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mardi, 14 février 2017

Viaggio in Giappone

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Il samurai di Fiume

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Il samurai di Fiume

Harukichi, lillipuziano nel corpo ma titano nello spirito, è in Italia da tempo e a Fiume ci va più che volentieri. Già da studente in Giappone si era innamorato della nostra cultura, della nostra lingua, della nostra storia, e quindi sceglie di venire da noi, a studiare Dante. L’Italia è sua seconda Patria, e la ama tantissimo.
 
di Federico Mosso 
Ex: http://www.linttelletualedissidente.it 
 
Harukichi Shimoi è alto un soldo di cacio, minuscolo persino per i canoni giapponesi. Gabriele D’Annunzio, che pure lui non è di certo un batusso, al suo fianco giganteggia. “Da Fiume d’Italia, Porta d’Oriente, salutiamo la luce dell’Oriente estremo”. È un brindisi in onore del piccolo ospite nipponico, che il Vate concede durante un pranzo a Fiume occupata, anzi liberata, in quello straordinario episodio storico d’irredentismo italiano. Al Camerata Samurai eja eja alalà! Alla “mensa di guerra” si alzano i calici di vino dei signori ufficiali dai petti plurimedagliati; giù nel gargarozzo, l’impresa è nella sua fase di viva esaltazione, i cuori dei legionari bruciano eccitati. In quei mesi tra il 1919 e il 1920 si sta scrivendo la Storia dell’Adriatico.

Harukichi, lillipuziano nel corpo ma titano nello spirito, è in Italia da tempo e a Fiume ci va più che volentieri. Già da studente in Giappone si era innamorato della nostra cultura, della nostra lingua, della nostra storia, e quindi sceglie di venire da noi, a studiare Dante. L’Italia è sua seconda Patria, e la ama tantissimo. Si stabilisce a Napoli dove ha una cattedra all’Istituto Universitario Orientale, antico tempio del sapere europeo, dedicato alla ricerca e allo studio di culture orientali ed extracontinentali. Naturalmente parla benissimo l’italiano, con un simpatico accento partenopeo. All’ombra del Vesuvio nel 1920 fonda e cura la rivista di poesia Sakura prima rassegna moderna europea dell’arte e della poesia dell’Estremo Oriente. Già il nome stesso è poesia: fior di ciliegio, simbolo di bellezza e rinascita, di rigenerazione. Che personaggio, Harukichi, tappo coltissimo pieno di vita, occhi a mandorla e dialetto napoletano. Ma non pensiamo ad una macchietta! Ad un uomo buffo! Sorridiamo piuttosto, a quel nano gigantesco dalle sopracciglia enormi, uomo scalmanato e dotato di curiosità vorace, appassionato di poesia e lui stesso poeta, seguace di D’Annunzio e successivamente ammiratore del fascismo, di cui sarà acceso sostenitore all’estero, quando rientrerà a Tokyo.

Bushido: la via del guerriero. Codice di cavalleria, codice samurai. Onestà, sincerità, lealtà, giustizia, pietà, gentilezza, compassione, rispetto, educazione, dovere, onore. Fino alla morte. Harukichi Shimoi trova un naturale punto di contatto con il fascismo mussoliniano e il retaggio bushido, Sol Levante e Mediterraneo si abbracciano. Harukichi racconta storie della sua patria lontana, e affascina. A Mussolini, che gli è amico, narra le avventure dei vecchi Shogun, di tradizioni secolari, di cappa e spada samurai, del sucidio seppuku delle Tigri Bianche, guerrieri di un reggimento agli ordini del daimyō Katamori Matsudaira, che quando videro il castello del loro signore avvolto dalle fiamme e credendo il daimyō morto, decisero di uccidersi in massa. Il Duce rimane impressionato. Tutt’oggi, nelle vicinanze della città di Aizu, dove c’è il cimitero delle Tigri Bianche,  c’è una colonna di epoca romana e sotto di essa, una targa: Allo spirito del Bushido. È un omaggio commemorativo che Mussolini invia nel 1928, dopo aver ascoltato il racconto di Shimoi.

Facciamo un passo indietro, prima del fascismo, siamo nel mezzo della prima guerra mondiale. Il professore giapponese si arruola come volontario tra le fila del Regio Esercito. Entra nel corpo speciale degli Arditi. Sono gli atleti della trincea, corrono a dare e ricevere la morte. Abili con le bombe a mano, sperimentatori di lanciafiamme, insuperabili con il pugnale. Occhio alla gola, austriaco. Gli Arditi sono esperti nel corpo a corpo e Shimoi fornisce il suo contributo impartendo lezioni di karate, disciplina che possiamo ritenere più che utile nella lotta cattiva di quella guerra. Nel grande carnaio, conosce Gabriele D’Annunzio e i due stringono amicizia. Assieme avrebbero dovuto intraprendere il raid aereo Roma-Tokyo, ma altri eventi irrompono in scena. Li rivediamo infatti assieme, pochi anni dopo, non nei cieli ma a Fiume, durante l’Impresa. Ribellione! I legionari con alla testa il Poeta hanno preso la città del Carnaro, vogliono renderla all’Italia perché è stata rubata, e la colpa del furto è dell’americano, il presidente Wilson che dice no, no, no.

Fiume, 1919-20, sedici mesi di insonnia, che esperienza deve esser stata per chi l’ha vissuta. Altro che Sessantotto, tsè. Baraonda di libertà e festa, ma anche e soprattutto fucina di idee, arti, politica. Harukichi Shimoi ci arriva a febbraio del ’20. Poche sono le informazioni sulla sua permanenza fiumana. Ma allora che queste righe si prendano la licenza di uscire dalla serietà della ricerca storica e che introducano un elemento di fiction per infrangere liberi le leggi della corretta cronologia: ci interessa capire l’ambiente. Gli occhi a mandorla del nostro amico letterato sono il mezzo fiction con cui si vuole raccontare quello che a Fiume è successo per davvero. Harukichi Shimoi passeggia per le strade e le piazze della città, piccolo ma fiero nella sua divisa d’ardito con il pugnale e il nero fez, e i suoi occhi curiosi sotto le sopracciglia enormi osservano e ci riportano episodi. Corri corri generale: tutti sotto il balcone del Palazzo del Governo, il Comandante Governatore parla alla folla: “In questo folle e vile mondo Fiume è oggi un simbolo di libertá; nel mondo folle e vile vi è una sola cosa pura: Fiume; vi è una sola verità …” D’Annunzio arringa, bravissimo, e sotto il tripudio. Ma da chi è composta la folla? È una ressa multiforme, multicolore, multiculturale. Lista disordinata di individui: arditi, alpini, bersaglieri, carabinieri, avventurieri, cittadini, signore, puttane, marinai, aviatori, eroi, artisti, poeti, futuristi, fasciopionieri, studenti, anarchici, libertini, bohémien, dandy, imperialisti, sognatori, pirati, sbandati, nazionalisti, sindacalisti, socialisti, monarchici, repubblicani, stranieri, rivoluzionari, pazzi. È il marasma magnifico di individui, pensieri e intenti; episodio unico ed irrepetibile.

Gli occhi del giapponese scrutano affamati di cose, uomini, azioni, e si riempiono. Laggiù al porto, i ragazzacci del UCM – Ufficio Colpi di Mano, festeggiano la caccia fortunata, hanno arrembato un mercantile, molte le provviste di bottino. Sono gli uscocchi, i corsari di D’Annunzio, vanno in missione di guerriglia marina, assaltano per rifornire la città. In corso Dante è l’ora dell’aperitivo. Fa il suo quotidiano ingresso trionfale, con la corte di ammiratori e fanciulle, in bombetta e bastone, il futuruomo Marinetti. Cammina svelto, ha l’attenzione di altri passanti, dunque si ferma e declama: “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!” Volano le bombette, pure qualche sedia dei caffé. Il clima è orgiastico, i postriboli incassano, il sesso è mercenario, certamente,  ma anche donato perché gli amori sbocciano molti e liberi, l’euforia è afrodiasiaca, e altresì l’appartamento del Principe D’Annunzio ha la sua porticina segreta, vecchie e nuove fiamme  rendono omaggio al poeta armato quando cala la notte.

Il Camerata Samurai nella Fiume delle ore piccole, continua la sua esplorazione della nostra Storia, che ora è fantastica. Dalle osterie esce chiasso, il vino scorre, sempre, dai bordelli escono i legionari che sorridono, contenti. Un drappello furtivo s’infila in un portone poco illuminato. Vanno a comprare cocaina. Ce n’è parecchia, va di moda. Sono stati gli aviatori, con le loro scatoline d’oro dove custodivano la polvere pestifera, a far tendenza malandrina. La usavano in azione durante voli estenuanti, adesso la fiutano anche a terra. Pure il Vate prende il vizio, a 57 anni suonati si farcisce  le narici golose. In un angolo, una rissa: son cose che capitano quando c’è grande concentrazione di animi surriscaldati. Dopotutto, sono tanti i reduci; è gente che quieta non sa più stare; è gente per sempre scossa dal massacro, gli abiti borghesi stanno stretti. Succede anche in Germania con i Freikorps, oppure anche in Stati Uniti, nel secondo dopoguerra, con i veterani dell’aria che si aggregano in bande di motociclisti, come gli Hells Angels. Il soldato in guerra impara la vita guerriera e l’orrore, ma quando la guerra finisce? Non tutti vogliono o riescono a rientrare nei ranghi civili, nella moderazione, nella quiete. Anche nel primo dopoguerra italiano, è così.

