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lundi, 20 septembre 2010

Teheran, Damasco e Caracas: il triangolo strategico

Teheran, Damasco e Caracas: il triangolo strategico

di Pamela Schirru

Fonte: eurasia [scheda fonte]

Teheran, Damasco e Caracas: il triangolo strategico

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Che l’Iran annoveri tra le sue “amicizie di lungo corso” anche il Venezuela non è una novità. Oltre al Brasile e alla Bolivia, nella lista dei partners politici latino-americani un posto di rilievo è occupato proprio dal Venezuela di Hugo Chavez. Un’amicizia lunga all’incirca un decennio quella che lega il leader maximo al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, rinnovata da frequenti incontri ufficiali. Nel 2004, in occasione di una visita ufficiale del presidente venezuelano in Iran, l’allora sindaco di Teheran Ahmadinejad (non ancora eletto alla carica presidenziale) rese omaggio al leader con l’inaugurazione di una statua raffigurante l’eroe nazionale Simon Bolivar, all’interno del parco Goft-o-Gou nei pressi della capitale iraniana. Nel 2006, Ahmadinejad e Chavez si rincontrano. Il primo da un anno è il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, il secondo, invece da due anni è di nuovo alla guida della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Il luogo dell’incontro stavolta è Caracas. È qui che i due leader rinnovano la loro “amicizia politica ed economica”. Un’alleanza, quest’ultima, incoraggiata nel 2005 proprio dal neo eletto presidente iraniano, deciso ad avviare una stretta collaborazione con i Paesi dell’America Latina. E il governo venezuelano non si è tirato indietro, accettando la sfida lanciata dal presidente iraniano. In cinque anni, le visite ufficiali del presidente venezuelano a Teheran si sono intensificate, segno di una buona intesa tra i due Paesi. In un solo anno (2007), Chavez ha raggiunto il suo omologo iraniano per ben due volte. Al centro dei loro incontri, la tutela dei reciproci vantaggi economici. Non c’è dubbio che Venezuela e Iran sono legati l’una all’altra da un doppio filo. Lo sono dal punto di vista politico, quando Chavez sostiene il diritto dell’Iran a sfruttare il nucleare per scopi essenzialmente civili; lo sono dal punto di vista economico, quando stringono accordi. A tal proposito, è opportuno ricordare il viaggio di Chavez in Iran del 2008. In questo frangente, il leader venezuelano ha avanzato una proposta al presidente iraniano: sostenere alcuni progetti industriali entro i confini nazionali bolivariani, attraverso il coinvolgimento di enti e società private iraniane. Un esempio perfetto di cooperazione “sud-sud”: l’Iran fornirebbe al Venezuela gli strumenti necessari, ovvero servizi tecnici e adeguata manodopera affinché questa concretizzi i numerosi progetti di espansione urbanistica e di sostegno all’edilizia locale. Un sistema di scambi e favori reciproci, quello messo in piedi dal governo di Caracas e favorito da quello iraniano, fondato essenzialmente sul rapporto qualità – prezzo.

L’Iran vede come prioritario – al fine di dare impulso alla sua economia interna – l’esportazione di servizi tecnici verso altri Paesi e in qualsiasi mercato che li richieda. Sull’altro versante, la parte venezuelana necessita di rinverdire il mercato interno attraverso buoni investimenti e mediante progetti frutto di una cooperazione sostenuta da costi ragionevoli e qualità di servizi. E l’Iran sembra volerglieli offrire. Sempre nel 2008, il governo iraniano ha firmato 150 accordi commerciali del valore di 20 miliardi con il Venezuela e si è classificato terzo tra i Paesi investitori. Alla luce di ciò, l’intesa tra i due è andata ben oltre, fino a toccare altri settori dell’economia: dall’elettricità all’ambiente, dall’agricoltura all’industria automobilistica. Compagnie miste venezuelano – iraniane fabbricano mattoni, producono latte e lanciano sul mercato auto e biciclette.

