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mardi, 21 février 2017

Conférence annuelle de Sécurité: Trump fait arrière toute

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Conférence annuelle de Sécurité: Trump fait arrière toute

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu 

Cette conférence se tient à Munich du 17 au 19 Février. Même si le compte-rendu complet des débats n'est pas encore disponible à la date où cet article est écrit, les participants ont enregistré un recul radical de la diplomatie américaine concernant le désir précédemment annoncé de Donald Trump de se rapprocher de Moscou et de prendre ses distances vis-à-vis de l'Otan.
 
La conférence a rassemblé plus de 500 décideurs provenant du monde entier, 25 chefs d'Etat et de gouvernement, 80 ministres des affaires étrangères et de la défense. Si Donald Trump n'y a pas personnellement participé, les Etats-Unis y ont envoyé d''importantes délégations provenant de l'Administration et du Congrès. L'objet en a été, comme pour les précédentes, de discuter des enjeux internationaux de sécurité. Classiquement, parmi ces menaces, est évoquée celle que « fait peser la Russie sur la paix du monde ». La conférence a toujours été, en effet, d'esprit atlantiste et anti-russe. Celle de février 2017 n'a pas dérogé à la règle.

La délégation américaine était très attendue. Allait-elle faire entendre un son un peu discordant. Il n'en a rien été. Le secrétaire de la défense James “Mad Dog” Mattis a rassuré les « occidentaux », et notamment les Européens. Il a dénoncé la présence d'un « arc d'instabilité » s'étant établie à la périphérie de l'Otan et au delà, soit le Moyen-Orient et l'Afrique du Nord. Même s'il n'a pas clairement désigner les responsables de cet arc d'instabilité, chacun a compris qu'il s'agissait de la Russie et de l'Iran.

Il a ajouté que la sécurité de l'Amérique est en permanence attachée à celle de l'Europe. Par ailleurs, il a reconnu avoir un « grand respect » pour le leadership allemand en Europe. Il s'est inscrit ainsi en contradiction avec les affirmations précédentes de Trump dénonçant l'Otan comme obsolète et demandant à ses membres d'accroitre sensiblement leur contribution. Trump avait par ailleurs précédemment présenté l'Union européenne comme un « consortium » au service des intérêts allemands.

Dans la suite de la démission forcée du conseiller à la Sécurité Michael Flynn, suspecté d'intelligence avec la Russie, Mattis à Munich et parallèlement le secrétaire d'Etat Tillerson au sommet du G2 qui s'était précédemment tenu à Bonn, ont indiqué que Washington n'envisageait aucune perspective de rapprochement significatif avec Moscou. Les Etats-Unis d'ailleurs n'ont en rien ralenti le déploiement des 4.000 hommes s'ajoutant aux forces de l'Otan à la frontière de la Russie.

Concernant le Moyen Orient, Tillerson a précisé à ses homologues français, britannique, saoudien et turc qu'aucune coopération avec la Russie ne serait envisageable tant que celle-ci ne se distancierait pas de Bashar al Assad et continuait à l'aider dans sa lutte contre les prétendus « rebelles modérés » soutenus par eux. Ceci serait évidemment totalement envisageable par Moscou, pour qui l'alliance avec Damas est un incontournable géostratégique.

Parallèlement, l'ultra-néoconservateur sénateur John McCain, présent à Munich, s'est fait remarquer par une mise en cause radicale des positions précédemment affichées vis à vis de la Russie par Flynn, Mattis, John Kelly et le vice-Président Mike Pence. Il a salué leur retour à plus de raison.

Cette conférence de Munich met en lumière aux yeux du monde l'incapacité où se trouve désormais Donald Trump de définir et maintenir une position diplomatique quelque peu différente et moins catastrophique que celle jusqu'ici soutenue par Obama. Faut-il y voir le fait qu'il cède consciencieusement et par intérêt aux forces bellicistes bipartisanes qui avaient soutenu Obama et Hillary Clinton? Faut-il y voir, comme beaucoup le disent, une nouvelle preuve de son incapacité à gérer des dossiers complexes et à résister à tous ceux, y compris parmi ses ministres, qui veulent le voir rentrer dans le rang?

Références

https://www.securityconference.de/en/

https://www.securityconference.de/en/news/article/what-is...

dimanche, 19 février 2017

L’allarme di Brzezinski sul risveglio sociale

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L’allarme di Brzezinski sul risveglio sociale

Felice Capretta

tratto da www.clubcapretta.it

La presa di consapevolezza collettiva e i social network sono una minaccia per lo sviluppo dell’agenda globale… Durante un recente discorso in Polonia, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski e massimo guru del “Nuovo Ordine Mondiale” e della necessità di “drogare i popoli con il tittainment” (succhiare latte dalle mammelle), una versione moderna della massima imperiale romana “ludi et circenses” per soffocare le istanze dei popoli -ha avvertito i colleghi elitisti che un movimento mondiale di “resistenza” al “controllo esterno” guidata da “attivismo populista” sta minacciando di far deragliare la transizione verso un nuovo ordine mondiale.

Definendo l’idea che il 21 ° secolo è il secolo americano “una disillusione condivisa”, Brzezinski ha dichiarato che il dominio americano non è più possibile a causa dell’accelerazione del cambiamento sociale guidato da “comunicazioni di massa istantanee come la radio, la televisione e Internet”, che hanno stimolato un crescente “risveglio universale della coscienza politica di massa.”

L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha aggiunto che questo “aumento in tutto il mondo dell’attivismo populista sta dimostrando ostile alla dominazione esterna del tipo che ha prevalso nell’età del colonialismo e dell’imperialismo.”
Brzezinski ha concluso che “la resistenza populista persistente e fortemente motivata di coscienza politica e dei popoli risvegliati e storicamente avversi al controllo esterno ha dimostrato di essere sempre più difficile da eliminare.”

Anche se Brzezinski ha commentato in tono neutro, il contesto in cui ha parlato, unitamente alle sue precedenti dichiarazioni, indicherebbe che questa non è una celebrazione della “resistenza populista”, ma una perplessità per l’impatto che questo sta avendo sul tipo di “controllo esterno” che Brzezinski ha sostenuto più volte.
Queste considerazioni sono state effettuate a un evento per il Forum europeo per le nuove idee (EFNI), un’organizzazione che sosterrebbe la trasformazione dell’Unione europea in un anti-democratico federale superstato, il tipo stesso di “controllo esterno” a cui messa in pericolo è stata sottolineata da Brzezinski durante il suo speech.

In questo ambito, bisogna comprendere che l’argomentazione di Brzezinski sulla “resistenza populista” di notevole ostacolo per l’imposizione di un nuovo ordine mondiale è da interpretare più come un avvertimento che come riconoscimento/celebrazione.
Tieni anche in considerazione ciò che Brzezinski ha scritto nel suo libro Between Two Ages: il ruolo dell’America nell’era tecno-digitale, in cui ha sostenuto il controllo delle popolazioni da parte di una classe politica tramite la manipolazione digitale.

“L’era digitale comporta la comparsa graduale di una società più controllata. Una tale società sarebbe dominata da una élite, libera da valori tradizionali. Presto sarà possibile esercitare una sorveglianza quasi continua su tutti i cittadini e mantenere file completi ed aggiornati che contengono anche le informazioni più personali di ogni cittadino. Questi file potranno essere accessibili in realtime da parte delle autorità “, ha scritto Brzezinski.
“Nella società digitale la tendenza sembra essere verso l’aggregazione dei supporti individuali di milioni di cittadini non coordinati, facilmente alla portata di personalità magnetiche ed attraenti che sfruttano le più recenti tecniche di comunicazione per manipolare le emozioni e controllare le decisioni”, ha scritto nello stesso libro. La preoccupazione improvvisa di Brzezinski per l’impatto di una popolazione politicamente risvegliata globale non è figlia dell’idea che Brzezinski si identifichi con la stessa causa. Brzezinski è il fondatore della potente Commissione Trilaterale, un luminare del Council on Foreign Relations ed un partecipante regolare del Bilderberg. Una volta è stato descritto dal presidente Barack Obama come “uno dei nostri pensatori più importanti”. Questa non è affatto la prima volta che Brzezinski ha lamentato la crescita di una opposizione populista alla dominazione da parte di una piccola elite.

E’ stato nel corso di un meeting del CFR del 2010 che Brzezinski aveva avvertito i colleghi globalisti colleghi che un “risveglio politico globale”, in combinazione con lotte interne tra le élite, minacciava di far deragliare la transizione verso un governo mondiale.


Nota caprina: e noi, allora, ne avevamo parlato. Perchè quando Brzezinki parla, è sempre opportuno ascoltare con attenzione.

samedi, 18 février 2017

Gianfranco De Turris: “Se Evola (critico degli Usa) viene apprezzato anche alla Casa Bianca”

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Gianfranco De Turris: “Se Evola (critico degli Usa) viene apprezzato anche alla Casa Bianca”

da Michele De Feudis
Ex: http://www.barbadillo.it 
 

Gianfranco de Turris, segretario della Fondazione Evola. Il filosofo di “Cavalcare la tigre” è negli ultimi giorni tornato d’attualità per una citazione di un consigliere del neopresidente Usa Donald Trump, Steve Bannon. In che contesto Bannon ha citato Evola?

“In realtà non è proprio così, anche se il “New York Times” ha lasciato credere questo… Il quotidiano ha tirato fuori solo ora una cosa del 2014, quando Trump non era nessuno, solo per metterlo in difficoltà con quello che è ora il suo consigliere principale. Ma la coincidenza ancora più interessante è che la dichiarazione di Bannon è uscita il 10 febbraio, guarda caso esattamente dieci giorni dopo la sua nomina nel National Security Council! Se due indizi fanno una prova… L’autore dell’articolo sul NYT, Jason Horowitz, che mi ha intervistato per mettere tre righe su mezz’ora di conversazione, è il vaticanista del giornale ed è stato volutamente generico nel riferimento a tre anni fa. Ma in Rete non si perde nulla e si è trovata la fonte primaria della notizia. Bannon in realtà non parla direttamente di Evola ma lo cita en passant, rispondendo ad una domanda, dunque uno spunto occasionale, non programmato. E citando invece esplicitamente Dugin, consigliere, si dice, di Putin. Tutto qui. Una cosa ridicola e strumentale, che comunque ha permesso a “Repubblica” un titolo epocale in prima pagina (!) da incorniciare: “Evola e il Fascismo ispirano Bannon la mente di Trump”. Il titolo dell’articolo è nel classico stile-Repubblica, allarmistico e pomposo: “Il cuore nero della destra americana”. E cioè: Sun Tsu, Spengler, D’Annunzio, Evola e Mussolini! Ah, anche Dart Fener, il cattivo di “Guerre stellari”… Insomma, una “trama nera”, che va dalla Rivoluzione Conservatrice a Star Wars…. Risun teneatis! Incredibile ma vero. A questo giunge la stampa italiana, senza senso del ridicolo. Ma questo ci fa gioco.
Insomma, all’inizio c’è una bufala strumentalizzata ad uso interno statunitense, anche se è perfettamente vero, come mi avevamo detto tempo fa amici americani, che Stephen Bannon è un conoscitore del tradizionalismo e legge e studia non solo Evola, ma anche Guénon, Dugin e de Benoist, che un vero tradizionalista certo non è, ma che comunque collabora anche al sito Breitbart News, cuore della cosiddetta Alt-Right statunitense”.

Ma che cosa interessa a Bannon del tradizionalismo?

“Se ci si deve basare sulla conferenza in Vaticano dove i riferimenti sono generici, si deve pensare che Bannon in realtà riprende piuttosto alcuni concetti della Rivoluzione Conservatrice, condivisi spesso parzialmente e con riserve (vedi il caso del principio di autodeterminazione dei popoli) dal pensiero tradizionale. È ad ogni modo la critica alla modernità che interessa a Bannon del pensiero tradizionale, le accuse al mondialismo, alla globalizzazione mercantilista, ecc. Una forma di anticapitalismo di Destra, insomma, assai diffuso anche al di fuori del pensiero tradizionale. Con risvolti ultrapopulisti che però riprendono più la tradizione americana che quella europea e che di sicuro Evola non avrebbe mai sottoscritto considerando il tipo di critiche che rivolgeva a fascismo e nazismo su questo punto”.

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Evola negli Usa: è studiato dalle élite americane o nelle accademie oltreoceano?

“Macché! La cosa paradossale è proprio questa. Nonostante che tutti i suoi libri maggiori siano tradotti in inglese soprattutto dalla americana Inner Traditions, che io sappia non viene non dico letto dalle élites, ma neppure studiato nelle università, a parte alcuni singoli docenti che se ne sono occupati per aspetti particolari come Richard Drake per l’aspetto politico, Joscelyn Godwin per l’esoterismo o Jeffrey Schnapps per l’arte. Forse questo inaspettato parlarne sui grandi giornali americani potrebbe accendere un vero e serio interesse per la sua opera multiforme, al di là delle sciocchezze che sono state scritte…”.

Il barone dedicò saggi e studi agli Stati Uniti e all’americanismo. Con che orientamento?

“Evola ha scritto sugli Stati Uniti sin dagli anni Trenta con il famoso saggio “Americanismo e bolscevismo” che poi divenne la conclusione di “Rivolta contro il mondo moderno” già nella prima edizione del 1934. Sono le due facce della stessa medaglia, cioè il materialismo, che alla fine stritoleranno l’Europa, in quanto particolare tipo di civiltà. Caduta l’URSS però sono rimasti solo gli USA. Dopo quasi trent’anni adesso a capo degli USA c’è un singolare personaggio, del tutto imprevisto e imprevedibile, gli sviluppi della cui politica non è possibile immaginare, e le cui posizioni potrebbero essere influenzate da Bannon.
Certo è paradossale, una beffa se non una nemesi della Storia che un pensatore che ha visto nell’americanismo un nemico più pericoloso del comunismo in quanto subdolo, e che contro gli USA ne ha scritte di tutti i colori (basti leggere gli articoli riunti da Alberto Lombardo in “Civiltà americana”, quaderno della Fondazione Evola) abbia improvvisamente un accesso al pensiero di un consigliere di un presidente americano! Chi lo avrebbe mai potuto immaginare? La Storia non è già stata scritta e non va in un’unica direzione come pensano i progressisti oggi in grandi ambasce. Non so pensare a come andrà a finire, sempre che si consenta a Trump di arrivare a fine mandato (i casi Kennedy e Nixon insegnano). Mah!”.

L’attualità del pensiero evoliano: resta concretamente spendibile per comprendere gli scenari internazionali?

“Il pensiero di Evola non è un pensiero politico ma metapolitico, non è pratico ma si preoccupa di formare le menti e lo spirito per affrontare la politica-politicante, voleva creare “una destra spirituale” come scrisse ne “Gli uomini e le rovine” nella edizione del 1967. E ciò vale sia nella politica interna che in quella internazionale. Sono i grandi principi, i valori base che contano, il riferimento al sacro, una forma mentis antimoderna e antimaterialistica. E oggi che è tutto impregnato di materialismo, laicismo, dove tutto è secolarizzato soprattutto in USA, è difficile pensare secondo le sue indicazioni. Ma non impossibile. La classe dirigente è stata allevata in base a ben altri criteri. I riferimenti, che hanno fatto alcuni giornali italiani al “predominio della razza bianca” sono ridicoli, se non demenziali”.

Tiriamo le somme: molto rumore per nulla?

“Penso di sì. Non dimentichiamoci che, da quando è stato eletto Trump la grande stampa progressista internazionale è coalizzata contro di lui: il NYT, e qui da noi i grandi quotidiani, dedicano letteralmente un servizio al giorno per screditare lui e i suoi collaboratori. Nel nostro caso è una strumentalizzazione anti Trump di un fatto lontano e tangenziale, indiretto, ripescato nella memoria di un giornalista. Tanto per poter dire, fornendo un’immagine forzata e inventata delle idee di Evola, che gli Stati Uniti potrebbero diventare una nazione autoritaria, se non dittatoriale e fascista, e magari giustificare un golpe bianco contro Trump o il suo assassinio da parte di qualche esaltato che uccide ill tiranno in nome della democrazia. Io credo proprio che Evola se la ridirebbe di gusto… Anche se, considerando le imprevedibilità della Storia recente, non si sa proprio quel che potrebbe accadere”.

@barbadilloit

@waldganger2000

Di Michele De Feudis

jeudi, 16 février 2017

Le Deep State dans tous ses états

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Le Deep State dans tous ses états

Ex: http://www.dedefensa.org 

16 février 2017 – Une fois de plus, je prends la plume pour interférer dans le travail du site (dedefensa.org) et donner un aperçu personnel et néanmoins général des événements washingtoniens après la démission de Flynn, le conseiller direct de Trump pour la sécurité nationale, et l’un de ses plus anciens compagnons d’armes sur la route menant à la Maison-Blanche. Par commodité, je citerais au minimum des extraits de mes “sources”, qui sont dans tous les bons articles de la presse-antiSystème. (Vous pouvez trouver une bonne synthèse de cette affaire, donnant elle-même toutes les sources qui importent, dans le texte de Virgil, de Breitbart.News, le 16 février. Plus loin, vous aurez d’autres références-URL)

Bref, la transition est toute faite pour entrer dans le vif du sujet par un exposé préliminaire : la non-citation des sources est une habitude de la presseSystème, devenue habitude hystérique et spasmodique dans l’ère Trump. On peut donc sans véritable risque, vous pouvez m’en croire, inventer ses “sources” pour mieux accréditer les montages que passent impérativement les “non-sources” venues de l’IC (Intelligence Community) alias Deep State (État profond), ou faisant fonction. Jamais le trafic de “sources”, avec “fuites” organisées d’informations inventées pour la cause, n’a été aussi massif, sorte d’inondation diluvienne, de tsunami, etc. Plus que jamais par conséquent, il faut renoncer à la réalité qui n’existe plus, tenir apriori pour mensongères les “sources” les plus respectables selon le catéchisme-Système (NYT, WaPo, etc.), décrétées par nous coupables tant que leur innocence éventuelle n’a pas été sérieusement prouvée, etc. Dans le cas qui nous occupe, il faut admettre qu’il y a eu un simulacre de fuites massives, des informations-simulacres venant de sources-simulacres également, néanmoins implantées dans l’IC, devenant elle-même une IC-simulacre, le tout aboutissant à une liquidation de Flynn... Pourquoi ne croirait-on pas, ironiquement au sarcastiquement, qu’il s’agit d’une liquidation-simulacre ? Le plus fort c’est que certains l’affirment...

Sur cet arrière-plan plein de faux-semblant et de fausses perspectives, j’en viens à un exposé succinct de cette affaire & conséquences, en quelques points remarquables :

• La liquidation de Flynn est un montage de A jusqu’à Z, sans discussion possible. D’une façon générale, les analystes sérieux, hors-presseSystème hystérique, voient cet épisode comme un revers très important pour l’administration Trump, notamment pour compromettre sa politique de rapprochement avec la Russie. L’idée générale est qu’il s’agit du premier d’une liste significative de personnes, proches de Trump, à éliminer de la même façon (Bannon, Miller, Kellyanne Conwy, Priebus), et en final bien entendu, Trump lui-même, – par démission forcée, destitution, voire, pourquoi pas, quelque chose de plus expéditif, – See what I mean ?, dit un personnage des complots courants à Washington. L’idée est de rendre totalement inopérante l’administration Trump, jusqu’à la désintégration complète de la chose. Le moyen, comme vu ci-dessus, est celui de la guerre de la communication, menée quasiment à visage découvert par l’IC, qui a un compte à régler avec Trump.

• Cette dernière remarque ci-dessus m’entraîne irrésistiblement vers le second point, qui me frappe particulièrement et sur lequel je revient plus loin parce que c’est le pivot du drame : l’action quasiment à découvert de l’IC, applaudie par des journalistes-Système dans des tweets particulièrement parlant. (La chose a déjà été dite et répétée depuis plusieurs sorties publiques ès qualité de Brennan, directeur de la CIA jusqu’à la fin janvier, contre Trump, dans des termes croquignolets : « Plus encore que la trace d’un Silent Coup qui n’en finit pas de faire un bruit assourdissant, c’est à cette implosion que nous pensons lorsque, par exemple, l’on assiste à ces échanges surréalistes entre l’actuel directeur de la CIA Brennan [directeur-sortant] et le président-élu, où le premier estime [sur FoxNews] que le président-élu parle beaucoup trop, qu’il ferait mieux de mesurer ses paroles, “to watch what he says” [“sinon...“, pense-t-on aussitôt comme l’on pense à Dallas-JFK]... ») Tout cela justifie, une fois de plus après les innombrables occasions rencontrées depuis le 8 novembre 2016, cette question lancinante : « A coup d'Etat underway? »

• Pendant ce temps, la politique extérieure de Trump est ce qu’on sait qu’elle est, – étrange, inattendue, incertaine et improbable ; depuis l’article d’Alastair Crooke (du 10 février) auquel je fais référence, les choses ont encore empiré. Certains estiment d’ailleurs que Trump a complètement trahi ses engagements de campagne, qu’il a rallié les neocons, comme Eric Zuesse qui juge que « Trump a déclaré la guerre à la Russie » tandis que Wayne Madsen multiplie les textes où il démontre que Trump est allié à Soros, que les néo-nazis se trouvent aussi bien à la Maison-Blanche qu’à la Rada de Kiev et que comme leurs comparses de là-bas, ils ne jurent que par la destruction de la Russie (et de la Chine, et de l’Iran).

• Dans ce cas, s’interroge-t-on, pourquoi le Deep State et la presseSystème toute acquise aux neocons continuent-ils à bombarder Trump comme ils font, lui qui paraît selon certains points de vue  plus en plus ressembler à un hyperneocon? A le haïr, à en faire leur ultime objectif, y compris selon les méthodes les plus expéditives ? Pourquoi, au fait, ont-ils liquidé Flynn qui voulait manifestement mener la meute de ceux qui entendent mettre l’Iran à genoux, ou bien la bombarder comme le souhaitait joyeusement le sénateur McCain, – lui qui ne cesse aujourd’hui d’insulter Trump, – il y a quelques années, en 2007, sur un air des Beach Boys qui nous rappelait notre folle jeunesse, à nous les plus vieux, – « Bomb, Bomb, Bomb Iran » ? La réponse est tellement simple : parce qu’ils (Deep State, presseSystème, McCain) les haïssent, toute cette bande-à-Trump, qu’ils ne peuvent pas les souffrir, qu’ils sont rendus fous par eux, par leur seule existence, par leur usurpation de la Maison-Blanche, vous comprenez ? Ce n’est pas une question de politique, c’est une question de neuroleptiques pris en quantité insuffisante ou exagérée c’est selon...

• Par ailleurs, et ceci en passant, pour rappel si vous voulez car la source consultée ici coulait le 13 février, donc avant le départ de Flynn ; par ailleurs, dis-je, vous apprendrez que les Russes ne sont plus vraiment rassurés ni à la fête, mais pour des raisons variées, et notamment, selon Foreign Policy, parce qu’ils craignent que Trump soit politiquement abattu, ou même assassiné, et parce qu’ils se considèrent comme des “otages de la présence de Trump à la Maison-Blanche”. Le paradoxe est que l’arrivée d’un président prétendument plus ouvert à la coopération avec la Russie a un effet paralysant sur la diplomatie russe... C'est une ruse du Système, ça.

