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samedi, 19 novembre 2011

Una lettura geopolitica della Crisi

Una lettura geopolitica della Crisi

di Pierluigi Fagan


Fonte: megachip [scheda fonte]

Un possibile percorso interpretativo della crisi, normalmente trascurato dalla principale corrente dei media, potrebbe passare anche attraverso una lettura delle dinamiche che intercorrono tra blocchi geopolitici.

Osservando una sorta di foto panoramica coglieremo meglio quegli elementi che  nelle immagini troppo di dettaglio della crisi tendono a sfuggire. 

Seguiamo questa ipotesi:

  1. Con il peggiorare della situazione spagnola e francese (ma è di oggi l’attacco al Belgio, all’Olanda e all’Austria) è ormai chiaro che la crisi di sfiducia dei mercati è sistemica: è nei confronti dell’Euro – Europa e non nei confronti di uno o due paesi.
  2. Chi sono i “mercati”? Di essi si possono dare due descrizioni. La prima è quella tecnica, ovvero la sommatoria di singole azioni di investimento prese in base alle informazioni disponibili. I mercati sono storicamente affetti da sindrome gregaria, per cui se una massa critica (quantità) o qualificata (qualità) si muove in una direzione, tutto il mercato la segue. Ciò adombra una seconda descrizione possibile ovvero quella dell’interesse strategico che una parte dotata di impatto quantitativo e qualitativo potrebbe avere, trascinando con sé il resto del mercato. I mercati, di per loro, non hanno interesse strategico: si muovono nel breve termine. Alcuni operatori di mercato però (banche e fondi anglosassoni) potrebbero avere interessi strategici e soprattutto essere in grado di perseguirli sistematicamente (rating, vendite alla scoperto, calo degli indici, rialzo dello spread, punizioni selettive, operazioni sui CDS, manovrare non solo i mercati ma - data l’importanza che questi hanno - l’intera vicenda sociale e politica di una o più nazioni. Tali comportamenti non solo perseguono un vantaggio a lungo periodo di tipo geostrategico ma garantiscono anche di far molti soldi nel mentre lo si persegue, una prospettiva decisamente invitante ).
  3. Quale potrebbe essere l’interesse strategico che muove alcuni operatori di mercato ? Decisamente lo smembramento e il depotenziamento europeo. Colpire l’Europa significa: 1) eliminare il concorrente forse più temibile per la diarchia USA – UK, tenuto conto che con la Cina c’è poco da fare; 2) riaprirsi la via del dominio incondizionato del territorio europeo secondo l’intramontabile principio del “divide et impera”; 3) eliminare una terza forza (USA – ( EU ) – Cina) riducendo la multipolarità a bipolarità, una riduzione di complessità. Male che vada si sono comunque fatti un mucchio di soldi e il dettato pragmatista è salvo.
  4. Su cosa contano i mercati ? Sulla oggettiva precarietà della costruzione europea al bivio tra il disfacimento e un improbabile rilancio strategico verso progetti federali. Sulla distanza tra opinioni pubbliche e poteri politici che rende appunto “improbabile” un rilancio dell’iniziativa strategica europeista proprio nel momento di maggior crisi, dove si innalzano non solo gli spread ma anche la paura, l’ottica a breve, la difesa del difendibile ad ogni costo, la rinascenza dell’egoismo nazionale. Sulla oggettiva asimmetria tra Germania e resto d’Europa, una asimmetria strutturale che fa divergere gli interessi, ma più che altro la scelta del come far fronte ad un attacco del genere. È pensabile che tutta Europa pur di mettere a sedere in breve tempo la c.d. “speculazione” , concorderebbe facilmente e velocemente sulla possibilità di far stampare euro in BCE per riacquistare debito, magari a tassi politici (un 2% ad esempio ) ma per la Germania questo è semplicemente inaccettabile. Infine sia la Germania, sia la Francia, sia a breve la Spagna e un po’ dopo la Grecia avranno appuntamenti elettorali (nonché ovviamente l’Italia ) e questi condizioneranno in chiave “breve termine” e “nazionale” le ottiche politiche. Ciò potrebbe spiegare anche il: perché adesso ?

 

A ben vedere e se volessimo seguire l’ipotesi “complotto anglosassone” si presenta anche un obiettivo intermedio: poter premere per disaggregare l’Europa in due, tutti da una parte e l’area tedesca dall’altra (area tedesca = da un minimo della sola Germania, ad un massimo di Olanda, Austria, Slovacchia ? Finlandia ? Estonia ? con particolare attrazione nei confronti dell’ex Europa dell’Est).

L’euro rimarrebbe all’interno di una zona che avrebbe la Francia e l’Italia come poli principali, si svaluterebbe, perderebbe il suo potenziale di moneta internazionale concorrente del dollaro (diventerebbe, per quanto rilevante, una moneta “regionale”).

Il deprezzamento dell’euro, secondo alcuni analisti, era forse l’obiettivo primario di questa ipotizzata strategia. Il fine minimo sarebbe quello di riequilibrare la pericolante bilancia dei pagamenti statunitense, oltre agli obiettivi di geo monetarismo.

Altresì il “nuovo marco” si apprezzerebbe, chiudendo un certo angolo di mercato dell’esportazione tedesca cosa che faciliterebbe l’espansione dell’export americano che gli è, per molti versi, simmetrico.

Ciò che gli USA perderebbero per l’apprezzamento dollaro – nuovo euro (perderebbero in export ma guadagnerebbero in import, le bilance dei pagamento USA e UK sono le più negative nei G7) lo recupererebbero nel deprezzamento dollaro – marco, ma a ciò si aggiungerebbero tutti gli ulteriori benefici del dissolvimento del progetto di Grande Europa.

Il progetto Grande Europa guardava oltre che ad est anche al Nord Africa, al Medio Oriente ed alla Turchia, al suo dissolvimento questi, tornerebbero mercati contendibili.

Da non sottovalutare il significato “esemplare” di questo case history per quanti (Sud America, Sud Est Asiatico) stanno pensando di fare le loro unioni monetarie.

Una volta sancito il divorzio euro – tedesco, l’Europa quanto a sistema unico, svanirebbe in un precario ed instabile sistema binario ed avrebbe il suo bel da fare almeno per i prossimi 15 - 20 anni.

Una strategia geo politica oggi, non può sperare in un orizzonte temporale più ampio. Forse questa ipotesi ha il pregio di funzionare sulla carta ma molto meno nella realtà.

Il giorno che s’annunciasse questo cambio di prospettiva (anticipato da un lungo, lento e spossante succedersi di scosse telluriche) spostare la BCE a Bruxelles e riformulare tutti i trattati sarebbe una impresa a dir poco disperata. Con i governi in campagna elettorale poi sarebbe un massacro. Ma non è altresì detto che ciò che ci sembra improbabile in tempi normali, sia invece possibile o necessario in tempi rivoluzionari.

Il silenzio compunto degli americani sulla crisi dell’eurozona potrebbe testimoniare del loro attivo interesse in questa operazione. Se ci astraiamo dalla realtà e guardiamo il tutto con l’occhio terzo di un marziano, non un atto, non un incontro, non un pronunciamento se non quelli di prammatica (digitate Geithner su Google e troverete una pagina che riporta una sola frase:” l’euro deve sopravvivere[1]” dichiarato il 9.11.2011, un gran bel pronunciamento) , accompagnano la crisi del primo alleato strategico degli USA. La crisi è degli europei e gli europei debbono risolverla, questo il refrain che accompagna gli eventi. Quale terzietà ! Quale bon ton non interventista ! Quale inedito rispetto delle altrui prerogative sovrane !

Al silenzio americano, fa da contraltare il chiacchiericcio britannico dove Cameron non passa giorno (e con lui il FT, l’Economist e molti economisti a stipendio delle università britanniche ed americane ) senza sottolineare come l’impresa dell’euro non aveva speranze e ciò a cui assistiamo non è che la logica conseguenza di questo sogno infantile. Sulla tragica situazione dell’economia britannica avete mai sentito pronunciar verbo ?

Qualche giorno fa c’è stata una frase del tutto ignorata anche perché pronunciata dal Ministro degli Esteri francese Alain Juppé (le connessioni neuronali dei giornalisti sono sempre a corto raggio e soprattutto mancano sistematicamente di coraggio). Cos’ha detto Juppé? Relativamente alle notizie sull’Iran, ha pronunciato un pesante giudizio: “gli Stati Uniti sono una forza oggettivamente destabilizzante”.

Da ricordare il disprezzo americano che ha accompagnato l’ipotesi “Tobin tax” sostenuta virilmente da Sarkozy all’ultimo G20 e le impotenti lagnanze dell’Europa per lo strapotere non del tutto trasparente dei giudizi di rating, nonché le lamentale off record di Angela Merkel sull’indisponibilità anglosassone a dar seguito ai buoni propositi regolatori della banco finanza internazionale che si sprecarono all’indomani del botto Lehman e che sono poi diventati remote tracce nelle rassegne stampa.

Il punto è quindi tutto in Germania. O la Germania sceglierà il destino che le è stato confezionato da questa presunta strategia o avrà (un improbabile) scatto di resistenza.

Da una parte, il consiglio dei saggi dell’economia tedesca (la consulta economica del governo tedesco è una istituzione che è eletta direttamente dal Presidente della Repubblica) che ha nei giorni scorsi emesso il suo verdetto: tutti i debiti sovrani dell’eurozona che eccedono il 60% di rapporto debito/Pil vanno ammucchiati in un fondo indifferenziato e sostenuti dall’emissione di eurobond garantiti in solido dai singoli stati ognuno in ragione ovviamente della sua percentuale di debito in eccedenza.

Gli eurobond sicuri e garantiti spalmerebbero l’eccesso di debito in 25 – 30 anni, (quello della dilazione temporale è poi ciò che sta facendo la Fed che compra bond del Tesoro Usa a breve per farne riemettere a lungo).

Dall’altra parte la cancelliera tedesca agita lo spettro di una quanto mai improbabile rinegoziazione del Trattato di Maastricht in senso ulteriormente restrittivo e con diritto di invasione di campo nelle economie politiche nazionali da parte degli eurocrati di Francoforte. La Germania però non sembra potersi porre all’altezza dei suoi compiti strategici e probabilmente lascerà fare agli eventi.

Laddove una volontà forte, intenzionata ed organizzata incontra una volontà debole, dubbiosa e con competizione delle sue parti decisionali, l’esito è scontato. Vedremo come finirà.



[1] “sopravvivere” è il termine esatto che fa capire quale sarebbe il desiderio americano, un tramortimento, un depo tenziamento che non faccia tracollare la già più che certa recessione che ci aspetta nel prossimo decennio. Comunque al di là delle parole, nei fatti, l’empatia americana per la crisi europea è tutta in questa magra frase.


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L’uranium, un outil stratégique pour la Mongolie

L’uranium, un outil stratégique pour la Mongolie

par Antoine MAIRE

Ex: http://mbm.hautetfort.com/ 

L’uranium, un outil stratégique pour la Mongolie
 

Les médias ont récemment fait mention de la reprise de l’exploitation de l’uranium en Mongolie à l’horizon 2017[1]. Cet événement est une première étape symbolique de la politique de reprise en main du secteur mise en place à la fin de la décennie 2000. En effet la Mongolie bénéficie depuis le milieu des années 2000 d’un développement minier conséquent qui nourrit la croissance exponentielle du pays. Les gisements géants d’Oyu Tolgoï et de Tavan Tolgoï sont les symboles de ce potentiel minier mais ils ne doivent cependant pas occulter les autres richesses enfouies sous le ciel bleu mongol. L’uranium occupe parmi ces richesses une place importante, d’autant plus qu’il joue aussi un rôle prépondérant dans la politique stratégique mise en place par Oulan-Bator pour tenter d’échapper à ses déterminants historiques.

Secteur de l’uranium en Mongolie

L’une des particularités stratégiques majeures de la Mongolie est son enclavement géographique. Isolé du reste du monde par la Chine et la Russie, le pays du ciel bleu doit par conséquent faire face à une série de dépendances qui viennent mettre à mal l’exercice complet de sa souveraineté. L’affirmation et la pérennisation de l’indépendance du pays sont donc des objectifs essentiels de la politique mongole. Le développement minier et particulièrement la question de l’uranium jouent un rôle stratégique majeur dans cette politique. En effet si le pays n’extrait pour l’heure pas de ce minerai, les explorations qui ont actuellement lieu font d’ores et déjà état de la présence de ressources conséquentes. Il est probable que d’importantes découvertes soient à venir. Quelques cent trente licences d’exploration ont été accordées[2] et les ressources mongoles estimées par l’AIEA dans son dernier livre rouge font déjà état de 49 300 tonnes de réserves ce qui place déjà la Mongolie au quinzième rang mondial. Les autorités mongoles estiment quant à elles que leur pays ne détient pas moins de 10 % des réserves mondiales qu’il reste encore à découvrir. La Mongolie a donc la possibilité de gérer et d’accompagner le développement de l’exploitation d’uranium en tenant compte de ses objectifs stratégiques.

L’exploitation de l’uranium en Mongolie n’est pas un phénomène neuf. La collaboration avec l’Union Soviétique a notamment permis la mise en exploitation de la mine de Dornod entre 1988 et 1995. Cependant, la faiblesse des cours de l’uranium combinée à la fin des subventions étatiques ont entrainé la fermeture et l’abandon du projet en 1995. Le début des années 2000 a quant à lui offert de nouveaux espoirs au secteur avec l’arrivée des investisseurs canadiens Khan Resources et Western Prospectors. Ces développements ne transformèrent pas fondamentalement le secteur mais l’année 2009 marqua un tournant dans la stratégie mongole de gestion de ses ressources en uranium.

Prise de contrôle tactique du secteur

La Mongolie a entrepris de faire du secteur de l’uranium un élément central de sa politique stratégique et de sa politique d’indépendance. La loi sur l’énergie nucléaire adoptée à l’été 2009 fait dans ce cadre figure de décision fondatrice de cette nouvelle approche. Il s’agit notamment de réintégrer le développement du secteur de l’uranium dans le giron de l’État. Pour parvenir à cet objectif, ce minerai a été exclu de la législation minière commune et a été consacré par un statut particulier, symbole de l’importance de ce minerai dans la nouvelle politique mongole. Avec cette décision la Mongolie s’est accordée des prérogatives importantes. Tous les gisements d’uranium sont qualifiés de stratégiques. La loi[3] prévoit par conséquent que l’État doit détenir au moins 34 % du capital de la société avec laquelle il coopère si l’exploration a été effectuée sans fond public. Dans le cas où des fonds publics auraient été utilisés, la participation de l’État doit s’élever au minimum à 51 %. Ces prérogatives importantes permettent à l’État de garder le contrôle sur le développement d’un secteur jugé stratégique pour l’avenir de l’État mongol. De plus il permet à la Mongolie d’avancer une base d’acquis non-négociables lors de la tenue de négociations pour la mise en exploitation d’un gisement. Le fait que cette loi ait été adoptée au cours de l’été 2009, quelques semaines avant la conclusion d’un accord intergouvernemental avec la Russie sur la collaboration dans le domaine de l’uranium et sur la mise en exploitation du gisement de Dornod n’est dans ce cadre sans doute pas innocente.

En effet si les principaux gisements d’uranium connus en Mongolie, à savoir celui de Donrod et de Gurvanbulag ont été attribués respectivement à la Russie et à la Chine, il n’en reste pas moins que ces derniers pourraient être marginalisés par de nouvelles découvertes à court ou moyen terme. Il convient également de souligner la volonté mongole de créer une filière de l’uranium susceptible de créer de la valeur ajoutée et d’éviter ainsi à la Mongolie de devenir un « appendice de matières premières pour les autres pays »[4]. L’idée est de placer le pays sur une niche stratégique et de faire notamment de la Mongolie un fournisseur de combustible nucléaire au reste de l’Asie. Les « troisièmes voisins », notamment le Japon, la Corée du Sud où les États-Unis seraient susceptibles de porter plus facilement ce genre de projet. Les récentes rumeurs de création d’un centre d’enfouissement de déchets nucléaires dans le pays sont un exemple de cet état de fait.

Politique de « troisième voisin » et choix stratégiques mongols

L’idée mongole vise à briser les dépendances traditionnelles qui pèsent sur le pays et sur son processus de prise de décisions. La stratégie mongole d’indépendance est connue sous le nom de « politique de troisième voisin ». Ce concept, élaboré à l’occasion de la visite de D. Rumsfeld en Mongolie en 2005, était d’abord spécifiquement destiné à la puissance américaine. Cependant il est aujourd’hui utilisé par les autorités mongoles dès que l’occasion leur est offerte. Il faut cependant souligner que la « politique de troisième voisin » connut un certain succès dans la mesure où elle fut appliquée au domaine économique, principale source de vulnérabilité du pays du ciel bleu. C’est dans le cadre de cette approche que la politique mongole de l’uranium doit être lue. Il est notamment intéressant de noter que les principaux permis d’exploration n’ont pas été attribués à la Chine ou à la Russie mais à des entreprises issues d’États qui sont considérés par Oulan-Bator comme des « troisième voisins ». L’objectif du gouvernement mongol est ici de diminuer la portée des dépendances à la Russie et à la Chine auxquels le pays fait face dans l’exploitation de ses ressources en charbon et en cuivre. Pour cela la Mongolie cherche à accorder l’exploitation des nouveaux secteurs miniers en développement, et en particulier de celui de l’uranium, à des troisièmes voisins pour faire reculer l’influence de ses deux voisins sur la conduite de son économie.

La Mongolie ne possède pas les capacités technologiques et financières pour procéder à l’exploitation de ses ressources en uranium. Le choix des partenaires avec lesquels le pays du ciel cherche à s’associer est donc un choix stratégique qui engage la sécurité, l’indépendance et la souveraineté de l’État mongol. Des accords ont notamment été trouvés avec la Russie mais aussi avec le Japon, l’Inde, la France et plus récemment avec les Émirats Arabes Unis et la Corée du Sud. Un « accord 123 », de coopération en matière nucléaire serait de plus à l’étude avec les États-Unis Le vice-président de Monatom, entreprise d’état mongole dans le secteur nucléaire, a résumé la situation au mois d’avril dernier en déclarant « Je ne dirais pas que nous ne voulons pas d’eux (Chine et Russie) mais nous souhaitons un équilibre »[5].

La récente annonce d’une reprise de l’exploitation de l’uranium en Mongolie est donc un élément important dans la quête d’indépendance à laquelle fait actuellement face le pays du ciel bleu. Il est symbolique que la reprise des activités d’exploitation soit le fait d’une entreprise, en l’occurrence Areva, qui représente la France, l’un des troisièmes voisins de la Mongolie. Cette annonce contraste avec les difficultés que rencontre le projet russo-mongol pour le gisement de Dornod. Ces dernières sont sans doute le reflet de la volonté d’émancipation des Mongols et de l’attachement de ces derniers à la recherche d’une diversification de leurs partenaires et d’une diminution de la part de leurs voisins dans l’économie nationale[6]. La Mongolie vit aujourd’hui une période cruciale de son histoire et les choix qui sont actuellement faits sont des choix structurants qui engageront le pays et son avenir. La mise sur pieds de cette politique stratégique pour l’uranium est une première étape qui pourrait en préfigurer de prochaines, notamment dans le secteur hautement stratégique qu’est celui des terres rares.