Me ne frego! Il motto è coniato a Fiume. In esso tutto un universo di volontà individualiste, turbolente, di rendere la vita una fiamma che arde. Nessun futuro, viviamo adesso, da leoni.  E un leone coraggioso anche se strambo e indisciplinato è Guido Keller, con cui Harukichi si ferma a fare due parole, sotto un lampione, prima dell’alba. Esistono gli uomini “normali” e poi esistono i Keller. Keller è un Keller. Asso dell’aviazione di guerra, non sta mai fermo, lui è edonista, eccentrico, nudista, tritone adriatico, primo corsaro di Fiume ed è amico di una bellissima aquila addestrata con cui certe volte dorme appollaiato in cima agli alberi: che sia voglia incontrollabile di cielo, mal di nuvole, il richiamo delle stelle? Li raggiunge Giovanni Comisso, legionario e scrittore. Comisso e Keller si spingono oltre, danno vita a il Gruppo Yoga, con tendenze esoteriche, e scelgono simboli raccolti dall’Oriente misterioso come la svastica (è inutile stropicciarsi gli occhi, siamo nel 1920, il nazismo è solo un feto, anzi nemmeno feto, solo seme) e la rosa a cinque petali.

Sulla rivista “YOGA” c’è scritto: Unione libera di spirti di Fiume: Grifone Italico! Lo stile e la forma dell’azione sono elette dalla bellezza, e vi obbediscono. Quante altre cose potremmo far vedere agli occhi di Harukichi Shimoi, il Camerata Samurai di Fiume, scomodato per l’occasione per una veloce testimonianza sugli aspetti più colorati dell’Impresa di fiumana, esplosione di orgoglio nazionale, militare e allo stesso tempo ribelle.

Rientrando nei ranghi della Storia per bene e severa, come va fatta, scopriamo che Shimoi, capitano degli Arditi, è scelto da D’Annunzio come suo personale messaggero per l’odiato amico Mussolini. Il giapponese fa da collegamento, porta e riceve messaggi, s’intrufola tra le linee che stringono la città insonne, viaggia per la causa degli italiani, la sua causa. Non andiamo oltre, il tempo scorre, seguono altre storie, nuovi ordini, un’altra guerra. Diamo ancora un ultimo sguardo all’Impresa. La giovinezza è al potere, a Fiume, luogo fuori dal tempo, esperimento storico, laboratorio di quello che verrà, alchimia di passioni. La Storia diviene arte.

 
 
 

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Identità sacra

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vendredi, 23 décembre 2016

Hommage à Fabrizia di Lorenzo, tuée lors de l'attentat de Berlin

 

mardi, 13 décembre 2016

Echec de Norbert Hofer, suicide de Matteo Renzi

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Echec de Norbert Hofer, suicide de Matteo Renzi

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com 

Les raisons de l’échec d’Hofer

Norbert Hofer, candidat du FPÖ, a finalement échoué à devenir le nouveau président de l’Autriche face à son adversaire, l’écologiste Alexander Van der Bellen, avec 46,5% des voix seulement, alors qu’il n’avait été battu que de justesse au second tour précédent, invalidé en outre en raison d’un vote par correspondance douteux, en faveur de son concurrent.

Il n’est pas parvenu à mobiliser son camp, alors même que ce second tour avait été à nouveau décalé, permettant à ses adversaires, non seulement le vainqueur mais tous ceux, de droite et de gauche, qui soutenaient l’opposant au FPÖ, de s’organiser et de travailler l’électorat de droite (ÖVP) afin que ce dernier ne soit pas tenté par un vote plus à droite. Van der Bellen a d’ailleurs largement recentré son discours, pour éviter cette fuite électorale, en évitant notamment de se définir en faveur de l’accueil des migrants. Il a surtout attaqué Hofer sur ses positions européennes.

Bien que Norbert Hofer ait considérablement reculé sur l’euroscepticisme, se disant désormais favorable à l’Union Européenne et à l’euro, et prônant sagement la mise en place de frontières, non pas autour de l’Autriche, mais autour de l’Europe, cela n’a pas suffi à rassurer l’électorat. Il est vrai que le FPÖ tient un discours eurosceptique depuis de nombreuses années, à l’instar de l’ancien dirigeant Jörg Haider comme de l’actuel Hans-Christian Strache, et qu’il est donc difficile de croire à un tel retournement de veste.

Si 56% des hommes ont voté Hofer, seulement 38% des femmes ont fait ce choix. C’est sans doute la clé de son échec, car l’électorat féminin a fait basculer l’élection. Ce maillon faible s’explique par un plus grand conservatisme, la peur de l’image que donnerait l’Autriche en se dotant du premier président populiste depuis 1945 en Europe occidentale. Il faut se souvenir déjà en 2000 du matraquage anti-FPÖ, alors que ce dernier avec 27% des voix – il est à 37% dans certains sondages en 2016 – avait accepté de faire partie d’une coalition de droite. Nombreux dirigeants de l’Union Européenne parlaient alors de sanctionner ce pays.

Le passé national-socialiste de l’Autriche, qui fut le berceau de cette idéologie, est évidemment très présent, même si l’Autriche a réussi à se présenter en 1945 comme une victime de son grand voisin. Le courant national-allemand que représentait le FPÖ a été considérablement étouffé au sein de ce parti. Le FPÖ sous l’impulsion de Strache, qui a rompu avec tout extrémisme, expulsant du parti l’historique Andreas Mölzer suite à une provocation dialectique au parlement européen, et qui a fait un pèlerinage en Israël, ne veut plus porter la tunique de Nessus de la diabolisation et être victime d’un cordon sanitaire à son endroit.

Néanmoins, une rescapée des camps de la mort, Gertrude, a dénoncé dans une vidéo vue par 1,2 million de personnes, le risque d’une présidence Hofer et invité les Autrichiens à la prudence. Les Autrichiennes semblent avoir entendu son appel, alors pourtant que comparaison n’est pas raison, et que le FPÖ n’est pas, ou n’est plus, un parti lié implicitement ou explicitement à ce passé. La dédiabolisation accomplie version autrichienne est encore loin.

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Le désastre Matteo Renzi

Matteo Renzi, président du conseil italien, a été sérieusement battu lors d’un référendum institutionnel organisé dimanche dernier. 59% des Italiens, avec une participation d’environ 68% d’entre eux, ont dit non à son projet de refonte du sénat et des provinces. L’erreur majeure de Renzi aura été de mettre sa tête en jeu en annonçant qu’il démissionnerait de ses fonctions en cas d’échec. Cela rappelle étrangement la stratégie suicidaire de David Cameron au Royaume-Uni. Et le voilà donc contraint à la démission, étant ainsi un facteur d’instabilité dans un pays économiquement en difficulté, mais quel pays d’Europe ne l’est pas, l’Allemagne seule connaissant une indécente prospérité économique tout en se suicidant identitairement, refusant ainsi d’assumer un quelconque destin européen, Merkel préférant être à la remorque des USA et des institutions mondialistes.

Les raisons de l’échec sont assez évidentes. C’est bien le rejet de la personne même de Matteo Renzi, idole médiatique artificielle admirée par toutes les gauches européennes. L’Italie se réveille en crise face à un chef de l’état qui n’est évidemment pas à la hauteur des enjeux. Avec tous ces défauts, et ils étaient nombreux, Berlusconi savait néanmoins tenir son rang.

Désormais, l’Italie se prépare à un avenir politique incertain. La Ligue du Nord pourrait demain coaliser autour d’elle la droite entière, à savoir les vestiges de Forza Italia mais aussi les autres formations de droite nationale, comme Fratelli d’Italia de Giorgia Meloni. De son côté, le Mouvement Cinq Etoiles de Beppe Grillo, qui n’a aucun programme digne de ce nom, et qui s’apparente ainsi au premier fascisme de 1919 ou bien au qualunquisme de 1946, pèse près de 30% de l’électorat. Cette formation attrape-tout, dont les positions gauchistes ou nationales alternent selon l’interlocuteur, Beppe Grillo étant tout sauf cohérent, peut néanmoins réussir. Elle a adopté une ligne anti-européenne et Grillo annonce même, en cas de victoire, un référendum en vue de quitter l’Union Européenne.

Autant dire que Renzi a ouvert la boîte de Pandore en voulant réformer des institutions dans un sens populicide et anti-identitaire, exactement comme la réforme des régions qui en France, si elle avait été proposée par référendum, aurait connu un enterrement de première classe. Cela pose d’ailleurs la question de l’usage ou plutôt du mésusage du référendum, celui-ci étant détourné de sa vocation première pour servir les intérêts politiques du moment, et n’étant surtout jamais convoqué sur les questions importantes. Il faudrait plusieurs référendums chaque année, et sur des sujets essentiels, pour que cette pratique permette enfin au peuple de répondre à la question posée en conscience, indépendamment du dirigeant politique en place. La Suisse, où la personnification du pouvoir est fort réduite, nous montre la bonne voie à suivre.

Renzi, comme Cameron avant lui, aura été puni non parce qu’il aura été démocrate, comme le nom de son parti pourrait le laisser croire, mais parce qu’il ne l’est qu’en surface, incapable d’expliquer pourquoi sa réforme serait la bonne, incapable surtout d’en convaincre son peuple. Mauvais texte, mauvais résultat.

