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samedi, 03 octobre 2015

Presseschau - Oktober 2015

 

vendredi, 02 octobre 2015

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Ex: http://www.lintellettualedissidente.it

In tanti in Europa esultano per l’indebolimento dell’immagine della Germania; ma tralasciando gli asti interni al vecchio continente, ridere per le disgrazie tedesche non appare molto saggio: con una Berlino espugnata, è l’intera Europa ad uscire indebolita!
 

Merkel_Untergang.jpgAlzi la mano che non rida quando, il primo della classe, magari quel ‘secchione’ con gli occhiali che non perde occasione nel dimostrare la propria bravura e la contestuale impreparazione altrui, viene beccato con le mani nel sacco. In tutte le classi di tutto il mondo, quando magari un soggetto del genere viene colto impreparato è una festa per tutti e chi da mesi ha una sfilza di impreparati, improvvisamente torna entusiasta di andare a scuola. Si può quindi comprendere come mai molti italiani, alla notizia del ‘trucchetto’ della Volkswagen, hanno iniziato a ridacchiare ed a sfoderare tutta la retorica da sindrome di ultimo della classe: ‘Anche loro barano’, ‘adesso la Germania non può più dirci nulla’ oppure ancora ‘Germania Kaputt’, sono state le frasi più in voga sui social network in questi giorni. Va bene ridacchiare per le disgrazie di un paese che da anni bacchetta mezza Europa al grido di ‘austerity e rigore’, ma al tempo stesso è ben utile chiarire come in realtà la situazione non è così semplice come una banale querelle tra compagni di classe. In realtà, sulla disgrazia Volkswagen c’è ben poco da ridere e per due ragioni; in primo luogo, è da stolti oggi sfoderare retorica germanofoba.

La Germania, come detto anche in passato, nonostante i suoi difetti e nonostante possa ispirare poca ‘simpatia’, è un grande paese di 140 milioni di abitanti, traino dell’economia europea e dunque imprescindibile per ogni ipotesi di rilancio del vecchi continente; il suo posizionamento poi, ne fa un paese ponte (la storia, tra muri costruiti e muri divelti lo dimostra) tra occidente ed oriente ed un suo indebolimento costituirebbe un ulteriore ostacolo nelle relazioni tra Europa e Russia. Ma soprattutto, altro motivo per cui non è saggio ridere delle disgrazie Volkswagen, è abbastanza palese come l’uscita dei dati che mostrano il trucco sui dati in merito le emissioni, è strumentale; si è voluto dare un colpo molto forte all’orgoglio, all’economia ed all’immagine della Germania. La Volkswagen è cuore dell’industria tedesca, oltre che vanto da diversi decenni; al di là delle migliaia di posti di lavoro, il colosso delle auto è simbolo stesso dell’efficienza della Germania. Colpire adesso, suona come un avvertimento; Berlino in questi giorni era pronta a far valere il suo peso diplomatico sulla questione siriana: Angela Merkel aveva valutato la possibilità di considerare Assad un interlocutore, in più la pressione interna di molti imprenditori tedeschi danneggiati dalle sanzioni alla Russia, stava spingendo la cancelliera a primi passi verso il riavvicinamento a Mosca, pur senza mai citare (almeno in questi giorni) la possibilità di togliere da subito tali sanzioni.

volkswagen-dans-la-tourmente_1592965_418x209.jpgIn poche parole, la Germania era pronta a fare la sua parte; una parte che, seppur invisa a molte cancelliere europee, le spetta di diritto essendo l’economia più forte del continente ed il paese più popolato d’Europa. La politica estera tedesca presenta molte lacune e molte criticità, ma al tempo stesso ‘tifare’ per un peso minore di Berlino nello scacchiere internazionale, vuol dire tagliare fuori definitivamente il vecchio continente da ogni possibile ruolo da protagonista nelle crisi principali. Ed è inoltre proprio Berlino ad avanzare perplessità su alcuni aspetti del TTIP, che invece gli americani vorrebbero far approvare in tempi brevi; tale trattato transatlantico dovrà essere ostacolato soprattutto dal movimento di opinione che da 3 anni a questa parte si sta sviluppando in tutta Europa, ma anche una Germania che avanzava perplessità poteva certamente essere un valido baluardo di difesa. L’aver lanciato le prove del trucco Volkswagen sulle emissioni di gas comunque, non è probabilmente legato direttamente ad uno dei singoli casi prima citati; esso, visto dal luogo da cui è partito (dagli USA), è probabilmente ricollegabile ad un avvertimento generale: la Germania oltre certi limiti non può andare.

In tempi non sospetti, quando tutti elogiavano o temevano la Germania, in più ambienti ed anche nelle colonne del nostro giornale, si lanciava un avvertimento: Berlino può solo ‘giocare’ ad essere una potenza internazionale, resta però pur sempre un paese occupato da centinaia di basi straniere da 70 anni a questa parte e quindi ogni starnuto all’interno della Cancelleria viene valutato e studiato dall’esterno e se qualcosa non combacia con gli interessi dei proprietari di tali basi militari, allora arrivano questo genere di avvertimenti. Quel che sta subendo la Germania in questi giorni, è un attacco a tutto tondo, con tanto di main streaming sguinzagliati contro di essa; della fine del mito e del sogno tedesco se ne parla ormai da giorni, mentre la Volkswagen (non immune certamente da colpe ma, probabilmente, non l’unica industria automobilistica ad aver ‘barato’ nel corso della storia) viene catalogata come il ‘mostro del mese’ da attaccare. ‘Ben gli sta’, potrebbe obiettare qualcuno; ma in realtà no: come detto sopra, l’animo tedesco potrà essere anche poco preposto all’empatia, ma la Germania indebolita è preludio allo schianto definitivo dell’Europa. Giusta (a volte) o sbagliata (spesso) che sia, la via tedesca è l’unica europea rimasta; se anche questa arteria diplomatica viene tranciata, arriverà il via libera definitivo ad un’Europa meramente schiava di potenze straniere. Ed in ottica futura, per sperare ancora in una ripresa del nostro continente, non si può immaginare una Germania indebolita.

 

mercredi, 30 septembre 2015

The Paranoid German Mind: Counting Down to the Next War

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The Paranoid German Mind:

Counting Down to the Next War

Tom Sunic, Ph.D.

Ex: http://www.theoccidentalobserver.net

Having lost, during and after World War II, over 9 million of its soldiers and civilians, Germany has had to wallow in expiation and self-abnegation.  Its present grotesque multicultural policy of Willkomenskultur (“welcoming culture” toward non-European migrants), openly heralded by Chancellor Angela Merkel and her government, is the direct result of the lost war. Germany’s role of an exemplary host country for millions of non-European migrants has been a major linchpin of its legal system over the last 70 years —  and by default for present day Central European countries subject today to floods of non-European migrants. The countries that were most loyal to National Socialist Germany in World War II, the contemporary Hungary, Croatia and to some extent Slovakia and Baltic countries further north, have similar self-denying dilemmas — due, on one  hand, to their historically friendly pro-German ties, and on the other, due to the obligatory rituals of antifascist mea culpas, as demanded by Brussels and Washington bureaucrats.  I have put together for TOO some excerpts from the chapter “Brainwashing the Germans” from my book Homo americanus: Child of the Postmodern Age, 2007 (foreword by Kevin MacDonald) (The second edition of this book is to be published by Washington  Summit Publishers). I guess some of those lines below might shed some light into extremely serious political developments in Europe today.

  *   *   *

In the aftermath of World War II, the role of Frankfurt School “scholars,” many of whom were of Jewish extraction, was decisive in shaping the new European cultural scene.  Scores of American left-leaning psychoanalysts — under the auspices of the Truman government — swarmed over Germany in an attempt to rectify not just the German mind but also to change the brains of all Europeans.  But there were also a considerable number of WASP Puritan-minded scholars and military men active in post-war Germany, such as Major Robert A. General McClure, the poet Archibald MacLeish, the political scientist Harold Laswell, the jurist Robert Jackson and the philosopher John Dewey, who had envisaged copying the American way of democracy into the European public scene.

As a result of Frankfurt School re-educational efforts in war-ravaged Germany, thousands of book titles from the fields of genetics and anthropology were removed from library shelves and thousands of museum artifacts were, if not destroyed by the preceding Allied fire-bombing, shipped to the USA and the Soviet Union. Particularly severe was the Allied treatment of German teachers and academics, wrote Caspar von Schrenck-Notzing, a prominent postwar conservative German scholar in his book on the post-WWII brainwashing of the German people. In his seminal book Schrenck-Notzing  writes that the Western occupying authorities considered that the best approach in curing the defeated Germany was by treating Germans as a nation of “clinical patients” in need of a hefty dose of liberal and socialist therapy.  Since National Socialist Germany had a significant support among German teachers and university professors, it was to be expected that the US re-educational authorities would start screening German intellectuals, writers, journalists and film makers first.

Having destroyed dozens of major libraries in Germany, with millions of volumes gone up in flames, the Allied occupying powers resorted to improvising measures in order to give some semblance of normalcy to what was later to become “democratic Germany.”

During the post-WWII vetting of well-known figures from the German world of literature and science, thousands of German intellectuals were obliged to fill out forms known in at the time as “Der Fragebogen” (The Questionnaire).  In his satirical novel under the same name and translated into English as The Questionnaire, German novelist and a former conservative revolutionary militant, Ernst von Salomon, describes American “new pedagogues” extorting confessions from the German captives, who were subsequently either intellectually silenced or dispatched to the gallows. Schrenck-Notzing  provides his readers with a glimpse of the mindset of the Allied educators showing the very great influence of the Frankfurt School:

Whoever wishes to combat fascism must start from the premises that the central breeding ground for the reactionary person is represented by his family.  Given that the authoritarian society reproduces itself in the structure of the individual through his authoritarian family, it follows that political reaction will defend the authoritarian family as the basis for its state, itsculture and its civilization. (my  emphasis)

From Ethno-Nationalism to National-Masochism

Much later,  Patrick J. Buchanan, in a similar vein, in his The Death of the West  also notes that Frankfurt School intellectuals in postwar Germany, having been bankrolled by the American military authorities, succeeded in labeling National Socialist sympathizers as “mentally sick,” a term which would later have a lasting impact on political vocabulary and the future development of “political correctness”  in Europe and America.  Political prejudice, notably, a sense of authority and the resentment of Jews, were categorized as “mental illnesses” rooted in traditional European child-rearing. The ideology of antifascism became by the late twentieth century a form of “negative legitimacy” for Germany and the entire West.  It implicitly suggested that if there was no “fascist threat,” the West could not exist in its present form.

Later on, German political elites went a step further. In order to show to their American sponsors their new democratic credentials and their philo-Semitic attitudes, in the early 1960’s they introduced legislation forbidding any historical revisionism of World War II and any critical study of mass immigration into Western Europe, including any study of negative socio-economic consequences of multiculturalism and multiracialism.

As of today the German Criminal Code appears in its substance more repressive than the former Soviet Criminal Code.  Day after day Germany has to prove to the world that it can perform self-educational tasks better than its former American tutor.  It must show signs of being the most servile disciple of the American hegemon, given that the “transformation of the German mind (was) the main home work of the military regime.” 

In addition to standard German media vilification of local “trouble-makers” — i.e. “right -wingers” —  Germany also requires from its civil servants obedience to constitutional commands and not necessarily their loyalty to the people or to the state of Germany. This is pursuant to Article 33, Paragraph 5, of its Basic Law.  ]) The German legal scholar Josef Schüsselburner,Germany’s observes that the powerful agency designed for the supervision of the Constitution (the famed “Office for the Protection of the Constitution” [Verfassungsschutz]) is “basically an internal secret service with seventeen branch agencies (one on the level of the federation and sixteen others for each constituent federal state).  In the last analysis, this boils down to saying that only the internal secret service is competent to declare a person an internal enemy of the state.

Given that all signs of German nationalism, let alone White racialism, are reprimanded in Germany on the grounds of their real or purported unconstitutional and undemocratic character, the only patriotism allowed in Germany is “constitutional patriotism” — Germany is de jure a  proposition nation:  “The German people had to adapt itself to the Constitution, instead of adapting the Constitution to the German people,” writes the German legal scholar, Günther Maschke. German constitutionalism, continuesSchüsselburner, has become “a civil religion,” whereby “multiculturalism has replaced the Germans by the citizens who do not regard Germany as their homeland, but as an imaginary “Basic Law country.”   As a result of this new civil religion, Germany, along with other European countries, has now evolved into a “secular theocracy.”

Similar to Communism, historical truth in Western Europe is not established by an open academic debate but by state legislation. In addition, German scientists whose expertise is the study of genetically induced social behavior, or who lay emphasis on the role of IQ in human achievement or behavior, and who downplay the importance of education or  environment — are branded as “racists.“

When Muslim Arabs or Islamists residing in Germany and elsewhere in Europe are involved in violent street riots, the German authorities do tolerate to some extent name calling and the sporadic usage of some anti-Arab or anti-Turkish jokes by local autochthonous (native) Germans. Moreover, a Muslim resident living in Germany can also legally and temporarily get away with some minor anti-Semitic or anti-Israeli remark—which a White German Gentile cannot dream of.  By contrast, a non-Jewish German average citizen, let alone a scholar, cannot even dream about making a joke about Jews or Muslims—for fear of being labeled by dreaded words of “anti-Semitism” or “racism.”

Tom Sunic is author (www.tomsunic.com)

L’Allemagne demande aux États-Unis la levée des sanctions contre la Russie

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L’Allemagne demande aux États-Unis la levée des sanctions contre la Russie
 
Le gouvernement fédéral commence à réaliser avoir été doublement piégé par les Américains!
 
 
Ex: http://www.bvoltaire.fr
 

La preuve criante de la vassalité de l’Allemagne aux États-Unis est apportée. C’est fou que ce Merkel est naïve, malléable, influençable, incompétente, peu prévoyante pour son peuple et nous autres Européens ! C’est tout aussi fou que Hollande soit le double caniche de Merkel-Obama au détriment des Français.

Le gouvernement fédéral commence à réaliser avoir été doublement piégé par les Américains. Les sanctions contre la Russie ont provoqué l’effondrement des exportations. Le scandale Volkswagen du contrôle antipollution met la branche industrielle la plus importante du pays sous pression. Dans ce contexte, Sigmar Gabriel, ministre fédéral de l’Économie, souhaite que les sanctions contre la Russie soient levées. Cette déclaration est un appel à l’aide aux Américains, lesquels, selon leurs propres déclarations, ont forcé l’Union européenne à participer aux sanctions. En effet, les Américains ont ouvertement admis avoir contraint l’Union européenne aux sanctions contre la Russie. C’est Joe Biden en personne qui déclarait qu’il était important, aux yeux d’Obama, que l’Europe puisse faire l’effort de subir des dommages économiques pour punir les Russes.

Ces déclarations de Biden prouvent que Merkel et ses collègues de l’Union européenne, Hollande en tête de tous les autres caniches, ont, sur ordre de Washington, porté préjudice à leurs peuples. Ils se sont rendus coupables de soumission aux intérêts américains. L’on admirera au passage le sang-froid de Vladimir Poutine et de son ministre Sergueï Lavrov, qui sortent grandis de cette affaire, désastreuse pour les Européens, et nous Français en particulier ! L’Allemagne piégée s’agite pour sortir de ce guêpier économique, quand Hollande vend les Mistral aux Égyptiens, payés par les Saoudiens, tout en perdant de l’argent. Chapeau, les artistes ! De cette histoire est à espérer que les Européens, la France en premier, retiennent la leçon. Il faut se rapprocher de la Russie, dont nous sommes culturellement proches « De Brest à Vladivostok » et, ainsi, mettre un terme à cette uni-polarité sous emprise exclusivement américaine.

Sigmar Gabriel a déclaré vendredi 24 septembre, à Berlin, que l’on ne peut demander aux Russes de collaborer sur le dossier syrien si les sanctions ne sont pas levées. « Chacun doit être assez intelligent pour savoir qu’on ne peut garder des sanctions ad vitam æternam et, de l’autre côté, vouloir collaborer ensemble. » Pour commencer de meilleures relations, il faudrait commencer par mettre en place un second pipeline et lever les sanctions contre la Russie. Gabriel continue : « Le conflit en Ukraine ne peut continuer à endommager les relations de l’Allemagne, de l’Europe et des États-Unis, pour que la Russie fasse défaut en Syrie. » Les déclarations de Gabriel viennent un peu tard. Les Russes ont déjà commencé à intervenir en Syrie, sans même « l’autorisation » américaine, et cela dans leur propre intérêt.

samedi, 26 septembre 2015

Angela Merkel, Max Weber et l’éthique du poisson mort

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Angela Merkel, Max Weber et l’éthique du poisson mort

Jan Marejko
Philosophe, écrivain, journaliste

Ex: http://www.lesobservateurs.ch

A propos du virage à 180 degrés d’Angela Merkel sur les migrants, il a été question d’éthique de la conviction et d’éthique de la responsabilité, distinction proposée par le philosophe/sociologue Max Weber au début du vingtième siècle. Je me souviens encore de l’éblouissement que j’ai ressenti lorsque j’ai pris connaissance de cette distinction, tant elle était lumineuse et profonde.

Le convaincu agit selon une valeur qu’il veut faire passer dans la réalité, sans chercher à savoir quelles seront les conséquences de ses actes. Il veut la paix à tout prix et ne comprend pas que son action pourrait conduire très vite à la guerre. Ainsi Angela aurait agi tout d’abord selon ses convictions en matière de droits de l’homme et de libre circulation. On pouvait la sentir satisfaite de promouvoir la paix, l’ouverture, une bienveillance universelle sur la scène du monde. Elle agissait selon une éthique de la conviction.

Et puis, elle semble avoir pris conscience qu’en agissant ainsi elle risquait de promouvoir le contraire de ce qu’elle voulait promouvoir : la haine plutôt que la bienveillance – le repli sur soi plutôt que l’ouverture. Prenant conscience des conséquences de ses actes, elle a passé d’une morale de la conviction à une morale de la responsabilité.

Jusque-là, pas de problème. On comprend. Mais à y réfléchir, on en vient à se demander s’il y a eu une conviction derrière le comportement de la chancelière allemande. Angela a-t-elle jamais été une convaincue avant de voir les conséquences de ses actes ? N’était-elle pas plutôt une fonctionnaire de la pensée unique, avant d’être surprise par un retour de la réalité comme on est surpris par un retour de flamme.

Comment parler d’un comportement qui ne repose ni sur des valeurs, ni sur des convictions, mais sur le conformisme au politiquement correct ? A côté d’Angela, on peut placer François Hollande. Avec lui, on va encore plus loin : à chaque fois qu’il énonce des propos, on a l’impression qu’il n’y a personne derrière et donc pas la moindre conviction. On parle depuis quelques années d’ordinateurs capables de rédiger des articles à la place des journalistes. Qui n’a jamais senti que les discours de nos gouvernants pourraient, eux aussi, être tenus par des ordinateurs dûment programmés ? Nous avons de moins en moins affaire à des convaincus ou à des responsables, mais à des âmes mortes qui récitent des formules.

Max Weber ne semble pas avoir tenu compte de cette troisième catégorie à côté des deux types d’éthique qu’il propose. C’est un peu surprenant, car il avait conscience du fait que l’Occident entrait dans une phase où les valeurs disparaissaient. A tel point qu’il recommandait que l’on choisît une valeur, n’importe laquelle,  pourvu qu’on en choisît une. Il avait donc bien pressenti que les âmes mortes allaient proliférer, des âmes sans conviction, sans valeurs, même si elles avaient constamment ce mot à la bouche.

L’âme d’un individu qui ne croit plus à rien pour mieux fonctionner dans le monde tel qu’il est (soi-disant) est une âme morte. Nous sommes appelés à davantage qu’à fonctionner ici bas. C’est seulement alors que nous cessons d’être des coquilles vides.

Comment nommer ce comportement qui, à côté de l’éthique de la conviction ou de la responsabilité, consiste en une pure adaptation  au monde ? Je propose : éthique du poisson mort.

Sans que je comprenne bien pourquoi, il me semble qu’il y a de plus en plus de poissons morts dans les classes gouvernantes des démocraties modernes. Les représentants du peuple, devant répondre aux demandes de plus en plus diverses de ceux qu’ils représentent, ne peuvent pas avoir de convictions solides et d’actions claires car ils risqueraient alors de ne pas être réélus. Ce mécanisme fait passer tout acteur politique habité par une solide conviction pour fou, dangereux, fasciste. Il ne lui reste plus alors qu’à flotter, comme un poisson mort, au gré des divers courants qui agitent la société. Les sociétés modernes sont des sociétés sans gouvernants, sans gouvernail. L’éthique du poisson mort y règne, presque toute-puissante.

Jan Marejko, 22 septembre 2015

Migrantencrisis: Documenten bewijzen misleiding en manipulatie internet door overheid

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Migrantencrisis: Documenten bewijzen misleiding en manipulatie internet door overheid

93% van alle ‘vluchtelingen wees welkom’ tweets door zogenaamde ‘Duitsers’ blijkt NIET afkomstig uit Duitsland, maar vooral uit de VS

Met dit soort –vaak gemanipuleerde- foto’s en berichten moet de argeloze Westerse internetter het valse idee krijgen dat bijna iedereen de komst van miljoenen moslim migranten naar Europa enkel toejuicht.

De Amerikaanse onderzoeksjournalist Glenn Greenwald, bekend vanwege zijn samenwerking met de wereldberoemde NSA klokkenluider Edward Snowden, schrijft op het mede door hem opgerichte The Intercept dat uit de door Snowden meegenomen NSA documenten blijkt dat overheden en geheime diensten massaal het internet gebruiken om de bevolking te misleiden en manipuleren. Zo worden discussies op forums ‘gestuurd’ en bepaalde websites en personen die een niet politiek-correcte mening verkondigen zwart gemaakt. Om dat te bereiken schrikt men niet terug voor het versturen van valse en verdraaide emails en het manipuleren van persoonlijke foto’s. Ook Twitter en Facebook worden massaal misbruikt om het links-liberale globalistische gedachtengoed te propageren.

Greenwald werkt al geruime tijd samen met de zender NBC News aan een serie over de ‘smerige trucs’ van de GCHQ (Government Communications Headquarters), de Britse tegenhanger van de NSA, en diens afdeling JTRIG (Joint Threat Research Intelligence Group). Een van de vier als ‘geheim’ geclassificeerde GCHQ documenten, die enkel door de NSA en de inlichtingendiensten van de zogenaamde ‘Five Eyes’ (de VS, Groot Brittannië, Canada, Australië en Nieuw Zeeland) mochten worden ingezien, heeft als titel ‘De kunst van misleiding: Opleiding voor verborgen Internet-operaties’.

DDoS aanvallen, honingvallen

In eerdere artikelen hadden Greenwald en NBC al uit de doeken gedaan hoe YouTube en blogs voortdurend worden bewaakt en hackergroepen zoals Anonymous met hun eigen wapens (zoals DDoS aanvallen) worden bestreden. Tevens wordt gebruik gemaakt van gevaarlijke computervirussen en ‘honingvallen’, waarbij bepaalde personen in een seksueel precaire situatie worden gebracht, gefilmd en vervolgens gechanteerd.

Verspreiding van ‘alle denkbare vormen valse informatie’

‘De geheime diensten proberen discussies op het internet te controleren, te infiltreren, te manipuleren en te vervormen, om zo de integriteit van het internet zelf in twijfel te trekken,’ legde Greenwald uit. ‘Tot de centrale door JTRIG beschreven doelen behoren twee methodes: 1) de verspreiding van alle denkbare vormen van valse informatie op het internet, om zo het aanzien van bepaalde personen te ruïneren, en 2) het inzetten van oorspronkelijk sociale wetenschappers en andere methoden die de dienst wenselijk acht om internet-discussies en activiteiten te manipuleren.’

False-flag berichten, websites en emails

Daarnaast worden ‘doelwitten’, zowel personen als bedrijven, aangevallen met ‘false flag’ operaties,  zoals het verspreiden van bewerkte –‘gefotoshopte’- foto’s waarop te zien zou zijn hoe iemand zich schuldig maakt aan strafbare feiten of andere bedenkelijke handelingen. Ook wordt er negatieve c.q. schokkende informatie over het internet verspreid die zogenaamd van het doelwit –een blogger, een bedrijfsleider, een politicus- afkomstig zou zijn. Hier vallen ook internetberichten en forumpostings onder valse naam onder.

Tevens worden er valse ‘slachtoffersites’ opgericht van mensen die beweren door het doelwit te zijn belasterd of anderszins beschadigd. Men schrikt zelfs niet terug voor het onder valse naam versturen van emails aan collega’s, buren, familie en vrienden. Ondernemingen worden op dezelfde wijze in diskrediet gebracht en desnoods kapot gemaakt.

Regeringen met dergelijke macht levensgevaarlijk

Greenwald: ‘Onafhankelijk van hoe men over Anonymous, ‘hacktivisten’ of gebruikelijke criminelen denkt is het niet moeilijk te erkennen hoe gevaarlijk het is als een geheime regeringsinstantie in staat is iedere willekeurige persoon met deze op het internet gebaseerde, verborgen en op misleiding berustende methoden in diskrediet te brengen en te belasteren – mensen die nooit van een misdrijf zijn beschuldigd of daar nog nooit voor werden veroordeeld.’

De controlerende overheidsdiensten blijken zichzelf bevoegdheden te hebben gegeven om -waarschijnlijk vanwege bepaalde politieke belangen- het aanzien van personen te vernietigen en hun internetactiviteiten te stoppen, zonder dat deze personen ooit van een misdrijf werden beschuldigd of dat hun activiteiten een duidelijke verbinding hebben met het terrorisme of een bedreiging van de nationale veiligheid vormen.

Al in 2008 stelde de door Obama benoemde topadviseur Cass Sunstein voor dat de regering kritische groepen en internetsites zou gaan infiltreren. Dat is precies wat Obama volgens Greenwald heeft gedaan; zelfs de belastingdienst (IRS) werd door de president ingeschakeld om conservatieve groepen zoals de Tea Party aan te vallen en zo mogelijk monddood te maken.

Burgers verkeren nog in illusie

Veel burgers, ook in Nederland, verkeren nog steeds in de illusie dat hun regering zich altijd aan de grondwet houdt, uit eerbiedwaardige motieven handelt en enkel het beste wil voor zijn onderdanen. Toegegeven, het is niet makkelijk te moeten aanvaarden dat juist de eigen regering zijn burgers nauwlettend in de gaten houdt en desnoods aanvalt als iemand met een ‘afwijkende mening’ om wat voor reden dan ook als een ‘bedreiging’ wordt gezien. Uit de door Snowden/Greenwald geopenbaarde documenten blijkt echter onomstotelijk dat deze methoden wel degelijk uitgebreid worden toegepast. (1)

‘Vluchtelingen wees welkom’ berichten bijna allemaal vals

Een recent voorbeeld waaruit blijkt dat de overheid ‘as we speak’ druk bezig is de mening van de burgers te manipuleren is de onthulling dat de vele positieve tweets over de massa immigratie door Duitsers slechts voor iets meer dan 6% afkomstig blijken te zijn uit Duitsland zelf, en voor 93% uit het buitenland. Gezien het bovenstaande zal het geen verbazing meer wekken dat de meeste berichten afkomstig zijn uit de VS en Groot Brittannië.

Daarnaast zorgt een compleet leger ‘netbots’ ervoor dat de sociale media helemaal worden overspoeld met dit soort valse ‘vluchtelingen wees welkom’ berichten, waardoor de internetter die wél kritisch staat tegenover de komst van miljoenen moslims naar Europa het idee krijgt dat hij tot een kleine minderheid behoort (2).

Onthoud echter dat juist het tegendeel het geval is – als u zich ook grote zorgen maakt over de door de globalisten gewilde migrantentsunami en de daarop volgende dreigende instorting van onze vrede, welvaart en complete samenleving, behoort u tot de –helaas nog grotendeels zwijgende- meerderheid.

Xander

(1) KOPP
(2) KOPP / Global Research

vendredi, 25 septembre 2015

Attaques systémiques US contre la politique pro-russe de l’Allemagne

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Migrants, Volkswagen, Euro, Ukraine : attaques systémiques US contre la politique pro-russe de l’Allemagne

Les Etats-Unis ont lancé une campagne stratégique d’affaiblissement de leur vassal allemand dont ils craignent l’émancipation progressive au profit d’une politique de coopération euro-russe. La crise ukrainienne, la crise de l’euro, la crise migratoire ou le scandale industriel autour de Volkswagen sont autant d’offensives concentriques contre Berlin dont la politique pro-russe menace l’hégémonie américaine en Europe.

Comprendre la stratégie US

Washington est fidèle à la ligne stratégique anglo-saxonne : diviser pour régner d’une part, maintenir ses alliés dans un état de faiblesse structurelle d’autre part.

Pour les Etats-Unis, la seule alliance capable de menacer l’hégémonie américaine sur le monde serait celle formée par le bloc Union Européenne / Union Eurasiatique. Les USA s’inspirent de la stratégie arrêtée par le général polonais de l’entre-deux guerres, Josef Pilsudski.

En tant que Polonais, le général Pilsudski devait penser la position géopolitique de son pays avec à l’esprit que ce dernier était sous la menace constante de la Russie. Aussi conceptualisa-t-il deux axes stratégiques à mettre en oeuvre par la Pologne pour neutraliser l’empire eurasiatique.

Premièrement, le général estimait qu’il fallait priver la Russie de ses territoires non-russes. Il percevait à juste raison que la Russie cherchait fondamental à acquérir et maintenir une profondeur stratégique en associant, généralement de force, des territoires susceptibles de protéger le coeur de la Russie européenne. Sans sa ceinture caucasienne, centre-asiatique ou européenne, la Russie devient fragile, faible et cesse d’être une menace. En conséquence, le général Pilsudski soutenait les efforts d’autodétermination des peuples périphériques de l’empire russe.