Antoine Maire
Spécialiste de la Mongolie


  1. News.mn, 02/11/2011, “French firm to export processed uranium from Mongolia”, http://english.news.mn/content/85333.shtml.
  2. News.mn, 07/02/2011, “Mongolia has 100 detection of uranium”, http://english.news.mn/content/52897.shtml.
  3. Grand Khural de Mongolie, 15/08/2009, « Nuclear Energy Law », http://www.mongolianminingjournal.com/index.php?pid=1&sec=view&id=282.
  4. Grand Khural de Mongolie, 15/07/2010, « National Security Concept », http://www.mfat.gov.mn/index.php?option=com_content&view=category&id=35&Itemid=54&lang=en.
  5. UB Post, 08/04/2011, « Mongolia’s First Nuclear Power Plant and the Uncertainties that Comes with It », http://interview-yariltslaga.blogspot.com/2011/06/mongolias-first-nuclear-power-plant-and.html.
  6. Le président de Rosatom, entreprise d’État russe dans le domaine nucléaire, déclarait notamment que les retards dans la mise en œuvre du projet russo-mongol pour Dornod étaient dus à aux lenteurs de la partie mongole. Itar-tass, 31/05/2011, « Effecting of RF-Mongolian uranium venture agt delayed – Rosatom. »
 

Ernst Nolte: Späte Reflexionen

 

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Ernst Nolte
SPÄTE REFLEXIONEN
Über den Weltbürgerkrieg des 20. Jahrhunderts

320 Seiten, brosch.
ISBN 978 3 85418 142 3
EUR 24,-- / CHF 36,--

… Wissenschaft entsteht nur aus der Kenntnisnahme der einen so gut wie der anderen Sache(n) und aus dem unvoreingenommenen Abwägen und Erörtern. Wissenschaft kann es nur geben, wenn Tatbestände und Umstände auch dort, wo sie zunächst aus sehr verständlichen, ja edlen Gründen ins Dunkel gerückt wurden, endlich in die Offenheit der wissenschaftlichen Diskussion gestellt werden. Das setzt voraus, daß das „politisch Korrekte“ zwar nicht verworfen oder als solches bekämpft, aber durch Bezugnahmen auf das „Unkorrekte“ wissenschaftsgerecht gemacht wird. Darin besteht das Ziel dieser „späten Reflexionen“, die mein „letztes Wort“ sind … (Ernst Nolte)

Der bekannte Doyen der deutschen Geschichtswissenschaft führt in unsystematisch gefügten Aphorismen und Kurz- Essays durch die Felder seiner Forschungen, in Überlegungen, die auch Entlegeneres streifen, auch Philosophisches und Meta-Historisches. Strittigem geht der Autor nicht aus dem Weg, klärend, nicht polemisch.

Aus dem Inhalt:
Ideologische Hauptmächte des 20. Jahrhunderts – Gedankenexperimente – Weltzivilisation und Nachgeschichte – Annäherungen an die Philosophie – Sexualität – Anthropologie – Aphorismen …

 

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vendredi, 18 novembre 2011

Siria: Porta strategica dell’Occidente per la supremazia militare globale

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Siria: Porta strategica dell’Occidente per la supremazia militare globale

di Rick Rozoff

Fonte: aurorasito

 

La Lega degli Stati Arabi (Lega Araba) ha sospeso la partecipazione della Siria all’organizzazione il 12 novembre, come fece con la Libia il 22 febbraio di quest’anno. Nel caso della Libia, la cui appartenenza è stata reintegrata dopo che la NATO ha bombardato per mettere al potere i suoi ascari, alla fine di agosto, all’epoca gli Stati membri di Algeria e Siria si erano opposti all’azione, ma si piegarono al consenso sotto la pressione da parte di otto paesi arabi governati da famiglie reali – Bahrain, Giordania, Kuwait, Marocco, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, che a tutti gli effetti ora sono la Lega Araba, con gli altri membri formali, sia vittime dei recenti cambi di regime o sia probabilmente oggetto di un simile destino.
Con la replica delle mosse di febbraio, lo scorso fine settimana, Algeria, Libano e Yemen hanno votato contro la sospensione della Siria e l’Iraq si è astenuta attraverso una combinazione di opposizione di principio e d’interesse, essendo le quattro  nazioni, i possibili prossimo stati ad essere sospesi dalle monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti) e della Giordania e del Marocco (questi ultimi due hanno recentemente chiesto di aderire, anche se non si affacciano sul Golfo Persico, e il Marocco è sull’Oceano Atlantico) come l’intesa tra USA-NATO e monarchie arabe dovrebbe richiedere.
Washington sta facendo pressione sul presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh affinché si dimetta, mentre gli si mostra cortesemente la porta di un piano ideato dal Gulf Cooperation Council (GCC), oltre a chiedere lo stesso al presidente siriano Bashar Assad. Il GCC ha schierato truppe in Bahrain a marzo, in quel caso per sostenere il governo, quello della dinastia al-Khalifa.
Qatar ed Emirati Arabi Uniti hanno fornito aerei da guerra alla NATO e armi e personale delle forze speciali al Consiglio nazionale di transizione, per i 230 giorni di blocco e bombardamento della Libia, Marocco e Giordania si unirono ai due paesi del Golfo. al vertice di Parigi del 19 marzo, che lanciò la guerra contro la Libia.
Le quattro nazioni arabe sono strette alleate bilaterali militari del Pentagono, e membri dei programmi di partenariato della NATO, del Dialogo Mediterraneo nel caso della Giordania e del Marocco, dell’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul con il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Giordania e Emirati Arabi Uniti sono ad oggi, le uniche ad aver inviato ufficialmente truppe arabe per contribuire all’International Security Assistance Force in Afghanistan della NATO.
Il 31 ottobre, undici giorni dopo l’assassinio dell’ex capo dello Stato libico Muammar Gheddafi, il Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, è volato a Tripoli e ha offerto i servizi dell0unico blocco militare mondiale alla ricostituzione delle forze militari e di sicurezza interna della nazione martoriata, come la NATO sta facendo in Iraq e in Afghanistan con le missioni di addestramento della NATO – in Afghanistan e in Iraq. Ricostruzione, trasformazione e modernizzazione delle forze armate della Libia, come quelle degli altri due paesi, per raggiungere gli standard e l’interoperabilità della NATO.
Una settimana dopo, Ivo Daalder, da lungo tempo sostenitore e architetto della NATO Globale [1], ora col potere di attuare i suoi piani come ambasciatore dell’amministrazione Obama nell’alleanza militare, ha offerto il complemento inevitabile all’offerta di Rasmussen, ribadendo che “la NATO è pronta, se richiesto dalle nuove autorità libiche, a valutare come poter aiutare le autorità libiche, in particolare nella riforma della difesa e della sicurezza“.
Secondo l’Agence France-Presse “Daalder ha detto anche che la Libia potrebbe rafforzare i suoi legami con l’alleanza transatlantica unendosi al Dialogo Mediterraneo della NATO, una partnership che comprende Marocco, Egitto, Tunisia, Algeria, Mauritania, Giordania e Israele“. (I nuovi regimi in Egitto e Tunisia stanno pienamente onorando i precedenti impegni militari con Stati Uniti e NATO.)
Lo scenario esatto su cui un articolo di Stop NATO mise in guardia il 25 marzo, sei giorni dopo che l’Africa Command degli Stati Uniti ha lanciato l’Operazione ‘Odissea all’Alba’ e l’inizio degli oltre sette mesi di guerra contro la Libia:
Se l’attuale modello libico è duplicato in Siria, come sembra essere sempre più il caso, e con il Libano già bloccato dalle navi da guerra della NATO dal 2006, in quello che è il prototipo di ciò che la NATO  presto replicherà al largo delle coste della Libia, il Mar Mediterraneo sarà interamente sotto il controllo della NATO e del suo membro di spicco, gli Stati Uniti. Cipro è il solo membro dell’Unione unica europea e in effetti l’unica nazione europea (ad eccezione dei microstati) che non è – per ora – membro o partner della NATO, e la Libia è l’unica nazione africana che si affaccia sul Mediterraneo a non  essere un membro del programma di partnership Dialogo del Mediterraneo della NATO“. [2]
Se davvero la Siria diventasse la prossima Libia e un nuovo regime yemenita sarà installato sotto il controllo del Gulf Cooperation Council, le sole nazioni rimanenti nel vasto tratto di territorio conosciuto come Grande Medio Oriente, dalla Mauritania. sulla costa atlantica, al Kazakistan al confine cinese e russo, a non essere legate alla NATO attraverso partnership multinazionali e bilaterali, saranno Libano (vedi sopra), Eritrea, Iran e Sudan.
Gibuti ospita migliaia di soldati degli Stati Uniti e altri stati membri della NATO. La NATO ha trasportato migliaia di truppe ugandesi e burundesi per la guerra per procura nella capitale della Somalia, oltre a stabilire una testa di ponte nella regione del semi-autonomo/autonomo del Puntland, per l’implementazione dell’operazione navale Ocean Shield nel Golfo di Aden. I sei paesi del GCC sono inclusi nell’Iniziativa per la cooperazione della NATO di Istanbul e le ex repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan sono membri del Partenariato per la Pace, il programma utilizzato per assegnare a dodici paesi dell’Europa orientale la piena adesione alla NATO, nel 1999-2009. Armenia, Azerbaigian e Armenia hanno anche singoli Piani d’azione di partenariato con la NATO e la Georgia ha un programma speciale annuale, così come un collegamento con l’Alleanza nella capitale (NATO Contact Point Embassy.) Nel 2006, il Kazakistan è diventata la prima nazione non-europea a beneficiare di un Piano d’azione di partenariato individuale. [3]
La NATO ha anche un ufficio di collegamento in Etiopia che assiste lo sviluppo della componente orientale della Forza di pronto intervento africana, sul modello della NATO Response Force globale.
Con la partnership nel Mediterraneo, Nord Africa e Golfo Persico, in collegamento con quelli dell’Europa centrale e meridionale (la NATO ha truppe nelle basi in Afghanistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) e oltre che con l’India e le dieci nazioni dell’Associazione del Sud-Est asiatico [4], collegandosi con i Paese di Contatto, partner del blocco militare, Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali stanno stringendo una importante cintura, una falange armata della NATO, lungo l’intero emisfero settentrionale. Un’asse militare a guida USA, che nel linguaggio dei leader occidentali usato in tutto il periodo post-guerra fredda, va da Vancouver a Vladivostok (procedendo verso est).
Tre anni fa Malta si unì al Partenariato per la Pace, aggiungendosi così alle basi della NATO in Sardegna, Sicilia, Creta, e alle basi a Cipro della Gran Bretagna, potendone utilizzare le piste per i jet da combattimento, i rifornimenti, i depositi di armi e gli attracchi, quali punti di partenza per l’aggressione militare in Africa e nel Medio Oriente.
Libano, Siria, Cipro e Libia sono gli unici paesi del Mediterraneo che attualmente non sono membri o partner della NATO, e gli Stati Uniti e i loro colleghi della NATO, hanno obiettivi su tutte e quattro. La Libia, unendosi al Dialogo Mediterraneo, completerà la partnership con l’Alleanza in tutto il Nord Africa, dall’Egitto al Marocco, e inserirà la sua marina, ricostruita e reclutata dagli occidentali, nelle operazioni di sorveglianza marittima della NATO Active Endeavor e alle attività di interdizione per tutto il Mar Mediterraneo, operazione ora nel suo undicesimo anno.
Il governo della Siria non è il solo, ma è il principale e solo alleato affidabile dell’Iran, tra gli attori statali nel mondo arabo. La città portuale siriana di Tartus ospita la solo base navale della Russia nel Mediterraneo. Il cambio di regime a Damasco, se effettuata, spodesterà le marine russe e iraniane dal mare, eliminando le sole strutture di attracco amichevoli.
Le conseguenze dell’installazione di un governo filo-occidentale in Siria inciderebbero anche sul vicino Libano, dove Israele e i suoi protettori occidentali avrebbero mano libera per attaccare Hezbollah e le milizie del Partito Comunista, nel sud della nazione, e insieme con gli sforzi degli Stati Uniti per tacitare la sconfitta militare dello Stato. nel corso degli ultimi cinque anni, eliminando ogni opposizione al controllo occidentale del paese, militare e politico.
Ad agosto, il presidente palestinese Mahmoud Abbas fece una visita al Congresso USA affinchè “la sicurezza del futuro Stato palestinese sia consegnato alla NATO, sotto il comando americano“, secondo un aiutante citato dall’agenzia di stampa Ma’an. [5]
Poteva ben vedere la NATO e le truppe statunitensi di stanza nella sua nazione, ma non nei termini da lui voluti.
Nulla avviene isolatamente, e sicuramente non nell’età delle potenze occidentali, che impiegano espressioni come unica superpotenza militare al mondo e Global NATO, e portando avanti i progetti per la loro realizzazione. La Siria non fa eccezione.

 

Note
1) 21st Century Strategy: Militarized Europe, Globalized NATO, Stop NATO, 26 Febbraio 2010

West Plots To Supplant United Nations With Global NATO, Stop NATO, 27 maggio 2009
2) Libyan War And Control Of The Mediterranean, Stop NATO, 25 marzo 2011
3) Kazakhstan: US, NATO Seek Military Outpost Between Russia And China, Stop NATO, 14 Aprile 2010
4) India: US Completes Global Military Structure, Stop NATO, 10 settembre 2010 

Southeast Asia: US Completing Asian NATO To Confront China, Stop NATO, 6 Novembre 2011
5) Abbas tells US lawmakers: NATO role in Palestinian state, Ma’an News Agency, 12 Agosto 2011

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 


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Lutte de classe et électoralisme
 

ÉVÉNEMENT

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PHILOSOPHIE

Qu’est-ce qu’un bon stratège? Une étude comparée des mentalités Chinoises et Occidentales

 

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Crise du futurisme en Euro-Occident

Crise du futurisme en Euro-Occident

Diagnostic de deux intellectuels européens : Peter Sloterdijk et Slavoj Zizek

Ex: http://www.metamag.fr/

La mèche a certes été allumée de longue date aux Etats Unis avec la dérégulation monétaire (extinction des accords de Bretton Wood) unilatéralement décidée par les Américains en 1971, la dérégulation commerciale préparée par le GATT en 1945 qui a engendré l’OMC, puis la dérégulation financière en 1999. N’empêche, si la crise de l’endettement qui ébranle tous les Etats d’Europe a connu une telle virulence, c’est parce que, sous la conduite d’élites indignes, la flamme a été alimentée par notre aveuglement, notre paresse et notre soif inextinguible de jouissance qui ont aboli toutes les règles, fait sauter toutes les sécurités. A la place, un vaste no mans land parcouru d’individus sans foi, ni loi, aux vécus et aux horizons disparates ou amnésiques, angoissés ou cyniques.

Au printemps dernier, le quotidien Le Monde a invité deux philosophes –l’allemand Peter Sloterdijk (Nietzsche et Heidegger) et le slovène Slavoj Zizek (Jacques Rancière, Etienne Balibar, Gilles Deleuze ou encore Alain Badiou)- à se pencher et échanger sur cet état d’apesanteur déliquescent où gît ce que certains appellent l’Europe, d’autres l’Occident. L’Euro-occident.
Metamag

Nicolas Truong-Le Monde: Pour la première fois depuis 1945, l'idée d'avenir est en crise en Europe. Et l'Occident peine à croire au progrès, à l'image de ces nouvelles générations qui n'imaginent plus qu'elles vivront mieux que celles de leurs aînés. Désaffection politique, crise économique ou crispation identitaire : comment caractériser le moment que nous traversons ? Et peut-on, selon vous, parler d'une crise de civilisation ?

Peter Sloterdijk: Que voulons-nous dire, lorsque nous employons le terme de "civilisation occidentale", dans laquelle nous vivons depuis le XVIIe siècle ? A mon avis, nous parlons d'une forme de monde créé sur l'idée de la sortie de l'ère du passéisme. La primauté du passé a été rompue ; l'humanité occidentale a inventé une forme de vie inouïe fondée par l'anticipation de l'avenir. Cela signifie que nous vivons dans un monde qui se "futurise" de plus en plus. Je crois donc que le sens profond de notre "être-dans-le-monde" réside dans le futurisme, qu'il est le trait fondamental de notre façon d'exister.



La primauté de l'avenir date de l'époque où l'Occident a inventé ce nouvel art de faire des promesses, à partir de la Renaissance, au moment où le crédit est entré dans la vie des Européens. Pendant l'Antiquité et le Moyen Age, le crédit ne jouait presque aucun rôle parce qu'il était entre les mains des usuriers, condamnés par l'Eglise. Tandis que le crédit moderne, lui, ouvre un avenir. Pour la première fois, les promesses de remboursements peuvent être remplies ou tenues. La crise de civilisation réside en ceci: nous sommes entrés dans une époque où la capacité du crédit d'ouvrir un avenir tenable est de plus en plus bloquée, parce qu'aujourd'hui on prend des crédits pour rembourser d'autres crédits.

Autrement dit, le "créditisme" est entré dans une crise finale. On a accumulé tant de dettes que la promesse du remboursement sur laquelle repose le sérieux de notre construction du monde ne peut pas être tenue. Demandez à un Américain comment il envisage le remboursement des dettes accumulées par le gouvernement fédéral. Sa réponse sera surement: "personne ne le sait", et je crois que ce non-savoir est le noyau dur de notre crise. Personne sur cette Terre ne sait comment rembourser la dette collective. L'avenir de notre civilisation se heurte à un mur de dettes.

Slavoj Zizek: J'adhère pleinement à cette idée d'une crise du "futurisme" et de la logique de crédit. Mais prenons la crise économique dite des subprimes de 2008: tout le monde sait qu'il est impossible de rembourser ces crédits hypothécaires, mais chacun se comporte comme s'il en était capable. J'appelle cela, dans mon jargon psychanalytique, un désaveu fétichiste: "Je sais bien que c'est impossible, mais quand même, je vais essayer…" On sait très bien qu'on ne peut pas le faire, mais on agit en pratique comme si on pouvait le faire. Cependant, j'emploierais le terme "futur" pour désigner ce que Peter Sloterdijk appelle le "créditisme". Le terme "avenir", d'ailleurs, me semble plus ouvert. La formule "no future" est pessimiste mais le mot "avenir" est plus optimisme. Et je ne cherche pas, ici, à relancer le communisme de Marx qui s'apparente, en effet, à un créditisme démesuré.



Afin de caractériser notre situation, économique et politique, idéologique et spirituelle, je ne peux que rappeler une histoire probablement apocryphe. Il s'agit d'un échange de télégrammes entre les états-majors allemand et autrichien pendant la Grande Guerre. Les Allemands avaient envoyé un télégramme aux Autrichiens en leur disant: "Chez nous, la situation sur le front est sérieuse mais pas catastrophique", et les Autrichiens avaient répondu: "Chez nous la situation est catastrophique mais pas sérieuse" ! Et c'est cela le catastrophique: on ne peut pas payer ses dettes, mais, d'une certaine façon, on ne prend pas ça au sérieux. Outre ce mur de dettes, l'époque actuelle s'approche d'une sorte de "degré zéro".