Thomas FERRIER (Le Parti des Européens)

lundi, 21 novembre 2016

Wyndham Lewis, Ernst Jünger & Italian Futurism - Paul Bingham

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Wyndham Lewis, Ernst Jünger & Italian Futurism - Paul Bingham

Robert Stark and co-host Alex von Goldstein talk to Paul Bingham. This show is a continuation of our discussion about Aleister Crowley and Aristocratic Individualism



Topics include:

How Wyndham Lewis, Ernst Jünger, Aleister Crowley, and the Italian Futurist, were individuals who existed outside the liberal reactionary/traditionalist paradigm, and viewed the world in a realist way unbiased by ideology
The cult of Positivism
Italian Futurism, how it was marginalized due to it’s ties to Mussolini, but made a major impact on the arts
How Ayn Rand was influenced by Italian Futurism
Robert Stark’s talk with Rabbit about Italian Futurism
Wynham Lewis’s Vorticist movement, his magazine Blast, and his Rebel Art Centre
The philosophy of the Vortex, which views everything as energy constantly in motion
The rivalry between Italian Futurist Filippo Marinetti and Wyndham Lewis, and how Lewis critiqued Italian Futurism for putting to much emphasis on technology
Wynham Lewis’s The Art of Being Ruled, which made the case that the artist was the best to rule, and that capitalism and liberal democracy suppressed genuine cultural elites
How the book addresses Transsexualism, and anthropological findings on the Third Sex
Kerry Bolton’s essay on Wyndham Lewis
Lewis’s relationship with fascism, how he published the book Hitler (1931), which presented Adolf Hitler as a “man of peace,” but latter wrote an attack on antisemitism: The Jews, are they human?( 1939)
The influence of war and violence on Italian Futurism
The Manifesto of Futurism
The Futurist Cookbook
Futurism is about testing what works, and rejecting traditions that don’t work
The futurist believed that every generation should create their own city, and futurist Antonio Sant’Elia’s Plan for Città Nuova (“New City”)
Paul worked on a book that was never published, “The Motor City and the Zombie Apocalypse,” about how the motor city is incompatible with human nature
The effects of global technological materialism on culture, and how technology needs the right people and culture to work
Jean Baudrillard point that the Italians have the best symbiosis between culture and technological progress
The Transhumanist concept of Cybernetics, which is rewiring the brain, and how the futurist used poetry as a precursor to cybernetics
Paul’s point that futurist movements such as cyberpunk, and Neoreaction are more focused on Live action role-playing, but are not serious about pushing the limits
The intellectual and transcendental value of LSD and DMT, Ernst Jünger’s experimentation with acid, but they are only effective if the right people use them
Paul’s point that the only real futurist are underground, and experimenting in third world countries
Aristocratic individualism, and Paul’s opinion that Ernst Jünger is the best example, and Jünger’s concept of the Anarch
Ernst Jünger’s science fiction novel The Glass Bees
Ernst Jünger’s “The Worker”

lundi, 07 novembre 2016

Curzio Malaparte (1898-1957): Une vie, une oeuvre [2012]

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Curzio Malaparte (1898-1957): Une vie, une oeuvre [2012]

http://le-semaphore.blogspot.fr/2015/.... http://le-semaphore.blogspot.fr/2015/.... Le 09 juin 2012, l'émission “Une vie, une oeuvre”, dirigée par Matthieu Garrigou-Lagrange et diffusée tous les samedis sur les ondes de France Culture, évoquait la vie et l'oeuvre de l'écrivain italien, Curzio Malaparte (1898-1957). Photographie : Malaparte en mars 1934, pendant son confinement aux îles Lipari. Par François Caunac - Réalisation : Anne Franchini. De cette vie ouvertement romanesque, faite de bruit et de fureur, subsiste comme une odeur étrange, de soufre, de fer incendié et de putréfaction. Infatigable travailleur et prosateur épique par excellence, Malaparte aura été l’écrivain de la violence dans l’histoire. Sa grande affaire, la guerre, livrée sous la forme d’un triptyque fameux : « Technique du coup d’état », « Kaputt », « la Peau », où il décortique à la pointe sèche, la barbarie sous toutes les coutures.


Grand séducteur et grand solitaire, Malaparte fit de sa vie, une œuvre à part entière. Il conçut une maison à la mesure de sa démesure, minimaliste et sublime, la « Casa come me », sur les hauteurs de Capri ; séjour des dieux où Jean-Luc Godard décida un beau jour de donner rendez-vous à Brigitte Bardot !

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Si Malaparte reste aujourd’hui un incompris, voire un infréquentable, il le doit sans doute à quelques sauts périlleux incontrôlés, entre fascisme et communisme. Engagé très dégagé, Malaparte laisse une œuvre qui ne cesse de proliférer. Hydre inclassable remuant les inédits, les cahiers retrouvés et les nouvelles traductions. Un auteur à suivre !…

Avec:
Maurizio Serra, diplomate
Pierre Pachet, écrivain
Bruno Tessarech, écrivain
Jean Gili, historien du cinéma
Et Karl Lagerfeld (sous réserve).
Archives INA et RAI : voix de Curzio Malaparte (1951-52).

Thèmes : Arts & Spectacles| Littérature Etrangère| Curzio Malaparte

Source : France Culture

vendredi, 14 octobre 2016

G. Solaro: Fascismo o plutocrazia

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jeudi, 13 octobre 2016

La libertà di espressione ai tempi del pensiero unico

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mercredi, 12 octobre 2016

L'identità sacra

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vendredi, 30 septembre 2016

Ripartire da EVOLA!

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lundi, 12 septembre 2016

Julius Evola - Tom Sunic & E. Christian Kopff

Julius Evola - Tom Sunic & E. Christian Kopff

 

Tom Sunic interviews renowned educator, classicist and writer Dr. E. Christian Kopff. Topics include:

- How Tradition get passed down through the generations
- The mind of Julius Evola and what he meant by “revolting against the modern world.”
- Evola’s thoughts on the “masses.”
- Evola’s thoughts on Western Tradition
- Evola’s thoughts on masculinity
- Evola’s relevance for Americans and the rest of the modern West
- Evola’s criticism of Communism and its comparison to Capitalism
- The spiritual life vs. racial science; the State vs. the People
- Ezra Pound
- Aleksandr Solzhenitsyn

Recorded April 20, 2010

vendredi, 22 juillet 2016

In Search of Fascism

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In Search of Fascism

Review:

Fascism: The Career of a Concept, Paul E. Gottfried, Northern Illinois University Press, 256 pages

Ex: http://www.theamericanconservative.com

The term “fascism” is employed with such regular enthusiasm by everyone from political activists to celebrities and academics that our pundits could be forgiven for assuming that fascists lurk behind every corner and at every level of government. MSNBC host Keith Olbermann accused the Bush administration of fascism. Thomas Sowell has called President Obama a fascist. A quick online search yields accusations that Donald Trump and Hillary Clinton are fascists. The term “Islamofascism” circulates widely, and groups as dissimilar as campus Social Justice Warriors and the leaders of the National Rifle Association have been dubbed fascist.

It’s clear why fanatics or dogmatists would label their opponents with the f-word: rhetorical play scores political points. But is there ever any truth behind the label?

Paul Gottfried enters the semantic fray with a clarifying and elucidating new book, Fascism: The Career of a Concept. His study is not based on new archival finds. It’s not narrative history. It’s instead a comparative study of different treatments of fascism in which Gottfried discloses his preferred methodologies and favorite historians. Despite the prevalence of allegations of fascism, Gottfried submits that the only indisputable example of fascism in practice is Mussolini’s interwar Italy.

“This study will examine the semantic twists and turns undergone by the word fascism since the 1930s,” Gottfried explains. “Like other terms that have changed their meaning, such as conservatism and liberalism,” he continues, “fascism has been applied so arbitrarily that it may be difficult to deduce what it means without knowing the mindset of the speaker.”

The term fascism, as it has gained currency in our radio-television lexicon, lacks a clear referent. Its use reveals more about the speaker than about the signified phenomenon: the context in which the term is used can determine the speaker’s place on the left-right spectrum. “Fascism” has become a pejorative and disparaging marker for views a speaker dislikes; it’s a name that relegates the named to pariah status, provoking censorship and shaping basic notions about political figures and policies. “Fascism now stands,” Gottfried says, “for a host of iniquities that progressives, multiculturalists, and libertarians all oppose, even if they offer no single, coherent account of what they’re condemning.”

Gottfried is frustrated by the vagaries and false analogies resulting from the use of “fascism” as rhetorical weaponry. He criticizes “intellectuals and publicists” who are nominally antifascist yet “feel no obligation to provide a historically and conceptually delimited definition of their object of hate.”

Tracing the evolution of the meanings and representations of this political ideology in the works of numerous researchers, Gottfried’s study can seem, at times, like an amalgam of book reviews or bibliographical essays—or like several synopses strung together with his own comparative evaluations. Academics more than casual readers will appreciate these efforts to summarize the field, although anyone wishing to acquire a surface-level knowledge of this deep subject will come away edified.

foro.jpgSo what exactly is fascism? This question, Gottfried insists, “has sometimes divided scholars and has been asked repeatedly ever since Mussolini’s followers marched on Rome in October 1922.” Gottfried presents several adjectives, mostly gleaned from the work of others, to describe fascism: reactionary, counterrevolutionary, collectivist, authoritarian, corporatist, nationalist, modernizing, and protectionist. These words combine to form a unified sense of what fascism is, although we may never settle on a fixed definition because fascism has been linked to movements with various distinct characteristics. For instance, some fascists were Christian (e.g., the Austrian clerics or the Spanish Falange) and some were anti-Christian (e.g., the Nazis). There may be some truth to the “current equation of fascism with what is reactionary, atavistic, and ethnically exclusive,” Gottfried acknowledges, but that is only part of the story.

