inmediato del fascismo era la revisión del marxismo acometida por el sindicalismo revolucionario, una revisión en un sentido antimaterialista. Lo que estos herejes del marxismo recusaban de la doctrina era su pretensión científica, su infravaloración de los factores psicológicos y nacionales, su visión del socialismo como una mera forma racional de organización económica. Otra de sus motivaciones era el desencanto ante el valor del proletariado como fuerza revolucionaria: los proletarios eran normalmente refractarios a todo lo que no afectase a sus intereses materiales, o sea a su aspiración a convertirse en pequeños burgueses. Algo que los primeros fascistas constataron, así como también constataron que, entre el socialismo y el proletariado, la relación era meramente circunstancial. De lo que se deducía que la revolución no era ya cuestión de una sola clase social… lo que a su vez quebrantaba el dogma de la lucha de clases. La revolución pasaría a ser, pues, una tarea nacional, y el nacionalismo su hilo conductor… (15)

>Pero ¿qué revolución? Una revolución de móviles puramente económicos resultaba insuficiente para la cultura política que se estaba gestando: una cultura política comunitaria, antiindividualista y antiracionalista y que aspiraba a poner remedio a la disgregación social ocasionada por la modernidad. De hecho en economía el fascismo se manifestaba como posibilista y declaraba querer aprovechar lo mejor del capitalismo y del progreso industrial, siendo lo esencial que la esfera económica quedase siempre subordinada a la política. La cuestión subyacente era otra.

Lo esencial – siguiendo a Zeev Sternhell – era “instaurar una civilización heroica sobre las ruinas de una civilización rastreramente materialista, moldear un hombre nuevo, activista y dinámico”. El fascismo originario exhibía un carácter moderno y su estética futurista aguijoneaba la imaginación de los intelectuales – lo que explica la atracción que ejercía sobre la juventud – así como predicaba que una elite no es una categoría definida por el lugar que ocupa en el proceso de producción, sino la expresión de un estado de ánimo: la aristocracia forjada en las trincheras era una prueba de ello.(16) Y del marxismo tomaba la idea de la violencia como instrumento de cambio. Alguien definió una vez al fascismo como nuestro mal de siglo: una expresión que evoca una aspiración hacia la superación del mundo burgués. Más que un corpus doctrinario el fascismo original era una nebulosa, una fuerza rupturista de carácter inédito que aspiraba a la construcción de una “solución de recambio total”.

Lo que ocurría – dicho sea en términos Locchianos – es que el principio suprahumanista estaba pasando, de forma acelerada, de su fase mítica a su fase ideológica y política.(17) En el plano ideológico la llamada “Revolución conservadora” alemana era una sus manifestaciones. Y en el plano político el fascismo de Mussolini fue el brote que hizo fortuna. Pero no el único.

Y aquí es donde entra D´Annunzio.

Gabriele D´Annunzio y sus chicos, en Fiume

D´Annunzio y sus chicos, en Fiume

La ruta hacia el Rubicón

A comienzos de 1919 Mussolini era solo un líder político en ciernes, mientras que D´Annunzio era el hombre más célebre de Italia. Finalizada la guerra con una “victoria mutilada” – los aliados ignoraron las promesas territoriales hechas a Italia – el país se sumió en una espiral de caos político y social. Y entonces muchos de los que esperaban que un “hombre fuerte” tomara las riendas empezaron a mirar a D´Annunzio. Por su parte el poeta-soldado descubría lo difícil que le resultaba vivir sin la guerra, y al igual que muchos otros italianos rumiaba su amargura por la traición de los aliados.

“Vuestra victoria no será mutilada” – escribió D´Annunzio en octubre 1918. Un eslogan que hizo fortuna (como tantos otros que acuñó) y que era música en los oídos de todos los que esperaban una nueva llamada a las armas. Italia rebosaba de hombres acostumbrados a la violencia y que, en vez de recibir una bienvenida de héroes, eran tratados como huéspedes indeseables cuando no como bestias salvajes, abocados al desempleo y a los insultos de los agitadores de una revolución bolchevique en ciernes. Entre esos hombres destacaban los arditi, los soldados de élite, fieramente indisciplinados, acostumbrados a la lucha cuerpo a cuerpo y con dagas y granadas, ataviados con uniformes negros y con matas de pelo a veces tan largas como crines de caballo – los dandis de la guerra.(18) Su bandera era negra y su himno: Giovinezza (Juventud). Todos miraban a D´Annunzio como a un símbolo, y algunos de ellos empezaron a llamarse “dannunzianos”. Un héroe de guerra y un ejército de vuelta a casa: una conjunción fatídica para cualquier gobierno civil. Las autoridades comenzaron a temer a D´Annunzio. El Rubicón nunca había sido verdaderamente olvidado en Italia.

El poeta-soldado comenzó a multiplicar sus apariciones públicas, a escarnecer al gobierno que había aceptado la humillación de Versalles, a incitar a los italianos a rechazar a sus autoridades. En muy poco tiempo se vio en el centro de todas las conspiraciones y todos los grupos de oposición comenzaron a utilizar su nombre. Con los fascistas mantuvo las distancias, D´Annunzio los consideraba como “vulgares imitadores, potencialmente útiles pero lamentablemente brutales y primarios en su forma de pensar”.(19) Y entre todos los que volvían su mirada a D´Annunzio destacaban las comunidades italianas en la costa del Adriático que esperaban ser “redimidas” mediante su incorporación a la madre patria. D´Annunzio, por su parte, les prometió que estaría con ellos “hasta el fin”.

La ciudad de Fiume, puerto principal del Adriático, contaba con una mayoría de población italiana que en octubre 1918 reclamó su incorporación a Italia.(20) Pero los aliados reunidos en Versalles situaron la ciudad bajo una administración internacional. La ciudad se convirtió entonces en un símbolo para todos los nacionalistas italianos y grupos de ex arditi, al grito de “Fiume o muerte”, comenzaron a formar la “Legión de Fiume” dispuestos a “liberar” la ciudad. Y en medio de una espiral de violencia los italianos de Fiume ofrecieron a D´Annunzio el liderazgo de la ciudad.

El poeta-soldado había encontrado su Rubicón. Y su nueva encarnación: la de condottiero.

Fiume era una fiesta

El contagio de la grandeza es el mayor peligro para cualquiera que viva en Fiume, una locura contagiosa, que ha impregnado a todo el mundo
(EL OBISPO DE FIUME, EN UNA ENTREVISTA)

Cuando el 11 de septiembre 1919 D´Annunzio llegó a Fiume en un Fiat 501 seguramente no sabía que daba inicio a uno de los experimentos más extravagantes de la historia política de occidente: el sueño platónico del príncipe-poeta cobraba vida con dos milenios de retraso. Un vendaval de liberación dionisíaca se desencadenó sobre la ciudad adriática, un desmadre nietzschiano en la que se daban la mano la política y el misticismo, la utopía y la violencia, la revolución y Dadá. La era de la política- espectáculo había empezado, y D´Annunzio levantaba el telón.