Cette politique est aujourd’hui soutenue par les USA, notamment dans le Caucase où ils agitent le séparatisme et l’islamisme radical, ainsi qu’en Géorgie et en Ukraine. L’utilisation de l’islamisme radical comme moyen de déstabilisation des périphéries russes a été mise en oeuvre en Afghanistan pour la première fois, sous la direction du stratège d’origine polonaise Zbigniew Brzeziński. C’est là que la CIA armera les moudjahidines afghans et arabes, dont Ousama Ben Laden (“Opération Cyclone”).

Deuxièmement, Pilsudski entrevoyait la constitution d’un vaste complexe d’états d’Europe de l’Est qui, alliés les uns aux autres, seraient en mesure de contenir la Russie. Il devait inclure la Finlande, les Pays Scandinaves, les Pays Baltes, la Pologne, l’Europe Centrale, les Balkans, l’Italie et la Grèce. Soit, pour ainsi, la moitié Est du continent. Ce qu’il appelait l’intermarium, ou “l’entre-mers”, en référence à la jonction de ces états devant s’établir des mers polaires à la Mer Noire.

Les USA ont globalement repris cette idée et ont entrepris de constituer un bloc entre l’Europe de l’Ouest et la Russie, sous l’égide de l’Otan dont le rôle consiste à empêcher la jonction stratégique entre l’Allemagne et la Russie. A cet effet, la Slovaquie, la Hongrie et la Tchéquie, sous l’égide de la Pologne, ont décidé de former un groupe de combat dit de “Visegrad” auquel est associé l’Ukraine. Il doit entrer en service en 2016 et est explicitement tourné contre la Russie.

La réaction allemande

L’Allemagne a essayé de contenir cette entreprise dont le déclenchement véritable remonte au coup d’état du 22 février 2014 à Kiev. Angela Merkel a ainsi refusé de soutenir la constitution du rempart oriental inspiré par le projet de Pilsudski sous l’égide de l’OTAN. C’est pourquoi l’Allemagne, en août 2014, refusa de participer au renforcement militaire de l’Alliance Atlantique dans les Pays Baltes (lire ici).

Ce premier développement en préfigurait un second lorsque Berlin négocia avec Moscou le règlement de la crise ukrainienne lors des accords de “Minsk 2″.

Cette rébellion allemande manifeste contre le projet anglo-américain dans la région fut parfaitement illustrée par la réaction de colère de Joe Biden, vice-président des USA, lors de la conférence sur la sécurité de Munich. Cette attitude faisait suite au véto allemande sur la livraison d’armes à l’Ukraine. Décision prise afin d’empêcher les USA de créer ex-nihilo un conflit à même de justifier par contrecoup la constitution d’un rempart antirusse.

Face à ce dangereux précédent, les USA ont entrepris de fragiliser l’Allemagne en compromettant ses outils de puissance au sein de l’Union Européenne. Car ce sont eux qui permettent à Berlin d’inspirer à l’UE un positionnement pacifiste vis-à-vis de la Russie. En isolant l’Allemagne, les USA entendent créer entre l’Europe de l’Ouest et la Russie une “Troisième Europe”, directement placée sous commandement américain via l’OTAN et la Pologne.

Première attaque : l’Euro

Pour parvenir à brider le leadership allemand au sein de l’UE, les USA ont décidé de frapper ce qui fonde cette influence : son économie. C’est parce que l’Allemagne est garante financièrement des membres de l’eurozone que celle-ci est mesure de les convaincre, sur d’autres dossiers, d’adopter un positionnement plus “tempéré” sur la question russe.

Les USA ne veulent pas “détruire l’Euro” mais le fragiliser suffisamment pour qu’il soit un levier de pression sur Berlin. Washington a donc entrepris, dès 2013, d’utiliser l’extrême-gauche grecque dans ce plan. Le ministère des Finances américain a ainsi bruyamment pris le parti de Tsipras lors des négociations autour d’un nouveau plan de sauvetage de la Grèce.

En février 2015, le représentant du ministère des Finances US, Daleep Singh, se rendit à Athènes pour aider le gouvernement d’extrême-gauche à affronter Berlin. Fait révélateur, Singh est un ancien membre de la banque juive américaine Goldman Sachs.

Autre fait révélateur, Alexis Tsipras a choisi la banque juive Lazard, détenue par Mathieu Pigasse – propriétaire du journal Le Monde – pour “restructurer la dette grecque”. C’est-à-dire négocier avec les prêteurs nord-européens du pays. La banque Lazard est liée au gouvernement américain puisqu’elle a restructuré les dettes des pays conquis par les USA comme l’Irak, l’Ukraine.

Cependant Berlin n’a pas cédé. Depuis le gouvernement d’extrême-gauche s’est rallié au programme allemand et cherche en Russie un appui géopolitique. Ce qui n’était absolument pas anticipé par les USA. Ainsi, Athènes a accepté de participer au projet de gazoduc euro-russe devant transiter par la Turquie afin de contourner l’Ukraine. Ce qui a suscité la colère de Washington (lire ici). Révélateur également, le refus récent d’Athènes d’obtempérer aux exigences des USA qui appelait la Grèce à fermer son espace aérien aux vols russes à destination de la Syrie alors que Moscou y envoie un corps expéditionnaire massif.

La crise de l’Euro s’est depuis calmée, du moins temporairement. Mais l’attaque contre la zone euro – donc contre l’économie allemande et sa zone de libre-échange – fut forte. Si Berlin a pu endiguer cet effort américain, le flanc sud de l’UE est fragilisé.

Deuxième attaque : Schengen

L’Allemagne était dans le même temps déjà la cible d’un flux massif d’immigrés musulmans en provenance de divers pays musulmans, dont l’Afghanistan. Cet afflux soudain vise explicitement l’Allemagne.

On a pu relever la présence d’organisations – telle IsraAID – qui sous couvert d’aide humanitaire fournissent aux migrants extra-européens des cartes avec les informations requises pour pénétrer en Europe. Des membres de cette organisation jouaient même le rôle de guide.

Une information émanant du renseignement militaire autrichien affirme par ailleurs que des “organisations américaines” financent les passeurs.

La réaction du gouvernement allemand, par la voix de la chancelière Angela Merkel, a traduit une déstabilisation évidente : celui-ci, dans les premiers jours, s’est engagé à accueillir “sans limite” les clandestins. Ce qui s’est avéré matériellement impossible. Puis, après une semaine, les organismes de sécurité de l’Etat Allemand ont littéralement dépossédé Angela Merkel du dossier.

Horst Seehofer, leader de la CSU bavaroise – parti allié à la CDU au pouvoir – a exigé l’adoption d’une politique “réaliste” en fermant la frontière avec la Hongrie. Ce retournement brutal a entraîné la suspension des accords de libre-échange de Schengen en Slovaquie, en Autriche, en Allemagne, en Hongrie.

Là encore, et comme dans le cas de la crise grecque, la crise migratoire a compromis la zone de libre circulation dont a besoin l’Allemagne.

Fait remarquable, les pays qui ont mené la fronde contre la volonté de Berlin – pour garantir Schengen – de répartir partout les immigrés musulmans sont les 4 pays du groupe de Visegrad. La Hongrie, la Slovaquie, la Tchéquie et la Pologne. La Finlande a également fait valoir son soutien ainsi que les Pays Baltes. Très concrètement, la crise migratoire renforce la fracture entre la “Troisième Europe” et l’Europe de l’Ouest. Si cela affaiblit la cohérence de l’UE sous direction allemande, cela renforce objectivement la stratégie américaine évoquée plus haut.

Troisième attaque : l’industrie allemande

Après l’attaque contre l’Euro et Schengen, bases de la zone de libre-échange qui fait la force de l’industrie allemande, c’est cette dernière qui a été directement visée.

Le “scandale” ciblant Wolkswagen récemment n’est pas fortuit. Il cible un symbole de la puissante industrie allemande qui permet aujourd’hui à Berlin de contenir le bellicisme américain en Europe. Est-ce un hasard si les “révélations” concernant le groupe automobile ont été produite par une ONG américaine ?

L’International Council for Clean Transportation est financée par deux fondations californiennes : William and Flora Hewlett Foundation et David and Lucile Packard Foundation. Elles appartiennent aux fondateurs de la marque d’ordinateur Hewlett Packard.

Ces deux fondations alimentent en fonds la fondation Climateworks qui soutient l’ICCT à l’origine des “révélations”. La William and Flora Hewlett Foundation est liée au Council of Foreign Relations (CFR), un des organismes décisionnels de l’oligarchie atlantique qui définit la politique étrangère des USA et de leurs alliés (source). Elle finance également le groupe de réflexion Pacific Council, une succursale du CFR.

On notera qu’appartient au Pacific Council, l’ancien ambassadeur des USA en France, le juif Charles Rivkin. Ce dernier est l’artisan de la mise en oeuvre du multiculturalisme à tous les niveaux en France, essentiellement au profit de l’immigration musulmane.

Le résultat de cette opération de déstabilisation d’un des fleurons de l’industrie allemande est sans appel : l’action du groupe automobile a perdu, en 3 jours, 25 milliards de dollars. Il est probable, au passage, que la finance judéo-américaine – dûment informée de l’imminence de la médiatisation du “scandale” – en ait profité pour spéculer sur le cours du titre.

L’attitude allemande sur le dossier syrien

Quoiqu’il en soit, l’Allemagne continue de tendre la main à la Russie. Alors que Moscou est en train de détruire toute la stratégie américaine en Syrie comme nous en parlions avant-hier, le président de la CSU – Horst Seehofer – a clairement soutenu le plan que Vladimir Poutine entend présenter à l’ONU le 30 septembre :

“Nous avons besoin d’une initiative diplomatique conjointe des Nations unies avec la participation de la Russie, des Etats-Unis, de l’Union européenne et des puissances régionales”, a-t-il indiqué, citant à titre d’exemple les négociations sur le dossier nucléaire iranien.

Une position radicalement différente de celle de la diplomatie américaine qui condamne l’intervention russe.

Plus globalement, l’Allemagne soutient l’implication de la Russie dans une campagne contre l’Etat Islamique. De la sorte, et malgré des réticences formelles quant au projet russe pour l’avenir du gouvernement syrien, Berlin entend en profiter pour permettre à Moscou d’être considéré comme un partenaire incontournable de l’Europe.

Ce qui contrarie le plan américain d’isolement de la Russie et de neutralisation de toute coordination stratégique germano-russe.

Source : http://breizatao.com/2015/09/23/migrants-volkswagen-euro-ukraine-attaques-systemiques-us-contre-la-politique-pro-russe-de-lallemagne/

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samedi, 19 septembre 2015

Ernst Jünger: La guerre, fabrique de la bravoure

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Ernst Jünger: La guerre, fabrique de la bravoure

par Hélie Destouches

Ex: http://www.lerougeetlenoir.org

« Élevés dans une ère de sécurité, nous avions tous la nostalgie de l’inhabituel, des grandspérils. La guerre nous avait saisis comme une ivresse. » [1]

Dès les premières lignes d’Orage d’acier, Ernst Jünger dépeint la léthargie dans laquelle sont nés, pour la jeunesse allemande de 1914, l’attrait irrésistible du front, la soif d’aventure, besoin physique de danger et de violence. Ils allaient connaître une violence inédite, celle de la guerre moderne, loin des rêveries d’épopées héroïques. Une violence déshumanisée. La guerre de position, le pilonnage continu de l’artillerie industrielle, la mort anonyme. Dans les récits de guerre qui fleurirent dès le lendemain des démobilisations, de 1918 jusqu’en 1920, il ressort une image uniforme du profond choc causé par le dépassement de tous les seuils de tolérance devant la brutalité ordinaire de la guerre de tranchées. Les bombardements, les assauts – brèves et mortelles montées à la surface – et l’entassement de cadavres sans sépulture, autant d’expériences qui égrainent un quotidien déjà saturé de violence.

Les traces physiques et morales portées par les hommes ont marqué leurs témoignages. Elles forment la trame qui sous-tend toute la littérature de guerre, de Roland Dorgelès à Erich Maria Remarque. Du grand dolorisme qui imprègne cette production, il est néanmoins une œuvre qui se détache radicalement.

Ernst Jünger, le guerrier et l’écrivain

Né en 1895 à Heidelberg, en plein apogée wilhelminien, Ernst Jünger manifeste dès sa jeunesse la fibre littéraire qui fera de lui l’écrivain de guerre de langue allemande le plus essentiel du XXe siècle. Son cheminement semblait, dès le début, tendre au mystique, exalté dans l’admiration pour les penseurs formalistes, empreint de l’héritage nietzschéen et du lyrisme de Hölderlin, naturellement enclins à l’apologie du guerrier. Il gravite notamment dans la proximité du George-Kreis, noyau informel de ce qui deviendra la frange aristocratique de la révolution conservatrice, et s’engage auprès des Wandervögel. En 1912, âgé de 17 ans, il revêt une première fois l’uniforme au sein de la légion d’Afrique. Engagement armé et inspiration littéraire s’entrecroisaient déjà, dans la quête d’une violence encore pure et brutale qu’il espérait trouver sur le continent noir.

Ernst Jünger décoré de la croix Pour le mérite

 

Lors de l’appel aux armes, en août 1914, Jünger fait partie des troupes volontaires. Il rejoint le 72e régiment de fusilier en Champagne. Dès lors, il ne quitta plus le front, et obtint plusieurs promotions dans les rangs de la l’armée impériale. Après s’être formé en tant que sous-officier, il obtiendra dans les dernières années du conflit le grade d’Oberleutnant à la tête de la 7e compagnie. La position d’officier subordonné, c’est-à-dire d’officier de tranchée, marque profondément l’expérience combattante de Jünger. C’est la position clef du combat rapproché, de la guerre vécue. En tant qu’Oberleutnant, il est la tête d’un corps combattant abandonné dans le no-man’s-land, coupé de l’arrière. Le modèle de courage, le chef qui doit entraîner ses hommes au combat ; « L’officier occupe sa place : dans toutes les circonstances, la plus proche de l’ennemi. » [2]. Son engagement de soldat puis d’officier lui vaudra quatorze blessures et la suprême décoration impériale de la croix Pour le mérite.

En 1920, alors qu’il sert encore dans l’armée de la République de Weimar, il publie l’opus majeur de son œuvre de guerre, Orages d’acier (In Stahlgewittern). Il est puisé par ses carnets de guerre, scrupuleusement rédigés au fil des affrontements et des périodes d’accalmie. Dans ce premier ouvrage, Jünger développe de manière inédite l’expérience du combat, exposant la relation brute et cinglante de l’individu avec la violence de guerre, à la fois comme figure littéraire fondamentale et comme objet central pour une conception de l’existence dans la modernité du monde. Orages d’acier forme le tronc d’une ramification composée d’un essai, La guerre comme expérience intérieure (Der Kampf als inneres Erlebnis – 1922) et d’ouvrages de moindre ampleur, qui s’ajoutent peu à peu dans les années suivantes à partir des carnets inexploités. Lieutenant Sturm (Sturm – 1923), Le boqueteau 125 (Das Wäldchen 125 – 1924) et Feu et sang (Feuer und Blut – 1925) donnent des points de focalisation détaillés sur des aspects particuliers du combat, variant l’approche et le traitement. Chez Jünger, la narration est souveraine, brutale, précise – une écriture qui ne tremble pas, même devant l’horreur – et c’est dans La guerre comme expérience intérieure que se déploie le véritable sens donné au combat, la mystique guerrière. Ses écrits se répondent et ne peuvent véritablement être dissociés les uns des autres.

La guerre au cœur de l’homme

La guerre que décrit Jünger n’est pas un phénomène volontaire, une contingence diplomatique, ou, suivant la formule de Clausewitz, de la politique poursuivie avec d’autres moyens. La guerre trouve sa cause première dans l’homme, dans sa nature archaïque. Elle ne commence pas avec une déclaration de guerre, elle ne se termine pas avec un traité de paix. La guerre est un état perpétuel qui, bien qu’il puisse être contenu sous le vernis de la culture policée, ressurgit immanquablement. « La guerre n’est pas instituée par l’homme, pas plus que l’instinct sexuel ; elle est loi de nature, c’est pourquoi nous ne pourrons jamais nous soustraire à son empire. Nous ne saurions la nier, sous peine d’être engloutis par elle. » [3]. Le profond besoin de violence guerrière, gravé dans la chair des hommes, s’étend comme un lien indéfectible entre le montagnard armé d’une massue et de pierres, et le soldat des tranchées sous la pluie de feu et d’acier. Lorsque la guerre éclate, qu’elle embrase tout, il ne reste qu’une alternative : se battre ou disparaître. Cela vaut pour les civilisations, cela vaut pour chaque individu ; « Le fort seul a son monde bien en poigne, au faible il glisse entre les doigts dans le chaos » [4].

Mais la violence combattante - la pulsion qui pousse irrésistiblement au combat - n’est pas une résurgence d’un bas instinct qui abîme les hommes dans la brutalité gratuite. Jünger la conçoit au contraire comme la marque d’une antique noblesse, qui relève l’humanité de son affaissement. « Nous avons vieilli, et comme les petits vieux nous aimons nos aises. C’est devenu un crime d’être davantage ou d’avoir plus que les autres. Dûment sevrés des fortes ivresses, nous avons pris en horreur toute puissance et virilité ; la masse et l’égalitaire, tels sont nos nouveaux dieux. » [5] Pour Jünger, la force combattante, la nature guerrière de l’homme, est ce qui permet à l’homme de s’élever au dessus de ses semblables et aux civilisations d’inverser le cours de leur décadence pour renouer avec la grandeur. Une forme particulière de volonté de puissance qui réveille le besoin du sacrifice, pour un idéal, pour Dieu, pour la gloire. Ainsi parle-t-il des combattants de choc dans les tranchées : « Cette seule idée qui convienne à des hommes : que la matière n’est rien et que l’esprit est tout, cette idée sur laquelle repose tout entière la grandeur humaine, ils l’exaspéraient jusqu’au paradoxe » [6]. Oublier le moi pour le je. Devenir acteur de sa pensée. Telle est en somme, dans la pensée de Jünger, la plus haute des vertus combattantes.

Il met en valeur un type d’homme particulier, qui s’est approprié une virilité guerrière parfaite, chez lequel l’idée du combat a définitivement triomphé sur le matériel : « La perfection dans ce sens – au point de vue du front –, un seul en présentait l’apparence : le lansquenet. En lui, les vagues de l’époque s’entrechoquaient sans dissonance aucune, la guerre était son élément, en lui de toute éternité » [7]. Le lansquenet, mercenaire combattant, soldat de métier et d’engagement, concrétise donc dans sa manière d’exister la coupure totale avec le monde civil installé. Comme le légionnaire des armées de la Rome antique, il vit de la guerre, dans la guerre, pour la guerre. Le sens guerrier coule dans son sang, il en a adopté tous les codes, et il s’est entièrement arraché à l’esprit bourgeois. Le lansquenet est en quelque sorte la quintessence de l’existence. En lui, le détachement est total ; il ne vit plus que par le danger. « Pour chacun, vivre veut dire autre chose, pour l’un le chant du coq au matin clair, pour l’autre l’étendue qui dort au midi, pour le troisième les lueurs qui passent dans les brumes du soir. Pour le lansquenet, c’est le nuage orageux qui couvre au loin la nuit, la tension qui règne au-dessus des abîmes. » [8]

 

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La renaissance par le combat

Quel sens a cette représentation d’une violence de guerre stylisée, si on la rapporte au charnier de la Première Guerre Mondiale ? C’est ce qui se découvre dans les textes tirés des carnets de guerre. Le boqueteau 125, sous-titré Une chronique des combats de tranchée, contient le déroulement d’une séquence de combat qui tient lieu dans la dernière phase de la guerre, au début de l’été 1918, devant les ruines de Puisieux-au-Mont, près d’Arras. Jünger relate le stationnement de sa compagnie dans les tranchées bordant le boqueteau 125, une place intégrée aux lignes allemandes sur le front du nord, quotidiennement pilonnée par les forces anglaises. Le point central de l’ouvrage est l’offensive anglaise lancée contre cette position dont Jünger en commande la compagnie d’intervention. Celle-ci subit d’abord le tir d’anéantissement de l’artillerie britannique, puis l’offensive de l’infanterie.

Chargés de fatigue, dans un espace-temps désarticulé, sous la pluie des bombes, les éclats d’obus qui arrachent les membres, les soldats de la troupe de choc sont confrontés à toutes les conditions de la violence extrême qui caractérise la guerre de tranchées. L’assaut représente alors un moment clef. C’est le moment où on s’apprête à entrer en contact direct avec l’ennemi devenu invisible derrière les murs de glaise. Le moment où l’exposition aux tirs de shrapnel, des mitrailleuses, des grenades menacent le plus de sectionner le maigre fil de la vie. Au cœur de la nuit, la peur de la mort, l’horreur du spectacle macabre se propagent comme un virus. C’est dans ce contexte que Jünger voit surgir dans le visage de ces hommes cette marque des héros modernes : « Nous sommes cinquante hommes, guère plus, debout dans ce boyau, mais sélectionnés par des douzaines de combats et familiarisés par une longue expérience avec le maniement de toutes les armes. Si quelqu’un est capable d’y tenir sa place, c’est nous et nous pouvons dire que nous sommes prêts. Être prêt, où que ce soit, pour quelque tâche que ce soit, voilà ce qui fait l’homme » [9]. Réminiscence de l’idéal du lansquenet, celui qui a fait toutes les guerres, qui en est imprégné de part en part, Jünger affirme que ce n’est pas l’uniforme, l’alignement sur le champ d’honneur dans la brume de l’aube qui fait la beauté du guerrier. C’est au contraire la résistance aux conditions les plus déshumanisantes qui distingue l’esprit combattant. Ils ont des visages taillés comme des spectres, qui ne respirent plus que la bravoure.

C’est dans cette bravoure que Jünger identifie le grand renouveau de l’humanité : « Bravoure est le vent qui pousse aux côtes lointaines, la clef de tous les trésors, le marteau qui forge les grands empires, l’écu sans quoi nulle civilisation ne tient. Bravoure est la mise en jeu de sa propre personne jusqu’aux conséquences d’acier, l’élan de l’idée contre la matière, sans égard à ce qui peut s’en suivre. Bravoure est pour l’homme seul de se faire mettre en croix pour sa cause, bravoure est de professer encore et toujours, au dernier soubresaut nerveux, au dernier souffle qui s’éteint, l’idée qu’on a soutenue jusqu’à la mort. Le diable emporte les temps qui veulent nous ravir la bravoure et les hommes ! » [10]. C’est par elle que le soldat de tranchée est le frère du lansquenet. La profonde modernité que Jünger a vue dans ses égaux au combat, c’est cette audace ultime que confère la bravoure. La soif de gloire et de danger. L’audace des conquistadores et des ascètes du désert, qui ont forgé leur âme au feu de l’idéal. « Voilà l’humanité nouvelle, le soldat du génie d’assaut, l’élite de l’Europe centrale. Une race toute neuve, intelligente, forte, bourrée de volonté. Ce qui se découvre au combat, y paraît à la lumière, sera demain l’axe d’une vie au tournoiement sonore et toujours plus rapide. » [11]

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Maintenir vive la bravoure

La guerre contemporaine n’est pas une guerre de samouraïs ou une guerre de chevaliers. Ni même une guerre de petits soldats. La bataille, ses unités de temps, de lieu et d’action ont été battues en brèche par la technologie de l’armement de pointe. On ne se bat plus sur le champ, ni même dans les tranchées pour mener le siège en rase campagne. La guerre moderne se mène de loin, derrière des écrans, ou bien au ras du sol, suivant les codes de la guérilla. Le vernis de civilisation imposé pendant des siècles à la violence par l’Occident s’écaille et tombe en poussière. Plus de consensus implicite qui porte les forces à l’affrontement décisif. On se bat dans les ruines, on tire dans le dos, on ne distingue plus guère civils et combattants. Ainsi se bat-on en Ukraine, au Proche-Orient. Ainsi se battait-on en Irlande du Nord, il y a quelques décennies encore. Ainsi se battra-t-on peut-être demain, au cœur des nations qui se sont inventé une paix éternelle. Car si l’on en croit Jünger, les fruits du pacifisme sont amers. « Une civilisation peut être aussi supérieure qu’elle veut – si le nerf viril se détend, ce n’est plus qu’un colosse aux pieds d’argile. Plus imposant l’édifice, plus effroyable sera la chute. » [12]

Ernst Jünger ne laisse pas, dans sa première œuvre, d’espoir à une paix durable qui soit de ce monde. Il l’exclut par nécessité, car le renouvellement passe par le perpétuel lien entre les hommes et la guerre. C’est au combat que se forge l’élite de l’humanité, celle des vrais hommes. « Polemos est le père de toutes choses », selon la formule d’Héraclite. Mais quelle inspiration un jeune homme du XXIe siècle peut-il bien tirer de ce qui peut apparaître comme un véritable culte du carnage ?

Le lyrisme d’Ernst Jünger au sujet de la guerre lui a valu d’être qualifié par certains critiques de poète de la cruauté. Pourtant, jamais un mot de haine pour l’ennemi. Au contraire. L’estime va au soldat d’en face, français ou anglais, bien plus qu’aux hommes de l’arrière qui entretiennent la propagande. Il ne s’agit pas de perpétrer des exactions, mais de monter à l’assaut. Cette quête de bravoure, d’où qu’elle vienne, est le trait prédominant de l’œuvre jungerienne. Il s’est affirmé au cours de la Grande Guerre, il s’accentuera encore dans les années trente, lorsque l’auteur prendra peu à peu conscience de l’écart croissant entre le national-socialisme et les espérances des penseurs de la révolution conservatrice. Le régime d’un idéologue populacier, déserté par la noblesse, avide de briser les individus au profit de la masse, lui inspirera le dégoût. La force de l’homme seul avec lui-même, l’exaltation de son existence au combat, quel que soit ce combat, c’est en cela que consiste l’essence de la pensée de Jünger, de son éthique. Elle ne repose dans rien d’autre que dans le dépassement de ses propres faiblesses, dans l’unité de l’esprit et du sang au profit du sacrifice. « Rien n’est mieux fait pour enflammer l’homme d’action que le pas de charge à travers les champs où voltige le manteau de la mort, l’adversaire en pointe de mire. » [13]


[1JÜNGER E., Orages d’acier, traduction par H. Plard, Paris, Le livre de Poche, 2002, p.6

[2JÜNGER E., Le boqueteau 125, traduction par Th. Lacaze, Paris, Payot, 1995, p.178

[3JÜNGER E., La guerre comme expérience intérieure, traduction par Fr. Poncet, Paris, Christian Bourgeois, 1997, p.75

[4Ibid., p.76

[5Ibid., P.95

[6Ibid., p.104

[7Ibid., p.97

[8Ibid., p.106

[9JÜNGER E., Le boqueteau 125, op. cit, p. 179

[10JÜNGER E., La guerre comme expérience intérieure, op. cit., p.87

[11Ibid., p.121

[12Ibid., p.76

[13Ibid., p.91

dimanche, 13 septembre 2015

Heiliges Römisches Reich deutscher Nation

Heiliges Römisches Reich deutscher Nation

Ich stand auf hohem Berge:


Ich stand auf hohem Berge
sah runter ins tiefe Tal
Ein Schifflein sah ich schweben
darin drei Grafen warn.

Der jüngste von den Grafen
der in dem Schifflein saß
gab mir einmal zu trinken
aus einem venedischen Glas

"Ach Mädchen, du wärst schön genug,
wärst Du nur ein wenig reich;
fürwahr, ich wollt Dich nehmen,
wär´n wir einander gleich."

Er zog von seinem Finger
ein goldenes Ringelein.
"Nimm hin, Du Hübsche, Feine,
das soll dein Denkmal sein."

Was soll ich mit dem Ringe,
den ich nicht tragen kann?
Ich bin ein armes Mädchen,
das stehet mir nicht an.

Und weil ich ja nicht reich bin,
daß es dem Herren frommt,
will ich die Zeit abwarten,
bis meinesgleichen kommt."

"Wenn deinesgleichen nun nicht kommt,
was willst du fangen an?"
"Dann geh ich in ein Kloster,
will werden eine Nonn´."

Es stand wohl an ein Vierteljahr,
dem Grafen träumte es schwer,
daß sein herzallerliebster Schatz,
ins Kloster gegangen wär.

"Steh auf, mein Knecht und tummle Dich,
sattle mir und dir ein Pferd;
Wir wollen reiten Tag und Nacht,
der Weg ist des Reitens wert!"

Und als der Graf geritten kam,
wohl vor des Klosters Tür,
fragt er nach seiner Liebsten,
ob sie wohl darinnen wär.

Sie kam heraus geschritten,
in einem schneeweißen Kleid.
Ihr Haar war abgeschnitten,
zur Nonn´ war sie bereit.

Sie kam mit einem Becher,
den sie dem Ritter bot;
er trank und ein paar Stunden
danach war er schon tot.

Ihr Mädchen laßt Euch raten,
schaut nicht nach Geld und Gut.
Sucht Euch einen braven Burschen,
der euch gefallen tut.

samedi, 12 septembre 2015

Poland Slams Second Russia-Germany Pipeline

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Poland Slams Second Russia-Germany Pipeline

Ex: http://www.therussophile.org

Did we say pipeline avoids Polish territory?

September 8 (AFP) – Poland’s conservative president on Tuesday slammed a deal between Russia’s Gazprom energy giant and several leading Western firms to build a second gas pipeline under the Baltic Sea, saying it ignores Polish interests.

“Considering that an agreement was concluded on building Nord Stream-2, which completely ignores Polish interests, one must seriously question unity” in the 28-member European Union, President Andrzej Duda told delegates to an economic forum in the southern Polish mountain resort of Krynica, dubbed Central Europe’s “Davos”.

In June, Gazprom agreed with Anglo-Dutch Shell, Germany’s E.ON and Austria’s OMV to build the new gas pipeline – dubbed Nord Stream-2 – to Germany, bypassing conflict-torn Ukraine but also EU neighbour Poland.

The route under the Baltic Sea from Russia would have a capacity of 55 billion cubic metres per year and would double the flow of the existing Nord Stream pipeline currently linking the two countries.