“The initial momentum for locating fascism on the counterrevolutionary Right,” writes Gottfried, “came from Marxists, who focused on the struggle between fascists and the revolutionary Left and the willingness of owners of forces of production to side with the fascists when faced by revolutionary threats.”

Fascism is not necessarily a creature of the counterrevolutionary right, however. Gottfried maps an alternative tradition that describes fascism as a leftist collectivist ideology. Fascism promoted welfare policies and thrived on revolutionary fervor. In the United States in the 1920s and ’30s, the progressives more than self-identified members of the right celebrated and admired European fascism. FDR praised and imitated Mussolini. Such details seem to substantiate the claim that fascism was intrinsically leftist, at least in the eyes of U.S. citizens who were contemporaries of interwar fascism. But, Gottfried notes, “Fascism drew its strength from the attempt to oppose the Left while taking over some of its defining characteristics.”

Gottfried’s book may not be intended as an antidote for the less rigorous and nakedly polemical Liberal Fascism. Unlike the author of that work, Jonah Goldberg, who seemed genuinely surprised by his discovery of what was in fact a well-documented connection between fascism and the left, Gottfried is characteristically measured and careful as he compares research rather than selectively and pugnaciously repurposing it. Gottfried is taken seriously by those who reject his own paleoconservatism—including those on the left who find his views unpalatable or downright offensive—because he doesn’t smear opponents or resort to knee-jerk, grandiose claims to shock or surprise.

Gottfried concludes that fascism is right-wing after all, not left-wing, even if its concrete manifestations have been more militant than traditional conservatism. Like traditional conservatives, fascists did not believe that government programs could alter human nature, and they saw little value in the human-rights mantras extolling the individual’s capacity for self-government.

Today the managerial state carries out leftist projects on behalf of equality and diversity, but that was not true for interwar European governments. Fascism was a product of the 20th century in which conservative adoration for aristocratic hierarchy seemed anachronistic and pragmatically useless as a political stratagem. Without an established aristocracy in their way, fascists constructed an artificial hierarchy to control the populace: a mythical and symbolic hierarchy attracted to the aesthetics of high modernism. The interwar fascists colored brute force with nationalist iconography and aestheticized violence as a cathartic and regenerative force against decadence.

Probably all treatments of “fascism” as a cohesive, homogeneous philosophy held together by likeminded adherents are wrong, incomplete, careless, or dishonest. Gottfried believes that the term “fascism” has undergone unwarranted manipulation since the German historian Ernst Nolte conflated fascism and Nazism in a manner that enabled less astute critics on “the multicultural Left” to justify “their attack on their opponents as Nazis and not simply generic fascists.”

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The failure or refusal to distinguish between totalizing, exterminatory Nazism and other, less extreme forms of fascism may signal the intentional propagation of a political agenda. Gottfried cautions against such politicization of history. “History,” he warns, “is of immediate practical interest to political partisans, and this affinity has allowed a contentious activity to be sometimes grossly abused.”

The popular embrace of incorrect or highly contested notions of fascism has generated media sensationalism about an ever-imminent fascist threat that must be eradicated. The media trope of looming fascism has provoked demands for the kinds of censorship and authoritarianism that, ironically, characterize the very fascism that supposedly needs to be eliminated. Gottfried’s study is too particular, nuanced, and multifaceted to be reduced to simple correctives for these mass-media trends. It is, however, a model for the type of work that can earn the right a hearing from more attentive audiences. Critiques of fascism from the right must follow Gottfried’s lead, not Goldberg’s, to attain credibility.

Allen Mendenhall is an assistant attorney general for the state of Alabama and an adjunct professor at Faulkner University and Huntingdon College. Views expressed in this review are his own and do not reflect those of his employer.

dimanche, 10 juillet 2016

Fransen en Italianen komen massaal in opstand tegen politieke elite

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Fransen en Italianen komen massaal in opstand tegen politieke elite

Italiaanse Anti-EU partij al maanden nr. 1 in peilingen

Impliciet dreigement premier Renzi: Omvallen Italiaanse banken zal Deutsche Bank meesleuren en Europees financiële systeem doen instorten

Franse politie ‘nu al machteloos’ tegen massale volksprotesten

Van de meeste van onze apathische landgenoten hoeven we helaas niets te verwachten, dus moet onze redding van de in de maak zijnde Europese Superstaatdictatuur uit het flamboyante zuiden komen. De voortekenen dat de gewone man eindelijk in opstand gaat komen tegen de Europese politieke- en bankenelite, zijn het sterkst zichtbaar in Frankrijk en Italië. Massale protesten en stakingen ontregelen al wekenlang het openbare leven in Frankrijk, en in Italië is de eurokritische Vijf Sterren Beweging van Beppe Grillo in vier peilingen naar de eerste plaats gesneld. Grillo wil een referendum over het Italiaanse lidmaatschap van de eurozone organiseren.

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Anti-EU partij M5S nr.1 in de peilingen

Dat de Vijf Sterren Beweging een serieuze bedreiging voor de gevestigde orde vormt, bleek twee weken geleden al, toen de burgemeestersverkiezingen in de hoofdstad Rome werden gewonnen door de kandidaat van de nieuwe volkspartij.  Ook in Turijn, Napels en Triëst is de partij aan de macht gekomen. Inmiddels laat M5S de centrum-linkse Democratische Partij (PD) van premier Matteo Renzi met 30,6% tegen 29,8% achter zich. In andere peilingen is het verschil zelfs al 6%.

De premier lijkt behoorlijk in de war van de ontwikkelingen, want hij verklaarde zich te zullen inzetten voor een referendum over onder andere de beperking van de Italiaanse senaat, ‘niet omdat dit cruciaal is voor het lot van een individu (dus de burger), maar voor de toekomstige geloofwaardigheid van de Italiaanse politieke klasse.’ Mish Shedlock van het bekende MishTalk reageert: ‘Wow! Die verklaring is zo belachelijk, dat je je moet afvragen of Renzi niet stiekem wil dat het referendum mislukt.’

Dat referendum stelt tevens voor om iedere politieke partij die 40% van de stemmen krijgt, automatisch een meerderheid in het parlement te geven. Als geen enkele partij dat lukt, dan volgt er een tweestrijd, en zal de winnaar daarvan alsnog die meerderheid krijgen.

Honderden miljarden nodig om Italiaanse banken te ‘redden’

Renzi is ondertussen verwikkeld in een heftig politiek gevecht met de ECB en de Duitse bondskanselier Merkel, die zijn eis om honderden miljarden euro’s Europees belastinggeld in te zetten om de Italiaanse banken te redden, vooralsnog afwijzen. Als dat zo blijft, betekent dat waarschijnlijk een herhaling van het drama met de kleine Banca Ertruria, waar behalve grootaandeel- en obligatiehouders ook kleinere spaarders een groot deel of zelfs al hun geld kwijtraakten in een ‘bail-in’ om de bank overeind te houden.

Zoals we al eerder schreven leidde dat tot de zelfmoord van een Italiaanse gepensioneerde, die zijn in tientallen jaren opgebouwde spaargeld van iets meer dan een ton kwijtraakte, en feitelijk naar de bankmanagers zag gaan.

Shedlock vroeg zich eerder deze week al af of de EU gezien alle plannen en maatregelen van Brussel kan ‘overleven als een gevangenis voor zijn onderdanen... Het korte antwoord is dat de kiezers dit beslissen, en ze zijn nu al woedend. Als er bail-ins komen, betekent dat zonder twijfel het einde van de regering Renzi.’

Renzi dreigt impliciet met omvallen Deutsche Bank

Overigens wijst de Italiaanse premier terecht op de enorme risico’s die de EU loopt met de Deutsche Bank, die voor tientallen biljoenen euro’s zeer risicovolle speculaties (derivaten) op de balansen heeft staan. De verhouding is volgens Renzi zelfs 1 op de 100, waarbij 1 de slechte leningen van de Italiaanse banken zijn, en 100 de derivatenzeepbel van DB.

Renzi lijkt er dan ook impliciet mee te dreigen dat als de honderden miljarden voor de Italiaanse banken er niet komen, deze zullen omvallen, en Deutsche Bank in hun val zullen meesleuren. En daarmee zal het hele financiële systeem in Europa instorten, met ernstige wereldwijde consequenties.

‘Deze mate van krankzinnigheid is precies waarom de euro verdoemd is,’ concludeert Shedlock. ‘Stap er nu uit! Ik herhaal mijn waarschuwing van december: Haal nu je geld weg van de Italiaanse banken!’ (1)

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Miljoenen demonstranten leggen Frankrijk lam

Hoewel Frankrijk deze weken vooral op TV komt vanwege het EK voetbal, vinden er buiten de stadions almaar massaler wordende volksprotesten plaats, waar de media nauwelijks over willen berichten. Het aantal demonstranten tegen het beleid van de socialistische president en regering is gegroeid van tienduizenden naar miljoenen.