La época de Fiume ha sido descrita como un microcosmos del mundo político moderno: todo se prefiguró allí, todo se experimentó allí, todos somos en gran parte los herederos. Un momento mágico, una bacanal de soñadores, una sinfonía suprahumanista y heroica en la que una sociedad hambrienta de maravillas – galvanizada por la guerra, hastiada de la insipidez de un siglo de positivismo – se encontraba con un líder a su altura y secundaba, a ritmo de desfiles multicolores y multitudes enfervorizadas, sus quimeras de César visionario.

La trayectoria política de la ciudad durante esos dieciséis meses fue, como no podía ser menos, errática. El primer programa – la anexión a Italia – era simple y realista, pero naufragó en un piélago de indecisiones y gazmoñerías diplomáticas. El segundo programa era de carácter subversivo: provocar la chispa que desencadenase una revolución en Italia. Pero había un tercer programa, incontrolable y radical: Fiume como primer paso, no hacia una Gran Italia, sino hacia un nuevo orden mundial.

Un programa que ganaba fuerza a medida que se disipaba – por la presión de los aliados y por la indecisión del gobierno italiano – la perspectiva de la incorporación a Italia. Impulsada por los revolucionarios sindicalistas que rodeaban a D´Annunzio, la “Constitución de Fiume” (la Carta del Carnaro) es el aspecto más interesante del legado de Fiume, por cuanto supone de contribución original a la teoría política.(21) La Carta del Carnaro contenía elementos pioneros: la limitación del (hasta entonces sacrosanto) derecho a la propiedad privada, la completa igualdad de las mujeres, el laicismo en la escuela, la libertad absoluta de cultos, un sistema completo de seguridad social, medidas de democracia directa, un mecanismo de renovación continua del liderazgo y un sistema de corporaciones o representación por secciones de la comunidad: una idea que haría fortuna. Según su biógrafo Michael A. Leeden el gobierno de D´Annunzio – compuesto por elementos muy heterogéneos – fue uno de los primeros en practicar una suerte de “política de consenso” según la idea de que los diversos intereses en conflicto podían ser “sublimados” dentro de un movimiento de nuevo cuño. Lo esencial era que el nuevo orden estuviera basado en las cualidades personales de heroísmo y de genio, más que en los criterios tradicionales de riqueza, herencia y poder. El objetivo final – básicamente suprahumanista – no era otro sino la aleación de un nuevo tipo de hombre.

La Carta del Carnaro contenía toques surrealistas como designar a “la Música” como principio fundamental del Estado. Pero lo más original – lo más específicamente dannunziano – era la inclusión de “un elaborado sistema de celebraciones de masas y rituales, designados para garantizar un alto nivel de conciencia política y de entusiasmo entre los ciudadanos”.(22) En Fiume D´Annunzio – ahora denominado “el Comandante” – comenzó a experimentar con un nuevo medio, creando “obras de arte en las que los materiales eran columnas de hombres, lluvias de flores, fuegos artificiales, música electrizante – un género que posteriormente sería desarrollado y reelaborado durante dos décadas en Roma, Moscú y Berlín”.(23) El comandante inauguró una nueva forma de liderazgo basada en la comunicación directa entre el líder y las masas, una especie de plebiscito cotidiano en el que las multitudes, congregadas ante su balcón, respondían a sus preguntas y secundaban sus invectivas. Todo el ritual del fascismo estaba ya allí: los uniformes, los estandartes, el culto a los mártires, los desfiles de antorchas, las camisas negras, la glorificación de la virilidad y de la juventud, la comunión entre el líder y el pueblo, el saludo brazo en alto, el grito de guerra ¡Eia Eia Alalá!(24) . Señala Hughes-Hallett que D´Annunzio nunca fue fascista pero que el fascismo fue inequívocamente dannunziano. Alguien escribió que, bajo el fascismo, D´Annunzio fue la víctima del mayor plagio de la historia.

Otro elemento pionero fue la creación de una Liga de Naciones antiimperialistas: la “Liga de Fiume”, proyecto de alianza de todas las naciones oprimidas que desarrollaba el concepto de revolución mundial y de “nación proletaria” teorizado por Michels, y que aspiraba a reunir desde el Sinn Fein irlandés hasta los nacionalistas árabes e indios. Alguien ha querido ver al Comandante como a un profeta del Tercermundismo, si bien sería más correcto ver aquí “la primera aparición de la temática de los derechos de los pueblos”.(25) Las potencias aliadas comenzaron a alarmarse. La empresa de Fiume perdía su carácter nacionalista y acentuaba su contenido revolucionario…

¡Haced el amor y haced la guerra!

¡Giovinezza, Giovinezza, Primavera di Bellezza!
CANCIÓN DE LOS ARDITI

Un Estado regido por un poeta y con la creatividad convertida en obligación cívica: no era extraño que la vida cultural adquiriese un sesgo anticonvencional.(26) La Constitución estaba bajo la advocación de la “Décima Musa”, la Musa – según D´Annunzio – “de las comunidades emergentes y de los pueblos en génesis… la Musa de la Energía”, que en el nuevo siglo debería conducir a la imaginación al poder. Hacer de la vida una obra de arte. En el Fiume de 1919 la vida pública se convirtió en una performance de veinticuatro horas en la que “la política se hacía poesía y la poesía sensualidad, y en la que una reunión política podía terminar en un baile y el baile en una orgía. Ser joven y ser apasionado era una obligación”.(27) Entre la población local y los recién llegados se propagó una atmósfera de libertad sexual y de amor libre, inusual para la época. Comenzaba la revolución sexual. Así lo quería el nuevo “Príncipe de Juventud”, tuerto y de cincuenta y seis años

No es de extrañar que la ciudad se convirtiera en un polo magnético para toda la cofradía de idealistas, rebeldes y románticos que pululaba por el mundo. Un País de la Cucaña en el que se codeaban protofascistas y revolucionarios internacionalistas sin que a nadie se le ocurriera algo tan vulgar como “entrar en diálogo”. Un laboratorio contracultural en el que brotaban grupos variopintos como el “Yoga” (inspirado por el hinduismo y por el Bhagavad-Gita), los “Lotos Castaños” (proto-hippies partidarios de una vuelta a la naturaleza), los “Lotos Rojos” (defensores del sexo dionisíaco), ecologistas, nudistas, dadaístas y otros especímenes de variada índole. El componente psicodélico estaba asegurado por una generosa circulación de droga bajo la tolerante mirada del Comandante, consumidor más o menos ocasional de polvo blanco.(28) Los años 60 comenzaron en Fiume. Pero a diferencia de los hippies californianos, los hippies del Comandante estaban dispuestos no sólo a hacer el amor, sino también a hacer la guerra.