No timeframe was given for the deal that will boost Germany as a distribution hub for Russian gas in Western Europe but undermines Poland’s role as a transit state.

Polish politicians from across the political spectrum have long opposed Nord Stream, claiming it undermines Poland’s energy security stemming from its role as a transit country for Russian gas via the Yamal-Europe pipeline.

The Nord Stream-2 announcement comes as Moscow seeks more gas delivery routes to the EU that bypass Ukraine, despite the EU’s insistence that it wants to cut its dependence on Russia.

Russia and the West are locked in a bitter standoff over the Kremlin’s role in Ukraine and a gas dispute between Kiev and Moscow has threatened energy supplies to the EU.

vendredi, 11 septembre 2015

L’Allemagne, épicentre de la névrose européenne

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L’Allemagne, épicentre de la névrose européenne
 
L'Europe des Européens ne doit pas accepter de voir sa conduite dictée par un pays névrosé qui est également occupé militairement et piloté stratégiquement depuis Washington.
 
Fonctionnaire international
Ex: http://www.bvoltaire.fr
 

Devrons-nous payer un jour de la vie de nos enfants les névroses de petits-bourgeois teutoniques complexés par leur histoire ? Alors que le conflit syrien semble entrer dans un Endspiel apocalyptique, la chancelière Merkel qui traite à la schlague les peuples d’Europe (cf. la Grèce pour un début) entreprend d’organiser dans la bonne humeur la submersion démographique de notre continent par des populations extra-européennes.

Elle vient ainsi d’adopter une série de mesures – 10 milliards d’euros supplémentaires pour l’année 2015 selon le magazine Challenges – accordant aux armées de clandestins d’Afrique et du Proche-Orient un droit d’installation assorti d’avantages en nature qui sont refusés aux nationaux ainsi qu’aux migrants européens – balkaniques, notamment.

Le porte-serviette de l’Élysée glapit à sa suite pour exiger un « mécanisme permanent et obligatoire ». Les pays européens récalcitrants seront à l’amende avant de se voir imposer leur quota de migrants par la force.

Les ex-clandestins seront, quant à eux, assignés à résidence dans leur pays d’affectation pendant un minimum de cinq ans : nous sommes en présence d’un plan orwellien de remplacement de la population européenne imposé par la technostructure européenne. L’idéologie bourgeoise des droits de l’homme justifie l’entreprise et, relayée par la bouillie multiculturelle télévisée, elle dénature le sentiment populaire pour évincer les mystiques prolétariennes (lutte des classes, abolition du salariat).

Trahie par ses élites, l’Europe n’est plus respectée…

Ainsi que l’écrit Guillaume Faye, « les marines européennes […] sont une aide à l’invasion et non plus une protection. La faiblesse larmoyante des dirigeants européens, leur “droit-de-l’hommisme” délirant, leur “antiracisme” dogmatique et xénophile, excitent l’agressivité des “migrants” qui pénètrent de force. Ils se sont – et on les a – persuadés qu’ils ont un droit imprescriptible à se “réfugier” chez nous, à s’y installer, à s’y faire entretenir. Ils n’oseraient évidemment pas raisonner de même avec Israël, la Russie, l’Australie ni les États-Unis ! »… ni avec l’Arabie saoudite qui, curieusement, n’est pas leur destination privilégiée.

Le Sunday Express révèle, d’ailleurs, que des milliers de combattants de Daech ont été infiltrés en Europe à la faveur du chaos migratoire de ces dernières semaines.

Les Etats-Unis, architectes du chaos qui frappe le monde arabe, se gardent bien, au nom d’impératifs de sécurité nationale, d’accueillir chez eux le moindre migrant syrien. Mieux encore : selon le magazine Info Direkt qui cite des sources du renseignement autrichien, ils organiseraient le passage des « réfugiés » en Europe.

Les peuples européens ne sont, certes, plus maîtres chez eux mais il y a chez les Allemands une manière particulière (Schadenfreude) de s’en réjouir. Culpabilisé, ayant appris à maudire son passé, le peuple allemand a remplacé son allégeance à la nation par une allégeance à la production. Laisser détruire ses représentations collectives l’a conduit à un mal de vivre (taedium vitae) dont témoigne un taux de natalité languissant.

L’Europe des Européens ne doit pas accepter de voir sa conduite dictée par un pays névrosé qui est également occupé militairement et piloté stratégiquement depuis Washington ; quelques voix s’élèvent dans l’Est européen, qui indiquent à qui sait les entendre le chemin de la dignité et de la liberté.

samedi, 05 septembre 2015

NIETZSCHE - LA DÉTRESSE DU PRÉSENT

NIETZSCHE - LA DÉTRESSE DU PRÉSENT

de Dorian Astor (folio) Ed. Gallimard

Pierre Lance*
Ex: http://metamag.fr

astornietz.jpgJ’avoue avoir manqué de prudence lorsque j’ai promis à MÉTAMAG de rédiger une note de lecture sur cet ouvrage. Car je n’avais encore rien lu de l’auteur et je ne m’attendais pas à recevoir un pavé de 650 pages constituées de commentaires sur l’oeuvre de Nietzsche. 


Certes, je salue bien bas la performance. Noircir 650 pages de considérations d’une utilité très contestable, il faut le faire ! Pourtant j’ai un préjugé favorable envers tous les écrivains qui se passionnent pour Nietzsche, le plus grand philosophe et psychologue de l’ère contemporaine, mais j’attends d’eux qu’ils apportent un éclairage original et des réflexions pertinentes sur les écrits flamboyants du prophète de la surhumanité. 


A mon grand regret, je n’ai rien trouvé de ce genre dans aucune de toutes les pages que j’ai lues, soit environ le quart du total en différents endroits, car je n’ai pas pu m’astreindre à lire la totalité de ce pensum, indigeste au plus haut point. L’avant-propos déjà m’avait laissé perplexe. D’abord parce que l’auteur y abuse des mots «moderne», «modernité» et «post-modernité» qui sont pour moi des termes dépourvus de sens, du moins sur le plan philosophique. Car la philosophie s’attache à l’essentiel qui, par nature, est intemporel. Ensuite parce qu’une phrase de ce texte m’a fait bondir. Dorian Astor nous affirme en effet : «Il ne fait aucun doute que la lecture de Nietzsche est douloureuse». J’en suis resté pantois ! Car mes premières lectures de Nietzsche me plongèrent immédiatement dans un bain de joie et d’enthousiasme sans pareil. Enfin quelqu’un qui avait tout compris ! (Et je ne peux imaginer de douleur à cette lecture que dans les esprits congelés par une religion ou idéologie quelconque). Si bien que je n’ai eu de cesse d’avoir absorbé les oeuvres complètes de ce magnifique trublion, sans oublier les Fragments posthumes, ni, bien entendu, la correspondance. C’est dans cette dernière que Nietzsche renie sans équivoque sa vision de l‘Éternel Retour (dont les petits professeurs de philosophie se gargarisent encore à qui mieux mieux), dans une note relevée par son excellent biographe Daniel Halévy dans une lettre à Peter Gast du 10 juin 1887. 


Le biographe écrit et cite : «Sans doute Nietzsche a-t-il voulu, une fois de plus, mettre sa pensée au clair». Quelques mots, deux lignes à peine, jetés comme un cri, interrompent cet exposé. Les voici : «Le Retour éternel est la forme la plus extrême du nihilisme : le néant (l’absurde) éternel !». Quel soulagement ce fut pour moi de voir Nietzsche reconnaître à ce propos son erreur, laquelle ne cessait de me tarabuster. Tant il me paraissait évident que l’idée d’un éternel retour de toutes choses est absolument incompatible  avec un univers éternel et infini (ce qu’il est inexorablement), donc indéfiniment renouvelé. (Nous abandonnerons à leurs rêveries pseudo-scientifiques et crypto-théocratiques les ridicules adorateurs du Big-Bang). À vrai dire, Nietzsche avait déjà quasiment tordu le cou à l’Éternel Retour dans l’aphorisme 335 du Gai savoir, dans lequel il écrit : «Qui juge encore: «dans tel cas tout le monde devrait agir ainsi», n’a pas encore fait trois pas dans la connaissance de soi-même; sans quoi il n’ignorerait pas qu’il n’y a pas, qu’il ne saurait y avoir d’acte semblable, que tout acte qui a été fait le fut d’une façon unique et irréproductible, qu’il en sera ainsi de tout acte futur...».
Dorian Astor s’est fort empêtré lui-même dans l’Éternel Retour, mais je porterai à son crédit ce paragraphe de la page 518 de son livre, dans lequel il écrit : «... Il me semble que dans l’Éternel retour, c’est la question de l’Éternel qui est centrale, et qui forme le point où se nouent le problème de la connaissance et celui de la vie. Le Retour n’est «que» l’une des formes hypothétiques ou expérimentales d’un exercice ou ascèse de la pensée et de la vie philosophiques en vue de répondre au problème de l’éternité.»  (Soit dit en passant, je ne vois pas en quoi l’éternité est un problème. C’est au contraire son impossible absence qui en serait un). Cette tentative de «justification» intéressante et astucieuse de l’absurdité fondamentale de l’Éternel Retour ne saurait pourtant remplacer la vérité toute nue : Nietzsche a lui-même donné congé à sa vision première de ce Retour sempiternel et illogique. A la décharge de tous ceux qui l’ignorent (et qui sont trop pauvres en intuition philosophique pour découvrir cela par eux-mêmes), il est vrai qu’il ne l’a fait qu’en une seule courte phrase, alors qu’il avait consacré des pages et des pages à vanter sa «vision» de 1880. 


Toutefois je m’étonne que Dorian Astor, qui a manifestement lu et relu toute l’oeuvre de Nietzsche avec grande vigilance, autant que moi-même s’il se peut, n’ait pas relevé la dénégation nietzschéenne de l’Éternel Retour. Aurait-il négligé la correspondance avec Peter Gast, le grand ami et confident de Nietzsche ? J’ai peine à le croire. A moins qu’il n’ait pas osé diffuser cette révélation capitale ? Car l’on a tant glosé sur cet impossible Retour depuis un siècle et sur toute la planète que cette révélation tardive causerait une véritable secousse sismique dans le landerneau universitaire, où l’éternel retour de l’Éternel Retour constitue en quelque sorte la rente viagère des cerveaux dévitaminés. Il n’y a donc probablement qu’un chien fou de mon espèce qui soit capable de jeter un tel brûlot dans les cimetières de la culture.


Dorian Astor, Nietzsche. La détresse du présent, Collection Folio essais (n° 591), Gallimard 10,20 € . 

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lance348-1338573363.jpgPierre Lance fut en 1969 le fondateur de la «Société Nietzsche», qui publia jusqu’en 1977 la revue «Engadine». Il est l’auteur d’une vingtaine d’ouvrages, dont notamment «Charles de Gaulle, ce chrétien nietzschéen» (1965, épuisé), «Au-delà de Nietzsche» (1976, réédité en 1992, épuisé), «En compagnie de Nietzsche» (recueil d’articles, 1991) et «Le Fils de Zarathoustra» (Editions Véga-Trédaniel, 2006). Il publie actuellement un billet quotidien abordant tous les sujets sur le site www.nice-provence.info.

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vendredi, 04 septembre 2015

Warum Russland?

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Warum Russland?

von Willy Wimmer

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch

Die Frage ist legitim, und sie muss gerade jetzt gestellt werden. Am 1. September wird an den Ausbruch des Zweiten Weltkrieges erinnert, und es war gerade die Sowjet­union, die an Menschenleben und ­Potential beispiellos die Folgen dieses mörderischen Krieges zu tragen hatte.


In wenigen Wochen könnten wir die fünfundzwanzigste Wiederkehr des Tages festlich begehen, an dem Deutschland wieder ein Land wurde, dessen Einheit und weit mehr über gerade diesen Zweiten Weltkrieg aus dem Verschulden seiner damaligen Führung verlorengegangen war. Neben der tatkräftigen Unterstützung aus Washington war es gerade Moskau, das uns Deutschen diesen Weg eröffnete. Es war Michail Gorbatschow, der vom «gemeinsamen Haus» Europas gesprochen hatte. Wir alle in Europa waren sicher, dass wir die Schrecken der Vergangenheit würden loswerden und eine der Wohnungen würden beziehen können. Krieg war ferner denn je.


Das gemeinsame Haus Europa schien ein tragfähiges Fundament zu haben, denn die Konferenz von Helsinki (KSZE), die im Kern aus sowjetischen und polnischen Vorstellungen unmittelbar nach dem Zweiten Weltkrieg hervorgegangen war, erwies sich als ungemein erfolgreich. In ihrem Schlepptau konnten sich sogar zwischen den hochgerüsteten Feindstaaten  erfolgreiche Abrüstungsverhandlungen führen lassen.


Wenn wir heute auf diese Zeit zurückblicken und an den 1. September denken, dann sind uns die Feiern zum 3. Oktober schon vergällt. Statt des grossen Festes in Berlin mit denen, die nicht nur damals dabei gewesen sind und heute von anderen Staatsmännern repräsentiert werden, beschleicht uns die bange Sorge, ob wir den 1. September des nächsten Jahres überhaupt noch erleben? Wieder befehligen mit markigen Sprüchen deutsche Generäle unweit der russischen Grenze internationale Verbände, die nuklear bis unter das Dach aufgefüllt sind. In der Ukraine werden Truppen, die offen ihre an die Nazi-Zeit erinnernden Feldzeichen führen, gegen die Grenzen eines Landes vorgeschickt, das genau mit diesen Feldzeichen den grossen Schrecken, Tod und Vernichtung identifizieren muss. Diejenigen, die noch nicht in der Nato sind, werden mit grosszügigen Einrichtungen überzogen und in grenzüberschreitende Militärkooperation einbezogen, die sich nur gegen Russland zu richten hat. Krieg ist näher denn je.


Das ist nicht über Nacht gekommen. Die europäische Ohnmacht von Kiew, einen friedlichen Machtübergang in einer überaus turbulenten Zeit sicherzustellen, traf auf einen gesenkten Daumen aus Washington. Es war nicht nur die Ukraine, deren Möglichkeiten und Hoffnungen mit dem bis heute ungeklärten Massaker auf dem Maidan-Platz auftragsgemäss zerschossen worden sind. Die Ereignisse trafen Europa ins Mark, weil sich die totale Konfrontation über den europäischen Ausgleich hinweggesetzt hatte. Jeder in Europa sollte sich heute die Frage stellen, wie weite Teile der eigenen Bevölkerung reagieren würden, wenn man ihnen über Nacht ihre Rechte durch ein Putschregime würde nehmen wollen? Vor allem, wenn man bei der Gelegenheit auch noch die russische Marinepräsenz mit ihrer Versorgungsfunktion für den Nahen Osten würde beseitigen können. Heute muss man den Eindruck haben, dass die tatsächlichen Abläufe auf der Krim uns vor dem Krieg bewahrt haben, der heute um so wahrscheinlicher zu werden scheint.


Was ist mit uns eigentlich in all den Jahren passiert, um wieder so gegen ein Land und seine Menschen gestellt zu werden, das noch bei den Winterspielen in Sotchi eindrucksvoll unter Beweis gestellt hatte, wie sehr es ein Ankerplatz für die gemeinsame europäische Kultur ist?


Bei nüchterner Betrachtung müssen wir uns eingestehen, dass das Unvermögen europäischer Aussenminister auf dem Maidan-Platz in Kiew der Höhepunkt europäischer Machtlosigkeit gewesen ist, die weit vorher und unmittelbar nach der deutschen Wiedervereinigung, dem Ende der Teilung Europas und der Charta von Paris aus dem Herbst 1990 begonnen hatte. Wir haben das als erste gespürt, und man musste in Deutschland den Eindruck haben, dass «Soziale Marktwirtschaft» und «demokratischer Rechtsstaat» nur dem Umstand nach dem Zweiten Weltkrieg geschuldet worden waren, das eigene Herrschaftsgebiet im geteilten Europa nicht in die Fänge der anderen Seite geraten zu lassen.


Die Folgen der Teilung in ökonomischer Sicht waren gerade erst mal angedacht, als über «shareholder value» die in Deutschland einst so erfolgreiche und die Gesellschaft ausgleichende Wirtschaftordnung der Sozialen Marktwirtschaft beseitigt werden konnte. Die heutige Bundeskanzlerin verstieg sich sogar zu der Forderung, die Demokratie marktkompatibel umzugestalten. Wenn nicht alles täuscht, wird das über die bekannt gewordenen staatsrechtlichen Konsequenzen zum beabsichtigten Freihandelsabkommen TTIP auch gelingen.

 
Dann kann der demokratische Rechtsstaat, der in Deutschland weitaus tiefere und solidere Wurzeln als die der alliierten Herrschaft auf deutschem Territorium hat, auch gleich mitbeerdigt werden. Was man von der friedensstiftenden Macht des Völkerrechts hält, das hat man mit dem Nato-Jubiläumskrieg 1999 gegen die Bundesrepublik Jugoslawien gezeigt. Es galt, die neue internationale Rechtsordnung im Interesse der USA reüssieren zu lassen. Dafür wurde nicht nur die Idee der Helsinki-Konferenz zu Grabe getragen, sondern die gesamte Völkerrechtsordnung, wie sie sich in Europa seit der Zeit des Dreissigjährigen Krieges herausgearbeitet hatte.


Ist es nicht weitaus mehr, was sich verändert hat? In diesen Tagen wurde erneut darauf hingewiesen, dass in unserem ach so prosperierenden Land die Mittelschicht wegbricht und die armen Leute noch ärmer werden. Familien wissen nicht mehr, wie sie über die Runde kommen sollen. An unseren Schulen wird den Kindern eingebleut, welches Menschenbild sie gefälligst in Zukunft haben sollten. Die Migrationsentwicklung, die auf eine hilflose deutsche Bundesregierung und eine nicht existierende europäische Haltung stösst, bringt Menschen in unser Land, denen wir durch unsere Politik und die Kriege unserer Verbündeten die Lebensgrundlage genommen haben. Da diese Menschen vielfach aus den Ländern im Nahen Osten kommen, die als die Wiege unserer Kultur bezeichnet werden können, haben wir ihr und unser Erbe zerstört.


Und jetzt gegen Russland? Sind es die russischen Bodenschätze, die man so unter Kontrolle nehmen will, wie es vor gut zehn Jahren im Fall Yukos schon einmal möglich zu sein schien, obwohl man sich heute wegen Fracking mehr mit den Saudis in den Haaren zu liegen scheint. Oder ist es etwas anderes? Wenn wir einen nüchternen Blick auf uns selbst werfen, dürfte es etwas anderes sein, und das kann man auch in einem Land sagen, aus dem jedes Jahr mehr als eine halbe Million Menschen über den Atlantik reisen. Hier kommen nur wenige auf die Idee, statt im Silikon Valley einen Job in Samara anzustreben. Aber Russland steht heute dennoch für etwas, das denjenigen, die unsere Staaten schon fast planiert haben, ein gewaltiger Dorn im Auge zu sein scheint, weil es mehr werden könnte, als Dinge, die morgen schon anders sind: Vaterland, christlicher Glaube und die Werte der Familie.
In dem kriegs- und finanzkrisenbestimmten Westen kommt das alles seit geraumer Zeit völlig unter die Räder. Unbeschadet der Tatsache, wie die Wirklichkeit in Russ­land selbst aussieht, muss das in Europa die Menschen nachdenklich machen, denen gerade zum wiederholten Male der Teppich unter den Füssen weggezogen wird. Was gibt Halt? Ist es das, warum wir gegen Russ­land und die Menschen dort wieder in Stellung gebracht werden? Weil es so gegen die blutigen Träume von der einzigen Weltmacht steht? •

jeudi, 03 septembre 2015

Presseschau August 2015 (2)

lundi, 31 août 2015

Das Ideal der Schöpfung

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Das Ideal der Schöpfung

von Yannick Noe

Ex: http://www.blauenarzisse.de

Yannick Noe wandelte auf den Spuren von Arno Breker und verschaffte sich einen Eindruck von der Kunstausstellung im Schloss Nörvenich.

Arno Breker ist die umstrittenste Künstlerpersönlichkeit des 20. Jahrhunderts. Niemand polarisierte durch seine Werke mehr als dieser Künstler, der in der Zeit des Nationalsozialismus als Hitlers „Lieblingsbildhauer“ galt und vor allem durch überdimensionale Büsten, Skulpturen und Reliefs weltweite Aufmerksamkeit erregte.

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Leitbilder für Kultur, Identität und das eigene Sein

Wer heutzutage Brekers Werke real erleben möchte, hat dazu nur wenige Möglichkeiten. Das Schloss Nörvenich bei Düren bietet laut dem eigenen Netzauftritt die „größte öffentlich zugängliche Sammlung von Werken des Bildhauers, Grafikers, Zeichners und Architekten“. Daher war es nur logisch dem Museum Arno Breker im Schloss einen Besuch abzustatten.

Vor den Toren des Schlosses fiel mir zuerst auf, dass die wohlbekannte „Promotheus“-Skulptur Brekers, sonst auf allen Bildern des Schlosses groß präsentiert, den Innenhof nicht mehr schmückte, nein, sie fehlte sogar gänzlich. Am Haupteingang, flankiert von den „Royalen Löwen“ empfing mich ein Mann, John Bodenstein, Besitzer des Schlosses und Sohn des Kunsthändlers Joe Bodenstein, der schon Verleger Brekers war und eine persönliche Beziehung zu ihm pflegte.

Nazikunst?

Er führte mich mit großer Begeisterung durch die Räume und Säle, zeigte mir seine Publikationen zu Breker und erklärte, dass er vor einigen Jahrzehnten noch große Probleme hatte, Kunst, die als Nazikunst gilt, auszustellen. Jetzt hätte sich aber die Denkweise geändert und selbst die Bundesrepublik wäre insgeheim interessiert, Brekers Werke ausfindig zu machen und zu sammeln. Aufgrund von Erbansprüchen der Kinder würden immer mehr Originale zurückgeführt werden, vieles hätte man verkaufen müssen, um Restaurierungen am Schloss durchführen zu können. Original-​Zeichnungen Brekers, seine Reliefs wie „Du und Ich“, „Apoll und Daphne“, die „Hl. 3 Könige“ oder seine großen Büsten wie die von Salvador Dalí, Gerhart Hauptmann, Heinrich Heine, Konrad Adenauer oder sein Selbstbildnis können aber noch bestaunt werden.

Gerade die Reliefs sind beeindruckend, da sie in der Tradition klassischer Werke stehen und einen direkten Bezug zur Antike vorweisen. Das Werk „Du und Ich“ ist besonders imposant, obgleich es von Schlichtheit dominiert wird. Frau und Mann stehen sich vollkommen unbekleidet gegenüber und halten sich an den Händen. Diese kleine Geste ist ausdrucksstark und verkörpert mit geringem Aufwand die enge Bindung der beiden, ihre Liebe und die unglaubliche Intimität dieses Momentes.

brekerxGGq1slbwszo4_400.jpgEin Europäer, dem das antike Erbe besonders wichtig war

Klare Formen, glatte Oberflächen und gut proportionierte, gepflegte Körper strahlen Stärke, Schönheit, Selbstbewusstsein und Identität aus. Kurz gesagt: Das Leitbild Brekers. Dieser sah sich selbst als Europäer, ihm war das Pflichtbewusstsein für das eigene Vaterland kein Fremdwort und so zog es ihn Anfang der 30er Jahre wieder heim von Paris nach Deutschland. Breker sprach sich in seiner Zeit immer wieder für ein Europa der Vaterländer aus und war strikter Verfechter der christlich-​abendländischen Kultur mit antiker Prägung. Das Ideal der Schöpfung, der Spiegel des Seins bzw. der Blick zum Möglichen, das sind die wahren Dinge, die man in Brekers Werken sieht.

Auch heutzutage sind seine Werke für uns mögliche Leitbilder. Leitbild für Kultur, Identität und natürlich das eigene Sein. Wer sich auf Spurensuche begibt, die Werke Brekers hautnah erlebt, der wird wie gefesselt schauen, untersuchen und zur Reflexion angeregt. Mit der Reflexion wiederum stärken wir uns, sammeln Kraft, erhalten einen klaren Geist und sind bereit zu neuen Denkweisen und Taten. Auf diese Weise „kräftigt“ Arno Breker den Betrachter durch Ästhetik und Perfektion im Sein.

Wer von dieser Faszination etwas real erleben möchte, sollte damit nicht lange warten, da sich die Sammlung stetig verkleinert. Im Schloss Nörvenich werden zudem auch Vorlesungen, Konzerte und andere Veranstaltungen geboten, sodass sich ein Museumsbesuch hiermit sehr gut kombinieren lässt.

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dimanche, 30 août 2015

Sombart und das „ökonomische Zeitalter”

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Sombart und das „ökonomische Zeitalter”

von Carlos Wefers Verástegui

Ex: http://www.blauenarzisse.de

Der Nationalökonom und Soziologe Werner Sombart war nach Karl Marx und noch vor Max Weber der erste begriffsprägende Erforscher des modernen Kapitalismus.

Beinahe alles, was wissenschaftlich zu diesem Thema geliefert wird, fußt direkt oder indirekt auf Sombarts Ringen, Wesen, Werden und Gestalt des Kapitalismus zu erfassen. Heute ist der Begriff „Kapitalismus“ zu einem Allgemeinplatz verkommen, dem man Sombarts unermüdliches Streben um Klärung nicht mehr ansieht.

Ein „Wegbereiter des Nationalsozialismus“?

Obwohl Sombart sich eine ihn auszeichnende Unabhängigkeit als Kritiker der Zeit zu bewahren wusste, sind seine Zurechnung zur „Konservativen Revolution“ sowie seine in offene Opposition endende Tuchfühlung mit dem Nationalsozialismus seinem menschlichem und wissenschaftlichem Erbe zum Verhängnis geworden: Als „Wegbereiter des Nationalsozialismus“ – eine Brandmarkung, die Wesen und Werk dieses außergewöhnlichen Menschen nicht gerecht wird – ist Sombarts verdienstvoller Name für alle Zeiten kompromittiert.

Dabei sind seine wissenschaftlichen Vorschläge und Forschungsergebnisse von ungebrochener Aktualität. Sombarts Analyse, sowohl des Kapitalismus als auch des Sozialismus, führte ihn nämlich zur Darstellung des „ökonomischen Zeitalters“, welches (immer noch) das unserige ist.

Wissenschaftler und Konservativer

Dass Sombarts Ausführungen gegenüber denen Webers ins Hintertreffen geraten sind, liegt nicht zuletzt an Sombarts eigner geistiger und politischer Entwicklung, die nicht nach dem Geschmack unserer auf politische Makellosigkeit versessene Gegenwart ist: Ausgehend von der Historischen Schule der Nationalökonomie stand Sombart in seinen Anfängen unter dem Einfluss des Marxismus, zu dessen Revisionismus er entscheidend beitrug.

In den Jahren nach dem Ersten Weltkrieg wandte sich Sombart vom „proletarischen Sozialismus“, wie er den Marxismus später nannte, ab, um schließlich in der Sozialwissenschaft einen betont „geistwissenschaftlichen“ Standpunkt zu vertreten. Auch politisch tat sich die Abkehr vom Marxismus in einem zunehmenden Konservatismus kund, der Sombart methodisch wie menschlich in die Nähe Othmar Spanns brachte.

Von diesem unterschied sich Sombart allerdings im Temperament durch größere Gelassenheit und feine Ironie. Auch aus Sombarts Eintreten für eine strikte Trennung von Wissenschaft und Metaphysik ist, trotz seiner Anknüpfung in einigen Punkten an Spanns Ganzheitslehre, ganz klar seine persönliche Unabhängigkeit und Gelassenheit als Wissenschaftler zu erkennen.

Zersetzung der mittelalterlichen Einheit und bürgerlicher Geist

In Auseinandersetzung mit einseitigen materialistischen, ökonomischen, sowohl „bürgerlichen“ als auch „sozialistischen“, naturalistischen Interpretationen, erkannte Sombart die geistigen Grundlagen des ökonomischen Zeitalters: Das Aufkommen der spezifisch „modernen“, westlichen (im Gegensatz zur deutschen), nominalistisch-​naturalistisch-​naturwissenschaftlichen Denk– und Betrachtungsweise der gesellschaftlich-​geschichtlichen Welt.

Nach Sombart, der hier Max Scheler folgt, wurde diese „Verweltlichung“ des Wertens und Wissens in der modernen Weltanschauung durch die Zersetzung der auf Transzendenz, überpersönliche Verbände und (geistige) Gemeinschaften gerichteten „organischen“ Kultur des Mittelalters bewirkt. Dieser Entwicklung entspricht wissenssoziologisch der, nach Sombart unter jüdischem Einflusse zu Stande gekommene „bürgerliche Geist“ mit seiner vornehmsten Schöpfung, dem neueren individualistischen Naturrecht.

Die Rolle der „Volksgeister“

sombart344_BO1,204,203,200_.jpgWiewohl Sombart überhaupt den Einfluss eines säkularisierten Judentums für das Aufkommen von Kapitalismus und Sozialismus hoch anschlägt, so führt er doch nie beide kausal, d.h. schlechthin auf das Judentum zurück. Nur sei das spezifische Gepräge des modernen Kapitalismus wie des modernen Sozialismus „den Juden“ bzw. dem „jüdischen Geist“ zu verdanken, wobei Sombart übrigens letzteren – wie überhaupt alle „Volksgeister“ – von seiner leibseelischen Grundlage für ablösbar und sogar für übertragbar hält.

In diesem Sinne äußert sich Sombart des Öfteren über den „westlichen Geist“, der sich im deutschen Sprachraum betätigt, bzw. über den Unterschied eines „deutschen Denkens“ zum „Denken der (einzelnen) Deutschen“ – eine Unterscheidung die, zugespitzt im „Proletarischen Sozialismus“ (1924), beim französischen liberalen Soziologen Raymond Aron Befremden erzeugte.