« Ce que les Russes craignent le plus aujourd’hui, c’est que Trump soit chassé ou même tué. Son départ, disent des sources internes du Kremlin, amènerait une campagne bipartisane antirusse virulente à Washington. Par conséquent et étrangement, Poutine est devenu l’otage de la survie et du succès de Trump. Cela restreint sérieusement les options géopolitiques de la Russie. Les Russes savent parfaitement que les démocrates veulent utiliser l’épouvantail-russe pour discréditer et destituer Trump alors que les républicains veulent utiliser l’épouvantail-russe pour réduire et discipliner Trump. Le gouvernement russe craint non seulement la chute de Trump, bien entendu, mais aussi la possibilité qu’il puisse par opportunisme adopter une ligne antirusse dure de façon à faire la paix avec les dirigeants républicains ultra-faucons du Congrès. » 

• Si l’on veut un autre point de vue, une autre chansonnette, sur un autre rythme endiablé, certainement plus exotique mais en vérité pas vraiment plus folle que le reste puisqu’on y est, allez voir l’interprétation de Sorcha Faal de WhatDoesItMeans, pour qui Trump est un Grand-Maître de la franc-maçonnerie engagé dans une bataille sans merci contre les globalistes. C’est dans son texte du 14 février qu’il est montré, avec un luxe de détails dont nombre se recoupent dans les faits d’ailleurs (oups), que la démission de Flynn est effectivement une démission-simulacre (ou “Fake-You’reFired”), avec l’active complicité russe, pour permettre au susdit Flynn de poursuivre dans la clandestinité sa riposte contre la CIA.

Ce qui me paraît étrange, finalement, c’est de parvenir à seulement songer un instant à sortir un jugement de tout cela, et en plus à le présenter comme s’il s’agissait de l’oracle accompli. De fait je trouve, – alors là, une fois n’est pas coutume, – que la sagesse même est sortie de la bouche charmante de Federica Mogherini, Haute Représentante de l’UE qui vient de visiter Washington D.C. et de rencontrer notamment la bande à Trump. Federica nous dit ceci qui ne met aucun côté en cause pour mesurer justement l’essence même de la situation, d’ailleurs à l’intense insatisfaction et la colère rentrée de ses collègues de la direction-UE qui ne rêvent que d’une chose, de manger du Trump à chacun de leur petit-déjeuner, ou, dans le cas de Juncker, pour arroser chacune de ses chopes ...

« Je n’ai jamais vu les États-Unis aussi polarisés et divisés, et déchirés par des conflits sans nombre, qu’ils ne sont aujourd’hui., nous dit Federica (à Die Welt). Quoi qu’il en soit, celui qui entend jouer un rôle global doit être intérieurement fort, structuré et assuré de sa stabilité intérieure. [...] Quand la plus grande démocratie du monde est confrontée à des tensions d’une telle puissance, elle peut devenir un facteur de déstabilisation pour le reste du monde. »

Je ne sais pas qui est précisément ce mystérieux “État profond” (Virgil lui-même s’interroge), de même que j’ignore ce qui se trouve dans la tête de The-Donald, et s’y a seulement quelqu’un... Disons, pour faire court, bref et clair, oui disons que le bordel règne dans toute son impériale splendeur et sa sereine globalité, au cœur de Washington D.C. Pour le reste, c’est-à-dire le courant des choses qui courent si vite, entre une réflexion ou l’autre qui peut avoir quelque intérêt à être rapportée pour notre démarche générale, à nouveau je nous propose la philosophie-Alastair : « Well, peut-être est-il préférable de s’asseoir et d’observer, et de ne plus tenter de déchiffrer les runes. »

... S’il vous plaît, ne dites pas que je me répète car cela est bien assez vrai pour que j’en sois conscient sans discussion. Je ne peux ni ne veux, pour remplir mon contrat d’observateur, éviter d’écrire quelques phrases à propos de ces événements si considérables et sur la mécanique desquels nous ne pouvons rien, et d’autre part je me refuse à dire que je sais si je ne sais pas.

L’Union Européenne, un bouc émissaire un peu trop facile

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L’Union Européenne, un bouc émissaire un peu trop facile

par Thomas Ferrier

Ex: http://thomasferrier.hautetfort.com 

A chaque fois qu’une politique européenne réussit, chaque gouvernement national s’attribue tout le mérite. En revanche dès qu’une politique nationale se révèle un échec, ou rencontre de très grandes difficultés alors l’Union Européenne est la seule responsable et bien sûr coupable. Que cela soit l’attitude des gouvernements nationaux au pouvoir est parfaitement logique. Ils fuient leurs responsabilités à chaque fois que c’est possible. Que les partis d’opposition, et notamment ceux de droite nationale, qui font désormais du souverainisme le cœur de leur message, agissent de la même façon, est étrange.

Au lieu en effet d’accuser les dirigeants nationaux de mettre en œuvre des politiques nocives pour les peuples, ils les exonèrent d’une certaine manière en accusant la « toute puissante Union Européenne » de leur dicter des politiques auxquelles sinon ils s’opposeraient. Ces souverainistes fétichisent ainsi l’Etat national qui par définition à leurs yeux ne peut pas faire d’erreur. Avec eux, l’Union Européenne, qui a certes souvent tort ces dernières années, est toujours en faute, quoi qu’elle fasse ou ne fasse pas d’ailleurs. Elle est accusée de tout et son contraire. On lui reproche son ultra-libéralisme et sa soumission aux dogmes du libre-échange mais elle serait la nouvelle URSS. On l’accuse d’être permissive face aux flux migratoires, mais dans le même temps d’être raciste, en voulant distinguer les Européens et ceux qui ne le sont pas.

Prenons l’exemple de l’immigration, thème qui est à la base du vote populaire croissant dont les partis de droite nationale bénéficient puisque le reste de la classe politique nationale et « européenne » leur laisse ce thème en monopole. Est-ce que l’Union Européenne en est responsable par le biais de l’espace Schengen, dont le Royaume-Uni n’a jamais fait partie, ce que les défenseurs du « brexit » oublient généralement de dire ?

Schengen définit l’absence de frontières à l’intérieur de son espace mais laisse aux Etats limitrophes de l’espace extérieur à l’UE (Grèce, Espagne, Italie notamment) la responsabilité de leur protection. Or il est un fait que ces pays sont dirigés par des gouvernements très permissifs en ce domaine et qui souhaitent simplement que le migrant ne fasse que transiter par leur territoire jusqu’à arriver dans des pays plus laxistes en matière d’accès aux aides sociales, comme la France ou la Belgique, et plus récemment l’Allemagne.

L’Union Européenne est-elle donc responsable d’un appel d’air migratoire ? Notons d’abord que c’est Angela Merkel qui, de son propre chef et sans en informer ses partenaires ou les dirigeants de l’UE, a décidé d’ouvrir ses frontières aux migrants prétendument venus de Syrie, bien que beaucoup viennent de partout sauf de Syrie. C’est donc une dirigeante nationale qui, de manière souveraine, a décidé de cette politique d’un nombre croissant d’Allemands lui reproche. Mais il en a toujours été ainsi.

C’est en effet dans le pays le plus europhobe d’Europe, le Royaume-Uni, dont le vote en faveur d’un « brexit », prôné depuis des années par tous les grands quotidiens britanniques, qui n’ont cessé d’accuser l’UE de tous les maux, illustre le peu de popularité dont jouit l’Union Européenne, à tort ou à raison, dans ce pays, que l’immigration post-coloniale a commencé, de par la volonté de la gauche travailliste, le Labour. Déjà dans les années 50, des émeutes « ethniques » ont commencé à éclater et ceux qui s’en sont émus, à l’instar du conservateur Enoch Powell, ont très vite été diabolisés.

En France, dès la Libération, le patronat, dans une alliance surprenante avec les communistes, a commencé à prôner une immigration post-coloniale pour « reconstruire la pays ». De Gaulle, avant sa démission en 1946, prônait au contraire une immigration strictement européenne.  De même, c’est en 1963 que le gouvernement allemand a signé un accord avec la Turquie pour faire venir des centaines de milliers de travailleurs turcs en Allemagne, à une époque où régnait à Berlin le principe du « droit du sang » jusqu’à ce que Schröder en 2000 y ajoute un droit du sol.

Ce sont donc bien les Etats « nationaux » qui sont responsables de cette politique migratoire, ayant amorcé le processus et créé les pompes aspirantes qui n’ont désormais jamais cessé de fonctionner. Notons aussi que les pays d’Europe non membres de l’UE sont confrontés au même phénomène, et le cas de la Norvège est emblématique, ce qui démontre bien que l’UE n’en est pas spécialement responsable, même si elle ne fait rien, et structurellement ne peut rien faire, contre.

L’Union Européenne est une « Europe des Etats » (cf. Jean-Paul Jacqué) donc elle est à l’image des Etats qui la composent et qui sont liés entre eux par des traités. Elle n’est donc aucunement une entité politique et n’est représentée en tant que telle ni à l’ONU ni à l’OTAN. Même si le traité prétendument « constitutionnel » de 2005 avait été voté, elle serait restée la même organisation.

Qui dirige l’Union Européenne ? Trois structures principales peuvent être évoquées. Il y a le Conseil Européen, composé des chefs d’état et de gouvernement des 28. Il y a ensuite le Conseil de l’Union Européenne qui réunit tous les ministres des 28 en chargé d’un domaine précis, par exemple l’agriculture. Ces deux organisations sont donc supranationales certes, mais surtout composées des élus des nations. Il y a enfin la Commission Européenne, dont le président est choisi par consensus par les chefs d’état et de gouvernement, qui choisissent aussi les commissaires, chaque commissaire représentant un état membre. C’est ainsi que François Hollande a imposé Pierre Moscovici à Bruxelles.

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Certes le parlement européen dispose désormais de la possibilité de rejeter le président de la commission européenne proposé par les Etats et de refuser également les commissaires. Il n’a jamais vraiment utilisé ce droit de veto sauf pour barrer la route à un commissaire italien potentiel qui avait tenu des propos audacieux sur un fait de société auquel il était opposé, Franco Frattini de mémoire. Si c’était un vrai parlement, c’est-à-dire composé de députés courageux, et non de recalés des élections nationales, dédommagés par leur parti en les envoyant à Strasbourg toucher des émoluments intéressants, ou des députés anti-européens incapables d’être élus aux élections législatives en raison d’un mode de scrutin défavorable, il rejetterait par principe le candidat des Etats. Il ne l’est pas mais pourrait le devenir.

Espérer de l’Union Européenne qu’elle mette en place la politique que les gouvernements nationaux exigent est en l’état illusoire. Elle n’est qu’une courroie de transmission. Contrairement à ce que prétendent les souverainistes, l’UE ne commande à personne. Elle obéit au contraire aux injonctions des gouvernements. C’est dans le rapport de force entre Etats que tout se joue. Il est sûr qu’Angela Merkel a aujourd’hui du poids mais celui-ci s’exprime en dehors de l’UE.

Or si les Etats sont les principaux responsables des politiques que les citoyens refusent, à quoi servirait donc de quitter l’Union Européenne ? A quoi cela servirait-il de suivre la ligne d’un Royaume-Uni qui ne résoudra aucun de ses problèmes de fond par son « brexit » ? En quoi l’euro est-il responsable du déficit français qui est essentiellement lié à l’effondrement de son modèle social, grevé par le coût immense d’une immigration post-coloniale qui pèse de plus en plus sur son économie, sur sa politique de sécurité, et génère structurellement un chômage de masse ?

Si la France et l’Allemagne sont dans la situation actuelle, ce n’est pas de la faute de l’Union Européenne, qui n’en est pas coupable même si elle n’est en aucune manière salvatrice non plus, c’est d’abord de la responsabilité de leur gouvernement respectif. Or peut-on « sortir de son Etat national » ? Car selon cette logique, c’est ce qu’il faudrait donc faire. Si le pouvoir réel était à Bruxelles, les media ne donneraient pas autant d’importance aux élections présidentielles en France ou législatives en Allemagne en 2017. Or les dirigeants des partis nationaux n’aspirent pas à devenir président de l’Union Européenne ou président de la commission, mais chancelier allemand ou président français. C’est donc que pour eux le véritable pouvoir est bel et bien resté au niveau national.

Et si l’Union Européenne demain pouvait au contraire servir de point de bascule pour renverser les politiques des gouvernements « nationaux » ? Et si elle était le bélier qui permettait de renverser le système dont elle est elle-même le fruit ? Cela voudrait dire qu’il faudrait s’emparer de l’Union Européenne, grâce aux élections européennes qui sont la seule porte d’entrée existante, de jouer ainsi Strasbourg contre Bruxelles, et en réalité contre Paris et contre Berlin. Au lieu de sortir de l’Union Européenne, ce qui ne résoudra aucun problème, en prendre le contrôle et la retourner contre ceux qui en furent les promoteurs serait beaucoup plus sage. Car les périls dont tous les Européens souffrent nécessitent une grande politique qui ne sera vraiment efficace qu’au niveau européen, du fait qu’une Europe unie sera capable de tenir tête aux USA et au monde entier, surtout si elle cultive en outre une forte amitié avec la Russie.

Thomas FERRIER (Le Parti des Européens)

mardi, 14 février 2017

Moscou prend l'initiative dans la question afghane

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Moscou prend l'initiative dans la question afghane

par Jean-Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu
 
Moscou accueillera mi-février une réunion internationale sur l'Afghanistan avec des représentants des pays de la région mais a priori sans les Occidentaux, a annoncé mardi le chef de la diplomatie russe Sergueï Lavrov.

"Nous avons confirmé à nos collègues afghans l'invitation à une nouvelle réunion sur le règlement (du conflit), qui doit se tenir mi-février à Moscou avec la participation de représentants russes, afghans, pakistanais, chinois, iraniens et indiens", a indiqué M. Lavrov au cours d'une conférence de presse avec son homologue afghan Salahuddin Rabbani. Cf Le Parisien http://www.leparisien.fr/flash-actualite-monde/moscou-acc...

Avec sans doute l'accord de Donald Trump, un commentaire de Voice of America a cependant reproché à la Russie de prendre cette initiative non pour ramener la paix dans un pays dévasté par 15 ans de guerre, mais pour affaiblir la position américaine, du fait que ni les Etats-Unis ni l'Otan n'étaient invités à la conférence. Apparemment, Washington voudrait éviter de voir la Russie rééditer son exploit en Syrie, où elle est train d'éradiquer la guerre et d'en éliminer pratiquement les Etats-Unis.

En fait, le lobby militaro industriel américain craint de perdre la source des profits considérables qu'il a obtenu de ces 15 ans de guerre et de la présence ininterrompue de l'armée américaine. On peut estimer ces profits à des dizaines de milliards de dollars, dont beaucoup ont été obtenues sous de faux prétextes. Ainsi une grande partie de ces dollars a servi à rémunérer des soldats fantômes afghans “ghost soldiers”, n'existant que sur le papier.

La CIA et le Pentagone n'ont aucun intérêt en conséquence à voir la Russie susciter des efforts de coopération entre les Etats invités à la conférence, dans une région dont l'importance stratégique est considérable. De plus, les Américains ne veulent pas se voir privés un tant soit peu de l'accès aux ressources minières potentielles de l'Afghanistan, dont nous avions précédemment souligné l'importance.

Les faucons américains, notamment le sénateur John McCain, ont accusé les Russes de vouloir légitimer les talibans et miner à leur profit l'influence des Etats-Unis et de l'Otan – ceci au détriment de la sécurité intérieure aux Etats-Unis. Rappelons que McCain représente l'Arizona où l'industrie de l'armement tient un rôle essentiel. Il est à noter que Trump, oubliant ses prétentions à se rapprocher de Moscou, n'a rien fait pour désavouer les discours du lobby afghan américain.

Concernant les rapports futurs de de la Russie avec le pouvoir en poste à Kaboul, la visite la semaine dernière à Moscou du ministre des affaires étrangères afghan Salahuddin Rabbani (image) aurait permis de préciser les possibilités de coopération entre les deux pays. Trump n'a d'ailleurs pas perdu une minute après cette visite pour rappeler au téléphone le Présidant afghan l'importance de l'« U.S.-Afghanistan Strategic Partnership » et l'assurer de son soutien.

Soutien vis à vis de qui? D'éventuelles menaces de la Russie, du Pakistan, de la Chine, de l'Iran et de l'Inde? Trump fait semblant d'oublier les désastres provoqués en Afghanistan par ses prédécesseurs, sous prétexte de combattre les Talibans. 

samedi, 11 février 2017

La question allemande et l’islam

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La question allemande et l’islam

par Guillaume Faye

Ex: http://gfaye.com

Pour la première fois, l’Allemagne a été frappée par un attentat musulman d’envergure revendiqué par Dae’ch, le 19 décembre 2016, dans le symbolique marché de Noël de Berlin, après une série de moindres attaques annonciatrices. Le terme ”musulman” est préférable  à ”islamiste”, car ce dernier vocable suggère qu’il ne s’agit pas de l’islam mais de sa déformation extrémiste. Ce qui est faux : l’islamisme et toutes ses exactions, dont le terrorisme, sont le produit du véritable islam, parfaitement conforme au Coran, livre de chevet de tous les djihadistes. Cet attentat est la conséquence de la politique d’encouragement de l’invasion migratoire de son pays – et des voisins européens– de la très perverse chancelière Angela Merkel, folle vêtue de la robe des sages. Le nouveau Président Trump a parfaitement compris la nocivité de la Chancelière. 

Face à l’agression, la réponse bisounours

 Et comme toujours, à cet attentat de Berlin, on a réagi avec des larmes, des bougies, des bouquets de fleurs, des pleurs, des pardons. Les Allemands sont aussi affaiblis que les Français, voire plus. On exprime la ”tristesse”, pas la colère. On donne de soi une image de défaite, de déréliction et donc de soumission, catastrophique.

 Les viols et agressions sexuelles de masse commis à Cologne par des Maghrébins (faux réfugies et vrais envahisseurs) pour le nouvel an 2016 contre des Allemandes de souche n’ont pas tellement fait réagir l’opinion allemande (sauf une minorité diabolisée comme politiquement incorrecte), totalement abrutie par la propagande du système. Ces faits participent du début de la guerre civile ethnique qui menace l’Europe.  

Après l’attentat de Berlin ; Angela Merkel s’est dite « très fière du calme avec lequel un grand nombre de personnes ont réagi à la situation ». Ce ”calme” n’est que de l’apathie et de la soumission. Et Angela Merkel est objectivement complice – organisatrice plutôt – du processus d’invasion migratoire et donc de tous les maux que cela provoque, dont la criminalité et le terrorisme.  Le cynisme froid de cette femme de tête obéit à une logique, non pas  en fait la plus nuisible des dirigeants politiques européens depuis 1945. Et, malheureusement, la plus influente, du fait du rabaissement tragi-comique du partenaire français – entièrement de sa faute, l’Allemagne n’étant pour rien dans les clowneries de François Hollande.

En Allemagne, 168.000 clandestins déboutés du droit d’asile restent en attente d’expulsion. Ils ne risquent pas grand–chose, tout comme en France et ailleurs en Europe. Les agressions sexuelles massives du nouvel ans 2015 à Cologne par de faux réfugiés maghrébins (voir plus haut) ont été réfutées dans leur réalité par l’idéologie antiraciste du déni, dont Mme Merkel est la gardienne, elle qui a invité et fait entrer plus d’un million d’envahisseurs, appelés ”migrants”, et qui continuera à le faire si elle est réélue. Une partie de l’opinion publique allemande, abrutie et infantilisée, appelle la chancelière Mutti (”maman”), comme si elle était une protectrice du peuple allemand ; alors qu’elle en est une destructrice.

L’Allemagne, malade et  masochiste

En pleine forme économique (provisoire), l’Allemagne meurt néanmoins à petit feu, pour d’implacables raisons démographiques. Elle vit son chant du cygne, sa dernière illusion. De moins en moins de jeunes Allemand(e)s de souche naissent et se reproduisent. Le pays doit aller chercher sa main d’œuvre ailleurs. Un peuple qui vieillit est comme un capital qui s’épuise. Si rien ne change, dans deux générations, le peuple allemand aura disparu sous le double choc de la dénatalité et de l’invasion migratoire. C’est plié. Même la langue allemande deviendra doucement une langue morte.  La dégermanisation de l’Allemagne est entamée

Notons que l’Allemagne (l’oligarchie et non l’opinion populaire, le peuple allemand) qui se croyait à l’abri des frappes terroristes musulmanes parce qu’elle n’a pas de passé colonial, qui a toujours manifesté une islamophilie et une turcophilie, a été frappée par les tueurs musulmans. Ironie de l’histoire : le Troisième Reich soutenait l’islam, et le Deuxième était allié du Sultan ottoman pendant la Première guerre mondiale. Les rapports de l’Allemagne et de l’islam sont troubles ; et ce dernier montre une singulière ingratitude. C’est sa marque de fabrique. La naïveté allemande, marquée par la culpabilité, n’en est que plus tragique. 

Selon Ivan Rioufol, « la société allemande est dévastée par la culpabilisation. Ainsi meurent les civilisations émasculées et décadentes ». Comme en France, voire pis encore, « les citoyens sont anesthésiés par l’idéologie du grand mélangisme. […] L’Occident évitera la débâcle s’il renoue avec l’autorité, la force, la guerre. L’islamophilie d’Obama a accentué la vulnérabilité du monde libre, que Merkel a trahi en ouvrant les portes à plus d’un million de musulmans au nom de la ”diversité” » (Le Figaro, Janvier 2017).

L’irresponsabilité allemande menace l’Europe et le peuple allemand

La naïveté et l’angélisme règnent en Allemagne plus qu’ailleurs et cela frise la perversité. Ce pays a accueilli en un an un million de réfugiés et le flux continue. Mme Merkel est une destructrice de la civilisation européenne. Appels irresponsables à l’accueil de ”migrants” et de ”réfugiés” (à 90 % faux persécutés et envahisseurs) frontières ouvertes, contrôles déficients, laxisme judiciaire, police  molle, la liste est longue des dérapages de l’ État allemand, pires que ceux de ses voisins européens.   

Le racisme délirant de Hitler doit être mis en parallèle avec l’antiracisme délirant de Mme Merkel. Le résultat est le même : une catastrophe pour l’Europe. De nature criminelle, dans les deux cas, directe dans le premier, indirecte dans le second. Avec la bêtise en prime. Autant il y a, dans la civilisation européenne, une grandeur allemande par ses apports culturels et scientifiques, par ses réussites économiques, autant, sur le plan politique, l’Allemagne, dès qu’elle s’impose, est une catastrophe pour l’Europe. Tout faux, tout le temps, et ce, depuis…1870 !  Exactement comme la politique étrangère américaine depuis les années 60.

Allemagne-islam.jpgMilitariste ou pacifiste, raciste ou antiraciste, militariste orgueilleuse ou masochiste culpabilisée, atlantiste américanolâtre (l’ex RFA), ou stalinienne et néo-hitlérienne (l’ex RDA), la politique allemande a toujours été catastrophique. Mme Merkel, en ouvrant les frontières de l’Europe aux ”migrants” envahisseurs est dans la continuité de cette irresponsabilité allemande. Cette dernière n’est pas seulement nuisible à l’Europe mais aussi au peuple allemand lui–même

Haine raciste anti-européenne et christianophobie

Pour Gilles Kepel, « le marché de Noël qui a été visé revêt naturellement une dimension chrétienne mais présente aussi un caractère festif […], une fête de la consommation ». (Le Figaro, 21/12/2016).  Noël, symbole de tout ce qu’ils haïssent. Et la fête est le symbole de tout ce qu’ils désirent mais que, frustrés, ils sont incapables de réaliser et de vivre.

L’attentat de Berlin contre le marché de Noël, avec camion qui fonce dans la foule, réplique de celui de Nice pendant le 14 juillet, prouve que les agressions terroristes musulmanes, accomplies ou déjouées, visent les lieux festifs – symboles de notre civilisation ”corrompue”– et le christianisme. Le marché de Noël est une synthèse des deux, un symbole ethnique et de civilisation. En Autriche, un demandeur d’asile, faux réfugié, a été arrête juste avant de commettre un attentat à Salzbourg pendant les fêtes de Noël. C’est une obsession.