I due Paesi, in quanto membri OPEC, cooperano anche nel settore energetico – petrolifero. Un’intesa, la loro, sancita nel 1960 con la creazione dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio alla quale aderirono in origine, oltre all’Iran e al Venezuela, anche Arabia Saudita, Iraq e Kuwait. Attualmente, l’organizzazione si è ampliata fino a contare 11 membri permanenti. Tuttavia, l’idillio tra OPEC e Iran-Venezuela ha iniziato a scricchiolare nel 2008, quando l’asse Teheran/ Caracas ha inferto un duro colpo al cartello che controlla le esportazioni di greggio sul mercato globale. Al centro della disputa la valuta di scambio: meglio il dollaro o l’euro? Una diatriba culminata con una profonda frattura interna: l’Iran ha modificato il suo listino prezzi in euro, nonostante i restanti membri Opec abbiano mantenuto inalterata la valuta di scambio in dollari. Mentre Caracas ha optato per una politica monetaria ad hoc, da applicare al settore import-export. La misura è stata varata dal governo venezuelano ai primi di gennaio 2010 e consiste non tanto in una svalutazione, bensì in un adeguamento del valore della sua moneta, il bolivar in base alle necessità dettate dal mercato. In poche parole, il Venezuela può scegliere su una valuta debole e forte. Che cosa significa questo? Che la moneta nazionale si conforma alle diverse condizioni economiche, soprattutto nel settore delle esportazioni. L’economia bolivariana è strettamente legata alla produzione di materie prime, in particolare al petrolio, di cui possiede la quarta  più grande riserva certificata al mondo, dopo Iraq e Arabia Saudita, dopo le recenti scoperte nei pressi della Faglia di Orinoco: 314 milioni di barili estraibili, un terzo di tutte le riserve petrolifere mondiali. Fino al 2008, le entrate derivanti dal petrolio avevano raggiunto picchi elevatissimi, grazie all’ingente produzione di barili (stimati in oltre 3 milioni di barili al giorno) e al loro costo, altrettanto elevato: ciascun barile di “oro nero” costava intorno ai 100/150 dollari. Ma nell’ultimo trimestre dello stesso anno qualcosa inizia a cambiare, soprattutto a causa della crisi economica globale. Il prezzo del petrolio inizia a calare, fino a raggiungere la soglia dei 30 dollari a barile nel 2009. Per far fronte alla drastica caduta dei prezzi, l’OPEC opera un taglio altrettanto drastico della produzione pari al 25% al fine di ripristinare un certo equilibrio. Come ha reagito il Venezuela? Adeguando il prezzo della sua moneta alle sue individuali necessità. A partire dal 7 gennaio 2010, infatti, il governo di Caracas ha dato avvio al processo di “svalutazione-adeguamento” della moneta nazionale, dapprima per i prodotti di prima necessità per poi estendersi al settore petrolifero.

Una linea retta ideale unisce Teheran a Caracas passando per Damasco. E se i punti di questa linea si unissero, essi formerebbero un triangolo imperfetto. Iran, Siria e Venezuela che cosa hanno in comune queste tre realtà? Ad esempio, una rotta aerea percorsa due volte al mese da un vettore dell’Iran Air, la compagnia aerea iraniana. Per due sabati al mese, un Boieng 747SP decolla dall’aeroporto internazionale di Teheran e opera uno scalo di 90 minuti in terra siriana, prima di ripartire alla volta del Maiquetia International Airport di Caracas. Nata dall’intesa tra la società di trasporti venezuelano Conviasa e la compagnia di bandiera persiana Iran Air e inaugurata il 2 febbraio 2007, la rotta ha fin da subito generato sospetti sul versante occidentale. Dubbi e ipotesi hanno fatto da cornice in questi tre anni al volo 744 dell’Iran Air: che cosa trasporterà? Chi volerà a bordo dei suoi vettori? Domande rimaste senza risposta, se non fosse per alcune indiscrezioni filtrate dalle pagine di un “memorandum” risalente al 2008 e compilato da funzionari dei servizi segreti israeliani. Dietro il volo 744 dell’Iran Air si ritiene ci sia uno scambio di favori militari per via aerea. In poche parole, Chavez consentirebbe al leader iraniano di adoperare liberamente i propri aerei di linea in cambio di aiuti di varia natura: dal trasferimento di materiale scientifico verso i laboratori del Centro di studi e ricerca siriano a Damasco, agli aiuti militari diretti a Caracas. In particolare, si tratterebbe di spedizioni di macchine CNC, computer per il controllo di missili e di materiale per lo sviluppo di vettori. Le spedizioni verso “la zona franca” siriana sarebbero state fatte da una società iraniana – la “Shaid Bakeri” – nonostante i veti internazionali. Infatti, l’azienda è stata inclusa nel dicembre 2006 nella lista degli enti sanzionati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ris.1737), in ragione del ruolo svolto dall’Iran nello sviluppo del suo programma missilistico. Sanzioni ratificate lo scorso 18 giugno dall’Unione Europea. Nonostante i divieti imposti dalla comunità internazionale, la Siria avrebbe pertanto ricoperto il ruolo di corridoio di passaggio per gli scambi tra Teheran e Caracas.

Al di là di ipotesi e di supposizioni, le relazioni tra Caracas/Damasco e Iran/Damasco sembrano godere di buona salute. Nel primo caso, Chavez ha promesso al presidente siriano, Bashar al Asad, un supporto economico nella realizzazione di infrastrutture in terra siriana. In particolare, il governo venezuelano investirà nella costruzione di una raffineria che dovrà essere pronta entro il 2013. La struttura avrà la capacità di lavorare 140 mila barili al giorno. Mentre Caracas in veste di promotore finanziario, deterrà almeno il 30% delle azioni: la restante percentuale sarà ripartita tra Siria e Iran. Il progetto verrà portato avanti da un’impresa mista creata nel 2009, di cui fanno parte anche Iran, Malesia, Siria e appunto Venezuela e secondo stime approssimative, costerà circa 4,7 miliardi. Un piano ambizioso, ma nel contempo un segnale positivo nel settore dell’economia nazionale siriana nonché una prova di apertura nei confronti del mercato sud-americano. Le intenzioni di Caracas verso la Siria si sono spinte oltre: il 28 luglio 2010 nel corso della visita di Stato del presidente Asad a Caracas, il leader bolivariano ha esteso l’invito alla Siria a prendere parte all’ALBA, ovvero all’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America, in veste di osservatore del prossimo vertice del gruppo. L’intesa tra i due presidenti è sfociata poi nella firma di quattro accordi di collaborazione, in materia agricola e scientifica, che riguardano il trasferimento di tecnologie indispensabili per l’installazione di una fabbrica di olio d’oliva in territorio siriano.

