SULLA "RIVOLUZIONE CONSERVATRICE" IN GERMANIA
Armin Mohler utilizzò l'espressione "Rivoluzione conservatrice", introdotto da Thomas Mann e Hugo von Hofmannsthal, per designare un ampio, complesso e, sotto il profilo dottrinario, variegato insieme di tendenze politiche, letterarie, filosofiche, artistiche, che, tra il 1918 e l'avvento del Nazionalsocialismo al potere, criticarono da Destra sia la Repubblica di Weimar e le dottrine democratico-liberali in genere. sia le ideologie social-comunistiche, nonostante certi sconfinamenti di alcune sue espressioni anche verso questi due ultimi orizzonti ideologici. Si trattava comunque di tendenze che avevano quale proprio minimo comune denominatore la critica alla "civiltà illuministico-borghese", ricollegandosi in ciò al Neo-romanticismo di fine Ottocento, e alle "idee del 1789", senza ripetere, però, pedissequamente. i temi già fatti valere dal pensiero Controrivoluzionario e Reazionario, in seguito ad una più attenta considerazione delle conseguenze derivanti dalla cosiddetta "modernizzazione".
Lo scritto di Mohler, Die Konservative Revolution in Deutschland. 1918-1932. Ein Handbuch, frutto di una ricerca per la tesi di laurea, fu pubblicato nel 1950 e, in seconda edizione, nel 1972. Per la traduzione italiana abbiamo dovuto aspettare il 1990. grazie alle Edizioni Akropolis e La Roccia di Erec. Purtroppo, la ricezione non è stata pari quanto meno all'attesa di quella traduzione, molto probabilmente perché si attendeva un testo di dottrina politica, mentre si tratta per lo più di un testo di filosofia della politica, quindi, bisognoso di un pubblico molto più coltivato culturalmente.
Se non proprio il termine "Rivoluzione conservatrice", espressioni analoghe sono ricorrenti in vari teorici — penso, ad esempio, a Sergio Panunzio — che le utilizzarono per designare il significato complessivo delle rivoluzioni nazionali che negli anni Venti e Trenta portarono al governo di importanti Stati europei, tra cui l'Italia, governi di ispirazione fascista. Si interessarono direttamente ad Autori riconducibili alla Rivoluzione conservatrice tedesca, Evola. Delio Cantimori, V. Beonio Brocchieri, Lorenzo Giusso e, anche se in chiave critica, Balbino Giuliano e Guido Manacorda.
Nel dopoguerra, nell'ambito della cosiddetta "Cultura di destra", l'attenzione al movimento meta-politico qui considerato, non poteva non passare attraverso la ricostruzione del Mohler. Possiamo ricordare di Stefano Mangiante, La cultura di destra in Germania ("Ordine Nuovo", n. 1-2, 1965) e gli scritti di un altro studioso, anch'esso scomparso prematuramente, ossia di Adriano Romualdi, la cui tesi di laurea discussa con Renzo De Felice, venne pubblicata postuma nel 1981, con il titolo Correnti politiche ed ideologiche della destra tedesca dal 1918 al 1932.
Profondo conoscitore della cultura tedesca, Giorgio Locchi si interessò a più riprese della Rivoluzione conservatrice e di quelli che devono senz'altro essere considerati come i due ispiratori principali di essa: Friedrich Nietzsche e Richard Wagner. Il saggio che qui di seguito viene riproposto, venne pubblicato dal periodico "La Contea" (N° 34). Locchi discusse del libro di Mohler nell'articolo La Rivoluzione conservatrice in Germania, pubblicato ne "La Destra" del gennaio 1974.