Op het alternatieve nieuwsportaal ‘YourNewsWire.com’ is te lezen dat op de straten van veel steden anarchie heerst. Duizenden gemaskerde demonstranten voeren felle straatgevechten met de politie, die onder andere waterkanonnen inzet. De demonstranten zouden echter al gesteund worden door miljoenen Fransen, die de uitbuiting en verwurging van de arbeidersklasse door de elite spuugzat zijn.

EU krijgt de schuld van ellende

Veel Fransen geven de EU er de schuld van dat hun land er financieel en economisch zo slecht voorstaat. ‘Alle landen nemen de EU richtlijnen over, die enkel de belangen van de kapitalisten dienen,’ legde een demonstrant tegen Russia Today uit. Naast de hervormingen op de arbeidsmarkt en de EU is ook het TTIP vrijhandelsverdrag met de VS een belangrijk thema.

Toeristen ondervinden veel overlast van de stakingen en demonstraties. Zo werd de toegang tot de Eiffeltoren onlangs opnieuw geblokkeerd omdat een deel van het personeel het werk had neergelegd.

Regering Valls grijpt naar ondemocratische machtsmiddelen

De regering van premier Valls probeert de massa demonstraties te verbieden, maar mede omdat die worden gesteund door de vakbonden, zorgt dat alleen maar voor nog meer woede onder het volk. Desondanks probeert de regering nu via allerlei wettelijke trucjes het parlement buitenspel te zetten, zodat de protesten hard kunnen worden bestreden. Uit een opiniepeiling bleek dat 73% van de bevolking ‘geschokt’ is dat de politici steeds vaker naar dit soort ondemocratische machtsmiddelen grijpen om hun zin door te drijven (2).

Volksopstand, revolutie, burgeroorlog?

Conclusie: onze berichten van enige weken geleden dat er een nieuwe revolutie in Frankrijk broeit, zijn beslist niet overdreven. En vlak ook de Italianen niet uit; wij verwachten dat de grote volksopstand tegen de elite als eerste in deze twee landen zal losbarsten. Als de politiek dan nog steeds weigert naar het volk te luisteren, dan zouden die opstanden wel eens op burgeroorlogen kunnen uitlopen.

Xander

(1) Zero Hedge
(2) Epoch Times

Zie ook o.a.:

06-07: Bankensysteem EU opnieuw op rand van instorting
02-07: Italiaanse oppositie eist dat euro verdwijnt en EU-bankenunie wordt geblokkeerd (/ Duitsland en Nederland straks honderden miljarden per jaar aan transferbetalingen kwijt)
01-07: Italiaans bankensysteem op omvallen: EU pompt € 150 miljard ‘om paniek te voorkomen’
26-06: Soros: Wanordelijke desintegratie EU onomkeerbaar, leiders zijn burgers vergeten

samedi, 09 juillet 2016

Dominique Venner, Viterbo, 23/07

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dimanche, 03 juillet 2016

Fairylands

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jeudi, 30 juin 2016

Dominique Venner “Samurai D’Occidente” CasaPound Latina presenta il Breviario dei Ribelli

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Dominique Venner

“Samurai D’Occidente”

CasaPound Latina

presenta il Breviario dei Ribelli

CasaPound Latina ha organizzato per venerdì 8 luglio alle ore 19.00 una conferenza di presentazione del libro tradotto in italiano “Samurai d’Occidente – il breviario dei ribelli” di Dominique Venner.

Un’occasione per ricordarne l’estremo sacrificio sull’altare della Cattedrale di Notre Dame, un gesto da lui stesso spiegato come di forte ribellione “Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima  e contro gli invasivi desideri individuali”.

L’autore verrà presentato dai militanti di CasaPound attraverso le sue parole. Nella nota il movimento comunica: ‹‹La chiamata di Venner ai giovani europei per noi è chiara, riappropriarsi della Tradizione, l’identità e le fonti spirituali ancestrali.

Riacquisiamo il diritto di definirci europei a costo di pagarne il prezzo fino in fondo, senza esitazioni e senza delegare. In prima persona.››

Concludono da Viale XVIII Dicembre: ‹‹L’invito ai cittadini è per venerdì 8 luglio a CasaPound dalle ore 19.00 in poi, lasceremo un ampio spazio al dibattito con i nostri militanti e simpatizzanti.››

lundi, 20 juin 2016

Sopravvivere al collasso economico

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samedi, 11 juin 2016

Dominique Venner : il breviario dei ribelli

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mercredi, 25 mai 2016

DIEGO FUSARO: Dis-godding (Heidegger). The Holy under Assault from Economy

 

DIEGO FUSARO:

Dis-godding (Heidegger)

The Holy under Assault from Economy

2016. DIEGO FUSARO: www.filosofico.net –www.diegofusaro.com
www.facebook.com/fusaro.diego?fref=ts
inserting sub-titles Luciana Zanchini – Firenze

samedi, 21 mai 2016

La Tradición Romana: Julius Evola y Guido De Giorgio

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La Tradición Romana: Julius Evola y Guido De Giorgio

Ex: http://www.hiperbolajanus.com

Durante la década que comprende los años 1924 a 1934 hubo en Italia un desarrollo importante de las corrientes tradicionalistas, con la emergencia de representantes de gran valía dentro de las mismas, como bien pudieran ser Julius Evola, Arturo Reghini o Guido De Giorgio, junto con otras figuras de menor importancia que colaboraron activamente con publicaciones e iniciativas culturales de diversa impronta. El cometido de este artículo no es más que sondear aspectos generales de esta época, la cual fue especialmente fecunda dentro del Tradicionalismo, y que eclosionó, especialmente en los casos de Evola y De Giorgio, a la sombra de René Guénon, que pese a que siempre renunció a la posibilidad de tener a discípulos y continuadores de su doctrina siempre fue algo que rechazó de forma expresa. En el caso de Reghini es evidente que sus motivaciones y los referentes intelectuales de su obra tenían su origen en el siglo XIX, en la masonería y  las ideas ligadas al Risorgimento italiano. Por otro lado, podemos hablar de «Tradicionalismo Romano» en la medida que existía un ambiente intelectual y una serie de cenáculos y lugares de referencia en los que se veía renacer la función Tradicional de Roma vinculada a una guía o dirección de nuestro siglo.

tradizione-romana.jpgDurante estos años, y bajo el influjo permanente de los escritos de René Guénon surge, primero como un artículo de la revista Atanor, en 1924, y posteriormente como libro, concretamente en 1927, El rey del mundo. Un año después, en 1928, tendría lugar la publicación de otra obra de vital trascendencia; Imperialismo pagano, de Julius Evola, quienes representaban ya en aquella época dos mentalidades y formas de interpretar el mensaje de la Tradición desde polos más o menos diametrales, aunque con un punto de confluencia donde, finalmente, habrían de congeniar. Mientras Guénon trataba de encontrar aquellos centros espirituales y supremos, con sus respectivos puntos de referencia al margen de todas las vicisitudes temporales, Evola reclama una idea de Tradición estrechamente vinculada a la historia italiana y sus devenires temporales. De todos modos, la obra de Guenon permanece como imprescindible en la medida que hace referencia a los Principios últimos, muy necesarios en su comprensión, y que no pertenecen al ámbito de lo contingente en sus aplicaciones. El libro de Evola, mucho más relacionado con ese ámbito de la contingencia se presenta con una función y un cometido claro y contundente: afirmar, merced a la sapiencia itálica y pagana, la irrenunciable función imperial de la Roma precristiana, la cual tratará de hacer confluir con los intereses mismos de la «Revolución Fascista» y además persigue, con igual tenacidad, la resurrección de la esencia misma de la Romanidad, en sus términos clásicos e imperiales, con la intención de regenerar espiritualmente a la Italia de su tiempo, aquella que estaba bajo el mandato de Benito Mussolini.

Durante estos años, entre mediados de los veinte y casi la mitad de los treinta, Evola se encuentra a la expectativa respecto al cometido del fascismo, a sus posibilidades reales como representante cualificado de las ideas Imperiales y Tradicionalistas, frente a la Europa de las democracias liberales, que asumiendo la terminología gibelina del Medievo, califica como representantes de la ideología guelfa. En este sentido Evola se ve como un intérprete del fascismo pero desde fuera, sin pertenecer oficialmente, y en sentido estricto, a la jerarquía misma del régimen. Para el pensador romano el fascismo debía erigirse como líder hegemónico e incontestable de la Tradición mediterránea, como generador de un Principio aristocrático capaz de revivir la naturaleza iniciática y realizadora de antiguas corrientes sapienciales. Solamente de esta manera sería posible volver a forjar una Europa con referentes cualificados y válidos y, en definitiva, con una élite intelectual en el sentido Tradicional del término. Se trata del concepto de Imperium como fundamento Trascendente, que el fascismo mussoliniano debía asumir.