 Das „ökonomische Zeitalter“

Die „Zersetzung des europäischen Geistes“ sowie die Anschauungen eines jede Transzendenz verneinenden sozialen Naturalismus brachten Ende des 18. Jahrhunderts schließlich den „ökonomischen Geist“ mit dem dazu gehörigen alleinigen Wertmaßstab des Ökonomischen hervor. Obwohl das ökonomische Zeitalter durch den Kapitalismus erst so richtig eingeläutet wurde, beschränkt es sich mit Nichten auf kapitalistische Grundlagen und Kulturphänomene:

Die Maßlosigkeit, die kindliche Begeisterung aller von unternehmerischem Geist angesteckten Menschen für Größe und Schnelligkeit und überhaupt „Entwicklung“, die Neuerungssucht, bezeichnen den verflachenden, seelisch vertrockneten und in seinem Gemüt verkrüppelten repräsentativen Typus dieses Zeitalters. Kapitalismus und Sozialismus verneinen die den Menschen haltgebenden, altüberkommenen sozialen Gebilde und Ordnungen, beide sind an der Entgottung der Welt und an der ökonomischen Ent– und Umwertung gleichermaßen beteiligt.

Politisch wirkt sich das in einer Indifferenz des Ökonomischen gegenüber den Staatsformen aus. Es wird nämlich grundsätzlich diejenige bevorzugt, in der es mehr zum Tragen kommt, und das können jeweils sehr verschiedene Regime sein. „Demokratie“ im ökonomischen Zeitalter bedeutet z.B. für Sombart deshalb lediglich die „Legalisierung des Kuhhandels“ zu Gunsten des Ökonomischen bzw. daraus abgeleitet, des industriellen Verbandswesens oder politischer Cliquen.

Sinnlosigkeit der ökonomischen Existenz

Wichtiger als die Darstellung politischer Zustände ist Sombart die „Anthropologie“ des verwirtschaftlichten Menschen. Stumpf gegenüber allen höheren Werte und Seinsformen, ist sein Dasein in seiner Ergriffenheit von technischem Fortschritt und Wirtschaftsbilanz ein sinnloses. Dafür ergötzt sich der moderne Mensch an vor allem sportlichen Wettkämpfen („Sportismus“), überhaupt begehrt er Kollektivvergnügungen und allerlei technische Spielereien, die sein Leben bequemer, unterhaltsamer und angenehmer machen sollen. Sombart sieht die Menschen einem „praktischen Materialismus“, dem Komfortismus ergeben, der „den ganzen Volkskörper zum faulen bringt“.

Der Komfortismus vereinheitlicht die an sich schon angeglichenen Menschen nur noch mehr, so dass Kapitalist und Sozialist, arm und reich, klug und dumm, Fachmensch und Ungelernter nur verschiedene Seiten eines einzigen öden Menschentums bezeichnen. Weltanschaulich steht diesem Krüppel die Naturwissenschaft mit ihren für das praktische Leben zu Erfolgen münzenden Erkenntnissen zur Seite. Dadurch werden auf der einen Seite Stumpfsinn und Unglaube gefördert bei gleichzeitiger Überintellektualisierung, auf der anderen aber die Fähigkeit vernichtet, sich Urteilen aus zweiter Hand zu erwehren.

Vorläufer der Postmoderne?

Aus dieser Analyse des Menschen des ökonomischen Zeitalters wird ersichtlich, wie flüssig der Übergang von Kapitalismus zu Sozialismus, im Gegensatz zur Klassenkampftheorie von Marx, ist. Ebenfalls nimmt Sombart die Diagnose späterer Kritiker des „social engineering“ und „social management“ vorweg. In seinem wissenssoziologischen Aufsatz „Weltschauung. Wissenschaft und Wirtschaft“ (1938) übertrifft Sombart an Klarheit und Weite der Problemstellung den Philosophen der Postmoderne, Jean-​François Lyotard: In der Nachforschung der Frage, welchen Stellenwert das Wissen bzw. die Wissenschaft in der Gesellschaft hat, und welches ihr „Wesen“ ist, ist Lyotard Sombart gegenüber als ein Verspäteter zu bezeichnen.

Ein hervorstechender Zug in Sombarts Arbeiten ist die pädagogische Sorge und Behutsamkeit, mit der er sich vor allem an die (akademische) Jugend wendet. In diesem Sinne wies er wiederholt auf die „Unhaltbarkeit der älteren liberalistischen Theorie“ hin, da ja die ökonomische Realität diese längst eingeholt habe. Deshalb warnte Sombart schon früh vor einem wissenschaftstheoretischen Rückfall in den Liberalismus: Die bloße Gesinnung und Oppositionsstellung der jungen Generation reiche bei Theorielosigkeit, dem Ausbleiben einer längst notwendigen Wissenskultur, vor allem bei fehlender eigener methodologischer Forschung nicht aus, dem theoretisch wohlgerüsteten dastehenden Gegner, dem Neoliberalismus, Einhalt zu bieten.

Diese Worte Sombarts nehmen sich nach fast achtzig Jahren wie eine düstere Prophetie aus, denn sie betreffen nicht nur Sombarts Fachgebiet, sondern das gesamte kulturelle Leben, die gesamte Bildungsarbeit. Schließlich sind sie immer noch vom Wirtschaftlichen her bestimmt und stehen ohne eigenes Statut, im kultur– und bildungslosen Raume da.

mercredi, 26 août 2015

MITO DEL SANGUE E METAFISICA DELLA RAZZA NELL’ETNONAZIONALISMO VÖLKISCH

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MITO DEL SANGUE E METAFISICA DELLA RAZZA
NELL’ETNONAZIONALISMO VÖLKISCH

Recensione di Fabio Calabrese

Ex: http://www.ereticamente.net

Raramente capita di leggere un testo così nettamente in controtendenza rispetto agli orientamenti politico-culturali attualmente dominanti, e questo non può fare altro che piacere, perché questi orientamenti politico-culturali dominanti imposti settant’anni fa all’Europa con la forza dai vincitori del secondo conflitto mondiale, sono a mio parere quanto di più deleterio e innaturale possa esistere, la faccia ideologica, la pseudo-giustificazione di quel sistema di potere tirannico che conosciamo come democrazia.

Come io stesso ho spiegato più volte su queste pagine, la democrazia è un sistema tirannico. Libertà? Ci vuole faccia tosta per parlarne in presenza di un sistema giudiziario dove le fattispecie di reati di opinione si moltiplicano. Sovranità popolare? Parlarne è un tragico sarcasmo, quando ai popoli non è concesso di decidere nulla, nemmeno di continuare a esistere come tali, ma il potere dietro le quinte ha deciso che debbano sparire nell’universale meticciato.

misticamagine.jpgLa democrazia è stata imposta all’Europa settant’anni fa con la conclusione disastrosa della seconda guerra mondiale, ma i suoi effetti deleteri hanno cominciato a diventare evidenti dopo la fine della Guerra Fredda, con la messa in atto della decisione di trasformare l’intera umanità in un’orda meticcia facilmente manovrabile dal potere dietro le quinte del sistema democratico, di recidere il legame sempre esistito e che rappresenta l’ordine normale delle cose, tra sangue e suolo.

L’ideologia democratica oggi dominante tende a cancellare  il concetto stesso di nazionalità, il legame naturale fra un popolo e la sua terra, per sostituirlo in tutto con la finzione burocratica nota come cittadinanza, si pretende che un extracomunitario diventi un europeo solo perché si è deciso di scrivere sui suoi documenti la cittadinanza di un Paese europeo, sebbene l’esperienza anche tragica, a cominciare dalla diffusione in Europa di simpatizzanti e fautori del terrorismo islamico come conseguenza dell’immigrazione, dimostri chiaramente che questi presunti “inglesi”, “francesi”, “italiani” a cui concediamo irresponsabilmente diritti che mai e poi mai noi potremmo ricevere nei loro Paesi d’origine,  di europeo non hanno nulla anche quando sono immigrati di seconda o terza generazione, nati sul nostro suolo.

Questo testo costituisce dunque un salutare richiamo al fatto che l’identità di un popolo è data dalla nazionalità, dal legame inscindibile tra sangue e suolo, ma è anche qualcosa di più, infatti questo legame ineludibile fra la terra e il popolo è la base di una concezione che possiamo tranquillamente definire religiosa. Non a caso, parliamo di mistica Volkisch. Come ha messo bene in evidenza Alfred Rosenberg nel Mito del XX secolo, “Razza è anima vista dall’esterno, anima è razza vista dall’interno”: razza e anima, razza è anima, occorre ribadire la falsità del dogma democratico dell’uguaglianza degli uomini: alle diverse caratteristiche fisiche che distinguono le varie razze, corrispondono qualità psichiche differenti. La nostra anima razzialmente determinata, cioè NOI STESSI, è il lascito più importante che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, e non possiamo rinnegare la loro eredità, la nostra origine senza rinnegare noi stessi.

Sangue e suolo sono semplicemente due elementi di una triade che andrebbe meglio completata: spirito, sangue e suolo, poiché la scoperta del legame identitario profondo con le nostre origini, il nostro passato, noi stessi in ultima analisi, ci proietta in una dimensione sacrale, ci porta a riscoprire quel fondo di religiosità originaria dell’Europa anteriore all’avvento del cristianesimo.

Se ci liberiamo dal contesto abramitico-cristiano che concepisce la religione come rapporto individualistico con un Dio immaginario, allora ci accorgiamo che non c’è nulla di più SACRO di questa eterna catena della vita che ci lega ai nostri antenati e ci proietta verso il futuro attraverso i nostri discendenti sempre mediante il legame della continuità di sangue.

Al riguardo, mi vengono in mente i versi di una bella poesia di Helmut Stellrecht che ben avrebbero potuto figurare in questo libro:

«Tu porti nel tuo Sangue la santa eredità dei tuoi Padri e dei tuoi
Antenati./Tu non conosci coloro che sono scomparsi in file interminabili
nell’oscurità /del passato. Ma tutti loro vivono in te e nel tuo Sangue, camminano
sulla Terra/ che li ha logorati nelle battaglie e nelle fatiche /e in cui i loro
corpi da tempo si consumano. /Perciò il tuo Sangue è qualcosa di sacro”.

Questo testo rappresenta una sorta di manifesto redatto dai suoi autori per il decennale dalla fondazione dell’associazione etnonazionalista Vokisch “identità e tradizione”, e i suoi autori, Federico Prati, Luca Lionello Rimbotti, e soprattutto Silvano Lorenzoni, il grande Silvano Lorenzoni, sono tre fra i più reputati intellettuali della nostra “area”. Forse occorre chiarire il concetto di etnonazionalismo, un’espressione che può sembrare ridondante, dal momento che etnia e nazione possono essere considerati sinonimi. In realtà, si vuole evidenziare che il “classico” nazionalismo ottocentesco che faceva coincidere la nazione con lo stato, qui non interessa; quello che conta è la nazione, l’etnia come “ghenos”, come comunità umana stretta da legami di sangue, che è come dire di spirito e di destino, cioè l’esatto contrario di qualsiasi delirio multietnico, cioè in ultima analisi ciò che è normale perché disposto dalla Provvidenza (una Provvidenza che almeno io personalmente non riesco proprio a immaginare come possa coincidere con il Dio cristiano, un Dio apertamente “mondialista”), il che si ricollega alla venatura religiosa o per meglio dire SACRALE di questa concezione.

Va detto anche che l’associazione di cui abbiamo detto non è un partito, e si propone di agire piuttosto in campo metapolitico che non politico; gli autori, difatti, esprimono la convinzione che finché ci sarà un’élite intellettuale e spirituale ferma e consapevole su questi  principi a un tempo politici e religiosi, le forze della sovversione democratica, del disordine che sconvolge e distrugge qualsiasi ordine tradizionale, qualsiasi normalità, non riusciranno a prevalere in modo definitivo.

Questo testo, nel quale le mani dei tre autori fondono il loro lavoro senza discontinuità apparenti, sì che è assai arduo attribuire un brano all’uno o all’altro dei tre, è suddiviso in quattro parti che sono: “Il mito del sangue”, “sangue e spirito”, “anima della razza” e “metafisica del sangue”. Ora, probabilmente non in maniera casuale, il titolo della prima di queste tre sezioni richiama quello di un testo di Julius Evola, un pensatore la cui lezione i tre autori hanno tenuto sempre ben presente.

fidus_gral.jpgRiguardo a Evola, è importante precisare che molti hanno voluto vedere in Evola il teorico di una dottrina spirituale della razza in contrapposizione alla visione nazionalsocialista e in particolare dell’ideologo del nazionalsocialismo, Alfred Rosenberg, che si è voluta riduttivamente interpretare come un rozzo materialismo biologico. Questa interpretazione, ci assicurano i nostri autori, è completamente falsa, riesce a stare in piedi solo se si evita e si impedisca che sia accessibile la lettura di prima mano dei testi nazionalsocialisti, e in particolare del ponderoso Mito del XX secolo  di Rosenberg, secondo la prassi democratica che consiste nella censura e nell’impedire il confronto delle idee, altrimenti sarebbe chiaro che il nazionalsocialismo e Rosenberg ebbero ben chiara la dimensione spirituale connessa al “mito del sangue”.

D’altra parte, i nostri tre autori non hanno la pretesa di aver inventato nulla: l’etnonazionalismo volkisch (termine che significa “popolare”, e sottolinea con questo aggettivo che non si tratta affatto di un movimento “di destra” che guardi agli interessi delle classi dominanti, anzi, contiene in embrione l’idea del nazional-socialismo), infatti, nacque in Germania nel tardo XIX secolo, sviluppando alcuni aspetti della visione del mondo romantica, e soprattutto contrapponendosi all’illuminismo, quindi al liberalismo e alla democrazia, di cui rifiuta in particolare la visione individualistica e contrattualistica dei rapporti sociali e politici. Dopo la prima guerra mondiale, esso confluì nel movimento nazionalsocialista, e qui ebbe certamente un ruolo chiave la figura di Alfred Rosenberg di cui il libro propone una significativa rivalutazione.

Noi possiamo sostanzialmente vedere l’etnonazionalismo volkisch come una salutare reazione al rifiuto illuministico, liberale, democratico, di considerare il differente valore delle persone e delle comunità nazionali, in uno col rifiuto della dimensione spirituale, per puntare in definitiva a una società atomizzata, retta esclusivamente dalla legge del denaro, dove i rapporti fra le persone sono ridotti a rapporti fra cose, e le persone stesse sono ridotte a cose.

Questo si vede bene dal fatto che nella dialettica democratica persona e comunità sono sostituiti da individuo e massa (il liberalismo pone l’accento sul primo, il marxismo sulla seconda; entrambi sono manifestazioni di una dialettica distorta nella quale è negata ogni dimensione spirituale).

Alla persona, ridotta a individuo, è ancora concesso di avere una psiche, ma non già spirito e anima. Non a caso, una delle parti più significative del libro è costituita da un testo di Adriano Segatori che è una disamina della psicanalisi. Ciò che caratterizza il pensiero freudiano, la pseudo-scientifica psicanalisi, è infatti la soppressione dell’io inteso come arché, come principio guida della personalità, che resta totalmente in balia di pulsioni e istinti, una marionetta che potrà essere fatta danzare al ritmo di qualunque musica il meccanismo sociale, o meglio il potere economico e politico dietro le quinte del meccanismo sociale decida di imporre, il tutto mascherato dall’alibi della falsa libertà della democrazia.

A questo riguardo vorrei ricordare che sempre sulle pagine di “Ereticamente” tempo addietro vi avevo segnalato il bel libro di Michel Onfray: Crepuscolo di un idolo: smantellare le favole freudiane dove si dimostra in tutta evidenza e dati alla mano che nella psicanalisi non c’è nulla di scientifico, che Sigmund Freud era un ciarlatano che ha falsificato i protocolli delle sue sedute, che non ha mai guarito nessuno, e che ha causato la morte di almeno quattro dei suoi pazienti attribuendo a isteria disturbi che invece avevano una base organica ed erano sintomi di malattie reali. La psicanalisi è con ogni probabilità la più grossa bufala pseudoscientifica dell’età moderna.

D’altra parte il saggio di Segatori contenuto in questo libro ci fa comprendere che essa è pienamente funzionale a quell’insieme di tendenze: liberalismo, marxismo, democrazia, potere usurocratico, scientismo materialista che nel loro insieme possiamo chiamare modernità, l’uomo freudiano è esattamente ciò che la modernità vuole che l’uomo sia, un uomo che non avendo più l’arché in se stesso, deve necessariamente riceverlo dall’esterno, in definitiva un perfetto schiavo, un uomo-macchina.

La modernità, la negazione degli eterni principi dello spirito, del sangue e del suolo, svela allora il suo carattere demoniaco.

Per dirla con le parole del testo:

“Materialismo, ateismo, lotta di classe, deboli ideali eudemonistici, suicidio razziale, atomismo sociale, promiscuità razziale, decadenza dell’arte, erotomania, disintegrazione della famiglia, perdita del senso del sacro, dell’onore sia nell’ambito pubblico che privato, sciatto femminismo, fluttuazioni e catastrofi economiche, guerra civile nelle famiglie europee, degenerazione pianificata della gioventù per mezzo di film e libri abietti e l’introduzione di nevrotiche dottrine nell’educazione. Le Forze della Sovversione hanno cercato di far imputridire l’Europa, di affievolire i suoi istinti razziali, di privarla di eroismo, onore e virilità, del suo sentimento di avere una missione mondiale da compiere, del suo senso di costituire un’unità razziale e spirituale, e persino del suo codice cavalleresco. Essi desiderano paralizzare la capacità di decisione europea e distruggere la sua volontà portando la sifilide morale ed etica di Hollywood ad avvelenare il suolo d’Europa” (pag. 63).

L’etnonazionalismo volkisch si presenta come una reazione salutare contro tutto ciò, un mezzo per far sì che gli Europei ritrovino il contatto con se stessi, la loro civiltà millenaria, l’eredità dei loro antenati, la loro identità.

“L’etnonazionalismo volkisch costituisce un’Idea-forza che rappresenta l’opposto, l’antitesi stessa dell’ideologia posta a base della rivoluzione illuministica francese, la quale è basata sull’idea massonica dell’uguaglianza degli individui e delle razze. Tale nefasta ideologia, approfittando di un particolare momento storico, adattandosi in mille modi, ha prodotto terribili rivoluzioni, ha gettato l’Europa in un seguito di convulsioni rivoluzionarie e belliche da cui è emerso trionfante il dominio di Aasvero-Giuda (…) Ma la disgrazia di questa epoca darà vita nei Popoli d’Europa a una nuova presa di coscienza che li porterà alla rigenerazione” (pag. 85).

Si tratta di un auspicio e di una battaglia  che io personalmente non posso altro che condividere in toto, ma credo di poter parlare da questo punto di vista a nome di tutti noi di “Ereticamente”. Non ci si può augurare altro se non che questo libro abbia la massima diffusione possibile. Potrebbe servire a risvegliare le coscienze di molti.

Federico Prati, Luca Lionello Rimbotti, Silvano Lorenzoni: Mistica Volkisch, Effepi edizioni settembre 2014. €. 20,00

vendredi, 21 août 2015

„Man kann die Nation nicht unter den Teppich kehren“

„Man kann die Nation nicht unter den Teppich kehren“

Ex: http://www.jungefreiheit.de

Egon Bahr () hieß uns von Anfang an herzlich willkommen. Kaum hatten wir sein Büro im Willy-Brandt-Haus, der SPD-Parteizentrale in Berlin, betreten, wich unsere Anspannung, denn der große alte Mann der deutschen Sozialdemokratie blickte uns mit einer Mischung aus echtem Interesse und Sympathie aus neugierigen Augen und freundlich lächelnd an.

Das ist keineswegs selbstverständlich, viele Interviewpartner können oder wollen sich kaum die Zeit nehmen. Unpersönlich drängen sie darauf anzufangen, hasten durchs Gespräch und verabschieden sich, bevor der Kaffee ausgetrunken ist. Keine Zeit, sie haben noch weitere Termine. Peter Glotz empfing uns nur wenige Wochen nach Bahr, gewährte das Interview jedoch, wie er deutlich machte, lediglich aus Gründen der Fairneß, nicht aus Sympathie.

Bei Egon Bahr war das anders. Er las die JF offenbar intensiv. Wann immer ich ihm in den folgenden Jahren begegnen sollte, zeigte er sich erfreut und kommentierte gerne – mitunter kritisch, aber nie ohne Wohlwollen –, was er in unserer Zeitung gelesen hatte.

„Wir müssen lernen, wieder eine normale Nation zu sein“

Das erste Interview fand im November 2004 statt und sorgte gleich für Aufregung. Schon die Überschrift „Wir müssen lernen, wieder eine normale Nation zu sein“ deutete an, daß Bahr in dem Text keine Rücksicht auf politische Korrektheit nehmen würde. So gestand er etwa ein, daß Deutschland auch heute noch ein von den USA zumindest ein bißchen besetztes Land sei, auch wenn das Ausmaß „nicht mehr weh“ tue. Und konzedierte, daß „im Grunde jedes Land froh sein muß, wenn es seine Besatzer los wird“, zumal die USA in Deutschland bis heute „sicherheitspolitisch“ lediglich ein „Protektorat“ sähen.

Auch innenpolitisch wurde Bahr deutlich: „Ich kenne keinen Staat, in dem wir als Europäer angesprochen werden. Wir werden überall als Deutsche gesehen. Es ist der Nationalstaat, in dem das Zugehörigkeitsgefühl und die Loyalität der Bürger wohnt!“, mahnte er und forderte: „Ich glaube wirklich, daß die jungen Leute da umlernen müssen. Oder wollen sie etwa ohne eigenen Stolz leben? Man kann aus der deutschen Geschichte nicht austreten und in Nihilismus verfallen. Man kann die Nation nicht unter den Teppich kehren.“

Und natürlich erinnerte er an Willy Brandts Wahlkampfaufruf von 1972: „Deutsche, wir können stolz sein auf unser Land!“ Zwar habe Brandt mit seinem Warschauer Kniefall „deutsche Schuld bezeugt“, doch so korrigierte Bahr: „Kein Volk kann dauerhaft auf Knieen leben“, nein, mit Blick auf den Nationalsozialismus forderte er: „Die Vergangenheit darf die Zukunft nicht behindern!“

Stets verteidigte er seine JF-Interviews

Kein Wunder, daß das Ärger gab, wobei den meisten Unmut erregte, daß Bahr überhaupt gewagt hatte, mit der JF zu sprechen. Die Kritik focht ihn allerdings keineswegs an. Mutig ging er im öffentlich-rechtlichen Fernsehen in die Offensive und verkündete: „Ich sehe mit Entsetzen, daß man (…) diskutiert, ob ich der Zeitung ein Interview hätte geben sollen.“ Um dann so etwas wie eine Ehrenerklärung für die JUNGE FREIHEIT zu formulieren: „Ich habe die Zeitung über Monate verfolgt, fand sie interessant, intelligent, rechtskonservativ – aber nicht nazistisch.“ Und: „Den 20. Juli (hat sie) fabelhaft behandelt, einschließlich der dortigen Sozialdemokraten.“ Schon zuvor hatte er im Interview geäußert: „Ich kenne keine deutsche Zeitung, die die Erinnerung an den 20. Juli so leidenschaftlich engagiert, so ernst und so ausführlich behandelt wie die JUNGEN FREIHEIT.“

Persönlich sagte Bahr mir danach, wie egal ihm diese Kritik gewesen sei, obwohl sie auch aus seiner eigenen Partei gekommen war, und munterte mich sogar mit der Belehrung auf, daß die JF keinen Grund habe, sich für irgendetwas zu schämen und ruhig Selbstbewußtsein zeigen könne. Das tat er selbst und lud uns beim nächsten Interview gleich wieder ins Willy-Brandt-Haus ein, woraufhin die Kritiker kapitulierten.

2011 griff er dann für die JUNGE FREIHEIT gar selbst zur Feder. Mit einem Beitrag über die berühmt-berüchtigte „Kanzlerakte“ machte er sich zum JF-Autor: Für dieses Thema war er prädestiniert, denn erstmals hatte er – 2009 in der Zeit – deren Existenz offiziell bestätigt, die zuvor von vielen für eine bloße Verschwörungstheorie gehalten worden war. Nun nahm er zum zweitenmal dazu in einer Zeitung Stellung.

Eine Frage der Souveränität

In seinem JF-Beitrag gab Bahr in der Sache allerdings Entwarnung: Zwar hätten in der Tat die Kanzler Adenauer, Erhard und Brandt diesen alliierten Vorbehalt noch unterschrieben, doch sei es dabei lediglich um die Bestätigung der Vorrechte gegangen, die die Siegermächte schon 1949 bei Verabschiedung des Grundgesetzes geltend gemacht hätten. Formal möglicherweise ein Aufreger, de facto aber nicht, denn, so Bahr, es sei ohnehin eine „Lebenslüge der alten Bundesrepublik gewesen“ zu behaupten, „mit dem Beitritt zur Nato 1955 wir wären souverän geworden“ – und Kanzler Helmut Schmidt schließlich habe sich Bahr gegenüber „nicht mehr daran erinnern können, ein solches (Dokument) vorgelegt bekommen zu haben“.

Bei unserem letzten Treffen Ende Mai 2015 bat ich Bahr um ein Interview dazu, wie er das Kriegsende 1945 erlebt habe, das im Rahmen einer neuen Reihe erscheinen solle, die die JF starten möchte. Er willigte ein, bat jedoch darum, diesen Termin zu schieben, denn er bot von sich aus ein anderes Interview an, das ihm angesichts der Ukraine-Krise dringlicher erschien: „Ich würde in der JUNGEN FREIHEIT gerne einmal über Otto von Bismarck und die jüngste deutsche Außenpolitik sprechen.“ Dazu hatte er mir bereits einen Aufsatz zugesandt, der als Gesprächsgrundlage dienen sollte.

Doch zu keinem der beiden Interviews sollte es mehr kommen. Völlig überraschend ist die Nachricht von seinem Tod, denn im Mai – und auch danach am Telefon – wirkte er alert und gesund. Die Frage bleibt, ob sein Traum sich erfüllt, den er in einem anderen JF-Interview einmal so formuliert hat: „Wir Deutsche versöhnen uns schneller mit unseren Nachbarn als mit uns selbst. Deutschland ist das einzige Land in Europa, das seine Identität immer noch sucht (…) Wir empfinden die Normalität unserer Nationalität immer noch nicht. Aber es geht nun mal nicht ohne diese Normalität.“

JF-Interviews mit Egon Bahr:
> „Sonst ist Europa eine Lachnummer“
> „Wir müssen lernen, wieder eine normale Nation zu sein“

Ein linker Patriot – Zum Tode von Egon Bahr

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Ein linker Patriot – Zum Tode von Egon Bahr
Von  
Ex: http://www.compact-online.de

Es war die Selbstverständlichkeit des Satzes, die beeindruckte: „Wir wollen Deutsche sein, so viel von Deutschem noch übrig geblieben ist. Ja was denn sonst?“, sagte Egon Bahr im November 2014 auf der COMPACT-Konferenz. Es war die Quintessenz eines politischen Lebens. Eine Bilanz. Egon Bahr konnte sie ziehen, denn seinen Teil trug er bei. Jetzt ist der Vordenker der neuen Ostpolitik im Alter von 93 Jahren verstorben.

Er war immer ein kritischer Geist, ein politischer Querdenker. Als regelrechter Kalter Krieger, wie er sich selbst nannte, lehnte Bahr etwa 1956 das KPD-Verbot ab. Als Willy Brandt 1974 der SPD-Fraktion seinen Rücktritt erklärte, sah man Bahr weinen. Doch weniger über die Demission des Freundes und Weggefährten, als über die zynische Heuchelei des Fraktionschefs Herbert Wehner: Der Alt-Stalinist und Intrigant hatte Brandts Erklärung mit einem lautstarken „Willy, du weißt, wir alle lieben dich“ kommentiert. In der Ukraine-Krise waren Kritik an der Politik Russlands und gleichzeitig die klar benannte Mitverantwortung des Westens für ihn kein Widerspruch. Noch vor wenige Wochen unterzeichnete er eine Resolution gegen die Eskalationspolitik – die Krieg in der Ukraine könne in die Katastrophe führen, „wenn die bereits drehende Spirale des Wettrüstens, der militärischen Provokationen und konfrontativen Rhetorik nicht gestoppt wird“, heißt es darin.

Nach dem Krieg ging Bahr – der wegen seiner jüdischen Großmutter aus der Wehrmacht ausgestoßen wurde – als Journalist erst zur „Berliner Zeitung“ im sowjetischen Sektor, dann jedoch bald zum von den USA gegründeten Rundfunksender RIAS, später in den diplomatischen Dienst. 1956 trat er der SPD bei – noch vor dem verhängnisvollen Godesberger Programm. Die Ernennung zum Leiter des Presseamtes im West-Berliner Senat unter dem Regierenden Bürgermeister Willy Brandt wurde zu einer Schicksalsentscheidung.

Wendepunkt in Bahrs – wie Brandts – Leben waren die Tage nach dem 13. August 1961. Die DDR – und damit die Sowjetunion – errichteten eine Mauer mitten in Berlin. Ein Messerstich aus Zement ins deutsche Herz. Und die Westalliierten, angebliche Schutzmächte West-Berlins, taten: Nichts. US-Präsident John F. Kennedy soll beim Eingang der Nachricht im Weißen Haus erklärt haben, die Berlin-Krise sei nun beendet. Es gibt Hinweise, er sei im Vorfeld über die geplanten Sperrmaßnahmen informiert gewesen.

In diesem Moment muss der sozialdemokratischen Denkfabrik im Rathaus Schöneberg bewusst geworden sein: Auf die Westmächte ist kein Verlass. Die Deutschen selbst müssten die Teilung überwinden. Das ging nur im Dialog miteinander – und den wollten beide Seiten. Anfang Dezember 1963 hatte der stellvertretende Ministerpräsident der DDR, Alexander Abusch ein Passierscheinabkommen für die Besuche von West-Berlinern im Ostteil der Stadt angedeutet – Brandt und Bahr nahmen den Strohhalm dankbar an. Nur Wochen später konnten 700.000 West-Berliner erstmals seit dem Mauerbau Verwandte im Ostteil besuchen.