Mientras tanto Roma miraba a Fiume con una mezcla de consternación y de pavor. En palabras de los socialistas Italianos “Fiume estaba siendo transformada en un burdel, refugio de criminales y prostitutas”. Lo cierto es que todo el mundo iba a Fiume: soldados, aventureros, revolucionarios, intelectuales, espías aliados, artistas cosmopolitas, poetas neopaganos, bohemios con la cabeza en las nubes, el futurista Marinetti, el inventor Marconi, el Director de orquesta Toscanini… Proliferaban la elocuencia y el dandismo, la personalidad del Comandante era contagiosa. ¡Condecoraciones, uniformes, títulos, himnos y ceremonias para todos! El estilo ornamental era de rigor. Y a su vez los nuevos visitantes se iban haciendo cada vez más marginales: menores fugados, desertores, criminales y otras gentes con asuntos por aclarar con la justicia…. muchos de estos elementos fueron reclutados para formar la guardia de corps del Comandante: la “Legión Disperata”, de rutilantes uniformes. D´Annunzio observaba a sus arditi comiendo cordero en las playas, en sus fantásticos uniformes resplandecientes a la luz de las llamas, y los comparaba con Aquiles y sus mirmidones de vuelta a su campamento frente a Troya. Es esa mezcla electrizante de arcaísmo y futurismo, tan propia de la sensibilidad suprahumanista. Sonaba tan antiguo, sin embargo era tan nuevo…

Presionado por sus compromisos internacionales el gobierno de Roma decretó un bloqueo contra Fiume, y la ciudad encontró un método para asegurar su subsistencia: la piratería. Organizados por un antiguo as de la aviación italiana, Guido Keller, los barcos de Fiume pasaron a adueñarse de cualquier buque que transitase entre el estrecho de Messina y Venecia. Y cada captura realizada por los uscocchi – así llamados por D´Annunzio en honor a los piratas adriáticos del XVI – era recibida en la ciudad como una fiesta. Las actividades ilícitas se ampliaron al secuestro – un comando de Fiume capturó a un general italiano que pasaba por Trieste – y a las expediciones para requisar provisiones en territorios vecinos. También a las ocupaciones simbólicas de otras ciudades próximas. El Comandante hizo bordar su lema Ne me frego (algo así como: “me la pela”) en una bandera que colgó sobre su cama.(29) Fiume era un Estado fuera de la ley, lo que hoy llamaríamos un Estado gamberro. Señala su biógrafa que D´Annunzio, como un nuevo Peter Pan, había construido una “Tierra de Nunca Jamás, un espacio liberado de las relaciones causa-efecto donde los niños perdidos pudieran disfrutar por siempre de sus peligrosas aventuras sin sentirse molestados por el sentido común”.(30)

Pero el problema de la niñez es que se acaba, y llega la hora de los adultos. El Tratado de Rapallo, firmado en Noviembre 1920, establecía las fronteras italo-yugoeslavas y llegaba a un compromiso sobre Fiume. D´Annunzio se quedó aislado, y hasta los fascistas de Mussolini le retiraron su apoyo. Tras una intervención de la Marina italiana y la resistencia de un puñado de arditi – que se saldó con varias docenas de muertos – D´Annunzio fue obligado a abandonar Fiume a fines de Diciembre 1920. En una ceremonia de despedida su último grito fue: ¡Viva el amor!

El poeta había concluido su revolución. Llegaba el turno del ex sargento.

El Fascismo sin D´Annunzio

Pasados los años un Mussolini ya en el poder celebraría a Gabriele D´Annunzio como al “Juan Bautista del fascismo”. Convertido en una leyenda el poeta pasaría sus dos últimas décadas recluido en su mansión de El Vittoriale a orillas del lago de Garda, donde Mussolini acudiría ocasionalmente para retratarse con él.

Hoy se considera a D´Annunzio como a un personaje del Régimen, pero lo cierto es que nunca fue miembro del Partido Fascista y sus relaciones con el Duce fueron mucho más ambivalentes de lo que se piensa. En privado Mussolini se refería a D´Annunzio como a “una caries, a la que hay que extirpar o cubrir de oro”, y se refería también al “fiumismo mal entendido” como a sinónimo de actitud anarquizante y de poco fiar. En realidad ambos personajes se observaban con sospecha: Mussolini consideraba que D´Annunzio era demasiado influyente e impredecible, y éste se abstenía de prestar un apoyo expreso al Duce. En realidad el poeta había recomendado a sus arditi mantenerse al margen de cualquier formación política, si bien muchos acabarían en el fascismo y algunos en la extrema izquierda o incluso en España en las Brigadas Internacionales.(31) Las únicas ocasiones en las que D´Annunzio trató de influir políticamente en Mussolini fueron para aconsejarle que se mantuviera bien alejado de Hitler (“ese payaso feroz”, “eserostroengominado e innoble”).

El poeta-soldado falleció en 1938 en su mansión del Vittoriale, en una atmósfera tan barroca como claustrofóbica, rodeado de espías italianos y alemanes. Con su muerte desapareció toda una época: la de los albores de ese fascismo que no pudo ser. El fascismo real recogió la puesta en escena y la liturgia de Fiume, pero las vació de libertad y las transformó en una coreografía burocratizada al servicio de un proyecto que llevó a Italia a la catástrofe. La historia es bien conocida. No obstante suelen pasarse por alto algunas cosas…

Normalmente se pasa por alto que ese primer fascismo formaba parte de un clima cultural vanguardista, sofisticado y plural, muy diferente del provincianismo obtuso que caracterizaba a los nazis y a su cursilería völkisch. De hecho, el pluralismo cultural de la Italia fascista – un país donde prácticamente no hubo éxodo intelectual alguno – no tiene parangón con el dirigismo impuesto sobre la cultura en la época nazi. Estudiosos como Renzo de Felice o Julien Freund han contrapuesto el carácter optimista y “mediterráneo” del fascismo – con su tendencia a exaltar la vida dentro de un cierto espíritu de mesura – frente al carácter sombrío, trágico y catastrófico del nazismo, con su inclinación germánica por el Raggnarokk. (32)Igualmente podría destacarse el carácter antidogmático – incluso artístico y bohemio – de ese primer fascismo, en contraposición a las ínfulas “científicas” de la dogmática nazi, basada en el racismo biológico y en el darwinismo social.

A lo que hay que añadir que el primer fascismo no tenía ningún atisbo de antisemitismo, sino más bien al contrario: muchos judíos fueron fascistas de primera hora e incluso tuvieron cargos importantes, tales como la publicista Margaritta Sarfati, amante judía del Duce y prima donna de la vida cultural del régimen. De hecho la política exterior del régimen mantuvo frecuentes contactos con el movimiento sionista. Y tras la llegada de Hitler al poder eminentes exiliados judíos encontraron acogida en Italia.

Se pasa también por alto que tras la “marcha sobre Roma” en 1922 Mussolini se presentó ante el Parlamento y obtuvo un amplio voto de confianza de la mayoría no-fascista. Se tiende a olvidar que la violencia de las escuadras fascistas, si bien muy cierta, no era exclusiva del fascismo: ése era el lenguaje político en buena parte de Europa. Y en Italia fue el fascismo, mejor organizado, el que finalmente se impuso. Se omite también que el fascismo colaboró con los socialistas y con otras fuerzas de oposición, y que ganó una mayoría de votos en las elecciones de 1924. Sólo entonces, tras el brutal asesinato del diputado socialista Matteoti y la negativa de la oposición a permanecer en el Parlamento, los energúmenos del fascismo ganaron la mano y se institucionalizó la dictadura.