Solidissimo il sodalizio tra Iran e Siria. Un’intesa strategica rafforzata nel corso delle due guerre del Golfo e cementata dal comune obiettivo di contrastare l’influsso israeliano nella Regione: dal 1967 la Siria rivendica le Alture del Golan occupate da Israele. Negli ultimi trent’anni, la vicinanza con l’Iran ha inoltre permesso alla Siria di uscire dal suo isolamento internazionale, durato troppo a lungo: dal 1963 al 2000. Cioè dall’ultimo colpo di Stato inferto alla già fragile struttura politica siriana dal partito baath, fino all’ascesa di Bashar al Asad, attuale presidente siriano e principale promotore di una politica distensiva in campo economico, favorevole ad un’apertura del mercato siriano verso l’esterno. Ma non solo. Entrambe sorreggono il movimento sciita libanese Hezbollah e la fazione radicale palestinese, Hamas. Infine, la Siria (come il Venezuela di Chavez) appoggia il diritto dell’Iran a proseguire lungo la strada dell’arricchimento dell’uranio, al fine di completare il suo programma nucleare per scopi essenzialmente civili. Come hanno più volte ribadito i presidenti dell’Asse Sud Americano-Asiatico, non è illegale fornire aiuti all’Iran e alla sua economia,martellata dalle pesanti sanzioni inflitte dalle Nazioni Unite e ratificate puntualmente dall’Unione Europea.

* Pamela Schirru è laureanda in Filosofia Politica (Università di Cagliari)

jeudi, 17 juin 2010

La Turchia progetta un mercato comune con Siria, Libano e Giordania

La Turchia progetta un mercato comune con Siria, Libano e Giordania

di Carlo M. Miele

Fonte: osservatorioiraq [scheda fonte]



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Con la prospettiva di una membership europea che si va allontanando sempre di più, la Turchia inizia a pensare concretamente a un’alternativa nel mondo arabo.


Si spiega anche così il progetto di un mercato comune nella regione, annunciato ieri a Istanbul nel corso del meeting arabo-turco.

Da parte turca il progetto – preannunciato qualche mese fa – punta a rilanciare il volume dei commerci con il mondo arabo, fermo a circa 25 miliardi di euro per anno.

Nonostante lo sviluppo registrato dall’economia della repubblica kemalista negli ultimi anni, infatti, i commerci con la regione rappresentano solo una piccola parte degli scambi che avvengono invece con l’Europa, che resta il principale partner commerciale della Turchia.

Il problema dovrebbe essere superato con la zona di libero scambio, che inizialmente dovrebbe comprendere la Siria, il Libano e la Giordania, oltre alla stessa Turchia.

Tra i quattro paesi dovrebbero essere stabilite delle facilitazioni anche in materia di visti.

Leadership turca     


Col nuovo progetto la Turchia intende rilanciare anche il proprio ruolo economico nella regione, dopo essere riuscita a rilanciare quello diplomatico.

Del resto, come hanno sottolineato diversi analisti citati dalla Bbc, il connubio tra politica estera ed economia sta diventando una caratteristica della gestione del governo guidato da Recep Tayyip Erdogan, che nei sue frequenti viaggi ufficiali all’estero si fa sempre accompagnare da un una importante delegazione di imprenditori.

In passato il governo guidato dal Partito di giustizia e sviluppo (Akp, di ispirazione islamica) ha sostenuto con forza il processo di adesione della Turchia alla Ue, che – ribadisce Erdogan – resta tuttora la priorità nell’agenda politica turca.

Tuttavia, poco è stato fatto dall’ottobre 2005 (quando sono stati avviati i negoziati tra le due parti) a oggi. I rapporti tra Ankara e Bruxelles si sono anzi raffreddati, a causa della volontà turca di non riconoscere Cipro e in seguito agli ostacoli posti da alcuni membri chiave dell’Unione, come Francia e Germania.