Doch für wirkliche Deutschlandpolitik war Berlin zu klein. Bahrs Chance bot der Wechsel Brandts nach Bonn. Während dessen Zeit als Außenminister (1966—1969) war er als Ministerialdirigent Leiter des Planungsstabes im Auswärtigen Amt. Als vielleicht engster Freund, jedenfalls wichtigster Berater wurde er zum Architekten der Ost-Verträge. Später hatte er als Bundesminister für besondere Aufgaben praktisch ein eigenständiges Ressort für die Kontakte nach Ost-Berlin und Moskau. Sein Credo „Wandel durch Annäherung“ und „Politik der kleinen Schritte“ prägte eine langfristige angelegte Strategie einer deutschen Lösung – deren Ausgangspunkt die Verträge mit der Sowjetunion, Polen und schließlich der DDR waren. In Washington wurden Brandt und Bahr für diesen Kurs stets beargwöhnt.

Unklar ist bis heute Bahrs Rolle im Misstrauensvotum der Union gegen Brandt im April 1972. Immer wieder gab es Gerüchte, sowohl der geheime Verbindungsmann der DDR-Regierung Hermann von Berg, als auch der DDR-Unterhändler beim Grundlagenvertrag Michael Kohl hätten seine Haltung zu Bestechungen von CDU/CSU-Abgeordneten ausgelotet. Bahr bestritt dies zeitlebens. Klar ist, dass sich Brandt damals tatsächlich nur durch den Kauf von zwei Oppositionsparlamentariern durch die Staatssicherheit im Amt halten konnte.

Der Rücktritt Willy Brandts 1974 markierte auch für Bahr den weitgehenden Bedeutungsverlust. Dem neuen Bundeskanzler Helmut Schmidt diente er bis zum Ende der Legislaturperiode als Entwicklungshilfeminister. Einige Jahre war er Bundesgeschäftsführer der SPD. Sein Glaube an eine deutsche Einheit wurde in den 1980er Jahren schwächer – doch ganz erloschen ist er nie. Als schließlich zusammenwuchs, was zusammengehört – wie es Brandt nach dem Mauerfall formulierte – war Bahrs Vision die einer Friedensmacht Deutschland, die ihren Einfluss in der Welt geltend machen sollte. Doch dieser Wunsch hat sich nicht erfüllt.

In einem seiner letzten Interviews sagte Bahr, er erinnere sich, „dass Brandt über sich selbst sagte: ‘Je älter ich werde, um so linker werde ich.’ Wenn ich sehe, wohin dieser Kapitalismus treibt, habe ich das Gefühl, dass es bei mir ähnlich ist.“ Nun ist er gegangen: ein kritischer Geist, ein linker Patriot.

 

 

dimanche, 16 août 2015

Presseschau - August 2015

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Presseschau
August 2015
 
Hallo, wieder einige Links. Bei Interesse einfach mal anklicken.
P.S.: Auf besonderen Wunsch wurden noch einmal einige (sehr) wenige Links der letztmonatigen Presseschau erneut aufgenommen.
 
AUßENPOLITISCHES
 
EU-Skepsis wächst: Volksbegehren war erfolgreich: Jetzt denkt auch Österreich an den EU-Austritt
 
Scheine drucken
Jetzt ist sogar der Guerilla-Grexit eine Option
Die Griechen haben "Nein" gesagt. Der Grexit ist so wahrscheinlich wie nie. Doch wie würde er ablaufen? Möglich ist jetzt ein Szenario, das lange nur als Idee von Verschwörungstheoretikern galt.
 
Der mythische Kampf des Alexis Tsipras – Dr. Christoph Quarch
 
Reich, schön, links
Klassengesellschaft auf griechisch
Die griechische Regierung ist voll von weltgewandten Professoren, die Europa den Neoliberalismus austreiben wollen. Ein Blick auf die Oberschicht des Landes.
 
Meinung
Humanitär wäre nur die Euro-Abschaffung
von Henning Hoffgaard
 
Kommentar zur Griechen-Rettung
Mit Volldampf auf den Eisberg
von Michael Paulwitz
 
Nach Einigung mit Tsipras
Widerstand gegen neues Spar- und Hilfspaket wächst
 
(eine köstliche Geschichte…)
Griechenland
Mit dem Jagdbomber zum Geldabheben
 
In der Schuldenfalle
21 Länder stehen zusammen mit Griechenland vor dem Pleite-Abgrund
 
Italien ist Griechenland in XXL
 
Grexit: Hellas ist das kleinste aller Probleme – PIIGS im Fokus
 
Eine Welle von Deutschenhass rollt durch Europa
 
Österreich verschärft Verhetzungsparagraphen
 
Generalstaatsanwaltschaft
Rußland stellt Unabhängigkeit des Baltikums in Frage
 
Obama zum Kuba-Embargo: "Wir sind Nachbarn, jetzt können wir Freunde sein"
 
Neustart nach dem Kalten Krieg: Kuba dämpft Erwartungen
 
Republikaner laufen Sturm gegen Botschaftseröffnung auf Kuba
 
(Die Rasse wird nicht erwähnt, also dürften die Täter keine Weißen gewesen sein…)
Blutiger Nationalfeiertag: Sieben Tote bei Schießereien in Chicago
Wegen des Nationalfeiertags freuten sich viele Amerikaner auf das Wochenende. Doch in Chicago kam es zu einer Serie von Gewalttaten. Eines der Opfer: ein siebenjähriger Junge.
 
Kalifornien: Weiße sind in der Minderheit
 
USA
Infrastruktur vor dem Kollaps
 
Atomabkommen mit Iran
„Ein Zeichen der Hoffnung für die ganze Welt“
In dem seit 13 Jahren schwelenden Atomstreit ist eine Einigung erzielt worden. Iran will auch bis zuletzt umstrittene Kontrollen von Militäranlagen zulassen - nach Anrufung einer Schlichtungskommission.
 
Iran holt 12 Tonnen Gold aus der Schweiz nach Hause
 
Türkei fliegt Luftangriffe gegen Kurden bei Kobani
Kurdische Quellen und die Syrische Beobachtungsstelle für Menschenrechte berichten erstmals von Angriffen der türkischen Armee auf Kurden in Syrien. In Istanbul spitzt sich die Lage in Gazi zu.
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Eurokrise und Psychologie
Gegen die Wand
von Markus Brandstetter
 
Wegen Grexit-Idee: USA legen Schäuble und Gabriel Rücktritt nahe
 
(Nachdem das Thema beim Bilderberg-Treffen auf der Agenda stand, wird nun ein SPD-Minister vorgeschickt, um das öffentliche Stimmungsbild auszuloten…)
Schwarzgeld
NRW-Finanzminister will das Bezahlen mit Bargeld begrenzen
 
Athen ist der falsche Feind!
Die politische Klasse Deutschlands gehört auf die Anklagebank
 
Abstimmung zu Griechenlandhilfen
Was für ein absurdes Theater!
von Michael Paulwitz
 
"Macht Merkel einen guten Job, oder soll dieses süße Kätzchen sterben?"
Die Meinungsforscher von Forsa sagen: 75 Prozent der Grünen-Anhänger finden Merkels Griechenlandpolitik dufte. Da kann doch was nicht stimmen.
 
Gastbeitrag Soli wegen Griechenland auf 8 Prozent erhöhen
 
Steuergelder für Rüstungsindustrie
Panzerbau wird staatlich gefördert
 
Ministerin Schwesig plant 24-Stunden-Kitas
 
Beck fordert härtere Strafen für Schwulenfeindlichkeit
 
Deutsche Parteien verlieren weiter Mitglieder
Die Parteien in Deutschland finden kein Mittel gegen den Schwund ihrer Mitglieder. 2014 verloren die im Bundestag vertretenen Parteien sowie die FDP zusammengerechnet insgesamt 2,5 Prozent ihrer Mitglieder, wie eine Untersuchung ergab.
 
Kommentar zur AfD
Petrys größte Herausforderung
von Dieter Stein
 
(Bernd Lucke erweist sich als schlechter Verlierer)
Nach Niederlage
Lucke tritt aus AfD aus
 
Lucke droht AfD-EU-Abgeordneten mit Fraktionsausschluß
 
(Hier wird auch Lucke kein Glück haben…)
FDP lehnt ehemalige AfD-Mitglieder ab
Bei der FDP seien enttäuschte AfD-Mitglieder nicht willkommen, sagt Parteichef Lindner. Wer Ressentiments gegen "Altparteien" und "Lügenpresse" habe, sei nicht liberal.
 
Schreibtisch, Garten, Alltag (XXIII): Abendfriede und AfD
 
Bernd Lucke als Chef
AfD-Abtrünnige gründen neue Partei „Alfa“
 
Alfa-Chef Bernd Lucke
„Ein deutscher Euro-Austritt ist nicht verantwortbar“
Bernd Lucke hat seine nächste Partei gegründet. Im ersten großen Interview als Alfa-Chef distanziert er sich von AfD-Forderungen, greift Finanzminister Schäuble an und erklärt, warum Deutschland im Euro bleiben muss.
 
Neuauszählung der Stimmen
Bremen-Wahl: Bürger in Wut erheben Manipulationsvorwurf
 
(Eines seiner Ziele: Er wolle das durch die islamkritische Pegida-Bewegung entstandene Bild der Elbestadt wieder gerade rücken. "Ich möchte Dresden zu einer Vorzeigestadt der Integration und Beschäftigung von Flüchtlingen und Zuwanderern machen."…)
Oberbürgermeister-Wahl: FDP-Mann Hilbert regiert in Dresden
 
Demonstration in Leipzig
Pegida will bei Landtagswahlen antreten
 
Wohnungseinbrüche auf Rekordniveau
 
(Volkskund Deutsche Kriegsgräberfürsorge nun auch auf evangelischem Schuldkult-Kurs…)
Gedenkpolitik
Auf dem Weg zur „Aktion Sühnezeichen“
von Felix Krautkrämer
 
Herero-Aufstand: Vertreter Namibias fordern Entschuldigung von Gauck
 
(Peenemünde gedenkt derjenigen, die es einst mit Bomben befreiten)
Gedenkpolitik
Wenn Täter zu Opfern werden
 
(Das Fritz-Bauer-Institut kann sich weiter die Taschen mit Steuergeldern vollstopfen…)
Wissenschaftsminister Boris Rhein
Finanzierung der ersten Holocaust-Professur Deutschlands gesichert
(die taz jubiliert…)
 
Gedenkpolitik
München untersagt „Stolpersteine“
 
KZ-Gedenkstätte Osthofen
Straße versehentlich nach SS-Führer benannt
 
Geschichtspolitischer Modetrend auf Provinzniveau
Frankfurt lässt Hindenburg von der Ehrenbürgertafel entfernen
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
Tatkult und Revolution von Rechts
 
Ein Kondensat im Mitteldeutschen Rundfunk und ein Podium bei Compact
 
Münchner Hofbräukeller
Lokal wirft Studentenverbindungen Rufmord vor
 
Ausschreitungen gegen Akademikerball
Österreich: Deutscher Linksextremist scheitert mit Berufung
 
Fall Gysi
Das Versagen der Justiz
Warum drängt er nicht selbst auf einen Prozess?
 
Lebensgefährliche Erkrankung: Neonazi Mahler unterbricht Haft
Der inhaftierte Neonazi Horst Mahler ist schwer erkrankt, er hat seine Gefängnisstrafe unterbrochen. Der 79-Jährige wird in einer Klinik behandelt.
 
(Die Aktion hat gesessen. Das erkennt man an der aufgeregten Wortwahl…)
Braune Brut bei den Roten: Nazis besetzen SPD-Zentrale
 
(… auch hier…)
"Identitäre Bewegung": SPD verurteilt rechte Besetzungsaktion
 
Widerstandskurs in der Hayek-Gesellschaft – André Lichtschlag im Gespräch
 
(Erlangens Oberbürgermeister Florian Janik (SPD) betätigte sich als Hetzer mit menschenverachtenden Parolen)
Erlangen
zwischentag und Vernichtungsphantasien eines Oberbürgermeisters
 
(Das Problem ist, dass die Amadeu-Antonio-Stiftung mit massenweise öffentlichen Geldern am Leben gehalten wird.)
Einwanderung
Kahane: Der Osten ist zu weiß
 
(Die radikale Linke versucht noch eine Weile, die Einwanderer als dummen August zu instrumentalisieren, bis auch diese Kontrolle ihr entgleiten wird.)
„Hate Germany“
Asylanten provozieren mit deutschfeindlichen Trikots
 
(Bernd Langer)
Lobende Worte für Brandanschlag
Linker Autor muß wegen Billigung von Straftaten vor Gericht
 
Nach Anschlag auf Auto
Linken-Politiker beklagt Pogromstimmung
 
Friedrichshain-Kreuzberg
Linksextremisten attackieren Berliner Polizisten
 
("Protest" gegen "Gentrifizierung")
Nürnberg
Linksextremisten verprügeln Ehepaar
 
Bremen
Linksextremisten bekennen sich zu Anschlag auf Innenbehörde
 
Polizist wegen Körperverletzung bei Blockupy-Demo 2013 verurteilt
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
Hasser gegen Hilfsbereite
von Martin Lichtmesz
 
Kommentar zur Asyl-Debatte
Schreibtisch-Terroristen
von Michael Paulwitz
 
Bevölkerungsaustausch in Europa (I): Ursachen
 
Bevölkerungsaustausch in Europa (II): Vorgang und Schwerpunkte
 
Bevölkerungsaustausch in Europa (III): Perspektiven
 
(Dazu ein Pankraz-Text von 1999, der nichts von seiner Aktualität eingebüßt hat.)
Pankraz,
M. Lind und das Gespenst der Brasilianisierung
 
Mehr als eine Million Asylbewerber in Deutschland
 
Gregor Gysi: Zum Glück sterben die Deutschen aus!
 
Kommentar zur Asylwelle
Jenseits der Humanität
von Michael Paulwitz
 
Was Egoisten wissen müssen
Kommentar: Die Asylbewerber und wir
Gegen die grassierende Angst vor einer „Vergreisung des deutschen Vaterlands“ und dem damit verbundenen „Zusammenbruch aller sozialen Sicherungssysteme“ gibt es eine gute Therapie: Man schaue sich die Asylbewerberzahlen an.
 
Berlin-Wannsee Flüchtlinge – ja, bitte! Bürger wollen Heim in ihrem Kiez
 
Unzensuriert-TV 3: Asylchaos - Sturm auf Europa
 
Grüne in Baden-Württemberg
Wahlkämpfer fürchten heikles Flüchtlingsthema 
 
Asylwelle
Hamburg plant Containerdörfer für 20.000 Asylbewerber
 
Asylansturm: München ruft Katastrophenfall aus
 
Ungarn geht gegen Asylbewerberzustrom vor
 
Wolfgang Rettig
Deutschland -- Zuwanderung ist Mord
 
Die Akif-Partei
von Akif Pirinçci
 
36.000 EURO pro Asylant: Geert Wilder deckt den Asylwahnsinn auf https://www.youtube.com/watch?v=hWWVTb3ok6g
 
Gauck: Verwirklichung der Einwanderungsgesellschaft braucht Zeit
 
Kommentar zur Gauck-Rede
Es lebe die realexistierende Einwanderungsgesellschaft!
von Felix Krautkrämer
 
(Ein Großverdiener echauffiert sich…)
"Til Schweiger beschimpft Flüchtlings-Gegner auf Facebook"
Til Schweiger: "Ihr seid zum Kotzen!"
 
Die Sprache der Einwanderungsbefürworter
 
(Ein Spalter warnt vor der "Spaltung der Gesellschaft")
Pöbeleien und Gebrüll auf Bürgerversammlung in Freital
Chef der Landeszentrale warnt vor Spaltung
 
„Pro Asyl“ prangert Verschärfung des Aufenthaltsrechts an
 
Dietzenbach / Langen
Schöne Stange Geld zum Gegensteuern
Stadt kann Projekte gegen Rassismus und Islamismus fördern
 
Erkennungsdienstliche Behandlung
Bundespolizei kapituliert vor illegalen Einwanderern
 
Kritik an Begriff „Flüchtlingsmassen“
Hofreiter geißelt Klagen über Asylwelle als „Schande“
 
Flüchtlinge in Deutschland
„Es ist Zeit für einen neuen Aufbau Ost“
Baden-Württembergs Ministerpräsident Kretschmann schlägt vor, mehr Flüchtlinge in östlichen Bundesländern unterzubringen. Nicht bei jedem stößt dieser Vorschlag auf Gegenliebe.
 
Mettmann
Streit um Steuererhöhung wegen Asylbewerbern
 
(Alexander Krauß)
Sachsen
CDU-Politiker verteidigt Asyl-Äußerungen
 
In der Innenstadt ziehen 38 minderjährige Flüchtlinge ein
Es wird die zentralste Unterkunft für Asylbewerber in Augsburg sein: Noch dieses Jahr sollen 38 Flüchtlinge am Elias-Holl-Platz einziehen. Viele Nachbarn sind erleichert.
 
Flüchtlinge in Nordfrankreich
Letzte Station Neuer Dschungel
Auf dem Weg nach Großbritannien stranden Flüchtlinge oft im französischen Calais. Dort fordern Politiker Hilfe aus London ein. Zur Not will man es auf eine diplomatische Krise ankommen lassen.
 
Nick Abbot on calais migrants.
 
LKW Fahrer filmt pöbelnden Asylantenstrom aus Afrika auf Autobahn
 
Thüringen
30 Asylanten wollten Studentenfestival stürmen
 
Unverschämte Asylanten erpressen Bürger: Wir wollen ins Disco gehen und Party machen
 
Mehr Flüchtlinge als Einwohner ! Asylanten gehen mit Gewalt gegen einheimische Bürger vor.
 
(Schule gegen Rassismus…)
Behinderte Deutsche müssen für Asylanten rappen!
 
ARD Die Reportage: Der Arbeitsmarktreport - das Märchen vom Fachkräftemangel
 
Angela Merkel
„Islam gehört unzweifelhaft zu Deutschland“
 
Antisemitismus und Rassismus in Deutschland
Muslime sind nicht die neuen Juden
 
Gegen Judenhass
Zentralrat fordert Islamunterricht zur Prävention
 
Gesetzesänderung
Niedersachsen droht Discos bei Diskriminierung mit Strafe
 
Überfüllung: Dortmund fordert Asylbewerber zur Weiterreise auf
 
(Einwandererkrawalle in Den Haag)
Hunderte attackieren Polizisten in Den Haag
Ein 42-Jähriger ist in Den Haag nach seiner Festnahme gestorben. Seitdem demonstrieren Hunderte gegen Polizeigewalt. Nachts eskalierte die Situation mit Straßenschlachten, es gab 16 Festnahmen.
 
Wollen wir schwedische Zustände?
 
(Probleme in Freibädern mit "Jugendlichen"…
Immerhin schreibt die "Süddeutsche" in einem kurzen Moment der Ehrlichkeit: "Die Störer und Schläger sind meist größere Gruppen von Jugendlichen, in Bezirken wie Wedding, Kreuzberg oder Neukölln häufig mit Migrationshintergrund.")
 
Neukölln
Polizei muss erneut im Columbiabad für Ruhe sorgen
 
(Realsatire)
Wegen angeblicher Gewalt
Mazyek: Viele Moslems meiden U-Bahnen aus Angst
 
Hattersheim
Pistole vors Gesicht gehalten
Vier bewaffnete Räuber überfallen Jugendlichen in S1
 
(hier die Beschreibung der Täter)
 
Rückfall nach Jugendstrafe
Drogenkonsum durch Raub- und Einbruchserien finanziert
 
("dunkler Teint")
Mann mit auffälliger Tätowierung im Gesicht
Räuber droht Neunjähriger mit Schlägen
 
Kirchheim: Reiterinnen fühlen sich belästigt
 
Streit zwischen Pakistanern, Afghanen und Tunesiern - vier Verletzte
Schlägerei in Erstaufnahmestelle Patrick-Henry-Village
 
Massenschlägerei in Trierer Asylheim
 
Gewalt unter Asylbewerbern und NPD-Aufmarsch in Sömmerda
 
(Zustände in Offenbachs Innenstadt; Probleme mit Südosteuropäern)
„OB vor Ort“
Von Rüpeleien und Radau
 
Schlägerei in Offenbacher Diskothek
Auf Türsteher eingetreten: Angeklagte teilweise geständig
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
(Spenden-Gesinnungszensur)
Gelder für Attikafiguren auf Landtagsschloss
Landtag will keine Klaar-Spenden mehr
 
Warum das eigene Haus in Deutschland so teuer ist
Feste Betonmauern, dreifach isolierte Fenster, verputzte Leitungen: Häuser in Deutschland werden robust und nach Vorschrift gebaut. Das ist teuer. Und muss nicht immer die beste Lösung sein.
 
(Neubauten in Fachwerk)
 
Architektur-Blogger fordert Stopp von Neubauten
 
Unwirtliche Städte
Augen auf und durch
"Angsträume" in Städten beschleunigen unseren Puls und Schritt. Wie Stadtplaner und Architekten gegensteuern können.
 
So wollen die Glauchauer ihr Wahrzeichen retten
Zum 775-jährigen Bestehen der Stadt gab es mehrere Initiativen, um Geld für den Bismarckturm zu sammeln. Doch saniert wird frühestens 2016.
 
Baden-Baden Zwei Schlossruinen sind eine zu viel
Vor 13 Jahren verkaufte das Haus Baden seinen alten Stammsitz an eine kuweitische Familie. Seither verrottet die Anlage in der Altstadt von Baden-Baden – und niemand will etwas daran ändern.
 
(Dämmstoffe)
Woolrecs Recycling-Lüge
Aus gefährlichem Sondermüll harmlosen Dämmstoff machen - das war das Versprechen des Unternehmens Woolrec in Braunfels-Tiefenbach. Wie hr-Reporter jetzt herausfanden, stand dahinter von Anfang an eine große Lüge.
 
(älter, aber aktuell)
Dämm-Agentur „Dena“
Angriff der Umerzieher
„Dena“ heißt eine Staatsagentur, die uns zum Dämmen bekehren will. Die Industrie findet es prima. Und der Bürger zahlt die Rechnung.
 
Kommentar zum Betreuungsgeldurteil
Karlsruher Rabulistik
von Michael Paulwitz
 
Hotpants-Erlaß
Kleiderstreit im Sommerloch
von Michael Paulwitz
 
(So offen ist der Dialog wohl nicht gemeint, wenn von vornherein konträre Gefühle nicht erwünscht sind…)
Bundespräsident
Gauck fordert offene Debatte über Homo-Ehe
 
Die Lästerzungen und der Tod. Vier Fragen an Martin Lichtmesz
 
Papst-Bild aus Kondomen erregt Gemüter
 
Satanisten-Kurve
Papst hat Rendezvous mit dem Teufel in Bolivien
 
800-jähriges Klosterleben in Villingen ist zu Ende - Abschied mit Wehmut
 
Angebliche Weltoffenheit
Ausländer-Zustrom: Amtssprache Englisch im Schlepptau?
von Thomas Paulwitz
 
Studie belegt: Linke Regierungen richten Schaden an
 
Alexander Dugin - Ohne Rebellion keine Souveränität
 
Rainer Mausfeld: „Warum schweigen die Lämmer?“ - Techniken des Meinungs- und Empörungsmanagements
 
Die systematischen Lügen der dpa. Eine Übersicht verlogener dpa-Berichte.
 
Gefühle digital übertragen: Zuckerberg träumt von Telepathie und berechenbaren Menschen
 
20 Jahre Amazon: Wie ein Unternehmen uns alle verändert hat
Amazon wird 20 Jahre alt. 1995 trudelten in einer kleinen Online-Buchhandlung in Seattle die ersten Bestellungen ein. Seitdem hat das Unternehmen unsere Lesegewohnheiten gründlich aufgemischt. Nun steht die nächste Revolution an.
 
Umfrage unter Handynutzern weltweit
Jeder Fünfte würde am Wochenende lieber auf Sex statt aufs Smartphone verzichten
 
EU-Parlament zu Panoramafreiheit
Klicken und Posten - kein Problem
 
Ray Kurzweil: Humans will be hybrids by 2030
 
(Neue Formen der Gehirnwäsche…)
Vorurteile können im Schlaf abgebaut werden
 
Behördenchaos in Berlin
Der Terminhandel für Bürgerämter in Berlin floriert
Weil Berlins Bürgerämter überfüllt sind, blüht der Handel mit Terminen. Drei Berliner haben den Mangel zum Geschäft gemacht. Der Senat ist irritiert.
 
Größtes Fahrverbot aller Zeiten
Ist Ihr Auto bald wertlos? In diesen Städten könnten Diesel-Fahrzeuge verboten werden
 
Biologische Lebenserhaltungssysteme: Algen als Sauerstoffquelle und Nahrung im All
 
Forscher glauben: Erde steht unmittelbar vor einer Mini-Eiszeit
 
Solarmobil Stella Lux: Schnell, bequem, 100 Prozent öko
 
Hitler Avatar
Die seltsame und schreckliche Welt der Savitri Devi
 
Savitri Devi
 
(Grotesk)
"Lenin" und "Stalin" prügeln sich in Moskau
 
Ein Ebook zum Downloaden auf allen Kanälen:
"Styx - die Reise beginnt" von Christa Ritter
 
(Schöne Geschenkidee zur Fraktur-Schrift)
Fraktur mon amour
 
Thriller-Verfilmung: „Kind 44“
Wandlung eines Systemtreuen
 
„Hannas Reise“: Vom „Sühne-Sex“ in Tel Aviv und Berlin
 
"Unsere Absichten sind sauber"
Rockband "Laibach" spielt in Nordkorea
(Übrigens zeigt dieser Artikel mal wieder erschreckend die mangelnde historische Bildung deutscher Journalisten. Zitat von Benjamin Konietzny, Jahrgang 1984: "Die Band gründete sich 1980 im ehemaligen Jugoslawien und benannte sich nach dem von den deutschen Besatzern im zweiten Weltkrieg geprägten Namen für die slowenische Hauptstadt Ljubljana." Auweia.)
 
Festnahme wegen Drogenmissbrauchs
US-Rapper Snoop Dogg schimpft auf schwedische Polizei
 

 

 

samedi, 15 août 2015

Hermann Keyserling’s America

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Hermann Keyserling’s America

A half-forgotten German philosopher’s profound analysis of the United States

Ex: http://www.counter-currents.com

When the German philosopher Count Hermann Keyserling, the centennial of whose birth was celebrated last year by a very small but dedicated band of followers, made a four-month lecture tour of the United States in 1928, it was his second visit to the country. The first had taken place before World War I, in the midst of a trip around the world, and was duly noted in his erudite bestseller, Travel Diary of a Philosopher. The book he produced after his second visit to the States, which he wrote in English, was America Set Free (Harper and Brothers, New York, 1929). In the introduction he was careful to point out that this “is not a book on America, but for Americans . . . the productive effect it may have depends primarily on my readers adopting the right sort of attitude from the outset.” The work, he insisted, should not be considered an exercise in criticism. “I have,” he emphasized, “tried to disentangle America’s truth from untruth . . .”

Keyserling judged the average American to be a fair psychologist who, nevertheless, often encounters difficulties in understanding ways of living that differ from his own. This difficulty arises in part from the average American’s limited contact with other nations, a circumstance which later changed after masses of Americans in their numerous twentieth-century wars had the opportunity to come into personal contact with many foreign peoples. From this viewpoint war is not exclusively negative. It often helps to build bridges to foreign nations, some of them long-time enemies.

Emigrants, Keyserling believed, often preserve their original race character. Accordingly, an American with a distinctly American physique and a distinctively American soul could not appear overnight. How could an American soul take shape when no gods, except Manitou, had been born on U.S. soil? The birth of a national mentality derives from a range of emotions linked to the earth and not to the asphalt of the city. The variety of immigrants who came to America with their varied religious denominations from several parts of Europe turned the United States into a sort of New World Balkans. But this variety could have a positive effect. In the same way that what is good for Europe often depends on its multiplicity, the American melting process contains a large number of “vital roots of creativeness.” The narrowness of isolated countries cut off from the world can lead to degeneration.

Being an admirer of Houston Stewart Chamberlain, Keyserling was very much aware of the importance of heredity and eugenics and, as he calls them, the laws of blood. “The Jew,” he asserted, “cannot easily become part of a new nation. Since he is essentially ‘spirit-born’ and has no support from the forces of the earth, his process of denationalization only too often leads to moral putrefaction. . . . The ability to preserve the original character of a race after it emigrates to a foreign land seems to be an occupational specialty of the Jews. They have had no really native country for thousands of years; they have spread all over the earth, settling down in almost all countries; having become a fundamentally parasitic nation . . . they have lived in closer touch with ‘environment’ than most autochthonous races. And yet they have always remained, even as a physical type, what they were originally. This is due to two causes. Firstly, to the unequalled understanding the Jews possess of the laws of the blood. Second, to the Jewish mentality. For the Jew the law of his religion is always his real ‘environment.’ Since he had to practice Judaism with the utmost strictness, consistency and severity, his life was psychologically determined. Owing to this, he has proved stronger than nature. He has maintained his original type in spite of the varying influences brought to bear on him. On the other hand, if the Jew ever becomes unfaithful to his law, the result is truly disastrous. Such a disaster has been avoided only where he has immediately succeeded in becoming part of a new national body, as in Spain and to a certain extent in Italy” (pp. 26–27).