En realidad 1924 marca el comienzo del declive. Los años posteriores son los de las grandes realizaciones del régimen: la edificación de un Estado social, las grandes obras públicas y la modernización del país. Logros que compraron la adhesión de buena parte de la población. Pero el fascismo ya estaba herido de muerte. Al traicionar aquella promesa de 1919 en la Plaza del Santo Sepulcro de Milán (“Queremos la libertad para todos, aún para nuestros enemigos”) el fascismo se transformó en una burocracia autocomplaciente y satisfecha, y Mussolini se fue apartando de la realidad para encerrarse en una megalomanía que resultó funesta.

Aún así durante algunos años el fascismo impulsó una política favorecedora de la paz y la cooperación internacional, como lo prueban los Acuerdos de Letrán en 1929 y las propuestas de desarme en la Sociedad de Naciones en 1932. En relación a la Alemania nazi hay algo que también suele olvidarse: Mussolini fue el impulsor del llamado “Frente de Stressa”, una iniciativa diplomática que en abril 1935, junto a Francia y Gran Bretaña, trataba de garantizar la independencia de Austria y el respeto al Tratado de Versalles, y por consiguiente frenar a Hitler cuando todavía era posible hacerlo. Dos meses después, en Junio de 1935, Gran Bretaña firmaba con la Alemania Nazi un Acuerdo naval que suponía la primera violación de ese Tratado. Mussolini se quedó solo.

El aislamiento se consumó a partir de la invasión de Abisinia y las sanciones que le fueron impuestas a Italia, y que abocaron a Mussolini a una alianza con Hitler. A partir de entonces, prisionero de una mezcla de temor y fascinación por el dictador alemán, el Duce se vio arrastrado hasta el abismo. En 1938 cayó incluso en la abyección de importar la legislación antisemita del Tercer Reich.

¿Hubiera sido posible otro derrotero, menos dictatorial y más “dannunziano”? Mussolini, al contrario de Hitler, nunca tuvo un dominio absoluto sobre el Partido, y dentro del fascismo siempre hubo línea contraria a los nazis y favorable a un entendimiento con Francia y Gran Bretaña. Su principal figura era el Ministro de Aviación Italo Balbo, héroe de guerra y escuadrista de primera hora: el auténtico prototipo del “nuevo hombre” exaltado por el fascismo. Pero un celoso Mussolini le nombró Gobernador de Libia para apartarlo de los centros del poder. Allí falleció en 1940, en un accidente de aviación poco claro. Los últimos restos de la oposición fascista fueron liquidados en 1944 en el proceso de Verona, con el ex Ministro de Exteriores Galeazzo Ciano y otros jerarcas ejecutados a instancias de los alemanes.

¿Un fascismo democrático?

A casi cien años de distancia D´Annunzio y su aventura en Fiume plantean todavía interrogantes. Hay uno especialmente provocador: ¿pudo haber sido posible un fascismo democrático?

Una pregunta que sólo tiene el valor que queramos darle a la historia-ficción. Porque la historia es la que es, y no se puede cambiar. Hablar de “fascismo democrático” es hoy un oxímoron, y eso parece irrebatible. No obstante demasiadas veces nos refugiamos en posturas intelectualmente confortables y moralmente irreprochables, y eso dificulta la comprensión de ciertos fenómenos. En este caso, el de la naturaleza del fascismo. La interpretación marxista clásica del fascismo como un instrumento defensivo del Capital se condena a no comprender nada, y deja sin explicar la amplia adhesión que obtuvo un sistema que sólo fue extirpado por la guerra, una guerra en la que los marxistas se aliaron con… el capitalismo. Esta interpretación ha sido superada hace ya tiempo, y hoy tiende a admitirse que, como señala Zeev Sternhell, el fascismo era una manifestación extrema de un fenómeno mucho más comprehensivo y amplio – ése que Giorgio Locchi denominaba suprahumanismo –, y como tal es parte integral de la historia de la cultura europea.

D´Annunzio no fue un ideólogo sistemático, pero su empeño prometeico y nietzschiano simboliza ese clima cultural suprahumanista del que brotó el fascismo. Fiume fue un momento mágico y necesariamente fugaz, no se puede ser sublime durante veinte años. Pero Fiume nos recuerda que la historia pudo haber sido diferente, y que tal vez esa rebelión cultural y política – llamémosla “fascismo” – pudo haber sido compatible con un mayor respeto a las libertades, o al menos evolucionar alejada de las aberraciones ya conocidas… Claro que entonces tal vez eso no sería ya fascismo, sería más bien otra cosa…

Si no tenemos en cuenta el fenómeno cultural del suprahumanismo no se puede entender el fascismo. Pero éste no fue su único retoño. Históricamente hubo otros dos. El primero fue un brote intelectual de gran altura, y que sigue hablando al hombre de nuestros días: la llamada “revolución conservadora” alemana. Y el segundo fue una planta venenosa: el nazismo. La cuestión que hoy podría plantearse es la de saber si ese humus cultural suprehumanista está definitivamente agotado, o si aún podría dar lugar a derivaciones inéditas. Al fin y al cabo – y según la concepción “esférica” del tiempo – la historia siempre está abierta, y cuando la historia se regenera lo hace de forma siempre nueva, de forma siempre imprevista.

Anarquismo de derecha

Denunciamos la falta de gusto de la representación parlamentaria. Nos recreamos en la belleza, en la elegancia, la cortesía y el estilo…queremos ser dirigidos por hombres milagrosos y fantásticos
FILIPPO TOMMASO MARINETTI

El arte de mandar consiste en no mandar
GABRIELE D´ANNUNZIO

Pero el interés de revisitar a D´Annunzio va mucho más allá de la pregunta sobre la naturaleza del fascismo. El poeta-soldado prefigura una forma de hacer política vigente hasta la actualidad: la política espectáculo, la fusión de elementos sacros y profanos, la intuición de que en último término todo es política. La Carta del Carnaro es un documento visionario en cuanto recoge preocupaciones, libertades y derechos hasta entonces relegados fuera del ámbito político, y que durante las décadas siguientes pasarían a ser integrados en el constitucionalismo moderno. De alguna forma D´Annunzio parecía poseer la clave de todo lo que iba a venir después. Todos somos en buena parte sus herederos, para bien y para mal.

Por eso sería un error menospreciar a D´Annunzio como a un esteta dilettante metido a revolucionario. O despolitizarlo y considerar – como parece apuntar su perspicaz biógrafo Michael A. Leeden – que lo importante de Fiume no es el contenido, sino el estilo, y que ninguna posición ideológica concreta se desprende de Fiume. Pensamos que mucho más acertado está Carlos Caballero Jurado cuando señala que: “Fiume no era un pedazo de tierra. Fiume era un símbolo, un mito, algo que quizá no pueda entenderse en nuestros días, en una época tan refractaria al mito y a los ritos. La empresa de Fiume tiene más de rebelión cultural que de anexión política”.(33) ¿Qué mensajes puede extraer el hombre de hoy en día, no sólo de Fiume, sino de toda la trayectoria de D´Annunzio?