MARTIN HEIDEGGER E LA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE

Il dibattito sul cosiddetto "caso Heidegger, recentemente ridivampato in Francia e di là un po' ovunque in Europa, ha dimostrato soprattutto questo: che il confronto col pensiero dì Heìdegger costituisce un'imperiosa necessità per chiunque, scevro da illusioni, si interroghi sui fondamentali problemi dei nostri tempi e sul destino delle genti d'Europa. Ma anche va dimostrato che del pensiero di Heìdegger circolano, dominando imperterrite, interpretazioni (sempre fondate su un aspetto particolare, isolato dal generale contesto), che lo stesso Heidegger ha più volte sdegnosamente confutate e rigettate: esistenzialismo, nichilismo, misticismo, pseudo-teologia, "rifiuto della Tecnica" e così via. Chiedersi — cito il titolo di un dibattito televisivo francese — se "esista un legame tra il pensiero di Essere e Tempo (1927) e l'adesione di Heidegger al Partito Nazionalsocialista 1 1933)", chiedersi cioè se esista un legame tra l'analitica heideggeriana dell'esistenza storica delFuomo e la visione del mondo nazionalsocialista, z interrogazione che presuppone una conoscenza genuina e non già un'interpretazione abusiva o pretestuosa del pensiero di Heidegger, così come d'altra parte esige una visione non riduttrice del Nazionalsocialismo e della sua Weltanschauung.
Quel che non cessa dì sorprendere in tutti gli studi dedicati al pensiero di Heidegger è il fatto che, sempre, la seconda conclusiva sezione di Essere e Tempo testo fondamentale, è totalmente ignorata, come "non letta". L'attenzione degli studiosi e degli interpreti si fissa sulla critica heideggeriana della concezione "metafisica" dell'essere come presenza (Anwesenhei) e sul primo approcio ancora puramente descrittivo della fenomenalità del Dasein, allorquando — e non fosse che per davvero comprendere quella critica e penetrare quella enomenalità — dovrebbe soprattutto soffermarsi sulla concezione che Heidegger espone della temporalità del Dasein, dell'esistenza istoriale dell'uomo. La tanto discussa e, dai più, tanto esaltata guanto malcompresa "rottura" con la "Metafisica"
occidentale scaturisce in effetti proprio da questa nuova concezione della temporalità. È questa concezione della temporalità a fondare la visione heideggeriana della storia ed è dunque in essa e a partire da essa che va eventualmente ricercata la natura del rapporto esistente tra il pensiero di Heidegger e la "visione del mondo" nazionalsocialita. Esprimerò subito, per evitare ogni pur comoda ambiguità, la mia convinzione: questa parentela esiste, è quanto mai intima e. nella sua articolazione, spiega l'adesione attiva dell'autore di Essere e Tempo alla NSDAP e la sua fervida partecipazione alle attività del regime su un piano non soltanto universitario (1933-34). L'abbandono del rettorato e di ogni attività politica a partire dalla seconda metà del 1934 coincidono con una evoluzione di pensiero che progressivamente conduce Heidegger, sempre formalmente membro della NSDAP, su posizioni critiche nei confronti del regime: ma la sua critica resta critica all'interno e non comporta mai, neanche nel dopoguerra, la minima concessione alle ideologie democratiche, la minima simpatia per gli avversari del Terzo Reich.

