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mercredi, 03 octobre 2012

Siria: L’errore di calcolo della Turchia!

Siria: L’errore di calcolo della Turchia!

Dr Amin Hoteit, Mondialisation , al-Thawra

Ex: http://aurorasito.wordpress.com/

Quando la Turchia ha preparato il suo ruolo di “Direttore Regionale della ricolonizzazione” come “potenza neo-ottomana” o “moderno califfato islamico“, ha pensato che avrebbe fatto strada senza problemi, data la mancanza di strategia araba, l’isolamento dell’Iran e l’evoluzione delle condizioni regionali che hanno reso Israele incapace di mantenere consistente il proprio ruolo, secondo le teorie di Shimon Peres, promuovendo l’idea di un “Nuovo o Grande Medio Oriente“, basata sul “pensiero sionista” e il “denaro arabo“.

La Turchia ha veramente pensato che questo fosse il modo migliore per garantirsi la leadership della regione, per iniziare, poi del mondo musulmano … confortata in questo dai suoi punti di forza economici, dalle sue buone relazioni con i popoli di tanti stati indipendenti dell’Asia centrale, il suo passato musulmano assieme a un presente che dimostrerebbe la capacità degli “islamisti” nel prendere le redini dello Stato turco e neutralizzare l’ostacolo dell’Esercito “guardiano della laicità”, istituito da Ataturk!

In base a questa visione, la Turchia, o meglio il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, ha lanciato la sua strategia di “zero problemi“, pensando che le avrebbe permesso di attraversare le frontiere dei confinanti e far dimenticare le tragedie storiche commesse contro diversi popoli e stati della regione, prima di involarsi verso il suo nuovo sogno imperiale… Quindi “conquistata” la causa palestinese, causa centrale per gli arabi e i musulmani [per i popoli e i regimi non asserviti all'Occidente e ad Israele], ha iniziato a tessere relazioni strategiche con diversi paesi della regione, a partire dal più vicino e più importante: la Siria! In effetti, in un libro pubblicato nel 2001, Davutoglu, il teorico del “zero problemi” aveva sottolineato che la Turchia non poteva realizzare i propri progetti imperialistici che partendo dalla Siria, passo preliminare per assicurarsi il sogno della profondità strategica!


In questo caso, si deve rilevare che la Siria ha risposto positivamente alla nuova politica di apertura della Turchia e, in piena fiducia, aveva stabilito una partnership strategica con uno stato ancora membro della NATO, che “coltivava un rapporto speciale con Israele“, pensando che questo nuovo approccio permettesse almeno di garantirsi la sua neutralità nel conflitto con il nemico sionista e, eventualmente, affidargli alcune missioni nel quadro di questo stesso conflitto, in cui non avrebbe più dimostrato un palese sostegno verso Israele.
Ma la Turchia non è stata onesta e aveva previsto l’esatto opposto di quello che offriva, non appena l’aggressione occidentale, agli ordini dei piani degli Stati Uniti basati sulla strategia intelligente del “soft power“, si è abbattuta sulla Siria, è entrata nel suo ruolo di “regista sul campo dell’aggressione” e si è messa a “dare lezioni” avvalendosi della lingua condiscendente dei colonizzatori, come se la Siria fosse ancora parte dell’Impero Ottomano! Ciò fu chiaramente il suo primo errore di calcolo, in quanto la nuova moda neo-ottomana incontrava la resistenza araba siriana, proibendogli di ripristinare un passato che ne ignorasse la dignità e la sovranità; ciò ha innescato la furia e l’odio in cui i leader turchi si sono pubblicamente immersi, nel tentativo di minare dall’interno la Siria.


A questo punto, la Turchia ha svolto il ruolo di cospiratore su due livelli:
· A livello politico, ha sponsorizzato i gruppi di agenti dei servizi segreti di vari paesi e varie figure revansciste cariche di odio o di vendetta, assetate di potere, prima di organizzare un cosiddetto “Consiglio nazionale siriano” [CNS], che in realtà è al soldo di servizi ed interessi stranieri in Siria. In questo modo, pensava che questo falso consiglio sarebbe stata un’alternativa alle legittime autorità siriane… Secondo errore di calcolo, poiché essendo il CNS nato come strumento della discordia straniera, si è evoluto verso una discordia interna maggiore, trasformandosi in un cadavere putrefatto, così divenendo un peso per i suoi creatori, e per la Turchia per prima!


· Sul piano militare, si è trasformata in una base di raccolta dei terroristi di tutte le nazionalità, attaccando la Siria prima dell’esecuzione di un’operazione militare internazionale di cui sarebbe stata la punta di lancia, raccogliendone i frutti trasformandola nel cortile dell’impero neo-ottomano rinato dalle ceneri… Terzo errore di calcolo manifesto, dopo che una simile operazione, cosiddetta “internazionale”, si era rivelata impossibile, ciò ha spinto la Turchia a non concentrarsi che su sordide azioni terroristiche sul suolo siriano! Il partito al governo in Turchia aveva, infine, puntato tutte le sue speranze sul terrorismo internazionale, e aveva immaginato che la Siria sarebbe crollata in poche settimane, aprendo la via di Damasco al nuovo sultano ottomano… Quarto errore di calcolo, davanti a una Siria in cui tutte le componenti statali e civili resistevano alla marea terroristica, ritenuta infrangibile, la  Turchia è ritornata a quella dura realtà che non si era degnata di prevedere.
In effetti, la Turchia aveva immaginato che la difesa siriana e quella dei suoi alleati regionali dell’”asse della resistenza“, in perfetto accordo con il fronte del rifiuto emergente sulla scena internazionale, non avrebbe potuto resistere nel caso di uno scontro così ben condotto e che, in ogni caso, l’avrebbe dovuto affondare… Quinto errore di calcolo, particolarmente pericoloso vista l’evoluzione del teatro delle operazioni a scapito delle sue velleità. Non citeremo che le conseguenze fondamentali:

1. Definitivo fallimento della Turchia nella sua guerra terroristica contro la Siria, condotta congiuntamente al “campo occidentale degli aggressori“… Inoltre, ora è fermamente convinta che non è possibile rovesciare il governo siriano, il popolo siriano è l’unico in grado di deciderlo.


2. Fallimento degli sforzi della Turchia a favore di un intervento militare diretto, volto a trasformare la prova, ora che tutti i suoi tentativi di creare  “zone di sicurezza“, “zone cuscinetto“, “corridoi umanitari” o qualsiasi altra scusa che consentisse l’intervento militare straniero in Siria, sono falliti miseramente di fronte alla resistenza siriana, alla fermezza iraniana e alla coerenza russa nel loro rifiuto concertato di un tale risultato, anche se avessero dovuto arrivare a un confronto militare internazionale, mentre la Turchia ed i suoi alleati non erano preparati a tale possibilità.


3. La grave angoscia della Turchia sul futuro dei gruppi terroristici che ha accolto sul suo territorio e diretto contro la Siria sotto la supervisione degli Stati Uniti; ciò dovrebbe ricordarci che il fenomeno degli “afghani arabi” è diventato un problema per il paese che li ha spinti a combattere contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, dove una volta che le truppe sono partite sono diventati dei “veterani disoccupati“, minacciando ogni sorta di pericoli; una situazione non molto diversa da quella che potrà incontrare la Turchia, oggi! E’ per questo motivo che si è affrettata a chiedere il soccorso degli Stati Uniti nell’aiutarla a prevenire questa probabile piaga… E’ per questo motivo che recentemente le forze di sicurezza dei due paesi si sono incontrate e che, contrariamente a quanto è stato riportato dai media, non hanno parlato dello sviluppo dei preparativi finali per l’intervento militare in Siria, ma di difendere la Turchia, che teme per la propria incolumità in caso di una controffensiva lanciata dalla cittadella siriana che resiste alla sua violenta aggressione per mezzo di interposti terroristi.


4. L’ansia non meno grave della Turchia per certi dossier che sono sul punto di esplodere, mentre cerca di nasconderli con la sua presunta politica di “zero problemi” trasformata in pratica nella politica di “zero amici“; il più pericoloso di questi casi è l’ostilità dei popoli, di gran lunga superiore a quella dei governi. Così, quattro temi principali minacciano l’essenza dello Stato turco e perseguitano i suoi dirigenti:
· Il dossier settario: la Turchia ha ritenuto che accendendo il fuoco settario in Siria, si sarebbe salvata dall’incendio. Ha dimenticato che la sua popolazione è ideologicamente e religiosamente eterogenea, e che lo stesso fuoco potrebbe bruciare data la sua vicinanza geografica; cose che sembra aver capito ora…
· Il dossier nazionalista: la Turchia ha pensato che potesse contenere il movimento nazionalista curdo… un altro errore di calcolo, perché questo movimento è diventato così pericoloso che l’ha costretta a riconsiderare seriamente la sua politica globale nei confronti di esso.
· Il dossier politico: la Turchia ha immaginato che basandosi sulla NATO potesse ignorare le posizioni dei paesi della regione e d’imporre la sua visione basata sui propri interessi, ma ora è sempre più politicamente isolata, i paesi sulla cui amicizia sperava di contare nell’aggressione contro la Siria, si sono allontanati per paura della sua smisurata ambizione, e i paesi che ha trattato da nemici, al punto di pensare che potesse dettargli i propri ordini o di schiacciarli, si sono dimostrati in grado di resistere con una forza che l’ha sconcertata… lasciandola nella situazione inaspettata di “zero amici“!
· Il dossier della sicurezza: la Turchia cerca invano di negare il declino della sicurezza nel suo territorio, diventata estremamente penosa per i suoi commercianti e soprattutto per coloro che lavorano nel settore del turismo e che hanno perso più del 50% delle loro entrate normali nel corso degli ultimi sei mesi!


Tutto ciò mostra che la Turchia si trascina dietro gli USA, supplicandoli di farla uscire dal pantano in cui è sprofondata! Non solo ha fallito nella sua aggressione contro la Siria, e ha rivelato la falsità della sua politica e di tutte le sue dichiarazioni, ma non è neanche più sicura di salvare le carte che ancora pensa di detenere, ora che gli eventi di Antiochia, le rivendicazioni armene, gli attacchi curdi, gli oppositori interni alle politiche del governo attuale, e la mancanza di cooperazione assieme alla sfiducia dei paesi della regione, sono diventati fattori che, tutti insieme, possono generare turbolenze verso i piani imperialistici di Erdogan e del suo ministro degli Esteri; ricordando, in questo caso, l’aneddoto del giardiniere innaffiato!

Il dottor Amin Hoteit è un analista politico, esperto di strategia militare e generale di brigata in pensione libanese.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

lundi, 01 octobre 2012

Jeremy Salt: 23 razones por las que no debe aceptar sin crítica la visión occidental de la revuelta en Siria

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Jeremy Salt: 23 razones por las que no debe aceptar sin crítica la visión occidental de la revuelta en Siria

A medida que la insurrección siria avanza dando bandazos hacia la guerra civil, es preciso poner freno a la propaganda que se difunde por los medios de comunicación occidentales y que es aceptada acríticamente por muchos que deberían estar mejor informados. He aquí, pues, una matriz de posiciones sobre lo que está pasando en este importante país de Oriente Medio.


1. Siria ha sido un estado mujabarat (de inteligencia) desde que el temible Abdel Hamid Al Serraj dirigiera los servicios de inteligencia, como el deuxième bureau, en los años 50. El estado autoritario que se desarrolló desde que el antiguo presidente sirio Hafez Al Asad tomó el poder en 1970 ha aplastado a todos los disidentes sin piedad. En ocasiones, la alternativa ha sido él o ellos. La ubicua presencia del mujabarat es un hecho desagradable en la vida de los sirios, pero cuando Siria es un objetivo central del asesinato y la subversión llevados a cabo por Israel y los servicios de inteligencia occidentales, cuando ha sido atacada militarmente de forma reiterada, cuando ha tenido una gran parte de su territorio ocupada, y cuando sus enemigos están buscando continuamente oportunidades para derribar al gobierno, es difícil decir que el mujabarat no es necesario.

2. No hay duda de que la mayor parte de las personas que se manifiestan en Siria quiere una transición pacífica hacia una forma democrática de gobierno. Y tampoco hay duda de que los grupos armados que operan tras las manifestaciones no tienen ningún interés en la reforma. Quieren destruir al gobierno.

3. Ha habido manifestaciones muy grandes de apoyo al gobierno. Hay malestar por la violencia de las bandas armadas y por la injerencia extranjera y el aprovechamiento de la situación por parte de gobiernos y medios de comunicación extranjeros. A los ojos de muchos sirios, su país está siendo, una vez más, blanco de una conspiración internacional.

4. Cualquiera que sea la verdad de las acusaciones vertidas contra las fuerzas de seguridad, los grupos
armados han matado a cientos de policías, soldados y civiles, en total probablemente unos mil hasta este momento. Los civiles muertos son profesores universitarios, médicos e incluso, recientemente, el hijo del gran mufti de la república. Las bandas armadas han masacrado, emboscado, asesinado, atacado edificios gubernamentales y saboteado líneas férreas.

5. El presidente sirio Bashar al Asad disfruta de una gran popularidad. A pesar de situarse en la cúspide del sistema, es un error calificarlo como dictador. El verdadero dictador es el sistema en cuanto tal. El verdadero poder en Siria —afianzado durante cinco décadas— se encuentra en el ejército y los servicios de inteligencia, y en menor grado en la estructura del gobernante partido Baaz. Estos son los verdaderos poderes que se oponen al cambio. Las manifestaciones representaron una oportunidad para que Asad transmitiera el mensaje de que el sistema tenía que cambiar.

6. A la vista de las grandes manifestaciones que se celebraron a principios de este año, el gobierno presentó, finalmente, un programa de reformas. Esto fue rechazado de plano por la oposición. Ni siquiera se hizo el menor intento de poner a prueba la buena fe del gobierno.

7. La afirmación de que la oposición armada al gobierno ha comenzado hace poco es una total mentira. Los asesinatos de soldados, policías y civiles, a menudo con extrema brutalidad, ha venido sucediendo prácticamente desde el principio.

8. Los grupos armados están bien armados y bien organizados. Grandes cantidades de armamento han entrado en Siria de contrabando desde Líbano y Turquía. Se trata de escopetas, ametralladoras, kalashnikovs, lanzacohetes RPG, granadas de mano de fabricación israelí y gran cantidad de explosivos. No está claro quién está suministrando estas armas, pero alguien lo está haciendo y alguien las está pagando. Los interrogatorios de miembros de bandas armadas apuntan en la dirección del Movimiento del Futuro del ex primer ministro libanés Saad Hariri, testaferro de EEUU y Arabia Saudí, cuya influencia se extiende más allá del Líbano.

9. La oposición armada al régimen parece estar patrocinada, en gran medida, por la ilegalizada Hermandad Musulmana. En 1982, el gobierno sirio aplastó sin piedad un levantamiento iniciado por la Hermandad en la ciudad de Hama. Muchos miles murieron y parte de la ciudad fue destruida. La Hermandad tiene dos objetivos primordiales: la destrucción del gobierno baazista y la destrucción del estado laico en favor de un sistema islamista. Es casi palpable la sed de venganza.

10. Los grupos armados tienen fuerte apoyo desde el exterior, aparte del ya conocido o indicado. El exiliado exvicepresidente y ministro de Exteriores sirio Abdel Halim Jadam, que viven en París, ha estado haciendo campaña desde hace años para derribar el gobierno de Asad. Recibe apoyo financiero de EEUU y la Unión Europea. Burhan Ghalioun, apoyado por Catar como líder del Consejo Nacional establecido en Estambul, también vive en París y también está presionando en Europa y Washington para un cambio de régimen.
Estos y Mohamed Riad Al Shaqfa, líder de la Hermandad Musulmana en Siria, son receptivos a una “intervención humanitaria” desde el exterior, siguiendo el modelo libio (otros están en contra). La promoción de los exiliados como una alternativa de gobierno recuerda a la forma en que EEUU utilizó a los exiliados iraquíes (el denominado Congreso Nacional Iraquí) antes de la invasión de Irak.

11. Las informaciones de los medios de comunicación occidentales sobre la situación en Libia y Siria ha sido pésima. La intervención de la OTAN en Libia ha sido la causa de una masiva destrucción y miles de muertos. Tras la invasión de Irak, la guerra es otro importante crimen internacional cometido por los gobiernos de EEUU, Gran Bretaña y Francia. La ciudad libia de Sirte ha sido bombardeada día y noche durante dos semanas, sin que los medios de comunicación occidentales hayan prestado atención alguna a la gran destrucción y a las pérdidas de vidas que ha ocasionado. Estos medios de comunicación occidentales no han intentado verificar las informaciones que salían de Sirte y que hablaban de bombardeos de edificios civiles y la muerte de centenares de personas. La única razón para ello solo puede ser que la horrible verdad pudiera hacer descarrilar toda la operación de la OTAN.

12. En Siria, los mismos medio de comunicación han seguido el mismo patrón de desinformación. Se ha ignorado o esquivado la evidencia de matanzas generalizadas de las bandas armadas. Se ha invitado a la audiencia a no creer las declaraciones del gobierno y creer, sin embargo, las declaraciones de los rebeldes, a menudo realizadas en nombre de organizaciones de derechos humanos europeas o estadounidenses. Se han dicho muchas mentiras descaradas, al igual que se dijeron en Libia y durante la invasión de Irak. Algunas, al menos, han sido descubiertas.
Personas de las que se dijo que habían sido asesinadas por fuerzas de la seguridad del estado han aparecido vivas. Los hermanos de Zainab Al Hosni dijeron que esta había sido secuestrada por fuerzas de seguridad, asesinada y su cuerpo desmembrado. Este espeluznante relato, difundido por Al Yazira y Al Arabiya entre otros medios, es totalmente falso. Zainab está viva, aunque ahora, por supuesto, la táctica de la propaganda es afirmar que la que ha aparecido no es ella, sino una doble. Al Yazira, el periódico británico The Guardian y la BBC se han distinguido por su apoyo ciego a todo lo que desacredite al gobierno sirio. La misma línea está siendo seguida por los principales medios de comunicación en EEUU. Al Yazira, en particular, que se ha distinguido por sus informaciones sobre la revolución egipcia, ha perdido toda su credibilidad como agencia de noticias independiente.

13. Al tratar de destruir el gobierno sirio, la Hermandad Musulmana tiene un objetivo común con EEUU, Israel y Arabia Saudí, cuya paranoia sobre el Islam chií ha alcanzado su punto culminante con el levantamiento de Bahréin. WikiLeaks ha revelado la impaciencia de EEUU para atacar a Irán. En su lugar, ha buscado la destrucción de las relaciones estratégicas entre Irán, Siria y el grupo chií libanés Hezbolá. EEUU y los saudíes quieren destruir el régimen baazista, dominado por alauíes, por diferentes motivos, pero lo importante es que quieren destruirlo.

14. Estados Unidos está haciendo todo lo posible por arrinconar a Siria. Está dando apoyo financiero a líderes de la oposición exiliados. Ha intentado (y ha fracasado, gracias a la oposición de Rusia y China) que el Consejo de Seguridad de la ONU apruebe un amplio programa de sanciones. Sin duda, lo intentará de nuevo, y en función de cómo evolucione la situación, podría proponer, con el apoyo de Gran Bretaña y Francia, una resolución para crear una zona de exclusión aérea que pudiera abrir la puerta a una intervención militar extranjera.
La situación es fluida y, sin duda, se estarán desarrollando todo tipo de planes de contingencia. La Casa Blanca y el Departamento de Estado están haciendo declaraciones amenazantes un día sí y otro también. Provocando abiertamente al gobierno sirio, el embajador de EEUU, acompañado por el embajador francés, viajó a Hama antes de las oraciones del viernes. Teniendo en cuenta la historia de sus injerencias en los países de Oriente Medio, es inconcebible que EEUU e Israel, junto con Francia y Gran Bretaña, no estén implicados en este levantamiento más allá de lo que ya se conoce.

15. Mientras se concentran en la violencia del régimen sirio, los gobiernos de EEUU y Europa —sobre todo Gran Bretaña— han ignorado totalmente la violencia dirigida contra él. Su propia violencia, infinitamente mayor en Libia, Irak, Afganistán y otros lugares, ni siquiera entra en escena. Turquía se ha unido a la campaña contra Siria con gusto, yendo más allá incluso que aquellos.
En unos pocos meses, la política regional de “cero problemas” de Turquía ha cambiado completamente. Turquía prestó su apoyo al ataque de la OTAN contra Libia, después de que se inhibiera inicialmente. Se ha enfrentado a Irán por su política sobre Siria y al aceptar, a pesar de la fuerte oposición doméstica, alojar una instalación estadounidense de radares de misiles claramente dirigida contra Irán. Los norteamericanos dicen que compartirán los datos de la instalación con Israel, que ha rechazado pedir disculpas a Turquía por el asalto del Mavi Marmara, sumiendo las relaciones turco-israelíes en una crisis. Así, Turquía ha pasado de “cero problemas” a una política regional repleta de problemas con Israel, Siria e Irán.

16. Aunque algunos miembros de la oposición siria han hablado en contra de cualquier intervención extranjera, el Ejército Sirio Libre ha dicho que su objetivo es conseguir una zona de exclusión aérea en el norte del país. Una zona de exclusión aérea tendría que ser impuesta, y ya hemos visto cómo esto condujo en Libia a una destrucción masiva de infraestructuras, la muerte de miles de personas y la apertura de las puertas para un nuevo periodo de dominación occidental.

17. Si el gobierno sirio es derribado, serán cazados hasta el último baazista y alauita. En un gobierno dominado por la Hermandad Musulmana, el estatus de las minorías y de las mujeres retrocedería.

18. Por medio de la ley de responsabilidad de Siria y de las sanciones que ha impuesto la Unión Europea, EEUU ha estado intentando destruir al gobierno sirio durante 20 años. El desmantelamiento de los estados árabes unificados gracias a las divisiones étnico-religiosas ha sido un objetivo de Israel durante décadas. Allí donde va Israel, le sigue EEUU, naturalmente. Los frutos de esta política pueden verse en Irak, donde los kurdos han creado un estado independiente en todo salvo en su nombre y donde la constitución, escrita por EEUU, separa al pueblo de Irak en kurdos, sunníes, chiíes y cristianos, destruyendo la lógica unificadora del nacionalismo árabe. Irak no ha conocido un momento de paz desde que los británicos entraron en Bagdad en 1917.
En Siria, las divisiones étnico-religiosas (árabes musulmanes sunníes, kurdos musulmanes sunníes, drusos, alauitas y varias sectas cristianas) hacen que el país sea vulnerable ante la promoción de las discordias sectarias y la eventual desintegración del estado árabe unificado, que los franceses trataron de impedir en los años 20.

19. La destrucción del gobierno baazista en Siria sería una victoria estratégica de incalculable valor para EEUU e Israel. El arco
central de las relaciones estratégicas entre Irán, Siria y Hezbolá quedaría partido, dejando a Hezbolá geográficamente aislada, con un gobierno musulmán sunní hostil en puertas, y por tanto, con la alianza Irán-Hezbolá más desprotegida ante un ataque militar de EEUU e Israel. Por casualidad o no, la “primavera árabe”, tal como se ha desarrollado en Siria, ha colocado en las manos de EEUU e Israel una palanca con la que pueden lograr su objetivo.

20. Un gobierno egipcio o sirio dominado por la Hermandad Musulmana no tiene por qué ser necesariamente hostil a los intereses norteamericanos. Queriendo ser considerado un miembro respetable de la comunidad internacional y otro buen ejemplo de “Islam moderado”, es probable y posible que un gobierno egipcio dominado por la Hermandad Musulmana esté de acuerdo en mantener el tratado de paz con Israel tanto tiempo como sea posible (es decir, hasta que otro ataque a gran escala de Israel contra Gaza o Líbano lo haga absolutamente indefendible).

21. Un gobierno sirio dominado por la Hermandad Musulmana estaría próximo a Arabia Saudí y sería hostil a Irán, Hezbolá y los chiíes de Irak, sobre todo a los vinculados con Muqtada Al Sader. Defendería de boquilla la causa palestina y la liberación de los Altos del Golán, pero sus políticas prácticas no serán, probablemente, muy diferentes del gobierno que está intentando derribar.

22. El pueblo sirio tiene derecho a exigir democracia y a conseguirla, pero ¿de cualquier forma y a cualquier coste? El fin de las matanzas y unas negociaciones sobre reformas políticas son, sin duda, el camino a seguir, no la violencia que amenaza con desgarrar el país. Lamentablemente, es la violencia y no un acuerdo negociado lo que mucha gente quiere en Siria y lo que también quieren muchos gobiernos que vigilan y esperan su oportunidad. Ninguno sirio puede beneficiarse realmente de esto, piensen lo que piensen.
Su país está encaminándose hacia una guerra civil sectaria, quizá con intervención extranjera y, con toda probabilidad, hacia un caos a mucha mayor escala que lo visto hasta ahora. No habrá una rápida recuperación si el estado se colapsa o es derribado. Como Irak, y probablemente como Libia, Siria podría entrar en un periodo de agitación sangrienta que podría durar años. Al igual que Irak, quedaría completamente fuera de combate como estado capaz de defender los intereses árabes, lo que significa, evidentemente, hacer frente a EEUU e Israel.

23. En última instancia, ¿a qué intereses serviría este desenlace?
 

Jeremy Salt
Jeremy Salt es profesor de historia y política de Oriente Medio en la universidad de Bilkent, en Ankara, Turquía.
Ha publicado The Unmaking of the Middle East: A History of Western Disorder in Arab Lands. Jeremy Salt,  (University of California Press, 2009)

vendredi, 28 septembre 2012

Les terroristes de l’OTAN visent la Syrie et l’Algérie

 

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Tony CARTALUCCI:

Les terroristes de l’OTAN visent la Syrie et l’Algérie

 

Les dirigeants occidentaux admettent que les opérations de l’OTAN en Libye ont joué un rôle de premier plan dans la consolidation de la fraction AQUIM d’Al-Qaeda (= “Al-Qaeda pour un Maghreb Islamique”).

 

Bruce Riedel de la “Brookings Institution”, un organisme qui est financé par 500 entreprises consignées dans la fameuse liste de “Fortune”, a écrit, dans un article intitulé “The New Al Qaeda Menace”, que l’AQUIM est désormais mieux armé qu’auparavant à cause de l’intervention de l’OTAN en Libye et que les bases du mouvement au Mali, et ailleurs en Afrique du Nord, sont désormais opérationnelles pour une activité terroriste sur le long terme dans toute la région.

 

Tant l’AQUIM que son homologue libyen, le “Groupe des Combattants Libyens Islamiques” ou, en anglais, LIFG, ont tous deux été placés sur la liste du Département d’Etat américain comme “organisations terroristes étrangères”. Ces deux organisations figurent également sur les listes noires du “Home Office” britannique. Quant aux Nations Unies, elles considèrent, elles aussi, que ces deux groupes sont de nature terroriste.

 

Malgré cela, l’intervention militaire en Libye a été perpétrée par l’Occident avec l’assentiment de l’ONU, tout en étant parfaitement conscient que les militants qui téléguidaient la dite “révolution démocratique” étaient bel et bien les continuateurs des actions terroristes violentes, commises depuis des décennies par “Al Qaeda”. L’Occident savait parfaitement de quoi il retournait tout simplement parce que ce sont les services secrets occidentaux qui, pendant trente ans, ont armé et soutenu ces “moudjahiddins”. Dans le cas libyen, ils ont été particulièrement bien chôyés par Londres et Washington.

 

De plus, il faut savoir que l’armée américaine elle-même a établi une documentation minutieusement tenue à jour de tous les terroristes étrangers qui ont combattu en Irak et en Afghanistan. Cette documentation montre que le plus haut pourcentage de ces combattants venait des villes libyennes de Benghazi et Darnah, toutes deux considérées comme le berceau de la “révolte pour la démocratie” en Libye.

 

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Tous ces faits, énumérés ici, prouvent qu’il y a eu préméditation et mensonge: le lieu même où s’est subitment ravivé le cartel activiste, rien qu’en l’espace d’une seule nuit, s’est transformé en un “avant-poste bien aguerri et armé jusqu’aux dents”, disposant de blindés et de pilotes d’avions à réaction. Cet avant-poste était fin prêt à déclencher une guerre sans merci contre le régime du leader libyen Khadafi. En réalité, il n’y avait rien de “spontané” dans cette révolte: nous avons là-bas, en Libye, le fruit de trente années de soutien occidental. Les puissances occidentales, en effet, ont toujours fourni en secret armements et soutien logistique à ces groupes mobiles de combattants sur n’importe quel territoire de l’espace islamique: ce soutien ne se terminera pas parce que Khadafi est tombé.

 

Les terroristes du LIFG se sont immédiatement envolés vers leur nouveau front oriental, la Syrie, et leur nouveau front occidental, le Mali. Donc en dehors des frontières de la Libye. La structure logistique, dont ils bénéficient, s’est continuellement perfectionnée pendant cette dernière décennie, au cours de leurs opérations en Irak et en Afghanistan. Le commandant du LIFG, Abdoul Hakim Belhaj, se trouvait déjà en novembre 2011 sur la frontière turco-syrienne pour fournir de l’argent, des armes et des combattants terroristes, issus des rangs du LIFG, le tout sous la supervision des services secrets occidentaux. Il fournissait également les rebelles syriens en argent et en armements que les Etats-Unis recyclaient via les Etats du “Conseil de Coopération du Golfe” (GCC) comme le Qatar et l’Arabie Saoudite. Dès ce moment, on a pu confirmer, de source sûre, que les militants libyens se sont hissés à tous les postes de commandement des brigades de combattants étrangers qui sévissent en Syrie.

 

Comme l’a admis Bruce Riedel de la “Brookings Institution”, les armes, récoltées par le LIFG, se sont retrouvées aussi sur le front occidental, au Mali. L’Algérie craignait depuis longtemps un tel scénario, dès l’intervention de l’OTAN en Libye. Les craintes algériennes étaient parfaitement justifiées, comme on peut désormais le constater. Il nous parait également intéressant de noter que ce Riedel, en août 2011, cherchait déjà à créer les circonstances d’un bouleversement en Algérie, car, dans un article significativement intitulé “L’Algérie sera la prochaine à tomber”, il imaginait déjà en toute clarté la déstabilisation et la chute du régime algérien actuel.

 

Il y a un an, Riedel tentait de soutenir l’hypothèse que le dit “Printemps arabe” se diffuserait en Algérie dès qu’il aurait triomphé dans la Libye voisine. Dans cet article, Riedel oubliait, bien entendu, d’expliquer ce qu’étaient ces “printemps arabes”, alors que cela saute désortmais aux yeux du monde entier: par “Printemps arabe”, Riedel entendait, in petto, la subversion appuyée par les Etats-Unis et, plus spécialement, l’appui aux militants terroristes armés par l’OTAN et issus d’Al-Qaeda.

