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samedi, 06 juin 2015

Gossip : pourquoi faire la leçon aux ados quand les adultes font pire ?

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Gossip: pourquoi faire la leçon aux ados quand les adultes font pire?
 
Sur Canal+, les adultes ont "Le Petit Journal". Sur Gossip, leurs enfants ont un « micro-journal ». Le même humour, mais version courte. Il faudrait quand même être gonflé pour le leur reprocher.
 
Ecrivain, journaliste
 

Ex: http://www.bvoltaire.fr

L’application Gossip vient d’être suspendue après des plaintes dans un lycée privé strasbourgeois. Gossip – référence à la série américaine Gossip Girl – n’existe que depuis un mois, mais est déjà devenue un phénomène. Son objet – poster des ragots anonymes – rencontre un vif succès auprès des corbeaux boutonneux qui peuvent ainsi lancer, sans crainte d’être inquiétés, toutes sortes de malveillances (140 caractères, comme sur Twitter, et une apparition qui dure dix secondes) assorties éventuellement de « preuves » (film, photo, etc). On se doute que le thème favori n’en est pas la résolution d’équations : il n’y est question que de sexualité et de « plastique », on y trouve essentiellement injures, vannes salaces et railleries méchantes.

« Cela a créé une ambiance horrible dans le lycée. Tout le monde cherche à savoir qui a écrit quoi », témoigne une lycéenne. « Moi, ça m’a beaucoup blessée. C’est difficile de retourner en cours quand tu sais que tout le lycée l’a vu », confie une autre, qui en a fait les frais.

Toute la presse s’émeut de ce harcèlement version 2.0. La créatrice de l’appli affirme croix-de-bois-croix-de-fer avoir « ciblé les 20-35 ans actifs » et ne pas s’être attendue « à ce que des collégiens se ruent sur Gossip ». Elle reconnaît avoir « été un peu naïve »

Mais, bien sûr, les 20-35 ans, qui rentrent dans la vie active et commencent à avoir des enfants, n’ont rien de mieux à faire, quand ils ont un moment de libre, que colporter anonymement – gniark, gniark – des ragots sur la Toile. Mais, bien sûr, les adolescents ne soupçonnent même pas l’existence des réseaux sociaux et ne se servent d’Internet que pour télécharger les épisodes de Babar. Et quand, par hasard, ils postent un commentaire, une réflexion, c’est toujours fin et délié comme un sonnet de Ronsard.

Ôtez-moi d’un doute : depuis quand la créatrice, et tous ceux qui s’ébaudissent, n’ont-ils pas mis les pieds dans un établissement lambda de l’enseignement secondaire ?

Les adolescents n’ont jamais été des angelots, mais le climat ambiant rend certains d’entre eux passablement terrifiants. Jeunes poulains agressifs que personne – ni parents, trop désireux de se faire aimer, ni professeurs, trop occupés à survivre – ne songe à débourrer, jeunes poulains désœuvrés que le travail scolaire n’occupe pas assez, jeunes poulains désorientés auxquels le monde des adultes répète stupidement, comme si cela avait jamais fonctionné, « faites ce que je dis, ne faites pas ce que je fais ». Car en quoi leur « Manon est la plus moche de la classe » serait-il plus odieux que le « Je ne vais quand même pas me taper Julie Pietri ! » de Jean-Luc Lahaye, qui a fait ricaner, sur le plateau télé, toute la galerie ? En quoi leurs allusions graveleuses sur l’une ou l’autre seraient-elles plus répréhensibles que le gros rire gras de Laurent Ruquier quand il évoquait, à demi-mot, samedi dernier, devant l’intéressée, dans « On n’est pas couché », la masturbation que Léa salamé lui aurait « inspirée » ? Alors quoi ? Il faudrait savoir ! C’est drôle ou ce n’est pas drôle ? Il faut en rire ou en pleurer ? S’indigner ou se marrer ?

Les réseaux sociaux sont leur télé. Sur Canal+, les adultes ont « Le Petit Journal ». Sur Gossip, leurs enfants ont un « micro-journal ». Le même humour, mais version courte. Il faudrait quand même être gonflé pour le leur reprocher.

L’unità del vivente e la inesistenza del dualismo Anima-Corpo nella spiritualità indoeuropea

L’unità del vivente e la inesistenza del dualismo Anima-Corpo nella spiritualità indoeuropea

di Giandomenico Casalino

Ex: http://www.ereticamente.net

vénus de milo, détail, marbre de paros, h. 2.02 m.jpgPerché i Greci non possiedono nel loro lessico una parola per dire “corpo”? Perché non possiedono una parola per dire “materia”? Ed affermano che essa come tale non esiste? (1) Perché quando parlano di “corpo” si riferiscono al “soma” cioè al “cadavere”? Fanno riferimento quindi al “corpo” senza vita, senza funzione, senza pensiero, sentimenti, coraggio, personalità, senza “Io” nel significato omerico (arcaico) e quindi tradizionalmente ellenico, come complesso multivocale e multifunzionale, ancorché unitario (2), di potenze della Vita simili a quelle cosmiche (gli Dei). Fanno riferimento pertanto ad un non-ente, ad un “niente”.

L’uomo da Omero è chiamato “il vivente”, (3)  non il “corpo”, e quando i Greci parlano di “anima”, la psychè è sempre in riferimento all’evento morte cioè alla distruzione del “vivente”, alla scomposizione del composto, alla disarmonia dell’armonico; allora il “dualismo” anima-corpo è la conseguenza (sul piano della spiritualità) della morte, della separazione, della frattura; anzi è come un’anticipazione della stessa morte fisica che è infatti separazione e perdita della personalità come Spirito-intelletto che non ha più nessun rapporto con il mondo e non ne può avere poiché essa è niente, è Ade, è l’Oscuro, è l’Umido, dove l’anima muore (Eraclito); è non-visione e quindi non conoscenza (Ade deriva dal greco Aide che è composto da alfa privativo + id che è una delle tre radici del verbo greco orao che significa vedere; per cui l’Ade è il luogo della non visione e quindi della non-conoscenza!).

Così è per i Romani, per le stesse ragioni spirituali essi non hanno pensato di edificare necropoli (come hanno fatto gli Etruschi) ma città per i vivi: templi, terme, basiliche, acquedotti, strade, teatri. Nella stessa Romanità, il rito funebre, con l’esposizione delle maschere degli antenati e con la celebrazione degli Officia del defunto resi al servizio della Res Publica, non è, nella sostanza, una ritualità relativa all’evento morte quanto un rendere onore alle Res Gestae della famiglia medesima, che rendono perenne la memoria della stessa.

Nella realtà del mondo, la verità è il Vivente, la Forma Intelligibile nella Luce (la Lichtung di Heidegger) che è la Vita stessa; ellenicamente è essere visto dagli Dei ed è vedere gli Dei cioè conoscere ed essere conosciuto. E quando Platone nel Fedone parla della morte filosofica, del distacco, della separazione, sta enunciando, data la terribile crisi dell’uomo greco e la sua caduta spirituale, la tecnica e la filosofia della cultura orfico-dionisiaca, come “Opera al Nero”, cioè come necessario “distacco” dalla corporeità, dalla vita, per conseguire il più che vita, l’oltre vita; ma questa è la Via Umida, una “tecnica”, non la tecnica; atteso che lo stesso Platone parla e indica, come essenziale al suo insegnamento, la possibilità, per pochi, della Via Secca Apollinea, dell’insegnamento, dell’epistème, della lunga e severa sottilizzazione dell’elemento vita, restando in essa e non negando il mondo e la corporeità per giungere, dopo anni e anni di esercizio della Ascesi filosofica, mediante la potenza catartica della dialettica, alla noesis, alla conoscenza (Lettera VII).

prax2.jpgInoltre Platone, tra le fenomenologie della “mania”, pur non indicando la forma guerriera, fa riferimento a quella erotica, a quella poetica come alla mantica, tutte molto simili alla Via Ultrasecca che è, per l’appunto, la Via del guerriero (vedi il concetto di “ménos” in Omero come “follia” e quello di “furor” nella cultura romana). (3)

Da tutto ciò consegue che il “corpo” inteso come “soma” non esiste poiché non è forma (intelligibile) essendo privo di Vita e se non è forma non è neanche conoscibile, come la “materia”; poiché esso è “materia”, è ύλη = «legname accatastato senza ordine» (Aristotele). L’unica funzione pertanto che svolge il cadavere (il corpo-soma) è quella di essere “strumento” per la pietà religiosa e per la cultura della “bella morte” eroica (vedi Iliade, episodio della morte di Ettore).

I Greci quindi hanno “scoperto” e ci hanno donato il cuore della spiritualità indoeuropea: la Forma che è l’Idea (sempre intelligibile) nello splendore della Luce degli Dei; essa è unità polare e dialettica, è tensione eventuale (nel senso che si eventua nel tempo…), è il Mondo come Forme Viventi, come Dei che non conoscono né il “corpo-soma”, né l’anima-psyché, né la “materia”, poiché non conoscono la morte! Lo psichismo del dualismo conosce l’Anima e il suo Dio solo nella morte ed a causa della morte, quindi la sua “spiritualità” è notturna e oscura come l’Ade; l’indoeuropeo conosce se stesso come Vivente e la Divinità – il complesso degli Dei – nella Luce della Vita ed a causa della Vita perché la sua spiritualità è diurna, luminosa! Gli Dei sovrani indoeuropei sono paterni e luminosi: la radice di Juppiter è la stessa di Dyaus Pitar che in sanscrito vuol dire Padre Luce o Padre Cielo luminoso.

Gli Dei sono gli immortali, gli eternamente beati e l’uomo greco nella Forma della Vita e dell’Essere, nel Vivente, nel Mondo come organismo animato e intelligente, grande Dio, ha venerato ciò che è potentemente esistente poiché è radicalmente ed unitariamente Essenza ed Intelligenza, ha amato solo e soltanto il più-che-vita nella vita, che è la Potenza dell’Atto, dell’Intelletto, è la danza cosmica delle Forme intorno al Nous (Intelletto) che è la loro Fonte Eterna.

(1) PLOTINO, Sulla materia, 4[12], 9.4-5; PLATONE, Timeo, 52b2. 

(2) R. DI GIUSEPPE, La teoria della morte nel Fedone platonico, Bologna 1993; H. FRÄNKEL, Poesia e filosofia della Grecia arcaica, Bologna 1997, pp. 129-142. R. ONIANS, Le origini del pensiero europeo, Milano 1998; G. SPATAFORA, I moti dell’animo in Omero, Roma 1999.

(3) Hegel esprime il medesimo concetto a proposito dell’idea realizzata nell’individualità vivente che è l’uomo! Vedi, a tal proposito, A. STELLA, Per una concezione filosofica dello “Psichico”, Roma 1992, p. 168 e ss.

(4) G. CASALINO, Il nome segreto di Roma. Metafisica della romanità, Roma 2003,  pp. 79 ss.

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Livr'arbitres: Dominique de Roux

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vendredi, 05 juin 2015

Renzi: fin de l'état de grâce

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RENZI : FIN DE L’ÉTAT DE GRÂCE
 
La ligue prend la tête de la droite italienne
 
Jean Bonnevey
Ex: http://metamag.fr
« Un stop pour Renzi ». C’est un journal qui lui est très favorable qui le dit, la Repubblica, une sorte de Monde à l’italienne.

Un échec électoral de Renzi lors des régionales en Italie est un fait. Comme il est le chouchou des médias, notamment français, on a surtout insisté sur le fait que sa gauche conserve 5 régions en jeu sur 7.

Mais l’effondrement de l’électorat est spectaculaire. Le score global du PD, 22,5 % des scrutins, est largement inférieur aux 40 % obtenus lors des élections européennes. Perdre quasiment un électeur sur deux, c’est tout de même une étrange victoire.

Les commentateurs italiens relevaient tous l'affaiblissement de M. Renzi. « Aujourd'hui pour Renzi, il est plus difficile de gouverner », commentait le journal de centre-droit La Stampa. Même si les personnalités et les enjeux locaux ont souvent été déterminants, le chef du gouvernement, arrivé au pouvoir il y a un an et demi sur un programme de réformes tous azimuts, souffre des divisions internes au sein de son parti, où des "frondeurs" n'ont pas digéré sa récente réforme électorale et ses options libérales en économie.

Le changement à droite est également important
 
En remportant la Ligurie, ce qui était inattendu, Silvio Berlusconi a sauvé les meubles. Certes, l’époque où Forza Italia (FI) dépassait 30 % des voix est un souvenir lointain, mais, avec 11,5 % des suffrages, le seuil fatidique des 10 % a été dépassé. L’engagement personnel de Silvio Berlusconi, libéré des obligations de sa peine à des travaux d’utilité publique, dans la campagne électorale y est pour beaucoup.

La progression de la Ligue du Nord, aux positions anti-européennes et anti-immigration souvent xénophobes, confirme cependant la fin du règne de Berlusconi sur la droite italienne. Non seulement la Ligue du Nord conserve la Vénétie, mais elle obtient 13 % des voix à l’échelon national, nettement devant Forza Italia. Un miracle pour une formation qui pesait 4 % des voix en 2013.

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Ce succès place son secrétaire Matteo Salvini devant un choix stratégique. « La Ligue est l'alternative la plus sérieuse à Renzi aujourd'hui en Italie », a lancé M. Salvini, surnommé "l'autre Matteo", assurant que son parti ne cherchait pas seulement à  arrêter le flot des migrants et démanteler les camps roms, mais aussi à proposer des alternatives sur "l'agriculture, les retraites, l'économie". Un parti maintenant vraiment national et pour tous les Italiens. Une alternative plus crédible que celle des « podemos » de la botte qui cependant bénéficient d’un regain de popularité.
 

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M5S exprime davantage un vote protestataire qu’un projet politique. Au cours des derniers mois, Beppe Grillo lui-même avait paru se désintéresser de sa créature politique et s’était écarté du champ politique. Les commentateurs annonçaient le déclin de M5S. Il n’en est rien.  Le  M5S, en perte de vitesse après son triomphe (25%) aux législatives de 2013, reste le deuxième parti du pays et recueille même le plus grand nombre de voix en Ligurie, en Campanie et dans les Pouilles.

Voila donc un nouveau paysage politique italien intéressant :  le modèle de Valls en perte de vitesse, la gauche anti-austérité toujours dynamique et la droite recomposée avec un « Fn » italien musclé, premier parti de la péninsule devant les républicains du Sarkozy italien , Berlusconi. A moins que ce ne soit le contraire.

Illustration en tête d'article : Matteo Renzi, Président du Conseil Italien
 

China: Silk Roads and Open Seas

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China: Silk Roads and Open Seas

By Pepe Escobar
RT.com

Ex: http://www.lewrockwell.com

Beijing’s disclosure earlier this week of its latest military white paper, outlining a new doctrine moving beyond offshore defense to “open seas” defense, predictably rattled every exceptionalist’s skull and bone.

Almost simultaneously, in Guangzhou, the annual Stockholm China Forum, hosted by the German Marshall Fund and the Shanghai Institute for International Studies, was mired in deep thought examining the vast Eurasian integration project known in China as “One Road, One Belt”.

What is also known as the New Silk Road project – displaying all the romantic connotations of a remix of a golden era – is not only about new roads, high-speed railways, pipelines and fiber optics, but also about a naval network from East Asia all the way to the Middle East and Europe.

So Chinese maritime expansion in the “open seas” – from the South China Sea to the Western Pacific and the Indian Ocean – had to be intimately tied to protection of the Maritime Silk Road.

Got deal, will travel

As the maddeningly complex One Road, One Belt network takes form, not a week passes without China clinching pipeline/power station/fiber optic/ manufacturing plant deals to accelerate Eurasian integration – from Pakistan to the Central Asian “stans”, and including everything from a road/railway linking Western China to the Arabian Sea to naval hubs on the way to the Horn of Africa.

The business logic behind this flurry of infrastructure deals is sound: to absorb China’s enormous excess industrial capacity. This process is of course enmeshed with Beijing’s complex energy strategy, whose main mantra is the famous “escape from Malacca”; to obtain a maximum of oil and gas bypassing waters patrolled by the US.

As Beijing “goes West” – the natural consequence of an official policy launched in 1999, but at the time mostly concerning Xinjiang – it becomes increasingly more open to the world. Just check the array of East and West nations that joined the Chinese-led Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB).

Close cooperation between BRICS members China and India will be absolutely key for the success of Eurasia integration. It’s already happening via the BRICS bank – the New Development Bank – that will be based in Shanghai and headed by an Indian banker. It’s not by accident that India is also a founding member of the AIIB.

AIIB’s first president will be Jin Liqun, a former deputy finance minister and former vice-president of the Japanese/American-led Asian Development Bank (ADB). Complaints by the usual suspects that AIIB will be a secret Chinese club are nonsense; the board making decisions includes several developed and developing world powers.

Across Eurasia, AIIB is bound to be the place to go. No wonder the Japanese, feeling excluded, were forced to raise the bar, announcing Tokyo is willing to commit a whopping $110 billion to finance infrastructure projects across Asia until 2020. The talk of the town – actually many mega-towns – across Asia is now all about the “infrastructure wars”.

Dreaming of going West

It’s fascinating to remember that what I called the Go West Young Han story of China’s expanding its trade/commercial clout actually started back in 1999. The first stage was a wave of factories moving from Guangdong province to the inward provinces. After a few years, in the Guangdong Triangle Area – which is now much wealthier than many an industrialized nation – product life-cycle timeline entrepreneurs embarked on frantic technology acceleration. Within the megalopolis of Shenzhen, the authorities actually push lower tech companies to move out of the downtown core area.

In terms of container ports, of the top 10 largest global ports no less than seven are based in China. That’s a graphic indication of China’s overwhelming predominance in maritime trade.

In terms of management, the 125 plan – that is, the 12th Chinese 5-year plan – expires in 2015. Few in the West know that most of the goals encompassing the seven technology areas China wanted to be leading have been achieved and in some cases even superseded. That technology leap explains why China can now build infrastructure networks that previously were considered almost impossible.

The next five-year plan is bound to be even more ambitious. It will focus, among other items, on Beijing’s drive to build a wave of huge new cities, a by-product of China’s restructuring of its economic model.

The China Dream, a new book by Professor General Liu Mingfu – a top military analyst – offers the Big Picture as China’s infrastructure drive across Eurasia gathers pace. A clash with the US is all but inevitable.

The Pentagon’s non-stop rumblings about the South China Sea are just the tip of the (lethal) iceberg; after all Washington considers it an American lake.

Li, as well as other leading Chinese analysts, would like to think Washington eventually finds a modus vivendi with the emerging superpower – as in relinquishing sovereignty, much as the British Empire did to the United States in the early 20th century.

That’s not going to happen. For the foreseeable future, according to the Obama administration’s own “pivoting to Asia”, announced in 2011 at the Pentagon, it will be hardcore containment. That might work only if BRICS member India is totally on board. And that’s quite unlikely.

In the meantime, Washington will continue to be submerged by this type of paranoid analytics, perpetrated by a former strategic adviser to the top US/NATO commander in Afghanistan.

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Check that sphere

The crucial point, already absorbed by the overwhelming majority of the Global South, is that China’s One Belt, One Road strategy is all about trade/commerce/”win-win” business; nothing remotely similar to the Empire of Bases, the never-ending “war on terra”, “kill lists”, and bombing recalcitrant nations (usually secular Arab republics) into “democracy.”

The immensely ambitious One Belt, One Road project, coupled with the Chinese Navy protecting its national interests in the “open seas”, fit into President Xi Jinping’s Chinese Dream in terms of a business master plan. The best way to build a “moderately prosperous society” is by building modern infrastructure internally and by reaching out to the world externally.

Once again, China will be exporting its massive surplus industrial capacity, will keep diversifying its energy sources and will extend its commercial influence from Central Asia all the way to Europe via Iran, Turkey and Greece.

China has the funds to solve one of India’s absolutely intractable problems – the rebuilding of its creaky infrastructure. The optimal scenario sees these two BRICS nations involved in deal after (infrastructure) deal, side by side with BRICS member Russia and “rehabilitated by the West” Iran. This means everything revolving around the New Silk Road(s) directly affecting no less than one-third of the world’s population. Talk about a “sphere of influence.”

There has been many a rumbling in Washington, ruling no one is entitled to a “sphere of influence” – except the US, of course. And yet Beijing’s economic, financial, diplomatic and geopolitical drive to unite Eurasia is the ultimate bid for a global sphere of influence. Against it, the usual Western, Roman-based Divide et Impera tactic may finally not work.

Reprinted from Russia Today.

Chômage et démographie

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Chômage et démographie
 
Ce que reflète avant tout le dynamisme tant vanté de la démographie en France (plutôt que française, dans ces conditions), c’est le Grand Remplacement.
 
Ecrivain
Fondateur du NON
 
Ex: http://www.bvoltaire.fr 
 

Peu de choses m’exaspèrent autant, face aux divers journaux télévisés, où Dieu sait pourtant que les motifs d’exaspération ne manquent pas, que les autocongratulations rituelles sur l’excellente santé prétendue de la démographie française.

Elles sont exaspérantes à mes yeux pour deux motifs, à deux niveaux.