ROTTURA CON LO SPIRITO DELL'OCCIDENTE

La "rottura" di Heidegger col pensiero filosofico tradizionale dell'Occidente, cioè — come egli diceva — con la "Metafisica" occidentale, è stata recepita dalla filosofia cattedratica come un novum clamoroso, come una svolta storica del pensiero europeo. Heidegger stesso lo ha creduto e, si può dire, orgogliosamente proclamato. Ma, di fatto, la sua "rottura" con la Metafisica altro non è, quando è proclamata, che l'aspetto "moderno" di una rottura con lo "spirito dell'Occidente" propria di tutta una corrente dì pensiero emersa nella seconda metà del XIX secolo, corrente che, con riferimento a Nietzsche, possiamo chiamare "tendenza sovrumanista" in opposizione alla bimillenaria tendenza egalitarista che, con il suo inerente inconscio nihilismo, ha conformato e conforma il destino dell'Occidente. Preannunciata in una delle "due anime" viventi nel petto dei Romantici, questa tendenza sovrumanista trova infatti, in rottura con lo spirito dell'Occidente, la sua prima manifestazione storica nell'opera artistica e negli scritti "metapolitici" di Richard Wagner. Dopo Wagner e, pretestuosamente, contra Wagner, Nietzsche rivendica a sé il merito della "rottura", proclamandosi "dinamite della storia", fondatore del movimento che dovrà opporsi al bimillenario nihilismo dell'Occidente giudeo-cristiano. Ereditata ora da Wagner ora da Nietzsche, la rottura investe già all'inizio di questo secolo larghissima parte della cultura tedesca, che Ernst Tròltsch potè così opporre allo "spirito occidentale", e sfocia più tardi, dopo la prima guerra mondiale, non soltanto in Germania ma quasi ovunque in Europa, nelle varie correnti letterarie, artistiche, ideologiche e infine politiche d'una "Rivoluzione Conservatrice", di cui, a dispetto di quanto si vorrebbe far credere, sono parte integrante i vari movimenti fascisti.
Evidentemente ciò che permette di accomunare Wagner e Nietzsche e Heidegger ed i tanti autori e movimenti della "Rivoluzione Conservatrice" (giustificando l'uso di questo termine generico) non è certamente una filosofia, non è una ideologia in senso stretto, bensì — per così dire a monte di "ideologie" o filosofie quanto mai diverse e magari divergenti — un comune sentimento, una comune intuizione dell'uomo, della storia e del mondo, che drasticamente si oppone alla concezione che tradizionalmente fonda e sottende teologie, filosofie, ideologie, strutture politiche del cosiddetto "Occidente". La tendenza sovrumanista, cioè la rottura con la dominante tradizione occidentale, si manifesta sempre come "rivolta contro il mondo moderno", come condanna del nostro presente epocale e volontà di opporsi ad una situazione obbiettiva interpretata come trionfo del "nihilismo" e rovinoso declino dell'Europa. Di qui l'esigenza di una rivoluzione radicale, che peraltro anche è concepita come un rinnovamento delle origini: tratto politicamente essenziale che permet-
te di distinguere nel modo più netto ciò che è Rivoluzione Conservatrice e Fascismo da ciò che è soltanto o "reazione" o "conservatismo" o "progressismo".

UN RINNOVAMENTO DELLE ORIGINI

La visione della storia che da Wagner e Nietzsche fino alla Rivoluzione Conservatrice determina la "rivolta contro il mondo moderno" — come ho gin indicato — trova il suo fondamento in una nuova intuizione dell'uomo, della storia e del mondo. Questa intuizione nuova è, nella sua radice, intuizione della tridimensionalità della temporalità del Dasein, della "istorialità" umana. Armin Mohler. nel suo fondamentale studio sulla Rivoluzione Conservatrice in Germania, ha esaurientemente dimostrato che, alla concezione unidimensionale e "lineare" del tempo, Nietzsche e gli autori conservatori-rivoluzionari oppongono una concezione tridimensionale del tempo-della-storia. A dir vero. parlare a proposito di Nietzsche e di questi autori di una "concezione" della tridimensionalità del tempo è improprio: intuita, la tridimensionalità del tempo, al pari di tutte le "idee" che ne discendono. è affermata non già concettualmente, bensì con ricorso ad un Leitbild suggestivo ed evocatore, ad una "immagine conduttrice", quella della "Sfera" temporale (da non confondere, come quasi sempre avviene, col "cerchio" o "anello", proiezione della Sfera nel tempo unidimensionale della "sensorialità"). Questo ricorso a "immagini" si imponeva — come ha ben visto Mohler — perché il linguaggio ricevuto è, nella sua "razionalità", tutto impregnato della concezione unidimensionale del tempo ed ad essa dunque obbedisce. Un aspetto peculiare della grandezza di Heidegger sta proprio nel suo tentativo, intrapreso con Essere e Tempo, di destrutturare il linguaggio ricevuto e ricreare un linguaggio nuovo al fine, per l'appunto, di concettualizzare la tridimensionalità della temporalità storico-esistenziale, nonché le "idee" che essa immediatamente genera.
Nella misura in cui si constatò incompreso. Heidegger finì col giudicare fallito il tentativo di Essere e Tempo e ripiegò più tardi su una Sage, su un "dire mito-poetico" che, a parer mio, è stato icor più mal compreso, provocando non pochi Iuívoci e abbagli. La novità rivoluzionaria del nguaggio filosofico di Heìdegger spiega vera-lente l'incomprensione che oggi ancora circonda 'argomentazione conclusiva di Essere e Tempo e n particolare — qui potremmo ironicamente innotare: come è logico — il quarto ed ì] quinto capitolo della seconda sezione, rispettivamente dedicati a "Temporalità e Quotidianeità" ed a "Temporalità e Istorialità". Chi peraltro riesce a penetrare il linguaggio di Essere e Tempo e saprà fare propria, eventualmente sviluppandola, la concettualizzazione della temporalità tridimensionale, anche avrà trovato la chiave che meglio di qualsiasi altra permette di comprendere i "discorsi" della Rivoluzione Conservatrice ed i fenomeni politici da questa generati e cioè in primo luogo di comprendere la "razionalità", fondamentalmente diversa da quella della "Metafisica".