 

Les Etats-Unis arment partout les terroristes d’Al Qaeda et les soutiennent ouvertement. Ils font le lit d’Al-Qaeda en Syrie. De toute évidence, la fameuse guerre contre le terrorisme, annoncée urbi et orbi par les présidents américains, est une formidable escroquerie, une escroquerie sans précédent, perpétrée aux dépens de millions de vies, qui ont été détruites, et pour un coût sociale et économique incalculable. L’OTAN, bien consciente des conséquences, est en train de fabriquer en Afrique du Nord, au Proche- et Moyen Orient, des “califats” artificiels, qu’elle soutient au détriment des peuples qu’elle gruge dans l’intention bien nette de perpétuer une guerre globale. Prenant leur inspiration dans les pages du roman “1984” de Georges Orwell, les dirigeants de l’Alliance Atlantique créent de toutes pièces une guerre artificielle pour appuyer les intérêts des consortiums économico-financiers, pour traduire dans le réel leurs stratégies internes et internationales. La “menace contre la civilisation occidentale”, que l’on brandit si souvent pour fustiger artificiellement les combattants djihadistes dans les médias, est en réalité une “légion étrangère” au service des intérêts économiques et financiers de l’Occident, qui traduit dans le réel et à l’échelle globale, la politique extérieure de Wall Street et de Londres, selon des modalités et en des lieux où aucune autre force occidentale n’a jamais pu agir.

 

Le Blitzkrieg terroriste dans le monde arabe ne se terminera pas en Syrie. Il continuera à frapper, si on le consent, en Iran, dans les montagnes du Caucase et même en Russie, sur les confins occidentaux de la Chine voire dans l’ensemble du Sud-Est asiatique. C’est un mélange d’ignorance, d’apathie et de complicité, dans le chef des populations occidentales, qui amène celles-ci à soutenir une “guerre au terrorisme”, alors que, paradoxalement, une telle guerre ne leur apportera que d’affreux déboires, des horreurs bien réelles, dont nous allons assez rapidement hériter, alors que ces mêmes agences médiatiques (noyautées par les néo-conservateurs d’Outre-Atlantique, ndt) affirmaient que nous pourrions les éviter à la condition que nous nous engagions sans hésiter dans cette “longue guerre”.

 

Nous sommes en train de soutenir les machinations politiques de nos politiciens et nous soutenons simultanément les intérêts économiques et financiers des consortiums qui favorisent ce programme belliciste. Cette politique a déjà permis d’offrir des havres régionaux bien sécurisés aux terroristes (utiles). Si le bellicisme continue à miner encore davantage les gouvernements séculiers —et finalement modérés— du monde arabo-musulman et s’il favorise l’éviction de ces régimes, nous encaisserons de plein fouet un “blowback”, un retour de flamme, nous glanerons la vengeance des vaincus humiliés et nous subirons encore bien d’autres conséquences de cette politique étrangère qui n’a d’autre visée que de détruire des équilibres. Rien qu’imaginer que cette folle politique d’immixtion permanente ne finira jamais fait froid dans le dos, surtout qu’elle nous infligera des retours de flamme, notamment sous la forme d’attaques “fausse bannière”, face auxquelles les attentats du 11 septembre 2001 ne seront que de la petite bière.

 

Déjà nous souffrons des effets d’une crise économique et de l’amplification d’un appareil sécuritaire mis en place par nos propres polices. Tant que nous nous aplatirons devant ce programme belliciste, sans jamais le contester, et tant que nous ne revenons pas à la raison, les choses iront de mal en pire.

 

Tony CARTALUCCI.

(article mis en ligne sur le site http://www.ariannaeditrice.it/ en date du 2 septembre 2012).

jeudi, 27 septembre 2012

La nouvelle “sainte-alliance” entre la CIA et Al-Qaeda

Igor IGNATCHENKO:

La nouvelle “sainte-alliance” entre la CIA et Al-Qaeda

 

 

PCN-SPO_cfr_sur_al-qaida_et_asl_2012_08_12_FR.jpgLa Syrie est inondée de terroristes en tous genres. Al-Qaeda vient d’y commettre une série d’actes terroristes. D’après l’ancien commandant de l’Académie navale turque, l’Amiral Türker Erturk, ces actes ont été commis avec l’assentiment des Etats-Unis. L’Amiral turc affirme que l’Occident et ses alliés arabes ont décidé de réitérer le “scénario du Salvador”, en comptant davantage, pour parachever le travail, sur les groupes terroristes que sur l’opposition politique. Les attentats suicides de Damas le confirment.

 

Il faut se rappeler ici les opérations qui ont visé la déstabilisation du Salvador: elles aussi ont fait appel à des attentats suicides, téléguidés par John Negroponte, devenu par la suite ambassadeur des Etats-Unis en Irak et par Robert Ford, futur ambassadeur américain en Syrie.

 

Peter Oborne, journaliste commentateur du “Daily Telegraph”, confirme que les Etats-Unis et la Grande-Bretagne ont récemment intensifié leur coopération clandestine avec Al-Qaeda, afin de fédérer tous les efforts possibles contre le gouvernement syrien légitime. Dans son article “Syria’s Crisis is Leading Us to Unlikely Bedfellows” (= “La crise syrienne nous amène d’étranges compagnons de lit”), Oborne souligne que les actions terroristes de Damas, commises l’an dernier, présentaient toutes les mêmes signes distinctifs de ceux commis par l’organisation terroriste en Irak. Selon ce journaliste britannique, les militants d’Al-Qaeda sont arrivés en Syrie par la Libye en empruntant le “corridor turc”. Peter Oborne considère que “la triple alliance Washington/Londres/Al-Qaeda” constitue une grave menace pour le Royaume-Uni.

 

Omar al-Bakri, un extrémiste religieux résidant au Liban a confessé dans un entretien au “Daily Telegraph” que les militants d’Al-Qaeda, soutenus par le mouvement al-Mustaqbal de Saad al-Hariri, se sont infiltrés en Syrie via le Liban. Au cours d’une conférence de presse tenue à Benghazi, le ministre des affaires étrangères irakien, Hoshyar Zebari, a confirmé le fait qu’Al-Qaeda s’infiltre en Syrie tout au long de la frontière irakienne dans le but d’aller commettre des attaques terroristes ou de transporter des armes.

 

“The Guardian” a publié récemment un article intitulé “Syria Would Be Disastrous for Its People”; l’auteur, Sami Ramadani, explique qu’une alliance entre les Etats-Unis et Al-Qaeda a pris forme. Les Etats-Unis et la Turquie ont la ferme intention de déstabiliser la Syrie, en utilisant, pour ce faire, les fonds de la rente prétrolière que leur fournissent le Qatar et l’Arabie Saoudite. Tandis que Hillary Clinton cherche à convaincre la communauté internationale que l’intervention en Syrie est une démarche nécessaire, la CIA est impliquée activement dans l’appui logistique à Al-Qaeda et dans l’entraînement des militants djihadistes. C’est désormais bien connu: les Etats-Unis et leurs alliés de l’OTAN ont recruté des chefs d’organisations terroristes et des criminels de droit commun, en provenance de tous les pays du monde, pour en faire des mercenaires et pour les infiltrer en Syrie afin d’y parfaire des opérations spéciales, après les avoir entraînés dans des camps situés en Turquie ou au Liban. Par exemple, à Homs, un membre de la mission d’observation de la Ligue Arabe, qui travaille pour les services spéciaux irakiens, a été fort surpris d’y rencontrer des mercenaires pakistanais, irakiens et afghans. Il fut particulièrement impressionné de constater que certains d’entre eux l’avaient jadis enlever, lui, en Irak. Il est donc important de noter aussi que plus d’une centaine de ces mercenaires en provenance de pays arabes ou autres, dont un nombre significatif de légionnaires français, ont été capturés par les autorités syriennes lorsqu’elles ont repris la ville de Homs.

 

Hala Jaber, un correspondant du “Sunday Times”, est certain, quant à lui, que les extrémistes religieux et les mercenaires étrangers, infiltrés en Syrie depuis les pays limitrophes, ont contribué au déchaînement des violences, afin de mettre un terme aux missions des observateurs internationaux. Hala Jaber a souligné que les appels des cheikhs saoudiens à pénétrer en Syrie ont été suivis par des dizaines de personnes venues du Liban, de Tunisie, d’Algérie, d’Arabie Saoudite, de Libye, d’Egypte, de Jordanie et du Koweit,: elles étaient toutes fanatisées par le désir de créer un califat arabe en Syrie et dans la région.

 

“The British Times” a publié un article, en janvier 2012, qui démontrait que l’Arabie Saoudite et le Qatar étaient liés par un accord secret pour financer l’acquisition d’armements au bénéfice de l’opposition syrienne, afin que celle-ci puisse renverser le régime de Bachar al-Assad. Il existe également un accord secret liant, d’une part, l’Arabie Saoudite et le Qatar, et, d’autre part, l’opposition syrienne; il a été forgé après la réunion des ministres des affaires étrangères des nations de la Ligue Arabe au Caire, en janvier 2012. Un représentant de l’opposition syrienne avait déclaré au quotidien britannique que l’Arabie Saoudite avait offert toute l’assistance souhaitée. Et il avait ajouté que la Turquie, elle aussi, avait pris une part active dans le soutien à l’opposition, en fournissant des armes le long de la frontière turco-syrienne.

 

Mehmet Ali Ediboglu, un député de la province turque de Hatay, a déclaré au journal “National”, un organe publié dans les Emirats Arabes Unis, qu’une grande quantité d’armes d’origine turque se trouvait en Syrie. Ediboglu appartenait à la délégation du “Parti Populaire républicain” turc qui s’était rendue en Syrie en septembre 2011. Des fonctionnaires syriens avaient montré aux membres de cette délégation des photos de camions chargés d’armes qui déchargeaient leur cargaison dans le désert situé dans la zone-tampon entre les “checkpoints” le long de la frontière entre la Turquie et la Syrie. L’entretien du député turc révèle aussi que les armes auraient été commandées et payées par les “Frères Musulmans”.

 

Le site israélien “Debka”, proche des services de renseignement du Mossad, révélait, en août 2011, que l’OTAN avait offert, au départ du territoire turc, des systèmes de défense anti-aériens portables, des armes anti-chars, des lance-granades et des mitrailleuses lourdes aux forces de l’opposition syrienne. Et le site “Debka” ajoutait: “Les rebelles syriens ont reçu un entraînement en Turquie”. L’OTAN et les Etats-Unis ont organisé une campagne pour recruter des milliers de volontaires musulmans, en provenance de divers pays, pour renforcer les rangs des rebelles syriens. L’armée turque a ensuite entraîné ces volontaires et leur a assuré un passage sécurisé à travers la frontière.

 

Selon “The Guardian”, l’Arabie Saoudite est prête à offrir une assistance financière aux militants de l’ “armée syrienne libre”, tout en incitant les militaires de l’armée régulière à la désertion et en augmentant la pression exercée sur le gouvernement d’Al-Assad. Riyad a mis ses plans bien au point avec Washington et les autres Etats arabes. Comme l’ont bien noté les médias britanniques, en faisant référence à des sources anonymes en provenance de trois capitales arabes, l’idée de base ne vient pas des Saoudiens mais plutôt de leurs alliés arabes: ceux-ci, en effet, visent l’élimination de la souveraineté syrienne. L’encouragment à la désertion coïncide avec la fourniture d’armes aux rebelles syriens. “The Guardian” affirme que ses entretiens avec de hauts fonctionnaires de pays arabes lui ont révélé que les fournitures d’armes saoudiennes et qataries, comprenant des fusils automatiques, des lance-grenades et des missiles anti-chars, ont commencé à la mi-mai 2011. Les interlocuteurs arabes du “Guardian” ont expliqué que l’accord final pour envoyer aux rebelles les armes déposées en Turquie a été obtenu à grand peine car Ankara insistait fortement pour que l’opération soit couverte diplomatiquement par les Etats arabes et par les Etats-Unis. Les auteurs de cet article ont également ajouté que la Turquie a autorisé la création d’un centre de commandement à Istanbul, chargé de coordonner les lignes logistiques après consultation avec les chefs de l’ “armée syrienne libre” en Syrie. Des journalistes du “Guardian” ont assisté au transfert des armes dans les premiers jours de juin 2011, dans une localité proche de la frontière turque.

 

Un journal aussi réputé que le “New York Times” a également rapporté que la CIA avait organisé les fournitures en armements et équipements à l’opposition syrienne. D’après les sources du quotidien new-yorkais, des experts au service de la CIA ont travaillé à la distribution illégale de fusils d’assaut, de lanceurs de missiles anti-chars et d’autres types de munitions à l’opposition syrienne. Les armes et les munitions ont été transportées en Syrie notamment avec l’aide des réseaux des “Frères Musulmans” syriens, prétend Eric Schmitt, auteur de l’article. Les fonds destinés à payer ces fusils, ces lance-grenades et ces systèmes blindicides ont été partagés entre la Turquie, l’Arabie Saoudite et le Qatar. Les agents de la CIA ont foruni assistance sur place pour que les cargaisons soient acheminées de leurs dépôts à leurs destinations. Les agents américains ont pu aussi aider les rebelles à organiser un réseau élémentaire de renseignement et de contre-espionnage pour combattre Bachar Al-Assad. Andrea Stone, du “Huffington Post”, confirme cette information.

 

On retiendra le fait que les agents de la CIA ont travaillé à partir de postes situés dans le Sud de la Turquie, dès mars 2011, en conseillant à l’Arabie Saoudite, au Qatar et aux Emirats Arabes Unis quels étaient les éléments de l’ “armée syrienne libre” qu’ils devaient armer. En outre, le vice-président du “Parti trvailliste” turc, Bulent Aslanoglu, a confirmé qu’environ 6000 personnes de nationalités arabes diverses, d’Afghans et de Turcs ont été recrutés par la CIA au départ des Etats-Unis pour commettre des attentats terroristes en Syrie.

 

L’alliance entre les Etats-Unis et Al-Qaeda ne trouble guère une personnalité comme Reuel Marc Gerecht, ancien agent de la CIA et “Senior Follower” auprès de la “Foundation for Defence of Democracies”. Dans les pages du “Wall Street Journal”, Gerecht appuie la nécessité “de mener une opération musclée de la CIA au départ de la Turquie, de la Jordanie et aussi du Kurdistan irakien”. Il pense en outre que l’ “implication limitée” de la CIA contre Al-Assad, portée à la connaissance du public par les médias occidentaux, n’annulera pas en termes concrets les efforts entrepris par ceux qui cherchent à abattre le régime au pouvoir en Syrie. Gerecht insiste surtout sur le fait “qu’Al-Assad, qui dépend de la minorité chiite-alaouite, soit de 10 à 15% de la population syrienne, pour étoffer ses forces militaires, n’aura pas la force de lutter contre l’insurrection si celle-ci se présente sur des fronts multiples”. Cet intellectuel, ancien agent des services et aujourd’hui recyclé dans le bureau d’études de la “Foundation for Defence of Democracies”, pense “qu’une approche coordonnée, téléguidée par la CIA, pour tenter d’envoyer des armes anti-chars, anti-aériennes et anti-personnel à travers les vides sécuritaires des frontières, que le régime ne contrôle pas, ne s’avèrera pas difficile. Le manque d’hommes du régime et la géographie de la Syrie, avec ses montagnes de faible altitude, ses steppes arides et ses déserts malaisés d’accès, rendront le pays probablement très vulnérable aux coups de l’opposition si cette opposition dispose d’une puissance de feu suffisante”. L’ancien agent de la CIA se montre sûr que cette action en Syrie ne constituera pas une entreprise difficile à réaliser: “De même, quand la CIA a renforcé son aide aux forces afghanes anti-soviétiques en 1986-87, les effectifs impliqués (à l’extérieur comme à Washington) étaient infimes, peut-être deux douzaines. Une opération agressive en Syrie nécessitera peut-être plus d’aide en personnel de la CIA que l’opération afghane mais ce seront moins de cinquante officiers américains qui travailleront avec les services alliés”.

 

D’après Gerecht, c’est surtout le premier ministre turc Recep Tayyip Erdogan qui a rompu avec Al-Assad de manière irréversible. La Jordanie, le pays arabe qui bénéficie des rapports les plus étroits avec les Etats-Unis, est aussi hostile à Damas. En outre, le vétéran de la CIA assure que le Kurdistan irakien, toujours plus encadré de fonctionnaires américains sur son propre sol, donnera à la CIA une bonne marge de manoeuvre, Washington ayant promis aux Kurdes son soutien dans tout conflit qui pourrait les opposer à Bagdad ou à Téhéran.

 

Igor Ignatchenko.

(Source: http://www.eurasia-rivista.org , http://sitoaurora.altervista.org/ & http://aurorasito.wordpress.com/ repris sur http://www.ariannaeditrice.it/ en date du 11 eptembre 2012).

 

 

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mardi, 25 septembre 2012

La guerra dell’Occidente alla Siria

La guerra dell’Occidente alla Siria

Massimo Fini

"La libertà ha un valore se si conquista con le proprie mani, la rivoluzione libica è fallita perché in realtà non l’hanno conquistata i rivoltosi, l’hanno conquistata i bombardieri Nato. Nel caso della Siria, se c’è una guerra civile, a un certo punto chi ha veramente l’appoggio della popolazione finisce per prevalere, quindi è una forma molto più democratica, a un certo punto si assesta in qualche modo. Così non si assesta niente, cova sempre qualcosa sotto, come è successo in Egitto dove c’era un’autentica rivolta popolare, ma che è stata trasformata in un golpe militare."
Massimo Fini

I propri valori non sono assoluti

Ciao, sono Massimo Fini, sono uno scrittore e giornalista. In Siria si riproduce esattamente la situazione libica. C’è effettivamente un malcontento in Siria dopo tanti anni di dittatura di Assad, ma sono stati mandati, come sono stati mandati in Libia, agenti provocatori inglesi, francesi, fornite le armi a questi rivoltosi e può finire più o meno come è finita in Libia, dove solo un dittatore poteva tenere insieme realtà tribali infinite, realtà tribali religiose, etniche completamente diverse, è un po’ come era in Iraq con Saddam, perché l’Iraq è stata un’invenzione cervellotica degli inglesi, hanno messo insieme tre comunità che non avevano niente a che vedere tra di loro: curdi, sunniti e sciiti e quindi solo un potere molto forte, in questo caso particolarmente sanguinario.

 
Per quanto riguarda le manifestazioni che in questi giorni si susseguono, questo documentario (su Maometto, ndr) è semplicemente una scintilla, un pretesto. C’è in giro, ed è ovvio, un odio antiamericano per le ingerenze continue e costanti dell’America e di tutto l’Occidente. In realtà la cosa non è di oggi, è circa un secolo che l’Occidente si inserisce in quel mondo. Dopo gli attentati terroristici a Londra, il sindaco di Londra che si chiamava Livingstone “il Rosso”, molto amato dai suoi cittadini dice: “Sì, gli attentati terroristici sono una cosa terribile, inaccettabile, ma se la Gran Bretagna avesse dovuto subire 100 anni di ingerenze dal mondo musulmano, credo che io sarei un terrorista britannico”.
Certamente il problema è che continuamente, sia dal punto di vista proprio militare che economico - perché naturalmente abbiamo interessi etc., - ma anche dal punto di vista ideologico continuiamo a premere su questo mondo, perché si omologhi al nostro. La questione della donna è esemplare, si vorrebbe che la donna musulmana diventasse come quella occidentale. Ora il mondo musulmano si regge su un particolare ruolo della donna, è la loro storia, potranno cambiarla, forse, ma devono cambiarsela loro, non noi imporgliela, è come se un ipotetico Ayatollah venisse qui e dicesse: “Voi non avete nessun rispetto della dignità della donna, perché la esibite a pezzi e bocconi in pubblicità, nei film etc., la vendete come quarti di bue in macelleria”, noi gli diremmo: “Caro Ayatollah, il problema, ammesso che sia un problema, ce lo risolviamo noi, non sei tu che devi venire a insegnarcelo!”.
Oltre al fatto delle armi, degli interessi, parlo per l’Occidente in buonafede, c’è questa convinzione di avere i valori migliori, i valori assoluti, che abbiamo non solo il diritto, ma il dovere di portare agli altri mondi, ai mondi altri, diversi dal nostro, che è una concezione assolutamente totalitaria, tanto più grave perché viene da un mondo che si dice e si crede liberale – democratico. E’ molto ingenuo pensare che i propri valori, perché propri, sono assoluti e i migliori, anche un Nuer del sud del Sudan potrebbe dire la stessa cosa… C’è questa continua invadenza del mondo occidentale nei mondi altri, l’Africa in questo modo è stata distrutta perché i neri africani avevano culture molto raffinate, belle, ma non essendo monoteisti, erano anche fragili da un certo punto di vista, l’Islam che ha una cultura molto forte cerca di resistere.


Questo lo dico, non ho nessuna particolare simpatia per la cupa religione musulmana, non ho simpatia per nessuna delle tre grandi religioni monoteiste, però questi hanno una forza che i neri del centro Africa non avevano e quindi tentano di resistere.


Quindi quali potrebbero essere i tempi o cosa dovrebbe succedere? Lo diceva persino Luttwak, giornalista americano molto vicino alla CIA, in un’intervista alla stampa dell’altro giorno che gli occidentali dovrebbero smetterla di ingerirsi nelle vicende del mondo arabo – musulmano. Poi c’è la vicenda gravissima dell’Afghanistan che non viene quasi considerata, perché gli afgani sono sì musulmani, ma non sono né arabi, né cristiani, né ebrei, quindi se ne può fare carne di porco. L’altro giorno dei droni hanno scambiato delle donne che stavano raccogliendo nel bosco, nella foresta, mi pare che stessero raccogliendo pinoli, per un gruppo di talebani. Hanno sparato e ne hanno uccise 13, noi siamo i grandi difensori della dignità della donna, non mi sembra un buon modo per difendere la donna, poi questo avviene perché siamo diventati talmente vigliacchi che non mandiamo fuori le truppe di terra, lì la cosa è avvenuta perché c’è un attacco talebano a un avamposto, mandiamo fuori gli aerei e sempre più spesso i droni che sono aerei senza pilota, senza equipaggio, comandati a 10 mila chilometri di distanza e facciamo queste cose.

Tu hai il petrolio, io lo voglio!

Per gli afgani questo modo di combattere è talmente vigliacco che per loro è inconcepibile e quindi ha compattato intorno ai talebani anche gente che talebana non era affatto, per cui sono diventati moltissimi, oggi praticamente quasi tutto il popolo afgano. Questo modo di combattere è una delle ragioni per cui l’Occidente sta perdendo la guerra in Afghanistan.
C’è un bel libro di Pellizzari che si intitola “La battaglia al tempo delle more” che racconta molto bene - lui è stato sul campo a lungo dal 1974 inviato de “Il Messaggero” come questa mentalità occidentale si scontri con un’altra mentalità che è completamente diversa


La libertà ha un valore se si conquista con le proprie mani, la rivoluzione libica è fallita perché in realtà non l’hanno conquistata i rivoltosi, l’hanno conquistata i bombardieri Nato, nel caso della Siria se c’è una guerra civile, a un certo punto chi ha veramente l’appoggio della popolazione finisce per prevalere, quindi è una forma in realtà molto più democratica, se vogliamo, a un certo punto si assesta in qualche modo. Così non si assesta niente, cova sempre qualcosa sotto, è come è successo in Egitto, in Egitto c’era un’autentica rivolta popolare, è stata trasformata in un golpe militare, poi adesso è stato eletto questo fratello musulmano il quale però non è libero di muoversi, siccome l’esercito egiziano riceve finanziamenti enormi dagli Stati Uniti, è una specie di duarchia.
Se l’Egitto o la Tunisia o qualsiasi altro Paese di quell’area si sente musulmano, è musulmano, Finché questi non ci attaccano, non c’è nessuna ragione di attaccare, che poi è la teoria della guerra preventiva di Bush.

Ps. Il 22 settembre ci sarà un incontro pubblico a Parma a cui parteciperò. Avrà inizio alle 14 e terminerà alle 18 in piazza della Pace. Il tema di cui si tratterà è "Dies Iren - La fine degli inceneritori".

vendredi, 21 septembre 2012

An interview with Daniele Scalea

An interview with Daniele Scalea
 
 

An interview with Daniele Scalea, scientific secretary of the Italian Institute of Geopolitics (IsAG), co-editor-in-chief of the Italian journal Geopolitica.

GRA : Western media confidently say that the fall of the current Syrian regime is inevitable. In your opinion, how well founded this prediction is, and is there some political power that can bring order to this situation?

D.S.: I think that the Syrian regime has so far shown a stunning solidity. There was a period in which Syrian army lost a substantial part of national territory, but it has managed to reconquer it; there was then a surprise attack to Damascus (similar to the surprise attack against Tripoli which toppled Gaddafi), but the government has regained control of the city; there were some important defections among the power establishment, but the latter remain so far close and gathered around Bashar al-Assad. So, I don't think that a violent overthrow of Syrian government is imminent nor probable, except for the case of a foreign invasion.

Thus who can bring order to this situation is a NATO-led invasion (which would obviously create an order favorable to US hegemony, which could also be a "disorder", i.e. a sectarian division of Syria) or a peaceful negotiated agreement between involved great powers, which would put an end to foreign interference that is feeding the civil war in Syria.

GRA: How likely is a forceful U.S. intervention in the Syrian conflict and attempt to violently overthrow the regime of Bashar al-Assad (or the U.S. will keep a distance and will not dare to risk)? Under circumstances of such a possibility, what consequences it will bring to America itself?

D.S.: I hold really unlikely a direct armed intervention of US in the Syrian conflict, i.e. an intervention further that the arming of rebels (which is probably already underway). New US strategy provide for the use of proxy countries in war - especially in the Near East, since US focus is shifting towards Far East - with at most a limited direct contribution. Lybian war is the model: France, UK, Italy and Qatar were in the frontline, while US remained on the second row. In the Syrian case proxy roles is assumed by Turkey, Saudi Arabia and Qatar. It is so more probable an intervention by those countries. But I believe it is unlikely too. In fact, such an action would risk to bring in the conflict also Iran, and then US would be obliged to intervene in first person. That is a dream scenario for Israel, and also for a part of US establishment, but I guess that the main part of Washington rulers - and especially Obama and his entourage - want to avoid it.

GRA: How do you assess Russia's position in this issue? Is Russia able to compromise, yielding to the wiles of the West (for example, the proposal of Hillary Clinton to establish demilitarized zone), despite the fact, that Russia has already received a very difficult experience in the situation in Libya?

D.S.: Russian position has been very balanced and sane: Moscow condemns violence on both sides, works for a negotiated and peaceful solution of the crisis, and doesn't appear willing to surrender to NATO one more time, as was in Lybian case last year. A big problem would emerge in the event - for me very unlikely but not impossible - of a NATO-led or NATO-inspired foreign armed intervention in Syria. What would be Russian response? She would be ready to react? And also if morally ready, she would have the capacity for a strong power projection in the Near East? Or, as in 2003 with the US invasion of Iraq despite Russian opposition, would might make right?

GRA : How, in your opinion, will deploy the situation after the overthrow of Bashar Assad? According to the information, disseminated through the media, there are already dozens of catastrophic scenarios.

D.S.: A forced overthrow of Bashar al-Assad would very probably entail a period of futher domestic turmoil or a foreign occupation of Syria. Subject should change if al-Assad resign in the frame of a negotiated peaceful solution of the crisis.

GRA : One possible scenario is the territorial division of Syria into three parts. Chagry Erhan, Director of the Center of Strategic Research of the European peoples, believes that the Baath regime, that is being removed from power, will try to create a new state on the basis of belonging to a madhhab through Latakia-Tartus, what can lead to a decision of destruction or assimilation of the Sunni population. In addition, such a step (creation of a new state) can undertake also Kurds. And here raises a difficult question - how to prevent the partition of the country? Erhan believes that once the government will intervene in the process by violent means, this will lead to more bloodshed. How likely do you think, this scenario is?

D.S.: I don't hold likely the very creation of a new Alawi state in Syria, whereas is probable that a violent overthrow of the current regime could create a situation of civilian and sectarian war in the country. Resistance by Syrian government and armed forces have created an ideal scenario for a negotiated solution of the crisis. Negotiation should be bring domestically, between Baathist rulers and mainly Islamist opponents, and internationally between US and Russia, Turkey-Egypt-GCC and Iran.

 

 

 

lundi, 17 septembre 2012

Réflexions sur deux points chauds: l’Iran et la Syrie

Robert STEUCKERS:

Réflexions sur deux points chauds: l’Iran et la Syrie

 

Conférence prononcée à l’Université de Gand, Hoveniersberg, 8 mars 2012

 

L’Iran

 

La première chose qu’il faut impérativement dire quand on prend la parole à propos de l’Iran, c’est de rappeler que ce pays a été le première empire créé par un peuple de souche indo-européennes au cours de l’histoire, dès 2500 ans avant J.C. Le dernier Shah d’Iran, vers la fin de son règne, avait commémoré l’événement fondateur de l’impérialité iranienne à Persépolis par une fête d’une ampleur extraordinaire, à laquelle toutes les têtes couronnées de la planète avaient participé. Ensuite, l’Iran est la terre matricielle de la religion zoroastrienne, première tentative de dépassement d’une religiosité purement mythologique, à l’époque historique lointaine que des auteurs comme Karl Jaspers et Karen Armstrong nomment, très justement, la période axiale de l’histoire, période où se cristallisent les valeurs indépassables sur lesquelles se fondent les grandes civilisations, les empires ou les forces religieuses. Le zoroastrisme pose la figure du dirigeant charismatique qui forge une morale exemplaire et qui, pour l’asseoir dans la société, est accompagné d’une suite de gaillards vigoureux, armés de gourdins (de massues) et d’arcs. C’est dans cette suite de Zoroastre qu’il faut voir l’origine de tous les ordres de chevalerie, introduits en Europe par les cavaliers sarmates (donc iraniens) recrutés par l’Empire romain pour défendre ses frontières, les “limes”. Ces Sarmates, zoroastriens au départ et souvent devenus mithraïstes, ont été casernés en “Britannia” (Angleterre) et au Pays de Galles où ils ont résisté longtemps aux Angles et aux Saxons et ont été à la base des mythes arthuriens, considérés jusqu’à date récente comme “celtiques”. On les retrouve aussi le long du Rhin (le musée romain-germanique de Cologne expose des pierres tombales de cavaliers sarmates) et dans nos régions, surtout le long de la Meuse. Les Alains, peuple cavalier proche des Sarmates et des Scythes, accompagnent les Suèves et les Wisigoths dans leur conquête de l’Espagne. Les régions où ils s’installent, dans le Nord de la péninsule, résisteront à l’invasion maure et c’est précisément dans ces régions-là que les ordres de chevalerie populaires naîtront, enrôlant de simples paysans ou des pélerins arrivés à Compostelle pour former le noyau dur des armées de la reconquista.

 

Querelles entre islams (au pluriel!)