Complicité objective avec les tueurs djihadistes au nom de l’”antiracisme”

Depuis le début de 2015, plus d’un million de ”migrants” ou ”réfugiés”, en provenance de pays musulmans à 90%, sont arrivés en Allemagne et en Europe occidentale. Parmi eux, des centaines de guerriers et tueurs djihadistes sont infiltrés, comme Amri, l’assassin du marché de Noël de Berlin ; ce Tunisien était entré en Europe comme faux réfugié, par l’Italie, où il a fait 4 ans de prison pour des délits de droit commun. Jamais expulsé, parfaitement repéré comme candidat au djihad terroriste, connu comme voyou violent et repris de justice en situation irrégulière, demandeur d’asile débouté, il n’a été ni inquiété, ni arrêté, ni expulsé par les autorités allemandes. Des centaines d’autres terroristes musulmans potentiels sont dans son cas et actuellement en liberté dans chaque pays d’Europe.

Un sénateur Vert allemand, Till Steffen, chargé de la Justice dans le Land de Hambourg a refusé la publication de l’avis de recherche de l’assassin tunisien du marché de Noël, afin d’éviter (langue de bois) les« amalgames » avec les musulmans et la « stigmatisation » de ces derniers. Cet ”antiracisme”, qui tient de la pathologie ethnomasochiste et xénophile est la clé de voûte de la démission des élites européennes.

Le tueur tunisien  était passé au travers des contrôles des services de police allemands, non pas, comme on l’a dit par négligence,  ou par laxisme répressif motivé idéologiquement, mais par complicité. Celle-ci s’exerce au nom de l’”antiracisme”. Anis Amri, porteur de fausses identités, délinquant multirécidiviste, reconnu comme candidat au djihad meurtrier, a été libéré d’un centre de rétention en 2016 par un juge allemand. Cette mansuétude, très répandue en Europe, délivre un message – comme en matière de délinquance – d’impunité aux jeunes  musulmans attirés par le djihad. La faiblesse et la lâcheté des autorités européennes excitent leur agressivité.

Les collabos de  l’invasion migratoire et du terrorisme  

Figure de l’ethnomasochisme et de la stupidité, le pasteur de Berlin, Markus Dröge a déclaré après l’attentat musulman du marché de Noël : « Le repli sur soi ne sert à rien. Nous devons apprendre à vivre ensemble  avec des gens de religion et de culture différentes ». Il ajoute que « c’est le message de Noël ». Autrement  dit : continuons d’accueillir l’ennemi en répétant que c’est un ami. Mme Merkel  partage exactement la même idéologie. Le ”message de Noël” consiste donc à accueillir et à tolérer ceux qui  massacrent les chrétiens sur les marchés de Noël…En plus de la bêtise et de la naïveté, il y a de la perversité.

 La secrétaire d’État à l’Intégration (vocable de langue de bois synonyme d’Invasion) Mme Aydan Özoguz, a expliqué: « la diversité nous rend plus riche et pas plus pauvres, cela doit être notre devise ». Ironie tragi-comique, cette déclaration, qui rabâche en langue de bois une des contre–vérités de la vulgate idéologique officielle,  a été faite quelques minutes avant l’attentat musulman de Berlin…Ce genre de propos et de comportements mensongers et pervers est constant chez les élites et les gouvernements d’Europe de l’Ouest (surtout en Allemagne, en France et en Belgique) mais aussi dans les hiérarchies des Églises chrétiennes, jusqu’au Pape. (1)

Ces Allemands lucides qui s’insurgent

Frauke Petry, la dirigeante de l’AfD (Alternative pour l’Allemagne) a proposé d’identifier les suspects de terrorisme, dans toutes les procédures de contrôle, par leur ”ethnie”, à partir de la pigmentation, de la couleur des cheveux et des yeux, etc.. Procédure de bon sens, pratiquée sans complexe aux USA et en Israël, étant donné que 100% des terroristes depuis quelques années en Europe, en Amérique et en Israël, sont d’origine arabe, d’Asie centrale ou africaine. Il ne sert à rien de perdre son temps à contrôler tout le monde. Mieux vaut se concentrer sur une population à risques précise et bien connue. Horreur ! La proposition a fait scandale en Allemagne car Frauke Petry a été accusée d’être « raciste ». Ce genre de préjugé idéologique revient à une complicité objective avec les tueurs.  

Le parti ”populiste” allemand AfD, scandaleusement présenté comme néo–nazi, a fait une remontée dans les sondages et, surtout, a osé dire que Mme Merkel avait « du sang sur les mains »  après l’attentat de Berlin. « Ce sont les morts de Merkel » a accusé un responsable d’AfD, Marcus Pretzell. Cette image est malheureusement vraie. Angela Merkel, plus encore que les autres dirigeants européens, en favorisant l’invasion migratoire, facilite les attentats terroristes et prépare l’éclatement d’une guerre civile ethnique. Homicide par imprudence, 

« Nous sommes en état de guerre, même si certaines personnes qui ne veulent toujours voir que le bien refusent de le reconnaître » a déclaré Klaus Bouillon , ministre de l’Intérieur (CDU) de la Sarre. Sa voix est bien isolée. Cependant, Sigmar Gabriel, le vice–chancelier (SPD), candidat à la succession d’Angela Merkel, s’est tout de même prononcé pour l’interdiction des mosquées salafistes, la dissolution de leurs associations et l’expulsion de leurs prédicateurs. Ces mesures – qui ont peu de chance d’être efficaces, voire même réalisées – sont totalement secondaires face au fait menaçant majeur : le déversement migratoire invasif à 90% musulman. 

Le mouvement Pegida, très courageux, de résistance contre « l’islamisation de l’Occident » a été, bien entendu, assimilé par les médias et la classe politique à un mouvement de type fascisant ! Pour l’idéologie dominante islamophile, qui se légitime systématiquement par l’ ”antiracisme”, résister à l’invasion musulmane organisée est ”fasciste”. Incroyable inversion de la réalité : résister à l’islamo–fascisme serait… fasciste ! Les ennemis de Pegida – dont par ailleurs beaucoup sont d’origine turque, donc musulmans – qui sont Allemands de souche se comportent comme des collabos face à l’envahisseur et ne sont pas exempts d’une certaine fascination pour l’islam, ce qui était aussi curieusement le cas d’un régime passé qu’a connu l’Allemagne. Il est très important de soutenir toutes les forces de la résistance allemande contre l’islamisation et l’invasion migratoire, dont la Chancellerie, la Bundeskanzleramt du 1, Willy–Brandt Strasse à Berlin est la planificatrice – osons le mot– criminelle.

Note: 

(1) Il faut lire à ce propos, le récent essai de Laurent Dandrieu, Église et immigration, le grand malaise, avec ce sous–titre  pertinent : «  Le Pape et le suicide de la civilisation européenne ».

vendredi, 10 février 2017

Guillaume Faye: First look At Donald Trump

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First look At Donald Trump

Video interview of G. Faye

Protectionisme vs De Vrije Markt

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Radio Evropa Aflevering 13

Protectionisme vs De Vrije Markt

Protectionisme, een vloek of een zegen? Historische context en actuele perspectieven.

 

Ole Dammegard – European State Sponsored Terror Events

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Ole Dammegard – European State Sponsored Terror Events

Described as a continental David Icke, Ole Dammegard, international speaker, author of  ‘Coup d’etat in Slow Motion’ and last year’s winner of the Prague Peace Prize, is one of the world’s foremost experts on false flag terror operations, and is an implacable enemy of the New World Order and its conspiracy to create a one world slave state.  In this talk he gives an overview of his life and the journey, which led him to question the motives of governments who supposedly should be looking after the best interests of the people they govern. Do Western governments really care about the people they govern? Or are they perfectly willing to sacrifice their people in order to please certain powerful, hidden interests? It is always wise to ask 'Cui bono?' Who benefits from terrorist attacks? Not Europeans certainly. It would be easy for Western governments to put an end to terrorist attacks - so why don't they? The question therefore remains: are terrorist attacks encouraged, allowed to happen, or even sometimes made to happen? And why? To what end? How about the suggestion that it is all in order to further a hidden agenda pursued by the secret elite that surreptitiously controls our governments? This is the first time he has spoken in England. 

⦁ Ole's newsletter and website which people may want to check out and support his work
http://lightonconspiracies.com/newsite/
 
⦁ Ole was awarded the Prague Peace Prize 2016
Konferencja Prague Peace Price 2016. Vol. 1 23-24.07.2016 r.
THE PRAGUE PEACE PRIZE

⦁ He has been nominated for the 'Light Tower'- award in Sweden, organized by Stiftelsen Pharos: "A beacon is a brave truth-seeker or benefactor who stands up for the good, the true and the beautiful. A motivator with heart that seems to make our world a better place. It may be e.g. a researcher, journalist, innovator, creator or other driving force spreading a positive light. The nomination will be open until 28 February.​"  If people would like to nominate Ole then they can do so by filling in their name, email, who and why they would like to nominate him and send them to

http://stiftelsen-pharos.org/ljusfyr....

La russophobie en Occident

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La russophobie en Occident

Visitez le site du Cercle de l’Aréopage :
http://cercleareopage.org

Conférence au Cercle de l'Aréopage:
La russophobie en Occident
Par Dimitri de Kochko

Retrouvez les évènements du Cercle :
http://cercleareopage.org/conf%C3%A9r...

Lisez La Relance de la Tradition: Notes sur la situation de l'Église
Broché:
http://tinyurl.com/h6c52ho
Pour liseuse:
http://tinyurl.com/ztehnyd

The Zeitgeist According to Steve Bannon’s Favorite Demographer Neil Howe

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The Zeitgeist According to Steve Bannon’s Favorite Demographer Neil Howe

Time magazine’s cover story this week posed a simple question, “Is Steve Bannon the Second Most Powerful Man in the World?” In case you didn't already know, Bannon is President Trump’s controversial Chief Strategist who, among other things, co-authored the 45th President’s Inauguration Day speech.

Time recounts a story of a party guest who overheard Bannon say that he was like communist revolutionary and Soviet leader Lenin, eager to “bring everything crashing down, and destroy all of today's Establishment.”

Bannon was also “captivated” by a book called The Fourth Turning written by Hedgeye Demography Sector Head Neil Howe and the late generational theorist William Strauss.

As Time writes:

“The book argues that American history can be described in a four-phase cycle, repeated again and again in which successive generations have fallen into crisis, embraced institutions, rebelled against those institutions and forgotten the lessons of the past--which invites the next crisis.… During the fourth turning of the phase, institutions are destroyed and rebuilt.”

In the exclusive video above, Neil Howe and Hedgeye CEO Keith McCullough discuss the current political climate stoked by Bannon and Trump, how that could affect markets and more.

As Howe points out, every two-term U.S. president since 1900 has come into office with a recession directly before, while or within a few quarters of taking office. Given the Bannon/Trump worldview, Howe thinks:

“Trump would glory in a bear market in his first year in office. He would have fun with it. This bear market is the feeling of corruption leaving the body. And what gains, the GOP leadership’s high and dry Tory libertarianism or Steve Bannon’s populist fury? Who wins on that exchange with every tick down in the Dow? I think it’s clear. Trump wins.”

For more, listen to the complete discussion between Howe and McCullough above.

mercredi, 08 février 2017

CHINA’S NEW SILK ROADS ARE PAVING A BETTER PATH TO PERSIA

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CHINA’S NEW SILK ROADS ARE PAVING A BETTER PATH TO PERSIA

 
 
Ex: http://www.katehon.com 

The neoconservative Brookings Institute think tank authored a 2009 strategic publication about the most efficient way for the US to asymmetrically destabilize Iran, titling their blueprint “Which Path To Persia? Options For A New American Strategy Towards Iran”. Eurasian geopolitics has been completely upended in the 7 years since that document was first published, and many (but crucially, not all) of the precepts mentioned within it are outdated and irrelevant to the contemporary international context. That said, the concept of trailblazing the best Path to Persia still remains attractive, though no longer just for the US and this time towards completely different ends than the original idea had planned for. The rise of China and the unveiling of the worldwide One Belt One Road strategic vision have led to the People’s Republic taking a keen interest in directly connecting itself with the Islamic Republic, and herein lies the foundation for forging a different sort of Path to Persia. 

Changing Paths

The US was working to achieve unipolar zero-sum destabilization in order to weaken Iran, but China wants to build multipolar win-win connectivity in order to strengthen its partner, thereby making Washington and Beijing’s Paths To Persia fundamentally different from one another. The American strategy has long been discussed and was often referenced in many analytical commentaries all throughout the years, especially among the alternative media community, but comparatively less has been said about the Chinese one. The most obvious reason for this is that it was only until fairly recently that the US and Iran were at serious loggerheads with one another, but the nuclear deal and the progressive lessening of the anti-Iranian sanctions played a large role in bring the two erstwhile enemies together for an historic rapprochement. Furthermore, the Western-friendly influence of President Rouhani and his “moderate” followers – especially among the more than half of the population under 35 years of age – played a pivotal role in bringing this about, though it must be said that this would have been impossible had the “conservative” Ayatollah not (belatedly) given it his blessing. 

Charting The Course

The post-sanctions geopolitical environment that Iran now finds itself in allows the rest of the world to more confidently engage with this dormant giant and help it reach its destined economic potential. Accordingly, and in line with the integrational principles of the One Belt One Road vision, China is endeavoring to build a series of transnational connective infrastructure projects in order to tie the two countries together and jumpstart a new golden era of bilateral relations. China doesn’t just have one Path To Persia, but three, though each route aligns with the general East-West geographic paradigm that characterizes most of Beijing’s other New Silk Road projects (with the North-South ASEAN and Balkan Silk Roads being the most notable exceptions). The physical basis for all three Paths to Persia was set this year, thus denoting 2016 as the time when the Chinese-Iranian Strategic Partnership took a major step forward precisely at the moment when Beijing’s relations with New Delhi suffered multiple American-designed setbacks. Should the following New Silk Road initiatives successfully pan out and spearhead the creation of a sustained geo-economic corridor linking these Resistant & Defiant multipolar anchors, then Iran might interestingly come to replace India in forming the “I” in BRICS. 

Three Paths To Persia

The map below outlines the approximate and/or projected paths for each of the Chinese-Iranian Silk Roads:

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Steppe Silk Road (Green):

China and Iran achieved rail interconnectivity for the first time in their history earlier this year after a freight train reached Tehran from Zhejiang Province (just south of Shanghai) by means of traversing Kazakhstan and Turkmenistan. The author dubbed this route the ‘Steppe Silk Road’ because of the fact that it must journey across Kazakhstan’s barren wilderness before reaching the Mideast country. Although operational, this route has yet to be fully maximized, and this is possibly because of its inherent geo-economic constraints which inversely serve to safeguard its geostrategic security. This route’s shortcoming is that it barely passes through any significant Central Asian population centers, thereby mostly operating only as an Iran-China railway that circumstantially happens to pass through the region. This insulates the Steppe Silk Road from many of the adverse Hybrid War scenarios that might one day play out in Central Asia, but it also holds it back from ever becoming a crucial infrastructural component in driving this region’s development, despite its transregional connectivity in linking together the Mideast and East Asia. 

Central Asian Silk Road (Blue and Black):

The most direct route between China and Iran passes through the most populated portions of Central Asia, and although not yet linking up with Iran, it has at least reached Afghanistan in a first-ever achievement. China announced in early September that it opened a new commercial rail corridor between itself and Afghanistan, with Bloomberg mapping the route out as having passed through Almaty and Tashkent along the way to a tiny border town just north of Afghanistan’s third-largest city of Mazar-i-Sharif. This accomplishment leaves open the possibility for one day expanding the existing terminus near Mazar-i-Sharif to the western city of Herat and thenceforth into Iran, taking advantage of the fact that the northern Afghanistan is usually much more peaceful than the rest of the country and thus the most obvious location for building transnational connective infrastructure projects. 

The problem, however, is that nobody really knows for sure whether this part of Afghanistan will forever remain stable or not, seeing as how the Taliban surprised the world last fall when they took over Kunduz, which symbolically was the first time that they had seized a regional capital since they were dislodged from power back in 2001. Not one to take risky chances and put ‘all its eggs in one basket’, China of course has a supplementary Central Asian Silk Road project proposal which totally avoids Afghanistan yet still envisions linking together Almaty, Bishkek, Tashkent, Samarkand, Bukhara, and Ashgabat. First floated in November 2015, the plan calls for China to build a high-speed rail network between these large cities in ultimately connecting the Xinjiang regional capital of Urumqi to Tehran. This would ideally be the best Central Asian Silk Road that all sides could hope for, though the potential downside is that it is highly vulnerable to any geopolitical shocks that might occur, which could be the main explanation as to why the project has yet to get off the ground and China uncharacteristically isn’t displaying any sense of urgency about it. 

CPEC (Red):

The most newsworthy event to happen in Chinese-Iranian relations in the post-sanctions environment and perhaps even in all of their history took place on the sidelines of the UN General Assembly when Iranian President Rouhani told his Pakistani counterpart about his country’s eagerness to participate in the China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), much to the obvious chagrin of New Delhi which had tried its utmost to keep Tehran focused solely on the Indian-financed North-South Corridor terminus of Chabahar. India’s active courtship of Iran would have probably succeeded in keeping the Islamic Republic away from this project had it not been for New Delhi’s publicly reckless promotion of Baloch separatism in Pakistan, which Prime Minister Modi shockingly hinted at during his mid-August speech commemorating India’s Independence Day. 

It’s been long suspected by outside observers and convincingly proven by Pakistan’s Inter-Services Intelligence (ISI) that India’s Research and Analysis Wing (RAW, it’s version of the CIA) was behind the history of violence that has broken out in this southwestern province for decades, yet India always officially denied it and sternly rejected any innuendo that it foments terrorism there. It’s for this reason that Modi’s audacious proclamation certainly caught everyone off guard, not least of which were the Iranians, which have historically had their own Baloch separatist insurgency to contend with. Iran knows that an Indian-backed insurgency in Pakistani Balochistan can easily spill across the border into its own province of Sistan and Baluchistan, which ironically hosts India’s prized investment port of Chabahar and could thus put the entire North-South Corridor in jeopardy

Iran’s existential concerns about the strategic carelessness of India’s latest anti-Pakistani proxy war probably explain why Rouhani also told Prime Minister Nawaz Sharif that “Pakistan’s security is our security and Iran’s security is Pakistan’s security”. Apart from carrying a powerful meaning in being proclaimed during the height of India’s war cry against Pakistan, the Iranian leader’s statement might actually deal more with Balochistan than Kashmir. Sensing India as an indirect threat to their territorial integrity for the first time in their history, despite New Delhi’s smiling assurances of North-South Corridor cooperation, Iran was pushed to take the fateful step in declaring that it wants to work with CPEC, understanding that the geopolitical threat posed by foreign-backed Balochistan can only be adequately dealt with in trusted coordination with Pakistan, and by extent, China. 

Concluding Thoughts

China and Iran have wasted no time in strengthening their full-spectrum cooperation with one another in the wake of the nuclear deal and the Islamic Republic’s emergence from international ‘isolation’, and nowhere are the fruits of this work more tangibly visible than through the three Paths to Persia that Beijing is strategically paving to its strategic partner. It used to be assumed that the two sides would only ever be able to conduct overland trade with one another via Central Asia, seeing as how Afghanistan has been a warzone for decades and Iran presumed that Pakistan was unreliable, but the prolonged (and relative) stabilization of northern Afghanistan combined with the pioneering CPEC project have reengineered the geo-economic situation in the strategic West-Central-South Asia transit space. China and Iran now have the potential for connecting with one another not just through the Central Asian country of Turkmenistan, but also by means of Afghanistan and Pakistan, thereby making each of Iran’s three eastern neighbors a potential access point for reaching China. 

The most promising them all, however, is Pakistan, which has the chance to function as a South Asian energy corridor between West and East Asia, though this pivotal route wouldn’t have ever truly caught Iran’s attention had it not been for India’s bumbling policy of supporting Pakistani Baloch separatism. Ties between Tehran and New Delhi were of a very high and strategic nature hitherto Modi-Doval’s latest scheme, with both sides cooperating on the North-South Corridor and expecting a bonanza of win-win benefits to eventually ensue. Iran is still dedicated to this multilaterally beneficial project (which also includes Azerbaijan, Russia, and the EU), but it’s just that it no longer feels obliged to abide by the ‘gentlemen’s agreement’ of avoiding CPEC in exchange for privileged Indian investment and political attention, considering how New Delhi’s boorishness is now threatening to spread instability along the Islamic Republic’s vulnerable eastern frontier. It’s therefore not surprising why Iran would so loudly express its enthusiasm to take part in CPEC and consequently position itself to de-facto replace India in BRICS. 

mardi, 07 février 2017

Anti-Trump demonstrations are far from irrational. The opposite is more likely

Anti-Trump demonstrations are far from irrational. The opposite is more likely

Every day I hear exasperated Trump-backers exclaim that the Left has gone crazy. And their complaint seems justified, at least up to a point. The demonstrations against Trump, which now involve such gestures as setting fires, destroying property and beating up suspected Trump backers, look utterly “irrational.” It’s as if the election and subsequent inauguration of Donald Trump released forces of madness that can no longer be contained. Wild accusations are being made against those who voted for Trump, that they yearn to exterminate blacks and gays and put Jews into concentration camps, etc. One of my close acquaintances has turned her home into “a safe space for Jewish children,” so there will be no more Anne Frank-deaths during the terrible persecutions that our “illegitimately appointed, fake head of state” will soon supposedly unleash. I myself have been called by leftist ex-friends a “Holocaust-denier” because I think Trump’s decision to stop the influx of visitors and immigrants from terrorist-laden countries is entirely justified. How this shows that I deny Hitler’s murderous activities is never explained to me, but I’m sure the Trump-haters in Hollywood, CNN and at Berkeley would understand the connection.

Note that I’m not saying that everyone out there making noise or burning property is a model of scientific rationality. Nor am I claiming that the entertainment community makes sense when they scream against the Donald, or that students who recently set fires on the Berkeley campus to protest a speech by Milo Yiannopoulos were engaging in Aristotelian reasoning. What I am asserting is that viewed from the top, this agitation and violence reveal careful thought. In fact, from the vantage point of George Soros and such protest organizers as the Democratic National Committee and the leaders of the grievance culture, noisy demonstrations are a reasonable means toward a predetermined end. Max Weber, Vilfredo Pareto, and other sociologists who understood functional rationality as working systematically toward the desired end would have pointed to these protests as illustrating the perfectly rational action, at least on the part of those who organize them.

bdcoyifygmilm1bgpae0.jpgThe useful idiots are all over the place, but that’s exactly what they are, mere stage extras. They are impressionable adolescents, Hollywood airheads, middle-aged women who want to “assert themselves,” perpetually incited racial minorities, and Muslim activists. Many of them can be mobilized at the drop of a pin to “march for tolerance,” however that term is interpreted by those who organize the march and by politicians, like Chuck Schumer and Nancy Pelosi, who seek to increase their influence through well-prepared displays of “righteous indignation.” Please note that Schumer’s obstructionist tactics in the Senate, blocking or delaying cabinet nominees and threatening to shoot down Trump’s Supreme Court nominee, have been applied to the accompaniment of non-stop anti-Trump protests. Only a fool or unthinking partisan would believe these events are unrelated.