LA TEMPORALITÀ COME "SFERA"

Germanico Gallerani (nello scorso numero de "La Contea") ha creduto di poter opporre Heidegger, "uomo rivolto al passato", ad una Konservative Revolution, "rivolta al futuro". È vero l'esatto contrario: è proprio l'identico atteggiamento nei confronti di passato presente e avvenire il "sintomo" più appariscente della loro parentela spirituale. La Rivoluzione Conservatrice è rivoluzione perché "rivolta al futuro" e tuttavia "conservatrice" perché si richiama sempre ad un lontano "passato". Quanto ad Heidegger basti ricordare una sua definizione del Dasein, dell'uomo in quanto esistente istoriale: "un Essente, che nel suo essere è essenzialmente zukúnftig", cioè essenzialmente esistente nella dimensione temporale dell'avvenire. E proprio perché zukiinftig — spiega Heidegger — il Daseín "è cooriginariamente gewesend", esistente nella dimensione della "divenutezza", e "può dunque tramandare a sé stesso una possibilità ereditata e ad essa consegnarsi". Nel quadro della temporalità tridimensionale, della "istorialità", rivendicazione di un passato e progetto d'avvenire coincidono nel modo più intimo.
Il progetto avvenire che il Dasein sceglie nel "passato", contro altre, una possibilità di esistenza istoriale: "Il Daseín — esplicativamente aggiunge Heidegger — sceglie i suoì propri Eroi" e, cioè, sceglie tra le possibilità offerte dal "passato" (Vergangenheit) la sua propria "divenutezza" (Gewesenheit). Conservator-rivoluzionari e fascismi possono così progettare tutti, rivoluzionaria-mente, un "uomo nuovo" e. nondimeno, richiamarsi ad una passata possibilità d'esistenza: alla più lontana "germanità", alla `romanità" repubblicana o imperiale, ad una "cattolicità" confusa con l'origine della nazione e dei suoi antichi istituti imperiali o monarchici. Allo stesso modo, sul terreno puramente filosofico, Wagner si richiama alla ancestrale "religione" indoeuropea (di cui il "cristianesimo originario", "non giudaìzzato". sarebbe secondo lui una semplice evoluzione), Nietzsche ed Heidegger al pensiero pre-socratico ed Evola, drasticamente, ad una originaria "Tradizione" postulata in una nebulosa pre-istoria. La "rivolta contro il mondo moderno", l'assunto rivoluzionario sono determinati dalla natura stessa del "regresso in una passata possibilità d'esistenza istoriale", cioè dalla natura della "ripetizione" (Wiederholung): perché — così Heidegger — "la ri-petizione non intende far ritornare ciò che una volta è stato, bensì piuttosto offre una replica contraddittoria (erwidert) alla passata possibilità di esistenza" ed è così "simultaneamente, in quanto attualità, la revoca di tutto ciò che in quanto passato determina l'Oggí". "La ripetizione nè si affida al passato, nè mira ad un progresso, l'uno e l'altro essendonella attualità indifferenti all'esistenza istoriale". (Traducendo queste concezioni sul terreno della grande politica Martin Heidegger afferma nella sua Introduzione alla Metafisica che il popolo tedesco, "popolo di mezzo preso nella più dura tenaglia [tra America e Russia] e popolo più d'ogni altro minacciato", può realizzare il suo destino istoriale "soltanto laddove sappia creare in se stesso un'eco, una possibilità d'eco per la missione assegnatagli e comprenda creativamente la sua Tradizione" e cioè, "in quanto istoriale esponga, a partire dal centro del suo divenire storico, se stesso e con ciò la storia dell'Occidente nell'originaria regione delle potenze dell'Essere").

