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dimanche, 31 mars 2013

Manifestazione!

 

samedi, 30 mars 2013

Céline: Viaggio al termine dell'Apocalisse

vendredi, 29 mars 2013

G. d'Annunzio: Mostra fotografica

jeudi, 28 mars 2013

Rassegna stampa (marzo 2013/2)

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Rassegna Stampa:
 
articoli in primo piano (marzo 2013/2)

lundi, 25 mars 2013

Giu le mani dai nostri soldati!

Cina e Italia più vicine grazie ad ENI

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Cina e Italia più vicine grazie ad ENI

di Michele Franceschelli

Ex: http://www.statopotenza.eu/

ENI continua a dimostrare di essere il principale vettore per un’azione politico-economica italiana libera dagli schemi atlantici, volta in direzione dell’Eurasia e dei BRICS. Dello spirito gagliardo del “cane a sei zampe” di “matteiana” memoria non è rimasto molto, tuttavia ENI è ancora oggi un colosso nazionale capace di muoversi sullo scenario mondiale – pur tra numerosi ostacoli, interni ed esterni, compromessi e cedimenti alle ingiunzioni euro-atlantiche – con un certo grado di autonomia, stringendo alleanze e collaborazioni con paesi non-allineati all’Occidente come Venezuela, Russia, Kazakhstan e Cina, tenendo aperta una fondamentale porta per una politica nazionale orientata in senso multipolare. Un “cane” pertanto non ancora addomesticato ai voleri nordatlantici e che rimane una delle risorse economiche trainanti della nazione proprio per questa sua “selvatichezza”, sempre più necessaria in un mondo di giorno in giorno più dinamico e multipolare. Per quanto tempo ancora ENI riuscirà a mantenere questo carattere non è dato sapere, anche se gli sviluppi recenti non fanno presagire niente di buono: dalle inchieste giudiziarie ad orologeria alle interessate pressioni degli ambienti euroatlantici per la cessione di Saipem, da un’opinione pubblica avversa eterodiretta con i temi del giustizialismo e dell’anti-industrialismo alle pulsioni ecoterrorriste di associazioni e gruppi eversivi e, soprattutto, per la continua assenza di un ceto politico nazionale autonomista capace di fare da scudo e di attuare in modo solido e continuativo un gioco di sponda con le scelte strategiche del management.
La sorte di ENI sembra parallela a quelle delle poche altre grandi aziende semi-pubbliche italiane, in primis Finmeccanica. Se per quest’ultima però le manovre tese a mantenerla dentro un politicamente rassicurante – ma economicante disastroso – perimetro d’azione commerciale euroatlantico sembrano avere ottenuto gli effetti desiderati, non si può ancora dire la stessa cosa per ENI, anche se entrambe lavorano in settori sensibili e strategici. E’ evidentemente decisiva in tal senso la direzione aziendale di ENI che, a differenza di quella di Finmeccanica, è ancora capace di esprimere una certa dose di forza, autonomia e continuità di vedute, pur in presenza di un quadro politico italiano inerte se non apertamente ostile. 
Il recente annuncio di Paolo Scaroni dell’accordo raggiunto con la China National Petroleum Corporation si inserisce all’interno di questo complesso quadro. Con il ceo Zhou Jiping di Petrochina Company Limited, società controllata da CNPC, è stato firmato un accordo per la vendita del 28,57% delle azioni della società Eni East Africa, titolare del 70% della partecipazione nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico, in Africa, dove si trovano alcuni dei più importanti giacimenti mai scoperti da ENI nella sua storia. Contestualmente, ENI e CNPC hanno firmato un joint study agreement per la cooperazione finalizzata allo sviluppo del blocco a shale gas Rongchang, che si estende per circa 2.000 chilometri quadrati nel Sichuan Basin, in Cina.
E’ un accordo di mutuo vantaggio. L’ingresso nel gas non convenzionale in Cina rappresenta un’enorme opportunità di business per l’azienda italiana, dato l’incredibile sviluppo che sta attravendo il grande paese asiatico affamato di energia. Dall’altra parte, lavorare con ENI in Africa permette alla CNPC di sfruttare i posizionamenti italiani per consolidare ed ampliare la propria penetrazione nel continente. La Cina è alla ricerca di sempre nuove fonti energetiche per sostenere i suoi alti tassi di sviluppo e la partnership con i paesi dell’Africa è considerata di fondamentale importanza in questo senso. Pechino ha d’altronde un modus operandi con questi paesi diamentralmente opposto alle prassi colonialiste e neocolonialiste che contraddistinguono numerosi paesi occidentali, permettendole di essere ben vista dalle popolazioni locali; una prassi che ricorda molto da vicino quella incarnata da Enrico Mattei – che ha improntato il lavoro dell’azienda italiana per tantissimi anni – e che potrebbe essere un ulteriore punto di contatto per ampliare la collaborazione tra le due realtà aziendali in altri paesi del continente africano. 
Aiutare la penetrazione cinese in Africa – così come è stato fatto con la Russia attraveso Gazprom – non è certamente in linea con la strategia occidentale volta al contenimento della Repubblica Popolare nel continente. Questa alleanza tra ENI e CNPC rappresenta pertanto un ulteriore “peccato” commesso dall’azienda di San Donato Milanese, anche se le è economicamente molto vantaggioso con proficue ricadute per tutto il sistema-Italia; come e quando dovrà essere “lavato” questo peccato lo vedremo nel prossimo futuro sulla pelle di tutti quegli italiani che fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese. 

dimanche, 24 mars 2013

Rivoluzionario e inimitabile, ecco chi era mio nonno: Gabriele D'Annunzio

 

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"Rivoluzionario e inimitabile, ecco chi era mio nonno: Gabriele D'Annunzio"

Federico D'Annunzio, imprenditore col physique dell'intellettuale, racconta vita e opere dell'avo, nato esattamente 150 anni fa: "Il fascismo? Lui lo vedeva come un fumetto. La sua scrittura? Potenza assoluta. Fu un genio: oggi avrebbe milioni di followers"


Ex: http://www.ilgiornale.it/
 

Federico d'Annunzio, physique dell'intellettuale e ambizioni dell'imprenditore, romano di nascita e milanese di rinascita, è nipote legittimo del poeta-soldato Gabriele D'Annunzio.
Figlio di Gabriele jr. (1942-96, sposato a Patrizia dei conti dell'Acqua), a sua volta figlio di Ugo Veniero (1887-1945, marito di Luigia Bertelli), terzogenito del Vate, Federico d'Annunzio, 48 anni, tre matrimoni, tre figlie e un'azienda, è, oltre che uomo d'affari, uomo di Lettere.

Che ben conosce vita e opere del celebre bisnonno: il Comandante, che nasceva proprio 150 anni fa, oggi.

Federico d'Annunzio, tanto di parla, ancora oggi, di fascismo, di Regime e di rapporti tra intellettuali e Potere. Ma quali furono le relazioni di Gabriele con il fascismo?
«In Gabriele è forte lo slancio patriottico, che appare già nei suoi scritti "abruzzesi" di inizio Novecento. Dopo la verità positiva, naturale, raccontata dai "fotografi" letterari dell'epoca, d'Annunzio intesse la trama necessaria per vestire la nobiltà d'Italia. In seguito gli scritti e i discorsi interventisti, e la conquista di Fiume, confermano questo percorso. Ed è "sopra" d'Annunzio che il Fascismo costruisce le proprie fondamenta. Egli tuttavia non partecipa, ma è costretto a seguire il sogno creato dalla sua stessa poesia. Come avviene spesso per la figura femminile amata e poi respinta con pari violenza, così d'Annunzio assiste al cambiamento dell'ideale in realtà: la volontà superiore trasformata in silenzio, le parole vane, così come le costruzioni e le conquiste fasciste. Il fascismo agli occhi di d'Annunzio è un fumetto, una sacca vuota che non lascia nulla di sé».

Perché un ragazzo dovrebbe leggere d'Annunzio, oggi?
«Per l'uso sconvolgente e sperimentale che d'Annunzio fa della parola. In ogni suo scritto, in ogni poesia, nel mezzo di una descrizione o di un passaggio apparentemente piano, appare, sempre, in modo improvviso e ineluttabile, un capolavoro totale: sequenze di immagini luminose, contrastate, definite, di ombre, di sensazioni, di scintille irraggiungibili descritte con assoluta esattezza, rese vive, strappate da momenti così intimi, da non sembrare neppure intuibili, neppure visibili. E ecco invece tutto davanti agli occhi...».

Esempi?
«L'incipit di Forse che sì, forse che no. Quanta enorme distanza dalle Novelle della Pescara. Siamo in pieno Futurismo, azione, energia, morte, ricerca pura della velocità che sposi il linguaggio, per menti che non temono la fatica, la costruzione che si miscela come un arcano, semplicissimo e terribilmente potente, e in cima alla salita, il segreto, custodito in tutti gli scritti successivi: il d'Annunzio notturno. Che cresce negli anni seguenti sino al "Libro dei libri" di Gabriele, quel Diario Segreto che è il fuoco della letteratura e dello scrivere inimitabile».

Non le pare di esagerare?
«Dopo d'Annunzio è quasi impossibile scrivere, ed è quasi impossibile leggere. Al confronto molta letteratura sembra vaga, diluita, amatoriale. Non vi è ricerca felice e dolorosa della purezza, della tecnica, della linea che demarca la verità dell'immagine dal compiacimento solitario e inutile. In d'Annunzio tutto è dono, la scrittura è un dono: che le luci del Poeta, le favolose faville, possano passare, per qualche imperscrutabile magia, nel cuore e negli occhi del lettore, perché il candore senza protesta, la forza idiota, e ogni accostamento sino ad allora impossibile, possano vivere nella luce vera della parola, che trasporta un dono inarrestabile e involontario. Per Gabriele tutto è poetico e involontario, la scrittura non è un gesto d'amore, è dono perché consapevole, ma la volontà in tutto ciò è inutile. La fatica, la lotta, è con se stessi, cercare la perfezione ad ogni costo, per rendere il momento assoluto, dandogli vita eterna».

Non capisco.
«Prima di Joyce, d'Annunzio crea metaforme, plasmi, melodie di pensieri ravvicinati e soprapposti, fino ad allora solo intuiti. Essi tra essi trovano nuovi splendori, crescono in bellezza e ricchezza e appaiono più onesti e più grandi. Si assiste alla espansione del pensiero alla potenza dei suoi moduli sovrapposti, le nuove concatenazioni sono piante e fiori d'altri mondi, eppure comprensibili, solo difficili da raggiungere. Ci vuole forza per raggiungere questi confini, ma il premio è una consapevolezza di sé (senza confini). Sembra una verità parallela, eppure è così: tanta la sperimentazione, l'intuizione favolosa, tanto grande il respiro del pensiero dentro di sé. Nasce un orgoglio e una intimità con se stessi che si credeva avere perduto, se non mai posseduto. La gioia si nasconde dietro una frase, e dopo questa si vorrebbe chiudere il libro ed aspettare che questa carezza si esaurisca.

Ma la lettura di d'Annunzio è sempre così entusiasmante?
«Tutto il contrario. Alcuni momenti sono insopportabili, uno spregio per lo spettatore trattato a orpello, a scafo imbrattato di catrame, utile solo a trasportare la propria gloria, ma vergognoso di bellezza e di sentimento. Nasce l'odio per tanta arroganza, tanta presunzione tremendamente onesta e supportata da una superiorità inavvicinabile, nella facondia, nella sensualità, nella esattezza della vista e delle rime. Odio, soltanto odio, e un desiderio di schianto, immediato, senza speranza né pietà, che si fotta l'Inclito! Leggere d'Annunzio è anche questo».

Quale percorso consiglia per conoscere d'Annunzio?
«Comincerei leggendo il Giovanni Episcopo, che esprime un d'Annunzio maturo, dopo il Piacere e un periodo di sospensione creativa. Il racconto, e la dedica a Matilde Serao, disvelano tutto d'Annunzio, e la poetica successiva: la volontà di "invenzione", la tecnica della parola, l'analisi cruda di se stesso attraverso il racconto, con un linguaggio insolitamente composto e misurato. Godibile, leggibile, l'Episcopo è un buon inizio per conoscere Gabriele».

Non si parte dal Piacere?
«No, il Piacere va giustificato, quasi perdonato, attraverso la lettura degli scritti successivi. È un libro che mostra la umana debolezza del giovane Gabriele alla ricerca del successo. Il libro si avviluppa intorno a un estetismo ancora formale e immaturo, stupefacente, che ritrova invece una forma lirica e autentica nel Fuoco. Il Piacere mostra una parte marginale, debole, della sensibilità poetica di d'Annunzio, che è invece soprattutto interessato all'Uomo, alla sua complessità e al suo dialogo interiore».

Poi?
«La prosa e la poesia di d'Annunzio sono l'opera di un infaticabile ed appassionato sperimentatore, sorretto da una vena poetica inesauribile. Il celebre vivere inimitabile fu l'immagine utile, lo strumento di Gabriele verso la scrittura, l'unico suo vero destino. Leggere d'Annunzio è una esperienza che concede piaceri e drammatiche esaltazioni (e fatiche), ed andrebbe alternata con letture di altri autori, per godere appieno per contrasto della scrittura inimitabile. Per continuare la lettura suggerisco il Trionfo della morte, che raccoglie tracce di tutta la scrittura precedente e successiva. Vi è l'Abruzzo crudele e giusto, la famiglia, la Femmina assoluta (infine, la Nemica), e la Morte, un argomento quasi sconosciuto ma dominante per comprendere la poesia di Gabriele».

Altri libri...
«L'Innocente, illuminato dal contrasto tra il titolo e il testo. Figlio non figlio, padre non padre, protagonista è la colpa e la hybris, ridiretta e esposta, un viaggio al fondo del dolore, nelle profondità del Male. Una confessione che lascia stupiti, per giorni, o per sempre. Siamo noi così? Un libro indimenticabile, un ferro rovente nel cuore. E poi il Fuoco, capolavoro sull'onestà inevitabile della lirica e della poesia, l'Alcyone, il manifesto dello scrivere inimitabile, ed il teatro, con La figlia di Iorio e Il ferro. Ma proprio Il ferro, il nuovo teatro sperimentale, annuncia il periodo più raffinato e dolce della scrittura di d'Annunzio. Fioriscono il Notturno ed il Libro Segreto, diari intimi che concedono ai lettori "a fior di pelle" emozioni non raccontabili, che stanno solo nello spazio tra il Poeta e il Sé. E nel Libro Segreto un d'Annunzio terribile, che falcia la propria scrittura, e inventa, appena prima di morire, una nuova letteratura. Quest'ultimo, senza dubbio, il mio preferito.

Chi sarebbe oggi d'Annunzio?
«Uno scrittore, ancor più inimitabile. Avrebbe milioni di follower, scriverebbe in lingue diverse, cambierebbe le identità dei social networks, costringendoli a una nuova radicale modalità broadcast. Ed il mondo non potrebbe stancarsi di lui: saprebbe inventare, stupire e cogliere ancora di ciascuno la natura profonda».

samedi, 23 mars 2013

Quel Vate per tutti e per nessuno

Quel Vate per tutti e per nessuno

Creò la liturgia fascista senza essere fascista e disegnò una nuova estetica politica. Ma in fondo fu fedele solo a se stesso

dannunz.jpgGabriele D'Annunzio fu il più grandioso nocchiero che traghettò l'Italia dall'Ottocento al Novecento, dalla piccola borghesia di provincia alla nazionalizzazione delle masse, dalla Belle Époque alla guerra, dalla galanteria all'eros, dalla morale all'estetica, dal cavallo al velivolo e al sommergibile, dal culto romantico del genio e dell'eroe al culto moderno del superuomo, ardito trascinatore delle folle.