Premièrement, l'immense crise écologique nous impose de ne pas continuer dans cette voie politico-économique. Deuxièmement, le capitalisme, à l'image de la Chine, n'est désormais plus naturellement associé à la démocratie parlementaire. Troisièmement, la révolution biogénétique nous impose d'inventer une autre biopolitique. Quant aux divisions sociales mondiales, elles créent les conditions d'explosions et d'émeutes populaires sans précédent…

Pour une nouvelle logique de la discrétion, de la distance, voire de l'ignorance

Le Monde : L'idée de collectif est également touchée par la crise. Comment, à l'heure de l'individualisme débridé, redonner sens au "commun"?


Slavoj Zizek : Même si nous devons rejeter le communautarisme naïf, l'homogénéisation des cultures, tout comme ce multiculturalisme qui est devenu l'idéologie du nouvel esprit du capitalisme, nous devons faire dialoguer les civilisations et les individus singuliers. Au niveau des particuliers, il faut une nouvelle logique de la discrétion, de la distance, voire de l'ignorance. Alors que la promiscuité est devenue totale, c'est une nécessité vitale, un point crucial.

Au niveau collectif, il faut en effet inventer une autre façon d'articuler le commun. Or, le multiculturalisme est une fausse réponse au problème, d'une part parce qu'il est une sorte de racisme désavoué, qui respecte l'identité de l'autre mais l'enferme dans son particularisme. C'est une sorte de néocolonialisme qui, à l'inverse du colonialisme classique, "respecte" les communautés, mais du point de vue de sa posture d'universalité. D'autre part, la tolérance multiculturelle est un leurre qui dépolitise le débat public, renvoyant les questions sociales aux questions raciales, les questions économiques aux considérations ethniques.

Il y a aussi beaucoup d'angélisme dans cette posture de la gauche postmoderne. Ainsi le bouddhisme, par exemple, peut-il servir et légitimer un militarisme extrême: dans les années 1930-1940, l'établissement du bouddhisme zen n'a pas seulement soutenu la domination de l'impérialisme japonais, mais l'a même légitimé. J'utilise volontiers le mot de "communisme", car mes problèmes, en réalité, sont ceux des biens "communs", comme la biogénétique et l'écologie.

Peter Sloterdijk : Il faut retrouver la véritable problématique de notre ère. Le souvenir du communisme et de cette grande expérience tragique de la politique du XXe siècle nous rappelle qu'il n'y a de solution idéologique dogmatique et automatique. Le problème du XXIe est celui de la coexistence au sein d'une "humanité" devenue une réalité physiquement. Il ne s'agit plus de "l'universalisme abstrait" des Lumières, mais de l'universalité réelle d'un collectif monstrueux qui commence à être une communauté de circulation réelle avec des chances de rencontres permanentes et des chances de collisions élargies.

La question du lien social au sein d'une trop grande société

Nous sommes devenus comme des particules dans un gaz, sous pression. La question est désormais celle du lien social au sein d'une trop grande société; et je crois que l'héritage des prétendues religions est important, parce qu'elles sont les premières tentatives de synthèses méta-nationales et méta-ethniques.

Le sangha bouddhiste était un vaisseau spatial, où tous les déserteurs de toutes les ethnies pouvaient se réfugier. De la même manière, on pourrait décrire la chrétienté, sorte de synthèse sociale qui transcende la dynamique des ethnies fermées et les divisions des sociétés de classes. Le dialogue des religions à notre époque n'est rien d'autre que le reformatage du problème du "communisme".

La réunion qui a eu lieu à Chicago en 1900, le congrès des religions mondiales, était une façon de poser la question de notre actualité à travers ces fragments, ces représentants de n'importe quelle provenance, les membres de la famille humaine qui s'étaient perdus de vue après l'exode africain… A l'âge du rassemblement, il faut poser et reformater tout ce qu'on a pensé jusqu'ici sur le lien de coexistence d'une humanité débordante. C'est pour cela que j'emploie le terme de "co-immunisme"

Toutes les associations sociales de l'histoire sont en effet des structures de co-immunité. Le choix de ce concept rappelle l'héritage communiste. Dans mon analyse, le communisme remonte à Rousseau et à son idée de "religion de l'homme". C'est un concept immanent, c'est un communautarisme à l'échelle globale. On ne peut pas échapper à la nouvelle situation mondiale. Dans mon livre, la déesse ou entité divine qui apparaît dans les dernières pages, c'est la crise: elle est la seule instance qui possède assez d'autorité pour nous pousser à changer notre vie. Notre point de départ est une évidence écrasante: on ne peut pas continuer comme ça.

Slavoj Zizek : Mon idée ne consiste pas tant à chercher un "co-immunisme" qu'à revivifier l'idée d'un véritable communisme. Mais rassurez-vous, il s'agit plutôt de celui de Kafka que celui de Staline, davantage celui de d'Erik Satie que celui de Lénine! En effet, dans son dernier récit, Joséphine la cantatrice ou le peuple des souris, dessine l'utopie d'une société égalitaire, un monde où les artistes, comme cette cantatrice Joséphine, dont le chant rassemble, subjugue et méduse les foules, et qui est célébrée sans pour autant obtenir d'avantages matériels.


Une société de reconnaissance qui maintient le rituel, revivifie les fêtes de la communauté, mais sans hiérarchie ni grégarité. Idem pour Erik Satie. Tout pourtant, semble éloigner de la politique le fameux auteur des « Gymnopédies », qui déclarait composer une "musique d'ameublement", une musique d'ambiance ou de fond. Et pourtant, il fut membre du Parti communiste. Mais loin d'écrire des chants de propagande, il donnait à écouter une sorte d'intimité collective, à l'exact opposée de la musique d'ascenseur. Et c'est cela mon idée du communisme.

Le Monde : Pour sortir de cette crise, Peter Sloterdijk, vous optez sur la réactivation des exercices spirituels individuels alors que vous, Slavoj Zizek, insistez sur les mobilisations politiques collectives ainsi sur la réactivation de la force émancipatrice du christianisme. Pourquoi de telles divergences ?

Peter Sloterdijk : Je propose d'introduire le pragmatisme dans l'étude des prétendues religions; cette dimension pragmatique vous oblige à regarder de plus près ce que font les religieux, à savoir des pratiques intérieures et extérieures, que l'on peut décrire comme des exercices qui forment une structure de personnalité. Ce que j'appelle le sujet principal de la philosophie et de la psychologie, c'est le porteur des séries d'exercices qui composent la personnalité. Et quelques-unes des séries d'exercices qui constituent la personnalité peuvent être décrites comme religieuses.

Mais qu'est-ce que ça veut dire ? On fait des mouvements mentaux pour communiquer avec un partenaire invisible, ce sont des choses absolument concrètes que l'on peut décrire, il n'y a rien de mystérieux en tout cela. Je crois que jusqu'à nouvel ordre, le terme "système d'exercices" est mille fois plus opératoire que le terme de "religion" qui renvoie à la bigoterie d'Etat des Romains. Il ne faut pas oublier que l'utilisation des termes "religion", "piété" ou "fidélité" était chez les Romains réservée aux épithètes que portaient les légions romaines stationnées dans la vallée du Rhin et partout ailleurs.

Le plus grand privilège d'une légion était de porter les épithètes pia fedilis, parce que cela exprimait une loyauté particulière à l'empereur à Rome. Je crois que les Européens ont tout simplement oublié ce que "religio" veut dire. Le mot, signifie littéralement "diligence". Cicéron en a donné la bonne étymologie : lire, legere, religere, c'est-à-dire étudier attentivement le protocole pour régler la communication avec les êtres supérieurs. C'est donc une sorte de diligence, ou dans ma terminologie, un code d'entraînement. Pour cette raison je crois que "le retour du religieux" ne serait efficace que s'il pouvait conduire à des pratiques d'exercices intensifiés.

En revanche, nos "nouveaux religieux" ne sont que des rêveurs paresseux la plupart du temps. Mais au XXe siècle, le sport a pris le dessus dans la civilisation occidentale. Ce n'est pas la religion qui est revenue, c'est le sport qui est réapparu, après avoir été oublié pendant presque 1 500 ans. Ce n'est pas le fidéisme, mais l'athlétisme qui a occupé le devant de la scène. Pierre de Coubertin voulait créer une religion du muscle au tournant du XXe siècle. Il a échoué comme fondateur d'une religion, mais il a triomphé comme créateur d'un nouveau système d'exercices.

Slavoj Zizek : Considérer la religion comme ensemble de pratiques corporelles, cela existait déjà chez les avant-gardes russes. Le réalisateur soviétique Sergueï Eisenstein (1898-1948) a écrit un très beau texte sur le jésuite Ignace de Loyola (1491-1556), pour qui il s'agissait d'oublier Dieu, sinon comme quelqu'un qui a mis en place certains exercices spirituels. Ma thèse du retour au christianisme est très paradoxale : je crois que ce n'est qu'à travers le christianisme que l'on peut véritablement se sentir vraiment athée.

Si vous considérez les grands athéismes du XXe siècle, il s'agit en réalité d'une tout autre logique, celle d'un "créditisme" théologique. Le physicien danois Niels Bohr (1885-1962), l'un des fondateurs de la mécanique quantique, a été visité par un ami dans sa datcha. Mais celui-ci hésitait à passer la porte de sa maison à cause d'un fer de cheval qui y était cloué – une superstition pour empêcher les mauvais esprits d'entrer. Et l'ami dit à Bohr : "Tu es un scientifique de premier rang, alors comment peux-tu croire à ses superstitions populaires?" "Je n'y crois pas !", répondit Niels Bohr. "Mais pourquoi laisses-tu donc ce fer à cheval, alors", insista l'ami. Et Niels Bohr eut cette très belle réponse: "Quelqu'un m'a dit que ça fonctionne, même si on n'y croit pas !" Ce serait une assez bonne image de notre idéologie actuelle.

Je crois que la mort du Christ sur la croix signifie la mort de Dieu, et qu'il n'est plus le Grand Autre qui tire les ficelles. La seule façon d'être croyant, après la mort du Christ, est de participer à des liens collectifs égalitaires. Le christianisme peut être entendu comme une religion d'accompagnement de l'ordre existant ou une religion qui dit "non" et aider à y résister. Je crois que le christianisme et le marxisme doivent combattre ensemble le déferlement des nouvelles spiritualités ainsi que la grégarité capitaliste. Je défends une religion sans Dieu, un communisme sans maître.

Peter Sloterdijk : Admettons que nous soyons dans la séance de clôture du concile du Nicée et que l'un des archevêques pose la question dans la réunion: faut-il mettre à l'index notre frère Slavoj Zizek ? Je crois que la grande majorité voterait l'anathème, car il commet ce que les anciens appelaient une "hérésie". Slavoj Zizek assume une attitude sélective par rapport à la vérité entière : hérésie signifie sélection. Et la sélection dans ce cas précis, c'est d'omettre la suite de l'histoire biblique, qui parle de résurrection après la mort du Christ. Mais si l'on omet la résurrection, on oublie l'essentiel parce que le message du christianisme c'est que la mort ne nous menace plus.

Le succès mondial du christianisme ne reposait pas seulement sur le message de l'amour universel mais surtout sur la neutralisation des menaces que faisait peser la mort sur chaque conscience. Sans omettre la phobocratie païenne : Tous les empires sont fondés sur le pouvoir de la peur. On peut raconter l'histoire comme Slavoj Zizek l'a fait, mais il faut ajouter une deuxième dimension libératrice : sans rupture avec la phobocratie, il n'y a pas de liberté, ni chrétienne ni athée. Sinon, on ne fait que changer de seigneur ; Jupiter ou le Christ, ça ne fait aucune différence tant que les deux divinités demeurent des puissances phobocrates.

Malheureusement, le christianisme est devenu la phobocratie la plus terrible de toute l'histoire des religions, surtout grâce à Augustin qui, avec sa théorie de la prédestination, a créé un véritable réacteur de peurs, que la philosophie des Lumières a heureusement interrompu. Même dans l'aventure communisme, la phobocratie chrétienne a persisté sous la forme du terrorisme d'Etat !

Et ce n'est pas terminé. La phobocratie musulmane n'est pas prêt de s'arrêter. Pour tous ceux qui cherchent une sortie de l'univers concentrationnaire des phobocraties classiques, il faut reconstruire la dimension émancipatrice d'un christianisme éclairé. Et j'accepte volontiers une reconstruction athée, à condition de mettre l'accent sur la suppression de l'élément phobocrate de l'ancien paganisme.

Le Monde : Le moment historique que nous traversons semble être marqué par la colère. Une indignation culmine dans le mot d'ordre "Dégage!" des révolutions arabes ou des protestations démocratiques espagnoles. Or, à croire Slavoj Zizek, vous êtes trop sévère, Peter Sloterdijk, à l'égard des mouvements sociaux qui proviendrait selon vous du ressentiment.

Imaginer une nouvelle gauche au-delà du ressentiment

Peter Sloterdijk : Il faut distinguer la colère et le ressentiment. A mon avis, il y a toute une gamme d'émotions qui appartiennent au régime du thymos, c'est-à-dire au régime de la fierté. Il existe une sorte de fierté primordiale, irréductible, qui est au plus profond de notre être. Sur cette gamme thymotique s'exprime la jovialité, contemplation bienveillante de tout ce qui existe. Ici, le champ psychique ne connaît pas de trouble. On descend un peu dans l'échelle des valeurs, c'est la fierté de soi.

On descend encore un peu, c'est la vexation de cette fierté qui provoque la colère. Si la colère ne peut pas s'exprimer, condamnée à attendre, pour s'exprimer plus tard et ailleurs, cela conduit au ressentiment, et ainsi de suite jusqu'à la haine destructrice qui veut anéantir l'objet d'où est sortie l'humiliation. N'oublions pas que la bonne colère, selon Aristote, c'est le sentiment qui accompagne le désir de justice. Une justice qui ne connaît pas la colère reste une velléité impuissante. Les courants socialistes du XIXe et XXe siècle ont créé des points de collecte de la colère collective, sans doute quelque chose de juste et d'important. Mais trop d'individus et trop d'organisations de la gauche traditionnelle ont glissé vers le ressentiment. D'où l'urgence à penser et imaginer une nouvelle gauche au-delà du ressentiment.

Slavoj Zizek : Ce qui satisfait la conscience dans le ressentiment, c'est plus de nuire à l'autre et de détruire l'obstacle que de profiter de moi-même. Nous, slovènes, sommes comme ça par nature. Vous connaissez la légende où un ange apparaît à un paysan et lui demande: "Veux-tu que je te donne une vache? Mais attention, je vais aussi donner deux vaches à ton voisin !" Et le paysan slovène dit: "Bien sûr que non !" Mais pour moi, le ressentiment, ce n'est jamais vraiment l'attitude des pauvres. Plutôt l'attitude du pauvre maître, comme Nietzsche l'a très bien analysée. C'est la morale des "esclaves".

Seulement, il s'est un peu trompé du point de vue social: ce n'est pas l'esclave véritable, c'est l'esclave qui, comme le Figaro de Beaumarchais, veut remplacer le maître. Dans le capitalisme, je crois qu'il y a une combinaison très spécifique entre l'aspect thymotique et l'aspect érotique. C'est-à-dire que l'érotisme capitaliste est médiatisé par rapport à un mauvais thymotisme, qui engendre le ressentiment. Je suis d'accord avec Peter Sloterdijk : au fond le plus compliqué c'est de savoir comment penser l'acte de donner, au-delà de l'échange, au-delà du ressentiment.

Je ne crois pas vraiment dans l'efficacité de ces exercices spirituels que propose Peter Sloterdijk. Je suis trop pessimiste, pour cela. A ces pratiques auto-disciplinaires, comme chez les sportifs, je veux y ajouter une hétérotopie sociale. C'est pourquoi j'ai écrit le chapitre final de « Vivre la fin des temps » où j'entrevois un espace utopique communiste, en me référant à ces œuvres qui donnent à voir et à entendre ce que l'on pourrait appeler une intimité collective. Je m'inspire aussi de ces films de science-fiction utopiques, où il y a des héros errants et des types névrosés rejetés qui forment de véritables collectivités. Des parcours individuels peuvent aussi nous guider.

Ainsi, on oublie souvent que Victor Kravtchenko (1905-1966), le dignitaire soviétique qui dénonça très tôt les horreurs du stalinisme dans J'ai choisi la liberté et qui fut ignoblement attaqué par les intellectuels pro-soviétiques, écrivit une suite, intitulée « J'ai choisi la justice », alors qu'il luttait en Bolivie et organisait un système de production agraire plus équitable. Il faut suivre et encourager les nouveaux Kravtchenko qui émergent de partout aujourd'hui, de l'Amérique du Sud aux rivages de la Méditerranée.

Peter Sloterdijk : Je pense que vous êtes victime de l'évolution psycho-politique des pays de l'Est. En Russie, par exemple, chacun porte en soi un siècle entier de catastrophe politique et personnelle sur ses épaules. Les peuples de l'Est expriment cette tragédie du communisme et n'en sortent pas. Tout cela forme une espèce de boucle de désespoir autogène. Je suis pessimiste par nature, mais la vie a réfuté mon pessimisme originel. Je suis donc pour ainsi dire un apprenti-optimiste. Et là je pense que nous sommes assez proches l'un de l'autre parce que nous avons parcouru des biographies parallèles dans un certain sens à partir de points de départ radicalement différents, tout en lisant les mêmes livres.

Le Monde : Juste un mot sur l'affaire Dominique Strauss-Kahn. S'agit-il d'une simple affaire de mœurs ou bien du symptôme d'un malaise plus important?

Peter Sloterdijk : Indéniablement, il s'agit d'une affaire planétaire qui dépasse le simple fait divers. Dominique Strauss-Kahn est peut-être innocent. Mais cette histoire révèle que le pouvoir exorbitant détenu par un individu peut créer une sorte de religion des puissants que je qualifierais de panthéisme sexuel. Nous croyions en avoir terminé avec les rois soleil. Mais, curieusement, le XXIe siècle multiplie par dix mille ces hommes de pouvoir qui s'imaginent que tous les objets de leur désir peuvent être pénétrés par leur rayonnement.

Slavoj Zizek : Le seul aspect intéressant de l'affaire DSK, c'est la rumeur selon laquelle ses amis auraient approché la famille de la victime supposée en Guinée, offrant une somme exorbitante d'argent si Nafissatou Diallo retirait sa plainte. Si cela est vrai, quel dilemme ! Faut-il choisir la dignité ou l'argent qui peut sauver la vie d'une famille, en lui donnant la possibilité de vivre dans la prospérité ? C'est cela, qui résumerait la véritable perversion morale de notre temps.

Titres sous-titres et inter sont de la rédaction
Propos recueillis par Nicolas Truong
Article paru dans l'édition du 28.05.11 http://www.lemonde.fr/idees

Zeitenthobenheit und Raumschwund

Zeitenthobenheit und Raumschwund

Ästhetik der Entschleunigung

Ernst Jünger hat ein umfängliches Reisewerk hinterlassen. Im Laufe seines Lebens unternahm er mehr als 80 Reisen, etliche auch an exotische Orte in Übersee. Ausgehend von größtenteils unbekannten Dokumenten des Nachlasses – authentischen Reisenotizen und unveröffentlichten Briefen –, fügt Weber der Biografie dieses Jahrhundertmenschen das bislang ungeschriebene Kapitel eines intensiven Reiselebens hinzu.