En primer lugar la idea de que la única revolución verdadera es la que persigue una transformación integral del hombre. Esto es, la que se plantea ante todo como una revolución cultural. Algo que los revolucionarios de mayo 1968 parecieron entender bien. Pero lo que desconocían es que, en realidad, casi todo lo que proponían ya estaba inventado. La imaginación ya había llegado al poder, cincuenta años antes, en la costa del Adriático. La gran sorpresa es que el que así lo decidió – y esta es la segunda gran lección de Fiume – no era un utópico progresista, libertario y mundialista, sino un patriota, un elitista practicante de una ética heroica. Fiume es la demostración de que ideas como la liberación sexual, la ecología, la democracia directa, la igualdad entre hombres y mujeres, la libertad de conciencia y el espíritu de fiesta pueden plantearse no sólo desde posiciones igualitaristas, pacifistas, hedonistas y feministas, sino también desde valores aristocráticos y diferencialistas, identitarios y heroicos.

El gesto D´Annunzio implica además algo muy actual: fue el primer grito de rebeldía contra un sistema americanomorfo que en aquellos años empezaba a extender sus tentáculos, es el grito de defensa de la belleza y del espíritu frente al reino de la vulgaridad y el imperio del dólar.

El gesto de D´Annunzio fue también la reivindicación, surrealista y heroica, de una regeneración política basada en la liberación de la personalidad humana, y un grito de protesta frente al mundo de burócratas anónimos que se venía encima.(34)

Fiume es además la demostración de que sí es posible trascender la división derecha- izquierda, de que la transversalidad es posible. Valores de derecha más ideas de izquierda. La primera síntesis genuinamente posmoderna. Fiume es el único experimento conocido hasta la fecha de lo que podría ser un anarquismo de derecha llevado a sus últimas consecuencias.

Hay una última cuestión, y que tiene que ver con la actividad de D´Annunzio como predicador y exaltador de la guerra. Eso es algo que hoy nos parece indefendible – aunque no lo era tanto en aquellos años en los que la guerra todavía podía vivirse como una aventura épica –. Pero hoy sabemos que detrás de aquella retórica inflamada no había ninguna causa real que justificase tanto sacrificio. Y sin embargo…

Sin embargo es posible que aquellos hombres de retórica inflamada, en el fondo, esto también lo supiesen. Es muy posible que D´Annunzio y otros como él, por destilación de un nihilismo positivo, supiesen que a fin de cuentas es mucho mejor el patriotismo a la Nada. Hoy tenemos la Nada, y desde luego tenemos menos muertos. Pero cabe plantearse si gracias a eso, en comparación con aquellos hombres, estamos también más vivos.

La era de los años incendiarios quedó sumergida en el tiempo. Pasó la época en la que los sargentos y los poetas hacían revoluciones. Y como suele decirse, a los cuerpos los devoró el tiempo, a los sueños los devoró la historia, y a la historia la engulló el olvido. También dicen que los viejos guerreros nunca mueren, que sólo se desvanecen físicamente. Después de la catástrofe nos queda el recuerdo de la grandeza, y el de los hombres que la soñaron.

 

Video musical con la letra del poema de D´Annunzio: “la Canzone del Carnaro” (“Los treinta de Buccari”)

1 Marcello Veneziani, Anni Incendiari, Valecchi 2009, pag 7.

2 Giorgio Locchi, Definciones. Los textos que revolucionaron la cultura inconformista europea.

Ediciones Nueva República 2011, pags 280-281.

3 El futurismo estuvo presente en Rusia (Maiakovski), en Portugal (Pessoa), en Bélgica, en Argentina o en el mundo anglosajón con la fundación del Londres del movimiento vorticista por Ezra Pound y Wyndham Lewis.

4 Marcello Veneziani, Anni Incendiari, Valecchi 2009, pags 15 y 16.

5 Lucy Hughes-Hallett, Gabrielle D´Annunzio. Poet, seducer and preacher of war. Fourth State, edición Kindle, 2013.

6 En el bombardeo incluyó proyectiles huecos de goma que contenían mensajes líricos. Posteriormente celebró este hecho – conocido como La beffa di Buccari (La broma de Buccari) – en una famosa balada: La Canzone del Carnaro (“Los treinta de Buccari”): “Somos treinta hombres a bordo/treinta y uno con la Muerte…”.

7 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

8 Ernst Jünger: Tres fragmentos de “La guerra, nuestra madre”, en Revista de Occidente nº 46, marzo 1985, pag 158.

9 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

10 Giorgio Locchi: Definiciones, Ediciones Nueva República 2010. Pag 59.

11 Alain de Benoist: Lés idées à l´endroit. Avatar Éditions 2011. pags 54-55.

12 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada.

13 Álvaro Lozano: Mussolini y el fascismo italiano. Marcial Pons Historia 2012, pag. 108.

14 Zeev Sternhell: El nacimiento de la ideología fascista. Siglo veintiuno editores 1994, pag 1. Nos ceñimos aquí a un análisis estricto del fascismo italiano, lo que excluye al nazismo. Señala el historiador israelí: “en modo alguno cabe identificar el fascismo con el nazismo (…) ambas ideologías difieren en una cuestión fundamental: el determinismo biológico, el racismo en su sentido más extremo…la guerra a los judíos (…) El racismo no es una de las condiciones necesarias para la existencia de un fascismo. Una teoría general que quiera englobar fascismo y nazismo chocaría siempre con ese aspecto del problema. De hecho, una teoría así no es posible”. (Obra citada, pags. 4-5).

15 En este sentido, los análisis teóricos de: Georges Sorel, R. Michels y Eduard Berth (Zeev Sternhell, Obra citada, pag. 182).

16 Zeev Sternhel: Obra citada, pag. 386.

17 Giorgio Locchi distinguía las fases mítica, ideológica y sintética como fases arquetípicas de las tendencias históricas. Así, en el caso del pensamiento igualitario su fase “mítica” se correspondería con la ecumene cristiana, la fase “ideológica” con la disgregación ocasionada por la reforma protestante y la aparición de diversas filosofías y partidos, y la fase “sintética” a las doctrinas de pretensiones científicas y universales (marxismo, ideología de los “derechos humanos”).

18 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada

19 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada.

20 Fiume es la actual Rijeka, en Croacia.

21 La “Carta del Carnaro” fue adoptada como Constitución de la “Regencia Italiana del Carnaro”, nuevo Estado independiente llamado así por el Golfo del Carnaro, lugar donde se encuentra Fiume. Su redactor principal fue el líder sindicalista- revolucionario Alceste de Ambris.

22 Michael A. Ledeen: D Annunzio, The first Duce. Transaction Publishers 2009, pags XIV y XV.

23 Lucy Hughes-Hallett, Obra citada

24 ¡Eia Eia, Alalá! era, según la leyenda, el grito con el que Aquiles llamaba a sus caballos. D´Annunzio lo acuñó durante la guerra como sustituto grecorromano al ¡hip hip, hurra! anglosajón.