Most of what we see and hear is profoundly hypocritical. Trump is not threatening gays or blacks; he is far from being an exterminationist anti-Semite, he is surrounded by Jewish family members and Jewish advisers and is adored by the population of Israel. He is not an anti-Muslim religious bigot, and the temporary travel restriction that he established last week affects non-Muslims as well as Muslims trying to enter the USA from certain countries. Only 109 travelers were detained last weekend because of the ban; and one may easily surmise that other passengers who were jostled by the loads of screaming, gesticulating demonstrators suffered far more grievously than those who were temporarily detained. Moreover, since Obama imposed a four-month travel ban on passengers from Iraq in 2011, we may assume that even more people during the supposedly sensitive Obama years were inconvenienced. But, strange as it seems, I don’t recall mass demonstrations by our selective humanitarians against Obama’s travel restrictions. Perhaps I didn’t notice them when they were taking place.

I also hear from establishment Republicans, and even from family members who should know better, that Trump is bringing all this on himself because he is too free with his words. If only he could explain himself calmly and read more often from a teleprompter, none of this would be happening. Moreover, if Trump were a nice conciliatory guy, like, say, W, Romney or Kasich, the PC crowd would be pacified—or would stop running riot. This gives me food for thought. Does anyone really believe that the Left was nice to George W. Bush, whom they also smeared as a racist and religious bigot? And is any Republican or Never-Trumper naïve enough to believe that if it had been Ted Cruz rather than Trump naming Neil Gorsuch as his pick to the Supreme Court, there would be no demonstrations against this outstanding non-leftist jurist? Perhaps if the silver-tongued Cruz were defending Gorsuch in Ciceronian accents, Schumer, and his friends in the Senate would not be trying to block the confirmation? Come to think of it: Cruz has already endorsed Gorsuch—to no effect.

The only question that should be asked in this matter concerns the end game of those who are organizing the insurrectionary masses. What do they expect to gain from the continuing noise and escalating violence? At the very least they may hope to disempower Trump and his administration–perhaps to render them so powerless that they won’t able to do anything that the Left and the Democratic base (to make a perhaps unnecessary distinction) don’t want them to do. The Democrats are also hoping to take advantage of the chaos to which their fans and operatives have contributed by posing as the true party of order. Only the Democrats, the electorate will be impelled to assume, could end the civil unrest by bringing back the glorious days of the Obama administration.

This transfiguration of the bungling leftist Obama into the guarantor of American order may not be as strange an idea as it first seems. Last week I found myself sitting next to a sixty-year-old black woman on a train going to Philadelphia, and this traveler began telling me how nice it had been under Obama. At first, I reminded her of the growing criminality in our cities during the last few years, but then I noticed she wasn’t talking about crime. Things had been nicer under Obama because back then one didn’t witness daily and even hourly eruptions of organized anger, with the media, entertainment industry, and in varying degrees the Democratic Party egging on the mobs. The woman whom I spoke to wasn’t looking for deeper causes. All she knew was that since Trump had taken office, pandemonium was loosed on the country. And it’s not yet clear that this pandemonium will be blamed on those who are causing it, namely the organizers, the media, and the throngs of useful idiots.

Reprinted with the author’s permission.

lundi, 06 février 2017

Universitaire historicus zegt dat burgeroorlogen in Europa onvermijdelijk zijn

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Universitaire historicus zegt dat burgeroorlogen in Europa onvermijdelijk zijn
 
Ex: http://xandernieuws.punt.nl 

‘Enorme, overduidelijke parallellen EU met verval en ondergang Romeinse Rijk’ 

Volgens de Belgische historicus is het niet meer te voorkomen dat ons continent in vlammen zal opgaan, mede omdat de grote politieke partijen nog steeds weigeren naar de zorgen van het volk te luisteren, en de realiteit niet onder ogen willen zien.

David Engels, historicus aan de Vrije Universiteit in Brussel, waarschuwt dat Europa de komende 20 tot 30 jaar verder in verval zal raken, en burgeroorlog achtige toestanden niet meer te vermijden zijn. Na die chaotische tijd zal er vermoedelijk een autoritaire of zelfs imperiale (keizerlijke) staat komen. De Belg ziet duidelijke overeenkomsten tussen de EU en de ondergang van het Romeinse Rijk.

In 2011 publiceerde Engels zijn geruchtmakende boek ‘Op weg naar het Imperium’, waarin hij de EU al vergeleek met de totalitaire nadagen van het Romeinse Rijk. Zeker gezien de huidige migrantencrisis, die Europa sociaal, maatschappelijk, politiek en economisch uit elkaar dreigt te scheuren, dienen zijn waarschuwingen zeer serieus genomen te worden.

‘Ik reken op burgeroorlog achtige toestanden, die Europa tot een ingrijpende maatschappelijke en politieke hervorming zal dwingen, of we dat nu willen of niet – precies zoals de vervallende Romeinse Republiek in de eerste eeuw voor Christus,’ aldus Engels in een interview met de Huffington Post.

Overeenkomsten met ondergang Rome zijn ‘enorm en overduidelijk’

De overeenkomsten zijn ‘zo enorm, zo overduidelijk, en dat al tientallen jaren lang, dat je je moet afvragen waar ze niet te zien zijn,’ vervolgde de historicus. De parallellen zijn er op het gebied van werkloosheid, de afbraak van het gezin (als hoeksteen van de samenleving), het individualisme, de verdwijning van traditionele overtuigingen, globalisering (destijds Romanisering), teruggang van de (autochtone) bevolking, fundamentalisme, (im)migratie, verarming, ‘brood en spelen’, criminaliteit, polarisering tussen aan de ene kant de oligarchische elite en de andere kant de ontevreden ‘populisten’ (de gewone man).’

‘Europa zit op vulkaan die op ieder moment kan uitbarsten’

Europa zit gevangen in een vicieuze cirkel, waarschuwt Engels. ‘Kolonialisme, wereldoorlogen, dekolonialisering en ongelukkig ingrijpen op het verkeerde en niet ingrijpen op het juiste moment in de conflicten aan de buitenrand van Europa hebben tot een situatie geleid, waar ik een volledige teruggang van Europa als extreem gevaarlijk beschouw.’

Immigratie is volgens de historicus niet de enige oorzaak die tot de onvermijdelijke ondergang zal leiden. ‘De tegenwoordige bevolkingsbewegingen zijn slechts een van de vele symptomen van onze huidige mentaliteit, die doordrongen is van een zeldzame mengeling van kosmopolitisme, zelftwijfel, berekening, materialisme en een slecht geweten. Precies deze mix zagen we ook aan het einde van de Romeinse Republiek.’

Engels ziet niet zozeer een open samenleving als probleem, maar wel de maatschappelijke polarisering, het ontbreken van een lange termijn planning, de voorrang die de economie boven politiek en cultuur krijgt, en de tendens naar ideologische arrogantie. Het is daarom geen wonder dat populisten en nationalisten steeds populairder worden, net als destijds in Rome. ‘En net als de late Romeinse Republiek zit Europa op een vulkaan, die op ieder moment tot uitbarsting kan komen.’

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‘Grote politieke partijen sluiten nog steeds hun ogen’

Als vader van twee kinderen is de Belg de laatste die hoopt dat er inderdaad een burgeroorlog of dictatuur komt. Maar waar hij al in zijn boek in 2011 voor waarschuwde, is anno 2017 exact uitgekomen. ‘En daar ben ik ontzettend bang voor. Maar het zou laf zijn om je ogen daarvoor te sluiten, enkel omdat men de realiteit niet wil inzien.’

De grote politieke partijen sluiten helaas nog steeds hun ogen voor de groeiende armoede, de toenemende culturele en politieke kloof, en het verlies van vertrouwen in de democratie. Dat speelt de nieuwe ‘populistische’ vrijheidspartijen enkel in de kaart. Uiteindelijk zal de staat net als in de nadagen van Rome onregeerbaar worden. Volgens Engels zijn Donald Trump, Nigel Farage of Marine Le Pen de moderne varianten van de laatste Romeinse keizers, die (toen tevergeefs) probeerden te redden wat er te redden viel.

De historische wetenschapper gelooft dan ook niet dat de mensheid van de geschiedenis kan leren. Daarvoor is die veel te complex. Bovendien zijn wij allemaal onderdeel van het hele proces. ‘Dat zou zijn alsof je je aan je eigen haren uit het moeras probeert te trekken.’

Burgeroorlogen: hele gebieden onder islamitische controle

Burgeroorlogen in Europa zijn in zijn ogen dan ook niet meer te vermijden, al denkt hij niet dat het dan gaat tussen complete legers die tegen elkaar vechten. Daarvoor is onze politiek te weinig gemilitariseerd. Wel rekent hij erop dat overheden de controle zullen verliezen over hele (voor)steden. (Dat proces zien we nu al in honderden grote en ook kleinere Europese steden, waar moslims hun eigen wijken in ‘Sharia zones’ hebben veranderd, waar steeds vaker geen politieagent meer durft te komen).

Uiteindelijk zullen zelfs hele streken en gebieden door religieuze (islamitische) en etnische (Noord Afrikaanse / Oosterse) criminele groepen worden overgenomen en beheerst. Mede hierdoor zal de economie –en daarmee ook de gezondheidszorg en sociale zekerheid- instorten, en zal de politiek volledig tot stilstand komen. ‘De burgers van Europa zullen zich dan met vreugde in de armen van het eerste leger werpen, die het continent weer een functionerende sociale staat, rust en orde brengt. Zoals destijds keizer Augustus.’

Laatste kans!

Volgens ons is het nòg niet te laat. Wel is er nog maar heel weinig tijd en gelegenheid om dit doemscenario te voorkomen. Dat kan door bij de eerstvolgende verkiezingen hard af te rekenen met alle politieke partijen –in regering en oppositie- die blijven weigeren naar het volk te luisteren, en die dus blijven weigeren onze grenzen te sluiten en de islamisering = ondergang van onze samenleving te stoppen. Stemt u op 15 maart toch weer op de gevestigde orde, dan moet u over 10 jaar niet klagen als er niets meer van ons land is overgebleven.


Xander

(1) Krone

dimanche, 05 février 2017

Trump et la guerre contre l'Iran

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Trump et la guerre contre l'Iran

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu 

Certains naïfs voient dans Donald Trump un héraut de l'anti-Système. On peut désigner par ce terme mis à toutes les sauces la domination sur le monde du 1% des plus riches, qui détiennent comme cela a été plusieurs fois analysé, 95% de la richesse du monde. Or comme nous l'avons rappelé dans un article précédent à propos de l'abrogation par Trump du Dodd-Franck Act de 2010 (Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act) censé protéger les citoyens américains contre les abus de la finance, Trump vient directement en appui de cette minorité des plus riches. Ceci est aussi illustré par le fait que parmi les ministres et conseillers de Trump se trouvent de nombreux multimilliardaires et multimillionnaires représentants de cette étroite « élite », notamment Wilbur Ross, Betsy DeVos, Carl Icahn, Stephen Mnuchin, Rex Tillerson, Andrew Puzder, Elaine Chao et Gary Cohn.
 
Trump est donc objectivement, quels que soient ses discours, un représentant du Système. Mais ceci ne se constate pas seulement en ce qui concerne la politique intérieure. C'est aussi le cas en ce qui concerne la politique internationale des Etats-Unis. Dans ce domaine, Trump reprend tous les objectifs destructeurs imposés par ses prédécesseurs au Département d'Etat et au Pentagone. Ceci notamment au Moyen-Orient et en ce qui concerne la Chine.

Au Moyen-Orient, nous l'avons plusieurs fois indiqué, il prépare une véritable guerre contre l'Iran. Ceci a trouvé sa dernière expression dans l'ultimatum prononcé le 1er février par le conseiller de sécurité nationale de Trump, le général Michael Flynn. Celui ci, lors d'une conférence de presse de la Maison Blanche, a déclaré mettre « officiellement l'Iran en garde » au sujet de son essai de missiles balistiques. Il a présenté ceci comme un des exemples « du comportement déstabilisateur de l'Iran à travers tout le Moyen-Orient », ainsi que l'échec du gouvernement Obama à « répondre adéquatement aux actes malveillants de Téhéran ».

Rappelons que l'Iran, comme tout Etat souverain, a le droit de se doter de missiles balistiques. Ceux-ci ne seront pas porteurs de têtes nucléaires puisque l'Iran s'est engagé contractuellement à ne pas développer de telles armes. De plus ces missiles n'auront qu'une portée moyenne (1.000 km) et ne seront en rien des ICBM capables d'atteindre l'Amérique. Ceci n'a pas empêché, dans le suite de la conférence de presse, le porte-parole de la Maison-Blanche, Sean Spicer, d'annoncer que Washington n'allait pas rester les bras croisés et sans réagir contre les « menaces «  de l'Iran ».

Que doit comprendre l'Iran de ces dernières déclarations extraordinaires ? Étant donné les affirmations répétées de Trump selon lesquelles on ne devrait pas parler d'une action militaire avant son lancement, l'Iran a toutes les raisons de croire que les missiles de croisière Tomahawk américains pourraient voler prochainement vers Téhéran. Le gouvernement Trump tente, par la provocation, de dénoncer le traité sur le programme nucléaire, incitant Téhéran à le reprendre et préparant ainsi la voie à une attaque israélo-américaine.

Une guerre contre l'Iran permettrait à Trump d'empêcher l'Iran d'accéder au statut de puissance régionale qu'elle est en train d'acquérir à la suite des désastres de l'intervention américaine au Moyen Orient depuis dix ans. La presse américaine s'en inquiète. Certes, elle est encore profondément hostile à Trump, mais en ce cas, celui-ci lui donne de bonnes raisons de s'indigner. Dans un article intitulé « Une nouvelle ère dans la politique étrangère» le Washington Post a constaté que Trump avance une « politique étrangère combative et iconoclaste qui semble écarter la diplomatie traditionnelle et concentrer la prise de décision au sein d'un petit groupe de collaborateurs qui avancent rapidement leur nouvelle approche dans le monde de l'Amérique d'abord ». Voir https://www.abqjournal.com/941305/a-new-era-of-foreign-po...

La forme de la politique étrangère poursuivie par Trump est de plus en plus claire chaque jour. Elle se concentre aujourd'hui sur l'Iran tout en poursuivant une politique de plus en plus conflictuelle à l'égard de la Chine. Stephen Bannon, le stratège en chef de Trump, prédisait dans une émission de radio avant l'élection de 2016 que les États-Unis partiront « en guerre dans la mer de Chine méridionale dans 5 à 10 ans ».

Dans la mesure où le gouvernement Trump a adopté une attitude conciliatrice vis-à-vis de la Russie, cette attitude n'est qu'un report tactique, destiné à faciliter la guerre ailleurs. Si Moscou ne se conforme pas aux intérêts américains, elle sera menacée puis agressée à son tour. Or Vladimir Poutine ne semble pas prêt de renoncer à sa coopération avec l'Iran, celle-ci prolongeant l'influence acquise en Syrie et constituant un utile contrepoids à l'influence dévastatrice des puissances sunnites, notamment l'Arabie Saoudite et la Qatar. Celles-ci, comme nul n'en ignore, financent directement le terrorisme dans toute la région et en Europe. Si donc des missiles américains ou israéliens, ces derniers soutenus par l'Amérique, frappaient la Syrie, il en serait fini des proclamations de Trump visant à établir de bonnes relations avec Moscou.

Une guerre régionale de grande ampleur pourrait s'en suivre, comme cela sera inévitablement le cas si Trump mettait à exécution ses menaces contre la Chine. Sous cet angle, la suggestion de Donald Tusk au sommet de Malte selon laquelle Trump pourrait devenir un risque existentiel pour l'Europe trouverait toute sa pertinence.

samedi, 04 février 2017

The Coming Clash With Iran

When Gen. Michael Flynn marched into the White House Briefing Room to declare that “we are officially putting Iran on notice,” he drew a red line for President Trump. In tweeting the threat, Trump agreed.

His credibility is now on the line.

And what triggered this virtual ultimatum?

Iran-backed Houthi rebels said Flynn, attacked a Saudi warship and Tehran tested a missile, undermining “security, prosperity, and stability throughout the Middle East,” placing “American lives at risk.”

But how so?

The Saudis have been bombing the Houthi rebels and ravaging their country, Yemen, for two years. Are the Saudis entitled to immunity from retaliation in wars that they start?

Where is the evidence Iran had a role in the Red Sea attack on the Saudi ship? And why would President Trump make this war his war?

As for the Iranian missile test, a 2015 U.N. resolution “called upon” Iran not to test nuclear-capable missiles. It did not forbid Iran from testing conventional missiles, which Tehran insists this was.

Is the United States making new demands on Iran not written into the nuclear treaty or international law — to provoke a confrontation?

Did Flynn coordinate with our allies about this warning of possible military action against Iran? Is NATO obligated to join any action we might take?

Or are we going to carry out any retaliation alone, as our NATO allies observe, while the Israelis, Gulf Arabs, Saudis and the Beltway War Party, which wishes to be rid of Trump, cheer him on?

Bibi Netanyahu hailed Flynn’s statement, calling Iran’s missile test a flagrant violation of the U.N. resolution and declaring, “Iranian aggression must not go unanswered.” By whom, besides us?

The Saudi king spoke with Trump Sunday. Did he persuade the president to get America more engaged against Iran?

Senate Foreign Relations Committee Chairman Bob Corker is among those delighted with the White House warning:

“No longer will Iran be given a pass for its repeated ballistic missile violations, continued support of terrorism, human rights abuses and other hostile activities that threaten international peace and security.”

The problem with making a threat public — Iran is “on notice” — is that it makes it almost impossible for Iran, or Trump, to back away.

Tehran seems almost obliged to defy it, especially the demand that it cease testing conventional missiles for its own defense.

This U.S. threat will surely strengthen those Iranians opposed to the nuclear deal and who wish to see its architects, President Hassan Rouhani and Foreign Minister Mohammad Javad Zarif, thrown out in this year’s elections.

If Rex Tillerson is not to become a wartime secretary of state like Colin Powell or Dean Rusk, he is going to have to speak to the Iranians, not with defiant declarations, but in a diplomatic dialogue.

Tillerson, of course, is on record as saying the Chinese should be blocked from visiting the half-dozen fortified islets they have built on rocks and reefs in the South China Sea.

A prediction: The Chinese will not be departing from their islands, and the Iranians will defy the U.S. threat against testing their missiles.

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Wednesday’s White House statement makes a collision with Iran almost unavoidable, and a war with Iran quite possible.

Why did Trump and Flynn feel the need to do this now?

There is an awful lot already on the foreign policy plate of the new president after only two weeks, as pro-Russian rebels in Ukraine are firing artillery again, and North Korea’s nuclear missile threat, which, unlike Iran’s, is real, has yet to be addressed.

High among the reasons that many supported Trump was his understanding that George W. Bush blundered horribly in launching an unprovoked and unnecessary war in Iraq.

Along with the 15-year war in Afghanistan and our wars in Libya, Syria, and Yemen, our 21st-century U.S. Mideast wars have cost us trillions of dollars and thousands of dead. And they have produced a harvest of hatred of America that was exploited by al-Qaida and ISIS to recruit jihadists to murder and massacre Westerners.

Osama’s bin Laden’s greatest achievement was not to bring down the twin towers and kill 3,000 Americans but to goad America into plunging headlong into the Middle East, a reckless and ruinous adventure that ended her post-Cold War global primacy.

Unlike the other candidates, Trump seemed to recognize this.

It was thought he would disengage us from these wars, not rattle a saber at an Iran that is three times the size of Iraq and has as its primary weapons supplier and partner Vladimir Putin’s Russia.

When Barack Obama drew his red line against Bashar Assad’s use of chemical weapons in Syria’s civil war, and Assad appeared to cross it, Obama discovered that his countrymen wanted no part of the war that his military action might bring on.

President Obama backed down — in humiliation.

Neither the Ayatollah Khamenei nor Trump appears to be in a mood to back away, especially now that the president has made the threat public.

François Bousquet : Tout ce que Patrick Buisson n'avait pas encore dit

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François Bousquet : Tout ce que Patrick Buisson n'avait pas encore dit

François Bousquet est journaliste et écrivain. Il vient de publier un ouvrage qui fait déjà du bruit :”La droite Buissonière”. La démarche de l’auteur consiste à dépasser la caricature d’un Patrick Buisson, pygmalion ou gourou, affublé des habits de la réaction, sorte d’Edmond Dantes des droites qui viendrait venger les bannis de 1789, 1945 et 1962.

Dans un style alerte et brillant, François Bousquet décrit un homme authentiquement intelligent, porteur d’une vision du monde, qui a libéré la droite classique des interdits qu’elle avait intériorisés. L’auteur décrit les grandes dates qui ont marqué la jeunesse et la vie d’adulte de Buisson : l’Algérie, Minute, Sarkozy, la droite hors les murs. Il fait revivre avec talent les événements des 50 dernières années et démontre que le véritable combat du président de la chaîne Histoire, un combat mais aussi sa hantise, c’est la dislocation de la nation. Et pour exorciser cette crainte, il faut refaire France ! François Bousquet mène tambour battant l’histoire d’un homme qui a ses zones d’ombres, un homme clivant, forcément clivant, qui a changé le visage de la droite.

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vendredi, 03 février 2017

Russians Do Not Take Crap from Migrants Because They Lack 'White Guilt'

Russians are proud and tough, and like us also face a major demographic and immigration crisis. Unlike us, they recognize that immigrants are a threat

Originally appeared at American Renaissance

Americans have something to learn.

White people in the former Warsaw Pact countries still cherish their racial and cultural identities, and their politicians and citizens are trying to keep immigrants out. Even if we in America and Western Europe become extensions of the Third World, the countries behind the Iron Curtain will still be European.

I would like to discuss the most important of these countries: the Russian Federation. Here, people feel no white guilt. Why should they? While American blacks were demanding civil rights and reminding whites of slavery, Soviet citizens were suffering a kind of modern slavery. White privilege did not save the millions who disappeared in Stalin’s labor camps, nor did it help those who starved during the famines that he and his party bosses created. If American blacks or British Muslims had a taste of what Soviet citizens went through in the 1930s and 1940s, they would be glad they were American citizens and British subjects.

Russians are proud to be Russian. Their people have produced some of the greatest literary and intellectual giants in the history of the West, and Russians take their greatness for granted. They are a tough people who stopped the Grande Armée in the 19th century and the Wehrmacht in the 20th—both considered the most fearsome fighting forces of their time. Russians are proud and tough, and like us also face a major demographic and immigration crisis. Unlike us, they recognize that immigrants are a threat.

Immigrants to the Russian Federation come mostly from the former Soviet republics, which have sent an estimated 13 million people to Russia since the collapse of the Soviet Union in 1989. During the Soviet era, the government sent many Russians to live in outlying republics as a means of cultural and political control. In the early years after the collapse, immigration consisted largely of these ethnic Russians streaming back to the motherland. In 1991-92, for example, 81 percent of immigrants were Russian, but beginning in 1994, their numbers began to decline. By 2007, ethnic Russians represented only 32 percent of immigrants, and perhaps 10 to 13 percent of the rest were from Ukraine. The remainder were almost certainly from former republics such as Uzbekistan, Kyrgyzstan, and Tajikistan. Some of these people look almost white, but they are not Slavs, and many are culturally Asiatic. Now the greatest number of immigrants to Russia come from these Central Asian countries.

As in Yugoslavia after the end of authoritarian rule, long-festering ethnic conflict flared up after the Soviet collapse. In 1944, Stalin had removed Meskhetian Turks from his native republic of Georgia, deporting them to Uzbekistan. In 1989, Uzbek nationalists rioted against this group they saw as interlopers, and many Meskhetian Turks fled for their lives, in many cases to Russia.