 

L’islamisation totale de l’Iran sera fort lente jusqu’aux temps de Shah Abbas (16ème siècle), qui fera du chiisme la religion de l’Empire perse, en guerre contre les Ottomans, champions du sunnisme. Pour que l’islam soit devenu dominant en Perse, il aura fallu attendre 400 ans après la conquête de ce vaste pays par les armées des successeurs de Mahomet. Le zoroastrisme s’est longtemps maintenu, tandis que le chiisme y cohabitait conflictuellement avec le sunnisme. Ce long conflit entre chiites et sunnites nous ramène à l’actualité: le conflit sous-jacent du Moyen Orient, fort peu mis en exergue par nos médias, oppose en effet l’Arabie saoudite, puissance championne du sunnisme le plus intransigeant, sous sa forme wahhabite, et l’Iran, champion du chiisme. En Orient, les guerres sont éternelles: le passé ne passe pas, est toujours susceptible d’être réactivé car il faut venger les ancêtres, un affront, une défaite. L’Orient, dans ses réflexes, a l’avantage de ne pas connaître d’idéologie progressiste qui efface, ou veut effacer, des mémoires et du réel matériel les forces d’antan, les forces immémoriales. Ce conflit chiite/sunnite, et surtout sa résilience, peut apparaître paradoxal à tous ceux qui ne perçoivent dans l’islam qu’un seul bloc, uni et indifférencié. C’est là une vision simpliste, fausse et juste bonne à générer de la propagande à bon marché. A l’instar d’Yves Lacoste, géopolitologue français et éditeur de la remarquable revue “Hérodote”, il convient, pour être sérieux, de parler des “islams”, si l’on veut poser des analyses cohérentes sur les conflits qui traversent non seulement la sphère musulmane dans son ensemble mais aussi sur les inimitiés qui animent les communautés islamiques immigrées en Europe et que le personnel politique, policier et juridique contemporain, inculte et abruti, est incapable de comprendre donc de prévenir (la “prévoyance”, vertu cardinale des “bons services” selon Xavier Raufer) voire de réprimer à temps. Les affrontements entre chiites et sunnites, voire entre d’autres communautés qui ont l’islam ou le “coranisme” pour dénominateur commun, permettent à des “empires”, hier le britannique, aujourd’hui l’américain, de pratiquer la politique du “Divide ut impera”, de diviser pour régner. C’est ainsi que, tacitement hier, de plus en plus ouvertement aujourd’hui, l’Arabie saoudite est désormais un allié d’Israël dans la lutte contre l’Iran, voulue par Washington et que les schématismes propagandistes des islamophobes hypersimplificateurs ou des fondamentalistes islamiques délirants ou des islamophiles présents dans toutes les “lunatic fringes”, qui veulent voir dans les conflits actuels une lutte entre “Judéo-Croisés” et “Bons (ou Mauvais) Musulmans” sont totalement faux: il y a, d’un côté, l’alliance “Wahhabito-judéo-puritano-croisée” et, de l’autre, les “fondamentalistes chiites/khomeynistes”. Dans les deux camps, il y a des musulmans et ils s’étripent allègrement. De même, la guerre civile qui fait rage aujourd’hui en Syrie est un conflit entre Alaouites et Sunnites; ceux-ci, sous l’impulsion des Wahhabites saoudiens, considèrent les Alaouites, détenteurs du pouvoir à Damas, comme des hérétiques, proches des chiites. Une fois de plus, ce conflit interne à la Syrie démontre que les inimitiés entre factions musulmanes ont plus de poids, au Proche- et au Moyen-Orient, que la césure, souvent mise en exergue dans nos médias, entre l’Occident et l’Islam, n’en déplaisent aux islamophobes ignares que l’on entend gueuler à qui mieux mieux pour des histoires de caricatures, de foulard ou de bidoche ovine, histoires dont on se passerait d’ailleurs bien volontiers sous nos cieux. Les Américains, bien au courant de ces clivages, peuvent ainsi réactiver de vieux conflits afin de faire triompher leurs projets dans le “Grand Moyen Orient”, qu’il s’agit, selon eux, d’unifier sur le plan économique, pour en faire un marché ouvert aux productions des multinationales américaines, et de balkaniser sur le plan politique, notamment en redessinant, sur le long terme, la carte de la région selon les vues d’un Colonel des services américains, Ralph Peters.

 

Des Qadjar aux Pahlevi

 

Quand, dans la première décennie du 20ème siècle, la dynastie perse des Qadjar n’a plus pu contrôler le pays, et que celui-ci a plongé dans le chaos, suite à une tentative de réforme constitutionnelle où l’Iran aurait dû adopter la constitution belge (!), le père du dernier Shah, Reza Khan, colonel d’une unité de cosaques iraniens, prend le pouvoir et se fait proclamer empereur en 1926. Son objectif? Faire de la Perse, qu’il rebaptise “Iran”, un pays moderne, selon les règles du despotisme éclairé, pratiquées en Turquie, à la même époque, par Mustafa Kemal Atatürk. Cette modernisation ne peut s’effectuer, on s’en doute, sous la houlette du clergé chiite (les Chiites ayant un clergé, contrairement aux Sunnites; c’est là la grande différence entre les deux orientations de l’islam moyen-oriental; on peut dire aussi que le clergé chiite est une forme islamisée et dégénérative des fameuses “suites zoroastiennes”, dont la mission était d’imposer la morale politique à un cheptel humain trop souvent indiscipliné). La modernisation selon Reza Khan passe a) par une gestion iranienne de la rente pétrolière, b) par la construction de voies de chemin de fer pour désenclaver la plupart des régions du pays et pour relier les ports du Golfe Persique à la Mer Caspienne, c) par la constitution d’une marine capable d’imposer les volontés iraniennes dans les eaux du Golfe. La volonté de gérer la rente pétrolière se heurtera à la mauvaise volonté britannique car Londres détenait tous les atouts de la “Anglo-Iranian”. La construction du chemin de fer se fera grâce à des ingéneiurs suisses, scandinaves et allemands. Des officiers italiens se chargeront de moderniser la flotte iranienne, fournie en bâtiments construits dans les chantiers navals de la péninsule. En 1941, Britanniques et Soviétiques violent délibérément la neutralité iranienne; dans la foulée, la RAF détruit la flotte iranienne dans les ports du Golfe. Reza Khan est envoyé en exil, d’abord dans les Seychelles, ensuite en Afrique du Sud où il meurt d’un cancer qu’on ne soigne pas comme il le faudrait. De 1941 à 1978, son fils, Mohammed Reza Pahlevi occupe le trône, avec le soutien des Américains, un soutien qui, de la part de Washington, sera d’abord total, puis de plus en plus réticent. Le jeune Shah opte pour une “protection” américaine parce que les Etats-Unis n’ont pas de frontières communes avec l’Iran, tandis que l’URSS brigue l’annexion des régions azerbaïdjanaises du Nord de l’Iran, cherche à les fusionner avec la république Socialiste Soviétique de l’Azerbaïdjan et tandis que les Britanniques, avant l’indépendance et la partition de l’Inde, cherchaient à inclure les provinces beloutches de l’Est iranien dans la partie beloutche de l’actuel Pakistan.

 

Les mémoires de Houchang Nahavandi

 

1359833_6708795.jpgLes mémoires du dernier ministre de l’éducation nationale du Shah Mohammed Reza Pahlevi, Houchang Nahavandi, réfugié à Bruxelles suite à la révolution de Khomeiny, nous apprennent le déroulement véritable de la révolution iranienne. Sa fille Firouzeh Nahavandi confirme les hypothèses paternelles dans un mémoire universitaire très intéressant (ULB), présentant pour l’essentiel un panorama général des partis politiques iraniens. Pour Houchang Nahavandi, c’est essentiellement Harry Kissinger, en tant que “tête pensante” en coulisses inspirant tous les macrostratégistes américains, et ce sont ensuite les présidents démocrates John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson puis Jimmy Carter, contrairement au républicain Richard Nixon, qui n’ont pas voulu d’une “concentration de puissance” sur le territoire du plus ancien “empire” de l’histoire mondiale, même si sur ce territoire règnait un allié loyal. La stratégie d’utiliser les “droits de l’homme” pour fragiliser un Etat sera tout de suite appliquée à l’Iran du Shah, dès sa nouvelle théorisation, sous la présidence de Carter. Simultanément, elle sert à boycotter les Jeux Olympiques de Moscou et reçoit une “traduction” destinée au public français, celle que propageront les “nouveaux philosophes”, anciens gauchistes anti-communistes, recyclés dans la défense de l’Occident sous prétexte de diffuser un “socialisme à visage humain”, antidote à la “barbarie”. Les “droits de l’homme”, en tant qu’idéologie libérale et “bourgeoise” (disaient les penseurs d’inspiration marxiste), avaient été soumis à une critique philosophique serrée dans les années 60: la pensée en faisait une “illusion idéaliste”, un “embellisement” plaqué sur les laideurs ou les dysfonctionnements sociaux générés par le libéralisme, un irréalisme destiné à tromper les peuples, à leur fournir un nouvel “opium”, qui prendrait le relais de la religion. Dès les prémisses du “cartérisme”, les intellectuels américains à la solde des “services”, puis leurs émissaires français que sont les “nouveaux philosophes”, les réexhument de l’oubli, de la géhenne des pensées battues en brèche par la critique philosophique (marxiste, structuraliste et autre), et en font une arme contre le marxisme-léninisme au pouvoir en URSS et dans le bloc de l’Est d’abord, contre tous les autres pouvoirs qui ont l’heur de déplaire hic et nunc à l’hegemon américain. Parmi ceux-ci: le système mis en place (mais non parachevé) du dernier Shah.

 

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Photo: Houchang Nahavandi

 

Pourquoi cette hostilité à l’endroit d’un Etat, d’un pouvoir et d’un souverain théoriquement “alliés”? Pour un faisceau de quatre motifs, parmi d’autres motifs, que je sélectionne aujourd’hui pour étayer ma démonstration:

 

1.

Le Shah, sous prétexte de se montrer féal à l’égard de l’alliance qui le lie aux Etats-Unis par le Pacte de Bagdad, puis par le CENTO, équivalent de l’OTAN dans la région entre Bosphore et Indus, cherche continuellement à renforcer son armée. Celle-ci devient trop puissante aux yeux de Washington. La marine impériale iranienne se montre capable d’intervenir avec succès dans le Golfe Persique (à Bahrein en l’occurrence). Son aviation, équipée d’appareils américains, se révèle prépondérante dans la région (ses pilotes seront impitoyablement éliminés dans la première phase des épurations khomeynistes, quand, parmi les épurateurs, siégeaient quelques Irano-Américains, disparus par la suite, une fois leur mission accomplie, cf. les mémoires d’Houchang Nahavandi). L’élimination du Shah visait donc à affaiblir l’armée d’un allié qu’on ne voulait pas trop fort, surtout que sa position géographique sur les hauts plateaux iraniens lui permettait de contrôler, du moins indirectement, quelques régions clefs comme le Golfe, le prolongement afghan des hauts plateaux, la Mésopotamie. Cette possibilité de contrôle et d’élargissement implicite, en faisait une puissance autonome potentielle en dépit de son inclusion dans le CENTO, alliance où la Turquie servait de maillon commun avec l’OTAN.

 

La politique nucléaire du dernier Shah

 

2.

Le Shah avait ensuite amorcé une politique nucléaire. L’hostilité à l’Iran, pour des raisons nucléaires, n’est donc pas nouveau, ne date pas d’Ahmadinedjad. Le Shah avait conclu des accords nucléaires avec la France (encore gaullienne) et l’Allemagne; il investissait une part de la rente du pétrole dans l’industrie atomique européenne. Le but prioritaire de l’Iran n’est pas de se doter d’un armement nucléaire mais de s’équiper d’un nucléaire civil performant car la rente du pétrole, si elle était doublée d’une production complémentaire d’énergie via les centrales nucléaires, aurait permis au Shah et permettrait à Ahmadinedjad de se donner une confortable autarcie énergétique permettant un envol industriel, un armement conventionnel efficace pour l’armée (sur terre, sur mer et dans les airs) et, surtout, à terme, de développer une diplomatie indépendante dans l’espace que le Shah appelait “l’aire de la civilisation iranienne” (ou qu’Ahamadinedjad pourrait appeler le “réseau chiite”, plus réduit et plus dispersé, donc moins efficace, que l’aire envisagée par le “Roi des Rois”). Aujourd’hui, pour l’Iran, la nécessité de se doter d’un nucléaire civil et de vendre un maximum de pétrole est plus impérative et potentiellement plus lucrative que jamais. En effet, la catastrophe nucléaire de Fukushima au Japon oblige l’Empire du Soleil Levant à importer plus de pétrole, notamment d’Iran en dépit des appels au boycott lancés avec tant d’insistance depuis Washington. La France et l’Allemagne ne songent plus à réactiver la politique atomique qu’elles pratiquaient avec le Shah: Paris ayant abandonné sa diplomatie indépendantiste gaullienne et Berlin montrant sans cesse une timidité nucléaire incapacitante, vu le poids politico-parlementaire des Verts (qui font indirectement la politique de Washington en plongeant les pays européens dans la dépendance pétrolière). Le Brésil, lui, a également lancé des programmes nucléaires et pratique d’ores et déjà une diplomatie indépendante dans le Nouveau Monde et ailleurs, en s’alignant sur le BRIC. Le Pakistan, pourtant théoriquement allié des Etats-Unis, a vendu de la technologie nucléaire à l’Iran (et à la Libye), au vu et au su des Américains qui ne s’en sont jamais plaint. L’idée centrale qu’il convient de retenir ici, c’est que l’Iran est, géographiquement parlant, le centre du fameux “Grand Moyen Orient” (GMO) que veulent unifier les Américains sous leur égide discrète et que ce centre ne peut pas avoir d’autre détermination politique et (géo)stratégique que celles qu’imposent les Etats-Unis, faute de quoi l’unification économique espérée, le grand marché rêvé du GMO, ne se réalisera pas ou se réalisera au bénéfice d’autres hegemons. C’est l’enjeu actuel du fameux “Grand Jeu”, commencé au 19ème siècle pour la maîtrise des régions iraniennes, afghanes et pakistanaises entre l’Empire britannique et l’Empire russe. L’Iran est en effet, depuis toujours, le maillon le plus fort et le plus important sur la chaîne formée par les Etats ou royaumes entre les côtes de la Méditerranée orientale et la Chine, chaîne que les stratégistes, notamment à la suite de Zbigniew Brzezinski, nomment la “Route de la Soie”.

 

3.

Pour Washington, il s’agit aussi, comme auparavant pour les Britanniques, d’empêcher toute forme de tandem irano-russe. Le Shah avait signé des accords gaziers avec Brejnev. Aujourd’hui, sous Ahmadinedjad, l’influence russe augmente en Iran, bien que les Iraniens se méfient instinctivement, par tradition historique, de ce voisin trop proche et trop puissant, tenu éloigné de ses frontières depuis l’émergence des nouvelles républiques indépendantes du Turkménistan et de l’Ouzbékistan, auparavant soviétiques.

 

Les Américains craignent l’émergence d’une diplomatie iranienne indépendante

 

4.

Ce que les Américains, avec leurs présidents démocrates, craignaient le plus, c’était l’émergence progressive d’une diplomatie impériale iranienne indépendante. En Europe occidentale, De Gaulle avait déjà inauguré la sienne, assortie de ventes d’appareils Dassault Mirage en Amérique latine, dans d’autres pays de l’OTAN, en Inde et en Australie, sans compter les manoeuvres navales communes entre le Portugal, la France, l’Afrique du Sud et plusieurs pays d’Amérique latine dans l’Atlantique Sud, faisant rêver l’écrivain Dominique de Roux, à un “Cinquième Empire”, pour l’essentiel inspiré du poète portugais Pessoa et de facture franco-lusitanienne (Brésil compris). Dans ses mémoires, publiées après la tragédie de la révolution khomeyniste, le Shah explicite ce qu’il entendait par “aire de la civilisation iranienne”. Celle-ci s’étendait de la Palestine à l’Indus voire aux zones islamisées de la vallée du Gange en Inde, au Golfe Persique et à toutes les côtes avoisinantes de l’Océan Indien. Toutes ces régions ont subi, à un moment ou à un autre de l’histoire, une influence iranienne. L’Iran, par une politique culturelle adéquate et/ou par une politique d’aide économique, devait retrouver l’influence perdue (ou amenuisée) dans ces régions. Ensuite, dans une perspective de coexistence pacifique et de dégel entre les blocs, le Shah entend ouvrir un dialogue économique avec l’URSS. Avec l’Europe, les relations sont excellentes, de même qu’avec l’Egypte. Mieux, le système préconisé par le Shah parvient à surmonter l’antique hostilité entre l’Arabie saoudite, sunnite et wahhabite, et la Perse chiite: en 1975, les deux souverains s’entendent dans le cadre de l’OPEC, créant par là même un tandem qui ne convient guère aux puissances anglo-saxonnes qui entendaient garder une maîtrise totale sur le pétrole moyen-oriental. Le Shah entretient aussi de bons rapports avec l’Inde, qui souhaitait maintenir le pourtours de l’Océan Indien en dehors de la rivalité Est/Ouest, au nom des principes de non alignement prônés par Nehru. En Afghanistan, pays pour partie chiite, le Shah développe un programme d’aide qui, à terme, aurait partiellement fusionné les deux pays, tout en soustrayant Kaboul à toute influence soviétique directe. Le souverain iranien agissait de la sorte en se croyant l’allié privilégié des Etats-Unis et en prenant au sérieux l’idée de coexistence pacifique entre deux blocs aux systèmes différents. En développant sa diplomatie de rapports bilatéraux, le Shah enfreignait plusieurs règles tacites fixées par la Grande-Bretagne d’abord, par les Etats-Unis ensuite. Il créait un pôle de puissance dans son pays même, alors que les Anglais avaient toujours voulu une Perse faible et “protégée”. Il entretenait de bons rapports commerciaux (surtout gaziers) avec l’URSS, en dépit de son appartenance au CENTO, donc à l’un des trois piliers des alliances occidentales sur le “rimland”, s’étendant de l’Egée aux Philippines. La politique anglaise avait toujours voulu éviter tous contacts positifs entre la Perse, pièce maîtresse sur le “rimland” et pays-charnière entre le Machrek arabe et le sous-continent indien, et la Russie/URSS. L’Afghanistan, depuis les théories du géopolitologue Homer Lea et de Lord Curzon (disciple de Mackinder), devait demeurer un espace soustrait à son environnement, un espace neutralisé où ne devaient intervenir ni la Russie (selon les règles du “Grand Jeu”) ni l’Angleterre ni, a fortiori, une Inde ou un Pakistan devenus indépendants ni une Perse qui aurait récupéré les atouts de sa puissance d’antan. En déployant un tel zèle, le Shah s’était rendu, à son insu, totalement insupportable aux yeux des stratégistes américains, héritiers dans la région des réflexes géostratégiques de l’Empire britannique. Il fallait donc lui mettre des bâtons dans les roues et, après les accords pétroliers irano-saoudiens, le chasser du pouvoir, pour remettre en selle des esprits falots ou obscurantistes, rétifs à toute modernité, sans visions de grande envergure: le projet s’est soldé par un fisaco (partiel) parce que les aires impériales, surtout en Orient, ont longue mémoire. Une mutation de signe au niveau idéologique, niveau superficiel, simplement superstructurel, n’élimine pas pour autant les réflexes profonds, pluriséculaires voire plurimillénaires.

 

Pour l’Europe, mai 68; pour l’Iran, Khomeiny

 

9782951741539.jpgEn modernisant l’Iran, en exaltant le passé perse, y compris le passé pré-islamique, en jugulant l’influence des mollahs et en installant dans le pays un islam politiquement “quiétiste” et religieusement plus fécond, en soulignant les aspects les plus lumineux de l’islam perse (ceux qu’ont étudié avec tout le brio voulu un Henry Corbin et ses disciples, dont Christian Jambet), le Shah voulait donner un lustre à son projet de “révolution blanche”, une révolution imposée d’en haut, impliquant une modernisation totale des systèmes d’enseignement, une industrialisation et une redistribution adéquate de la rente pétrolière. Cette “révolution blanche” a été un échec, surtout à cause du boom démographique qui amplifiait chaque année la tâche à accomplir, en alourdissant considérablement le budget alloué aux oeuvres de la “révolution blanche”, dont la création d’un réseau scolaire performant, y compris pour les filles. Rien que le projet d’une telle “révolution” pouvait fâcher les stratégistes américains: mis à part le modèle occidental, ouvert, bien entendu, aux multinationales, ces stratégistes ne toléraient pas l’éclosion de systèmes différents, et finalement auto-centrés, fussent-ils non communistes, dans les Etats du “rimland” inféodés aux commandements américains de l’OTAN, du CENTO et de l’OTASE (Asie du Sud-Est). Par ailleurs, les projets gaulliens de “participation” et d’“intéressement”, de Sénat des régions et des professions, ont été torpillés par les événements de mai 68, mascarade festiviste-révolutionnaire, aux ingrédients délirants, aux perspectives impraticables (celles qui nous ont menés à l’impasse dans laquelle nous marinons et végétons actuellement). On sait désormais, grâce aux recherches fouillées du Prof. Tim B. Müller de Berlin (Humboldt-Universität), que les “services” ont téléguidé, depuis des officines américaines où pontifiait notamment un Herbert Marcuse, l’émergence de cette “contre-culture”, en Allemagne comme en France, pour créer les conditions d’un enlisement permanent, équivalent à un “politicide” constant (cf. Luk van Middelaar). Le régime des mollahs, autour de la personnalité de l’Ayatollah Khomeiny, devait être l’équivalent iranien de notre “mai 68”, la fabrication destinée à enliser pendant longtemps l’Iran dans l’“impolitisme” (Julien Freund).

 

Guerre Iran/Irak et “Irangate”

 

Ce régime, dit “théocratique”, qui renverse d’abord la hiérarchie chiite qualifiée de “quiétiste”, se met en place dès le départ du Shah, en 1979. Les Etats-Unis, leurs “alliés”, tout le cortège des branchés et des post-soixante-huitards, les gauchistes durs et mous à l’unisson, applaudissent au départ du Shah, posé comme un “tyran”, exactement de la même manière que l’est aujourd’hui le brave ophtalmologue Bachar al-Assad. Cette vaste clique dûment médiatisée, téléguidée depuis Washington, imagine alors avoir jeté les bases d’une “démocratie” parlementaire à l’occidentale en Iran, avec des partis de gauche et des partis religieux (qui, avec l’aide de quelques ONG américaines, seraient devenus aussi inconsistants que les démocrates-chrétiens en Europe occidentale), flanqués de quelques libéraux agnostiques travaillant à maintenir “ouvertes” la société et l’économie iraniennes. C’était déjà le projet des Britanniques dans la première décennie du 20ème siècle: imposer à l’Iran une constitution de modèle belge. Les stratégistes américains étaient sûrement moins naïfs et plus cyniques: avec Khomeiny, et ses élucubrations, ils pensaient avoir trouvé le bonhomme qui allait plonger l’Iran dans le chaos et l’obscurantisme, ruinant du même coup tous les projets du Shah, projets modernisateurs et générateurs de puissance politique. A l’intérieur de la révolution iranienne cependant, les Pasdaran, ou “Gardiens de la Révolution”, dont faisait partie Ahmadinedjad, finissent par donner le ton et se révélent foncièrement anti-américains, au nom du théocratisme khomeiniste, certes, mais aussi au nom du nationalisme iranien (le souvenir de la révolution manquée de Mossadegh en 1953). Très rapidement, les relations s’enveniment: les Pasdaran prennent le personnel de l’ambassade américaine en otage. Riposte américaine: déclencher une guerre par personne interposée. Le champion de l’Amérique dans l’arène sera l’Irak nationaliste et sunnite de Saddam Hussein. Pendant huit années consécutives, les deux pays vont se déchirer au cours d’une guerre de position. L’Iran perd son trop-plein démographique: toute une jeunesse est sacrifiée dans la lutte contre l’Irak, soutenu aussi par l’Arabie saoudite, parce qu’il est tout à la fois arabe et sunnite. Le soutien occidental à Saddam Hussein n’est toutefois pas constant et total: quand les Irakiens conquièrent trop de terrain, les Etats-Unis, et même Israël, livrent des armes à l’Iran. Ce sera la fameuse affaire de l’Irangate.

 

 

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Les déboires d’Ahmadinedjad

 

Ahmadinedjad est dans le collimateur parce qu’il est certes un représentant de la “révolution khomeiniste” de 1978-79, parce qu’il est un ancien pasdaran qui a participé à la prise d’otages dans l’ambassade des Etats-Unis (ce qui est une entorse inacceptable aux règles de bienséance diplomatique) mais surtout parce que, derrière sa façade islamo-fondamentaliste et “khomeiniste”, il est pour l’essentiel un nationaliste iranien qui se rappelle de l’affaire Mossadegh de 1953 et qui veut moderniser son pays. Il annulle ainsi les espoirs des stratégistes américains des années 70 de voir l’Iran plonger pour longtemps dans un chaos passéiste (et non pas “progressiste” comme l’Europe; en bout de course, ce passéisme et ce progressisme, tous deux fabriqués, reviennent au même; tous deux plongent les polities, qui en sont affectées, dans l’impolitisme). Ahmadinedjad veut donc une modernisation, qui ne passe pas par un effacement des réflexes archaïques de l’islam et qui s’opère par l’adoption d’un programme nucléaire civil. C’est dans ce cadre qu’il faut interpréter les heurts survenus, depuis la fin de l’année 2010, entre Ahmadinedjad et son entourage pasdaran, d’une part, et le pouvoir islamo-conservateur des mollahs antimodernistes, d’autre part. Cet affrontement tourne aujourd’hui au désavantage d’Ahmadinedjad. Il y a six jours, le 2 mars, celui-ci vient de subir une importante défaite électorale. La majorité est désormais aux mains des mollahs les plus conservateurs, regroupés autour de la personnalité de Seyyed Ali Khamenei. Les islamo-nationalistes d’Ahmadinedjad sont donc en minorité et affrontent toutes les manoeuvres de déstabilisation perpétrées par leurs adversaires. Notons au passage que ces élections n’ont amené au pouvoir aucun des “réformistes” soutenus par les médias occidentaux, tant les platitudes philosophiques, que l’on nous oblige à aduler aux nom des “Lumières”, font sourire l’électeur iranien, fût-il un homme modeste. Les forces en présence en Iran sont toutes, officiellement, hostiles à l’Occident. Ahmadinedjad, le 2 mars 2012, a perdu deux villes importantes, Ispahan et Tabriz, ce qui diminue considérablement ses chances pour les présidentielles de 2013. Les résultats de ces élections pourraient donc très bien annuler, à terme, les spéculations de guerre formulées à tour de bras par les médias, puisque le départ d’Ahmadinedjad, après un verdict négatif du scrutin présidentiel, n’autoriserait plus la propagande belliciste. Notons aussi que plusieurs figures de l’entourage d’Ahmadinedjad sont accusées de “sorcellerie” par les islamistes les plus intransigeants, qui font ainsi le jeu des Américains, dans la mesure où le résultat évident d’une éviction du pôle pasdaran de la révolution islamique de 1978-79, signifierait un arrêt du processus de modernisation de l’Iran, entre autres choses, par le truchement d’un programme nucléaire civil.

 

Dans la situation actuelle de l’Iran, il convient de retenir trois facteurs importants:

◊ L’embargo contre l’Iran ne fonctionne pas: le Pakistan, l’Inde et la Chine continuent à se fournir en brut iranien, tandis que le Japon se présente comme client depuis la fermeture de la centrale nucléaire de Fukushima. Deux options s’offrent alors à l’Amérique, qui entend réaliser dans la région, par aiilleurs incluse tout entière dans l’espace relevant de l’USCENTCOM, sa grande idée de marché du “Grand Moyen Orient”: ou le retour à un modus vivendi avec l’Iran ou la guerre.

 

Demain: un modus vivendi avec l’Iran?

 

◊ L’option de retrouver un modus vivendi avec l’Iran demeure toujours ouverte, à mon avis. Elle est formulée par le professeur irano-américain Trita Parsi (John Hopkins University), par une politologue comme Barbara Slavin (USA Today) et par un ancien haut fonctionnaire de la CIA, Robert Baer. L’Iran redeviendrait le principal allié des Etats-Unis dans la région, même avant Israël (ce qu’Israël ne souhaite pas car l’Etat hébreu serait alors obligé de composer avec les autorités palestiniennes) et, autour de la masse géographique compacte qu’est le territoire iranien, le fameux GMO pourrait enfin se former par agrégations successives. On reviendrait en quelque sorte à la case départ: l’espace de la “civilisation iranienne”, qu’évoquait le Shah dans ses mémoires, deviendrait le GMO, auquel il correspond dans une large mesure et où un nouvel Iran, dénationalisé et émasculé, en constituerait la masse géographique centrale (Trita Parsi). Il se constituerait sous l’égide américaine et damerait le pion à la Russie et à la Chine en Asie centrale, tandis que ce nouvel Iran, non nucléaire, pourrait exporter son pétrole vers l’Inde et le Japon, en consacrant sa rente pétrolière non pas à la création d’un outil nucléaire civil, ou à un équivalent chiite de la “révolution blanche” du Shah, mais à l’achat de produits américains destinés à la consommation de masse.

 

◊ L’autre option est celle que l’on craint en ce moment: la guerre. Vu la non intervention des Etats-Unis en Syrie, vu l’enlisement en Irak et en Afghanistan, vu aussi la discrétion de la participation américaine à l’hallali contre la Libye, vu les risques énormes qui risquent de survenir au Pakistan, il n’y a pas lieu de penser qu’une guerre future contre l’Iran se fera sur les modèles de 2001 (Afghanistan) et de 2003 (Irak), le territoire iranien étant trop vaste pour être quadrillé sans lourdes pertes et trop montagneux pour permettre des opérations aisées sur le plan conventionnel. La stratégie employée sera probablement double: encerclement/étranglement de l’Iran par l’installation de bases américaines dans tous les pays voisins, ce qui est déjà réalisé; ou bombardement des seuls sites nucléaires iraniens, comme Israël l’avait fait en Irak en 1981 (en apportant ainsi une aide indirecte à l’Iran de Khomeiny). Zbigniew Brzezinski est opposé à une guerre directe: pour ce stratégiste, théoricien de la maîtrise de la “Route de la Soie”, ce serait une catastrophe car les forces américaines y serait clouées plus longtemps encore qu’en Afghanistan, ce qui alourdirait le budget américain et fragiliserait la position hégémonique des Etats-Unis dans le monde, risquant aussi de ruiner le projet de GMO; ensuite l’Iran a la capacité de bloquer le trafic maritime dans le Golfe Persique, ce qui triplerait voire quadruplerait le prix du pétrole en quelques semaines seulement.

 

La Syrie

 

Le nom de la Syrie est ancien, il est celui d’une province romaine, qui n’a toutefois pas eu des frontières constantes. Dans la région, les Romains, puis les Byzantins, ont changé plusieurs fois le tracé des frontières provinciales de leur Empire. Après un premier effondrement des armées de l’Empire byzantin, la Syrie, jusqu’alors chrétienne, du moins depuis le règne de Constantin, est conquise par la première vague des combattants arabo-musulmans, sortis de la péninsule arabique sous la conduite des premiers héritiers de Mohamet. La Syrie, majoritairement sémitique dans sa population, et parlant araméen, s’assimilera vite au nouveau monde musulman. Ajoutons que dans l’Empire byzantin, secoué par les querelles entre iconodules (adorateurs d’images représentant Dieu, le Christ, Marie et les saints) et iconoclastes, hostiles à toute représentation du divin ou de figures divinisées par des images ou des sculptures, les Syriens étaient majoritairement iconoclastes, rejetaient les images comme le feront plus tard les musulmans, mais que les chrétiens araméens restitueront par fidélité à l’idéal religieux grec-orthodoxe. Ce ne sera pas le cas en Iran ou en Inde, terres non sémitiques, où images et miniatures, véritables chefs-d’oeuvre de finesse et de précision, seront longtemps une tradition. L’iconoclasme est une attitude religieuse souvent propre au monde sémitique, indépendamment de l’islam. L’iconodulisme est en revanche une option esthétique plutôt indo-européenne. Au début du 16ème siècle, la Syrie arabe est conquise par les Ottomans turcs, venus d’Anatolie, appuyés par des mercenaires ou des janissaires balkaniques. Pendant 400 ans, la Syrie sera une part constitutive importante de l’ensemble ottoman. Les Turcs, comme les Romains, modifieront souvent le tracé des frontières de leur province syrienne. Cette situation perdurera jusqu’en 1918 où, à l’issue de la première guerre mondiale, la Syrie, conquise par les Britanniques et les Arabes hachémites sous la conduite du fameux Lawrence d’Arabie, passe sous mandat français. Les Hachémites, pour prix de leurs efforts aux côtés des Britanniques, voulaient obtenir, pour l’un des leurs, le trône de Syrie. Ils souhaitaient qu’un royaume se constituât autour de Damas, pour se prolonger jusqu’au Sud de la Palestine et pour jouxter ainsi leurs terres ancestrales du Hedjaz dans l’Ouest de la péninsule arabique.