Jünger reflektierte die Moderne als Beschleunigungsgeschichte und dokumentierte die um (Selbst-)Bewahrung bemühten Versuche, die katastrophalen Umbrüche, den permanenten Wandel des 20. Jahrhunderts literarisch zu bewältigen. Ernst Jüngers ›Ästhetik der Entschleunigung‹ liefert damit nicht nur eine Ästhetik des Tourismus und der literarischen Moderne, sondern hält auch Verhaltensregeln für eine Epoche bereit, in der das Zeit-für-sich-haben immer weniger möglich erscheint.

Jan Robert WEBER

Ästhetik der Entschleunigung
Ernst Jüngers Reisetagebücher
(1934 - 1960)
525 Seiten, gebunden mit Schutzumschlag
ISBN 978-3-88221-558-8
€ 39,90 / CHF 53,90

jeudi, 17 novembre 2011

China: Von der Boom-Region zum Epizentrum einer neuen Wirtschaftskrise?

China: Von der Boom-Region zum Epizentrum einer neuen Wirtschaftskrise?

Michael Brückner

In China geht die Angst vor einem Mega-Crash um. Während die Europäer in Peking noch um Geld für die Pleitestaaten der Eurozone betteln, scheint sich die US-Subprime-Krise nun im Land der Mitte zu wiederholen. Eine platzende Immobilienblase, hohe Preissteigerungen, völlig undurchsichtige Kreditrisiken und eine Wirtschafts-Elite, die dem Land den Rücken kehrt – die Boom-Region könnte schon sehr bald zum Epizentrum einer neuen Weltwirtschaftskrise werden.

 

 

Wenn eine im Umgang mit Geld eher sorglose Familie in wirtschaftliche Probleme gerät, ruhen die Augen oft auf dem reichen Onkel, der selbstlos in die Tasche greifen und der lieben Verwandtschaft aus der finanziellen Misere helfen soll. Was aber, wenn der vermeintlich reiche Onkel selbst in der finanziellen Klemme steckt? Dieser Vergleich liegt nahe, wenn man das aktuelle Verhältnis von Europa zu China analysiert. Klamme Euro-Länder hoffen auf bestens dotierte chinesische Staatsfonds, die kräftig in die Schuldverschreibungen der Pleitekandidaten investieren. Auch der IWF antichambriert in Peking. Doch während die Europäer noch immer auf die Hilfe durch den »reichen Onkel« aus dem Fernen Osten warten, kommen von dort beunruhigende Nachrichten. Im gefeierten Boom-Land China droht eine gigantische Blase zu platzen – mit unabsehbaren Folgen für die Weltwirtschaft.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/michael-brueckner/china-von-der-boom-region-zum-epizentrum-einer-neuen-wirtschaftskrise-.html

Serbes du Kosovo: un passeport russe pour se protéger

Serbes du Kosovo: un passeport russe pour se protéger
 
Russian_passport.jpgLes Serbes du Kosovo ont transmis à l'Ambassade de Russie à Belgrade une pétition afin de recevoir un passeport russe. Selon l'organisation «La Vieille Serbie», cela serait le seul moyen de se protéger contre les pressions dont ils sont victimes.
Plus de 20.000 Serbes du Kosovo demandent la nationalité russe. Une collecte de signatures a commencé il y a quelque mois à l’initiative de l’association «La Vieille Serbie» basée dans l’enclave serbe de Gracanica. La semaine dernière, la pétition a été remise à l’ambassade de la Fédération de Russie à Belgrade.
 
Obtenir la protection de la «mère Russie»
 
«Le message est que les citoyens serbes demandent la protection de la «mère Russie», comme ils l’appelent depuis toujours. Ils ont le sentiment que rien ne garantie leur sécurité et espèrent pouvoir ainsi des conditions de vie meilleures. Le document est avant tout l’expression de la volonté des serbes du Kosovo, qui sont toujours dans situation très difficile, et d’une partie des serbes qui ont dû quitter leurs foyers et résident maintenant dans d’autres régions de Serbie. La pétition s’adresse notamment au président russe, au premier ministre, à la Douma d’état et à sa Sainteté le Patriarche de Moscou et de toutes les Russies. Le message s’adresse du reste au peuple russe tout entier. L’ambassade joue le rôle de médiateur et se conformera à la procédure habituelle. Le document est en train d’être traduit, ensuite l'original et la traduction seront expédiés aux différents destinataires. Ils seront étudiés et leurs destinataires prendront les décisions et formuleront les propositions et les suggestions qui s’imposent», dit le conseiller de l’ambassade de Russie, Oleg Bouldakov.
 
Trois serbes tués au Kosovo
 
Certains médias serbes se sont déjà empressés de qualifier l’iniative des serbes du Kosovo de «slavophilie creuse» mais il est facile de comprendre les préoccupations de la minorité serbe.
 
En effet, trois Serbes ont été tués au Kosovo depuis un mois mais ni les structures internationales ni, à plus forte raison, la police du Kosovo qui est constituée en majeure partie d’Albanais, ne donnent de suites au dossier. Montés sur les barricades, les serbes du Kosovo protestent depuis plusieurs mois contre l’établissement de l’état autoproclamé dans le nord de la région. Mieux encore, les militaires de l’OTAN ont déjà eu recours aux gaz lacrymogènes et aux armes à feu pour «pacifier» la situation.
 
Une forte pression occidentale pèse sur la Serbie
 
Le vice-président de l’Association «La Vieille Serbie» Zlatobor Dordevic a expliqué à la Voix de la Russie ce qu’espéraient les Serbes du Kosovo en soumettant cette pétition à l’ambassade de Russie.
 
«Si nous recevons la nationalité russe, les états occidentaux n’oseront plus faire ce qu’ils font actuellement au Kosovo. La Serbie est un petit état qui ne peut pas résister à leurs pressions. Du moment que nous sommes titulaires d'un passeport russe, nous pouvons compter sur la protection de Moscou».
«Nous savons que l’acquisition de la nationalité russe est une procédure longue et complexe. Mais nous attendrons en espérant qu’on nous vienne en aide et qu’une législation spéciale soit introduite pour les serbes du Kosovo et Métochie (partie sud du Kosovo). Nous espérons que les dirigeants russes nous aideront à accéder à la nationalité sans avoir à passer par les procédures complexes.
 
Si les Serbes du Kosovo demandent la double nationalité, ce n’est pas pour quitter leur pays mais parce que la situation dans la région est imprévisible. Les serbes du Kosovo doivent faire face à des pressions énormes, surtout de la part des contingents américains et allemands de la KFOR. Cela vient notamment du fait que l’Allemagne sait parfaitement de quelles ressources naturelles recèle le petit Kosovo, surtout sa partie nord, peuplée de Serbes. Nous voudrions rester chez nous mais nous sommes littéralement contraints de nous exiler. Si l’Occident obtient gain de cause, nous serons obligés de nous installer dans les régions centrales de Serbie et peut-être même en Russie si la situation devient intenable ».
 
Selon Zlatibor Dordevic, de plus en plus de Serbes du Kosovo et Métochie se joignent à l’action après la soumission de la demande de nationalité à l’ambassade de Russie.

Italie et Grèce : Laboratoires de l’Europe de demain

Italie et Grèce : Laboratoires de l’Europe de demain

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

La crise européenne nuit non seulement aux finances publiques, mais à la réflexion car à lire les commentateurs français ou même italiens, il est surprenant de voir comment les marches financiers sont érigés désormais en juge de paix.

« Le Monde » présente comme une bonne nouvelle l’éviction de Silvio Berlusconi, se réjouissant de l’austérité à venir comme si l’époque précédente avait été marquée par une générosité sans nom pour les citoyens de l’Europe. Alessandro Penati dans « La Repubblica » explique que le paquet de mesures du bon docteur Monti doit être appliqué sans plus tarder pour retrouver la confiance des investisseurs internationaux. Soudain les marchés sont érigés en acteurs rationnels, désireux d’une seule chose : la croissance et le plein emploi pour tous. Nous croyons rêver, ou plutôt cauchemarder.

Nous savons tous que les marchés obéissent à une logique d’opinion, et que les fondamentaux des entreprises ou des économies n’entrent rien dans leurs considérations. Comme croire que la 8ème puissance mondiale est une puissance au bord de la faillite et qui aurait perdu toute capacité industrielle. Les performances de l’Italie restent nombreuses. Nous ne pouvons qu’être stupéfaits par des affirmations qui se lamentent de la faible croissance des pays sans tenir compte d’un environnement dans lequel cette croissance se déroule.

Demain, tant que le chômage de masse, les inégalités, n’auront pas trouvé de réponse satisfaisante, tant que la concurrence fiscale et sociale se poursuivra , tant que l’Europe sera incapable d’apporter des réponses sérieuses à la désindustrialisation, tant que la politique de change sera aux abonnés absents, tant que les dépenses de recherche et développement resteront si faibles, tant que les stratégies non coopératives comme la désinflation à l’allemande seront à la mode, aucune cure d’austérité ne répondra aux défis précédemment cités. Alors la panique aujourd’hui l’emporte, des mea culpa s’empilent, des pénitences se préparent.

 

Les recettes de l’échec vont continuer avec son cocktail made in FMI : privatisations, réductions des dépenses sociales, et j’en passe. Quand nous pensons aux coupes dans l’éducation orchestrées par la ministre italienne sortante, madame Gelmini, demain après les plans d’austérité encore plus massifs qu’en restera t- il ? Alors Mario Monti dit vouloir combattre les privilèges, mais de quoi parle- t-il au juste ? Faut-il y voir de l’ironie, du cynisme ? Certes, il existe des anomalies, des abus, des corporatismes, mais les vrais problèmes sont ailleurs.

Alors nous disons que la Grèce et l’Italie dont les gouvernements sont les avant gardes du futur démocratique européen, c’est à dire des aéropages de techniciens adoubés par les marchés financiers, le FMI, et les puissances fragiles du moment comme l’Allemagne et la France qui tremble pour son triple AAA. Les marchés ont relâché la pression sur l’Italie car M. Monti est tout prêt à servir leur intérêt.

En Grèce, le gage de sérieux est la présence d’un ancien commissaire européen et d’un premier ministre prêt à administrer sans ciller une rigueur plus violente encore ; il fait entrer des ministres de l’extrême droite, cela n’offusque en rien la troïka Allemagne France, FMI et qu’il faudrait élargir aux agences de notation. Le remboursement de la dette n’a pas de couleurs politiques et puis le respect de principes démocratiques c’est pour les célébrations convenues du 9 mai, lorsque nous affirmons notre attachement au bel idéal européen de paix et de démocratie.

Semprun, grand européen, dans son dernier ouvrage nous disait bien que la paix est la fille de la démocratisation et rien d’autre. Il est à regretter qu’en Italie, une certaine gauche si heureuse de voir le berlusconisme disparaître ne mesure pas pleinement les risques économiques de ces plans d’austérité, mais aussi les risques politiques. En somme nous assistons à des formes de putschs tout à fait légaux – et nous mesurons nos mots.

Voilà deux chefs de gouvernements qui sont débarqués par la pression des marchés autorité non élue avec l’aval d’États étrangers. Leurs gouvernements sont modifiés en dehors de tout appel aux citoyens par la voie d’élection. Élections qui sont remises à plus tard. Je ne parle pas ici du référendum qui est un gros mot en Europe. Puisque ces derniers sont soit interdits, soit contournés.

Les Danois et les Irlandais ont voté à plusieurs reprises pour dire oui à l’Europe, et la France a découvert le traité qu’elle a refusé sous la forme du traité de Lisbonne. Des gouvernements techniques ou d’union nationale sont rapidement constitués ou en voie de l’être. Mais si demain, si les fameux marchés qu’il faut rassurer, puisqu’ils sont les seuls interlocuteurs valables, ne retrouvent pas leurs comptes, qu’eux même ignorent parfois, alors ces mêmes gouvernements improvisés seront destitués. L’Histoire à des moments sombres nous avait pourtant appris que Munich ne pouvait être une référence souhaitable.

Mais que veut dire profondément l’austérité ? Elle ne signifie rien d’autre que deux choses : l’appauvrissement d’une nation contrainte de se séparer de sa richesse, une partie du capital des géants italiens Enel ENI va passer entre les mains des Chinois par exemple, le Pirée a connu le même sort pour les Grecs ; et aussi l’aggravation des inégalités de revenus, de patrimoine, pour ne citer que celles-ci.

Les marchés financiers ne se sont pas trompés, le sauvetage des banques avant toute chose, la mise au pain sec des citoyens sont autant de modifications du partage de la richesse. Tremblez gouvernements européens devant les autorités invisibles que sont les marchés, célébrez les technocrates et autres experts attitrés, licenciez vos peuples encombrants, promettez les larmes et le sang et vous serez dits courageux et dotés d’un sens de l’État. Les pays du Sud ont été moqués, leurs nouveaux gouvernements sont les modèles de l’Europe post démocratique. Et ne croyons pas que demain nous serons mieux lotis, l’élection présidentielle que nous allons vivre nous donnera peut-être la dernière occasion de mettre en scène la pièce démocratique.

Notre isoloir ne contient plus notre avenir mais bientôt les souvenirs défraîchis de ce que nous avons appelé la démocratie et que nous avons un peu stupidement cru à jamais acquise. Alors amusons nous une dernier fois en avril prochain, fêtons à la concorde au Fouquet’s , ou rue Solférino l’un des vainqueurs et attendons avec lui notre destitution prochaine.

Les Échos

Weeklong Seminar Across Flanders by Dr. Pavel Tulaev

 Weeklong Seminar Across Flanders by Dr. Pavel Tulaev

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Жан Тіріар – Макіавеллі Об’єднаної Європи

Жан Тіріар – Макіавеллі Об’єднаної Європи

Ревний читач Гоббса, Макіавеллі та Паретто, бельгієць Жан Тіріар (1922–1992), засновник пан’європейської організації «Молода Європа» («Jeune Europe») був теоретиком Великої Європи від Ґолвея до Владивостока.

Народжений в 1922 році, в ліберальній сім’ї бельгійського міста Льєж, Жан Тіріар був молодим активістом в лавах ліво-радикальних марксистів, прибічників Об’єднаної молодіжної соціалістичної варти та Соціалістичної антифашистської спілки. Він радо вітав Пакт Молотова-Ріббентропа в 1939 році: «Найпрекраснішою, найбільш захоплюючою частиною мого життя, я зазначу, був німецько-радянський договір». Оскільки, для нього, «національний соціалізм був не ворогом комунізму, а тільки суперником».

Від війни до війни

В 1940 році, коли йому минало вісімнадцять, Жан долучивсь до «Друзів Великонімецького рейху» (AGRA – Amis du Grand Reich allemand), об’єднання франкомовних бельгійських прихильників колаборації, які проте не поділяли ідеї рекситів, будучи організації секулярною та соціалістичною. Він також належав до «Спілки Фіхте» («Fichte Bund»), базованого в Гамбурзі руху, що постав з тогочасних націонал-більшовиків. Засуджений до трьох років ув’язнення після так зв. «визволення», він полишив будь-яку політичну діяльність.

Він повернувся в політику тільки на зорі 60-х, у віці 38 років, під час деколонізації Бельгійського Конго, беручи участь в заснуванні Комітету дії та захисту бельгійців у Африці (Comité d’action et de défense des Belges d’Afrique – CADBA). Незабаром, захист бельгійців у Конго перетворився в боротьбу за європейську присутність в Африці, зокрема за французів Алжиру, а CADBA стала Рухом громадянської дії (MAC – Mouvement d’action civique). Тіріар, за допомоги Поля Тайхмана, перетворив групу пужадистського зразка в революційну структуру, що ефективно організувала бельгійську мережу підтримки OAS («L’Organisation armée secrète» – «Таємна оброєна організація» – французький спротив проти деколонізації Алжиру – прим.пер.).

4 березня 1962 року, на зустрічі в Венеції, що проходила під проподом сера Осальда Мослі, керівництво MAC, Movimento Sociale Italiano (MSI – Італійський соціальний рух), Юніоністський рух (англійський ліво-фашистівський рух на чолі з О.Мослі – прим. пер.), та Соціалістична рейхспартія зібрались для заснування «Національної європейської партії зосередженої на ідеї європейської єдності». Але з цього нічого толком не вийшло. Поклявшись створити справжню європейську революційну партію, в січні 1963 року, Жан Тіріар перетворює MAC в «Молоду Європу», міжнаціональний європейський рух під знаком кельтського хреста. Попри те, що він був заснований в шести країних, чисельність руху ніколи не перевищувала 5000 учасників по всій Європі, і це як зазначав сам Тіріар, «тільки крихти з дна скрині». Загалом, дві третіх членства було зосереджено в Італії. У Франції за підтримку OAS, «Молоду Європу» було заборонено, що призвело до напівпідпільності й слабкого впливу руху, лави якого не перевищували 200 чоловік.

Європейський націонал-комунітарист

В 1961 році, в Маніфесті Європейської нації («Le Manifeste à la Nation Européenne»), Жан Тіріар оголосив себе прибічником «об’єднаної могутньої, комунітаристської Європи… що протистоїть радянському і американському блокам». Більш докладно він представив свої ідеї в книзі «Імперія 400 мільйонів чоловік: Європа» («Un Empire de 400 millions d’hommes : L’Europe»). Швидко перекладена на сім основних європейських мов, цей твір, доповнений виданою в 1965 році 80-сторінковою брошурою «Велика нація: Об’єднана Європа від Бреста до Бухареста», справила глибокий вплив на кадри європейський ультра-правих, особливо в Італії.

Самобутність «Молодої Європи» полягає в її ідеології, національному європейському комунітаризмі, який Тіріар підносив у вигляді «європейського і елітистського соціалізму», позбавленого бюрократії і з опорою на європейський націоналізм. Ставлячи під сумнів романтичну концепцію нації, успадковану з дев’ятнадцятого століття, що зазнала поразки через етнічні, мовні та релігійні чинники, він надавав перевагу концепції динамічної нації, що рухається до набуття відповідності націїспільноти долі, описаної Хосе Ортегою і Гасетом. Не відкидаючи минуле в цілому, Тіріар вважав, що «минуле – це ніщо, в порівнянні з величним спільним мабутнім… Що робить націю справжньою і життєздатною, так це єдність її історичної долі».

Змальовуючи себе як «великоєвропейського якобінця», він прагнув побудови єдної нації, і пропагував «сплавлену державу», централізовану і понаднаціональну, політичного, правового і духовного спадкоємця Римської імперії, яка б надавала всім мешканцям спільно європейське громадянство. В 1989 році, він підсумовував: «Головною віссю моєї політико-історичної думки є цілісна держава, централізована політична держава, а не держава расова, ностальгічна, історична чи релігійна». Ніщо не було таким чужим для нього як «Європа тисячі прапорів» Яна Фуере чи дорога для Сент-Лу «Європа кровних батьківщин».

Тіріарів націоналізм ґрунтувавсь суто на геополітичних міркуваннях. Згідного його думок, тільки країни континентального виміру на зразок США, СРСР чи Китаю мають майбутнє. Дрібні традиційні націоналізми суть перешкодами, ба навіть анахронізмами, якими маніпулюють великі держави. Отож для повернення до величі та могутності, Європа має бути об’єднана.