Another fighting that broke out in the 1990s after the Soviet collapse sent yet more refugees to Russia. During the Nagorno-Karabakh conflict between Armenia and Azerbaijan, both Armenians and Azeris fled in large numbers to Russia. When Chechnya rebelled against Russian rule, both Slavic and non-Slavic people from Chechnya, Ingushetia, and Dagestan fled to Russia.

The demographic effects of migration are sometimes hard to quantify because of the effects of internal migration. Non-Slavic Russian citizens, such as Chechens, Ingush, Azeris, etc. are moving into Western Russia and are bringing cultural problems. Because these people hold Russian passports, their movements are not counted as immigration. Only 82.4 percent of Russian citizens are actually Slavs, and many non-Slavs seem intent on moving into the ancestral Slavic homelands.

There are now millions of temporary workers and illegal immigrants in Russia, though no one knows the exact number. Figures provided by the Russian Federal Migration Service and Human Rights Watch range from three to 10 million.

The Western media portray Russia in a very negative light, but life in Russia is much better than in Central Asia or in the Caucasus Mountains. In Moscow and other major Russian cities, migrants enjoy a higher standard of living than would be possible in their home countries. Typically, Central Asians work in the short-term labor market as construction workers, restaurant workers, and in small workshops in private homes. As the Russian migrant rights activist Lidiya Grafova put it (yes, even Russia has such people), it is good for business to hire cheap, powerless Tajiks.

The Russian view of immigrants

Russians do not like immigrants from the Caucasus and Central Asia, nor do they care much for their own Muslim citizens. Articles posted on Human Rights Watch and the liberal, Moscow-based SOVA Center for Information and Analysis suggest that Russians frequently attack immigrants. However, it is clear from the conversation with Russians and from local news stories that immigrants victimize Russians just as Mexicans and blacks victimize whites in America. According to Moscow’s commissioner of police, Vladimir Kolokoltsev, migrants are responsible for 70 percent of the crime in that city, and the crime rate keeps growing. He noted that Central Asians are especially prone to rape, and that rape had increased 79 percent from 2013 to 2014. Attacks and robberies by Central Asians are a staple of conversation in big cities.

Immigrants to the Russian Federation come mostly from the former Soviet republics, which have sent an estimated 13 million people to Russia since the collapse of the Soviet Union in 1989. During the Soviet era, the government sent many Russians to live in outlying republics as a means of cultural and political control. In the early years after the collapse, immigration consisted largely of these ethnic Russians streaming back to the motherland. In 1991-92, for example, 81 percent of immigrants were Russian, but beginning in 1994, their numbers began to decline. By 2007, ethnic Russians represented only 32 percent of immigrants, and perhaps 10 to 13 percent of the rest were from Ukraine. The remainder were almost certainly from former republics such as Uzbekistan, Kyrgyzstan, and Tajikistan. Some of these people look almost white, but they are not Slavs, and many are culturally Asiatic. Now the greatest number of immigrants to Russia come from these Central Asian countries.

As in Yugoslavia after the end of authoritarian rule, long-festering ethnic conflict flared up after the Soviet collapse. In 1944, Stalin had removed Meskhetian Turks from his native republic of Georgia, deporting them to Uzbekistan. In 1989, Uzbek nationalists rioted against this group they saw as interlopers, and many Meskhetian Turks fled for their lives, in many cases to Russia.

Another fighting that broke out in the 1990s after the Soviet collapse sent yet more refugees to Russia. During the Nagorno-Karabakh conflict between Armenia and Azerbaijan, both Armenians and Azeris fled in large numbers to Russia. When Chechnya rebelled against Russian rule, both Slavic and non-Slavic people from Chechnya, Ingushetia, and Dagestan fled to Russia.

The demographic effects of migration are sometimes hard to quantify because of the effects of internal migration. Non-Slavic Russian citizens, such as Chechens, Ingush, Azeris, etc. are moving into Western Russia and are bringing cultural problems. Because these people hold Russian passports, their movements are not counted as immigration. Only 82.4 percent of Russian citizens are actually Slavs, and many non-Slavs seem intent on moving into the ancestral Slavic homelands.

There are now millions of temporary workers and illegal immigrants in Russia, though no one knows the exact number. Figures provided by the Russian Federal Migration Service and Human Rights Watch range from three to 10 million.

The Western media portray Russia in a very negative light, but life in Russia is much better than in Central Asia or in the Caucasus Mountains. In Moscow and other major Russian cities, migrants enjoy a higher standard of living than would be possible in their home countries. Typically, Central Asians work in the short-term labor market as construction workers, restaurant workers, and in small workshops in private homes. As the Russian migrant rights activist Lidiya Grafova put it (yes, even Russia has such people), it is good for business to hire cheap, powerless Tajiks.

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The Russian view of immigrants

Russians do not like immigrants from the Caucasus and Central Asia, nor do they care much for their own Muslim citizens. Articles posted on Human Rights Watch and the liberal, Moscow-based SOVA Center for Information and Analysis suggest that Russians frequently attack immigrants. However, it is clear from the conversation with Russians and from local news stories that immigrants victimize Russians just as Mexicans and blacks victimize whites in America. According to Moscow’s commissioner of police, Vladimir Kolokoltsev, migrants are responsible for 70 percent of the crime in that city, and the crime rate keeps growing. He noted that Central Asians are especially prone to rape, and that rape had increased 79 percent from 2013 to 2014. Attacks and robberies by Central Asians are a staple of conversation in big cities.

Russians especially dislike Chechens. During the Chechen wars of the 1990s and 2000s, the Western media portrayed Chechens as the good guys fighting for independence. Chechens, with help from Islamic insurgents from the Middle East, terrorized the local civilians, used women and children as human shields, kidnapped and tortured civilians, and killed Russian prisoners-of-war.

Chechnya has also gone through a kind of ethnic cleansing. In 1989, the census counted 269,130 Russians and 11,884 Ukrainians in Chechnya, together making up 25.9 percent of the population. As of 2010, virtually all of those people were gone—either dead or driven away by Chechen death squads and Arab helpers—and Russians and Ukrainians now make up barely 3 percent of the population.

In addition to Central Asian and Caucasian immigration, there are rumors that Siberia is turning Chinese. Much of this information is unreliable or speculative, but if even a fraction of what is said about Chinese moving into Siberia is true, the Russian Federation faces serious, long-term problems in the East. Estimates of the number of Chinese living in Siberia vary, ranging from Russian figures of 35,000 up to Taiwanese claims of one million. In any case, China is a lot closer to Siberia than European Russia is, meaning that China can more easily project force into a region that is rich in coal, iron, manganese, lumber, and petroleum. If China has, say, a few hundred thousand citizens in Siberia, that constitutes a fifth column in a region with few Russians. If China’s governing elite needs an outside enemy to distract the people’s attention from problems at home, a defenseless and rich Siberia would be a good place to start a conflict.

Russia and China now act as though they are great allies, but they are united only by the fact that they hate the United States. An alliance based on mutual hatred of a third party is a weak one that can easily fall apart. The fact that China is still smarting from a long period of foreign colonialism, in which Russia exploited the Chinese just as much as the British or the Japanese, makes the Chinese a very dangerous partner for the Russians.

How Russians deal with immigrants

Because of the migrant waves of the last decade, the Chechen wars, and rumors of the Chinese influx into Siberia, Russians insist that the government take action. In 2011, Vladimir Putin banned foreign laborers from working as traders in kiosks and markets, and those who break this law can be deported. Since 2013, 513,000 foreigners have been deported by Russian courts, and 1.7 million have been banned from re-entering the country. A deportation hearing takes between three and five minutes, with the judge ruling against the defendant 70 percent of the time. After the judge issues his ruling the violator has no right of appeal and is quickly expelled.

Russia uses deportation and immigration as a political weapon. In September 2006, Georgia arrested four Russian officers for espionage. The Kremlin took great offense and claimed the officers were not spies. Russia recalled its ambassador and then cut all rail, road, and sea links to Georgia and stopped issuing visas to Georgian citizens. This was followed by several high-profile raids on Georgian businesses and places where Georgians congregate. In two months 2,380 Georgians were deported and another 2,000 returned on their own. The Russians officers arrested by Georgia were home in just a few days. There are lessons here for the United States.

Russians are still not satisfied with government action against immigrants. This is not surprising, given the corruption and inefficiency of Russian government institutions. Russians are therefore starting to take matters into their own hands.

On two different occasions in 2010, groups of Chechen men attacked and killed Russian citizens. In both cases, the killers were initially let off, amid suspicions that Chechens had bribed the police (a year later, one of the killers was eventually convicted). Russians were furious over the killings, and on December 11th there were protests across the country. The largest was in Moscow, where as many as 50,000 people may have taken part. The protest soon turned into a riot and Russians began attacking immigrants, killing 24 and injuring many more.

In 2013, there were further riots in Biryulyovo, just south of Moscow, after an Azeri man stabbed a Russian to death. Rioters shouted “White Power” and “Russia for Russians.” Some ransacked a wholesale vegetable market looking for immigrants to attack.

When the police do not do a good enough job of enforcing immigration law, Russians enforce it themselves. In April 2016, activists from the National Conservative Movement organized a project called “We Are Moscow,” in which they checked the documents of immigrant food sellers and turned violators over to the police. Similar raids on illegal food sellers have been carried out in St. Petersburg. In August, activists joined police in a sweep of homes of illegal immigrants in St. Petersburg, dragging them out into the streets and arresting them.

Russians have long memories of invaders. They suffered under the Mongolian Golden Horde and later at the hands of the Poles after the death of Ivan IV. They remember the French and the German invasions, and in today’s Central Asian immigrants they see the modern equivalent of the Golden Horde. Russians still have pride in their nation and people and have a government that is at least moderately responsive to their desires. Even if the United States loses its European character, Russians are determined to remain masters in their own home.

Reprinted from Russia Insider.

jeudi, 02 février 2017

Presseschau Februar 2017

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Presseschau
Februar 2017
 
Wieder einige Links. Bei Interesse anklicken...
 
AUßENPOLITISCHES
 
Globale Verschuldung steigt auf 325 % der Wirtschaftsleistung
 
Studie zu sozialer Ungleichheit
Acht Menschen reicher als Hälfte der Welt
 
Wirtschaftsgipfel in Davos
Die vier Krankheiten des Kapitalismus
Die größte Sorge der Elite sind fallende Börsenkurse - normalerweise. Doch beim Wirtschaftsforum in Davos ist 2017 alles anders. Was Manager und Politiker diesmal umtreibt, ist viel schlimmer.
 
IWF-Bericht
Griechenlands Schuldenlast langfristig "explosiv"
 
Wagenknecht für Nato-Auflösung und Sicherheitsbündnis mit Rußland
 
"Das Jahr der Patrioten" - Treffen EU-kritischer Parteien in Koblenz (JF-TV Reportage)
 
Obamas Knieschuß
von Thomas Fasbender
 
„Das Zittern der Kollaborateure“ – FPÖ-Außenpolitiksprecher Dr. Johannes Hübner im ZUERST!-Gespräch
 
Alexander Van der Bellen
Österreichs neuer Präsident bekennt sich zu Europa
 
Frankreich
Rücktritt bei Anklage
Fillons rote Linie
 
Tschechiens Innenminister will Waffenzugang für Bürger erleichtern
 
Spezialeinheiten der Polizei nahmen in Wien Terrorverdächtigen fest
 
Gewalt in Großbritannien
Insel des Hasses
Großbritannien ist das Land mit den meisten Hassverbrechen in Europa. Die Leute sind dort aber gar nicht schlimmer als anderswo. Spielen Polizei und Staatsanwaltschaft ihr eigenes Spiel?
 
Bundeswehr im Nato-Einsatz
Panzertruppe bricht nach Litauen auf
Die Nato rüstet im östlichen Bündnisgebiet massiv auf, um Russland militärisch abzuschrecken. Die Bundeswehr verlegt aus diesem Grund eine Panzertruppe nach Litauen. Die Linke warnt vor einer Eskalation.
 
Mindestens 35 Tote bei Angriff auf Nachtclub Reina in Istanbul
 
Large Explosion Reported in Turkish City of Izmir
 
Turkey reinforcing its presence in al-Shahba
 
Nach dem Fall Aleppos
Der Syrienkrieg wird nicht enden, aber er ändert sich
 
"Was Sie über Aleppo hören, ist bestenfalls ein kleiner Teil der Wahrheit"
Interview mit dem Konfliktforscher Jan Oberg, der die Befreiung Aleppos als "weltgeschichtliches" Ereignis einstuft
 
Israelische Kampfflugzeuge greifen syrische Armee in Damaskus an
 
Syrien
IS zerstört Teile der antiken Stadt Palmyra
Während im Nordwesten von Syrien mehrere Dutzend Anhänger der Terrormiliz bei einem Luftangriff getötet werden, wird bekannt, dass die Extremisten neue Teile der antiken Stadt Palmyra zerstört haben.
 
Moderater Islam
Kampf gegen Kriminelle: Marokko verbietet Burkas
 
Fort Lauderdale: Der Mörder ist ein Islamist
Der 26-jährige Islamist Esteban Santiago hat am Flughafen Fort Lauderdale in Florida mindestens fünf Menschen erschossen und neun weitere verletzt.
 
Friedensnobelpreisträger Obama warf im letzten Amtsjahr 26.171 Bomben ab
 
(Zur Zeit nach Obama und zu den internationalen Eliten)
Me, Myself and Media 30 - Cheops, deine Zeit ist um!
 
Kommentar zu Trump
Der Anti-Achtundsechziger
 
Make thinking logical again
Der Schock über die Wahl Trumps lag wie ein Biberdamm im Gefühlsstrom der Deutschen. Doch nun bricht sich scheinbar etwas Bahn, was acht Jahre lang als gezähmtes und „differenziertes“ Rinnsal durch deutsche Gemütsschluchten und Blätterwälder kroch: Der latente linke Antiamerikanismus.
 
„Antifa“-Terror gegen Trump
Diesen kriminellen Abschaum kennen wir aus Deutschland zur Genüge. „Antifa“-Fahnen, Vermummung, Schlagwerkzeuge – damit wird in den USA unter Trump jetzt aufgeräumt!
 
Wahlkampfversprechen eingelöst
Trump kündigt Handelsabkommen TPP auf
 
Trump streicht Abtreibungslobby die Mittel
 
Nato
Trump wird Merkel nicht von der Angel lassen
 
Mit Goebbels‘ Sekretärin gegen Trump
Den deutschen Medienschaffenden sind in diesen Tagen im Umgang mit Donald Trump die letzten Schamgrenzen abhanden gekommen. Die jüngste Wunderwaffe gegen die „dritte Inkarnation des Teufels“ nach Napoleon und Hitler („Bild“ über Trump) heißt Brunhilde Pomsel, die am Freitag in einem Altenheim mit 106 Jahren starb. Sie war eine der ältesten Frauen Deutschlands. Im Zweiten Weltkrieg arbeitete sie als Sekretärin im Büro von Propagandaminister Joseph Goebbels.
 
Wahlleugner
Die Trump-Hasser, darunter ein Grossteil der Medien, kommentieren das Geschehen, als sei ein irrer Putschgeneral am Wüten.
 
Kredite für Enkel
US-Rentner müssen 67 Milliarden Dollar Studiengebühren abstottern
Fast drei Millionen Amerikaner über 60 Jahre sind verschuldet, weil sie Studiengebühren zurückzahlen müssen. Die meisten haben die Kredite für Kinder oder Enkel aufgenommen.
 
Millennials
Junge weiße Amerikaner verdienen viel weniger als ihre Eltern
Sie haben ein geringeres Einkommen, weniger Vermögen und seltener ein Haus: Jungen Weißen in den USA geht es heute schlechter als ihren Eltern in den Achtzigern. Anders ist die Lage bei Schwarzen und Latinos.
 
Proteste in Mexiko
Wut auf die Eliten, Angst vor der Zukunft
 
Nach Protesten in Mexiko steht das Land kurz vor einer Revolution und niemand spricht darüber
 

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INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Kanzlerin erinnert an Werte
Merkel stellt unmissverständlich klar: "Wir alle sind das Volk"
 
Staatsversagen. Schmerzhafte Erkenntnisse
 
Merkels Rechtsbruch? Unglaubliches zur Grenzöffnung & zur Migrationswelle - Flüchtlinge 2017
 
2017: Vier Kämpfe, vier Fronten
von Wolfgang Hübner
 
Neujahrsansprache Dr. Frauke Petry (AfD)
 
Die Unruhe der Etablierten
von Karlheinz Weißmann
 
(Polit-Satire)
Zwischenruf von der Grünen Couch – Folge 1
Patrick Schenk zu den Zeitläufen
 
Erika Steinbach verlässt die CDU und wirft Merkel Rechtsbruch vor
 
(Zu Norbert Lammert)
Volk als Fiktion
von Karlheinz Weissmann
 
Außenminister nimmt in Frankfurt den Ignatz-Bubis-Preis entgegen
Steinmeier warnt vor "völkischem Denken"
In Frankfurt nimmt der Außenminister und wahrscheinliche nächste Bundespräsident den Ignatz-Bubis-Preis an. Steinmeier sieht die Auszeichnung auch als Auftrag.
 
(Broder rechnet mit der medialen und politischen Kaste ab)
Henryk M Broder: "Kölner Silvesternacht - Es war ein Pogrom!" / Bürgerliche Freiheit in Gefahr
 
(Zu Martin Schulz)
Das Establishment hat seinen Populisten
von Thomas Fasbender
 
2017 - Jahr der Entscheidung
Martin Schulz – der größte Abkassierer von allen?
 
Nicolaus Fest zum Kanzlerkandidaten Martin Schulz
 
Terrorismus
BKA warnt vor Anschlägen mit Chemie-Waffen
 
Bundestagswahl
Spitzenkandidaten: Grüne spielen Demokratie
 
Das grüne Dilemma
von Björn Schumacher
 
Online-Petition
Grünen-Mitglied fordert Talkshow-Verbot für Rainer Wendt
 
Oberhausen: Polizei rechnet Einbruchszahlen runter
 
Verdacht der Bestechlichkeit
Staatsanwalt ermittelt auch gegen ehemaligen Regensburger OB
In der Parteispendenaffäre um den Regensburger SPD-Oberbürgermeister Wolbergs ermittelt die Staatsanwaltschaft jetzt gegen dessen Vorgänger. Auch dem CSU-Politiker Schaidinger wird Bestechlichkeit vorgeworfen.
 
Berlin: Unser Dorf soll schöner werden
Die Hauptstadtpresse bejubelt ihren neuen Bürgermeister, der der alte ist und uralte Ideen verfolgt - die aus der Hauptstadt der DDR. Der Staat kann alles, der Bürger nichts, außer Rad fahren.
 
Nach Rede zum Holocaust-Mahnmal
AfD-Chefin Petry: „Höcke ist eine Belastung für die Partei“
 
Björn Höcke und das »Denkmal der Schande«
 
Persönliche Erklärung von Björn Höcke zu seiner Dresdner Rede
 
Meinung
Höckes Bärendienst
von Michael Paulwitz
 
Nach Holocaust-Rede
AfD-Chef Meuthen hält Streit um Höcke für erledigt
 
Nach Höcke-Rede
Gabriel fordert Verfassungsschutz-Beobachtung der AfD
 
Nach kritisierter Rede
AfD-Vorstand leitet Ordnungverfahren gegen Höcke ein
 
AfD-Führung, es reicht!
Von Wolfgang Hübner
 
Die Rückkehr der sozialen Frage
 
(ebenfalls zur sozialen Frage)
Die soziale Frage
 
„Stolperstein in der Geschichte“
Uni Greifswald streicht ihren Beinamen „Ernst Moritz Arndt“
 
Mühlheim
Bogen zur Gegenwart konsequent gespannt
Schüler stellen Auschwitz-Projekt vor
 

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LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
Identitäre Bewegung
Die neuen Rechten - hip und völkisch
Keine Glatzen mit Springerstiefeln, sondern smarte Jungs in Sneakern. Die Identitäre Bewegung gibt sich modern. Ihr Spielfeld: Facebook und Twitter. Ihre Haltung: national. Ihr Feind: der Islam.
 
(Die "antifaschistische" Journalistin Andrea Röpke bekommt mal wieder den WDR als Bühne zur Verbreitung ihrer Thesen gegen die "Identitären" zur Verfügung gestellt)
Das braune Netzwerk
Ein Film von Caterina Woj und Andrea Röpke
 
(…und eine Antwort auf Röpke von Martin Sellner)
 
Hausdurchsuchung bei Aktivisten der Identitären Bewegung Schwaben
 
PI-News
Undercover-Reporter reist mit Rechtspopulisten – und ist schockiert
 
(Links beeinflusste Amtskirchen…)
Meinung
Wider den Weltverbesserungsplan
von Karlheinz Weißmann
 
Bayern-Präsident Hoeneß hetzt gegen AfD
 
Der Fußball als Büttel der Antifa-Politik
Eintracht-Funktionäre wettern gegen AfD und Trump
 
Kardinal Marx zieht rote Linie zur AfD
 
Ingo Kramer
Arbeitgeberpräsident: AfD ist „tödlich für unsere Volkswirtschaft“
 
Nach kritischer Mail SPD-Mann Lauer outet Sparkassen-Mitarbeiter als AfD-Fan
Christopher Lauer ist immer wieder rechter Hetze ausgesetzt. Nun hat der SPD-Mann die Mail eines AfD-Anhängers veröffentlicht, abgesendet von dessen Sparkassen-Account.
 
(SPD-Politiker Christopher Lauer)
Der Schmalspur-Denunziant
von Michael Paulwitz
 
(Zu Saskia Esken, Christopher Lauer, Rainer Faus…)
Unbelehrbare Denunzianten
von Michael Paulwitz
 
(Zu Andrej Holm)
Linker Staatssekretär absolvierte Schulungskurs für Stasi-Laufbahn
 
Berlin
Müller entläßt Stasi-belasteten Staatssekretär Holm
 
„Arglistige Täuschung“
Humboldt-Universität entläßt Andrej Holm
 
(Zu Lalon Sander)
Auf einen Bubble Tea mit der „taz“
 
von Felix Krautkrämer
 
(Zur Erinnerung hier nochmals etwas zur Ideologie von Lalon Sander…)
Rassismus in der „taz“
 
Sahra Wagenknechts Freischwimmen gegen Rechts
 
(Der "Links-Staat"…)
Doku „Der Links-Staat“
Bayerischer Rundfunk geht gegen unliebsame DVD vor
 
Historisches Urteil in Karlsruhe
Bundesgerichtshof entscheidet: NPD wird nicht verboten
 
Rechte unter Artenschutz
Kommentar: NPD wird nicht verboten
 
(Geld möglichst nur für etablierte Parteien…)
NPD-Urteil
Beuth will Finanzierung der Partei überprüfen
 
Reichsbürger im Visier
Razzien gegen mutmaßliche Rechtsextremisten in mehreren Bundesländern
 
(Wenn mal wieder von "jungen Leuten" die Rede ist…)
Hanau
Suppe aus der "Volxküche"
Autonomes Kulturzentrum feiert 30-jähriges Bestehen
 
Thema "Geschlechterforschung"
Proteste gegen AfD-Vorlesung an der Magdeburger Uni
An der Universität Magdeburg ist eine geplante Veranstaltung der AfD von Studenten gestoppt worden. Die Rechtspopulisten um André Poggenburg verließen nach Randalen den Raum.
 
Linksextreme dürfen an Universität Blockaden üben
Wenn sich im Sommer die mächtigsten Staatschefs der Welt in Hamburg treffen, werden auch diverse Linksextreme demonstrieren. An der Hamburger Uni dürfen sie für ihr Training die Räumlichkeiten nutzen.
 
TU Dortmund: Öffentliche Gründung der „Anarchistischen Hochschulgruppe“ an Nationalisten gescheitert!
 