The psychological determination Keyserling has attributed to the Jewish people, however, he also ascribes to the Anglo-Saxon Puritan. Puritanism represents a typical reincarnation of the spirit of the Old Testament, by which a link had been established between Jewish and Puritan traits. Also, in the case of the typical Puritan, his spiritual force resisted the influence of the American environment and helped to preserve the original ancestral type. Gradually, as the Puritan and the American pioneer merged into one, Puritanism became the very essence of American politics, of American military tradition and of American business, the latter embodying a synthesis of religion, work and enterprise. The New England culture founded by the Puritan fathers, however, was from the very beginning extremely narrow in comparison to the aristocratic tradition of Virginia. But time, Keyserling stated, still works for the American of the Virginian type, a superior stock which is represented by the “cavalier” and which will gradually assure the future predominance of the American South. Meanwhile, the moralistic New Englander will become obsolete, while the Middle Westerner will be considered the true reflection of the American spirit and both the real and symbolic cornerstone of the American nation.

Keyserling saw the average American as a child of unlimited horizons. The sense of continental vastness seems to lead to the American goal of the “spiritual Americanization of the world,” since the American “is always a missionary, no matter whether as a preacher, a salesman, or a headlining newspaper writer” (pp. 9–10). It was this missionary spirit which caused Americans to try to make the world safe for democracy and thereby open the door to an “American century.”

But America, Keyserling pointed out fifty years ago, faced a number of great dangers as “the majority of the population constitutes what under the Indian system would have formed the lower castes. The spirit of the conquering race still rules, but the race has changed” (p. 33). The Puritan spirit began to vanish in the North in the same way as the spirit of the Nordic invaders of old India gradually disappeared.

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As with many foreign investigators of the American scene, Keyserling was alarmed by the Negro problem. “For if the white American continues on his present line of development then America may end up by becoming the Black Continent of post-modern times. We know today that from palaeolithic days onward there have been at least three great civilizations in Africa, the original representatives of which were not black. . . . But the ruling races eventually lost their vitality; they lived too much aloof from Mother Earth. So the Negro, although inferior, had the last word.” Keyserling went on, “I do, of course, not really believe that America will end as the Black Continent of the future, but I thought it wise to over-stress at this point the dangers of urban civilization, because as yet Americans do not seem to be at all aware of them” (pp. 41–42).

The author compared America to Rome and Greece, which he characterized as heroic and individualistic, but which gradually dissolved into the populations of the original settlers, as the laws were made “by a race not belonging to the ruler-type” (p. 71). Similarly in America, the vital pioneer impulses gradually weakened.

An overmechanized, overstandardized economy can easily lead to an end of the technical era and a collapse of man himself. When Keyserling wrote America Set Free, the North was undergoing a growing industrial restlessness and expansion, while the South seemed to be half asleep. Today the South, once characterized by an aristocratic type of life, is running the risk of being dominated by a materialism which both directs and represses the cultural evolution of its inhabitants. The American South had hitherto been more influenced than the North by the forces of the soil. Matter and intellect, according to Keyserling, belong together in the same way as the soil and the soul. Only by joining the worlds of the intellect and emotions, mind and feeling, is modern man able to help us solve the problems of a world which is now being formed more by matter than by man himself, who has become a prisoner of matter. Logic, mathematics and reason are found on the side of dead matter while life itself is symbolized by the emotional world. Reason, intellect and law, as represented by ancient Rome, are the antithesis to the Greek world of beauty. Above all, it is the soul that creates man and fixes his character, not mind and reason. Today the world of matter rules not only in Communist states, but also in the Western world. That is why Keyserling emphasized the importance of a synthesis of the intellect and soul and values so highly a culture of being as opposed to a culture of merely knowing, having and doing (“eine Kultur des Seins anstatt einer Kultur des Könnens”).

A wholly mechanized world must sooner or later lead to a fiasco for mankind. “If man is rightly adjusted within the cosmic scheme as an animal only, he is actually not rightly adjusted. He does not live out of, nor up to the intrinsic meaning of his life; and since what I call ‘meaning’ stands for its very wellspring, not unlimited progress, but devitalization and, eventually, the end of the civilized race would be the inevitable outcome if the process were to continue much longer. This is the all-important point. . . . It is not a question of human nature in the all-embracing sense of the word. A civilization without spiritual roots consciously realized as real is not only incomplete—it is actually without roots. It resembles at best the blossom in a vase. The great task, then, of the centuries to come is to develop a new spiritual life on the foundations of the Technical Age” (pp. 585–86).

Hand in hand with technology, Keyserling saw a worldwide conformity taking place. Man becomes more and more a collective being adapted to mechanical devices and is beginning to resemble a cog in a machine. And there is no great difference between the collective man in the United States and in the Soviet Union. “The difference between the facts of Bolshevik Russia and America . . . only amounts to a difference in prosperity; the standard is different, but the standardization is identical. . . . America expresses its socialism in the form of general prosperity, and Russia in the form of general poverty. America is socialistic by means of the free cooperation of all, and Russia by means of a class rule” (pp. 253–54).

hermY344_BO1,204,203,200_.jpgKeyserling was very pessimistic about America’s influence abroad. He believed President Wilson’s Fourteen Points “have really wrecked Europe and imperilled the position of the whole white race. They are the spiritual parents of Bolshevism because, but for the idea of the self-determination of nations and Wilson’s utter disregard of historical connexions, the Bolsheviks would never have succeeded in revolutionizing the whole East and never even dreamt of attempting the same in Europe” (p. 84).

In World War I the Allies liquidated the psychological foundations of the old social order. In the United States a new type of man emerged—a more violent man, full of vitality and empty of culture. At the same time the ancient ideal of man was born or reborn. With Charles Lindbergh, “a modern Siegfried,” another Americanism took shape, a new consciousness of the American soul. Keyserling characterized this new America as “a decidedly intelligent nation” and the new Americans as “good psychologists, no thinkers, intelligent, but not intellectual.”

“Spirit,” Keyserling had already written in the Travel Diary of a Philosopher, “can manifest itself on earth only by means of material tensions, precisely as tightened strings only can produce musical sounds.” Comfort can never create true culture, which only develops where beauty is the highest value. The spirit of competition helps to create a part of the tension that makes men aspire to something higher. Uniformity, however, cannot create any culture. Only an innate emphasis on privacy, Keyserling called it privatism, may help reveal to Babbitts what a true American civilization can and should be.

Biographical Note

Hermann Keyserling was born in July 1880, at Könno, Estonia, then as today a Russian province. Having attended the universities of Geneva, Dorpat, Heidelberg and Vienna, he acquired a Ph.D. in geology in 1902. Before leaving for an extended visit to France, he worked on his father’s estate in Estonia, where he did some original research in farming methods. During his Paris years he published his first book, Das Gefüge der Welt (1906), in German and his second in French, Essai critique sur le système du monde (1907). The same year he became a professor of philosophy at the University of Hamburg. His lectures there were subsequently published under the title, Prolegomena zur Naturphilosophie (1910). In 1911–12 came his trip around the world and Travel Diary of a Philosopher (Reisetagebuch eines Philosophen). The New York Times compared it to Dante’s Divine Comedy, while the London Times called its author “a Buddha among philosophers.” Hermann Hesse, later a Nobel laureate, wrote, “this book of a European thinker of our time . . . is going to exercise the strongest influence on this epoch.”

In 1919 Keyserling married Countess Godela Bismarck, the granddaughter of Otto von Bismarck, who bore him two sons, Manfred and Arnold, both of whom became philosophers and psychologists. The latter is a professor in Vienna and the author of fifteen books.

After the confiscation of his estates by the government of Estonia, Keyserling was invited by Grand Duke Ernst Ludwig to move to Darmstadt, Germany, where in 1920 he founded his School of Wisdom. Internationally known scholars lectured there, among them Rabindranath Tagore, Carl Jung and Leo Frobenius. At the school he wrote several of his later works, which are too numerous to mention here. After the destruction of his house and library at Darmstadt by Allied bombers in World War II, Keyserling left Germany for Austria. He died at Innsbruck in the spring of 1946. “He is not,” French critic Pierre Frédéric said in 1946 at Keyserling’s death, “like Bergson, Leibnitz or Berkeley, the creator of a derivative philosophical system; he is instead a searcher after the great spiritual currents which traverse and reform our planet—a Pythagoras or Socrates at the threshold of the twentieth century.”

The great bulk of Keyserling’s correspondence has not yet been published. Among his epistolary friends were Bernard Shaw, Houston Stewart Chamberlain, Claude Debussy, Auguste Rodin, André Gide, Albert Schweitzer, Bertrand Russell, Oswald Spengler, Sigmund Freud, Miguel de Unamuno and José Ortega y Gasset.

Hermann Keyserling propounded a synthesis of the deepest wisdom of the Occident and Orient. His universality reached from philosophy, religion, psychology and history to biology, geology, economics, astronomy and the world of music. It was his lifetime desire to help man find a fundamental reason for existence. Frank Thiess, a modern European writer, said about Keyserling, “He became what Nietzsche always had aspired to be.”

What mankind needs, Keyserling repeatedly stressed, is to forge an unbreakable link from the intellect to the soul. The predominance of one or the other has always led to chaos and disaster. We must come to revere something higher than mere materialistic aspirations and moral values. In a generation which revels in materialism, egoism and the ugliest elements of modernism, it is our duty to emphasize the distinctly superior sentiments that flow from an aristocratic mind.

Hermann Keyserling said that his family, which many centuries ago had gone to the Baltic States from Germany as knights and governors, were veritable giants in height. They were also giants of the spirit. One Keyserling was the friend and benefactor of Johann Sebastian Bach. Another was the closest friend of Immanuel Kant; another the chief adviser of Frederick the Great. Count Alexander Keyserling, Hermann’s grandfather, was a leading member of the Baltic nobility and, as a geologist, helped discover much of the mineral wealth of Czarist Russia. Bismarck was referring to this Keyserling when he said he was the only human being whose mind he feared.

Arnold Keyserling wrote about his father:

In order to understand man, he had to start from the unity of the globe, and to transcend the barriers between East and West, as well as between the different religions. The School of Wisdom he created was meant to shape the ideal of the ecumenical man, whose time was to come after the period of the great wars. It was his opinion that only through delving into both origins, the terrestrial as well as the spiritual, could man finally attain integration and self-realization.

Author: Swedish Instaurationist

Source: Instauration, January 1981, pp. 9–11.

mardi, 11 août 2015

L’Europe a besoin de paix – et non pas de nouvelles troupes américaines

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L’Europe a besoin de paix – et non pas de nouvelles troupes américaines

Point de vue allemand

par Willy Wimmer

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch

On n’en croit pas ses oreilles en entendant ce qui se dit à Washington. D’abord on laisse brailler un dirigeant civil des Forces de l’air américaines parfaitement inconnu. Puis, un peu plus tard, on peut entendre la déclaration du commandant en chef de l’armée américaine désigné devant le Congrès américain. Selon lui, la Fédération de Russie est le pire des ennemis des Etats-Unis. On se tient la tête – car nous allons au-devant de catastrophes, mais il se peut aussi que nous soyons plus profondément dans le marasme de l’Alliance que nous ne le pensions.
Washington veut la bagarre, et même plus que cela. Nous avons, en Europe, quelque expérience avec la puissance dirigeante de l’Alliance, à laquelle nous appartenons. Nous, qui nous étions engagés pour une défense commune, ne menons plus que des guerres, déversant le malheur sur une large partie de la terre et nous sommes tout surpris de voir que les populations désespérées des régions que nous avons recouvert de guerre fuient vers nous dans leur détresse. Ils viennent chez nous pour constater que là où on a conçu cette politique désastreuse, les portes sont fermées hermétiquement: aux Etats-Unis.
La Russie est capable de répondre elle-même aux tirades venant du Congrès américain. Mais depuis plus de vingt ans, nous ne manquons pas d’expérience avec notre grand voisin oriental. Et cette expérience va à l’encontre de ce que se dit à présent publiquement à Washington. De hauts fonctionnaires américains exigent, lors d’entretiens dans notre pays, une «fidélité sans faille» dans le domaine de nos relations avec la Fédération de Russie. On y met le paquet. Lors de son voyage dans les Balkans, le pape a mis en garde contre une nouvelle guerre mondiale. Dans le même temps, Monsieur le Président de notre pays a été fêté lors d’une grande manifestation, alors même qu’il s’emploie à soutenir des engagements militaires comme aucun de ses prédécesseurs auparavant ne l’avait fait. Et sa méthode n’est pas sans conséquences.
Ces déclarations états-uniennes risquent de nous emporter avec le courant, car ceux qui dans notre pays devraient contribuer à la libre formation d’une opinion indépendante dans le sens des intérêts nationaux se montrent depuis belle lurette incapables d’assurer cette tâche étatique primordiale. Tant le gouvernement que le Parlement sont, en la matière, impuissants, et laissent en réalité les organes secrets diriger les affaires, alors qu’ils n’ont aucune légitimation pour se mêler de la politique du pays. La politique allemande éveille l’impression que l’épicentre de la politique a été transféré sous les yeux de tous de Berlin vers une grande ville de Westphalie orientale. Les médias, qui du temps de Bonn se battaient pour présenter les meilleures voies en politique, semblent ne vouloir plus rien d’autre que la meilleure position à la pointe du courant dominant. Ce qui se dit à Washington dans les hautes sphères développe suite aux mécanismes de l’Alliance et des traités une énorme force contraignante, telle une forte aspiration. C’est très exactement ce qui se passe suite aux déclarations de ce général utilisé comme porte-voix par son président.
Qui oserait, à Berlin, s’aventurer à émettre sa propre conception de la situation? A la fin de la première guerre froide, on a pu observer à quel point l’évaluation de la menace soviétique d’alors par Washington était soumise à l’opportunité. Alors que toute la partie occidentale de l’Europe craignait une attaque venant de l’Est, on présentait à Washington aux visiteurs allemands une nouvelle vue du monde. A l’encontre de tout ce qui avait été prêché pendant des décennies, on prétendit que l’armée rouge, avec ses forces d’attaques en Europe centrale, n’était soudainement plus que défensive, destinée à tirer les leçons militaires des guerres de Napoléon et Hitler: la défense de la mère patrie russe contre les menaces venant de l’Occident accompagnées de dévastations sans fin.
S’il ne s’agissait à Washington que de tactique, en considération de la situation économique réelle de cet immense empire, alors nous devrions réfléchir, en cette année du 25e anniversaire de la réunification allemande, au fait que les Etats-Unis se soient focalisés sur la Russie avec leurs alliés les plus sûrs, cela depuis la Première Guerre mondiale, afin de la détruire. Alors même que Moscou avait lâché du lest en acceptant la réunification, Washington, mais aussi Londres et Paris, sans parler de Tel-Aviv, ayant de la peine à y croire. Frank Elbe, l’un des plus importants collaborateurs du dernier grand ministre des Affaires étrangères Hans-Dietrich Genscher a, il y a quelques semaines, lors d’une interview accordée au média russe sputnik, attirait l’attention sur le fait que ceux qui, à Washington, incitent de façon virulente, à se positionner contre la Russie, ont des origines familiales russes remontant à la période de la guerre. Dans quelle mesure a-t-on affaire à des règlements de comptes et qu’est-ce qui se joue à nos dépends?
Lors du coup d’Etat au printemps 2014 à Kiev, nous avons pu observer à quel point l’ensemble de l’Occident s’est laissé influencer. Rarement l’Occident, auquel pourtant nous tenons, a pareillement renié ses valeurs comme lors du massacre du Maïdan ou lors de l’incendie d’Odessa avec une quarantaine de victimes, de même que la triste instrumentalisation des victimes du crash d’un avion de ligne en Ukraine. Une fois de plus la fin justifie les moyens et c’est d’autant plus consternant que nous avons déjà vécu de tels moments de malheur dans le passé.
Nous nous mettons en péril mortel du fait des manœuvres non seulement des forces navales de l’OTAN sous le nez de la flotte russe dans la mer Noire, mais aussi de l’apparition de bombardiers atomiques américains dans l’espace aérien ukrainien ou des opérations «coups de poings» à la frontière russe avec la participation de troupes allemandes. La modification de la politique générale européenne, ayant donné à Moscou – en acceptant l’unification allemande – l’espoir de ne plus devoir craindre de guerre dans ses régions occidentales, a sciemment été inversée par l’ensemble des pays occidentaux.
Ne risque-t-on pas que les forces ayant une mentalité similaire que le chef d’état major américain désigné réapparaissent également à Moscou? Si l’un des pilotes des avions bombardiers occidentaux et russes qui survolent la région commet une erreur dans cette atmosphère de guerre, nous aurons rapidement fini d’exister. Nous n’aurions plus même l’occasion de déterminer qui a commis l’erreur fatale. Voulons-nous vraiment admettre en Europe que Washington crée, avec les forces bellicistes européennes des conditions semblables à celles des manœuvres américano-sud-coréens dans la péninsule coréenne risquant à tout instant le déclenchement d’une guerre non maîtrisable? Le comportement des Etats-Unis sur notre territoire et celui d’autres Etats européens, a détruit depuis de longues années les fondements du traité de l’OTAN et ne justifie donc plus le stationnement de troupes américaines dans les pays européens. La raison profonde de ces stationnements réside dans une défense commune, ce à quoi les peuples avaient donné leur accord. Mais en aucun cas, les Parlements l’avaient pour une alliance agressive – et surtout pas pour se lancer dans une destruction collective, une destruction soutenue par certains cercles à Washington, au Congrès américain et par un général de l’infanterie de marine.    •

(Traduction Horizons et débats)

km. L’étude la plus élaborée concernant l’influence de la Fondation Bertelsmann, basée à Gütersloh en Westphalie orientale, est probablement celle de Thomas Schuler, publiée en 2010.
Dans son ouvrage paru en 2014 intitulé: «Die Macher hinter den Kulissen. Wie transatlantische Netzwerke heimlich die Demokratie unterwandern» (ISBN 978-3-93816-22-5), Hermann Ploppa a situé les activités de cette fondation dans le cadre transatlantique. Il écrit: «Au cours des années 1990, une fondation s’est imposée au premier plan, surpassant en taille et en importance toutes les fondations existantes: la Fondation Bertelsmann sise dans la petite ville de Gütersloh en Westphalie orientale. Cette fondation est plus américaine que les Américains. […] Déjà en 1992, Reinhard Mohn s’efforça d’intégrer sa fondation dans les réseaux transatlantiques. […] Depuis lors, cette fondation fait de la politique et dans certains domaines, elle a transformé les politiciens élus en figurants.»

samedi, 04 juillet 2015

Pour commémorer la Grande Guerre autrement

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Pour commémorer la Grande Guerre autrement

par Georges FELTIN-TRACOL

Depuis le 3 août 2014, la France, plus généralement l’Europe ainsi que leurs anciennes possessions d’outre-mer commémorent le déclenchement dramatique, puis le déroulement tragique de la Première Guerre mondiale. Films, émissions d’archives, séries télévisées, expositions muséographiques déferlent autour de ces événements qui constituent le point nodal et la matrice primordiale du XXe siècle au point que Dominique Venner avait raison de parler à ce propos du « Siècle de 1914 ». Les éditeurs ne sont pas en retraite de cette actualité historique brûlante.

 

Dans le flot considérable de mémoires, de récits plus ou moins romancés, d’études universitaires et de témoignages, soulignons la présence de deux ouvrages qui tranchent par rapport à l’offre publiée. Il est intéressant de souligner que les deux maisons d’éditions, de modestes structures si on les compare à leurs homologues parisiennes, sont lorraines, l’une installée à Metz, l’autre à Nancy. Cette dualité de localisation n’est pas anodine d’autant que leur perception de la Grande Guerre ne peut que diverger avec celle qui prévaut à Brest, à Bordeaux, à Marseille ou à Grenoble. Le traité de paix de Francfort en 1871 scinda en deux ensembles distincts la Lorraine : une partie qui correspondait au département de la Moselle (Metz) germanophone fut intégrée avec sa voisine alsacienne dans un Reichsland du tout nouvel empire allemand; l’autre partie autour de Nancy demeura française. Afin d’éviter de possibles contentieux politico-juridiques, le traité autorisait les Alsaciens-Lorrains volontaires et attachés à la nationalité française de déménager en « France de l’intérieur », voire en Algérie…

 

Cependant, de nombreuses familles alsaciennes et lorraines, guère fortunées, préférèrent rester et acceptèrent la tutelle de Berlin. C’est le cas de Pierre Jacques (1879 – 1948). Cet enseignant catholique de Metz, parfait bilingue, rédigea pendant l’Entre-Deux-Guerres un roman métaphorique sur les Lorrains mobilisés sous l’uniforme allemand. Inapte physiquement pour la guerre, Pierre Jacques n’effectua que sept mois de service militaire au cours de laquelle il se liait avec un certain Robert Schuman. Pour ce Prussien malgré lui, il utilisera surtout les témoignages de ses frères et amis qui souffrirent dans les tranchées de l’Ouest.

 

Prussien malgré lui n’est donc pas une autobiographie. C’est une sorte de prise de distance nuancée avec des événements sanglants au nom de la réconciliation franco-allemande en prenant l’exemple de la Lorraine désormais duale. Le héros de Prussien malgré lui, Paul Lorrain, travaille dans les forges industrielles de Moyeuvre, non loin de la France et du Luxembourg. « Originaire de Sierck, petite cité vénérable des bords de la Moselle (p. 26) », Paul Lorrain est un dynamique chef d’équipe trentenaire. Régulièrement, une fois la journée de travail terminée, il apprécie les discussions avec ses collègues et amis dont certains sont de nationalité française. Si les tensions dans les Balkans les préoccupent en cet été 1914, ils pensent qu’une éventuelle guerre se limiterait à cette partie lointaine du continent.

 

Quand le beau temps le lui permet, Paul aime se promener dans la campagne et n’hésite pas à franchir une frontière franco-allemande peu contrôlée. Il va souvent saluer les Stadtfelder dont le fils est un ami d’enfance et la fille, Jeanne, sa fiancé. Sa future belle-famille a opté pour la France en 1871 et attend la « Revanche », d’où une certaine rugosité dans l’appréciation des rapports franco-allemands. Au contraire de Paul Lorrain qui « avait été éduqué […], sans chauvinisme dans un véritable amour de la terre natale. […] Ainsi, Paul était davantage lorrain qu’allemand ou français (p. 48) ». Cette affirmation régionale désarçonne ses interlocuteurs. N’explique-t-il à son futur beau-père qu’« un fort pourcentage de la population actuelle n’est plus de souche lorraine ou alsacienne; il ne serait pas correct d’expulser les immigrés allemands; car beaucoup sont nés chez nous et n’ont pas d’autre patrie (pp. 51 – 52) » ? Or, en 1918 – 1919, la République française, grande donneuse de leçon à la Terre entière, pratiqua – c’est peu connu dans l’Hexagone – une vaste épuration ethnique, chassant sans ménagement de l’ancien Reichsland les populations d’origine allemande au moyen de « commissions de triage » qui agirent aussi en véritable police politique à l’égard des autochtones alsaciens-lorrains. Seul point positif : ce triste précédent étayera l’inévitable réémigration de populations allogènes indésirables en France et en Europe un jour prochain…

 

 

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Quand Paul Lorrain reçoit son ordre de mobilisation, il s’exécute et se dirige vers la caserne où convergent Lorrains et Allemands. Là, « un adjudant tenant à la main les listes des classes d’âge fit l’appel et nota avec satisfaction la présence de frontaliers aux noms français. Lorrain, lui aussi, s’étonna du petit nombre d’absents parmi les frontaliers (pp. 64 – 65) ». Incorporé dans un régiment, le héros entend les bobards sur la trahison intrinsèque des élites lorraines francophones et leurs actions subversives. Il pâtit aussi de l’animosité d’un de ses sous-officiers qui voit dans chaque Alsacien-Lorrain un traître potentiel… L’accueil est en revanche plus fraternel avec les soldats allemands venus d’autres régions qui découvrent leurs nouveaux frères d’arme.

 

Paul Lorrain connaît rapidement les premiers combats et reçoit pour sa bravoure la Croix de Fer. Son âme reste toutefois tiraillée surtout après l’occupation par les Allemands du village détruit de sa fiancée. Il affronte plus tard au front son beau-frère ! Gravement blessé, Paul Lorrain décède finalement du fait de ce déchirement intérieur entre Lorraine, France et Allemagne !

 

Le beau récit de Pierre Jacques démontre l’absurdité de la Guerre civile européenne et les dégâts considérables qu’elle provoqua dans les familles. Prussien malgré lui fait aussi découvrir au lecteur toute la complexité de l’âme lorraine-mosellane.

 

L’absurdité du grand conflit continental entre 1914 et 1945 se retrouve dans la belle nouvelle de Jean-Jacques Langendorf. Historien militaire suisse de renom international et aventurier – écrivain, Jean-Jacques Langendorf narre (romance ?) la vie d’Albéric Magnard. Fils unique du gérant du Figaro, Francis Magnard, Albéric fut un célèbre compositeur français né en 1865. Élève de Massenet et D’Indy, il s’inspire de ses maîtres ainsi que de Wagner et de Beethoven. Très tôt orphelin de mère, c’est son père, un « homme [qui] avait toujours été un solitaire doublé d’un cynique, qui méprisait l’humanité et qui trempait sa plume dans le venin distillé inlassablement par son cerveau, ce qui était loin de déplaire aux lecteurs de ses chroniques (p. 8) », qui l’élève.

 

Misanthrope et casanier, Albéric Magnard « ne tolérait pas la présence de domestiques dans son entourage (p. 22) » et préférait lui-même cirer le parquet et cuisiner pour ses enfants. Bien que ne goûtant guère les voyages, il accepte néanmoins de séjourner à Berlin où il dirige avec succès un orchestre qui joue ses œuvres. Il reçoit même les félicitations d’un officier de carrière qui l’admire.

 

Quand éclate la guerre, Albéric Magnard vit dans son Manoir des Fontaines à Baron dans l’Oise, détesté par le voisinage. Le dictionnaire encyclopédique Larousse précise que « l’auteur mourut dans l’incendie de sa demeure par l’armée allemande lors de l’offensive d’août 1914 ». Jean-Jacques Langendorf détaille les circonstances de la mort du compositeur. Irrité par l’intrusion des troupes allemandes dans sa résidence, le propriétaire irascible tire sur eux. En représailles, les Allemands incendient son domicile. Magnard se suicide alors. Ô ironie ! Le responsable allemand qui commande la destruction n’est autre que l’officier berlinois qui le complimentait naguère… Cet Allemand comme d’ailleurs Paul Lorrain n’a fait qu’obéir « à la loi, à la dure loi de la guerre (p. 34) ». Saloperie de guerre civile européenne !

 

Georges Feltin-Tracol

 

• Pierre Jacques, Prussien malgré lui. Récit de guerre d’un Lorrain 1914 – 1918, Éditions des Paraiges (4, rue Amable-Taste, 57000 Metz) – Éditions Le Polémarque (29, rue des jardiniers, 54000 Nancy), 2013, 128 p., 12 €.

 

• Jean-Jacques Langendorf, La mort d’Albéric Magnard. 3 septembre 1914, Éditions Le Polémarque, 2014, 34 p., 8 €.

 


 

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vendredi, 03 juillet 2015

Robert Musil: Der deutsche Mensch als Symptom

Robert Musil: Der deutsche Mensch als Symptom – eine Rezension

aus Sezession 65 / April 2015

von Konrad Gill

Ex: http://www.sezession.de

Robert-Musil1.jpgAus der nicht eben abwechslungsarmen österreichischen Literaturlandschaft ragt Robert (von) Musils Mann ohne Eigenschaften als markanter Gipfel heraus. Mit diesem umfangreichen Werk schrieb der promovierte Philosoph sich in die Literaturgeschichte ein. Der unvollendet gebliebene Roman nahm fast 20 Jahre Arbeitszeit in Anspruch und zehrte Musils ganze Schaffenskraft auf. Daneben blieb sein Œuvre schmal. Die vorliegende Sammlung will Musils politisches Werk wieder ins Bewußtsein seiner Leserschaft bringen.

Sie präsentiert tastende Versuche und in sich vollständige, aber unreife Pamphlete. Neben Fragmente aus dem Nachlaß treten Gelegenheitsschriften aus politischen und Soldatenzeitschriften. Selbst diese Texte haben etwas Fragmentarisches, gerade die Gedanken der früheren Schriften wirken ungeordnet, teils unfertig. Die verheißungsvoll betitelten Aufsätze »Europäertum, Krieg, Deutschtum« sowie »Der Anschluß an Österreich« und »Die Nation als Ideal und als Wirklichkeit« sind letztlich Konjunkturschriften ohne großen Wert über den Tag hinaus. Der Essay, der dem Band seinen Namen gab, ist ein offensichtlich unfertiges Elaborat, das keinen der aus großer Themenvielfalt gewonnenen Gedanken überzeugend zu Ende führt, sondern sich zwischen Zeitkritik, Ansätzen einer eigenen philosophischen Linie und Feuilleton verliert.

Ohne Gewinn bleibt die Lektüre nicht. So verteidigt etwa der Kriegsheimkehrer Anfang 1919 die Nation als Ordnungsmacht und »natürlichen Leistungsverband« – um sodann mit bissigem Humor auszukeilen gegen den »unbefriedigte[n] Staats-Spieltrieb der Tschechen, der sich jetzt in ihrem Puppenstuben-Imperialismus auslebt« und die nationale Hoffnung der Italiener, »die sich mit einem knabenhaften Pathos gab, das für erwachsene Kaufleute und Advokaten natürlich reichlich falsch war«. Eine realitätsblinde deutschnationale Romantik der eigenen Landsleute wird dabei nicht vergessen. Als konservativ deuten läßt sich die Skepsis des späteren Musil vor seinen eigenen Erkenntnissen, ebenso wie die Warnung vor Ideologien und der Aufruf zur Erneuerung des Geistes.

musil.jpgAlle in dem Band veröffentlichten Texte wurden bereits veröffentlicht, so daß der Musil-Kenner keine Sensationen zu erwarten hat. Auch die Nachbemerkung des Herausgebers ist mit zwei Seiten äußerst kurz; ein Nachwort mit Erläuterungen zur Entstehungsgeschichte der Texte wäre angesichts ihrer stark differierenden Entstehungszeiten, Themen und auch gedanklichen Ansätze hilfreich gewesen.