In questo lasso di tempo, la Turchia ha cominciato a guardare con sempre più insistenza a Oriente e al mondo arabo e musulmano. E l’idea di creare una zona di libero scambio con i vicini regionali assomiglia tanto alla ricerca di un’alternativa.

vendredi, 20 novembre 2009

Türkische Charmeoffensive

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Türkische Charmeoffensive

Erdogan umwirbt Araber und verteidigt das iranische Atom-Programm

Ex: http://www.ostpreussen.de/

In der türkischen Politik hat sich in den letzten Jahren ein deutlicher Wandel vollzogen – hin zu mehr Islam und pan-islamischer Solidarität. Jüngstes Anzeichen dafür war der Staatsbesuch von Ministerpräsident Recep Tayyip Erdogan im Iran. Dabei verteidigte Erdogan das iranische Atom-Programm, verurteilte Sanktionen und kündigte eine verstärkte türkisch-iranische Zusammenarbeit in Wirtschaft und Sicherheit an.

Die früher ausschließliche Westorientierung der Türkei, zu der auch die enge militärische Partnerschaft mit Israel gehört, geht im wesentlichen auf Kemal Atatürk zurück und wurde im Kalten Krieg durch den Beitritt zum Europarat 1949 und zur Nato 1952 verfestigt. In weiten Teilen der Bevölkerung, keineswegs nur in „bildungsfernen Schichten“, hat sich allerdings ein Umdenkprozess vollzogen, der schließlich in den Wahlsieg von Erdogans AKP 2002 mündete.

Die Ursachen sind vielfältig, haben aber primär mit der Behandlung muslimischer Staaten und Völker durch den Westen zu tun – Stichwörter Palästina, Irak, Afghanistan und Pakistan. Dazu kommt nun auch Frust über Widerstände in der EU gegen eine Aufnahme der Türkei. Aber bereits der Irak-Boykott ab 1992 hatte die Osttürkei auch wirtschaftlich schwer getroffen. Und Erdogan sieht sich durch Israel sogar persönlich mehrfach hintergangen: Vor allem durch den israelischen Luftangriff auf eine vermutete Atomanlage in Syrien 2007, der über die Türkei hinweg erfolgte, und den jüngsten Gaza-Krieg, den der damalige Premier Olmert einen Tag nach seinem Besuch bei Erdogan startete.

Die neue Linie wird von manchen Kommentatoren auch als „neo-osmanisch“ bezeichnet, weil sie im Unterschied zu dem auf die Turkvölker Asiens fixierten Pan-Turanismus „aufgeklärter“ türkischer Ultranationalisten nicht in diesem Ausmaß auf Sprache und „Türkentum“ ausgerichtet ist, sondern eben eher auf die „Umma“, die „Gemeinschaft der Gläubigen“ – sowie auf Gebiete, die einst zum Osmanischen Reich gehörten. Das erklärt etwa auch die vorsichtige Auflockerung in den Beziehungen mit dem christlichen Armenien.

Das erklärt ebenso das besondere Engagement am Balkan, nicht nur in Bosnien und Kosovo, und an verstärkter Zusammenarbeit mit Syrien und dem Irak. Nicht zu vergessen, dass der Sultan als Kalif auch Hüter der heiligen Stätten in Palästina war und dass die Anteilnahme an der Unterdrückung der Palästinenser, weil unterschwellig auf Nostalgie beruhend, sehr emotional ist. Man sah dies an den jüngsten Demonstrationen gegen die USA, als diese von ihrer Forderung nach einem israelischen Siedlungsstopp abrückten.

Die verstärkte Zusammenarbeit mit dem Iran ist angesichts der westlichen Drohungen mit einer Verschärfung des Boykotts bis hin zu Militäraktionen besonders brisant. Der bilaterale Handel, 2008 im Volumen von sieben Milliarden Dollar, soll ausgebaut und auf die Landeswährungen umgestellt werden. Die Türkei kündigte außerdem Investitionen von 3,5 bis vier Milliarden Dollar zur Erschließung des iranischen Erdgasfelds South Pars an und will iranisches Gas teils selbst konsumieren, teils über die geplante Gasleitung Nabucco nach Europa weiterliefern.

Bei der Zusammenarbeit in Sicherheitsfragen geht es nicht um Militärabkommen, sondern um den Kampf gegen gemeinsame innere Feinde. Das sind aufständische Kurden sowie sunnitische Extremisten, die vom Westen vereinfachend unter Al-Kaida zusammengefasst werden. Deren Terroranschläge waren in beiden Ländern lange Zeit ebenfalls gerne den nationalen Minderheiten zugerechnet worden, also den Kurden und im Iran auch den Belutschen – eine Propagandalüge, die sich nicht aufrechterhalten lässt.

In der Kurdenfrage hat Erdogan bereits einige bemerkenswerte Schritte gesetzt: Ein kurdisches Fernsehprogramm wurde zugelassen. Mit dem seit 1999 auf der Gefängnisinsel Imrali inhaftierten PKK-Führer Abdullah Öcalan gibt es indirekte Verhandlungen, und nun soll er sogar aus der Einzelhaft „erlöst“ werden: Er bekommt Mitgefangene. Der türkische Außenminister besuchte Erbil, was eine formelle Anerkennung der kurdischen Regierung im Nordirak bedeutet. Kurdenpräsident Masud Barzani lobte dafür Erdogan in den höchsten Tönen – was wie eine Absage an die türkischen Kurden aussieht. Umso größer ist daher das iranische Interesse, dass nun auch die iranischen Kurden nicht mehr auf Unterstützung von den Nachbarn hoffen können.    