Il y a d’abord que ce dynamisme tant célébré de la démographie française, bien loin d’être un élément de force et l’expression d’une résistance face au changement de peuple, en est en fait la manifestation même. Qui naît en si appréciable quantité dans notre pays, en effet ? Les rejetons des remplaçants, pas ceux des remplacés. Il suffit pour s’en convaincre d’observer dans les journaux les listes des naissances et aussi celles des décès. Je sais bien qu’on a reproché à Robert Ménard de tabler abusivement sur les prénoms pour se faire une idée opératoire des aspirations et des besoins divers de ses différentes catégories d’administrés, mais enfin il est peu vraisemblable, et même l’hypothèse est statistiquement négligeable, que Benoît Lamagistère exige de la viande halal, à la cantine du collège, et que Saïd Ben Lassaouï se fasse porter pâle samedi prochain pour cause de première communion. Je ne dis pas que c’est exclu mais c’est peu vraisemblable.

Or, au premier coup d’œil à la chronique « carnet » des journaux, on constate sans aucun doute possible que les Jacques, les Benoît, les Philippe, les Léon, les Gérard et autres Maxime ont une fâcheuse tendance à passer l’arme à gauche, tandis que les Saïd, les Yacine, les Mamadou, les Yasmina, les Mohammed et les Chérif mettent à naître et à proliférer, au contraire, une ardeur et un enthousiasme incomparables.

Ce que reflète avant tout le dynamisme tant vanté de la démographie en France (plutôt que française, dans ces conditions), c’est le Grand Remplacement. Toutes les dispositions prises pour stimuler la natalité ont surtout constitué une formidable incitation à l’immigration de masse et elles précipitent le changement de peuple. La nature même de la prétendue bonne santé de la démographie française fait que je n’y vois, personnellement, aucun motif de réjouissance.

D’autre part, et plus profondément, en toute indépendance de ses aspects ethniques plus ou moins souhaitables, faut-il nécessairement considérer que c’est une bonne santé pour la seule raison que c’est un dynamisme (relatif) ? Le moins qu’on puisse dire est qu’il y a là matière à discussion. Or, justement, sur ce point comme sur beaucoup d’autres, la discussion est ce qui est exclu d’emblée. Il naît en France, proportionnellement, plus d’enfants que dans les autres pays européens : nous sommes censés nous en réjouir tous, sans exception. Je conçois très bien qu’on le fasse, et je respecte ceux qui le font, d’autant qu’ils sont majoritaires parmi mes amis politiques, souvent natalistes ardents, au moins pour les indigènes européens. Mais j’aimerais bien qu’il soit fait une place à l’opinion contraire, et pas seulement parce que c’est la mienne.

Je tiens pour ma part, en effet – j’ai souvent eu l’occasion de le dire -, que la terre n’en peut plus de l’homme ; qu’aucune croissance, et surtout pas la croissance démographique, ne peut être poursuivie indéfiniment ; que l’artificialisation a mangé en France l’équivalent de sept départements en dix ans ; que la campagne disparaît ; que la banlieue gagne et s’universalise ; qu’il n’y a plus d’espace pour l’âme et pour la beauté ; que les vieux peuples allemand, italien ou russe ont bien raison de témoigner la sagesse d’une déflation démographique modérée ; que la France n’a jamais été si grande ni si belle qu’avec quarante ou cinquante millions d’habitants (à vrai dire, c’est plutôt vingt, mais je ne suis pas un extrémiste) ; que l’élément le plus agissant de puissance et de bonheur sera bientôt l’espace et non plus le nombre hébété ; que donc ce serait folie d’essayer de faire autant d’enfants que les Africains mais qu’il faut bien plutôt les empêcher de faire les leurs en Europe – et si possible les dissuader d’en faire en si grand nombre de toute façon, dans l’absolu, où que ce soit.

À quoi on m’objecte toute sorte de choses, et par exemple que la croissance démographique est indispensable à la croissance tout court, laquelle, à son tour, est seule à même de réduire le chômage. Je ne tiens pas plus que cela à la croissance tout court, mais l’exigence de réduction du chômage constitue un argument massue, auquel on ne peut rien opposer. Il a servi à promouvoir bien des désastres, écologiques, notamment, esthétiques, culturels, paysagers. Mais voici que se présente sur le tard un allié inattendu et précieux, pour les thèses décroissantistes et les miennes. À quoi serait due en effet, selon les plus récentes analyses économiques, la persistance irréductible, en France, d’un taux de chômage exceptionnel, aussi exceptionnel que ladite bonne santé démographique ? Eh bien précisément à cette prétendue bonne santé : laquelle, jointe à l’effondrement du système scolaire, lui-même assez étroitement lié au changement de peuple, jette tous les ans sur le marché de l’emploi des bataillons toujours plus fournis de nouveaux travailleurs potentiels, pour lesquels il est impossible de trouver toujours plus d’emplois, d’autant qu’une importante proportion d’entre eux sont parfaitement inaptes au moindre.

Moralité brève (j’ai été trop long) : déflation démographique ; restauration scolaire (par le biais de l’inévitable sécession des volontaires des trois ordres : professeurs, parents d’élèves et élèves eux-mêmes) ; décolonisation ; remigration.

Soirée avec Christian Rol

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L'obligation de penser le monde qui vient et d'enterrer celui qui passe...

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L'obligation de penser le monde qui vient et d'enterrer celui qui passe...

par Julien Rochedy

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue stimulant de Julien Rochedy, cueilli sur son site, Rochedy.fr et consacré aux rôles des intellectuels et des politiques dans une période d'interrègne... Ancien responsable du Front national de la jeunesse, il a publié deux essais, Le marteau - Déclaration de guerre à la décadence moderne (Praelego, 2010) et L'Union européenne contre l'Europe (Perspectives libres, 2014).

Que l'on s'arrête un temps sur la politique française : on n'y trouvera que de la com. Les choses qui encore se font, se font, à la limite, à l'échelon local – à l'échelon, dirons-nous, communautaire. Pour le reste, c'est à dire au niveau national, il n'y a qu'une stricte application des élans de l'époque, laquelle obéit à une décomposition progressive de tous les acquis des siècles. Le Parti Socialiste au pouvoir, à la suite de l'UMP, détricote les fondamentaux de la France que nos grands-parents et parents ont connu : éducation, symboles, fonction publique, identité, autorité, culture, centralisation, etc. Cette politique effective de déconstruction semble être la seule possible au pouvoir, comme si elle obéissait à des impératifs qui appartiendraient à un déterminisme historique obligatoire d'intermède entre deux siècles. Quand à ceux qui briguent le pouvoir national, les Républicains et les Frontistes, leur rhétorique consiste à vouloir, justement, restaurer. Les uns et les autres veulent « restaurer l'autorité de l'Etat », « appliquer la laïcité telle qu'elle fut pensée en 1905 », « retrouver notre souveraineté nationale », « revenir à l'assimilation », quand il ne s'agit pas de « retrouver notre monnaie nationale » etc. Or, la politique des « re » est pure tautologie d'une nostalgie qui trouve, bien sûr, ses clients et ses électeurs en démocratie. Mais en fin de compte, il ne s'agit que de « com », car s'il peut être pratique de s'adresser à la foule des inquiets qui abondent toujours en périodes historiques  intermédiaires, et de s'adresser à eux à travers une redondance d'appels au passé, il n'en demeure pas moins qu'aucune politique pérenne ne peut se fonder exclusivement sur des « re ». Les exemples historiques – de Sylla, qui voulut refaire la Rome républicaine et aristocratique, à De Gaulle, qui voulut restaurer la France – montrent toujours que ces intentions ne peuvent être que passagères, et que les civilisations, comme les nations et comme les siècles, obéissent toujours à la maxime d'Héraclite : on ne se baigne jamais deux fois dans le même fleuve. Or, l'Histoire est le fleuve par excellence.

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Résumons :

1 – Nous vivons une période historique intermédiaire qui bientôt va finir, raison pour laquelle la déconstruction des fondamentaux de la France (déconstruction qui, en vérité, a déjà commencé il y a 1 ou 2 siècles) s'accélère particulièrement en ce moment.

2 – Nous entrons progressivement dans un nouveau siècle, avec ses propres conditions, temporalités, impératifs et nécessités.

3 – Les hommes politiques au pouvoir ne font qu'accompagner, consciemment ou non, cette décomposition du temps passé. Quant à ceux qui n'y sont pas, ils ne font qu'appeler à sa restauration qui jamais ne viendra, ou, au mieux, que pour un temps très court, comme les derniers soubresauts d'un mourant.

4 – Les intellectuels actuels n'ont comme seul objet de pensée la destruction du monde qu'ils connaissaient. C'est pourquoi le monde de l'intelligence passe tout entier « à droite », parce qu'il s’aperçoit du carnage et du changement mais se contente, comme les politiques, de le pleurer.

5 – La nécessité pour les intellectuels et les politiques d'aujourd'hui est plutôt de penser le monde de demain pour y projeter des volontés. Finis les « re » : il faut vouloir dans les nouvelles conditions possibles qui se mettent en place petit à petit.

J'imagine que tout ceci est très dur à avaler, car cela fait fi de nos affects et de notre tendresse pour un monde qu'il y a peu nous touchions encore. Pourtant, si l'on veut échapper au règne de la com et/ou de l'impuissance politique, il nous faudra faire le deuil d'un certain nombre de choses pour penser les meilleurs solutions afin d'en préserver d'autres.

J'ajoute qu'il ne s'agit pas là d'un fatalisme pessimiste ; au contraire : plutôt que de perdre son temps dans des combats perdus, une envie impérieuse d'affronter le monde qui vient.

Julien Rochedy (Rochedy.fr, 1er juin 2015)

Avons-nous vendu notre âme à Big Data ?

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Avons-nous vendu notre âme à Big Data?

Auteur : Bruce Schneier
Ex: http://zejournal.mobi

Big Data, ou GAFAM selon Framablog (Google Apple Facebook Amazon Microsoft), a relégué Big Brother au rang de petit frère. Il n’est pas seulement partout, tout le temps, mais nous avons de plus en plus tendance à être lui, et lui, nous. Nous pensons par lui et en fonction de lui, comme si nos neurones avaient déjà pris le pli. Avons-nous vendu notre âme à Big Data? C’est pire que cela. Il est arrivé à nous faire admettre que nous n’en avions pas, d’âme, ou que, si âme il y avait, ce serait lui.

Attaqué par les pouvoirs d’État redoutant la liberté qu’il donne à chacun, Internet est aussi l’objet d’une constante mise en coupe réglée par les puissances économiques qui exploitent notre paresseuse inertie. Car c’est bien notre renoncement qui leur donne un énorme pouvoir sur nous-mêmes, ce sont nos données et nos secrets que nous leur livrons prêts à l’usage. Et ceci tandis que le futur redouté est en somme déjà là : les objets connectés sont intrusifs et démultiplient un pistage au plus près de notre intimité qui intéresse les GAFAM. Voici un échantillon de nos petites lâchetés face aux grandes manœuvres, extrait du livre récemment paru d’un grand spécialiste en sécurité informatique.

Comment nous avons vendu nos âmes – et bien davantage – aux géants de l’Internet

De la télévision qui nous écoute à la poupée qui enregistre les questions de votre enfant, la collecte de données est devenue à la fois dangereusement intrusive et très rentable. Est-il temps pour les gouvernements d’agir pour freiner la surveillance en ligne ?

L’an dernier, quand mon réfrigérateur est tombé en panne, le réparateur a remplacé l’ordinateur qui le pilotait. J’ai pris alors conscience que je raisonnais à l’envers à propos des réfrigérateurs : ce n’est pas un réfrigérateur avec un ordinateur, c’est un ordinateur qui garde les aliments au froid. Eh oui c’est comme ça, tout est en train de devenir un ordinateur. Votre téléphone est un ordinateur qui effectue des appels. Votre voiture est un ordinateur avec des roues et un moteur. Votre four est un ordinateur qui cuit les lasagnes. Votre appareil photo est un ordinateur qui prend des photos. Même nos animaux de compagnie et le bétail sont maintenant couramment équipés de puces ; on peut considérer que mon chat est un ordinateur qui dort au soleil toute la journée.

Les ordinateurs sont intégrés dans toutes sortes de produits qui se connectent à Internet. Nest, que Google a racheté l’an dernier pour plus de 3 milliards de dollars, fait un thermostat connecté à Internet. Vous pouvez acheter un climatiseur intelligent qui apprend vos préférences et optimise l’efficacité énergétique. Des appareils qui pistent les paramètres de votre forme physique, tels que Fitbit ou Jawbone, qui recueillent des informations sur vos mouvements, votre éveil et le sommeil, et les utilisent pour analyser à la fois vos habitudes d’exercice et de sommeil. Beaucoup de dispositifs médicaux commencent à être connectés à Internet et ils collectent toute une gamme de données biométriques. Il existe – ou il existera bientôt – des appareils qui mesurent en permanence nos paramètres vitaux, les humeurs et l’activité du cerveau.

Nous n’aimons pas l’admettre, mais nous sommes sous surveillance de masse.

Cette année, nous avons vu apparaître deux nouveautés intéressantes dans le domaine des technologies qui surveillent nos activités : les téléviseurs Samsung qui écoutent les conversations dans la pièce et les envoient quelque part pour les transcrire – juste au cas où quelqu’un demande à la TV de changer de chaîne – et une Barbie qui enregistre les questions de vos enfants et les revend à des tiers.

Tous ces ordinateurs produisent des données sur leur activité et une majeure partie sont des données de surveillance. C’est la localisation de votre téléphone, à qui vous parlez et ce que vous dites, ce que vous recherchez et écrivez. C’est votre rythme cardiaque. Les entreprises recueillent, stockent et analysent ces données, souvent à notre insu, et généralement sans notre consentement. En se basant sur ces données, ils tirent des conclusions sur les choses avec lesquelles nous ne sommes pas d’accord, ou auxquelles nous sommes opposés et qui peuvent affecter nos vies profondément. Nous n’aimons pas l’admettre, mais nous sommes sous surveillance de masse.

La surveillance sur Internet a évolué en une architecture scandaleusement vaste, robuste et rentable. Vous êtes traqué à peu près partout où vous allez, par de nombreuses entreprises et intermédiaires : 10 entreprises différentes sur un site, une douzaine sur un autre. Facebook vous traque sur tous les sites possédant un bouton Like (que vous soyez connecté ou non), tandis que Google vous traque sur tous les sites avec un bouton Google+ ou qui utilisent Google Analytics pour analyser leur trafic.

La plupart des entreprises qui vous traquent ont des noms dont vous n’avez jamais entendu parler : Rubicon Project, AdSonar, Quantcast, Undertone, Traffic Marketplace. Si vous voulez voir qui vous traque, installez un de ces plug-ins qui vérifient vos cookies sur votre navigateur web. Je vous garantis que vous serez étonné. Un journaliste a découvert que 105 entreprises différentes traquaient ses utilisations d’Internet sur une période de 36 heures. En 2010, le site a priori anodin qu’est Dictionary.com a installé plus de 200 cookies pisteurs dans votre navigateur quand vous le visitiez.

Ce n’est pas différent sur votre smartphone. Les applications vous traquent aussi. Elles traquent votre localisation et parfois téléchargent votre carnet d’adresses, votre agenda, vos favoris et votre historique de recherche. En 2013 le rappeur Jay Z et Samsung se sont associés pour offrir la possibilité aux personnes qui téléchargeaient une application d’écouter son nouvel album avant la sortie. L’application demandait la possibilité de voir tous les comptes du téléphone, de traquer la localisation et les personnes en contact avec l’utilisateur. Le jeu Angry Birds collecte votre localisation même lorsque vous ne jouez pas. Ce n’est plus Big Brother, ce sont des centaines de « little brothers » indiscrets et bavards.

La surveillance est le modèle économique de l’Internet

La plupart des données de surveillance d’Internet sont anonymes par nature, mais les entreprises sont de plus en plus capables de corréler les informations recueillies avec d’autres informations qui nous identifient avec certitude. Vous vous identifiez volontairement à un grand nombre de services sur Internet. Vous le faites souvent avec un nom d’utilisateur, mais de plus en plus les noms d’utilisateur sont liés à votre nom réel. Google a essayé de renforcer cela avec sa « politique du vrai nom », qui obligeait les utilisateurs de Google Plus à s’enregistrer avec leur nom légal, jusqu’à ce qu’il l’abandonne en 2014. Facebook exige aussi des vrais noms. À chaque fois que vous utilisez votre carte de crédit, votre vraie identité est liée à tous les cookies mis en place par les entreprises impliquées dans cette transaction. Et toute la navigation que vous faites sur votre smartphone est associée à vous-même en tant que propriétaire du téléphone, bien que le site puisse ne pas le savoir.

La surveillance est le modèle économique de l’Internet pour deux raisons principales : les gens aiment la gratuité et ils aiment aussi les choses pratiques. La vérité, cependant, c’est qu’on ne donne pas beaucoup le choix aux gens. C’est la surveillance ou rien et la surveillance est idéalement invisible donc vous ne devez pas vous en soucier. Et tout est possible parce que les lois ont échoué à faire face aux changements dans les pratiques commerciales.

En général, la vie privée est quelque chose que les gens ont tendance à sous-estimer jusqu’à ce qu’ils ne l’aient plus. Les arguments tels que « je n’ai rien à cacher » sont courants, mais ne sont pas vraiment pertinents. Les personnes qui vivent sous la surveillance constante se rendent rapidement compte que la vie privée n’est pas d’avoir quelque chose à cacher. Il s’agit de l’individualité et de l’autonomie personnelle. Il faut être en mesure de décider à qui vous révélez et dans quelles conditions. Il faut être libre d’être un individu sans avoir à se justifier constamment vis-à-vis d’un surveillant.

Cette tendance à sous-estimer la vie privée est exacerbée délibérément par les entreprises qui font en sorte que la vie privée ne soit pas un point essentiel pour les utilisateurs. Lorsque vous vous connectez à Facebook, vous ne pensez pas au nombre d’informations personnelles que vous révélez à l’entreprise ; vous discutez avec vos amis. Quand vous vous réveillez le matin, vous ne pensez pas à la façon dont vous allez permettre à tout un tas d’entreprises de vous suivre tout au long de la journée ; vous mettez simplement votre téléphone portable dans votre poche.

Ces entreprises sont analogues à des seigneurs féodaux et nous sommes leurs vassaux

Mais en acceptant les modèles économiques basés sur la surveillance, nous remettons encore plus de pouvoir aux puissants. Google contrôle les deux tiers du marché de la recherche des États-Unis. Près des trois quarts de tous les utilisateurs d’Internet ont des comptes Facebook. Amazon contrôle environ 30% du marché du livre aux États-Unis, et 70% du marché de l’ebook. Comcast détient environ 25% du marché du haut débit aux USA. Ces entreprises ont un énorme pouvoir et exercent un énorme contrôle sur nous tout simplement en raison de leur domination économique.

Notre relation avec la plupart des entreprises d’Internet dont nous dépendons n’est pas une relation traditionnelle entreprise-client. C’est avant tout parce que nous ne sommes pas des clients – nous sommes les produits que ces entreprises vendent à leurs vrais clients. Ces entreprises sont analogues à des seigneurs féodaux et nous sommes leurs vassaux, leurs paysans et – les mauvais jours – leurs serfs. Nous sommes des fermiers pour ces entreprises, travaillant sur leurs terres, produisant des données qu’elles revendent pour leur profit.

Oui, c’est une métaphore, mais c’est souvent comme cela qu’on le ressent. Certaines personnes ont prêté allégeance à Google. Elles ont des comptes Gmail, utilisent Google Calendar, Google Docs et utilisent des téléphones Android. D’autres ont prêté allégeance à Apple. Elles ont des iMacs, iPhones et iPads et laissent iCloud se synchroniser automatiquement et tout sauvegarder. D’autres encore ont laissé Microsoft tout faire. Certains d’entre nous ont plus ou moins abandonné les courriels pour Facebook, Twitter et Instagram. On peut préférer un seigneur féodal à un autre. On peut répartir notre allégeance entre plusieurs de ces entreprises ou méticuleusement en éviter une que l’on n’aime pas. Malgré tout, il est devenu extrêmement difficile d’éviter de prêter allégeance à l’une d’entre elles au moins.

Après tout, les consommateurs ont beaucoup d’avantages à avoir des seigneurs féodaux. C’est vraiment plus simple et plus sûr que quelqu’un d’autre possède nos données et gère nos appareils. On aime avoir quelqu’un d’autre qui s’occupe de la configuration de nos appareils, de la gestion de nos logiciels et du stockage de données. On aime ça quand on peut accéder à nos courriels n’importe où, depuis n’importe quel ordinateur, et on aime que Facebook marche tout simplement, sur n’importe quel appareil, n’importe où. Nous voulons que notre agenda apparaisse automatiquement sur tous nos appareils. Les sites de stockage dans le nuage font un meilleur travail pour sauvegarder nos photos et fichiers que si nous le faisions nous-mêmes ; Apple a fait du bon travail en gardant logiciels malveillants en dehors de son app store. On aime les mise à jours automatiques de sécurité et les sauvegardes automatiques ; les entreprises font un bien meilleur travail de protection de nos données que ce que l’on n’a jamais fait. Et on est vraiment content, après avoir perdu un ordiphone et en avoir acheté un nouveau, que toutes nos données réapparaissent en poussant un simple bouton.