Berlin
Linksextremisten bekennen sich zu Steinwürfen auf Polizei
 

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EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
(Zur Lobbyorganisation Pro Asyl)
Pro Asyl – Migrationsnetzwerk und Meinungsmacht
 
Starker Anstieg der Migrationsbereitschaft in Nordafrika
 
Asyl in Deutschland
Familiennachzug um 50 Prozent gestiegen
Das Auswärtige Amt erteilte im vergangenen Jahr 105.000 Visa. Dabei waren besonders viele Syrer und Iraker. Zudem nahm Deutschland mehr als 12.000 Asylbewerber zurück.
 
Bundespolizist: Grenze zu NRW „offen wie ein Scheunentor“
 
Generation haram
 
(Die taz gibt Tipps zur Scheinehe für Einwanderungswillige…)
taz.gazete-Ratgeber
Welcome to Almanya
Sie leben in der Türkei und wollen nach Deutschland migrieren? Das wird nicht einfach. Hier sind fünf Möglichkeiten zur Auswanderung, vier davon legal.
 
Papiere? Der Eritreer schüttelt den Kopf
 
Keine Handy-Kontrolle von Asylbewerben ohne Papiere
 
Generalstaatsanwaltschaft ermittelt - Syrische Botschaft in Berlin verkauft angeblich Pässe
 
Geburtsdatum 1. Januar
Flüchtlinge werden volljährig: Asylkosten für Kommunen explodieren
 
(Ein Beispiel aus dem Ausland)
Israel zieht Gehalt von Asylbewerbern ein
 
Özdemir fordert Visa-Erleichterung für Maghreb-Staaten
 
Zeichen der Wiedergutmachung
Brandenburg schiebt Opfer „rechter Gewalt“ nicht mehr ab
 
Mehr als 5.000 abgelehnte Asylsuchende
Brandenburg schiebt kaum ab
 
Erneute Sammelabschiebung
Bloß nicht abschieben
von Moritz Schwarz
 
Mitarbeiterin zeigte 300 Asyl-Sozialbetrüger an – Gegen den Willen der Aufnahmebehörde
 
Braunschweig
Scheinidentitäten: Ermittlungen in 100 Betrugsfällen
 
Haushalt 2016
21,7 Milliarden Euro für Flüchtlinge
 
Migrationspolitik - Jedes Unrecht beginnt mit einer Lüge
 
Merkels Rechtsbruch? Unglaubliches zur Grenzöffnung & zur Migrationswelle - Flüchtlinge 2017
 
(Die nächste Kunst-Propaganda-Aktion zur Beeinflussung von Schülern)
Ideen gegen Menschenfeindlichkeit
Demokratie trifft Street-Art
 
(Sie sind offenbar gekommen, um deutschen Rentnern den Po zu putzen…)
Vorstoß von Hermann Gröhe
Flüchtlinge sollen Pfleger werden
 
Polizeigewerkschaft sucht nordafrikanische Polizeischüler
 
Gesellschaft im Wandel
Immer mehr Polizisten mit Migrationshintergrund
 
(Einwanderungshelfer klagen…)
PEGIDA-Bachmann hat schon wieder einen neuen Prozess am Hals
 
Flüchtlinge 300 Euro für Taxifahrt zum Sozialamt!
 
Integration soll gefördert werden
Ansturm auf Fahrschulen durch Asylbewerber
 
Integrationspolitik
Ex-Lageso-Chef fordert Lotsen für jeden Flüchtling
 
90 Prozent wollen bleiben
Milliarden für Integration von Zuwanderern notwendig
 
Kripo-Chef kritisiert Bund nach massenhaftem Sozialbetrug durch Asylbewerber
 
Flüchtlinge sind nicht krimineller als Deutsche –
sie begehen nur mehr Straftaten: Das Ergebnis meines Aufrufs zur statistischen "Tiefenbohrung" vom 8. Dezember 2016
von Michael Klonovsky
 
(Auch ein Lösungsversuch… Mehr rot-grüne Pädagogen mit vom Steuerzahler finanzierten Arbeitsstellen versorgen…)
Erzieher: Polizisten allein schaffen es nicht
Damit junge Flüchtlinge nicht zu Kriminellen werden, braucht Deutschland mehr Erzieher.
 
90 Prozent arbeitslos
Österreich: Immer mehr Anzeigen gegen Asylbewerber
 
(Nachtrag zur Rezeption des Berlin-Attentats)
Von Leichenfledderer zu Leichenfledderer
 
Attacke auf Weihnachtsmarkt
Wagenknecht gibt Merkel Mitschuld an Terroranschlag
 
Nach Protesten: Gedenkminute in Berlin für Anschlagsopfer
 
(Zum Berliner Attentat)
Eine widerwillige „Schwamm drüber Stimmung“
Andere Länder, andere Sitten: die Opfer des Attentates am Stade de France von Paris wurden mit einem bewegenden  Staatsbegräbnis beigesetzt. (…)In den letzten drei Wochen wurde nicht bekannt, dass Spitzenpolitiker die Verletzten des Berliner Attentats im Krankenhaus besucht hätten. (…)
 
Weihnachtsmarkt-Anschlag Berlin, eine Stadt ohne Mitgefühl
 
Behörden wußten von IS-Terroristen im Flüchtlingsstrom
 
Deutschland im Jahr 2017: Ein Kommentar von Claus Strunz
 
Libanesische Familienclans beherrschen im Ruhrgebiet ganze Straßenzüge
Parallelwelten? "No-Go-Areas"? Wie die Sicherheitslage im Gelsenkirchener Süden aussieht, schildert ein Polizist vor einem U-Ausschuss im Landtag. Von mafiösen Strukturen ist die Rede.
 
Berlin-Neukölln
Auto an Silvester abgefackelt: Tatverdächtige sind wieder frei
 
»Das Verschweigen hat System« Kositza im COMPACT-Gespräch
Ellen Kositza sprach für die aktuelle COMPACT-Ausgabe mit Jürgen Elsässer über ihr Buch Die Einzelfalle und das dröhnende mediale Schweigen zum Frauenhaß muslimischer Zuwanderer.
 
(So etwas muss ja auch erst einmal mit Steuerzahlergeld erklärt werden…)
Senat startet Postkartenaktion "Nein heißt Nein"
Kurz vor Silvester startet Gleichstellungssenatorin Dilek Kolat eine Aktion, um die Strafbarkeit sexueller Belästigung aufmerksam zu machen.
 
Silvester in Köln
Große Gruppen von Nordafrikanern irritieren die Polizei
 
Simone Peter und die Polizei
Die Wirklichkeit drängt ans Licht
von Karlheinz Weißmann
 
Kommentar
Neujahrsnacht hinterlässt bitteren Nachgeschmack
 
Schwarzer: Nordafrikanern ging es um Machtprobe
 
Silvesternacht
„Klientel von 2015“: Warum zog es erneut mehr als 1000 Nordafrikaner zum Dom?
 
Silvesternacht
Polizist schildert Einsatz: „Die haben Konfrontation gesucht“
 
Die herbeifantasierte „Realität“ der Frankfurter Rundschau
Linker Kampfjournalismus, einmal näher betrachtet
 
(Das hat eigentlich alles gar nichts mit Nordafrikanern zu tun…)
Ausländerbeirat lobt Kölner Beamte
„Dankeschön an Polizei“
 
Kontrolle von Nordafrikanern
Köln: Polizei verteidigt Silvestereinsatz
 
Kölner Polizei distanziert sich von „Nafri“-Tweet
 
Zahlreiche Sex-Attacken an Silvester
 
Frankfurter Polizei meldet Festnahmen wegen sexueller Belästigung
Die Frankfurter Polizei hat in der Silvesternacht mehrere Männer festgenommen. Gegen alle fünf sei ein Strafverfahren eingeleitet worden. Auch andernorts in Hessen gab es Zwischenfälle.
 
Silvester in Deutschland
Im Belagerungszustand
von Michael Paulwitz
 
Grüner Realitätsverlust, Terror und Nafri-Debatte im Jahr der Entscheidung
 
(Der "Spiegel"-Kommentator Christian Neeb versucht naseweis nachzutreten und die Polizei zu maßregeln…)
Meinung
von Thomas Fasbender
Typisch deutsche Autoaggression
 
Safia S. zu sechs Jahren Haft verurteilt
 
Betonpoller sollen Karneval sichern
 
Hamburg
Sexueller Übergriff: Polizei fahndet nach Afrikanern
 
(Ein weiteres Argument für mehr Migranten im Polizeidienst…)
Ermittler-Azubis rasten aus
Wilde Schlägerei an Polizeiakademie
 
Wuppertal und die Brandstifter
Für die Justiz in Nordrhein-Westfalen ist der Anschlag auf eine Synagoge ein Akt der Kritik an Israel
 
Godshorn
Polizei Langenhagen sucht Täter Zwei Räuber überfallen schwangere Frau
Nach einem Raubüberfall auf eine sichtbar schwangere Frau sucht die Polizei nun mithilfe eines Phantombildes einen der beiden Täter. Das 37 Jahre alte Opfer war bei der Tat in Godshorn verletzt worden und musste ins Krankenhaus.
 
Kleve
Vater fasst möglichen Vergewaltiger seiner Tochter
 
("leicht dunkler Teint"…)
15-Jähriger in Pforzheim brutal ausgeraubt
 
Täter wollte Opfer mit Hepatitis anstecken
Polizeibekannter Vergewaltiger aus Pakistan kann nicht abgeschoben werden
 
Uni München: Mutmaßlicher Vergewaltiger gefaßt
 
München
Bande attackiert und beraubt drei Jugendliche
 
Schülergewalt in Neumünster
Gewalt in DaZ-Klassen: Landtagsabgeordneter Volker Dornquast im Interview
 
Migrantenterror in Göteborg, oder wie eine No-Go-Zone entsteht
 
Tat gefilmt
Mutmaßliche Vergewaltigung: Schwedische Polizei nimmt Verdächtige fest
 

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KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
(Marx-Monument für Trier. Wann folgen Lenin und Stalin?)
Geschenk aus China
Das ist der Mega-Marx für Trier
 
(Jahrhunderte alter Kunststreit)
Figuren und Theater
Geklaute Buddha-Statuen und provozierende "Trostfrauen"-Skulpturen: Südkorea und Japan streiten sich derzeit um gleich mehrere Skulpturen. Und nun sorgt ein Gerichtsurteil für neuen Ärger zwischen den beiden Nationen.
 
Sanierung: Schaut auf diese Schulen!
Übel riechende Toiletten, defekte Dächer, Schimmel an den Wänden – Deutschlands Schulen ähneln Ruinen. Bisher hielt man das für ein ästhetisches Problem. Dabei geht es weit darüber hinaus, wie man an einer Schule in Berlin sieht.
 
LGBTQ: Auch Transgender-Jungen dürfen Pfadfinder sein
In den USA können alle Jungen Mitglied der Boy Scouts werden. Egal, welches Geschlecht in ihrer Geburtsurkunde steht. Bei den Pfadfinderinnen ist das schon Alltag.
 
Not to be normal
Das "Normale" wird gemacht. Endlich mal ein Phänomen, bei dem unstrittig ist, daß wir es mit sozialer Konstruktion zu tun haben und nicht mit Naturgegebenheiten, nicht wahr?
 
(Zum Online-Angebot "Funk")
Funky Business
Von Akif Pirincci
 
Top Zehn der „Fake News“ 2016
Die Deutungshoheit wackelt
 
„First Draft Partner Network“
Deutsche Medien treten Bündnis gegen „Fake News“ bei
 
(Wenn Claus Kleber mit von der Partie ist, wird sicher alles gut…)
Kampf gegen gefälschte Meldungen
Facebook setzt im Kampf gegen „Fake News“ auf Correctiv
 
Die inszenierte Wirklichkeit
Von der TV-Schnulze bis zur Geschichtsdoku: Wie ARD und ZDF die Wahrheit verfälschen
 
(Zu "Fake News")
Ein Gott, ein Recht, keine Wahrheit
von Thomas Fasbender
 
Medien
Gouvernanten in der Krise
von Michael Paulwitz
 
Merkel-Selfie
Flüchtling zieht wegen Hetze bei Facebook vor Gericht
Das Bild eines Flüchtlings, der mit der Kanzlerin ein Selfie macht, ging um die Welt. Unbekannte unterstellen dem Mann später Straftaten – verbreiteten Fake News. Jetzt klagt er.
 
Wenn Journalisten nach Zensur rufen
 
(Zur "Fake-News"-Kontrolle)
Feuchter Alptraum
von Maximilian Krah
 
(Die linke Jury hat mal wieder etwas passendes herausgesucht…)
Diffamierende Sprache
"Volksverräter" ist das Unwort des Jahres 2016
Sprachwissenschaftler haben das Unwort des Jahres bekannt gegeben: Sie entschieden sich für den Begriff "Volksverräter", mit dem rechte Pöbler oft Politiker beschimpfen.
 
Wieder mal ein politisch einseitiges "Unwort des Jahres"
Die Bürger Für Frankfurt machen alternative Vorschläge
 
Am Meinungs- PRANGER ---- RE-UP
 
Politische Korrektheit führt zur geistigen Knechtschaft
Von Norbert Bolz
 
„Nazi“ ist das global erfolgreichste deutsche Wort
 
Identität
Was es heute heißt, deutsch zu sein
 
Volk – Aufgabe statt Konstrukt
von Martin Sellner
 
Warum man das Deutsche Volk schwach halten will
Von Andreas Popp
 
S.P.O.N. - Der Schwarze Kanal In der Identitätsfalle
Der Kolumnist hat den Finanzminister einen Schwaben genannt - das schreit nach Strafe. Halb Baden schickt Leserbriefe. Was verrät die Empörung über unser Heimatgefühl? Kann man seine Identität ändern, wenn man lang genug in Stuttgart lebt?
Eine Kolumne von Jan Fleischhauer
 
Demokratie als Religion?
Über die erschreckenden Hintergründe eines Dogmas
von Andreas Popp
 
Briefwechsel zwischen Claus Leggewie und Götz Kubitschek
 
Umbruchszeiten
 
Hans-Dietrich Sander ist tot
 
London
Zu eurozentrisch
Studenten wollen weiße Philosophen von Lehrplan verbannen
 
(Belästiger werden es in Zukunft einfacher haben…)
Gender-Debatte
Grüne planen Unisex-WCs in Berliner Behörden
 
(Schräg…)
Berlin: Anti-Trump Feminists chant "Allahu Akbar" at "Women's March" against Inauguration
 
Political Correctness
Vom Medienphantom zum rechten Totschlagargument. Die sonderbare Geschichte der Political Correctness
 
Praktische Alternativen fürs Volk
von Felix Menzel
Was glauben Sie, wieviel Geld bei den Anhängern der patriotischen Opposition „herumliegt“? Mit „herumliegt“ ist gemeint, daß es jederzeit verfügbar ist, aber gegenwärtig nicht gebraucht wird.
 
(THRIVE Deutsch) GEDEIHEN: Was Auf Der Welt Wird es Brauchen?
 
(Die nächste Hakenkreuz-Horror-Boulevardmeldung…sofort bei Amazon bestellen…)
Swastikas im Schnee - Winterstiefel hinterlässt Hakenkreuz-Abdrücke
 
(…und endlich. Erleichterung macht sich breit.)
US-Firma nimmt Hakenkreuz-Schuhe vom Markt
(Nun dürfen sich alle freuen, und diese Akte kann endlich ad acta gelegt werden…)
Alois Brunner starb in Damaskus
Nazi-Kriegsverbrecher hauste in Kellerloch
 
Alles eine LÜGE! - die echten Kriegsursachen von 1939
Generalmajor a.D. Gerd Schultze-Rhonhof spricht in München über die Kriegsursachen 1939
 
Frankfurter Polit-"Tatort" über Sprachchaos
"Nafris" gegen "Nazi Bitches"
 
(Dazu…)
Das war's. Diesmal mit: gewaltverherrlichendem Sauerteig und der umfänglichen Naziszene in Frankfurt
 
(Ebenfalls zur "Tatort"-Propaganda)
Danke ARD - die 3 besten Lügen im Identitären – Tatort
 
(Zum Linksdrall und der Selbstkorrumpierung der Kunst- und Kulturszene)
Macht, Kunst, Geld
 
Oscarverleihung
Rassismus in Hollywood?
 
Messertanz
von Johannes Konstantin Poensgen
Der Schnitt durch unser Volk wurde mir nie so fühlbar, wie in dem interessantesten und kultiviertesten Gespräch, das ich seit langem geführt habe. Während einer Bahnfahrt von Koblenz nach Trier begegnete ich einem, ja was eigentlich?
 
Fußball
Real Madrid entfernt Kreuz aus Emblem
 
Änis Ben-Hatira
Fußball-Profi verteidigt Salafisten-Verein
 
Neue Mönche im Kloster Neuzelle
Heiligenkreuz/Neuzelle – 199 Jahre nach der Säkularisation des Klosters Neuzelle in Brandenburg haben die Mönche von Stift Heiligenkreuz in ihrer Kapitelsitzung am 10. November 2016 entschieden, eine Wiederbesiedelung des Klosters Neuzelle zu wagen.
 
Nicolas Cage gibt Dino-Schädel zurück
Reiche Amerikaner kaufen geschmuggelte Fossilien / Jetzt wehrt sich die Mongolei.
 
Sollen Katzenbesitzer für ihre Tiere Steuern zahlen?
 
(Ein Hund, der ein Schaf sein sollte… Leserkommentare beachten)
Dieser dreiste Steuertrick löste einen Polizeieinsatz aus
 
Syrien wie alles begann
Die Anstalt
 
Niemand ist sicher: "Mister"!
Das Warten hat ein Ende: Nach fast acht Jahren und dem Umweg über drei (!) verschiedene Verlage ist der dystopische Roman Mister aus der Feder Alex Kurtagićs endlich in deutscher Übersetzung erhältlich!
 
Berlin und Potsdam 1945 (in Farbe und HD 1080p)
 

jeudi, 26 janvier 2017

Pourquoi l'ont-ils tué?

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Bob Woodward:

Ex: http://www.decryptnewsonline.com 

Mouammar Kadhafi voit le jour en 1942. C’est un jeune Bédouin – aux origines anecdotiques - issu d’une famille si pauvre qu’il avait à peine de quoi se nourrir. Il est toutefois décrit comme brillant à l’école. Il réussit à étudier en quatre années seulement le programme de six années du cycle primaire. Il apprend avec une facilité qui étonne ses camarades et ses enseignants. Très vite, il dégage autour de lui une sorte d'autorité naturelle et une fierté qui contraste avec son cadre de vie très modeste. Féru de lecture, il fait la connaissance des grands personnages qui ont fait l'histoire du monde et de l’Afrique : Abraham Lincoln, le général de Gaulle, Mao Zedong, Patrice Lumumba et surtout Gamal Abdel Nasser le leader égyptien dont il s’inspire particulièrement. L'environnement politique de l'époque est marqué par une série d'évènements dans le monde arabe : la guerre d'Algérie, l'agression de l'Égypte, la bataille du Liban, la question palestinienne, la révolution au Yémen, la présence sur le sol libyen des bases militaires américaines et britanniques, l'état misérable du peuple libyen, victime d’un règne monarchique gangrené par la corruption et le népotisme. Autant de facteurs qui amènent Kadhafi à se sentir « investi d’une mission » celle de libérer son pays de la domination étrangère, de la pauvreté et des inégalités.

En 1963, Kadhafi obtient son baccalauréat de philosophie, mais refuse de travailler dans les compagnies pétrolières. Il a autre chose en tête. Il crée un groupe de jeunes pour entrer à l’école militaire de Benghazi, pas pour devenir des soldats de métier, mais pour infiltrer l’institution et s’en servir pour mener la révolution. Six ans plus tard, il prend le pouvoir avec ses compagnons d’armes, le 1er septembre 1969, à l’occasion d’un coup d’Etat sans effusion de sang. Mouammar Kadhafi n’est alors qu’un jeune officier de 27 ans. Son rêve de transformer la Libye peut commencer. Il durera tout le temps de son action aux commandes de son pays : 42 ans, et s’étendra sur l’Afrique.

Mouammar Kadhafi se révèle rapidement être un nationaliste souverainiste habité par l’idée de protéger son pays et de faire bénéficier à son peuple les revenus tirés des ressources pétrolières et gazières, jusqu’alors détournés et dilapidés par un régime corrompu, celui du Roi Idriss et les compagnies pétrolières. Le jeune pilote est particulièrement choqué face à la luxure et l’indécence déployée au cours des festins organisés dans son pays par les compagnies pétrolières et les autorités à côté d’une population qui manque pratiquement de tout. Kadhafi est un souverainiste. Il rejette tous les impérialismes, aussi bien l’impérialisme américain que l’impérialisme soviétique dont le côté athée » choque sa conscience de « croyant ». Ce refus du communisme, en pleine période de Guerre froide, va d’ailleurs l’épargner des ennuis avec les Occidentaux qui ne voyaient pas en lui une menace là où les leaders ouvertement communistes d’Amérique latine et d’Afrique étaient des cibles à abattre. Il parvient à contrôler les ressources de son pays et à renégocier les contrats là où les pays alignés derrière l’une ou l’autre des superpuissances disposaient des marges de manœuvres assez limitées. Il nationalise les principaux secteurs de la vie économique libyenne, moyennant compassassions. Dans le secteur pétrolier, les négociations sont ardues, mais en 1971, Kadhafi réussit ce qu’aucun autre pays pétrolier n’avait réussi auparavant : imposer aux compagnies pétrolières une augmentation des prix du brut. Le mouvement va faire des émules dans les pays de l’OPEP.

19799.jpgPour la première fois, le peuple libyen se réapproprie les richesses de son pays. Le revenu annuel qui était de 2 milliards 223 millions de dollars en 1973 passe à 6 milliards en 1974, pour atteindre 8,87 milliards de dollars en 1977. Des centaines de milliers de familles libyennes voient leur condition de vie s'améliorer considérablement. Sous le roi Idriss, la Libye était parmi les pays les plus pauvres de la planète. 94% de la population était analphabète. La mortalité infantile était parfois de 40%. Kadhafi va transformer un pays et un peuple tout entier. Et pas seulement la Libye. L’argent du pétrole libyen va financer plusieurs causes à travers le monde, notamment la cause du peuple palestinien et la lutte des Noirs en Afrique du Sud. La Libye est ainsi le premier pays que visite le leader de la lutte contre l’Apartheid, Nelson Mandela, dès sa sortie de prison en 1994. Kadhafi permet à l’Afrique de connaître sa première révolution technologique en finançant le premier satellite de télécommunication RASCOM-QAF1 permettant aux pays africains de se rendre indépendants des réseaux satellitaires occidentaux et d’économiser plus de 500 millions de dollars (ou de les faire perdre aux compagnies occidentales).

La Libye investit plusieurs milliards de dollars dans les secteurs variés des économies des pays africains. Contrairement aux Occidentaux qui investissent principalement dans l’industrie extractive, Tripoli investit dans les secteurs primaires (agriculture, élevage) et tertiaire (banques, hôtels, services), principalement dans les pays les plus pauvres du Continent. La Libye lance le chantier de trois organismes financiers qui devraient contribuer à asseoir l'émancipation monétaire et financière de l'Afrique : la Banque africaine d'investissement (BAI), le Fonds monétaire africain (FMA) avec un capital de 42 milliards de dollars et la Banque centrale africaine (BCA). Outre le rachat des dettes et engagements contractés auprès des Institutions financières internationales, le développement de ces trois organismes devait permettre aux pays africains d'échapper aux diktats de la Banque mondiale et du FMI et marquer la fin du franc CFA. Une émancipation que l’Occident voit de très mauvais œil.