Restano in lui vivi i tratti del secolo in cui nacque, quel 12 marzo di 150 anni fa, e restano le tracce di quell'Italia provinciale che sognava il passaggio dalla piccola borghesia alla nobiltà imperiale di Roma o di Parigi, dal decoro alla gloria. D'Annunzio trasfigura quelle origini borghesi e ottocentesche nella modernità impetuosa e guerriera.
«In Italia ci sono soltanto tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini, D'Annunzio e Marinetti», disse il massimo intenditore di rivoluzioni, Vladimir Illich Ulianov, detto Lenin. Era finita da poco la prima guerra mondiale e il leader del comunismo mondiale aveva ricevuto a Mosca una delegazione socialista italiana. Ma nessuno dei tre indicati da Lenin era socialista e tutti e tre potevano definirsi, in varia misura, figli di Nietzsche più che di Marx. Ma gli altri due erano poeti e artisti... Questo spiega perché fu Mussolini a fare quella (mezza) rivoluzione. D'Annunzio fu il più famoso anticipatore del fascismo, il suo «san Giovanni Battista». Ma ne fu anche il più grande dissidente. Non si comprende il fascismo, l'estetizzazione della politica, il rituale fascista, il saluto romano, il culto della bella morte e la retorica militare e cameratesca, senza D'Annunzio. Non si può capire la sintesi tra radicalismo di destra e radicalismo di sinistra, tra sindacalismo rivoluzionario e nazionalismo eroico, senza passare per l'opera, i discorsi e la vita di D'Annunzio (che fu parlamentare di destra, poi passò a sinistra - vado verso la vita - e non fu rieletto).
La fusione tra paganesimo e cristianesimo della liturgia fascista è di stampo dannunziano; l'eja eja alalà, il discorso dal balcone, il superuomo affacciato sulle folle, gli arditi, il mito del duce (che D'Annunzio rilanciò nel 1912 in un saggio su Cola di Rienzo). D'Annunzio crea l'habitat in cui prende corpo la mitologia fascista e da cui attinge la sua maggiore fascinazione rispetto alla rivoluzione socialista. Il mito della guerra attraversa tutta l'epoca e permea le intelligenze più vive del tempo; ma D'Annunzio, tra le varie anime letterarie e militari che alimentano il fascismo, è quello che le incarna di più. Stretto è pure il nesso tra fiumanesimo dannunziano e sansepolcrismo fascista; e tracce di D'Annunzio si ritrovano nell'estremo fascismo di Salò, che risente non solo geograficamente della suggestione estetico-eroico-mortuaria del Vittoriale, ormai disabitato del suo capriccioso signore, morto nel '38. Certo, il fascismo fu anche molto altro, e D'Annunzio fu sicuramente molte altre cose, oltre che precursore del fascismo. Di estetica politica in D'Annunzio parlò Thomas Mann, poi Hofmannsthal che ne rimase incantato; ma sarà Walter Benjamin a cogliere l'estetizzazione della politica poi ereditata dal fascismo. Il suo conterraneo abruzzese Gioacchino Volpe, in un saggio sul D'Annunzio politico e combattente, lo considerò creatore di poesia totale, intesa come «arte eroica al servizio della nazione».

Il rapporto fra D'Annunzio e il fascismo-regime fu controverso, fatto di slanci e prove di amicizia ma anche di netto dissenso, a volte taciuto, a volte filtrato, fino alla tentazione antifascista. Che in alcuni dannunziani prese corpo con l'esperienza breve di Alleanza Nazionale (corsi e ricorsi onomastici). Il rapporto fra D'Annunzio e il regime non fu diverso da quello di un altro esteta e combattente famoso, Ernst Jünger, rispetto al nazismo. Jünger, più di D'Annunzio, non amò gli aspetti volgari e torbidi del nazismo, detestò Hitler e partecipò perfino alla congiura anti-hitleriana; ma la sua fama di precursore e scrittore di guerra, il suo prestigio come eroe di guerra (aveva avuto l'onorificenza militare massima) fermarono Hitler dal proposito di punirlo. O, se vogliamo cambiar tempo, luogo e versante ideologico, lo stesso rapporto di amore e timore tra il Vate e il Duce ci fu tra Castro e Che Guevara, anch'egli come D'Annunzio appellato «il Comandante»: la sua morte prematura fu una salvezza per Castro che diventò amministratore delegato del Mito e si liberò di un ingombrante Compagno scontento. Così accadde con D'Annunzio.

Ma l'ultimo D'Annunzio sostenne il fascismo dopo l'impresa africana e le sanzioni: i copiosi doni alla patria, la retorica della guerra che riaffiorava sulle sue labbra, la missione civilizzatrice italiana in Africa, la polemica con la «perfida Albione», il dono alla Patria della croce militare avuta dalla corona britannica. Nel '37 accettò di presiedere l'Accademia d'Italia. Non fu solo ipocrita il carteggio cameratesco e a tratti pomposamente cordiale con Mussolini. L'ultimo D'Annunzio non condivise l'alleanza con la Germania, non solo perché estraneo al razzismo e al fanatismo hitleriano, ma anche perché vedeva in Parigi la grande sorella latina e nei teutonici i grandi nemici dell'Italia irredenta. E in questo era perfettamente in sintonia con Mussolini, anch'egli di formazione filofrancese e antitedesco fino alle Sanzioni.

D'Annunzio non fu mai fascista e tantomeno antifascista, ma restò sempre dannunziano, egli amava se stesso e la propria opera sopra ogni cosa, non si può irregimentare in nessun regime ma solo farsi adorare, e non si sente intellettuale organico a nessun partito. La sua vera aspirazione fu elevare la vita al rango di opera d'arte. Il suo dissenso dal regime, notò Volpe, nasceva dalla sua riduzione da protagonista a testimone della Nuova Italia. Nutriva il polemico rimpianto che la rivoluzione italiana avrebbe dovuto farla lui. La sua impresa fiumana fu l'antefatto del Sessantotto: vitalismo, trasgressione e immaginazione al potere furono celebrati là, nella prima rivoluzione estetica. Quei ragazzi dai capelli lunghi di mezzo secolo dopo erano gli inconsapevoli nipoti di quelle teste pelate: D'Annunzio, Marinetti, Mussolini (e Lenin). D'Annunzio visse più vite in una sola e più epoche in una vita. Servì nella religione della parola e della vita, della patria e della bellezza, un solo dio: Imago sui, l'immagine di sé.

mercredi, 20 mars 2013

Siria: le ragioni di Damasco

mardi, 12 mars 2013

Sull’orlo del precipizio

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Sull’orlo del precipizio

Venerdi 15 marzo a Roma

Sull’orlo del precipizio: cause, conseguenze e possibili soluzioni della crisi economica in Italia ed Europa.

Via del Quirinale, 26 Roma

Ore: 16:30

Introduce e modera: Stefano Vernole (Cesem, Eurasia)

Intervengono

Bruno Amoroso (economista, docente presso l’Università di Roskilde in Danimarca

Nino Galloni (economista, ex funzionario del Ministero del Tesoro)

Giacomo Gabellini (Cesem, Eurasia, autore del libro “La Parabola. Geopolitica dell’unipolarismo statunitense”)

 

Organizza il Centro Studi Eurasia Mediterraneo (Cesem – www.cese-m.eu)

Ingresso Libero

Alessandro Pavolini

ITALIA: LA URNAS DICEN NO A LOS MUNDIALISTAS DE BRUSELAS

ITALIA: LA URNAS DICEN NO A LOS MUNDIALISTAS DE BRUSELAS

 


 
 

Ex: http://enricravello.blogspot.com/

Los italianos han manifestado un claro y rotundo rechazo a las políticas de austeridad dictadas por los  llamados  mercados y a la finanza mundialista. El Golpe de Estado que llevó a Mario Monti a la presidencia del gobierno en noviembre de 2011, ha sido desactivado en las urnas. De nada ha servido  las llamadas a votarle por parte de los poderes fuertes, de Goldman Sach, del BCE, de Angela Merkel, del propio Barack Obama y del mismo Vaticano, donde fue el único candidato recibido en audiencia por el papa.
El conjunto de lista que se oponían abiertamente  a la política de Mario Monti sobrepasan el 65% de los votos. Los resultados son inequívocos en este aspecto. Monti, y sus política de austeridad dictadas por la troika internacionalista sufren un varapalo tremendo e irreversible. Vale la pena señalar que en su derrota, Monti arrastra a Gianfranco Fini, que  se había presentado en coalición junto a él y no logra renovar su acta de diputado. Es el fin de este oscuro personaje metido a transformistas político, que terminó con el MSI, después con AN y que hoy es sólo una sombra tortuosa y fracasada.
 
El importante resultado obtenido por quien todos los medios de comunicación coinciden en señalar como el “enemigo absoluto”, Silvio  Berlusconi, presentado   como el desestabilizador de la Europa de Bruselas, y  –sin duda por ese motivo– votado otra vez de forma insospechada para la prensa oficial por millones de italianos. Berlusconi volvía a presentarse en coalición con la Lega Nord, otra formación que  que sufre un constante acoso mediático y que ha demostrado ser capaz de remontar la crisis interna por la que atravesó el año pasado.
 
La victoria electoral ha sido para el centro izquierda, de Pier Luigi Bersani, pero ha sido por tan escaso margen de votos y tan por debajo de las expectativas de su PD (Partido Democrático) que ha tenido el amargo sabor de las victorias pírricas.  La izquierda italiana sigue con serias dificultades para poder presentar un mensaje creíble y movilizador en la clase trabajadora. Seguramente su apoyo a la política de Monti ha tenido mucho que ver en esto.
 
Grillo un Uomo qualunque
 
Sin duda uno de los grandes  vencedores de esta contienda ha sido el cómico  Beppe Grillo y su supuesto movimiento anti-política. Mucho nos tememos que esa operación política, apoyada con simpatía por los mass media, sea una elaborada válvula de escape para evitar cualquier reacción realmente sólida y coherente frente a la pluto-partitocracia.  Una válvula de escape cuya función primordial sea desactivar ese descontento social de carga transgresora y llevarlo –una vez domesticado– de vuelta al juego político convencional.  El primer indicio de lo que decimos, lo tenemos hoy mismo en el anuncio oficioso de una posible coalición a la “siciliana” entre PD y Grillo “para sacar a Italia del caos”.  
 
Grillo nos recuerda de lejos a aquel movimiento italiano que se llamó Uomo Qualunque, que en los años 40 se hizo con un voto popular gracias a su crítica al sistema, pero no fue capaz de pasar de la protesta a la propuesta y su final fue tan rápido como su ascenso.
 
Quizás Grillo no sea sólo eso, si no algo peor, su pertenencia y ligazón con los Rothschild es la peor de las señales.
 
Lega Nord
 
Los identitarios de la Lega Nord, se recuperan de la profunda crisis que supuso el “asunto Bossi”, y la pérdida de credibilidad que ese feo asunto les generó.
 
La Lega fundamentó su campaña en lograr un digno resultado a nivel nacional, y hacer una fuerte apuesta en las elecciones regionales lombardas que se celebraban el mismo día. El objetivo está doblemente cumplido. 
 
Roberto Maroni, el nuevo líder de la Lega Nord, logra ganar los comicios lombardos y será el próximo presidente de Lombardía, con el apoyo del PDL.  En el Congreso y el Senado la Lega logra una media del 4.5% en el conjunto de toda Italia, un buen resultado considerando que sólo se presenta en el norte del país y que hace poco más de un año los analistas la daban por muerta políticamente. Nada de eso, la Lega ha mostrado su fortaleza y el gobierno de Lombardía le asegura una proyección importante en próximos comicios, empezando por las europeas de 2014.
 
Área nacionalista: división y desconcierto
 
Las opciones nacionalistas y sociales  han presentado un grado de división. Incapaces de llenar el espacio de protesta que en otros lugares de Europa está llenando opciones como  Amanecer Dorado o Jobbik, d’Italia fue fundados hace apenas dos meses, por los antiguos ministros del ejecutivo italiano y que  en Italia lo ha hecho precisamente la candidatura de Grillo.
 
Como señala Gabriele Adinolfi en sus análisis sobre los resultados electorales italianos, el antiguo MSI logró mantener una media de votos del 6-6.5% durante cuatro décadas, era la respuesta nacionalista a la ineptitud de la Primera República italiana.  En 2013 los que podemos considerar “herederos” de aquel movimiento se han presentado en seis listas diferentes, amén de los ex miembros del MSI que iban en las candidaturas del PDL de Berlusconi. Esas 6 listas han logrado estos resultados
 
Fratelli d´Italia                                  666.035 votos 1.95% (9 diputados)
El mejor resultado de este conjunto de partidos. Giorgia Meloni y Ignazio La Russa, ambos provenientes del MSI-AN-PDL
La Destra                            219.816votos 0.64% (0 diputados)
Futuro & Libertà (Fini)  159.429 votos 0.26% (0 diputados)
Forza Nuova                      89.826 votos 0.26% (0 diputados)
Casapound Italia             47.691votos 0.14% (0 diputados)
Fiamma Tricolore           44.753 votos 0.13% (0 diputados)
 
Un total del 3.58%. Si a ellos sumamos los que han votado directamente a Berlusconi e incluso a  Grillo tendemos ese 6-6.5% pero ahora dividido y sin la menor incidencia de política. El mismo y eterno problema; falta de realismo y madurez.
 
La UE mantendrá su presión
 
No hay que ser ilusos y dejarse llevar por unas primeras impresiones. Pensar que el sistema político-financiero no tiene recursos para revertir esta situación y seguir dictando la política italiana no es realista.
La UE ya dijo el día después de saberse los resultados que Italia mantendrá su política de austeridad. Por supuesto es algo más que un “consejo”. ¿Quién lo ejecutará? Estaremos a la espera de la evolución de los acontecimientos durante las próximas semanas.
 
 
Enric Ravello
Secretario de relaciones nacionales e internacionales de PxC PxL.

lundi, 11 mars 2013

St. Patrick's Day!

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dimanche, 10 mars 2013

Rassegna Stampa (marzo 2013/1)

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano (marzo 2013/1)

 

 



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mercredi, 06 mars 2013

Incontro con il Prof. L. Silvestroni

00:05 Publié dans Ecologie, Evénement | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : écologie, événement, italie | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

samedi, 02 mars 2013

Roberto Michels: un socialismo verdaderamente superador de las oligarquías

Michels (1)

Roberto Michels: un socialismo verdaderamente superador de las oligarquías

Alessandro Campi

http://alternativaeuropeaasociacioncultural.wordpress.com/

 1. Roberto Michels, un hombre, una carrera

Recientemente (1), pudimos cele­brar el cincuenta aniversario de la muerte de Roberto Michels, el gran sociólogo italo-germano, principal representante, junto a Vilfredo Pareto y Gaetano Mosca, de la escuela “elitista” italiana. Michels nació en Colonia (Köln) en 1876, en el seno de una familia de ricos comerciantes de ascendencia alemana, flamenca y francesa. Tras los estudios iniciados en el Liceo francés de Berlín y pro­seguidos en Inglaterra, en Francia y en la capital de Baviera, Munich, ob­tiene su doctorado en Halle en 1900, bajo la égida de Droysen, gracias a una tesis entorno a la argumentación histórica. Desde su primera juven­tud, milita activamente en el seno del partido socialista, lo cual le granjea la hostilidad de las autoridades aca­démicas y dificulta considerable­mente su inserción en los medios uni­versitarios. En 1901, gracias al apoyo de Max Weber, obtiene su primer puesto de profesor en la Universidad de Marburgo.