Об’єднання має відбутись під проводом Європейської революційної партії, заснованої на ленінській моделі демократичного централізму, яка організує маси та добере еліту. Історична партія, за прикладом третьосвітових експериментів на зразок FLN в Алжирі чи FNL у В’єтнамі, стане зародковою державою, що розвинеться в об’єднану європейську державу. Партія провадитиме національно-визвольну боротьбу проти американської окупації, відданих їй колаборантів, тисяч зрадників з числа про-системних партій та колоніальних військ НАТО. Таким чином Європа буде звільнена та об’єднана від Бресту до Бухаресту, силою в чотириста мільйонів чоловік, здатною згодом укласти тактичний альянс з Китаєм та арабськими країнами для повалення американо-радянського панування.

Попри геополітичну ясність, ідеї Тіріара, матеріалістичні та раціоналістичні до краю, спантеличують своїм надзвичайно модерним характером. Як наголосив італійський традиціоналіст Клавдіо Мутті, колишній активіст «Молодої Європи»: «обмеженість Тіріара полягала насамперед в його секулярному націоналізмі, підкріпленому маківеліанським світоглядом, та позбавленим будь-якої опори трансцендентного змісту. Для нього історичні протистояння можуть мати тільки грубу силову розв’язку, і разом з тим, держава є не більше ніж втілена ніцшеанська воля до влади на службі проекту європейської гегемонії, позначеної виключною, безоглядною та величною гордістю».

В економічній галузі, Тіріар пропонував, як альтернативу до «економіки прибутку» – капіталізму, та «утопічної економіки» – комунізму, «економіку сили», єдиним життєвим виміром якої буде «європейський». Беручи за наріжний камінь економістів Фіхте та Ліста, він висував «автаркію великих просторів». Європа мала покинути Міжнародний валютний фонд, запровадити єдина валюту, захистити себе тарифними бар’єрами, та працювати на забезпечення самодостатності.

Від «Молодої Європи» до Європейської комунітаристської партії

Після 1963 року, роздори пов’язані з Південним Тиролем (німецькомовна область в Італії – прим. пер.) спричинили глибоку схизму, що призвела до утворення Європейського фронту в Німеччині, Австрії та Фландрії.

Однак, апогею в своїй діяльності рух досяг в 1964 році, зігравши, завдяки доктору Тайхману, провідну роль в страйку бельгійських лікарів, і беручи участь в місцевих виборах в Квіеврані. Представники робітничого класу, що брали участь в русі, зорганізувались в Європейські комунітаристські синдикати (Syndicats communautaires européens). В 1964 році, журналіст Еміль Лесер і доктор Нансі відійшли через ідеологічні розбіжності з Тіаріаром. Лесер став на чолі Європейської революційної групи , що мала більш-менш подібні позиції з французькою «Europe-Action», «ностальгічним» і «літературним» рухом за словами Тіріара. Відхід цього історичного лідера з організації, приклад якого повторив в грудні 1964 року й Поль Тайхман, спричинив діяльнісний занепад «Молодої Європи».

В 1965 році, «Молода Європа» стала Європейською комунітаристською партією (PCE—Parti communautaire européen). Надмірна зайнятість ідеологічними питаннями відвела в бік діяльнісний активізм. Теоретичний альманах «L’Europe communautaire» виходив щомісяця, а тижневик «Jeune Europe» що два тижні. Після Кадрової школа, що проводилась по всій Європі в жовтні 1965 року, Тіріар працював над «фізикою політики», заснованої на творах Макіавеллі, Густава ле Бона, Сергія Чахотіна, Карла Шмітта, Юліана Фройнда та Раймонда Арона.

Більше того, партія публікувала, між 1965 та 1969, щомісячний часопис «Європейська нація» («La nation européenne» – французькою, «Nazione europea» – італійською), де пропонувала противагу традиційним ультраправим, ставила континентальну спілку понад окремим націями, простояла НАТО, пропагувала автономні сили стримування (ідея підтримувана де Голлем), приділяла увагу визвольній боротьбі в Третьому світі, описуючи Кубу, арабській країни та Північний В’єтнам як союзників Європи! Часопис мав понад 2000 підписників та виходив в 10 тисячах примірників на кожен номер.

В червні 1966 року, Жан Тіріар за ініціативи Чаушеску зустрівся в Бухаресті в прем’єр міністром Китаю Чжоу Енлаєм. Пекін в той час висував тезу про «боротьбу трьох континентів». Тіріар натомість виступав за боротьбу «чотирьох континентів», пропонуючи розпалити В’єтнам у Європі. Для цього Тіріар передбачив створення «Європейських бригад» за моделлю Гарібальді, які після боїв на Близькому Сході та в Латинській Америці, повернуться для визвольної війни в Європі.

Слід зазначити, що після цієї бесіди, італійські активісти «Молодої Європи» здійснювали спільні акції з місцевими маоїстами, об’єднані спільною мінімальною програмою ворожості до двох наддержав, протидією окупації Європи янкі, анти-сіонізмом, та підтримкою визвольної боротьби країнами Третього світу.

Ця співпраця залишила по собі слід. Чисельні націонал-європейські діячі зрештою долучились до лав маоїстів. Так, в 1971 році Клавдіо Орзоні, небіж ватажка італійських фашистів Італо Бальбо і член-засновник «Молодої Європи» заснував Центр вивчення та застосування маоїстської думки. В 1975 році, Піно Больцано, останній редактор «La Nazione europea», очолив щоденну ліво-радикальну газету «Боротьба триває» («Lotta Continua»). Ренато Курчіо долучивсь до Італійської марксистко-ленінської комуністичної партії перед тим заснувавши … «Червоні бригади»!

«Молода Європа» мала прихильників в деяких країнах в Східній Європі та на Близькому Сході. Так, 1 серпня 1966 року Тіріар оприлюдний статтю сербохорватською мовою, під назвою «Європа від Дубліна до Бухареста», в офіційному дипломатичному часописі уряду Югославії «Medunarodna Politika». Лютий анти-сіоніст, Жан Тіріар підтримував зв’язок з Ахмедом Шукейрі, попередником Арафата на чолі Організації Визволення Палестини, а першим європейцем, що зі зброєю в руках загинув на боці палестинці був французький інженер і член «Молодої Європи» Роже Кудруа.

Тіріар також був пов’язаним з арабськими соціалітично-секулярними режимами. Восени 1968 року, він здійснив тривалу мандрівку на Близький Схід за запрошення урядів Іраку та Єгипту. Він провів кілька дискусій з міністрами, давав інтерв’ю пресі, взяв участь у з’їзді Арабського соціалістичного союзу – партії Гамаля Абдель Насера, з ким мав нагоду зустрітись. Засмучений браком конкретної співпраці з боку згаданих країн, в 1969 році, він відмовивсь від збройної боротьби, що спричинило занепад «Молодої Європи».

Євро-радянська імперія

Однак він продовжував займатись своїми глибокими теоретичними роздумами. Коли на в 70-х Вашингтон почав налагоджувати зв’язки з Пекіном, він запропонував Євро-радянський альянс проти Китайсько-американської осі, з метою побудови «надвеликої Європи від Рейк’явіка до Владивостока», що було, на думку Тіріара, єдиним способом протистояти новому американському Карфагену та мільярдному Китаю. Це привело його до заяви, зробленої 1984 році: «Якщо Москва хоче зробити Європу європейською, я проповідуватиму тотальну співпрацю з Радянською ініціативою. Я тоді буду першим, хто причепить червону зірку собі на капелюха. Радянська Європа, так, без застережень».

Тіріар мріяв про Євро-радянську імперію, яку він описував як «гіпер-національну державу оснащену де-марксифікованим гіпер-комунізмом», сполучену з Євросибіром: «Між Ісландією і Владивостоком, ми можемо об’єднати 800 мільйонів чоловік… і знати в сибірській землі всі наші стратегічні й енергетичні потреби. Я кажу, що Сибір є найбільшою економічною життєдайною силою Європейської імперії». Згодом він написав дві книги: «Євро-радянська імперія від Владивостока до Дубліна: після Ялти», і разом з Хосе Квадрадо Костою – «Перетворення комунізму: нарис про просвітлений тоталітаризм», яка так і лишилась на чернетках через раптовий розвал СРСР. Він вийшов зі свого політичного вигнання лише в 1991 році щоб підтримати створення Європейського фронту визволення (FEL— Front européen de libération). В 1992 році він відвідав Москву з делегацією FEL і помер від серцевого нападу одразу після повернення до Бельгії, залишивши контроверсійну, але оригінальну добірку теоретичних робіт, що надихнули проповідника Євросибіру – Гійома Фея та євразійця – Алєксандра Дугіна.

Едуард Рікс

mercredi, 16 novembre 2011

Jean-Claude Rolinat nous parlera du Sud et des Sudistes au Local...

 Jean-Claude Rolinat nous parlera du Sud et des Sudistes au Local...

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Europe: la diplomatie de l'insulte

Europe: la diplomatie de l'insulte

Ex: http://lesmoutonsenrages.fr/

Le Premier ministre britannique David Cameron a appelé le président français Nicolas Sarkozy « un nain caché » dans le cadre d’une blague dite à un journaliste. La chancelière allemande Angela Merkel a qualifié Sarkozy de »M. Bean « , tandis que Sarkozy la surnomme  » La Boche « ,. Le Premier ministre espagnol José Zapatero est jugé  «trop rose» en raison de la forte proportion de femmes dans son gouvernement , a déclaré le Premier ministre italien Silvio Berlusconi. Et l’opinion de M. Berlusconi sur l’euro? « Un désastre », a t-il dit, qui nous a « tous bousillé »


Entre le "nain" et la "Boche": la diplomatie de l’insulte

« Est-il si surprenant qu’un accord entre dirigeants européens soit si difficile à atteindre ? » Bloomberg Businessweek a sa petite idée sur la question : « Il n’est qu’à jeter un œil sur ce qu’ils disent les uns des autres ».

« Le nain », « Mr Bean », « la Boche »… En matière de diplomatie européenne, les amabilités fusent. Pour faire le tour de la question, Businessweek publie une savoureuse infographie représentant sept responsables européens (Angela Merkel, Georges Papandreou, Nicolas Sarkozy, José Luis Rodriguez Zapatero, Jean-Claude Juncker, David Cameron et Silvio Berlusconi) et les vacheries qu’ils se sont envoyées au visage (ou plus fréquemment dans le dos). Valeur ajoutée non négligeable : des éléments de contexte permettent de comprendre les circonstances dans lesquelles ces piques ont été prononcées.

On se souvient de cette petite phrase de Sarkozy à propos de Zapatero rapportée par Libération« Il n’est peut-être pas très intelligent ». Devant un journaliste du Daily Telegraph, qui rapporte l’anecdote, le premier ministre britannique David Cameron avait quant à lui traité en 2009 le président français de « hidden dwarf » (littéralement « nain caché », mais qu’on traduira librement par « nain de jardin »). Plus magnanime, Angela Merkel surnomme notre président « Mr Bean », qui, en retour, l’appelle plus platement « La Boche ».

Mais c’est sur la carrière d’un autre acteur réputé pour son énergie que Mme Merkel s’est penchée pour décrypter le comportement de son homologue hexagonal : Louis de Funès. En 2008, un article du journal allemand Der Spielgel rapportait que son mari lui a acheté récemment un lecteur de DVD : « Maintenant, elle peut voir les films de Louis de Funès. Le comportement des Français intéresse beaucoup Merkel depuis l’entrée en fonction de Nicolas Sarkozy. »

Le Post.fr avait à l’époque reproduit le passage en langue originale :

Dans un entretien au JDD, un journaliste du quotidien allemand allait plus loin dans la comparaison entre les deux grands hommes : « Nous avons dit dans Der Spiegel que le mari d’Angela Merkel aurait offert à sa femme pour Noël des vidéos de Louis de Funès pour la préparer à sa prochaine rencontre avec le chef d’Etat français ».

Mais à en croire Arnaud Leparmentier, journaliste au Monde, c’est Nicolas Sarkozy qui demeure le champion toutes catégories des blagues vachardes. « Lorsque nous nous téléphonons entre dirigeants européens et que nous en venons à parler de Nicolas Sarkozy, nous nous disons : ‘Tu me dis les méchancetés qu’il a dites sur moi, ou c’est moi qui commence ?’, raconte un membre du Conseil européen« , rapporte-t-il sur son blog.

Illustration de cette « so french » courtoisie incarnée par notre cher leader : pendant ses déjeuners avec des responsables européens, Nicolas Sarkozy n’aurait de cesse de répéter à propos d’Angela Merkel : « Elle dit qu’elle est au régime… et se ressert de fromage ».

Un trop rare "moment de tendresse" (AP/Jesco Denzel)

Businessweek a tout de même déniché un rare « moment de tendresse » dans ce monde de brutes : le jour où Mme Merkel a offert un ours en peluche à M. Sarkozy pour la naissance de sa petite fille, Giulia. Un instant de grâce aussitôt gâché par un « geste d’incivilité » du président français, incapable de résister à la sonnerie de son téléphone et déballant son présent d’une main tout en discutant avec un tiers, souligne Businessweek.

En réalité, Nicolas Sarkozy était en train de joindre sa femme, Carla bruni-Sarkozy, pour lui faire part de l’attention de la chancelière allemande, à qui il a ensuite passé le combiné. Il s’agissait donc d’un vrai « moment de tendresse », et non d’une énième goujaterie…

Source Le Monde

Halliburton : Aux origines du complexe militaro-industriel américain

Halliburton : Aux origines du complexe militaro-industriel américain

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

Depuis des décennies, Halliburton entretient des relations privilégiées avec le monde politique. Commencée sous Lyndon Johnson, cette complicité a fait de la firme l’un des principaux piliers du complexe militaro-industriel américain.

Wirtz va s’occuper de la partie légale. Je vais m’occuper de la politique, vous allez prendre en charge son aspect business. Nous allons ensemble trouver des solutions qui amélioreront notre position à tous les trois.  » En ce jour de 1937, quatre hommes se retrouvent discrètement dans une suite de l’hôtel Lama de Houston, au Texas. Le premier est Alex Wirtz : ancien sénateur de l’État devenu avocat, c’est l’un des hommes les plus influents du Texas. Le deuxième est un jeune homme au physique de représentant de commerce : Lyndon Baines Johnson.

A vingt-neuf ans, ce Texan pur jus cherche à se faire élire à la Chambre des représentants après un début de carrière prometteur dans les coulisses du Congrès à Washington. Quant aux deux autres, il s’agit des frères Brown, Herman et George. Depuis près de vingt ans, ils dirigent Brown & Root, une prospère entreprise de travaux publics, qui intervient principalement au Texas.

Ces quatre hommes n’en sont pas à leur première rencontre. Cela fait déjà plusieurs mois que, à l’initiative de Wirtz, ils se retrouvent dans la suite 8 F de l’hôtel Lamar, rejoints parfois par d’autres  » huiles  » du Texas, hommes politiques, journalistes ou industriels. On y parle affaires et politique et l’on s’y distribue les rôles, dans un subtil jeu d’influence où la corruption, les détournements de fonds et la fraude sont monnaie courante.

Ce jour-là, le jeune Lyndon Johnson a décidé de frapper très fort. Ambitieux, le jeune politicien sait qu’il aura besoin de beaucoup d’argent pour se faire une place à Washington et d’abord pour se faire élire à la Chambre des représentants, son premier objectif. Le marché qu’il propose à ses trois acolytes est des plus simples : aux frères Brown le financement de sa carrière politique en échange de l’attribution de marchés de construction ; et à Wirtz l’habillage légal des opérations contre de juteuses participations dans ces mêmes marchés. Un  » deal  » parfaitement rodé…

En 1962, Brown & Root, la firme fondée par les frères Brown, sera rachetée par Halliburton, l’un des principaux équipementiers pétroliers américains, donnant naissance à un géant de l’ingénierie et de la construction, très bien introduit au Pentagone. Entre-temps, les frères Brown auront versé des millions de dollars à Lyndon Johnson, lui permettant de franchir un à un les obstacles qui finiront par le mener à la présidence des États-Unis en 1963, au lendemain de l’assassinat de Kennedy.  » Sans les frères Brown, Johnson ne serait sans doute jamais arrivé là où il est arrivé « , écrit l’historien américain Robert A. Caro dans son livre Lyndon Johnson,  » The Path to Power  » (1983).

En retour, la firme, devenue partie intégrante de Halliburton, s’assurera de gigantesques contrats avec le Pentagone, décrochant des marchés truqués, devenant le principal fournisseur de l’armée américaine lors de la guerre du Vietnam. Le pli ne sera jamais perdu. En 1995, Halliburton s’assurera ainsi les services de l’ancien secrétaire à la Défense de George Bush Sr, le désormais célèbre Dick Cheney. Nommé PDG du groupe, celui-ci multipliera par cinq le montant des contrats signés avec le Pentagone, trustant littéralement les marchés de l’armée américaine.

Devenu le vice-président de George Bush­ ­­­Jr,­­­­ Dick Cheney n’oubliera pas son ancien employeur. Halliburton se taillera la part du lion dans les contrats de reconstruction en Irak, au grand dam de ses concurrents. De Lyndon Johnson à Dick Cheney, un même sens de l’intérêt commun…

Pour comprendre cette étonnante complicité, il faut remonter loin en arrière, à l’histoire des deux firmes qui uniront leur destin un jour de 1962 : celle d’Halliburton et de Brown & Root. qu’Erle Halliburton fonde la société qui porte son nom. Né en 1892 dans une famille pauvre du Tennessee, ce passionné de mécanique a commencé à travailler dès l’âge de quatorze ans, enchaînant les petits boulots avant de trouver une place chez Aldmond A. Perkins, une entreprise de construction de puits de pétrole du Texas. C’est là, alors que le boom du pétrole texan bat son plein, qu’il apprend le métier qui fera plus tard sa fortune : le bétonnage des puits, une technique encore peu employée et qu’il perfectionne.

En 1919, il décide de se mettre à son compte et fonde la New Method Oil Well Cementing Company, rebaptisée  » Halliburton Oil Well Cementing Company  » en 1924. Utilisant des techniques très innovantes, la firme s’impose très vite comme l’un des principaux équipementiers des États-Unis. Jusqu’à ce que la crise des années 1930 vienne remettre en cause son développement. Afin de compenser la chute de ses marchés, Erle Halliburton tente de se diversifier dans l’aviation de transport. Mais il se heurte au refus catégorique de l’administration. Amer, il professera toujours un grand mépris pour les politiciens de Washington.