RGK

Veröffentlicht am 12.11.2009

dimanche, 19 octobre 2008

M. Aflaq y el BAAS

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Michel Aflaq y el BAAS: un cristiano en los orígenes del nacionalismo árabe moderno.

por José Basaburua (Revista Nº 31)

En el nacimiento del moderno nacionalismo árabe, laico y socialista, encontramos a un cristiano sirio: Michel Aflaq.

Michel Aflaq.

 

El partido BAAS (trascrito en castellano también como BAAZ y BA´TH), motor del nacionalismo árabe moderno junto al naserismo, está inseparablemente unido, durante sus primeros 20 años de existencia, a la personalidad de Michel Aflaq.

 

En la fundación de este partido destacan dos personalidades: el cristiano sirio Michel Aflaq, nacido en 1.910, como teórico del partido y Salah Bitar como organizador. Ambos formaban parte de la pequeña burguesía de Damasco. Estudiaron en La Sorbona, donde contactaron con las ideologías en pugna en los años 30 en Europa: marxismo y fascismo.

 

Michel Aflaq regresará a Damasco, donde trabajará de profesor de historia, a la vez que destaca como doctrinario de ideas nacionalistas árabes y anticolonialistas.

 

Conoce la prisión en varias ocasiones. En 1.939 es arrestado por la administración francesa. Participa en la fundación de diversos círculos políticos que darán origen al futuro partido BAAS. En 1.948 es encarcelado, encabezando entonces el gobierno Shukri el Quwatli. En 1.949 es encarcelado de nuevo por Husni El Zaim, autor del primer golpe de estado en Siria tras la independencia de la potencia colonial. Bajo el gobierno de Adib El Shishakli entra otra vez en prisión en 1.952 y posteriormente en 1.954.

 

El partido BAAS.

 

El partido BAAS es fundado por un grupo de intelectuales árabes, fundamentalmente de Damasco, destacando como teórico el mencionado Michel Aflaq. De carácter nacionalista, socializante y panarabista, al partido BAAS (resurgimiento o renacimiento, en árabe) se organiza en casi todos los países árabes, incluso dentro de la OLP con Al Saiqa, alcanzando el poder en Siria e Irak en 1.963. A lo largo de los años, sufre tanto en Siria como en Irak diversas vicisitudes, por lo que las escisiones y los enfrentamientos internos dará lugar a la presencia de numerosos partidos de inspiración baasista en diversos países árabes. Así, por ejemplo, en Líbano llegarán a existir hasta 3 partidos baasistas enfrentados entre sí.

 

Las dos columnas doctrinales sobre las que se asienta, ya en sus orígenes, el partido BAAS son el nacionalismo y el socialismo. Así, cada país árabe formaría parte de la gran nación árabe, por lo que la actual estructura estatal, heredera en parte del colonialismo europeo, debiera desaparecer progresivamente. La segunda columna del edificio teórico del baasismo es el socialismo, poco definido y, en cualquier caso, no marxista. Ambos conceptos estarían inseparablemente unidos dentro de un proyecto revolucionario y de transformación; en palabras de Aflaq:

 

“La identificación que efectuamos entre la unidad (árabe, n.d.a.) y el socialismo consiste en dar cuerpo a la idea de la unidad. El socialismo es el cuerpo y la unidad es el alma, si así puede uno decir” 1 .

 

Las fuentes consultadas señalan cierta confusión en los orígenes y primeros años de la vida del partido.

 

Los orígenes más remotos del BAAS los encontramos hacia 1.941 cuando Michel Afaq y Salah Bitar crean un comité sirio de apoyo a Iraq, para evitar su entrada en la segunda guerra mundial.

 

Según Wahib al Ghanem2, uno de los primeros dirigentes, el BAAS nace de la fusión de dos grupitos: Ihya el Arabi (la reanimación árabe) de Michel Aflaq y Baas el Arabi (la resurrección árabe) de Takri Arzuzi.

 

Es en 1.947 cuando se celebra el primer congreso del mismo, coincidiendo en ello los diversos autores, al que asisten 247 intelectuales procedentes de diversos países árabes. Los asistentes tenían orientaciones ideológicas muy distintas, lo que le llevó a un acuerdo programático final de compromiso, muy genérico. Esa aparente debilidad ideológica inicial permitió, en el futuro, un amplio margen de flexibilidad táctica y doctrinal. En dicho congreso se nombra a Aflaq presidente y Salah Bitar como secretario general. El primer comité ejecutivo lo formarán Salah Bitar, Yalal As – Sayid y Wahib al Ghanem.

 

El BAAS desde su nacimiento, en parte por lo genérico de su programa en diversos aspectos, es un partido realista y flexible en sus alianzas con otras fuerzas políticas, por lo que pactará con nasseristas o comunistas, por pura conveniencia en aras de alcanzar el poder.