UNA "COMUNITÀ DI DESTINO"

L'atteggiamento di Heidegger nei confronti di "passato" e "attualità" ed "avvenire" non soltanto è essenzialmente identico — conforme — a quello della Rivoluzione Conservatrice e dei movimenti fascisti, bensì anche conferisce alla comune visione-della-storia un saldo fondamento concettuale. Quel che nel discorso conservator-rivoluzionario e fascista è ancora soltanto Leitbild, "immagine conduttrice", diviene con Heidegger concetto. Se in questa sede è evidentemente impossibile mostrare come per l'appunto l'analitica heideggeriana dell'esistenza istoriale concettualizzi, fondandosi sul principio della temporalità tridimensionale del Dasein, tutti i Leitbilder, tutte le "immagini conduttrici" della visione-del-mondo della Rivoluzione Conservatrice e dei movimenti fascisti, mi sembra nondimeno opportuno mettere qui in luce la traduzione concettuale che Heidegger offre di un Leitbild quanto mai rilevante, quello della "comunità di destino", ritrovata a seconda delle correnti o nel "popolo" o nella "nazione" o nella "razza" (questa a sua volta assai diversamente intesa).
E la temporalità tridimensionale dell'esistenza —afferma Heidegger — a "rendere possibile l'istorialità autentica, cioè quel che chiamiamo destino istoriale". Poiché il Dasein, in quanto essere-almondo, è anche co-essere, essere-con-Altri, ìl destino (Schicksal) di un Dasein è anche sempre Geschick, commesso destino comune, "la (cui) forza si libera grazie alla comunicazione ed alla lotta". Ora il "destino" scaturisce da una scelta istoriale pro-veniente dalla dimensione avvenire del Dasein: e nella comunicazione e nella lotta si riconoscono un comune destino coloro che hanno compiuto un'identica scelta istoriale e ad essa restano risolutamente fedeli. Ogni scelta istoriale implica però sempre la "ri-petizione", la "replica a una passata possibilità dell'esistenza istoriale" e, insieme, un "progetto d'avvenire". La "comunità di destino" si rivela dunque essa stessa costituita da una scelta istoriale (che è selettiva e che dunque può essere giudicata non-umanista da un punto di vista egalítarista). Questo significa che nazione popolo razza, in quanto comunità riconosciuta di
destino, se sempre costituiscono una replica contraddittoria (Erwiderung) della passata possibilità d'esistenza su cui si è portata la scelta istoriale, d'altro lato sempre hanno natura "pro-gettuale" e, nel presente oggettivo, restano un "da farsi", una "missione". La prassi politica dei regimi fascisti implica così una "disciplina selettiva" (Zucht, in tedesco) per l'appunto intesa a conformare il "materiale umano" dell'Oggi all'idea di nazione o popolo o razza scaturente dalla scelta istoriale compiuta. (In questo senso i fascismi sono "azione cui è immanente un pensiero" sempreché per pensiero si intendano insieme "ri-petizione" [nel senso che Heidegger dà a questo termine] e "progetto"). Altamente significativa e profonda è in questo contesto la distinzione che Heidegger introduce in Essere e Tempo fra "Tradition" e "Ueberlieferung", cioè — potremmo tradurre - fra "tradizione subita" e "tradizione scelta". "La tradizione — afferma Heidegger in Essere e Tempo — priva di radici l'istorialità del Dasein", essa "cela e addirittura fa dimenticare la sua stessa origine". La "Ueberlieferung", per contro, si fonda "espressamente sulla conoscenza dell'origine delle possibilità d'esistenza istoriale" e consiste nella "scelta" di una di queste possibilità, scelta che sempre proviene dalla dimensione avvenire del nostro Dasein. Solo una concezione del genere riesce a conciliare fedeltà alla tradizione e assunto rivoluzionario teso alla creazione di un "uomo nuovo".