Dans ce nouveau monde informatisé, nous n’avons plus à nous soucier de notre environnement informatique. Nous faisons confiance aux seigneurs féodaux pour bien nous traiter et nous protéger de tout danger. C’est le résultat de deux évolutions technologiques.

La première est l’émergence de l’informatique dans le nuage. Pour faire simple, nos données ne sont plus ni stockées, ni traitées par nos ordinateurs. Tout se passe sur des serveurs appartenant à diverses entreprises. Il en résulte la perte du contrôle de nos données. Ces entreprises accèdent à nos données – aussi bien le contenu que les métadonnées – dans un but purement lucratif. Elles ont soigneusement élaboré des conditions d’utilisation de service qui décident quelles sortes de données nous pouvons stocker sur leurs systèmes, et elles peuvent supprimer la totalité de notre compte si elles soupçonnent que nous violons ces conditions. Et elles livrent nos données aux autorités sans notre consentement, ni même sans nous avertir. Et ce qui est encore plus préoccupant, nos données peuvent être conservées sur des ordinateurs situés dans des pays dont la législation sur la protection des données est plus que douteuse.

Nous avons cédé le contrôle

La seconde évolution est l’apparition d’appareils grand public sous le contrôle étroit de leur fabricant : iPhones, iPad, téléphones sous Android, tablettes Kindles et autres ChromeBooks. Avec comme conséquence que nous ne maîtrisons plus notre environnement informatique. Nous avons cédé le contrôle sur ce que nous pouvons voir, ce que nous pouvons faire et ce que nous pouvons utiliser. Apple a édicté des règles concernant les logiciels pouvant être installés sur un appareil sous iOS. Vous pouvez charger vos propres documents sur votre Kindle, mais Amazon a la possibilité d’effacer à distance les livres qu’ils vous ont vendus. En 2009, ils ont effacé des Kindles de leurs clients certaines éditions du roman de George Orwell 1984, en raison d’un problème de copyright. Il n’y a pas de façon plus ironique pour illustrer ce sujet.

Ce n’est pas qu’une question de matériel. Il devient difficile de simplement acheter un logiciel et de l’utiliser sur votre ordinateur comme vous en avez envie. De plus en plus, les distributeurs de logiciels se tournent vers un système par abonnement (c’est ce qu’a choisi Adobe pour le Creative Cloud en 2013) qui leur donne beaucoup plus de contrôle. Microsoft n’a pas encore renoncé à son modèle de vente, mais s’arrange pour rendre très attrayant l’abonnement à MS Office. Et il est difficile de désactiver l’option d’Office 365 qui stocke vos documents dans le cloud de Microsoft. Les entreprises nous incitent à aller dans ce sens parce que cela nous rend plus rentables en tant que clients ou utilisateurs.

Compte tenu de la législation en vigueur, la confiance est notre seule possibilité. Il n’existe pas de règles cohérentes et prévisibles. Nous n’avons aucun contrôle sur les actions de ces entreprises. Je ne peux pas négocier les règles concernant le moment où Yahoo va accéder à mes photos sur Flickr. Je ne peux pas exiger une plus grande sécurité pour mes présentations sur Prezi ou ma liste de tâches sur Trello. Je ne connais même pas les fournisseurs de cloud chez lesquels ces entreprises ont délocalisé leurs infrastructures. Si l’une de ces entreprises supprime mes données, je n’ai pas le droit d’exiger qu’on me les restitue. Si l’une de ces entreprises donne au gouvernement l’accès à mes données, je n’ai aucun recours. Et si je décide d’abandonner ces services, il y a de grandes chances que je ne puisse pas emporter facilement mes données avec moi.

Les données, c’est le pouvoir, et ceux qui ont nos données ont du pouvoir sur nous.

Le politologue Henry Farrell observe : « Une grande partie de notre vie se déroule en ligne, ce qui est une autre façon de dire que la majeure partie de notre vie est menée selon les règles fixées par les grandes entreprises privées, qui ne sont soumises ni à beaucoup de règlementation, ni à beaucoup de concurrence réelle sur le marché. »

La bonne excuse habituelle est quelque chose comme « les affaires sont les affaires ». Personne n’est obligé d’adhérer à Facebook ni d’utiliser la recherche Google ni d’acheter un iPhone. Les clients potentiels choisissent de se soumettre à des rapports quasi-féodaux en raison des avantages énormes qu’ils en tirent. Selon ce raisonnement, si ça ne leur plaît pas, ils ne devraient pas y souscrire.

Ce conseil n’est pas viable. Il n’est pas raisonnable de dire aux gens que s’ils ne veulent pas que leurs données soient collectées, ils ne devraient pas utiliser les mails, ni acheter en ligne, ni utiliser Facebook ni avoir de téléphone portable. Je ne peux pas imaginer des étudiants suivre leur cursus sans faire une seule recherche sur Internet ou Wikipédia, et encore moins au moment de trouver un emploi, par la suite. Ce sont les outils de la vie moderne. Ils sont nécessaires pour une carrière et une vie sociale. Se retirer de tout n’est pas un choix viable pour la plupart d’entre nous, la plupart du temps ; cela irait à l’encontre de ce que sont devenues les normes très réelles de la vie contemporaine.

À l’heure actuelle, le choix entre les fournisseurs n’est pas un choix entre la surveillance ou pas de surveillance, mais seulement un choix entre les seigneurs féodaux qui vont vous espionner. Cela ne changera pas tant que nous n’aurons pas de lois pour protéger à la fois nous-mêmes et nos données de ces sortes de relations. Les données, c’est le pouvoir, et ceux qui ont nos données ont du pouvoir sur nous.

Il est grand temps que le gouvernement intervienne pour rééquilibrer les choses.

- Source : Bruce Schneier

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Japan's Demographic Atom Bomb

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Japan's Demographic Atom Bomb

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Ex: http://www.lewrockwell.com

Could you imagine living in a country that was about to die, or would virtually disappear as if it had been hit by neutron bombs that kill the people but leave the property intact?  Japan is just such a country, it’s dying, rather its people are dying at an alarming rate and the country will be mostly dead as a result of a demographic calamity in another hundred years or so if things don’t change.

A 2014 study of Japan’s demographics was recently published and the results were astonishing.  People are now paying more attention to the impending disaster.  Given current demographic trends, Japan’s population will decrease by 30% in the next 45 years with about half of all municipalities disappearing.  In the area of northern Japan where I live and much of rural Japan, about 80% of municipalities will cease to exist.  Imagine America with half of the cities and towns gone due to depopulation and several states with 80% of the towns erased off the map and you will understand the enormity of the situation facing Japan.

Japanese people and government officials are well aware of the problem.  People fret and say that “something needs to be done”, but there is little analysis of the disastrous economic and geopolitical effects and no analysis of the causes and potential solutions.  People really have their heads buried in the sand, perhaps because they think it’s going to be someone else’s problem when the country’s population falls from 125 million to 85 million and half of the remaining people are elderly.

But it’s not going to happen overnight, so people who are alive today and their children will need to deal with a shrinking economy, the costs of taking care of so many elderly people, and the security risks that Japan will encounter if it maintains it’s bad relations with neighboring countries while at the same time being less able to defend itself because it is depopulated and economically shriveled.

It is essential to the Japanese people that the demographic trend is reversed.  Japan will be a poor and potentially less secure place to live if nothing is done.

Why is it that Japan’s demographics have become so poor?  Every person and every family has reasons, but I believe it’s clear that there are a few social habits, but primarily severe economic reasons for the declining population.

Socially speaking, office workers are expected to work long hours and then go out socializing with coworkers after they leave the office.  These workers, often referred to as “salarymen”, typically work 6 days a week, returning home to a distant suburb late at night.  It isn’t difficult to imagine that they find it difficult to make children for reasons of being tired, unable to allocate time to family raising matters or spousal relationships.  This isn’t the main reason for a low birthrate.

The root of the demographic problem plaguing Japan is the weak economic situation that has continued since the bubble burst in 1990.  Due to government interventions and regulations, the economy has crawled along at a snails pace for a quarter of a century.  One of the most destructive regulations revolves around rules that make it almost impossible to lay off a permanent employee in Japan, so employers have responded by hiring fewer people on a full time basis and instead many people are hired for low paying short term contract work.  After a Japanese worker is forced to accept temporary work, it is very difficult to convince any employer to hire them on a full time basis.  With no permanent employment, and few job prospects, making a family is unlikely.

In addition to the weak and overly regulated labor market, it has been Japanese government policy to continually raise taxes to the point where they are almost the highest in the world for both corporations and individuals.  Under Prime Minister Shinzo Abe, the trend toward higher and higher taxes has been expanding, with the consumption (sales) tax to be increased by 100%, increases in income taxes, property taxes, social security taxes, gift taxes, inheritance taxes, and anything else the Japanese government can think of taxing.  The people have been squeezed dry by this enormous tax burden.

Government policy also encourages special treatment and protections for large companies so they don’t have to compete and can fix prices at a high level.  This is yet another heavy burden on the Japanese people, draining their pockets and leaving them without the means to raise a family.

With high taxes, an artificially high cost of living due to stifling government regulations and a vastly depreciated Yen, young couples find it difficult to make ends meet and many Japanese women have been forced into the labor market, typically into low paying jobs, just to be able to pay the rent and eat.  Instead of staying home to make and raise a family as many women would prefer, these women arrive home from work exhausted and without the time or energy to raise a family as they would want.  As a result of the high cost of living and women being forced into the workforce, Japanese families have fewer and fewer children.

In short, the Japanese government is acting like a cattle farmer who fails to take care of his herd, shearing, milking, and slaughtering to excess, putting stress on the lives of the herd, and making it difficult to breed.  Unlike a farmer who would usually want to hand down a productive enterprise to his descendants, a democratically elected politician has little or no incentive to maintain “the herd” beyond his term in office.  Thus, ruling party bosses never seem to stop abusing and taking advantage of the people.

Precisely because people are not farm animals who need to be tended to, the solution is simple and easy.  All that needs to be done, indeed the only thing that can be done, to resolve the demographic problem is for government to leave people alone so that they can readily create a family, save, invest, and create enough wealth to support their families and offspring over time. By “leave alone” I mean stop taxing and stop trying to control the economy and peoples lives.  No more favors for friends, no more tax bills, no more restrictions on the ability to make a contract with an employer.

Sadly, I doubt that Japanese government officials would even consider letting people get on with their lives and flourish.  Japan has so many intelligent and talented people, not to mention lovely and charming women who would love to have a nice family, so it’s truly shocking that the country is on the path toward demographic destruction, thanks mostly to arrogant and incompetent politicians.

The Best of Andy Sirkis

Spengler, Yockey, & The Hour of Decision

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Spengler, Yockey, & The Hour of Decision

“That is what the craving for the peace of fellahdom, for protection against everything that disturbs the daily routine, against destiny in every form, would seem to intimate: a sort of protective mimicry vis-a-vis world history, human insects feigning death in the face of danger, the “happy ending” of an empty existence, the boredom of which has brought in jazz music and negro dancing to perform the Dead March for a great Culture.”
—Oswald Spengler, The Hour of Decision 

Francis Parker Yockey is routinely described as a Spenglerian philosopher. Yet the Oswald Spengler whom Yockey evokes in Imperium and The Enemy of Europe is not the patient, ponderous explainer from The Decline of the West. Rather, Yockey’s writings are modeled stylistically on Spengler’s polemical manifesto from 1933, The Hour of Decision.

I offer the epigraph above as an example. In English translation, at least, Spengler’s rhetorical flights are very similar to Yockey’s of fifteen or more years later. Many of Yockey’s themes are virtual retreads of Spengler in The Hour of Decision. Here is something from The Enemy of Europe (circa 1948). Yockey is talking about how Great Britain abandoned her sovereignty after the Great War:

During the third decade of the 20th century, England gradually handed over its sovereignty to America in order to continue pursuing its distorted policy, a policy devoted to the world-wide preservation of the status quo. Naturally, such an unpleasant fact was not admitted by the representatives of a certain mentality, and naturally again—those who bore the responsibility for the transfer of power shied away from defining the new relationship precisely; for had they done so, the whole policy would have been spoilt. Nevertheless, when Baldwin announced in 1936 that he would not deploy the English fleet without consulting America beforehand, he informed the entire political world in unmistakable terms that the end of English independence had come, that English sovereignty had passed over to America. (The Enemy of Europe [1], p. 9)

Now here is Spengler making a similar point, fifteen years earlier:

In 1931 England granted by statute complete equality of status to the white Dominions in the Commonwealth of Nations, thereby relinquishing her priority and allying herself with these states on the ground of common interests, particularly that of protection by the British navy. But there is nothing to prevent Canada and Australia from throwing sentiment to the winds and turning to the United States if they see a chance of better protection there – for instance, from Japan, as white nations. England’s former position on the farther side of Singapore is already abandoned, and if India is lost, there will be no real sense in retaining it in Egypt and the Mediterranean either. In vain does English diplomacy of the old style try in the old way to mobilize the Continent for English ends: against America as the debtor front and against Russia as the front against Bolshevism. (The Hour of Decision [2], p. 40)

Imperium/The Enemy of Europe (the second work was conceived as a pendant to the first) is thus like a reiteration, a New Revised Edition of The Hour of Decision. The parallels are striking, but they are not simply a result of Yockey slavishly imitating Spengler. I doubt Yockey consciously did. I suggest rather that the echoes are there because both Spengler and Yockey are both speaking in a conceptual shorthand that leans on the ideas and terms of art first adumbrated in The Decline of the West. In The Hour of Decision, Spengler can talk about the spirit of Prussianism or the culturelessness of “Fellaheen” peoples, for example, without laboriously explaining the terms. This is because he presupposes a familiarity with the Morphology of History described in Decline. And so it is with Imperium/Enemy. The main difference is that Yockey alludes to Spengler, whereas Spengler is referencing himself.

Now, this derivation from Decline means that readers who don’t know Spengler’s basic schema may well be bewildered or annoyed when reading The Hour of Decision. This is what happened when some American book critics reviewed Hour in 1934, when the English translation was published. Writing in The Saturday Review of Literature, one scribe indulges in non-stop head-scratching, saying in effect, What does Spengler mean when he talks about Prussianism? He doesn’t actually mean Prussians. He’s got some personal, idiosyncratic definition; perhaps Prussianism is meant to designate

some fundamental trait of character . . . essential to the greatness, or even the preservation, or any nation worth thinking about. What that trait is cannot easily be stated in a definition; it involves, however, above all, a subordination of every softer impulse of mankind to the stern duty of rigorous discipline . . .[1]

The reviewer, of course, is winging it. He hasn’t read The Decline of the West, but he has a mental image of a Prussian (in a Pickelhaube helmet, no doubt) and figures that Prussianism is a cult of martinets, hard men. Anyway, it fits in well with the review’s title: “Spengler’s Fascist Manifesto.”

Contrariwise, Allen Tate reviewed The Hour of Decision around the same time for The American Review, and showed an extensive understanding of The Decline of the West. Tate has one quibble with the new manifesto: it seems to be a clarion call for heroic, individual effort, and that would appear to be inconsistent with the historic inevitability that runs through Spenglerian theory:

How can Spengler’s organic determinism be reconciled with the call to arms that he now shouts to the white races, particularly the Teutonic peoples, to repel the twin revolutionary menace of the dark races and of the proletariat? I think this part of the new Spengler book may be dismissed as so much jingoism. In the violent attack on communism and other phases of the international revolutionary movement, Spengler forgets the schematicism of The Decline of the West, and falls into a kind of “rugged individualism” when he praises here and there the responsible man who by zeal and foresight builds a factory or a fortune.[2]

yockey.pngWell, not quite. Tate, whose attitude toward Spengler is generally approving, seems to be straining at a gnat here. The answer to his question is that individual action and “organic determinism” can and do coexist. They do not contradict each other. Denizens of a high culture do not turn into a herd of mindless cattle simply because some force majeure is in operation.

But Tate is making a useful point in a roundabout way. He is noting the difference in rhetorical styles between The Decline of the West and The Hour of Decision. The first is an impassive, intricate, delicate trusswork of philosophical theory; the second is something akin to journalism. If Spengler in Hour seems to be sloganeering more than usual, and indulging in such untoward, piquant topics as the threat of the colored races, it’s because he’s writing political commentary, not philosophy.

This immediacy, I submit, accounts for a lot of the rhetorical similarity between the Yockey of Imperium/Enemy and the Spengler of The Hour of Decision. The writers are giving us a snapshot of the world situation as it appears now—”now” being in 1948 and 1933. Coming to The Hour of Decision for the first time, after knowing Yockey’s work for forty years, I was struck by both the similarities in style and by Spengler’s breathtaking insights. Just a sample:

Is the United States a power with a future? Before 1914 superficial observers talked of unlimited possibilities after they had looked about them for a week of two, and post-war “society” from Western Europe, compounded of snobs and mobs, for full of enthusiasm for “husky” young America as being far superior to ourselves – nay, positively a model for us to follow. But for purposes of durable form records and dollars must not be taken to represent the spiritual strength and depth of the people to whom they belong; neither must sport be confused with race-soundness nor business intelligence with spirit and mind. What is “hundred per cent Americanism”? A mass existence standardized to a low average level, a primitive pose, or a promise for the future? . . . All we know is that so far there is neither a real nation nor a real State. Can both of these develop out of the knocks of fate, or is this possibility excluded by the very fact of the Colonial type, whose spiritual past belongs elsewhere and is now dead? (The Hour of Decision, p. 36)

As Yockey will reiterate years later, there are great parallels between America and Russia; but Spengler specifically sees a kind of Bolshevism in the 1920s-’30s USA:

The resemblance to Bolshevik Russia is far greater than one imagines. There is the same breadth of landscape, which firstly, by excluding any possibility of successful attack by an invader, consequently excludes the experience of real national danger, and, secondly, by making the State not indispensable, prevents the development of any true political outlook. Life is organized exclusively from the economic side and consequently lacks depth, all the more because it contains nothing of that element of historic tragedy, of great destiny, that has widened and chastened the soul of Western peoples through the centuries. . . . And there is the same dictatorship there as in Russia (it does not matter that it is imposed by society instead of a party), affecting everything – flirtation and church-going, shoes and lipstick, dances and novels à la mode, thought, food, and recreation – that in the Western world is left to the option of individuals. There is one standardized type of American, and, above all, American woman, in body, clothes, and mind; any departure from or open criticism of the type arouses public condemnation in New York as in Moscow. . . .

Granted, there is no Communist party. But neither did this exist as an organization for election purposes in the Tsarist regime. And in the one country as in the other, there is a mighty underworld of an almost Dostoievsky sort, with its own urge to power, its own methods of destruction and of business, which, in consequence of the corruption prevailing in the organs of public administration and security, extends upwards into very prosperous strata of society – especially as regards that alcohol-smuggling which has intensified political and social demoralization to the extreme. It embraces both the professional criminal class and secret societies of the Ku Klux Klan order, Negroes and Chinese as well as the uprooted elements of all European stocks and races, and it possesses some very effective organizations, certain of which are of long standing, such as the Italian Camorra, the Spanish Guerrilla, the Russian Nihilists before 1917, and the agents of the Cheka later. Lynching, kidnapping, and attempts to assassinate, murder, robbery, and arson are all well-tested methods of political-economic propaganda. (The Hour of Decision, pp. 36-38)

Notes

1. Fabian Franklin, “Spengler’s Fascist Manifesto,” The Saturday Review of Literature, 17 February 1934. http://www.unz.org/Pub/SaturdayRev-1934feb17-00490a02 [3]

2. Allen Tate, “Spengler’s Tract Against Liberalism,” The American Review, April 1934, p.41. http://www.unz.org/Pub/AmericanRev-1934apr-00041 [4]

 

 

 

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[2] The Hour of Decision: https://archive.org/stream/TheHourOfDecision/HOD#page/n40

[3] http://www.unz.org/Pub/SaturdayRev-1934feb17-00490a02: http://www.unz.org/Pub/SaturdayRev-1934feb17-00490a02

[4] http://www.unz.org/Pub/AmericanRev-1934apr-00041: http://www.unz.org/Pub/AmericanRev-1934apr-00041

jeudi, 04 juin 2015

Le plan stratégique de l'ambassade US

Islam & immigration, le plan stratégique de l'ambassade US

Analyse du plan stratégique du gouvernement américain en France visant à faire de l'immigration afro-orientale et musulmane le fer de lance des USA et de l'OTAN sur le territoire français.

Source :

https://wikileaks.org/plusd/cables/07...

https://wikileaks.org/plusd/cables/05...

https://wikileaks.org/cable/2010/01/1...