 

 

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Wahhabisme saoudien

 

Cette péninsule, matrice de l’islam, n’était pas, à l’époque un royaume uni: à l’Ouest, les Hachémites dominaient les terres du Hedjaz au Nord, tandis que le Yémen, jadis riche grâce à son commerce avec l’Afrique subsaharienne, dominait celles du Sud-Ouest. A l’Est, face aux côtes iraniennes du Golfe Persique, vivaient des tribus arabes chiites, en conflit larvé avec les sunnites d’obédience wahhabite. Au centre, dans le Nejd, régnaient les ressortissants de la famille des Séouds et les religieux wahhabites, inspirés par l’islam fondamentaliste, de facture hanbaliste, qu’avait théorisé un imam particulièrement combattif au 18ème siècle. Dans les années 30, les Séouds wahhabites vont conquérir toutes ces provinces périphériques, appuyé par un mouvement de combattants-pionniers, l’Ikhram. Les Hachémites devront quitter leurs terres d’origine et se contenter des trônes de Transjordanie et d’Irak, deux mandats britanniques. Les chiites de la péninsule arabique et des régions proches du Yémen vivront désormais sous le knout wahhabite. Forte du pétrole après les accords américano-saoudiens de 1945, suite à l’entrevue Roosevelt/Ibn Séoud sur un bâtiment de l’US Navy en Mer Rouge, l’Arabie saoudite soutient partout dans le monde les mouvements hanbalites, wahhabites et salafistes, avec la bénédiction tacite des Etats-Unis. Une figure, présentée comme le porte-paroles d’un islam modéré ou d’un très hypothétique “euro-islam” à faire émerger au sein de nos sociétés, telle Tariq Ramadan, appartient à cette mouvance. Il est le neveu de Saïd Ramadan, agent notoire de la CIA en Allemagne dès les années 50, appartenant au mouvement des Frères musulmans, également hanbalite et hostile au pouvoir pragmatique et efficace des “Jeunes officiers” égyptiens, autour de Gamal Abdel Nasser, affublé par ses ennemis fondamentalistes du sobriquet, soi-disant infâmant, de “Pharaon”. Saïd Ramadan contribuera à démanteler les réseaux musulmans travaillant pour les services allemands, des réseaux qui étaient, par la force des choses, plus pro-européens dans leurs options stratégiques, afin de les remplacer par des imams relevant de leur seule obédience et téléguidés par les Etats-Unis. Saïd Ramadan a brisé, et définitivement, les ressorts d’un véritable “euro-islam” que son neveu, paradoxalement, appelle de ses voeux, mais cette fois pour paralyser les polities européennes et faire émerger en leur sein des éventuelles “cinquièmes colonnes” au profit du tandem américano-wahhabite, véritable alliance entre les fondamentalismes protestant/puritain et islamiste.

 

Les espoirs hachémites de recevoir un trône à Damas étaient d’avance pures illusions. Les Accords Sykes-Picot de 1916 contenaient un protocole secret: la France devait recevoir le mandat de gérer le Liban et la Syrie; la Grande-Bretagne de gérer l’Irak, la Transjordanie et la Palestine. En 1917, Lord Balfour déclare que les Juifs pourront avoir “un foyer en Palestine”, ce qui ne signifie pas recevoir la Palestine (toute entière) comme foyer. Les Hachémites acceptent cette solution, donc aussi le foyer juif en Palestine, ce qui a pour effet aujourd’hui que toute une littérature palestinienne, non entachée de fondamentalisme, fustige cette attitude, notamment sous la plume d’un écrivain comme Said K. Aburish, auteur d’une saga familiale montrant la collusion hachémito-britannique et d’une histoire très critique de “l’ascension et du déclin de la famille Séoud”, mercenaire des intérêts américains. Une littérature que des “services” européens idéaux feraient bien de lire pour correspondre enfin à la qualité que préconise un Xavier Raufer, une qualité qui met la capacité de prévoir au premier rang de ses priorités. En 1918-19, les Hachémites acceptent cette présence sioniste parce que l’armée britannique –qui avance d’Aqaba à Damas et chasse les Turcs avec l’appui des cavaliers et chameliers arabes du Colonel Lawrence– est flanquée d’une “Jewish Legion”, composée pour partie de sionistes issus de Russie, qui étaient opposés à la révolution bolchevique et voulaient continuer la guerre aux côtés des alliés occidentaux. Parmi eux, Weizmann et Ben Gourion, ainsi que le sioniste de droite le plus virulent, qui, contrairement à ses jeunes disciples les plus radicaux, demeurera toujours fidèle aux Anglais: Vladimir Jabotinski. Au départ, Hachémites et sionistes étaient liés par leur commune appartenance aux armées de l’Empire britannique. La rupture entre Arabes et sionistes viendra plus tard, quand la majorité des colons juifs installés dans le “foyer juif en Palestine”, militeront dans des formations socialistes ou communistes, auxquelles s’opposeront les autochtones arabes, plus traditionnels dans leurs réflexes politiques.

 

Le mandat français

 

C’est dans le cadre de cette mutation post-ottomane que la Syrie tombe sous administration française et l’éphémère royaume syrien de l’Hachémite Fayçal est effacé de la carte, après une bataille où les Bédouins d’Arabie, ceux-là même qui avaient suivi Lawrence, sont écrasés à Maysalun: dans la foulée, Fayçal s’enfuit et les territoires accordés au titre de mandat à la France sont divisés, avec, d’une part, un “Grand Liban” (créé le 1 septembre 1920), dominé par les maronites chrétiens, et, d’autre part, une Syrie privée de presque tout son littoral. Les alliés avaient jugé que les peuples de la région n’étaient pas encore assez “mûrs” pour bénéficier d’une indépendance. D’où l’expédient du “mandat”. L’Irak recevra des Britanniques une indépendance formelle et limitée dès 1932 mais le nationalisme indépendantiste irakien se dressera contre Londres en 1941, sous l’impulsion du ministre Rachid Ali qui voudra s’aligner sur l’Axe. La Syrie devra attendre 1946 pour accéder à une indépendance complète.

 

Sultan_Pasha_al-Atrash.jpgLa période du régime français ne sera pas une ère de paix. Très vite, en 1925-26, la Syrie se révolte, à commencer par le “Djebel druze” dans le Sud, sous l’impulsion de Sultan Pacha al-Atrash (photo; 1891-1982) et sous la direction éclairée du Dr. Abd al-Rahman al-Shahbandar (1880-1940). Sultan Pacha al-Atrash avait déjà organisé des révoltes contre les Ottomans, récurrentes en Syrie depuis le début du 17ème siècle, ainsi qu’un premier soulèvement de peu d’ampleur en 1922-23. La révolte, druze au départ, générale par la suite, donne naissance à une idéologie nationaliste “grande syrienne”, visant l’unification des territoires aujourd’hui libanais, syriens et palestiniens, tout en manifestant une hostilité à la “Déclaration Balfour” (“Yasqut wa’d Balfour!”). Cette révolte, contrairement à celle d’aujourd’hui contre le pouvoir de Bachar al-Assad, était surtout le fait de la majorité sunnite: dans les minorités, sauf chez les Druzes d’al-Atrash, on cherchait plutôt la protection des Français. La révolte druze a donc été inattendue: c’est l’horreur qu’a provoqué un gouverneur local français, un certain Capitaine Carbillet, en voulant appliquer à la lettre les élucubrations “progressistes” et soi-disant “anti-féodales” de la révolution française et du jacobinisme le plus obtus, qui a déclenché le soulèvement. Carbillet et sa clique se mêlaient de tous les aspects de la vie des autochtones, critiquaient les traditions et les règles de leur droit traditionnel, dans une optique totalement différente de celle d’un Maréchal Lyautey au Maroc, soucieux de respecter les traditions politico-religieuses chérifaines. Trois chefs du clan al-Atrash furent attirés dans un piège par le Haut Commissaire français, le Général Maurice Sarrail, et emprisonnés à Palmyre: cette arrestation de trois parlementaires fut l’incident qui mit le feu aux poudres. En juillet 1925, les Druzes emportent une première victoire, qui est immédiatement suivie d’une répression impitoyable de la part de la puissance mandataire, ce qui entraîne l’adhésion à la révolte des nationalistes de Damas, menés par le Dr. Abd al-Rahman al-Shahbandar qui venait, le 5 juin 1925, de créer son parti, le “Parti du Peuple”. La colonne druze, en marche vers Damas, est défaite par l’aviation française et la cavalerie marocaine le 24 août. Les révoltés syriens optent alors pour la guérilla. Le 18 octobre, un commando d’une soixantaine d’insurgés s’infiltre dans Damas. Sarrail ordonne aussitôt de mitrailler et de bombarder la ville, lui infligeant des destructions effroyables, qui choquèrent les Britanniques et provoquèrent à Paris une campagne de presse hostile au Haut Commissaire, laché par la gauche et le parti “républicain”. La droite, qui n’aimait pas ce général “républicain” et maçon, ne l’épargna pas. Il mourut en mars 1928 dans l’indifférence générale.

 

 

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Projet de partition de la Syrie sous le mandat français

 

Il est remplacé par Henry de Jouvenel, un civil, qui ne parvient pas tout de suite à mater la révolte: elle se poursuivit pendant tout l’hiver, jusqu’au printemps de l’année 1926. Les insurgés campaient en lisière de Damas et harcelaient les troupes françaises. La répression fut très féroce: villages incendiés, habitants mâles massacrés, fusillades de prisonniers sur les places publiques de Damas, déportations de villageois soupçonnés de soutenir la rébellion, nouveaux bombardements de la capitale. A Hama, Fawzi al-Qawuqji, ancien officier ottoman passé aux troupes de Fayçal et Lawrence puis rallié à la France, déclenche une seconde révolte pour faire diversion et disperser les forces françaises, ce qui entraîne le bombardement de la ville et la destruction de ses plus beaux quartiers par des tirailleurs sénégalais excités par leurs officiers blancs.

 

La France empétrée dans le Rif, en Syrie et dans la Ruhr

 

La férocité de la répression, qui s’explique en partie parce que la France faisait face à deux révoltes simultanément; elle devait donc réagir vite devant ces deux dangers qui menaçaient ses positions à l’Ouest et à l’Est de la Méditerranée: en Syrie, elle peut agir seule; dans le Rif (au Maroc), elle doit se concerter avec l’Espagne. Les révoltes syrienne et rifaine sont aussi contemporaines de la grève générale des ouvriers allemands, dressés contre l’occupation de la Ruhr. Paris ne peut intervenir en Rhénanie avec toute la vigueur voulue, vu la mobilisation de ses forces au Levant et en Afrique du Nord. En Allemagne, elle n’a pas le soutien de Londres et ne peut compter que sur un soutien mitigé de la Belgique. Les événements de Syrie dans les années 20 du 20ème siècle sont peu connus, sont généralement oubliés et ne font l’objet d’études scientifiques que depuis peu de temps. Une fois la révolte syrienne matée et la guerre du Rif terminée, la France pratique au Levant la politique du “Divide ut impera”, créant des autonomies locales pour les chrétiens, les Alaouites, les Druzes et les Kurdes. Ces derniers bénéficient de largesses incroyables, dont ne bénéficiaient pas, à l’époque, les Bretons ou les Alsaciens, eux aussi à soumis à une féroce répression judiciaire parce qu’ils réclamaient des droits linguistiques. Les Kurdes, eux, peuvent parler leur langue, reconnue sur le plan administratif dans l’espace du mandat syrien. Le résultat de cette politique fait que la Syrie, jusque aujourd’hui, est restée un tissu de zones ethno-religieuses centrées autour de villes-marchés. Le pays est peu centralisé. Son unité politique, après la seconde guerre mondiale, est certes le résultats d’un nationalisme anti-français mais aussi une création due à l’action d’un parti nationaliste et socialiste, le “Baath”. L’idéologie de ce parti a été pour l’essentiel théorisée par des chrétiens du Levant. Le “Baath” accède au pouvoir en 1963, devenant du même coup l’assise portant l’Etat, même après les défaites militaires de 1967 et de 1973 face à Israël, à la suite desquelles survient le problème de l’eau, du “stress hydrique” du Golan, plateau regorgeant de sources, comme le Plateau de Langres en France, véritable château d’eau alimentant la Seine et plusieurs de ses affluents, la Meuse et la Sâone (affluent du Rhône).

 

L’armée, pilier modernisateur de l’Etat syrien

 

Le Baath organise la Syrie post-mandataire, après les hésitations des années 50, où la vie politique syrienne était troublée et indécise, comme en France sous la IV° République. Ce nouveau pouvoir baathiste est centré sur l’armée, qui devient l’école de la nation. Au sein du peuple, on recrute les jeunes hommes capables, on les forme, on en fait des officiers qui encadrent la nation.

 

36zagr.jpgDans un document militaire secret de 1966, cité par un historien de la Syrie qui fut diplomate néerlandais, Nikolaos van Dam (1), l’auteur anonyme rappelle que les “représentants de l’impérialisme” multiplient les efforts pour réserver l’encadrement de l’armée aux “classes bourgeoises” dans les pays en voie de développement. L’armée reste ainsi aux mains des mêmes oligarques et est maintenue à l’écart de la politique, réduisant de la sorte les armées à de simples “soupapes de sécurité” qu’on appelle uniquement en cas de besoin pour les renvoyer ensuite dans leurs casernes. Il faut donc remplacer l’armée de métier par une “armée idéologique”, explique l’officier baathiste anonyme qui a rédigé le document de 1966 dans le ton socialiste et “tiers-mondiste” de l’époque. Cette “armée idéologique” (donc, en l’occurrence, “baathiste”) doit travailler en permannence à réaliser les objectifs émancipateurs de la masse populaire et à éliminer les injustices. Le “soldat idéologique” est un homme dévoué à sa nation, qui a reçu une éducation adéquate, reposant sur les principes libérateurs et défensifs du Baath, “de manière à ce que l’on puisse se fier à lui, porteur d’une arme, afin qu’il soit une barrière insurmontable contre tous les ennemis: les ennemis de la nation arabe, les ennemis des classes deshéritées qui travaillent dur, les ennemis de l’Unité (syrienne), de la liberté et du socialisme, qu’ils soient des ennemis intérieurs ou extérieurs” (p. 171). “Dans une armée idéologique, les méthodes classiques et professionnelles, basées sur le mercenariat et sur la force aveugle, disparaissent et sont remplacées par de nouveaux rapports reposant sur l’attachement (à la nation), sur la compréhension mutuelle et sur une foi partagée en une destinée commune” (p. 171). “La nature de notre lutte pour l’indépendance, et le fait que les distinctions de classe tranchées n’existent pas dans notre société, a ouvert la possibilité à un groupe de fils de paysans, de travailleurs, de personnes ne disposant pas de gros revenus, d’entrer à l’Académie Militaire (...) pour devenir plus tard le noyau dur révolutionnaire de l’armée, lui permettant de réaliser son rôle historique qui est de superviser la vie du pays et de la nation arabe...” (p. 172). L’armée est donc une “milice” constituée d’un type nouveau de “moine-soldat”, ancré dans la substance populaire.

 

Le Baath et l’armée contre les “Frères Musulmans”

 

Cette valorisation laïque de l’armée comme “bouclier” contre les facteurs de désunion et de sectarisme a pour mission de créer un “Syrien nouveau”, détaché de toutes les formes de sectarisme religieux conduisant à toutes sortes de séditions (le “factionalisme”). La mise sur pied d’une telle “armée idéologique” implique de supprimer, dans la société syrienne, toutes les discriminations imposées parfois aux minorités comme les chrétiens (11% de la population), aux Druzes et aux Alaouites (dont est issu le clan al-Assad). L’objectif des nationalistes syriens d’inspiration baathiste était donc de mettre fin à toutes les polarisations opposant les Sunnites (majoritaires) aux minorités religieuses, d’éliminer le “factionalisme” druze au sein des forces armées et de contrer les menées des Frères Musulmans, incitant les Sunnites majoritaires à discriminer les représentants d’autres communautés religieuses. Aujourd’hui nous assistons à la revanche des “Frères”, dont une révolte, en 1982, avait été matée à Hama par l’action conjuguée de l’armée et des milices baathistes. Cette insurrection de Hama venait après une tentative d’assassinat du Président Hafez al-Assad par les “Frères” le 26 juin 1980. C’est à partir de ces événements sanglants que le binôme armée/parti a reçu une coloration plus “alaouite”. Depuis lors, une guerre civile larvée oppose les “Frères” aux Alaouites et aux baathistes. Le déchaînement actuel des passions, exploité par Israël, les Etats-Unis (avec son élite “puritaine” protestante), la France (avec ses “nouveaux philosophes”’), le Qatar et les Wahhabites saoudiens, s’explique par l’alliance entre ces puissances et les “Frères” pour éliminer un régime lié à l’Iran (vu la parenté religieuse entres Chiites iraniens et Alaouites syriens) et allié à la Russie (à laquelle il accorde des facilités maritimes et navales sur la côte méditerranéenne). La guerre civile actuelle a été annoncée voici trente-deux ans dans une “Déclaration de la Révolution islamique en Syrie”, proclamée en novembre 1980. Cette déclaration appelait les Alaouites “à venir à la raison avant qu’il ne soit trop tard” (p. 107). C’est également dans cette “Déclaration” de novembre 1980, qui promet de “garantir les droits de toutes les minorités”, que les Alaouites sont déclarés “kuffar”, c’est-à-dire “hérétiques” ou “rénégats” de la vraie foi et “idolâtres” (“mouchrikoun”), donc cibles idéales d’une djihad permanente. Contre la volonté de l’“armée idéologique” de demeurer “laïque”, “transconfessionnelle” et “anti-factionaliste”, la “Déclaration” des “Frères” entend au contraire vider l’armée de tous ses éléments non sunnites, appartenant aux “minorités”, afin qu’elle ne réflète que la seule majorité jugée “orthodoxe”, à l’exclusion de tous ceux que l’on campe comme “hérétiques” ou “idolâtres”. Des événements tragiques ont secoué la Syrie en 1981: les “Frères” commettaient des attentats sanglants à Damas contre l’armée et contre le bureau du Premier Ministre; en Egypte, ils assassinaient Sadate (6 octobre). Ces violences ont été le prélude des événements actuels et présentent les mêmes clivages, sauf que le camp des “Frères”, à l’époque, ne bénéficiaient pas du soutien des bellicistes américains et de leurs porte-voix européens. Fin février 1982, cette première guerre civile syrienne prend fin.

 

Les Alaouites, facteur peu connu en Europe occidentale

 

Les Alaouites sont un facteur peu connu en Europe occidentale. On ne peut faire toutefois l’équation entre les Alaouites syriens, chiites, et les Alevis turcs, également victimes de la majorité sunnite. En Turquie, les Alevis sont soit des chiites déguisés en milieu majoritairement sunnite, comme en Syrie, soit des convertis récents ou moins récents, qui ont bien voulu devenir musulmans pour sortir de la “dhimmitude” sans pour autant adhérer aux rigorismes du sunnisme orthodoxe et pour garder une religiosité joyeuse et festive. Parmi les Alevis turcs, on trouve aussi des chamanistes centre-asiatiques (issus des groupes de cavaliers turkmènes ou ouzbeks recrutés par l’armée ottomane), des chrétiens orthodoxes, grecs ou arméniens, des zoroastriens (notamment parmi les Kurdes) voire des juifs, notamment de rite hassidique. Actuellement, bon nombre d’Alevis turcs soutiennent l’armée contre le néo-islamisme d’Erdogan. Pour eux, l’armée turque, laïque, est un rempart contre les exactions sunnites qui n’ont pas manqué de se manifester brutalement: plusieurs pogroms anti-alévis ont effectivement eu lieu en Turquie au cours de ces deux dernières décennies. En Turquie, les Alevis sont donc un mélange de convertis en surface. En Syrie, ce sont des chiites qui ont quelque peu modifié leurs rites pour survivre au sein d’un Empire ottoman majoritairement sunnite. La disparition de la tutelle ottomane après 1918 a rendu aux Alaouites syriens la possibilité de se rapprocher du chiisme, ce qui explique l’alliance iranienne actuelle. En Turquie, la prise du pouvoir par Erdogan et l’AKP, il y a dix ans, a amorcé un processus de démantèlement de cette armée laïque, voulue par Mustafa Kemal Atatürk. Le binôme Erodgan/Gül représente un islam, apparemment modéré, qui veut assurer la prééminence du sunnisme en Turquie. Les deux hommes ont milité dans le mouvement “Milli Görüs”, jadis jugé “extrémiste” par le “Verfassungschutz” allemand. Ce mouvement, à la fois nationaliste et islamiste, s’est fait le relais de ceux qui ont toujours voulu maintenir ou restaurer la domination du sunnisme propre à l’Empire ottoman, un sunnisme mis à l’écart sous la république fondée par Atatürk. Avec l’AKP d’Erdogan, ce sunnisme évincé va prendre sa revanche et chasser à son tour l’armée turque du pouvoir qu’elle détenait depuis près de huit décennies. Avec Gül, qui a des liens avec les Frères musulmans, cette tendance s’accentuera et explique pourquoi la rupture s’est effectuée entre la Turquie et la Syrie en août 2011: Gül avait demandé à Bachar al-Assad de prendre des “Frères” dans son gouvernement. Pour le leader syrien, c’est là une requête impensable, vu les événements de 1980-82 à Hama et à Damas, où les “Frères” ont déclenché une guerre civile dans le but d’éliminer tous les ressortissants de minorités religieuses (chrétiennes comme musulmanes) de l’appareil de l’Etat. L’acceptation de “Frères” dans un gouvernement syrien aurait signifié un abondon total et complet de l’option “transconfessionnelle” du baathisme et la fin de la domination discrète, non officielle, des clans alaouites. Dans la querelle qui a opposé Bachar al-Assad et le binôme Gül/Erdogan en août 2011, le président syrien a refusé la centralisation sunnite hostile aux minorités et maintenu son adhésion aux principes “transconfessionnels” du baathisme, pour qui le “sectarisme”, d’où qu’il vienne, fût-ce de la majorité, ruine le projet d’une grande Syrie forte, arabe et socialiste, où tout exclusivisme islamiste empêcherait la fusion avec un Liban partiellement chrétien. Pour les islamistes, dits “modérés”, autour de Gül et Erdogan, al-Assad est un “anti-démocrate”, tel que le fustige l’Occident des ONG américaines et des “nouveaux philosophes” de Paris. Pour les alliés saoudiens ou qataris de ces fondations américaines ou de ces pseudo-philosophes du “prêt-à-penser”, al-Assad, en tant qu’Alaouite est un “hérétique”: nous avons là la collusion des fondamentalismes bellicistes, l’islamiste et l’occidentaliste.

 

L’alliance entre Saoudiens, Al-Qaedistes et Américains

 

Les Saoudiens, dans ce jeu, luttent donc contre les Alaouites, considérés comme “hérétiques”, et contre tout Etat, dans l’aire arabo-musulmane, qui fonctionne correctement mais sans se référer à des idéologèmes coraniques. Ce que nous pourrions considérer comme de la “bonne gouvernance” au Proche et au Moyen Orient, parce qu’elle assure la paix civile, difficile à imposer dans un espace où il y a tant de turbulences permanentes, est dénoncée comme “mauvaise gouvernance” par l’alliance étonnante que représentent aujourd’hui les Etats-Unis, la nouvelle philosophie, la nouvelle gauche soixante-huitarde marquée par cette “nouvelle philosophie”, les “Frères Musulmans” et le fondamentalisme islamiste de facture wahhabite. Nous vivons ici une situation confuse et floue (à dessein), martelée par les médias conformistes, comme l’avait déjà dénoncée un Georges Orwell, quand il disait que “la vérité est mensonge et le mensonge, vérité”. Dans le cadre de la collusion entre Wahhabites et occidentalistes (soi-disant de “gauche”), signalons tout de même qu’Abdel Hakim Belhaj, combattant d’Al Qaeda devenu gouverneur de Tripoli en Libye suite à l’élimination de Kadhafi, soutient la politique belliciste de l’américanosphère et donc le discours sur les “droits de l’homme” que débitent depuis trente-cinq ans les philosophes bellicistes de la place de Paris. Curieux allié! De même, Ayman al-Zahwari, chef d’Al Qaeda depuis la mort de Ben Laden, appelle à la djihad contre la Syrie. Il ajoute, pour rendre la situation plus confuse encore pour les ignorants et les crédules, qui avalent tout ce que racontent les médias, que Bachar al-Assad est un allié des Etats-Unis... On s’aperçoit des “trucs” de la manipulation planétaire: devant un public arabe, on accuse le “grand méchant” du moment d’être un allié des Etats-Unis; en Europe, on raconte qu’il est un “ennemi de la démocratie”, donc de l’Occident. Pendant ce temps, la télévision iranienne, qui, elle, soutient al-Assad, au nom d’une solidarité entre chiites, dénonce l’alliance entre “les Frères Musulmans, la maison royale des Séouds, les cabbalistes juifs et la franc-maçonnerie des services secrets anglo-saxons avec leurs rituels paléo-égyptiens”. Dont acte. En Flandre, on a peine à imaginer qu’est désormais allié à Al Qaeda le sycophante libéral-thatchérien Guy Verhofstadt, ancien premier ministre belge du gouvernement “arc-en-ciel” et nouvel ami du belliciste vert Cohn-Bendit (celui qui, vu ses obsessions d’ordre sexuel, devait “aller se tremper le cul dans une piscine” selon le ministre de De Gaulle, Alain Peyrefitte). Eh oui, ce Verhofstadt hurle dans le même concert qu’Ayman al-Zawahri, chef d’Al Qaeda!

 

L’embarras d’Israël

 

Israël a une position mitigée. Pourquoi? Tel Aviv souhaite la stabilité dans les conflits régionaux, dont il est partie prenante, veut des ennemis bien profilés, auxquels il s’est habitué au fil du temps et des affrontements. Déjà, la disparition de Moubarak en Egypte fragilise les positions israéliennes sur le front du Sinaï, les néo-islamistes sunnites égyptiens pouvant dans un avenir plus ou moins proche être prompts à aider les combattants du Hamas, lui aussi sunnite, ce qui mettrait en danger la frontière israélienne dans le Neguev, surtout après l’abandon du Sinaï lorsque la paix a été signée avec l’Egypte de Sadate et Moubarak. Alors, si al-Assad tombe, qui viendra au pouvoir après lui à Damas? Les “Frères”? Des Wahhabites assimilables à Al-Qaeda? Ou sera-ce le chaos complet? Certes, Israël déteste Bachar al-Assad, surtout pour son soutien au Hizbollah chiite, pour être le fils de son père Hafez al-Assad qui avait refusé de signer les accords sur le Golan et pour son alliance panchiite avec l’Iran d’Ahmadinedjad. Mais Israël sait que l’Iran a toujours, au cours de son histoire plurimillénaire, soutenu des sectes, des mouvements religieux, des séditions politico-religieuses et surtout le particularisme juif dans l’espace syro-palestinien, contre les Romains (on peut avancer l’hypothèse que les Esséniens et les premiers Chrétiens étaient une de ces antennes parthes dirigées contre Rome), puis, plus tard, contre les Byzantins, les Ottomans et aujourd’hui contre l’alliance américano-israélienne. Cette donne était connue des services israéliens, qui avaient parfaitement su gérer l’antagonisme qui les opposait à Damas: quid, s’il faut changer demain de stratégie, former de nouveaux agents, repérer de nouveaux ennemis, tenir d’autres discours dans les médias au risque de troubler un électorat israélien déjà suffisamment composite et versatile? Israël, suite aux suggestions d’un Colonel américain, Ralph Peters, propose une division de la Syrie en petits Etats ethnico-religieux, exactement comme l’avaient voulu les Français, à l’époque du mandat. Par ailleurs, si al-Assad soutient le Hizbollah chiite et anti-israélien, vainqueur de Tsahal au Liban pendant l’été 2006, le Hamas palestinien, lui, sunnite et tout autant anti-israélien notamment dans son bastion de la Bande de Gaza, soutient les insurgés anti-baathistes de Syrie, au même titre qu’Erdogan et les “nouveaux philosophes”, dont beaucoup de réclament d’une “judéité” franco-républicaine et émancipée à la sauce 68. Or voilà que ces petits messieurs tout pleins de jactance et d’hystérie, ces pompeux donneurs de leçons, ces “intellectuels faussaires”, souvent pro-sionistes à tous crins, se retrouvent dans le même bâteau que les sectataires du Hamas! Raison supplémentaire pour dire qu’Israël aurait préféré le statu quo à la nouvelle soupe, au nouvel imbroglio!

 

Les thèses historiques de Luttwak sur les empires romain et byzantin

 

Parmi les voisins d’Israël, la Syrie dispose de la meilleure armée. C’est un motif pour Israël de voir disparaître le système baathiste qui inspire force, puissance et popularité à la chose militaire en Syrie. Mais, par ailleurs, l’armée et le baathisme sont des phénomènes connus de l’Etat hébreu qui savait comment y faire face. Pour les Etats-Unis, la campagne médiatique contre la Syrie, le baathisme et le pouvoir alaouite et l’orchestration de la guerre civile sont des actions dirigées non pas tant contre la Syrie en soi, avec laquelle ils s’étaient accommodés jusqu’ici, mais contre l’Iran dont le seul allié, en dehors du vieux territoire persan, est désormais la Syrie du clan al-Assad, pourtant alliée des Etats-Unis lors de la première guerre contre l’Irak.

 

 

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Si l’allié syrien (et donc méditerranéen) de l’Iran est éliminé, celui-ci est aussitôt affaibli. En déployant cette stratégie, les Etats-Unis se prennent, comme ils aiment à le faire depuis une ou deux décennies, pour les héritiers géopolitiques de Rome dans la région. Afin d’expliquer les turbulences post-soviétiques en Asie centrale, le long de la “Route de la Soie”, on se réfère souvent à la géostratégie mise au point par Zbigniew Brzezinski dans plusieurs ouvrages, articles ou essais, dont “Le grand échiquier” (“The Grand Chessboard”). On parle beaucoup moins des travaux historiques d’Edward Luttwak sur la stratégie de l’Empire romain, publié fin des années 80 et sur la stratégie de l’Empire byzantin, paru plus récemment. L’ouvrage sur la stratégie de l’Empire romain explique comment il faut tenir la “trouée pannonienne”, soit l’espace aujourd’hui hongrois entre Danube et Tisza, et le Delta du Danube ou la Dobroudja (frontière roumano-bulgare), pour se rendre maître de tout l’espace méditerranéen et sud-européen (à l’Ouest du Rhin et au Sud du Danube). L’ouvrage sur l’Empire byzantin explique les stratégies à adopter pour la maîtrise des Balkans (ce qui est accessoire pour les Etats-Unis maintenant) et pour la domination du Proche Orient ou Levant, ce qui nous ramène à la problématique que nous abordons aujourd’hui. Les Etats-Unis (avec leur appendice israélien) se trouvent face à l’Iran dans la région, exactement comme l’Empire romain du temps des Parthes (bataille de Carrhae en 53 av. J.C.; maîtrise très momentanée des provinces d’Assyria et de Mesopotamia entre 115 et 117) ou que l’Empire byzantin face aux Sassanides.