25 Carlos Caballero Jurado: El Comandante y la décima musa. La fascinante historia de D´Annunzio en Fiume.

26 El Ministerio de Asuntos Exteriores de Fiume estaba dirigido también por dos poetas: León Kochnitzky y Henry Furst.

27 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada

28 En los años previos a la guerra la cocaína, cuyos auténticos efectos no eran todavía bien conocidos, era considerada como un suplemento para la resistencia y el coraje. Personajes como Shackleton o Scott la llevaron en sus expediciones, y tampoco era infrecuente entre los pilotos de guerra. (Lucy Hughes-Hallett: Obra citada).

29 Años después Mussolini adoptó este lema como expresión del “estilo de vida” fascista.

30 Lucy Hughes-Hallett: Obra citada.

31 Muy significativamente el líder nacionalsindicalista y principal redactor de la Carta del Carnaro, Alceste de Ambris, pasó a la oposición radical contra el fascismo. Privado de la nacionalidad italiana, murió en el exilio en Francia en 1934.

32 Es curiosa a este respecto la excelente serie de televisión de la RAI “El joven Mussolini” (Gian Luigi Calderone, 1993), en la que el futuro Duce (interpretado por Antonio Banderas) aparece retratado, más que como un futuro dictador sanguinario, como un simpático tarambana.

33 Carlos Caballero Jurado: El Comandante y la décima musa. La fascinante historia de D´Annunzio en Fiume.

34 Una Historia de Europa: “de D´Annunzio a Van Rompuy”… (a ¿quién?).

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vendredi, 14 mars 2014

Lavia mediterranea

mercredi, 12 mars 2014

Cena futurista

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samedi, 08 mars 2014

Bullets

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vendredi, 07 mars 2014

Intervista ad ALESSANDRA COLLA

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Intervista ad ALESSANDRA COLLA

Ex: http://eritcamente.net
 
Alessandra Colla è nata a Milano nel 1958; sposata, ha un figlio.
 
Laureata (cum laude) all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, giornalista pubblicista, si occupa da sempre di scienze umane.
È stata fra gli animatori delle Edizioni Barbarossa (1980, poi Società Editrice Barbarossa dal 1989) e del mensile "Orion", che ha contribuito a fondare (1984). Da qualche anno collabora con le riviste "Eurasia" e "Terra insubre"; dal 2004 ha aperto diversi blog (quello attuale è alessandracolla.net).

Nella sua produzione trentennale (articoli, saggi, conferenze, traduzioni) si segnalano «Quella femmina... fatta a pezzi» (“Risguardo IV”, Ar, Brindisi 1985); L'uomo (eco)illogico (Società Editrice Barbarossa, Milano 1994); «Donne, streghe, ribelli: il caso o la necessità?», in: AA.VV., Rivolte e guerre contadine (Società Editrice Barbarossa, Milano 1994); traduzione e cura del saggio di Roger Stéphane Ritratto dell'avventuriero (Società Editrice Barbarossa, Milano 1994).
 
Intervista a cura di Steno Lamonica
 
1)      Una donna, colta ed affascinante, di destra. Uso tale termine solo per comodita’, lei non ama etichette. Raro una donna con noi, unici ribelli…
 
Se, come dice Umberto Eco, «la persona colta non è quella che sa quando è nato Napoleone, ma quella che sa dove andare a cercare l’informazione nell’unico momento della sua vita in cui le serve e in due minuti», allora probabilmente è vero, sono colta. Affascinante non so, lascio il giudizio a chi mi conosce.
La prego con tutto il cuore di risparmiarmi il “di destra”. La dicotomia destra/sinistra ha fatto più danni e più morti dell’ira di Achille… È verissimo che non amo le etichette: la definizione è sempre un limite, e uccide la complessità.
Oggi come oggi, poi, per un movimento la rarità mi sembra consistere non tanto nell’annoverare tra le proprie file delle donne, quanto piuttosto delle persone veramente libere.
 
 
 2)      L’impero USA, una catastrofe per l’umanita’. Chi lo vincera’? 
 
Per certi versi è intrigante attribuire agli Stati Uniti la qualifica di “impero”: è come se ci si trovasse ancora in un tempo grandioso e squassato da scontri titanici. In realtà quello americano, a mio avviso, è un brutale imperialismo aggravato da delirio paranoico. E poiché certe patologie si risolvono soltanto con la morte del paziente, suppongo che occorrerà aspettare la fine degli Usa così come li conosciamo noi adesso. Non mi sento di fare previsioni: credo sia impossibile, oltre che inutile. Poiché siamo in piena globalizzazione, e poiché tutto ciò che (almeno a livello macroscopico) accade in una parte del pianeta si ripercuote altrove, non mi sento di escludere che i molti imprevisti che si verificano giornalmente dovunque nel globo rappresentino di fatto altrettanti contraccolpi sul sistema Usa, che già mostra la corda — anche se qui da noi resiste l’immagine del sogno americano. Naturalmente, se davvero si riuscisse a costituire un fronte comune eurasiatico in grado di contrastare l’unipolarismo statunitense sia a livello economico che a livello culturale si aprirebbero nuovi scenari ancora parzialmente da descrivere: ma ho la sensazione che la fine della potenza americana potrebbe arrivare prima di quanto si pensi, e forse non nei modi che molti, poco caritatevolmente, si aspettano.
 
 
 3)      Nietzsche e la politica. L’ellenico “farmaco” per l’orribile presente?
 
Credo che Nietzsche abbia a che fare col Politico più che con la politica. Così sui due piedi, di ellenico mi viene in mente soltanto un termine: e precisamente l’apolitìa di cui diceva Evola. Aggiungo, parafrasando proprio Evola, che il senso del Politico (come la religione) è un’equazione personale.
 
 
 4)      Sono irrispettoso se le rubo del tempo chiedendole un parere su…Gianfranco Fini? Quali forze dietro di lui?
 
Non irrispettoso: sfortunato. Perché non ho niente da dire su Fini. Personalmente non credo che sia manovrato o agito da forze occulte: sono più propensa a credere che da tempo porti avanti un percorso personale volto al raggiungimento di un obiettivo ben preciso. Adesso come adesso, sembra che il suo progetto abbia subito una battuta d’arresto: lui stesso, se non ricordo male, ha dichiarato di aver perso una battaglia ma non la guerra.
 
5)      Le “ministre con i tacchi a spillo”. Aspetto della cachistocrazia o ginecocrazia?
 
Cachistocrazia con la “c” maiuscola, direi. E un pessimo servigio reso alle donne.
 
 
 6)      Alessandra Colla, Pierangelo Buttafuoco, Massimo Fini; silenzio televisivo su di voi. Vendetta rancorosa della plutocrazia?
 