IL "RETTORE DEI RETTORI"

Mohler, nel già citato saggio sulla Rivoluzione Conservatrice in Germania, mette espressamente tra parentesi il Nazionalsocialismo. Egli indica nondimeno che le correnti della Rivoluzione Conservatrice oggetto del suo studio vanno considerate "come i trotzkisti del Nazional socialismo". Implicitamente egli situa così il nazionalsocialismo al centro stesso della Rivoluzione Conservatrice così come dopo di lui ha fatto il marxista Jean-Pierre Faye (da non confondere col neo-destrista Guillaume Faye), che vede in Hitler "l'ospite muto" che accoglie in sé i discorsi che gli provengono dalla Destra e dalla Sinistra della Rivoluzione Conservatrice, tacitamente li sintetizza e, subito, li trasforma in azione. Conto tenuto di ciò e di quanto è stato precedentemente esposto, mi sembra ovvio affermare — così abbordando l'aspetto più concreto del dibattito suscitato dal libro di Farias — che lo Heidegger di Essere e Tempo va situato al centro del vasto campo della Rivoluzione Conservatrice e dunque su una posizione assai vicina a quella del movimento nazionalsocialita, quand'anche — inutile precisarlo - filosoficamente più "alta". Che dunque, al contrario di molti esponenti della Destra e della Sinistra della Rivoluzione Conservatrice, Heidegger non abbia scelto nel 1933 un settario distacco ed abbia invece prontamente aderito alla NSDAP ed attivamente partecipato poi per quasi due anni ad attività non soltanto politiche del regime, tutto ciò è non già frutto d'un abbaglio, d'una speranza mal riposta, del "fascino" subito nel contesto di un conturbante momento storico, bensì è frutto di una coerenza col proprio stesso pensiero e con le idee politiche a questo pensiero inerenti. Ciò non significa che nel 1933 tutte le idee politiche di Heidegger coincidano esattamente con quelle manifestate del discorso del nazionalsocialismo. È tuttavia evidente che, agli occhi di Heidegger, le differenze non investono l'essenziale: e — val la pena di osservare — neanche l'antisemitismo da sempre iscritto nel programma del partito fa ostacolo all'adesione.
L'evoluzione successiva ( a partire dalla seconda metà del 1934) dell'atteggiamento di Heidegger nei confronti del regime è certo avviata da contingenze umane, ma trova la sua causa profonda in una evoluzione di pensiero, quella stessa che indusse Heidegger ad abbandonare il "cammino" di Essere e Tempo, la cui annunciata seconda parte non fu dunque mai scritta. Lo Heidegger di Essere e Tempo aveva veduto nel movimento nazionalsocialista la traduzione politica dell'auspicata fine della Metafisica, cioè un sovvertimento della tradizione occidentale ed un superamento del nihilismo. Probabilmente egli si attendeva pertanto che il suo pensiero fosse riconosciuto dal regime come "filosofia del movimento". Avversato da altri universitari nazisti come il Krieck, protetti da
Rosenberg, Heidegger dovette abbandonare ogni speranza di imporre le sue idee in campo educativo e di divenire, come ad un certo momento era sembrato possibile, il "rettore dei rettori" delle Università germaniche. Nel 1935, un anno dopo le dimissioni dal rettorato, nel suo corso di introduzione alla Metafisica, egli ancora rivendicava al proprio pensiero, contro le varie "filosofie dei valori" alla Krieck, l'autentica comprensione della "intima verità e grandezza del movimento" nazionalsocialista, ritrovata "nell'incontro fra la Tecnica segnata da un destino planetario e l'uomo dei tempi nuovi". In questo stesso corso anche si annunciava però una critica del regime, che troverà in seguito la sua più compiuta seppur "cifrata" formulazione nella lettera Zur Seinsfrage (Sul problema dell'Essere) indirizzata a Ernst Jiinger nel 1953. È una critica — sia detto subito — che a mio avviso non situa Heidegger fuori dal vasto spazio della Rivoluzione Conservatrice. bensì - quanto meno nella trasparente intenzione dello stesso Heidegger — al di là dell'oggi in un "avvenire", che apparirà infine precluso alla volontà umana e potrà semmai soltanto essere concesso da "un dio".