Sus contactos con los medios socia­listas belgas, italianos y franceses son numerosos y estrechos. Entre 1904 y 1908, colabora en el mensual francés Le Mouvement socialiste (“El Movi­miento socialista”) y participa, en ca­lidad de delegado, en diversos con­gresos social-demócratas. Este pe­ríodo resulta decisivo para Michels, pues entra en contacto con Georges Sorel, Edouard Berth y los sindica­listas revolucionarios italianos Artu­ro Labriola y Enrico Leone. Bajo su influencia, empieza a perfilarse el proceso de revisión del marxismo teórico así como la crítica del reformismo de los dirigentes socialistas. La concepción activista, voluntarista y antiparlamentaria que Michels tie­ne del socialismo no se concilia en absoluto con la involución parlamentarista y burocrática del movimiento social-demócrata. Este hiato le lleva a abandonar gradualmente la políti­ca activa y a intensificar sus investigaciones científicas. A partir de 1905, Max Weber le invita para que colabore en la prestigiosa revista Archiv tur Sozialwissenschaft und Sozialpolitik. En 1907, obtiene una cá­tedra en la Universidad de Turín, en la cual entra en contacto con Mosca, con el economista Einaudi y con el antropólogo Lombroso. En este fe­cundo clima universitario, va toman­do cuerpo el proyecto de su obra fundamental, Zur Soziologie des Parteiwesens. Durante la guerra de Trípo­li, Michels toma partido a favor de los proyectos imperiales de Italia y contra el expansionismo alemán. De este modo, empieza su acercamiento hacia el movimiento nacionalista italiano; si bien, obviamente, no es de extrañar, sus relaciones con Max Weber se deterioran irremediable­mente.

• Un trabajo fecundo, durante el período italiano

Al iniciarse la Primera Guerra Mundial, en 1914, se instala en la Universidad de Basilea, Suiza. Es el período durante el cual Michels es­trecha sus lazos con Pareto y con el economista Maffeo Pantaleoni. En 1922, saluda con simpatía la victoria de Benito Mussolini y del Fascismo. Vuelve definitivamente a Italia en 1928 para asumir la cátedra de Eco­nomía General en la Facultad de Ciencias Políticas de la Universidad de Perugia. Al mismo tiempo, impar­te como enseñante en el Instituto Cesare Alfieri de Florencia. Ade­más, en aquella época, ofrece nume­rosas conferencias y cursos tanto en Italia como allende las fronteras de ésta, por toda Europa. Sus artículos aparecen en la famosa Encyclopae­dia of the Social Sciences (1931). Fi­nalmente, muere en Roma a la edad de sesenta años, el 2 de Mayo de 1936.

Hombre de una vastísima cultura, educado en un medio cosmopolita, atento observador de los diversos movimientos políticos y sociales eu­ropeos habidos a caballo entre los siglos XIX y XX, Michels fue, por otra parte, un historiador del socialismo europeo, un crítico de la democracia parlamentaria y un analista de los distintos tipos de organización so­cial, un teórico del sindicalismo re­volucionario y del nacionalismo, así como un historiador de la economía y del imperialismo italiano. Del mis­mo modo, sus inquietudes e intereses le llevaron a estudiar el Fascismo, los fenómenos de la emigración, el pen­samiento corporativista y los oríge­nes del capitalismo. A su manera, continuó en el proceso de profundización de la psicología política crea­do por Gustave Le Bon y se interesó, a este respecto, por el comporta­miento de las masas obreras politiza­das. Igualmente, abordó ciertos te­mas que, en su época, pasaban por ser más bien excéntricos o heterodo­xos, tales como el estudio de las rela­ciones entre moral sexual y clases so­ciales, de los lazos entre la actividad laboriosa y el espíritu de la raza, de la nobleza europea, del comporta­miento de los intelectuales y esbozó, asimismo, un primer cuadro del mo­vimiento feminista. Además, no olvi­demos en esta enumeración, men­cionar sus estudios estadísticos, tan­to en economía como en demografía, notablemente con respecto al con­trol de los nacimientos y otras cues­tiones interrelacionadas.

2. El redescubrimiento de una obra

Como he señalado anteriormente, su libro más importante y más cono­cido lleva por título, Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie; fue publicado por pri­mera vez en 1911 y por segunda vez en 1925 (siendo esta edición la edi­ción definitiva). Se trata de un estu­dio sistemático, consagrado a las re­laciones entre la democracia y los partidos, a la selección de las clases políticas, a las relaciones entre las minorías activas y las masas y al “leadership”. La bibliografía de Michels comprende treinta libros y cerca de 700 artículos y ensayos, de los cuales muchísimos merecerían volver a ser reeditados (2). Su principal libro ha sido traducido a lo largo del tiempo al castellano, al francés, al inglés, al italiano, etc.

A pesar de la amplitud temática, la profundidad y la actualidad de un buen número de los análisis de Michels, su obra, en general, no ha go­zado del éxito que se merece. En mu­chos países europeos, se la cita mal a propósito y faltan las obras críticas válidas. Sin embargo, para compen­sar tal situación, diversos han sido los estudios serios que han aparecido en los Estados Unidos, especialmente versados entorno a las aportaciones de Michels a la teoría del partido po­lítico y a la definición del Fascismo (3). Sus simpatías por el movimiento de Mussolini son, evidentemente, uno de los (principales) motivos que han llevado a la ‘ostracización’ de su obra a lo largo de toda nuestra post­guerra. Es un destino que ha com­partido con otros intelectuales, co­mo, por ejemplo y entre otros mu­chos, Giovanni Gentile (4). Otro mo­tivo: la difusión en Europa de méto­dos sociológicos americanos, de ca­rácter empírico, descriptivo, estadís­tico o crítico/utópico y que no pres­tan demasiada atención al análisis de los conceptos y a las dimensiones his­tóricas e institucionales de los fenó­menos sociales. El estilo científico de Michels, de carácter realista/’realitario’, anti-ideológico, desmitifican­te y dinámico, ha sido injustamente considerado como desfasado, como la expresión anacrónica de una acti­tud eminentemente conservadora (5).

• Se anuncia un regreso de Mi­chels

Sin embargo, desde hace algunos años (relativamente recientemente), la situación ha empezado a cambiar, sobretodo en Italia, país que Michels consideraba como su “nueva patria”. En 1966, se publica, junto a un estu­dio preliminar de Juan Linz, una tra­ducción de Zur Soziologie des Parteiwesens (6). En 1979, aparece una selección de ensayos bajo la direc­ción del especialista americano Ja­mes Gregor (7). Asimismo, una an­tología de escritos relativos a la so­ciología aparece en 1980 (8). Dos años más tarde, la Universidad de Perugia organiza un coloquio sobre el tema “Michels entre la política y la sociología”, con la participación de los más eminentes sociólogos italianos (9). Con ocasión del cincuenta aniversario de su muerte, otras de sus publicaciones son incluidas en los programas de los editores. Las ediciones ‘UTET’ anunciaron una amplia colección de “escritos políti­cos”. La editorial ‘Giuffré’ previo, dentro de su prestigiosa colección Arcana Imperii, una antología dirigi­da por Ettore Albertoni y G. Sola, que llevaría por título Dottrine et istituzioni politiche (“Doctrina e insti­tuciones políticas”). Este mismo edi­tor tenía igualmente en mente la pu­blicación de una traducción italiana de Sozialismus und Faschismus in Italien (“Socialismo y Fascismo en Italia”), obra que apareció inicialmente en 1925.

Una contribución reciente en el re­descubrimiento de Michels puede encontrarse en el libro del profesor israelita Zeev Sternhell, consagrado a la génesis de la ideología fascista en Francia (10). Según Sternhell, Mi­chels, al igual que Sorel, Lagardelle y De Man, encarnan en sí la corrien­te “revisionista”, que, entre 1900 y 1930, aporta una decisiva contribu­ción a la demolición de los funda­mentos mecanicistas y deterministas del marxismo teórico y, a la crítica del economicismo y del reduccionismo materialista. Michels favorece de este modo la difusión de una concep­ción de la acción política fundada so­bre la idea de nación y no en la de cla­se, conectada a una ética fuerte y a una visión libre de la dinámica histó­rica y social. Según numerosos auto­res, es ahí donde residen los funda­mentos en los cuales maduró el Fas­cismo con su programa de organiza­ción corporativa, de justicia social, de encuadramiento jerárquico de las instituciones políticas y de limitación de las corrupciones debidas al parla­mentarismo y al pluralismo partitocrático.

Michels estuvo en contacto con las más eminentes personalidades polí­ticas e intelectuales de su época, ta­les como Brentano, Werner Sombart, Mussolini, Pareto, Mosca, La­gardelle, Sorel, Schmoller, Niceforo, etc. Lo que sin embargo y en consecuencia nos falta todavía, es pues, una buena biografía. A este respec­to, sería muy interesante publicar sus cartas y su diario personal; estos dos elementos contribuirían enorme­mente a iluminar un período harto significativo de la cultura europea enmarcado en estos últimos cien años.

3. La fase sindicalista

Dentro del pensamiento de Mi­chels, podemos distinguir claramen­te dos fases. La primera coincide con el abandono de la ortodoxia marxista inicial y con una aproximación al sindicalismo revolucionario y al revi­sionismo teórico. La segunda, la más fecunda desde el punto de vista cien­tífico, coincide con el descubrimien­to de la teoría de Mosca sobre la “cla­se política” y la de Pareto sobre la inevitable “circulación de las élites”. Vamos, a continuación, a examinar brevemente, aunque con toda la atención necesaria, estas dos fases.

Tras haber publicado numerosos artículos de prensa y pronunciado numerosas alocuciones durante di­versos congresos y debates políticos, los primeros estudios importantes de Michels aparecen entre 1905 y 1908 en la (excelente) revista “Archiv”, di­rigida por Max Weber. Particular­mente significativos son los artículos consagrados a “La social-democracia, sus militantes y sus estructuras” y a las “Asociaciones. Investigaciones críticas”, aparecidos en lengua ale­mana, respectivamente en 1906 y en 1907. En ellos Michels analiza la he­gemonía de la social-democracia alemana sobre los movimientos obreros internacionales y también contempla a través de ellos la posibilidad de una unificación ideológica entre los diversos componentes del socialismo europeo. Este proceder, inscribe simultáneamente las contra­dicciones teóricas y prácticas del partido obrero alemán: de un lado, la retórica revolucionaria y el reconocimiento de la huelga general como forma privilegiada de lucha y, por otro lado, la táctica parlamentaria, el legalismo, el oportunismo y la voca­ción por el compromiso. Michels cri­tica el “prudencialismo” de los jefes social-demócratas, sin por lo tanto favorecer la espontaneidad popular o las formas de autogestión obrera de la lucha sindicalista. Según Mi­chels, la acción revolucionaria debe ser dirigida y organizada y, desde es­te punto de vista, los intelectuales de­tentan una función decisiva. Pues de­cisivo es el trabajo pedagógico de unificar el partido político. El movi­miento obrero se presenta como una rica constelación de intereses econó­micos y de visiones idealistas que de­be ser sintetizada en el seno de un proyecto político común.

En su primer libro, II proletariado e la borghesia nel movimento socia­lista (“El proletariado y la burguesía en el movimiento socialista”), publi­cado en italiano en 1907, Michels percibe perfectamente los peligros de degenerescencia, de oligarquización y de burocratización, intrínse­cos a las estructuras de los partidos y de los sindicatos. En esta primera fa­se de su pensamiento, Michels con­templa una “posibilidad” [involutiva] que debe ser conjurada a través del recurso de la acción directa del sin­dicalismo. Para él, la virtual involu­ción del socialismo político no reve­la todavía su verdadero sentido que no hace sino encerrar en sí una ine­xorable fatalidad sociológica.

4. La fase sociológica

En 1911, aparece, tal y como hemos señalado, su importante “summa” en­torno al partido político (11), la obra que indica claramente su paso defi­nitivo del sindicalismo revoluciona­rio a la sociología política. La in­fluencia de Mosca sobre su método histórico y positivo fue, a decir ver­dad, determinante. A partir de un es­tudio de la social-democracia alema­na, como caso particular, Michels termina enunciando una ley social general, una regla del comporta­miento político. Michels descubrió que, en toda organización, existe ne­cesariamente una serie de jefes pre­parados para la acción y élites de profesionales competentes (tecnócratas. N.d.T.); descubrió igualmen­te la necesidad de una “minoría crea­tiva” que se impulsa por sí misma a la cabeza de la dinámica histórica; des­cubrió la dificultad que existe para conciliar, en el cuadro de la demo­cracia parlamentaria, competencia técnica y representatividad. La tesis general de Michels es la siguiente: “En toda organización de carácter instrumental (Zweckorganisation), los riesgos de oligarquización se ha­llan siempre inmanentes” (12). De­nuncia a continuación la insuficien­cia definitiva del marxismo: “Cierta­mente los marxistas poseen una gran doctrina económica y un sistema his­tórico y filosófico fascinante; pero, una vez penetramos en el terreno de la psicología, el marxismo revela ciertas lagunas conceptuales enor­mes, incluso en los niveles más ele­mentales”. Realmente, su libro es muy rico en tesis y en argumentos. Si bien, juzguémoslo sobre el propio te­rreno:

1) La lucha política democrática posee necesariamente un carácter demagógico. En apariencia, todos los partidos luchan por el bien de la humanidad, por el interés general y por la abolición definitiva de las de­sigualdades. Pero, más allá de la re­tórica sobre el bien común, sobre los derechos del hombre y sobre la justi­cia social se presiente cómo despun­ta una voluntad por conquistar el po­der y se perfila el deseo impetuoso por imponerse a la cabeza del Esta­do, en interés de la minoría organi­zada que se representa. A este res­pecto, Michels enuncia una “ley de expansión”, según la cual todo parti­do tiende a convertirse en Estado, a extenderse más allá de la esfera so­cial que le estaba inicialmente asig­nada o que había conquistado gra­cias a su programa fundamental (13).

2) Las masas son incapaces de au­to-gobernarse. Sus decisiones jamás responden a criterios racionales y es­tán influidas por sus propias emocio­nes, por toda suerte de azares de di­verso orden, por la fascinación carismática que ejerce un jefe bien deter­minante e influyente, que se destaca de la masa para asumir la dirección de una manera dictatorial. Tras la llegada de la sociedad de masas y del desarrollo de los grandes centros in­dustriales, cualquier posibilidad de re-instaurar una democracia directa pasa en lo sucesivo a extinguirse de­finitivamente. La sociedad moderna no puede funcionar sin dirigentes y sin representantes. En lo que respec­ta a estos últimos, Michels escribe: “una representación duradera signi­fica, en cualquier caso, una domina­ción de los representantes sobre los representados” (14). En la opinión de Michels, este juicio no significa precisamente el rechazo de la repre­sentación, sino más bien la necesidad de encontrar los mecanismos nece­sarios que podrán transformar las re­laciones entre las clases políticas y la sociedad civil, de la manera más or­gánica posible. Hoy, el verdadero problema de la ciencia política con­siste en escoger nuevas formas 1) de representación y 2) de transmisión de las voluntades y de los intereses políticos, que se fundamentan sobre criterios orgánicos, en un espíritu de solidaridad y de colaboración, orien­tados en un sentido pragmático y no inspirados por esos mitos de extrac­ción mecanicista, que no conducen más que al poder de los partidos y no al gobierno eficaz de la nación.