 

Sus principales ideas originarias eran:

 

1. Los pueblos árabes forman una unidad política y económica a la que denominarán: nación árabe, expresión que logrará gran fortuna.

 

2. La nación árabe también es una unidad cultural.

 

3. Sólo los árabes, como habitantes de la nación árabe, tienen derecho a determinar su futuro. De ahí su inicial posicionamiento frente al colonialismo y su neutralismo doctrinal.

 

El partido sufrió diversas transformaciones, incorporándose al mismo otros partidos socialistas y nacionalistas que ensancharían su base sociológica, muy estrecha en sus orígenes (intelectuales, básicamente). Así, en 1.954, el BAAS se fusiona con el partido Arabe Socialista de Akram Hurani, por lo que desde entonces adopta el socialismo como seña de identidad, si bien para otros autores, su denominación de “socialista” figuró ya desde 1.947

 

El objetivo fundamental del BAAS era la unidad de la nación árabe y el partido se definirá en su constitución, por ello, como árabe, nacionalista, socialista, democrático y revolucionario.

 

Ideología de Michel Aflaq.

 

Durante su estancia en París, inicialmente ambos fundadores simpatizarán con el nacionalsocialismo alemán, por haber conseguido a su juicio, una síntesis entre ambos conceptos, que ellos quieren aplicar al mundo árabe. Como causa de su debilidad diagnosticarán la fragmentación territorial y del poder de los árabes. En concreto, algunos autores se remiten al teórico alemán Alfred Rosenberg como inspirador de ambos3.

 

Nacionalismo y socialismo son las columnas fundamentales sobre las que se sostiene la ideología de Aflaq y que trasladará al BAAS.

 

Dada su confesión cristiana, greco – ortodoxo en concreto, veamos su posición frente al islamismo. Algunos autores, egipcios especialmente, considerarán que nacionalismo e Islam eran incompatibles. Tal pretensión se intenta desmentir desde las altas instancias del partido. Lógicamente, Michel Aflaq, como principal teórico del partido, ya en 1.943 señalará que:

 

“El Islam presenta la imagen más brillante de su lengua y de su literatura (árabes, n.d.a.), y la parte más importante de su historia nacional es indisociable de él, porque el Islam en su esencia y en su verdad es un movimiento árabe que representa la renovación y la culminación de la realidad, porque descendió a su suelo y en su lengua, porque el apóstol (Mahoma) es árabe y los primeros héroes que lucharon por el Islam y lo hicieron triunfar fueron árabes, porque su visión de la realidad se identificaba con el espíritu árabe, las virtudes que fomentó eran virtudes árabes, implícitas o explícitas, y los defectos que fustigó eran defectos árabes en vías de desaparecer” 4 .

 

Para Michel Aflaq el Islam se había regenerado en la época moderna en el nacionalismo árabe.

 

En cualquier caso, pese a tales afirmaciones, el BAAS siempre ha sido sospechoso de laicismo para los movimientos islámicos, enfrentándose a los mismos en numerosas ocasiones.

 

La búsqueda de un nacionalismo socialista le llevó a una neutralidad teórica en política exterior, no alineándose a las corrientes europeas.

 

Michel Aflaq, ante occidente, se opone resueltamente, por ser sus potencias coloniales las que un día explotaron a los árabes, impidiendo su unidad. Tampoco se identificará con los países comunistas, pues el marxismo, su base ideológica, es contrario a los nacionalismos y, por ello, antiárabe.

 

Ante el comunismo, Aflaq muestra un absoluto desacuerdo que concretará en tres aspectos:

 

1. Frente al determinismo marxista, considera la revolución como un acto explosivo de libertad.

 

2. Frente al internacionalismo proletario, afirma el nacionalismo árabe.

 

3. Respecto al papel de la religión, Aflaq, en contra de lo afirmado por el marxismo, considera que moral y religión son valores fundamentales y eternos5.

 

Ello le llevará a que el partido BAAS en los años 40 y 50 sea profundamente anticomunista. Después, ya en el poder, establecerá algunas alianzas temporales con partidos comunistas, siguiendo la política de Frente Nacional. Pero dado que occidente apoya tradicionalmente a Israel, en particular los Estados Unidos, Aflaq considerará ya en 1.956 como lógica la convergencia con la Unión Soviética, al coincidir en su lucha contra el Estado de Israel y precisar de apoyos exteriores en ese sentido.

 

Ya en 1.971, Bitar analiza la situación del partido de forma muy crítica, afirmando que los jóvenes del mismo estudian al marxismo leninismo, no por convicción comunista, sino por la necesidad de una formación ideológica que el partido no había sido capaz de proporcionar6.

 

El BAAS en Siria.

 

Tras la independencia de Siria, se suceden numerosos gobiernos y golpes de estado.

 

Ya hemos visto que el BAAS nace en 1.947, de la mano de unos intelectuales y de una estrecha base humana de unos pocos cientos de militantes en toda Siria. Sin embargo, el BAAS logrará la adhesión de diversos oficiales del joven ejército sirio, en particular pertenecientes a la minoría alauita.