 

Le jeu dissimulé du néo-ottomanisme

 

Les enjeux de la lutte entre Rome et Byzance, d’une part, et les Parthes ou la Perse, d’autre part, se situent tous à l’Est du territoire syrien actuel, zone d’affrontements entre empires depuis la plus haute antiquité, depuis l’Empire hittite et les royaumes Mittani. Même si aujourd’hui les Etats-Unis dominent les territoires assyriens et mésopotamiens d’Irak, que Rome n’a pu contrôler que pendant deux ans, l’Iran conserve un atout dans cette région fragile, celui de pouvoir inciter les populations chiites à la révolte. L’instabilité irakienne actuelle prouve amplement cette hypothèse, que l’on relativisera en rappelant que les attentats anti-chiites qui ponctuent la vie quotidienne à Badgad sont sans nul doute des formes particulièrement cruelles d’intimidation de la population chiite arabe du Sud du pays, alliées potentielles des Iraniens. La stratégie persane a toujours été par ailleurs, du temps des Romains comme du temps des Byzantins, de semer des troubles, par sectes ou communautés religieuses interposées, dans l’espace syrien (du Taurus au Sinaï). Bachar al-Assad et son clan alaouite servent de levier éventuel aux Iraniens dans la région du Levant, où Ahmadinedjad et les mollahs y sont les héritiers stratégiques des Parthes et des Sassanides: c’est ce levier potentiel que les Etats-Unis entendent détruire aujourd’hui, comme les Romains et les Byzantins souhaitaient se débarrasser de tous les alliés potentiels des Parthes ou des Sassanides. Si on rappelle que, pour bon nombre d’observateurs et d’historiens, l’Empire ottoman était, volens nolens, l’héritier stratégique de Rome et de Byzance dans la région depuis sa conquête de la Syrie et de la Palestine au 16ème siècle, le néo-ottomanisme d’Erdogan, Gül et Davutoglu pourrait s’interpréter comme une stratégie indirecte des Etats-Unis contre l’Iran, dans la mesure où l’allié turc au sein de l’OTAN opte pour une forme de diplomatie apparemment indépendante, ancrée dans l’histoire locale sans plus faire référence à l’universalisme occidentaliste, une nouvelle diplomatie turque qui reste malgré tout, malgré son travestissement en néo-islamisme sunnite, “romaine-byzantine” dans son essence, donc anti-perse et conforme aux visions américaines théorisées par Luttwak. Byzance avait en effet voulu reconquérir l’Ouest de l’Empire romain d’Occident (jusqu’à l’Espagne) afin de disposer de suffisamment de ressources pour affronter les Sassanides, tout en défendant la Syrie contre les infiltrations perses et en pariant sur les chrétiens de la péninsule arabique contre les païens arabes et les Juifs, alliés des Sassanides. Aujourd’hui, les chiites ou les alaouites voire bon nombre de chrétiens araméens remplacent les païens sémites et les Juifs d’Arabie dans le jeu de l’Iran, tandis que les chrétiens arabes pro-byzantins des 6ème et 7ème siècles sont remplacés par les sunnites turcs, saoudiens et les “Frères Musulmans” dans la stratégie néo-byzantine commune des Etats-Unis, de la Turquie, des Frères Musulmans et des wahhabites saoudiens contre la Syrie et l’Iran.

 

L’Iran, dans ce contexte conflictuel, n’a plus guère d’alliés: au Liban, le Hizbollah, certes vainqueur en 2006, est sur la défensive et ne peut contrôler l’ensemble du pays. La Syrie est pour le moment neutralisée par une guerre civile dont on ne peut prévoir l’issue (sera-ce comme en Syrie même au printemps 1982 ou comme en Libye en 2011?). La Libye est hors jeu et appartient désormais à la zone “OTAN”, tout en étant gouvernée par des anciens activistes d’Al-Qaeda (à BHL, la jactance, aux al-qaedistes, le terrain). L’Erythrée et le Soudan, plutôt favorables à l’Iran, sont trop éloignés. Si la Syrie tombe et devient ipso facto une arrière-cours de la Turquie, membre de l’OTAN, le Hizbollah disparaîtra faute de soutien, ce qui soulagera Israël. L’Iran ne disposera plus d’une “tête de pont” sur la côte méditerranéenne. La France, les Etats-Unis et la Grande-Bretagne ont donc soutenu d’anciens activistes d’Al-Qaeda en Libye et en soutiennent d’autres, avec les “Frères Musulmans”, en Syrie aujourd’hui. L’opposition syrienne reçoit 6 milliards de dollars par an. Ce soutien à des activistes d’Al-Qaeda doit nous contraindre à poser une question: qui était réellement Ben Laden? Un militant religieux anti-impérialiste ou un agent des Etats-Unis, appelé à lancer partout des opérations “fausse bannière” (false flag)? La question demeure ouverte...

 

Conclusion

 

Nous venons d’expliciter les racines du conflit syrien actuel, qui remonte au mandat français, aux troubles des années post-mandataires et à l’insurrection anti-baathiste des “Frères Musulmans” entre 1980 et 1982. Revenons aux événements d’aujourd’hui, sur le terrain. A Homs, récemment, l’armée régulière syrienne a capturé 1500 prisonniers, appartenant à l’armée des insurgés: la plupart de ces combattants étaient des étrangers; parmi eux, douze Français, dont un colonel de la DSGE. Cet épisode est tu ou minimisé par les médias. La France négocierait la libération de ses ressortissants en demandant l’intercession de la Russie de Poutine. Sarközy et Cameron, dans une déclaration commune, avaient annoncé “que les coupables seraient punis”, avouant, en quelque sorte, qu’il y a bel et bien intervention occidentale aux côtés des insurgés syriens or l’article 68 de la Constitution française stipule “qu’il est interdit de mener une guerre secrètement sans l’approbation du Parlement sous peine d’être déféré devant la Haute Cour de Justice”. Alors, dans le cas qui nous préoccupe, y a-t-il, en France aujourd’hui, “estompement de la norme” comme on dit pudiquement en Belgique quand la justice ne fait pas correctement son travail...? A la fin du mois de février 2012, 75 pays se sont réunis à Tunis pour décider de geler les avoirs de la Banque Nationale de Syrie, pour entendre l’Arabie saoudite déclarer qu’elle allait financer les rebelles syriens et leur fournir des armes (celles-ci viennent alors d‘un pays arabe et non pas d’une puissance occidentale que l’on pourrait accuser de “néo-colonialisme”). De son côté, Hilary Clinton menace: “Assad paiera le prix fort pour avoir bafoué les droits de l’homme, ses jours sont comptés”. Comme étaient comptés les jours de Kadhafi? Devons-nous réellement participer à ce genre de chasse à l’homme digne du Far West? Devons-nous tolérer qu’un homme politique fini et usé comme Verhofstadt cherche encore à se faire de la publicité en appelant au carnage comme il le fit déjà pour la Libye? Le “Conseil National Syrien” (CNS), embryon d’un gouvernement post-Assad, déclare certes qu’il protègera les minorités, tenant ainsi exactement le même langage que les Frères Musulmans en 1980-81 qui, simultanément, demandaient l’exclusion de tous les minoritaires hors des rouages de l’Etat. Les minorités pour leur part sont inquiètes et soutiennent plutôt le régime baathiste ou cherchent la protection des Russes comme au temps de l’Empire ottoman. Elles ont le souvenir de ce qui est advenu des chrétiens (toutes obédiences confondues) en Irak, elles savent ce qui advient des Coptes d’Egypte et elles se rappellent des incendies des monastères orthodoxes serbes par les bandes kosovars. Dans le monde arabe, les minorités, chrétiennes, chiites ou autres, ne survivent que sous les régimes laïques et militaires, où elles ne sont pas réduites à des communautés de citoyens de seconde zone. Elles sont persécutées quand les “Frères Musulmans” ou les wahhabites ou les salafistes prennent le pouvoir car, pour elles, c’est alors le retour à une dhimmitude pure et dure.

 

L’Europe, si elle avait été un véritable sujet politique, aurait dû plaider pour le statu quo en Libye, en Egypte et en Syrie, quitte à négocier dur avec les pouvoirs militaires ou avec les dynastes “kleptocrates” en place pour aboutir à des solutions satisfaisantes. Avec le mixte explosif de “Frères” et d’Al-Qaedistes arrivé au pouvoir avec l’appui diplomatique d’Hilary Clinton, avec les avions de combat de Sarközy et de l’OTAN, avec les mercenaires recrutés par le Qatar, grâce aussi au relais médiatique qu’ont été BHL et ses imitateurs, l’Europe, voisine immédiate de l’Afrique du Nord et du Levant, est désormais cernée sur son flanc méridional par une zone de turbulences sur laquelle elle n’a plus le moindre contrôle ni la moindre influence, vu la cassure Europe/Islam due à un rejet général, dans tous les pays européens, de l’immigration en provenance des pays musulmans, vu la disparition des laïcismes militaires et la fin annoncée des communautés chrétiennes d’Orient (lesquelles servaient jadis d’interfaces entre les deux aires civilisationnelles). La crise économique, surtout dans des pays comme la Grèce, l’Espagne ou l’Italie, fragilise encore davantage ce flanc sud de notre sous-continent. C’est la raison pour laquelle il faut se montrer extrêmement vigilant en trois points: le détroit de Gibraltar, l’espace maritime entre Sicile et Tunisie, l’Egée, sans oublier Chypre. Ces zones doivent être verrouillées, soustraites par tous les moyens à des influences dangereuses ou des flux migratoires déséquilibrants; il ne faut faire, en ces zones-clefs, aucune concession d’ordre géopolitique.

 

Les désastres libyen, égyptien, tunisien et syrien démontrent, s’il fallait encore le démontrer, que les interventions, directes ou déguisées, des Etats-Unis dans le Vieux Monde, et plus particulièrement, en ce qui nous concerne, dans l’espace euro-méditerranéen ou proche-oriental, ne conduisent qu’à des désordres difficilement surmontables, qu’à des ressacs de puissance pour l’Europe (et, partant, pour toutes les puissances européennes en dépit de la subsistance tenace d’antagonismes inter-européens, hélas toujours repérables). Carl Schmitt et Karl Haushofer nous ont rendu attentifs à ce type d’intervention “hors espace”, qui représentent toujours des modi operandi équivalant à des guerres indirectes perpétrées par les puissances thalassocratiques contre les puissances continentales ou contre les puissances du “rimland”, mi-maritimes (ou potentiellement maritimes) et mi-continentales. Les interventions “hors espace” (“raumfremd”) ne visent pas l’ordre mais le désordre, le chaos; elles visent à affaiblir à moyen ou long terme des puissances posées clairement comme ennemies ou qui sont simplement différentes, émergentes ou potentiellement génantes. Les collaborateurs européens de ces entreprises américaines (par immixtions saoudiennes et qataries interposées) sont des traitres purs et simples à l’endroit de leurs propres polities ou des opportunistes, en quête d’un privilège quelconque, ou des naïfs, incapables d’analyser la situation historique de grandes régions proches de l’Europe dont le devenir, positif ou négatif, influence nécessairement la marche des affaires en notre sous-contient et qui, de plus, ont une importance géostratégique cruciale sur la masse continentale eurasiatique et sur le pourtour de l’Océan Indien et des mers annexes, comme le Golfe ou la Mer Rouge, qui s’approchent, en leurs extrémités de la Méditerranée orientale. Il y a bel et bien une alliance entre Washington et les fondamentalistes islamistes contre l’Europe et, aujourd’hui, contre la principale puissance du concert européen, c’est-à-dire la Russie de Poutine, lequel d’après les dépêches détournées par Julian Assange dans le cadre de l’affaire dite de “Wikileaks”, est le seul personnage politique de caractère en Europe.

 

Robert STEUCKERS.

 

Notes:

 

(1) Nikolaos van DAM, The Struggle for Power in Syria – Politics and Society under Asad and the Ba’th Party, I. B. Tauris, London, 1979-2011.

 

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-          Joëlle PENOCHET, “La Syrie est une tête de pont pour une agression contre l’Iran ou le printemps arabe lui-même était-il une opération américaine?”, Entretien, sur http://mediabenews.wordpress;com/ (20/01/2012).

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-          Norbert F. PÖTZL, “Treibstoff der Feindschaft”, in: Der Spiegel/Geschichte, Nr. 2/2010.

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-          Patrick SEALE, La lutte pour l’indépendance arabe – Riad el-Solh et la naissance du Moyen Orient moderne, Fayard, Paris, 2010.

-          Jean SHAOUL, “L’Arabia Saudita gioca un ruolo chiave nell’alleanza anti-iraniana degli Stati Uniti”, sur http://aurorasito.wordpress.com/ (20/11/2011).

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-          Claudia STODTE, “Laila unter der Lupe”, in: Der Spiegel/Geschichte, Nr. 2/2010.

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-          Bernhard TOMASCHITZ, “Contre la Syrie, les armes de la subversion”, sur http://euro-synergies.hautetfort.com/ (original allemand in: zur Zeit, Nr. 3/2012).

-          Nikolaos van DAM, The Struggle for Power in Syria – Politics and Society under Asad and the Ba’th Party, I. B. Tauris, London, 1979-2011.

-          Tigrane YEGAVIAN, “Le chaudron syrien”, in: Carto, n°6, juillet-août 2011.

-          Tigrane YEGAVIAN, “Repères minorités: les relatios entre les chrétiens et le régime Al-Assad”, in: Moyen-Orient, n°12, oct.-déc. 2011.

 

Articles anonymes:

 

-          AA, “Un plan israélien pour le démembrement de la Syrie”, sur: http://french.irib.ir/info/

-          AA, “Le rapport de la Ligue Arabe donne des preuves de l’implication de la CIA, du MI6 et du Mossad derrière les violences en Syrie”, sur http://mediabenews.wordpress.com/

-          AA, “La crise iranienne de plus en plus intégrée dans la crise générale”, sur http://mbm.hautetfort.com/ (11/01/2012).

-          AA, “Survol historique de la Syrie et des Alaouites”, sur http://mediabenews.wordpress.com/ (24/01/2012).

 

Ouvrages/Articles lus après rédaction:

 

-          Paul DELMOTTE, “Le retour du Colonel Peters”, sur http://mbm.hautetfort.com/ (04/05/2012).

-          Mathieu GUIDERE, “Nouvelle géopolitique de l’islamisme”, in: Moyen-Orient, n°15, juillet-sept. 2012.

-          Bernard HOURCADE, “Iran-Occident: la fin d’une guerre froide?”, in: Moyen-Orient, n°15, juillet-sept. 2012.

-          Tancrède JOSSERAN, Florian LOUIS & Frédéric PICHON, Géopolitique du Moyen-orient et de l’Afrique du Nord – Du Maroc à l’Iran, PUF, Paris, 2012.

-          Peter LOGGHE, “Domineert Qatar straks de gehele Arabische ruimte?”, in Nieuwsbrief Deltastichting, Nr. 57, Maart 2012.

-          Michael LÜDERS, Iran: Der falsche Krieg – Wie der Westen seine Zukunft verspielt, C. H. Beck, München, 2012.

-          Romain MIELCAREK, “Syrie: du mensonge à la vérité – le jeu dangereux de la propagande”, in: Pays émergents, mai-juin 2012.

-          Mansouria MOKHEFI, “Le Golfe arabo-persique, quelle puissance arabe?”, in: Moyen-Orient, n°15, juillet-sept. 2012.

-          Valentina NAPOLITANO, “Le Hamas dans la tourmente révolutionnaire syrienne”, in: Moyen-Orient, n°15, juillet-sept. 2012.

-          Antoine UYTTERHAEGHE, “Syrië, de strategische inzet”, sur http://www.uitpers.be/ (12/03/2012).

-          Claus WOLFSCHLAG, “Mediales Trauerspiel im Syrienkonflikt”, sur http://www.jungefreiheit.de/ (19/04/2012).

-          Tigrane YEGAVIAN, “L’impasse syrienne”, in: Carto, n°12, juillet-août 2012.

 

samedi, 15 septembre 2012

Valt Syrië uiteen?

Peter LOGGHE:
 
Valt Syrië uiteen?
 
Ex: Deltastichting - Nieuwsbrief, Nr. 62, Augustus 2012

In de nationale pers was de jongste weken te lezen dat het conflict in Syrië steeds meer een internationaal karakter aan het krijgen is. Zo liet de Amerikaanse minister van Defensie zich onder andere in De Standaard (15.08.2012) uit over het feit dat de Iraanse revolutionaire Garde bezig is met de vorming van een militie die in Syrië aan de zijde van het regime zal strijden en zo het Syrische leger een adempauze wil gunnen. Minister Panetta liet niet na Iran hierover te waarschuwen: “Iran zou zich beter bezinnen over zijn inmenging”.

Leon PanettaMinister Panetta vergeet er ondertussen wel bij te vertellen dat zowat de ganse wereld zich ondertussen aan het moeien is in de regio, en dat Syrië de speelbal dreigt te worden van het internationale geopolitieke spel. Iran speelt daarin zijn rol, maar ook niet meer dan dat. De bondgenoot van de VS, Saoedi-Arabië, speelt er samen met andere Arabische emiraten en staten een vooraanstaande rol in de bewapening en opleiding van de rebellen.

Is de internationalisering van het conflict een ernstig gevaar, dan is de versplintering van het land dat misschien nog meer, aldus het Duitse jong-conservatieve weekblad Junge Freiheit. Immers, Syrië is allesbehalve een homogeen islamitisch of Arabisch land, verre van daar. In Wikipedia bijvoorbeeld vindt men volgende samenstelling:

“Van de bevolking is 90% moslim en 10% christen. In afwijking van de meeste andere Arabische landen is de islam geen staatsgodsdienst, maar wel de publieke religie en de sharia is een belangrijke bron van het Syrische recht. De identiteit van Syrië is echter vanouds nadrukkelijk Arabisch, en pas in de tweede plaats islamitisch. Christenen hebben tijdens de regeerperiodes van de beide Assads grote vrijheid genoten en de inheemse kerken kunnen relatief gemakkelijk nieuwe kerken bouwen.

Het grootste deel van de moslims (74 % van de Syrische bevolking) behoort tot de soennitische moslims. Daarnaast zijn er andere islamitische minderheden waartoe 16 % van de bevolking behoort. De islamitische minderheden zijn de alawieten (een stroming die vaak tot de sjiieten gerekend wordt), waartoe ook president Assad behoort (ook noessairi's genoemd) (circa 7%) en de ismaëlieten (circa 1,5%). Er zijn ook Druzen (circa 2%)”.
 
 
Het gevaar dat dit multinationale en multiculturele land uit elkaar valt, is niet denkbeeldig, zeker omdat er tekenen zijn die het einde van het Assadregime aankondigen: de aanslagen in de hoofdstad Damascus, de binnenste cirkel van de macht dus, nemen toe. Er was de vlucht van de soennitische minister-president Riyad Hidsjab naar Quatar. En ook de VN-missie bleek een maat voor niets.

Wat voor anderhalf jaar nog leek op een intern-Syrisch probleem, met wat protesten in Deraa, heeft zich ondertussen ontwikkeld tot een conflict waarbij interne Syrische wrijvingen en politieke aspiraties van buitenlandse machten elkaar overlappen. De interne Syrische wrijvingen blijken al uit de bevolkingssamenstelling.

Tot het einde van de Eerste Wereldoorlog behoorde Syrië tot het Ottomaanse Rijk, maar werd daarvan – vooral in het belang van de koloniale Frankrijk – losgekoppeld en werd een autonoom gebied, waarin Koerden, Druzen en Arabieren hun plaats moesten veroveren. Soennieten en Sjiieten, christenen en alawieten.  Pas in 1946 werd het onafhankelijk, maar tot op vandaag, ondanks pogingen van de regerende Baathpartij, bleek het onmogelijk een identiteit op te bouwen.

Daarboven komt dat de Soennieten, die de meerderheid van de bevolking uitmaken, zich steeds heftiger keren tegen het regime van de Assads, dat zich baseert op de Alawitische, christelijke en sjiietische minderheden. Het samenleven van die verschillende groepen wordt blijkbaar moeilijker, wat door het religieus fanatisme van moslimstrijders in de rijen van de rebellen nog wordt verzwaard: steeds vaker is er sprake van een “heilige oorlog” tegen de ongelovigen.

Joshua LandisHet Duitse weekblad haalt de befaamde Amerikaanse politicoloog Joshua Landis aan, die stelt dat bij het verdwijnen van het Assadregime “niet moet worden gerekend op een standvastige homogene staat en al helemaal niet met een democratie naar westers model, maar wel met chaos en gewelddadige ontwikkelingen op het binnenlands vlak”. Er zal een versplinteringsproces op gang komen, aldus de Amerikaanse specialist.

De geografische breuklijnen volgens etnische en religieuze bevolking zijn volgens hem al duidelijk. De christelijke diaspora is al bezig, naar het buitenland, maar ook naar de naburige "autonome regio" Koerdistan met hoofdstad Erbil, die de hooggekwalificeerde christenen maar al te graag opneemt. Het Assadregime geraakt ook steeds nadrukkelijker de controle kwijt in het noordoostelijk gelegen Koerdisch gedeelte van Syrië, en de Koerden daar beroemen er zich nu al op dat er een de facto onafhankelijke staat aan het ontstaan is. Ze hebben onvoorwaardelijk met Syrië gebroken, en boven de gebouwen wappert de Koerdische vlag. De Koerdische president in Erbil, Masoed Barzani, heeft de Koerden in Syrië al een soort peterschap aangeboden, een verdrag is in de maak, en de Pesjmergastrijdkrachten zouden Syrische Koerden aan het opleiden zijn: Turkije volgt de ontwikkelingen in de verschillende Koerdische gebieden bijzonder aandachtig op.

Ook de Alawieten, waartoe de familie Assad behoort, trekken zich in bepaalde geconcentreerde gebieden terug. Tussen de Syrische havensteden Tartus en Latakie zou zich een alawietische enclave aan het ontwikkelen zijn: op enkele maanden tijd groeide de bevolking er van 900.000 aan tot 1,2 miljoen mensen. Het aandeel van de Alawieten in dit gebied bedraagt er ondertussen meer dan 70%, de christenen maken er 14% uit. De soennieten zijn er met 10% een kleine minderheid. Bijkomend gegeven is natuurlijk dat de haven Tartus aan de Russen werd verpacht en dat er ook ongeveer 10.000 Russen in het gebied leven.

Het einde is (misschien) in zicht, maar het conflict in Syrië zou wel eens een totaal andere afloop kunnen hebben dan bepaalde dominerende politieke krachten in de VS en Europa verwachten.
 
Peter Logghe

vendredi, 20 juillet 2012

Krantenkoppen - Juli 2012 (2)

Krantenkoppen
Juli 2012 (2)
 
SLOVENIA'S LEADING NEWSPAPER CALLS FOR COUNTRY TO LEAVE NATO.
"Slovenia's leading newspaper Delo on Saturday criticized NATO's failure in Afghanistan and suggested that the government consider leaving 'this anachronistic organization'.
Slovenia would be wise to leave NATO because its money is being spent on the alliance's 'failed project' in Afghanistan while domestic spending cuts are affecting pensioners, young families, culture and education (...). The... fact is that joining the alliance was the biggest and most expensive mistake of Slovenian foreign policy (...). The newspaper said that NATO is no longer an alliance for the protection of its members and instead has become an organization that intervenes around the world. 'The current crisis is an excellent opportunity to leave this anachronistic organization, which is lost in time and space'."
 
 
VEEL MEDIABERICHTGEVING UIT SYRIÊ IS FOUT.
"De internationale katholieke hulporganisatie 'Kerk in Nood' vindt dat de mediaberichtgeving over de situatie in Syrië heel kritisch en met de grootste voorzichtigheid moeten benaderd en gelezen worden.
Pater Andrzej Halemba, de verantwoo...rdelijke voor de projecten in Syrië, verklaart: 'Ik ben voortdurend in contact met de vertegenwoordigers van de Kerk in Syrië. Sommige reportages van Westerse media worden er met grote verontwaardiging onthaald. De mensen voelen zich gebruikt en misleid door de internationale media. Ze beklagen er zich over dat het Westen er alleen op uit is om de eigen belangen na te streven.' Kerk in Nood, zo vervolgt hij, heeft als eerste taak de mensen in nood te helpen en hoeft zich niet te mengen in het politieke debat. Maar het is nodig te begrijpen 'dat de situatie in het land veel complexer en moeilijker is dan wat de media er in het Westen van maken. Veel TV-makers draaien heel slordige reportages. (...)'
Een vertegenwoordiger van de Kerk, die om veiligheidsredenen anoniem wenst te blijven, vertelde aan Halemba: 'We zijn de getuigen van grove vervalsingen die een kleine betoging van 50 personen schaamteloos opblazen tot een demonstratie van honderden en duizenden personen. Foto’s worden in studio’s aan elkaar geplakt, speciaal met het doel de publieke opinie te misleiden. Ooggetuigenverslagen worden genegeerd in naam van een zogenaamd hoger belang. Bovendien gebruikt men oude beelden uit de oorlog in Irak en in andere conflicthaarden om een beeld te schetsen van de situatie in Syrië'."
 
 
WIKILEAKS' SYRIAN FILES OBTAINED BY FLAME TO SET UP ASSAD.
"Questions concern Assange’s connections to the CIA and his ability to expose 'leaked' information. As a psy-op, the manifestation of Assange and WikiLeaks has effectively used engineered operations of secret document exposure to give the ...appearance of forced political responsibility for intelligence and policy failures. (...) 
The origination of Anonymous is traceable to the CIA as an attempt of the US government to create a false flag threat that justifies the Obama administration’s restriction of information flow and freedom on the internet. (...) The leaks Assange has revealed directly benefit the US, Israeli and UN campaign to remove Assad from his governmental seat and implant a stooge. (...) 
This is all very easy to understand: a CIA operation where information stolen from Syrian computer servers by Flame (which is the cyber-weapon of the US government) was given to Anonymous (who are CIA agents) and 'leaked' by WikiLeaks (the fake whistleblower website)."
 
 
DON'T BE 'COGNITIVELY INFILTRATED': WIKILEAKS IS WAR AGAINST YOUR MIND.
"WikiLeaks and Julian Assange are NOT a genuine attempt to undermine the New World Order establishment – quite the contrary. Wittingly or unwittingly, WikiLeaks SERVES the interests of the bankrupt Anglo-American establishment. (...)
In recent weeks the WikiLeaks operation plans to release documents on Syria to select media organizations. These organizations are now cognitively infiltrated. It claims that it will be compromising for both the Syrian government and opposition. This is bait. The information is likely to be more damaging against the SAR government who is defending itself from an externally driven ‘revolution’. Don’t fall for it. Any honest observer knows that the main problem in Syria is the presence of rebel bandits and ‘death-squads’ who terrorize and kill all who oppose them. (…) 
The lure of ‘secret’ information is tempting, but don’t fall for it – don’t become cognitively infiltrated. WikiLeaks is just one more gambit in the war against the nation-state."
 
 
The Syrian youth stands for president Assad and their country!

samedi, 30 juin 2012

Syrie – Comment la CIA contrôle la livraison d’armes aux rebelles

Syrie – Comment la CIA contrôle la livraison d’armes aux rebelles

Financées par les pays du Golfe, ces livraisons clandestines via la Turquie sont contrôlées par l’agence américaine.

Sans armes capables de détruire les chars syriens, point de salut pour l’opposition à Bachar el-Assad. Depuis des mois, Nasser le répétait à ses amis occidentaux ou arabes. Mi-mai, cet opposant en exil affichait donc le sourire lorsqu’une quarantaine de dirigeants des conseils militaires de la révolution se sont discrètement rendus en Turquie pour recevoir un précieux arsenal.

« Nous avons surtout récupéré des roquettes RPG 7 puisées sur les stocks de l’armée saoudienne », confiait-il lors d’un récent passage à Paris. « Elles ont été acheminées par avion, jusqu’à l’aéroport d’Adana, où la sécurité turque a surveillé les déchargements avant de savoir à qui ces roquettes allaient être destinées ». Pour rassurer ses hôtes, Nasser garantit que leur utilisation allait être supervisée par « des leaders traditionnels proches des insurgés, histoire d’éviter les dérives mafieuses ».Les roquettes ont été convoyées à Douma et Harasta, dans la banlieue de Damas, Zabadani sur la route du Liban, Deraa au sud, et dans la région d’Idleb, frontalière de la Turquie.

Nasser n’en parle pas, mais, en coulisses, les agents de la CIA veillent à ce que ces nouvelles armes qui parviennent en plus grand nombre aux activistes ne tombent entre les mains de djihadistes, infiltrés en Syrie. Le New York Times va même jusqu’à affirmer que les localisations des dépôts et leurs destinataires sont déterminés en coordination avec les espions américains.

Pour les Occidentaux, qui ont beaucoup hésité avant d’accepter l’armement des insurgés, l’organisation de ces filières est une priorité : « Nous discutons même avec les Turcs de cibles à frapper », poursuit Nasser. « Et nous comptons maintenant hors de Syrie des représentants des conseils militaires qui ont chacun un relais dans une ville de l’intérieur ».

 

Ses rivaux islamistes liés aux Frères musulmans disposent eux aussi de leurs propres canaux d’approvisionnements. Et eux militent pour que ces armes aillent à leurs seuls partisans, afin d’être les grands vainqueurs de l’après-Assad. Pour les monarchies du Golfe, principaux fournisseurs en armes des rebelles, ces livraisons doivent rééquilibrer le rapport de forces sur le terrain, pour forcer Assad à accepter un compromis sur le modèle yéménite. « Les diplomates saoudiens nous répètent que tant que Bachar gardera une nette supériorité militaire sur ses ennemis, il n’aura aucun intérêt à négocier son départ », confie un diplomate français, qui rappelle que l’ex-président « Saleh au Yémen n’a discuté de sa sortie uniquement parce que l’opposition et ses partisans faisaient à peu près jeu égal ».

Ces livraisons d’armes doivent également accélérer les défections parmi les fidèles à Assad. « De nombreux militaires hésitent, mais s’ils voient qu’avec des missiles antitanks, nous infligeons de lourdes pertes aux pro-Bachar, ils seront alors plus nombreux à nous rejoindre », jure Mohannad, un membre de l’Armée syrienne libre, réfugié en Jordanie. Les premiers effets de ces approvisionnements se font sentir. Une douzaine de généraux ont rallié la Turquie, tandis que huit pilotes auraient fui en Jordanie. De leur côté, les activistes conduisent des opérations plus audacieuses, contre des hélicoptères notamment. « Avec ces armes, espère Kamal, nous pourrons également libérer des régions comme Idleb ».

Mais face à un pouvoir prêt à tout pour survivre, l’opposant se veut prudent. « L’utilisation d’armes plus sophistiquées entraînera une riposte encore plus dure. Nous aurons des pertes, et en face, nous allons détruire notre armée. Or les militaires sont nos frères, pas nos ennemis. Ces armes », dit-il, « doivent surtout faire peur à Assad ». Leur mise à disposition nourrit la lutte d’influence entre les parrains des insurgés.