Un énorme matelas de liquidités

Au début des années 1930, Erle Halliburton n’est pas le seul à s’interroger sur l’avenir de sa société. Au même moment, deux entrepreneurs des travaux publics cherchent eux aussi à surmonter la crise économique. Aussi dissemblables que possible, Herman et George Brown forment ensemble un duo d’une redoutable efficacité. L’aîné, Herman, est né au Texas en 1892, où son père tient un petit commerce. Introverti, ce travailleur acharné a commencé très jeune à travailler comme ouvrier dans les travaux publics. Charmeur et extraverti, George, lui, de six ans son cadet, a débuté en vendant des lapins et des journaux avant de s’inscrire à l’École des mines du Colorado, s’attirant ce commentaire prémonitoire de son professeur lors de sa remise de diplôme :  » Gagne son pouvoir grâce à sa capacité à se faire des amis. « 

Entre-temps, avec l’aide de son beau-frère Dan Root, Herman a créé, en 1919, sa propre société de construction de routes pour profiter du boom de l’automobile au Texas : Brown & Root. Ne sachant pas très bien quoi faire, George les rejoint au milieu des années 1920. Les deux frères comprennent aussitôt que pour se faire une place au soleil et prendre leur part des marchés publics, il leur faut tisser des relations étroites avec les décideurs, c’est-à-dire avec les élus de l’État et, au besoin, ne pas hésiter à mettre la main au portefeuille. Une attitude qui n’a rien de surprenant dans le Texas d’alors où les marchés truqués et la corruption sont monnaie courante. Habiles, les deux frères évitent dans un premier temps de soumissionner aux grands appels d’offres autoroutiers, se contentant de chantiers petits et moyens, moins risqués financièrement et qui leur permettent de se faire d’utiles relations parmi les élus locaux.

Lorsque la crise des années 1930 éclate, Brown & Root est assis sur un énorme matelas de liquidités qu’il distribue au gré de ses intérêts pour obtenir des contrats. En l’espace de dix ans, il est devenu l’un des interlocuteurs privilégiés de l’État du Texas, jouant de ses contacts pour obtenir des marchés. Comme ce contrat pour la collecte des ordures de la ville de Houston, qu’elle remporte grâce à l’intervention d’un élu de la ville, éleveur de porcs de son état. L’arrangement satisfait au plus haut point les deux parties : les déchets organiques sont en effet triés clandestinement et cédés pour rien à l’élevage de porcs pour servir de nourriture. Gagnant-gagnant…

Au milieu des années 1930 cependant, avec l’aggravation de la crise, les frères Brown cherchent à se mettre quelque chose de plus consistant sous la dent. Les immenses chantiers publics, lancés par Roosevelt dans le cadre du New Deal, leur en donnent l’occasion. Depuis quelque temps, Herman et George Brown sont en cheville avec Alvin Wirtz. L’ancien sénateur du Texas est désormais à la tête d’un cabinet d’avocats spécialisé dans les marchés publics. Toujours en quête d’argent, cet homme de l’ombre met son entregent et son carnet d’adresses au service des industriels du Texas, moyennant quelques  » compensations « . Au fil des années, il est devenu l’un des proches conseillers des frères Brown qui rémunèrent grassement ses prestations. Par Wirtz, les frères Brown ont également eu accès à James-Paul Buchanan, représentant du Texas au Congrès des États-Unis, mais aussi et surtout président du comité d’attribution des fonds du New Deal. Une relation en or !

En 1936, Wirtz, Buchanan et les frères Brown montent ainsi un coup de premier ordre : la construction d’un barrage sur la rivière Colorado. Pour obtenir le feu vert de l’administration fédérale, hésitante, Wirtz ne reculera devant rien, n’hésitant pas à modifier le tracé des cartes géographiques et utilisant largement les fonds de Brown & Root pour s’acheter la bienveillance de Buchanan. Avec succès. En 1936, Alvin Wirtz se fait fort opportunément nommer à la tête du Lower Colorado River Authority (LCRA), l’organisme chargé de mener à bien la construction du barrage Marshall Ford. A peine nommé, il désigne son client Brown & Root attributaire du marché. La firme n’a encore jamais construit de barrages…

La mort totalement inattendue de Buchanan, en 1937, vient un temps tout remettre en question. Par chance, l’homme qui brigue le siège du défunt est un proche ami de Wirtz, un politicien ambitieux dépourvu de moyens mais qui a l’immense avantage d’être proche de Lyndon Johnson. Aux frères Brown, qui s’inquiètent pour l’avenir, Wirtz promet le soutien de Johnson, en échange de son élection. Le deal se noue quelques mois avant les élections de 1937, lors de la fameuse rencontre à la suite F8 de l’hôtel Lamar de Houston. Quelques semaines après les élections et après une ultime intervention de Johnson auprès du président Roosevelt, la construction du barrage Marshall Ford est attribuée à Brown & Root.

C’est à cette occasion que la firme inaugure un type de contrat qui fera sa fortune : le  » cost plus « . Il prévoit le remboursement intégral des coûts de construction, majorés d’un pourcentage sur ces derniers versé au titre de la rémunération du contractant. Un système très juteux et qui pousse évidemment au gonflement des coûts. Illustration par l’exemple : estimée à une trentaine de millions de dollars environ, la construction du barrage Marshall Ford sera finalement facturée… 125 millions de dollars !

Entre Lyndon Jonhson et Brown & Root, les liens ne se distendront jamais. Durant la Seconde Guerre mondiale, c’est en grande partie grâce à l’élu du Texas que Brown & Root se reconvertit dans la construction de pièces détachées pour avions et de pistes d’aviation, mettant ainsi un pied dans les marchés militaires. En échange de ce  » service « , la firme de construction financera généreusement la campagne de Johnson pour les élections sénatoriales de 1948, obligeant même ses salariés à faire des versements individuels !

C’est encore Brown & Root qui mettra la main au portefeuille pour assurer sa désignation à la vice-présidence des États-Unis, en 1960, dernière étape avant la présidence trois ans plus tard. A titre de renvoi d’ascenseur, Brown & Root engrangera pour plusieurs centaines de millions de dollars de contrats avec l’armée – pistes aériennes, ports, bases militaires, ponts et routes – non seulement aux États-Unis mais aussi en Europe et en Asie, achevant ainsi de se muer en prestataire privilégiée du Pentagone.

Des activités partout dans le monde

La mort d’Erle Halliburton, en 1957, suivie de celle de Herman Brown, en 1962, met la dernière touche au tableau. Depuis le début des années 1950 et après le passage à vide des années 1930, la firme Halliburton a étendu ses activités partout dans le monde, construisant des puits de pétrole au Moyen-Orient, en Afrique et en Amérique latine. Mais la baisse régulière du coût du baril a fini par entamer ses revenus et la firme, désormais dirigée par les descendants de son fondateur, est à la recherche d’activités nouvelles. Quant à Brown & Root, que préside un George Brown vieillissant, elle est, elle aussi, en quête d’un avenir. Impensable du temps d’Erle – qui ne voulait rien avoir à faire avec les  » gens de Washington  » – et Herman – qui rechignait à partager le pouvoir -, le rapprochement des deux firmes est désormais possible.

Conclue à la fin de l’année 1962, sans doute encouragée par Washington, la cession de Brown & Root à Halliburton signe le mariage de deux entreprises texanes aux activités complémentaires – la construction pétrolière, les travaux publics et le génie civil – en même temps qu’elle marque l’alliance de la compétence technique et de l’influence politique, alliance d’une redoutable efficacité ! Dans l’affaire, l’entreprise conserve cependant l’essentiel : l’appui de Lyndon Johnson. De fait, lors de la guerre du Vietnam, Halliburton devient le plus gros employeur au Vietnam, avec 51.000 personnes occupées à construire l’infrastructure militaire américaine.

Entre 1965 et 1972, la firme engrangera, dans cette seule partie du monde, près de 400 millions de dollars de bénéfices, s’imposant comme l’un des principaux piliers du complexe militaro-industriel ! Par la suite, la firme fera de juteuses affaires en Iran, dans les Balkans, dans le Golfe et en Afrique du Nord – Dick Cheney tentera d’ailleurs de s’opposer à des sanctions contre la Libye de Khadafi où la firme est très présente -, profitant toujours pleinement de ses soutiens au plus haut niveau de l’État.

'Vergeet Engels, leer Duits!'

'Vergeet Engels, leer Duits!'

Thomas von der Dunk 
 
Ex: http://www.volkskrant.nl/ 
 
Wat Nederland nodig heeft, is niet een premier die de lof zingt van New York, maar eentje die kennis heeft van Berlijn. Dat stelt historicus en vk-columnist Thomas von der Dunk.
'We zijn met de Grieken en Romeinen begonnen, we moeten even uitkijken dat we er niet ook mee eindigen'. Aldus D66-fractieleider Pechtold vorige zondag snedig in het tv-pogramma Buitenhof.

Staat het Europese Imperium op instorten? Wat onze eigen geblondeerde Edelgermaan uit Venlo betreft, die ons al langer onder Romeinse braspartijen gebukt ziet gaan, kan dat niet snel genoeg gebeuren: hij waant zich en nieuwe Claudius Civilis en wil de gulden terug. Knus Bataafs vergaderen onder de vertrouwde eikenboom, en dan met een hoog hek eromheen!

Eenogige gnoom
Maar de, net al iedereen in deze Bataafse contreien tot 1648, nog als onderdaan van de Roomse keizer geboren Oer-Nederlander Rembrandt heeft niet toevallig Claudius Civilis op zijn voor het Amsterdamse stadhuis bestemde schilderij van de samenzwering als eenogige gnoom afgebeeld.

In elk geval lijkt nu definitief een einde te komen aan het bewind van een premier die qua losbandigheid en decadentie inderdaad de meest beruchte Romeinse keizers naar de kroon kon steken. Maar net als Nero, die wel theatraal met zijn dolk zwaaide maar uiteindelijk geen zelfmoord durfde te plegen en daarvoor de hulp van een slaaf nodig had, tracht Berlusconi voorafgaand aan de eigen ondergang nog tijd te rekken, in dit geval om zijn louche financiële zaakjes te regelen. Als maffiabaas doet hij immers niet voor zijn Britse mede-mediamagnaat Murdoch onder.

Grote golfkarretjesvriend
Tot zover de grote golfkarretjesvriend van onze eigen gewezen Normen-en-Waarden-premier Jan Peter Balkenende.

Zoals men in Rome anno 68 na de liederlijke Nero de brave senator Galba tot keizer kroonde, heeft men in het huidige Rome nu de hoop op de brave senator Mario Monti gezet, die zijn vacanties niet tussen hoge vrouwelijke borsten maar tussen hoge Zwitserse bergen pleegt door te brengen. En zoals we uit 'Asterix en de Helvetiërs' weten: de Zwitsers zijn al sinds de dagen der Romeinen geen liefhebbers van wulpse hompen vlees maar van klef gesmolten kaas.

Eén waarschuwing is overigens op z'n plaats: ook Galba verloor indertijd binnen een paar maanden letterlijk zijn hoofd, omdat hij het woedende gepeupel niet de verlangde brood en spelen wist te geven, waarin Nero Berlusconi met zijn tv-shows wel zo goed in was. Na twee op Galba volgende nieuwe potentaten eindigde het Vierkeizerjaar met een machtsgreep van de norse veldheer Vespasianus, die zijn eerste belangrijke ervaringen als legioenscommandant in Germanië had opgedaan. Mondt ook de huidige chaos in Rome in een Germaans gekleurde militaire dictatuur?

Twee snelheden
Nu de nood op zijn hoogst is, blijkt waar in Europa de werkelijke macht ligt - en hoe zichtbaar die verschuift. Het Europa van twee snelheden, dat er officieel nooit mocht komen, is er al, met de Britten, als gevolg van de eeuwige eigen neiging tot halfslachtig van twee walletjes eten, buitenspel.

In de Eurozone geeft Berlijn de toon aan, omdat dat zich nu geen financiële lankmoedigheid meer veroorloven kan: het al langer aanwezige feitelijke machtsverschil tussen Duitsland en Frankrijk - ooit naar buiten toe en as met twee gelijkwaardige wielen - laat zich niet langer verbloemen.

Mentaal Germanen
Politiek-mentaal kleven daar grote risico's aan - de perceptie van een 'Duits dictaat' heeft in Griekenland al tot hysterische reacties geleid - maar puur beleidsmatig hoeven we met een rangorde Duitsland-Frankijk-Engeland niet ontevreden te zijn. Van alle drie lijkt Duitsland nu eenmaal het meest op ons: wat dat betreft zijn ook wij mentaal Germanen.

De financiële degelijkheid van de Duitsers is nu van hoger gewicht dan de AAA-status-glorie van de imagogevoelige Fransen. En het politieke belang dat de Fransen aan staatsinvloed op economisch terrein hechten valt, tegen de achtergrond van de machteloosheid van de democratie versus de dictatuur van de markt, op zijn beurt weer verre te prefereren boven het ontspoorde casinokapitalisme van de Engelsen.

Kostschooljongetje Cameron
Ook op persoonlijk vlak verdient de nuchtere Duitse domineesdochter Merkel de voorkeur boven een streberig product van de Franse meritocratie - maar Sarkozy op zijn beurt weer duidelijk boven dat van een negentiende-eeuwse klassemaatschappij, het geaffecteerde kostschooljongetje Cameron, waar onze eigen corpsbalpremier het zo goed mee vinden kan.

Dat zou eveneens voor links Nederland, dat terecht aan een rechtvaardige verdeling van aardse goederen hecht, de oriëntatie moeten bepalen. Liever de 'Rijnlandse' christendemocraat Merkel - 'geen enkele manager is tienmiljoen euro waard' - dan de Angelsaksische 'socialist' Mandelson: 'ik voel mij totaal niet ongemakkelijk bij mensen die onsmakelijk rijk worden'. Ik wel. En ik hoop velen met mij.
 
Of, om een uitspraak van Margaret Thatcher om te keren: alle neoliberale financiële ellende kwam de afgelopen dertig jaar uit het Westen. De redding zal nu van de andere kant moeten komen. Go east, young men!

De huidige interne Europese machtsverschuiving zou ook consequenties voor ons vreemdetalen-onderwijs moeten hebben. Vergeet het Engels, leer Duits. De gisteren andermaal door De Volkskrant tot machtigste Nederlander gebombardeerde werkgeversvoorzitter Wientjes heeft al herhaaldelijk op het belang daarvan gewezen, maar kan geen ijzer met handen breken zolang Rutte en De Jager zelf linguïstisch in gebreke blijven.

Wat Nederland nodig heeft, is niet een premier die de lof zingt van New York, maar eentje die kennis heeft van Berlijn. Maar misschien krijgt, als de huidige gedoogcoalitie binnenkort onder Knots druk op de villasubsidie uiteenspat, Den Haag al snel een welkome herkansing.

Overigens liep het ook met Claudius Civilis in het Vierkeizerjaar politiek niet goed af.

Thomas von der Dunk is cultuurhistoricus en columnist van vk.nl.

Terre & Peuple n°49 - Histoire et métapolitique

Communiqué de Terre & Peuple/Wallonie

Terre & Peuple n°49

 Histoire et métapolitique

Le numéro 49 de TERRE & PEUPLE Magazine est axé sur le thème de l’Histoire en tant qu’arme métapolitique.

Pierre Vial, dans son éditorial, souligne le retard qu’a pris notre conscience ethnique sur les Maghrebins et les Sub-sahariens qui nous entourent, lesquels s’appellent « Frères ». Il revendique pour sa part d’être le frère des martyrs, le frère d’Hypathie, le frère des Saxons, le frère des loups.

Joseph-Macé Scaron, journaliste-écrivain dans le vent fait l’objet d’une exécution en règle pour ses impudents plagiats répétés.

Robert Blanc invite non seulement à recenser ses ascendants, mais à compléter sa généalogie avec les étapes essentielles de leur vie (date et lieu de naissance, de mariage, de décès) et leurs activités professionnelles ou autres. Et surtout à recueillir les témoignages des survivants.

Alain Cagnat remarque que, au lieu du peace and love promis, le XXIe siècle n’apporte que violences et turpitudes. Profitant de l’effondrement de l’URSS pour mettre la main sur les ressources de la planète, le lobby militaro-industriel et les major pétrolières ont soutenu les stratèges du PNAC (Project for a new american century), lesquels ont appelé de leurs vœux (voir ‘Joint Vision 2020’ du Pentagone) un ‘coup au cœur’, seul en mesure de gagner le peuple américain à ce projet conquérant.  Ils ont été entendus du ciel américain, d’où ont été frappée les Twin Rowers, par un Axe du Mal incarné par Al-Qaida. Sur les multiples incohérences de la version officielle, de nombreuses questions ont été soulevées. Les autorités se sont malencontreusement précipitées pour évacuer un maximum d’indices. Il en est resté une quantité que l’auteur passe en revue. Ceux qui ont des doutes (46% des Américains) sont traités de ‘conspirationnistes’.

Entre temps, la seconde guerre d’Irak  a été déclenchée sur des ‘preuves’ d’armes de destruction massive qui se sont révélées grossièrement mensongères. Entre temps ensuite, les alliés de la ‘communauté internationale’ ont arraché une partie de la Serbie à son peuple, mais elles ont subi un cuisant échec en Ossétie du sud, où elle ont bien dû laisser Poutine humilier leur allié Saakachvili. Entre temps enfin, on a procédé à la désintégration de Ben Laden, patient prodigieusement coriace (sous dialyse rénale) devenu inutilement encombrant, afin de pouvoir claironner « The job is done » (alors que sur le terrain les Talibans ont gagné la guerre) !

En juillet 2008, les banksters américains en ont été réduits à faire la manche. Ils avaient incité les petites gens à acquérir leur habitation en s’endettant bien au-delà de leurs moyens. Ils ont revendu aux investisseurs institutionnels (banques, assurances, fonds de pension) ces créances pourries, que les prophètes de malheur estimaient à 100 milliards de dollars en 2007, alors que l’encours s’est révélé en 2008 cinquante fois supérieur, quand la bulle a explosé ! To big to fail, Lehmann Brother a quand même fait faillite. Pour restaurer une confiance abusée, les Etats ont injecté des milliards qu’ils ne possédaient pas. L’endettement global américain atteint 170.000 dollar par habitant, lequel n’a même pas les moyens d’en assumer les intérêts ! Comment en est-on arrivé là ? D’abord par la suspension par Nixon de la convertibilité du dollar en or. Ensuite par le capitalisme de plus en plus sauvage du tandem Reagan-Tatcher, qui autorise les banques à ne plus posséder que 2% de couverture pour les fonds qu’elles prêtent ! Elles prêtent aux particuliers pour stimuler la consommation, aux entreprises pour financer la production et aux Etats pour soutenir leur politique démocratique. Les Américains ont imprimé tant de dollars et placé tant de Bons du Trésor qu’ils dépendent de plus en plus de leurs créanciers. L’or qui valait 35$ sous Nixon dépasse les 1.900 $. Pour Alain Minc, conseiller de Sarkozy, il n’y a que trois solutions possibles à la crise : la guerre, l’inflation ou l’austérité.

La guerre raciale menace l’Europe : En France en 2005, il y a eu dix mille voitures incendiées, 200 millions d’euros de dégâts, 4 morts et 126 policiers blessés, 2.900 arrestations et deux douzaines de condamnations. Le calme n’est revenu qu’à l’intervention d’imams influents et de parrains inquiets pour leurs business. En 2011, on remet cela en Grande-Bretagne.

Les révolutions arabes ont regonflé les maniaques de la démocratie à tout crin, qui ont rêvé d’une transition dans le style des révolutions de couleur d’Europe orientale, néo-libérales et mondialistes. Alors que, pour les peuples arabes, démocratie ne signifie rien d’autre que niveau de vie européen. En Egypte et en Syrie, ce sont l’armée et les Frères Musulmans qui se disputent l’influence. En Libye, en Jordanie, au Yémen, vient s’y mêler l’influence des tribus. L’affaire libyenne ne s’est réglée qu’avec l’intervention des unités spéciales françaises et anglaises. Ce chaos est pain béni pour Israël pour qui, son crédit international faiblissant, la situation devenait critique.