Jedem an den Diskussionen um die Nation in den Jahren zwischen den Weltkriegen interessierten Leser wird die Aufsatzsammlung willkommen sein. Etwas mehr als die bloße Zusammenstellung bereits zugänglicher Texte mit einem schmalen Nachwort hätte man aber erwarten dürfen.

Robert Musil: Der deutsche Mensch als Symptom. Reden und Aufsätze zur Politik, Wien: Karolinger 2014. 206 S., 23 €, hier bestellen

jeudi, 11 juin 2015

Ernst Jünger und die >Konservative Revolution

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Matthias Schloßberger

Ernst Jünger und die >Konservative Revolution<.
Überlegungen aus Anlaß der Edition seiner politischen Schriften

Ex: http://www.iaslonline.lmu.de

  • Ernst Jünger: Politische Publizistik 1919 bis 1933. Herausgegeben, kommentiert und mit einem Nachwort von Sven Olaf Berggötz.
    Stuttgart: Klett-Cotta 2001. 898 S. Ln. € 50,-
    ISBN 3-608-93550-9.

Das Bild Jüngers nach 1945

Ein gutes Jahr nach der nationalsozialistischen Machtübernahme, im Mai 1934, schrieb Ernst Jünger im Vorwort zu seiner Aufsatzsammlung Blätter und Steine, es seien "nur solche Arbeiten aufgenommen, denen über einen zeitlichen Ansatz hinaus die Eigenschaft der Dauer innewohnt. [...] Aus dem zu Grunde liegenden Material wurden somit die rein politischen Schriften ausgeschieden; – es verhält sich mit solchen Schriften wie mit den Zeitungen, die spätestens einen Tag nach dem Erscheinen und frühestens in hundert Jahren wieder lesbar sind." 1

Drei Jahre nach seinem Tod sind Jüngers politische Schriften nun zum erstenmal wieder zugänglich. Das Bild, das wir heute von Jünger haben, wäre ein anderes, wenn Jüngers Haltung jener Jahre aus diesen Texten bekannt gewesen wäre. Wo Jünger in der Weimarer Republik politisch stand, war bislang nur in Umrissen erkennbar.

Karl Otto Paetel, der von Jüngers regimekritischer Haltung überzeugen wollte, schrieb 1943 in der Emigrantenzeitschrift Deutsche Blätter, "dass sich Ernst Jünger um die Tagespolitik wirklich nie gekümmert" 2 habe. Paetel hätte es besser wissen müssen: Er kannte Jüngers politische Arbeit gut. Zu Beginn der 30er Jahre war Paetel Hauptschriftleiter der Zeitschrift Die Kommenden, deren Mitherausgeber Jünger war. 3

Als Paetel den Jünger der Marmorklippen (1939) in seiner inneren Emigration vorstellte, hatten Emigranten verschiedener Richtungen Jünger seinen Beitrag zur Zerstörung der Weimarer Republik längst zuerkannt. Siegfried Marck 4 , Hermann Rauschning 5 , Golo Mann 6 und Karl Löwith 7 sahen in Jünger einen Wegbereiter der deutschen Katastrophe. Vermutlich wußten sie von Jüngers tagespolitischem Geschäft in den Jahren 1925 bis 1930. In ihren Analysen waren sie jedoch nicht darauf eingegangen.

Selbst Armin Mohler hatte Jünger zu Lebzeiten nicht überzeugen können, seine politische Publizistik neu zu edieren. Zwei Gesamtausgaben erschienen ohne sie. Unbekannt war sie freilich nicht: In den Bibliographien Jüngers ist sie nahezu vollständig erfaßt. Dennoch sind die zum großen Teil schwer zugänglichen Texte weitgehend unbekannt geblieben.

Künftige Biographen mögen nun entscheiden, ob Jünger sein Denken und Handeln ehrlich oder selbstgerecht verarbeitete. Kurz nach dem Krieg war Jünger vorgeworfen worden, er wolle wie viele bloß Seismograph und Barometer, nicht aber Aktivist gewesen sein. 8 Ein anderer Zugang ist jedoch wichtiger. Die Bedeutung von Jüngers politischer Publizistik liegt weniger in ihrer Teilhabe am Gesamtwerk Jüngers, sondern in ihrem exemplarischen Charakter. Jünger spricht hier als Exemplar seiner Generation – einer Generation, die entscheidende lebensprägende Impulse nicht im Studium, sondern in den Erfahrungen an der Front und in den Wirren der gescheiterten Revolution sowie der katastrophalen wirtschaftlichen Lage bis zur Währungsreform im Dezember 1923 empfing.

Es ist oft betont worden, wie offen in der Spätphase der Weimarer Republik vielen Zeitgenossen die Zukunft schien. Zunächst bietet es sich daher an, Jüngers politische Publizistik zu lesen unter Einklammerung des Wissens um die weitere Entwicklung der deutschen Verhältnisse. Natürlich ist dies nur hypothetisch möglich und hat seine Grenzen. Die Perspektive des Zeitgenossen ist uns verschlossen. Wenn dieses Verfahren hier empfohlen wird, dann aus folgendem Grund: In den Diskussionen des Feuilleton wird der Blick auf Autoren wie Jünger in der Regel auf zwei Perspektiven verengt: Stellung zum Nationalsozialismus und zum Antisemitismus. Selbstverständlich sind dies Fragen, die immer wieder neu gestellt werden müssen. Nur: Jüngers Denken und seine Stellung in den Ideenzirkeln der intellektuellen Rechten wird so im Dunkeln bleiben. Die Kritik, die nur diese Maßstäbe kennt, und die Apologeten vom Schlage Paetels bewirken gemeinsam, daß die Komplexität der Weimarer Rechten, wie sie in so unterschiedlichen Werken wie denjenigen Armin Mohlers und Stefan Breuers erkannt wurde, aus dem Blick gerät.

Überblick

Der nun vorliegende Band Politische Publizistik 1919-1933 versammelt nicht nur die politische Publizistik jener Jahre, sondern auch eine Fülle anderer Texte, die diesem Genre nicht zugeordnet werden können. Insgesamt sind es 144 Texte. Die Vorworte zu verschiedenen Auflagen von In Stahlgewittern, von Der Kampf als inneres Erlebnis , von Feuer und Blut und Das Wäldchen 125, die alle nicht in die Werkausgaben aufgenommen wurden, kommen ebenso zum Abdruck wie einige Rezensionen, die zwischen 1929 und 1933 entstanden.

Man könnte einwenden, daß der Band insgesamt ein heterogenes Sammelsurium von Texten der Jahre 1920–33 sei, und so gesehen der Titel der Ausgabe in die Irre führe. Auf der anderen Seite: Die Grenze zwischen politischen und unpolitischen Arbeiten ist bei einem Autor wie Jünger schwer zu ziehen. Und: die nun vorliegende Ausgabe hat einen eminenten Vorzug. Jüngers mitunter äußerst schwer zugängliche Arbeiten aus der Zeit der Weimarer Republik liegen nun – soweit sie bekannt sind – zum erstenmal vollständig vor. 9

Eingeleitet wird der Band von einigen kleineren Arbeiten, die ebenfalls nicht im strengen Sinn politisch zu nennen sind. Zwischen 1920 – dem Jahr, in dem In Stahlgewittern erschien – und 1923 schrieb Jünger einige kürzere Aufsätze, die Fragen der modernen Kriegsführung behandeln, im Militär-Wochenblatt. Zeitschrift für die deutsche Wehrmacht.

Am 31. August 1923 – in der Hochphase der Inflation – schied Jünger aus der Reichswehr aus. Im Wintersemester immatrikulierte er sich in Leipzig als stud. rer. nat. Jünger war damals 28 Jahre alt. In einer Lebensphase, in der wesentliche Prägungen bereits abgeschlossen sind, begann er zu studieren. Jünger hörte Zoologie bei dem Philosophen und Biologen Hans Driesch, dem führenden Sprecher des Neovitalismus, und Philosophie bei Felix Krüger und dessen Assistenten Hugo Fischer. Auch dürfte er Hans Freyer, der seit 1925 in Leipzig Professor war, an der Universität kennengelernt haben.

Seine erste politische Arbeit schrieb Jünger kurz nach seinem Ausscheiden aus der Reichswehr für den Völkischen Beobachter – einer von zwei Beiträgen in dieser Zeitung, der zweite erschien 1927. Im September 1923, knapp zwei Monate vor Hitlers Münchner Putschversuch, erscheint der Aufsatz mit dem Titel Revolution und Idee. Schon hier finden sich Motive, die sich durch Jüngers politisches Argumentieren der folgenden Jahre ziehen werden: die Bedeutung der Idee und die Unaufhaltsamkeit einer künftigen Revolution. Die gescheiterte Revolution von 1918, schrieb Jünger, "kein Schauspiel der Wiedergeburt, sondern das eines Schwarmes von Schmeißfliegen, der sich auf einen Leichnam stürzte, um von ihm zu zehren", war nicht in der Lage eine Idee zu verwirklichen. Sie mußte daher notwendig scheitern: "Für diese Tatsachen, die späteren Geschlechtern unglaublich vorkommen werden, gibt es nur eine Erklärung: der alte Staat hatte jenen rücksichtslosen Willen zum Leben verloren, der in solchen Zeiten unbedingt notwendig ist" (35). Es gilt daher einzusehen, daß die versäumte Revolution nachgeholt werden muß:

Die echte Revolution hat noch gar nicht stattgefunden, sie marschiert unaufhaltsam heran. Sie ist keine Reaktion, sondern eine wirkliche Revolution mit all ihren Kennzeichen und Äußerungen, ihre Idee ist die völkische, zu bisher nicht gekannter Schärfe geschliffen, ihr Banner ist das Hakenkreuz, ihre Ausdrucksform die Konzentration des Willens in einem einzigen Punkt – die Diktatur! Sie wird ersetzen das Wort durch die Tat, die Tinte durch das Blut, die Phrase durch das Opfer, die Feder durch das Schwert. (36)

EJstgw.jpg1922 erscheint Der Kampf als inneres Erlebnis und die zweite Auflage von In Stahlgewittern, 1923 im Hannoverschen Kurier in 16 Folgen die Erzählung Sturm, 1924 und 1925 Das Wäldchen 125. Eine Chronik aus den Grabenkämpfen und Feuer und Blut. Ein kleiner Ausschnitt aus einer großen Schlacht. Die erste Phase seines Werkes, in dem Jünger seine Fronterlebnisse verarbeitete, ist damit abgeschlossen. Das Jahr 1925 bedeutet für Jünger in vielerlei Hinsicht eine Zäsur. Zehn Jahre lang – bis zu den Afrikanischen Spielen von 1936 – wird Jünger keine Erzählungen und Romane veröffentlichen.

In den zehn für das Schicksal Deutschlands entscheidenden Jahren von 1925–1935 schreibt Jünger Weltanschauungsprosa als politischer Publizist in einer Vielzahl meist rechtsstehender Organe, als Herausgeber verschiedener Sammelbände und als Essayist in den Büchern Das Abenteuerliche Herz (1929) und Der Arbeiter (1932). Aber das Jahr 1925 ist noch in anderer Hinsicht eine Zäsur: Jünger bricht das Studium ab und tritt in den bürgerlichen Stand der Ehe.

Dem im September 1923 im Völkischen Beobachter veröffentlichten Artikel folgt fast zwei Jahre lang keine im strengen Sinne politische Stellungnahme. Die regelmäßige politische Publizistik Jüngers beginnt am 31. August 1925 mit einem Aufsatz in der Zeitschrift Gewissen, dem Organ der sich um Arthur Moeller van den Bruck scharenden jungkonservativen >Ring-Bewegung<. Moderater im Ton als im Völkischen Beobachter finden sich die gleichen Forderungen wie zwei Jahre zuvor: Einsicht in die Bedeutung einer Idee und Notwendigkeit einer Revolution. Bemerkenswert ist der Publikationsort. Zwar lassen sich zwischen Jünger und dem Kreis um Moeller auch Gemeinsamkeiten nachweisen, aber in wesentlichen Punkten bestehen Differenzen – von ihnen wird später noch die Rede sein.

Jünger veröffentlichte seine politischen Traktate in einer Vielzahl auch Kennern der Zeitschriftenlandschaft der Weimarer Republik eher unbekannten Organen. 10 Man kann hier unterscheiden zwischen Zeitschriften, in denen Jünger als Gast schrieb – in der Regel gab es dann nur ein oder zwei Beiträge –, und solchen, in denen er regelmäßig zur Feder griff. Bei den meisten Zeitschriften, in denen Jünger regelmäßig schrieb, trat er auch als Mitherausgeber auf.

Jünger als Aktivist des Neuen Nationalismus in der Stahlhelm–Beilage Die Standarte (1925 / 26)

Die erste Zeitschrift, für die Jünger regelmäßig arbeitete, war das von ihm mitherausgegebene Blatt Die Standarte. Beiträge zur geistigen Vertiefung des Frontgedankens . Es erschien zum erstenmal im September als Sonderbeilage des Stahlhelm. Wochenschrift des Bundes der Frontsoldaten.

Mit dem Erscheinen dieser Beilage begann eine zunehmende Politisierung des Stahlhelm. Der im Dezember 1918 gegründete republikfeindlich eingestellte Bund der Frontsoldaten war schon aufgrund seiner hohen Mitgliederzahlen eine geeignete Zielgruppe für politische Agitation. 11 Bis zum Dezember schrieb Jünger für jede Nummer der wöchentlich erscheinenden Beilage. Diese insgesamt 17 Beiträge stehen in engem Zusammenhang, der letzte Beitrag erscheint als Schluß.

Von allen politischen Zeitschriftenarbeiten Jüngers dürften diejenigen in der Stahlhelm–Beilage Die Standarte die größte Wirkung gehabt haben. Die Wochenschrift des Stahlhelm hatte eine Auflage von 170 000 – eine Zahl, an die sämtliche anderen Zeitschriften, in denen Jünger veröffentlichte, nicht annähernd herankamen. Weil Jünger mit diesen Beiträgen vermutlich die größte Wirkung entfaltete, aber auch, weil sie für eine bestimmte Etappe in seinem politischem Schaffen stehen, sollen sie etwas ausführlicher behandelt werden.

Das Programm, das Jünger in der Stahlhelm–Beilage Die Standarte entwickelt, ist getragen von leidenschaftlicher Parteinahme für eine nationalistische Revolution. Auf einen Punkt von Jüngers Physiognomie der Gegenwart sind alle weiteren Überlegungen bezogen. Jünger lebt im Glauben, daß der große Krieg noch gar kein Ende gefunden habe, noch nicht endgültig verloren sei. Politik ist ihm daher eine Form des Krieges mit anderen Mitteln (S. 63f.). Die Generation der vom Krieg geprägten Frontsoldaten soll diesen Krieg fortsetzen. Jünger will nicht zurückschauen, sondern die Zukunft gestalten. Die Gruppe der Frontsoldaten, der sich Jünger zurechnet, muß daher versuchen, die Jugend zu gewinnen (S. 77).

Jüngers Programm nennt sich>Nationalismus<: "Ja wir sind nationalistisch, wir können gar nicht nationalistisch genug sein, und wir werden uns rastlos bemühen, die schärfsten Methoden zu finden, um diesem Nationalismus Gewalt und Nachdruck zu verleihen" (S. 163). Das nationalistische Programm soll auf vier Grundpfeilern basieren: Der kommende Staat muß national, sozial, wehrhaft und autoritativ gegliedert sein (S. 173, S. 179, S. 197, S. 218). Die "Staatsform ist uns nebensächlich, wenn nur ihre Verfassung eine scharf nationale ist" (S. 151). "Der Tag, an dem der parlamentarische Staat unter unserem Zugriff zusammenstürzt, und an dem wir die nationale Diktatur ausrufen, wird unser höchster Festtag sein" (S. 152). Mit dem Schlagwort Nationalismus ist wenig gesagt. Was ist es, das den Nationalismus des Frontsoldaten auszeichnet?

Durch den Krieg, so Jünger, wurde der von der wilhelminischen Epoche geprägte Frontsoldat in ganz andere Bahnen gerissen: "Er betrat eine neue, unbekannte Welt, und dieses Erlebnis rief in vielen jene völlige Veränderung des Wesens hervor, die sich am besten mit der religiösen Erscheinung der >Gnade< vergleichen läßt, durch welche der Mensch plötzlich und von Grund auf verwandelt wird" (S. 79).

Arminius.jpgMit dem Ende des Kaiserreichs verbindet Jünger die Überwindung einer materialistischen Naturanschauung, der individualistischen Idee allgemeiner Menschenrechte und des bloßen Strebens nach materiellem Wohlstand. Dagegen behauptet er die Bedeutung der >Nachtseite< des Lebens. 12 Gegen das rationalistische, mechanistische, materialistische Denken des Verstandes setzt er das Gefühl und den organischen Zusammenhang mit dem Ganzen: "Für uns ist das Wichtigste nicht eine Revolution der staatlichen Form, sondern eine seelische Revolution, die aus dem Chaos neue, erdwüchsige Formen schafft." (S. 114).

Die Weltanschauung, die Jünger seiner Generation der Frontsoldaten empfiehlt, hat ihre Wurzeln in der Romantik und der Lebensphilosophie Nietzsches. Jünger betont die Bedeutung des Gefühls der Gemeinschaft, der Verbindung mit dem Ganzen, denn das Gefühl stehe am Anfang jeder großen Tat. Wachstum ist für Jünger das natürliche Recht alles Lebendigen (S. 82), das keines Beweises zu seiner Rechtfertigung bedarf (S. 186):

Alles Leben unterscheidet sich und ist schon deshalb kriegerisch gegeneinander gestellt. Im Verhältnis des Menschen zu Pflanzen und Tieren tritt das ohne weiteres hervor, jeder Mittagstisch liefert den unwiderleglichen Beweis. Das Leben äußert sich jedoch nicht nur im Kampfe der Arten untereinander, sondern auch im Kampfe innerhalb der Arten selbst. (S. 133) 13

Jünger hat den soziologischen Blick, der dem Konservatismus seit der Romantik eigen ist. Deutlich zeigt sich seine Aufnahme romantischen Geschichtsdenkens in der Betonung des Besonderen gegen das Allgemeine, seiner Betonung der Abhängigkeit "von unserer Zeit und unserem Raum" (S. 158). Er fordert, mit "dem unheilvollen Streben nach Objektivität, die nur zur relativistischen Aufhebung der Kräfte führt, aufzuräumen" und sich zu bewußter Einseitigkeit zu bekennen, "die auf Wertung und nicht auf >Verständnis< beruht" (S. 79f.).

Ein wichtiges Moment in Jüngers Geschichtsdenken ist das Verhältnis von soziologischer Diagnose und zukünftiger Aufgabe. Wenn Jünger bestimmte historische Entwicklungen untersucht, bemüht er häufig die Kategorie der Notwendigkeit. Ereignisse treten mit Notwendigkeit ein. In der gescheiterten Revolution "lag auch eine Notwendigkeit" (S. 110). Über die Entwicklung der Technik urteilt er: "Zwangsläufige Bewegungen lassen sich nicht aufhalten" (S. 160).

Hinter der Überzeugung, daß bestimmte Ereignisse mit Notwendigkeit eintreten, steht die Vorstellung einer überpersönlichen Idee, die sich in der Geschichte zu verwirklichen sucht: Im Krieg gibt es Augenblicke, in denen "die kriegerische Idee sich rein, vornehm und mit einer prächtigen Romantik offenbart. Dort werden Heldentaten verrichtet, in denen kaum noch der Mensch, sondern die kristall-klare Idee selbst am Werke scheint" (S. 109).

Über den geschichtsphilosophischen Schwung der Jahre, in denen diese Aufsätze entstanden sind, schrieb Jünger am 20. April 1943 rückblickend in seinem zweiten Pariser Tagebuch:

Es ist die Geschichte dieser Jahre mit ihren Denkern, ihren Tätern, Märtyrern und Statisten noch nicht geschrieben; wir lebten damals im Eie des Leviathans. [...] Die Mitspieler sind ermordet, emigriert, enttäuscht oder bekleiden hohe Posten in der Armee, der Abwehr, der Partei. Doch immer werden diejenigen, die noch auf Erden weilen, gern von jenen Zeiten sprechen; man lebte damals stark von der Idee. So stelle ich mir Robespierre in den Arras vor. 14

Für den Jünger der zwanziger Jahre gilt: Der Mensch ist nichts ohne eine Idee. Scheitert die Verwirklichung einer Idee, wie in der Novemberrevolution, so scheitert sie notwendig, weil sie noch nicht stark genug war. Die Zeit war dann noch nicht reif genug. Aufgabe des einzelnen ist es, sich in den Dienst der Idee zu stellen: Die großen geschichtlichen Leistungen besitzen die Eigenschaft, daß der "Mensch nur als Werkzeug einer höheren Vernunft" (S. 93) tätig ist. 15

Auch hier zeigt sich: Jüngers Geschichtsdenken kommt aus dem 19. Jahrhundert und zeigt den für die Ideenlehre der historischen Schule typischen Hang zur geschichtsphilosophischen Spekulation. Karl Löwith, der Jünger in der Folge Nietzsches sah, hat darauf hingewiesen, daß "Jünger selbst noch der bürgerlichen Epoche entstammt" und daher in der problematischen Lage sei, daß das Alte nicht mehr und das Neue noch nicht gilt. 16 Dies gilt weniger für die Inhalte, umsomehr aber für die Formen von Jüngers Denken.

Durch den Einfluß von Nietzsches vitalistischer Teleologie werden Jüngers geschichtsphilosophische Spekulationen auch biologisch fundiert: "Aber je mehr man beobachtet, desto mehr kommt man dazu, an die große geheimnisvolle Steuerung durch eine große biologische Vernunft zu glauben" (S. 171). 17 Und auch sein Begriff der Zeit zeigt Jünger, dem die Arbeiten Bergsons vertraut waren, in der Tradition des organologisch-lebensphilosophischen Denkens des 19. Jahrhunderts: Zeit ist ihm nichts Zufälliges, "sondern ein geheimnisvoller und bedeutungsvoller Strom, der jedes durchfließt und sein Inneres richtet, wie ein elektrischer Strom die Atome eines metallischen Körpers richtet und regiert" (S. 182).

>Konservative Revolution<

Die Hinweise auf die Wurzeln von Jüngers Denken erfolgen nicht in der Absicht, Jüngers Originalität zu schmälern oder der bekannten Linie das Wort zu reden, nach der die Lebensphilosophie in den Faschismus mündet. Vielmehr geht es darum, Jüngers Geschichtsdenken in Beziehung zu setzen zur sogenannten >Konservativen Revolution<. Es soll untersucht werden, ob Jüngers Denken als konservative Revolution im Sinne der als >Konservative Revolution< etikettierten Geistesrichtung der Weimarer Republik begriffen werden kann.

Jüngers revolutionäre Einstellung ist offenkundig. Weniger deutlich ist, inwiefern sein Denken >konservativ<genannt werden kann. Das wichtigste >konservative< Moment in Jüngers Denken liegt in der Bedeutung der Gemeinschaft.

Das Gefühl der >Gemeinschaft in einem großen Schicksal<, das am Beginn des Krieges stand, das Bewußtsein der Idee der Nation und die gemeinsame >Unterwerfung unter eine Idee< sind für Jünger Zeichen einer grundsätzlichen Kurskorrektur: "Wir erblicken darin die erste Anknüpfung einer verloren gegangenen Verbindung, die Offenbarung einer höheren Sicherheit, die sich im Persönlichen als Instinkt äußert" (S. 86).

Jünger bejaht die Revolution, aber er schränkt ihre Bedeutung zugleich ein, indem er sie als Methode und nicht als Ziel begreift. Sie kann nur Methode sein, denn der "Frontsoldat besitzt Tradition und weiß, daß alle Größe und Macht organisch gewachsen sein muß, und nicht aus der reinen Verneinung, aus dem leeren Dunst herausgegriffen werden kann. Wie er den Krieg nicht verleugnet, sondern aus ihm als einer stolzen Erinnerung heraus die Kraft zu neuen Aufgaben zu schöpfen sucht, so fühlt er sich auch nicht berufen, das zu verachten, was die Väter geleistet haben, sondern er sieht darin die beste und sicherste Grundlage für das neue größere Reich." (S. 124f.; vgl. S. 128f.)

Die Denkfigur einer >Konservativen Revolution< zielt auf den Versuch, einen organischen Zusammenhang wiederherzustellen. Das Eintreten für eine >Konservative Revolution< lebt also wesentlich von der Entscheidung, an welche gewachsenen Traditionen wieder angeschlossen werden soll. Jüngers Forderung nach einer Revolution, die an die Tradition anschließt, bestimmt sich aber im wesentlichen ex negativo. Die Verbindung, die Jünger zwischen seiner historistischen Lebensphilosophie und seinem Nationalismus herstellen will, bleibt so rein äußerlicher Natur. Es fehlt ihr der Nachweis eines inneren Zusammenhanges.

Ein Argument für diesen Zusammenhang bleibt nur der Versuch, das Individuum auf der Ebene des Gefühls an die organisch gewachsene Nation zu binden. Die Bildung der Nation müßte aber nicht zwingend auf Jüngers Fassung eines autoritativen Nationalismus hinauslaufen. Lediglich die Opposition zu bestimmten Weltanschauungen ist durch den Willen, das Individuum organisch einzubinden, notwendig. Für die Krise des entwurzelten Individuums ist diesem Willen gemäß der Liberalismus und mit ihm die Idee der parlamentarischen Demokratie verantwortlich.

Die großen Gefahren sieht Jünger daher "nicht im marxistischen Bollwerk" (S. 148, S. 151), sondern in allem, was mit dem Liberalismus zusammenhängt: Die "Frage des Eigentums gehört nicht zu den wesentlichen, die uns vom Kommunismus trennen. Sicher steht uns der Kommunismus als Kampfbewegung näher als die Demokratie, und sicher wird irgendein Ausgleich, sei er friedlicher oder bewaffneter Natur erfolgen müssen"(S. 117).

Nach der Trennung vom Stahlhelm

Schon die 19 Aufsätze in der Beilage Die Standarte zwischen September 1925 und März 1926 würden ausreichen, um das Urteil zu korrigieren, Jünger sei im Grunde ein unpolitischer Einzelgänger gewesen. Unabhängig von den politischen Bekenntnissen, die Jünger abgibt, wird dies schon durch seine leidenschaftliche Parteinahme deutlich. Aber auch später spricht Jünger von dem kleinen Kreis, dem er angehöre (S. 197), und greift immer wieder auf die Wir-Form zurück: "Wir Nationalisten" (S. 207). Ein Aufsatz beginnt mit der Anrede: "Nationalisten! Frontsoldaten und Arbeiter!" (S. 250) Und in einem anderen heißt es: "ich spreche im Namen von hunderttausend Frontsoldaten" (S. 267).

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Um so erstaunlicher ist es, daß der Herausgeber Sven Berggötz in seinem Nachwort schreibt, Jünger hätte zwar durchaus einen beachtlichen Leserkreis erreicht, aber dieser hätte "sich weitgehend auf Leser mit einem ähnlichen Erfahrungshintergrund beschränkt". So habe er zwar auf die Meinungsbildung eingewirkt, aber "mit Sicherheit nicht in signifikanter Weise Einfluß auf die öffentliche Meinung genommen" (S. 867).

Weshalb 170 000 den Stahlhelm lesende ehemalige Frontsoldaten nicht zur öffentlichen Meinung zählen, bleibt Berggötz' Geheimnis – oder wollte Berggötz bloß sagen, die Stahlhelmer dachten ohnehin schon, was Jünger formulierte? Von welchem Autor ließe sich dann nicht behaupten, er artikuliere nur, was andere denken? Noch unverständlicher ist aber sein abschließendes Urteil: "Letztlich war Jünger schon damals ein im Grunde unpolitischer Mensch, der im wesentlichen utopische Vorstellungen vertrat." (S. 868) Als ob Utopie und Politik einen Gegensatz darstellten. 18

Der Stahlhelm–Beilage Die Standarte war keine lange Lebenszeit beschieden. Schon nach sieben Monaten erschien Die Standarte im März 1926 nach Unstimmigkeiten mit der Bundesleitung des Stahlhelm zum letzten Mal. Nachfolgeorgan war die fast gleichnamige Standarte. Wochenschrift des neuen Nationalismus, die nun selbständig erschien – herausgegeben von Ernst Jünger, Helmuth Franke, Franz Schauwecker und Wilhelm Kleinau. Ihre Auflage von vermutlich wenigen Tausend Exemplaren reichte nicht annähernd an Die Standarte heran.

Das Selbstverständnis der Herausgeber wird in einem programmatischen Beitrag Helmut Frankes für die erste Nummer der neuen Standarte deutlich: "Wir Standarten-Leute kommen aus allen Lagern: Vom konservativen bis zum jungsozialistischen. Die faschistische Schicht hat kein Programm. Sie wächst und handelt. " 19

Auch die Standarte erschien nicht lange. Im August 1926 wurde die Zeitschrift vorübergehend verboten, weil in dem Artikel Nationalistische Märtyrer die Morde an Walther Rathenau und Matthias Erzberger legitimiert worden waren. Im November 1926 gründete Jünger mit Helmut Franke und Wilhelm Weiss die nächste Zeitschrift: Arminius. Kampfschrift für deutsche Nationalisten (teilweise mit dem Nebentitel: Neue Standarte), die bis September 1927 existierte. Im Oktober 1927 gründete Jünger mit Werner Lass die Zeitschrift Vormarsch. Blätter der nationalistischen Jugend, die bis 1929 erschien. Die nächste Zeitschrift war ebenfalls ein Gemeinschaftsprojekt von Jünger und Werner Lass. Von Januar 1930 bis Juli 1931 gaben sie die Zeitschrift Die Kommenden. Überbündische Wochenschrift der deutschen Jugend heraus.

Zwischen 1926 und 1930 war Jünger also nahezu ununterbrochen in die Herausgabe von Zeitschriften involviert. Neben einer Vielzahl von Beiträgen, die er für seine Zeitschriften schrieb, veröffentlichte Jünger auch in einigen anderen Organen, z. B. in Wilhelm Stapels Deutschem Volkstum.