« Les Français aimeraient bien être dans la salle des opérations à Adana », sourit Kamal, « mais les Turcs s’y opposent. À défaut d’armes qu’ils ne veulent pas livrer, que les Français nous donnent des équipements pour sécuriser les communications de nos combattants ». Après s’être montré hostile à la militarisation de la révolte au printemps, le nouveau gouvernement laisse faire aujourd’hui. Qu’on le veuille ou non, « les armes passent », reconnaît Laurent Fabius au quai d’Orsay. Incapables d’intervenir militairement en Syrie, les Occidentaux ne peuvent plus refuser aux rebelles des armes pour se défendre. Mais le pari de renverser Assad est encore loin d’être gagné.

Le Figaro

L’incident du F-4 vu par M K Bhadrakumar

L’incident du F-4 vu par M K Bhadrakumar

L’appréciation de l’incident du F-4 turc abattu par les Syriens, par le diplomate-devenu-commentateur, l‘Indien M K Bhadrakumar, est très intéressante, notamment à cause de ses très grandes connaissances et sources en Turquie, où il a été ambassadeur de l’Inde. M K Bhadrakumar avait déjà mis en évidence (le 30 avril 2012) les difficultés d’Erdogan avec sa politique syrienne par rapport à son opposition et à l’opinion publique. Ce facteur compte beaucoup pour l’incident du F-4, estime M K Bhadrakumar.

Les autres éléments qu’il met en évidence sont, d’une part, le jeu très appuyé de la Syrie et l’attitude extrêmement ferme de la Russie, et en constant affermissement, notamment vis-à-vis de cet incident. Pour M K Bhadrakumar, Syriens et Russes ont agi de concert, et l’incident constitue un net avertissement à la Turquie, au risque assumé d’une aggravation des relations de la Syrie avec la Turquie. De toutes les façons, pour M K Bhadrakumar, il ne semble faire guère de doute que le F-4 effectuait une mission de surveillance hors des normes internationales, et la riposte syrienne fut à mesure. M K Bhadrakumar met également en évidence que la Turquie est, dans ce jeu de la montée des tensions, assez isolée dans la région. (Son article, pour ATimes.com, est du 26 juin 2012.)

«The shooting down of a Turkish fighter aircraft by Syria on Friday has become a classic case of coercive diplomacy.

»A Turkish F-4 Phantom fighter aircraft disappeared from radar screens shortly after taking off from the Erhach airbase in Malatya province in southeastern Turkey and entered Syrian airspace. According to Syrian Arab News Agency (SANA), air-defense forces shot down the plane 1 kilometer off the coast from the Syrian port city of Latakia. A Turkish search-and-rescue aircraft rushed to the area of the crash but came under Syrian fire and had to pull out.

»The Russian naval base at Tartus is only 90 kilometers by road from Latakia. The incident took place on a day that Syrian Foreign Minister Walid al-Moualem was on a visit to Russia. It also happened within a week of Britain staging a high-profile publicity event to humiliate Russia by canceling the insurance of a ship when it was off the coast of Scotland en route to Syria from Russia's Baltic port in Kaliningrad. British Foreign Secretary William Hague scrambled to take credit for that in the House of Commons.

»The shooting down of the Turkish jet also coincides with a hardening of the Russian position on Syria. Moscow refused to comment on the incident when Turkish Foreign Minister Ahmet Davutoglu telephoned his Russian counterpart Sergey Lavrov on Sunday seeking understanding. Itar-Tass quoted the Russian Foreign Ministry as saying the two diplomats “discussed the situation around Syria, including within the context of the incident with a Turkish fighter jet”. Plainly put, Moscow was unwilling to treat Friday's incident in total isolation. Nor was it prepared to censure Damascus. […]

»It is against the totality of this background that the Syrian action against the Turkish aircraft needs to be weighed. Damascus has a reputation for “poker diplomacy”. It may have conveyed a host of signals to Turkey (and its Western allies):

»Syria's air-defense system is effective and lethal;

»There will be a price to pay if Turkey keeps escalating its interference in Syria;

»Turkey's military superiority has its limits;

»The Syrian crisis can easily flare up into a regional crisis. […]

»Davutoglu claimed that Turkey had intercepted radio communications from the Syrian side suggesting that they knew it was a Turkish aircraft. "We have both radar info and Syria's radio communications." There was no warning from Syria before the attack, he said. "The Syrians knew full well that it was a Turkish military plane and the nature of its mission.” Conceivably, Syria wanted Turkey to know that its decision to shoot down the jet was deliberate. An exacerbation of Turkish-Syrian tensions is in the cards. […]

»Knowing Erdogan's ability to whip up nationalistic sentiments, the opposition parties quickly concurred that Turkey must respond to incident. But they point out that Erdogan needlessly provoked Damascus and has destroyed Turkey's friendly ties with Syria. 

The leader of the main opposition Republican People's Party (CHP), Kemal Kilicdarglu, pointedly asked on Sunday after meeting with Erdogan: “Why have Turkey and Syria come to the brink of war?” The CHP's deputy head Faruk Logoglu, who is a distinguished former diplomat (ex-head of the Foreign Ministry and former ambassador to the US), said: “We are very critical of the way AKP [Erdogan's Justice and Development Party] is handling the situation. There should be no outside intervention of any sort and any intervention must be mandated by a resolution of the UN Security Council. In the absence of such a resolution, any intervention would be unlawful.”

»In short, the Turkish opposition will be free to dissociate from any response that Erdogan decides on, especially if things go haywire downstream… […]

»But the point is, even within Turkey, there is skepticism about what really happened. The veteran Turkish editor Yousuf Kanli wrote: “Did the plane violate Syrian airspace? ... On the other hand, why was the Turkish reconnaissance plane flying so low, in an area close to a Russian base, and why did it keep on going in and out of Syrian airspace so many times in the 15-minute period before it was downed? Was it testing the air-defense capabilities of Syria (or the Russian base) before an intervention which might come later this year?” […]

»[…T]he painful reality is that Turkey's most ardent allies in the present situation, who have encouraged Ankara on the path of intervention in Syria, are of absolutely no use today – Saudi Arabia and Qatar. They are nowhere in a position to engage Syria militarily. Turkey, in short, is left all by itself to hit back at Syria. […] […A]ny Turkish military steps against Syria would be a highly controversial move regionally. Iraqi Foreign Minister Hoshiyar Zebari (who, interestingly, visited Moscow recently for consultations over Syria) voiced the widely held regional opinion when he warned of a “spillover the crisis into neighboring countries”, including Iraq, Lebanon, Jordan and Turkey itself. […]

»The influential Turkish commentator Murat Yetkin wrote on Monday, “It is clear that the incident will result in increased pressure on Syria and its supporters, mainly Russia. But what Bashar al-Assad cares for seems to be keeping his chair and the Russian naval base in Tartus strong, whatever the cost, also knowing that neither the Turkish government, nor the opposition and people, want war.” 

Yetkin was sure that “Turkey will do everything to make Syria pay for the attack”, but “payment doesn't mean war, there are other options”.

»In reality, Damascus has put a double whammy on Turkey. It not only lost a Phantom and its two pilots but is now under compulsion to take the loss calmly, exercising self-restraint. »



 

dedefensa.org

jeudi, 28 juin 2012

Charte de l’ONU ou un monde à la Rambo …

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Charte de l’ONU ou un monde à la Rambo …

Lavrov: Le futur rapport de forces dépendra de l’issue de la crise syrienne

D’après le ministre russe des Affaires étrangères, Sergueï Lavrov, le futur rapport de forces dans le monde et l’ordre mondial dépendront de l’issue de la crise qui perdure en Syrie.

Le mode de solution de la crise syrienne serait décisif pour l’avenir du monde: ou l’on s’appuiera sur la Charte de l’ONU, ou ce sera le droit du plus fort qui régnera, c’est ce que Lavrov a dit samedi passé à Moscou. Il a souligné que le Conseil de sécurité de l’ONU ne permettra pas d’intervention militaire en Syrie. «Et cela non pas parce que nous défendons Assad ou son régime, mais parce que nous savons combien la composition interconfessionnelle de la société syrienne est compliquée. Quelques-uns de ceux qui exigent une intervention militaire veulent détruire cette composition interconfessionnelle et changer la Syrie en un champ de bataille pour la suprématie dans le monde islamique», a dit Lavrov. Ce serait une tendance très dangereuse. La Russie fera tout ce qui est en son pouvoir pour empêcher un tel développement. «Nous ne défendons pas le régime, mais les chances pour une stabilité dans cette région et dans le monde islamique. Nous défendons le droit international», a souligné Lavrov. En Syrie, il y a plus de 14 mois, des protestations violentes ont éclaté contre Bachar al-Assad. D’après les indications de l’ONU, environ 12 000 personnes ont été tuées dans des affrontements entre l’armée et l’opposition armée. L’opposition syrienne, mais aussi des Etats occidentaux, demandent la démission d’Assad. En 2011 et en 2012, au Conseil de sécurité de l’ONU, la Russie et la Chine ont bloqué par leur veto deux projets de résolutions présentés par des Etats occidentaux concernant la Syrie. Moscou a justifié le refus avec le souhait d’empêcher une intervention militaire en Syrie d’après le «scénario libyen», parce que les résolutions n’excluaient pas des interventions militaires internationales contre le régime d’Assad. L’ancien secrétaire général de l’ONU, Kofi Annan, a conçu, sur l’ordre des Nations Unies et de la Ligue arabe, un plan de paix pour la Syrie qui prévoit la fin des violences, le départ des villes des troupes du gouvernement, un dialogue entre le gouvernement et l’opposition ainsi que l’accès libre pour les biens de secours. Le 12 avril, les parties du conflit ont déclaré un armistice. Le Conseil de sécurité de l’ONU a donné le feu vert à une délégation de 300 observateurs en Syrie. Malgré cela, il y a toujours des combats et des violences sanglantes. D’après les indications des autorités syriennes, les rebelles ont enfreint l’armistice plus de 5000 fois. L’opposition quant à elle, rend l’armée du gouvernement responsable de la violence qui perdure.     •

Source: Ria Novosti du 9/6/12, http://de.rian.ru/politics/20120609/263761923.html 
(Traduction Horizons et débats)

vendredi, 15 juin 2012

De la géopolitique du pétrole à celle du gaz La Syrie se trouve au centre de la guerre du gaz

De la géopolitique du pétrole à celle du gaz

La Syrie se trouve au centre de la guerre du gaz

par Imad Fawzi Shueibi,* Damas

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch/

L’attaque médiatique et militaire à l’encontre de la Syrie est directement liée à la compétition mondiale pour l’énergie, ainsi que l’explique le professeur Imad Shueibi dans l’article magistral que nous publions. A un moment où la zone euro menace de s’effondrer, où une crise économique aiguë a conduit les Etats-Unis à s’endetter à hauteur de 14 940 milliards de dollars, et où leur influence s’amenuise face aux puissances émergentes du BRICS, il devient clair que la clé de la réussite économique et de la domination politique réside principalement dans le contrôle de l’énergie du XXIe siècle: le gaz. C’est parce qu’elle se trouve au cœur de la plus colossale réserve de gaz de la planète que la Syrie est prise pour cible. Les guerres du siècle dernier étaient celles du pétrole, mais une nouvelle ère commence, celle des guerres du gaz.

Avec la chute de l’Union soviétique, les Russes ont réalisé que la course à l’armement les avait épuisés, surtout en l’absence des approvisionnements d’énergie nécessaires à tout pays industrialisé. Au contraire, les USA avaient pu se développer et décider de la politique internationale sans trop de difficultés grâce à leur présence dans les zones pétrolières depuis des décennies. C’est la raison pour laquelle les Russes décidèrent à leur tour de se positionner sur les sources d’énergie, aussi bien pétrole que gaz. Considérant que le secteur pétrolier, vu sa répartition internationale, n’offrait pas de perspectives, Moscou misa sur le gaz, sa production, son transport e t sa commercialisation à grande échelle.
Le coup d’envoi fut donné en 1995, lorsque Vladimir Poutine mis en place la stratégie de Gazprom: partir des zones gazières de la Russie vers l’Azerbaïdjan, le Turkménistan, l’Iran (pour la commercialisation), jusqu’au Proche-Orient. Il est certain que les projets Nord Stream et South Stream témoigneront devant l’histoire du mérite et des efforts de Vladimir Poutine pour ramener la Russie dans l’arène internationale et peser sur l’économie européenne puisqu’elle dépendra, durant des décennies à venir, du gaz comme alternative ou complément du pétrole, avec cependant une nette priorité pour le gaz. A partir de là, il devenait urgent pour Washington de créer le projet concurrent Nabucco, pour rivaliser avec les projets russes et espérer jouer un rôle dans ce qui va déterminer la stratégie et la politique pour les cents prochaines années.
Le fait est que le gaz sera la principale source d’énergie du XXIe siècle, à la fois comme alternative à la baisse des réserves mondiales de pétrole, et comme source d’énergie propre. Par conséquent, le contrôle des zones gazières du monde par les anciennes et les nouvelles puissances est à la base d’un conflit international dont les manifestations sont régionales.
De toute évidence, la Russie a bien lu les cartes et a bien retenu la leçon du passé, car c’est le manque de contrôle au niveau des ressources énergétiques globales, indispensables à l’injection de capital et d’énergie dans la structure industrielle, qui fut à l’origine de l’effondrement de l’Union soviétique. De même la Russie a compris que le gaz serait la ressource énergétique du siècle à venir.

Historique du grand jeu gazier

Une première lecture de la carte du gaz révèle que celui-ci est localisé dans les régions suivantes, en termes de gisements et d’accès aux zones de consommation: 

1.    Russie: Vyborg et Beregovaya 

2.    Annexé à la Russie: Turkménistan 

3.    Environs plus ou moins immédiats de la Russie: Azerbaïdjan et Iran 

4.    Pris à la Russie: Géorgie
5.    Méditerranée orientale: Syrie et Liban
6.    Qatar et Egypte.
Moscou s’est hâté de travailler sur deux axes stratégiques: le premier est la mise en place d’un projet sino-russe à long terme s’appuyant sur la croissance économique du Bloc de Shanghai; le deuxième visant à contrôler les ressources de gaz. C’est ainsi que furent jetées les bases des projets South Stream et Nord Stream, faisant face au projet étasunien Nabucco, soutenu par l’Union européenne, qui visait le gaz de la mer Noire et de l’Azerbaïdjan. S’ensuivit entre ces deux initiatives une course stratégique pour le contrôle de l’Europe et des ressources en gaz.

Pour la Russie:

Le projet Nord Stream relie directement la Russie à l’Allemagne en passant à travers la mer Baltique jusqu’à Weinberg et Sassnitz, sans passer par la Biélorussie.
Le projet South Stream commence en Russie, passe à travers la mer Noire jusqu’à la Bulgarie et se divise entre la Grèce et le Sud de l’Italie d’une part, et la Hongrie et l’Autriche d’autre part.

Pour les Etats-Unis:

Le projet Nabucco part d’Asie centrale et des environs de la mer Noire, passe par la Turquie où se situent les infrastructures de stockage, puis parcourt la Bulgarie, traverse la Roumanie, la Hongrie, arrive en Autriche et de là se dirige vers la République tchèque, la Croatie, la Slovénie et l’Italie. Il devait à l’origine passer en Grèce, mais cette idée avait été abandonnée sous la pression turque.
Nabucco était censé concurrencer les projets russes. Initialement prévu pour 2014, il a dû être repoussé à 2017 en raison de difficultés techniques. A partir de là, la bataille du gaz a tourné en faveur du projet russe, mais chacun cherche toujours à étendre son projet à de nouvelles zones.
Cela concerne d’une part le gaz iranien, que les Etats-Unis voulaient voir venir renforcer le projet Nabucco en rejoignant le point de groupage de Erzurum, en Turquie; et de l’autre le gaz de la Méditerranée orientale: Syrie, Liban, Israël.
Or en juillet 2011, l’Iran a signé divers accords concernant le transport de son gaz via l’Irak et la Syrie. Par conséquent, c’est désormais la Syrie qui devient le principal centre de stockage et de production, en liaison avec les réserves du Liban. C’est alors un tout nouvel espace géographique, stratégique et énergétique qui s’ouvre, comprenant l’Iran, l’Irak, la Syrie et le Liban. Les entraves que ce projet subit depuis plus d’un an donnent un aperçu du niveau d’intensité de la lutte qui se joue pour le contrôle de la Syrie et du Liban. Elles éclairent du même coup le rôle joué par la France, qui considère la Méditerranée orientale comme sa zone d’influence historique, devant éternellement servir ses intérêts, et où il lui faut rattraper son absence depuis la Seconde Guerre mondiale. En d’autres termes, la France veut jouer un rôle dans le monde du gaz où elle a acquis en quelque sorte une «assurance maladie» en Libye et veut désormais une «assurance-vie» à travers la Syrie et le Liban.
Quant à la Turquie, elle sent qu’elle sera exclue de cette guerre du gaz puisque le projet Nabucco est retardé et qu’elle ne fait partie d’aucun des deux projets South Stream et Nord Stream; le gaz de la Méditerranée orientale semble lui échapper inexorablement à mesure qu’il s’éloigne de Nabucco.

L’axe Moscou-Berlin

Pour ses deux projets, Moscou a créé la société Gazprom dans les années 1990. L’Allemagne, qui voulait se libérer une fois pour toutes des répercussions de la Seconde Guerre mondiale, se prépara à en être partie prenante; que ce soit en matière d’installations, de révision du pipeline Nord, ou de lieux de stockage pour la ligne South Stream au sein de sa zone d’influence, particulièrement en Autriche.
La société allemande Gazprom Germania a été fondée avec la collaboration de Hans-Joachim Gornig, un Allemand proche de Moscou, ancien vice-ministre du charbon et de l’industrie minière pour l’énergie, qui a supervisé la construction du réseau de gazoducs de la RDA. Gazprom Germania a été dirigée jusqu’en octobre 2011 par Vladimir Kotenev, ancien ambassadeur de Russie en Allemagne.
Gazprom a signé nombre de transactions avec des entreprises allemandes, au premier rang desquelles celles coopérant avec Nord Stream, tels les géants E.ON pour l’énergie et BASF pour les produits chimiques; avec pour E.ON des clauses garantissant des tarifs préférentiels en cas de hausse des prix, ce qui revient en quelque sorte à une subvention «politique» des entreprises du secteur énergétique allemand par la Russie.
Moscou a profité de la libéralisation des marchés européens du gaz pour les contraindre à déconnecter les réseaux de distribution des installations de production. La page des affrontements entre la Russie et Berlin étant tournée, débuta alors une phase de coopération économique basée sur l’allégement du poids de l’énorme dette pesant sur les épaules de l’Allemagne, celle d’une Europe surendettée par le joug étasunien. Une Allemagne qui considère que l’espace germanique (Allemagne, Autriche, République tchèque, Suisse) est destiné à devenir le cœur de l’Europe, mais n’a pas à sup­porter les conséquences du vieillissement de tout un continent, ni celle de la chute d’une autre superpuissance.
Les initiatives allemandes de Gazprom comprennent le joint-venture de Wingas avec Wintershall SA., une filiale de BASF, qui est le plus grand producteur de pétrole et de gaz d’Allemagne et contrôle 18% du marché du gaz. Gazprom a donné à ses principaux partenaires allemands des participations inégalées dans ses actifs russes. Ainsi BASF et E.ON contrôlent chacune près d’un quart des champs de gaz Loujno-Rousskoïé qui alimenteront en grande partie Nord Stream; et ce n’est donc pas une simple coïncidence si l’homologue allemand de Gazprom, appelé «le Gazprom germanique», ira jusqu’à posséder 40% de la compagnie autrichienne Austrian Centrex Co., spécialisée dans le stockage du gaz et destinée à s’étendre vers Chypre.
Une expansion qui ne plaît certainement pas à la Turquie qui a cruellement besoin de sa participation au projet Nabucco. Elle consisterait à stocker, commercialiser, puis transférer 31 puis 40 milliards de m3 de gaz par an; un projet qui fait qu’Ankara est de plus en plus inféodé aux décisions de Washington et de l’OTAN, d’autant plus que son adhésion à l’Union européenne a été re­jetée à plusieurs reprises.
Les liens stratégiques liés au gaz déterminent d’autant plus la politique que Moscou exerce un lobbying sur le Parti social-démocrate allemand en Rhénanie-du-Nord-Westphalie, base industrielle majeure et centre des conglomérats allemands RWE et E.ON.
Cette influence a été reconnue par Hans-Joseph Fell, responsable des politiques énergétiques chez les Verts. Selon lui, quatre sociétés allemandes liées à la Russie jouent un rôle majeur dans la définition de la politique énergétique allemande. Elles s’appuient sur le Comité des relations économiques de l’Europe de l’Est – c’est-à-dire sur des entreprises en contact économique étroit avec la Russie et les pays de l’ex-Bloc soviétique –, qui dispose d’un réseau très complexe d’influence sur les ministres et l’opinion publique. Mais en Allemagne, la discrétion reste de mise quant à l’influence grandissante de la Russie, partant du principe qu’il est hautement nécessaire d’améliorer la «sécurité énergétique» de l’Europe.
Il est intéressant de souligner que l’Allemagne considère que la politique de l’Union européenne, pour résoudre la crise de l’euro, pourrait à terme gêner les investissements germano-russes. Cette raison, parmi d’autres, explique pourquoi elle traîne pour sauver l’euro plombé par les dettes européennes, alors même que le bloc germanique pourrait, à lui seul, supporter ces dettes. De plus, à chaque fois que les Européens s’opposent à sa politique vis-à-vis de la Russie, l’Alle­magne affirme que les plans utopiques de l’Europe ne sont pas réalisables et pourraient pousser la Russie à vendre son gaz en Asie, mettant en péril la sécurité énergétique européenne.
Ce mariage des intérêts germano-russes s’est appuyé sur l’héritage de la Guerre froide, qui fait que trois millions de russophones vivent en Allemagne, formant la ­deuxième plus importante communauté après les Turcs. Poutine était également adepte de l’utilisation du réseau des anciens responsables de la RDA, qui avaient pris soin des intérêts des compagnies russes en Allemagne, sans parler du recrutement d’ex-agents de la Stasi. Par exemple, les directeurs du per­sonnel et des finances de Gazprom Germania, ou encore le directeur des finances du Consortium Nord Stream, Matthias Warnig qui, selon le Wall Street Journal, aurait aidé Poutine à recruter des espions à Dresde, lorsqu’il était jeune agent du KGB. Mais il faut le reconnaître, l’utilisation par la Russie de ses anciennes relations n’a pas été préjudiciable à l’Allemagne, car les intérêts des deux parties ont été servis sans que l’une ne domine l’autre.
Le projet Nord Stream, le lien principal entre la Russie et l’Allemagne, a été inauguré récemment par un pipeline qui a coûté 4,7 milliards d’euros. Bien que ce pipeline relie la Russie et l’Allemagne, la reconnaissance par les Européens qu’un tel projet garantissait leur sécurité énergétique a fait que la France et la Hollande se sont hâtées de déclarer qu’il s’agissait bien là d’un projet «européen». A cet égard, il est bon de mentionner que M. Lindner, directeur exécutif du Comité allemand pour les relations économiques avec les pays de l’Europe de l’Est a déclaré, sans rire, que c’était bien «un projet européen et non pas allemand, et qu’il n’enfermerait pas l’Alle­magne dans une plus grande dépendance vis-à-vis de la Russie». Une telle déclaration souligne l’inquiétude que suscite l’accroissement de l’influence russe en Alle­magne; il n’en demeure pas moins que le projet Nord Stream est structurellement un plan moscovite et non pas européen.
Les Russes peuvent paralyser la distribution de l’énergie en Pologne et dans plusieurs autres pays comme bon leur semble, et seront en mesure de vendre le gaz au plus offrant. Toutefois, l’importance de l’Allemagne pour la Russie réside dans le fait qu’elle constitue la plate-forme à partir de laquelle elle va pouvoir développer sa stratégie continentale: Gazprom Germania détient des participations dans 25 projets croisés en Grande-Bretagne, Italie, Turquie, Hongrie et d’autres pays. Cela nous amène à dire que Gazprom – après un certain temps – est destinée à devenir l’une des plus importantes entreprises au monde, sinon la plus importante.

Dessiner une nouvelle carte de l’Europe, puis du monde

Les dirigeants de Gazprom ont non seulement développé leur projet, mais ils ont aussi fait en sorte de contrer Nabucco. Ainsi, Gazprom détient 30% du projet consistant à construire un deuxième pipeline vers l’Europe suivant à peu près le même trajet que Nabucco, ce qui est, de l’aveu même de ses partisans, un projet «politique» destiné à montrer sa force en freinant, voire en bloquant le projet Nabucco. D’ailleurs Moscou s’est empressé d’acheter du gaz en Asie centrale et en mer Caspienne dans le but de l’étouffer, et de ridiculiser Washington politiquement, économiquement et stratégiquement par la même occasion.
Gazprom exploite des installations gazières en Autriche, c’est-à-dire dans les environs stratégiques de l’Allemagne, et loue aussi des installations en Grande-Bretagne et en France. Toutefois, ce sont les importantes installations de stockage en Autriche qui serviront à redessiner la carte énergétique de l’Europe, puisqu’elles alimenteront la Slovénie, la Slovaquie, la Croatie, la Hongrie, l’Italie et l’Allemagne. A ces installations, il faut ajouter le centre de stockage de Katharina en Saxe-Anhalt, que Gazprom construit en coopération avec l’Alle­magne, afin de pouvoir exporter le gaz vers les grands centres de consommation de l’Europe occidentale.
Gazprom a mis en place une installation commune de stockage avec la Serbie afin de fournir du gaz à la Bosnie-Herzégovine et à la Serbie elle-même. Des études de faisabilité ont été menées sur des modes de stockage similaires en République tchèque, Roumanie, Belgique, Grande-Bretagne, Slovaquie, Turquie, Grèce et même en France. Gazprom renforce ainsi la position de Moscou, fournisseur de 41% des approvisionnements gaziers européens. Ceci signifie un changement substantiel dans les relations entre l’Orient et l’Occident à court, moyen et long terme. Cela annonce également un déclin de l’influence étasunienne, par boucliers antimissiles interposés, voyant l’établissement d’une nouvelle organisation internationale, dont le gaz sera le pilier principal. Enfin cela explique l’intensification du combat pour le gaz de la côte Est de la Méditerranée au Proche-Orient.

Nabucco et la Turquie en difficulté

Nabucco devait acheminer du gaz sur 3900 kilomètres de la Turquie vers l’Autriche et était conçu pour fournir 31 milliards de mètres cubes de gaz naturel par an depuis le Proche-Orient et le bassin caspien vers les marchés européens. L’empressement de la coalition OTAN – Etats-Unis – France à mettre fin aux obstacles qui s’élevaient contre ses intérêts gaziers au Proche-Orient, en particulier en Syrie et au Liban, réside dans le fait qu’il est nécessaire de s’assurer la stabilité et la bienveillance de l’environnement lorsqu’il est question d’infrastructures et d’investissement gaziers. La réponse syrienne fut de signer un contrat pour transférer vers son territoire le gaz iranien en passant par l’Irak. Ainsi, c’est bien sur le gaz syrien et libanais que se focalise la bataille, alimentera-t-il Nabucco ou South Stream?
Le consortium Nabucco est constitué de plusieurs sociétés: allemande (REW), autrichienne (ÖMV), turque (Botas), bulgare (Energy Holding Company) et roumaine (Transgaz). Il y a cinq ans, les coûts initiaux du projet étaient estimés à 11,2 milliards de dollars, mais ils pourraient atteindre 21,4 milliards de dollars d’ici 2017. Ceci soulève de nombreuses questions quant à sa viabilité économique étant donné que Gazprom a pu conclure des contrats avec différents pays qui devaient alimenter Nabucco, lequel ne pourrait plus compter que sur les excédents du Turkménistan, surtout depuis les tentatives infructueuses de mainmise sur le gaz iranien. C’est l’un des secrets méconnus de la bataille pour l’Iran, qui a franchi la ligne rouge dans son défi aux USA et à l’Europe, en choisissant l’Irak et la Syrie comme trajets de transport d’une partie de son gaz.
Ainsi, le meilleur espoir de Nabucco demeure dans l’approvisionnement en gaz d’Azerbaïdjan et le gisement Shah Deniz, devenu presque la seule source d’approvisionnement d’un projet qui semble avoir échoué avant même d’avoir débuté. C’est ce que révèle l’accélération des signatures de contrats passés par Moscou pour le rachat de sources initialement destinées à Nabucco, d’une part, et les difficultés rencontrées pour imposer des changements géopolitiques en Iran, en Syrie et au Liban d’autre part. Ceci au moment où la Turquie s’empresse de réclamer sa part du projet Nabucco, soit par la signature d’un contrat avec l’Azerbaïdjan pour l’achat de 6 milliards de mètres cubes de gaz en 2017, soit en s’emparant de la Syrie et du Liban avec l’espoir de faire obstacle au transit du pétrole iranien ou de recevoir une part de la richesse gazière libano-syrienne. Apparemment une place dans le nouvel ordre mondial, celui du gaz ou d’autre chose, passe par rendre un certain nombre de service, allant de l’appui militaire jusqu’à l’hébergement du dispositif stratégique de bouclier antimissiles.
Ce qui constitue peut-être la principale menace pour Nabucco, c’est la tentative russe de le faire échouer en négociant des contrats plus avantageux que les siens en faveur de Gazprom pour Nord Stream et South Stream; ce qui invaliderait les efforts des Etats-Unis et de l’Europe, diminuerait leur influence, et bousculerait leur politique énergétique en Iran et/ou en Méditerranée. En outre, Gazprom pourrait devenir l’un des investisseurs ou exploitants majeurs des nouveaux gisements de gaz en Syrie ou au Liban. Ce n’est pas par hasard que le 16 août 2011, le ministère syrien du Pétrole a annoncé la découverte d’un puits de gaz à Qara, près de Homs. Sa capacité de production serait de 400 000 mètres cubes par jour (146 millions de mètres cubes par an), sans même parler du gaz présent dans la Méditerranée.
Les projets Nord Stream et South Stream ont donc réduit l’influence politique étasunienne, qui semble désormais à la traîne. Les signes d’hostilités entre les Etats d’Europe centrale et la Russie se sont atténués; mais la Pologne et les Etats-Unis ne semblent pas disposés à renoncer. En effet, fin octobre 2011, ils ont annoncé le changement de leur politique énergétique suite à la découverte de gisements de charbon européens qui devraient diminuer la dépendance vis-à-vis de la Russie et du Proche-Orient. Cela semble être un objectif ambitieux mais à long terme, en raison des nombreuses procédures nécessaires avant commercialisation; ce charbon correspondant à des roches sédimentaires trouvées à des milliers de mètres sous terre et nécessitant des techniques de fracturation hydraulique sous haute pression pour libérer le gaz, sans compter les risques environnementaux.