Como hemos comentado la anti-Europa, aquella que representa valores descendentes y de subversión es la que viene determinada por el güelfismo, y que, como en el contexto del conflicto de las investiduras, nos remite al papel de la Iglesia. El Cristianismo como tal es considerado como el comienzo del fin del Imperio Romano, un factor clave en la decadencia y destrucción de éste a nivel material y de estructuras así como a nivel de símbolos y aquellos elementos que estaban en conexión con lo Trascendente. Además cuando Evola nos habla del cristianismo en Imperialismo Pagano hay que entender que no nos habla solamente de una cuestión propiamente doctrinal, sino que establece una conexión directa entre el cristianismo histórico y todos los procesos disolutivos que desde la Reforma Protestante a la Revolución Francesa, pasando por el desarrollo del anarquismo y el bolchevismo, y el modelo de sociedad anglosajona han conducido, de forma inexorable, a la edad moderna como tal. Frente a todos estos procesos destructivos existe lo que Evola concibe como la Tradición Mediterránea y una cadena ininterrumpida de Misterios y secretos que se han ido transmitiendo en el devenir de los siglos que preceden al advenimiento del cristianismo. Evola no dudo un momento en reclamar al fascismo la restauración de la Italia pagana e imperial, así como la renuncia hacia toda suerte de tradición cristiana y católica, la cual es considerada por el pensador romano como totalmente desprovista de elementos tradicionales. Esta misma idea la mantendrá viva durante largo tiempo. De hecho, en Revuelta contra el mundo moderno sitúa el síncope de la Tradición europea occidental en el ascenso del cristianismo. Incluso durante los años de la constitución del Grupo de Ur, en los que Evola apuesta por la magia, se sigue manteniendo la idea de la existencia de un centro sagrado e iniciático, vinculado a la Tradición Romana, que podría mantenerse vivo hasta nuestros días. De igual manera encontramos en la figura de Guido De Giorgio ideas muy similares, y éste creía en la existencia de un centro oculto e inaccesible consagrado al culto de Vesta.

perennitas1.jpgEvola mantiene un discurso constante en el que asocia todas las formas de decadencia europea actuales, en lo que se refiere a mentalidades, estructuras sociales, en la filosofía y la ciencia positiva así como en las supersticiones de nuestro tiempo, que relaciona de forma indefectible con el cristianismo. En este sentido Evola hace una acusación directa al Cristianismo, y habla de éste como portador de una forma de «ascesis bolchevique», y más concretamente bajo lo que está en el origen del cristianismo, como es el concepto de ecclesia, entendida como una mística de la comunidad que subvierte todo el conjunto de valores jerárquicos e imperiales del mundo antiguo greco-romano. De ahí que el fascismo tuviese entre sus más importantes funciones destruir el cristianismo y apostar por una restauración pagana para salvar a Italia y a Europa de la hecatombe final. Evola busca claramente la confrontación llevada al extremo de un principio gibelino e imperial frente a otro güelfo y vaticano, es en este enfrentamiento donde se debe dirimir el destino de Europa, o bien hacia su renacimiento y cima o hacia su destrucción y ocaso. No obstante, es esencial aclarar también que al hablar de Imperio Evola no se remite a la concepción moderna del término, no habla de las categorías profanas y materiales del imperio, de la forma en la que modernamente se ha concebido tal término, al cual es totalmente opuesto en su formulación burguesa e industrial, y que nada tiene que ver con las modernas formas de colonialismo promocionadas por el capitalismo en sus estadios más desarrollados. Es evidente que los pactos lateranenses de 1929 fueron contrarios a las expectativas que se había generado el propio Evola, y que el fascismo decidió apostar por la vía güelfa de la anti-Europa de la que el propio autor romano había hablado en Imperialismo pagano. En este sentido los reproches del pensador romano hacia el fascismo estaban encaminados a denunciar que éste no poseía una espiritualidad y cultura propia. La idea de Imperio universal y gibelino implica ante todo la asunción de un principio de autoridad del Estado sobre la Iglesia, pero no desde una perspectiva anti-clerical o anti-espiritual, tal y como ocurre a día de hoy, sino desde la comprensión profunda del cristianismo a nivel doctrinal, entendida en su dimensión exotérica y popular, como una forma de «realidad espiritual» tolerada y adaptada a determinados estratos sociales, pero en ningún caso depositaria de las formas trascendentes y metapolíticas que sí representa la Tradición Mediterránea. Esta idea es tomada directamente de Guénon en el aspecto de entender la Tradición como una realidad unitaria de base netamente metafísica y sapiencial, estableciendo a su vez la idea de la existencia de distintos niveles y estadios jerárquicos en su realización, generando así una pluralidad de formas de realización espiritual. La postura de otros tradicionalistas romanos, como es el caso de Arturo Reghini, es totalmente concordante con aquella de Evola, al presentar la Tradición como una realidad inmutable, aunque en su caso la Tradición Mediterránea está en conexión directa con las enseñanzas pitagóricas. Pese a todo Reghini es, evidentemente, mucho más heterodoxo que Evola o De Giorgio, especialmente en la medida que concibe como parte de la Tradición ideas, movimientos y personajes que forman parte del marco histórico y temporal incluyendo a católicos, liberales, socialistas y hombres de poder que van desde Maquiavelo, Napoleón o Garibaldi o corrientes laicistas y anticlericales, que lo ubican en un espacio y realidad completamente antitético respecto a los grandes autores de la Tradición Perenne.

giorgioWcMro4lYVvPUfzOrF0.jpgEl otro gran representante de la Tradición Romana es Guido De Giorgio, el principal discípulo del pensamiento de René Guénon en Italia, un hombre oscuro, tanto en su trayectoria vital como en aquella intelectual, de una moral espartana, y definido por el propio Evola como un «iniciado en estado salvaje». Su principal obra, La Tradición Romana, fue publicada póstumamente, en el año 1973, y todavía a día de hoy existen obras inéditas del autor, que no han visto la luz todavía. Las premisas del pensamiento de Giorgio, como ocurre con Guénon, parten de un punto de vista absoluto, metafísico, sacro y Tradicional. No obstante su visión de la Tradición como tal cuenta con la confluencia de muy variadas influencias, entre las cuales podemos encontrar a los neoplatónicos, cristianos, hinduistas y musulmanes. A las citadas fuentes que nutren su pensamiento podemos añadir una peculiar forma de escribir, muchas veces teñida de una cierta iluminación, de una intuición muy sutil, y lo enigmáticos que resultan muchos de los pasajes de su obra. Un ejemplo de esta confluencia de ideas y doctrinas la vemos en sus consideraciones, de matiz claramente cristiano, en las que habla de la fe como la base de la Tradición por excelencia, al tiempo que contempla la concepción no dualista del Principio Supremo en lo que es un concepto de impronta hinduista. Sin embargo, la perspectiva islámica es la que toma mayor protagonismo en el conjunto de sus ideas, y es precisamente en base a esta visión de lo Absoluto a través del filtro de la doctrina islámica, la forma en la que De Giorgio comienza a edificar su Tradicionalismo Romano. Lo más llamativo de todo es que Guido De Giorgio jamás se convirtió al Islam, pero sin embargo, hay ideas relacionadas con éste, que son recurrentes en sus escritos. La idea fundamental que vertebra a través de las doctrinas esotéricas islámicas es aquella de la inefabilidad del Principio Supremo, la idea de la unicidad en el principio de la Creación y la ruptura de ese Principio a través de la acción del pecado, que actuando a través del hombre, rompe esa armonía. El mundo es Dios porque Él contiene al mundo en sí, y al mismo tiempo si el hombre se mantiene como tal se mantendrá asimismo ese principio de dualismo en el mundo. Se trata de una idea de clara inspiración sufí. En el límite de lo inefable se encuentran los defensores de lo Inaccesible, los santos de Dios que son los maestros y guías de la Realidad Suprema. De modo que es ese Principio de Unicidad el que resuelve cualquiera de las cuestiones doctrinales y metafísicas que puedan derivarse de otras fuentes como el cristianismo o el hinduismo.

De todos modos, lo fundamental es conocer cómo concibe De Giorgio la vuelta de Occidente al ámbito de la Tradición, y en este sentido, pese a las influencias del islamismo sufí, De Giorgio piensa en la vuelta a una Tradición propiamente romana y cristiana, al margen de otro tipo de influencias ajenas a su desarrollo histórico. A diferencia del anti-cristianismo de Evola, en el caso de De Giorgio hay un puente y una vía de entendimiento que reconcilia a la religión romana con el cristianismo en el contexto de una Roma que tiene una función metafísica y Trascendental de primer orden. En este contexto hay una serie de elementos simbólicos que nutren la citada función de la ciudad eterna, y es el caso del símbolo del Jano, que se completa en un contexto más amplio, con aquel simbolismo universal de la cruz del que nos habló Guénon en su momento. Por otro lado, Dante Alghieri representa la expresión más elevada y genuina de la Tradición Romana, quién representa a ojos de De Giorgio el aglutinador de las dos tradiciones de Roma; la pagana y la cristiana. Roma representa para nuestro pensador la función de centro mediador entre Occidente y Oriente, de equilibrio entre la vida contemplativa y aquella activa. Roma permite, a través de Eneas y Cristo, la realización de un principio de universalidad que la convierte en el faro de Occidente, y mientras Roma viva también vivirá la Tradición en Occidente. Pese a que De Giorgio coincide con Guenon al considerar la existencia de una Tradición Primordial, unitaria y sagrada en los comienzos, de la cual las restantes no son sino derivadas, considerada fundamental la función sagrada de Roma a través de sus símbolos, los cuales va desgranando en su obra cumbre La Tradición Romana y de la cual hablaremos en próximas entradas.