The Question of Race in Spengler & its Meaning for Contemporary Racialism

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The Question of Race in Spengler & its Meaning for Contemporary Racialism

Picture, above: Michael Kunze, Oswald Spengler

Introduction

It is a tradition at Counter-Currents to remember the great German philosopher of history, Oswald Spengler, on the anniversary of his birth, the 29th of May. This year, I would like to take the time to critically reflect on Spengler’s views of race within his magnum opus, The Decline of the West (1918–22), and, in particular to discuss the importance these ideas hold for modern day racialists and ethno-nationalists. 

Some of these issues were touched on by Greg Johnson in his 2010 essay, “Is Racial Purism Decadent? [2],” and my arguments here are largely in response to some of the questions he poses therein. In brief, my intent with this piece is to (1) provide a brief overview of Spengler’s racial doctrine, (2) illustrate the disjunctions existing between the Spenglerian conception of “race” and materialistic ones, and (3) to explore what the Spengler being correct on the question of race means for those currently involved in the various shades of racial preservationism common among Counter-Currents’ readership.

When discussing “race,” it is common parlance among racial preservationists to adopt usages of the term derived from the great physical anthropologists and anthropometrists of the early 20th century. It is in works such as Carleton S. Coon’s The Races of Europe (1939) or Bertil Lundman’s Nordens Rastyper (1940), that the highly developed and nuanced models of the different human races are exemplified. And, it is from works such as these that contemporary discourses on race within preservationist circles find their genealogical root. Primary examples of this can be seen in the wide selection of early-twentieth century literature hosted on the website of the Society for Nordish Physical Anthropology (SNPA)[1]—an organization “founded in January 1999 […] by three university students” with the goals of reviving the theories of “the nature and phylogeny of human biodiversity” which dominated academia “prior to 1950.”[2] The SNPA’s website is presently hosted by a racial preservationist web forum, The Apricity, one of whose most active sub-forums is devoted to classifying both forum members and celebrities according to the racial typologies such as Lundman’s or Coon’s.[3] The deep relationship between pre-1950 physical anthropology and contemporary racialist discourse is hardly unique to The Apricity, and can be found throughout racialist websites and forums.

This biological view of race—focusing both on the phenotypical and genotypical variations both within and without Europe—is, however, quite far from what Spengler means when uttering the word “race.” While he does not deny that there is a biological dimension to race, Spengler does not reduce race to biology.[4] Rather, for Spengler, the notion of race was one which included the material, but supervened over it to include psychological and cultural dimensions as well. Later in life, this non-reductionist position would put him at odds with the high-profile members of the National Socialist German Worker’s Party (NSDAP), particularly with Alfred Rosenberg, whose racialism bore more in common with Lundman and Coon’s physical anthropology than with Spengler’s anti-materialism.[5] What, however, is meant by an anti-material conception of race? If Spengler did not reduce race to physical characteristics, how did he understand it?

Spenglerian “Race”

In his own words, Spengler defines a race as “the cosmic-plantlike side of life, of Being, [which] is invested with a character of duration.”[6] Race is, he tells us, “determined by the fact that the bodily succession of parents and children, the bond of the blood, forms natural groups, which disclose a definite tendency to take root in a landscape”—with “race” standing in for the “fact of a blood which circles, carried on by procreation, in a narrow or wide landscape.”[7] Prima facie, this definition of the term does not sound too far a cry from those of the physical anthropologists. However, as Spengler develops his thesis within The Decline of the West, his position emerges as one which is far closer to the völkisch landscape mystics of the Bodenbeschaffenheit movement, such as Hermann Keyserling.[8] We see this connection emphasized in the relationship Spengler postulates between race, landscape, language, and culture. In terms of the connection between race and landscape, we see Spengler advocating for a fundamentally formative and governing impact of the latter upon the former:

A race has roots. Race and landscape belong together. Where a plant takes root, there it dies also. There is certainly a sense in which we can, without absurdity, work backwards from a race to its “home,” but it is much more important to realize that the race adheres permanently to this home with some of its most essential characters of body and soul. If in that home the race cannot now be found, this means that the race has ceased to exist. A race does not migrate. Men migrate, and their successive generations are born in ever-changing landscapes; but the landscape exercises a secret force upon the plant-nature in them, and eventually the race-expression is completely transformed by the extinction of the old and the appearance of a new one. Englishmen and Germans did not migrate to America, but human beings migrated thither as Englishmen and Germans, and their descendants are there as Americans.[9]

In this, we see that Spengler’s view on race is such that it can be essentially treated as a function of a specific landscape and place—with individual races being inextricably tied to their geographic birthplaces as peoples.[10] The differences between this conception of racial formation and Darwinian models of evolution are more pronounced when we consider as well that Spengler’s philosophy treated a race not as a collection of related organisms, but rather as a single organism, and that the physical and psychological formation wrought by the landscape was collective rather than individual in nature. This collectivism is seen in the relationship Spengler posits between race and language as well, with the two complementing one another in a way analogous to body and mind in an individual:

In the limit, every race is a single great body, and every language the efficient form of one great waking-consciousness that connects many individual beings. And we shall never reach the ultimate discoveries about either unless they are treated together and constantly brought into comparison with one another.[11]

This relationship between a people’s race and its language, then, is one wherein each necessarily complements one another, with both being fundamentally necessarily to the integral unity of the singular organism. Carrying the metaphorical comparison between the individual and the people further, we see culture emerge from this race-language dyad as the natural expression of the two as they exist in the world. Spengler sees language as essentially two-fold, being divided into talk and speech, with each linguistic mode being proper to one “of the two primary Estates” such that “talk belongs with the castle [the state], and speech to the cathedral [the church].”[12] By means of its expression through these two estates, Spengler sees language as participating in the “waking relation that has Culture, [and] that is Culture.”[13] In this way, culture emerges as the activity of the interaction of the bodily race and mental language of a people with their given landscape.

This conception of mankind which Spengler elucidates is not anti-material in that it denies the material dimensions of race, but is so in that it does not treat a people as being reducible to mere physiological characteristics and differences. For Spengler, the very term “people” is not a simple designation for a group with physical or political or linguistic ties, but is “a unit of the soul,” designating a unified collective spiritual internality shared by all members of the group.[14] For Spengler, this racial soul was expresses most fully through the peoples’ modes of cultural production—namely through the arts. He saw racial virility as being intimately tied to artistic expression, with the development of High Art being “a mark of race,” rather than of learning.[15] He tells us that “the great art by which the Culture finds its tongue is the achievement of race and not that of craft.”[16] In this, Spengler is saying that the art whose expression comes to define a people (e.g. the relationship between Gothic architecture and Western man) is essentially racial in nature, and not a learned skill—insofar as the art itself is the cultural “vocalization” of the race’s experience of the world.[17]

It is with this sense of both the terms “race” and “art” that we can make sense of Spengler’s assertion that “the creators of the Doric temples of South Italy and Sicily, and those of the brick Gothic of North Germany were emphatically race-men, and so too the German musicians from Heinrich Schütz to Johann Sebastian Bach.”[18] For, in this, he is saying that these great artists throughout history exemplified through their works the inner experience of their race, and as such were great men of race. The art of these great men, which forms the core cultural expression of Western man, is for Spengler, thus seen not as the products of artistic education achieved by individuals. Rather, it is a fundamentally racial production, which can no more be separated from the race of the people who birthed it than can that race from its language, nor the race from its landscape. It is through cultural production generally, and through art particularly, that the genius of the race is made manifest—its strength and vitality being translated into forms which supervene over the brute materiality of phenotype and genotype.

Questions of Preservation

If Spengler is correct, what does this mean for contemporary racialists and racial preservationists? To begin, let us examine one of Spengler’s best known statements on the question of racial purity and preservation, from The Hour of Decision (1943):

But in speaking of race, it is not intended in the sense in which it is the fashion among anti-Semites in Europe and America to use it today: Darwinistically, materially. Race purity is a grotesque world in view of the fact that for centuries all stocks and species have been mixed, and that warlike—that is, healthy—generations with a future before them have from time immemorial always welcomed a stranger into the family if he had “race,” to whatever race it was he belonged. Those who talk too much about race no longer have it in them. What is needed is not a pure race, but a strong one, which has a nation within it. This manifests itself above all in self-evident elemental fecundity, in an abundance of children, which historical life can consume without ever exhausting the supply.[19]

In this passage, we see Spengler vehemently rejecting the purity-based racial theories prevalent within the NSDAP. But, what is the nature of this strong rejection? At its root, what we see in Spengler is a sharp contrast between his characterization of (a) the raceless man’s engaging in discourse on race and (b) the man of race’s non-discursive lived experience of race. The former discursive behavior, we see Spengler treat as degenerate and weak—the latter non-discursive behavior, as vital and strong. As Johnson notes, one of the key differences between these two behaviors is the activity’s vector; where “racial consciousness is backwards looking […] the feeling of race is forward-looking.”[20] The former is an after-the-face reflection on the past activities of race men; while the latter is the present experience of the man of race, impelling him to reach new creative heights in the cultural expression of his race.

Spengler would argue, then, that the discursive activities of contemporary racialists and racial preservationists on maintaining racial purity not only miss the point of race entirely by reducing it to mere physical characteristics, but also that such discursive action is a decadent and unhealthy way of approaching race. The man of race would view, Spengler tells us, such concerns with racial purity as entirely backwards-looking, seeking to preserve what his race once was. However, the non-discursive experience of one’s race is correspondingly forward-looking, seeking to actualize and create a strong and vital future culture. Johnson tells us that Spengler would argue that “the racial purist looks to the past, not the future, because he does not have the vitality in him necessary to create a future.”[21] The racial consciousness of the preservationist is defined entirely by his race’s past—a past which is, by definition, immutable and fixed; his engagement with race, then, is wholly discursive, merely talking of past glories and present ills. It is not defined by the action born of the inner experience of race-feeling itself.

These unhealthy manifestations of discursive preoccupations with racial purity run counter to the healthy non-discursive race-feeling and its resulting cultural production not because the discourse of the purist is wrong. Indeed, as Johnson argues, “decadent people can be right, and healthy people can be wrong.”[22] However, in terms of effective action, there are more important things than simply holding “correct” opinions, or engaging in “correct” discourses. What is needed so much more than mere discourse is the action which springs naturally from the healthy man of race’s vitality. In, correctly in my estimation, judging “White nationalism in America” as “as overwhelmingly degenerate movement,” Johnson concludes his musings on Spengler by asking the question: “what would a vital white nationalism look like?” We know now what a movement whose primary activity is discourse on race looks like; it is what we have today—a decadent movement which produces a near endless stream of discussion and literature on the topic of race. How would a vital and healthy movement differ from this? Johnson speculates:

A vital white nationalist movement would be a utopian, progressivist, eugenicist mythical-cultural phenomenon. It would not be founded on empirical studies of how race influences culture. It would not propagate itself through academic conferences and policy studies. It would be founded on a grand culture-creating, race-shaping myth, propagated through art and religion, that enthralls and mobilizes a whole people. It would be less concerned about the race we were or the race we are than about the race we can become.[23]

In terms of Spenglerian views on the question of race, we can imagine a healthy movement as one whose primary activity is not discourse, but cultural production. A healthy movement would not necessarily be wholly unconcerned with “correct” discourse on race, but its dominant and overriding concern would be the cultural production stemming from the non-discursive experience of the vital feeling of one’s race. The healthy movement would by defined not by polemic literature on the “dangers” of race-mixing, but by grand works of art expressing the inner experience of the race. It would be a movement whose “celebrities” were not the authors of books on race, but men whose entire being was devoted to the furtherance of their race’s artistic expression.

In this way, Richard Wagner, stands forth as the near-ideal example of Spengler’s man of race. Wagner was not unconcerned with the question of race, or with discourse on race, but when we look at the scope of his life and work, his activities were overwhelmingly defined by cultural production rather than discourse. We remember Wagner not primarily for his writings on race. Rather, we remember him because the art he produced was a force of nature, which expressed to purely the soul of his race that it drew together thousands upon thousands of the German people—giving rise to sweeping cultural movements. Taking Wagner as our paradigm, then, we should perhaps revise our questions. Rather than asking what would a vital movement look like, perhaps we should ask how can I become a Spenglerian man of race? It is my contention that if we are to succeed—to win, as Johnson puts it—it will not be through the endless discourse we have engaged in thus far; nor will it be through grand plans to re-shape the movement from the top-down.

Our success will come through individual change and progress. It is not necessary that we cease engaging in racialist discourse, or that such discourses are wrong, but this is not the means of our victory. Rather than through imitation of racialist authors like Francis Parker Yockey, our success will come through the imitation of cultural producers like Wagner. Naturally, such a movement would be characterized by physical vitalism and fecundity as well, but it would not be limited to such. It would be equally—if not moreso—characterized by cultural fecundity and strength. In this way, a reevaluation of our very idea of “race” in Spenglerian terms proves to be of the utmost importance in providing a pathway to success.

Bibliography

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Borthwick, Stephen M. “Historian of the Future: An Introduction to Oswald Spengler’s Life and Words for the Curious Passer-by and the Interested Student.” Institute for Oswald Spengler Studies. https://sites.google.com/site/spenglerinstitute/Biography [4] [accessed 25 May 2015].

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Noll, Richard. The Jung Cult: Origins of a Charismatic Movement. Princeton: Princeton University Press, 1994.

Spengler, Oswald. The Decline of the West. 2 vols. Revised edition. Translated by Charles Francis Atkinson. London: George Allen & Unwin, 1961.

———. The Hour of Decision: Germany and World-Historical Evolution. Translated by Charles Francis Atkinson. Honolulu: University Press of the Pacific, 2002.

Notes

[1] [11] “Essays & Excerpts,” Society for Nordish Physical Anthropology.

[2] [12] “Introduction,” Society for Nordish Physical Anthropology.

[3] [13] “The Apricity: A European Community.”

[4] [14] Farrenkopf, “Spengler’s Historical Pessimism and the Tragedy of Our Age,” 395; Borthwick, “Historian of the Future”; Johnson, “Is Racial Purism Decadent?”.

[5] [15] Dreher, “Spengler and the Third Reich”; Bolton, “Oswald Spengler.”

[6] [16] Spengler, The Decline of the West, 2:113.

[7] [17] Ibid.

[8] [18] Noll, The Jung Cult, 95–103.

[9] [19] Spengler, The Decline of the West, 2:119.

[10] [20] Brown, “Metaphysical Presuppositions in Spengler’s Der Untergang des Abendlandes,” 223.

[11] [21] Spengler, The Decline of the West, 2:114.

[12] [22] Spengler, The Decline of the West, 2:153.

[13] [23] Ibid.

[14] [24] Spengler, The Decline of the West, 2:165.

[15] [25] Spengler, The Decline of the West,

[16] [26] Ibid.

[17] [27] Farrenkopf, “Spengler’s Historical Pessimism and the Tragedy of Our Age,” 396; Farrenkopf, “Spengler’s Theory of Civilization,” 24–25.

[18] [28] Spengler, The Decline of the West, 2:118–19.

[19] [29] Spengler, The Hour of Decision, 219.

[20] [30] Johnson, “Is Racial Purism Decadent?”

[21] [31] Johnson, “Is Racial Purism Decadent?”

[22] [32] Johnson, “Is Racial Purism Decadent?”

[23] [33] Johnson, “Is Racial Purism Decadent?”

 

 

 

 

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La République ? C’est ce qu’il reste quand on a plus d’idées

La République ? C’est ce qu’il reste quand on a plus d’idées

 
Vivien Hoch
Doctorant en philosophe, consultant en communication
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

République-Française.jpgEn France, il faut toujours rester très attentif aux manipulations entreprises sous le sceaux des «valeurs de la République». Or, ces dernières semaines, nous avons assisté à une propagande  immense et grotesque autour de la République, de ses valeurs et de la question ontologique de qui « est ou n’est pas » républicain.  Grotesque ? Évidemment ! Le « Je suis Républicain » a remplacé le « Je suis Charlie », en couvrant le même vide d’un manteau grossier.

La res publica est l’administration des affaires communes, le souci de ce que l’on a en partage, le fait que le collectif a en charge le commun. Le commun détermine ce qui ressortit à la communauté et, de manière implicite, ce qui en est exclu et n’a pas vocation à en faire partie. Comme le montre l’excellent travail de Jean de Viguerie sur L’histoire du citoyen (Via Romana), c’est là tout le drame de l’exclusion républicaine : qui n’est pas républicain ne fait pas partie de la communauté, ne peut gérer les affaires communes, n’est pas rentré dans la matrice, n’a pas été re-formé, régénéré, dirait Vincent Peillon, et ne peut donc pas devenir citoyen.

C’est pourquoi on assiste en France à une course grotesque à qui va être « le plus républicain », sport dans lequel la gauche excelle, mais que pratique dorénavant, et allègrement, les formations politiques de droite.

Ainsi l’UMP qui s'est renommé Les Républicains – en bafouant, au passage, l’histoire de la droite française, qui se définit justement « de droite » par sa position à l’assemblée lors du débat sur le droit de veto du roi. Ou encore le député RBM Gibert Collard a déposé le nom« Front National Républicain », et le tient à disposition de Marine le Pen.

Ce qu’il faut saisir, c’est qu’au fond, la devise « Nous sommes tous républicains » repose surle même mécanisme de manipulation psychologique que la devise « Je suis Charlie ». Il faut « traquer ceux qui ne sont pas Républicains », comme « il faut traquer ceux qui ne sont pas Charlie » (Nathalie Saint-Cricq).

Restituons le mécanisme républicain  de l’ « après Charlie » :

– Le 18 janvier 2015, Claude Bartolone réactive la religion de la République : « Intraitable sur les valeurs de la république. Intraitable. Le jour où l’on affaiblit ce socle, nous sommes renvoyés les uns et les autres à notre communauté ou à notre religion et c’est le vivre ensemble qui est menacé. (…) Regardez le temps qu’il a fallu pour faire accepter à la religion catholique le fait qu’il y a une religion suprême pour chacun d’entre nous : c’est la religion de la république. ». On est pas loin de ce qu’écrit Vincent Peillon, quand il affirme que « la République se construit dans la mort de Dieu » ; ou encore de Nicolas Weill, journaliste dans un grand quotidien, qui écrivait en 2004 : « L’édification de la République se confond avec une lutte à mort contre des adversaires implacables, comme furent en France la contre-révolution catholique ou le nationalisme ethnique » (Le Monde, 12 mars 2004).

– le 22 janvier 2015, sort un document intitulé « grande mobilisation pour les valeurs de la République ». On y découvre notamment que les « rites républicains doivent être revalorisés », que « le rétablissement de l’autorité des maîtres passe par la compréhension et la célébration des rites républicains. », que les « candidats au concours de professeur des écoles seront évalués sur leur capacité à faire partager les valeurs de la République » et que les « comportements mettant en cause les valeurs de la République seront traités ». Dans le document, je n’ai vu nulle part un embryon de définition des « valeurs de la République ». Il a du être avorté : tout embryon, même d’idée, n’a pas d’existence réelle pour eux.

– En mars 2015, le projet de loi sur le renseignement, qui permet de mettre sur écoute les personnes qui mettraient en doute « la forme républicaine des institutions ».

– En avril, on a le droit au plan antiracisme : « la République mobilisée contre le racisme et l’antisémitisme », qui débloque 100 millions d’euros parce que « Le racisme, l’antisémitisme, la haine des musulmans, des étrangers, et l’homophobie augmentent de manière insupportable dans notre pays », nous dit Manuel Valls.

– Le 15 avril, Claude Bartolone rend au Président de République le document « libérer l’engagement des français et refonder le lien civique :  la république par tous et pour tous », produit avec la fondation Jean-Jaures et la fondation pour l’innovation politique (Fondapol). On y lit notamment que « nous devons prendre toutes les mesures qui permettront que chacun ait le sentiment que la République est présente partout », et qu’il faut mettre en place « des temps républicains, de rites et de rituels ». La « sacralisation laïque » des cérémonies au Panthéon en sont un exemple probant !

Il ne s’agit pas là d’en appeler à la royauté, ou de critiquer grassement la République, en faire le bouc-émissaire des maux de ce monde – ce serait rentrer dans leur dialectique perverse. Il s’agit de simplement de critiquer ce qu’ils en font. Et il s’agit également de rappeler :

– Que le souci de la chose commune n’est pas forcément opposée à la monarchie – Jean Bodin (Les VI livres de la République, 1576) a démontré que la République est l’affaire de tous sous un Roi.

– Que l’idéologie égalitariste n’est pas forcément une valeur fondamentale de la République – l’aristocrate romain Cicéron promeut une République de l’excellence.

– Et que la République ne se réduit même pas à la souveraineté nationale, comme on l’a entendu plusieurs amis ces derniers jours, parce que l’idée d’une république des lettres ou d’une république chrétienne (Respublica christiana), alliance des pays de chrétienté en Europe, est elle aussi une idée « républicaine ».

On ne lie pas un peuple sur du vide. Le fait que la République française a prié devant deux cercueils vides, il y a quelques jours, au Panthéon, n’est pas anodin. Le tour de vis totalitaire auquel on assiste en ce moment, sous l’égide des valeurs de la république, est du même acabit : on nous impose des valeurs mortes, dans un cercueil vide. Ne nous laissons pas enterrer !