Participation de la Chine

La coopération sino-russe dans le domaine énergétique est le moteur du partenariat stratégique entre les deux géants. Il s’agit, selon les experts, de la «base» de leur double véto réitéré en faveur de la Syrie.
Cette coopération ne concerne pas seule­ment l’approvisionnement de la Chine à des conditions préférentielles. La Chine est amenée à s’impliquer directement dans la distribution du gaz via l’acquisition d’actifs et d’installations, en plus d’un projet de contrôle conjoint des réseaux de distribution. Paral­lèlement, Moscou affiche sa souplesse concernant le prix du gaz, sous réserve d’être autorisé à accéder au très profitable marché intérieur chinois. Il a été convenu, par conséquent, que les experts russes et chinois travailleraient ensemble dans les domaines suivants: «La coordination des stratégies énergétiques, la prévision et la prospection, le développement des marchés, l’efficacité énergétique, et les sources d’énergie alternative».
D’autres intérêts stratégiques communs concernent les risques encourus face au projet du «bouclier antimissiles» américain. Non seulement Washington a impliqué le Japon et la Corée du Sud mais, début septembre 2011, l’Inde a aussi été invitée à en devenir partenaire. En conséquence, les préoccupations des deux pays se croisent au moment où Washington relance sa stratégie en Asie centrale, c’est-à-dire, sur la Route de la soie. Cette stratégie est la même que celle lancée par George Bush (projet de Grande Asie centrale) pour y faire reculer l’influence de la Russie et de la Chine en collaboration avec la Turquie, résoudre la situation en Afghanistan d’ici 2014, et im­poser la force militaire de l’OTAN dans toute la région. L’Ouzbékistan a déjà laissé entendre qu’il pourrait ac­cueillir l’OTAN, et Vladimir Poutine a estimé que ce qui pourrait déjouer l’intrusion occidentale et empêcher les USA de porter atteinte à la Russie serait l’expansion de l’espace Russie–Kazakhstan–Biélorussie en coopération avec Pékin.
Cet aperçu des mécanismes de la lutte internationale actuelle permet de se faire une idée du processus de formation du nouvel ordre international, fondé sur la lutte pour la suprématie militaire et dont la clé de voute est l’énergie, et en premier lieu le gaz.

Le gaz de la Syrie

Quand Israël a entrepris l’extraction de pétrole et de gaz à partir de 2009, il était clair que le bassin méditerranéen était entré dans le jeu et que, soit la Syrie serait attaquée, soit toute la région pourrait bénéficier de la paix, puisque le XXIe siècle est supposé être celui de l’énergie propre.
Selon le Washington Institute for Near East Policy (WINEP, le think-tank de l’AIPAC), le bassin méditerranéen renferme les plus grandes réserves de gaz et c’est en Syrie qu’il y aurait les plus importantes. Ce même institut a aussi émis l’hypothèse que la bataille entre la Turquie et Chypre allait s’intensifier du fait de l’incapacité turque à assumer la perte du projet Nabucco (malgré le contrat signé avec Moscou en décembre 2011 pour le transport d’une partie du gaz de South Stream via la Turquie).
La révélation du secret du gaz syrien fait prendre conscience de l’énormité de l’enjeu à son sujet. Qui contrôle la Syrie pourrait contrôler le Proche-Orient. Et à partir de la Syrie, porte de l’Asie, il détiendra «la clé de la Maison Russie», comme l’affirmait la ­Tsarine Catherine II, ainsi que celle de la Chine, via la Route de la soie. Ainsi, il serait en capacité de dominer le monde, car ce siècle est le Siècle du Gaz.
C’est pour cette raison que les signataires de l’accord de Damas, permettant au gaz iranien de passer à travers l’Irak et d’accéder à la Méditerranée, ouvrant un nouvel espace géopolitique et coupant la ligne de vie de Nabucco, avaient déclaré: «La Syrie est la clé de la nouvelle ère».    •

*Philosophe et géopoliticien. Président du Centre de documentation et d’études stratégiques (Damas, Syrie)


Source: http://www.voltairenet.org/La-Syrie-centre-de-la-guerre-du 
(Traduction Réseau Voltaire avec Sega Ndoye)

dimanche, 10 juin 2012

Volte-face de la Turquie sur la Syrie ?

La Turquie négocie un virage diplomatique dans la crise syrienne. Elle y est bien forcée par une contestation interne grandissante de cette prise de position alignée sur celle des USA. Mais quel voisin la croira dorénavant? L'Empire ottoman avorté?

Volte-face de la Turquie sur la Syrie ?

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

Des indications de plus en plus précises montrent que la Turquie serait en train de réviser radicalement sa stratégie et sa politique dans la crise syrienne, vieilles de 14 mois, mises sur la même ligne que le bloc BAO. Déjà, au début mai 2012, le 7 mai 2012, M K Bhadrakumar jugeait qu’il y avait des signes convaincants de l’évolution de la Turquie…

«What gives cautious optimism is also that Turkey has been “retreating”. Notably, FM Ahmet Davitoglu has retracted from his rhetoric. He probably sensed that he crossed a red line and there has been adverse reaction in the Arab world, which is historically very sensitive about the Ottoman legacy. Besides, within Turkey itself, the government’s Syria policy has come under heavy fire. A Turkish intervention in Syria can be safely ruled out in the absence of a national consensus within Turkey.»

Le 3 juin 2012, une analyse de DEBKAFiles tend à confirmer cette évolution turque. Elle confirme par ailleurs, plus précisément, une sensation ressentie durant la semaine qui a suivi le massacre de Houla, où la Turquie s’est montrée extrêmement discrète, voire dispensatrice d’un silence assourdissant. Dans le concert humanitariste général des “Amis de la Syrie”, dont elle était un des membres les plus actifs (jusqu’à accueillir le club en mars à Istanboul), la discrétion de la Turquie a constitué un évènement remarquable… DEBKAFiles écrit :

«…In an astonishing about face, Turkey has just turned away from its 14-month support for the anti-Assad revolt alongside the West and made common cause with Russia, i.e. Bashar Assad. […]

»Washington, London and Paris began rushing forward contingency plans for this eventuality upon discovering that Ankara had secretly notified leaders of the rebel Free Syrian Army Thursday, May 31 that it had withdrawn permission for them to launch operations against the Assad regime from Turkish soil. It was then realized that Turkish Prime Minister Tayyip Erdogan and his Foreign Minister Ahmet Davutoglu had stabbed Western-Arab Syrian policy in the back and moved over to help prop Assad up at the very moment his regime was on the point of buckling under international after-shocks from the systematic massacres of his own people.

»That day, Erdogan’s betrayal was confirmed when Davutoglu announced over Turkish NTV: “We have never advised either the Syrian National Council or the Syrian administration to conduct an armed fight, and we will never do so.” He added: “The Syrian people will be the driving force that eventually topples the Syrian regime. Assad will leave as a result of the people’s will.” This was precisely the view voiced this week by Russian President Vladimir Putin, when he spoke out against violent rebellion, military intervention and sanctions to topple the Syrian ruler.

»For the time being, the pro-Assad Moscow-Tehran front, bolstered now by Ankara, has got the better of Western and Arab policies for Syria…»

Avant le texte cité plus haut, le 30 avril 2012, le même M K Bhadrakumar, lors d’un séjour en Turquie, appréciait sévèrement la position turque dans la crise syrienne, jugeant catastrophique pour ce pays de “suivre la voie des USA”, et s’interrogeant sur les choix d’Erdogan («Isn’t Turkey following the footsteps of the US — getting bogged down in quagmires some place else where angels fear to tread, and somewhere along the line losing the plot? I feel sorry for this country and its gifted people. When things have been going so brilliantly well, Erdogan has lost his way.»). La surprenante et assez incompréhensible politique syrienne de la Turquie depuis le printemps 2011 (expliquée par certains, et à notre sens d’une façon très acceptable, par des traits de caractère et d’humeur des deux principaux dirigeants turcs, Erdogan et Davutoglu , – voir le 29 février 2012) serait ainsi en train de changer et l’on pourrait à nouveau applaudir à la politique de ce pays, – parce qu’Erdogan aurait “retrouvé sa voie” un instant égaré.

DEBKAFiles parle de “la trahison d’Erdogan”, ce qui est un bon signe d’une certaine assurance qu’on pourrait avoir de la réalité de ce tournant. Il y a eu, ces derniers jours, un regain de déclarations officielles turques fortement en faveur de l’Iran (voir PressTV.com, le 31 mai 2012), et ceci va évidemment avec cela.

Dans tous les cas, on observera le caractère de volatilité extrême de la crise syrienne, avec l’apparente affirmation de “lignes” très affirmées (pro ou anti Assad), mais plutôt comme éléments de communication. Du point de vue de la politique suivie, il existe une réelle fluctuation pour la plupart des pays dont la politique n’est pas fondée sur des choix politiques clairs et explicitées par des arguments convaincants, cela montrant qu’il n’y a pas non plus de leadership politique impératif (notamment, rien de ce point de vue, pour le parti anti-Assad de la part des USA) mais des décisions suivant les perceptions générales, les intérêts, les humeurs et les influences temporaires, et les réactions des uns et des autres vis-à-vis de la pression constante et très puissante du Système. Cela rend compte de la manufacture particulière de la crise syrienne, où les facteurs d’idéologies de communication (humanitarisme, libéralisme interventionniste) et d’artificialité de certains groupes (nombre de groupes “rebelles” formés de toutes pièces, sans racines intérieures) tiennent une place très spécifique, où le caractère politique principal est la création du désordre et l’opposition aux principes structurants. Au reste, il s’agit bien d’une situation très caractéristique, d’une époque évidemment “crisique”, faite quasi exclusivement de crises diverses, où domine la dynamique d’autodestruction du Système.

samedi, 02 juin 2012

La Turquie face au front Syrie-Irak-Iran

La Turquie face au front Syrie-Irak-Iran

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Après avoir «perdu» la Syrie, la Turquie serait elle en train de perdre l’Irak?


- Cérémonie de fin de formation de recrues de l’armée irakienne à Kirkourk, dans le nord du pays. REUTERS/Ako Rasheed. -

Comme un air de déjà vu, déjà entendu. Après Bachar el-Assad, c’est au tour de Nouri al-Maliki, le premier ministre irakien, de renvoyer l’ancienne puissance ottomane dans ses cordes. Alors que les Turcs pouvaient, en Irak comme en Syrie, se prévaloir de beaux succès économiques et d’une percée politico-diplomatique, le climat entre Ankara et Bagdad se dégrade à grande vitesse (après celui entre Ankara et Damas, l’année dernière). La rupture n’est, ici, pas encore totalement consommée. Mais pour combien de temps encore?

Le 9 mai, Ankara refuse de livrer à Bagdad l’ancien vice-président irakien, Tarek al-Hachémi. Recherché pour avoir commandité l’assassinat de plusieurs officiels, objet d’une «notice rouge» d’Interpol, c’est un sunnite qui a regretté que l’Irak soit devenu un véritable couloir d’acheminement d’armes iraniennes à destination de la Syrie.

En avril, un autre rival du Premier ministre irakien, le président de la région kurde autonome d’Irak Massoud Barzani, avec lequel Ankara a noué d’étroits liens (commissions conjointes, ouverture d’un consulat turc, visites de ministres et omniprésence des entrepreneurs turcs) est reçu en grandes pompes.

Il  accuse Nouri al-Maliki de se conduire en dictateur et s’oppose à la vente par les Etats-Unis de F-16 à Bagdad. On voit mal l’ancien peshmerga Barzani lancer des opérations militaires contre le PKK (mouvement séparatiste kurde en guerre contre Ankara depuis 28 ans et dont les bases arrières se situent dans les montagnes d’Irak du nord) – ce serait un suicide politique. Mais le Président de la région kurde autonome d’Irak peut resserrer l’étau logistique et psychologique autour des rebelles qui sévissent, à partir de son territoire.

Les Kurdes d’Irak, partenaires fiables

Paradoxalement, Massoud Barzani, proche des Israéliens, constitue désormais le seul partenaire vraiment fiable des Turcs dans la région.

A peine les troupes américaines parties qu’en janvier, le ton était donné: trois roquettes tirées sur l’ambassade de Turquie à Bagdad. Cette attaque faisait suite au coup de téléphone de  Tayyip Erdogan à  Nouri al-Maliki,  durant lequel le Premier ministre turc se serait inquiété du sort fait au bloc Iraqiya d’Iyad Allawi, un  ancien baassiste, chiite,  opposé à Nouri al-Maliki et soutenu par la Turquie avec financements largement saoudiens. En jeu: l’équilibre confessionnel et politique de  la coalition gouvernementale mise laborieusement sur pied à la suite des élections de mars 2010.

Depuis plusieurs années, la Turquie intervient dans la politique intérieure irakienne, et ne s’en cache pas. Elle  cherche, selon Beril Dédéoglu, professeure turque de relations internationales, à  «limiter l’emprise d’al-Qaïda sur les sunnites et à gagner le cœur des chiites pour les détourner de l’Iran». 

«C’est en prenant de telles initiatives que la Turquie pourrait conduire la région au désastre et à la guerre civile», aurait rétorqué, une fois le combiné raccroché, le Premier ministre irakien.

Nouvelle passe d’armes verbales, crescendo, en avril. Après avoir été  accusé par son alter égo turc de monopoliser le pouvoir, d’«égocentrisme» politique et de discriminations à l’égard des groupes sunnites dans son gouvernement, Nouri al-Maliki  déclare que la Turquie est sur le point de se transformer en un «Etat hostile» pour «tous».

Téhéran, puissance de référence

C’est «la fin d’une période d’innocence: les Turcs commencent à prendre des coups au Moyen-Orient, ce qui n’est pas nouveau, mais ça l’est pour l’AKP (le parti islamo-conservateur au pouvoir depuis 2002), suggère le chercheur Julien Cécillon. L’Irak et par extension le Moyen-Orient, deviennent plus une zone à risque qu’un espace d’opportunités pour la Turquie», selon le co-auteur de «La Turquie au Moyen Orient, le retour d’une puissance régionale?» (dirigé par D. Schmidt, IFRI, 2011).

En couverture de l’ouvrage publié en décembre 2011, une photo montre R .T Erdogan et N. al-Maliki, debout côte à côte et au garde-à-vous sur le tarmac de l’aéroport de Bagdad. La photo qui veut symboliser le «nouvel espace de déploiement de la puissance turque» ne remonte qu’à 2009. Elle parait pourtant presque «datée», d’une autre époque : quand certains faisaient référence au «modèle turc» et  la Turquie se flattait d’être une «source d’inspiration» pour les pays arabes.

Les Turcs sont en train de réaliser qu’ils ont aussi peu d’influence sur Nouri al-Maliki qu’ils n’en avaient sur Bachar al-Assad. Et que Téhéran reste la puissance de référence,  à Bagdad comme à Damas. Mais «Ankara a déjà les mains pleines avec Assad et  souhaite  éviter un autre scénario de choc!», analyse Sinan Ulgen, également chercheur associé à Carnegie Europe à Bruxelles. Or comme la Syrie, l’Irak est crucial pour les ambitions régionales de la Turquie.

D’abord économiquement: les routes d’Irak sont essentielles pour que les camions turcs –désormais interdits de Syrie— accèdent aux marchés proche-orientaux. L’instabilité politique irakienne empêche la croissance économique du pays sur laquelle misent les hommes d’affaires turcs (la grande majorité des compagnies étrangères en Irak sont turques et ce sont elles qui reconstruisent le pays). De même qu’elle bride l’exploitation des richesses pétrolières et gazières pour l’acheminement desquelles la Turquie constitue un important pays de transit.

Paix froide Ankara-Téhéran

Et puis, «la déstabilisation du pays, quelques mois après le rapatriement des troupes américaines est de mauvaise augure pour le maintien de l’ordre politique en Irak», prédit Sinan Ulgen, directeur d’Edam, un think-thank turc. «Les risques d’une désintégration de l’Irak sont bien plus élevés qu’en Syrie», ajoute la professeure Béril Dédéoglu, et pourraient conduire à la  constitution d’un Etat kurde indépendant au nord du pays. Une perspective que craignent les autorités civiles et militaires turques, en guerre depuis 28 ans contre «leur» propre mouvement séparatiste kurde, le PKK (parti des travailleurs du Kurdistan).

Soner Cagaptay du  Washington Institute for Near East Policy nuance: «Ankara juge que le gouvernement de Maliki est autoritaire et qu’il prend ses ordres à Téhéran. Mais elle ne s’affole pas autant qu’elle a pu le faire par le passé d’une division de  l’Irak».  

L’idée d’un Kurdistan indépendant au nord de l’Irak ne constitue donc plus un cauchemar absolu pour Ankara. «Pour autant qu’il conserve les gisements pétroliers de Kirkouk, obtienne un quasi contrôle de Mossoul, et ne s’adjoigne pas une partie du territoire kurde de Syrie!», précise Béril Dédéoglu, spécialiste de relations internationales parfois consultée par le gouvernement turc. Lequel aurait eu connaissance des plans d’indépendance «déjà prêts» de Massoud Barzani.

On assiste donc actuellement au réalignement de Bagdad aux côtés du régime syrien et de l’Iran face à une Turquie qui soutient, elle, l’opposition au régime de Bachar al-Assad. «Il est probable que Téhéran continue à encourager Bagdad contre  Ankara,  en espérant qu’en retour la Turquie s’inclinera face à Assad», avertit Soner Cagaptay. Longtemps en «paix froide», les pouvoirs turc et iranien se sont rapprochés ces dernières années, mais en 2011 Téhéran a très mal pris qu’Ankara autorise l’installation du bouclier antimissile aérien de l’Otan sur son territoire.

C’est donc peut-être un front Iran-Irak-Syrie qui se dessine face à une Turquie moins repliée sur elle-même. L’esquisse d’une recomposition régionale?

L’un des scénarios verrait la Turquie à la tête d’un bloc sunnite, peut-être allié à l’Occident, et opposé à l’Iran et son fameux «croissant chiite» dont la continuité territoriale («du Tadjikistan au sud-Liban») aurait été contrariée par la dislocation de l’Irak et la création d’un Etat kurde au nord avec une entité sunnite au centre du pays.

Un tournant stratégique «sunnite» pour la Turquie, dont la politique étrangère à l’égard de la Syrie, et dans une moindre mesure de l’Irak ne fait cependant pas du tout l’unanimité: ni dans son opinion publique (en particulier dans la minorité alévie, une branche proche des chiites) ni pour le principal parti d’opposition (CHP, le parti républicain du peuple) ni même, en ce qui concerne la Syrie, jusqu’au président de la République de Turquie, Abdullah Gül.

Ariane Bonzon

vendredi, 01 juin 2012

Guerre médiatique de l’OTAN

Guerre médiatique de l’OTAN: le gouvernement syrien blâmé pour des atrocités commises par les escadrons de la mort soutenus par les Etats-Unis

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SYRIA-POLITICS-UNREST

Alors que les informations fuitent depuis Houla en Syrie, ville voisine de Homs et de la frontière libano-syrienne, il devient de plus en plus clair que le gouvernement syrien n’est pas responsable des tirs d’artillerie ayant tué quelques 32 enfants et leurs parents, comme cela est périodiquement affirmé puis nié par les médias occidentaux et même les Natons-Unies elles-mêmes. Il apparaît que ce massacre serait l’œuvre d’escadrons de la mort ayant agit directement en contact avec les victimes, ces escadrons accusés par les “activistes” anti-gouvernement d’être des “sbires du régime” ou des “milices” et par le gouvernement syrien d’être des terroristes d’Al Qaïda connectés avec l’ingérence étrangère.

Alors que les assassinats se déroulaient, les représentants des Etats-Unis, de la Grande-Bretagne et de la France, se préparaient déjà à accuser, à condamner et à punir le gouverneent syrien, appelant pour une réunion immédiate du conseil de sécurité de l’ONU ainsi que laisser libre-court pour les “Amis de la Syrie” à invoquer l’augmentation des livraisons d’armes et de l’aide aux militants. Ceci représentait une hâte politiquement motivée, une opportunité créée ou pas, pour que l’occident pousse son  agenda de longue date à changer le régime syrien. Pendant la même période, l’OTAN a massacré une famille de 8 personnes en Afghanistan, incluant 6 enfants, donc sûrement si l’humanitaire et la justice étaient vraiment les préoccupations motivant ces intérêts occidentaux, alors le cas de l’Afghanistan aurait tout aussi été mis en question avec celui de Houla. Ce ne fut malheureusement pas le cas.

Ce fut aussi durant cette hâte à mettre les feux de la rampe sur l’évènement et à rendre une effet maximum à cette violence, que la BBC a publié une fausse image de l’endroit, qui en fait était la photo d’un massacre prise en Irak, vieille de plusieurs années, disant que cette “preuve”, comme toutes celles fournies, venait “d’activistes pro-démocratie”, ceci une fois de plus mettant en doute la véracité même des affirmations provenant de ces sources douteuss et constantes depuis plus d’un an.

Il est clair que même après un crime typique qui serait commis dans une nation occidentale, la police ne pourrait pas déduire de la scène du crime des conclusions si rapidement, à moins que la police ne soit biaisée et connaisse déjà tous les détails du crime parce qu’elle aurait été elle-même personnellement impliquée dans celui-ci.

Il est clair que quoi qu’il se soit passé à Houla est utilisé de manière désespérée comme point de levier pour faire avancer la prochaine étape de l’agenda insidieux occidental, décrit avec beaucoup de détails dans l’article de Seymour Hersh du New Yorker en 2007 et intitulé: “La redirection”, où il exposa un complot américano-israélo-saoudien qui consiste à armer des extrémistes sadiques et sectaires et de les lâcher contre la Syrie. En fait, dans l’article de Hersh, il interviewait plusieurs sources qui craignaient que ce type de violence ne soit inéluctable, c’est ce que nous voyons se dérouler à Houla.

Alors que certains trouvent difficile de croire que l’occident pourrait mettre en scène, promouvoir et / ou exploiter ce type de violence telle que celle vue à Houla, nous devons nous demander: “Y a t’il des précédents historiques qui pourraient nous donner une idée ou des points de repère sur les ‘si’ et les ‘pourquoi’ “. En de fait, il y en a.

Nous devons nous rappeler de l’été 1939, lorsque les nazis voulant désespérément se faire passer pour de pauvres victimes et jusitifer des actes d’agression militaire, ont mit en scène un incident frontalier dont l’intention était de faussement impliquer la Pologne voisine. Le résultat fut que des troupes allemandes attaquèrent une station radiophonique allemande, et ceci mena à l’invasion de la Pologne par l’Allemagne nazie. De manière sufisamment ironique, c’est le musée américain de la commémoration de l’holocauste qui nous donne non seulement un compte-rendu de ces évènements, mais aussi une leçon sur “comment tromper le public”:

“Durant toute la seconde guerre mondiale, les propagandistes nazis ont déguisé l’agression militaire destinée à la conquête territoriale en acte d’auto-défense nécessaires et justes. Ils ont toujours dépeint l’Allemagne comme une victime ou victime potentielle d’agresseurs étrangers et étant une nation pacifique, celle-ci a dû prendre les armes pour défendre sa population ou défendre la civilisation européenne contre le communisme. Les buts de guerre professés à chaque étape des hostilités ont presque toujours déguisé les intentions réelles des nazis pour leur expansion territoriale et leur guerre raciste. Ceci fut une propagande de la tromperie, faite pour leurrer ou diriger dans une direction le peuple allemand, les pays occupés par l’Allemagne et les pays neutres.

Durant l’été 1939, alors qu’Hitler et ses aides finalisaient les plans de l’invasion de la Pologne, l’opinion publique allemande était tendue et craintive. Les Allemands étaient encouragés par le gain énorme de territoires et l’extension des frontières de l’Allemagne en Autriche et en Tchécoslovaquie sans avoir eu à tirer un seul coup de feu, mais elle ne participait pas aux manifestations de rues appelant à la guerre, comme la génération de 1914 l’avait fait.

Avant l’attaque de l’Allemagne sur la Pologne le 1er Septembre 1939, le régime nazi lança une campagne médiatique agressive pour construire un soutien populaire pour une guerre que bien peu d’Allemands désiraient. Pour présenter l’invasion comme un acte moralement justifié, une action de self-defense, la presse allemande relaya des informations sur les “atrocités polonaises”, se référant à des accusations réelles ou inventées sur la discrimination et la violence contre la minorité allemande en Pologne. Déplorant l’attitude “belliqueuse” et le “chauvinisme” polonais, la presse attaqua également la Grande-Bretagne qui encourageait à la guerre en promettant de défendre la Pologne en cas d’invasion par l’Allemagne.

Le régime nazi mit même en scène un incident frontalier créé pour faire croire que la Pologne avait de fait déclanché les hostilités. Le 31 Août 1939, des soldats de la SS se déguisèrent en soldats polonais et “attaquèrent” une station radiophonique allemande à Gleiwitz (Gliwice). Le lendemain, Hitler annonçait à la nation allemande et au monde, qu’il avait pris la décision d’envoyer des troupes allemandes en Pologne en réponse à ”l’incursion” polonaise dans le Reich. Le bureau de presse du parti nazi donna pour instruction à la presse allemande de ne pas utiliser le mot “guerre”. Il devait rendre compte simplement du fait que les troupes allemandes avaient repoussé les attaques polonaises, une tactique mise en place pour victimiser l’Allemagne dans le processus. La responsabilité de déclarer la guerre serait laissé aux Britanniques et aux Français.”

Pour l’occident qui avait juré après les pertes catastrophiques de la seconde guerre mondiale que des actes d’agression étrangère à une nation ne serait plus jamais tolérés, nous avons autorisés les pouvoirs de Wall Street et de la City de Londres et ceux dans leur orbite, de continuer leurs conquêtes militaires pas à pas, de l’Afghanistan à l’Irak en passant pas la Libye, la Somalie, le Yémen et maintenant la Syrie. Nous sommes au bord d’une guerre avec l’Iran et tout comme l’Allemagne nazie, ceux qui nous y mènent utilisent une gamme de menaces, de terreur, de promesses et d’excuses intenables pour une fois de plus franchir les frontières d’une autre nation souveraine, de faire la guerre à un peuple et de lui imposer nos systèmes et nos institutions que nous affirmons être “supérieurs”.

Depuis les années 1990, d’après le général américain Wesley Clark, l’occident à rechercher la conquête du Moyen-Orient par l’installation de régimes clients. Depuis 2002, l’occident à chercher à renverser le gouvernement syrien. Clairement, depuis 2007, l’occident conspire contre la Syrie. Des années avant que le terme “printemps arabe” ne fut proféré par les médias occidentaux, la violence qui ravage maintenant la Syrie fut planifiée, avec des militant étant entrainés, financés, armés et mis en place. Le désir de l’occident d’intervenir en Syrie n’est certainement pas pour sauver le peuple syrien de la violence créée par l’occident lui-même, mais d’utiliser cette violence pour s’étendre, tout comme Hitler le fît, par le biais de la conquête militaire.

Si l’ONU permet de manière tragique aux forces du fascisme mondialiste, pauvrement déguisé en “défenseur de la civilisation”, de prévaloir en Syrie, ne vous leurrez pas pour croire, comme le fit le peuple allemand en son temps, qu’il y ait quoi que ce soit de justifiable dans cet état de fait. Houla, tout comme Gleiwitz, est une mauvaise excuse et non pas un impératif moral. L’Allemagne a fini par payer très cher ses transgressions continuelles contre l’humanité, cela a coûté des millions de morts, des décennies d’opportunités perdues, divisés et conquis après avoir été battus et porter la charge d’un lourd passé pour toujours. Quelle récompense osons-nous attendre aujourd’hui de notre ignorance et de notre apathie ?

Tony Cartalucci

Url de l’article:

http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=31081

~ Traduit de l’anglais par Résistance 71 ~

mercredi, 30 mai 2012

Les vrais raisons du conflit syrien

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Alexander FRISCH:
Les vrais raisons du conflit syrien

Le dernier bastion de la Russie au Levant doit être éliminé!

Les médias occidentaux orchestrent une propagande qui campe le Président syrien Bachar El-Assad comme un despote enragé qui fait ouvrir le feu sur des civils innocents et désarmés et opprime une opposition née au sein même de son peuple. Mais il faut avoir la curiosité de jeter un oeil derrière le voile de ces mensonges propagandistes et de ces ragots colportés par les grandes agences de presse pour constater que le président syrien doit être éliminé, comme le veulent la “communauté occidentale des valeurs” et les services secrets des puissances occidentales, à l’instar de ce qui s’est déjà passé en Libye et en Irak. Le motif n’est pas tant que la Syrie soit considérée comme un allié étroit de l’Iran, lui aussi cible de l’Occident et menacé d’une attaque par Israël; c’est surtout parce que Damas est le dernier allié de la Russie au Levant.

L’influence de Moscou doit être repoussée partout où il est possible de la repousser: tel est le but, non officiellement avoué, des Etats-Unis, puissance dont les problèmes intérieurs et l’endettement démesuré ne sont pas niables et qui perd de plus en plus de terrain en politique étrangère. Ce sont les mêmes fondations, financées par les Etats-Unis et d’autres puissances occidentales, qui agitent une frange de l’opinion publique en Russie contre Poutine et qui soutiennent le parti de la guerre civile en Syrie, qui veut le départ d’El-Assad. Ces fondations fournissent des armes à l’opposition armée syrienne et mettent tout en oeuvre pour provoquer un changement de régime à Damas, assorti de la chute d’El-Assad et de son parti Baath, séculier et nationaliste panarabe.

Y a-t-il en Syrie une opposition “modérée”?

Même au début de la mission de Nations-Unies en Syrie, la vague de violence ne s’est pas estompée dans le pays. Chaque jour des citoyens syriens perdent la vie dans les combats et dans les attentats à la bombe. On escamote bien le fait que ces victimes, souvent des femmes et des enfants, sont dues aux actions des “opposants” qui, fournis en armes et en explosifs par l’étranger, ne tiennent pas compte de la sécurité et de l’inviolabilité théorique des représentants des Nations-Unies. Récemment deux engins ont explosé à proximité d’un hôtel de la ville d’Idlib, où logeaient des observateurs des Nations-Unies. Au moins vingt-deux personnes ont perdu la vie lorsque des bombes ont explosé coup sur coup près de bâtiments abritant les services secrets de l’armée loyaliste et des forces aériennes. La plupart des victimes appartenaient, dit-on, aux services de sécurité.

Le Président du “Conseil National Syrien”, Burhan Ghalioun, qui parle soi-disant au nom d’une “opposition modérée”, justifie l’usage d’armes contre les instances de l’Etat, car de telles actions relèveraient de la “légitime défense”. Pour le “Conseil National”, mis sur pied par l’Occident, le régime d’El-Assad est sur le point de s’effondrer. Ghalioun le “modéré” déclare à ce propos: “C’est comme un cadavre puant qui attend d’être enterré”. Tandis que la “Communauté occidentale des valeurs” attend manifestement qu’El-Assad dépose les armes volontairement et agite le drapeau blanc face au parti de la guerre civile, armé principalement par les Etats-Unis, le ministre russe des affaires étrangères Serguëi Lavrov remarque en toute clarté que ce sont les poseurs de bombe, les paramilitaires et les terroristes de l’opposition militante qui barrent la route à tout processus de paix réellement stabilisant.

“L’armistice annoncé selon le plan Annan et soutenu par le Conseil de sécurité de l’ONU n’a pas encore permis une stabilisation définitive —en grande partie parce que les groupes armés de l’opposition tentent sans cesse de commettre leurs provocations: il s’agit principalement d’attentats à l’explosif et d’actes de terreurs ou encore de tirs contre les troupes gouvernementales ou contre des bâtiments publics”, a déclaré Lavrov dans un entretien accordé à la station de télévision russe “Rossiya-24”. La cible de l’opposition armée serait, d’après le ministre russe des affaires étrangères, de faire échouer le plan d’Annan, de susciter la colère de la communauté internationale et de provoquer ainsi une immixtion étrangère. Ensuite, Lavrov a mis les points sur les “i”: “Pour des raisons bien compréhensibles, nous travaillons principalement avec le gouvernement en place que nous tentons de persuader pour qu’il aille au devant des obligations strictes qu’impose le plan d’Annan”. “L’opposition, avec laquelle nous cherchons également à dialoguer se trouve, elle, en revanche, sous l’influence d’autres Etats”, a poursuivi Lavrov, dans une phrase apparemment anodine mais haute de signification. “De ces Etats, nous attendons une attitude responsable face aux obligations que le Conseil de Sécurité des Nations Unies demande de satisfaire”.