Troppo onore… La ringrazio del lusinghiero accostamento. Ma devo dire che non mi pesa l’indifferenza mediatica: la televisione ovvero la visibilità di cui essa è mezzo è un’arma a doppio taglio. Diciamo che preferisco poche persone che leggono quello che scrivo, meditando le mie parole e dedicando un po’ del loro tempo soltanto al mio pensiero, a una folla di spettatori che fanno altro mentre parlo, sono distratte da quello che vedono ed equivocano su quello che dico. L’ideale sarebbe una via di mezzo fra lo stile pitagorico e la radio, insomma.
 
 
 7)      I giovani, bevono molto, si abbronzano alquanto, fumano tanto, consumano troppo, leggono poco. “Fiamma Futura” pone la cultura in primissimo piano. Ha dei suggerimenti?
 
Credo che spesso, quando si parla di cultura, ci si dimentichi della sua etimologia, che rimanda al coltivare. E coltivare è un’attività sicuramente capace di dare grandi soddisfazioni, ma altrettanto sicuramente faticosa e dall’esito incerto, a causa delle molte variabili in gioco. Allo stesso modo, fare cultura è un’impresa grandiosa, ma non necessariamente destinata al successo: in buona  sostanza si investe sul futuro, e le gratificazioni immediate sono rare e difficili da conseguire. Così, risulta infinitamente più semplice e comodo lasciare che il germoglio cresca per suo conto, assecondandone l’inclinazione anziché cercare di orientarlo correttamente. La tendenza, negli ultimi decenni, è stata esattamente questa, e mi sembra un segno dei tempi: nel senso che non è una peculiarità di questo Stato il quale, non essendo più sovrano, non ha più autentici valori da trasmettere; bensì è un atteggiamento riscontrabile praticamente dovunque vi siano delle realtà giovanili in aggregazione — si preferisce catturare, non importa come, il consenso immediato delle giovani generazioni piuttosto che impegnarsi sul lungo periodo in un’opera di sincera educazione: nel senso stretto di e-ducere, cioè condurre la persona fuori dalla condizione di primitiva ignoranza per aiutarla a conseguire l’integralità e la pienezza della dimensione umana nella sua accezione più alta.
Comprendo benissimo che invertire la tendenza è, se non impossibile, sicuramente arduo: tuttavia credo che sia un preciso dovere, per chi ancora riconosce certi valori, applicarsi a mantenerne la vitalità e a trasmetterne il messaggio alle generazioni che verranno. Evangelicamente, di tanti semi ne andrà qualcuno a buon fine…
 
 
 8)      Nel suo sito (www.alessandracolla.net ) tra le cose che ama cita gli animali e tra quelle che detesta lo “stato pontificio”. Ci spieghi.
 
A voler essere pignola, dico precisamente che mi piacciono i primi e non mi piace il secondo: ma il senso, ne convengo, è lo stesso. La spiegazione potrebbe andare molto per le lunghe, ma cercherò di compendiare.
Gli animali, o come preferisco dire i senzienti non umani, giocano un ruolo fondamentale nella storia dell’umanità: tutte le civiltà precristiane tributavano agli animali un riconoscimento ontologico e metafisico che i monoteismi hanno, nella migliore delle ipotesi, ignorato; per converso, nessuna civiltà precristiana ha mai investito l’essere umano di quel diritto d’arbitrio sul pianeta che costituisce, invece, la cifra del monoteismo giudaico-cristiano. Ho cominciato ad occuparmi di questioni inerenti al cosiddetto animalismo (uso il termine per pura comodità, La prego di accettare la convenzione) quando ero una ragazzina — parliamo di trentacinque anni fa — prima in modo “viscerale”, e poi spostandomi su di un piano più strettamente filosofico: il che ha comportato il necessario ripensamento della posizione dell’uomo sul pianeta e in relazione agli altri viventi. Poiché ho studiato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ho avuto modo di approfondire il pensiero cattolico (quindi giudaico-cristiano) in relazione non solo a questo argomento, bensì anche alla costruzione dell’edificio ideologico che ha permesso alla Chiesa di Roma di colonizzare, devastandoli, terre e spiriti nel corso di duemila anni: e sono approdata alla convinzione che nel mio personalissimo orizzonte metafisico nulla di ciò che attiene al cattolicesimo può trovare posto. È una questione di etica, direi; ma soprattutto di Weltanschauungen assolutamente irriducibili.
 
 
 9)      Lei ha il merito di essere stata tra le prime persone in Italia ad interessarsi di Ipazia. Avremo il piacere di un suo libro su questa affascinante filosofa trucidata dall’intolleranza?
 
La figura di Ipazia non è soltanto affascinante, come dice bene Lei, ma incute rispetto: il momento storico in cui si svolge la sua vicenda, la sua storia e la sua terribile fine meritano più di una pellicola non particolarmente riuscita e di qualche narrazione troppo romanzata. Continuo a raccogliere materiale e a studiare: può darsi che prima o poi, se e quando riterrò di esserne all’altezza, mi provi a cimentarmi nell’impresa…
 
 
 10)  113 basi NATO in Italia,alcune in odore di atomica. Noi chiediamo la fine dell’occupazione militare straniera. La sua opinione?
 
Credo che si potrebbe ripescare un vecchio slogan: “via l’Italia dalla Nato, via la Nato dall’Italia”. Di fatto, la posizione di sudditanza della nostra nazione rende al momento impossibile non dico progettare un futuro, ma anche soltanto riappropriarsi di un presente assai critico. Naturalmente, sui motivi che hanno portato l’Italia a diventare una colonia statunitense ci sarebbe da dire parecchio: mi limito a ricordare che Mussolini, profeticamente, aveva definito l’Italia “una portaerei nel Mediterraneo”: gli americani hanno capito tanto bene la lezione da metterla in pratica con estrema concretezza. Sulla fattibilità di una liberazione dall’occupazione militare sono un po’ scettica: non vedo, per il momento, un popolo italiano in grado di lottare compatto per questo obiettivo; e, come diceva l’amico e maestro Carlo Terracciano, “guai a chi non sa portare le sue armi, perché dovrà portare quelle degli altri”.
 
 
 11)   Lei onora l’Ellade e la Magna Grecia. In un “Manifesto Politico Nazionale” potrebbe comparire questo asse culturale per rinsanguare le radici nazionali e paneuropee mentre assistiamo allo scempio dell’invasione clandestina planetaria?
 
In tutta sincerità, credo che l’immigrazione (clandestina o no) sia un effetto più che una causa. E temo di più l’omologazione culturale ai modelli d’oltreoceano che la perdita d’identità per colpa degli extracomunitari. Visto che in questa chiacchierata aleggiano spiriti antichi, vorrei ricordare che ogni Impero, a partire da quello romano, è per sua natura multiculturale. Ora, è chiaro che non ci troviamo per nulla al cospetto di un impero: ma la multiculturalità è un dato di fatto. L’importante, invece, è mantenere le singole specificità: e se le radici sono profonde, non c’è commistione o contiguità che possano cancellare una memoria salda e consapevole. Il problema vero, a mio avviso, è: abbiamo noi questa memoria? La possediamo al punto di poterla trasmettere, vivificata, a quelli che verranno? Solo dalla risposta a questa domanda, credo, dipenderà una scelta di destino.