Einzelne Beiträge erschienen auch in Zeitschriften der demokratischen Linken, in Willy Haas' Literarischer Welt und in Leopold Schwarzschilds Das Tagebuch. Hier stellte Jünger seinen Nationalismus vor. Eine größere Zahl von Beiträgen plazierte Jünger in Ernst Niekischs Widerstand. Zeitschrift für nationalrevolutionäre Politik. Nach 1931 schrieb er fast nur noch in diesem Blatt. Die Hauptphase seiner politischen Arbeiten endet 1930.

Jünger und die Jungkonservativen

Nachdem die Stahlhelmleitung im Oktober 1926 die Parole >Hinein in den Staat< ausgegeben hatte, ging Jünger scharf auf Distanz. Im November 1926 äußerte er seine Befremdung ob der Ereignisse im Stahlhelm und reagierte: Der Wille müsse frei gemacht werden von "organisatorischen Verbindungen, die sich als Fessel" erwiesen haben (S. 258): "Reine Bewegung, aber nicht Bindung fordern wir" (S. 259, vgl. S. 256). Im Februar 1927 wiederholte er im Arminius seinen Angriff: Der Stahlhelm ist "bürgerlicher und damit liberalistischer Natur" (S. 305).

Hinter dem Bekenntnis zum Staat, das die Stahlhelmleitung verkündet hatte, vermutete Jünger bestimmte Interessengruppen: Man "bemühe sich mit Hilfe zur Verstärkung herbeigerufener Routiniers, die sich durch jahrelange Tätigkeit an jenen esoterischen Debattierklubs in Berlin W. ein Höchstmaß an politischer Balancierkunst erworben haben, die Hineinparole so zu verklausulieren, daß sie ebensogut sie selbst wie ihr Gegenteil sein kann" (S. 305).

Nachdem Jünger und seine Mitstreiter aus dem Stahlhelm zurückgedrängt worden waren, gewannen Mitglieder des Juniklubs zunehmend Einfluß. 20 Neben Heinz Brauweiler, dem Theoretiker des Ständestaats, tat sich vor allem der >Antibolschewist< Eduard Stadtler hervor. 21 Stadtler war vor dem Krieg Sekretär der Jugendbewegung der Zentrumspartei. Nach dem Krieg wurde er durch die Gründung der Antibolschewistischen Liga bekannt. Stadtler gehörte zu den ersten, die eine Verbindung von Konservatismus und Revolution als Programm expressis verbis formulierten. 22 Anfang der zwanziger Jahre war er eine der führenden Figuren des Juniklubs.

Versteht man unter >Konservativer Revolution< eine politische Richtung, den Zusammenhang verschiedener Personen und Gruppen, die ein gemeinsames politisches Ziel haben, so ist zu klären, in welchem Verhältnis diese Personen zueinander standen, wo und wie sie sich organisierten.

Im August 1926 hatte Jünger geschrieben: "Dieser Nationalismus ist ein großstädtisches Gefühl" (S. 234). Im Juni 1927 zog er mit seiner jungen Familie von Leipzig nach Berlin um. Zunächst wohnte er in der Nollendorfstraße in Schöneberg, also in unmittelbarer Nähe der Motzstraße, wo die Jungkonservativen im Schutzbundhaus in der Nr. 22 ihre Zusammenkünfte abhielten. Jünger blieb nicht lange in West-Berlin. Bereits nach einem Jahr siedelte er um in den Ostteil der Stadt, in die Stralauer Allee, wo vornehmlich Arbeiter wohnten. 23 1931 zog Jünger in die Dortmunder Straße, nähe Bellevue, 1932 in das ruhige, bürgerliche Steglitz.

Natürlich kann man aus dem Wechsel der Wohnorte nicht einfach auf die Entwicklung eines Denkens schließen. Aber es wird kein bloßer Zufall gewesen sein, daß Jünger zunächst in so unmittelbarer Nähe der Motzstraße wohnte, daß er den Arbeiter schrieb und in einem Arbeiterviertel wohnte, daß sein allmählicher Rückzug aus der politischen Agitation mit dem Umzug nach Steglitz zusammenfiel.

Über die Kontakte Jüngers zu den Jungkonservativen ist wenig bekannt. Hans-Joachim Schwierskott hat seiner Biographie Moellers eine Mitgliederliste der Jungkonservativen beigegeben, in der sich auch der Name Jüngers findet. 24 Aber das Verhältnis zwischen Jünger und den Jungkonservativen war gespannt. In seinen politischen Arbeiten erwähnt Jünger Moeller gelegentlich, aber neben einer Anspielung auf Edgar Julius Jungs Buch Die Herrschaft der Minderwertigen (S. 432) gibt es kaum explizite Hinweise auf eine Auseinandersetzung mit den Jungkonservativen.

Der erwähnte Angriff auf die "esoterischen Debattierclubs in Berlin-West" deutet darauf hin, daß Jünger in für ihn wesentlichen Punkten Differenzen zwischen sich und Jungkonservativen wie Eduard Stadtler, Max Hildebert Boehm oder Edgar Julius Jung sah. Vermutlich waren sie ihm zu bürgerlich, zu liberal, zu christlich, zu sehr im Staat. Den Gedanken einer hierarchisch geprägten Stände-Gesellschaft lehnte Jünger vehement ab: "Aufgrund des Blutes und des Charakters wollen wir uns in Gemeinschaften und immer größere Gemeinschaften binden, ohne Rücksicht auf Wissen, Stand und Besitz, und uns klar trennen und scheiden von allem, was nicht in diese Gemeinschaften gehört" (S. 212).

Aus den Reihen der sich um den 1925 verstorbenen Moeller van den Bruck gruppierenden Jungkonservativen sollte Jünger später heftig attackiert werden. Seine konsequenten Angriffe auf alles Bürgerliche – ein Grundmotiv der politischen Publizistik, das er im Arbeiter besonders radikal vertrat – brachte Jünger eine heftige Replik seitens Max Hildebert Boehms ein. 25 Aber Jünger hat von Seiten der Jungkonservativen auch Zuspruch gefunden. Der Philosoph Albert Dietrich, ein Schüler Ernst Troeltschs und Mitglied des Juniklubs seit der ersten Stunde, überwarf sich mit Boehm über dessen Angriff auf Jünger. 26 Auch hatte Jünger gute Kontakte zu einem anderen Flügel der Jungkonservativen Bewegung‚ zum sogenannten >Tatkreis< um Hans Zehrer, Giselher Wirsing und Ferdinand Fried. 27

Deutungsmöglichkeiten

Ob die Zuordnung Jüngers zur >Konservativen Revolution< gerechtfertigt ist, kann nicht pauschal entschieden werden. Zumindest drei Unterscheidungen bieten sich an.

 

EJw125.jpgEs sind erstens die personellen Verbindungen zu betrachten. Sie können Zeichen sein für ein gemeinsames Arbeiten an gemeinsamen Zielen, auch wenn in letzter Instanz die Ziele nicht die gleichen sind. Zweitens sind die konkreten politischen Positionen zu untersuchen und zu vergleichen. Und drittens ist nach Gemeinsamkeiten der Denkstile, der Denkfiguren, der Mentalität zu suchen.

Über die erste Möglichkeit einer Zuordnung sind bereits einige Anmerkungen gemacht worden. Ihre Bearbeitung erfordert die umfangreiche Sichtung der Nachlässe, um anhand von Briefzeugnissen und anderen persönlichen Dokumenten bekannte und unbekannte Verbindungen zu rekonstruieren.

Die zweite Möglichkeit ist durch die Arbeiten Stefan Breuers sehr erhellt worden. Breuer hat in einem Vergleich der konkreten politischen Positionen einer großen Gruppe von Autoren und Strömungen, die Armin Mohler und einige andere als >Konservative Revolution< bezeichnet haben, eindrucksvoll gezeigt, daß sich insgesamt betrachtet eine im einzelnen auch noch unterschiedlich weit gehende Liberalismuskritik als einziger gemeinsamer Nenner ausmachen läßt.

Dies ist nach Breuer zu wenig, um von einem einheitlichen Gebilde zu sprechen, da eine vehemente Kritik des Liberalismus auch von anderer Seite geübt wurde. Die Rede von der >Konservativen Revolution<, so Breuer, sei daher aufzugeben, da es sich um einen im wesentlichen auf Mohler zurückgehenden Mythos der Forschung handle. 28

Die Suche nach einheitsstiftenden Momenten der >Konservativen Revolution< kann auch jenseits konkreter politischer Programme auf der Ebene der Denkstile und der Mentalität ansetzen. Für Mohler ist diese dritte Möglichkeit die entscheidende. Nach Mohler ist das entscheidende Leitbild die "ewige Wiederkehr des Gleichen" Er versteht dieses Bild als den Versuch, die christliche Auffassung der Geschichte zu sprengen. Das Bild "der ewigen Wiederkehr des Gleichen" biete ein Gegenstück zum linearen Modell der Zeit, an welches die Idee des Fortschritts gekoppelt sei.

Zwar meint Mohler, daß es nicht für alle, die er der >Konservativen Revolution< zurechnet, "in gleichem Maße verpflichtend" sei, aber ihre wesentliche Denkfigur sieht er in den Gedanken Nietzsches vorgebildet. Er folgt Nietzsche in dem Dreischritt: Diagnose des Wertezerfalls, Affirmation dieses Prozesses (Nihilismus) bis zur Vollendung der Zerstörung der alten (christlichen) Werte, damit die Zerstörung in Schöpfung umschlagen kann. 29

Auch Breuer findet auf der Ebene der Mentalität eine Gemeinsamkeit der >Konservativen Revolution<. Während er in den konkreten politischen Positionen keine hinreichende Übereinstimmung findet, die es nahelegen würde, von der >Konservativen Revolution< zu sprechen, sieht er bei allen Autoren eine "Kombination von Apokalyptik, Gewaltbereitschaft und Männerbündlertum" 30 . Diese Bestimmung ist jedoch, wie Breuer selbst bemerkt, zu weit und unbestimmt, und daher ebenso unbefriedigend wie die Bestimmung über die gemeinsame Kritik am Liberalismus.

Mohlers Bestimmung hingegen ist zu eng. Die Unterstellung, der >Konservativen Revolution< sei eine antichristliche Stoßrichtung genuin inhärent, ist denn auch unmittelbar nach Erscheinen der ersten Auflage seines Buches stark kritisiert worden. 31

In der Linie dieser Kritik kann man gegen Mohler einwenden, einseitig einen eher unorganischen Begriff des Konservatismus in den Mittelpunkt gestellt zu haben. Wenn Mohler, die Formulierung Albrecht Erich Günthers aufgreifend, das Konservative versteht "nicht als ein Hängen an dem, was gestern war, sondern an dem was immer gilt", so betont er nur ein Moment des Konservatismus. 32 Denn der deutsche Konservatismus ist seit seinen Ursprüngen in der Romantik weitgehend organologisch und historistisch, d. h. mehr dem Gedanken organischer Entwicklung und einer sich entwickelnden und unterschiedlich ausgestaltenden Wahrheit als dem überzeitlicher Geltung verpflichtet.

In Mohlers Bestimmung des Konservativen ist die Tradition des romantischen Konservatismus – also gerade die Tradition, der die meisten Jungkonservativen verpflichtet sind – zu sehr in den Hintergrund gerückt. 33 So ergibt sich ein schiefes Bild: Diejenige Gruppe, die die Parole >Konservative Revolution< populär gemacht hat, ist in Mohlers Fassung der >Konservativen Revolution< eine Randgruppe, der eine "nur sehr bedingte revolutionäre Haltung" attestiert wird. 34

Nur folgerichtig ist daher Mohlers Vermutung, daß bei der Verbindung von jungkonservativem Christentum und seinem Leitbild der >Konservativen Revolution< eines von beidem Schaden leide.

Zu den Merkmalen organologischen Denkens im deutschen Konservatismus sind im wesentlichen zwei Momente zu zählen: Zum einen die Annahme einer Eingebundenheit des Einzelnen in die Gemeinschaft, zum anderen ein Bild der Geschichte, nach dem eines aus dem anderen wachsen soll. Konservativ sein, bedeutet seit Edmund Burkes Kritik der Französischen Revolution eine kritische Haltung gegenüber jeder radikalen gesellschaftlichen Veränderung. Nicht Veränderung überhaupt, sondern jede Veränderung, die sich nicht in einer Gemeinschaft organisch entwickelt, wird vom konservativen Standpunkt abgelehnt.

Indem der Konservatismus seine Wurzeln in der Kritik der französischen Revolution hat, ist ihm von Beginn an die aporetische Struktur einer >Konservativen Revolution< eigen. 35 Ist der organische Zusammenhang einmal aufgebrochen, muß sich der Konservative eines Mittels bedienen, das er eigentlich ablehnt. Er muß durch einen radikalen Schritt wieder versuchen, gemeinschaftliche Bindung zu gewinnen. Kein Konservatismus kann seine Werte erst neu schaffen.

Aber je tiefer die in der Vergangenheit liegenden Werte verschüttet sind, desto schwieriger wird der Versuch, wieder einen Anschluß zu gewinnen. Nach dem ersten Weltkrieg ist der Konservatismus in Deutschland in einer Verfassung, in der über den Gehalt der Werte der Gemeinschaft – wie die Untersuchungen Breuers zeigen – keine Einigkeit mehr besteht.

Der Schluß, den Breuer aus diesem Ergebnis zieht, daß man besser nicht mehr von der >Konservativen Revolution< sprechen sollte, könnte dennoch verfrüht sein. Denn es könnte ja entweder sein, daß die Formel >Konservative Revolution< eine gemeinsame Denkfigur verschiedener Gruppen benennt, oder aber, daß zwar sinnvoll von der >Konservativen Revolution< gesprochen werden kann, die Gruppe derer, die ihr angehören, jedoch enger gezogen werden muß, als in den Arbeiten Mohlers und seiner Nachfolger.

Konservativ ?

In eigener Sache hat Jünger das Bild einer >Konservativen Revolution< nicht verwendet. Schon der Begriff >konservativ< für sich genommen bezeichnet für Jünger in der Regel etwas ihm Fremdes (218). In Sgrafitti blickte er 1960 mit Distanz auf die Idee einer >Konservativen Revolution< zurück. 36

Er selbst zählte sich ganz offensichtlich nicht zur >Konservativen Revolution<. Alfred Andersch gegenüber bekannte er im Juni 1977: "Sie rechnen mich nicht den Konservativ-Nationalen, sondern den Nationalisten zu. Rückblickend stimme ich dem zu. " 37

Daß sich bei Jünger die Formulierung >Konservative Revolution< nicht in eigener Sache findet, muß nicht bedeuten, daß sich nicht wesentliche ihrer Momente bei ihm aufweisen lassen. Jünger glaubte ja, nur auf dem Weg einer Revolution könne eine Überwindung der mißlichen Gegenwart gelingen.

Die Frage bleibt nur, inwiefern die erstrebten Veränderungen als konservativ aufgefaßt werden können. In den Aufsätzen der Jahre 1925 und 1926 fanden sich einige für das Denken des Konservativen typische Momente: die Bedeutung der Gemeinschaft und die Bedeutung der Tradition.

Etwa ab dem Frühjahr 1926 – in einer Phase, die politisch zu den stabilsten der Weimarer Republik gehörte – wird Jünger in seinen Positionen jedoch immer radikaler. Von einer Bedeutung der Tradition ist nicht mehr die Rede.

Bei oberflächlicher Betrachtung ist eine Veränderung seines Denkens nicht zu erkennen, denn noch im September 1929 bestimmt er den Charakter des Nationalismus wie ehedem durch Angabe der genannten vier Punkte: Der Nationalismus strebe den national, sozial, wehrhaft und autoritativ gegliederten Staat aller Deutschen an (S. 504). Immer wieder kehren die Motive, daß das Sterben der Soldaten im großen Krieg einen Sinn gehabt habe (S. 239), daß alles Wesentliche nur erfühlt und nicht begriffen werden könne (S. 288).

Standarte.jpgBestimmend bleibt auch die Bedeutung der Idee: "Nach neuen Zielen verlangt unser Blut, es fordert Ideen, an denen es sich berauschen, Bewegungen, in denen es sich erschöpfen und Opfer, durch die es sich selbst verleugnen kann" (S. 196).

Etwa seit Mitte 1926 zeigen sich deutliche Akzentverschiebungen. Immer stärker hebt Jünger nun die Notwendigkeit reiner Bewegung, reiner Dynamik hervor: Die Stärke einer Aktion besteht darin, "daß sie zu hundert Prozent Bewegung bleibt" (S. 256, vgl. auch S. 267). 38 Jüngers eigene Einschätzung gibt eine interessante Beschreibung der kollektiven Psyche seiner Generation: "Wir sind Dreißigjährige, früh durch eine harte Schule gegangen, und was sich in uns nicht gefestigt hat, das wird nicht mehr zu festigen sein." (S. 206)

Der Bruch mit dem Stahlhelm war mehr als ein tagespolitisches Ereignis. Er markiert den Beginn eines neuen Angriffs. Jünger fordert weiter, aber forcierter als bisher, die Revolution und den Bruch mit der Demokratie. Mit dem Ehrentitel Nationalisten wollen sich er und die seinen – "Männer, die gefährlich sind, weil es ihnen eine Lust ist, gefährlich zu sein" – vom "friedlichen Bürger" abwenden, schreibt er im Mai 1926 (S. 213). Der Nationalist habe

die heilige Pflicht, Deutschland die erste wirkliche, das heißt von sich rücksichtslos bahnbrechenden Ideen getriebene Revolution zu schenken. Revolution, Revolution! Das ist es, was unaufhörlich gepredigt werden muß, gehässig, systematisch, unerbittlich, und sollte dieses Predigen zehn Jahre lang dauern. [...] Die nationalistische Revolution braucht keine Prediger von Ruhe und Ordnung, sie braucht Verkünder des Satzes: >Der Herr wird über Euch kommen mit der Härte des Schwerts!< Sie soll den Namen Revolution von jener Lächerlichkeit befreien, mit der er in Deutschland seit fast hundert Jahren behaftet ist. Im großen Kriege hat sich ein neuer gefährlicher Menschenschlag entwickelt, bringen wir diesen Schlag zur Aktion! (S. 215)

Seine grundsätzliche Ablehnung der Demokratie brachte Jünger in einem Punkt immer wieder in Distanz zum Nationalsozialismus. Vor den Wahlen schrieb er im August 1926: "es bedeutet einen verhängnisvollen Zwiespalt, eine Einrichtung als theoretisch unsittlich zu erklären und gleichzeitig praktisch an ihr teilzunehmen. [...] Was gefordert werden muß, ist ein allgemeines striktes Verbot, an einer Wahl teilzunehmen" (S. 243ff.).

Schon früher hatte Jünger deutlich gemacht, daß er keinen unüberwindbaren Gegensatz zwischen Sozialismus und Nationalismus entdecken könne. Im Dezember 1926 bekannte er sich offen zur bolschewistischen Wirtschaftspolitik: "Wir suchen die Wirtschaftsführer davon zu überzeugen, daß unser Weg auf geradester Linie zu jener staatlich geordneten Zentralisation führt, die uns allein konkurrenzfähig erhalten kann." (S. 269)

Historismus

Mit der Liberalismuskritik der Romantik, mit den >Ideen von 1914<, teilt Jünger weiter wesentliche Überzeugungen: Es gebe kein moralisches Gesetz an sich, jedes Gesetz werde durch den Charakter bestimmt. Denn Charaktere "sind nicht den Gesetzen des Fortschrittes, sondern denen der Entwicklung unterworfen. Wie in der Eichel schon der Eichbaum vorausbestimmt ist, so liegt im Charakter des Kindes schon der des Erwachsenen" (S. 210). Allgemeine Wahrheiten, eine allgemeine Moral läßt Jüngers Historismus nicht gelten:

Wir glauben vielmehr an ein schärfstes Bedingtsein von Wahrheit, Recht, Moral durch Zeit, Raum und Blut. Wir glauben an den Wert des Besonderen. [...] Aber ob man an das Allgemeine oder das Besondere glaubt, das ist nicht das Wesentliche, wie am Glauben überhaupt nicht die Inhalte das Wesentliche sind, sondern seine Glut und seine absolute Kraft. (S. 280)

Jünger nimmt hier – im Januar 1927 – ein zentrales Motiv des Abenteuerlichen Herzens vorweg: "Ein Recht ist nicht, sondern wird gesetzt, und zwar nicht vom Allgemeinen, sondern vom Besonderen" (S. 283). Im Abenteuerlichen Herz heißt es noch eindrücklicher: "Daher kommt es, daß diese Zeit eine Tugend vor allen anderen verlangt: die der Entschiedenheit. Es kommt darauf an, wollen und glauben zu können, ganz abgesehen von den Inhalten, die sich dieses Wollen und Glauben gibt." 39

Wenn die Einsicht in die historische Gewordenheit die Absolutheit jeder Weltanschauung in Frage stellt, kann dies dazu führen, daß keine wahrer und damit verbindlicher scheint als die andere. In so einer Zeit mag es durchaus sinnvoll sein, für die Bedeutung der Entscheidung, ja für die Notwendigkeit der Entscheidung einzutreten. Wenn aber das >wofür< der Entscheidung beliebig wird, man sich nicht für eine Position entscheidet, für die man zwar keine rationalen Gründe, aber immer noch Gründe anzuführen vermag, dann handelt es sich, wie Jünger ja auch selbst gesehen hat, um reinen Nihilismus. Ob man diesen Nihilismus als Stadium des Übergangs begreift oder nicht, mit einer konservativen Haltung ist diese Position nicht mehr in Einklang zu bringen.

Antihistorismus

Im September 1929 erschien in dem von Leopold Schwarzschild herausgegebenen linksliberalen Tagebuch ein Aufsatz Jüngers, in dem seine Stellung zum Konservatismus besonders deutlich wird. Jünger war von Schwarzschild aufgefordert worden, seine Position darzustellen. Unmittelbarer Anlaß waren die Attentate der Landvolkbewegung, die in der Presse heftig diskutiert wurden.

Jünger wurde vorgestellt als "unbestrittener geistiger Führer" des jungen Nationalismus, für den "sogar Hugenberg, Hitler und die Kommunisten reaktionäre Spießbürger" (S. 788) sind. Jünger stellte klar, daß sein Nationalismus mit dem "Konservativismus" nicht "das mindeste zu schaffen" habe (S. 504, vgl. S. 218). 40 Seine Kritik an der parlamentarischen Demokratie trifft jeden, der sich nicht außerhalb der Ordnung des bestehenden Systems stellt. Letztlich sind ihm alle revolutionären Kräfte innerhalb eines Staates unsichtbare Verbündete (S. 506). Zerstörung sei daher das einzig angemessene Mittel: "Weil wir die echten, wahren und unerbittlichen Feinde des Bürgers sind, macht uns seine Verwesung Spaß" (S. 507). 41

Der Aufsatz im Tagebuch löste eine rege Diskussion um Jüngers Standort aus. Wenige Monate später, im Januar 1930, nahm Jünger in Niekischs Widerstand dazu Stellung ( Schlußwort zu einem Aufsatze): Die "Wendung zur Anarchie" habe sich "endgültig im Jahr 1927" vollzogen, zunächst sei sie jedoch nur "im kleinsten Kreis" zur Sprache gekommen.

Vor mir liegen meine Briefbände aus diesem Jahr, die mit Ausführungen gespickt sind über das, was wir damals den Nihilismus nannten, und dem wir morgen vielleicht wieder einen anderen Namen geben werden - vielleicht sogar den des Konservativismus, wenn es uns Vergnügen macht. Denn Chaos und Ordnung besitzen eine engere Verwandtschaft als mancher Glauben mag. (S. 541) 42

In einem der Briefe, aus denen Jünger zwei längere Passagen zitiert, heißt es, "wir" seien "als Glieder einer Generation vorläufig nur echt", "als wir durch den Nihilismus hindurchgehen und unseren Glauben noch nicht formulieren" (S. 542f.). Jünger kommentiert: Diesen Gedankengängen liege das Bestreben zu Grunde, "das Sein von allen Gewordenen Gebilden zu lösen, um es tieferen und furchtbareren Gewalten anzuvertrauen – solchen, die nicht das Opfer, sondern die Triebkräfte der Katastrophe sind" (S. 543).

Was Jünger und seinem Kreis vorschwebte war also ein radikaler Bruch mit der geschichtlichen Überlieferung überhaupt. Aus der Sicht des deutschen Konservatismus kann man nicht antikonservativer eingestellt sein. Jünger war sich dieses Antikonservatismus vollends bewußt, indem er ihm einen anderen Konservatismus gegenüberstellte:

Die Ursprünglichkeit des Konservativen zeichnet sich dadurch aus, daß sie sehr alt, die des Revolutionärs, daß sie sehr jung sein muß. Die Konservativen von heute sind aber fast ohne Ausnahme erst hundert Jahre alt. [...] Mit anderen Worten: Der Bannkreis des Liberalismus hat größere Reichweite, als man im allgemeinen glaubt, und fast jede Auseinandersetzung vollzieht sich innerhalb seines Umkreises. (S. 589)

In den Aufsätzen des Jahres 1930 manifestierte sich der antihistoristische Affekt weiter. 43 Im Mai 1930 schrieb Jünger:

Unser Gesellschaftsgefühl ist anarchisch. [...] Überall offenbart sich das Streben nach neuer Ordnung, nach Schaffung neuer, im besten Sinne männlicher Werte. Eine Evolution aber ist unmöglich! Nur die kommende, die mit zwingender Gewalt kommende Revolution kann Besserung bringen. [...] Erst aus den Tiefpunkten kulturpolitischer Falschwirtschaft wird sich – gemäß des ehernen Gesetzes der Weltgeschichte – bei uns der Aufstieg vollziehen! (S. 583)

Bestimmt man die >Konservative Revolution< als den radikalen Versuch, das, was traditionell in Deutschland Konservatismus genannt wird, unter den Bedingungen einer antikonservativen Zeit wieder zu beleben, so kann Jünger nach 1926 eigentlich nicht mehr zur >Konservativen Revolution< gezählt werden.

Für Mohler, der einen ungeschichtlichen, eher anthropologischen Konservatismusbegriff zu Grunde legt, bietet Jüngers Denken um 1929 jedoch beinahe den Idealtyp der >Konservativen Revolution<. In einer Hinsicht bleibt jedoch eine Spannung. Die Absage an jede geschichtliche Überlieferung bedeutet auch eine Absage an Geschichtsphilosophie. Jünger bleibt jedoch durch seinen Hang zur Idee dem geschichtsphilosophischen Denken in einem wesentlichen Punkt verhaftet. 44

Die Edition

Zum Schluß noch einige Bemerkungen zu der von Sven Berggötz besorgten Edition. Leider haben sich in die Texte Jüngers einige Fehler eingeschlichen. Bei der Edition eines Klassikers ist dies besonders ärgerlich.

An einigen Stellen störte sich Berggötz an Jüngers Grammatik und griff in den Text ein. Einen Autor vom Format Jüngers bei der Bildung eines Genitivs zu korrigieren, ist eigentlich überflüssig.

Einige der Texteingriffe sind jedoch unbegreiflich. Sie zeigen, wie fremd dem Herausgeber das Denken Jüngers geblieben ist. Natürlich meint Jünger in der folgend angeführten Passage "das Arbeiten der Idee" und nicht ein "Arbeiten an einer Idee". Ideen sind für Jünger überpersönliche Mächte: "Denn was jetzt in allen Völkern vor sich geht, ist das Arbeiten [an] einer universalen Idee" (S. 262).

Weshalb es in der folgenden Passage "Tugend" heißen soll, wie Berggötz in seinem Kommentar vermutet (S. 770), ist ebenfalls nicht einzusehen: "Es bedürfte dieser Aufforderung nicht, denn ich betrachte mich überall als Mitkämpfer, wo man mit jener stillen Entschiedenheit, in der ich die für unsere Zeit notwendigste Jugend [sic] erblicke, an der Rüstung ist" (S. 449f.). Unverständlich ist auch, weshalb die wenigen Fußnoten Jüngers sich nicht in den Texten Jüngers, sondern in den Kommentaren finden.

In den Kommentaren finden sich zwar viele interessante und hilfreiche Erläuterungen, einige Kommentare provozieren jedoch Kritik. In einem Kommentar zum "Fundamentalsatze des Descartes" (S. 503) heißt es, das "ich denke, also bin ich" sei "der erste absolut gewisse Grundsatz, mit dem Descartes die Wende der neuzeitlichen Philosophie zum Sein begründete" (S. 710). Einmal ganz abgesehen davon, daß ein Kommentar zu Descartes' "Fundamentalsatz" vezichtbar wäre: Mit gleichem Recht könnte es auch heißen, der Satz begründe die Wende zum Bewußtsein.

Ein anderes Beispiel: Eine Bemerkung Jüngers über Keyserlings Reisetagebuch eines Philosophen (S. 160) kommentiert Berggötz mit dem Hinweis, Thomas Mann hätte das Buch für die Frankfurter Zeitung rezensieren sollen. Nun weiß der Leser, daß sich Berggötz auch für Thomas Mann interessiert. Für das Verständnis von Jüngers Text ist dieser Kommentar unerheblich.

Viele eindeutige Anspielungen und Zitate blieben hingegen unkommentiert. Nicht wo sich Goethes Wendung "alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis" findet, sondern wo Rathenau gesagt hat, daß die Weltgeschichte ihren Sinn verloren hätte, "wenn die Repräsentanten des Reiches als Sieger durch das Brandenburger Tor in die Hauptstadt eingezogen wären" (S. 575), möchte man gerne erfahren.

Matthias Schloßberger, M.A.
Universität Potsdam
Institut für Philosophie
Praktische Philosophie / Philosophische Anthropologie
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Diese Rezension wurde betreut von unserem Fachreferenten PD Dr. Alf Christophersen. Sie finden den Text auch angezeigt im Portal Lirez – Literaturwissenschaftliche Rezensionen.