3) En la era contemporánea, la fe política ha tomado el relevo a la fe re­ligiosa. Michels escribe: “En medio de las ruinas de la cultura tradicional de masas, la estela triunfante de la necesidad de religión ha permaneci­do en pie, intacta” (15). He aquí una anticipación inteligente de la inter­pretación contemporánea del carác­ter mesiánico y religioso/secular, tan característico de la política de masas moderna, como es el caso destacado de los regímenes totalitarios.

4) “La competencia es poder”, “la especialización significa autoridad”. Estas dos expresiones recapitulan para Michels la esencia del “leadership”. En consecuencia, la tesis según la cual el poder y la autoridad se de­terminan con relación a las masas, o en el cuadro de los conflictos políti­cos con los otros partidos, es insoste­nible. Para Michels, son, en todo ca­so, las minorías preparadas, aguerri­das y poderosas las que entran en lucha para tomar la dirección de un partido y para gobernar un país.

5) Analizando dos fenómenos his­tóricos como son el Cesarismo y el Bonapartismo, Michels desvela las relaciones de parentesco entre de­mocracia y tiranía y aboga en el sen­tido del origen democrático de cier­tas formas de dictadura. “El Cesaris­mo -escribe- es todavía democracia y, al menos, puede reivindicar su nombre, puesto que obtiene su fuen­te directamente de la voluntad popu­lar” (16). Y añade: “El Bonapartismo es la teorización de la voluntad indi­vidual, surgida inicialmente de la vo­luntad colectiva, pero emancipada de ésta, con el tiempo, para conver­tirse a su vez en soberana” (17).

6) Carl Schmitt, en su ya clásico li­bro Legalität und Legitimität (“Le­galidad y Legitimidad”) (18), desa­rrolla un análisis profundo entorno a la “plusvalía política adicional” que asume aquel que detenta legalmente la palanca del poder político; se tra­ta de una especie de suplemento del poder. Michels tuvo una intuición parecida al escribir: “Los líderes, al disponer de instrumentos de poder y, en virtud de este hecho, del mismo poder en sí mismo, tienen como ven­taja la posibilidad de aparecer siem­pre al amparo de la legalidad” (19).

7) El principal libro de Michels contiene muchísimas otras observa­ciones sociológicas: sobre las dife­renciaciones de competencias; sobre los gustos y los comportamientos, los cuales, en tanto que consecuencias de la industrialización, han logrado alcanzar a los obreros y quebrado la unidad de clase; sobre las mutacio­nes sociales como el aburguesamien­to de los jefes y la aproximación en­tre los niveles de vida del proletariado y de la pequeña burguesía; sobre la posibilidad de prever y de limitar el poder de las oligarquías a través del procedimiento técnico que supo­ne el referéndum y mediante el re­curso del instrumento teórico y prác­tico del sindicalismo.

8) la sexta parte del libro es central y está dedicada explícitamente a la tendencia oligárquica de las organi­zaciones. En ella, Michels enuncia la más celebre de sus leyes sociales, la que evoca la “perversión” que sufren todas las organizaciones: con el incremento del número de las funcio­nes y de los miembros, la organiza­ción, “de medio para alcanzar un fin, se convierte en un fin en sí misma. El órgano finaliza por prevalecer sobre el organismo” (20). Es ahí donde se halla la “ley de la oligarquía” de la cual se desprende que la oligarquía es la “forma establecida de avance de la convivencia humana en el seno de las organizaciones de gran dimen­sión” (21).

9) El libro de Michels contiene, en su conclusión, una voluntad de lucha que recuerda, parcialmente, la visión histórica trágica de Max Weber y de Georg Simmel; se trata de una volun­tad por profundizar el choque inevi­table entre la vida y sus formas constituidas, entre la libertad y la cristali­zación de las instituciones sociales, las cuales caracterizan la vida mo­derna.

5. La historia

Con la publicación en lengua italia­na del libro titulado L’imperialismo italiano. Studio político e demográ­fico (“El imperialismo italiano. Estu­dio político y demográfico”) (1914), el “giro” de Michels es definitivo. Con la aparición de esta obra, se hunde un mito, el del internaciona­lismo y del universalismo humanitarista. En la obra de Michels, aparece el nacionalismo como el nuevo mo­tor ideal de la acción política, como un sentimiento capaz de movilizar a las masas y de favorecer la integra­ción de éstas en las estructuras del Estado. El análisis sociológico del sentimiento nacional será profundizado en un volumen posterior, inicialmente aparecido en alemán (1929) y, después en italiano (1933), bajo el título de Prolegomeni sul pa­triotismo (“Prolegómenos sobre el patriotismo”).

A partir de 1913, aparecen en Italia diversos estudios importantes sobre economía: Saggi economici sulle classi popolari (“Ensayos económi­cos sobre las clases populares”) (1913), La teoría di Marx sulla po­vertà crescente e le sue origini (“La teoria de Marx sobre el crecimiento de la pobreza y sus orígenes”) (1920). La aproximación que Michels inten­ta hacia la economía no es más que de naturaleza rigurosamente históri­ca. Según él, es mucho más impor­tante tener en cuenta la utilidad práctica de una teoría económica que sus correcciones especulativas puramente formales. La interpretación de Michels es pragmática y con­creta. Critica la inconsistencia del “homo oeconomicus” liberal, porque a su juicio, no existen sujetos econó­micos abstractos, sino actores con­cretos, portadores de intereses espe­cíficos. A continuación critica la interpretación del marxismo, la cual establece la existencia de un conflic­to insuperable en el seno de las so­ciedades. Michels reconoce con ello la función reguladora y equilibrante del Estado y la necesidad de una co­laboración estrecha entre las diver­sas categorías sociales. Por esta ra­zón, considera que el modelo corpo­rativo constituye una solución. Su va­loración del corporativismo se halla contenida en el opúsculo Note storiche sui sistemi sindicali corporativi (“Notas históricas entorno al sistema sindicalista corporativo”), publicado en lengua italiana en 1933.

6. El Fascismo

En esta fase de su obra, su actividad como historiador, queda consignada en diversos libros, escritos original­mente en alemán y, posteriormente traducidos al italiano: Socialismo e Fascismo in Italia (“Socialismo y Fascismo en Italia”) (2 volúmenes, 1925); Psicologia degli uomini signi­ficativi. Studi caratteriologici (“Psi­cologia de los hombres significativos. Estudio caracterológico”) (1927),

Movimenti anticapitalisti di massa (“Movimientos anticapitalistas de masa”) (1927); y después en varios escritos redactados directamente en italiano: Francia contemporánea (1926) y Storia critica del movimen­to socialista italiano (1926). Entre las personalidades “significativas” de las cuales traza su biografía, figuran Bebel, De Amicis, Lombroso, Schmoller, Weber, Pareto, Sombart y W. Müller. En 1926, Michels im­parte una serie de lecciones en la Universidad de Roma; éstas serán reunidas un año más tarde en un vo­lumen, redactado en italiano: Corso di sociologia politica (“Curso de so­ciología política”), una buena intro­ducción a esta disciplina que de­muestra ser todavía útil en la actua­lidad. En este trabajo, traza las gran­des líneas de su visión elitista de los procesos políticos, emite una teori­zación de la institución en la que se ha convertido el “Duce” y desarrolla una nueva teoría de las minorías. El “Duce”, que obtiene su poder direc­tamente del pueblo, extiende su legi­timidad al conjunto del régimen po­lítico. Esta idea constituye en sí, to­tal y verdaderamente, un paralelis­mo sociológico con la teoría elabora­da simultáneamente en Alemania por los teóricos nacional-socialistas del denominado “Führerprinzip”.

Esta relativa originalidad de Mi­chels no ha sido jamás puesta sufi­cientemente en evidencia por los crí­ticos, que se han limitado a conside­rarlo solamente como un genial con­tinuador de la obra de Mosca y de la Pareto. En 1928, en la Rivista inter­nazionale di Filosofía del Diritto (Revista internacional de Filosofía del Derecho), aparece un importan­te ensayo de Michels: Saggio di clas­sificazione dei partiti politici (“En­sayo de clasificación de los partidos políticos”). A continuación, numero­sos escritos italianos fueron reunidos en dos volúmenes: Studi sulla demo­crazia e l’autorità (“Estudios sobre la democracia y la autoridad”) (1933) y Nuovi studi sulla classe politica (“Nuevos estudios sobre la clase po­litica”) (1936).

La adhesión explícita de Michels al Fascismo quedó expresada en una obra escrita inicialmente en alemán (L’Italia oggi) en 1930, año durante el cual se afilia al P.N.F. (Partido Na­cional Fascista). En sus páginas, Mi­chels hace un elogio del régimen de Mussolini, porque ha contribuido de manera decisiva a la modernización de la nación.

7. Conclusiones

La mayor parte de las notas relati­vas a la vida de Michels se hallan contenidas en su ensayo autobiográ­fico, redactado en alemán Una corrente sindicalista sotteranea nel socialismo tedesco fra il 1903 e il 1907 (“Una corriente subterránea en el socialismo alemán entre 1903 y 1907″) y publicado en 1932; este en­sayo conserva todavía en la actuali­dad, y lo seguirá haciendo, toda la utilidad necesaria para reconstruir las diversas fases de su existencia, así como para señalar las diferentes ini­ciativas políticas y culturales que em­prendiera a lo largo de su vida; po­demos descubrir así su itinerario que va de la social-democracia alemana al Fascismo, de la ideología marxista al realismo maquiavélico a la italia­na, de las ilusiones del revolucionarismo a su credo conservador.

En resumen, se trata de una obra vasta, de gran interés. Esperamos, a modo de conclusión para esta breve introducción, que el cincuenta ani­versario de su muerte, contribuirá a redescubrir a este gran sociólogo y a revalorizar de forma equilibrada su trabajo.

Notas

(0) El presente artículo apareció originalmente en la revista florentina Diorama Letterario, siendo traduci­do al francés para la revista belga Vouloir (B.P.B. 41, B-1970 Wezem-beek-Oppem. Belgie/Belgique), en cuyo número 50/51 (Noviembre-Di­ciembre de 1988) apareció, por Robert Steuckers. Siendo la versión francesa la utilizada para traducir al castellano el artículo en cuestión.
(1) Al hablar de recientemente, de­be de entenderse como relativamente recientemente, pues ha de consi­derarse que el cincuentenario de la muerte de Roberto Michels se cum­plió el 2 de Mayo de 1986 y el artícu­lo que nos ocupa, originalmente y con respecto a este punto concreto, tuvo su máxima vigencia, evidente­mente, durante el período vigente entorno a cuatro años atrás (N.d.T.).
(2) Una bibliografía entorno a los trabajos de Michels fue publicada en 1937 por los Annali (“Anales”) de la facultad de jurisprudencia de la Uni­versidad de Perugia.
(3) Por ejemplo, D. Beetham, “From Socialism to Fascism: The Relation Between Theory and Practice in the Work of Robert Michels”, en: Political Studies, XXV, No.’s 1 & 2. Asimismo conviene citar, G. Hands, “Roberto Michels and the Study of Political Parties”, en Bri-tish Journal of Political Science, 1971, No. 2.
(4) Sobre este tema, W. Röhrich, Roberto Michels vom sozialistisch­syndikalistischen zum faschistis­chen Credo, Duncker & Humblot, Berlin, 1972. Citemos igualmente, R. Messeri, “Roberto Michels: crisi de­lla democrazia parlamentare e fas­cismo”, dentro de la obra colectiva II Fascismo nell’analisi sociologica, Il Mulino, Bologna, 1975.
(5) Destacadamente interesantes son los estudios de E. Ripepe (Gli eli­tisti italiani, Pacini, Pisa, 1974) y de P. P. Portinaro, “R. Michels e Pare­to. La formazione e la crisi della so­ciologia”, en: Annali della Fondazio­ne Luigi Einaudi, Torino, XI, 1977.
(6) Roberto Michels, Les Partis Politiques. Essai sur les tendances oligarchiques des démocraties, Flammarion, Paris, 1971. Traduc­ción de la edición alemana de 1925.
(7) A. James Gregor, Roberto Mi­chels e l’ideologia del Fascismo, Volpe, Roma, 1979. Tras una larga introducción, podremos encontrar en esta obra una amplia serie de tex­tos de Michels.
(8) Roberto Michels, Antologia di scritti sociologici, Il Mulino, Bolog­na, 1980.
(9) Las contribuciones a este colo­quio fueron reunidas por G. B. Furiozzi en el libro Roberto Michels tra politica e sociologia, ETS, Pisa, 1985.
(10) Zeev Sternhell, Ni droite ni gauche, Seuil, Paris, 1983.
(11) Con respecto a la contribución de Michels a la “stasiología”, o la ciencia que estudia los partidos polí­ticos, es conveniente consultar a G. Fernández de la Mora, La partitocracia, Instituto de Estudios Políti­cos, Madrid, 1977, páginas 31-42. Con respecto a la influencia de Mi­chels sobre Ortega y Gasset, consúl­tese a I. Sánchez-Cámara, La teoría de la minoría selecta en el pensa­miento de Ortega y Gasset, Madrid, 1986, páginas 124-128.
(12) Roberto Michels, Les partis
politiques…, op. cit.
(13) Ibidem.
(14) Ibidem.
(15) Ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Ibidem.
(18) Carl Schmitt, Legalität und Legitimität (“Legalidad y Legitimi­dad”), Duncker & Humblot, Leip­zig/München, 1932.
(19) Roberto Michels, op. cit.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem.

jeudi, 28 février 2013

Italie : le populisme terrasse l’Europe

Italie : le populisme terrasse l’Europe

L’incroyable retour de la momie Berlusconi

Jean Bonnevey
Ex: http://metamag.org/
Le grand perdant des élections italiennes, c’est la gouvernance  bureaucratique européenne terrassée par la révolte populiste. Quand on additionne le rejet de Bruxelles des votes Berlusconi et Grillo, il y a une majorité en Italie. Elle est populiste et anti européenne.
 

Un système électoral qui donne 55% des sièges à la coalition arrivée en tête
 
Cela est confirmé par l’effondrement du «  professore »  idole des médias et des milieux économiques européens. Monti est ko technique avec moins de 10 % des suffrages. L’ancien président du conseil, l’homme qui, en tant que proconsul européen, imposait aux italiens une austérité de soumission a été  balayé par son peuple. Un désaveu total et cinglant. Il y a 6 mois, il était favori. Il entraine dans sa déroute les ralliés, le démocrate-chrétien Casini et l’ancien bras droit du « Cavaliere » Gianfranco Fini. Pour «Il Giornale», très proche de  Berlusconi « c’est le juste châtiment électoral des traitres ».
 
Le même journal titre sur le «  Miracle Berlusconi ». On ne peut lui donner tort. En quelques semaines de campagne, celui que l’on disait discrédité et enterré à jamais est sorti de son tombeau et remonté de près de 15 points. Son alliance de centre droit et de droite  est deuxième derrière le centre gauche. C’est le triomphe des «  bouffonne », se lamentait un élu de la gauche sur une des nombreuses télés italiennes. Il englobait dans le même dénigrement le comique de profession Pépé Grillo et Silvio Berlusconi.
 

Borsani à la recherche d'une majorité de gouvernement
 
Il faut bien sûr aller au-delà sur les enseignements d’un vote qui va s’avérer sans doute inutile pour l’Italie mais décisif pour l’Europe. Berlusconi bloque toute majorité au sénat, rendant le pays ingouvernable. Le centre gauche de Bersani a la victoire amère malgré sa majorité à l’assemblée . Il lui sera quasi impossible de gouverner et de former un gouvernement stable. Cette victoire à la Pyrrhus, la gauche la doit certes à la remontée de Berlusconi mais surtout à l’émergence du mouvement « 5 étoiles », celui du rejet total des politiques, qui devient la troisième force du pays. Il arrive même en tête en tant que parti hors toute coalition.
 