 

El dictador Shishakli cae en 1.954. Merced una alianza con diversos partidos, algunos baasistas entran en el gobierno, caso de Bitar.

 

De 1.958 a 1.961, tiene lugar la unión con Egipto en la R.A.U., lógica consecuencia del panarabismo preconizado.

 

A partir de 1.963, a raíz del golpe de estado que lleva al BAAS al poder, la influencia de los militares dentro del partido se hace patente.

 

En 1.964 Aflaq y Salah El Yedih se unen, eliminando a la corriente marxista encabezada por Saadi.

 

En 1.966 el ala de izquierda del BAAS encabezado por un militar, Salah El Yedih, mediante un golpe de estado retoma el poder en Siria. Aflaq y el resto de los fundadores históricos desaparecen del ejercicio del poder real. Los nuevos dirigentes, denominados neobaasistas al revisar algunos de sus planteamientos originales, se aproximan a la Unión Soviética en el plano exterior y en el plano ideológico, lo harán al socialismo científico. Pero, de forma paralela, se establece la alianza con la minoría alauita.

 

En 1.970 Yedih es desplazado en el poder por el actual presidente Hafed El Assad, quien desarrollará una política internacional de búsqueda de nuevos acuerdos.

 

Con la evolución política interior de Siria que ya hemos señalado, el BAAS arraiga fundamentalmente entre la minoría religiosa alauita. Se trata de una rama del chiísmo ismaelita a la que pertenecen en Siria menos del 20% del total de su población. Apoyados por la potencia colonial, Francia, mientras permaneció en Siria, reclutará entre esa minoría tropas aguerridas, que engrosarían fuerzas de choque. El ejército sirio, con la independencia, se apoyará en esta minoría, de la que forma parte el actual presidente Hafez Al Assad. Lógicamente, los Hermanos Musulmanes, sunitas, acogieron con absoluta desconfianza al nuevo gobierno. Pronto comenzarían los incidentes entre ambas fuerzas sirias7, especialmente en la ciudad de Hama, en la que se vivieron alzamientos ya en 1.963; también protagonizaron diversos atentados en diversas zonas del país, lo que en todo caso acarreó gravísimas represalias gubernamentales. La acción más grave tuvo lugar en 1.979, al producirse un atentado de los Hermanos Musulmanes contra la escuela de artillería de Alepo, que causó la muerte de 83 alumnos oficiales, alauitas. El régimen respondió con la práctica del terror. En 1.982 se vuelve a sublevar Hama, dominando toda la ciudad tras una dura lucha que generó varios miles de muertos.

 

El BAAS en Iraq.

 

El BAAS iraquí tiene su origen en otros grupos políticos anterirores: el Islah (reforma), que había apoyado al régimen pronazi de de Rashid Alí, Al Istiqlal (independencia), y el Partido Socialista Nacional de Salih Yaber8.

 

En febrero de 1.963 un golpe de estado lleva al poder al BAAS, que se encontraba dividido en varias fracciones. Pero el presidente de la República Aref, logra eliminar a los baasistas del gobierno.

 

En 1.968 el BAAS vuelve al poder de la mano de unos militares no baasistas. Se suceden las crisis dentro del gobierno y del partido BAAS. En 1.979, alcanza el poder Saddam Hussein, quien acumulará todos los cargos con poder real del gobierno, ejército y partido, logrando un poder absoluto hasta hoy.

 

Iraq se alineó inicialmente con los países árabes moderados, constituyendo un polo de atracción y muro de contención de los árabes ante el radicalismo chiíta del Irán. Dicho enfrentamiento generó una cruenta guerra con cientos de miles de víctimas de ambas nacionalidades. Pero, años después con la invasión de Kuwait, perdió el apoyo de casi todos los gobiernos árabes, salvo Jordania y Libia, y otros países musulmanes como Sudán..

 

Al igual que en Siria, el BAAS iraquí enraiza en una minoría, en concreto en el clan familiar de Sadam Huseim, de creencias sunitas. También encontraremos a algunos cristianos, como es el caso del muchos años ministro de asuntos exteriores Tarik Aziz (católico de rito caldeo).

 

Michel Aflaq en el ostracismo.

 

Hemos visto ante que el nacionalismo socialista del BAAS le llevará a vagas afirmaciones ideológicas, por lo que desarrollará gran movilidad táctica. Esta vía le permite rechazar toda asimilación a modelos occidentales, capitalistas o marxistas, optando por ello en el plano exterior con la no alineación, si bien por motivos tácticos, se aproximó en los años 70 al bloque soviético, lo que favoreció también el apoyo occidental al estado de Israel. Posteriormente, con los complejos avatares de la política nacional de Siria e Irak, y con un creciente protagonismo en ambos de los militares, los dos partidos BAAS en el poder se convierten en instrumentos de poder de dos personas y sus clanes familiares: Hafed el Assad en Siria y Saddam Husseim en Irak. En la actualidad, pese al origen ideológico común, ambos países se encuentran alineados en el plano internacional de forma diferente, habiendo desempeñado un papel muy distinto en ese sentido. Siria ha jugado la baza del radicalismo árabe frente Israel, intentando dominar al movimiento palestino, lo que no ha logrado, pero si que ha conseguido fraccionarlo, merced a la creación en su día del Frente de Rechazo ante la OLP de Arafat. Por otra parte, ha jugado la baza del Líbano en un doble sentido: el control del mismo a modo de protectorado y su utilización frente a Israel. Irak jugó inicialmente la baza de la moderación y de la contención del chiísmo persa. Pero evolucionó al radicalismo como una huida hacia delante a raíz de la aludida invasión de Kuwait.