En conclusión el horizonte intelectual y las reflexiones acerca de la Tradición en la Roma del periodo de entreguerras nos ofrece un panorama rico y variado en cuanto a la producción de obras, ideas y doctrinas. Hoy hemos repasado algunos aspectos fundamentales de las obras de Evola y De Giorgio, teniendo siempre presente la enorme influencia que René Guénon tuvo en su momento, y sigue teniendo a día de hoy, sobre cualquier reflexión intelectual y metafísica sobre la Tradición Perenne.

vendredi, 20 mai 2016

Malaparte e la disgregazione della modernità

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Malaparte e la disgregazione della modernità

di Luca Leonello Rimbotti

Ex: http://www.ariannaeditrice.it

Paragonando le due rivoluzioni del secolo XX – fascismo e comunismo – che vedeva correre parallelamente come nemiche diverse ma simili dell’Occidente liberale, un giorno Malaparte scrisse che quei due fenomeni politici erano appostati dalla stessa parte soprattutto nella lotta che avrebbe condotto alla “disgregazione della modernità”: la differenza stava nel fatto che il fascismo – rivoluzione costruttiva – avrebbe sostituito il vuoto della modernità con la ricchezza della tradizione nazionale italiana, mentre il comunismo – rivoluzione distruttiva – avrebbe finito presto o tardi col soccombere al nichilismo collettivista. Si trattava insomma di dar vita a forme di lotta che, negando le derive moderne, operassero un franco, rivoluzionario ritorno all’origine, secondo quel sentimento della tradizione popolare che Malaparte da giovane - quando ancora si chiamava Suckert – attribuiva all’anima profonda degli italiani. Si sarebbe così giunti, secondo le parole di Malaparte, a innescare “la storicissima funzione di restaurazione dell’antichissimo ordine classico dei nostri valori nazionali”. Se la modernità andava disgregando l’identità del popolo e la sua stessa natura, ciò che occorreva era pertanto una volontà che disgregasse la modernità, secondo il principio nietzscheano di combattere il nichilismo con dosi ancora maggiori di nichilismo. In altre parole: sovvertire la sovversione, e così facendo restaurare, raddrizzare, rettificare ciò che la modernità ha distrutto, invertito, distorto. Il Malaparte che ancora oggi ha parole infiammate da spendere, e che anzi proprio oggi dimostra di possedere un’attualità viva, non è certo il reporter scandaloso, il narratore irriverente o il mattatore bellimbusto: ma è proprio il militante sovversivo, quell’intellettuale di milizia che nella prima metà degli anni Venti proclamò un’originalissima rivolta degli umili in nome dell’arcaica tradizione di popolo, un’insurrezione reazionaria, insomma, o meglio una rivoluzione conservatrice in piena regola. Nel far questo, Malaparte fece allora comprendere a molti in Italia – ed oggi di nuovo lo ricorda – che parlare di rivoluzione, di potere, di politica significa essenzialmente parlare di cultura e di origini. E che agitare il vessillo della ribellione contro i grandi manipolatori – i più classici “nemici del popolo”, all’opera un secolo fa non meno di oggi – significa mettere in gioco l’identità, giocarsi cioè la testa e il destino di una nazione.

Curzio-Malaparte_6004.jpegQuando – si era nel 1921 – Malaparte scrisse il dirompente libro “Viva Caporetto!”, poi intitolato “La rivolta dei santi maledetti”, che rileggeva dalle fondamenta la fenomenologia di quella drammatica sconfitta, fece un’operazione di vera rottura ideologica, spingendo la provocazione ben oltre gli steccati della polemica antiborghese, osando toccare il nervo sensibile del superficiale orgoglio nazionale allora egemone in Italia: della rovinosa rotta dell’ottobre 1917 (che il generale Cadorna e molti osservatori attribuirono a un insieme di renitenza e insubordinazione di masse di fanti che in realtà erano abbrutiti dall’inumana vita di trincea) egli fece il simbolo di una rivolta politica in piena regola. Una volta vista non dall’ottica degli alti comandi e dei “bravi cittadini”, ma da quella del fantaccino analfabeta, quella sconfitta, che era un tabù rimosso dall’ipocrita mentalità borghese, diventava un atto politico e la massa dei disfattisti assurgeva a sua volta al rango di soggetto politico. Dando vita, come ha scritto Mario Isnenghi, a qualcosa di inedito e di potenzialmente incendiario, cioè “una interpretazione rivoluzionaria della prima guerra mondiale, della storia delle masse e della psicologia collettiva dentro la guerra”.

Il popolo in divisa che sparava alle spalle agli ufficiali macellai, che liquidava il carabiniere messo dietro le prime linee a sospingere i fanti all’assalto, questo popolo sovversivo diventava nelle pagine di Malaparte una sorta di eroe povero e disperato, veniva paragonato a un Cristo eroico e sanguinante, ma potente di istinti e in grado di insorgere contro l’ingiustizia della classe dirigente liberale. Una massa di uomini che aveva trovato a suo modo la via della rivoluzione. Anche se (e qui si appuntava la critica di Malaparte, che non era né un socialcomunista né un populista, ma un tradizionalista che rivendicava la via gerarchico-guerriera) a questo popolo allo sbando mancò un capo, un’aristocrazia di ufficiali che volgesse quella protesta in proposta e indirizzasse l’atto inconsulto della ribellione verso una consapevole iniziativa propriamente politica. Ciò che, in seguito, Malaparte vide avverarsi con lo squadrismo, formato in gran parte da ex-combattenti, arditi e trinceristi: il popolo delle trincee che, tornato dalla guerra, fa la sua rivoluzione armata contro le classi dirigenti. Erano questi i “fanti vendicatori”: un tipo di rivoluzionario barbarico e radicale, al quale l’idea insurrezionalista di Malaparte affidava il compito di aprire la strada alla rivoluzione italiana.

italie,lettres,lettres italiennes,littérature,littérature italienne,curzio malaparteLa critica feroce di Malaparte si indirizzava soprattutto verso la morale filistea del borghesismo, quel mondo ipocrita fatto di patriottismo bolso e da operetta, comitati di gentiluomini, patronesse inanellate, tutti gonfi di retorica, con le loro “marcie di umanitarismo e di decadentismo patriottico”, con la loro schizzinosa paura per il popolo vero e i suoi bisogni: questa marmaglia, diceva Malaparte, in fondo odiava i fanti veri, quelli che “non volevano più farsi ammazzare pel loro umanitarismo sportivo”. In questo ritratto di una classe dirigente degenere, obnubilata di retorica e falsi ideali, ognuno riconosce facilmente la classe dirigente degenere di oggi, che è la stessa, radical-chic e impudente, umanitaria per divertimento e per interesse, ieri con i comitati patriottici, oggi con le onlus dedite al business della tratta di carne umana: la morale è la stessa, e lo stesso è l’inganno. Soppesiamo bene quanta verità è contenuta nell’espressione malapartiana di “umanitarismo sportivo” delle oligarchie borghesi, e paragoniamo la casta al potere allora con quella di oggi.

Noi troviamo in questi attacchi di Malaparte un significato preciso: la modernità incarnata dallo spirito liberalborghese vive di ipocrisia, di inganno e di sopruso mascherati di buone intenzioni, mentre il popolo genuino, quello antico e ancora barbarico, conserva dentro di sé i valori intatti dell’identità e della verità. Questo concetto di “primitivismo” e di “barbarie”, del quale Malaparte vedeva circonfuso il popolo rimasto politicamente vergine e non ancora imbrattato dalla modernità, rimase a lungo un modello di virtù attivistica. La celebre “Italia barbara”, rivendicata dal giovane intellettuale e sindacalista pratese ancora nel 1925, doveva essere il modello di una comunità libera e matura, non vittima delle mode d’importazione, ma adulta quanto basta per accettare se stessa lasciando perdere il massimo fra i provincialismi: la scimmiottatura dei modelli stranieri, intrisi di modernità distruttiva. In questo quadro, il nemico da cui guardarsi era la “società settentrionale”, come la chiamava Malaparte alludendo al mondo anglo-sassone: “Noialtri italiani rappresentiamo in Europa un elemento vivo di opposizione al trionfante spirito delle nazioni settentrionali: abbiamo da difendere una civiltà antichissima, che si fa forte di tutti i valori dello spirito, contro una nuova, eretica e falsa, che si fa forte di tutti i valori fisici, materiali, meccanici”. Il dualismo così concepito era chiaro: tradizione sana contro modernità degenerata. Non si trattava allora certo di fare i bacchettoni, i retrogradi o di rifiutare la tecnica o il progresso in sé, beninteso. Si trattava di considerare il progresso uno strumento e non il fine. E dunque: “Né il rinnegare la nostra particolare tradizione, per andar dietro alle nuove ideologie, ci potrebbe aiutare a metterci alla pari delle nazioni dominanti. La modernità anglosassone non è fatta per noi: l’assimilarla ci condurrebbe fatalmente a un’irreparabile decadenza”. Qualcuno potrebbe oggi dubitare della validità e dell’attualità di tali parole profetiche, pronunciate niente meno che novanta anni fa?

bm_5953_1777762.jpgSi trattava di difendere un patrimonio che era prezioso per davvero: l’identità del popolo, che non è parola, non è retorica né slogan, ma vita e sostanza di un soggetto antropologico portatore di valori operanti lungo un arco di tempo pressoché incalcolabile. La minaccia avvertita da Malaparte era la violenza assimilatrice del mondo moderno, con la sua universale capacità di appiattire e annullare le diversificazioni culturali. Nel 1922, in uno studio sul sindacalismo italiano rimasto allora famoso, Malaparte lanciava un avvertimento del quale soltanto oggi, dinanzi all’enormità dell’aggressione che stanno subendo non solo gli italiani, ma tutti gli europei, possiamo valutare le tremende implicazioni: “In casa nostra ci è consentito di far soltanto degli innesti, non delle seminagioni. La semenza straniera non può essere buttata sul nostro terreno: la pianta che ne nasce non si confà al nostro clima. Bisogna a un certo punto bruciarla e tagliarne le radici”. L’essersi piegati senza resistenza ai diktat ideologici del liberalcapitalismo d’importazione anglosassone, il non aver ascoltato profezie come questa di Malaparte – che da un secolo in qua si levarono un po’ dappertutto in Europa – sta costando ai popoli europei la finale uscita di scena dalla storia, annegati nella degenerazione morale e nell’azzeramento della politica volute dalle agenzie progressiste cosmopolite.

dimanche, 08 mai 2016

Conferenza sul patrimonio archeologico e culturale siriano distrutto dai terroristi

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vendredi, 06 mai 2016

Presentazione del volume "Martin Heidegger - La verità sui Quaderni neri"

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mardi, 26 avril 2016

When Men and Mountains Meet: Spiritual Ascent in the Age of Commodification

When Men and Mountains Meet: Spiritual Ascent in the Age of Commodification

“Great things are done when Men & Mountains meet / This is not Done by Jostling in the Street,” wrote William Blake.