Le tremblement de terre Peppe Grillo
 
Prime a la gauche arrivée en tête mais bien moins largement que prévu à la chambre des députés, jeu égal gauche-droite au sénat , percée de l’ amuseur contestataire et chute des européistes, tout cela débouche sur une Italie ingouvernable. L’euro va être à nouveau sous pression, car l’économie italienne  n’est pas celle de la Grèce. Les bourses repartent à la baisse. Berlusconi ne fait plus rire les financiers des quartiers chics et la presse bien-pensante. L’incroyable retour de la momie que même ses partisans n’espéraient plus reste certainement une exception italienne.
 

Gianfranco Fini : la fin d'un parcours, de Mussolini à Monti
 
Certains de nos lecteurs trouvaient que nous avions eu tort d’estimer que sa petite phrase positive sur Mussolini n’allait pas lui porter tort. Nous maintenons cette opinion. D’ailleurs un mouvement très droitier, inexistant il y a quelques semaines, « Fratelli d’Italia » fait parallèlement son entrée dans les chambres législatives. On se demande même parfois ce qui peut vraiment porter tort à Berlusconi, cette caricature dans laquelle cependant tant d’italiens se retrouvent et s’assument.
 
Quelques titres et commentaires de la presse, à chaud, pour confirmer les grands enseignements:
 
« Les échos » : L'Italie face à une impasse politique majeure. 
La percée de Berlusconi et de Grillo bouleverse le Sénat italien où aucune majorité claire ne s'impose. De nouvelles élections pourraient être nécessaires. Le "Cavaliere" brouille les cartes des législatives. Le score de son parti, Il « Popolo della Liberta », rend impossible la formation d'une coalition capable de gouverner l'Italie. Mario Monti n'a pas réussi à constituer une troisième force.
 
« Libération » : Une Italie ingouvernable sort des urnes
«Vaffanculo» la stabilité gouvernementale ? A l’issue des élections législatives, marquées par le spectaculaire résultat du mouvement populiste « Cinq Etoiles » (M5S) de l’humoriste Beppe Grillo, aucune majorité nette ne semblait se dégager hier soir à Rome.

« Le Figaro » : L’incertitude en Italie déstabilise Wall Street
La Bourse de New York a signé sa plus mauvaise séance depuis le début de l’année, craignant une situation politique instable en Italie et nerveuse à l’approche d’une date butoire cruciale pour le budget américain vendredi.
 
« Le Monde » : Sans majorité claire au Sénat, l'Italie ingouvernable
L'Italie s'est enfoncée dans une impasse lundi, avec une Chambre des députés à gauche et un Sénat sans majorité, à l'issue d'élections marquées par le boom de l'ex-comique Beppe Grillo et scrutées par des partenaires inquiets pour la troisième économie de la zone euro.
 
François Hollande  doit regretter sa petite phrase annonçant que la crise de l’Europe était derrière nous. Le vote italien change tout. La révolte des urnes contre l’austérité imposée s’étend. L’Europe de Bruxelles est désavouée par le peuple de la 3ème puissance économique du continent et par un pays  fondateur du marché commun. Il serait temps d’en tirer les leçons.
 

mercredi, 27 février 2013

Courte analyse des élections italiennes

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Courte analyse des élections italiennes

Ex: http://aucoeurdunationalisme.blogspot.com/

Gabriele Adinolfi, directeur de l’Institut Polaris, est un témoin privilégié de la vie politique italienne. Il nous livre ici ses premières impressions au lendemain des élections qui viennent de se dérouler dans son pays.

Gabriele Adinolfi, pouvez-vous nous livrer vos premières impressions sur les résultats des élections italiennes ?

Un premier constat plutôt rassurant, les Italiens n'ont pas voté pour la Trilatérale, ni pour la BCE, ni pour la Goldman&Sachs.

Le Parlement qui vient d'être renouvellé a obtenu une majorité de centre-gauche grâce à la “prime à la majorté” prévue par la loi élèctorale italienne qui donne un nombre important de députés supplémentaires à la coalition arrivée en tête, en l’occurence celle de centre gauche. Toutefois, cette coalition gagnante dépasse Berlusconi seulement de 80.000 voix.

Constatons aussi que le Mouvement 5 étoiles de l'acteur populiste Beppe Grillo est devenu le premier parti italien avec 8.689.168 de voix (25,55%) élisant ainsi 108 députés.

Enfin, la coalition de Mario Monti, l’euro-technocrate centriste intronisé par Bruxelles l’an passé, dépasse à peine les 10% et compte en tout 45 élus. L'ancien patron du Mouvement social italien (MSI), Gianfranco Fini, qui soutenait la coalition de Monti, est tout simplement éliminé.

Les électeurs opposés au gouvernement euro-technocrate, toutes listes confondues, dépassent donc les 65%.

Au Sénat aucune majorité n'est mathématiquement possible.

L'Italie se présente comme impossible de gouverner. Alors, que faire ?

Voter à nouveau ? Impensable pour l'establishment car Grillo et Berlusconi renforceraient encore leur audience.

Mais nous avons deux jeux possibles auxquels il est licite de s'attendre.
 

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Soit une nouvelle coalition centredroite/centregauche avec un téchnicien comme premier ministre (Giuliano Amato c'est le plus pobable), soit une coalition nationale autour d'un personnage qui donne l'impression de répresenter le renouveau et la société civile. Il s'agit de Matteo Renzi, le jeune maire de Florence appartenant au Parti democrate mais très aprécié par la droite modérée. C’est un chrétien de gauche bon teint, fils, semble-t-il, d'un grand maître de la franc-maçonnerie. Il serait l'homme parfait pour pousuivre la politique des grands capitaux spéculatifs en la rendant “populaire”. Nous verrons bien.

Une chose est sûre : c'est que la volonté des électeurs italiens, qui rejettent clairement la politique des sacrifices dictée par les usuriers, ne sera pas respectée.

Et les nationalistes, ils semblent être les grands perdants de ces élections ?

Il est intéressant aussi d’analyser le suicide des nationalistes qui, une fois qu'ils ont cru possible de pouvoir s’émanciper de la tutelle de Berlusconi, ont démontré leur incapacité à exister réellement.

Rappelons que le MSI, avant de rentrer dans une majorité gouvernementale, pendant quarante-huit ans, de 1946 à 1994, avait toujours ressemblé des scores oscillant entre le 5 et 9%. Habitualement son score était en moyenne de 6,5%.

Cette fois-ci les “missinis” (nom donnés aux militants du MSI – NDLR) se sont presentés en sept formations différentes. Fratelli d'Italia et La Destra ont appuyé Berlusconi. Une composante du MSI est restée dans le Peuple des Libertés de Berlusconi. D'autres, avec Fini, ont soutenu Monti avec la liste Futuro e Libertà. Trois autres listes y sont allées de manière autonome : Forza Nuova, Casapound Italia et Fiamma Tricolore.

Et voici le scores :

Fratelli d'Italia, 666.035 voix (1,95%)

La Destra, 219.816 voix (0,64%)

Futuro & Libertà (G. Fini), 159.429 voix (0,46%)

Forza Nuova, 89.826 voix (0,26%)

Casapound Italia, 47.691 voix (0,14%)

Fiamma Tricolore, 44.753 voix (0,13%)

Le total est de 1.317.376 voix éparpillées donnant un pourcentage global de 3,58%. Il faudra ajouter à cela les voix passées directement à Berlusconi et celles qui sont allées à Grillo pour retrouver, mais dispersés, les scores passés du MSI (6% - 6,5%).

Fratelli d'Italia obtient 9 députés, les autres cinq formations n'élisent personne. Des anciens “missinis” seront èlus sur les listes du PdL ; on ne sait pas encore qui et combien, mais il s'agira seulement d'une patrouille.

Rien à faire, il y a une malédiction, les nationalistes n'arrivent jamais, nulle part, même dans des conditions des plus favorables, à avoir une vraie maturité politique et à être enfin efficaces.

Gabriele Adinolfi http://www.voxnr.com

source : Synthèse nationale :: lien

mardi, 26 février 2013

Le Système entre le clown et l’ex-comique

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Le Système entre le clown et l’ex-comique

Ex: http://www.dedefensa.org/

L’Italie nous la fait en grand, nous donnant sa version de la fameuse “résilience” que les regroupements antiSystème sont capables d’opposer au Système. Les élections de dimanche ont montré la capacité imaginative de l’Italie, surtout au niveau de la psychologie et de l’inconscient-antiSystème dans le cours et la répartition des votes, organisant des résultats qui montrent trois niveaux de blocage…

• Le premier niveau, le plus pompeux et le plus pompeusement humiliant pour le Système, c’est le sinistre résultat du très sérieux et compétent mister Monti, l’homme de l’Union européenne et de Goldman Sachs réunis (plus Bilderberg, Coca-Cola, etc.). Sa “coalition” (lui-même, des libéraux excellemment “free-marketistes”, quelques chrétiens démocrates épars, des ex-néofascites en vadrouille) donne autour de 10%. L’austère Monti n’est pas mécontent de son résultat qu’on qualifierait effectivement d’“austère” : «Its failure was the price of the tax increases and unpopular reforms that Monti's administration imposed after taking office in November 2011. Monti insisted he was content with the result, having created a programme that had presented voters with a “realistic” way forward for the country. “Ours is a satisfying result,” he told a press conference.» (Guardian du 26 février 2012.)

• Le second niveau est la réapparition du clown Berlusconi, devenu jusqu’à son départ précédent l’horreur politique selon le Système : appliquant jusqu’à la nausée les mœurs les plus grossiers du Système mais en les noyant jusqu’à la suffocation d’une avalanche de frasques diverses commentées d’un cynisme sans frein et rigolard, le tout donnant l’effet de ridiculiser le Système, – et un effet d’inversion assez original par conséquent… Il est pourtant de retour, avec suffisamment de puissance électorale pour bloquer le fonctionnement normal du Système, qui serait de bidouiller une sorte de coalition-Système un peu moins “austère” que Monti, mais faisant l’affaire. La haine de la gauche-Système (“centre-gauche” pour les dames) pour Berlusconi devrait faire l’affaire pour perpétuer le blocage de ce point de vue (impossibilité de faire un gouvernement ou faire un gouvernement-équilibriste tombant à la première mesure impopulaire). Les rapports entre les deux seront en effet très serrés. Selon AFP du 25 février 2013 :

«Quant à Silvio Berlusconi, parti sous les huées en novembre 2011 en laissant une Italie au bord de l’asphyxie financière, il a opéré une remontée spectaculaire en promettant d’abaisser les impôts et même de rembourser une taxe foncière impopulaire rétablie par Monti.

»La coalition de gauche de Pier Luigi Bersani, donnée à 30,3% selon des résultats partiels sur les trois quarts des sièges, devrait pouvoir s’adjuger la majorité des sièges à la Chambre, grâce à un système qui accorde 54% des fauteuils à la formation arrivant en tête. Mais au Sénat, où la prime de majorité est accordée par région, les résultats partiels prévoient le centre gauche très loin de la majorité absolue des 158 sièges. Les dernières estimations du journal La Repubblica lui donnait 104/105 sièges, l’alliance de droite de Silvio Berlusconi étant en tête avec 113/123 sièges, mais sans possibilité de constituer une majorité. “C’est sûr que s’il y a une majorité à la Chambre et une autre au Sénat, il n’y a pas de gouvernement”, a constaté avec dépit Stefano Fassina, l’économiste du Parti démocrate, assailli de questions au QG de campagne du PD.»

• Le troisième niveau de blocage est ce que AFP désigne élégamment de «boom du mouvement de l’ex-comique Beppe Grillo». On ignore si Beppe est un “ex-comique” (pourquoi “ex-” ?) mais sa performance donne un effet du plus haut comique presque de génie lorsqu’on l’observe d’un peu haut, par rapport aux ambitions “austères” et sérieuses du Système. Beppe est la star de l’élection, et même cinq fois star s’il le faut avec son Movimento 5 Stelle, ou “Mouvement 5 étoiles” (M5E, ou M5S en dialecte anglo-saxon rejoignant la superbe langue italienne dans ce cas). M5S/M5E obtiendrait «plus de 23,5 % au Sénat et plus de 25,5 % à la Chambre des députés, devenant ainsi le principal parti d'Italie devant le Parti démocrate». AFP note donc sobrement à ce propos :

«L’Italie semblait se diriger lundi soir vers une impasse, avec une Chambre des députés à gauche et un Sénat sans majorité, à l’issue d’élections marquées par le boom du mouvement de l’ex-comique Beppe Grillo. “Vote choc qui nous donne un Parlement bloqué”, probablement pas de majorité, titrait sur son site le Corriere della Sera, journal de l’establishment italien, reflétant les inquiétudes des partenaires de la troisième économie de la zone euro. Seul véritable vainqueur du scrutin Beppe Grillo et son Mouvement 5 Etoiles, décrié comme “populiste” par ses adversaires, a su séduire en surfant sur le rejet de la classe politique et la rage contre l’austérité. Selon des résultats encore partiels, il obtiendrait entre 24 et 25% dans chacune des deux chambres, devenant le deuxième parti politique italien, derrière le Parti démocrate, la première force de gauche.»

• Trois niveaux de blocage, c’est beaucoup, et cela nous promet du sport. Les constats généraux sont absolument dépités et extrêmement préoccupés. La Bourse, comme on disait dans l’entre-deux guerres, est mal dans sa peau et les cours mesurent le malaise avec la chute habituelle… Dans tous les cas, rien à faire, c’est Beppe qui occupe le centre de la scène des commentaires… Selon le Guardian :

«Neither right nor left had an outright majority in the upper house, where the balance will be held by Beppe Grillo's Five Star Movement (M5S). Grillo has ruled out supporting either side in his drive to sweep away Italy's existing political parties and the cronyistic culture they support – a sentiment he appeared to reiterate after the countby insisting the M5S was not planning on “any stitch-ups, big or small” and lambasting Berlusconi's voters for committing “a crime against the galaxy”.

»In an audio message broadcast live online, Grillo said that, after his movement's “exceptional’ results, the mainstream parties were “finished, and they know it”. “We've started a war of generations … They've been there for 25 to 30 years and they've led this country to catastrophe,” he said. “We will be an extraordinary force … We will be 110 inside [the parliament] and several million outside.”»

• Tous les commentateurs-Système, c’est-à-dire les commentateurs sérieux, mettent en évidence combien tous les dirigeants-Système de type européen vont être “horrifies” par ces élections italiennes et, notamment, selon la dialectique du borborygme-Système standard, par “la montée du populisme” (sacré Beppe). The Independent du 26 février 2013 résume le tout par trois scenarios, graduellement de plus en plus pessimistes, le troisième étant, selon le quotidien londonien, le plus probable avec de très rapides nouvelles élections (Beppe, lui, voudrait un referendum, ou bien songe-t-il à une deuxième “marche sur Rome” après la première, réussie, de ce dimanche) : «The centre left wins the lower house but fails to form a coalition needed to pass legislation through the Senate. Last night, this outcome was looking increasingly likely as the Democratic Party failed to make inroads to the “swing-state” regions of Lombardy, Veneto and Campania. Such a lame-duck administration might limp on for a few months but fresh elections would be virtually certain - and financial instability in Italy and beyond, a very real danger.»