Les relations russo-syriennes

Le partenariat qui existe entre la Syrie et la Russie relève d’une vieille tradition: il a commencé quand Damas a plutôt penché vers l’Union Soviétique après s’être débarrassé de la double tutelle française et britannique après la seconde guerre mondiale. Bien qu’officiellement indépendante depuis 1941, la Syrie n’a vu le départ complet des troupes françaises et britanniques qu’en 1946. Dans la foulée, le pays a été secoué par une longue série de soulèvements et de coups d’Etat, situation instable due surtout à la défaite arabe face à Israël en 1948; en 1955, Choukri al-Kouwatli, tourné vers l’Egypte nassérienne, prend le contrôle du pays et sort victorieux de la période d’instabilité. Fin 1956, il rompt les relations diplomatiques avec la France et la Grande-Bretagne, s’envole vers Moscou et obtient d’importantes livraisons d’armes de la part des Soviétiques, pour une valeur totale de 60 millions de dollars.

La montée du chef panarabe légendaire, Gamal Abdel Nasser, en Egypte a également nourri les espoirs syriens de créer un Etat arabe commun. En octobre 1957, des troupes égyptiennes débarquent en Syrie; le 1 février 1958, Nasser et Al-Kouwatli proclament au Caire la fusion en un seul Etat de la Syrie et de l’Egypte ainsi que du Nord-Yémen sous le nom de “République Arabe Unie” (RAU). Cette confédération a toutefois cessé d’exister en 1961 suite au putsch perpétré par un groupe d’officiers syriens. Deux années plus tard, le parti arabe-national Baath prend le pouvoir à Damas puis, à la suite de conflits internes, l’aile gauche du parti fomente à son tour un putsch en 1966 et Noureddine El-Atassi, intransigeant face à Israël, devient le chef de l’Etat. Le premier voyage du nouveau président l’amène à Moscou. La Syrie participe du 5 au 10 juin 1967 à la fameuse “Guerre des Six Jours” contre Israël; elle est la dernière puissance arabe à déposer les armes mais perd les hauteurs du Golan près du Lac de Génézareth. En septembre 1967, El-Atassi préconise la fusion des “Etats arabes socialistes” (Egypte, Algérie, Irak et Syrie) et plaide pour la poursuite du boycott pétrolier contre l’Occident, surtout contre la Grande-Bretagne et les Etats-Unis. Un an plus tard commence la construction du barrage sur l’Euphrate avec l’aide financière et technique de l’URSS.

Sous le successeur d’El-Atassi, Hafez El-Assad, le père de l’actuel président syrien, le partenariat avec la Russie s’est largement poursuivi. Entre 1979 et 1989, l’Union Soviétique a livré des armes à la Syrie afin d’obtenir une parité stratégique face à Israël. Sur le plan quantitatif la Syrie a obtenu cette parité en 1989 mais sur le plan qualitatif les systèmes d’armement soviétiques étaient inférieurs à leurs équivalents américains dont disposaient les Israéliens. Toutefois, El-Assad, pendant les trente années de son règne, a pu établir la Syrie comme le principal adversaire d’Israël. Tirant profit du conflit Est/Ouest, il était parvenu à contrôler le Liban et à prendre une position dominante dans le monde arabe.

Dans un entretien avec “ARTE-Journal”, le politologue français, expert de la Russie, Jean-Sylvestre Mongronier a résumé comme suit la longue tradition de partenariat dans les relations syro-soviétiques puis syro-russes: “D’un point de vue historique, le pays se sentait plus proche de l’Union Soviétique. Depuis l’indépendance réelle de 1946, la Syrie a subi un processus de radicalisation et plusieurs coups d’Etat ont eu lieu. Les forces nassériennes, les éléments communistes et les baathistes ont tous été à l’oeuvre. En 1963, c’est le parti Baath qui commet un putsch; en 1970, c’est au tour d’Hafez El-Assad. Le tout a toujours été accompagné d’un rapprochement avec l’URSS. Celle-ci a joué un rôle important dans la construction de l’appareil militaire syrien et dans la reconstitution de celui-ci après la “Guerre des Six Jours” de 1967. En plus, en 1980, Syriens et Soviétiques signent un traité d’amitié et de coopération. La Syrie s’endetta, comme ce fut également le cas de la Libye, sauf que les dettes de Damas étaient sensiblement plus élevées: 13 milliards de dollars. Ces dettes ont partiellement été transformées en achats d’armements”.

Damas doit tomber !

Occupant une place centrale du point de vue géostratégique, entre les Etats arabes et l’Iran, au beau milieu de plusieurs identités religieuses, la Syrie détient donc une position unique dans l’agencement du Proche Orient. Il y a plus de trente ans déjà, Henry Kissinger reconnaissait que le pays avait la capacité de prendre en charge une fonction de stabilisation au Levant. Moscou continue à entretenir des relations étroites avec le gouvernement de Bachar El-Assad, y compris sur les plans technique et militaire, car, comme auparavant, la Syrie demeure un client important de l’industrie russe de l’armement. Récemment, des contrats ont été conclus pour l’obtention de missiles à courte portée.

Ce n’est donc pas un hasard si les “printemps arabes” ont été largement mis en scène par les Etats-Unis et les services secrets occidentaux. L’effervescence de ces “printemps” a ensuite été importée en Syrie car, si Damas tombe, ce sera non seulement l’allié le plus important de l’Iran, menacé par Israël, qui tombera mais aussi un partenaire de longue date de Moscou. La Russie n’est apparemment pas disposée à tolérer une hégémonie totale des Etats-Unis sur l’ensemble du Proche Orient et sur ses richesses minérales. Le ministre russe des affaires étrangères fait valoir l’influence qu’exerce la Russie par l’intermédiaire de la Syrie et trouve désormais les mots justes pour désigner l’opposition syrienne, qui est tout sauf pacifique car elle mène une guerre par procuration pour le compte des Américains.

Alexander FRISCH.
(article tiré de DNZ, Munich, 11 mai 2012).

jeudi, 24 mai 2012

Conferentie Syrië – 26 mei 2012 – Brussel /

Conferentie Syrië – 26 mei 2012 – Brussel /

Conférence Syrie – 26 mai 2012 – Bruxelles /

Conference Syria – 26 May 2012 – Brussels

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Beste vrienden

Hiermede nodigen wij u uit op de conferentie ‘Syrië anders bekeken’ van de Mediawerkgroep Syrië op zaterdag 26 mei 2012 van 13.30 tot 18 uur in de zaal van de Sint-Niklaaskerk, Steenstraat 44 te 1000 Brussel (vlakbij de Grote Markt).

Priester Daniël Maes, norbertijn van Postel en afkomstig uit Arendonk, draagt zorg voor de mannenvleugel in het zesde eeuwse klooster Mar Yakub in Qâra, gelegen op 90 kilometer van Damascus. Hij is er ook verantwoordelijk voor het eerste seminarie van de katholieke priesteropleiding. Door vele contacten ter plaatse kreeg priester Maes het voorbije jaar de unieke kans om vast te stellen wat er werkelijk gaande is in Syrië. Hij zal ons daarover uitvoering informeren.

Eveneens krijgen we een overzicht van de actuele geschiedenis van Syrië door historicus Bahar Kimyongür en een recent reisverslag door journalist Kris Janssen.

Op het programma staan nieuwe video’s, foto’s, muziek en een gezellig samenzijn met een babbel en een drankje.

Als u wilt weten wat er zich werkelijk het voorbije jaar afspeelde in Syrië, loop dan gewoon even langs en noteer nu reeds 26 mei 2012 in uw agenda. En breng gerust een aantal vrienden mee. Tot dan!

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Journalisten nodigen wij graag uit op de persconferentie van de Mediawerkgroep Syrië op zaterdag 26 mei 2012 om 12 uur stipt in de zaal van de Sint-Niklaaskerk, Steenstraat 44 te 1000 Brussel (vlakbij de Grote Markt). Priester Daniël Maes zal de aanwezige media toelichten over de laatste stand van zaken in Syrië en antwoorden op vragen van journalisten.

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Met vriendelijke groeten,

namens Mediawerkgroep Syrië

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

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Twitter: @MWSyria

 

Chers amis,

Nous voulons vous inviter à une conférence ‘Syrie autre regard’ du Groupe-Média Syrie. L’événement aura lieu le samedi 26 mai 2012 dans la salle de l’église Saint-Nicolas, Rue de Pierre 44, 1000 Brussel (tout près de la Grande Place). Et ça de 13.30 h à 18.00 h. Prêtre Daniël Maes, Norbertin de l’abbaye de Postel et originaire de Arendonk, donnera un exposé sur la situation actuelle en Syrie. Daniël Maes prend soin de la section masculine du monastère Mar-Yacub (6iéme siècle) à Qâra, à une 90 kilomètres de Damascus. Il est aussi le responsable pour le premier séminaire catholique de la Syrie. Par ses nombreux contacts sur place, ce prêtre a eu l’unique occasion de constater ce qui se passe vraiment en Syrie. C’est un témoin de première main. Il nous en informera d’une manière détaillée.

Prévus également: un aperçu de l’histoire actuelle de la Syrie par l’historien Bahar Kimyongür et un reportage de voyage du journaliste Kris Janssen.

Sur le programme aussi des vidéos, des fotos, de la musique… Et tout cela dans une atmosphère de convivialité (boisson et bavarde).

Si vous voulez vraiment savoir ce qui s’est passé vraiment en Syrië l’année passée, n’hésitez pas et rejoignez nous le 26 mai. Et notez déjà cette date dans votre agenda. Amenez sûrement quelques amis. A bientôt donc!

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Nous avons l’honneur d’inviter les journalistes à une conférence de presse du Groupe-Média Syrië. Et ça le samedi 26 mai 2012 à 12.00 h à la minute. La conférence aura lieu dans la salle de l’église Saint-Nicolas, Rue de Pierre 44, 1000 Bruxelles (tout près de la Grande Place).

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Cordialement votre,

Groupe-Média Syrie

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

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Twitter: @MWSyria

 

Dear Sir, Madam,

Priest Daniel Maes from Arendonk, Norbertine monk at Postel Abbey, is in charge of men’s quarters at the 6thC monastery in Mar Yakub at Qara, 90 kilometres from Damascus. He is also responsible for the first seminary at the Catholic seminary. Continually communicating with locals, priest Maes is uniquely in the position to know what is really going on in Syria and will inform the public.

The public part of the meeting, from 13:30 to 18:00 p.m., offers beside the presentation of priest Maes, an overview of Syria’s contemporary history by historian Bahar Kimyongür and a recent inside report by journalist Kris Janssen. The programme includes new footage and photos as well as music and an opportunity to socialize and share a drink.

If you are interested in what is really going on in Syria from last year onwards, just block 26 May 2012 in your diary, walk in and feel free to bring your friends. Until then!

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The Media Group Syria would like to invite journalists to a special press conference on Saturday May 26th at 12:00 a.m. in the hall of St Nicholas Church, Steenstraat / rue des Pierres 44, 1000 Brussels (near the Grand Place).  At the press conference priest Daniël Maes will present his findings, explain the current situation in Syria and answer questions from journalists.

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Media Workgroup Syria

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

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Al-Qaeda Involvement with Syrian Rebels

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Assad’s Motives for Claiming Al-Qaeda Involvement with Syrian Rebels

Ex: http://www.counter-currents.com/

Whenever you see something in the mainstream media, it’s always a good idea to ask yourself, “who benefits” from the situation and how it is portrayed. Besides the damning evidence Israel was directly involved [2] in the 9/11 terrorist attacks, that question is why I’m highly skeptical about the terrorist network, Al-Qaeda.

Al-Qaeda’s actions appear to benefit (perceived) Jewish interests and the hostile elite within Anglosphere much more than it benefits the Muslims it claims to represent. If anything, Al-Qaeda seems to act against the interests of Arab Muslims (as well as white people).

So when I heard Gaddafi’s claim [3] that, “al-Qaeda is behind the Libyan uprising,” last year, I dismissed it as Gaddafi making a very ineffective, naïve, and embarrassing appeal to those in the West (1). Given his character and history, I wouldn’t have put it past him.

Now Assad’s government in Syria is also claiming Al-Qaeda is playing a role [4] in the violence aimed at overthrowing the Syrian government. This, and my better grounding in the global political situation (especially concerning Russia) made me reflect more on the situation.

I’ve come to suspect two things. First, that, Al-Qaeda operatives probably were involved in overthrowing Gaddafi’s government and are currently involved in the attempt to overthrow the Syrian government. To what extent, I don’t know, but this would make a lot of sense if Al-Qaeda is actually an Israeli-Neocon front group or is somehow bribed into serving their interests. Second, that instead of a poorly thought-out appeal to the West, claiming Al-Qaeda is involved in the rebel’s terrorism may actually be very smart political positioning – at least in Assad’s case. Let me explain.

By claiming Al-Qaeda is involved with but not necessarily the only group behind the rebels, Syria leaves room for its allies, namely Russia, to strike a deal with Anglosphere that allows the West a way to save face if it backs down from supporting the overthrow of Assad’s government.

If a deal cannot be struck, the Assad government has not claimed that Al-Qaeda is exclusively behind the rebellion and therefore can still point the finger at Western governments (i.e. the United States, Israel, and the U.K.). Such an accusation may be more powerful than you would think given the West’s long track record of intervention in the Middle East. If promoted enough by allies like Russia and China, exposing Western involvement in the violent terrorism in Syria could critically undermine Anglosphere’s ever-decreasing credibility on Middle Eastern affairs and threaten to unite most of the world in anger against the primary culprits—America, Israel, and the U.K.—who are already growing more and more isolated on the international political plain.

In an admittedly unlikely scenario, it’s even possible that bringing captured Al-Qaeda operatives into the international limelight [5] could expose the unseemly connections between Al-Qaeda and the governments and groups who actually run and/or support it.

Whoever runs Al-Qaeda and whatever role it is really playing, I think the motive for claiming Al-Qaeda involvement in the conflict is primarily to leave options open for political maneuvering by allies like Russia that have the power to dissuade Anglosphere from further pursuing Syrian regime change. In any case, there’s a lot more to this than meets the eye, and it behooves us to read between the lines and ask, “why is this being said,” and “who benefits from this?”

1. http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/01/gaddafi-libya-al-qaida-lifg-protesters [6]

 


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

URL to article: http://www.counter-currents.com/2012/05/assads-motives-for-claiming-al-qaeda-involvement-with-syrian-rebels/

lundi, 21 mai 2012

Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

 
Ex: http://mbm.hautetfort.com/

Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

Photo: RIA Novosti
     

« Les opposants serbes suivent une formation au Kosovo », confirme le journaliste militaire Milovan Drecun dans une interview accordée à la Voix de la Russie. Rappelons que depuis plusieurs jours les médias parlent des liens existant entre l’opposition syrienne et les autorités kosovares. Il s’agit, entre-autres, de former les terroristes dans un centre situé au Kosovo. Milovan Drecun a mené sa propre enquête.

« Lors de mon enquête demi-secrète que j’ai menée aux alentours de la ville de Vucitrn, j’ai vu de mes propres yeux plusieurs étrangers avec une peau brune du type syrien. Ils avaient des longues barbes que portent d’habitude les islamistes radicaux. Ces gens-là se promenaient librement dans les rues. Lorsque j’ai interrogé les Albanais locaux, ils m’ont expliqué que ces gens passaient pratiquement tout leur temps à l’Académie de la police du Kosovo. Celle-ci n’est pas un simple établissement de formation des policiers. Les enseignants qui y travaillent, faisaient partie, il y a plusieurs années seulement, des commandos britanniques SAS (Special Air Service). Je suis certain que l’Académie héberge un centre de formation pour les opposants étrangers, notamment pour les islamistes radicaux. La formation prend deux ou trois semaines en petits groupes. On leur y apprend à manipuler les explosifs et les différents types d’armes. Des membres du mouvement de moudjahid Abou Bekir Sidiq qui coopère étroitement avec Al-Qaïda, ont été repérés dans le centre. On y a également vu des membres du mouvement islamiste radical de la Macédoine qui s’apprêtent à aller en Syrie pour aider les opposants au régime du président en place ».

Selon Milovan Drecun, les résultats de son enquête ne furent pas une surprise pour lui.

« Le centre de formation à Vucitrn est directement supervisé par certains services secrets occidentaux, avant tout, britanniques et américains. Ils ont transformé l’Académie de la police en centre de formation des opposants syriens, avant tout, des islamistes radicaux parmi lesquels on trouve des membres d’Al-Qaïda venus des pays différents, en premier lieu, des pays de la région. Après cette formation, ils seront envoyés en Syrie pour y organiser des actes de sabotage et des attentats. C’est-à-dire qu’a été mis en place un camp où l’on forme les gens qui vont perpétrer des actes de violence en Syrie contre le président syrien et que ce camp est dirigé par les services secrets britanniques et américains. Il ne faut pas oublier qu’Hashim Tahci et Ramush Haradinaj sont des fantoches manipulés par Washington et Londres. Ils suivent à la lettre les directives reçues des représentants américains au Kosovo. Si leurs maîtres le souhaitent, ils feront tout pour aider l’opposition syrienne ».

mardi, 15 mai 2012

Robert Steuckers:lezing "Arabische Lente", Hasselt, 8 mai 2012

Robert Steuckers:

Lezing "Arabische Lente"

Hasselt, 8 mai 2012

lundi, 14 mai 2012

Syrië & Iran: Een reëel-historische visie

http://omroepodal.podomatic.com/entry/2012-05-03T15_19_10-07_00

http://podcast.radiorapaille.com/show/rapaille-reportages/item/2431-syri%C3%AB-iran-een-re%C3%ABel-historische-visie

Syrië & Iran: Een reëel-historische visie

Geschreven door

Lezing door Robert Steuckers voor NSV! Gent op 08-03-2012

Iran: schurkenstaat en bedreiging voor de wereldvrede of land in isolement gedreven?
Syrië: onderdrukte massa in opstand tegen een dictator of een Egyptische wissel van de wacht?


Voor beide landen zijn de voorbeelden reeds gekend. In Irak zijn 9 jaar na de start van de oorlog nog steeds geen massavernietigingswapens gevonden, laat staan vrede. Libië wacht nog steeds op haar democratie die de NAVO-interventie ze in de schoot zou werpen. Intussen horen we telkens dezelfde verhalen weer terugkomen en dringt de vraag op of we geen self-fulfilling prophecy in de hand werken.


Robert Steuckers is een van de meer ervaren geopolitieke experts van het land. Hij houdt onder andere een blog in zeven talen bij (http://euro-synergies.hautetfort.com/). Tijdens de conflicten in Libië hield hij voor NSV! Hasselt reeds een diepgaande uiteenzetting (http://www.youtube.com/watch?v=Q_nAXrbnP4Y).

Een uitgelezen kandidaat om deze conflictzones toe te lichten!


 

jeudi, 10 mai 2012

The conflict in Syria primarily aims at the weakening of Iran

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The conflict in Syria primarily aims at the weakening of Iran

Peter Scholl-Latour in an interview with Deutschlandfunk radio station

Ex: http://www.currentconcerns.ch/

Who supports the insurgents, and with what interests?

It’s not about Syria, and that’s just the complete deception of the public opinion. It’s about Iran. Iran is portrayed as the great devil, as the great demon. Iran is known to be Shiite, has always been a historical enemy of Saudi Arabia and the Wahhabi sect prevailing there, which is one of the most intolerant branches of Islam. It’s about hastily weakening Iran – against whom in fact everything is directed – and above all about stopping Iran from building a continuous land bridge.

This is supposed to start in Iraq, which is predominantly Shiite and where al-Maliki, a Shia Prime Minister is currently governing. It then runs via Syria, ruled by the Alawites, who are said to be close to the Shiites. Either way, the country is not Sunni, but rather secular. Then, the land bridge goes on to the Shiite Hezbollah in Lebanon, which is the strongest force there. What one has not taken note of is the following: Hezbollah has defeated the Israelis in 2006. And to prevent this continuous bridge of Shiism, which is connected with Iran, Syria is now to be smashed.

Mr Scholl-Latour, what developments do you expect, should Assad’s opponents prevail?

[...] If Syria was relying on itself, the insurgency would have ended long ago. But they want to overthrow Syria from outside. What will come next – well, a look at Libya is very revealing. In Libya there is a civil war going on that has broken out with estimated 60,000 to 70,000 deaths. Of which no one is even speaking, nobody speaks of Libya any longer and of the chaos that arose there. And not even of the fact that there are various Islamist groups, e.g. the Senussi sect, and so on, and that the separation of Cyreneika is now imminent. There is a civil war going on. And if today we are talking about 7000 deaths in Syria, reported by the so-called activists, which may be true – we can not judge that. This is terrible enough. But when the civil war breaks out, which is fueled by all sides, namely from Turkey, from the Anbar province in Iraq, from Jordan, from parts of Lebanon and first and foremost from America, you have to say, in that case a civil war will break out with 70 000 deaths.

Source: Original at www.dradio.de on 03/09/2012
The extract was linguistically revised.
(Translation Current Concerns)

mardi, 08 mai 2012

Depuis quand Al Qaida est-il l’ami de l’Occident?

Depuis quand Al Qaida est-il l’ami de l’Occident?

Syrie

Regroupement de combattants étrangers aux frontières turque et jordanienne

Damas, 17h50 – Plusieurs centaines de combattants libyens d’Al Qaida (ex-groupe islamique combattant en Libye) sont arrivés au cours des dernières semaines dans des hôtels d’Amman (Jordanie). Ils les ont soudain quittés vendredi 16 mars 2012 pour se regrouper dans un lieu inconnu.
Simultanément, un va-et-vient d’autobus a acheminé au moins 2000 combattants dans un camp de «réfugiés» à Hatay (Turquie) dans les journées de vendredi 16 et samedi 17 mars. Ce transport se poursuit, il est encadré par l’Armée turque.
Le colonel Riyad Al Asaad, qui avait été un moment assigné à résidence après l’accord syro-turc du 7 février, assure à nouveau pleinement le commandement de l’Armée «syrienne» libre depuis la Turquie.
On estime que les forces déjà regroupées sont constituées par 500 à 1000 takfiristes à la frontière jordanienne et 2000 à 3000 à la frontière turque. Aucun groupe djihadiste d’importance n’est signalé à la frontière libanaise, l’Armée libanaise ayant démantelé au cours des dernières semaines un camp de regroupement et une base de communication.
Il reste encore plusieurs centaines de combattants étrangers sur le sol syrien après la chute de l’Emirat islamique de Baba Amr et le nettoyage de Deraa et d’Idlib. Bien que totalement désorganisés et à bout de souffle, ils peuvent préparer les attaques de ces nouvelles troupes.
L’Armée nationale syrienne est en train de renforcer son dispositif aux frontières pour empêcher toute infiltration dans le pays.    •

Source: www.voltairenet.org  du 17/3/12

lundi, 07 mai 2012

La Russie se prépare à contrer une frappe militaire israélo-américaine contre l’Iran

La Russie se prépare à contrer une frappe militaire israélo-américaine contre l’Iran
Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

Au cours de ces quelques derniers mois, la Russie a entrepris d’intenses préparatifs pour parer à une éventuelle frappe militaire perpétrée par Israël et les Etats-Unis contre l’Iran. Selon de récents rapports, l’état-major russe s’attend cet été à une guerre contre l’Iran qui aurait d’énormes répercussions non seulement au Moyen-Orient mais aussi dans le Caucase.

Les troupes russes au Caucase ont été techniquement renforcées et un bataillon de missiles situé dans la Mer caspienne a été placé en attente. Les patrouilleurs lance-missiles de la flotte caspienne ont à présent jeté l’ancre au large de la côte du Daguestan. L’unique base militaire russe dans le Caucase du Sud, qui se situe en Arménie, est également en état d’alerte pour une intervention militaire. L’automne dernier, suite à une intensification du conflit en Syrie, la Russie avait envoyé son porte-avions Kousnetsov au port syrien de Tartous. Des experts pensent que la Russie pourrait soutenir Téhéran en cas de guerre, du moins sur un plan militaire et technique.

Dans un commentaire publié en avril, le général Leonid Ivashov, président de l’Académie des problèmes géopolitiques, a écrit qu’une « guerre contre l’Iran serait une guerre contre la Russie » et il appelé à une « alliance politico-diplomatique » avec la Chine et l’Inde. Il a dit que des opérations étaient entreprises de par le Moyen-Orient dans le but de déstabiliser la région et d’agir à l’encontre de la Chine, de la Russie et de l’Europe. La guerre contre l’Iran, écrit Ivashov, « atteindrait nos frontières, déstabiliserait la situation dans le Caucase du Nord et affaiblirait notre position dans la région caspienne. »

Dans le cas d’une guerre contre l’Iran, la préoccupation principale de Moscou concerne les conséquences pour le Caucase du Sud. L’Arménie est l’unique alliée du Kremlin dans la région et entretient de liens économiques étroits avec l’Iran, alors que la Géorgie et l’Azerbaïdjan voisins entretiennent des liens militaires et économiques avec les Etats-Unis et Israël.

Ce que le Kremlin craint avant tout, c’est que l’Azerbaïdjan ne participe aux côtés d’Israël et des Etats-Unis à une alliance militaire contre l’Iran. L’Azerbaïdjan partage ses frontières avec l’Iran, la Russie, l’Arménie et la Mer caspienne et est, depuis le milieu des années 1990, un important allié militaire et économique des Etats-Unis dans le Caucase du Sud, abritant plusieurs bases militaires américaines.

Les relations entre l’Iran et l’Azerbaïdjan sont d’ores et déjà très tendues. Téhéran a, à plusieurs reprises, accusé Bakou d’avoir participé à des attaques terroristes et d’avoir commis des actes de sabotage très vraisemblablement en collaboration avec des agences de renseignement israéliennes et américaines. Ces dernières années, l’Azerbaïdjan a doublé ses dépenses militaires et a scellé en février un accord d’armement avec Israël s’élevant à 1,6 milliards de dollars américains et comprenant la fourniture de drones et de systèmes de défense anti-missiles.

A en croire des sources haut placées du gouvernement Obama, Mark Perry a dit fin mars au journal américain Foreign Policy que Bakou avait donné à Israël une autorisation d’accès à plusieurs bases aériennes près de la frontière Nord de l’Iran et qui seraient susceptibles d’être utilisées lors d’une frappe aérienne contre Téhéran. Le magazine cite un haut responsable du gouvernement américain qui aurait dit que, « Les Israéliens ont acheté un aéroport et cet aéroport se nomme Azerbaïdjan. » Perry a prévenu que : « Les experts militaires doivent à présent prendre en considération un scénario de guerre qui inclut non seulement le Golfe persique mais aussi le Caucase. »

Le gouvernement de Bakou a immédiatement nié le rapport mais le rédacteur en chef du journal d’Azerbaïdjan, Neue Zeit, Shakir Gablikogly, a prévenu que l’Azerbaïdjan pourrait être embarqué dans une guerre contre l’Iran.

Même s’il devait s’avérer que l’Azerbaïdjan n’est pas le point de départ d’une attaque israélienne contre l’Iran, le danger existe qu’une guerre ne mène à une escalade militaire d’autres conflits territoriaux telle la querelle entre l’Arménie et l’Azerbaïdjan au sujet de Nagorny-Karabakh. Cette région est indépendante depuis 1994, date de la fin de la guerre civile, mais le gouvernement de Bakou, les Etats-Unis et le Conseil européen insistent pour qu’elle soit considérée comme faisant partie de l’Azerbaïdjan. Au cours de ces deux dernières années, il y a eu des conflits répétés à la frontière entre l’Arménie et l’Azerbaïdjan et les commentateurs ont mis en garde que le conflit risquait de se transformer en une guerre impliquant la Russie, les Etats-Unis et l’Iran.

Lors d’une récente interview accordée au journal russe Komsomolskaya Pravda, l’expert militaire russe Mikhail Barabanov a dit que les conflits sur les territoires de l’ex-Union soviétique pourraient résulter en une intervention militaire en Russie. Toute intervention opérée dans la région par les Etats-Unis ou toute autre puissance de l’OTAN entraînerait « un risque inévitable de recours à l’arme nucléaire. » La Russie possède le deuxième plus grand arsenal nucléaire du monde après les Etats-Unis.

Après l’effondrement de l’Union soviétique, l’Eurasie est devenue, en raison de son importance géostratégique, l’épicentre des rivalités économiques et politiques ainsi que des conflits militaires entre les Etats-Unis et la Russie. L’Azerbaïdjan, la Géorgie et l’Arménie forment un pont entre l’Asie centrale riche en ressources et la Mer caspienne d’une part et l’Europe et la Mer Noire de l’autre.

Les Etats-Unis cherchent depuis les années 1990 à gagner de l’influence dans la région grâce à des alliances économiques . En 1998, le vice-président américain d’alors Richard Cheney avait déclaré, « A ma connaissance, je ne peux pas me rappeler une époque où une région a si soudainement connu une aussi grande importance stratégique que la région caspienne. »

Dans son livre Le Grand Echiquier (1998), Zbigniew Brzezinski, l’ancien conseiller à la sûreté du président Jimmy Carter, avait écrit : « Une puissance qui domine l’Eurasie contrôlerait les deux tiers des régions les plus avancées et économiquement les plus productives du monde. En Eurasie se concentrent environ les trois quarts des ressources énergétiques connues du monde. »

L’importance cruciale de la région réside dans son rôle de zone de transit pour l’approvisionnement énergétique d’Asie vers l’Europe en contournant la Russie. En soutenant des projets d’oléoduc alternatifs, Washington a cherché à affaiblir les liens russes avec l’Europe qui est lourdement tributaire du pétrole et du gaz russes.

Jusque-là, la Géorgie est le pays clé pour le transit des livraisons de gaz et de pétrole et s’est trouvée au cour des conflits de la région. La « révolution des roses » de la Géorgie en 2003 fut incitée par Washington pour installer Mikhail Saakashvili au pouvoir comme président dans le but de sauvegarder les intérêts économiques et stratégique des Etats-Unis dans la région. Cette révolution a mené à une intensification des tensions avec Moscou en vue d’arriver à une suprématie géostratégique. La guerre entre la Géorgie et la Russie à l’été 2008 a représenté une aggravation des rivalités entre les deux pays avec la possibilité de s’élargir en une guerre russo-américaine. Les relations entre la Russie et la Géorgie restent très tendues.

L’influence américaine dans le Caucase et en Asie centrale a décliné significativement ces dernières années. En plus de la Russie, la Chine est devenue une force majeure dans la région, établissant des liens économiques et militaires importants avec les Etats d’Asie centrale tels le Kazakhstan. Bien que la Russie et la Chine demeurent des rivaux, ils ont conclu une alliance stratégique dans leur concurrence avec les Etats-Unis. Pour les Etats-Unis, une guerre contre l’Iran représente une nouvelle étape dans leur confrontation croissante avec la Chine et la Russie pour le contrôle des ressources de l’Asie centrale et du Moyen-Orient.

Clara Weiss