Trois attentats terroristes ont valu à Kadhafi d’être présenté comme la figure emblématique du terrorisme international : l’attentat contre la discothèque La Belle, à Berlin, en 1986, l’attentat contre un avion de la Pan Am au-dessus du village écossais de Lockerbie en 1988 et l’attentat contre le DC10 d’UTA en 1989 au-dessus du Niger. Tant d' évènements tragiques pour lesquels ils avaient été injustement imputés à l’Etat libyen !

L’attentat de Berlin est le premier de la série. Il a failli coûter la vie à Kadhafi suite à la réaction du président américain Ronald Reagan. Ce dernier, dès son arrivée à la Maison Blanche, en 1981, s’était mis en tête l’idée d’éliminer le Guide libyen qu’il qualifiait en pleine Guerre froide, d’« agent de Moscou », « l’homme le plus dangereux du monde » ou encore « le chien enragé du Moyen-Orient ». L’attentat, non revendiqué, servit de justification aux bombardements américains sur Benghazi et Tripoli, dans la nuit du 15 avril 1986. Kadhafi en sortit indemne, mais une de ses filles fut tuée tandis que sa femme et ses sept enfants furent blessés. Qui a commandité cet attentat ? En tout cas, le procès ouvert en Allemagne a abouti au verdict selon lequel aucun élément probant ne permettait d’établir la responsabilité de Kadhafi dans cette affaire.

Vient ensuite l’attentat de Lockerbie. L'attentat du vol Pan Am 103 a eu lieu le 21 décembre 1988 contre un Boeing 747-100 de l'ancienne compagnie américaine Pan American World Airways, qui assurait la liaison Londres – New York. Il explosa au-dessus du village de Lockerbie en Écosse et causa la mort de 270 personnes. Patrick Mbeko revient sur l’historique des enquêtes et fait remarquer que les éléments recueillis par les enquêteurs américains, Britanniques et Allemands s’orientaient vers la piste des services secrets syriens et iraniens. L’enquête va connaitre un tournant dans les années 1990 suite à l’implication de l’enquêteur du FBI Tom Thurman laissant tous les observateurs ébahis. La piste libyenne fit, depuis, privilégiée. Pourquoi ? L’abandon de la piste syro-iranienne s’imposait au vu d’un gros embarras en perspective. Il existe un monde ténébreux où barbouzes et grand banditisme s’entremêlent si dangereusement que même la justice préfère ne pas voir « ce qu’il ne faut pas voir ». La Libye devint ainsi le coupable idéal, et tout fut mis en œuvre pour lui faire endosser la responsabilité d’un crime qu’elle n’avait pas commis. Tripoli subissait à peine les conséquences de l’affaire de Lockerbie qu’une autre affaire, celle du DC10 d’UTA, était mise à sa charge. Pour rappel, le 19 septembre 1989, soit neuf mois après la tragédie de Lockerbie, le DC-10 du vol UT 772 de la compagnie UTA assurant le trajet Brazzaville-Paris via N'Djamena, explose au-dessus du désert du Ténéré, au Niger. Tous les passagers et membres d’équipage sont tués. Parmi les victimes, des Français et l’épouse de l'ambassadeur des États-Unis au Tchad. La Libye n’avait aucune raison de s’en prendre à la France puisque la guerre du Tchad dans laquelle les deux pays étaient directement impliqués était en voie de règlement. L’auteur attribue l’abandon de la piste syro-iranienne à une alliance de circonstance entre les puissances occidentales et la Syrie durant la Guerre du Golfe et la volonté de ne pas exposer des alliés impliqués dans le dossier des otages au Liban.

kadhafi-jeune.jpgSur les accusations de terrorisme, des années plus tard, les langues se sont déliées et plusieurs preuves sont que la Libye fut injustement accusée des deux attentats. Mais le pays fut contraint de payer : 200 millions de francs d’indemnités aux familles des victimes françaises de l’UTA et 2,7 milliards de dollars aux familles des victimes de Lockerbie. Un acte souvent brandi comme un aveu de culpabilité. En réalité, la Libye perdait beaucoup de revenus suite aux sanctions qui lui avaient été imposées : 24 milliards de dollars. En payant 2,7 milliards de dollars et en reprenant sa place dans le concert des nations, Tripoli s’inscrivait dans la logique froide de la realpolitik : privilégier ses intérêts. Ce geste de décrispation permit à la Libye de redevenir un Etat fréquentable à une époque où il valait mieux ne pas figurer sur la liste des Etat de l’axe du mal. Parallèlement, ce geste de décrispation permit à la Libye d’attirer massivement des investisseurs étrangers dans son secteur pétrolier et même les dirigeants occidentaux. La lune de miel fut néanmoins de courte durée. En cause : le printemps arabe.

Il est nécessaire de remonter à l’épicentre du mouvement des contestations populaires : la petite ville tunisienne de Sidi Bouzid et son héros malheureux Mohamed Bouazizi, le jeune marchand des quatre-saisons immolé le 17 décembre 2010 après avoir été frappé et humilié par une policière, Fayda Hamdi, selon la version véhiculée. Il fait remarquer que les récits ne collent pas à la réalité. Le jeune homme immolé ne s’appelait pas Mohamed Bouazizi, mais Tarek Bouazizi. Il n’était pas diplômé d’université, il n’avait même pas passé son bac. Sur place, à Sidi Bouzid, la population a déjà fait disparaître les traces d’un jeune homme qui aurait pourtant dû être célébré comme une fierté nationale. Pourquoi ? On peut s’interroger sur la spontanéité des révoltes et l’attitude indolente des forces de sécurités pourtant habituées à réprimer violemment les contestataires du régime. De fil en aiguille,il est important de déconstruire l’histoire convenue du « printemps arabe ». On peut remarquer que, si l’étincelle est partie de la Tunisie profonde, sans que personne ne comprenne vraiment qui étaient les tireurs de ficelles en arrière fond, c’est en Libye et en Syrie que le vrai visage des instigateurs du « printemps arabe » est apparu au grand jour, balayant au passage l’invective de la « théorie du complot ». Ce qui s’est passé en Tunisie et en Egypte non pas d’une colère spontanée des masses populaires, mais l’exécution des plans préparés à l’avance.

Dès 2007, les jeunes tunisiens et Egyptiens avaient reçu une série de formations initiées par le CANVAS (Centre for Applied Non Violence), une organisation basée sur les principes tactiques de Gene Sharp. Il s’agissait d’étendre aux pays du monde arabe les expériences réussies dans les anciens pays communistes où les Etats-Unis avaient fait renverser des présidents alliés de Moscou, derrière les révolutions colorées. Les autorités tunisiennes, égyptiennes et libyennes n’avaient ainsi rien vu venir. Le rôle joué par les Etats-Unis en arrière-plan est si déterminant que l’auteur décide de renommer ces évènements : « PRINTEMPS AMÉRICAIN DANS LE MONDE ARABE » et non « printemps arabe ».

Arrive le tour de la Libye, un pays qui, contrairement à la Tunisie et à l’Egypte, n’entretient pas de coopération militaire avec les Etats-Unis. Kadhafi avait fait fermer les bases militaires américaines et britanniques sur le sol libyen dès 1970. Les hauts gradés libyens ne pouvaient donc pas obtempérer aux consignes de l’extérieur. Par conséquent, contrairement à la Tunisie et à l’Egypte, où les manifestations étaient globalement pacifiques et maîtrisées, en Libye, les manifestations pacifiques sont accompagnées de graves violences armées. Les casernes et les commissariats sont attaqués par des unités commandos particulièrement efficaces au combat. Des canons anti-aériens apparaissent. D’où viennent toutes ces armes et ces combattants particulièrement aguerri ? Dans un premier temps Kadhafi donne l’ordre de ne pas réagir et de laisser s’exprimer la colère populaire. Il adopte des mesures sociales et fait même libérer des prisonniers politiques. Mais, rapidement, il perd le contrôle de vastes régions qui passent sous contrôle des groupes islamistes, alors alliés de circonstance de l’OTAN. Lorsqu’il tente de reprendre le contrôle de la situation, il se heurte à la résolution 1973 du Conseil de sécurité de l'ONU autorisant la mise en place d'une une zone d'exclusion aérienne. Cette résolution, qui ne concernait que Benghazi, sera rapidement violée puisque c’est un déluge de bombes et de missiles qui s’abat sur toute la Libye, ainsi qu’une offensive au sol, jusqu’au renversement du gouvernement libyen, ce que l’ONU n’avait pas autorisé. L’auteur décrit les dernières heures de Kadhafi comme un moment de trahison ultime, une traque. Alors qu’il avait obtenu l’aval de l’OTAN pour quitter le pays et s’installer en Afrique du Sud, son convoi fut saccagé par un missile Hellfire tiré par un drone américain et deux bombes de 200 kg larguées par un mirage français. Il parvint à survivre avec une poignée de fidèles mais tomba entre les mains des miliciens de Misrata. La suite, ce sont les images de lynchage qui feront le tour du monde. C’est aussi le discrédit du principe de « responsabilité de protéger » comme le fut celui de « l’intervention humanitaire en Somalie ».

En effet, « protéger la population libyenne » fut la raison brandie au Conseil de sécurité de l’ONU pour justifier l’intervention des pays de l’OTAN en Libye. Lorsqu’on regarde ce qu’est devenue la Libye, difficile d’obtenir un consensus international en évoquant, à nouveau, « la responsabilité de protéger ». Depuis, à l’ONU, Russes et Chinois bloquent les projets de résolution initiés par les Occidentaux, notamment sur la Syrie, en rappelant le précédent libyen. Barack Obama a reconnu que la Libye est le plus grand regret de sa présidence tandis que les parlementaires britanniques ont étrillé l’ancien président français Nicolas Sarkozy et l’ancien Premier ministre britannique David Cameron dans un rapport sur la guerre en Libye.

« Vous avez voulu la paix, vous avez voulu la liberté, vous voulez le progrès économique. La France, la Grande-Bretagne, l'Europe seront toujours aux côtés du peuple libyen », avait promis le 15 septembre 2011 le président Nicolas Sarkozy à Benghazi devant l'euphorie d’une foule acquise à l’avènement d'une « nouvelle Libye ». Cinq ans plus tard, la Libye s’est littéralement décomposée. Pire, les Libyens qui ont survécu aux bombardements de l’OTAN seront des milliers à mourir lentement pour avoir respiré sans le savoir les microparticules d'uranium volatilisées dans l'air, tandis que nombreux vont donner naissance à des enfants mal formés, sans bras, sans jambes… conséquence des bombes à uranium appauvri larguées sur le pays. L’occasion de rappeler ce qu’était la Libye avant la guerre.

Lorsque débute la crise, le niveau de vie de la population libyenne n'a rien à envier à celui des populations occidentales. C'est le pays qui avait l'indice de développement humain le plus élevé du continent africain. Le PIB/hab était de 13.300 $, soit loin devant l'Argentine, l'Afrique du Sud et le Brésil. La croissance dépassait les 10% et le PIB/hab augmentait de 8,5%. La Jamahiriya était un Etat social où des biens publics étaient mis à la disposition de la population : l'électricité et l'eau à usage domestique étaient gratuites ; tout le monde avait accès à l'eau potable. Les banques libyennes accordaient des prêts sans intérêts ; les libyens ne payaient pratiquement pas d'impôts. La TVA n'existait pas. La dette publique représentait 3,3 % du PIB contre 84,5 % pour un pays comme la France, 88,9 % pour les États-Unis et 225,8 % pour le Japon. Le système public de santé, gratuit, était aux normes européennes, tout comme le système éducatif (le taux d'alphabétisation moyen était de 82,6 %). Les meilleurs étudiants libyens poursuivaient leurs études supérieures à l'étranger en bénéficiant d'une bourse du gouvernement. Les produits d'alimentation pour les familles nombreuses étaient vendus moitié prix sur présentation du livret de famille. Les voitures importées d'Asie et des États-Unis étaient vendues à prix d'usine. Le prix d'un litre d'essence coûtait à peine 8 centimes d'euros. Le pays, en dépit des sanctions qui lui avaient été imposées, avait tout de même réussi à constituer des fonds souverains à hauteur de 200 milliards de dollars placés dans des banques étrangères, occidentales notamment, et gérés par un organisme public, la Libyan Investment Authority (LIA), contrairement aux accusations faisant état d’enrichissement personnel. Peu de dirigeants au monde peuvent revendiquer un bilan pareil.

Par ailleurs, la Libye de Kadhafi fut un solide bouclier contre les vagues migratoires puisque de nombreux migrants sub-sahariens, notamment, choisissaient de s’installer en Libye au lieu de tenter la traversée de la Méditerranée. Et non seulement. Kadhafi fut un bouclier contre la circulation des terroristes islamistes qu’il combattait, bien avant les attentats du 11 septembre 2001. La Libye est le premier pays à avoir lancé, dès 1998, un mandat d'arrêt international contre Ben Laden pour un double assassinat perpétré, en 1994, contre deux fonctionnaires allemands sur le sol libyen. Mais tout au long de la campagne de l’OTAN contre la Libye, et même après, aucune des réalisations susmentionnées n'a été relevée et les populations occidentales n'en savent presque rien. Elles ne sauront jamais que celui qui leur a été présenté par leurs dirigeants et médias comme un méchant dictateur dilapidant les deniers publics de son pays, était en réalité un homme qui a énormément investi dans le bien-être de son peuple et protégé l’Europe des vagues migratoires et des mouvements terroristes.

La Libye est aujourd’hui un pays complètement ruiné. Trois gouvernements et une multitude de groupes terroristes se disputent le contrôle du pays. L'enlèvement du premier ministre Ali Zeidan à Tripoli, le 10 octobre 2013, est un triste exemple du climat chaotique qui règne dans le pays. Les dirigeants de la première heure du CNT ont fui le pays pour se réfugier à l’étranger. Les meurtres et les attentats sont devenus monnaie courante, contraignant des centaines de milliers de Libyens à trouver refuge dans d'autres villes ou dans les pays voisins. Les attentats ainsi que l'escalade des combats se succèdent dans tout le pays. Même le consulat des Etats-Unis à Benghazi a été la cible d'une attaque à l'arme lourde qui a coûté la vie à l'ambassadeur Christopher Stevens, torturé, sodomisé puis assassiné. Les violences et l'insécurité persistante ont poussé la plupart des pays occidentaux à évacuer leurs ressortissants et à fermer leurs représentations diplomatiques.

Tout le monde s'en va, y compris l'ONU et bon nombre d'ONG, relève l’auteur. Plus d'un million de migrants sont arrivés en Europe en 2015, au terme de périples périlleux. L'opération de sauvetage à grande échelle de l'UE a secouru près de 100 000 embarcations de fortune en Méditerranée. Malgré les efforts déployés, au moins 3 000 migrants libyens ont péri en mer. Le trafic de drogue a explosé, faisant de l'ex-Jamahiriya un pays de transit de la drogue, essentiellement à destination d'Europe... Le pays est devenu le nouvel eldorado des groupes intégristes islamistes. Dès le lendemain de la chute de Kadhafi, Al-Qaïda en a profité pour hisser son drapeau au-dessus du palais de justice de Benghazi. AQMI se promène dans le grand sud. Les islamistes d'Ansar al-Sharia se sont implantés à Benghazi et Derna, tandis que l’État islamique / Daesh a profité de l'insécurité permanente dans le pays pour s'y implanter.

Se pose naturellement la question de savoir si la guerre et l’élimination physique de Kadhafi valaient vraiment la peine. L’auteur estime que dans la logique des stratèges occidentaux, la destruction de la Libye et l’élimination de Kadhafi sont, paradoxalement, « une bonne opération ». Les efforts de Kadhafi pour sortir l’Afrique de l’extrême dépendance vis-à-vis de l’Occident constituaient une menace pour des puissances qui prospère sur le sous-développement et la misère des Africains. Une indépendance économique de l’Afrique et quelque chose d’inacceptable comme le rappelle le professeur Maximilian Forte cité par l’auteur : « L'intervention en Libye est aussi une façon d'envoyer un message aux autres États-nations africains (…) qu'il y a des limites dans lesquelles ils doivent opérer ». S'ils se lancent dans un processus de défiance nationaliste et anti-impérialiste, il pourrait y avoir des conséquences qui ne sont plus de l'ordre de l'hypothèse.

Un message glaçant dont on apprécie la froideur en repensant à la menace du président Sarkozy aux chefs d’Etat africains qui envisageaient de se rendre à Tripoli pour proposer une médiation de l’UA[48] : leur avion sera « flingué » !

mercredi, 25 janvier 2017

Le Japon se prépare-t-il à la guerre ?

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Bob Woodward:

Ex: http://www.decryptnewsonline.com 

A partir d'aujourd'hui, les forces d'autodéfense nippones se livrent à des exercices pour anticiper un conflit militaire entre les deux rives du détroit de Formose. L’armée japonaise va effectuer un exercice de simulation d’affrontement militaire entre la Chine et Taïwan, avec la participation en tant qu’observateur de l’armée américaine, a selon l’agence de presse Kyodo.

« Aucun déploiement de troupe n’aura lieu et le scénario est celui d’une réponse des Etats-Unis et du Japon à un conflit militaire« , a indiqué Kyodo.

Selon une source du gouvernement japonais, le but de l’exercice est de vérifier comment les membres de l’armée devraient s’acquitter de nouvelles tâches autorisées en vertu de la nouvelle loi japonaise sur la sécurité dans le déclenchement d’une situation considérée comme menaçant sérieusement la paix et la sécurité du pays, a précisé l’agence de presse japonaise.

De son côté, le ministère chinois des affaires étrangères a rappelé à Tokyo que « la question de Taïwan est une affaire interne de la Chine et nous espérons que le Japon sera très prudent dans ses paroles et ses actes (…) et ne fera rien qui compromettrait la paix régionale et la stabilité« .

« Je pense que cela montre qu’un monde stable est la dernière chose que certains veulent au Japon », a considéré la porte-parole du ministère Hua Chunying. Cette annonce vient compliquer un peu plus la situation.

L’armée taïwanaise a également réalisé des exercices militaires en vue d’une guerre contre la Chine continentale, alors que les relations entre les deux rives de Taïwan restent difficile.

Cet exercice japonais, en présence d’observateur américain, n’apaise en rien les craintes de Beijing, qui doit composer avec une nouvelle administration américaine, ayant déjà rompu avec quatre décennies de relations diplomatique, en prenant un appel téléphonique de la dirigeante taïwanaise Tsaï Ing-wen. Or selon la a source du gouvernement japonais, l’exercice était prévu avant que Donald Trump ne prenne ses fonctions, le 20 janvier.

D’après le reportage de l’agence japonaise, les forces d’autodéfense du Japon (l’armée) feront cet exercice simulé du lundi 23 au vendredi 27 janvier 2017, en présence de militaires américains y participant en tant qu’observateur.

C’est un scénario qui depuis quelques semaines s’invite dans les discussions d’experts et de diplomates : un affrontement militaire entre la Chine et Taïwan. Le Japon vient mettre son grain de sel dans le débat en menant, à partir d’aujourd’hui et jusqu’à la fin de la semaine, des exercices de simulation en cas de conflit entre les deux rives du détroit de Formose. Aucun déploiement de troupes n’aura lieu. Tokyo entend vérifier comment, en cas de clash, les forces d’autodéfense nippones (SDF) effectueraient leurs nouvelles tâches autorisées par la loi de sécurité entrée en vigueur en mars dernier.

Jusqu’à présent, les SDF japonaises n’avaient pas pour mission d’intervenir en dehors des frontières de l’archipel. Si elles l’ont fait par le passé, à de très rares exceptions, c’était uniquement pour des motifs humanitaires. Dorénavant, au nom du principe de «l’autodéfense collective», Tokyo peut fournir un soutien logistique à d’autres forces armées, même si le Japon n’est pas directement menacé.
Coup de fil et coup de sang

En novembre, les SDF et les GI’s de la marine américaine ont d’ailleurs effectué leurs premiers exercices conjoints. Cette semaine, des observateurs américains assisteront aux simulations japonaises qui sonnent comme une nouveauté. Jusqu’à présent, ces entraînements concernaient essentiellement le Japon.

Ainsi, il était fréquent que le ministère de la Défense communique sur des opérations visant à reconquérir une île ou à la défendre contre un agresseur. Le nom était rarement mentionné mais tout le monde comprenait que le Japon surveillait de très près l’évolution autour de l’archipel des Senkaku, nationalisé par Tokyo en 2012, que la Chine revendique en l’appelant «les îlots Diaoyu». Cette fois, les Japonais quittent donc leurs eaux territoriales pour croiser dans des mers chargées en revendications.

L’exercice simulé intervient au moment où les relations entre la Chine et Taiwan connaissent un nouveau pic de tensions. L’échange téléphonique en décembre du président élu Donald Trump avec la présidente taïwanaise Tsai Ing-wen a alarmé Pékin. En prenant l’appel de Tsai Ing-wen, Trump a rompu avec près de quatre décennies de politique américaine qui respectait le principe de la «Chine unique» selon lequel tout Etat entretenant des relations diplomatiques avec Pékin ne peut en avoir simultanément avec Taïpei.

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Depuis 1949 et l’installation sur l’île des nationalistes de Tchang Kaï-chek, les Chinois considèrent Taiwan – indépendante de facto – comme une province renégate qui doit repasser, selon eux, sous le contrôle du continent. Depuis l’élection de Tsai Ing-wen l’année dernière, la Chine n’a cessé les mises en garde et les pressions sur la première présidente élue dans la seule démocratie du monde chinois. Depuis sa victoire, Tsai Ing-wen a appelé le régime chinois à «respecter l’intégrité de l’île». En septembre 1954, alors même que l'acte final de la conférence de Genève allait régler la guerre d'Indochine, Mao Zedong intimait à Zhou Enlai l'ordre de mettre au premier plan la «libération» de Taiwan: «Nous avons eu tort de ne pas nous consacrer à la tâche de libérer Taiwan juste après le cessez-le-feu en Corée; si nous tergiversons encore, nous commettrons une sérieuse erreur politique.» De novembre 1954 à mai 1955, un déluge d'obus s'abattit sur les petites îles tenues par le régime nationaliste, et l'armée populaire de libération s'empara des îles Dachen au nez et à la barbe de l'armada américaine dépêchée dans le détroit de Taiwan. Les Etats-Unis finirent toutefois, en mars 1955, par menacer publiquement d'employer des armes nucléaires tactiques contre la Chine en cas d'agression ultérieure, et notamment contre les îles de Quemoy et de Matsu, beaucoup mieux défendues. En avril 1955, la Chine mit fin à la crise quand Zhou Enlai, depuis le sommet afro-asiatique de Bandung, proclama son désir de paix avec les Etats-Unis.

En août 1958, vingt-quatre heures après que le président Eisenhower eut proposé à Nikita Khrouchtchev le premier sommet soviéto-américain de la guerre froide, et une réduction des armements nucléaires, Mao Zedong déclenchait une deuxième crise dans le détroit de Formose: à nouveau, une pluie d'obus s'abattit contre les petites îles fortifiées détenues par les nationalistes, provoquant la mobilisation de la VIIe Flotte dans le détroit. Après quelques semaines critiques pendant lesquelles les îles furent en danger sérieux, les Américains réussirent à établir une ligne de ravitaillement à Quemoy, y débarquant publiquement, entre autres, des mortiers susceptibles de lancer des charges nucléaires tactiques. Dès lors, l'offensive chinoise perdait toute chance de réussir: mais les bombardements continuèrent de façon intermittente pendant plus d'une décennie.