 

Michel Aflaq es postergado en 1.966 en Siria a raíz de las diversas oscilaciones del poder en Damasco y de la radicalización que triunfó en la fracción baasista en el poder. Por ello, se trasladará a Irak, al formar parte de la Dirección Internacional del BAAS y al radicar allí un régimen baasista inicialmente moderado. Hemos visto que el BAAS iraquí tiene, en sus orígenes, varias tendencias. Una de ellas, la más derechista, es apoyada de alguna manera por Aflaq, pero en el futuro desarrollo del curso político en Iraq en los años siguientes, esa corriente es progresivamente desplazada por otros protagonistas. Con ello, la estrella de Aflaq dejó de brillar.

 

Pierde, con todo ello, protagonismo real en la dirección del BAAS.

 

Todavía en 1.977, el intelectual francés Jacques Benoist-Méchin, entrevista a Aflaq para su libro “Un printemps arabe”, pues constituyó una figura clave para entender el moderno nacionalismo árabe.

 

Muere en París el 23 de junio de 1.989. Su muerte pasó desapercibida para los medios oficiales sirios. Su camarada Salah Bitar había muerto, también en París donde se había exiliado, pero asesinado, hacía 9 años.

 

Michel Aflaq es producto de una época hiperideologizada. A raiz de sus estudios en Europa entra en contacto con las diversas ideologías en pugna. Nacionalista por su origen familiar, considerará que el socialismo es imprescindible para la superación del atraso social árabe, si bien pospondrá tal objetivo a la consecución de la unidad nacional. Sin una base ideológica muy firme (su socialismo era de formulación muy genérica y un tanto demagógica), por causas tácticas pactará con aliados ocasionales diversos, incluso con comunistas ortodoxos pro-soviéticos. En cualquier caso, intentó una síntesis ideológica original en la que, sin duda, pesó sus orígenes cristianos.

 

Y dada su postura moderada, dentro de la evolución histórica del BAAS, quedará marginado ante la evolución sufrida por dicho partido tanto en Siria como en Irak, que caerá bajo el control de minorías vinculadas al poder militar en ambos países, lo que supone un fracaso al ser contradictorio con las pretensiones populares del baasismo. De hecho, las luchas intestinas dentro del partido y la represión de los opositores políticos, generará en ambos países miles de víctimas.

 

Con todo, es de destacar un logro importante, consistente en que las minorías religiosas no musulmanas han disfrutado de cierta libertad de acción, tanto en Siria como en Irak, en comparación a las restricciones absolutas impuestas en otros países musulmanes como Arabia Saudita. Sin duda, ello es producto de la tendencia no confesional original del Baas.

 

El baasismo ha sido considerado como uno de los episodios más importantes acaecidos en la historia del mundo árabe a lo largo del siglo XX9. Incluso hoy día, la postura internacional de Irak ha sido tomada como referencia para diversos movimientos progresistas de toda esa área internacional, postura que es en buena medida coherente con los postulados doctrinales originales que contribuyó a estructurar Michel Aflaq.

 

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José Basaburua (Revista Nº 31)

 



1 Michel Aflaq. “El combate del destino unido”. 2ª edición. Beirut. 1.959. Pág. 53.

2 Así lo recoge Zidane Zeraoui. “Siria – Iraq. El Ba’th en el poder”. Universidad Nacional Autónoma de Méjico. 1.986. Pág. 7.

3 Hichem Djaït. “Europa y el Islam”. Ediciones libertarias. Madrid. 1.1.990. Pág. 116.

4 Michel Aflaq. “Selecciones de textos del pensamiento del fundador del partido Baas”. Madrid. 1.977. Pág. 12.

5 Según recoge Zidane Zeraoui. Obra citada. Pág. 12.

6 Según cita recogida por Zidane Zeraoui. Obra citada. Pág. 6.

7 Sobre la ideología de los Hermanos Musulmanes: “El despertar del Islam”. Roger du Pasquier. Desclee de Brouwer”.Bilbao. 1.992. Se recoge en dicho texto también el enfrentamiento con el baasismo en Siria.

8 Según Samir Amin en “La nación árabe. Nacionalismo y lucha de clases”. Citado por Zidane Zeraoui en el texto mencionado.

9 Hichem Djaït. Obra citada. Página 190.