The modern world suffocates the soul of humankind. Matter longs for the embrace of soul, just as the unborn is ensheathed in the mother’s womb; and the soul desires the caress of matter, just as a newborn is cradled in the mother’s arms. Every moment is the nondual experience of gestation and birth of soul into matter, matter into soul. Modern life severs this connection as carelessly as the assembly line obstetrician prematurely severs the umbilical cord that still carries vital nutrients from mother to child. We are weighed upon scales imbalanced by ceaseless activity and insidious apathy, our hearts faint with anxiety and our bodies dead with the weight of indifference.

How do we reconnect with the primordial source in a decentered and displaced world?

The spiritual quest of the higher person is the path that leads one on a journey to reunite with divine nature, and there are few greater paths to accelerate this reunification than the experience of the mountains. Amongst the peaks one transforms from a rank-and-file soldier of modernity into a Grail Knight—a golden embryo shining in the dark cosmic womb of creation.

In Meditations on the Peaks, Julius Evola wrote:

In the struggle against mountain heights, action is finally free from all machines, and from everything that detracts from man’s direct and absolute relationship with things. Up close to the sky and to crevasses—among the still and silent greatness of the peaks; in the impetuous raging winds and snowstorms; among the dazzling brightness of glaciers; or among the fierce, hopeless verticality of rock faces—it is possible to reawaken (through what may at first appear to be the mere employment of the body) the symbol of overcoming, a truly spiritual and virile light, and make contact with primordial forces locked within the body’s limbs. In this way the climber’s struggle will be more than physical and the successful climb may come to represent the achievement of something that is no longer merely human. In ancient mythologies the mountain mountain peaks were regarded as the seats of the gods; this is myth, but it is also the allegorical expression of a real belief that may always come alive again sub specie interioritatis.

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Meditations on the Peaks (English translation available from Inner Traditions) is a collection of Evola’s writings on the spiritual quest of mountain climbing. While not free of the commodification of the modern sporting life (one only need to look at the resort towns inviting crass hordes of weekend warriors that contaminate the regions for a reminder), the mountains offer potential for the spiritual conquest of self-overcoming. By training the body, purifying the soul and cultivating a reverence for mortality, one may, with iron will and monumental discipline, ascend the peaks in contemplation of their silent, still and divine majesty.

Evola presents mountain climbing as a Yoga of the scholar and the athlete. The modern world has divided the intellectual and athletic pursuits, creating a false dichotomy of “nerds” and “jocks” that predominates the industrialized West. Either the body atrophies for feint intellectual praise and bourgeois academic prestige, or the mind suffers for the pursuit of empty competition and physical achievement. In this dichotomous framing of brains against brawn, both scholar and athlete lose touch with the metaphysical reality that study and training develops. It is among the peaks where this division is erased. Evola wrote:

[A]mong sports, mountain climbing is certainly the one that offers the most accessible opportunity for achieving this union of body and spirit. Truly, the enormity, the silence, and the majesty of the great mountains naturally incline the soul toward that which is greater than human, and thus attract the better people to the point at which the physical aspect of climbing (with all the courage, the self-mastery and the mental lucidity that it requires) and an inner spiritual realization, become the inseparable and complementary parts of one and the same thing.

At the heart of Evola’s study of the peaks is the eleventh century Tibetan Buddhist sage Milarepa. Credited with the revival of metaphysical doctrine within the Mahayana school of Buddhism, Milarepa’s teachings were known in the form of songs describing episodes of his life that remained within the current of oral tradition until modern times.

One day, Milarepa journeyed into the mountains for ascetic retreat. When six months had passed without seeing their teacher, Milarepa’s disciples had assumed that he had fallen victim to a brutal snowstorm, caught without food against the unforgiving elements. In their mourning, his disciples made sacrificial offerings prescribed for the dead. When spring arrived, they went to search for him. During their journey, they were astonished when they saw a snow leopard that transformed into a tiger. As they entered the Cave of the Demons, they heard a singing voice that they immediately recognized as their teacher’s. It was Milarepa who had projected the images of the leopard and the tiger, having sensed his disciples approaching. He told his disciples that although he went a long time without food he did not hunger, for he gained sustenance from the offerings they made for him.

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Upon returning home, Milarepa explained how he was able to “endure the elements, the icy temperatures, and raging wind, thus overcoming the invisible forces (the ‘demons’) disguised as snow,” thusly singing:

The snowfall was beyond all measure. Snow covered the Whole mountain and even touched the sky, falling through the bushes and weighing down the trees.

In this great disaster I remained in utter solitude. The snow, the wintry blast, and my thin cotton garment fought against each other on the white mountain. The snow, as it fell on me, turned into drizzle. I conquered the raging winds, subduing them to silent rest.

The cotton cloth I wore was like a burning brand. The struggle was of life and death, as when giants wrestle and sabers clash.

I, the competent yogi, was victorious; my power over the vital heat (tumo) and the two channels was thus shown. By observing the Four Ills caused by meditation and keeping to the inner practice, the cold and warm pranas became the essence. This was why the raging wind grew tame and the storm, subdued, lost its power.

Not even the devas’ army could compete with me. This battle, I, the yogi, won.

These are the harsh conditions one must endure on the merciless path of higher spirituality. Abandoning the world in cosmic isolation, the seeker must withstand the chaotic conditions of an unrestrained cosmos through the power of their own inner flame. It is during times of great peril, whether alone atop a physical mountain or abandoned to the darkest predilections of life, when we must light the fire of our crucible and burn away within. One might be left for dead, but will gain sustenance from the offerings of mourners as the unborn child receives nutrients from the mother. For it is in these most rugged and unforgiving of conditions that we return to the cosmic womb of creation, where all dross and detritus burns away and we emerge purified and renewed.

To this day, Evola remains a controversial figure in metaphysical circles. Mention of his name is enough to incite neo-McCarthyist accusations of fascist tendencies or a mistaken sympathy amongst white national racialists. Owing perhaps to the ever widening gulf between spirit and body, it is near impossible nowadays to balance an admiration for a great scholar’s superlative body of work with a reservation of their difficult political views without finding oneself in the snake pit of guilt by association. As the body is further estranged from the spirit, both will descend into a pit of decadent self-pleasure, and find anathema anything which challenges one to greater heights. Evola’s ideas are dangerous. But, like the mountains, so too is the spiritual quest. As the great mountaineer Reinhold Messner said, “The mountains are not fair or unfair, they are just dangerous.”

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Messner is one of the best exemplars of the discipline cultivated on the path of higher spirituality. He is the first individual on record, along with Peter Habeler, to ascend Mount Everest without supplemental oxygen. Messner is also the first climber to ascend all fourteen of the eight-thousanders, mountains located in the Himalayan and Karakoram ranges with peaks exceeding 8,000 meters (26,247 ft) above sea level. These are peaks that are well above the “death zone,” altitudes where the amount of oxygen is insufficient to sustain human life. Messner’s records are not the same as the medals won by competing athletes; they are physically intangible totems, cairns left on the path toward mastery. Eschewing the commodification of the modern world, Messner is the paragon of peak physical, mental and spiritual development.

The mountains remain a testament of spiritual initiation in the modern era. Populations will grow and disappear, cultures will spread and vanish, and civilizations will rise and fall, but the mountains will keep still for centuries. The timeless stability of the mountains is what has attracted spiritual seekers to them since the dawn of human culture. In this still and silent wilderness, where the body of man is at the mercy of both nature and the gods, we find the foundation to build the inner sanctum. When in the mountains, an ascetic like Julius Evola or a libertine like Aleister Crowley both find the sanctuary they seek. At these altitudes, it matters not what your opinions are or who they offend, but how well you have conditioned the body and trained the mind.

“The mountain requires purity and simplicity,” Evola wrote, “It requires asceticism… In this context, the mountainous peaks and the spiritual peaks converge in one simple yet powerful reality.

Meditations on the Peaks is published by Inner Traditions and available from their website or from Amazon.com and other booksellers.

Andrei Burke is a poet and critic who currently resides in the Los Angeles area. He holds a B.A. in Film and and M.A. in the Humanities. His work has appeared on Ultraculture and WITCH.
Andrei Burke is a poet and critic who currently resides in the Los Angeles area. He holds a B.A. in Film and and M.A. in the Humanities. His work has appeared on Ultraculture and WITCH.