Ces précédents doivent aujourd'hui être examinés avec soin. D'abord, dans les deux cas, c'est à cause d'une détente internationale que la Chine populaire passa à l'offensive contre la Chine nationaliste, et le monde extérieur fut totalement surpris. En 1954, Mao ne pouvait supporter de voir la question de Taiwan sombrer dans l'oubli, alors que d'autres conflits asiatiques de la guerre froide trouvaient une solution. En 1958, la crise de Quemoy et de Matsu lui permettait de s'opposer à la coexistence pacifique qui s'amorçait entre les deux Grands.

Au début du mois, la Chine a dépêché son unique porte-avions, le Liaoning, dans le détroit de Taiwan, déclenchant l’envoi d’avions de reconnaissance par Taiwan. Il y a vingt ans, les deux rives du détroit avaient traversé une grave crise. Pékin avait tiré plusieurs salves de missiles dans les eaux territoriales taïwanaises au moment où le gouvernement de Lee Teng-hui multipliait les déclarations pro-démocratiques et que le pays s’apprêtait à voter. Alliés de Taïwan, les Etats-Unis avaient alors expédié une partie de leur flotte dans les eaux de la mer de Chine.

Aujourd’hui la Chine de Xi Jinping affirme de plus en plus son hégémonie sur les mers de la région. Et elle entend «défendre ses intérêts fondamentaux dans le cadre des affaires intérieures de la Chine», comme l’a rappelé vendredi Hua Chunying, la porte-parole du ministère chinois des Affaires étrangères qui réagissait à l’annonce des exercices simulés japonais. «Pour certaines personnes au Japon, il semble que la paix est la dernière chose qu’elles souhaitent. […] Nous espérons que le Japon pourra mesurer ses paroles et ses actes sur les questions liées à Taïwan […] et éviter d’envoyer un signal erroné aux forces indépendantes de Taiwan.»

De son côté, l’archipel du nationaliste Shinzo Abe a musclé sa diplomatie et armé sa défense depuis quatre ans. Tout en se posant en «contributeur proactif pour la paix», le Japon s’est montré plus présent dans le Pacifique, multipliant les discours ainsi que les aides techniques et financières aux pays de la région en butte à l’hégémonie chinoise. Avec Taiwan, quatrième partenaire commercial du Japon, Tokyo a renforcé ses relations.

Avant même son élection, Tsai Ing-wen s’était rendue en visite dans l’archipel au grand dam de Pékin. Fin décembre, un parlementaire japonais membre du parti libéral démocrate, Keisuke Suzuki, défendait des liens plus forts entre les deux archipels et l’idée d’une coopération militaire plus étroite. «L’existence d’un Taiwan libre est fondamentale pour la sécurité du Japon. A partir du moment où Taiwan subit trop de fortes pressions de la Chine continentale, c’est aussi un problème pour la sécurité nationale du Japon lui-même.»

Taiwan s’est lancé dans un programme de développement de son arsenal militaire, notamment de sous-marin. Les Etats-Unis suggèrent dorénavant à Taïpei d’augmenter ses budgets de défense. Il y a quelques jours, les troupes taïwanaises ont organisé, elles aussi, des exercices grandeur nature pour se préparer à une attaque chinoise.

Mogelijk eerste internationale crisis voor Trump: Oorlog tussen Servië en Kosovo

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Mogelijk eerste internationale crisis voor Trump: Oorlog tussen Servië en Kosovo

Illegale NAVO oorlog tegen Servië zorgden voor creatie moslimstaten in Bosnië en Kosovo, die grote rol spelen bij migranteninvasie van Europa 

De burgeroorlog in Joegoslavië in de jaren ’90 werd destijds beëindigd door illegale NAVO bombardementen op het orthodox christelijke Servië. Onder leiding van president Bill Clinton werd het land opgesplitst en werden twee grote moslim enclaves gecreëerd, in Bosnië-Herzegovina en in Kosovo, dat altijd bij Servië had gehoord. De Serven hebben de feitelijke bezetting van een deel van hun grondgebied nooit geaccepteerd. Een week voordat de Verenigde Staten een nieuwe president kregen, die als eerste ooit in zijn inauguratie toespraak het islamitische terrorisme bij de naam noemde –en beloofde dit compleet te zullen vernietigen-, stuurde het land een trein met daarop de levensgrote teksten ‘Kosovo is Servisch’ geschilderd richting de grens. Zo’n 60.000 Servische troepen staan klaar Kosovo te bevrijden.

De trein staat al sinds vorige week vrijdag stil, omdat de autoriteiten in Kosovo de reis over de spoorlijn tussen Belgrado en Mitrovica, een Servisch stadje in Kosovo, blokkeren. 60.000 Servische troepen, inclusief pantserwagens, artillerie en luchtmachteenheden, zijn gereed om in te grijpen. Kosovo kan daar slechts zo’n 6000 man tegenover stellen.

De Servische president Tomislav Nikolic dreigde afgelopen week dat ‘als er Serviërs worden gedood, wij ons leger naar Kosovo sturen.’ 19 jaar geleden werd Servië door Amerikaanse bombardementen op Belgrado gedwongen te capituleren, en een overeenkomst te tekenen om de oorlog met de opstandelingen in Kosovo te beëindigen. Het Westen erkende vervolgens de onafhankelijkheid van Kosovo, dat al snel berucht werd als een moslim maffiastaat. Rusland en China beschouwen Kosovo echter nog steeds als een integraal deel van Servië.

Door NAVO gecreëerde moslimstaten geven ruimte voor migranteninvasie

De Kosovo oorlog was het gevolg van het conflict tussen aan de ene kant het christelijke Servië en Kroatië, en aan de andere kant het overwegend islamitische Bosnië. Die oorlog duurde van 1992 tot 1995, en werd door Amerikaanse/NAVO interventie beëindigd. President Clinton dwong de Serven de Dayton akkoorden te ondertekenen, en Bosnië over te geven aan moslim heerschappij. Daarmee werden de eerste onafhankelijke islamitische enclaves in het zuidoosten van Europa gecreëerd, ten koste van orthodox-christelijk gebied, dat beschermd werd (en wordt) door Rusland.

Het pro-islamitische, anti-christelijke beleid op de Balkan werd later voortgezet door president Obama en de Duitse bondskanselier Angela Merkel, en wordt beschouwd als één van de doorslaggevende factoren die de moslim migranteninvasie van Europa mogelijk hebben gemaakt. Vier islamitische staten, te weten Turkije, Bosnië, Kosovo en Albanië, zetten gewillig hun poorten open voor enorme aantallen moslims uit het Midden Oosten en Afrika, en stuurden deze vervolgens linea recta door naar centraal Europa.

Servische troepen klaar om in te grijpen

De Servische trein markeerde het einde van het Obama tijdperk, en onderstreepte het feit dat de Serven het illegaal afpakken van Kosovo nooit hebben geaccepteerd. De Serven zouden van plan zijn de trein een dezer dagen verder te laten rijden. Als deze dan wordt aangevallen door Kosovaarse troepen, zal het Servische leger ingrijpen. Maar zelfs als zo’n aanval er niet komt, dan is de kans nog steeds aanzienlijk dat Servië één van president Clintons ‘trotse’ prestaties ongedaan gaat maken, en Kosovo bevrijdt van de islamitische bezetting.

In het centrum van Pristina staat een standbeeld van Bill Clinton, als dank voor het feit dat hij de moslims een eigen staat in Kosovo heeft gegeven. De gisteren ingezworen president Donald Trump staat en echter totaal anders tegenover de islam, en bezwoer als eerste president ooit in zijn inauguratietoespraak het islamitische terrorisme totaal ze zullen vernietigen.

Russische bijstand voor Servië?

Op zijn eerste werkdag vindt Trump op zijn bureau in de Oval Office een urgente brief van de Kosovaarse minister van Buitenlandse Zaken Enver Hoxhaj, waarin deze vraagt om assistentie tegen Servische ‘agressie’. Een vergelijkbaar SOS in 1998 leverde de interventie van een NAVO elitemacht op, die overigens voornamelijk uit Britse eenheden bestond.

In 2017 kan Kosovo de hulp van Europese regeringen echter vergeten, ook van Frankrijk en Duitsland, landen die zich altijd hard hebben gemaakt voor de islamitische zaak op de Balkan. Dat heeft niet alleen met de komst van Trump te maken, maar ook met mogelijke Russische bijstand voor Servië. Op 12 juni 1999 stuurde de toenmalige president Boris Yeltsin al eens een Russisch contingent naar het vliegveld van Pristina, om te proberen de overname van Kosovo door het Westen te stoppen.

Trumps antwoord aan ministerie Hoxhaj zal volgens Israëlische inlichtingenspecialisten ‘een belangrijk inzicht geven in de geheime overeenkomsten die Trump en Putin met elkaar sloten voor samenwerking in de oorlog tegen islamistische terreur, en het voorkomen van verdere moslim expansie in Europa.’


Xander

(1) DEBKA

mardi, 24 janvier 2017

Zbiegniew Brzezinsky brise son échiquier et prône un rapprochement US-Russie-Chine

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Zbiegniew Brzezinsky brise son échiquier et prône un rapprochement US-Russie-Chine

Ex: http://electrosphere.blogspot.com 

Dans la fureur des duels électoraux, un article publié au printemps 2016 par Zbiegniew Brzezinski est passé complètement inaperçu. Dans « Toward a Global Realignment » (The American Interest), le plus influent artisan de la politique étrangère américaine recommande vivement aux Etats-Unis d'assumer leur repli et de se réconcilier avec la Russie et la Chine afin de « redéfinir une architecture mondiale du pouvoir »... et de gérer conjointement les futurs risques et crises sécuritaires dans le monde arabo/musulman en particulier, et dans le tiers-monde en général. 
 
Zbigniew Kazimierz Brzezinski est né en 1928 à Varsovie (Pologne). Son père diplomate était en poste au Canada lorsque le pacte germano-soviétique fut signé et ne put donc rentrer avec sa famille au bercail. Plus tard, « Zbieg Brzez » épousa  Emilie-Anne Benes, nièce de l'ancien président tchécoslovaque Edvard Benes. Ce parcours personnel expliquerait-il, parmi d'autres facteurs, son aversion profonde pour l'URSS et/ou la Russie ?
 
Après avoir consacré sa carrière académique à étudier le totalitarisme soviétique et à forger une vision géostratégique sur le rôle prépondérant de l'Amérique dans le monde, Brezinski gravit les échelons au département d'Etat et en devint le secrétaire sous l'administration Jimmy Carter (1977-1981). Il fut également membre du Council of Foreign Relations (CFR), du National Endowment for Democracy (NED), de divers think tanks et organismes spécialisés dans la défense et/ou la politique étrangère, eut l'oreille du président George Bush père au plus fort de la chute de l'URSS, et conseilla le futur président Barack Obama en affaires étrangères au cours de sa campagne électorale.
 
Son très fameux ouvrage « Le Grand Echiquier. L'Amérique et le reste du monde » figure parmi les livres de chevet des présidents américains, secrétaires d'Etat et chefs du Pentagone, et imprègne fortement la politique étrangère et de défense des Etats-Unis. 
 
Ces extraits ont été volontairement sélectionnés pour leur clarté et leur percussion mais ne sauraient résumer à eux seuls cette œuvre très dense :
 
strategic-vision-book-cover.jpg« Il est indispensable que l’Amérique contre toute tentative de restauration impériale au centre de l’Eurasie […] Le choix européen est la seule perspective géostratégique réaliste qui permettra à la Russie de retrouver un rôle international et les ressources nécessaires pour engager sa modernisation. Par Europe, nous entendons l'ensemble géopolitique uni par le lien transatlantique et engagé dans l'élargissement de l'Union européenne et de l'OTAN [...] Telle est l'alliance qui profitera à la Russie et lui évitera de s'enfoncer dans un isolement géopolitique néfaste [...] Du point de vue américain. la Russie paraît vouée à devenir un problème : si sa faiblesse exclut de la considérer comme un partenaire, les forces qu'elle conserve ne nécessitent pas l'application de soins d'urgence. [...] Même si une alliance stratégique solide de la Russie avec la Chine ou avec l'Iran a peu de chances de se concrétiser, l'Amérique doit éviter de détourner Moscou de son meilleur choix géopolitique [...] Par ailleurs, les Chinois se montrent sensibles aux réserves doctrinales que les États-Unis émettent à l'égard de leur régime national. La Chine considère donc les Etats-Unis comme le principal obstacle à sa quête d'une prééminence mondiale, mais égaIement à l'affirmation de sa prédominance globale. Dans ces conditions, la collision entre la Chine et les Etats-Unis est-elle inévitable? [...] Quelle forme concrète et acceptable du point de vue américain doit revêtir la montée de la Chine en tant que puissance régionale dominante et quelles limites doit-on fixer à ses aspirations au statut de puissance globale? [...] En réalité, si la Chine s'oppose aux États-Unis, ce n'est pas tant à cause des actions de ces derniers qu'en raison de la position qu'ils occupent aujourd'hui. La Chine considère que les Etats-Unis exercent une hégémonie sur le monde et que leur présence même dans la région, qui repose sur la domination du Japon, contribue à restreindre l'influence chinoise [...] Aussi, en raison de ce qu'ils sont et de leur simple présence, les Etats-Unis deviennent involontairement l'adversaire de la Chine au lieu d'être leur allié naturel. »
 
Néanmoins, tout semble indiquer que l'Europe ne constitue plus le meilleur choix géopolitique pour la Russie en pleine résurgence stratégique malgré une économie stagnante... et qui se rapproche d'une Chine devenue aussi incontournable qu'ambitieuse dans la zone Asie-Pacifique et détenant désormais le premier PIB mondial.
 
L'alliance stratégique en formation accélérée de ces deux puissances, sous la pression d'une « quasi guerre froide 2.0 » les opposant aux Etats-Unis, laissent présager un condominium ou hinterland eurasien tant appréhendé par Zbieg.
 
En outre, l'annexion de velours de la Crimée - opération menée "en-dessous du niveau de la guerre" (cf. Michel Goya), le naufrage de l'Ukraine et la guerre en Syrie ont considérablement redoré le blason de la Russie, qui renforce de surcroît ses liens avec la Turquie, l'Iran et les pétromonarchies du Golfe arabe. Les visées territoriales de Pékin en Mer de Chine méridionale et le retrait des Etats-Unis du Traité Trans-Pacifique (également conçu pour un encerclement commercial du « Dragon Rouge ») offrent à la Chine d'immenses marges de manoeuvre pour consolider son influence et sa puissance dans l'espace asiatique.
 
Last but not least, les Etats-Unis ont sévèrement pâti des errements stratégiques des administrations W.Bush et Obama (Afghanistan, Irak, Libye, Ukraine, Syrie) et grandement entamé leur crédibilité sur la scène internationale.
 
Ce tableau général a certainement incité Zbieg à réviser ses fondamentaux : « l'ère de leur domination mondiale prenant fin, les Etats-Unis doivent prendre la main pour redéfinir l’architecture du pouvoir mondial. » | Vers un réalignement mondial (The American Interest)
 
zbig2ndCH-0_SR212,320_.jpgMuni d'une grille de lecture américano-centrée et donc quelque peu hérétique pour l'observateur extérieur, le théoricien de 88 ans dresse ses cinq vérités essentielles :

- Les Etats-Unis resteront une superpuissance tous azimuts mais compte tenu de la complexité des évolutions géopolitiques et des équilibres régionaux, ne sont plus « une puissance impériale globale. »

 - La Russie vit la douloureuse phase finale de son empire post-soviétique mais, pour peu qu'elle fasse preuve de sagesse, deviendra probablement un état-nation européen de premier plan. 

- La Chine émerge en future rivale de l'Amérique, renforce lentement mais sûrement sa puissance technologique, militaire et navale, se garde de toute confrontation trop coûteuse et trop risquée avec l'Amérique, mais doit finement manoeuvrer sur sa scène intérieure afin de ne pas entraver son succès économique. 

- L'Europe ne comptera pas parmi les poids lourds de la scène internationale mais jouera un « rôle constructif » en faveur du bien-être commun, contre les menaces transnationales, au sein de l'OTAN, et dans la résolution de la crise Russie-Ukraine. 

- Le monde musulman demeure violemment tourmenté par un traumatisme post-colonial et mu par des motivations religieuses à la fois fédératrices et très clivantes, du fait notamment des schismes séculaires au sein de l'islam.
 
Qu'entend Zbieg par "architecture mondiale du pouvoir" ? Serait-ce plutôt une architecture trilatérale de sécurité supervisée par les Etats-Unis, la Russie et la Chine ? S'agit-il d'une future gestion conjointe des crises & risques sécuritaires dans le monde ? Impliquera-t-elle une reconnaissance implicite des zones d'influence propres à chaque grande puissance assortie d'une entente mutuelle de non-ingérence ? Que deviennent l'OTAN, l'OCS et les Nations-Unies dans ces perspectives ?
 
« Considérées ensemble comme un cadre unifié, ces cinq vérités nous disent que les États-Unis doivent prendre la tête du réalignement de l'architecture mondiale du pouvoir afin que la violence qui éclate au cœur ou au-delà du monde musulman – et, éventuellement, dans le tiers-Monde - soit contenue sans détruire l'ordre global […] Les souvenirs politiques longtemps réprimés alimentent en grande partie l'éveil soudain et explosif provoqué par les extrémistes islamiques au Moyen-Orient. Mais ce qui se passe au Moyen-Orient aujourd'hui peut être le début d'un phénomène plus vaste à venir en Afrique, en Asie... »
 
Dans ce contexte impossible, les Etats-Unis, la Russie et la Chine (qui devra être plus audible et plus active face aux futures crises) feraient mieux s'accommoder de leurs zones d'influences respectives, de développer une solide coopération triangulaire, et entreprendre la même démarche avec des puissances régionales du monde arabo/musulman, et ce, afin d'élaborer un cadre élargi de stabilité internationale.
 
Zbieg insiste sur la nécessité d'extirper l'Arabie Saoudite du wahhabisme et propose d'inclure dans ce vaste programme « les alliés européens […] qui peuvent encore être très utiles à cet égard. »
 
Pour couronner cette drastique réinvention de ses classiques, il émet une mise en garde sur l'usage obsessionnel de la force, probablement à l'intention de ses cadets et de leurs homologues russes et chinois :
 
zbig-BOOOOL320_SR208,320_.jpg« L’alternative à une vision constructive, et spécialement la recherche d’une issue militaire et idéologique imposée unilatéralement ne peut que prolonger inanité et autodestruction. Pour l’Amérique, la conséquence peut être un conflit durable, de la lassitude et même possiblement un retrait démoralisant sur un isolationnisme pré-XXème siècle. Pour la Russie, cela pourrait signifier une défaite majeure, augmentant la probabilité d’une subordination, d’une manière ou d’une autre, à la prédominance chinoise. Pour la Chine, cela peut annoncer une guerre, non seulement avec les Etats-Unis mais aussi, peut-être séparément, avec le Japon ou l’Inde, ou les deux. Et, dans tous les cas, une phase longue de guerres ethniques, quasi religieuses, au travers de tout le Moyen-Orient avec un fanatisme auto-justifié qui engendrerait des effusions de sang dans et hors de la région, et une cruauté croissante partout. »
 
Henry Kissinger, autre gourou de la politique étrangère américaine et ancien secrétaire d'Etat (sous les administrations Richard Nixon et Gerald Ford), avait précédé Zbiegniew Brezinski dans « Do We Achieve World Order Through Chaos or Insight? » (Der Spiegel) et remettait sérieusement en question la politique étrangère de l'administration Obama. Depuis peu, il conseille le président Trump en vue d'un rapprochement graduel avec la Russie. 
 
Quels regards portent les chancelleries européennes sur ces futurs conditionnels ? Que deviendraient le destin, l'influence et les intérêts de l'Europe si cette architecture trilatérale de sécurité (Etats-Unis, Russie, Chine) prenait forme ?
 
En savoir + :
1.    Zbiegniew Brzezinski : Toward a Global Realignment (The American Interest)
2. Zbiegniew Brzezinski : Le Grand Echiquier. L'Amérique et le reste du monde (Fayard/Pluriel)
3.    Trump signe l’acte de retrait des Etats-Unis du Partenariat transpacifique (Le Monde)
4.  Henry Kissinger : 'Do We Achieve World Order Through Chaos or Insight?' (Der Spiegel)
5.    Kissinger, a longtime Putin confidant, sidles up to Trump (Politico)
 
 
 

lundi, 23 janvier 2017

Trump et les prochaines élections européennes

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Trump et les prochaines élections européennes

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu 

Cette année, d'importantes élections auront lieu en Hollande, en Allemagne et en France. En France, il s'agira de choisir le prochain président de la République. Les élections dans ces Etats seront attentivement observées par d'autres Etats importants, l'Italie et l'Espagne notamment. La place de l'Europe dans le monde, très diminuée aujourd'hui, en dépendra.
Or les campagnes électorales relatives à ces élections se dérouleront dans des conjonctures internationales inimaginables jusqu'à ce jour. Si tout se passe comme actuellement prévisibles, l'on verra le nouveau Président américain, Donald Trump, faire triompher une politique de l'America first qui ne tiendra aucun compte des politiques adoptées par les actuels gouvernements européens et par l'Union européenne. Or celles-ci ont été jusqu'à ce jour marquées par une docilité sans pareil aux injonctions de l'ancien pouvoir américain, symbolisé par Barack Obama. Celles-ci imposaient au plan diplomatique la quasi-préparation d'une guerre avec la Russie, et l'abandon de toute volonté d'indépendance et d'investissement au plan intérieur, ceci pour ne pas concurrencer la domination des intérêts financiers américains.

Trump, dès son discours d'investiture, a confirmé qu'il rechercherait une détente avec Moscou. La perspective de celle-ci obligera les gouvernements européens à faire un choix crucial: suivre à nouveau l'exemple de Washington et se rapprocher de Moscou, alors que la diabolisation de la Russie, et plus récemment de Vladimir Poutine était le fondement même de leur action internationale - ou poursuivre seuls, avec des moyens de défense quasi inexistants, une opposition à la Russie qui pourrait déboucher sur des conflits militaires locaux, notamment à la frontière euro-russe.

Dans le domaine économique, il en sera de même. Les Européens ne pourront plus compter sur l'aide des dollars américains et des multinationales basées à Wall Street, pour satisfaire à leur place et à crédit les besoins des populations. Ils devront reprendre une politique d'investissement en propre, qu'ils devront nécessairement financer par d'importants sacrifices, notamment au plan fiscal. Dans le cadre de l'America First, toutes les possibilités industrielles et financières américaines seront consacrées au développement de l'Amérique.

Mais l'opinion publique et les partis politiques européens seront-ils capables en quelques mois d'effectuer ce changement de cap radical?  Manifestement, l'exemple français n'est pas encourageant. La grande majorité des candidats dits de gouvernement n'ont rien compris à ce qui se passe. Les débats au sein des primaires socialistes ont été particulièrement scandaleux. Tous n'avaient qu'à la bouche le respect des consignes de Bruxelles en ce qui concerte la limitation de la dette et de la fiscalité. Tous par ailleurs mentionnaient la nécessité de durcir militairement le ton à l'égard de Poutine.

Dans la droite de gouvernement, il en a été à peu près de même, le candidat Fillon ayant à peine osé parler d'un rapprochement avec Poutine. En ce qui concerne l'extrême-droite du Front National, Marine Le Pen n'a toujours pas précisé de quelle façon elle tiendrait compte de la nouvelle politique américaine. On peut craindre que la peur d'être accusée de « populisme » l'empêche de prendre clairement position.

Il en sera très probablement de même en Hollande et en Allemagne. Ainsi l'Europe, face au tourbillon Trump, se prépare-t-elle plus que jamais au rôle peu glorieux de feuille morte emportée par le vent.