 

jeudi, 06 mars 2014

G. Adinolfi: l'Imperium contre l'Empire

L'Imperium contre l'Empire

Entretien avec Gabriele Adinolfi

mercredi, 05 mars 2014

Italian Futurism

 

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lundi, 03 mars 2014

La Batalla de Pavía

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La Batalla de Pavía

por  José Luis Álvarez

Ex: http://eloccidental.es
 
Se cumplen 489 años desde que en la madrugada del  24 de febrero de 1525 los valerosos tercios saliesen victoriosos de la batalla de Pavía luego de que el rey francés, Francisco I se sintiese amenazado por el Imperio de Carlos I de España y V de Alemania que se había convertido en el personaje más poderoso del mundo. Francisco I preocupado por la concentración de títulos en manos del español decidió anexionarse el ducado de Milán para lo que comenzó la primera batalla contra los españoles conocida como la batalla de Bicoca donde el ejército francés bajo el mando del general Lautrec inició la batalla con 15.000 piqueteros suizos contra 4.000 arcabuceros españoles. Los franceses, después de perder 22 capitanes y unos 3.000 hombres se vieron obligados a retirarse, mientras que los españoles no sufrieron ninguna baja. Al igual sucedió en Sesia donde los españoles vencieron de nuevo.
 
Sin embargo el 25 de octubre de 1924 después de cruzar Francisco I los Alpes y atacar Milán los españoles se vieron obligados a retirarse de su campaña. Alrededor de unos 2.000 arcabuceros españoles, 4.500 lansquenetes alemanes y 30 jinetes pesados , mandados todos ellos por Antonio de Leyva, se atrincheraron en la cercana  Pavía. Seguido por el comienzo del asedio a la ciudad por parte de los franceses con un ejército de unos 30.600 hombres y  53 piezas de artillería.
 
Los españoles aguantaron los incesantes ataques franceses durante nada menos que tres meses. Francisco I había decidido agotar a los asediados por hambre y sed, estrategia que no resultó tal y como éste esperaba. Antonio de Leyva, el héroe defensor de Pavía, tenía 45 años de edad y había participado ya en 32 batallas y 47 asedios, este se trataba de un hombre muy respetado por parte de Carlos I.
 
Mientras los franceses esperaban la rendición de Antonio Leyva, Carlos I ordenó la intervención de un ejército de auxilio desde Alemania a Pavía al frente del cual estaba el marqués de Pescara. El objetivo era apoyar a las tropas de Leyva y romper el cerco.
 
Los capitanes y generales españoles que se encontraban en Pavía desembolsaron de su propio bolsillo el dinero para que las tropas aguantaran. Ante la difícil situación de sus oficiales, los 2.000 arcabuceros españoles decidieron que seguirían defendiendo Pavía aún sin cobrar. El Marqués de Pescara, tan excelente psicólogo como general, se ganó a sus hambrientas tropa, y en la arenga que dio a sus hombres y a los defensores de Pavía, le dijo: "Hijos míos, todo el poder del emperador no os puede facilitar en el día de hoy pan para llevaros a vuestro estómago , nadie puede traeros ese necesario pan. Pero hoy, precisamente hoy os puedo decir que si queréis comer, el alimento se encuentra en el campo francés." . No fue necesario apelar a las banderas a la patria, al heroísmo, etc.
 
El 24 de febrero de 1525 el ejército imperial de refuerzo llegó a Pavía y abrió fuego. Estuvo constituido por 13.000 lansquenetes alemanes, 6.000 infantes de los tercios españoles y 3.000 italianos con 2.300 jinetes y 17 cañones. Las tropas francesas que sitiaban a las tropas españolas, ahora eran sitiadas por las tropas de refuerzo. Desde que acampó ante Pavía no pasó día en que Pescara no fingiera un ataque nocturno contra los franceses. Los franceses se acostumbraron a las falsas alarmas y de esta forma aprovecharía cogerles desprevenidos.  
 
El grueso del ejército francés se encontraba atrincherado en el parque del castillo del Mirabello, a las afueras de Pavía, parque rodeado por una muralla de más de 10 kilómetros de longitud y de 2,5 m de alto . Cuando llegaron las 3 de la mañana del 24 de febrero de 1524 los imperiales iban a comenzar un ataque sumamente estratégico. Las órdenes eran avanzar en silencio hasta el cercado del castillo de Mirabello donde estaban atrincheradas las tropas francesas y abrir brechas en sus muros. Pescara envió dos compañías de encamisados a abrir una brecha en el muro del parque que protegía a los franceses.
 
A las 5 de la mañana, los encamisados habían abierto tres brechas por las que al amanecer pasaría Pescara al frente de los imperiales con sus escuadrones de piqueros flanqueados por la caballería. Los tercios pasaron en formación compacta, con largas picas protegiendo a los arcabuceros. El ejército imperial ya había penetrado en el parque de Mirabello, los encamisados en la vanguardia, por el centro entraron los piqueros. Tras la brecha abierta en el muro del parque la artillería aguardó su turno para cruzar. Mientras los arcabuceros atacaban y saqueaban el castillo.
 
Francisco I ordenó entonces cargar a la caballería francesa. La flor y nata de la aristocracia francesa se iba a topar con el mejor arma de la época, los tercios españoles. Los tercios invictos desde las primeras batallas de Italia y que ahora, en Pavía, iban a demostrar tu auténtica capacidad para el combate. Los encamisados fueron lanzados en primer lugar, era el cuerpo ligero de la tropa de infantería.
 
Los 3.000 arcabuceros de Fernando de Ávalos clavaron sus picas y dispararon terminando con la primera línea de la caballería pesada francesa. Más tarde los alabarderos y piqueros entraron en combate cuerpo a cuerpo. Mientras tanto Carlos de Lannoy al mando de la caballería española y el marqués de Pescara, en la infantería, luchaban ya contra la infantería francesa comandada por el comandante Ricardo de la Pole y Francisco de Lorena. Los franceses caían a cientos, fue una batalla auténticamente sangrienta.
 
La situación era dramática para las tropas francesas; se luchaba cuerpo a cuerpo y los tercios no perdonaban la vida de los franceses. El rey de Francia y su escolta también combatían a pie; en el fragor de la batalla , Francisco I con un grupo de leales , quedó copado por las tropas. Francisco I cayó del caballo y al intentarse levantar se encontró con el estoque de un soldado de la infantería española, era el vasco Juan de Urbieta Berástegui y Lezo. Juan no sabía que había apresado al mismísimo rey de Francia.
 
Juan de Urbieta, junto al granadino Diego Dávila y el gallego Alonso Pita da Veiga, no eran conscientes de a quién acababan de apresar, pero por las vestimentas supusieron que se trataría de un noble francés. Aquel preso resultó ser el mismísimo rey de Francia. El rey de Francia Francisco I había caído prisionero de Carlos I. La noticia corrió como la espuma por todos los territorios europeos. Francia había sido humillada por la captura de su monarca a manos de los tercios españoles.
 

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vendredi, 28 février 2014

Esquilino in maschera!

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