Dix théories conspirationnistes confirmées par les faits

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Tous paranos ? Non, voici dix théories conspirationnistes confirmées par les faits

Auteur : Jake Anderson
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Un texte de plus sur le complotisme, pourrait-on dire. Il n’est publié ici que pour ceux qui auraient besoin d’arguments dans leurs différents échanges. Mais le complotisme n’a pas besoin d’arguments ni de justifications. En fait ceux qui ont créé cette notion ont aussi créé l’obligation de se justifier pour tous ceux qui doutent. Il faudrait refuser de se laisser enfermer dans ce piège à c… Le doute, quel qu’il soit est salutaire et même nécessaire, et surtout n’a aune cause. Il n’a donc besoin d’aucune preuve, contrairement aux affirmations. Au-delà du doute, le refus d’une explication est tout aussi légitime. C’est d’ailleurs ce qui fait progresser la science et la pensée humaine. Tous les grands hommes que nous vénérons aujourd’hui étaient des complotistes. Jésus l’était, tout comme Galilée et tant d’autres. Il a fallu qu’ils s’affranchissent des explications qu’on leur donnait pour voir le monde différemment.

Le troisième conflit mondial sera une guerre de guérilla qui se jouera sur le terrain de l’information, sans aucune distinction entre des militaires et des civils – Marshall McLuhan.

Depuis quelques années, une simple allusion à la théorie du complot est de plus en plus ridiculisée, même par les officines des grands médias parmi les plus libérales. Mais ne les laissez pas vous tromper : il ne s’agit pas toujours de gentilles fadaises, sans preuves ni fondements.

En fait, parfois, il arrive qu’elle soit carrément vraie.

En voici dix fois la preuve…

1. L’incident du golfe du Tonkin, qui provoqua l’entrée en guerre des USA contre le Viet-Nam, n’a jamais eu lieu

Selon la théorie complotiste : l’incident du golfe du Tonkin, un tournant dans l’implication des USA au Vietnam, ne s’est en réalité jamais produit.

De fait, l’incident en question – auquel on se réfère aussi en parlant de l’incident du vaisseau USS Maddox, impliqua ce croiseur lors d’un supposé engagement naval avec trois bateaux torpedo nord-vietnamiens, patrouillant dans les eaux nationales. Le Maddox tira plus de 300 obus. Le président Lyndon B. Johnson rédigea la résolution du golfe du Tonkin, qui devint la justification légale de l’entrée en guerre des USA au Vietnam.

Le problème est que ça ne s’est pas passé ainsi. En 2005, une étude interne de l’Agence nationale de sécurité fut déclassifiée et révéla qu’il n’y avait aucun vaisseau nord-vietnamien présent lors des incidents du Tonkin. D’où la question : sur quoi tira le Maddox ?

En 1965, le président Johnson devait commenter : «Pour ce que j’en sais, notre marine avait tiré sur des baleines.» Il convient de souligner également ceci : l’historien officiel de l’ANS, Robert J. Hanyok, rapporta par écrit que l’agence avait délibérément modifié les rapports des services de renseignements, en 1964.

Il conclut même : «Le parallèle à faire entre les fautes commises par les services de renseignements au golfe du Tonkin et les manipulations de ceux-ci concernant la guerre en Irak, rend plus que jamais nécessaire le ré-examen des événements d’août 1964.»

2. L’expérience sur la syphilis à Tuskegee – le non-traitement délibéré de patients infectés par la syphilis

Selon la théorie complotiste : entre 1932 et 1972, le service de santé publique US a conduit une étude clinique sur des hommes américains de race noire vivant en zone rurale, et ayant contracté la syphilis.

Le service de santé publique n’a jamais informé ces hommes qu’ils avaient une maladie sexuellement transmissible, ni ne leur a offert de traitement, même après que la pénicilline fut disponible comme médicament dans les années 1940. Aussi triste que cela puisse être, c’est la pure vérité.

Plutôt que de recevoir un traitement, les sujets de cette étude ont été informés qu’ils étaient porteurs d’un mauvais sang. Quand la Seconde Guerre mondiale a éclaté, 250 de ces hommes ont été appelés sous les drapeaux, et y ont appris – pour la toute première fois – qu’ils étaient atteints de la syphilis. Et même en connaissance de cause, il leur fut refusé un traitement par le service de santé publique.

Jusqu’au début des années 1970, 128 des 399 hommes étaient morts de la syphilis ou de ses complications, 40 épouses furent infectées et 19 de leurs enfants furent atteint de syphilis congénitale. Il convient de souligner également ceci : une expérience similaire conduite sur des prisonniers, des soldats et des patients d’un hôpital psychiatrique au Guatemala, consistait pour le service de santé publique à infecter délibérément ces populations, pour ensuite les traiter avec des antibiotiques.

3. Le projet MKUltra : le programme de la CIA de contrôle mental

Selon la théorie complotiste : la CIA a conduit des expériences secrètes portant sur des techniques de contrôle de l’esprit sur des citoyens US entre 1950 et 1973. C’est tellement vrai qu’en 1995, le président Clinton a présenté des excuses publiques et officielles de la part du gouvernement US.

En substance, la CIA utilisait les drogues, l’électronique, l’hypnose, les privations sensorielles, l’abus sexuel et verbal ou encore la torture, dans le cadre d’expériences empiriques d’adoption de comportements programmés, et ce sur des individus. Ce projet inclut les travaux de centaines de projets sous-traités à plus de 80 institutions, dont des universités, des hôpitaux, des prisons, et des entreprises pharmaceutiques.

Le gros de l’histoire fut révélé en 1977, lorsque qu’un décret exigea de rendre publics 20 000 documents jusqu’alors classifiés, ce qui entraîna une série d’auditions sénatoriales. Vu que le directeur de la CIA de l’époque, Richard Helms, avait déjà détruit la plupart des dossiers pourtant accablants du projet MKUltra, ce qui s’est passé à cette période reste à ce jour essentiellement méconnu. Et bien sûr, personne ne fut accusé de quoi que ce soit.

Il convient de souligner également le pire : de plus en plus de preuves s’accumulent, qui attestent que Theodore Kaczynski, mieux connu sous le surnom de la bombe humaine, a été un sujet du projet MK Ultra, alors qu’il était étudiant à Harvard, à la fin des années 1950.

4. L’opération Northwoods : l’armée US avait planifié une opération sous faux drapeau pour impliquer Cuba

Selon la théorie complotiste : l’état-major US conçut et approuva un plan impliquant des actes de terrorisme sur le sol US afin de faire basculer l’opinion publique états-unienne en faveur d’une guerre contre Cuba. Noir sur blanc : il suffit de savoir lire…

Heureusement, le président Kennedy rejeta ce projet, qui incluait : assassiner de citoyens en pleine rue d’une balle dans la tête ; couler en pleine mer des bateaux remplis de réfugiés fuyant Cuba ; provoquer une vague de terrorisme paniquant tout Washington D.C., Miami et ailleurs ; accuser sciemment des individus innocents pour des attentats à la bombe en forgeant de fausses accusations ; et détourner des avions.

En outre, les hauts gradés de l’état-major, dirigé par Lyman Lemnitzer, prévoyaient de monter un dossier accusant Fidel Castro et les réfugiés cubains d’être derrière ces attaques. Peut-être le plus infâme de tout, Lemnitzer voulait aussi orchestrer sous faux drapeau, l’attaque d’un avion de chasse cubain contre un avion de ligne rempli de jeunes élèves.

5. Trafic de stupéfiants par la CIA à Los Angeles

Selon la théorie complotiste : durant les années 1980, la CIA a facilité la vente de cocaïne aux gangs sanguinaires des rues de L.A., Crips et autres, et achemina les millions du commerce de la drogue au profit de guérilleros d’Amérique latine, les Contras.

C’est un écheveau complexe, mais c’est bel et bien la vérité. Le livre de Gary Webb, Dark Alliance : la CIA, les Contras et l’explosion du commerce du crack met en lumière comment les Contras, soutenus par la CIA, ont pu faire de la contrebande de cocaïne aux USA, distribuer le crack aux gangs de Los Angeles, et empocher les profits. La CIA a directement aidé les dealers de drogue pour financer les Contras.

Le réseau de la drogue, comme l’appela Webb dans un article du San Jose Mercury en 1996, «a inauguré le premier canal entre les cartels de la cocaïne en Colombie et les banlieues noires de Los Angeles, une ville rebaptisée depuis la capitale mondiale du crack. La cocaïne, qui coula à flots, fut l’étincelle qui fit exploser la consommation de crack dans les villes US… et fournit les capitaux et les contacts nécessaires aux gangs pour acquérir des armes automatiques.»


Pire, il convient de souligner également que le 10 décembre 2014, Webb se suicida d’une façon très originale : au moyen de deux balles dans la tête.

6. L’opération Mockingbird : les grands débuts du contrôle des médias

Selon la théorie complotiste : à la fin des années 1940, alors que la guerre froide prenait son essor, la CIA lança un projet top secret appelé Opération Mockingbird. Son objectif était d’influencer voire de contrôler les principales officines médiatiques.

Ils planifièrent aussi d’embaucher directement des journalistes ou reporters comme salariés de la CIA, ce qui – à ce qu’il paraît – serait encore d’actualité à ce jour. Les architectes de ce plan se nommaient Frank Wisner, Allen Dulles, Richard Helms, et Philip Graham (ce dernier éditeur au Washington Post ), et envisageaient de recruter les organisations américaines d’information et que les journalistes deviennent ni plus ni moins des espions et des propagandistes.

La liste de leurs agents complices incluait des journalistes de tous horizons : ABC, NBC, CBS, Time, Newsweek, Associated Press, United Press International (UPI), Reuters, Hearst Newspapers, Scripps-Howard, Copley News Service… Vers les années 1950, la CIA avait infiltré le monde des affaires, des médias, des universités avec des dizaines de milliers d’agents occasionnels. Heureusement que cette époque où nos médias roulaient pour les grosses entreprises ou le gouvernement, par l’intox ou le service après-vente, est bien révolue!

7. COINTELPRO : les programmes de contre-espionnage des années 1960 contre les activistes.

Selon la théorie complotiste : COINTELPRO consistait en une série de projets illégaux et clandestins du FBI, permettant l’infiltration d’organisations politiques états-uniennes afin de les discréditer et de les diffamer.

Ils visaient les opposants à la guerre du Vietnam, les dirigeants du mouvement pour les droits civiques comme le Pasteur Martin Luther King et une pléthore d’activistes et autres journalistes. Les actes commis à leur encontre incluaient la guerre psychologique, les calomnies publiques par l’usage de preuves forgées et de documents falsifiés, le harcèlement, l’incarcération abusive, et selon certains, l’intimidation, voire même la violence physique et l’assassinat.

Des méthodes similaires ou plus sophistiquées sont encore d’usage, à ce jour, en parallèle au contrôle de la NSA (voir le point 10 de cet article).

8. L’opération Snow White : l’Église de Scientologie infiltre le gouvernement, et subtilise des informations

Selon la théorie complotiste : L’opération Snow White [Blanche-Neige, NdT] est le nom donné à l’infiltration sans précédent par l’Église de Scientologie du gouvernement US, durant les années 1970. Ils volèrent des dossiers gouvernementaux classifiés concernant la scientologie, issus d’une douzaine d’agences gouvernementales.

En 1977, le FBI révéla finalement l’affaire Snow White, ce qui conduisit à l’arrestation et à l’emprisonnement d’un haut personnage de l’Église. L’objectif-clef du programme d’infiltration était de prendre connaissance et légalement supprimer «tous les faux dossiers gardés secrets portant sur les pays-cibles de l’Église». Il visait aussi à permettre à ses dirigeants, dont L. Ron Hubbard lui-même, de «visiter les pays occidentaux sans encourir de menaces». Après analyse, il était évident qu’il n’y avait rien de légal dans leur entreprise.

9. Les grandes multinationales et les gouvernements définissent la politique économique en secret (TPP, TISA, etc.)

Selon la théorie complotiste : des activistes qui dénonçaient depuis des années la création d’un gouvernement mondial des multinationales étaient tout bonnement qualifiés de paranos. Peut-être l’étaient-ils, mais que vous appeliez cela le Nouvel Ordre Mondial ou non, cela au moins qu’ils avaient raison.

Le 13 novembre, WikiLeaks diffusa le brouillon tenu secret du texte des négociations du TPP (le partenariat trans-pacifique) concernant la propriété des droits intellectuels. Il révéla l’existence d’un accord de libre-échange régional et exclusif négocié par les pays de l’Asie du pacifique, dont l’Australie, le sultanat de Brunei Darussalam, le Canada, le Chili, le Japon, la Malaisie, le Mexique, la Nouvelle-Zélande, le Pérou, Singapour, les USA et le Vietnam.

L’ “Electronic Frontier Foundation” affirme que le TPP implique «des conséquences largement négatives pour la liberté d’opinion, le droit à la vie privée et les règles de procédures de recours, et rendra plus difficile pour les gens, la capacité d’innover». Il convient de souligner qu’en juin 2014, WikiLeaks révéla l’existence d’un accord commercial plus étendu encore, traitant des services publics (TiSA), où 50 pays s’accordèrent pour privatiser à une échelle sans précédent, à travers le monde, leurs secteurs publics.

L’accord doit essentiellement empêcher les gouvernements de ramener les services publics sous l’autorité des parlements et de la nation. Cela mettra en péril la capacité des États à œuvrer à la protection de l’environnement ou encore à préserver la sécurité sociale.

10. Le gouvernement US espionne illégalement ses propres citoyens

Selon la théorie complotiste : On avait l’habitude de plaisanter à propos de ce délire dystopique tiré d’imaginations trop exaltées (probablement tiré de 1984, de Georges Orwell), et propre à une certaine jeunesse suspicieuse envers tout gouvernement. Quand on entendait ils nous espionnent, où que l’on aille, on souriait poliment, mais on pensait plutôt: encore un cinglé parano et adepte du grand complot, et de l’existence des petits hommes verts.

Même quand on révéla que la NSA nous avait illégalement espionnés et collectait nos données personnelles à partir de nos téléphones portables depuis plus d’une décennie, les gens essayaient de le justifier, d’une façon ou d’une autre. «Oui, ils analysent nos transmissions, mais c’est dans le cadre de la sécurité nationale», ou encore «Dans le monde de l’après 11 septembre, certaines libertés doivent être mises entre parenthèses pour notre sécurité à tous, n’est-ce pas?» En fait, ces justifications sont complètement fausses, il ne s’agit que de masturbation [branlette, NdT] intellectuelle.

Non seulement, il n’y a pas de preuves indiquant que la NSA nous a protégés du terrorisme, mais en plus on dirait que tout ça nous rend en fait plus vulnérables. Grâce aux révélations sur la NSA et leur fameux projet Prism, nous savons que l’échelle de l’espionnage que nous subissons est encore plus étendue que ce que beaucoup de théoriciens de la conspiration avaient imaginé à la base.

Début juin 2014, le Washington Post rapportait que près de 90% des données collectées par les programmes de surveillance de la NSA portaient sur les utilisateurs d’internet, sans lien aucun avec des activités terroristes. Selon l’Union des libertés civiles américaines, c’est là une violation claire de la Constitution.

L’ULCA poursuit la NSA devant les tribunaux, affirmant que cette sorte de pêche au gros filet de collecte de données est une violation du quatrième amendement relatif à la vie privée, ainsi que du premier portant sur la liberté d’expression et d’association.

 - Source : Jake Anderson

Le latin? Même le peuple y tient!

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Le latin? Même le peuple y tient!
 
Avec Antigone, nous savons qu'il y a des lois non écrites et des résistances plus fortes que tous les décrets des Créon de la terre.
 
Professeur de lettres
Ex: http://www.bvoltaire.fr

Tout a été dit sur les aberrations de la réforme du collège de Mme Vallaud-Belkacem : suppression des classes bilangues, des classes européennes, des options latin et grec, qui permettent d’avancer efficacement avec des groupes homogènes ; généralisation du collège unique, avec un menu pédagogique unique pour tous, alors que nos mauvais classements viennent précisément de la faillite de notre collège indifférencié ; délégation de 20 % des horaires au bon vouloir des chefs d’établissement et des conseils d’administration, ce qui assurera le triomphe des pressions locales de tous ordres ; fuite en avant dans le « pratique » et « l’interdisciplinaire », qui sont peut-être efficaces pour certains élèves, mais pas pour tous (11-15 ans, n’est-ce pas aussi l’âge des idées et des abstractions ?). Comme il est étrange, ce refus de la diversité des intelligences et des aptitudes chez les adeptes de la « diversité ». Mais il doit y avoir une bonne et une mauvaise « diversité ».

Que dire de la défense pitoyable du ministre et du dernier carré socialiste ? Invective et mépris pour les enseignants et les intellectuels contestataires, accusation de racisme contre ceux qui osent s’opposer au ministre, mise au ban de ceux qui commettent le sacrilège de ne pas adhérer à sa réforme et à son idéologie, parution du décret le lendemain d’une journée de grève soutenue par plus de 60 % des Français. Mais il doit y avoir une bonne et une mauvaise liberté d’expression.

Pourtant, un aspect inattendu de la contestation a touché le petit professeur de latin et de grec : c’est l’onde de choc profonde provoquée par cette réforme dans les consciences, et dans les consciences les plus diverses. C’est le coup de fil de ma tante : « Pascal, j’ai honte. J’ai toujours voté socialiste. Mais c’est fini. » Ce sont ces voisins, affligés : « Vous ne croyez pas qu’il y aurait d’autres économies à faire que celles-là ? » Ce sont ces parents d’élèves, ouvriers : « Nous n’en avons pas fait, mais nous voulons qu’il fasse du latin et du grec avec vous, comme ses frères! », etc.

Le pouvoir socialiste, décidément bien aveugle, ne se doutait pas une seconde que l’on se mobiliserait contre cette réforme qui faisait la part belle à des revendications de la droite la plus libérale (autonomie des établissements, diminution massive des horaires et des postes), et la plus inculte (suppression des options latin et grec), et de la gauche la plus extrémiste (les pédagos forcenés et les égalitaristes). Et puis, se disait-il, en pleine période de crise économique et identitaire après les attentats, personne ne se soucierait du collège.

Erreur : un peuple plongé en plein doute ne peut accepter sans ciller qu’on lui coupe une partie de ses racines culturelles, et les rares dispositifs éducatifs efficaces. Le décret a été publié. Tous ces abus de pouvoir sont le symptôme d’un pouvoir aux abois. Et, avec Antigone, nous savons qu’il y a des lois non écrites et des résistances plus fortes que tous les décrets des Créon de la terre.

Réforme scolaire et fondamentalisme occidental

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Réforme scolaire et fondamentalisme occidental

par Claude BOURRINET

Un aspect du désastre programmé par la logique dissolvante d’un libéralisme, qui prit son essor à la fin du XVIe siècle, concerne ce que l’on est. Dans l’École, ses conséquences ont soulevé, en regard de ce qu’on nous enlève, notre Histoire, notre longue Mémoire, nos attributs civilisationnels, et face à ce que l’on voudrait nous imposer, à savoir la culture musulmane, l’arabe, les souvenirs obsessionnels de « génocides », un profond remugle de ressentiments.

 

Il est certes dommageable de supprimer l’étude du christianisme médiéval, et de larges portions de notre Histoire. De même est-il stupide de réduire l’enseignement d’une langue européenne comme l’allemand, l’idiome le plus usité en Europe, et de mépriser celui du latin et du grec, qui incarnent, en partie, la matrice de notre civilisation. Toutefois, il y a de moins en moins de latinistes et d’hellénistes parmi les élèves et les professeurs, le sens de l’effort, la curiosité historique, artistique, culturelle, ont quasiment disparu des salles de classe, et l’allemand paraît rébarbatif pour des élèves qui ont l’habitude de se laisser porter automatiquement par le cursus, comme des cadavres au fil de l’eau. Ce sont là les symptômes d’une maladie profonde de notre société occidentale. Une aspiration à l’anéantissement ?

 

Pourtant, au lieu d’insister sur ce point, qui relève du système libéral, on invoque à tout va le « Grand Remplacement ». Le danger est-il celui-là ?

 

Entendons-nous : le « Grand Remplacement » a déjà eu lieu, dans les cervelles, les reins, les cœurs. Nous sommes des sous-Américains, nous singeons les Anglo-Saxons depuis des lustres. En répétant jusqu’à satiété, comme une incantation, la revendication grandiloquente de notre « identité » européenne, nous ne faisons que sur-valoriser des signes qui appartiennent à l’économie sémiologique d’un système érigeant la « marque » comme ultima ratio de la personnalité. C’est le propre des fondamentalismes. On a l’impression, parfois, que l’occidentalisme doit être tout le contraire de l’Islam (tel qu’on l’ignorant l’entend) : les seins à l’air contre la burqa, l’égocentrisme contre l’holisme. Pourtant, la civilisation européenne était aussi contraignante, dans sa tradition, que toute société digne de ce nom. La « liberté », telle qu’on l’appréhende dans certains milieux, n’est qu’une lubie moderniste.

 

L’apprentissage de l’arabe n’est pas, en soi, une aberration. Le tout anglais est plus nocif. Savoir ce qu’a été l’Islam est utile. Bien maîtriser la langue française est vital pour contrer l’influence délétère du monde marchand. L’élitisme est une bonne chose, à condition qu’il ne soit pas phagocyté par le culte du fric. La hiérarchie en est une excellente, car il faut élever les meilleurs, pour qu’ils nous défendent. Clarté, rigueur, honnêteté, caractère, voilà ce qu’il faut à notre nation. Commençons humblement par des mesures modestes, mais in fine ambitieuses, et le reste viendra.

 

Claude Bourrinet

 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

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00:05 Publié dans Actualité, Ecole/Education | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : école, éducation, enseignement | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Die deutsche Bildungskatastrophe

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Die deutsche Bildungskatastrophe

von Niels Krautz

Ex: http://www.blauenarzisse.de

Mehr Sexualkundeunterricht ist wichtiger als Geschichte, Selbstdenken wird durch politische Indoktrination ersetzt. Zweifelsohne: Um Deutschlands Bildungssystem steht es schlecht. Dabei gäbe es durchaus positive Vorbilder.

Bildung gilt als höchstes Gut einer zivilisierten Gesellschaft. Mit ihr sind Imperien aufgestiegen und gefallen. Die Politik hat die ehrenvolle Aufgabe, ein hohes Bildungsniveau aufrechtzuerhalten und zu fördern – steht sie doch für die erfolgreiche Zukunft einer Nation.

So zumindest das philosophische Optimum: Doch heute demonstriert die Wirklichkeit in Deutschland ein krudes System ohne Bildung, ohne Freiheit und ohne Wert.

Vom philosophischen Denken zur politischen Bildung

bitte_nicht_stoeren.gifWas damals im antiken Griechenland so gut begann, ist heute nur noch eine Persiflage des ursprünglichen Bildungsideals. Die alten Meister von damals – wie Platon, Aristoteles und Sokrates – würden sich heute im Grabe umdrehen, wenn sie sehen könnten, was aus der Freiheit des selbstständigen Denkens geworden ist.

Von ihnen wurde geistige Selbstständigkeit gefördert und das Wissen an sich als intrinsisch, also in sich selbst erstrebenswert, angesehen. Heute ist das jedoch nur noch selten der Fall. Der Philosoph, nach Platon ein Mensch, der die Wahrheit, das Schöne und das Gute liebt, hatte eine Vormachtstellung in der griechischen Polis. Er galt als ein Mensch, der die Vervollkommnung des Glückes durch Weisheit bzw. Bildung erlangt hat.

Auswendiglernen statt Hinterfragen

In der heutigen Form der Schule wird selten Wert darauf gelegt, dass der Schüler sich philosophisch, also denkend, betätigt. Die Lehrer sind zufrieden, wenn der Jugendliche das eingeflößte Wissen auswendig gelernt hat wie ein Gedicht. Es ist egal, ob der Schüler es versteht oder sich näher damit beschäftigt, was seinen Geist ungemein erweitern würde. Das ist auch nicht gewollt: Denn würde sich der junge Mensch zu tief in seine Studien vertiefen können, dann würde er erkennen, dass das heute gelehrte Wissen auf einem unsicheren Fundament ruht.

Denn vieles was uns unsere heutigen Schulbücher füllt, sind zumeist nur Theorien. Die Aufgabe der schulischen Bildung sollte es aber sein, den Studenten dafür zu sensibilisieren, auch einmal den Geist schweifen zu lassen. Ihm müssen andere Gedankengänge ermöglicht werden. Ohne das kritische Hinterfragen einer Theorie würde es keinen Fortschritt geben. Hätte Galileo nicht das christliche Weltbild hinterfragt, würden wir heute noch glauben, dass die Erde eine Scheibe sei.

Falsche Prämisse in der Bildung

Was wir heute als Bildung verstehen, steht im vollkommenen Gegensatz zu dem, was die Gelehrten der letzten Jahrhunderte ausgemacht hat – nämlich das selbstständige Denken, das Erforschen und Prüfen von Fakten. Schon die alten Meister von damals wussten, dass Wissen nur dann von Nutzen ist, wenn es verstanden wurde und in der Praxis, also im Handeln, eingesetzt werden kann. Was heutzutage in vielen Schulen gelehrt wird, ist so lebensfern, dass die Jugend lebensunfähig gemacht wird. Grundsätzliche Dinge wie Prozentrechnung, ordentliches Lesen und Schreiben werden zu einer Herausforderung. Das Zitieren von Textpassagen wird zur Prämisse.

Das zeigt, dass unser heutiges Bildungssystem eher eine Systembildung ist, also eine politische Indoktrinierung von Meinungen. Es beginnt schon in der Grundschule: Kinder werden dazu erzogen gleichgeschlechtliche Partnerschaften erstrebenswert zu finden und jede sexuelle Abnormität als normal anzuerkennen. Ein Beispiel – von vielen – dafür ist das von Rot-​Grün initiierte Frühsexualisierungsprogramm in Niedersachsen. Dieser rote Faden zieht sich durch die gesamte schulische Laufbahn des jungen Menschen, es folgen hierbei unzählige Projekte gegen politisch Missliebige. Der Geschichtsunterricht entartet zu einer politischen Propagandashow. Ohne Schuldgefühl für die eigene Bildungspolitik treibt die Regierung ihre Bemühungen weiter voran, den letzten Rest Verstandes aus jungen Menschen zu filtern.

Lehrer sind bereits jetzt überfordert

Das Wissen um sexuelle Vielfalt scheint da wichtiger geworden zu sein als geografische und geschichtliche Kenntnisse, die das Allgemeinwissen eigentlich ausmachen sollten. Es muss den normalen Bürger nicht wundern, warum die Jugendsprache immer mehr verroht. Schon der Gelehrte und preußische Bildungsreformer Wilhelm von Humboldt stellte fest, dass die Sprache das Denken und das Wissen eines Menschen verbalisiert.

Diejenigen, die am ehesten den Verfall der Bildung hier in Deutschland bemerken, sind die Lehrer. Auf ihrem Rücken werden Reformen und Projekte durchgeführt. Ein gutes Beispiel hierfür sind Klassen, die aus Behinderten und normalen Schülern bestehen – also die sogenannte „inklusive Bildung“ oder Inklusion. In Schweden, Finnland und Norwegen funktioniert dieses Projekt wunderbar und erzielt Erfolge. Doch in Deutschland passiert das komplette Gegenteil: Durch einen vorherrschenden Lehrermangel und unzureichende Schulung der aktiven Lehrer. Aufgrund der somit verbundenen Überforderung der Lehrkräfte entsteht ein beträchtlicher Leistungsabfall – sowohl bei behinderten wie auch nicht behinderten Kindern.

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Vorbild Skandinavien

Infolge der durchgeführten PISA-​Tests der vergangenen Jahre wissen wir, dass Länder wie Finnland im Vergleich zu anderen europäischen Staaten in der Bildungspolitik weit vorne liegen. So gab es in Deutschland laut einer Studie der Universität Hamburg im Jahre 2011 7,5 Millionen erwachsene Analphabeten bzw. Menschen mit minimalen Schreib– und Lesefähigkeiten. Das entspricht in etwa einem Siebtel der Erwerbstätigen hierzulande. In Finnland dagegen liegt die Zahl der Analphabeten weit unter einem Prozent. Doch das finnische Erfolgsrezept ist nicht besonders kompliziert, es beruht auf klarem Menschenverstand.

So werden Bildungseinrichtungen exzessiv gefördert, so dass auch Kinder aus unteren sozialen Schichten eine adäquate Bildung genießen können. Die finanziellen Förderungen beinhalten auch kostenlose Schulessen und Verkehrsmittelnutzung zur Schule – das scheint in Deutschland in weiter Ferne zu liegen. Weiterhin bilden finnische Lehrer Netzwerke, die zur Qualitätssicherung des Unterrichtes beitragen sollen. Das pädagogische Studium in den skandinavischen Ländern wird als besonders hochwertig angesehen. Kinder werden in Finnland erst mit sechs oder sieben Jahren eingeschult, damit sie möglichst eine lange Zeit Zuhause oder im Kindergarten verbringen und ihre frühe Kindheit genießen können.

In der Grundschule geht das Prinzip ähnlich weiter. Während in Deutschland die Nachmittage der Kinder mit Hausaufgaben vollgestopft werden, weil die Lehrer sonst ihren vorgegebenen Lehrplan nicht durchkriegen, so gibt es in Finnland keine bis sehr wenige Hausaufgaben. Das Prinzip hierbei ist es dem Kind möglichst viel Freiraum zu garantieren, damit es sich in der Gesellschaft bewegen und seine Sozialkompetenz stärken kann. Aus Deutschland dagegen, dem einstigen Land der Dichter und Denker, ist eine Nation der Halbwissenden und Fehlgeleiteten geworden. Doch eingeengtes Denken kann dem deutschen Lande keine Entwicklung ermöglichen – geschweige denn eine Zukunft.

mercredi, 03 juin 2015

Transnistrie, prochain baril de poudre?

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Transnistrie, prochain baril de poudre?

par Yury Nickulichev

Ex: htpp://zejournal.mobi

Il est assez déplorable comment, ces dernières années, nous sommes devenus de bons élèves de la "géographie militaire", nous souvenant des noms de régions, de provinces, de villes et villages parce que tous ceux-ci sont devenus des zones de combat, des champs de bataille ou des zones d'instabilité. Etait-ce Mark Twain qui dit : "Dieu créa la guerre afin que les étasuniens apprennent la géographie?" Ou bien était-ce le Mal qui nous donnait toutes ces leçons?  


Un nouveau conflit semble doucement bouillir. Maintenant c'est la Transnistrie, une bande de territoire et un Etat, la République moldave du Dniestr.

Ses frontières sont la rivière Dniestr et de l'autre côté, l'Ukraine. En 1990, cette région déclare son indépendance et se sépare de la Moldavie, se trouvant de cette manière fortement étreinte par d'un côté la Moldavie et de l'autre l'Ukraine. Pour maintenir la paix et la sécurité dans cette zone, un commandement uni et trilatéral de forces de la paix, comprenant des soldats russes, moldaves et des unités transnistriennes, fut établi en 1992, avec l'ajout de 10 observateurs ukrainiens en 1998. L'Ukraine fut aussi une partie lors de nombreuses négociations au sujet de la Transnistrie, incluant les dernières de 2006.

Jusque là, tout va bien, mais depuis quelques jours, Kiev a annulé les accords de 1995 qu'elle avait avec la Russie, concernant le transit militaire russe vers Transnistrie à travers l'Ukraine. Avec la Moldavie n'y étant pas obligée, cela signifie que les unités du maintien de la paix russes, sont de facto, emprisonnées. Le temps nous montrera si cette situation en est une sans issue, mais ces développements semblent extrêmement dangereux. Pour comprendre, un peu d'histoire.

Depuis l'époque soviétique, la Transnistrie est le lieu de résidence de trois groupes ethniques majeurs: les Moldaves, les Russes et les Ukrainiens, dont l'élément slave des Russes et des Ukrainiens constituent un large majorité d'à peu près 60 %. Ces gens parlent russe ou ukrainien ou les deux, depuis des temps immémoriaux, donc quand le Parlement Moldavie décida en 1989 que la langue officielle de la République serait le Roumain (le moldave) écrit en alphabet latin et que dans les 5 ans, tous les "non-roumains" devaient avoir appris cette langue, cela créa un large sentiment d'insécurité auprès des russophones et ukrainophones de Transnistrie.

Pendant ce temps, le nationalisme pan-roumain en Moldavie, avec comme idée la réunification avec la Roumanie, semblait être devenu une obsession qui avait atteint les sommets. A ce moment, avec "les suspicions que la Roumanie revenait à son passé fasciste", la Transnistrie déclara son indépendance de la Moldavie. Ce qui suivi fut une série de clashs entre chacun des côtés, culminant avec la plus violente de ce conflit armé, lorsque la base Russe en Moldavie de la 14e Armée fut emporté par la République qui venait de se détacher. Voici comment le général Lebed, alors commandant de la base de la 14e Armée, décrivait la situation en 1992: "650 personnes ont été tuées et 4.000 blessées du côté transnistrien uniquement. Le nombre de réfugiés est de 120.000 à 150.000. Les usines, ci-inclus la raffinerie, l'usine bio-chimique et la brasserie, ont été mise en feu dans le Bendery, ou 50 % des maisons ont été détruites et les infrastructures médicales fortement endommagées, ne sont plus utilisées."

"Je puis confirmer officiellement", continue-t-il, "que sur le territoire de la Transnistrie, il n'y a pas de post-Communistes, pro-Communistes, neo-Communistes ou quoi que ce soit comme sorte de régime. Il y a simplement des gens qui y vivent, qui sont systématiquement brutalement annihilés. De plus, ils sont annihilés d'une manière que les SS d'il y a 50 ans, ressembleraient à des écoliers en comparaison... L'ombre du fascisme plane sur ce territoire. Je pense que notre autrefois grand pays devrait avoir connaissance de cela. Il devrait se souvenir de l'histoire et se souvenir de ce qui se passe quand on fait des concessions au fascisme." (Citation de Harold Elletson: “The General Against the Kremlin.”)

Mais revenons à la situation actuelle. Ce qui rend les derniers développements en Transnistrie dangereux, est le fait que contrôlé par les autorités de Transnistrie et garder par des soldats russes, il y a un énorme stock de munitions soviétiques, à 2 km de la frontière ukrainienne. Avec 22.000, ou même plus, tonnes d'équipements et de munitions militaires, c'est le plus grand stock d'armes en Europe. Un énorme baril de poudre, un volcan en dormance... Que se passera-t-il, s'il explose?

Commentaire : Je tenais à signaler que Saakashvili, ancien président géorgien qui lanca une guerre stupide contre son peuple en 2008, dont la Russie écrasa les forces en quelques jours, vient d'être nommé chef de la région d'Odessa en Ukraine, voisine de la Transnistrie. Il reste rechercher internationalement pour crimes contre l'humanité, il avait emprisonné 60,000 opposants politiques dans son pays et avait de facto, légaliser la torture, il avait perdu les élections et avait fui le pays le lendemain. Il a ce week-end, renoncé à sa nationalité géorgienne et recu la nationalité ukrainienne et le même jour, le poste de gouverneur.

Yury Nickulichev est professeur à l'Académie Russe pour l'Economie et le Service Civil


- Source : Yury Nickulichev

La droite française face au mythe républicain

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La droite française face au mythe républicain

par Jean-Gilles Malliarakis

Ex: http://www.insolent.fr

Dérisoire refrain du discours de François Hollande et de Manuel Valls qui l'utilisent en boucle, comme s'ils éprouvaient le besoin de démontrer leur insignifiance, le mot vient d'être subtilisé par l'adversaire que le pouvoir semble redouter le plus. Concurrence déloyale s'est-on empressé de proclamer dans les ateliers du prêt-à-penser au service de la gauche. On s'est même donné le ridicule de saisir sur ce point la magistrature syndiquée.

Ce 29 mai, fête des changements de nom. Le plus important parti regroupant depuis 2002 ce qu'on appelait autre fois la droite classique a finalisé le processus. Une fois effectué le petit détour judiciaire elle ne se nommera plus l'UMP. Et tout cela lui a permis de se revendiquer d'un héritage, sans doute estimable aux États-Unis, mais, au regard de l'Histoire, assez peu glorieux en France.

La république, en effet, ne devrait être considérée que comme une forme de gouvernement. C'est à ce titre seulement qu'une loi répressive de 1936 interdit de se liguer pour renverser par la force ce contenant formel, dont le contenu reste libre.

Elle ne saurait, par définition, se fonder sur aucune "valeur" métaphysique. La seule définition recevable identifie ce régime à l'absence de roi, c'est-à-dire à la carence de ce noyau central des institutions qu'on appelle, dans les vrais pays libres d'Europe, selon les pays, prérogative royale, permanence de la Couronne.

Les bons esprits empiriques considéreront sans doute qu'au moins une république a fait moins de mal que les autres : la Seconde (1848-1852). Elle s'est révélée la moins néfaste puisque la plus courte et, surtout, la moins agressive à l'encontre de ses voisins européens. En France, après avoir balayé l'imposture orléaniste, elle a permis la confrontation pacifique des idées de Frédéric Bastiat et de Pierre-Joseph Proudhon siégeant au sein de l'assemblée nationale, où le grand théoricien du socialisme fédéraliste français rejoignit celui du libéralisme en juin 1848, au même moment que Victor Hugo.

Le parti en voie de mutation, cette "union pour un mouvement populaire" en phase terminale, avait été initialement fondé en 2002 sous la référence à une "majorité présidentielle". Inventée par Alain Juppé, cette appellation improbable faisait déjà sourire sachant que le chef de l'État, candidat sortant, avait au premier tour rassemblé sur son nom 10,8 % des électeurs inscrits.

Puis la même "union", rassemblant l'ancien RPR avec les restes du centrisme, amenés par Douste-Blazy, et ceux de la droite libérale par Raffarin, avait gardé son sigle n'en ayant transformé que la déclinaison. MP voulait dire désormais "mouvement populaire" sans doute pour conjurer le péril du "populisme".

Elle a donc cette fois changé de nom, et peut-être même ne s'agit-il plus du même concept.

Il est arrivé que ce parti, avant même sa redéfinition, prenne des positions positives.

Tenons-nous ici en à un exemple récent. Quand Mme Pécresse suggère la fin de la tolérance pour la fraude dans les transports en commun en Ile-de-France comment ne pas souscrire à cette très bonne idée, en lever de rideau de sa campagne pour les élections régionales.(1)⇓

Si elle l'emporte sur l'insupportable Bartolone, si cela met un terme à 17 années de présidence Huchon, si elle parvient à mettre en œuvre son programme, ce qui représente beaucoup de conditions par conséquent, alors, oui, l'usager payant du réseau qui, hélas, restera public, pourra s'en féliciter puisque la fraude coûte la bagatelle de 500 millions d'euros par an. Il n'est jamais interdit de rêver, et il est toujours recommandable de conserver l'espoir. Alors, pourquoi pas soutenir cette honorable proposition de loi n° 2058 pour que soit modifié dans ce sens le Code des transports.(2)⇓

Reste que, dans la mémoire plus longue, celle d'une droite qui ne devrait jamais avoir cessé de combattre le jacobinisme, l'usage outrancier du mot républicain reste associé aux "mariages" du même nom qui noyaient les Nantais dans la Loire.

Vous voyez je ne suis pas si sectaire que cela, vis à vis de l'ancienne UMP devenue "les républicains" : je sais gré à Mme Pécresse de se proposer de combattre le fraude dans les transports publics comme je sais gré à Luc Ferry quelques jours plus tôt d'avoir rappelé que "les guerres de Vendée, c’est le premier grand génocide dans l’Histoire de l’Europe, il y eu 500 000 morts ! (…) Plus aucun historien ne le conteste aujourd’hui."(3)⇓

J.G. Malliarakis     

Apostilles

  1. sur La Chaîne parlementaire
  2. cf. texte de la proposition sur le site de l'Assemblée nationale>/a>
  3. sur I>Télé le 18 mai 2015.

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Presseschau - Juni 2015

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Presseschau - Juni 2015

AUßENPOLITISCHES
 
EZB-Chef Draghi: Der Euro ist „irreversibel“
 
Bargeldverbot & Kapitalkontrollen – so will die EU-Mafia den Euro retten!
 
(Wer möchte diesen Preis nicht haben?...)
„Blauer Bär“
Berlin vergibt Preis gegen „antieuropäischen Populismus“
 
Ungarns Ministerpräsident Viktor Orbán
„Europa soll der Kontinent der Europäer bleiben“
 
Deutsch-Russisches Verhältnis
Große Völker, kleine Geister
 
Gedanken beim Anblick der Moskauer Feiern am 9. Mai
Die Gesichter der Vergangenheit sind unsere Herkunft
 
Neuer Posten in der Ukraine
Saakaschwili ist Gebietsgouverneur
 
Geheimdienst-Affäre
Fischer: Kooperation mit den USA „essentiell“
 
Die USA sollen die Mission Bin Laden erfunden haben
Die Version Washingtons lautet so: US-Geheimdienste spürten Osama Bin Laden auf, eine Eliteeinheit erschoss ihn im Feuergefecht, sein Leichnam wurde im Meer bestattet. Alles falsch, schreibt Pulitzer-Preisträger Seymour Hersh.
 
Weltkulturerbe: IS kündigt Zerstörung der Statuen von Palmyra an
 
Totale Erfassung ab 2017
China will seine Bürger perfekt steuern
 
Kim Jong Un wählt die Todesart
Flakfeuer für Minister, Schläge fürs Volk? Nordkoreas absurde Exekutions-Hierarchie
 
Nordkorea
Land des Schreckens
 
Hymnenstreit in Japan: Millionenentschädigung für Lehrer
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Warum sagen sie nicht, was ist?
Nie haben sich deutsche Politiker so sehr vor der Wahrheit gedrückt. Das ist angesichts der Krisen verständlich, aber gefährlich.
 
Wahl im kleinsten Bundesland
Das laternenrote Bremen
Bremen wählt eine neue Bürgerschaft. Bundesweit kann das Ansehen des „deutschen Griechenlands“ kaum mehr sinken. Doch ändern will daran anscheinend niemand etwas.
 
Bernd Lucke ist als Parteiführer gescheitert
Nur sein Rückzug kann die AfD retten
 
AfD-Richtungsstreit
Lucke fordert Höcke zum Parteiaustritt auf
 
Gerüchte über Parteineugründung
Plant er eine neue Partei? AfD-Chef Lucke verlässt offenbar die Euro-Kritiker
 
AfD ohne Bernd Lucke? Oder nur ein "größerer Auftritt"?
 
Wirbel um Landeschef Höcke
Jüdischer Verband greift AfD-Spitze an
 
AfD: Amtsenthebungsverfahren gegen Höcke eingeleitet
 
AfD – Erfurter Resolution
 
JA zu Björn Höcke
 
Enteignet Lucke!
Der „Weckruf 2015“ ist eine politische Bankrotterklärung
 
Rechtspopulismus
Bernd Lucke hat fertig, die AfD aber noch lange nicht
 
(Video)
JF-TV-Interview
Petry: „Schließe Zusammenarbeit mit Lucke aus“
 
Bürger Für Frankfurt (BFF) im Römer statt Freie Wähler
Rückkehr zum Gründungsnamen wird vollzogen
 
Pädophiliebericht des Berliner Landesverbandes
Bis zu 1000 Missbrauchsopfer bei den Grünen in den 80er und 90er Jahren
 
Griechenland
Reparationen: Grüne unterstützen Gauck-Vorstoß
 
Es ist erbärmlich, Herr Bundespräsident!
 
Gedenkfeier in Dachau
Zentralrat: Deutschland hat moralische Pflicht zur Aufnahme von Flüchtlingen
 
Dokumentation
Zweiter Weltkrieg: So grausam wüteten die Amerikaner
 
8. Mai – Ein Zwischenruf zum Untergang
von Stefan Scheil
 
(Kritisches zu den Befreiungsfeiern…)
Was tun? (1): In den kommenden Tagen …
 
Gedenken an Kriegsende
Joachim Gauck dankt Sowjetsoldaten für Befreiung
 
(Antifaschistischer Zivilisationsbruch)
Kommentar zur Befreiungsideologie
Antifaschistischer Zivilisationsbruch
von Thorsten Hinz
 
Zweiter Weltkrieg
Deutsche Opfer sind vergessen
von Paul Rosen
 
(Eine Top-Geschäftsidee…)
NS-Gedenken
In Frankfurt glänzen jetzt 1000 Stolpersteine
 
Pfarrerin empört
Streit um Soldatengräber in Offenhausen
 
Impressionen von der Gedenkstätte in Guthmannshausen
 
Entschädigung für gefangene Rotarmisten kommt
 
Die Besetzung Norwegens 1940 – Ein Gespräch mit Stefan Scheil
 
Sudetendeutsche
Nicht zu leise sein
von Gernot Facius
 
Brünn: Stadtrat entschuldigt sich für Todesmärsche
 
Italien - Erster Weltkrieg
Der Angriff des Vagabunden
von Stefan Scheil
 
23. Mai 1945 – ein Nachtrag
 
(Zur Beihilfe der Briten zum Mord an den Kosaken)
Ans Messer geliefert
von Jan von Flocken
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
#deraustausch – Großkampagne der Identitären
 
(Zwischentag Erlangen)
Rechte veranstalten "Messe" bei Erlanger Burschenschaft
 
Kirche und Gewerkschaften
Neues Bündnis gegen „Rechtspopulismus“ gegründet
 
Rechtsradikale Terror-Gruppe
Razzien gegen "Oldschool Society": Wollten die Neonazis am Wochenende zuschlagen?
 
"Old School Society"
Neonazis wollten Muslime und Ausländer töten
 
NSU-Prozess
Mord in Kassel steht erneut im Mittelpunkt
 
Türkische Terrorgruppe
Innenministerium verbietet linksextreme Zeitung
 
Bürger Für Frankfurt (BFF) im Römer statt Freie Wähler
Rückkehr zum Gründungsnamen wird vollzogen
 
CDU-Vorsitzender Becker: Diffamierung statt Argumente
Stellungnahme des BFF-Fraktionsvorsitzenden Wolfgang Hübner
 
Äußerungen zu NPD-Mitgliedern
AfD: Gauland und Petry rücken von Höcke ab
 
(Zu AfD, Pegida und den Identitären…)
Was tun? (2): In den kommenden Wochen …
 
Linksextremisten attackieren Frauke Petry
 
Hamburg
Einrichtung von Gefahrengebieten war grundgesetzwidrig
 
Unter Eid die Unwahrheit gesagt?
Justizeklat in Hamburg: Staatsanwalt verweigert Anklage gegen Gregor Gysi
 
(Zum Fall Herfried Münkler)
Professoren im Visier
Ins Blickfeld der Blockwarte gerückt
von Karlheinz Weißmann
 
München
Als Gäste unerwünscht
Rechte sollen draußen bleiben
 
Meinung
Tolerant, toleranter, totalitär
von Felix Krautkrämer
 
Dresden
SPD-Oberbürgermeisterkandidatin sagt Pegida Kampf an
 
(Zur besagten SPD-Oberbürgermeisterin; einst also zum SED-Kader gehörend)
Eva-Maria Stange
 
(Dresden; "Grünen"-Politiker schlägt Investorin)
Grünen-Politiker Michael Ton
Rücktritt nach Ohrfeige gegen Bagger-Investorin
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
Zum Begriff "Flüchtlinge"
Wenn Begriffe verwirren sollen
von Dieter Stein
 
Illegale Einwanderung
Jeder kämpft für sich allein
von Michael Paulwitz
 
(Zur EU-Asylantenquote)
Brüsseler Danaergeschenk
von Michael Paulwitz
 
Übergänge zu Polen und Tschechien
Grenzkontrollen: Polizei verhindert dutzende Straftaten
 
(Video)
Was wenn du in Afrika geboren wärest? Mythen der Multikultis widerlegt Nr. 4
 
Feindbestimmung mit progressivem Populismus
 
(Dann möge der Vatikan die Einwanderer aber auch auf eigene Kosten auf eigenem Territorium beherbergen und verköstigen…)
Legale Einreise nach Europa
Vatikan prüft eigene Visa für Flüchtlinge
 
Vatikan-Visum soll Flüchtlinge legal nach Europa bringen
 
Kölner Erzbischof
Woelki gegen Zerstörung von Schleuserbooten
 
Grüne wollen Asylanten in Altenheimen unterbringen
 
Ingolstadt
Diskoverbot für Asylbewerber
„Die Schwarzen haben ein Frauenproblem“
 
(Video zum offenbar versuchten Anschlag in Oberursel)
JF-TV Direkt: Anschlagsversuch von Salafisten
 
(Frankfurter gegen Islamismus)
Vorwärts und nicht vergessen
Sozial – Herzlich – Mutig
 
Das Heerlager der Heiligen (Werkstatt 1): vollständige Fassung!
 
Wildsteig: Gutmenschen flüchten vor der Krätze
 
Mehr Flüchtlinge als Einwohner in Gießen! Bürger haben Angst vor Asylanten
 
Blutige Messerattacke
Gericht verhandelt nach Messerattacke in Frankfurter Kirche
Eine blutige Messerattacke, ausgerechnet in einer Frankfurter Kirche, die als Flüchtlingsunterkunft genutzt wird, beschäftigt das Landgericht. Ein Mann aus Ghana muss sich verantworten.
 
(Was das wohl für Banden sind?...)
Mitarbeiter-Streik: Eiffelturm bleibt wegen Taschendieben geschlossen
Sie kommen in Banden, beklauen Touristen und bedrohen das Personal. Aus Protest gegen Taschendiebe haben die Angestellten des französischen Wahrzeichens ihre Arbeit niedergelegt.
 
(Dass die Herkunft von Täter und Opfer nicht genannt wird, also kein zweiter "Fall Tugce" inszeniert wird, lässt Rückschlüsse auf die möglichen Nationalitäten zu, vor allem des Täters. Bislang ist nur dies zu lesen: "Der in Untersuchungshaft sitzende Tatverdächtige ist der Polizei zufolge Mitglied in einem Boxklub, hat aber in Deutschland keinen festen Wohnsitz.")
Mann stirbt nach Schlägerei in Frankfurter Club
Ein 41-jähriger Mann ist bei einer Schlägerei an der Tanzfläche im Club "Gibson" so schwer am Kopf verletzt worden, dass er starb. Unter den Gästen: Fußballer Nelson Valdez – er musste auf die Wache.
 
Schlossgrabenfest in Darmstadt
Schläger mit Rastazöpfen prügelt Mann bewusstlos
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
(Video)
Pro Wiederaufbau
 
Viele historische Plätze wurden in den 1960er-Jahren dem Autoverkehr geopfert / Ausstellung zeigt Auswirkungen auf die Stadtarchitektur
Vom Marktplatz zum Parkplatz
 
Bronzepferde von Josef Thorak: Fahnder finden verschollene Nazi-Kunst
 
Schreitende Pferde
Verschollene Nazi-Kunst entdeckt
 
Nazi-Kunst aus der Reichskanzlei
Hitlers Bronzepferde sollen ins Museum
 
Berlin: Weiterer Bezirk verbannt „sexistische Werbung“
 
Wien bekommt homosexuelle Ampelmännchen
 
Homosexuellen-Ehe
Berufsempörte bombardieren „Westfalenblatt“
 
Shitstorm wegen Homophobie zeigt Wirkung
„Westfalen-Blatt“ trennt sich von Autorin Barbara Eggert
 
Polyamorie
Weil die Basis sicher ist
 
Wertewandel – das Richtige erzählen
 
Bloggen unter Spannung
 
Social Media
Das Netz bist du!
Amerikanische Collegeschüler nutzen Facebook anders als japanische Hausfrauen. Der Anthropologe Daniel Miller erforscht in seiner weltweit größten Studie zu Sozialen Netzwerken deshalb vor allem den Einzelfall. von Kilian Trotier
 
Persönlichkeitsanalyse Deine Sprache verrät dich
Wie fleißig ist dieser Bewerber? Lügt der Versicherte, der einen Schaden meldet? Eine Software hilft Firmen, solche Fragen zu beantworten. Genial – und unheimlich. Ein Selbstversuch.
 
(Zunehmende Komplett-Überwachung)
Telematik-Tarife
Blackbox im Pkw - Versicherer wollen Autofahrer überwachen
 
Überwachtes Fahrverhalten
Revolution der Kfz-Versicherung
Wer vorsichtig fährt, spart künftig bei der Versicherungsprämie. Eine Blackbox im Auto kontrolliert das Fahrverhalten. Der Preis dafür ist hoch: Keine Fahrt bleibt mehr geheim.
 
(auweia…)
"Willkommen in der Hölle": Show über NS-Terror in Tschechien
 
Tschechische Reality-Show schickt Familie in Nazi-Zeit
 
„Wirtschaftswoche“ startet Werbekampagne für die EU
 
Dahrendorf und die Quadratur des Kreises
 
(Ideen zum Aufbau eines europäischen Ethno-Staates…)
Arthur Kemps Nova Europa
 
Politische Korrektheit
Empörung über Berliner Travestie-Künstler
 
(Zur Politischen Korrektheit…)
Politische Korrektheit
Kontrolliert wird flächendeckend
von Thorsten Hinz
 
UN gegen illegale Müllexporte
"Ein Tsunami aus Elektroschrott"
 
Wir blöden Primaten
Die Wissenschaftsjournalistin Elizabeth Kolbert führt uns vor Augen, wie wir die Welt verwüstet haben. Dafür hat sie jetzt den Pulitzerpreis bekommen. Ein Gastbeitrag von Reiner Klingholz
 
Das Millionen-Geschäft mit abgelaufenem Essen
Mit dem, was Supermärkte wegwerfen, macht Dan Cluderay Millionen. Online verkauft der Brite Produkte, die ihr Mindesthaltbarkeitsdatum überschritten haben. Auch an deutsche Kunden wird geliefert.
 
(Nun auch im Land der Sambatänzer…)
Steigendes Übergewicht in Brasilien
Friedhof reagiert auf Fettleibigkeit im Land
 
Umstrittene Operation: Italienischer Chirurg will Kopf transplantieren
 
Propagandafilm fürs Scheitern
Kampflichtspiel des Weltekels
Trotz Filmbluts kein Horror, trotz Kalauern keine Komödie: Mit „Sieg der Vernunft“ hat der Hamburger Ditterich von Euler-Donnersperg einen ironischen neostalinistischen Propagandafilm gedreht.
 

Quatre nuances du dernier Houellebecq

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Quatre nuances du dernier Houellebecq

par Georges FELTIN-TRACOL

 

La parution du nouveau roman de Michel Houellebecq, Soumission, a suscité de vifs débats, preuve que son auteur a visé juste et fort. En écrivant cette fiction politique, il pressentait que « ce roman suscitera peut-être des polémiques chez ceux qui gagnent leur vie en polémiquant, mais sera perçu par le public comme un livre d’anticipation, sans rapport réel avec la vie (1) ».

 

La majeure partie des controverses concerne la victoire des islamistes à la présidentielle de 2022. Si certains s’indignent de cette hypothèse qui fracasse leur bel enthousiasme républicain, d’autres s’en réjouissent en espérant que cette éventualité réveillera dès à présent les Français de racines européennes, ces « Français de souche » qui n’existeraient pas d’après l’incroyable sentence d’un tribunal pour qui cette qualification ne couvre « aucune réalité légale, historique, biologique ou sociologique (2) ».

 

La violence des réactions confirme que « ses livres relèvent de la santé publique (3) » parce que « Houellebecq utilise la cendre du marché pour nous entraîner dans des romans éblouissants (4) ». Pourvu d’un style moins terne, moins austère, que dans Les Particules élémentaires (5), Soumission comporte quatre niveaux de compréhension. La plus lisible se concentre sur le héros, François. Ce quadragénaire, expert de l’œuvre de Joris-Karl Huysmans, enseigne à La Sorbonne et traîne en permanence la victimisation surmoderne du libéralisme, cette « idéologie des individus libres luttant tous contre tous (6) ». Vivant dans une morne existence casanière, François dépense son temps entre ses cours de littérature, des loisirs marchands aliénants et ses amours éphémères avec quelques-unes de ses étudiantes. Il symbolise surtout une dépolitisation accomplie, conséquence inéluctable de l’ignorance de l’histoire : « Je ne connaissais au fond pas bien l’histoire, au lycée j’étais un élève inattentif et par la suite je n’avais jamais réussi à lire un livre d’histoire, jamais jusqu’au bout (p. 104). » François agit en véritable monade solitaire, en indéniable atome social. Tant envers Myriam, sa jeune amante juive qui va bientôt s’installer en Israël, qu’envers les prostituées sollicitées (Nadia, Babeth, Rachida et Luisa), voire à l’égard de Sylvie, la dernière compagne de son père défunt ou au moment de la brusque disparition de sa mère à Nevers, le héros exprime un détachement constant qui le ballote d’événement en événement. En Occidental atteint d’épuisement existentiel propre à la logique libérale, François se trouve par conséquent « incapable de fournir un sens, une voie à la réconciliation de l’individu avec son semblable dans une communauté que l’on pourrait qualifier d’humaine (7) ». Après un séjour ennuyeux dans un monastère au cours duquel à rebours du parcours de Huysmans, il perd les ultimes bribes d’une foi chrétien déclinante, il semble finalement éprouver dans l’islam un confort global qui ne le ferait « rien à regretter (p. 300) ».

 

La deuxième approche du roman est politique. Réélu en 2017 face à Marine Le Pen, François Hollande poursuit son impéritie gouvernementale si bien que cinq ans plus tard, son candidat, Manuel Valls, et celui de l’U.M.P., Jean-François Copé, revenu d’entre les morts, sont évincés du second tour au profit d’une Le Pen qui culmine à 34,1 % et de Mohammed Ben Abbes, le candidat de la Fraternité musulmane (22,3 %).

 

Fondée en 2017, « la Fraternité musulmane avait veillé à conserver un positionnement modéré, ne soutenait la cause palestinienne qu’avec modération, et maintenait des relations cordiales avec les autorités religieuses juives. Sur le modèle des partis musulmans à l’œuvre dans les pays arabes, modèle d’ailleurs antérieurement utilisé en France par le Parti communiste, l’action politique proprement dite était relayée par un réseau dense de mouvements de jeunesse, d’établissements culturels et d’associations caritatives (pp. 51 – 52) ».

 

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Pendant l’entre-deux-tours, Ben Abbes bénéficie du soutien officiel du P.S., de l’U.D.I. et de l’U.M.P. au nom d’un front républicain élargi qui l’emporte de peu. En contrepartie, il nomme François Bayrou à Matignon. Si le nouveau président concède aux vieux partis décatis les ministères économiques et financiers, son mouvement se réserve l’enseignement qui s’islamise ainsi très vite. Largement financée par les pétromonarchies du Golfe, La Sorbonne n’accepte plus qu’un personnel musulman d’origine ou bien converti. Les autres sont mis d’office en retraite avec une forte pension. Nouveau président de La Sorbonne et futur ministre, le Français d’origine belge Robert Rediger, devenu une décennie plus tôt musulman, est un ancien identitaire, auteur d’une thèse sur Guénon lecteur de Nietzsche, ce qui est incongru quand on connaît l’antinomie des deux personnages, met en parallèle la soumission de l’homme à Allah avec la soumission volontaire de la femme envers l’homme développée dans Histoire d’O de Pauline Réage alias Dominique Aury. En adoptant l’islam, Rediger prend surtout acte de l’agonie d’une certaine civilisation européenne.

 

Michel Houellebecq se montre vipérin pour François Bayrou et Jean-Marie Le Pen qui sont loin d’être de ses crétins très nombreux à grouiller dans le microcosme politicien. D’ailleurs, si le ralliement des partis du Système à un candidat islamiste contre le F.N. est plausible, la personne adéquate pour personnifier cette collusion ne serait pas l’actuel maire centriste de Pau, mais bien plutôt un autre centriste, l’actuel maire de Drancy, Jean-Christophe Lagarde, par ailleurs président de l’U.D.I., qui s’acoquine déjà avec des minorités ethno-religieuses pour mieux contrôler son territoire.

 

Le troisième sens se veut économique. Conservateur illibéral, Houellebecq imagine que la situation économique de la France s’améliore rapidement sous la présidence de Ben Abbes. Les courbes parallèles de la délinquance et du chômage s’effondrent parce que son gouvernement revalorise l’artisanat et le travail manuel, abaisse l’obligation scolaire à douze ans, augmente massivement les allocations familiales et réduit largement le budget de l’Éducation nationale sinistrée. Conservateur, ce programme s’apparente à bien des égards à celui du F.N. en 2002 quand il proposait le salaire familial afin de permettre « la sortie massive des femmes du marché du travail (p. 199) ». Mohammed Ben Abbes correspondrait à un islamiste de marché (8). Cependant, avec un étonnement certain et probablement conseillé par son ami, l’économiste Bernard Maris, on apprend que le nouveau président islamiste français est aussi « influencé par le distributivisme (p. 201) ». Houellebecq définit cette théorie comme « une philosophie économique apparue en Angleterre au début du XXe siècle sous l’impulsion des penseurs Gilbert Keith Chesterton et Hilaire Belloc. Elle se voulait une “ troisième voie ”, s’écartant aussi bien du capitalisme que du communisme – assimilé à un capitalisme d’État. Son idée de base était la suppression de la séparation entre le capital et le travail. La forme normale de l’économie y était l’entreprise familiale; lorsqu’il devenait nécessaire, pour certaines productions, de se réunir dans des entités plus vastes, tout devait être fait pour que les travailleurs soient actionnaires de leur entreprise, et coresponsables de sa gestion (p. 202) ». Or le distributivisme n’est pas qu’anglais; il doit aussi beaucoup à Jacques Duboin (9). Houellebecq le pense. Sortir du paradigme libéral ne sera que bénéfique.

 

La dernière approche procède de la vision géopolitique présidentielle qui entend relancer la « grande politique arabe de la France (p. 158) ». Nullement hostile à l’Union européenne, elle cherche seulement (et ontologiquement) à la réorienter en direction du Sud et du bassin méditerranéen en favorisant l’adhésion du Maroc, de la Turquie, puis des autres États du pourtour. « Son modèle ultime, au fond, c’est l’empereur Auguste; ce n’est pas un modèle médiocre (p. 160). » Ben Abbes estime que « la reconstruction de l’Empire romain était en marche (p. 198) ». Il réaliserait ainsi le vieux dessein des sultans ottomans : prendre Rome après Constantinople !

 

Par delà les tempêtes médiatiques, Soumission est un roman riche en sens. Michel Houellebecq conçoit avec sérénité l’islamisation de la société hexagonale. Pour lui, « c’est un processus spirituel, un changement de paradigme, un retour du religieux. Donc, je ne crois pas à cette thèse du “ Grand Remplacement ”. Ce n’est pas la composition sociale de la population qui est en question, c’est son système de valeurs et de croyances (10) ». Il observe qu’« un courant d’idée né avec le protestantisme, qui a connu son apogée au siècle des Lumières, et produit la Révolution, est en train de mourir. Tout cela n’aura été qu’une parenthèse dans l’histoire humaine. Aujourd’hui l’athéisme est mort, la laïcité est morte, la République est morte (11) ». Mieux, Houellebecq pense qu’« un compromis est possible entre le catholicisme renaissant et l’islam. Mais pour cela il faut que quelque chose casse. Ce sera la République (12) ».

 

Dans l’interrègne en cours fleurissent des valeurs concurrentes. C’est stimulant à la condition expresse que les Européens conscients de cette transition redécouvrent les plus vieilles racines de leur mémoire et retrouvent l’horizon réenchanteur du tragique.

 

Georges Feltin-Tracol

 

Notes

 

1 : Michel Houellebecq, « La République est morte », entretien dans L’Obs, le 8 janvier 2015.

 

2 : Décision de la 17e chambre correctionnelle de Paris du 19 mars 2015.

 

3 : Bernard Maris, Houellebecq économiste, Flammarion, 2014, p. 23.

 

4 : Idem, p. 49.

 

5 : Michel Houellebecq, Les Particules élémentaires, Flammarion, 1998.

 

6 : Bernard Maris, op. cit., p. 49.

 

7 : Bernard Maris, « Dernier rempart contre le libéralisme », dans Le Sens du combat, Flammarion, 1996, p. 52.

 

8 : cf. Patrick Haenni, L’islam de marché. L’autre révolution conservatrice, Le Seuil, coll. « La République des idées », 2005.

 

9 : cf. Jean-Paul Lambert (sous la direction de), Le socialisme distributiste. Jacques Duboin 1878 – 1976, L’Harmattan, 1998.

 

10 : Michel Houellebecq, « La République est morte », art. cit.

 

11 : Idem.

 

12 : Id.

 

• Michel Houellebecq, Soumission, Flammarion, 2015, 300 p., 21 €.

 

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Achtergrond bij het kalifaat

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Door: Koenraad Elst

Achtergrond bij het kalifaat

Ex: http://www.doorbraak.be

Pieter Van Ostaeyen is internationaal bekend als online rapporteur van en onderzoeker naar Syriëstrijders. Hij schreef een boek over de achtergrond van IS.

Het beknopte boek Van Kruistocht tot Kalifaat van geschiedkundige en arabist Pieter Van Ostaeyen is zeer rijk aan feiten over de dramatische gebeurtenissen van de jongste jaren in het Midden-Oosten, van Tunesië tot Irak. Het geeft bij wijze van nieuwe informatie heel wat nationale eigenaardigheden van de demoratiseringsbewegingen die samen de Arabische Lente uitmaakten, en somt de specifieke kenmerken van de verschillende islamgroeperingen op.

Zo is de Jabhat an-Nusra (ik volg hier de gegeven transcriptie, eigenlijk Engels en gebaseerd op de feitelijke Arabische uitspraak) in Syrië, inmiddels bij al-Qaida aangesloten, zeer geheimhoudend, anders dan de rivaliserende Islamitische Staat met zijn gesofistikeerd gebruikt van klassieke en digitale communicatiekanalen. De Nusra-’verzetsbeweging’ onderwerpt nieuwe recruten aan een strengere selectie. Nochtans, al heeft de Islamitische Staat veel meer buitenlanders in zijn rangen, ook an-Nusra stelt Vlaamse en Nederlandse vrijwilligers te werk. De Tsjetsjenen en Tunesiërs hebben er zelfs eigen brigades.

Strategisch zijn deze gewapende groepen helemaal mee met hun tijd. Zij inspireren zich op de maoïstische beginselen van de guerrilla en de ‘asymmetrische oorlog’: terugtrekken wanneer de vijand sterk is, aanvallen wanneer hij zwak is. Een aantal jaren geleden was Norman Finkelstein te gast op Het Andere Boek en beschreef hij hoe de Hezbollah het onoverwinnelijk lijkende Israël qua organisatie en effectiviteit aan het inhalen was. Deze evolutie wordt nu doorgetrokken door an-Nusra en het Kalifaat, wat de spectaculaire militaire successen (hun vrij geringe aantal manschappen en niveau van bewapening in acht genomen) verklaart.

Voor verdere bijzonderheden verwijzen wij naar het boek. De rijkdom aan minder bekende feiten maakt het alvast tot een goede investering. Dat gezegd zijnde, toch enkele kritische bedenkingen.

De VS volgde in Syrië een beleid van halfhartige steun aan de oppositie van ‘gematigden’ tegen de regering-Assad, maar: ‘In april 13 werd evenwel duidelijk dat het State Department er alleszins gedeeltelijk naast zat.’ (p.85) Op zich een feit, maar wel één dat om commentaar vraagt. Sedert de opbouw naar de inval in Irak in 2003 is het Amerikaanse engagement in het Midden-Oosten één opeenstapeling van dwaasheden, een bevestiging van het Europese stereotype van de ‘stupid Americans’ die zich zonder enig gevoel voor werkelijkheden op het terrein overal mee moeien als een olifant in een porseleinwinkel. Dat gaat van de inval in Irak zelf tot het in de rug schieten van hun bondgenoot Hosni Mubarak (vraag maar aan de ‘vrienden’ van de VS hoe een dolk in de rug aanvoelt: Tsjiang Kai-sjek, Fulgencio Batista, Van Thieu, de Sjah, Mobutu Sese Seko, allemaal zodra het erop aankwam aan de genade van hun vijanden overgeleverd) en het steunen van de Syrische ‘oppositie’, zelfs op gevaar van een confrontatie met Syriës bondgenoot Rusland.

En dwaasheid is soms nog een te milde beoordeling; het kan ook over glasharde perfiditeit gaan. Het verhaal van de Iraakse ‘massavernietigingswapens’ is welbekend, en we moeten toegeven dat het als bewijs van westerse interventiezucht in moslimlanden heel wat moslimjongeren over de drempel geholpen heeft. Van theoretisch overtuigd door het voorbeeld van Mohammeds strijd kantelden zij naar daadwerkelijke terroristen of Oostfrontvrijwilligers (‘Syriëgangers’). Op p.63 vermeldt Van Ostaeyen terloops Nakoula Nakoula, de koptische immigrant in de VS die de internetfilm The Innocence of Muslims gemaakt had. Inmiddels weten wij dat de Amerikaanse regering hem onder valse voorwendselen heeft doen opsluiten (‘de eerste Amerikaan opgesloten wegens overtreding van de islamitische wet tegen godslastering’) en dat de film ten onrechte de oorzaak genoemd werd van de aanval op het VS-consulaat in Benghazi waar ambassadeur en islamofiel Christopher Stevens doodgemarteld werd. Het State Department wist al dagen eerder dat deze aanval gepland was, en dat hij niets met moslimverontwaardiging over de film te maken had.

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Niet dat Europa het zoveel beter doet: de moralistische, door schertswijsgeer Bernard-Henri Lévy geînspireerde tussenkomst in Libië heeft talloze doden, de ontwrichting van het land en de vloed van ‘bootvluchtelingen’ veroorzaakt. Beter te laat dan nooit moet men inzien dat in die regio een verlichte sterke man het beste was waar men geredelijk op kon hopen. Democratie is goed, maar vooronderstelt een beschavingsniveau dat daar nog niet vervuld blijkt te zijn. In ieder geval kan men ze niet van buitenaf opleggen.

Ook de hoera-sfeer in de media omtrent de Arabische Lente heeft hem op het verkeerde been gezet: ‘Toen de Arabische Lente door Noord-Afrika een spoor van hoop trok, hadden weinigen verwacht dat de situatie er uiteindelijk ging verslechteren.’ (p.141)

De als ‘islamofoob’ weggezette islamcritici hadden het nochtans al voorzien: de enige georganiseerde kracht die een alternatief voor de bestaande dictaturen kon bieden, was niet enige liberaal-democratische partij, wel de Moslimbroeders of gelijkaardige islamscherpslijpers. Om er nogmaals de strategische inzichten van Mao bij te halen: een revolutie is onmogelijk zonder revolutionaire voorhoedepartij. De overgang van dictatuur naar democratie vergde een groep die vooruit dacht, die een recept had en dat in wijzigende omstandigheden consequent nastreefde, die leiding kon geven aan de massa, en die haar gevoelens over waar zij van weg wou, kon omzetten in een positieve formule over waar men naartoe moest. Zulk een demokratisch gezinde voorhoede die als aantrekkingspool voor de onbestemde volkswoede had kunnen dienen, was er niet.

In een titel op p.30 heten de kruistochten ‘de eerste tekenen van kolonialisme’. O, en wat was de vier eeuwen oudere Arabische bezetting van Spanje dan? En de Turkse bezetting van de Balkan, en eerder al die van Anatolië (‘Turkije’)? Als we per se over kolonialisme moeten spreken, dan waren de kruistochten een anti-koloniale bevrijding van een door de islam bezet christelijk gebied. Uiteraard hadden de christenen het eerdar dan weer van joden en heidenen afgesnoept, maar dat geldt voor de islam buiten christelijk gebied ook, te beginnen met Medina en Mekka.

Maar het ergst van al is deze bewering, na de opsomming van de ‘vijf zuilen’ van de islam: ‘Deze richtlijnen zijn louter religieus van aard, politeke aspiraties heeft de islam in se niet.’ (p.42) Ik weet niet wat de U-Gentse prof. Gino Schallenbergh, die hier de inleiding schreef, in zijn lessen islamkunde zoal vertelt, maar het inzicht dat de islam een intrinsiek politieke religie is, lijkt me nogal fundamenteel. Toen Mohammed zijn leer startte, was het van meet af aan zijn bedoeling, een staat te stichten. Hij zelf werd de eerste islamitische dictator van Medina en uiteindelijk van heel Arabië. Zijn levenswerk bestond erin, Arabië om te vormen van een bestaande en geslaagde multiculturele samenleving in een monolithisch-islamitische staat.

Zonder dat basisinzicht is men gedoemd, de politieke strijd in het Midden-Oosten, ondanks magistrale feitenkennis die ik geenszins betwijfel, verkeerd te begrijpen. Dan zegt men bv. met veel aplomb: ‘Het gaat het Kalifaat (of eender welke andere betrokken partij) niet om religie maar om macht.’ Ja,wiens macht? Het gaat in de islam altijd om de macht. Misschien wordt dat beginsel voor mijn ‘gematigde’ lezers wat verteerbaarder als ik erbij zeg dat dat zijn goede kanten heeft. Dat de moslims in het Midden-Oosten christelijke gemeenschappen hebben laten bestaan, komt doordat zij niet puristisch een volledig islamitisch-bevolkt rijk wilden, maar wel de macht binnen dat rijk. In ieder geval: met moet niet de christelijke scheiding van staat en religie (‘Mijn rijk is niet van deze wereld’, ‘geeft den keizer wat des keizers, en Gode wat Godes is’) op de islam projecteren. Mohammed overviel karavanen, nam gijzelaars voor losgeld, nam en verkocht slaven enz., en voor hem was dat allemaal ‘inspanning (jihad) op de weg van Allah’.

Ziedaar wat er met het hele islamvertoog in westerse middens scheelt, ook in onze arabistiekdepartementen: men bekijkt de situatie niet door moslimogen. Onze islampleitbezorgers en multiculturalisten zijn heikneuters die niet wezenlijk verder zien dan hun klokkentoren. Ze komen wel in moslimlanden, maar blijven de van huis uit meegekregen westerse denkcategorieën hanteren. Global village, travelling peasants.

Beoordeling : * * *
Titel boek : Van kruistochten tot kalifaat
Subtitel boek : Arabische Lente, Jihad, Kalifaat
Auteur : Pieter Van Ostaeyen
Uitgever : Pelckmans
Aantal pagina's : 152
Prijs : 17.5 €
ISBN nummer : 9789028973749
Uitgavejaar : 2015

00:05 Publié dans Actualité, Histoire, Livre, Livre | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : livre, islam, eiil, daesch, isis, syrie, levant, irak, proche orient | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Kampf um Deutschland

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Kampf um Deutschland
Von  
Ex: http://www.compact-online.de
 

Wenn nicht alles täuscht, wird seit geraumer Zeit eine neue Runde im globalen Ringen um Vorherrschaft eingeläutet. Um nicht falsch verstanden zu werden: Weder die Russische Föderation, noch China, Indien, Brasilien oder die mit den Briten geschlagene Europäische Union kommen in den Verdacht, entsprechende Absichten zu hegen. Allenfalls läuft sich der eine oder andere gerade warm. Der Russischen Föderation kann man nach Jahren eines politischen Leichtgewichtes allemal unterstellen, gerade wieder den aufrechten Gang einzuüben und auf gleicher Augenhöhe zu bestehen. Was soll daran falsch sein?

Die Vereinigten Staaten sind allerdings einer alten Leidenschaft erlegen. Mit großem Medienaufwand unterstellen sie jedem anderen das, was sie selbst gerade umtreibt, wenn man im mehr als einhundert Staaten auf dem Globus eigene Truppen unterhält. Es scheint die Regierung in Washington nicht zu stören, wenn sie auf die seit Jahrzehnten zu verantwortende Blutspur quer über den euro-asiatischen Kontinent hingewiesen wird. Das hat in dieser Zeit niemand anderes so perfekt hingelegt. Natürlich muss die Welt in diesem amerikanischen Vorgehen die Begründung dafür finden, dem Statut für den Internationalen Strafgerichtshof in Den Haag nicht beigetreten zu sein. Es ist schon pervers. Die Vereinigten Staaten müssen einen Krieg nach dem anderen anzetteln, um den Folgen aus Den Haag zu entgehen. Ein anderes Bild ist nicht möglich, es sei denn, sie führen Kriege um der Kriege wegen.

Dafür gibt es überraschende Indikationen. Damit ist nicht Herr Soros gemeint, der seine Sorge um einen bevorstehenden dritten Weltkrieg öffentlich vernehmen lässt. Es sind zwei Beobachtungen, die jeder seit gut zwei Jahren machen kann. In dem Maße, wie sich die zwei tragenden Säulen der gegen Deutschland und die Achsenmächte gerichtete Kriegskoalition in die Haare geraten und an die jeweilige Gurgel gehen, werden offenkundig die jeweiligen Archive geöffnet und Weltbilder bei denen ins Wanken gebracht, die die Alleinschuld an allem Elend dieser Welt bereits in den Genen manifestiert hatten. Selten haben sich so lesenswerte Artikel und Kommentare in den Gazetten und dem sich zu einer letzten Brutstätte der Freiheit aufschwingendem Internet wiedergefunden, wie in diesen Monaten.

Die bisherige Ordnung – ohne den Begriff der neuen amerikanischen Weltordnung verwenden zu wollen – hat sich geistesgeschichtlich darauf konzentriert, gleichsam mit einer Festungsmauer bestimmte Thesen über alleinige Verantwortlichkeiten zu umgeben. In diese Mauern werden derzeit Breschen geschlagen. Dies geschieht interessanterweise seitens derjenigen, die jahrzehntelang alles unternommen haben, Deutschland und die Deutschen als den Hort alles Bösen darzustellen. Henry Kissinger hatte in Peking vor den versammelten Staatsmännern der führenden Mächte schon 2004 darauf hingewiesen, dass es das Unvermögen aller vor dem ersten Weltkrieg führenden Staaten gewesen war, nicht fertigzubringen, eine frische, aufstrebende und wirtschaftlich überaus erfolgreiche Macht wie Deutschland in die bestehende Ordnung zu integrieren. Man sagt nun gemeinhin, dass die Geschichte von den Siegern geschrieben wird. Seit Fischer wissen wir allerdings, dass die Sieger es den Besiegten überlässt, dies auch noch zu Papier zu bringen. Dem hat Christopher Clark mit schlafwandlerischer Sicherheit den Boden entzogen. Man kann sich nur fragen, wie die dahinter stehende Absicht sein könnte?

Da sind die vor Wochen in Chicago gemachten Äußerungen des Stratfor-Chefs, Herrn George Friedman, prima facie eindeutiger. Es war schon schweres Geschütz, das da aus Chicago abgefeuert worden ist und man hat nicht den Eindruck, dass über Frau Dr. Sarah Wagenknecht hinaus irgendjemand im politischen Berlin davon etwas mitbekommen hat.

Der Publizist Wolfgang Effenberger hat vor einigen Monaten bereits darauf aufmerksam gemacht, dass in den letzten Jahrzehnten des 19. Jahrhunderts von finanzstarken Amerikanern aus Chicago alles unternommen worden ist, die verschiedenen Völkerschaften der Donaumonarchie gegen Wien so aufzubringen, wie es nach dem kriegsbedingten Zerfall dieses Reiches manifest geworden ist. Damit wurde zum ersten Male deutlich, dass neben der staatlichen Verantwortung in Washington an interessierte politische und vor allem wirtschaftlich potente Zirkel gleichsam Deputate zur Durchsetzung eigenmächtiger Ziele vergeben werden.

Der Charme dieser Überlegungen besteht darin, dass notfalls der gewaltige amerikanische Militärapparat zur Durchsetzung entsprechender privater Ziele herangezogen werden kann. Herr Soros kann mit Milliardenaufwand seine Vorstellungen in Mittel-und Osteuropa zur Geltung bringen, notfalls gegen die Vorstellungen vor Ort gewählter Regierungen oder dem Selbstbestimmungsrecht der jeweiligen Völker.

George Friedman, der einem Apparat aus ausgeschiedenen Geheimdienstleuten und Militärs vorsteht, hat allerdings eine neue Hausmarke gesetzt, deren Sprengkraft noch nicht einmal zu ahnen ist. Uns soll wohl klargemacht werden, dass schon seit der Gründung des Deutschen Reiches 1871 es der zielgerichteten amerikanischen Politik zu verdanken gewesen ist, in geeigneter Weise Unfrieden auf dem europäischen Kontinent zu schüren und sich gleichzeitig bestehender und möglicher oder nur geahnter Rivalen auf dem Kontinent zu entledigen, sei es nur das ehemalige Mutterland, Frankreich, das kaiserliche Deutschland mitsamt der Donaumonarchie oder gar Russland. Vor diesem Hintergrund erscheint es fast zwangsläufig, entgegen jeder eigener Erkenntnis, den Achsenmächten die Alleinschuld am ersten Weltkrieg aufzubürden, denn einer musste die berühmte „Torte ins Gesicht“ bekommen. Hätte man sich vorstellen können, neben dem revolutionsgeschüttelten Deutschland den Verbündeten wie Frankreich oder Großbritannien die gewaltigen Kriegsschulden als den Verbündeten des Krieges auferlegen zu können?

Über die Jahrzehnte, wenn man Herrn Friedman folgt, hat man sich daran abgearbeitet und wenn Präsident Obama in wenigen Tagen in die „Alpenfestung“ kommt, wird er die Überwachungsstaaten ohne jeden störenden Einfluss vorfinden. Die internationalen Zeitungen und generell die Medien, sind voll davon, dass es jetzt gegen Russland gehen soll und wenn man sich die NATO-Verantwortlichen anhört, dann können sie es kaum erwarten. Den Amerikanern wird gemeinhin unterstellt, am kurzfristigen Erfolg interessiert zu sein. Wer hätte es allerdings gedacht, dass sie so das „Friedman´sche Gesetz“ befolgen und über Jahrhunderte planen. Sie treffen allerdings auf ein Russland, das jedenfalls den Eindruck erweckt, nicht mehr herum geschubst werden zu wollen und zu können. Es wird gerade Moskau sein, dass dabei Deutschland und die Deutschen im Auge hat. Das hat politische Folgen. Das war schon in den letzten Jahrzehnten sowohl in Bonn als auch in Berlin festzustellen. Immer dann, wenn es selbst auf dem politischen Feld den Leuten im Bündnis zu viel wurde, erhob sich einer und erinnert an die care-Pakete. Das hatte Wirkung und das war bekannt. Sollte Herr Soros Recht behalten, geht es jetzt darum, ob wir wieder Schlachtfeld werden? Und dann fällt uns Herr Friedman mit seiner Aussage über das Vorgehen gegen uns seit 1871 ein. Er steht dabei nicht alleine, wie man sogar in diesen Tagen im „Handelsblatt“ nachlesen kann.

Risques financiers, sociaux & radicalisation

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«Risques financiers, sociaux & radicalisation»

Conférence de Piero San Giorgio à Liège

Le 20 juin 2015

Samedi 20 juin 2015 aura lieu la deuxième conférence de Piero San Giorgio à Liège: « Risques financiers, sociaux & radicalisation »

Le lendemain, dimanche 21, un stage d'initiation aux premiers soins tactiques sera organisé en présence de Piero San Giorgio.

Programme :
Samedi 20 juin :
- 16h séance de dédicaces (2 rue des guillemins à Liège)
- 19h conférence (Liège, lieu communiqué à la réservation) prix : 12€
Dimanche 21 juin :

- 9h stage d'initiation aux premiers soins tactiques en présence de Piero

(Liège, lieu communiqué à la réservation)
Prix : 150€ (+2 places de conférence offertes!)
Informations et inscriptions.

Revoir la conférence de décembre 2013.