Le système pourrissant est aux mains d’une hyper-classe caractérisée par l’immoralité et l’immunité. En passe de profiter de l’incurie des Américains, pour qui les guerres d’Irak et d’Aghanistan sont des désastres, il y a leurs deux bêtes noires : le Pakistan et l’Iran. Des prochaines échéances électorales, il n’y a de signifiante que le duel Medvédev-Poutine. Poutine est notre favori.

Jean-Patrick Arteault, interrogé par Pierre Vial, poursuit sont étude des origines du mondialisme occidental. L’occident est d’abord une trajectoire historique (des sources gréco-romaines et judéo-chrétiennes aux révolutions libérales en passant par la synthèse de la renaissance et de la réforme calviniste avec ses élus messianiques), ensuite la réalisation militante d’un projet par des alliés, enfin une perception externe par des non-occidentaux. La sphère occidentale (Europe de l’ouest-Amérique du nord-Australie-Nouvelle Zélande-Japon), certaine de sa supériorité, se croit la mission d’englober le monde. C’est le décalque exact de l’idée anglophone (des Ruskin-Rhodes-Milner Kindergarten) d’une vocation des démocraties à libérer le monde des démons du dirigisme autoritaire, fût-ce par des ingérences musclées, justifiées par leurs bienfaits passés, notamment leur victoire sur le nazisme. Cette alliance de militants se structure entre 1890 et 1940, à travers des institutions privées (la revue et les groupes de la Table Ronde), semi-privées (le CFR ou Council on Foreign Relations) et publiques (les Conférences impériales des dominions, qui débouchent sur le Commonwealth, et la Charte atlantique anglo-américaine de 1941. Ensuite, grâce à la guerre froide, les groupes anciens sont doublés par des nouveaux (Bilderberg, Trilatérale) et par les institutions publiques mondiales ou régionales (Bretton Woods, ONU, OTAN). Avec la crise se dessine une relève des puissances occidentales par les puissance émergentes (BRICS), mais toujours dans la mise en conformité du monde à l’ordre occidental par les IDE (investissements directs à l’étranger) sous la direction d’une élite mondialiste. Ce qui peut sembler une conjuration n’est qu’une ‘conspiration à ciel ouvert’, mais dont seule une élite est consciente, la masse se laissant leurrer par la démocratie. Le réseau des organisations mondialistes entretient en son sein une certaine contestation entre libéraux et dirigistes, ce qui lui permet une alternance d’oppositions intégrées.  Entre l’oligarchie anglo-saxonne et l’oligarchie financière juive, la relation est soit d’amitié ou d’affaires, soit liée aux questions du Proche et Moyen-Orient (autour de la route des Indes et du pétrole), soit enfin liée à la relation anglo-américaine autour des deux conflits mondiaux et de la décolonisation. L’auteur passe en revue les cas personnels de Philip Kerr, Robert H. Brand, William Waldorf Astor, Léo Amery, l’auteur de la Déclaration Balfour. Il note qu’à l’origine le sionisme, qui a eu son siège à Berlin jusqu’en 1914, est favorable à l’Allemagne, jusqu’en 1909, quand l’allié turc de celle-ci passe sous l’influence des Jeunes Turcs, lesquels sont des jacobins réfractaires, à la différence de l’Empire ottoman, à toute entité autonome, juive ou autre.

Le combat méta-politique étant celui des idées, l’histoire y est une arme déterminante. Indépendamment de la vocation scientifique de l’Histoire,PierreVial en souligne le rôle à la fois thérapeutique et militant. Elle fait l’objet de manipulations de la part des idéologies qui y puisent une imagerie qui vient justifier leurs projets. Pour ne pas contrarier le projet mondialiste, il s’agit à présent d’effacer de la mémoire identitaire les événements significatifs pour les remplacer par des chiffres et des statistiques. Pour la rendre correcte conformément au projet mondialiste, il faut notamment faire passer les Indo-Européens pour un mythe.

Suit le témoignage vivant d’un professeur d’histoire, pour qui il s’agit de susciter chez l’élève une attitude critique de recul face à l’actualité. Il lui faut pour cela combattre l’idéologie ambiante libérale-libertaire, qui dévalorise le savoir au profit d’une philosophie consumériste, utilitariste et ludique : les élèves aspirent à du clé-sur-porte (l’écologie c’est bien, Hitler c’est mauvais), utile en termes de notes, la vraie vie étant le jeu. La matière du programme, déconnectée des personnages et des événements historiques et de la chronologie au profit des statistiques, leur parait inintéressante. Il en est ainsi au moins pour les néo-barbares issus des classes sociales sans capital culturel familial, ce qui consacre les inégalités. Là où il s’agirait pour l’élève d’élargir l’histoire de son peuple à celle du monde. Mais existe-t-il encore une histoire commune à une population multiraciale ?

Dominique Venner, avec son livre ‘Le choc de l’Histoire’, donne à Pierre Vial l’occasion de souligner qu’il importe pour nous de découvrir l’Histoire en y prenant notre part. La civilisation européenne, expression de l’identité des peuples d’Europe, est menacée de mort par le mondialisme économique, au profit des requins de la finance. Leur réveil viendra de notre combat contre cette religion de l’humanité : les hommes n’existent que par ce qui les distingue. Pour Dominique Venner, il s’agit de prendre pied sur la tradition, notre boussole intérieure, et de revenir au message d’Homère. Inspiré par les dieux et la poésie, il nous a légué la source de notre tradition, avec une triade où arrimer nos âmes et nos conduites : la nature comme socle, l’excellence comme but, la beauté comme horizon.

Roberto Fiorini s’inquiète qu’ébranlés par la crise les banquiers régnants s’apprêtent à abattre leur dernière carte : le gouvernement mondial que le Pape juge d’une urgente nécessité. Les états sont déjà neutralisés par les institutions supranationales et ils sont les esclaves de leurs dettes. Ayant abandonné leur souveraineté monétaire, ils n’ont pas la possibilité, comme les USA, l’Angleterre, la Chine et même la Suisse, de jouer sur les changes. Le Prix Nobel Maurice Allais comparait les banques centrales à des faux monnayeurs. Seule l’Europe fait peser la charge des intérêts énormes qu’elle paie au marché sur ses contribuables les plus faibles (car taxer les riches les fait fuir !). Il faut une révolution pour sortir des pièges dans lesquels on nous a fait tomber.

Lionel Franc sort la fiche de santé de l’économie américaine : métastases dans leur phase terminale. La dette de l’Etat fédéral dépasse 100% du PIB (14.700 milliards $) et celle des Etats et des municipalités 2.375 milliards $. Quand on y ajoute l’endettement des ménages et des entreprises, on atteint 370% du PIB. Nombre d’Etats et de villes sont en cessation de paiement, notamment des traitements et des pensions ne sont plus payés que partiellement ou plus du tout. L’infrastructure routière n’est plus entretenue. Des services publics sont arrêtés. La poste licencie 138.000 employés et la Bank of America 30.000. Les bénéficiaires de l’aide alimentaire, qui étaient déjà 27 millions en 2007 sont à présent 44 millions et on estime que 14,7% des Américains sont sous-alimentés. Les campements de SDF se multiplient dans les villes. Et Obama, Bernanke (Fed. Res.) et Geithner (Secr. Trésor) s’évertuent à rassurer leur public. Pays le plus inégalitaire de la planète, aux USA les riches sont de plus en plus riches.

 

SOLID est une association sympathique de solidarité active avec tous les identitaires qui, par le monde, sont persécuté à cause de leur identité, que ce soit par l’effet de la globalisation marchande ou par un régime autoritaire qui leur refuse le droit de vivre leur identité sur la terre de leurs ancêtres. Solid appuie notamment l’action de Solidarité-Kosovo en faveur des enclaves serbes. Solid soutient la lutte du peuple des Karens contre la junte birmane et est préoccupée par le sort des communautés boers et afrikaans.

 

Jules Scipio recommande la lecture de ‘Complot mondial contre la santé’, le livre de Claire Séverac, fruit d’un long travail d’investigation sur les quatre grands cartels planétaires que sont la chimie, l’agro-alimentaire, la bio-technologie et le médico-pharmaceutique. Et sur la raison et le but ultime de ceux qui manipulent le nouvel ordre mondial. Elle implique notamment François Sarkozy et l’EMEA, l’agence européenne du médicament, de même que le véritable objectif des campagnes de vaccination de la Fondation Rockefeller.

Jean Haudry a découvert, dans le ‘Hergé et l’énigme du pôle’ de Paul-Georges Sansonetti, le conflit éternel entre les puissances de la tradition (Tintin, Milou, le capitaine Haddock, Tournesol) et les puissance de l’anti-tradition (liées par leurs initiales Roberto Rastapopoulos et Rackham le Rouge). Pour mettre en évidence le Pôle centre primordial de la tradition, Sansonetti fait appel à la guématrie, un système qui associe un nombre à chaque lettre selon sa place dans l’alphabet. Dans ‘Voyage sur la Lune’, la fusée, valeur 56, se pose au centre d’Hipparque, valeur 111, exprimant ainsi la centralité, car 56 est le mitant de 111 ! Comme valent également 111 la marque Loch Lomond du whisky du capitaine Haddock et sapristi, l’exclamation favorite de Tintin !

 

mardi, 15 novembre 2011

USA-Tricks gegen Iran: Eine Analyse

USA-Tricks gegen Iran: Eine Analyse

John Lanta

Nur wenige Wochen nach dem wundersamen Attentatsversuch des Iran gegen den saudischen Botschafter in Washington, dessen Story so unglaubwürdig war, dass kein namhafter Politiker in Europa dazu Stellung nehmen wollte, erreicht uns jetzt eine Geschichte, an der man nicht so leicht vorbeikommt. Kennzeichen der Anklagen gegen den Iran wegen seines angeblichen Atomwaffenprogramms sind wenig gehaltvolle Vorwürfe, falsche Schlussfolgerungen und deren ständige Wiederholung über viele Jahre. 

Die Tatsachen sind: Der Iran erfüllt alle Wünsche der Wiener Atomkontrollbehörde IAEA (International Atomic Energy Agency), lässt auch über die vorgeschriebenen Kontrollen hinaus weitere Kontrollen zu, die nicht vorgeschrieben sind, ist berechtigt, ein friedliches Atomprogramm voranzutreiben – und WÄRE jederzeit berechtigt, mit der rechtlich festgelegten Kündigungsfrist von drei Monaten aus dem unterschriebenen Atomwaffensperrvertrag auszusteigen.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/john-lant...

Gabriele Adinolfi au Parlement Européen (9 novembre 2011)

Gabriele Adinolfi au Parlement Européen

(9 novembre 2011)

Panik an den Märkten: Zinsen für französische Staatsanleihen explodieren

Panik an den Märkten: Zinsen für französische Staatsanleihen explodieren

Michael Brückner

Paris unter Druck: Das Schuldenvirus hat Frankreich infiziert. Selbst das eilig vorgestellte Sparpaket, das in der Bevölkerung auf heftigen Widerstand stößt, konnte ein Übergreifen der Krise nicht verhindern: In Italien und Frankreich explodieren die Zinsen für Staatsanleihen. Seit Tagen schon wächst das Misstrauen der Investoren gegenüber Sarkozy und seiner Regierung.

 

 

Am Ende blieben nur noch Hohn und Spott für den langjährigen italienischen Ministerpräsidenten Silvio Berlusconi. Er werde mit einem Glas Chianti auf den angekündigten Rücktritt anstoßen, meinte ein Christdemokrat in Berlin. Und der designierte  Präsident des Europäischen Parlaments, Martin Schulz, nannte den ausscheidenden Regierungschef »das größte Standortrisiko eines G-8-Staates«. Zunächst hatte die Demission Berlusconis die Aktienmärkte noch beflügelt, doch schon wenige Stunden später geriet die Situation völlig außer Kontrolle. Die Renditen für zehnjährige italienische Staatsbonds stiegen auf atemberaubende 7,47 Prozent, auch die Preise für CDS (Kreditderivate) schossen nach oben. Kopp Online warnte im Zusammenhang mit dem Berlusconi-Rücktritt und den auch in anderen Ländern anstehenden Neuwahlen frühzeitig vor zunehmender innenpolitischer Instabilität mit der Folge einer weiteren Verschärfung der Euro-Krise. Nach dem Rücktritt des italienischen Premiers äußerte sich das Investmenthaus Goldman Sachs ähnlich und bezeichnete Neuwahlen in Italien als Worst Case. Davon scheinen die Marktteilnehmer nun aber mehrheitlich auszugehen. Deshalb haben sie sich geradezu panisch von italienischen Staatsanleihen getrennt.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/michael-brueckner/panik-an-den-maerkten-zinsen-fuer-franzoesische-staatsanleihen-explodieren.html

Le choix économique est un choix existentiel

Le choix économique est un choix existentiel

par Claude BOURRINET

Entre effet de manche et coup de menton, une remarque en apparence anodine, destinée à justifier certaines palinodies, comme l’« aide » massive accordée aux États endettés, ou l’accroissement substantiel du Fonds de soutien financier, voire l’idée de plus en plus concrète de gouvernement économique de l’Union, jette une lumière crue sur la capacité réelle de ceux qui ont entrepris de diriger le destin de l’Europe. Le traité de Maastricht, nous dit-on, ne prévoyait pas que dût se produire une crise. Aucune autre absurdité, parmi d’autres, ne saurait mieux singulariser cette entreprise aussi utopique et  sournoise que fut l’instauration d’un grand marché montrant maintenant sa faillite. Car elle dénote un trait psychologique saillant chez la technocratie politique libérale. Elle ne doute jamais. Ou, plutôt, adoptant les présupposés anthropologique de Fukuyama, elle considère que la libre concurrence, le flux illimité et sans frein des hommes et des marchandises, doit à terme aplanir les obstacles immémoriaux entre les peuples, faciliter l’entente universelle et procurer à tous le confort de vie qui rend impensable le ressentiment, la haine et le conflit. Qui se souvient qu’en 1992 on nous promettait des emplois à gogo, et que, un peu plus tard, la création de la monnaie unique allait les démultiplier ?

Or, paradoxalement, les crises s’enchaînèrent, tirant à hu et à dia les gouvernements qui, en pompiers dépassés par les foyers d’incendies multiples, s’empressaient, en tenant toujours les mêmes discours lénifiants, d’éteindre ici et là ce feu qu’on avait allumé.

Les peuples, du moins ce qu’il en reste, n’y comprenaient goutte. Des voix s’élevaient, de-ci, de-là, chez tel intellectuel, tel prix Nobel, mais très minoritaires, et de toute façon inaudibles parce qu’on les occultait, ou qu’elles étaient noyées dans le tsunami des commentaires avisés de spécialistes rémunérés au mensonge. Qui pouvait comprendre, s’il n’était spécialiste ? Le langage de la technique, aussi crédible soit-il à l’intérieur de chaque domaine spécifique, n’est jamais si utile que quand il brouille les pistes. Dans le périmètre des sciences économiques, l’usage de termes anglo-saxons, d’abréviations et de schémas mathématiques, ne sont  pas en mesure de clarifier une situation qui se précipite en cahotant, comme un véhicule qui a perdu son chemin. On invoque alors les dérives, laissant entendre qu’il existerait un ordre normal à une organisation qui ne l’est pas, on désigne un Kerviel, un voyou, pour suggérer que le système, dont on affiche pourtant l’amoralisme avec quelque jubilation, puisse devenir moral.

Si bien que l’on est plus près d’une certaine vérité quand on réagit de façon épidermique quand, dans le même temps où la bourse joue du yo-yo en engraissant les spéculateurs, on assiste, impuissant, à la destruction des emplois, à la désindustrialisation du pays, et à l’arrogance sans retenue des bénéficiaires d’une mondialisation dont on peut considérer qu’elle est une agression sans mesure des riches contre les pauvres, et du désert culturel contre l’ethnodiversité du monde.

Si l’on se fiait aux déclarations officielles, chaque action entreprise serait un triomphe historique, et la solution enfin trouvée. Si la misère, tant sociale que culturelle, se répand comme un désert humain, pendant que dans le même temps l’immobilier s’envole, et le parc portuaire des bateaux de loisir prolifère, c’est que quelque chose est en route, un phénomène relativement simple, même si la sarabande des chiffres et la valse des réunions au sommet embrouillent la surface d’une eau pourtant aussi limpide que la vérité. Au fond, si l’on suivait son instinct, il y aurait longtemps qu’on aurait imité Jésus, qui, un fouet à la main, renversait les étals des marchands du Temple.

Mais le temps des révolutions semble révolu. L’insurrection populaire est un soubresaut historique qui, sous couvert de changer de société, accélère un processus de « modernisation ». Il est bien évident que les peuples ont toujours été floués. Finalement, seule la révolution de Cromwell réussit à lier, dans un commun projet de pillage marchand, entreprise poursuivie par les États-Unis d’Amérique, toutes les classes nationales, les mêlant dans une sorte de fraternité de brigandage. Orwell, certes, a souligné combien cette mise en place de cette société de l’Argent-Roi s’est faite avec quelque difficulté, mais enfin, elle parvint à ses fins, et ce n’est pas sans surprise que nous, vieille civilisation où la notion de Res publica a toujours été vivante, voyons que, par-delà le Channel, la chose publique n’ait été perçue que comme un problème de gestion économique, et les convictions comme autant de choix de la vie privée.

L’absence de réactions sérieuses face à la destruction de plusieurs siècles de culture sociale et politique, sur le Vieux Continent, dont  l’exemple de « primaires », données comme « expérience  démocratique » ou comme « modernisation de la vie publique », n’est qu’une déclinaison, parce qu’elle avalise l’existence de deux niveaux d’engagement, montre bien la profondeur de l’« anglo-saxonnisation » des mœurs. Il n’existe plus, en fait, de frontière étanche entre l’appréhension du politique, et, par exemple, la variété des choix de consommation, ou bien la superficialité du monde du spectacle.

Lorsqu’on parcourt l’ouvrage qu’Alain Peyrefitte consacra à De Gaulle (C’était De Gaulle, trois tomes), on est frappé non seulement par la capacité qu’avait le Général de se projeter dans l’avenir, mais aussi par une culture historique profonde, autant dire une distance, que n’ont plus nos hommes politiques. Car, contrairement à ce qu’on laisse entendre, il n’était pas contre l’Europe. Si celle-ci, à ses yeux, devait devenir une confédération, une « Europe des Nations », il soulignait, en critiquant le Traité de Rome, combien c’était s’enfermer que de commencer par l’économie. Non qu’il eût fallu le faire par la culture, comme l’aurait regretté, dans une phrase apocryphe, Jean Monnet,  ce qui ne signifie pas grand-chose, mais, comme les structures mentales de sa génération, nourrie de Maurras, de Nietzsche et de Napoléon, l’y poussaient, par le politique. La grande politique, devrions-nous ajouter. C’est pourquoi De Gaulle sacrifia l’Algérie française pour risquer l’aventure nucléaire et asseoir la réputation mondiale de la France, c’est ainsi qu’en 1966 il expulsa l’O.T.A.N., c’est enfin pour cette raison qu’il se méfia tout le temps d’une Europe qu’il croyait à bon escient infestée de libéraux et de complices des Anglais et des Américains.