SOLO UN "DIO" CI POTRÀ SALVARE

La "posizione" politica assunta dall'ultimo Heidegger deve essere messa in relazione con la sua interpretazione del pensiero di Nietzsche, la quale anche coinvolge la Rivoluzione Conservatrice (Jiinger) ed il movimento nazionalsocialista. Allo stesso modo in cui l'ultimo Nietzsche, dopo aver esaltato l'opera di Wagner, aveva voluto vedere in essa non già la promessa di una "rigenerazione" del mondo e della storia, bensì il "colmo della decadenza" ed una "fine", Heidegger ritiene fallito il tentativo nietzschiano di "dinamitare la storia" e "superare il nihilismo" occidentale. Secondo Heidegger, Nietzsche avrebbe il merito incontestabile di avere per primo "scoperto" e denunciato il "nihilsmo" della cultura occidentale, ma del nihilsmo non avrebbe saputo individuare la causa, situata a torto nel sovvertimento platonico-cristiano del "valori" anzichè nel-
l'oblio dell'Essere. Il pensiero di Nietzsche non costituirebbe dunque un superamento (Verwindung) della Metafisica, bensì capovolgerebbe la Metafisica stessa, portandola al suo ultimo compimento. Questa critica — non va dimenticato — ha un risvolto apologetico: in quanto ultima, più compiuta forma del metafisico oblio dell'Essere, il pensiero di Nietzsche costituisce nel giudizio di Heidegger un "passaggio obbligato", una ineludibile "necessità" sul cammino che potrebbe condurre al superamento della Metafisica e del nihilismo.
Nella citata lettera Zur Seinsfrage Heidegger proietta questa sua critica di Nietzsche sul "Lavoratore" jungeriano, interpretato come la moderna configurazione della Volontà-di-Potenza inerente al progetto di Nietzsche, e — non senza una segreta ironia nei confronti di Ernst Jiinger —sul regime nazionalsocialista in quanto realizzazione del progetto inerente al "Lavoratore" jùngeriano: ma questo anche significa che agli occhi di Heidegger la forma politica nazionalsocialista, in
quanto traduzione del capovolgimento nietzscheniano della Metafisica; supera storicamente la forma delle democrazie liberali o socio-comuniste. (Ovverosia, per dirla nel sinistrese di un LacoueLabarthe [cfr.: La Fiction da Politiquel: "Il nazismo è per Heidegger un umanismo che riposa su una determinazione dell'humanitas più possente di quella su cui riposa la democrazia, pensiero ufficiale del capitalismo, cioè del nihilismo secondo cui tutto vale").
Ai fini del dibattito aperto dal libro di Farias, poco importa qui la convinzione degli uni o degli altri che l'interpretazione di Heidegger costituisca o non costituisca una falsificazione del pensiero e della "posizione" di Nietzsche. Importante a questi fini è la spiegazione che essa offre dell'atteggiamento assunto da Heidegger nel dopoguerra e di quel suo "silenzio" che tanto esaspera il pretesto imperante "umanismo", proprio perché sostanzia un rifiuto di condannare chi, nel confronto coi suoi avversari, appare incondannabile.