Tout cela, on le comprend, est parfaitement et remarquablement antiSystème. Il ne s’agit pas de distribuer des prix de vertu, car le fait antiSystème par définition relatif et volage n’a rien à voir avec la vertu, sinon celle, absolument “révolutionnaire” (seul cas où ce mot désuet a encore un sens), de se trouver dans une position antiSystème dans une circonstance essentielle. C’est le cas du clown (Berlusconi), qui fait assez pour empêcher un gouvernement stable ou pour l’interdire, et c’est le cas de l’ex-comique comme ils l’appellent, qui applique là-dessus une ébouriffante victoire aussitôt diabolisée comme “populiste”. La pauvreté du langage-Système pour discréditer ceux qui se dressent en position antiSystème, involontairement ou volontairement, conjoncturellement ou structurellement, est révélatrice de l’essoufflement de la chose (le Système), épuisée par sa transformations presque d’ordre transsexuelle, de la dynamique de la surpuissance en dynamique d’autodestruction. (Surtout quand les deux se combinent et ajoutent leurs effets au profit nécessairement de la dynamique de l’autodestruction puisque, seule des deux, elle a un but. Ainsi, le Système effectuant sa mue transsexuelle se révèle-t-il comme hermaphrodite, résolvant le dilemme “sociétal” du mariage gay.)

Maintenant, certes, que faire ? Normalement, l’artillerie lourde va être déployée et déchaînée, prioritairement contre Beppe. Les munitions ne manquent pas : “populiste”, on l’a dit, mais aussi “fasciste” (pourquoi pas ?), “gaucho-anarchiste” (par souci de pluralité), “nihiliste” (après tout…), et ainsi de suite. (On n’ira pas jusqu’à le traiter de “comique”, mais quoi….) Les thèses vont également fleurir, du côté des commentateurs qui se rêvent antiSystème, pour débusquer les ruses du Système : l’ex-comique sera donc “provocateur” et “manipulateur”, ou bien “provocateur manipulé”, ou bien (ceci équivalant à cela et à cela) une sorte de remake des “années de plomb”, version comique, avec les agitations des réseaux Gladio et autres qu’il pourrait par conséquent déclencher… Il ne manquerait plus, en effet, que certains rêveurs imaginent l’intervention de l’armée pour mettre de l’ordre dans tout cela : c’est alors qu’on n’aurait pas fini de rire de leur “désordre créateur”.

En attendant, contentons-nous d’en rajouter, dans le sens de notre estime extrême pour les voies surprenantes et exotiques que prend la “résilience” de la résistance antiSystème. Il faut dire que la stupidité abyssale des politiques sectorielles et oppressives qu’impose la politique-Système aux robots qui l’opérationnalisent en toute austérité et en col-cravate sans cravate, est une aide puissante à ce phénomène qu’on aurait tendance à qualifier de la formule immortelle de Mao des “Cent Fleurs”, – cette floraison dans tous les sens des événements qui s’instituent eux-mêmes en une posture antiSystème si réjouissante et efficace, cette floraison qui ne cesse de se renouveler, qui ne cesse de pratiquer le contrepied contre les poussées surpuissantes-autodestructrices du Système. Cet épisode nous rappelle les vertus de la démocratie, qui nous vient de la sagesse grecque lorsqu’elle est bien appliquée, et la gloire de l’Italie, qui nous vient de la grandeur romaine lorsqu’elle est bien manipulée : la modernité n’a donc pas complètement détruit l’essence de ces deux grands Moments des temps antiques.

…Mais où tout cela mène-t-il ? s’exclame-t-on. Il est vrai que le programme de Beppe et de ses cinq étoiles ne manquent pas de charme ni d’esprit d’à-propos, dans tous les cas pour le moment et en espérant qu’il le conservera : ne rien faire et tout bloquer. C’est effectivement la leçon que nous tirions de cette belle résilience antiSystème en général, le 9 novembre 2012 : surtout, ne pas espérer savoir ni connaître ce qui va sortir de tout cela, mais au contraire comprendre que n’en rien connaître et n’en rien savoir c'est le signe de la sagesse même ; autrement dit :

«La dynamique à l’œuvre ne construit pas un monde meilleur selon la dialectique de communication du Système qui ajoute et agite toujours ce hochet des “lendemains qui chantent” à l’intérieur de ses propres limites ; elle se contente de résister et de faire jaillir de cette résistance une dynamique nécessairement structurante. Ce mouvement est évidemment et nécessairement imperceptible à la conscience présente, et il n’a de sens que dans une perspective qui dépasse le Système. C’est une situation qui aura son utilité fondamentale lorsque d’autres événements interviendront, alors que d’autres évènements que nous n’identifions pas encore formellement sont d’ores et déjà à l’œuvre, dont l’effet indirect se traduit par le caractère de plus en plus erratique, de plus en plus nihiliste et de plus en plus destructeur d’elle-même, de la politique-Système.»

 

mardi, 12 février 2013

Rassegna Stampa (febbr. 2013 / 1)

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Rassegna Stampa
(febbr. 2013 / 1)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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lundi, 11 février 2013

Traditori al Governo?

Traditori al Governo? 

Artefici, complici e strategie della nostra rovina

Autore: Marco Della Luna   

Prezzo: € 4,08 (invece di €4,80)

 

Un libro imperdibile per sapere tutta la verità su chi andremo a votare

Traditori al Governo: come i capitalisti di Germania e Francia tramite l'Euro e gli interessi sul debito pubblico strangolano l'Italia per renderla una loro colonia...

Servilmente, l'Italia si adatta a vivere per pagare gli interessi ai creditori, a tempo indeterminato. Sin dagli anni Settanta, è una storia di incompetenze ed errori clamorosi oppure di tradimenti e strategie verticistiche, che producono danni per l'Italia con paralleli vantaggi economici e politici per Germania, Francia e, in generale, i capitali dominanti. Ma erano davvero errori? E chi dobbiamo ringraziare?

Lo schema si ripete: un provvedimento, una riforma, un trattato "sbagliato", preparato da un abile battage ideologico, genera, alla lunga, effetti destabilizzanti, che causano una crisi, alla quale si rimedia con nuovi interventi (comprese le cessioni di sovranità), che coprono i sintomi nel breve, aggravando al contempo i mali strutturali, fino a causare la successiva emergenza, finché tutte le decisioni divengono obbligate, "senza alternativa".

Le tappe più salienti: il serpente monetario degli anni Settanta, il divorzio di Bankitalia dal Tesoro nel 1983, lo SME e la folle gestione della sua crisi nel 1992, Maastricht e i suoi vincoli recessivi, l'Euro prematuro e la sua pseudo banca centrale, il "fiscal compact", il MES (meccanismo Europeo di Stabilità) ... ogni volta si dà qualcosa di più e, contrariamente alle promesse, si rimane meno liberi, più instabili, più dipendenti.

Analizzando la situazione, troviamo che all’Italia, dietro la facciata europea, viene applicato il medesimo schema, basato sull’indebitamento guidato e la perdita di sovranità, che il capitalismo USA ha sempre applicato per assicurarsi, a basso costo, le risorse naturali e umane, nonché il controllo politico, di molti Paesi della sua area di influenza, sotto la bandiera della libertà e di un molto asimmetrico liberismo commerciale.

 

Introduzione al Tradimento - Traditori al Governo

È necessario occuparsi più dei requisiti e delle incompatibilità per il Colle e per Palazzo Chigi, che per altre cariche! Un premier infedele può rovinare il Paese tradendo i suoi interessi, e un presidente infedele può minarne l’indipendenza e la Costituzione. Poiché a breve dovremo rinnovare queste due cariche, e considerate le problematiche e le denunce penali che infuriano ultimamente intorno ai titolari in carica, è urgente stabilire criteri tassativi di esclusione dei profili a rischio.

Continua a leggere in Anteprima : > Introduzione al Tradimento - Traditori al Governo

Indice

Premessa

  • Introduzione al tradimento
  • L'Europa ha sempre ragione
  • Due agende: Monti e Tremonti
  • Sacrifici senza prospettive
  • Il sogno che la crisi "finisca"
  • Il sogno del mercato educatore
  • Lo sporco lavoro dell'euro
  • Colpa o dolo?
  • L'azione di Monti
  • MPS Connection, e altro
  • Porcate
  • Traditori o nemici
  • Costituzione violata
  • Manifesto massimalista
  • Piano integrato per la stabilizzazione del debito pubblico e la rieducazione macroeconomica delle banche
  • Il tesoro nascosto delle banche centrali

Appendici
Postfazione di Luigi Tedeschi - direttore di «Italicum»
Bibliografia

Premessa

Dai tempi di Kohl e Mitterand, oltre vent'anni fa, Germania e Francia — o meglio, i capitali dominanti di questi paesi - si sono accordati per eliminare la concorrenza italiana, che diventava ogni anno più preoccupante per il modello di sviluppo cui essi lavoravano. La passione e la moda dell'europeismo, assieme all'aspettativa, tipicamente italiana, che i paesi più forti ci avrebbero aiutati, offrivano un utile camuffamento; ma, per far passare questo piano in Italia, avevano bisogno di collaboratori interni, meglio se incon­sapevoli. Probabilmente qualcuno capiva quello che si stava facendo... però si è chiesto che senso avrebbe avuto resistere...

I passaggi principali alla base dell'attuale crisi finanziaria e, soprattutto, della depressione economica dell'Italia, del drastico peggioramento delle condizioni e prospettive di vita, sono stati rivolti a privare l'Italia della sovranità monetaria in favore di interessi esterni, e si posso­no così riassumere:

- La progressiva e totale privatizzazione della proprietà e della gestione della Banca d'Italia, con l'affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato (operazione avviata con Ciampi e Andreatta negli anni'80);
- L'immediato, conseguente raddoppio del debito pubblico (da 60 a 120% del pil) a causa della moltiplicazione dei tassi, e la creazione di una ricattabilità politica strutturale del Paese da parte della finanza privata;
- La svendita ad amici del palazzo, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti;
- La privatizzazione, con modalità molto "riservate", ma col favore di quasi tutto l'arco politico, della Banca d'Italia durante la privatizzazione delle banche di credito pubblico (Banca Com­merciale Italiana, Banco di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d'Italia);
- L'adesione a tre successivi sistemi monetari - negli anni '70, '80 e '90 - che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi partecipanti - anche l'Euro non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete - con l'effetto di far perdere competitività, industrie e capitali ai paesi meno competitivi in favore di quelli più competitivi, che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli.
- personaggi istituzionalmente più esposti nel corso di questa strategia trentennale sono stati Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Mario Draghi (Goldman & Sachs), Romano Prodi (Goldman & Sachs); essi sanno, e dovrebbero essere costretti a svelare (tolto Andreatta, che è morto), chi fu ad imporla e quali mezzi adoperò per farsi obbedire.

In quest'ultimo trentennio della storia d'Italia, le maggioranze politiche, i governi e soprat­tutto le più alte cariche politiche, economiche e finanziarie, inclusi certi vertici di Banca Italia, sono stati e continuano ad essere gli complici consapevoli o inconsapevoli della rovina socioeconomica in cui stiamo cadendo, come appare da diversi scandali aperti. Ma non trascuriamo il ruolo della Banca Centrale Europea e delle massime banche italiane europee e internazionali che appaiono sempre più registi e beneficiari della riduzione dell'Italia a loro servile colonia.
Oggi Germania e Francia, insieme alla Banca Centrale Europea (BCE) guidata da Mario Draghi e dalle principali banche di questi due stati, col pretesto di voler far uscire l'Italia dal suo indebitamento, le tolgono la liquidità necessaria per investire, lavorare e produrre, crean­do le condizioni per una recessione gravissima, che sta producendo il crollo di tante attività, e così il nostro debito aumenta sempre, e presto saremo obbligati a vendere ai nostri creditori, a prezzo di realizzo, le ricchezze del nostro Paese, frutto delle capacità produttive e creative di generazioni e generazioni.

Come da tempo spiegano molti esperti, l'Italia, per ritrovare competitività, capacità di investire e consumare, libertà dall'attacco della speculazione, quindi anche indipendenza e dignità politica, ha una chiara e oggettiva necessità di tornare alla Lira, nazionalizzare Bankitalia, ora di proprietà di poche banche private, e togliere il debito pubblico italiano dai mercati speculativi, altrimenti resterà ricattabile e priva dei soldi per lavorare, produrre, inve­stire, pagare i debiti; infatti senza denaro in circolazione, non si ha domanda e il patrimonio pubblico e privato continuerà a svalutarsi.

Il carattere portante e unificante della storia europea, in contrapposizione a quello della storia asiatica, è l'uso della ragione per smantellare dogmi e superstizioni, oppressioni e sfrut­tamenti. Perciò l'atto più europeista oggi possibile è sbaraccare le strutture di questo dispoti­smo bancario e coloniale che sta prendendo possesso del continente europeo. È un'esigenza razionale e oggettiva, per il bene comune dell'Europa, non certo un'espressione di ostilità verso questa o quella nazione o popolo.

L'alternativa, per conservare l'Euro e la UE senza che ci distruggano, sarebbe riformarne l'architettura come segue:
1) Imporre ai paesi membri con avanzo commerciale verso altri paesi membri di investire nell'economia reale di questi paesi gran parte dell'avanzo;
2) Unificare il debito pubblico dei paesi membri;
3) Incaricare la BCE di comprare sul mercato primario i titolo del debito pubblico europeo che rimangano invenduti alle aste;
4) Separare le banche di credito e risparmio da quelle di azzardo e speculazione.

Senza questa riforma, l'Italia può salvare se stessa soltanto lasciando l'Euro e il mercato unico.

 



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mercredi, 30 janvier 2013

« Casa Pound, une terrible beauté est née ! »

« Casa Pound, une terrible beauté est née ! »

par Jean NON-CONFORME

 

Artisti-x-CasaPound_web.jpgCasa Pound, une terrible beauté est née ! est le premier ouvrage paru aux Éditions du Rubicon, les éditions du réseau M.A.S. Il s’agit de la traduction du livre d’Adriano Scianca, responsable culturel de Casa Pound, parue en Italie sous le titre Reprendersi Tutto que nous pouvons traduire par « Tout se ré-approprier ». En environ 360 pages, l’ouvrage tend à développer quarante concepts qui font Casa Pound, le désormais célèbre mouvement néo-fasciste italien qui tient son nom de l’immeuble imposant occupé depuis de longues années au 8 de la Via Napoleone III à quelques pas de la gare centrale de Termini, à Rome.

L’ouvrage débute dans son édition française par une préface de Gabriele Adinolfi, qu’on ne présente plus. L’introduction de l’ouvrage est de Flavio Nardi, également animateur culturel au sein de C.P.I. (Casa Pound Italia) et la conclusion de Gianluca Iannone, responsable de C.P.I. et chanteur du groupe de rock ZetaZeroAlfa. L’édition française est agrémentée d’un cahier couleur de 24 pages qui permet de pénétrer un peu l’ambiance du mouvement : esthétique, manifestations, affrontements avec les adversaires politiques, rôle central de la jeunesse, culture, slogans, etc. Nous trouvons également une photo de quelques militants du M.A.S. devant la Casa Pound Latina.
 
Le livre permet par l’intermédiaire des quarante concepts d’aborder des thèmes variés comme l’histoire du fascisme, la genèse de C.P.I., les principes et les valeurs, le rôle central de l’esthétique et de la culture et in fine l’esprit du mouvement. Bien que nous soyons partisan de la philosophie selon laquelle dans un mouvement, il faut soit tout prendre, soit ne rien prendre, il n’est pas pour autant contre-productif de voir dans ce livre des pistes de réflexions.
 
Quelques figures ressortent clairement de l’ouvrage : Ezra Pound, Filipo Tommaso Marinetti, Gabriele d’Annunzio, Friedrich Nietzsche, Julius Evola. À travers ces cinq personnalités nous trouvons une philosophie centrale à l’ouvrage : l’action et la volonté. Adriano Scianca tire clairement une ligne dans l’ouvrage entre les partisans de l’action, forcément révolutionnaire, et les partisans de la réaction, qui ne le sont pas. Que ce soit à travers des mouvements artistiques (futurisme), à travers des épopées révolutionnaires (la prise de Fiume) ou par la philosophie de la construction du « surhomme » et de l’élévation de soi (Nietzsche, Evola), l’auteur est clair sur les intentions du mouvement : agir, aller de l’avant, aller là où on ne nous attend pas, donner le rythme et en somme tout reprendre. Cette volonté d’aller de l’avant correspond au concept d’« estremocentroalto », qui fait l’objet d’un Manifeste, définit dans l’ouvrage et qui se résume ainsi : « Putain, à partir de maintenant nous allons faire ce que nous voulons ! (p. 99). » Ainsi que l’écrit l’auteur : « Estremocentroalto, c’est cela. En finir d’écouter les autres, ceux qui font la révolution au bar, mettre fin à la confusion, à l’aliénation, à la scission. Commencer à faire ce qu’il nous plaît, en en prenant la responsabilité. Estremocentroalto c’est une manière de se revendiquer d’une communauté en marche et libérée du lest pour avancer plus vite (p. 99). »
 
Cette vitalité possède elle-même sa propre philosophie, certainement un peu « abrupte » pour nos contemporains. L’auteur s’y penche dans les chapitres « Mort » et « Vie ». Nous comprenons rapidement de quoi il est question. Un homme ne doit pas vivre pour vivre mais vivre pour exploiter au maximum ses capacités. Ainsi la construction d’un homme meilleur va de paire avec la constitution d’un ordre nouveau. La vie va de paire avec le sourire et la joie qui reviennent régulièrement dans l’ouvrage. Comme le dit Adriano Scianca, « le sourire est solaire ». L’auteur est à ce titre sans pitié avec ce qu’on appelle les « pro-life » à qui il reproche d’être des mouvements défensifs, c’est-à-dire réactionnaires. « L’Estremocentroalto a beaucoup d’ennemis avec un seul nom : Réaction (p. 333) », ou encore : « La logique créative a laissé la place à une logique défensive. Qu’y a-t-il de moins vital, en effet, que les nombreux mouvements pro-life, constitués de visages creux et exsangues d’enfants de chœur en service actif permanent ? La vie est une explosion, non une valeur ! (p. 345). » Adriano Scianca ne fait ici qu’écrire ce que nous sommes nombreux à avoir constaté, les mouvements de défense de la vie ou de la famille « traditionnelle », sont souvent des mouvements bourgeois et réactionnaires. Adriano Scianca n’hésite pas à égratigner au passage la dite « famille traditionnelle » qu’il qualifie de « bourgeoise et individualiste (p. 346) ». Ce qui se dégage ici c’est une vision très différente des rapports sociaux. La famille bourgeoise ne crée rien, elle reproduit. Or quel est le sens profond de la philosophie du livre ? Action et volonté, donc créer, fonder et « donner vie (p. 345) ».
 
Le chapitre « Marbre » est sûrement un des plus intéressants du livre, car il explique concrètement le fruit de cette action : fonder. Ce chapitre mêle un certain nombre d’éléments tout à fait pertinents : la nécessité de délimiter l’espace, le rapport au sacré (les lecteurs avisés pourront sûrement établir un lien avec l’œuvre de Mircea Eliade), la capacité pour les hommes de modeler leur environnement (assécher un marais, par exemple) et bien sur des considérations esthétiques, puisque Casa Pound s’affiche en lettres de marbre sur le fronton du bâtiment romain et aussi, d’une certaine manière, la ville nouvelle fondée va se donner à voir aux hommes par son style architectural qui est au cœur de ce qui permet d’identifier une civilisation. Car ne nous y trompons pas, Adriano Scianca sait pour quel objectif lutte C.P.I. : fonder une civilisation. Rien de moins. Ainsi le chapitre débute par cet échange :
 
« — Qu’est-ce que l’italianité ?
 
— L’italianité c’est le marbre qui l’emporte sur le marécage. »
 
Cet échange nous renvoie aussi à la question de l’identité, perçue par Adriano Scianca comme étant en perpétuelle évolution. La fondation est au cœur de l’identité définie par l’auteur. Ainsi Adriano Scianca oppose le mythe de la fondation de Rome, où Romulus va délimiter l’espace et tuer son frère qui transgresse la limite avec la légende de Caïn et Abel. Voilà ce qu’en dit Adriano Scianca : « Caïn est enraciné, actif et construit son monde. Abel est déraciné et n’a aucune intention de s’affirmer dans une dimension historique et humaine, qu’il estime profane et insignifiante » et lorsque Caïn tue son frère : « La punition de YHVH n’est pas choisie au hasard puisque Caïn, le paysan lié à la terre, devra cheminer sur la route de l’exil et devenir nomade (p. 226). » Voilà comment Adriano Scianca trace une nouvelle fois un profond sillon, entre une pensée héritée des mythes antiques européens, basés sur la divinisation de la terre, de la cité, la métaphysique de l’action, l’esprit d’aventure, de création et de conquête, et la pensée de l’Ancien Testament qui condamnerait la capacité de l’homme à créer et à agir, puisque seul YHVH est créateur, et qui fait de toute les figures créatives, actives, vitalistes et enracinées, des figures lucifériennes. On peut voir un lien ici entre Lucifer et Prométhée. L’identité développée par l’auteur se base donc sur des principes, une philosophie et non simplement sur du patrimoine ou des héritages. L’auteur critique la vision d’une identité-musée. « Pour un mouvement identitaire d’inspiration fasciste, donc toujours existentialiste et jamais essentialiste, l’identité n’est pas un simple fait tenu pour acquis dont il suffirait d’affirmer tautologiquement la présence ! Au contraire ! L’affirmation identitaire surgit précisément dans le but de conquérir un objectif, de dépasser une résistance, d’accomplir un parcours et d’affirmer une vision de soi (p. 186). » L’histoire de l’Europe et des Européens est une perpétuelle refondation. Les Européens de demain doivent concevoir l’identité comme un ensemble de ce qui fut, de ce qui est et de ce qu’ils feront. Adriano Scianca ne brosse pas ici une vision défensive et résistante de l’identité contre des menaces dont il faudrait se défendre, mais il exhorte à une vision volontariste de l’identité. Ainsi page 188 nous pouvons lire que « la nation n’existe jamais et il faut sans cesse la créer ». Cette phrase, qui peut paraître anodine est en réalité lourde de sens. De même que la phrase d’Oswald Spengler qui conclue le chapitre « Identité » : « Celui qui parle trop de race n’en a aucune. Ce qui compte ce n’est pas la pureté mais la vigueur raciale qu’un peuple possède (p. 189). » Une nouvelle fois, Adriano Scianca dessine une limite entre ceux qui ont un esprit défensif et ceux qui ont un esprit de conquête. Par la suite, le chapitre « Tradition » est l’occasion d’aborder assez longuement Julius Evola et de mettre ici aussi un coup de pied dans les conceptions attentistes. L’auteur cite en introduction du chapitre Gianluca Iannone à ce sujet : « Julius Evola ? […] L’un de ces intellectuels lus et diffusés principalement comme clé expérimentale, surtout pour justifier l’immobilisme d’une partie du milieu. En vérité, Evola a été autre chose qu’un gourou qui, sur un fauteuil à roulettes et dans une semi-obscurité, prêchait la formation du Moi aristocratique en attendant la grande guerre (p. 312). » Evola doit donc fournir non pas les armes intellectuelles d’un immobilisme aristocratique mais être lu comme une clé de compréhension de la Tradition et de ce qui nous amène à lutter. Lutter pour quoi ? Pour fonder un empire ? Pour créer une nouvelle civilisation. Ainsi s’exprime Julius Evola : « On peut se demander ce qui, au fond, distingue l’idéal impérial de celui religieux. En général, on peut dire ceci : le premier se fonde sur une expérience immanente, l’autre sur une expérience dualiste de l’esprit. Quand on ne conçoit pas de hiatus entre esprit et réalité, ni qu’on ne cherche le premier hors du second (Mon royaume n’est pas de ce monde…), la manifestation spirituelle est aussi celle d’une puissance qui vainc, subjugue et ordonne la réalité. L’inséparabilité de l’idée de puissance et de l’idée de spiritualité est le pivot de l’idéal impérial et guerrier (pp. 207-208). » Nous sommes donc des « sentinelles impériales (p. 206) », et portons notre empire en nous, dans n’importe quelle situation, même quand le contexte nous est hostile. Rien ne peut se fonder sans l’esprit de lutte. Car il est toujours question de lutte. La lutte, c’est la vie. Puisque chaque jour où le soleil se lève, nous devons au minimum lutter contre la faim et la soif. Ce qui n’est pas la vie, en revanche, c’est l’usure et le chapitre en question l’explique bien : « L’art, la maison, le travail : voici trois victimes de l’usure. Avec l’usure meurt la beauté, la dimension la plus profonde et la plus haute de la vie. La maison meurt, l’âtre, le terrain solide sur lequel se base toute existence réellement humaine. Enfin, le travail se meurt, qui ne donne plus de fruits, qui dépérit, qui devient stérile (pp. 328 – 329). »
 
Face à ce monde gris et décharné engendré par l’usure, Casa Pound oppose le style, l’explosivité, l’imaginaire. Car une chose est certaine, et le mouvement est critiqué pour ça, Casa Pound pourrait de l’extérieur passer pour un mouvement festif. Ce qui est à l’origine de Casa Pound peut laisser songeur au premier abord. Ce ne sont ni des prêches enflammés d’un tribun populiste, ni les manifestations contre les ennemis de la nation, ni les milliers d’autocollants venant s’écraser sur nos poteaux comme une vague s’éclate sur une digue, rien de tout ça n’est vraiment à l’origine de Casa Pound, à l’origine il y a un bar, le Cutty Sark et un groupe de rock, ZetaZeroAlfa. Casa Pound, qui ne portait pas alors ce nom là il y a quinze ans, est d’abord un mouvement culturel devenu un mouvement social puis un mouvement politique. D’abord il y a la communauté, soudée autour des soirées du Cutty Sark et des concerts de Z.Z.A., une communauté capable d’occuper des bâtiments pour loger des familles romaines. Une communauté vivante qui grâce à la culture et à son action sociale agrège peu à peu les jeunes italiens, pour devenir le mouvement que nous connaissons. Gianluca Iannone n’hésite pas à rappeler la genèse du mouvement en conclusion du livre : « Nous sommes encore surpris de voir comment, autour d’un groupe de rock, s’est construit un mouvement national qui agit dans tous les domaines de la vie quotidienne du pays, qu’il s‘agisse du sport, de la solidarité, de la culture ou de la politique. » Un pied de nez aux critiques du « gramscisme de droite » et à tous ceux qui n’envisagent la politique que sous l’angle du sérieux. D’ailleurs le chapitre « Art » est clair : « Pour la première fois un mouvement naît spontanément métapolitique, à savoir entièrement libéré des références aux partis et aux stratégies politiques (p. 52). » L’auteur de poursuivre : « On connaît l’intuition de Walter Benjamin, qui opposait l’esthétisation de la politique futuro-fasciste à la politisation de l’art communiste. » Casa Pound Italia est assurément un mouvement esthétique, une esthétique qui parle à la jeunesse. Casa Pound Italia c’est aujourd’hui la jeunesse, celle qui fréquente les bars, les concerts, les ateliers de tatouages, les clubs de sport, les universités, au premier abord, la même que la nôtre, sauf que… cette jeunesse qui vit à fond peut devenir une redoutable machine politique capable de se mobiliser pour le logement, pour les travailleurs, pour la défense d’un monument, pour l’université populaire, l’école publique, pour le don du sang, une jeunesse capable de venir aux victimes d’un tremblement de terre et de lutter contre le vampirisme des banques. Derrière les t-shirts de hardcore, les pantalons à carreaux ou les piercings dans le nez se cachent de véritables  « légions impériales (p. 206) » à l’assaut du futur. Idée que nous trouvons dans le préambule du chapitre « Jeunesse » : « À l’époque de la précarité et des castes de vieux oligarques, alors que toute boussole et toute latitude semblent perdues, le Blocco en appelle au rassemblement des jeunes en leur disant qu’il est possible, si on le veut, de redevenir les protagonistes de l’Histoire. Qu’il est possible, par la volonté et le sacrifice de reprendre en main son destin, de tout se ré-approprier (p. 167). »  Massés derrière la tortue fléchée du mouvement ou derrière l’éclair cerclé du Blocco Studentesco, dont Adriano Scianca donne la signification dans le chapitre « Symbolique », ils veulent conquérir l’avenir et crient « Giovinezza al potere ! », « la jeunesse au pouvoir !»
 
Le chapitre « Style » poursuit et complète naturellement le chapitre « Art ». Contrairement à la vision américaine du « staïle », le style décrit par Casa Pound est dynamique et vertical. Adriano Scianca va même jusqu’à dire : « Faire une chose précisément d’une certaine manière, parce que c’est ainsi que les choses doivent être faites et non d’une manière quelconque, parce que la forme est le plus essentiel (p. 306). » Cela peut évoquer les débats qui ont court chez les sportifs comme « gagner avec la manière », car ce qui compte ce n’est pas seulement de gagner, c’est d’avoir proposé un beau jeu. D’avoir fait honneur à son sport, de ne pas l’avoir dénaturé. Il en va de même ici pour l’action politique. Elle prend son sens avec les formes et grâce aux formes. « Il faut faire de la vie une œuvre d’art » peut-on lire page 308. L’auteur rappelle d’ailleurs l’étymologie du terme qui viendrait soit de « stylus », petit scalpel qui servait à écrire et donc à tracer et à donner du sens, ou alors du grec « stylos », la colonne. Le style c’est « l’homme vertical », la droiture : « Sens de la droiture, du dos bien droit, de l’homme vertical. La construction d’une figure saine, solaire, bien droite comme un menhir, comme un sceptre royal, comme une épée : voilà l’objectif d’une anthropo-technique positive, activée et stylée (p. 309). » Ainsi Casa Pound a développée une esthétique propre et nombreux sont les militants et sympathisants italiens et étrangers qui adhèrent en premier lieu à l’esthétique Casa Pound.
 
Le livre d’Adriano Scianca est également riche en réflexions diverses sur des thèmes aussi variés que l’amour, l’espoir, l’antifascisme, le fascisme, l’anarchie, les Juifs, l’honneur, la guerre, la violence, l’histoire, les différences, et bien sûr les femmes, si importantes pour la société et dont le mouvement défend le « temps d’être mère » (« tempo di essere madri ») mais n’enferme pas seulement dans la maternité. Ces thèmes peuvent faire l’objet d’un chapitre ou se retrouver de façon transversale. Les chapitres politiques auront surtout le mérite de rétablir quelques vérités historiques sur l’histoire du fascisme et sur la praxis fasciste quant aux religions. Si l’auteur est assez clair dans son rejet du « judéo-christianisme », il n’en demeure pas moins qu’il reconnaît la possibilité aux croyants de trouver une place dans la société moyennant l’abandon de certaines ambitions politiques. Ainsi le sionisme autant que la puissance de l’Église sont critiqués. Cela tranche clairement avec le nationalisme français, dans lequel l’élément catholique est souvent apparu comme un ferment d’unité. Il n’en est rien de l’autre côté des Alpes, car l’unité territoriale, politique, tout comme la mise en place d’une mystique propre furent freinée par l’Église, autant chez les catholiques conservateurs que chez les « catho-communistes » comme les appelle Scianca. On retrouve en filigrane l’opposition séculaire entre l’Empire et l’Église.
 
La lecture de ce livre n’a fait que me conforter dans mes impressions sur Casa Pound, bien que, comme je l’indiquais en préambule, certains passages pourraient être débattus ou critiqués. Il n’en demeure pas moins que derrière le décorum, Casa Pound est une entité vivante dotée d’une pensée propre. Et si nous pouvons appréhender le mouvement de l’extérieur, il convient d’en cerner les dynamiques internes. Ce livre peut y aider. Il doit aussi être une base sérieuse de réflexion pour nous tous sur ce que doit être le militantisme du IIIe millénaire. Il sera aussi une révélation pour certains, sur ce qu’ils sont ou ne sont pas. Objet militant, support intellectuel, source d’imaginaire ou retour au réel, ce livre doit aussi être une invitation au voyage pour palper, même timidement, cet organisme vivant et essayer de comprendre ce qui se cache derrière les apparences. Que Gabriele Adinolfi se rassure, en France aussi nous sommes nombreux à être des romantiques, à nous retrouver dans l’esthétisation de la politique et à rejeter les bigoteries diverses.
 
Pour le mot de la fin, nous pouvons le laisser à Gianluca Iannone :
 
« Parce que, lorsque tu donnes tout, tu possèdes tout. Parce que ce que tu ne possèdes pas encore, tu te le ré-appropries (p. 363). »
 
En deux mots : Tout reprendre !

Jean Non-Conforme
 
• Adriano Scianca, Casa Pound : une terrible beauté est née ! Les mots de Casa Pound : 40 concepts pour une révolution en devenir, préface de Gabriele Adinolfi, introduction de Flavio Nardi et postface de Gianluca Iannone, Les Éditions du Rubicon, Paris, 2012, 363 p., 24 €, à commander à : leseditionsdurubicon@yahoo.fr
 
• D’abord mis en ligne sur Cercle non conforme, le 5 novembre 2012.

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

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vendredi, 25 janvier 2013

Prezzolini on Representative government

Prezzolini on Representative government

Giuseppe_Prezzolini

“Representative government is artifice, a political myth, designed to conceal from the masses the dominance of a self-selected, self-perpetuating, and self-serving traditional ruling class.”


Giuseppe Prezzolini, Italian dissident, soldier & organic intellectual

mercredi, 16 janvier 2013

Il ricordo di Adriano Romualdi (1940-1973)

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Ricorrenze. Il ricordo di Adriano Romualdi (1940-1973), intellettuale controcorrente

Pubblicato il 17 dicembre 2012 da Gianfranco de Turris
Categorie : Personaggi Rassegna stampa
Ex: http://www.barbadillo.it/ 

Se lo sono chiesto, ce lo siamo chiesto, me lo hanno chiesto nel 1983, nel 1993, nel 2003: che cosa avrebbe fatto, che cosa avrebbe detto, che avrebbe scritto, come si sarebbe comportato Adriano se fosse stato vivo?

Una domanda cui non è facile rispondere, anche per uno come me che della storia fatta con i “se” si occupa. Una domanda però che sottintende un senso di distacco, di privazione, ancora d’incredulità di fronte al suo destino, di sotterranea ammirazione per un uomo immaturamente e tragicamente scomparso a causa di un’imperscrutabile e terribile decisione del Fato (che nel 2000 ha voluto ripetersi con Marzio Tremaglia), anche da parte di chi non l’ha mai conosciuto se non, forse, attraverso i suoi scritti.

Adriano era della mia generazione, quella degli anni ’40, ma il primo di tutti essendo nato proprio nel 1940: oggi avrebbe avuto 63 anni, un signore di una certa età con sicuramente alle spalle molti libri, moltissimi articoli, forse anche una carriera universitaria.

Personalmente già mi sono posto l’interrogativo presentando il volume di tutti gli scritti di Adriano dedicati ad Evola (Su Evola, Fondazione Evola, 1998), ma oggi come oggi non riesco a pensare esattamente alla sua posizione rispetto alla politica odierna, se non che sarebbe stato intransigentemente all’opposizione di quella attualmente espressa dal partito erede del MSI, soprattutto sarebbe stato contro la sua politica non-culturale. Infatti, l’azione di Adriano fu sempre su questo piano che possiamo definire metapolitica, secondo gli insegnamenti evoliani. In tutti questi anni, se fosse vissuto, la sua importanza avrebbe potuto essere, nonostante alcune sue rigidità caratteriali, quella di un catalizzatore culturale: sarebbe diventato un’importante figura di riferimento, organizzatore e promotore d’iniziative, in polemica con l’ufficialità. Per semplice induzione sono quasi sicuro che avrebbe polemizzato con gli indirizzi presi, nella sua ultima fase, dalla Nuova Destra, e penso proprio che in qualche modo ambiguo avrebbero cercato d’incastrarlo, com’è successo a molti altri, durante gli anni del terrorismo e dello stragismo, in qualcosa di losco, di certo lontanissimo dal suo modo di pensare e dai suoi intenti. Era, infatti, una personalità di primo piano, anche per essere il figlio di Pino, uno dei fondatori del MSI ed alla fine vice-segretario, e si esponeva parlando e scrivendo: insomma poteva dare fastidio e per le sue idee e per essere una figura aggregatrice.

Era, proprio per quel suo scarto di pochi anni di età, un “fratello maggiore” (mi pare che la definizione sia di Maurizio Cabona), perché l’unico “maestro” della Destra italiana del dopoguerra, anche se non voleva essere chiamato così, era e rimane Julius Evola, di cui Adriano, per la lunga vicinanza e frequentazione, e per essere stato il primo a divulgarne ed interpretarne la “visione del mondo”, può considerarsi l’unico vero “allievo”. Come tale, come “fratello maggiore”, aiutò ed incoraggiò diversi di noi aprendoci le pagine de L’Italiano, uno dei mensili politico-culturali degli anni ’70, su cui si fecero le ossa in molti e dove si dibatterono argomenti oggi comuni ma che allora erano “nuovi” per la Destra ufficiale e del tutto trascurati: non solo cinema e narrativa contemporanea, ma anche fumetti, uso dei mass media, scienza, ecologia, letteratura fantastica, nuove tecnologie e nuove forme d’espressione, analisi della persuasione occulta, tendenze del costume italiano.

Una parte cospicua della storia della cosiddetta “destra pensante” si dovrà fare esaminando le pagine de L’Italiano soprattutto nel periodo in cui Adriano se n’occupò abbastanza direttamente, cioè negli anni della “contestazione”, fra il 1967 ed il 1973.

Era, infatti, del parere che più che lamentarsi della situazione esistente si dovesse agire concretamente sul piano, appunto, culturale e metapolitico. Conclude, infatti, così il suo saggioPerché non esiste una cultura di Destra del 1965 ed in edizione definitiva del 1970: “Bastano pochi cenni per tracciare le linee di sviluppo di una cultura di destra. Ma quest’astratto orientamento incomincerà a prendere forma quando dei singoli si metteranno a scrivere ed a fare”.

Penso che molti dei suoi amici di allora, magari prendendo strade personali diverse, questa via l’abbiano seguita: hanno scritto ed hanno fatto, nei limiti quantitativi consentiti dalle difficoltà insite all’establishment culturale italiano, per parlare degli ostacoli frapposti dalla stessa Destra ufficiale.

Ma l’hanno fatto.

L’idea che Adriano aveva di cultura la espresse in questo suo saggio, ancor oggi attuale e preveggente, per il semplice motivo che, a distanza di quasi 40 anni, le condizioni – diciamo così ambientali – non sono cambiate affatto. Le ragioni essenziali e di fondo di questa storica difficoltà della “cultura di destra”, a parte le situazioni contingenti e pratiche che non venivano per nulla da lui sottovalutate, Adriano le sintetizzava così: “Ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio dell’egemonia ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo, neo-illuminismo e scientismo a sfondo psicanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d’estrazione “sociale”. Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione del mondo unitaria dell’uomo, dei fini della storia e della società”.

Invece – ecco la contrapposizione secondo le sue parole – “dalla parte della Destra nulla di tutto questo. Ci si aggira in un’atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese (…). A Destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica. Si è “patriottico-risorgimentali” e s’ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel Risorgimento con l’idea unitaria. Oppure si è per un “liberalismo nazionale” e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l’Ordine Europeo. O, ancora, si parla di “Stato Nazionale del Lavoro” e si dimentica che una Repubblica Italiana fondata sul lavoro ce l’abbiamo già – purtroppo – e che ricondurre in questi termini la nostra alternativa significa soltanto abbassarsi al rango di Socialdemocratici di complemento”.

E concludeva: “Basta poco ad accorgersi che se a Destra non c’è una cultura, ciò accade perché manca una vera idea della Destra, una visione del mondo qualitativa, aristocratica, agonistica, antidemocratica; una visione coerente al di sopra di certi interessi, di certe nostalgie e di certe oleografie politiche”.

Ecco perché nel saggio La “nuova cultura” di Destra, Adriano criticava le idee dell’allora nominato “consigliere culturale” del MSI, Armando Plebe, che era riuscito ad annacquare la piattaforma ideale dell’allora Destra Nazionale facendola diventare neo-illuminista, pragmatica, de-ideologizzata ed al massimo anti-comunista: “egli”, scriveva Adriano, “sotto il profilo ideologico è piuttosto un liberale che un uomo di Destra”. Plebe incassò e non replicò, ma si ricordò di queste critiche, tanto che dopo la sua morte non ebbe la minima remora a definire la posizione di Adriano come “l’aspetto più retrivo ed infecondo della cultura di destra”. Quasi quasi aveva ragione a contrario: nel senso che le posizioni dell’attuale partito che dovrebbe rappresentare la Destra italiana sembrano essere proprio quelle propugnate da Plebe; basti leggere il colloquio-intervista del suo presidente a La Repubblica (4 Novembre 2003) dove, alla domanda “Quali sono le nuovi componenti culturali del suo partito”, così risponde: “Indicherei tre radici essenziali: nazionale, nell’accezione non di nazionalismo ma di amor-patrio; liberale; cattolica”. Come ben si vede, Adriano aveva già capito tutto 40 anni fa. La sua posizione, infatti, faceva riferimento alla “Rivoluzione Conservatrice” nel senso più ampio, e non solo tedesco, del termine. Lo confermò in quello che fu uno dei suoi ultimi scritti: la risposta ad un’inchiesta su “le scelte culturali dei giovani di destra” che avevo preparato per Il Conciliatorema che poi venne pubblicata, poiché si era bruscamente troncata la mia collaborazione con il mensile milanese, sulla rivista dell’Ingegner Volpe, Intervento, nell’aprile 1973, pochi mesi prima del fatale incidente, e che ora ho riunito nel volume I non-conformisti degli anni Settanta(Ares, 2003).

Una rivoluzione che, come ben si sa, si rivolgeva ai valori del passato per andare avanti, secondo una definizione di Moeller Van Den Bruck da Adriano citata: “Essere conservatori non significa dipendere dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni”. Frase che – se permettete – accosterei ad un altro grande cui mi avvicinano alcuni miei interessi: Tolkien, il quale a sua volta diceva: “Autore o amatore di fiabe è colui che non si fa servo delle cose presenti”. In fondo esprimono lo stesso concetto.

Nel prendere questa posizione Adriano metteva in pratica i dettami di Julius Evola che già nel 1950, scrivendo per i ragazzi reduci dell’esperienza della RSI, su Orientamenti al punto secondo consigliava di abbandonare il contingente e mantenere l’essenziale. Per questo motivo, Adriano, pur essendo dissenziente su certe posizioni evoliane, poteva concludere così la sua risposta all’inchiesta prima ricordata: “Se mi è permessa una valutazione personale, noi che abbiamo letto da adolescenti Gli uomini e le rovine (e non siamo poi così pochi) siamo nel nostro ambiente – grazie ad Evola – i soli non qualunquisti”. Appunto, quel che è diventata la Destra ufficiale di oggi. Ma questa possibilità da lui indicata, purtroppo, non è mai stata sfruttata, né sembra possibile farlo attualmente anche se ci sarebbero le condizioni teoriche ottimali per farlo. Infatti, la Sinistra è ideologicamente,culturalmente e moralmente allo sbando: regge solo per il suo essersi da mezzo secolo innestata profondamente nei gangli della cultura italiana e per il rimanervi grazie alla forza d’inerzia, alla convivenza ed al mutuo soccorso. Oggi a sinistra si stanno ammettendo le colpe delle stragi compiute dopo il 25 aprile, si stanno ammettendo i compromessi ed i silenzi colpevoli nei confronti di Stalin e Togliatti, si riconosce l’asservimento degli storici ad una visione comunista con il conseguente condizionamento d’intere generazioni, si ammettono connivenze, complicità, conformismi. Eppure, non si riesce ad approfittare di questo momento di gravissima crisi perché l’ambiente della Destra Politica non è cambiato rispetto a quello descritto da Adriano 40 anni fa, non si è creata una “visione del mondo”, si è andati avanti alla giornata al punto da, alla fine, negare se stessa, rinnegando il proprio passato praticamente in blocco, rifiutando tutti i suoi riferimenti culturali, preferendo il Nulla o il qualunquismo (il che è quasi la stessa cosa) ad un serio ripensamento e ad una riattualizzazione: non ha rifiutato il contingente e mantenuto l’essenziale, ma ha rifiutato sia il contingente che l’essenziale. Ha tagliato, com’è stato scritto con grande compiacimento dei progressisti (ma strumentalmente, ai fini della politica-politicante), tutte le sue radici. Aggiungiamo che ha distrutto i ponti ed ha bruciato i vascelli alle sue spalle: ma non esiste alcun futuro senza un passato. Tanto meno con un passato costruito all’impronta, da neofiti, da nuovi arrivati. Ma c’è di peggio. Non ci si limita a rifiutare il passato di tutto un mondo umano, ma, per essere ben accetti, lo si denigra e lo si offende, andando addirittura contro certe correnti storiografiche che cercano di riequilibrare giudizi puramente ideologici su di esso, con un cinismo assoluto e strumentale. Sicché, per tornare a noi, si è potuto leggere che Adriano era un esaltato, che viveva condizionato dal nibelungico crepuscolo del nazismo, al punto di essere affetto da “autismo ideologico” e di rappresentare una “cultura di addetti alla nostalgia” (Marco De Troia, Fronte della Gioventù, Settimo Sigillo, 2001), quasi un piccolo cattivo maestro nazista, razzista e radicale (G.S. Rossi, La destra e gli ebrei, Rubettino, 2003), perché ovviamente il grande cattivo maestro era Julius Evola, entrambi contrapposti ai “buoni” del vecchio MSI, quelli che poi avrebbero creato l’attuale entità politica sua erede.

Di fronte a questo rinnegamento e a questa denigrazione da parte di una destra che si vuole accreditare presso i “poteri forti” attuali, non si può fare a meno di pensare a qualcosa di concreto, non solo ricordando Adriano, ma ristampando in edizione critica le sue opere da troppo tempo scomparse. Fosse vissuto sino ad oggi, con alle spalle il curriculum culturale di 40 anni di attività, sarebbe stato un punto di riferimento, come ho detto, di una resistenza non solo culturale e metapolitica, ma anche morale. Non essendoci più, noi non possiamo far altro che cercare di seguire gli spunti, le idee, i riferimenti che ci ha lasciato, adeguandoli ai tempi naturalmente, come del resto avrebbe fatto anche lui. Tempi questi che, mai – credo – Adriano avrebbe voluto prevedere, pur avendoli in parte immaginati, anche nelle sue visioni più pessimistiche.

A cura di Gianfranco de Turris

dimanche, 06 janvier 2013

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