Il est donc juste de répéter, encore et toujours, que l’économie, le paramètre économique, pour expliquer le monde et le sauver, est un leurre, un piège, une fausse équation : la résolution d’une de ses composantes ne peut aboutir au bonheur, à l’épanouissement, à la réalisation des individus et des peuple. Car le choix de l’ardente obligation économique est une option existentielle. On aboutit par là toujours à un problème moral, voire à une problématique de moraliste. Pourquoi d’ailleurs exempter de la faute des peuples qui ont cru toucher des dividendes à l’abandon de leur honneur et de leurs traditions ? Il est bien évident que l’absence de combativité, jusqu’à la catastrophe personnelle, qui touche son foyer, son emploi, son quartier, n’est jamais si visible que par l’avidité souvent frustrée de profiter des miettes du système. C’est l’hybris qui est cause du dysfonctionnement, ou, pour mieux dire, du fonctionnement naturel d’une logique qui s’est éloignée radicalement de la nature, du bien commun, de la décence. C’est en voulant accumuler, en désirant s’enrichir, en croyant que la jouissance matérielle n’a pas de fin, et que, pire, elle peut remplacer la joie humaine, le sens de la vie, que nous avons été conduits au désastre.

On nous dit que la gouvernance économique, dont l’Allemagne va prendre la tête, se met en place. On nous fait miroiter une Fédération européenne. Tout cela est vain, trompeur. On ne cherche qu’à améliorer l’intégration d’un espace à un autre, mortifère, empoisonné. Rien ne change radicalement rien, et d’autres crises adviendront, de plus en plus sévères. Il s’agit donc d’inverser la vision, les priorités. Ce n’est pas les pieds qu’il faut privilégier dans la marche, mais l’intelligence, l’esprit, le sens moral. Ce n’est pas l’addiction matérialiste qu’il faut encourager, mais la fierté d’être libre, indépendant, pourvu d’une direction qui travaille vraiment pour la civilisation européenne, qui soit vraiment patriotique. Ce n’est pas le « Comment ? » qu’il faut poser, mais le « Pourquoi ? ».

Claude Bourrinet


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lundi, 14 novembre 2011

Les Suisses ne badinent pas!

LES SUISSES NE BADINENT PAS  

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De l'"intervention humanitaire" en Libye

De l’“intervention humanitaire” en Libye

 

Entretien avec le Prof. Dr. Vijay Prashad (Etats-Unis)

 

vijay-prashad.jpgLe professeur Vijay Prashad est né et a grandi à Calcutta en Inde; Il est aujourd’hui le directeur du département des “Etudes internationales” au Trinity College d’Hartford, dans le Connecticut aux Etats-Unis. Il est l’auteur d’une histoire du tiers-monde, intitulée “The Darker Nations”. Il nous déclare: “Il aurait été bien embarrassant de faire passer Khadafi devant un tribunal”. Notre professeur d’origine indienne ne critique pas seulement l’attaque de l’OTAN contre le convoi qui transportait Khadafi mais aussi l’assassinat de l’ancien dictateur libyen.

 

Q.: Prof. Prashad, nous venons de lire le bilan que vous tirez des 42 ans de règne de Khadafi. Comment jugez-vous l’assassinat du Colonel et de son fils Moutassim?

 

VP: La façon dont a été conduite l’attaque de l’OTAN contre le convoi, puis l’exécution de Khadafi, sont des faits particulièrement interpellants parce qu’ils sont en contradiction formelle avec les principes de l’ONU et de la Convention de Genève qui interdisent les exécutions perpétrées sans jugement. Philip Alston, qui fut jadis le porte-paroles de l’ONU, avait établi des critères très clairs, s’opposant aux assassinats délibérés ou aux meurtres “spontanés”. Je suis heureux d’apprendre que l’ONU fera enquête à propos de la mort de Khadafi, même si l’organisation ne pourra pas imposer des mesures sévères. Car elle enquêtera seulement sur l’espace-temps entre la capture de Khadafi et sa mort, et ne se penchera pas sur l’attaque aérienne contre le convoi qui le transportait, alors que ce convoi ne présentait aucun danger pour la vie de civils.

 

Q.: L’OTAN prétend le contaire: les véhicules auraient présenté un “danger considérable” pour la population civile...

 

VP: Vu la situation, cette affirmation est dépourvue de crédibilité. En quoi consistait donc le “danger considérable”? Nous devrions recevoir plus de preuves et non pas seulement nous contenter de cette affirmation. Qui est de nature irresponsable. Les affirmations de ce genre ne peuvent en rien constituer les bases rationnelles d’une explication. Y a-t-il des preuves que le convoi attaquait des civils? Comment l’oeil du ciel a-t-il pu le savoir? Si l’on tient compte de la longue histoire des tentatives d’assassinat par voie aérienne  —comme par exemple par le biais de drones—  on ne peut déduire, dans le cas qui nous préoccupe, qu’il y avait un combat réellement engagé. L’affirmation de l’OTAN ne me convainc pas.

 

Q.: Dans l’ensemble, l’attaque de l’OTAN contre la Libye peut-elle être qualifiée d’ “intervention humanitaire”?

 

VP: Si cela avait été une “intervention humanitaire”, au sens véritable du terme, l’OTAN aurait d’abord tenté d’amener les parties à une table de négociations pour chercher les bases d’une paix. Ensuite, l’OTAN aurait alors rapidement veillé à ouvrir des “corridors humanitaires” vers l’Egypte, la Tunisie, le Tchad et l’Algérie, pour permettre aux civils, coincés dans les villes assiégées, de fuir. Rien de cela n’a été fait. Dans le cas de la Libye, nous avons plutôt affaire à une forme guerrière d’“intervention humanitaire”. Elle parie sur une victoire militaire au lieu de parier sur un processus qui aboutirait à une solution pacifique du conflit. Car on voit désormais que la vengeance est à l’oeuvre et que sévissent des groupes armés dans tout le pays. C’est une terrible tragédie.

 

Q.: Y avait-il intérêt à faire taire Khadafi?

 

VP: Très probablement. Khadafi aurait eu beaucoup de choses à dire. Par exemple sur l’étroite collaboration entre le MI5 britannique, la CIA et les services secrets égyptiens qui utilisaient les prisons libyennes pour pratiquer la torture. Et cela n’aurait été qu’une anecdote parmi de nombreux faits... Khadafi aurait eu pas mal de choses à raconter sur Berlusconi. Ou sur les puissances arabes du Golfe, qu’il haïssait, et qui le haïssaient encore davantage.

 

Q.: Dans votre livre, vous faites une distinction entre le Khadafi des premières décennies de son règne et le Khadafi ultérieur...

 

VP: Oui. Je pense qu’il y a eu, pour parler simple, deux Khadafi. Les Etats inféodés à l’OTAN cherchent à faire oublier que le Khadafi de ces dernières années a été une sorte de réformateur néo-libéral et un allié contre le terrorisme. Le Khadafi des premières décennies, entre 1969 et 1988, fut un homme d’Etat soucieux de créer des “biens sociaux” pour son peuple. La population s’est habituée à être gâtée. Mais quel avenir attend aujourd’hui la Libye, selon les propres paroles du secrétaire général de l’OTAN? Elle aura des dirigeants pro-occidentaux, qui lui offriront une fausse liberté politique et lui imposeront le néo-libéralisme, afin de fabriquer une sorte de Dubai en Méditerranée. N’est-ce pas là le but déclaré?

 

(entretien paru dans DNZ, Munich, n°45/2011).

Krantenkoppen - November 2011 (1)

Krantenkoppen
 
November 2011 (1)
 
LE VAUCLUSE SORT DE L'EURO!
‎"Chacun pourra échanger ses euros contre des roues qui se présentent sous forme de billets de 1, 2, 5, 10, 20 et 50 tout juste sortis de 2 imprimeries de Pernes":
http://www.laprovence.com/article/economie-a-la-une/le-vaucluse-sort-de-leuro
 
 
UNASUR WIL ZUID-AMERIKAANS RUIMTEVAARTAGENTSCHAP OPRICHTEN:
‎"Bedoeling is zo snel mogelijk toegang te krijgen tot de ruimte, met een lanceerplatform en satellieten die in Zuid-Amerika worden gemaakt", verklaarde de (...) vergadering van de ministers van Defensie uit de UNASUR-landen:
http://www.demorgen.be/dm/nl/990/Buitenland/article/detail/1347130/2011/11/12/UNASUR-wil-Zuid-Amerikaans-ruimtevaartagentschap-oprichten.dhtml
 
 
AN EXAMPLE OF FOOD SOVEREIGNTY IN VENEZUELA:
‎"The cooperative started with 100% government support and now it is 80% self managed. The aim is to be fully self funded and then to help others. They wish to be an example for others to follow by raising consciousness that as campesinos, they can do it themselves":
http://americanfront.info/2011/11/11/a-example-of-food-sovereignty-in-venezuela/
 
 
BREIVIK'S '2083':
‎"The writer of 2083, too, is pro-Jew (so long as they are free of multicultural taint and pass his muster as right-wing Zionists), pro-gay, violently anti-Muslim and anti-Communist. His nearest analogue is Pim Fortuyn, the assassinated Dutch far-right Judeophile and gay politician. Breivik marched with the English Defence League (EDL), a British group set apart by its strongly pro-Jewish, anti-Muslim militancy":
http://openrevolt.info/2011/10/30/breiviks-2083/
 
 
'LIBYAN LIBERATION FRONT' FORMED TO RESIST US-NATO PUPPET REGIME:
‎"In the region known as the Sahel, former officials, operatives and supporters of the Gaddafi government are meeting on a daily basis to chart the next phase of the struggle to reclaim their nation":
http://panafricannews.blogspot.com/2011/11/libyan-liberation-front-formed-to.html
 
 
FRANSE INMENGING IN LIBIË WAS VAN EEN ANDERE ORDE DAN SARKOZY LIET UITSCHIJNEN:
"[Uit het boek] blijkt dat de zaken in Libië op het terrein enigzins anders verliepen dan men ons wilde doen geloven. Zo schrijft BHL dat:
1. Frankrijk niet één, maar verschillende wapenleveringen aan de Libische rebellen deed. Dat gebeurde via een omweg naar Qatar.
2. Frankrijk wel degelijk grondtroepen leverde. ‘Fransen die Arabisch praten, we hebben er jullie een aantal gestuurd en er komen er nog. Om hoeveel manschappen het gaat, is niet belangrijk,’ zei de Franse president Nicolas Sarkozy op 16 april tegen een diplomaat.
3. Hijzelf aan Sarkozy vroeg ‘om 300 elitetroepen naar Libië te sturen, samen met Engeland.’ Een verzoek waaraan volgens de filosoof 'gedeeltelijk' werd voldaan.
4. Tot aan het einde van de oorlog de gealliëerden een strategisch doelwit hebben gespaard: de privé-vertrek- en landingspiste van kolonel Gaddafi. Waarom? Ze wilden hem een uitweg bieden en hem tevens laten verstaan dat eens die piste gebombardeerd werd, het einde nabij was.
5. De Fransen een belangrijke rol speelden bij de val van Tripoli. Nadat op 17 augustus wapens waren gearriveerd via Misrata werd de Libische hoofdstad 4 dagen later ingenomen, dankzij de tussenkomst van Franse elitetroepen en manschappen uit de Emiraten en het Verenigd Koninkrijk. Hoe dat in zijn werk ging, schrijft BHL niet."
 
 
AL 30 JAAR SPRAKE VAN 'IRAANSE NUCLEAIRE DREIGING':
"Kort nadat West-Duitse ingenieurs de niet-afgewerkte reactor van Bushehr hadden bezocht, luidde het in 1984 volgens West-Duitse inlinchtingendiensten dat Iran 'de eindfase betrad' van de productie van een kernbom. De Amerikaanse senator A...lan Cranston zei dat Teheran 7 jaar verwijderd was van het maken van een atoombom.
In 1992 kwam een eerste waarschuwing uit Israël van toenmalig parlementslid - nu premier - Benjamin Netanyahu. Datzelfde jaar sprongen de VS voor het eerst op de kar toen een taskforce van het Huis van Afgevaardigden zei dat er '98% kans was dat Iran al alle (of virtueel alle) componenten had voor 2 of 3 operationele kernbommen'."
 
 
WITH PHILIP BLOND, AGE-OLD 'DISTRIBUTISM' GAINS NEW TRACTION:
"Distributism, a theory that argues that both capitalism and government are out of control:
What we are creating in our society is a new model of serfdom (...). The rhetoric of free markets has not produced free markets; it has produced closed markets and the nation's 'social capital' is declining, leaving behind isolated individuals and fractured families who must depend on Washington for support.
With a flurry of charts, Blond graphically demonstrated the breakdown of both social norms and the family unit -- and the growth of government to address those ills -- as well as the dominance of corporations and the rich in the current economy."
 
 
ISRAEL UND LIBYEN/ AFRIKA SOLL AUF 'KAMPF DER KULTUREN' VORBEREITET WERDEN:
"Der Yinon-Plan ist ein israelischer Strategieplan zur Garantie der israelischen Überlegenheit (...). Er fordert und drängt darauf, dass Israel seine geopolitische Umgebung über eine Balkanisierung des Nahen und Mittleren Ostens und der ar...abischen Staaten in kleinere und schwächere staatliche Gebilde umgestalten müsse.
Israelische Strategieexperten sahen den Irak als die größte strategische Herausforderung seitens eines arabischen Staates an. Aus diesem Grunde stand der Irak im Zentrum der Balkanisierung des Nahen und Mittleren Ostens und der arabischen Welt. Auf der Grundlage der Konzepte des Yinon-Plans haben israelische Strategen die Aufteilung des Irak in einen kurdischen Staat und 2 arabische – einen schiitischen und 1 sunnitischen – Staaten gefordert. Den ersten Schritt zur Umsetzung dieser Pläne bildete der Krieg zwischen dem Irak und dem Iran, der schon im Yinon-Plan (...) erörtert worden war.
Die Zeitschrift The Atlantic und das amerikanische Armed Forces Journal veröffentlichten beide 2006 weitverbreitete Karten, die sich an den Konzepten des Yinon-Plans orientierten. Neben einem dreigeteilten Irak, den auch der sogenannte »Biden-Plan« des heutigen amerikanischen Vizepräsidenten Joe Biden vorsah, setzte sich der Yinon-Plan auch für eine Aufteilung des Libanon, Ägyptens und Syriens ein. Auch die Zersplitterung des Iran, der Türkei, Somalias und Pakistans passt in das Konzept dieser Politik. Darüber hinaus befürwortet der Yinon-Plan eine Auflösung [der existierenden staatlichen Strukturen] Nordafrikas, die, so prognostiziert er, von Ägypten ausgehen und dann auf den Sudan, Libyen und den Rest der Region übergreifen werde."
 
 
5000 HOMMES DES FORCES SPECIALES AVAIENT ETE DEPLOYEES EN LIBYE:
‎"Les Qatariens sont arrivés avec des valises remplies d’argent, ce qui leur permit de retourner des tribus":
 
 
QATAR ADMITS IT HAD BOOTS ON THE GROUND IN LIBYA:
‎"Qatar revealed for the first time on Wednesday that hundreds of its soldiers had joined Libyan rebel forces on the ground as they battled troops of veteran leader Muammar Qaddafi":
http://www.alarabiya.net/articles/2011/10/26/173833.html
 
 
LIBYE: LE QATAR REVELE LA PARTICIPATION DE CENTAINES DE SES SOLDATS: 
‎"Des centaines de soldats du Qatar ont participé aux opérations militaires aux côtés des rebelles en Libye, a révélé mercredi le chef d'état-major qatari, le général Hamad ben Ali al-Attiya. (...) Nous assurions la liaison entre les rebelles et l'Otan, a-t-il ajouté en marge d'une réunion à Doha des chefs d'état-major des pays engagés militairement en Libye":
http://www.romandie.com/news/n/_Libye_le_Qatar_revele_la_participation_de_centaines_de_ses_soldats261020111210.asp
 
 
VAN LIBIË NAAR GUATEMALA: WIE HET VERLEDEN KENT, BEGRIJPT HET HEDEN BETER:
‎"Zal het nu ook 50 jaar duren voor we erkennen dat de Franse inlichtingendiensten en de CIA betrokken waren bij de organisatie van de 'volksopstand' in Benghazi? Zal het ook 50 jaar duren voor we erkennen dat er geen sprake was van massale slachtpartijen voor de bombardementen van de NAVO begonnen? Zal het ten slotte 50 jaar duren voor de media erkennen dat ze zich ook voor deze oorlog gewillig hebben laten gebruiken, voor de massale slachtpartijen door de rebellen worden erkend en vervolgd?":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2011/10/26/van-libie-naar-guatemala-wie-het-verleden-kent-begrijpt-het-heden-beter
 
 
BELARUS PREPARES FOR GLOBALIST AGGRESSION:
‎"The Belarusian government has announced the creation of a new citizen army of up to 120.000 people. President Lukashenko told reporters in Grodno: 'If we ever have to be at war, we are men, we have to protect our homes, families, our land. It is our duty'."
http://americanfront.info/2011/11/06/belarus-prepares-for-globalist-aggression/
 
 
PERON ON THE DEATH OF CHE:
‎"Today (...) a hero fell, the most extraordinary young man to give his life to the revolution in Latin America, Comandante Ernesto Che Guevara. His death breaks my heart because he was one of us, perhaps better than us all, an example of selfless behavior, the spirit of sacrifice and renunciation. The strong belief in the righteousness of the cause he embraced, gave him the strength and courage, courage that today elevated him to the status of hero and martyr":
http://openrevolt.info/2011/11/04/peron-on-che/ 
 
 
‎03-11-2011: HUGE SYRIAN DEMONSTRATION IN DAMASCUS:
In support of Syrian President Bashar Al-Assad with speech by an Italian delegation of 'Coordinamento Progetto Eurasia':
http://www.youtube.com/watch?v=KaH1Za_PI9U
 
 
DES MUSULMANS MANIFESTENT CONTRA LA CHRISTIANOPHOBIE EN FRANCE:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=i9dunOXRWdQ
 
 
VS MOET LUCHTMACHTBASIS IN KIRGIZIË IN 2014 SLUITEN:
‎"De VS moeten in 2014 hun militaire basis in Kirgizië, die van strategisch belang is voor de Amerikaanse operaties in Afghanistan, verlaten. (...) Op de basis passeren elke maand tienduizenden militairen die in Afghanistan actief zijn":
http://www.demorgen.be/dm/nl/990/Buitenland/article/detail/1342149/2011/11/01/VS-moet-luchtmachtbasis-in-Kirgizie-in-2014-sluiten.dhtml
 
 
5.000 SCHAPEN PALMEN MADRID IN:
‎"Spaanse herders zijn zondag met grote kuddes schapen door het centrum van Madrid getrokken ter verdediging van eeuwenoude weide-, migratie- en veedrijversrechten. Die rechten worden bedreigd door stedelijke wildgroei en kunstmatige grenzen":
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=DMF20111030_036
 

dimanche, 13 novembre 2011

Tomislav Sunic - Deutschland 0ktober 2011


Tomislav Sunic

Deutschland - Oktober 2011

16:56 Publié dans Nouvelle Droite | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : tomislav sunic | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook