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mardi, 26 novembre 2013

A che serve l’Europa?

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A che serve l’Europa?

Editoriale di Luigi Tedeschi dal numero settembre ottobre di Italicum 

Ex: http://centroitalicum.wordpress.com

Le crisi sono eventi ricorrenti dovuti all’andamento ciclico dell’economia. Nelle crisi vengono meno i presupposti di una fase di sviluppo in esaurimento e si verificano trasformazioni più o meno rilevanti della struttura produttiva e del mercato che poi generano nuovi equilibri e nuove fasi di sviluppo.


Questa crisi invece, non sembra compatibile con la natura ciclica dei fenomeni economici nel contesto dell’economia di mercato. Infatti essa sembra perdurare e mettere in dubbio i fondamenti stessi del modello economico liberista. I livelli di produzione e consumo raggiunti in occidente nella seconda metà del ‘900 non sembrano più raggiungibili, né possibile la creazione di nuovi sbocchi produttivi con la nascita di nuovi mercati. La globalizzazione ha determinato l’interdipendenza mondiale delle economie. Pertanto, grazie alla dimensione planetaria dei mercati, se l’economia e la finanza sono globali, globali sono anche le crisi. La crisi in Europa (almeno in larga parte dell’eurozona), esula dall’andamento ciclico dell’economia di mercato, perché essa è pervenuta negli anni ad uno stato di stagnazione, recessione economica, di disoccupazione e degrado sociale permanente e progressivo, dovuto alla adesione alla moneta unica e al relativo governo centralizzato della BCE delle economie degli stati aderenti. L’euro infatti, con i parametri relativi al rapporto debito / Pil stabiliti dal trattato di Maastricht, gli accordi sul pareggio di bilancio e il fiscal compact, è divenuto una camicia di forza per le economie degli stati. La crisi del debito ha comportato la devoluzione di gran parte delle risorse al servizio del debito ed una politica di progressivi tagli alla spesa sociale, al fine di sostenere gli equilibri forzosi della finanza pubblica. L’euro ha privato gli stati degli strumenti tradizionali di politica economica, atti la incentivare la crescita, quali la spesa pubblica in deficit, il controllo sul sistema bancario circa la fissazione dei tassi di interesse e l’erogazione del credito, le manovre sui tassi di cambio, misure di redistribuzione del reddito.

 

Ma soprattutto in fase di recessione, essendo venuta meno la sovranità monetaria degli stati, questi ultimi non possono adottare misure di espansione della liquidità atte a favorire la crescita della produzione e dei consumi. Economie sane sono state afflitte da crisi deflattive prodotte dall’adesione all’euro.


L’euro è dunque un progetto fallimentare. Esso ha determinato la netta divaricazione tra paesi forti del nord e paesi condannati alla schiavitù del debito e al sottosviluppo (paesi PIIGS), anziché solidarietà europea, sviluppo, unificazione politica e culturale. L’euro, avendo ingessato le economie europee dell’eurozona entro parametri fissi, imposti a prescindere dalle singole specificità dei paesi membri, ha generato una economia del debito, il cui risanamento distoglie ingenti risorse dallo sviluppo. Ma le politiche di bilancio imposte dalla BCE, comportano recessione e deflazione e pertanto, il debito aumenta la propria incidenza sul Pil. La moneta unica impedisce misure di finanziamento della spesa pubblica in deficit, emissione autonoma di liquidità, manovre sui tassi di interesse e di cambio, e pertanto le uniche fonti di finanziamento degli stati sono l’espansione del debito e la leva fiscale. L’economia del debito domina l’Europa. Il debito è un dato imprescindibile che vincola la politica degli stati, deprime l’economia, distrugge, con il welfare, il progresso sociale, crea conflittualità sia all’interno che all’esterno degli stati, è uno strumento di un nuovo colonialismo economico di alcuni stati su altri.


Lo stato di depressione economica impostosi in molti stati europei, prodotto dal debito insolvibile, ha determinato mutamenti rilevanti nella psicologia delle masse e nei rapporti sociali: ha creato un complesso di inferiorità e soggezione psicologica dei popoli afflitti dal debito nei confronti dei popoli dominanti – creditori. Potremmo perfino individuare nella società contemporanea il sorgere di una “cultura del debito”. La dicotomia creditore – debitore, nell’ambito dei rapporti tra gli stati si traduce nella dialettica oppresso – oppressore, invasore – invaso, virtù – colpa. La “cultura del debito” sembra avere evocato e trasposto dalla religione all’economia, l’antico senso del peccato originale, con l’identificazione del debito con la colpa. Alla virtù finanziaria del nord fa riscontro la colpa e la dissolutezza finanziaria del sud. La nuova religione finanziaria ha posto dunque i suoi dogmi nei parametri morali di legittimazione della supremazia virtuosa del nord sul sud dell’Europa. La morale dell’euro, ha uno stampo calvinista, sancisce la diseguaglianza permanente tra la virtù della ricchezza e la povertà della colpa collettiva irredimibile, scaturita dal debito che, al pari della colpa, è inestinguibile. La colpa, comporta l’espiazione e quindi la relativa condanna biblica perpetua dello stato – debitore – peccatore alla privazione della sovranità e la sua riduzione alla povertà, da parte della virtù finanziaria incorruttibile dello stato unto dal nuovo Signore finanziario, identificabile con la BCE. Il problema che investirà l’Italia nel prossimo futuro, non sarà tanto quello di una possibile sua fuoriuscita dall’euro, quanto quello della impossibilità di restarci, problema che metterà in dubbio la stessa sussistenza dell’eurozona.


L’ordinamento rigido e centralista imposto all’eurozona dalla BCE, ha prodotto una elite tecnico – finanziaria dirigista che ha espropriato in larga parte la sovranità politica degli stati, e condannato le democrazie al ruolo di legittimazione politica delle misure finanziarie della BCE. Il modello di governo ideale per l’oligarchia finanziaria è proprio quello delle larghe intese, che comporta il venir meno della dialettica maggioranza – opposizione, connaturata alla democrazia, dato che le direttive della politica economica sono di pertinenza della classe elitaria della BCE.


Si è verificato un processo di estraneazione – emarginazione generalizzata dei popoli: espulsi dalla struttura produttiva mediante la disoccupazione, condannati ad una perenne precarietà del lavoro dalle esigenze di competitività, di flessibilità alle fibrillazioni del mercato, di massimizzazione dei profitti, i popoli sono privati di soggettività politica, estraniati dai meccanismi di decisionalità propri dell’ordinamento democratico.


Stiamo assistendo in tutto l’Occidente ad una omologazione delle istituzioni, siano esse politiche, economiche, sociali, religiose, alla cultura della società globalista del capitalismo assoluto. Potremmo parlare di “ecumenismo capitalista”, una nuova versione del “politically correct” intesa come adesione incondizionata ai fondamenti cosmopoliti e materialistici della globalizzazione capitalista. E’ questa una sorta di falsa metafisica del capitalismo, che si riflette in una nuova cultura che omologa, sia le istituzioni che i popoli, ad un “politically correct” che coniuga diritti umani, libero mercato, cosmopolitismo, umanitarismo pacifista, in una unica sintesi culturale che coinvolge l’intera totalità sociale. Tale omologazione culturale è predisposta alla distribuzione delle funzioni delle singole istituzioni: al sistema bancario la finanza, alle multinazionali la produzione, a partiti centristi asettici la politica, ai sindacati istituzionali il sociale, alla Chiesa l’assistenza. Un capitalismo ormai incapace di produrre sviluppo e superare le proprie crisi, attraverso questa omologazione sociologico – culturale totalitaria, crea gli anticorpi necessari alla sua difesa contro il dissenso sociale potenziale del presente.


Il primato tedesco in Europa è conforme ad una logica interna, congenita al capitalismo stesso. La Germania in Europa, così come gli USA nell’occidente e nel mondo, è un paese – guida, la cui espansione, non comporta lo sviluppo trainante degli altri partners più deboli. Il suo primato è fondato su una crescita economica dovuta alla recessione – deindustrializzazione degli altri, proprio perché la concorrenza del libero mercato produce per sua natura una selezione darwiniana tra i concorrenti: il capitalismo non produce sviluppo generalizzato tra le classi sociali e tra i popoli ma, al contrario, allo sviluppo del più forte fa riscontro l’impoverimento dei deboli. Quante volte la leadership americana ha potuto sopravvivere alle proprie crisi addebitandone i costi ai paesi subalterni?


Ci si interroga allora sui fondamenti e sul futuro dell’Europa. Certo è che l’unità europea è tutta da realizzare. Non esiste una identità europea se non in progetti e ideali culturali e politici ormai consegnati alla storia. L’unificazione economica è destinata a fallire, date le diversità specifiche delle economie degli stati membri, non compatibili con l’unificazione monetaria, che invece ha determinato conflittualità, accrescimento delle diseguaglianze, esasperazione degli egoismi nazionali. Le identità storico – culturali dei popoli sono state in larga parte sradicate dall’avanzata della globalizzazione economica di matrice americana e dalla finanziarizzazione della politica attuata dalla UE. Oggi, in questa ottica, gli elementi identitari dei popoli sono il Pil, il debito, il deficit pubblico, gli indici della borsa. Dimmi che Pil hai e ti dirò chi sei!


Occorre dunque, dopo un decennio di euro, fare un bilancio del progetto europeo. Esso è fallimentare. L’eurozona, dilaniata al suo interno dai meccanismi finanziari che hanno generato debito e recessione, appare senza futuro. Occorre allora domandarsi: quali sono, oltre la camicia di forza dell’euro, gli elementi unificanti dell’Europa? Non si vede quali affinità storico – culturali, quali interessi e destini comuni abbia, ad esempio l’Italia, con i paesi della Scandinavia, con la Gran Bretagna, inglobata nell’area geopolitica americana, con un est europeo dominato dalla Germania. Bisogna concludere che l’Europa unita è un progetto irrealizzabile e fallimentare. Piuttosto che con il nord Europa, i paesi mediterranei hanno molta più cultura, storia e interessi comuni con il nord Africa e con il Sudamerica. La fine dell’euro dovrebbe rappresentare la liberazione da una gabbia finanziaria che potrebbe preludere ad altre potenziali forme di aggregazione tra stati europei e non.


L’euro, secondo la vulgata ufficiale, è un fenomeno irreversibile. Ma non esiste nulla di irreversibile, né tantomeno la storia ha un corso necessario e immutabile. Il destino dell’euro è inoltre legato a quello del dollaro e al primato USA. Gli Stati Uniti sono sull’orlo del default. L’economia americana, subordinata alle permanenti emissioni di liquidità della Federal Reserve, ha rallentato la propria crescita. Gli indici della borsa americana sono ai massimi. Questa divaricazione tra economia reale e quotazioni finanziarie, ha già prodotto la crisi del 2008. Potrebbe quindi manifestarsi nel 2014 una nuova bolla finanziaria. In tale crisi rimarrebbe coinvolta una eurozona già in recessione. Per fronteggiare tali eventualità occorrerebbe pensare sin da ora al dopo – euro, perché dopo la lunga notte dell’euro, sorga nuova luce sui destini dei popoli europei.


Luigi Tedeschi

lundi, 25 novembre 2013

Dr. Alexander Jacob about Hans-Jürgen Syberberg

Dr. Alexander Jacob about Hans-Jürgen Syberberg's vision of European Culture

Konservative Revolution in Europa?

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Konservative Revolution in Europa?

Erik Lehnert

Ex: http://www.sezession.de

Die „Konservative Revolution“ gehört zu den „erfolgreichsten Wortschöpfungen des neueren Ideengeschichtsschreibung“ (Stefan Breuer) und ist dennoch umstritten wie kaum ein zweiter Begriff. Das mag seinen Grund in den programmstischen Aussagen dieser Denkrichtung haben, die seine Gegner gern anderen Ideologien zuschlagen würden. Es kann aber auch daran liegen, daß die KR als ein spezifisch deutsches Phänomen angesehen wird und deshalb den Großideologien des 20. Jahrhunderts zugerechnet werden soll.

Der neue Band aus der Reihe „Berliner Schriften zur Ideologienkunde“ [2] widerlegt diese Auffassungen. Bereits Armin Mohler hatte in seiner grundlegenden Arbeit zum Thema darauf hingewiesen, daß es nicht nur eine europäische, sondern auch eine universale Dimension der konservativ-revolutionären Strömung gebe.

Tatsächlich entdeckt man bei genauerer Betrachtung eine lange Reihe von Persönlichkeiten, die seit dem Ende des 19. Jahrhunderts Ideen vertraten, die man als „jungkonservativ“, „völkisch“ oder „nationalrevolutionär“ bezeichnen könnte, und es gab auch Bewegungen, die bestimmte „bündische“ Züge aufwiesen oder Ähnlichkeit mit dem Landvolk hatten. Von Fjodor M. Dostojewski und Charles Maurras bis zu Julius Evola, T.S. Eliot und Sven Hedin reicht ein erstaunlich weites Spektrum, das bisher noch nie unter dem Gesichtspunkt betrachtet wurde, daß man es mit Repräsentanten einer großen, die Geistesgeschichte unseres Kontinents nachhaltig beeinflußenden ideologischen Richtung zu tun hatte.

Der Band versammelt Aufsätze zu folgenden Ländern: England, Italien, Niederlande, Belgien und Frankreich. Am Beispiel von Julius Evola wird zudem die europäische Dimension deutlich, die auf einzelne Vertreter zurückzuführen ist. Mit Hans Thomas Hakl, Alain de Benoist und Luc Pauwels sind ausgesprochene Kenner der jeweiligen Länder als Autoren vertreten. Der Herausgeber, Karlheinz Weißmann, ist sicher der beste Kenner der Materie in Deutschland, was er nicht zuletzt mit der Neufassung von Mohlers Klassiker unter Beweis gestellt hat. In seinem Vorwort wirft Weißmann einen Blick auf die restlichen Länder Europas und kommt zu folgendem Fazit:

 Es dürfte […] unmittelbar deutlich geworden sein, daß keine einfache Antwort auf die Frage nach der europäischen Dimension der Konservativen Revolution möglich ist. Der Hinweis auf eine „Welle des antidemokratischen Denkens“ , die Anfang der dreißiger Jahre den Kontinent erfaßte, genügt jedenfalls nicht, um zu erklären, warum sich in bestimmten Ländern konservativ-revolutionäre Vorstellungen ausbreiteten, in anderen nicht; vielmehr ergibt sich folgende Bilanz:

• Die kulturelle und politische Nähe zu Deutschland konnte förderlich wirken (Niederlande, Belgien, Schweden, mit Vorbehalt Dänemark), aber von Zwangsläufigkeit ist keine Rede (Österreich, Schweiz),

• die Erfahrung der nationalen Demütigung und Schwäche spielte sicher eine Rolle (Italien, Belgien), war aber nicht ausschlaggebend (Frankreich, Großbritannien),

• was zuletzt bedeutete, daß die Krise des liberalen Systems, das als dysfunktional betrachtet wurde (Frankreich, Italien, Belgien, in gewissem Sinn auch die Niederlande und Großbritannien), den Ausschlag gab und jene Impulse freisetzte, die darauf abzielten, eine Konservative Revolution in Gang zu bringen,

• jedenfalls den Versuch zu unternehmen eine „vierte Front“ aufzubauen: gegen Kapitalismus, Kommunismus, Nationalsozialismus.

• Unbeschadet davon gilt aber, daß nur in Deutschland die Konservative Revolution zur „dominanten Ideologie“ werden konnte, weil bestimmte geistige Dispositionen und die kollektive Demütigung durch Niederlage und Versailler Vertrag die Entwicklung unerbittlich vorantrieben.

Die Untersuchung der europäischen Aspekte der Konservativen Revolution gilt schon lange als Desiderat der Forschung zur Geschichte des Konservatismus. Mit dem Erscheinen des Bandes ist ein großer Schritt in dieser Richtung getan. Er bringt nebenbei einige Antworten auf die Frage, warum sich die KR trotz ihrer Erfolglosigkeit als so zäh erwiesen hat, daß ihr auch heute noch ein gewisses Faszinosum nicht abgesprochen werden kann. Er bringt in uns etwas zum Klingen und verweist damit auf die Antinomien, die für den Menschen unüberwindlich sind: „Konservative Revolution nennen wir die Wiedereinsetzung aller jener elementaren Gesetze und Werte, ohne welche der Mensch den Zusammenhang mit der Natur und mit Gott verliert und keine wahre Ordnung aufbauen kann.“ (Edgar Julius Jung)

Der Band umfaßt 244 Seiten, kostet 15 Euro und kann hier bestellt werden [2].


Article printed from Sezession im Netz: http://www.sezession.de

URL to article: http://www.sezession.de/41893/konservative-revolution-in-europa.html

URLs in this post:

[1] Image: http://www.sezession.de/wp-content/uploads/2013/11/9783939869634.jpg

[2] Der neue Band aus der Reihe „Berliner Schriften zur Ideologienkunde“: http://antaios.de/buecher-anderer-verlage/institut-fuer-staatspolitik-/berliner-schriften-zur-ideologienkunde/363/die-konservative-revolution-in-europa?c=18

samedi, 23 novembre 2013

Discrédité, Hollande trouve du soutien auprès des ennemis de l'Iran

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Discrédité, Hollande trouve du soutien auprès des ennemis de l'Iran

Ex: http://fr.ria.ru

Avant le nouveau cycle de négociations sur le nucléaire iranien cette semaine, on se demande si la position intransigeante de la France ne va pas faire échouer l’accord des médiateurs internationaux au dernier moment, écrit mardi le quotidien Kommersant.

Paris peut compter sur Israël et l'ennemi irréconciliable de Téhéran, l'Arabie Saoudite, qui cherchent eux aussi à empêcher une entente entre les six médiateurs internationaux et l'Iran. Pourquoi la France multiplie-t-elle ses efforts sur ce dossier?

Pendant sa visite en Israël Hollande a avancé quatre conditions pour qu'un accord "intermédiaire" soit signé entre les six médiateurs : le placement sous contrôle international de l'ensemble des sites nucléaires iraniens ; la limitation de l'enrichissement d'uranium à 20% ; la réduction des réserves déjà accumulées ; et la fermeture de la construction du site nucléaire d’Arak. L'Iran a immédiatement laissé entendre qu'en réponse à ces exigences sa position sera plus ferme pendant les négociations.

L'activation soudaine de la France sur le dossier iranien coïncide avec la chute de la cote de popularité du président Hollande. Premier dirigeant de l'histoire française à être publiquement hué pendant la commémoration de l'armistice de 1918, Hollande traverse la période la plus difficile de son mandat. D'après les derniers sondages, sa popularité est tombée à 20% chez les Français - un record pour les dirigeants de la Ve république. Par ailleurs, les appels à renvoyer le premier ministre Jean-Marc Ayrault se font de plus en plus entendre au sein du PS après que l'agence de notation Standard & Poor's a pour la deuxième fois abaissé la note de la France (de AA+ à AA).

Hollande perd sa popularité et ses leviers d’influence en France: il cherche à renverser la situation par des manœuvres internationales. La position intransigeante de Paris lors du dernier cycle de négociations entre Téhéran et les six médiateurs pour le règlement de la crise nucléaire iranienne contraste avec les prévisions optimistes des ministres des Affaires étrangères de l'Iran, des USA et de la Russie. En revanche, la position de la France est soutenue par Israël, l'Arabie saoudite et d'autres monarchies du Golfe.

Bien que les Etats-Unis demeurent le principal fournisseur d'armes dans les pays du Golfe (Washington a récemment signé un contrat de 60 milliards de dollars avec Riyad), les producteurs français pourraient sérieusement renforcer leurs positions sur le marché du Golfe. D'autant qu'il existe un argument historique à une telle coopération. Paris livrait déjà des armes à Bagdad à l'époque de la guerre entre l'Iran et l'Irak par le biais des régimes arabes sunnites, qui considèrent l'Iran comme leur ennemi juré.

Cette position intransigeante sur le dossier iranien offre au président Hollande de nouvelles opportunités de coopération avec Israël qui cherche à utiliser tous les mécanismes pour empêcher une entente avec Téhéran. La visite de Hollande en Israël dimanche s'achèvera à la veille de la reprise des négociations des Six.

Le premier ministre israélien Benjamin Netanyahou s’entretiendra cette semaine avec le président russe Vladimir Poutine et le secrétaire d'Etat américain John Kerry pour évoquer les paramètres de l'entente nucléaire entre les Six et Téhéran. En prévision de ces rencontres le dirigeant israélien a donc obtenu un soutien psychologique très important de la part du président français. Ce dernier a assuré à Netanyahou que Paris ne cèdera pas sur la prolifération nucléaire en Iran. "Tant que nous n'aurons pas la certitude que l'Iran a renoncé à l'arme nucléaire, nous maintiendrons toutes nos exigences et les sanctions".

Toutefois, en dépit de l'activité internationale tumultueuse de Hollande, les experts ne pensent pas qu’il arrivera à renverser sa chute de popularité en France. "Le président Hollande a été incapable de régler des problèmes bien plus graves concernant la récession, la réforme des retraites, la hausse des dépenses publiques et le chômage. Il n'a tenu qu'une seule promesse de campagne : la légalisation du mariage gay, rappelle Nadejda Arbatova de l'Institut d'économie mondiale et des relations internationales (IMEMO). Dans ces conditions, son hyperactivité sur l'arène extérieure est une tentative d'apporter du poids à sa politique. Mais en l'absence de repères précis cette politique se transforme en passage désespéré d'un extrême à l'autre."

vendredi, 22 novembre 2013

Le tireur de Libération: un ami du journal

Le tireur de Libération: un ami du journal

Il voyait des fascistes partout


Raoul Fougax
Ex: http://metamag.fr
Ainsi le tireur de type européen est un certain Abdelhakim Dekhar qui s’est présenté, un temps, comme agent des services algériens. C’est de plus un ancien gauchiste partisan de la lutte armée contre le capitalisme.
 
Ce déséquilibré est donc très éloigné du terroriste rêvé des médias. Le message envoyé était que le climat de haine actuel provoque des passages à l'acte contre les médias, emblèmes de la démocratie et de la liberté. Il faut dire que la tenue du suspect correspondait au profil d’un méchant extrémiste de droite, fanatique des armes et voulant en découdre avec des médias considérés comme responsable de bien des maux français. Cela aurait pu être, mais cela n'a pas été. C'est raté.

Car rien  ne ressemble plus à un facho en tenue caricaturale qu’un  gaucho en mal de terrorisme des années de plomb. Et Abdelhakim Dekhar est une caricature de ces paumés violents à qui Libération a trouvé tant d'excuses et manifesté tant d’empathie révolutionnaire pendant des années. Quand à BFMTV, le moins qu’on puisse dire est que son militantisme anti-gauchiste reste très  modéré.

Dekhar s’inscrit dans un discours anti-capitaliste. Un discours assez délirant du tireur qui dénonce un complot, avec l’aide des médias, pour restaurer le fascisme en France. Mais Libération travaillant pour le fascisme, c’est amusant. Encore faudrait -il que le journal soit lu, ce qui n’est pas la même chose que d'être cité de façon privilégiée dans des revues de presse orientées.

L'audience lectorat de Libération est quasi nulle sauf chez quelques bobos parisiens et nostalgiques d’une gauche de combat qui est la drogue intellectuelle quotidienne depuis sa libération – la vraie- de notre Abdelhakim  qui se prenait pour un résistant-partisan. Comme quoi le climat actuel provoque des passages à l’acte mais pas toujours du coté espéré.

Agé de 48 ans, l’homme avait déjà été condamné pour avoir fourni une arme dans l’équipée sanglante de Florence Rey et Audry Maupin, qui s’était achevée par la mort de trois policiers, d’un chauffeur de taxi et de Maupin lui-même en octobre 1994.

Le procureur a précisé que le suspect avait laissé plusieurs lettres. Dans une ce ces lettres, Dekhar dénonce « un complot fasciste » et le rôle des médias, payés pour « faire avaler le mensonge à la petite cuillère ». Ces «raisonnements confus», selon le procureur Molins, «tournent autour d’un complot qui viserait à faire revenir le fascisme à travers l’action des médias, des banques, la gestion des banlieues» et se terminent par «l’évocation du chant des partisans».
 
Le procureur de la République de Paris a aussi insisté sur les «tendances affabulatrices» de Dekhar, soulignées par les experts-psychiatres lors de l’affaire Rey-Maupin. Voilà donc ce que l'on peut dire sur cet « algérien » de « type européen » qui aurait voulu punir les médias pour leur rôle de défenseur des libertés et de la libre parole. Comme le dit le président, s’attaquer à la presse, c’est toujours s’attaquer à la liberté et à la démocratie…. Et donc forcément un acte de l’extrême droite ou assimilée.

Et bien pas toujours monsieur le président… quant à Libération, être complice d'un complot fasciste en le dénonçant quotidiennement, ça doit interpeller. Peut être finalement que ce journal  est devenu, en plus d’être illisible, incompréhensible.

L’ITALIE S’OUVRE ENFIN À LA DIVERSITÉ

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L’ITALIE S’OUVRE ENFIN À LA DIVERSITÉ

Ex: http://dernieregerbe.hautetfort.com

            L’Italie était un peu pâlichonne, ne trouvez-vous pas ? Cette population désespérément blanche, ces patronymes si uniformes avec leur terminaison en -i  (parfois en -o ou en -a), ces grandes villes dépourvues d’enclaves africaines ou asiatiques, comme en France, en Grande-Bretagne ou en Allemagne…  Mais tout cela est révolu, grâce au ciel. Depuis une bonne vingtaine d’années, la vieille Italie est enfin entrée dans le monde moderne, cosmopolite, métissé, riche de toutes ses différences. Comme dans les autres pays d’Europe, les grandes villes y ont maintenant leurs communautés étrangères, qui viennent apporter leur dynamisme, leur mobilité, leur altérité et surtout, chose infiniment précieuse, leur rapport différent au travail, à la propriété, à la citoyenneté. Jusqu’à présent, le plus visible de ces Italiens « issus de la diversité » était le pittoresque Mario Barwuah Balotelli, un foutebôleur éminemment sympathique et estimable, dont le comportement, sur le terrain ou en dehors, constitue un modèle pour la jeunesse. Ceux qui n’auraient pas suivi les frasques de ce joueur si habile dans l’art d’enfiler une chasuble en trouveront un résumé ici, qu’il faudrait compléter puisqu’il date de décembre 2011. Par exemple, il vient de se signaler à nouveau en offrant aux joueurs du Real Madrid une nuit d’amour avec sa copine : bel exemple de cet art du partage par lequel les populations sub-sahariennes viennent renouveler notre conception archaïque et sclérosée des rapports entre l’homme et la femme.
 
            Cependant Balotelli était un peu le baobab qui cachait une forêt transalpine encore très monocolore, quasiment menacée d’extinction par excès de consanguinité. Qu’on se rassure ! L’Italie a décidé de prendre son destin en mains, d’assumer résolument son bariolage naissant et de se donner les moyens d’accroître celui-ci. Pour la première fois, une négresse a été nommée ministre : Cécile Kashetu Kyenge, originaire du Congo-Kinshasa, vient de recevoir le portefeuille de l’Intégration dans le nouveau gouvernement italien.


            D’une autre manière que Balotelli, Mme Kashetu Kyenge apporte avec elle une conception renouvelée du couple. En effet, son père, quoique catholique, est polygame, marié à quatre femmes et père de pas moins de 38 enfants. Or la nouvelle ministresse est loin de réprouver la polygamie, ayant tiré un grand profit de son enfance au milieu de ses 37 germains consanguins :  « Grandir avec tant de frères et sœurs m’a donné l’impression de vivre dans une communauté. Cela facilite les relations avec l’autre partie de la société, en dehors de la famille ». On s’en réjouit pour elle, et on applaudit un tel franc-parler. Au moment où la France vient de légaliser le mariage homosexuel, il est nécessaire que des voix autorisées se fassent entendre pour accélérer l’inéluctable étape suivante, celle du mariage polygamique.


            Mais le plus merveilleux dans cette nomination inédite, c’est que Mme Kashetu Kyenge n’entend nullement rester une exception sans lendemain. Bien au contraire, elle a d’emblée annoncé… la couleur : elle va tout faire pour que des millions d’Africains viennent apporter leur sang neuf à l’Italie moribonde (où elle-même est arrivée à l’âge de 19 ans), de façon que son exemple soit suivi massivement. C’est que Mme Kashetu Kyenge n’est pas du genre à mettre son identité dans sa poche, à singer les Italiens de souche et à tenir un discours assimilationniste aux évidents relents fachistes, comme une Malika Sorel ou un Éric Zemmour chez nous. Elle a même pris le risque de choquer les Italiens en déclarant qu’elle ne se sentait pas italienne à 100%, mais plutôt italo-congolaise : magnifique exemple de cette identité plurielle devenue si courante, et qui devrait même être la norme. Qu’on ne croie pas cependant que cette demi-italianisation l’aurait amenée à demi-renier sa négritude. Tout au contraire : « Je ne suis pas une femme de couleur, je suis noire, c’est important de le dire, et je le répète avec fierté. Nous devons faire tomber ces murs : ne pas connaître l’autre rend méfiant et augmente les discriminations. L’immigration est une richesse, les différences une ressource ». Et cette fierté noire va se traduire en actes. Un sommaire article du Figaro nous permet d’en savoir un peu plus sur ses idées et ses projets. Déjà première Africaine à siéger au Parlement italien, elle était en train de préparer un rapport sur le racisme institutionnel dans son pays d’accueil. Un énorme pavé, sans doute ! Consciente, j’imagine, que l’Italie souffre d’un taux de chômage beaucoup trop bas qui pénalise les entreprises (les obligeant à recruter n’importe qui à des salaires exorbitants), elle souhaite rendre le marché du travail plus accessible aux étrangers : excellente idée, qui permettra de combler l’excédent d’offre d’emplois. Peut-être même y aura-t-il alors, à l’inverse, un peu trop de demandeurs d’emploi : mais qu’importe, puisque les ressources pléthoriques de la péninsule permettent de subvenir largement aux besoins des chômeurs, lesquels jouent du reste un rôle notable dans la bonne santé du pays, notamment en augmentant les taux d’audience des chaînes de télévision ou en dynamisant la vie urbaine.


            Mieux encore : Mme Kashetu Kyenge milite pour l'abrogation du délit d'immigration clandestine (et pour cause : elle a elle-même avoué être entrée en Italie de façon irrégulière). Voilà une idée magnifique, dont on se demande bien pourquoi elle n’est pas brandie par tous les partis en France. Il est évident que dans notre monde enfin ouvert et cosmopolite, les États-Nations, ces inventions criminelles, sont des archaïsmes caducs qu’il convient de dissoudre d’en haut et de démanteler d’en bas. Il y a une seule humanité sur une seule planète : donc tout homme doit pouvoir aller et venir à sa guise, et s’installer où il veut quand il veut. Les migrations sont saines, utiles, nécessaires : autorisons-les sans aucune restriction ! En outre, les multiples prestations sociales (éducation, santé, logement, etc) qu’il faudra bien fournir, même à ceux qui n’apporteront rien d’autre que leur souriante présence, seront une bien maigre compensation (mais ô combien légitime et nécessaire) aux irréparables dommages que le colonialisme a infligés à leurs ancêtres.


            Mais ce n’est pas suffisant. À quoi bon permettre à quiconque de venir vivre en Italie, si c’est pour y être l’objet de discriminations permanentes ? Il convient donc de faire en sorte que les immigrés puissent le plus vite possible être considérés comme des Italiens à part entière. Aussi Mme Kashetu Kyenge fait-elle du droit du sol sa priorité : « Je rencontrerai probablement des résistances, nous devrons beaucoup travailler pour y arriver », a-t-elle reconnu alors que la citoyenneté italienne est basée sur le droit du sang (le droit du sang ! Pourquoi pas la pureté de la race ? On sent l’héritage fachiste). « Un enfant, fils d'immigrés, qui est né ici et qui se forme ici doit être un citoyen italien », a-t-elle expliqué, avec autant de bon sens que de cohérence.


            Pour autant, elle ne sous-estime pas la radicalité des transformations qu’elle va provoquer : « C'est un pas décisif pour changer concrètement l'Italie ». Mais vivre, c’est changer, n’est-ce pas ? Ce pays avait un côté moisi et sclérosé qui faisait honte à toute l’Europe. Il doit assumer sa vocation pluriethnique et multiculturelle : l’entrée dans la modernité est à ce prix, la vraie modernité, diverse et métissée. C’est bien ce qu’a déclaré le nouveau chef du gouvernement, M. Enrico Letta, se réjouissant de ce choix qui « démontre avec cohérence le fait de croire à une Italie plus intégratrice et vraiment multiculturelle ». Et bien entendu, la lutte contre le racisme ne se distingue pas de la lutte contre toutes les autres discriminations : pour Cécile Kashetu Kyenge, il est également nécessaire de « lutter contre la violence sexiste, raciste, homophobe et de toute autre nature ». Il s’agit d’extirper le virus de l’intolérance du corps et du cerveau de l’Italien moyen. S’il récalcitre, il faudra bien l’opérer de force.

            Et cependant je crains que l’opération soit longue et difficile. La nomination de Mme Kyenge a été accueillie par les plus honteuses injures racistes, preuve que le ventre de la bête immonde est toujours fécond. Les ignobles cris de singes, qui polluent si souvent les stades italiens quand des athlètes kémites viennent y déployer leur puissance, nous rappellent les heures les plus sombres de notre histoire, et l’Italie en compte plus qu’on croit, de ces heures sombres : il n’est malheureusement que trop facile de trouver des pages d’infamie, quand on se penche sur la littérature italienne ou latine.

            Je songe par exemple à Juvénal (environ 45-128 ap. JC), oui, ce Juvénal salué fraternellement par Hugo : « Retournons à l'école, ô mon vieux Juvénal. / Homme d'ivoire et d'or, descends du tribunal / Où depuis deux mille ans tes vers superbes tonnent... » (Châtiments, VI, 13), mais il est vrai que Hugo était lui-même un raciste patenté, comme le prouve son inqualifiable discours sur l’Afrique du 18 mai 1879. C’est peut-être pour cela qu’il se sentait si proche de Juvénal, ce pseudo-poète atrabilaire et enflé, parangon d’esprit réactionnaire, misogyne (sa satire VI est tout entière un déchaînement de haine contre les femmes) et homophobe (voir notamment les satires II, VI et IX), mais surtout antisémite et xénophobe comme pas deux. Pour l’antisémitisme, on peut lire cet article de Sylvie Laigneau-Fontaine, une universitaire dijonnaise, paru dans la Revue belge de philologie et d'histoire, 2006, n°84-1, p. 45-57. Elle conclut ainsi : « La conversion de citoyens romains au judaïsme est, pour Juvénal, la preuve manifeste de l’aliénation décadente de la société romaine. C’est pourquoi il se fait antisémite virulent et trace du Juif, dans ses Satires, une image grotesque, méprisable et inquiétante ». Pour le racisme et la xénophobie, on retiendra telle ou telle saillie lâchée ici ou là (« un Éthiopien basané, porte-poisse à ne jamais croiser le matin ! » satire VI, v. 600-601), plus encore la satire XV, où il répand les pires calomnies contre les Égyptiens (qu’il traite de cannibales), et en priorité la satire III, écrite vers 87, qui serait à citer presque intégralement. Je me contenterai de quelques extraits, en priant les enfants et les esprits sensibles de ne pas poursuivre la lecture, car il s’agit d’un texte immonde. Publié aujourd’hui, il tomberait immanquablement sous le coup des justes lois qui limitent la licence d’expression et proscrivent les propos scandaleux, car on ne peut pas tolérer une telle critique des étrangers :

            « Puisque les états honorables n’ont plus leur place à la Ville, que le travail n’y paie pas, que ce qui valait hier quelque chose vaut aujourd’hui bien moins et demain moins que rien, j’ai décidé de m’en aller là-bas où Dédale épuisé déposa ses ailes. […] Qu’ils fassent leur vie ici, les Artorius et les Catulus, qu’ils y restent ceux qui font du blanc avec du noir, ceux qui sont doués pour soumissionner les temples, les fleuves, les ports, la vidange des égouts, l’incinération des cadavres, et pour vendre à l’encan de l’esclave sur pied ! Ils étaient sonneurs de cor aux arènes, pète-joues fameux dans les fanfares de cirque. Les spectacles maintenant c’est eux qui les financent, eux qui, bien démagogiquement, quand le public renverse le pouce pour commander un cadavre, ordonnent la mise à mort avant de s’en retourner prendre la ferme des chiottes publiques. Pourquoi pas ? Pourquoi le hasard ne propulserait-il pas cette racaille du ras du sol aux plus hautes cimes des affaires, puisque tout peut arriver quand il a décidé de faire une farce ? […] Ceux que je fuis d’abord, la race la mieux en cour aujourd’hui dans nos milieux friqués, je vais vite vous l’avouer sans vergogne, vieux Romains : je ne peux pas supporter une Ville grecque. Et encore, quel pourcentage d’Achéens dans cette bouillasse ? Il y a belle lurette que l’Oronte s’est épandu de la Syrie jusqu’au Tibre, charriant avec lui langue, mœurs, gratteurs de harpe et joueurs de flûte, sans oublier les tambourins folkloriques et les filles envoyées à tapiner le long du cirque. Allez-y donc, les amateurs de louvettes orientales à mitres peinturlurées ! Ô Romulus ! Voilà ton péquenaud qui enfile des trechedipnas et porte une batterie de niketerias à son cou keromatisé ! Mais ce paysan-là est de Sicyone-le-Haut, celui-ci a quitté Amydonas, celui-ci Andros, celui-là Samos, celui-ci vient de Tralles ou bien d’Alabanda se jeter sur l’Esquilin et le Viminal où poussait l’osier, et bientôt se greffer sur nos grandes familles et les dominer. Comprenant au quart de tour, toupet éperdu, un discours toujours prêt, plus baratineur qu’Isée, devine qui c’est ! C’est qui tu veux, c’est l’homme-orchestre : grammairien, rhéteur, géomètre, peintre, masseur, voyant, acrobate, médecin, sorcier, il sait tout faire le petit Grécoulos crève-la-faim. Au ciel, tu le lui commandes, il y monte ! Finalement ce n’était ni un Maure ni un Sarmate ni un Thrace celui qui se mit des plumes au dos, c’était un natif d’Athènes ! Et moi je ne fuirais pas ces gens-là et leur pourpre ? Il signera avant moi, il se calera à table sur un meilleur coussin, un Syrien poussé à Rome par le vent avec une cargaison de prunes et de figues ? Alors au total ça vaut zéro que notre enfance ait bu la pluie du ciel aventin et ait été nourrie à l’olive sabine ? […] Non, nous ne sommes pas à égalité. Il gagne forcément celui qui est capable une fois pour toutes de composer jour et nuit son expression d’après la figure d’un autre, toujours prêt à crier bravo et à envoyer des baisers si "l’ami" a bien fait son rot, s’il a pissé droit, si le pot de chambre à bascule tout en or a claqué comme il faut. Et avec ça rien de sacré, rien à l’abri de sa queue, pas plus la maîtresse de maison que la fille vierge, le fiancé encore imberbe ou le fils toujours puceau. Faute de mieux c’est la grand-mère qui y passe ! […] Pas de place pour le Romain là où règne un Protogénès, un Diphilus ou un Hermarchus. C’est un vice de race : il ne partage jamais un "ami". Il le possède seul. Dès qu’il a craché dans une oreille influençable la plus impalpable goutte de son venin naturel et atavique, me voilà à la porte, c’est comme si mes longues années de service n’avaient jamais existé. Nulle part, on ne jette un client aussi facilement qu’ici. » [1].

            Et il y en a comme ça sur douze pages (322 vers) ! Juvénal stigmatise avec une virulence insoutenable l’hypocrisie de ces immigrés, de fieffés bonimenteurs capables de débiter n’importe quoi à n’importe qui ; l’inégalité de la société romaine, qui humilie en permanence les pauvres au profit d’une caste de privilégiés égoïstes ; la corruption généralisée, qui permet de bâtir de vastes fortunes de façon malhonnête ; la cherté de la vie dans la capitale, qui en éloigne la classe moyenne ; l’irresponsabilité des promoteurs immobiliers, qui laissent à l’abandon des bâtiments fragiles et insalubres, etc. On croirait lire un texte contemporain ! Il est patent qu’à plus de dix-neuf siècles d’intervalle, ce sont toujours les mêmes rengaines antimodernistes, les mêmes jérémiades contre le progrès, les mêmes pleurnicheries contre ceux qui réussissent, qui apportent du sang neuf, qui créent un monde nouveau. Juvénal fait partie de ces aigris qui n’ont pas su s’adapter au cours des choses et qui exhalent leur dépit en se réfugiant dans le mythe d’un passé idéalisé où tout était forcément plus heureux. Et comme d’habitude, le bouc-émissaire à leurs malheurs est tout trouvé : l’étranger, l’étranger forcément coupable de tous les maux, l’étranger forcément malhonnête, dégénéré, subversif. Que dirait-il aujourd’hui, ce triste taré, s’il contemplait la joyeuse Italie bigarrée qui émerge ! On peut en avoir une idée si on a le courage d’ouvrir (en se bouchant le nez) les torchons putrides de nos Jean Raspail et nos Renaud Camus, dont on voit qu’ils n’ont rien inventé. Gageons que notre monde connaîtra le même glorieux destin que le monde romain dans les siècles qui ont suivi celui de Juvénal. D’ailleurs nos chers musulmans sont en train de le transformer comme les chrétiens ont su transformer la romanité, exsangue, décatie, épuisée. En attendant, l’analogie entre l’infâme Juvénal et les salopards d’extrême-droite est flagrante : un jeune étudiant suisse, M. Louis Noël, a su établir un parallèle saisissant entre son discours fétide et celui de l’UDC, le parti des néo-nazis helvétiques. Son mémoire, présenté en 2010, est consultable sur le net [2]. Vivement que les cours de justice internationale viennent interdire ces groupuscules abjects, et souhaitons que Mme Kashetu Kyenge puisse purger l’Italie des remugles racistes qui la polluent depuis deux-mille ans.
 
            Je songe à Claudien (370-408), pseudo-poète décadent, dont l’œuvre sombra dans un oubli mérité en même temps que cet empire odieux qui trépassa comme il le devait, faute d’avoir su faire leur juste place aux migrants prétendus « barbares » qui venaient le régénérer en l’enrichissant de leurs différences. Dans sa Guerre contre Gildon, il dresse un tableau apocalyptique du Maghrèbe pendant la sécession de Gildon (ce prince maure et général romain se révolta en 397-398 contre Rome, l’empereur Honorius et le régent Stilicon. Bien qu'il fût soutenu par la cour de Constantinople (l'empereur Arcadius et le chambellan Eutrope), il fut vaincu par son propre frère Mascezel : trop souvent, hélas, les colonisés sont victimes de leurs propres querelles internes, qui profitent au conquérant. Il est vrai que, quelque vingt-cinq ans plutôt, Gildon avait lui-même vaincu, au service de Rome, son frère Firmus, auteur d’une première rébellion contre l’oppression impérialiste). Voici un extrait des hallucinations nauséabondes de Claudien. Il s’agit d’une prosopopée par laquelle l’Afrique allégorisée, s’adressant à Jupiter, gémit des outrages que lui inflige Gildon (l’artifice du procédé va de pair avec la fausseté du contenu) :

           « Il oblige les veuves à se mêler au cortège de ses serviteurs à la chevelure frisée et des jeunes gens à la voix mélodieuse, et à sourire, quand leurs maris viennent d’être égorgés. […] Mais ces outrages faits à la pudeur ne lui suffisent pas. Les femmes les plus nobles, quand il en est las, sont livrées aux Maures : au milieu de leur ville, on prend les mères carthaginoises, pour les marier de force à des barbares. Le tyran nous impose un Éthiopien pour gendre, un Nasamon pour époux : l’enfant, d’une autre couleur que sa mère, est l’effroi de son berceau. […] Il arrache les citoyens au foyer de leurs ancêtres, il chasse les paysans de leurs vieux domaines. Exilés et dispersés ! le retour leur est-il à jamais interdit, et ne pourrai-je rendre à leur patrie mes citoyens errants ? » [3].

           

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On ne peut lire sans dégoût un tel tissu de calomnies racistes et d’hostilité bornée au sain brassage des populations. Comment cet imbécile croit-il que les nations se renouvellent, sinon par le métissage culturel et ethnique, donc par des unions mixtes et des déménagements ? Le vers 193 est le plus atroce : « l’enfant, d’une autre couleur que sa mère, est l’effroi de son berceau », ce qu’on peut exprimer encore plus littéralement, pour coller à la concision du latin : le nourrisson d’une autre couleur épouvante son berceau (« Exterret cunabula discolor infans » : on pourrait traduire « discolor » par « hétérochrome », mais ce serait trop pédant). Voilà le préjugé raciste dans toute son abomination. Faut-il être perverti par des idéologies morbides pour ne pas se réjouir d’avoir un enfant d’une autre couleur que la sienne ! Qu’est-ce que Claudien, cette hyène fachiste, dirait s’il voyait l’Italie actuelle ? On n’ose pas l’imaginer. Heureusement la civilisation a fait des progrès, les mentalités se sont adaptées, et on ne peut plus, aujourd’hui, garder les idées périmées d’autrefois. Qui, aujourd’hui, ne se réjouirait pas d’avoir un métis pour enfant, un nègre pour gendre ou un arabe pour époux ? (et je ne parle pas seulement des femmes…).
 
            Je songe à Dante Alighieri (1265-1321), poète bien surfait qu’on ne devrait plus faire lire dans les classes que dans des éditions expurgées ad usum Delphini, tant il déploie dans ses œuvres les pires insanités homophobes, racistes, antisémites et islamophobes. Pour ce dernier point, mentionnons que Saladin, ce héros, Averroès et Avicenne, ces génies, sont placés en Enfer dans la Divine Comédie (chant IV), et surtout que Mahomet et son gendre Ali y sont atrocément châtiés dans la neuvième fosse du huitième cercle de l’Enfer :

            « Les uns montrant leurs membres transpercés,
D’autres, tronqués : rien ne pourrait atteindre
À la hideur de la neuvième fosse.
            Jamais tonneau fuyant par sa barre ou sa douve
Ne fut troué comme je vis une ombre,
Ouverte du menton jusqu’au trou qui pète.
            Les boyaux lui pendaient entre les jambes ;
On voyait les poumons, et le sac affreux
Qui change en merde ce que l’homme avale.
            Tandis que tout entier je m’attache à le voir,
Lui, m’avisant, s’ouvre des mains la poitrine
Et dit : "Regarde donc : je me déchire !
            Vois Mahomet comme il est mutilé !
Et Ali devant moi s’en va pleurant,
La face fendue de la houppe au menton.
            Et tous les autres que tu vois ici
Vécurent en semant scandale et schisme :
C’est pour cela qu’ils sont ainsi fendus.
            Un diable est là derrière qui nous schismatise
Cruellement au fil de son épée,
Puis nous remet chacun dans cette file,
            Quand nous avons bouclé le triste tour :
Car toutes nos blessures sont déjà refermées
Avant que nous repassions devant lui" ». [4]

            Texte horrible et infernal en effet, mais non comme Dante le croyait : par l’intolérance haineuse qu’il manifeste bien plutôt, et l’atteinte sacrilège qu’il porte à la sainte personne du Prophète. On comprend que l’association droidlomiste Gherush92 s’en soit scandalisée. Par la voix de sa présidente Valentina Sereni, elle a eu raison de braver les sarcasmes italianocentristes en réclamant que Dante soit exclu des programmes scolaires et universitaires, retiré des établissements d’enseignement secondaire, et dûment republié avec des avertissements explicatifs, comme Mein Kampf. Ces courageux militants de la tolérance, pour qui la viande cascher et hallal constitue un droit de l’homme, osent appuyer là où ça fait mal, en pointant la haine de l’autre qui constitue le fondement de la culture italienne :  « La poursuite d’enseignements de ce genre constitue une violation des droits de l’homme et met en évidence la nature raciste et antisémite de l’Italie, dont le christianisme constitue l’âme. Les persécutions anti-juives sont la conséquence de l’antisémitisme chrétien qui a ses fondements dans les Évangiles et dans les œuvres qui s’en inspirent, comme la Divine Comédie. […] Certainement, la Divine Comédie a inspiré les Protocoles des Sages de Sion, les lois raciales et la solution finale ». Oui, Dante et le Nouveau Testament sont à l’origine de la Choa, il faut avoir le courage de le dire ! L’Italie doit se regarder en face et cesser de s’exonérer lâchement de son écrasante responsabilité dans la genèse d’Auschwitz. Gherush92 ne manque pas d’idées judicieuses, qui mériteraient d’être reprises et amplifiées dans toute l’Europe : « L’antisémitisme, l’islamophobie, la haine anti-Roms, le racisme doivent être combattus en recherchant une alliance entre les victimes historiques du racisme, précisément sur des thèmes et des sujets qu’ils puissent partager, comme la diversité culturelle ». Une alliance entre les victimes historiques du racisme… voilà quelque chose à creuser ! Une coalition des Juifs, des Noirs, des Arabes, des Amérindiens, des Asiatiques, des Roms, tous ligués contre l’Occident blanc pour lui faire rendre gorge, pour lui arracher toutes ses griffes, pour le guérir à jamais de son venin de haine et d’intolérance, pour lui imposer définitivement cette diversité et ce bariolage qu’il refuse de toute son âme… Il faudra sans doute en venir là un jour, s’il refuse de se transformer de lui-même.
 
            Je songe à Cesare Lombroso (1835-1909), ce pseudo-savant aux thèses répugnantes, scientiste fou qui a passé sa vie à traquer le gène du crime, collectionneur et mesureur de crânes humains comme Vacher de Lapouge, obsédé d’atavisme et de dégénérescence sociale, propagandiste de l’eugénisme, parfait représentant de cette pseudo-science ultra-déterministe du XIXème siècle qui a inventé le délire raciologique et se trouve donc à l’origine directe des cauchemars génocidaires du XXème. Heureusement, il existe encore en ce monde des êtres dotés de mémoire, désireux que les infamies de nos ancêtres ne soient pas offertes à l’admiration des nouvelles générations, et qui, pour cette raison, mènent une action courageuse et inlassable en faveur d’une censure très vigilante du legs du passé, selon les dernières normes du moralement et politiquement correct. C’est ainsi qu’une campagne a été lancée en 2010 pour que la municipalité de Milan débaptise la via Cesare Lombroso, cet affront aux droits de l’homme : on lira ici le texte de leur accablant réquisitoire (en anglais).


            En France, une telle épuration a déjà été menée avec succès : ainsi, à Lyon, la faculté de médecine Alexis-Carrel (eugéniste crypto-nazi) a été rebaptisée R.T.H. Laennec en 1996. La plupart des rues portant le nom de ce sinistre individu ont aussi changé de nom ; par exemple à Saint-Brieuc, la rue Alexis Carrel est devenue rue Anne Frank : une petite juive néerlandaise, qui scribouillait ses fantasmes d’adolescente sur des cahiers d’écolier, à la place d’un prix Nobel français aux idées nauséabondes : voilà un exemple à généraliser ! Puissent toutes nos rues, portant le nom d’un auteur qui a écrit ne serait-ce qu’une phrase incorrecte, se voir vite attribuer, à la place, le nom d’un martyr du droidlomisme ou d’un représentant de nos chères minorités visibles !
 
            Je songe à Oriana Fallaci (1929-2006), cette pseudo-journaliste qui acheva sa triste carrière au service de l’impérialisme occidental en révélant son hideux visage raciste et islamophobe. Après le 11 septembre 2001, elle disjoncta complètement, à moins que ce ne fussent l’âge et bientôt la maladie qui l’eussent persuadée d’ôter le masque hypocrite qui lui avait acquis une réputation plus ou moins honorable. Elle publia deux pamphlets ignobles, La Rage et l’orgueil (Plon, 2002) et La Force de la raison (Rocher, 2004), qui furent poursuivis en justice dans plusieurs pays, tant ils exhalent les miasmes les plus putrides. Elle y étale en effet son aversion rabique de l’islam, dont elle prétend qu’il « sème la haine à la place de l'amour et l'esclavage à la place de la liberté » (alors que c’est évidemment tout l’inverse). Sous sa plume en délire, les injures les plus répugnantes se donnent libre cours : « Au lieu de contribuer au progrès de l’humanité, [les fils d'Allah] passent leur temps avec le derrière en l'air à prier cinq fois par jour » (agression vulgaire, d’autant plus monstrueuse que, comme on le sait, l’islam est une religion de paix et de lumières, qui ennoblit ses adeptes et améliore la civilisation, partout où la Providence la répand en lui ouvrant les cœurs). Forcément, Mme Fallaci assimile tout musulman à un fanatique prêt à tout faire sauter : « les mosquées grouillent jusqu'à la nausée de terroristes ou aspirants terroristes » (elle fait semblant d'ignorer que les attentats terroristes ne sont qu'une légitime réplique aux agressions incessantes dont les monstrueuses puissances coloniales et leur allié sioniste accablent les peuples arabes, sans parler du martyre permanent du peuple palestinien dont les enfants meurent chaque jour sous les balles de Tsahal quand ce n'est pas de faim, de soif ou de désespoir). Mais ce qui est encore plus atroce, c’est qu’elle ne se contente pas de critiquer une religion dont la grandeur passe au-dessus de son entendement borné : elle avoue sans vergogne la répugnance physique que lui inspirent les Arabes, nos indomptables frères orientaux. « Il y a quelque chose, dans les hommes arabes, qui dégoûte les femmes de bon goût », ose-t-elle écrire, toute honte bue, révélant par là, n’en doutons pas, sa frustration sexuelle de femme qui n’a jamais été épanouie par la sauvage virilité des fils du désert, laquelle a pourtant l’art de contenter, depuis des siècles, les ânes, les chèvres et les chameaux les plus insatiables. Conséquence inévitable : possédée par la fièvre obsidionale, elle voit l’Europe comme une citadelle assiégée, que dis-je, comme une contrée envahie, bientôt transformée en partie intégrante de l’oumma. Pour elle, les Arabes submergent l'Europe sous couvert de migrations pour propager l'islam, et comme ils « se multiplient comme des rats » (notez l’animalisation de l’étranger), il en résulte que « l'Europe est devenue chaque jour davantage une province de l'Islam, une colonie de l'Islam ». Même si elle était encore de ce monde, il serait sans doute vain de lui faire observer que non seulement une telle perspective est loin d’être à l’ordre du jour (puisque nos communautés étrangères s’intègrent harmonieusement dans notre société multiculturelle), mais que si elle devait advenir, elle ne pourrait être que hautement profitable à tout le monde, et d’abord à l’Europe : quel pays n’a-t-il pas été merveilleusement embelli, enrichi et bonifié, dès lors qu’il est devenu à majorité musulmane ? Les bénéfices culturels, spirituels, scientifiques, économiques, sociaux d'une telle évolution seraient tout simplement prodigieux. En outre, comme l’a dit un jour Jaques Chirac, « les racines de l’Europe sont autant musulmanes que chrétiennes » (Figaro, 29 octobre 2003) : dès lors, l’islamisation intégrale ne serait qu’un retour aux sources. Et puis, de toute façon, la vie, c’est le changement, n’est-ce pas ? Tout organisme qui n’évolue pas se sclérose et meurt. Cela fait vingt siècles que nous sommes chrétiens, il est temps de passer à autre chose.


            Le plus intéressant, dans le cas pathologique de Mme Fallaci, c’est qu’elle nous montre que cette prétendue hostilité intellectuelle à l’islam, que d’aucuns voudraient nous faire passer pour l’application d’un esprit critique hérité des Lumières, devant être protégé coûte que coûte par le droit de libre expression, – n’est en réalité que l’envers du racisme le plus abominable. Mme Fallaci, cette dégénérée, triste reflet d’une Italie d’hier qu’il faut faire disparaître à jamais, confond dans sa haine bestiale les Arabes et les musulmans. Étrangers à physionomie, couleur de peau, odeur différentes de la sienne, ou croyants professant une foi différente de la sienne : pour elle, c’est tout un, ce ne sont que deux incarnations d’un même Autre qu’elle refuse de côtoyer, qu’elle refuse de considérer comme un semblable, qu’elle refuse d’accueillir dans sa cité monocolore et consanguine. Ce rejet de l’étranger est la quintessence du racisme, et c’est ce comportement odieux qu’il convient de bannir et d'éliminer à jamais. Qu’est-ce que le projet ultime du droidlomisme, sinon l’édification d’un monde où tous les pays ayant été remplis d’étrangers, il n’y ait plus aucun étranger nulle part ? Une planète, une humanité, une nation, une culture, une langue, un drapeau : généraliser la différence jusqu’à ce qu’elle se confonde avec l’identité.
 
            Et je songe à bien d’autres encore, tant est longue la liste du déshonneur italien !... On le voit, toute la culture italienne, parce qu’elle est catholique, est foncièrement raciste, et ce n’est pas exagérer que de n’y voir qu’une énorme déclaration de guerre contre les non-catholiques, contre les non-Italiens, contre les non-mâles blancs hétérosexuels. Mme Cécile Kashetu Kyenge a un énorme travail devant elle, une montagne de préjugés à renverser, vingt siècles de culture à dissoudre. Heureusement, son combat va dans le sens de l’Histoire, car elle lutte pour le Vrai, le Bien et le Beau. Tous les hommes de bonne volonté sont avec elle, et seuls les sales fachos, proclamés ou honteux, peuvent la critiquer. Cette triste engeance n’est composée que d’imbéciles, de malades, d’aigris et de ratés. Comment peut-on ne pas avoir de la sympathie pour les nègres ? Comment peut-on ne pas avoir d’attirance pour l’étranger ? Comment peut-on ne pas trépigner d’enthousiasme devant cette Europe nouvelle, métissée, multicolore, multiculturelle qui naît sous nos yeux ? On se le demande…

Note:
 

[1] Vers 21-25 ; 29-40 ; 58-85 ; 104-113 ; 119-125. J’ai repris la traduction d’Oliviers Sers (Les Belles-Lettres, 2002, coll. classiques en poche n°61) en l’amendant très légèrement. Artorius et Catulus sont deux affranchis célèbres, c’est-à-dire des anciens esclaves émancipés, sans doute d’origine étrangère, qui ont pris le nom de leur maître et ont acquis une immense fortune dans des métiers vils, au début du premier siècle. On a compris que les Grecs dont se plaint Juvénal ne sont pas forcément de purs Hellènes de l’Attique ou du Péloponnèse : après quatre siècles d’hellénisation du bassin oriental de la Méditerranée, un bon nombre d’Orientaux pouvaient se faire passer pour des Grecs aux yeux des Romains (qui eux-mêmes n’étaient plus depuis longtemps de purs Latins du Latium). Tralles et Alabanda sont dailleurs des villes d’Asie mineure.

[2] Je suis ahuri par la qualité de ce travail scolaire, qui me paraît correspondre à un honorable mémoire de master français (soit bac+4). Or, si j’ai bien compris le système scolaire suisse, ce « travail de maturité », provenant du Gymnase Auguste Piccard de Lausanne, date de la dernière année de l’enseignement secondaire, soit l’équivalent de notre année de terminale, et même à cheval sur la 1ère et la Tle puisque réalisé entre février et novembre. L’auteur a donc 17-18 ans ! On trouvera sur cette page d’autres mémoires effectués par des condisciples de Louis Noël, la même année. Quiconque connaît les daubes lamentables qu’un groupe de lycéens d’ici peut produire, en guise de « T.P.E. », ne peut manquer d’être pris de vertige devant l’écart de niveau entre le système français et le système suisse. C’est comme si une équipe de troisième division se voyait brusquement confrontée à une équipe habituée aux huitièmes de finale de la Ligue des champions ! Ou bien ce Gymnase Auguste Piccard est un établissement d’élite, qui ne peut se comparer qu’aux meilleures classes des vingt meilleurs lycées français ? Si ce n'est qu'un établissement ordinaire, alors l'arriération mentale de la jeunesse française dépasse nos pires cauchemars…

[3] Vers 183-186 ; 188-193 ; 197-200. J’ai repris la traduction de Victor Crépin (Claudien, Œuvres complètes, Garnier, 1933, tome premier, page 195), en la corrigeant parfois avec l’aide de la traduction de la collection Nisard (Dubochet et Cie, 1837, rééd. Firmin-Didot, 1871) qu’on trouve notamment sur l’indispensable site de Philippe Remacle ou sur Gallica. Désiré Nisard avait paresseusement repris la traduction de l’abbé Guillaume-Jean-François Souquet de La Tour (1768-1850), futur curé de Saint-Thomas d’Aquin, qui date de 1798, et qui se soucie plus d’élégance que de fidélité. Celle de V. Crépin m’a paru à la fois plus précise et plus expressive, sauf pour le vers 193, qu’il traduit lourdement ainsi : « et les enfants qui naissent ainsi de parents différents de couleur apportent l’épouvante dans leurs berceaux ». — Les Nasamons étaient un peuple libyque nomade, vivant au sud de Syrte.

[4] Chant XXVIII, vers 19-42. J’ai repris la traduction de Marc Scialom (Pochothèque, 1996, pages 710-711), que j’ai corrigée avec l’aide de celle de Jacqueline Risset (Flammarion, 1985, pages 254-257).

Pro-Russia-TV rencontre Yvan Blot

Pro-Russia-TV rencontre Yvan Blot

("Démocratie directe")

jeudi, 21 novembre 2013

Le tireur fou est un Arabe d’extrême-gauche

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Terrible déception chez les politiciens et journalistes : le tireur fou est un Arabe d’extrême-gauche

L’algérien Abdelhakim Dekhar, le tireur présumé du quotidien Libération, a été placé en garde à vue mercredi soir, confondu par son ADN.

La police et les médias s’étaient donc un peu emballés en évoquant jusqu’à présent, et avec insistance, un « homme de type européen »…

C’était la même chose avec les meurtres de Mohamed Merah, dont l’extrême-droite avait même été imprudemment chargée…

Il faudra encore attendre pour avoir un Breivik français !

Sinon, on peut relever que cet Abdelhakim Dekhar, figure de l’extrême-gauche des années 90, a été impliqué dans l’affaire Rey-Maupin : une fusillade au cours de laquelle cinq personnes dont trois policiers ont été tuées en 1994. Bien que présenté comme le mentor du duo meurtrier d’alors, et ayant acheté le fusil à pompe utilisé pour les meurtres, il n’écopa que de… 4 ans de prison.

Pro-Russia-TV rencontre Laurent Ozon

Pro-Russia-TV rencontre

Laurent Ozon

("Maison Commune")

mardi, 19 novembre 2013

Lampedusa ist erst der Anfang

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Lampedusa ist erst der Anfang

Bevölkerungsexplosion in Afrika spült Folgen jahrzehntelanger Fehlplanung an EU-Küste

Rebecca Bellano
 
Ex: http://www.preussische-allgemeine.de

Obwohl sich die Bevölkerung in einigen afrikanischen Ländern innerhalb von zwei Jahrzehnten fast verdoppelt hat, begrüßen die meisten Regierungschefs eine hohe Kinderzahl. Dank sinkender Kindersterblichkeitsrate erreichen inzwischen immer mehr Afrikaner das Erwachsenenalter, doch die meisten erwartet ein Leben ohne Perspektiven. Für viele ist der einzige Ausweg aus ihrem Elend eine Flucht nach Europa.

Nur die wenigsten derjenigen, die für ein Bleiberecht der in Berlin und Hamburg gelandeten afrikanischen Asylbewerber demonstrieren, dürften realisiert haben, dass diese nur die Vorhut eines Menschenstroms sind, der in den nächsten Jahren Richtung Europa strebt, denn für Nachschub ist gesorgt. In den vergangenen 25 Jahren hat sich die Bevölkerung Afrikas auf eine Milliarde verdoppelt, und da sechs und sieben Kinder pro Frau auf dem schwarzen Kontinent immer noch üblich sind, ist eine weitere Verdoppelung auf zwei Milliarden Menschen bis 2050 zu erwarten. In Nigeria wird sogar ein Anstieg um 349 Prozent von derzeit 160 Millionen auf 730 Millionen Menschen im Jahr 2100 prognostiziert. Ländern wie Mali (408 Prozent), Somalia (663 Prozent) oder Malawi (741 Prozent) wird von den Vereinten Nationen noch ein deutlich höheres Bevölkerungswachstum vorhergesagt. Die Vergangenheit hat gezeigt, dass selbst Bürgerkriege, Dürren und Epidemien die Zunahme nur bedingt verlangsamen. Dank Ent- wicklungshilfeprogrammen hat zugleich die Kinder- und Müttersterblichkeit massiv abgenommen, Nahrungshilfe von zahlreichen internationalen wie nationalen Organisationen hat zudem die Zahl der an Hunger Sterbenden gesenkt. Und so kommt es, dass in Ländern wie Uganda inzwischen 78 Prozent der Bevölkerung unter 30 Jahre alt sind. Viele von ihnen haben nichts anderes zu tun, als selber Kinder in die Welt zu setzen, denn der Staat ist nicht in der Lage, den Menschen eine berufliche Perspektive zu bieten, und so gilt die traditionelle Vorstellung, dass Kinder die beste Altersvorsorge seien.


Doch obwohl die ugandische Hauptstadt Kampala vor Menschen überquillt, ist Überbevölkerung kein Top-Thema in dem Land. „Wir haben zu viele Debatten und Komitees zur Familienplanung und viel zu wenig Umsetzung“, zitiert das „Handelsblatt“ die ugandische Parlamentsabgeordnete Sylvia Ssinabulya. Zudem ist Kinderreichtum in vielen afrikanischen Ländern politisch gewollt. Für sie ist Masse ein Zeichen von Größe. Und so klagt Ulrike Neubert von der Stiftung Weltbevölkerung darüber, dass von ihr auf die Folgen des ungelenkten Bevölkerungswachstums angesprochene afrikanische Politiker oft abwinken. „Die halten einem dann entgegen: ,Ihr wollt wohl, dass wir weniger werden‘“, so Neubert.


Dabei muss man eigentlich kein Genie sein, um zu erkennen, dass eine heranwachsende Masse perspektivloser Jugendlicher für die Stabilität eines Staates und dessen Wachstum eine Gefahr darstellt. Ein Blick in die nahe Vergangenheit nicht nur Afrikas, sondern der ganzen Welt zeigt, dass Millionen arbeitslose junge Männer ein Land schneller ins Chaos stürzen können als Umweltkatastrophen oder Missernten. Inzwischen erfassen auch immer mehr afrikanische Regierungschefs die Folgen ihres Handelns. Einige wie Paul Kagame in Ruanda steuern auch inzwischen gegen, doch die meisten hoffen darauf, dass sich die Probleme von allein lösen. Da kommt vielen die Massenabwanderung nach Europa nur recht.  

Rebecca Bellano

L'Europe bascule à nouveau dans la récession

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L'Europe bascule à nouveau dans la récession

Ex: http://www.zejournal/mobi

Les tout récents chiffres publiés jeudi par l’office de statistique Eurostat montrent que la zone euro est en train de basculer à nouveau dans la récession. Après un record de dix-huit mois de récession, la zone euro avait enregistré cette année un trimestre de croissance entre avril et juin. Cette tendance à la hausse s’est à présent inversée vu que les deux plus fortes économies du continent ont connu au troisième trimestre un fort repli de croissance. 

L’Allemagne a vu son taux de croissance chuter de 0,7 pour cent en juillet à 0,3 pour cent en septembre, tandis que l’économie française qui vient tout juste de sortir de la récession, a rebasculé dans un accroissement négatif de 0,1 pour cent de déclin de son activité économique. 

Le chiffre global pour les 17 pays de la zone euro représente une croissance dérisoire de 0,1 pour cent au troisième trimestre, soit une baisse de 0,3 pour cent par rapport au second trimestre. Les 28 autres pays membres de l’Union européenne ont également connu un ralentissement au troisième trimestre. L’on s’attend à ce que l’économie grecque se contracte de quatre pour cent cette année et l’Italie a enregistré son neuvième trimestre consécutif de déclin économique, la plus longue récession que le pays ait connue depuis la fin de la Seconde guerre mondiale. 

Ces tout derniers chiffres surviennent une semaine à peine après qu’un rapport a révélé une rapide baisse de l’inflation dans un certain nombre de pays européens, ce qui indique un risque de déflation c’est-à-dire un effondrement des prix, tandis que les niveaux du chômage restent à un niveau record sur le continent. 

Ces statistiques confirment que la politique d’austérité dictée par le FMI et la Banque centrale européenne dans le but de sauver l’élite financière du continent fait plonger l’Europe entière dans une catastrophe économie et sociale. Les mesures d’austérité imposées il y a trois ans et qui ont conduit à une dévastation économique et sociale de l’Europe méridionale et orientale sont actuellement en train de provoquer des ravages au cœur du continent. 

La contraction économique en Allemagne et en France est principalement due à une baisse des exportations des deux pays au moment où la consommation recule en Europe et que les marchés se contractent dans le monde entier. 
Les mauvais chiffres de l’économie en France ont accentué la crise politique du président français, François Hollande, dont le taux de popularité a déjà chuté sous celui de son prédécesseur détesté, Nicolas Sarkozy. 

En plus de la baisse des exportations, la production dans le secteur manufacturier a chuté d’un pour cent par rapport au trimestre précédent alors que les investissements ont également décliné pour le septième trimestre consécutif. La semaine passée l’agence de notation américaine, Standard & Poor’s a dégradé la note de la France. 

Une pression supplémentaire pour réformer l’économie française vient d’un rapport commandé par le président français à l’Organisation de coopération et de développement économiques (OCDE) sise à Paris. Le rapport de l’OCDE affirme que la France est à la traîne et critique les dirigeants d’entreprises et de la politique pour n’avoir pas réussi à appliquer le type de changement structurel qui a été entrepris en Italie et en Espagne. 

En Italie et en Espagne, la dévastation économique et sociale, avec un chômage des jeunes de 40 et 60 pour cent respectivement et des salaires et des prestations sociales éviscérés, est citée comme un modèle d’attaque contre la classe ouvrière de par l’Europe. 
En quête d'une certaine crédibilité politique, Hollande a cherché mardi à se servir du récent sommet européen pour l’emploi des jeunes à Bruxelles pour dire que son gouvernement allait tenir une de ses principales promesses électorales : des mesures pour surmonter le taux de chômage exponentiel de 25 pour cent des jeunes. 

En prétendant que l’enjeu était « l’avenir de toute une génération, » Hollande est sorti d’une courte séance avec la chancelière allemande et d’autres dirigeants de l’UE pour annoncer un train de mesures qui ne contribueront en rien à régler le problème du chômage de masse des jeunes en Europe. La somme convenue de 45 milliards d’euros provient principalement des budgets actuels de l’UE tandis que le président du conseil de l’UE, Herman van Rompuy, a déjà déclaré que d’ici 2014 et 2015, le chômage devrait s’accroître dans la zone euro et dans l’UE. 

Le caractère explosif de la crise a été concrètement révélé en France par des extraits issus d’une récente note de synthèse dressée par les préfets et que Le Figaro a publiés cette semaine sur la situation sociale qui existe dans les départements français. 
La note constate que la France est « une société en proie à la crispation, à l’exaspération et à la colère. » Elle poursuit en mentionnant une remise en cause populaire « de la légitimité de l’impôt » , c’est-à-dire de la nouvelle augmentation des impôts à l’encontre de la population laborieuse mise en vigueur par le Parti socialiste de Hollande, en parlant d’un « mélange de mécontentement latent et de résignation [qui] s’exprime de façon éruptive à travers une succession d’accès de colère soudains, presque spontanés. »

La note met en garde contre le risque d’une explosion sociale qui pourrait se produire en dehors du contrôle des syndicats. Selon cette synthèse, « de plus en plus, les revendications sont portées en dehors du cadre syndical, à travers des actions plus radicales : grèves de la faim, blocages de longue durée, etc. »

Malgré les récents chiffres économiques catastrophiques et le spectre de luttes sociales se déroulant partout en Europe, les partis droitiers et les sociaux-démocrates qui sont actuellement en train de négocier la formation d’une coalition à Berlin sont déterminés à poursuivre leur programme d’austérité tant sur le plan intérieur qu’à l’extérieur.

L’intensification de la crise alimente à son tour de profondes divisions au sein de l’Europe. Il y a une semaine, le directoire de la Banque centrale européenne a affiché un avis partagé quant à la question d’une nouvelle réduction du principal taux directeur des banques. Les deux délégués allemands membres du directoire, qui étaient appuyés par quatre alliés de l’Europe septentrionale, ont voté contre la réduction au motif que la mesure compromettrait la décision en faveur de coupes budgétaires et de réforme structurelle. 

De plus, en début de semaine, la France, l’Italie et un certain nombre de pays d’Europe du Sud sont venus ajouter leurs propres critiques à l’avertissement cinglant adressé il y a une semaine à Berlin par le Trésor américain face au vaste surplus d’exportation de l’Allemagne. 

Mercredi, les commissaires de l’UE se sont mis d'accord pour mener une enquête sur l’industrie d’exportation allemande et l’ancien premier ministre italien Romano Prodi a réclamé qu’un Pacte méditerranéen soit conclu entre l’Italie, l’Espagne et le Portugal pour exhorter l’Allemagne à débloquer davantage de moyens pour renflouer l’Europe méridionale. 

- Source : Alterinfo

Des Européens reprennent la coopération sécuritaire avec la Syrie

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Des Européens reprennent la coopération sécuritaire avec la Syrie

Ex: http://www.zejournal.mobi

Après avoir nié, ignoré ou minimisé le rôle des extrémistes étrangers combattants dans les rangs des rebelles en Syrie, l'Occident, plus particulièrement les Etats européens, commencent à réaliser l'ampleur et la gravité de ce phénomène pour la stabilité et la sécurité de leurs pays. Certains ont rétabli les canaux de coopération sécuritaire avec Damas, d'autres ont essuyé une fin de non recevoir.

Il est difficile de définir avec précision le nombre des fameux « jihadistes internationaux » venus se battre contre l'armée régulière syrienne. Au printemps dernier, l'émissaire international pour la Syrie, Lakhdar Brahimi, avançait le chiffre de quarante mille combattants étrangers en Syrie, lors d'une intervention devant le Conseil de sécurité des Nations unies. Mais les services de renseignements russes et occidentaux pensent que leur nombre serait en réalité beaucoup plus élevé. Il dépasserait les cent mille.

Les autorités syriennes affirment que des combattants de près de 80 pays se trouventUn jeune extrémiste français actuellement en Syrie. Evoquant les effectifs de certains de ces contingents étrangers, une source syrienne citée par le quotidien koweitien Al-Raï donne les précisions suivantes : 4800 Saoudiens, 4500 Irakiens (essentiellement originaires des provinces d'Al-Anbar et de Salaheddine), 3000 Palestiniens, 2700 Tunisiens, 2000 Algériens, 800 tchétchènes, 350 koweitiens, 1100 Indonésiens, 400 Afghans, 1300 Européens et des dizaines d'Américains.

Les déclarations des ministres et autres responsables européens sur le phénomène des « islamistes radicaux » se rendant en Syrie ne se comptent plus. De même que les informations faisant état du démantèlement de filières chargées du recrutement et du voyage de « jihadistes » dans ce pays, pour aller combattre l'armée régulière. Ils viennent d'Espagne, de Belgique mais aussi de France, à l'instar de ces cinq Français soupçonnés d'avoir voulu braquer un restaurant Quick pour financer leur départ vers Damas, comme l'écrit Le Figaro, début septembre.

Ce journal estime à quelque 200 le nombre de Français combattants dans les rangs de la rébellion syrienne, « très majoritairement au sein de groupes islamistes radicaux ». Plusieurs vidéos, traduites en français et visionnées des dizaines de milliers de fois, appellent sur YouTube les Français à la « guerre sainte » contre le président syrien Bachar al-Assad.

Des « loups solitaires »

Selon la presse européennes, la France, l'Irlande et Grande-Bretagne fournissent les plus gros contingents de ces extrémistes. Ramenés au nombre d'habitants, le Danemark et la Belgique sont les pays les plus touchés par ce phénomène.

qaeda1.jpgSelon des sources diplomatiques européennes à Beyrouth, le nombre de ressortissants des pays européens se battant en Syrie serait beaucoup plus important qu'annoncé. Il y aurait près d'un millier de Français intégrés dans les rangs des groupes les plus extrémistes de la rébellion, notamment l'Etat islamique en Irak et au Levant (EIIL, proche d'Al-Qaïda), dont les effectifs seraient à 80% composés de non Syriens. Il y a aussi le Front al-Nosra, également proche d'Al-Qaïda et Ahrar al-Cham, représentant la mouvance dite « salafiste-jihadiste ».

Si la plupart de ces apprentis « jihadistes » européens sont d'origine arabe, maghrébine plusDes Européens reprennent la coopération sécuritaire avec la Syrie particulièrement, des dizaines d'autres sont des convertis à l'islam, comme Nicolas, 30 ans, et Jean-Daniel, 22 ans, les deux fils d'un chef d'entreprise installé en Guyane.

Après avoir hurlé dans le désert pendant des mois, les services de sécurité européens ont finalement réussi à se faire entendre par les autorités politiques de leurs Etats respectifs. A leur retour de Syrie, ces jeunes extrémistes, dotés d'une grande expérience militaire et véhiculant une idéologie des plus radicales, constituent un grave danger pour leurs pays, surtout avec l'apparition du phénomène terroriste dit du « loup solitaire ».

Un effort soutenu a donc été déployé pour lutter contre ce phénomène. Mais aussi important soit-il, il restera insuffisant s'il n'est pas complété par un échange d'informations avec les autorités syriennes. En effet, confrontés sur le terrain depuis plus de deux ans à ces extrémistes, l'armée et les services de sécurité syriens les connaissant bien et sont familiers avec leurs méthodes.

Conscients de l'inévitabilité d'une coopération avec Damas, plusieurs pays européens ont réactivé, ces dernières semaines, les canaux de contacts et de coopération avec les services syriens concernés. Selon des sources bien informées à Beyrouth et à Damas, des émissaires espagnols, italiens et belges se seraient dernièrement rendus en Syrie pour discuter de ce phénomène. Les mêmes sources indiquent que les responsables syriens ont bien accueilli les représentants des Etats qui ont adopté une attitude non belliqueuse vis-à-vis de la Syrie lors des menaces d'attaques américaines, en septembre dernier. Toutefois, Damas a refusé de reprendre le contact avec les pays qui étaient le fer de lance du projet d'agression, comme la France. Selon les mêmes sources, Paris a essayé, via de multiples canaux, de rétablir un contact sécuritaire pour échanger des informations avec la Syrie. Mais il a essuyé une fin de non recevoir. Toute coopération sécuritaire sera tributaire de la position politique à l'égard de la crise syrienne du pays qui la sollicite, indiquent les mêmes sources.

 - Source : Infos d’ALAHED

dimanche, 17 novembre 2013

Intégrale de l’interview de Guillaume Faye

Intégrale de l’interview de Guillaume Faye

par Thomas Ferrier

Ex: http://psune.fr

Le politiste engagé Guillaume FAYE, partisan de l’Europe comme nation, comme le rappelle l’intitulé d’un de ses anciens ouvrages, « Nouveau discours à la nation européenne », a accepté notre invitation à évoquer sa conception du monde à partir des questions thématiques que nous lui avons posées. [...]. Vous pouvez également retrouver ses analyses sur son propre blog, www.gfaye.com. Je précise à toutes fins utiles que les propos de Guillaume Faye ne réflètent pas nécessairement les positions de [psune.fr].

***

2006-05a_thumb-300x300.jpgNous ouvrons le bal par le thème de la politique française et notamment de la présidence « Hollande ».

I. Guillaume Faye et la gouvernance « française »

TF: Juste quelques mots sur ce que vous inspire l’actualité politique du moment : affaire Cahuzac, bilan de François Hollande, « mariage pour tous », baisse programmée des allocations familiales, taxation future et probable des Smartphones et plus généralement de tout appareil connecté, laxisme judiciaire, affaire du « mur des cons », affaire du RER de Grigny, émeutes à Trappes, Colombes, Stockholm, agression islamique d’un militaire à Londres, Paris, situation de guerre civile à Marseille, affaire Méric, affaire Vikernes, affaire syrienne (faut-il intervenir ou pas ? Intérêt ou pas pour l’Europe ?)…

Guillaume FAYE: Pour tous ces commentaires politiques, vous voyez mon blog, J’ai Tout Compris ou gfaye.com Le gouvernement socialiste mène sa politique catastrophique dans la plus parfaite inconscience. C’est l’idéologie qui dirige, mêlée aux calculs politiciens classiques, à l’improvisation, etc. L’affaire Cahuzac est très amusante et reflète les terrifiantes contradictions de la gauche et de ce pays : voilà donc un ministre chargé de taxer et d’assommer fiscalement ses concitoyens qui, lui-même, fraude le fisc qu’il estime (d’ailleurs à juste titre) confiscatoire et racketteur. C’est l’arroseur arrosé, le gendarme-voleur. L’État le savait et l’a protégé en vain. La commission parlementaire d’enquête, entièrement truquée par le PS, a essayé de limiter les dégâts.

Mariage pour tous ? Ça fait plus de dix ans que j’avais dit que ça arriverait inéluctablement. C’est un symptôme, il faut s’attaquer aux causes. Sur l’insécurité et la criminalité (dues au mélange détonnant d’immigration incontrôlée et de laxisme judiciaire) nous allons monter vers des niveaux stratosphériques. Comme je l’ai souvent dit, nous nous dirigeons (pas seulement en France) vers soit une rupture, aux conséquences révolutionnaires, soit une mort tiède (Warmtod, concept éthologique lorenzien) , un effondrement mou. Il ne faut pas exclure , sous des formes imprévisibles, la révolte populaire massive des Européens de souche. Un phénomène viral, épidémique, transpolitique, qui ne toucherait pas que la France mais pourra se répandre comme une nuée ardente, au ras du sol, dans l’Union européenne. L’Histoire est ouverte, l’avenir est détectable mais non pas prévisible, l’impensable peut se produire. Mais l’Histoire, quand elle déchaine ses vagues, « n’épargne pas le sang », comme disait Jules César.

TF: En règle générale, comment voyez-vous le fonctionnement de l’actuelle présidence ?

Guillaume FAYE: François Hollande n’est pas à la hauteur d’un chef d’État, encore moins que ses prédécesseurs. Le dernier homme à la hauteur fut Pompidou. Pourquoi cette situation ? La cause est sociologique. Les élites, les vraies, se détournent de la carrière politique. Elles se destinent à la carrière économique (y compris à l’étranger). Les élus, le personnel des cabinets ministériels, les ministres sont d’un niveau plutôt en dessous de la moyenne requise par la fonction. Le plus étonnant, c’est au gouvernement, dont les membres (surtout les femmes) sont nommées au regard de critères (y compris la ”diversité”) qui n’ont rien à voir avec la compétence. Mme Duflot, Mme Taubira, Mme Touraine, Mme Filipetti, Mme Belkacem etc. sont des militantes, des idéologues, mais toutes atteintes par le principe de Peter : dépassement du niveau de compétence (c’était la même chose avec Rama Yade, un vrai gag ambulant). Ce n’est pas nouveau : un Kouchner aux Affaires étrangères était aussi inapte qu’un Douste-Blazy ou aujourd’hui que le prétentieux Fabius (rien à voir avec Hubert Védrine). Bref, pas de pros ou trop peu. La sphère politicienne souffre globalement d’un manque de niveau. Autant que d’une absence de vision, d’intuition et de bon sens.

Second élément, très grave aussi : la pollution de la classe politique, droite et gauche, par les briques idéologiques de la vulgate mortifère que nous connaissons bien., notamment sur la question de la préservation de l’identité ethnique européenne. En rupture avec les sentiments intuitifs d’un peuple de souche, invisible et sans droit à la parole.

TF: Par son côté « inamovible », par l’autisme dont semble faire preuve le Président de la République vis-à-vis d’un mécontentement croissant, illustré par une côte de popularité au plus bas, ne peut-on pas y voir là une certaine dérive monarchique, spécifique à la France, a contrario par exemple des Etats-Unis, où il existe, gravé dans le marbre constitutionnel et juridique, une procédure pouvant destituer le Président de ses fonctions (impeachment).

Guillaume FAYE: Le problème n’est pas tant constitutionnel que relevant du ”peuple français” lui-même, qui est très pusillanime. On mérite ceux qu’on élit. La France est une république monarchique, la Grande Bretagne, une monarchie républicaine. Cela dit, deux rois de France sur trois n’étaient pas à la hauteur, pas plus qu’un Princeps Augustus romain ( on traduit faussement pas ”Empereur”) sur deux. Le problème réside plus dans la solidité de la société civile et de la congruence du corps social autour de la Nation. Aux USA, la destitution est exceptionnelle. En France, elle est remplacée par la cohabitation : le Chef de l’État, le PR, rendu impuissant par une majorité parlementaire hostile. Si, après l’élection de M. Hollande, l’électorat avait élu une majorité non-socialiste au Palais Bourbon, M. Hollande n’aurait pas pu appliquer son programme. Il aurait passé ses journées à l’Élysée, à tourner en rond.

TF: Enfin plus généralement que vous inspire l’observation de l’actuelle classe politique, de l’extrême-gauche, au FN inclus, quand bien même ce dernier semble bénéficier d’une certaine notoriété médiatique plus importante qu’auparavant, notamment sous l’impulsion de Marine Le Pen et de l’énarque techno-souverainiste et ancien chevènementiste Florian Phillippot ? Que vous inspire le ralliement officiel du géopoliticien Aymeric Chauprade au FN, lui qui dans la Nouvelle Revue d’Histoire n°22 proposait comme solution au problème migratoire, le fait de « repasser le film à l’envers » ?

Guillaume FAYE: Les réponses à ces questions sont largement exprimées dans mon blog J’ai Tout Compris. Le FN recueille des voix non-politiques, protestataires. Sa critique des actuelles institutions européennes est exacte, mais la vision de l’Europe qu’il en tire est erronée. D’ailleurs, (contradiction) le FN a prospéré sur les élections européennes tout en étant anti-européiste. Passons. Le vote FN est essentiellement motivé par les problèmes d’immigration massive, d’islamisation et d’insécurité, toutes choses liées. Les positions du FN sur l’économie et le social sont erratiques et irréalistes. Le FN occupe une position symbolique dans la dramaturgie politique française mais pas encore gouvernementale. Il y a une forme de jacquerie dans le vote FN.Concernant la question européenne, le FN rejette en bloc l’UE et l’Euro, parfois pour de bonnes raisons critiques. Cependant, les solutions du FN sont techniquement inappropriées. Sortir de l’€uro, c’est 40% d’inflation pour le Franc de retour et la fonte des neiges pour toutes les épargnes. La cata. Il vaut mieux modifier la structure du navire Europe en construction que de le couler. Encore une fois, l’idée européenne est la bonne mais les institutions européennes doivent être corrigées, comme l’idéologie qui les anime. La question centrale est d’ailleurs l’idéologie : une France souverainiste sans UE avec l’idéologie actuelle, il n’y aurait aucune différence. Le poison, ce n’est pas l’UE ou Bruxelles, c’est la mentalité générale qui nous corrompt. Elle est présente au cœur de toutes les élites de chacun de nos pays. Le problème, ce n’est pas l’UE, pas Bruxelles, pas le souverainisme, c’est l’idéologie dominante : le renoncement à l’identité ethnique et culturelle. L’ennemi, ce n’est pas l’ « Europe », c’est une pathologie mentale. Et, si une révolution surgit, une révolte, elle ne pourra être qu’européenne, c’est à dire épidémique – avec la Russie en arrière cour, derrière le décor.Concernant Aymeric Chauprade et sa remarque que vous citez, je dirais que le problème migratoire a atteint un point de non-retour en Europe. Exactement comme un processus thérapeutique qui doit passer des médicaments à l’intervention chirurgicale. Pour résoudre ce problème, il faudra instaurer des protocoles douloureux. Inverser la tendance, repasser le film à l’envers, effectivement, C’est un processus révolutionnaire, qui relèvera d’une polémologie lourde. Je n’en dirai pas plus.

***

Nous continuons la publication thématique de notre entretien avec Guillaume FAYE. Cette fois, nous abordons la figure de Dominique VENNER, fondateur d’un mouvement européiste dans les années 60, et qui s’est donné la mort il y a quelques mois pour inviter les Européens à sortir de leur dormition mortifère.

II. Guillaume Faye et Dominique Venner

TF: Le mardi 21 mai dernier vers 14h40, sur l’autel même de la cathédrale Notre-Dame de Paris, l’historien Dominique Venner, auteur notamment du Cœur Rebelle (autobiographie), d’une biographie d’Ernst Jünger, de « Histoire des Européens. 35.000 ans d’identité », « le Siècle de 1914″, « Le choc de l’Histoire », liste non exhaustive… et aussi directeur de la revue la Nouvelle revue d’Histoire, a mis fin à ses jours.

Guillaume FAYE: Cette nouvelle fut pour moi un choc. Immédiatement, la comparaison avec la mort volontaire de Mishima, nationaliste japonais, m’est venue à l’esprit. Tout d’abord, en s’immolant à Notre-Dame, Venner a signifié que ce sanctuaire chrétien, il se le réappropriait comme païen. S’immoler sur un autel chrétien comme s’il était un réceptacle de sang à la mode capitoline ou delphique, c’est une première dans l’ Histoire. Venner a voulu frapper de stupeur ses contemporains par son geste. Dans un premier temps, je me suis dit : « quel dommage ! » Venner a décidé de conclure sa vie par sa propre volonté, d’organiser la ”chute”, comme disent les scénaristes et les dramaturges. Ne pas laisser sa mort entre les mains du destin, mais la vouloir. Choisir sa fin et lui donner un sens. L’éthique romaine de Regulus dans sa sombre splendeur. Fiat mors tibi. Ta mort n’appartient qu’à toi, même les dieux n’en décident pas, car le païen est un homme libre. L’inverse absolu du païen étant l’adepte de l’islam, c’est-à-dire de la soumission.

TF: Que vous inspire l’homme, son œuvre, ses idées, et quel est selon vous le meilleur enseignement qu’il faut en tirer ?

Guillaume FAYE: J’ai écrit un long texte sur cette question ainsi qu’un hommage funèbre à Venner, « La mort d’un Romain » que j’ai envoyé à Roland Hélie qui l’a diffusé sur Internet. Je vous y renvoie. Venner est celui qui m’a fait entrer en 1970 dans le milieu identitaire de la résistance européenne, pour employer une appellation peu courante. Je n’en dirai pas plus. Sur son œuvre et ses idées, il semble qu’il avait décidé d’aborder les choses sous un angle historique et détourné et non pas polémique et politiquement direct, contrairement à sa stratégie de jeunesse. Néanmoins son message testamentaire et funéraire est très clair quand on le lit honnêtement : Venner s’insurgeait d’abord contre la destruction de l’identité ethnique des Européens. Et il essayait aussi de résoudre ses propres contradictions.

TF: Considérez-vous que son geste, doit être perçu comme étant un acte désespéré, ou un acte politique ? Ou les deux ?

Guillaume FAYE: Il est très difficile de se mettre dans la peau d’un homme qui se donne la mort. Il y a forcément un mélange de motivations intimes et de raisons ”extérieures”. Néanmoins, on peut donner à son désespoir (dont les causes sont complexes) un sens politique. Par là, Venner a très exactement suivi Mishima. Mais il est impudique et ignoble d’interpréter ou pis, de salir un tel geste, comme l’ont fait les Femen. Le suicide est un mystère. Dans les religions du Salut (où le suicide est peccamineux) le martyre remplace le suicide. Mais c’est un autre débat. Dans l’islam, le martyre, sous forme d’une immolation qui tue les ennemis (p.ex. attentats terroristes) trahit une mentalité de paranoïa perverse, liée à une pathologie mentale.

TF: Pensez-vous qu’il puisse réellement servir à « réveiller les consciences », vœu qu’il avait formulé dans le dernier éditorial de son blog ? Qu’il peut réellement avoir un impact, et disons-le « changer les choses » ? Croyez-vous réellement qu’il peut déboucher sur une refondation politique concrète, à l’instar par exemple de l’immolation de Ian Palach en 1968 ?

Guillaume FAYE: C’est une possibilité. La mort sacrificielle a, depuis le néolithique, chez presque tous les peuples, une signification lourde. Même si notre époque tente, en vain, d’évacuer cette dimension. Le suicide de Dominique Venner au chœur de Notre-Dame fera date et n’est pas destiné à être un ”événement” englouti par l’actualité comme une défaite du PSG face à l’OM. Un mythe va se créer, en forme d’exemple, autour de cette mort volontaire. Mais il faudra un certain temps. Venner n’a tué personne en se tuant, il ne s’est pas fait exploser avec une ceinture de dynamite. Il a interrompu sa vie, et il a mis son plongeon dans la mort au service d’un message. Il a suivi très exactement les traces de Yukio Mishima. Maintenant, ce que je viens de vous dire n’est pas une certitude. Chacun suit sa voie. Personnellement, l’idée du suicide ne m’a jamais effleuré comme moyen de faire passer un message. Tout simplement parce que la mort interrompt la délivrance du message. À moins de penser qu’on ait tout dit…

TF: Ou bien en regardant tout ce qui s’est passé (ou plutôt rien passé) depuis dans « la mouvance nationale » au sens large, ne partagez-vous pas le constat formulé par certains, où il ressort un certain cynisme désabusé (Pensons à un récent éditorial de Philippe Randa, reprenant les constats de Nicolas Gauthier et Alain Soral), pour ne pas dire le nihilisme que dénonçait Nietzsche ? En d’autres termes, ce suicide maintenant oublié des media une semaine après alors qu’on est à quasiment J+ 4 mois, a-t-il réellement « servi à quelque chose » ?

Guillaume FAYE: Encore une fois, les commentaires de Randa, de Gauthier et de Soral sont hors-sujet, trop liés à l’actualisme. Les médias importent peu. La mort volontaire de Venner est un fait transmédiatique, qui restera dans les mémoires. La « mouvance nationale » actuelle n’est pas le réceptacle adéquat. Venner a voulu donner à son geste tragique une dimension historique et non pas médiatique et immédiate. Il ne s’adressait pas à ses amis, à ses proches, à la ”mouvance”, dite d’extrême-droite. Il s’adressait à son peuple, c’est-à-dire aux Européens, et son message portait essentiellement sur la préservation de l’identité ethnique actuellement menacée.

***

Nous avons interrogé Guillaume Faye et sollicité son opinion concernant le projet européiste du PSUNE. Tel est son avis sur l’utilité de notre modeste mouvement.

III. Guillaume Faye et le PSUNE

TF: L’Europe ? De l’Islande à la Russie, ou sans la Russie ? Avec le Caucase ou sans ? Avec la Turquie ?

Guillaume FAYE: La Grande Europe, c’est-à-dire l’idée impériale, doit évidemment inclure la Russie. J’avais nommé cela l’ « Eurosibérie ». Mais mes amis russes de l’association Athenaeum, notamment le Pr. Pavel Toulaev, proches de l’Académie des Sciences de Russie, a préféré le terme d’ « Eurorussie ». Bien préférable au terme « Eurasie ». Les mots comptent car ils sont l’interface entre l’esprit humain et les choses. Une union entre l’Europe péninsulaire, l’Europe centrale et la partie est-ouralienne de la Fédération de Russie (en gros UE-Russie), constituerait le plus grand ensemble ethno-économique de la Terre. La question centrale, c’est l’affectivité d’appartenance, qu’on nomme aussi « patriotisme ». Tant que les peuples apparentés de souche, de même origine globale ethno-culturelle, « de l’Ibérie à la Sibérie », de Dublin à Vladivostok ne se sentiront pas membres d’un même homeland, d’un même volk global, les choses seront difficiles. Et puis, dans l’histoire, il a été démontré qu’il faut aussi la conjonction d’une menace globale perçue et d’un égregor, un chef mobilisateur.

La fantastique « union de peuples apparentés » qu’est l’Union Européenne, après tant de guerres entre nous, ne pourra jamais être féconde dans la mollesse prosaïque de réglementations économiques. C’est vrai, on peut penser que l’UE est un début, position dialectique hégélienne défendue par certains mais on peut aussi estimer que c’est une impasse. C’est-à-dire une mauvaise voie pour un bon projet. Il est extrêmement difficile de conclure. L’idée européenne est un grand projet et comme tout grand projet, sa solution demande de pouvoir sortir du labyrinthe.

L’idée européenne est un chantier, un chantier très difficile. Même s’il est assez mal parti, on ne peut pas y échapper. Votre projet, au PSUNE, me semble en tout cas différent dans son orientation idéologique de celle de l’eurocratie actuelle, qui correspond d’ailleurs exactement à l’idéologie des gouvernements des États membres et qui ne s’impose nullement à ces derniers, contrairement à ce que prétendent les souverainistes. Dans mon essai Mon Programme (Éd. du Lore), je formule une critique acerbe des institutions de l’UE, qui ne doit pas du tout être prise comme un renoncement à l’idée européenne.

TF: Que pensez-vous du projet européiste révolutionnaire du PSUNE ? Et (facultativement) de son dirigeant ?

Guillaume FAYE: C’est une belle initiative. Elle est nécessaire parce que les grandes idées doivent nécessairement à leur début avoir un caractère impensable et irréalisable. De Gaulle en 1940 avait une position impensable mais qui s’est révélée gagnante. L’essentiel est de bien sentir la réalité et de soumettre l’idéologie à la praxis, ce que n’a pas fait Lénine, contrairement à ce qu’il avait écrit. La vraie révolution suppose une certaine froideur, une analyse rigoureuse des faits. Un pragmatisme. Mais en même temps une vision, un idéal à long terme. Le PSUNE me semble posséder ces caractères. Thomas Ferrier, son dirigeant, s’inscrit dans un profil humain à la fois idéaliste et réaliste, ce qui correspond aux deux jambes de la démarche politique. Le PSUNE, à côté d’une démarche politique, doit penser à faire un long travail métapolitique d’influence.

TF: Que pensez-vous de l’idée de « nationalité européenne » qui permettrait de refonder sur des bases juridiques une citoyenneté que les Etats ont dévoyée en la conférant à n’importe qui ? La tabula rasa, qu’implique la naissance d’une Europe-Nation vierge juridiquement ne permettrait-elle pas de rendre tout possible, nous libérant non seulement de traités internationaux contraignants mais aussi des constitutions des Etats, véritables machines à enfermer et à trahir le peuple ?

Guillaume FAYE: Cette solution est parfaite d’un point de vue théorique, mais il est long le chemin de la coupe aux lèvres. D’autre part, attention : c’est aujourd’hui Bruxelles qui défend une ouverture des frontières à l’immigration, avec l’accord des États membres qui pourraient le refuser, et ce, pour la fausse bonne raison de compenser le déficit démographique européen. Fausse bonne raison, car le Japon, qui est dans la même situation refuse l’immigration. Il n’en meurt pas, au contraire, cela l’incite à l’innovation . Comme je l’expose dans « Mon programme » (Éd. du Lore), il faut revoir de fond en comble le fonctionnement de l’Union européenne. L’idée est bonne, mais la forme ne l’est pas. Par exemple, la garde à vue simplifiée pour les clandestins exigée par la Commission européenne et les mesures pro-immigration exigées par la Cour européenne de justice sont catastrophiques pour l’Europe elle-même. En l’état actuel, un pouvoir français qui, par exemple, appliquerait en matière d’immigration, d’expulsions, de statut des étrangers, etc. quelques unes des mesures que je prône, serait obligé d’affronter les institutions européennes et de contrevenir aux règles juridiques de l’UE.

Dans l’absolu, une nationalité européenne différente d’une citoyenneté nationale-étatique, plus restrictive que cette dernière, et donnant droit à des statuts juridiques spécifiques, supposerait un processus de rupture révolutionnaire par rapport à la philosophie du droit de l’UE. Il y aurait « rupture d’égalité ». Car refuser la nationalité européenne aux citoyens non-européens d’origine des États-Nations ne s’inscrit pas dans les principes généraux du droit de l’actuelle UE. Je suis donc bien d’accord : il s’agirait d’un passage en force révolutionnaire. Abolissons l’édit de Caracalla !

***

Guillaume Faye est le théoricien le plus représentatif de l’européisme identitaire, à savoir que l’Europe est sa patrie, et pas une simple construction politique ou économique. Auteur du Nouveau discours à la Nation Européenne (nouvelle édition en 1999), et de nombreux autres ouvrages dédiés à la défense de notre civilisation, son dernier étant Mon Programme, écrit pour enrichir le débat au moment des élections présidentielles de 2012. [...].

IV. Guillaume Faye et l’Europe unie

TF: Bonjour Guillaume Faye. En 1999, vous ressortiez votre « Nouveau discours à la nation européenne », et en 2012 « Mon programme ». En 1999, vous affirmiez que « l’Union Européenne (…) est la mise en œuvre du projet d’union des cités grecques ». En 2012, dans le cadre de la campagne électorale, en revanche, vous déclarez ne plus défendre « la thèse des Etats-Unis d’Europe ». Qu’est-ce qui a changé, selon vous ?

Guillaume FAYE: Ce qui a changé, c’est l’histoire. L’idée d’union européenne a été dévoyée de l’intérieur. Mais ce n’est pas une raison pour l’abandonner. Quand vous aimez une femme et qu’elle vous trompe, ce n’est pas forcément une bonne raison pour cesser de l’aimer et de la détester. Pour l’instant, les États–Unis d’Europe doivent être mis entre parenthèses provisoires. Ce n’est pas néanmoins un argument pertinent pour être souverainiste. J’ai conscience qu’étant profondément machiavélien (au vrai sens du terme et non pas vulgaire), ma position peut poser problème.

TF: Dans « Mon programme », au chapitre sur la France et l’Europe, vous émettez des propositions que pourraient soutenir les souverainistes, avec un « conseil des gouvernements de l’Union », l’abolition du parlement européen, l’abrogation des accords de Schengen, même si vous prônez le maintien de l’€uro, avec exclusion des Etats surendettés, ce qui les amènerait objectivement à la ruine. Vous-êtes-vous converti au souverainisme ou est-ce simplement que, le cadre choisi par l’ouvrage, se plaçant dans une logique nationale, en lien avec les élections présidentielles, amène nécessairement à restaurer la « souveraineté nationale », en attendant une (éventuelle) souveraineté européenne ?

GF: La véritable Union européenne, de puissance, ne pourra se construire qu’autour d’institutions lisibles et simples. Nous sommes actuellement dans une situation ingérable, bureaucratique. Sans vrai fédérateur. L’essentiel est l’Idée Européenne qui, comme je l’ai répété est d’abord ethnique avant d’être économique, institutionnelle ou administrative. On a mis la charrue avant les boeufs. Le sentiment détermine les institutions et non l’inverse. Les Cités grecques ne se sont unies que face à un ennemi commun. En réalité, il faudrait la naissance d’un souverainisme européen. Mais il y a loin de la coupe à la bouche. L’idée européenne ne fonctionnera jamais tant qu’elle ne sera pas affectivement présente chez nos peuples. Ou alors, c’est du calcul de technocrates, sans aucune chance de réalisation. L’histoire a pour matière une certaine exaltation. L’Union européenne ne propose aucun idéal mobilisateur, pas plus – voire beaucoup moins, hélas – que les États qui la composent. Ce qui ne veut pas dire que j’abandonne mon idéal central de Nation Européenne (souveraine).

L’idée officielle actuelle d’Union européenne est l’inverse même de celle de Nation européenne. C’est contradictoire, mais c’est le jeu de la dialectique historique. Compliqué, n’est-ce pas ? Les institutions nouvelles que j’ai proposées dans ce livre procèdent du réalisme. Je me méfie de ce paradoxe qu’est le romantisme technocratique. Maintenant, je ne suis pas un gourou, j’ai une analyse variable. Qui peut prétendre avoir raison alors même que nous ne connaissons pas l’avenir et que nous voyons assez mal le présent ? La détermination de Thomas Ferrier pour des États-Unis d’Europe est une position qui doit être poursuivie, tentée. L’essentiel est l’unité de l’Europe, ethniquement, quelle que soit sa forme. Machiavel, suivant Aristote son maître, disait que seul compte le but. Les formes sont toujours assez secondaires.

TF: Même si le parlement européen n’a aucun pouvoir, il dispose d’une relative légitimité démocratique, en ce sens où des formations politiques marginales au sein de l’assemblée nationale, en raison d’un mode de scrutin majoritaire, peuvent y être représentées. En ce sens, à l’instar des Etats généraux en 1789, le parlement européen ne peut-il être l’antichambre d’une assemblée européenne constituante par auto-proclamation pour peu que des européistes authentiques y soient majoritaires ou en tout cas une forte minorité mobilisatrice (30% des députés par exemple) ? Une institution n’est-elle pas en mesure de s’émanciper et de prendre le pouvoir, malgré ses traités fondateurs ?

GF: Cette remarque est théoriquement vraie mais pratiquement problématique. Les institutions européennes ne sont pas démocratiques puisque la Commission viole en permanence les traités en passant du rôle d’exécution à celui d’ordonnancement. Le Parlement européen ressemble à une chambre d’enregistrement napoléonide. Bien sûr, une révolution serait possible. Le problème est que le Parlement européen n’est qu’une coquille vide. L’idée d’une assemblée européenne constituante et révolutionnaire ? Pourquoi pas ? Piste à suivre. Mais ce genre de situation ne sera possible que dans un contexte de crise très grave.

Il faudrait étudier sérieusement la possibilité juridique d’une révolte parlementaire européenne. L’idée est intéressante, on ne peut que la souhaiter même si l’on en doute. L’idée est brillante mais elle se heurte à la pesanteur d’une opinion publique matraquée et d’élites médiocres. Cela dit, en cas de crise très grave, une prise de conscience européenne globale est possible. Le recours au Parlement européen serait intéressant. Qui sait ? Dans les situations tragiques, l’ordre juridique et institutionnel connaît une distorsion bien connue des historiens. Voir à ce propos la remarquable biographie de Pompée par Éric Thessier (Perrin). Le Parlement européen pourrait-il devenir une instance révolutionnaire ? Dans l’histoire romaine (où le Sénat fut nul) comme dans d’autres, c’est un Princeps qui rétablit l’ordre de marche.

TF: En 1999, vous prôniez la subversion de l’Union Européenne et non la confrontation avec elle, « montons dans l’avion européen et jouons aux pirates de l’air, en montant en douce, puis braquons le pilote ». En 2012, vous évoquez l’idée que la France « fasse chanter » l’Union Européenne pour exiger d’elle une refonte totale.

GF: C’est vrai. Mais le problème, c’est que, tragiquement, l’avion européen n’a pas de réacteurs (contrairement à ce que j’avais cru) et ne peut même pas décoller. On ne s’amuse pas à braquer un avion au sol. En réalité, l’Union européenne est un être politique virtuel. Contrairement aux souverainistes français, je ne ne me réjouis pas de l’impuissance de l’UE. Celle de l’État français est la même. Le mal est global. Bien sûr, j’ai prôné une refonte totale de l’UE. Dans un sens machiavélien : reculer en apparence pour avancer en réalité. Il faut refonder complètement les institutions de l’UE, selon mes principes. Pour renforcer l’Europe.

TF: Demeurez-vous un européiste qui attend que la flamme de la foi en l’Europe se réveille ? Ou avez-vous abandonné l’espoir d’une révolution européenne, d’une république européenne ?

GF: Mon espoir est évidemment celui d’une nation européenne globale. Tout mon courant de pensée a toujours été celui du nationalisme européen, respectueux de tous les autres.

Un entretien de Guillaume Faye par Thomas Ferrier, 2013.

LA DESINDUSTRIALISATION CONTINUE

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LA DESINDUSTRIALISATION CONTINUE
On achève bien le quaternaire…

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr
Qu’arrive-t-il quand on ne fait plus que compter ses sous, qu’on n’a pas de stratégie politique et qu’on raisonne avec des œillères idéologiques ? On s’enfonce chaque jour un peu plus dans le marasme et là, le marasme c’est la désindustrialisation à coupes sévères du pays. Les réductions  dans le budget Défense inquiètent, par exemple,  fortement les industriels.
 
Le ministre du Budget préparerait en effet des coupes nouvelles et brutales dans le budget de la défense que le président François Hollande s’était engagé pourtant à préserver. Bercy et le gouvernement le feraient, faute de vouloir toucher là où cela fait mal : la couverture maladie universelle, le RSA, le mille-feuille administratif, l’abaissement de la dépense publique trop importante, elle-même générée par l’absence de réforme des structures territoriales (suppression du département) ou de l’éducation nationale. « On parlerait d’annuler 600 millions d’euros de crédits supplémentaires sur le budget de la défense », a déclaré à l’AFP Marwan Lahoud, président du Gifas, qui regroupe les sociétés spécialisées du secteur de l’industrie aéronautique, spatiale et militaire, et qui est aussi le chef de la stratégie du groupe d’aéronautique et de défense EADS.
 
Les nouvelles annulations vont porter cette fois-ci sur des dépenses d’équipement et l’impact de ces réductions en sera terrible dans la société civile. Pourquoi ? Une fois de plus, nos dirigeants oublient le quaternaire, ce concept économique de Gaston Bouthoul qui ne fut d’ailleurs nulle part enseigné alors qu’il était novateur en son temps car il stipulait et soulignait bien que la clef de voûte d’une économie moderne, d’une économie de puissance était son industrie militaire.
 
Les grands groupes industriels seront touchés par les coupes brutales prévues mais ce n’est pas le pire. Le pire, c’est l’atteinte à la recherche développement et ce qui suivra, les deux tiers des annulations qui affecteront les laboratoires de recherche et les équipementiers avec qui les grands groupes sous-traitent la plupart du temps. Tout le tissu de la sous-traitance militaire, un savoir-faire et un dynamisme exceptionnel, par exemple dans la robotique ou les nanotechnologies va être attaqué. Or,  il représente à lui seul des milliers d’emplois mais surtout l’usine de l’avenir. L’industrie de la défense se prépare donc à accepter contrainte et forcée la réduction des crédits militaires dans son industrie, ce qui va entraîner des réductions et des étalements de programme dans les années à venir.
 
En touchant aux programmes militaires industriels, le gouvernement poursuit la désindustrialisation accélérée du pays et accélère le processus de fuite des cerveaux. Que restera-t-il alors en France ?  On n’entend plus le verbe haut d’Arnaud Montebourg devenu le commissaire à la désindustrialisation. On nous dira qu’il n’y a pas d’autre politique possible mais oh que si !... Il faut réduire les dépenses sociales, les subventions aux associations, supprimer une grande partie des niches fiscales, s’attaquer au nombre d’élus, bref s’attaquer au parasitisme français mais surtout pas aux forces vives de l’industrie du futur. 

samedi, 16 novembre 2013

EU verbiedt chocoladesigaretten


EU verbiedt chocoladesigaretten

Ex: http://xandernieuws.punt.nl

Ondergetekende was hier met Sinterklaas als kind gek op, maar heeft in zijn leven nog nooit één echte sigaret gerookt.

Toen een officieuze VN-official onlangs suggereerde dat Zwarte Piet racistisch zou zijn en daarom verboden zou moeten worden, brak de hel los in ons land. Nu knabbelt ook de Europese Unie aan het traditionele Sinterklaasfeest, door chocoladesigaretten te verbieden, omdat ze kinderen zouden aanzetten tot roken. Echte sigaretten, dus die met tabak, teer, koolmonoxide en nicotine, blijven echter gewoon verkrijgbaar.

Het EU-parlement heeft de verkoop van sigaretten, sigaren en pijpen van chocolade, drop en marsepein in heel Europa verboden. 'Geïmiteerde tabakswaren, die voor minderjarigen aantrekkelijk zouden kunnen zijn en een potentiële ingang naar de consumptie van tabakswaren laten zien, worden verboden,' luidt de tekst van een nieuwe EU-richtlijn, die door het parlement met een duidelijke meerderheid werd aangenomen.

De echte ziekenmakende staafjes mogen echter nog altijd gewoon verkocht worden, waarschijnlijk omdat zowel de producenten als de kankerindustrie (het medische-farmaceutische complex) hier jaarlijks miljarden aan verdienen. Wel komt er over 3 jaar een verbod op sigaretten met smaakjes, en over 5 jaar op mentholsigaretten (2). Naar schatting zouden er jaarlijks 700.000 EU-burgers overlijden aan de gevolgen van het roken (3).

De EU haalde de afgelopen tijd vaker het nieuws met buitengewoon belangrijke nieuwe richtlijnen, zoals het verplicht terugdraaien van het vermogen van stofzuigers naar maximaal 900 watt, omdat dit het milieu zou sparen. Enkele jaren geleden werd om dezelfde (drog)reden de klassieke gloeilamp verboden, waardoor iedereen moest overschakelen op de veel duurdere, snel kapot gaande en qua productie en verwerking veel milieuvervuilendere spaarlamp.

Xander

(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten
(2) NOS
(3) NOS

Quel avenir pour l’industrie navale militaire européenne ?

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Quel avenir pour l’industrie navale militaire européenne ?

Ex: http://alliancgeoestrategique.org

Par ce billet, il est proposé de prolonger la réflexion initiée par ma première collaboration avec un « agsien » (Mon Blog Défense) en novembre 2009 : « Consolidation du secteur terrestre en Europe : scénarios possibles« . Récemment, un autre allié m’a gracieusement donné quelques retours du colloque « Quelle consolidation pour notre industrie d’armement et de Défense ? » organisé par le Club Participation et Progrès et la Revue de Défense Nationale. Revenons, si vous le voulez bien, sur le cas de l’industrie navale.

Trois grandes options ?

L’industrie navale européenne, en général, et française en particulier, pourrait être restructurée selon deux ou trois grandes hypothèses :

  • l’EADS naval,
  • le projet du groupe Dassault de devenir un « French BAE » à travers Thales,
  • un projet alternatif qui pourrait être un groupe mi-civil, mi-militaire.

En ce qui concerne la seconde hypothèse, Thales a d’ores et déjà un pied dans DCNS (35%) et souhaite en faire de même dans Nexter. Thales voudrait continuer à monter au capital de DCNS, ce qui n’enlève en rien le besoin de former une ou des alliances.

L’EADS naval

Le partage industriel est d’une particulière complexité dans l’industrie navale par rapport à ce qui peut se faire dans d’autres industries d’armement. Il n’est pas de ma compétence d’expliquer le pourquoi du comment, néanmoins, quelques exemples et remarques peuvent, au moins, illustrer cette difficulté.

Premièrement, un chantier naval est une somme de compétences humaines comme n’importe quelle entreprise. A la remarque près qu’il y a des compétences que l’on ne trouve que dans des chantiers navals. Certains travaux de soudure ne se réalisent que sur des chantiers bien précis (comme par exemple la soudure de tôles d’acier à haute limite élastique pour les sous-marins). Le temps est nécessaire pour acquérir ces compétences et il faut un volume de travail continu pour les préserver et les renouveler (ceux qui ne respectent pas cet ordre des choses ont bien des difficultés). C’est pourquoi seuls les chantiers qui répètent les mêmes travaux parviennent à rentabiliser ces investissements humains.

Deuxièmement, il est tout aussi difficile de partager la construction du « flotteur », c’est-à-dire le navire en lui-même. Nous parlons d’un EADS naval et peut être avons-nous en tête l’image des éléments des Airbus qui transitent en Europe par la mer, la route ou les air. Cette mobilité est difficile à reproduire dans le naval. Par exemple, la construction des frégates La Fayette a été modulaire, en ce sens où le navire était un assemblage de blocs pré-armés. Et le plus gros de ces blocs atteignait 300 tonnes ! Mais il n’est pas impossible d’échanger des blocs de bateaux entre chantiers navals comme en témoignent les programmes Scorpène, FREMM et BPC pour ne citer qu’eux.

Troisièmement, si la mobilité n’est pas un frein au partage des tâches industrielles, il se heurte à la question de la rentabilité. L’ouvrage « Les frégates furtives La Fayette » (éditions Addim) nous apprend que c’est parce qu’il était question de construire et le porte-avions nucléaire Charles de Gaulle et douze frégates La Fayette que la DCN a pu investir dans de nouvelles grues. La construction modulaire générait donc plus de gains si les blocs étaient moins nombreux, mais donc plus lourds. C’est donc pourquoi l’administration avait investi dans des engins de levage ayant une capacité de 1000 tonnes. Finalement, il faut donc avoir un minimum de volume à construire pour rentabiliser la modernisation de l’outil. A titre d’illustration, la première La Fayette a été construite en dix-huit mois, contre une trentaine de mois onze années avant ce chantier pour un bâtiment de combat. Le Courbet, troisième unité de la série, fut assemblé en six mois…

Quatrièmement, et quand bien même nous voudrions atteindre une telle organisation industrielle, il faudrait que les classes de frégates soient communes. La construction modulaire n’interdit pas de changer les senseurs et les vecteurs. A priori, si nous devions exagérer un peu, il faudrait dire alors que le seul bâtiment en construction entre plusieurs chantiers qui soit d’un modèle vraiment commun est le SNA Virginia dont deux chantiers américains se partagent la construction ou les Scorpène du temps où ils étaient construit entre la France et l’Espagne…

Cinquièmement, même le partage des études de développement des bateaux et l’achat de gros équipements en commun a été une source de déceptions. Le programme FREMM en est la parfaite illustration malheureusement. Patrick Boissier, lors de son audition devant la commission de la Défense et des forces armées à l’Assemblée nationale en mars 2013, précisait notamment que :

  • « Le programme FREMM prévoit une conception commune en amont, et l’achat en commun de la turbine, du système de stabilisation, du système de guerre électronique et du sonar. Ces matériels représentant environ 10 % du coût du navire, l’opération permet d’économiser à peu près 1 million d’euros par bâtiment« .
  • « Moins de 10 % du coût des études a été mutualisé, ce qui représente une économie apparente de 50 millions d’euros pour chacun des partenaires. En fait, si l’on tient compte du coût supplémentaire des études spécifiques relatives aux plateformes différentes pour chaque pays, et du surcoût lié à la coordination, le montant économisé est ramené à une quinzaine de millions d’euros. En définitive, grâce à cette coopération, la France aura donc économisé environ 30 millions d’euros, soit 1 % à 1,5 % du coût total du programme« .

De ce que nous pouvons constater c’est que nous sommes passés d’un cycle à l’autre, d’une tendance à une autre. Dans les années 90 il était question de grands programmes multilatéraux communs, comme la frégate NFR90 otanienne.

Néanmoins, de la fin des années 90 aux premières années 2000, le multilatéralisme a disparu. Il est apparu que les européens ne lançaient plus que des programmes à deux ou trois dans le domaine naval. Par exemple, la frégate NFR 90 a donné naissance à trois projets antagonistes :

  • le programme Horizon centré sur le PAAMS,
  • les frégates AEGIS européennes,
  • la frégate Charles Quint entre l’Allemagne, l’Espagne et les Pays-Bas.

Surtout, ce qui a changé c’est que la coopération se fait beaucoup plus sur les équipements et les systèmes (typiquement le PAAMS) que sur les bateaux eux-mêmes. C’est une évolution tout à fait étonnante car le programme de Chasseurs de Mines Tripartite (France, Belgique et Pays-Bas) avait été une vraie réussite, même la modernisation avait été commune (sauf la construction). Enfin, et c’est peut être le plus contraignant, les chantiers navals européens ont développé des solutions nationales à proposer à l’exportation.

C’est pourquoi l’EADS naval semble bien difficile à imaginer car tant le partage industriel que la concurrence actuelle entre les chantiers supposent… moins de chantiers. Est-ce pour cela que les chantiers ne se lancent plus que dans des produits nationaux et que les gouvernements ne coopèrent plus dans le domaine naval ?

Le chantier naval est-il encore facteur de la puissance navale ?

C’est la question douloureuse : qui accepterait de ne plus assembler un navire dans son pays ? De tous les temps, quand une puissance navale émerge c’est à partir d’un outil industriel capable de construire les vaisseaux qui porteront ses ambitions. La mise en construction d’unités à l’étranger n’avait alors pour but, non pas de réaliser des économies, mais bien d’accélérer un mouvement. C’est ce que fit en France Colbert pour hâter l’émergence de la Marine royale comme première force navale mondiale.

Le cas du Nord de l’Europe est particulièrement central dans le débat. Dans « De la Mer et de sa Stratégie » (aux éditions Tallandier), l’historien Philippe Masson nous retrace le passage du centre de gravité du monde de la Méditerranée à l’Atlantique. A cette fin, il fallait des bateaux hauturiers capables d’affronter l’Atlantique. Et justement, ce sont les puissances maritimes émergentes du Nord de l’Europe qui inventèrent les vaisseaux de haut bord : cogue, carraque, etc…

Est-ce que ces puissances maritimes sont arrivées au bout du cycle à l’occasion du basculement du centre de gravité du monde de l’Atlantique au Pacifique ? Si nous devions adopter cette lecture alors cela expliquerait deux mouvements. Le premier est que un programme comme le Littoral Combat Ship américain trouve ses racines dans les programmes de corvettes du Nord de l’Europe. Ainsi, l’Europe du Nord serait parvenu au terme d’un cycle technologique sur le plan historique.

C’est donc un revirement historique complet. Il est à modérer car ces puissances maritimes du Nord-Est gardent un fort investissement technologique. Mais le volume de leur flotte se réduit inexorablement.

La survie par le sous-marin ?

Dans ce contexte, il y a ceux qui veulent survivre et il y a les autres. L’industrie navale civile a montré que l’innovation n’avait pas révolutionné le secteur : quand le tonnage à construire diminue trop cela implique que des chantiers ferment. Et des chantiers ferment à l’image de Rauma en Finlande ou de Brest qui a tourné la page de la construction navale militaire. Autre signe que la bataille est intense c’est la course aux commandes qui implique de plus en plus les gouvernements.

Si bien que il convient de remettre sur le devant de la scène que pour les industriels de la navale militaire, le graal n’est nullement la frégate mais bien le sous-marin. La majeure partie des bénéfices est tirée de l’activité sous-marine. Pour la construction d’un sous-marin, la part de la coque dans le coût unitaire de production est significativement supérieur à ce qu’elle peut représenter pour un navire de surface. A titre d’exemple, pour le PA2, la coque c’était 982 millions d’euros pour 2500 millions d’investissement. Et la part du flotteur dans le coût d’une frégate est bien moindre.

Le cas des programmes de sous-marins à propulsion classique peut donc être éclairant sur la situation de la navale militaire européenne :

  • l’entreprise Allemande TKMS n’aurait racheté le Suédois Kockums que pour mieux le torpiller (un comble). En obtenant le contrôle de l’entreprise, les allemands se donneraient les moyens d’empêcher le développement d’un nouveau sous-marin (l’A-26) et empêcherait l’entreprise suédoise de concourir à l’export (que les suédois doivent regretter le grand temps du projet Viking…).
  • Navantia, entreprise espagnole avait un avenir radieux du temps de la coopération avec la France centrée sur un sous-marin, le Scorpène, qui entamait une carrière commerciale plus que prometteuse. Depuis que Madrid a choisi de nationaliser le Scorpène et de le produire sous le nom de S-80, tout va mal. L’attente du nouveau sous-marin occasionne des surcoûts (30 millions pour le carénage du Tramontana) et les problèmes rencontrés dans son développement engendrent des surcoûts non-négligeables : 200 millions d’euros. Ajoutez à cela que Bruxelles a récemment demandé aux chantiers navals espagnols de rembourser les subventions perçues de Madrid (3 milliards d’euros) et vous comprendrez mieux pourquoi l’entreprise ne serait pas loin de la faillite à l’heure actuelle.
  • Fincantieri, société italienne, a construit sous licence quatre U-212 de conception allemande pour le compte de la Marina militare. Alors que l’Italie concevait ses sous-marins. Rome tente de renouer sur le marché de l’exportation grâce à une coopération avec les Russes sur un sous-marin côtier de la classe des 1000 tonnes (à moins que Moscou ne fasse que piéger les Italiens comme les américains l’ont fait avec le C-27J pour que les Italiens se retirent de l’A400M).
  • BAE Systems conçoit les SNA et SNLE au service de Sa Majesté. Néanmoins, le trou entre les classes Vanguard et Astute a créé une telle perte de compétences que ce sont les américains qui ont rattrapé les Astute. BMT essaie bien de relancer un sous-marin classique de conception anglaise pour l’exportation mais il ne semble pas réussir à quitter les Power point. Et il y a cette affreuse affaire des sous-marins vendus au Canada.
  • TKMS vit grâce à des succés considérables (U-209 et U-212/214). Les Allemands sont peut être arrivés au bout d’un cycle. Espagnols et français les ont quasiment évincé d’Amérique du Sud grâce au Scorpène, même pour la modernisation d-U-209. L’Asie est un grand marché, mais l’est-il encore pour les sous-marins ? La Corée du Sud tente l’aventure du sous-marin de conception nationale après avoir longtemps acheté allemand. Et Séoul a tenté de vendre des U-209 pour l’Indonésie. Ce qui gêne Berlin, c’est que les coréens n’avaient la licence que pour construire pour la marine sud-coréenne… Et la concurrence s’annonce féroce pour les autres marchés.
  • Les Russes sont un cas à part car ils gardent un grand plan de charge industriel, d’une part, et ils doivent restructurer un outil industriel qui n’est pas parvenu à maturation malgré tous les efforts entreprises depuis 10 ou 15 ans. Entre les difficultés rencontrées sur le Lada, qui devait prendre la succession des Kilo, et ce fâcheux incendie sur un Kilo indien qui revenait d’un grand carénage en Russie, d’autre part.

Les deux « contrats du siècle » viendraient de l’Australie (12 unités) et de la Norvège (4 à 6 unités). Ce ne serait pas les seuls grands contrats. Mais ce sont les deux prochains dans un contexte de rationalisation européenne.

France : un outil industriel exceptionnel

Au milieu de cet océan de marasme, la France rayonne. Son industrie navale militaire, et en particulier dans le cas des sous-marins, bénéficie de deux avantages stratégiques décisifs :

  • la chaîne de production de sous-marins tourne en continue depuis… les débuts du sous-marin en France il y a 120 ou 130 ans (moins les années de guerre). L’alternance dans les constructions et conceptions de SNLE et SNA permettent à l’entreprise de tirer les bateaux vers le haut (n+1), de réutiliser ses investissements sur les SNA et donc, de vendre à l’export ce qui est « n-1″.
  • La France n’a jamais cessé de vendre des sous-marins sur le marché de l’exportation : le moindre problème de tuilage entre SNLE et SNA pouvait être compensé totalement ou partiellement par l’exportation.Sur

Sur un plan plus général, il convient d’être réaliste : nous disposons d’un outil industriel exceptionnel. Il est le fruit d’un long travail. Au début du XXe, notre outil industriel naval était inefficace :

  • quand la construction du cuirassé Dreadnought coûtait 35 milliards de livres à Londres,
  • la France construisait des cuirassés pré-Dreadnought pour 45 milliards de livres.

Depuis les années 60, la productivité de l’outil s’est redressé jusqu’aux succès éclatant des programmes La Fayette, BPC et FREMM (même si pour ce dernier programme, l’efficacité n’a pas pu être atteinte du fait de la casse du programme).

France : la question des capitaux

Le problème français touche, justement, les sous-marins. Nous avions formé une alliance avec les Espagnols car Madrid pouvait financer le coût de développement d’un nouveau sous-marin à propulsion classique quand l’administration DCN et l’Etat ne le pouvaient pas en France. Nous n’avions pas les moyen de financer l’après Agosta. Il en est résulté le Scorpène.

Cette difficulté existe-t-elle encore aujourd’hui depuis que DCN est devenue DCNS et que l’entreprise peut se constituer des fonds propres ? L’exemple de l’Adroit montre qu’il y a peut être espoir que l’entreprise puisse se développer « seule ». Et le cas du Scorpène était assez emblématique puisque le Chili était le client de lancement alors que ni la France, ni l’Espagne n’avait commandé ou mis en service ce sous-marin… Ce qui défi les « règles » en la matière.

Quelles alliances ?

Le nein allemand

Le rapprochement naval franco-allemand est suffisamment ancien pour être devenu un serpent de mer et constituer le coeur du projet d’un EADS naval. Typiquement, aujourd’hui, DCNS cherche à acquérir son concurrent allemand, TKMS. Berlin est si opposé à la chose que le pouvoir allemand a ouvert le capital de l’entreprise à des investisseurs du Golfe plutôt que de laisser le Français prendre le contrôle. Quelque part, cela est peut être lié au destin de l’électronicien naval Atlas Elektronik qui était passé sous le nez de Thales, pourtant favori, pour être racheté par EADS et TKMS.

Le divorce franco-espagnol

La France a vendu des sous-marins de classe Daphné à l’Espagne. Elle a ensuite transférer le savoir-faire nécessaire aux espagnols pour qu’ils puissent assembler sur place les sous-marins de classe Agosta acheté par Madrid. Et enfin, Français et Espagnols ont coopéré pour concevoir ensemble le Scorpène. L’Espagne pris dans la folie des grandeurs de ses ambitions industrielles a préféré tourné le dos aux français pour tenter l’aventure d’un sous-marin de « coneption » nationale avec le choix d’équipements et de systèmes américains. A priori, l’affaire est entendue pour DCNS qui ne semblerait pas enclin à pardonner.

Les autres ?

Les Hollandais semblent abandonner construction et conception de sous-marins. Les Italiens n’ont plus rien conçu depuis bien longtemps . Si les Suédois ne réagissent pas et que l’A-26 ne voit pas le jour ils risquent également le naufrage.

Des surprises ?

Pour en revenir à l’industrie navale civile, il faut rappeler combien le raid du Sud-Coréen STX avait été une surprise. L’entreprise est accusée d’avoir racheté des chantiers navals européens, autrefois détenu par (autre signe du périclitement du Nord de l’Europe) pour piller les savoir-faires. Aujourd’hui, ses actionnaires lui demande de quitter le continent européen : que vont devenir tout ces chantiers civils ?

Cela nous amène à deux options :

  • la première est que les Coréens, et d’autres, ne se contentent plus de construire es navires logistiques pour les marines européens mais bien les coques de navires de combat. C’est déjà le cas de tel ;
  • la seconde option consiste à un nouveau raid d’une entreprise étrangère en Europe pour prendre le contrôle d’un ou plusieurs chantiers : n’est-ce pas ce qui s’était passé avec STX et les entreprises d’armement terrestre européennes rachetées par des sociétés américaines ?

Enfin, nous pourrions aussi assisté à des achats pur et simple de navires de combat à l’étranger, sans même l’ombre d’une conception de quoi que ce soit en Europe. Par exemple, les marines nord-européennes ont développé des frégates de défense aérienne apte à servir d’élément d’un bouclier anti-missiles. La Corée du Sud et le Japon conçoivent bien des destroyers (Kongo et KDX-3) aptent à la lutte anti-missile balistique.

Conclusion

Notre industrie navale est, comme le reste des industries de défense nationale, fondée sur un amortissement des dépenses d’armement par l’export. L’Asie nous concurrence déjà. L’Amérique va tenter de le faire mais elle souffre de deux maux : des produits inadaptés au marché et un manque de productivité savamment caché.

En plus de voir le marché de l’exportation se réduire par accroissement de la concurrence (alors que les volumes devraient encore augmenter), nous devons anticiper une réduction de la demande européenne. Cette restructuration passera inévitablement par la fermeture de chantiers et de bureaux d’études dans la douleur.

Nous pourrions croire que les chantiers européens qui resteront bénéficieront donc d’une sorte de report de charge, même amoindri. Néanmoins, comment ne pas imaginer que dans une perspective de soutien à des politiques commerciales, l’achat de navires de combat constitue un nouveau moyen de négociation commercial ? Dans un autre ordre d’idée, la course à la technologie européenne dans les navires de combat pourrait également rencontrer quelques programmes navals « modérés » américains. Le Joint Strike Fighter illustre assez bien ce qui pourrait se produire.

Il reste la question des alliances, mais avec qui ? Les allemands sont fuyant et un bon accord commercial pour eux, c’est un produit à 80% allemand : du char Napoléon aux coupes allemandes d’aujourd’hui dans les programmes internationaux, cela est assez clair. De plus, nous ne savons pas si les autres chantiers européens vont tomber et s’ils tomber, combien de temps cela prendra.

La surprise pourrait peut être venir de l’Angleterre si Londres se révèle incapable de restructurer son outil naval. Un syndicat anglais avait brandi la menace que les futurs porte-aéronefs Queen Elizabeth soient construit et entretenus en France. Etait-ce de la pure provocation ? Néanmoins, entre les accords de Nassau et le fait que Londres reprennne le large en cherchant à s’affranchir de l’Europe, il y a actuellement un grand pas à franchir.

Une dernière option ?

Elargissons avec une dernière hypothèse. Tout au long du XXe siècle, notre industrie navale s’est restructurée « intelligemment ». L’outil s’est progressivement rationalisé autour de trois chantiers :

  • Cherbourg qui fabrique des sous-marins,
  • Lorient des frégates,
  • St Nazaire tout ce qui est plus gros qu’une frégate.

L’échec du programme FREMM illustre la difficulté française à maintenir de grands programmes de navires de surface (ce qui était une des leçons de l’époque colbertienne et qui est bien mise en oeuvre aux Etats-Unis avec les destroyers Arleigh Burke). Les frégates sont construites en série car il faut maintenir toute une chaîne industrielle à Lorient. Il y aurait alors deux autres manières de faire pour contourner la difficulté :

  • externaliser les activités de chaudronnerie à d’autres entreprises de chaudroneries ; le chantier naval se conteraient d’armer les blocs et de les assembler (ce qui était un peu le cas de la construction des U-Boat pendant la seconde guerre mondiale) ; ce qui n’est pas sans poser quelques difficultés pratiques ; ou bien faire assembler les coques conçues par des bureaux d’études européens par des chantiers à bas coût et les faire armer en Europe : c’est peu ou prou le cas des bâtiments logistiques anglais ;
  • ne plus construire les frégates en série mais en lot au sein d’un chantier vivant de programmes civiles lui permettant de conserver tout ou partie des compétences sans avoir besoin de construire continuellement des navires militaires un autre chantier préserve toute ou partie de ces compétences sur une multitude de classes de navires. Lorient fermerait alors au profit de St Nazaire.

La possible vente des chantiers de STX en Europe pose la question du devenir de St Nazaire, seul chantier français capable de construire porte-avions, navires amphibies et unités logistiques…

Le marquis de Seignelay

jeudi, 14 novembre 2013

Dimension génocidaire de l’accord de libre-échange USA-UE

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Dimension génocidaire de l’accord de libre-échange USA-UE

Ex: http://www.dedefensa.org

Dans cette note, nous nous permettons de reprendre intégralement l’interview de Max Keiser par Russia Today sur le marché de libre-échange transatlantique USA-UE dont les négociations officielles viennent de s’ouvrir. (Les négociations “officieuses” sont en cours depuis juillet dernier.) Normalement, nous aurions classé cet emprunt dans notre rubrique Ouverture libre, mais nous l’assortissons de commentaires importants qui conduisent à son classement dans le Bloc-Notes.

Il s’agit de commentaires plutôt de type méthodologique, s’entend d’une méthodologie de la façon nécessaire de penser cet événement. L’intérêt de l’interview de Keiser tient d’abord à la personnalité de l’homme, induisant une certaine dialectique très spectaculaire, qui sort le commentaire sur cet accord en cours de négociation de la gangue habituelle du langage technique. Keiser emploie des termes polémiques comme “génocide” ou “holocauste” pour désigner cet accord, ce qui a effectivement l’avantage de donner une idée de la dimension et de l’orientation de l’acte en détruisant effectivement le rideau sémantique des “normes économiques” qui empêche d’en saisir la substance prédatrice. (Keiser est un ancien “boursier” professionnel et innovateur des technologies financières, devenu commentateur de télévision, à la fois spécialiste du domaine mais sur un ton et dans un esprit très polémiques et imagés, beaucoup plus politiques et de communication que spécialisés mais avec l’expérience du spécialiste, ou du connaisseur. La caractérisation professionnelle de Keiser est celle-ci : «Max Keiser, the host of RT's ‘Keiser Report,’ is a former stockbroker, the inventor of the virtual specialist technology, virtual currencies, and prediction markets.») Voici donc l’interview de RT, le 12 novembre 2013.

Russia Today : «An annual profit of 119 billion euros sounds pretty good and it could not come at a better time for the struggling European economy. Why be unhappy about this deal?»

Max Keiser : «This is an unbelievable act of corporate hubris. They’ve invented something now – ‘the corporate state’ or ‘the investor state’ - so that corporations have the ability to override sovereignty, to override countries’ legal framework for profit-seeking or rent-seeking. To give you an example, you’ve got Chevron Corporation, which has been active in Ecuador, devastating the ecology there. Not only will they not be able to go after Chevron for damages, but Chevron can claim the fact that the Ecuadorians are going after them for damages means Chevron can sue Ecuador’s government for damages for being inconvenienced for the ecological holocaust that they’ve created in Ecuador. This is the most remarkably corporate-friendly, devastating, human-centric-non-benefitting law that I’ve ever seen in my life.»

Russia Today : «But European corporations will make huge profits, too. And profits are taxed, aren’t they? Isn’t that exactly what governments want, income from taxation?

Max Keiser : «Corporations are taxed less and less. Here in the UK, the big corporations that we know are taxed very little if anything. Very little of what corporations make and what the wealthy in the world make is actually taxed. That’s the taxable income, the reportable income. Most of the income they make is through offshore accounts, through special-purpose-entities accounts, it’s completely untaxed.

»I don’t think we’re getting to the nettle of how devastating this is. This is basically a business model based on holocaust. This is like saying that the manufacturers of Zyklon B during World War II would sue the million or so victims that were exterminated with Zyklon B for having the nerve of dying for being gassed by the manufacturers of Zyklon B. This makes holocaust a legitimate business model.

»This makes Monsanto’s genetically-modified seeds, which are causing widespread devastation across the world - not only can it cause devastation, but Monsanto can sue a country like India for the Indian farmers who are committing suicide. Because they inconvenienced them. This is the most devastating piece of legislation, pro-corporation in history that we’ve ever seen! It’s absolutely mind-numbing!»

Russia Today : «What if someone comes to you and says, ‘Surely this means my job prospects in Europe are going to be improved.’ Why not let this deal go ahead? Because it’s my life, my life at stake at the moment and it’s a devastated European economy and I want a job to improve my prospects.

Max Keiser : «Because it gives all the power to the entities that have destroyed the European economy, the big banks that have gutted the European economy. This now gives them the ability to sue the countries for damages they impose on these economies, for compensatory damages from the economies that they’ve just devastated. They can then get the governments to sue the citizens for more money after they’ve stolen the money. Imagine, for example, Goldman Sachs. They ransacked Greece, they stole billions from Greece. Now this gives them the opportunity to sue the Greek government for more compensatory damages. Then the Greek government has to go to the population for more money.

»This gives extrajudicial power to corporations, to the investor state...beyond what is imaginable beyond the worst Orwellian nightmare. Whoever cooked this up - and I know who it is, by the way, Barack Obama. The most corporate-friendly, holocaust-, genocide-provoking idiot who has ever occupied the White House. He just threw the keys to these corporations and said, ‘Sue everybody you kill.’ It makes killing and genocide a legitimate business model.»

Russia Today : «Surely Brussels will listen to what you have to say, they have those concerns. And they will surely make those laws protecting consumers’ interests, and, indeed, the environment from any invasive policies from the US.»

Max Keiser : «Some countries are pushing back against this, but unfortunately in this current era, with the NSA spying on every country - what happened to Angela Merkel in Europe? She said I don’t want the NSA spying on me. Now she’s laying down supine, just letting this new law which favors American corporations to roll over her like a little frau in the woods. Like Bambi in the woods, just rolled over. She should stand up for her citizens. She’s being completely duplicitous by saying, ‘We don’t want NSA, but we want this new law.’ So she’s been identified as completely duplicitous, completely in the pocket of American corporations.

»There are some companies that are trying to push back. But, remember, with the NSA in power, with the US dollar as world reserve currency and the Federal Reserve Bank running the world’s economy, there’s very little recourse. And you’ve got extrajudicial killing, extrajudicial lawmaking. America has become a rogue state. America has become an outlaw state. These countries have to wake up or they’re going to find themselves an American-casino-gulag state where they’re just going to be thrown down into a dungeon and forced to trade online virtual games to make virtual gold for their masters at Facebook or some other virtual corporation or gaming entity or casino operator. It’s devastating!»

On peut sans crainte accepter des expression telles que «an unbelievable act of corporate hubris» ou des images telles que celle d’un “génocide” ou celle d’un “holocauste”. La situation économique et sociale générale, et celle qui se développerait avec cet accord, méritent dans leur logique de tels termes. (Il s’agit de la logique de l’essence de la dimension économique et bureaucratique de la modernité, quel que soit son faux-nez, de “libre-échange” à “hyperlibéralisme”, “néo-capitalisme”, etc. Nous avons plusieurs fois rappelé l’analyse que fait l’un des auteurs les plus sérieux sur la question de l’holocauste du régime nazi, le professeur Richard L. Rubenstein, dans La perfidie de l’histoire, publié au Cerf en 2005. Nous écrivions le 16 septembre 2007 : «Ces remarques nous sont inspirées par le livre ‘La perfidie de l’Histoire’, du professeur Richard L. Rubenstein... [...] Rubenstein montre avec une grande précision les similitudes du mécanisme qui aboutit aux camps d’extermination nazis et du mécanisme capitalisto-bureaucratique du système de l’américanisme et de son extension globalisée : “Avec le temps, il devient évident que les atrocités perpétrées par les nazis dans leur société de domination totale, comme les mutilations et expériences médicales meurtrières sur des êtres humains, ainsi que l’utilisation des esclaves dans les camps de la mort, ne sont que la logique extrême des procédures et conduites prédominantes dans les entreprises modernes et le travail bureaucratique.”»)

Cela posé, il est intéressant de noter, dans le discours véhément de Keiser, la façon dont il utilise deux approches différentes : d’une part, celle d’une responsabilité collective de ce qu’on pourrait nommer un Global Corporate Power, qui comprendrait la responsabilité collective des entreprises “globalisées” (donc n’ayant plus d’identité nationale) poursuivant ce type de développement de destruction du monde, avec l’aide active et consciente au moins en ce qui concerne les modalités économiques et anti-principielles de l’accord, des directions politiques aussi bien US que de l’UE et des pays de l’UE ; d’autre part, celle d’une agression du monstre économique US, identifié du point de vue de la nationalité, contre une Europe soit naïve, soit inconsciente, soit asservie, soit corrompue dans le chef de certains manipulateurs et subvertie par la pénétration US, etc. Cette double approche est bonne pour la polémique, mais pour l’identification du phénomène c’est une autre affaire. La contradiction de cette approche est radicalement dommageable à cette identification, laquelle est fondamentalement nécessaire pour comprendre la situation et orienter l’action antiSystème.

... Car, évidemment, notre approche est celle du Système, comme on s’en doute. Il n’y a plus d’entités nationales principielles, c’est-à-dire capables, non seulement de s’imposer, mais de seulement songer à s’opposer à l’attaque du Corporate Power comme si elles étaient vertueusement conscientes du danger de destruction du monde. (Alors qu’elles pourraient le faire, – s’opposer, – sans le moindre doute, et avec efficacité sans le moindre doute également ; il s’agit bien d’une faiblesse corruptrice de la psychologie.) Dans cette bataille apocalyptique qui est celle du Système versus la réaction antiSystème, personne dans ces sphères, – aussi bien les directions politiques que le Global Corporate Power, – n’est conscient de l’enjeu réel ; personne ne se réfère plus à aucun principe, que ce soit la souveraineté ou la légitimité, d’ailleurs par ignorance totale de la chose, par faiblesse psychologique bien plus que par corruption intrinsèque et volontaire de la pensée ; personne ne conçoit l’événement comme un affrontement, mais comme la recherche d’un accord où chacun cherche ses intérêts purement économiques et financiers, c’est-à-dire dans ce cas et en se référant à l’analyse juste sur ce point de Keiser, selon une expression de type-oxymore, disons ses “intérêts génocidaires” puisque l’entreprise conduit au “génocide du monde” (ou à l’“holocauste du monde”). Ils sont donc tous complices par faiblesse de la psychologie plus que par dessein maléfique dans une entreprise dont l’impulsion vient du Système lui-même, une entreprise qui est une autre façon (que celle du régime nazi), sans doute plus extrême encore dans son efficacité et sa globalité, de conduire à l’opérationnalité de «la logique extrême des procédures et conduites prédominantes dans les entreprises modernes et le travail bureaucratique».

Il importe de comprendre cela, c’est-à-dire de faire son choix : USA contre l’UE selon une concurrence classique, ou bien Système opérationnalisant la destruction du monde par coopération active USA-UE dans ce cas. Notre choix est fait, pour des milliards de raisons et d’événements, et selon l’idée symbolique que la destruction de Detroit vaut exactement la destruction de la Grèce, dans leur logique commune tendant vers l’anéantissement qui porterait à son terme le processus dd&e. Une fois cela compris, on comprend qu’il faut écarter les incertitudes de l’interrogation “mais si le Système est détruit, que mettra-t-on à sa place ?”, selon la “logique extrême” de notre image classique qui dit que lorsqu’un homme se noie parce qu’il est habillé d’une cuirasse comme un chevalier du Moyen-Âge et que ce poids l’entraîne vers le fond, on se bat pour le débarrasser de cette cuirasse et tenter de le sauver de la noyade plutôt que de se demander de quoi on va l’habiller si on parvient à le débarrasser de cette cuirasse et à le sauver de la noyade. (On comprend que la cuirasse et son poids, c’est le Système.) Bref, il s’agit de ne pas réfléchir sur le but organisé et opérationnel de l’action et d’agir, parce que la réflexion dans ce cas équivaut évidemment à la capitulation et à l’abdication. Par ailleurs, on sait qu’il y a assez de signes puissants d’autodestruction du Système, y compris les appels d’une partie du corps scientifique qui a contribué à la mise en place du Système à la destruction de ce Système par la révolte populaire (voir le 31 octobre 2013), pour admettre que l’acte de la résistance, c’est-à-dire la réaction antiSystème, est non seulement un acte fondamental nécessaire à la dignité du sapiens s’il veut “être” au sens spirituel, mais un acte qui n’est nullement étranger à une possible sinon probable efficacité catastrophique pour le Système. (Phrase fameuse pour nous du de Gaulle des Mémoires de guerre nous invitant à ne jamais perdre espoir, car “perdre espoir” est une chose absurde évidemment : «Tout peut, un jour arriver, même ceci qu’un acte conforme à l’honneur et à l’honnêteté apparaisse, en fin de compte, comme un bon placement politique.») Par conséquent, que vienne ce grand marché que, de toutes les façons, personne dans les élites-Système, caractérisées par une bassesse im-monde (“hors du monde” dans l’étymologie d’immundus), n’est dans un état psychologique poussant à vouloir l’empêcher, et que l’on soit prêt à exploiter toutes ses catastrophiques conséquence en les retournant contre lui (ce qui s’appelle “faire aïkido”, dans ce cas plus efficace que la réflexion sur une alternative au Système).

(“Faire aïkido” pour notre cas, voir aussi bien le 19 août 2013 que, antérieurement, le 2 juillet 2012  : «L’opérationnalité de la résistance antiSystème se concentre naturellement dans l’application du principe fameux, et lui-même naturel, de l’art martial japonais aïkido : “retourner la force de l'ennemi contre lui...”, – et même, plus encore pour notre cas, “aider la force de cet ennemi à se retourner naturellement contre lui-même”, parce qu’il est entendu, selon le principe d’autodestruction, qu’il s’agit d’un mouvement “naturel”.»)

mercredi, 13 novembre 2013

Paris, Colloque de “Maison Commune” - Interventiosn de L. Ozon et R. Steuckers

Intervention de Laurent Ozon

Le "mariage pour tous" est une guerre de quatrième dimension

Paris, Colloque de “Maison Commune”

28 septembre 2013

Intervention de Robert Steuckers

Mesdames, Mesdemoiselles, Messieurs,

Quand le mystérieux “Enyo”, qui tire son pseudonyme de la déesse grecque des batailles, publiait son livre intitulé “Anatomie d’un désastre” en mars 2009 (1), il entendait stigmatiser l’incohérence d’une politique occidentale, euro-américaine, face à ce “rimland” islamisé du grand-continent eurasiatique, à cette frange littorale, océanique mais très souvent de grande profondeur continentale, qui s’étend du Maroc à l’Indonésie. Les “printemps arabes” n’avaient pas encore eu lieu ni la destruction de la Libye. A l’heure actuelle, le désastre est encore plus profond. Il affecte directement notre plus proche périphérie méditerranéenne, les tragédies récurrentes de Lampedusa et d’ailleurs l’attestent. Les Etats-Unis s’en fichent: le fossé atlantique les sépare du chaos qu’ils ont délibérément créé à nos portes, en Tunisie, en Libye, en Egypte et en Syrie.

Instruments de l’hegemon dans sa volonté de créer ce désordre permanent, les fanatiques religieux participent allègrement à la genèse de ce chaos car ils refusent la complexité et les contradictions du monde. Ils ne cherchent pas à les harmoniser, à générer une féconde “coïncidentia oppositorum” (2). Quand on parle aujourd’hui de fanatisme religieux, on pense immédiatement au salafisme ou au wahhabisme. Et on oublie la tout aussi virulente “théologie puritaine” qui sous-tend le fanatisme américain, né aux 16ème et 17ème siècles d’un refus du Vieux Monde européen, de ses synthèses, de sa nostalgie féconde de l’antiquité grecque. L’histoire de ce refus, les travers d’un fanatisme protestant ont été maintes fois esquissés (3). Plus fréquemment toutefois, on a zappé, oublié, la transformation de ce fanatisme en un “rationalisme” intransigeant qui veut tout autant faire du passé table rase (4). Les “Lumières” américaines, françaises et mitteleuropéennes, voire celtiques (irlandaises, galloises et écossaises), n’ont pas le même arrière-plan culturel, alors qu’elles ont toutes, à titres divers, contribué à façonner les sociétés occidentales modernes: les unes ont inventé un rationalisme éradicateur comme le puritanisme ou le jansénisme avaient été des purismes délirants en marge des continuités historiques anglaises ou françaises (5); les autres ont mis le rationalisme au service d’un retour à des racines, jugées plus libertaires ou mieux inscrites dans leur histoire nationale (6), permettant de la sorte l’éclosion de syncrétismes fructueux. Aujourd’hui, nous faisons face à l’alliance calamiteuse de deux fanatismes religieux: le wahhabisme, visibilisé par les médias, chargé de tous les péchés, et le puritanisme américain, camouflé derrière une façade “rationnelle” et “économiste” et campé comme matrice de la “démocratie” et de toute “bonne gouvernance”.

Mais que nous ayons affaire à un fanatisme salafiste ou hanbaliste (7) qui rejette toutes les synthèses fécondes, génératrices et façonneuses d’empires, qu’elles soient byzantino-islamiques ou irano-islamisées ou qu’elles se présentent sous les formes multiples de pouvoir militaire équilibrant dans les pays musulmans (8), ou que nous ayons affaire à un fanatisme puritain rationalisé qui entend semer le désordre dans tous les Etats de la planète, que ces Etats soient ennemis ou alliés, parce que ces Etats soumis à subversion ne procèdent pas de la même matrice mentale que lui, nous constatons que toutes nos propres traditions européennes dans leurs facettes aristotéliciennes, aristotélo-thomistes, renaissancistes ou pagano-renaissancistes, sont considérées par ces fanatismes contemporains d’au-delà de l’Atlantique ou d’au-delà de la Méditerranée comme des émanations du Mal, comme des filons culturels à éradiquer pour retrouver une très hypothétique pureté, incarnée jadis par les pèlerins du “Mayflower” ou par les naturels de l’Arabie du 8ème siècle (9).

Les fanatismes rationalisés de l’hegemon américain bénéficient de complicités, de relais, au sein même de notre “Maison Commune” européenne, que ce soit dans les milieux médiatiques ou dans les milieux économiques ou encore dans les établissements d’enseignement, les héritiers de ceux dont Nietzsche doutait déjà de la pertinence. Ces complicités peuvent prendre le masque du gauchisme échevelé ou du technocratisme néo-libéral, selon la seule alternance binaire qui, finalement, est encore tolérée —gauche/droite, libéralisme/sociale-démocratie— par les médias contrôlants et surveillants qui nous vendent cette alternance monotone, génératrice d’oligarchies inamovibles, comme unique “bonne gouvernance”. Ces complicités se nichent dans ces trois milieux-clefs —médias, économie, enseignement— et participent à l’élimination graduelle mais certaine des assises idéologiques (au sens dumézilien du terme), des fondements spirituels et éthiques de notre civilisation. Les uns oblitèrent les résidus désormais épars de ces fondements en diffusant une culture de variétés sans profondeur aucune (10), les autres en décentrant l’économie et en l’éclatant littéralement par les pratiques de la spéculation et de la délocalisation (11), les troisièmes, en refusant l’idéal pédagogique de la transmission (12), laquelle est désormais interprétée comme une pratique anachronique et autoritaire, ce qu’elle n’est certainement pas au sens péjoratif que ces termes ont acquis dans le sillage de Mai 68 (13).

Pourtant ce n’est pas un philosophe considéré aujourd’hui comme “autoritaire”, au sens où l’entend l’Ecole de Francfort, qui a, le premier, énoncé l’idée d’une émergence de valeurs fondatrices lors d’une “période axiale” de l’histoire. Ce philosophe est le brave existentialiste protestant Karl Jaspers, qui n’a eu aucune tentation totalitaire entre 1920 et 1945 (14). Pour Jaspers, entre 600 et 450 avant l’ère chrétienne, les idées fondatrices des grandes civilisations ont émergé dans l’histoire, pour se perpétuer jusqu’aux débuts de l’ère contemporaine. L’archéologie, l’exploration des époques dites proto-historiques ont permis de cerner avec davantage de précision ce qu’étaient les cultures humaines génératrices de cette émergence de valeurs, jugées indépassables jusqu’à l’avènement d’une certaine modernité —mais pas de toutes les modernités, de toutes les “Lumières”. Certaines “Lumières” insistent sur les racines et ne retiennent pas l’idée d’une “table rase” (15), comme étape nécessaire de l’histoire, avant l’avènement d’une très hypothétique ère définitive de bonheur et d’harmonie. Karen Armstrong, dans “The Grand Transformation” (16) poursuit la quête de Jaspers et précise ce qu’ont été ces périodes axiales, en s’appuyant sur toutes les sciences archéologiques, ethnologiques et anthropologiques contemporaines. La Grèce, l’Inde védique et l’Iran avestique, la Chine, le monde hébraïque ont tous connu leur “période axiale”; sauf pour l’Europe, héritière de la Grèce et de Rome, ces valeurs nées à la “période axiale” connaissent encore et toujours des avatars actuels. L’Inde et la Chine, puissances émergentes du BRICS, doivent à ces valeurs leur solidité et surtout leur sortie hors des marasmes dus au colonialisme britannique (17) ou à une longue période de ressac particulièrement calamiteuse au 19ème siècle (18).

Pour résumer l’effacement des valeurs classiques en Europe, disons que l’Aufklärung, avec sa tradition révolutionnaire, que la sclérose des études classiques où l’on ne percevait plus le caractère dynamique et dionysiaque de l’hellénité pour n’en retenir qu’une caricature figée d’apollinisme, ensuite, l’engouement techniciste et, enfin, le choc du soixante-huitardisme fabriqué dans les officines de la subversion aux Etats-Unis (19), ont jeté aux orties les valeurs issues de la “période axiale”, posée en hypothèse par Jaspers et explorée à fond par Karen Armstrong au cours de la première décennie du 21ème siècle.

Le rejet définitif de l’enseignement du grec et du latin puis l’imposition de la “correction politique” par les médias et les nouveaux pédagogues ont scellé notre destin: nous avons rejeté nos valeurs ancestrales, nous avons abandonné l’esprit renaissanciste, comme le reprochait Julien Freund à l’Europe de la seconde moitié du 20ème siècle (20). Cet abandon conduit à l’impolitisme (21) car une civilisation qui ne s’aime plus et ne veut plus reproduire son “mos majorum” entre irrémédiablement en déclin. Que l’on soit un décisionnare quiritaire à la mode caudilliste des années 30 ou un démocrate non amnésique qui se souvient du bon fonctionnement des “res publicae” romaines, on sait que la démocratie acclamative ou représentative a besoin des sciences humaines, ou plus exactement des traditions spirituelles, du “mos majorum”, comme le démontre la philosophe américaine Martha Nussbaum, professeur à Chicago, professeur honoris causa à Utrecht et à Louvain (KUL). Martha Nussbaum respecte le vocabulaire usuel qu’admet encore la “correction politique”; elle se soustrait ainsi à toute critique voire à tout lynchage médiatique. Dans son ouvrage largement diffusé en Flandre et aux Pays-Bas (“Niet voor de winst – Waarom de democratie de geesteswetenschappen nodig heeft”) (22), Martha Nussbaum dénonce la crise qui a secoué l’enseignement de fond en comble au cours de ces quatre dernières décennies: l’art grec d’observer le monde tel qu’il est, d’en comprendre les flux et les mécanismes, l’art critique au sens premier et positif du terme, l’art critique qui forme le “zoon politikon” (plutôt que le terme aujourd’hui galvaudé de “citoyen”) a complètement disparu sous les coups de butoir d’un économisme utilitariste qui ne vise plus qu’à former sans trop d’effort, sans aucune profondeur, des êtres appelés seulement à consommer ou à faire fonctionner des rouages abstraits et contrôlants donc liberticides. Cet utilitarisme-consumérisme s’est accompagné d’un discours anti-autoritaire, tablant sur une acception falsifiée et subversive de l’art grec de la critique (23). L’autorité, qui n’est pas définissable a priori comme pouvoir absolu, a été battue en brèche, posée comme intrinsèquement perverse, dangereuse et, bien sûr, “fasciste” selon les thèses boîteuses d’Adorno (24). Derrière ce discours anti-autoritaire propagé dans le sillage de Mai 68, des pouvoirs bien plus lourds s’installaient, beaucoup plus difficilement contournables: ceux de l’argent et de la sophistique médiatique.

Les pratiques pédagogiques anti-traditionnelles, des-hellénisées, déconnectées des valeurs instaurées lors de la période axiale de notre histoire, se sont penchées exclusivement sur des “compétences” soi-disant “utiles” à l’exercice d’un “boulot à la con”, d’un “bullshit job” pour homme unidimensionnel (25). Résultat: la capacité d’empathie pour autrui, ou pour toute altérité collective, s’évanouit, que ce soit l’empathie pour le concitoyen proche ou pour le ressortissant d’un espace géoculturel lointain travaillé par d’autres valeurs nées lors d’une autre période axiale de l’histoire dans une autre aire géographique. Sous les coups de ce discours soi-disant anti-autoritaire et de cette déplorable praxis pédagogique utilitariste, la capacité des Européens à comprendre à fond les grandes dynamiques à l’oeuvre sur l’échiquier géopolitique planétaire est réduite à néant: les quelques voix qui proposent aujourd’hui une vision réalitaire, historique et alternative sur les conflits qui ravagent le rimland de Tunis à Rawalpindi, sont autant de “voces clamantes in deserto”. Le discours médiatique, profitant des arasements produits par le bricolage philosophique anti-autoritaire d’Adorno et profitant des ravages commis par les pédagogues utilitaristes, impose sa seule et unique vision, empêchant les décisionnaires politiques de faire les bons choix, des choix forcément différents de ceux de l’hegemon, pour le Bien Commun de notre Maison Commune européenne. Quand Martha Nussbaum déplore la perte catastrophique des capacités qu’offrait l’art critique grec, déduit des valeurs de la période axiale de l’histoire hellénique, elle ajoute que c’est une menace pour la “démocratie”. C’est là un langage américain: nous dirions plutôt une menace pour la “Cité”, vocable plus classique, soit une Cité qui, pour moi, n’est démocratie qu’aux seuls modes helvétique ou scandinave (26) quand tout va bien, qui use toutefois de l’autorité quand le danger pointe à l’horizon. Les autres acceptions de la “démocratie” ne sont en rien démocratiques, façon vieille-hellénique, ne sont rien d’autre qu’un écran de fumée pour camoufler des dictatures non personnelles masquées, des dictatures “oligarchisées” (Robert Michels), qui confisquent la parole aux peuples.

Pour Martha Nussbaum, comme d’ailleurs pour d’autres observateurs du désastre actuel, tels les psychiatres et neurologues De Wachter en Flandre (27) et Spitzer en Allemagne (28), l’impératif majeur aujourd’hui est de revaloriser les matières scolaires, les disciplines non utilitaires, toutes avatars des valeurs de la période axiale. Elles seules peuvent ressusciter le “zoon politikon”, donc rétablir le politique après avoir balayé les facteurs et les fauteurs d’impolitisme ou, pire, de basculement dans des formes nouvelles de pathologie mentale collective (De Wachter).

Plusieurs études, qui étayent désormais les soupçons épars émis par des voix clamant généralement dans le désert, ont démontré que l’OSS américaine avait organisé délibérément cette catamorphose européenne, dès le réveil de l’Allemagne avec le miracle économique et dès le réveil de la France gaullienne d’après 1963. C’est là un thème à explorer impérativement en séminaire dans nos cercles respectifs: cela aurait pour but de comprendre la généalogie de notre misère et de saisir les mécanismes et les travestissements de la véritable subversion qui a provoqué et entretenu notre déréliction systématique.

L’objectif de Washington, et c’est normal pour tout hegemon, est de diviser pour régner, ou, avec la logique dérivée d’une bonne lecture de Sun Tzu, de faire imploser toute politie étrangère, ennemie ou alliée, pour qu’elle perde toute “épine dorsale” (Ortega y Gasset) (29) ou toute autonomie politique. L’objectif, plus concrètement dans le cas européen, a été de rendre inopérant le tandem franco-allemand de 1963, de réduire le marché Commun puis l’UE au nanisme politique, d’empêcher toute coopération énergétique entre l’Allemagne et la Russie, que celle-ci ait été soviétique ou soit désormais dé-soviétisée, entre le binôme franco-allemand et l’Iran, que celui-ci ait été impérial ou soit désormais islamo-révolutionnaire.

L’Europe dans un tel contexte et face à cette stratégie efficace et triomphante (jusqu’ici) a dû renoncer à la force et se contenter d’appliquer scrupuleusement la norme, comme le démontre le politologue Zaki Laïdi (30). L’Europe, pour Laïdi, c’est donc “la norme sans la force”, dans un environnement global où Américains, Russes, Indiens et Chinois affirment clairement leur souveraineté nationale, plutôt leur souveraineté subcontinentale ou civilisationnelle. Les Européens refusent la Realpolitik. Les autres l’acceptent et la pratiquent. Pourquoi? Quelle est la genèse de cette situation? D’emblée, dès 1951 et 1957, les Européens ont cherché à dévitaliser les souverainetés nationales pour éviter qu’elles ne provoquent encore des guerres désastreuses. Bonne idée, en principe, mais la souveraineté continentale n’a pas suivie: elle a été rejeté au même titre que toute souveraineté nationale, nous plongeant tous dans un no man’s land impolitique parce qu’incapable de poser une décision suivie d’effets concrets. Pour parvenir à ce rejet complet, les Européens —je devrais dire les “eurocrates”— ont inventé un “modèle coopératif stable”, circonvenant, par un jeu de normes contraignantes, la souveraineté des Etats. Celle-ci ne se laisse toutefois pas escamoter aussi vite.

En effet, cette pratique molle, impolitique, castratrice d’énergies vitales a conduit à des divergences rédhibitoires au sein de cette Europe qui reste malgré tout plurielle voire disparate: la France et la Grande-Bretagne demeurent encore très statocentriques, c’est-à-dire revendiquent encore une certaine souveraineté nationale, parfois marquée de quelque grandiloquence, toujours un peu hostile à la Commission, mais seulement quand ces pauvres velléités souverainistes arrangent l’hegemon, comme dans l’affaire libyenne de 2011, où les Etats-Unis n’avaient nulle envie de budgétiser une intervention coûteuse, suite aux ratés d’Afghanistan et d’Irak. L’Allemagne, vaincue en 1945, travaillée au corps par la réactualisation permanente de toutes les initiatives subversives de l’OSS, est l’Etat le plus puissant économiquement parlant de notre sous-continent, mais il est celui qui, officiellement, est le plus éloigné de la Realpolitik traditionnelle des Etats-Nations, tout en revendiquant un siège au Conseil de sécurité de l’ONU (ce qui peut paraître contradictoire) et en menant une politique énergétique tournée vers la Russie sous l’impulsion de ses deux derniers chanceliers socialistes, Helmut Schmidt et Gerhard Schroeder (31). L’UE ne présente donc pas, face au reste du monde, face à des puissances comme l’Inde ou la Chine, un modèle unitaire cohérent, en dépit de ce fétichisme habermassien de la norme (32), que tous les eurocrates partagent officiellement mais qui n’est que l’instrument d’une dissolution de toute souveraineté, qu’elle soit nationale ou supranationale, au sein d’une Europe dont on voudrait qu’elle n’affirme jamais plus la moindre souveraineté continentale. Tel est le sens du discours que l’ex-“Krawallo” gauchiste puis politicien pseudo-écologiste Joschka Fischer, devenu ministre des affaires étrangères de la RFA, avait prononcé en 2000 à la veille de l’introduction de l’euro. L’Allemagne, dans ce discours de Fischer, se déclarait prête à se dissoudre dans l’ensemble européen “normo-centré” et pacifique et appelait ses partenaires européens à en faire autant.

Face à cette volonté de renoncer à toute Realpolitik et à toute forme de souveraineté affirmatrice, les Etats-Unis de Bush II, par la voix du néo-conservateur Robert Kagan (33), réaffirmaient leur position hobbesienne, celle d’être sur l’échiquier global, un LEVIATHAN hégémonique capable d’inspirer la terreur (“awe”) au monde, qui, soumis par la peur, devait, ipso facto, s’aligner sur les ordres donnés par Washington, faute de quoi, il subirait les foudres du Leviathan surarmé. Si l’option normative de l’Europe a donné jusqu’ici au nanisme politique européen le bien-être matériel et la puissance économique et a conservé pour les citoyens de l’Union un système de sécurité sociale inégalé ailleurs dans le monde, une question angoissante se pose désormais, au vu de la crise grecque, espagnole et portugaise, au vu de la fragilité de la France, de l’Irlande et de la Belgique, au vu de la bulle spéculative immobilière qui menace le triple AAA des Pays-Bas; cette question, pour Laïdi, est la suivante: l’Europe a-t-elle les moyens de défendre son modèle social, culturel et environnemental dans un monde globalisé, qui plus est, dérégulé par le néo-libéralisme, par les délocalisations, un monde toujours changeant où ne se renforcent que les seules puissances qui pratiquent souverainement une forme ou une autre de néo-colbertisme? A long terme, bien évidemment, la réponse est négative!

La norme, censée gommer les conflits inter-étatiques intérieurs et générer un vaste consensus social sur base du modèle bismarckien et social-démocrate de sécurité sociale, va subitement apparaître comme un facteur de contrainte ne permettant plus aucune innovation, plus aucune audace politique, plus aucune tentative de déblocage. Ida Magli, anthropologue et essayiste italienne, chroniqueuse au quotidien de centre-gauche “La Repubblica”, professeur à l’Université de Rome, constate avec amertume et avec colère que, depuis 2007, toutes les promesses de l’UE, de faire advenir inexorablement, par la “bonne politique normative”, une Europe juste, se sont évanouies (34). Cet évanouissement a transformé la bonne politique habermassienne, néo-kantienne, en une politique non plus démocratique, idéalement démocratique, mais en une politique censurante et camouflante, où l’on occulte le désastre aux citoyens, parce qu’on ne veut pas avouer l’échec patent des machineries politiques libérales, démocrates-chrétiennes et socialistes, qui donnent le ton à Bruxelles et à Strasbourg. Pour Ida Magli, partisane des souverainetés nationales et avocate d’une revalorisation de la souveraineté nationale italienne, l’UE a démontré son inutilité puisqu’elle n’a pas réussi à éviter la crise (de l’automne 2008) et ses effets déliquescents. Evacué graduellement de l’horizon européen, le monde (im)politique officiel, à tous les échelons, se tait face au putsch des banquiers et des économistes. Ce monde (im)politique est désormais le “Grand Muet” sur les planches du théâtre continental. A court ou moyen terme, il n’y a pas, il n’y aura pas, de triomphe démocratique pour le “zoon politikon” comme l’espèrent encore les lecteurs de Martha Nussbaum: au contraire, nous assistons au triomphe d’une fausse démocratie qui bétonne le gouvernement de quelques oligarques et des banquiers de la BCE (Banque Centrale Européenne).

Ce processus involutif a démarré le 2 mai 1998, lorsque l’on a décidé de créer l’Union Monétaire Européenne, prélude à l’introduction de l’euro. Ida Magli n’y voit pas seulement l’amorce d’une fragilisation de l’Europe, sous la férule d’une monnaie unique, non appuyée sur des éléments économiques concrets, qui auraient été également répartis au sein de tous les Etats européens. Cette disparité implique des transferts Nord-Sud, empêchant notamment de consacrer des budgets à une défense commune ou à une politique souveraine de présence satellitaire dans l’espace circumterrestre. Cette disparité permet aussi l’usage d’une arme bien particulière tirée de la panoplie des “guerres de quatrième dimension”: la spéculation contre les Etats fragiles. On n’a pas hésité à l’utiliser contre la Grèce ou contre l’Espagne dans le but avéré de nuire à l’Europe toute entière et à sa monnaie commune. La politique normativiste et anti-souverainiste a donc conduit à la lente mais inexorable désintégration de l’ensemble européen, dont les responsables politiques sont inféodés aux idéologies et aux partis dominants, désormais faillis et bien faillis. Cette désintégration a lieu au moment où s’affirment justement les ensembles continentaux et civilisationnels qui n’ont nullement renoncé à exercer leur souveraineté. L’Europe de la norme n’est donc pas prête à affronter les aléas du 21ème siècle. Qui pis est, des sondages effectués en mars 2013 par le “PEW Research Global Attitudes Projet” a montré que les Européens ont désormais perdu toute confiance en l’UE, en ses dirigeants aux niveaux national et européen. Au lieu d’être centripète, la politique normativiste menée jusqu’ici, s’avère bel et bien centrifuge: nous allons tous perdre du poids politique dans les décennies à venir, au profit de ceux qui n’ont renoncé ni au politique ni à la souverainté, conclut notre ami espagnol Eduardo Arroyo (35). Cette analyse pessimiste d’un européiste convaincu, animé par la pensée d’Ortega y Gasset, est corroborée par celle de l’Allemand Willy Wimmer (36), ancien secrétaire d’Etat à la défense de la RFA et membre de la CDU, parti pourtant en faveur de l’alliance atlantique inféodée aux Etats-Unis. Les révélations de Snowden ont eu pour effet d’arracher à l’Occident atlantiste, c’est-à-dire à la nouvelle entité américano-centrée depuis 1945, à l’américanosphère, le beau rôle qu’elle s’était toujours donné: celui d’être le réceptacle et l’exportatrice de l’idéal de liberté et des droits de l’homme. Ce sont la Chine et la Russie qui ont protégé Snowden, protégé son droit à la dissidence, rappelle Wimmer. Derrière le masque “démocratique”, affiché par les Etats-Unis et Obama, se profilait la rage de tout contrôler par le truchement de la NSA. Pire: les révélations de Snowden montrent clairement désormais que, depuis la Doctrine Clinton, les “alliés” n’étaient pas vraiment considérés comme tels mais, plus prosaïquement, comme des “alien audiences” qu’il convenait de surveiller et d’espionner, et surtout, au sein de ces “alien audiences”, les entreprises appartenant aux secteurs que l’économie américaine jugeait prépondérants (ou stratégiques).

Wimmer, membre de la CDU pro-occidentale, constate dès lors que la clause des “Etats ennemis” de la Charte des Nations-Unies (37) est toujours en vigueur, en dépit de l’adhésion fidèle de la RFA à l’OTAN! Cette clause frappe l’Allemagne, le Japon, la Finlande, la Hongrie, la Bulgarie, la Roumanie et l’Italie et frappait aussi, dans un premier temps, la Thaïlande, qui est le seul pays de la liste à avoir perdu le statut d’ “Etat ennemi” des Nations-Unies. Rien n’a été prévu pour que le Japon et les autres Etats de la liste, tous européens, notons-le bien, le perdent un jour définitivement. Prenons une carte muette de l’Europe et colorions l’espace occupé par les “Etats ennemis des Nations Unies”: par ce simple petit exercice d’écolier, nous constaterons quelle fraction importante du territoire de notre continent, dont son centre géographique de la Baltique à la Sicile, est privée de toute souveraineté réelle, vu l’article 107 de cette clause dite des “Etats ennemis”, que ne dénoncent jamais les médiacrates et leur valetaille qui se piquent de gauchisme ou d’anti-impérialisme!

Wimmer constate aussi que deux mille collaborateurs actifs de la CIA résident en Allemagne et que de nombreux anciens agents de la STASI ont été recrutés par les Américains. Le système d’espionnage Prism, révélé par Snowden, n’est pas plus surprenant que celui, découvert il y a une dizaine d’années, ECHELON, sauf que les féaux de la CDU, à commencer par Angela Merkel, sont aujourd’hui directement espionnés, même dans leur vie privée, et s’en offusquent. Wimmer en conclut dès lors que les Etats-Unis imposent, comme naguère l’URSS de Brejnev, un système de “souveraineté limitée” pour ses “alliés”. Notre souveraineté est donc limitée parce que nous n’avons pas cherché à mener une Realpolitik et parce que nos capacités industrielles et économiques indéniables n’ont pas été mises en oeuvre pour acquérir une maîtrise au moins partielle de l’espace circumterrestre afin de nous doter d’un système satellitaire adéquat, capable de rivaliser avec celui des Américains. Du coup, le système normatif, pour lequel nos dirigeants indignes ont opté en se drapant dans la toge du “bon démocrate” vole en éclats, précise Wimmer, car la liberté individuelle ou, plus exactement, le droit au secret des organes politiques européens et surtout de nos entreprises de haute technologie est désormais inexistant. Ces espaces politiques et industriels sont aujourd’hui totalement pénétrés et, de ce fait, pillés. Cela rend tout colbertisme européen impossible. Le normativisme, couplé à un libéralisme plus anglo-saxon qu’européen, créait l’illusion d’une liberté individuelle conforme en apparence à l’esprit de certaines Lumières mais générait simultanément un état de faiblesse catastrophique face à l’hegemon américain qui se déclarait officiellement incarnation de ce même esprit, tout en pratiquant une politique colbertiste, renforcée depuis Clinton, à l’aide de ses équipements satellitaires hyper-performants.

Par ailleurs, l’OMC, la Banque Mondiale, le GATT et le FMI ont été autant d’instruments pour affaiblir toutes les économies du monde, appelées à se dé-colbertiser, sauf celle de l’hegemon qui restait en coulisses parfaitement colbertiste. Pour l’activiste politique hispano-catalan Enrique Ravello (38), c’est l’Europe, marquée jadis par diverses formes de colbertisme, qui sera le principal dindon de la farce, la zone la plus défavorisée par les politiques préconisées par l’OMC depuis 1986-1993, parce que l’UE a accepté de démanteler ses défenses face aux politiques extra-européennes de dumping social et économique qui permettent de déverser sur nos marchés des marchandises produites selon des critères bien moins rigoureux que ceux appliqués aux entreprises de chez nous. La dynamique, lancée par l’OMC est donc double, précise Ravello: on crée simultanément un marché mondial et on appauvrit délibérément les économies européennes —celles, au fond, de l’ennemi principal de l’hegemon— en profitant de la vacuité intellectuelle et de l’indigence politique et idéologique des dirigeants actuels de l’Europe. Les économies européennes sont désormais ouvertes à tous vents. Le Traité de libre commerce entre les Etats-Unis et l’Europe, que l’on est en train de nous concocter, va encore accentuer cette double dynamique, dénoncée par Ravello. En effet, le texte du projet dit explicitement en des termes “bonistes”, comme d’habitude: “une association étroite et transatlantique est un instrument-clef pour favoriser une mondialisation basée sur nos valeurs communes, dans la perspective d’un ordre mondial équilibré sur les plans politique et économique; il renforce par ailleurs le processus d’intégration économique transatlantique par le biais de la création d’un Conseil Economique Transatlantique”.

Cette idée d’un “Conseil Economique Transatlantique” a reçu l’aval de Cameron, Merkel et Hollande qui, ipso facto, acceptent que soient abolies les restrictions européennes sur l’importation et la commercialisation de produits OGM, que soit pratiqué l’abaissement de tous les seuils protecteurs contre lesquels butent encore Google, Facebook ou Amazon, que les exportateurs américains obtiennent des dérogations face aux législations en matière d’écologie! La création de ce CET ne reçoit guère l’attention des médias. Pour nous, c’est clair: on cherche à nous l’imposer subrepticement, à l’escamoter à ce qui pourrait nous rester de sens critique. Ce traité de libre commerce entre l’UE et les Etats-Unis aura des conséquences catastrophiques sur la santé économique et la qualité de vie des classes moyennes et populaires en Europe, alors que celle-ci est déjà fortement battue en brèche. De plus, pour parachever l’horreur qui frappe à nos portes, le traité interdira tout monopole des services publics en matière de santé, privera l’Europe normativiste de son plus beau fleuron, la sécurité sociale la plus performante du monde et dont plusieurs catégories de la population usent et abusent en la rendant fort fragile en temps de crise.

La classe dirigeante européenne a donc trahi ses électeurs: il est temps, dès lors, et nous sommes ici pour cela, de changer de paradigmes politiques dans les domaines social, écologique et identitaire, déclare Ravello.

Quant au correspondant européen du journal italien Rinascita, Andrea Perrone (39), il rappelle, dans la foulée de ce projet de CET, que l’UE a raté une autre occasion: elle n’a pas réussi à créer une agence de rating européenne, laissant le terrain aux seules agences américaines Standard & Poor et Moody & Fitch, qui travaillent bien entendu pour le compte exclusif de leurs investisseurs américains, lesquels spéculent évidemment sur la faiblesse de leurs homologues européens potentiels.

Autre incongruité du machin qu’est devenue l’UE: les banques fragilisées pourront désormais être sauvées par les fonds du “Mécanisme de Stabilisation Européen” (MSE) et ces opérations resteront secrètes! Autrement dit, c’est le contribuable européen qui paiera pour les jeux risqués joués par les banquiers! Le culte fétichiste de la norme a donc conduit tout droit à l’usurocratie! N’a pas constitué le barrage nécessaire à l’usurpation du pouvoir réel par les banquiers et les spéculateurs! Et cela, en dépit des promesses qui avaient été faites solennellement, par les eurocrates, lors du Traité de Maastricht en 1993. Ce système secret risque de ruiner les assises industrielles de l’Italie, de la France et de l’Espagne et, au bout du compte, celles de l’Allemagne également qui perdra ses principaux débouchés en Europe occidentale. La crise n’a pas été évitée, comme on l’a prétendu, elle a été renforcée dans ses aspects négatifs pour la population, renforcée par des dispositifs qui vont perpétuer ses effets sur un plus long terme. Tout simplement. L’usurocratie en marche parie sur l’amnésie des masses flouées. Le problème reste en effet toujours structurel: la fragilisation du flanc sud de l’Europe oblige les Etats encore performants du Nord à pratiquer des transferts qui les fragilisent à leur tour et ne permettent plus autant d’investissements dans la défense, les secteurs de pointe, la Recherche & Développement dans le domaine des hautes technologies et de l’espace. En Finlande, je le rappelle, Nokia n’est déjà plus finlando-scandinave mais multinationale au sens voulu par les globalistes. Avec le CET, on pourra toujours acheter américain: le Plan Marshall de la fin des années 40 devient réalité (40); l’Europe étant redevenue un marché pénétrable, comme à l’époque de la défaite germano-italienne et de la ruine du reste du continent (41). Nous voilà donc revenus à la case départ!

La globalisation, c’est donc le maintien de l’Europe, et de l’Europe seule, en état de faiblesse structurelle permanente. Et cette faiblesse structurelle est due, à la base, à un déficit éthique entretenu, à un déficit politique et culturel. Il n’y a pas d’éthique collective, de politique viable ou de culture féconde sans ce que Machiavel et les anciens Romains, auxquels le Florentin se référait, appelaient des “vertus politiques”, le terme “vertu” n’ayant pas le sens stupidement moraliste qu’il a acquis, mais celui, latin, de “force agissante”, de “force intérieure agissante”, étymologiquement apparentée à d’autres termes comme “vis”, la force, ou “vir”, l’homme mûr justement animé par la force physique et morale qui sied à un “civis”, à un citoyen romain, à un “zoon politikon”.

Stuart Miller, un observateur américain, un anthropologue, qui était naguère venu nous observer comme on observe des lynx roux ou des phacochères dans la réserve tanzanienne du Serengeti, énumérait ces forces qu’il voyait encore agissantes chez ses interlocuteurs européens, des forces qui avaient fait l’excellence de l’Europe (42). D’abord, disait-il, avec un optimisme que je ne partage plus, les Européens ont encore des “visages”, des caractères; ils sont capables de discuter avec une certaine profondeur de politique ou de thématiques culturelles originales, qui, souvent, relèvent de notre propre inaliénable, alors que l’Américain, prélude de tous les hommes de demain pour les tenants de l’idéologie globaliste, est un être changeant au gré des influences extérieures, des modes et des productions médiatiques, qui croit qu’il peut devenir n’importe quoi en utilisant des techniques diverses. Stuart Miller ne se fait pas d’illusion, ce “caractère” européen est un résidu, de moins en moins consistant, de la mentalité “éristique” ou “agonale” de l’Européen, l’adjectif “éristique” étant dérivé du grec ancien “eristikos”, soit “celui qui aime la palestre”, qui est prompt au combat (intellectuel), à la “disputatio” philosophique, bref un esprit critique, figure dont Martha Nussbaum espère le retour, même aux Etats-Unis, même si ces attitudes éristiques écornent le consensus béat d’une Amérique abreuvée aux sources fétides de la médiacratie et font émerger des positions philosophiques empreintes de pessimisme et de cynisme (préludes à une action “katéchonique”, mue par la volonté et consciente de sa dimension tragique). Ce pessimisme et ce cynisme, prêtés aux vrais Européens, pourraient alors s’avérer vertus contestatrices, freiner les effets néfastes des “mauvaises politiques impolitiques” (Julien Freund) —bien ancrées dans les vilaines habitudes normativistes— amorcer un bouleversement complet.

L’arme principale qui est dirigée contre l’Europe est donc un “écran moralisateur, à sens unique, légal et moral, composé d’images positives, de valeurs dites occidentales et d’innocences soi-disant menacées, pour justifier des campagnes de violence politique illimitée”, déclare le non-conformiste australien John Pilger (43), en ajoutant que cet “écran moralisateur”, diffusé par les média du “mainstream”, est “si largement accepté qu’il est pratiquement inattaquable”. C’est donc lui, cet écran posé comme inattaquable, que ceux qui se dressent, en Europe et ailleurs, doivent attaquer, dans un travail inlassable et patient. Cet “écran moralisateur” est le joujou de ceux que Pilger nomme, dans son langage d’homme de gauche, les “progressistes réalistes”, terme sans doute malheureux car, dans notre propre logique, nous préférerions les nommer les “progressistes médiacratiques”, utilisant l’écran irréel de leurs propagandes inconsistantes pour imposer au monde des systèmes de fausse et de mauvaise gouvernance qui ne génèrent que le chaos, la misère ou l’enlisement, ce qui est évidemment le but recherché. Les “progressistes médiacratiques”, adversaires de toutes les vertus politiques de machiavélienne mémoire, “ôtent à l’humanité l’étude des nations” —c’est-à-dire nous empêchent de prendre objectivement en compte les facteurs réels et nationaux qui composent le pluriversum politique de la planète— “en la figeant avec un jargon qui sert les intérêts des puissances occidentales (GB + USA) et en posant certains Etats —mais ce pourrait être n’importe quel Etat du pluriversum— comme “voyous”, “maléfiques”, “en faillite” en vue d’interventions humanitaires” (44). Nous ne sommes plus au temps des Bush, père et fils, cibles privilégiées de l’anti-américanisme inopérant des gauches européennes. Nous sommes au temps d’Obama, le Prix Nobel de la Paix, le successeur auto-proclamé de Lincoln, le président souple et généreux selon les médias; pourtant, l’homme de gauche Pilger constate que cette présidence, présentée comme “molle”, a laissé la bride sur le cou au militarisme outrancier réactivé dans un premier temps par les Bush et leurs conseillers néo-conservateurs: en effet, le président “mou” a laissé intactes les structures du Pentagone, a laissé les fauteurs de guerre et d’échecs en place, ceux qui ont ruiné l’Irak, l’Afghanistan et la Libye. Pour John Pilger et Norman Pollack, un contestataire américain, Obama est “un réformateur raté, joyeusement à l’oeuvre, planifiant des assassinats et arborant en permanence le sourire”. Il supervise un réseau militaire mondial qui, avec ses drones, “écrasecomme des insectes” les villages ou les camps où s’aventurent quelques récalcitrants ou d’anciens “alliés” dont on se débarrasse, car ils ne sont plus utiles, tant ils sont devenus compromettants! Le seul succès d’Obama, et il est significatif, c’est d’avoir détruit le mouvement anti-guerre américain, réduit désormais à sa plus simple expression.

L’écran moralisateur et médiatique, que dénonce Pilger, repose évidemment sur l’idéologie des droits de l’homme, mais non pas sur les droits de l’homme en soi, la différence est de taille. Cette idéologie a été ressortie du placard au temps de Jimmy Carter, sous la présidence duquel un certain BHL, sur la place de Paris, a commencé sa carrière étonnante, justement en proposant une version française de cette idéologie (45), présentée comme le “Testament de Yahvé” himself. On en connaît les derniers avatars libyens et surtout les brillants résultats sur place, en Cyrénaïque et en Tripolitaine, pour ne pas parler de toute la zone sahélienne désormais plongée dans le chaos. L’idéologie des droits de l’homme a surtout contribué, écrit Fabrizio Fiorini (46) dans les colonnes du quotidien romain Rinascita, à figer le droit, à le présenter comme totalement immuable, cristallisé, idolâtré. Il est désormais “enchaîné par ces idéologèmes, véritables vieilles cariatides de stuc, typiques de l’ornementalisme de la fin du 19ème siècle, et a abouti à cet insupportable moralisme gauchiste, qui croit avoir recréé un Eden politique et moralisé définitivement les relations internationales”. C’est pourtant exactement le contraire qui s’est produit: si les Etats sont dépouillés de leurs prérogatives d’énoncer un droit taillé à la mesure des peuples qu’ils encadrent, le pouvoir réel, lui, est passé, clandestinement, aux mains d’instances supranationales, non étatiques, qui ignorent tout bonnement le droit, l’oublient. Le monde, déjà devenu a-politique, impolitique, devient aussi a-juridique, “injuridique”. Meilleure preuve: l’ONU, censée avoir “juridifié” le monde, n’est plus consultée par les Etats-Unis et leurs alliés du moment; pire: elle est brocardée, moquée, considérée comme une vieillerie inutile. Jusqu’à l’affaire syrienne de ces dernières semaines: pour éviter un engagement risqué face à la détermination russe —un engagement pourtant annoncé avec fracas et amorcé sur mer avec les porte-avions de l’US Navy en Méditerranée— on se retranche derrière une décision de l’ONU. Le bellicisme était allé trop loin: Obama avait pourtant déclaré, “nous agirons en Syrie comme nous avons agi au Kosovo”, mais le monde a changé, le monde a partiellement compris, sauf les Européens, que ce mode de fonctionnement, que cette manière de mettre le monde entier devant le fait accompli, ne pouvait perdurer. Mais attendons ce que l’avenir nous révélera: l’hegemon a plus d’un tour dans son sac.

Pour le politologue et sociologue français contemporain Loïc Wacquant: “Jamais auparavant la fausse pensée et la fausse science n’ont été aussi prolifiques et ubiquitaires que de nos jours”. Raison de plus, pour nous, de lutter contre fausse science et fausse pensée qui empêche l’avènement d’une pensée et d’une science vraies, du point de vue des “Bons Européens”. C’est là le but d’un combat métapolitique... Où nous pourrons dire, avec l’Irlandais Gearoid O’Colmain (47), que le principe “bellum se ipsum alet”, “la guerre se nourrit d’elle-même”, est désormais bien ancré dans les horreurs du rimland islamisé, au nom de l’idéologie des droits de l’homme —et je le répète non au nom des droits de l’homme en soi. La guerre s’auto-alimente aujourd’hui par les actions des agences privées de mercenariat, par les gangs de narco-trafiquants, par les groupes terroristes et par les mafias internationales liés directement ou indirectement aux Etats-Unis. C’est la fin de l’équilibre préconisé au 17ème siècle par Grotius: les réseaux kosovars ont entraîné leurs homologues syriens, les djihadistes libyens combattent aujourd’hui en Syrie, les gangs armés recyclent le butin de leurs pillages dans les circuits de la contrebande, des mercenaires au service de la Turquie ou du Qatar ont démantelé des usines entières en Syrie pour les transplanter ailleurs, etc. Demain, à coup sûr, les “progressistes” auto-proclamés d’Amérique et d’Europe achèteront directement leur pétrole à des bandes mafieuses, installées dans de nouveaux rouages étatiques, depuis l’effondrement des Etats arabes laïcs.

Je viens donc d’énumérer quelques fragilités auxquelles l’Europe est confrontée aujourd’hui, alors qu’elle est dans un état de faiblesse culturelle et structurelle inédit et très préoccupant. La liste des déboires européens pourrait être plus longue, plus exhaustive. Mais vous aurez compris, rien qu’avec les quelques exemples que j’ai donnés, que l’heure est grave pour notre “Maison Commune” européenne. Et que notre combat est plus urgent que jamais contre:

  1. l’abandon de nos valeurs, qu’il s’agit de conserver en nos fors intérieurs contre vents et marées médiatiques, car seuls ont un avenir les hommes et les femmes qui garderont une épine dorsale culturelle propre (non importée, non greffée);

  2. contre le discours dominant qui masque le réel et nous oblige, par conséquent, par esprit révolutionnaire, à dire ce réel et à dévoiler les véritables causes des événements tragiques qui secouent le monde que Francis Fukuyama nous annonçait comme “sortant de l’histoire”, il y a vingt ans.

Je pense que cette intervention, qui, j’en ai bien conscience, n’a fait qu’effleurer très superficiellement la situation dans laquelle nous nous trouvons, doit nous amener à travailler en séminaire, à intervalles réguliers, chacun des thèmes qui ont été abordés brièvement ici, lors de ce colloque. Exemples de thèmes à approfondir: l’oeuvre subversive de l’OSS dès les années 50 en Europe; le travail de ceux qui, comme Martha Nussbaum, veulent une nouvelle pédagogie d’esprit traditionnel; les valeurs de la période axiale de l’histoire selon Jaspers et Armstrong; les effets pervers d’une politique trop normativiste; les qualités intrinsèques des Européens selon Stuart Miller; les occasions ratées de promouvoir une politique satellitaire, avec ou sans la Russie; etc.

Ce sont là des tâches adéquates pour un nouveau mouvement métapolitique comme “Maison Commune”. Personnellement, quand on m’appelera pour ce type de travail, je répondrai “Présent!”. J’espère que ce sera aussi le cas pour vous tous. Je vous souhaite déjà “Bon travail!”.

Robert Steuckers.

(Forest-Flotzenberg, septembre 2013).

Notes:

  1. Enyo, Anatomie d’un désastre – L’Occident, l’islam et la guerre au XXI° siècle, Denoël, coll. “Impacts”, Paris, 2009.

  2. Pour Carl Schmitt, une idée impériale, une force génératrice d’empire et organisatrice d’un grand-espace (en l’occurrence le “grand espace” européen) doit être, à l’instar du catholicisme médiéval selon ce “Prussien catholique” de Rhénanie, capable de faire coïncider les oppositions, d’harmoniser les différences qui innervent ou structurent les sociétés qu’elle doit fédérer pour en faire un tout cohérent.

  3. Christopher Hill, Society and Puritanism in Pre-Revolutionary England, Panther Books, 1969; Christopher Hill, The World Turned Upside Down – Radical Ideas During the English Revolution, Penguin, Harmodsworth, 1975-76; Clifford Longley, Chosen people – The Big Idea that Shapes England and America, Hodder & Stoughton, London, 2002; Kevin Phillips, American Theocracy – The Peril and Politics of Radical Religion, Oil, and Borrowed Money in the 21st Century, Viking, New York, 2006.

  4. Robert Steuckers, “L’ironie contre la ‘political correctness’”, in: Nouvelles de Synergies Européennes, n°34, mai-juin 1998 (repris sur http://robertsteuckers.blogspot.com et sur http://vouloir.hautetfort.com, septembre 2013).

  5. Ralph Barton Perry, Puritanisme et démocratie, Robert Laffont, Paris, 1952.

  6. Robert Steuckers, “De l’étude des racines celtiques au projet politique pan-celtique de la République d’Irlande”, sur: http://robertsteuckers.blogspot.com (août 2013). Conférence prononcée en mars 2013.

  7. Robert Steuckers, “Définir le fondamentalisme islamique dans le monde arabe”, sur http://robertsteuckers.blogspot.com (à paraître en novembre 2013).

  8. Nikolaos van Dam, The Struggle for Power in Syria – Politics and Society under Asad and the Ba’th Party, I. B. Tauris, London, 1979-2011.

  9. Martin Riesebrodt, Fundamentalismus als patriarchalische Protestbewegung, J. C. B. Mohr, Tübingen, 1990; Martin E. Marty / R. Scott Appleby, Herausforderung Fundamentalismus – Radikale Christen, Moslems und Juden im Kampf gegen die Moderne, Campus, Frankfurt a. M., 1996; Hans G. Kippenberg, Gewalt als Gottesdienst – Religionskriege im Zeitalter der Globalisierung, C. H. Beck, München, 2008.

  10. Susan Jacoby, The Age of American Unreason – Dumbing Down and the Future of Democracy, Old Street Publishing, London, 2008.

  11. Pour cerner le phénomène de la délocalisation au sein du phénomène plus général de “globalisation”, lire: Alex MacGillivray, A Brief History of Globalization, Robinson, London, 2006; John Ralston Saul, The Collapse of Globalism and the Reinvention of the World, Atlantic Books, London, 2005; Gideon Rachman, Zero-Sum World – Politics, Power and Prosperity after the Crash, Atlantic Books, London, 2011.

  12. George Steiner & Cécile Ladjali, Eloge de la transmission – Le maître et l’élève, Pluriel, 2013 (1ère éd., 2003).

  13. Robert Steuckers, “Petites réflexions éparses sur l’Ecole de Francfort”, in: http://robertsteuckers.blogspot.com (octobre 2011). Cf. également, Rolf Kosiek, Die Frankfurter Schule und ihre zersetzenden Auswirkungen, Hohenrain, Tübingen, 2001; Jean-Marc Durand-Gasselin, L’Ecole de Francfort, Gallimard/Tel, Paris, 2012; Numéro spécial de la revue Esprit sur l’Ecole de Francfort, n°5, 1978.

  14. Karl Jaspers, Vom Ursprung und Ziel der Geschichte, Piper (SP 298), München, 1983 (la première édition de cet ouvrage date de 1949).

  15. F. M. Barnard, Herder’s Social and Political Thought, Oxford (Clarendon Press), 1965.

  16. Karen Armstrong, The Great Transformation – The World in the Time of Buddha, Socrates, Confucius and Jeremiah, Atlantic Books, London, 2006.

  17. Cf. Lawrence James, Raj – The Making of British India, Abacus, London, 1997-2003. Pour comprendre l’idéologie du renouveau indien, lire: Jean Vertemont, “Aux origines du nationalisme hindou: la pensée traditionaliste”, in: Antaios, 10, 1996, pp. 139-149.

  18. Robert Steuckers, “Sur la Chine”, in: http://robertsteuckers.blogspot.com (octobre 2011).

  19. Tim B. Müller (Humboldt-Universität, Berlin), Krieger und Gelehrte – Herbert Marcuse und die Denksysteme im Kalten Kriege, Hamburger Edition/HIS Verlag, 2010.

  20. Julien Freund, La fin de la Renaissance, PUF, Paris, 1980.

  21. Julien Freund, Politique et impolitique, Sirey, Paris, 1987.

  22. Martha Nussbaum, Niet voor de winst – Waarom de democratie de geesteswetenschappen nodig heeft, Ambo, Amsterdam, 2011.

  23. De Theodor W. Adorno: TWA, “Kulturkritik und Gesellschaft”, in: TWA, Gesellschaftstheorie undKulturkritik, Suhrkamp, SV772, Frankfurt am Main, 1975. De Max Horkheimer: MH, Traditionelle undkritische Theorie – Vier Aufsätze, Fischer, Frankfurt am Main, 1980; MH, Zur Kritik der instrumentellen Vernunft, Athenäum Fischer Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, 1974. De Herbert Marcuse: HM, Pour une théorie critique de la société – Contre la force répressive, Denoël, Paris, 1971. De Jürgen Habermas: JH, “Kritische und konservative Aufgaben der Soziologie”, in: JH, Theorie und Praxis, Suhrkamp, st9, Frankfurt am Main, 1974 (3°éd.); Sur Habermas: Jozef Keulartz, De verkeerde wereld van Jürgen Habermas, Boom, Amsterdam, 1992; pour explorer les contradictions entre exposants de l’Ecole de Francfort: Peter Moritz, Kritik des Paradigmentwechsels – Mit Horkheimer gegen Habermas, zu Klampen, Lüneburg, 1992. Pour connaître les dimensions volontaristes (positives comme négatives) des exposants de la “nouvelle gauche” issue des théories de l’Ecole de Francfort: Bernd Guggenberger, Die Neubestimmung des subjektiven Faktors im Neomarxismus – Eine Analyse des voluntarischen Geschichtsverständnisses der Neuen Linken, Alber, Freiburg, 1973. Etude critique sur les implications politiques militantes de l’Ecole de Francfort: Bernd Guggenberger, Wohin treibt die Protesbewegung? Junge Rebellen zwischen Subkultur und Parteikommunismus – Ursachen und Folgen der Unfähigkeit zur Politik, Herder, Freiburg i. Breisgau, 1975. Pour une approche générale (relativement critique): Pierre V. Zima, L’école de Francfort, éd. Universitaires, Paris, 1974. Pour connaître les tenants et aboutissants de la “querelle allemande des sciences sociales”: cf. l’ouvrage collectif De Vienne à Francfort: la querelle allemande des sciences sociales, éd. Complexe, Bruxelles, 1979.

  24. Theodor W. Adorno, Studien zum autoritären Charakter, Suhrkamp, st107, Frankfurt am Main, 1973.

  25. L’expression est due au professeur américain David Graeber; voir les articles de présentation “David Graeber: Bullshit Jobs” et “Vers une société de ‘boulots à la con’”, tous deux sur http://euro-synergies.hautetfort.com/archive/2013/08/29 (29 août 2013).

  26. Olof Petersson, Die politischen Systeme Nordeuropas – Eine Einführung, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden-Baden, 1989. Recension de ce livre: cf. Robert Steuckers, “Aux sources de la démocratie scandinave”, sur: http://robertsteuckers.blogspot.com (avril 2012).

  27. Dirk De Wachter, Borderline Times – Het einde van de normaliteit, Lannoo Campus, Tielt, 2012. Voir notre entretien avec Manuel Quesada sur: http://robertsteuckers.blogspot.com (juillet 2013).

  28. Manfred Spitzer, Digitale Demenz – Wie wir uns und unsere Kinder um den Verstand bringen, Droemer, München, 2012. Voir notre entretien avec Manuel Quesada sur: http://robertsteuckers.blogspot.com (juillet 2013).

  29. José Ortega y Gasset, España invertebrada – Bosquejo de algunos pensamientos históricos, Espasa-Calpe, Madrid, 1979 (5°éd.); Alejandro de Haro Honrubia, Elites y masas – Filosofía y política en la obra de José Ortega y Gasset, Biblioteca Nueva/Fundación José Ortega y Gasset, Madrid, 2008.

  30. Zaki Laïdi, La norme sans la force – L’énigme de la puissance européenne, Presses de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, 2005. A lire également: Zaki Laïdi, Le monde selon Obama – la politique étrangère des Etats-Unis, Flammarion, coll. “Champs actuel”, n°1046, notamment le chapitre intitulé: “Les Etats-Unis ont-ils encore besoin de l’Europe?” (pp. 281 à 318).

  31. Cf. Helmut Schmidt, Die Mächte der Zukunft – Gewinner und Verlirer in der Welt von morgen, Siedler Verlag, München, 2004; Alexander Rahr, Der kalte Freund – Warum wir Russland brauchen: Die Insider-Analyse, Hanser, München, 2011.

  32. Pour comprendre quels sont les six paradigmes occidentaux en matières de relations internationales, dont les paradigmes kantiens, néo-kantiens et habermassiens cf. Gérard Dussouy, Les théories géopolitiques – Traité de relations internationales (1), L’Harmattan, Paris, 2006.

  33. Cf., entre autres titres, Robert Kagan, The Return of History and the End of Dreams, Atlantic Books, London, 2008.

  34. Ida Magli, La dittatura europea, BUR Futuropassato, Milano, 2010-2011 (3a ed.).

  35. Eduardo Arroyo, El fin de la Unión Europea, in: http://euro-synergies.hautetfort.com, 28 août 2013.

  36. Willy Wimmer, Les Etats-Unis et leurs alliés – La “souveraineté limitée” selon la doctrine Brejnev, in: http://www.horizons-et-debats.ch (août 2013).

  37. Dieter Blumentwitz, Feindstaatenklauseln – Die Friedensordnung der Sieger, Langen Müller, München, 1972.

  38. Enrique Ravello, El Tratado de libre commercio Estados Unidos – Unión Europea – Otro paso hacia la globalización, in: http://enricravello.blogspot.com ; repris sur http://euro-synergies.hautetfort.com , 20 juin 2013.

  39. Andrea Perrone, L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane, in: Rinascita,http://rinascita.eu , 3 mai 2013; repris sur http://euro-synergies.hautetfort.com , 8 mai 2013.

  40. Cf. Michel Bugnon-Mordant, L’Amérique totalitaire – Les Etats-Unis et la maîtrise du monde, Favre, Lausanne, 1997.

  41. Keith Lowe, Savage Continent – Europe in the Aftermath of World War II, Penguin, Harmondsworth, 2013.

  42. Stuart Miller, Understanding Europeans, John Muir Publications, Santa Fe, New Mexico, 1990.

  43. John Pilger, “De Hiroshima à la Syrie, le nom de l’ennemi dont Washington n’ose pas parler”, in: http://www.mondialisation.ca ; à lire également: John Pilger, The New Rulers of the World, Verso, London/New York, 2003.

  44. Noam Chomsky, Les états manqués, Editions 10/18, n°4163, Paris, 2008.

  45. Philippe Cohen, BHL – Une biographie, Fayard, Paris, 2005.

  46. Fabrizio Fiorini, L’Occidente allo sbando, l’Occidente ha paura, in: http://www.rinascita.eu , 11 septembre 2013. repris sur http://euro-synergies.hautetfort.com , 12 septembre 2013.

  47. Gearóid Ó’Colmáin, Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium, in: http://www.globalresearch.ca (2013).

 

 

 

 

 

Les Parlements nationaux ne seront pas consultés sur la ratification du Traité transatlantique

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Les Parlements nationaux ne seront pas consultés sur la ratification du Traité transatlantique

Ex: http://fortune.fdesouche.com

Est-ce que, au terme des négociations, l’Accord de libre-échange UE-USA devra être ratifié par chacun des Etats membres ? Je me pose cette question depuis un bon bout de temps maintenant. Aucune source officielle n’a daignée ne répondre explicitement.

Les seuls éléments de réponse étaient des éléments d’ordre général, consistant à indiquer que les accords mixtes (ceux qui comprennent des dispositions de compétences européennes et nationales) doivent être ratifiés à la fois au niveau européen et au niveau national. Impossible de savoir si l’Accord UE-USA relèverait de cette catégorie.

La publication d’un entretien de Karel de Gucht par Jean Quatremer aujourd’hui [29 octobre 2013] au sujet de l’Accord de libre échange UE-Canada m’a fait reprendre mes recherches.

En effet, le Commissaire indique : « Il faudra ensuite que le Collège des 28 commissaires européens donne son feu vert au texte définitif que je lui présenterai avant de passer à la ratification par le Conseil des ministres (où siègent les États membres, NDLR) et le Parlement européen. »

A la lecture de cette réponse, je me dis que l’on peut vraisemblablement penser que l’Accord transatlantique connaitra le même sort : une ratification par le Conseil de l’Union européenne (les ministres du Commerce) et par les eurodéputés.

Les Parlements nationaux ne seront apparemment pas consultés sur la ratification du Traité transatlantique.

C’est ce que confirme une réponse parue récemment sur le site de la Commission européenne consacré aux négociations transatlantiques, dans la rubrique « Questions fréquentes » :

Il parait incroyable qu’un Traité d’une tel ampleur puisse être secrètement négocié par la Commission européenne et les ministres européens sans aucun contrôle, ne serait-ce qu’a posteriori, des représentants nationaux.

Encore une fois, le fonctionnement des institutions européennes permet de doubler sans difficulté les compétences historiques des parlementaires français. La ratification par le Parlement des Traités commerciaux est en effet inscrite dans l’article 53 notre Constitution.

Certains répondront que l’opinion publique et les parlementaires peuvent cependant tenir, par la pression, la position du gouvernement français.

Comme nous l’explique Craig Willy dans son dernier article « La France peut-elle rejeter le Grand Marché Transatlantique ? », les décisions du Conseil relatives [aux traités] restent prises à l’unanimité. Aucun accord ne sera validé sans l’appui du gouvernement français.

Mais il faudra garder à l’esprit que les discussions au sein du Conseil ne sont pas publiques.

ContreLaCour

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Le marché transatlantique va soumettre l’Union Européenne aux USA

TTIP : Le marché transatlantique qui va soumettre l’Union Européenne aux USA

par Roberto Fiorini

Ex: http://fortune.fdesouche.com

Article de Roberto Fiorini initialement publié dans le Magazine Terre et Peuple n°57 – Automne 2013

Des négociations sont en cours pour préparer le grand marché transatlantique, ce nouveau marché unique entre les USA et l’UE. Cette zone de libre échange sans droits de douane, est en préparation depuis des décennies et devrait aboutir d’ici 2015. Les marchands aux commandes nous la présentent comme une évolution, inoffensive et bénéfique pour prolonger une croissance amorphe. Mais il est évident que les USA vont aussi neutraliser (définitivement ?) le potentiel politique de l’Europe, tout en mettant en laisse nos économies.

 

 

Le nom de code de cette opération de soumission de l’UE est désormais TTIP : Transatlantic Trade and Investment Partnership (1). Le volet de négociations qui s’est ouvert le 17 juin 2013, a surtout été médiatisé grâce à l’affaire d’espionnage des américains à l’encontre de leurs « alliés » européens .

L’esprit du projet économique masque d’autres ambitions

L’ensemble économique « occidental » qui va ainsi se constituer rassemblera 820 millions d’habitants et pèsera près de 50 % du PIB mondial, et 30 % des flux commerciaux. L’ «Occident», enfin réalisé, nous éloignera de nos propres intérêts géopolitiques, en consacrant, encore un peu plus, le règne de l’argent.

Les élites des deux entités aux manettes nous disent qu’il faut créer ce nouvel espace libéral afin de redonner un souffle à la croissance: ils espèrent au mieux une progression supplémentaire de 0,5 % du PIB de la zone UE et de 0,4 % pour le PIB des USA. Cette évolution n’est pas à la mesure des enjeux, car pour récréer de l’emploi il faudrait passer les 2 % de progression du PIB par an.


D’après Jacques Sapir, « si l’on regarde le taux de croissance sur longue période de la France, on voit qu’il est passé de 2,6% par an de 1980 à 1989, dans une période de libéralisation régulée des marchés à 1,8% par an de 1990 à 2007, dans une période de libéralisation déréglementée ». (2). Histoire de rappeler que le libéralisme « dérégulé » ne tient pas ses promesses. Pour 2014, on nous prévoit à peine, entre 0,5 et 0,9 % de croissance…

La fin des barrières douanières

Avant que ce projet n’aboutisse, chacune des deux parties devra faire des concessions dans ces négociations dites bilatérales.

Les négociateurs envisagent de supprimer les barrières douanières entre les deux zones, mais ces taxes aux frontières sont déjà faibles (4 % de moyenne). Une baisse potentielle des prix de revient de 4 %, qui ne profitera aux consommateurs que si les industriels concernés, baissent réellement leurs prix de vente. Sinon, cela augmentera leurs marges. Dans le contexte de compétition mondiale où l’air du temps sanctifie la compétitivité, que choisiront-ils à votre avis ?

Pour les états les conséquences seront autres: ces recettes douanières supprimées seront autant de ressources en moins, qui ne seront pas compensées ! Avec ce nouveau manque à gagner pour les caisses du pays, il faudra raboter encore quelques millions sur notre défense, notre santé, où notre sécurité…

L’ambigüité des barrières non tarifaires

Le plus gros changement, et donc le plus grand péril, viendra de la baisse des « barrières non tarifaires », qui sont des normes « qualitatives » qui sont imposées aux entreprises par le législateur européen, afin de façonner le commerce, tel que nous le voulons.

On parle ici de normes de sécurité, écologiques ou sanitaires qui représentent pour certains produits, des surcoûts augmentant le cout final de 10 à 20 %. Ces formes de protectionnisme s’imposaient déjà à nos entreprises, qui en supportaient le coût, face à une concurrence qui n’avait pas autant de contraintes.

Ces normes qui devront être harmonisées à l’issue de l’accord atlantique, que certains appellent déjà accord OTAN, pourront alors s’imposer au reste du monde, comme atout offensif dans la compétition économique mondiale. Ou comme boulet si les autres refusent ce que l’on voudra leur imposer, comme précédemment la taxe carbone, ou toute autre norme de développement durable… Protectionnisme à peine dissimulé.

Dans la vision Anglo-Saxonne du commerce, le principe de précaution est un frein à la liberté d’entreprendre: il faut être le premier à faire du fric avec une idée, et tant pis si au passage, on empoisonne quelques clients trop crédules. Il est donc évident que le principe de précaution instauré par Chirac dans la constitution française devra être abrogé.

Les secteurs visés par la négociation sont nombreux

De nombreux sujets sont posés sur la table des négociations, tous porteurs de leurs risques ou de leurs opportunités, selon que l’on se place d’un côté ou de l’autre: agriculture, agroalimentaire, matières premières, électronique, textiles, chimie, énergie, produits manufacturés, produits pharmaceutiques, accès aux marchés publics…

Sans oublier l’ouverture du secteur des services, (qui pèse 70 % de notre PIB) ou l’exception culturelle, défendue par la France et qui entraverait le déferlement de productions culturelles US sur le vieux continent.

Tout un programme de libéralisation. Mieux qu’un discours de Thatcher ou de Reagan, sans que les peuples aient à donner leur avis ! Mais comme certaines lois pourraient déplaire aux multinationales, ces dernières ont annoncé qu’elles pourraient se pourvoir en justice contre certaines des lois qui naitront dans cet occident Otanien ! La ploutocratie dans toute sa splendeur !

Les commissaires européens, travailleront sur mandats des pays pendant ces négociations ; mais certains points d’accroches sont déjà connus. Sur l’agriculture d’abord et surtout. Il faudrait réduire la PAC (Politique Agricole Commune) et donc la production autochtone européenne, pour se mettre un peu plus en dépendance alimentaire des multinationales US.

L’Europe ouverte à qui veut bien la prendre

15000 entreprises sont officiellement habilitées à faire de la préconisation aux parlementaires européens (lobbying). De nombreuses victoires peuvent être portées à leur actif: certaines entreprises demandaient que les semences non référencées dans le « catalogue » officiel (déterminé par les apprentis sorciers) ne puissent plus être plantées. L’UE leur a donné raison (directive du 12/07/2013) !

Pour le rinçage à l’acide lactique des carcasses de viandes, autorisé aux USA, plus besoin d’attendre, l’UE l’a aussi autorisé depuis mars 2013 ! (3)

Aux USA le lobbying a aussi fait interdire les petits jardins individuels: les peuples devront acheter, un point c’est tout. Produire pour son propre compte sans débourser un centime n’est plus envisageable dans le monde qu’ils nous préparent. Ni ici, ni là bas.

Parmi les grands gagnants, on pense d’abord à Monsanto, qui souhaite nous mettre en esclavage alimentaire, grâce à ses semences stériles, qui doivent être rachetées obligatoirement chaque année. Finie l’autosuffisance de nos agriculteurs, qui replantaient l’année suivante d’anciennes graines.

« Demain, ce sont les lobbies agricoles américains qui exigeront l’ouverture des frontières européennes aux produits OGM. Le blé Monsanto, qui n’avait, parait-il, pas quitté les laboratoires pousse actuellement gaiement dans l’Oregon. »(4) Blé, soja, maïs, tomates transgéniques…

Du côté des normes que l’UE bloque encore, on pense à cette viande bovine aux hormones ou encore à ces poulets rincés à l’eau de javel… en attendant les viandes clônées brevetées !

Dans le domaine numérique, on sait que Facebook, grâce aux lois US, devient propriétaire, à vie, de tout ce qui est publié sur ses pages. Des comportements contestés par l’Europe, mais pour combien de temps encore ? Big Brother a soif de données fiables pour organiser ses révolutions de velours…

Alors pourquoi l’affaire Snowden, à ce moment-là des négociations transatlantiques?

L’affaire d’espionnage est sortie à point nommé pour déstabiliser la délégation US, et renforcer certaines positions Européennes. Qui ignore encore qu’avec le réseau Echelon (5), les USA espionnent qui ils veulent ? Depuis bien longtemps les services de l’intelligence économique française tirent la sonnette d’alarme: grâce aux serveurs de messageries de Microsoft (Outlook, Live, Messenger…), Google, Yahoo, Black Berry, Apple ou Skype, les USA mènent une guerre économique impitoyable en surveillant la correspondance de leurs alliés.

Obama avait menacé la France de représailles massives, si elle maintenait l’exception culturelle. Il fallait rétablir l’équilibre des négociations car Barroso en fidèle toutou de ses vrais commanditaires, était revenu à la charge, dès le 17 juin, rappelant que la France voulait exclure le secteur audiovisuel du mandat des négociations commerciales avec les États-Unis: “Cela fait partie de ce programme antimondialisation que je considère comme totalement réactionnaire” (6).

Les Français ne lâchent pas la culture ? Qu’à cela ne tienne les USA ne veulent pas que l’on touche au secteur des assurances, ni à leur finance (trop pourrie ?). Donnant, donnant ? Ou trop de choses à cacher ?

Les américains pourraient aussi nous imposer leurs normes comptables, avec des conséquences qui sont à évaluer pour nos entreprises.

Les conséquences stratégiques de ces négociations

Au-delà de l’aspect purement commercial, les conséquences d’un tel accord sont mortelles pour l’indépendance politique de la France et de l’UE. C’est même toute l’histoire d’une mise en dépendance organisée des pays du vieux continent qui continue de s’écrire.

Ceux qui préparent le gouvernement mondial travaillent depuis très longtemps à cet ensemble transatlantique. Qui se souvient de l’Union Latine… qui regroupait la France, la Belgique, la Suisse, l’Italie, et la Grèce. Présidée par Félix Esquirou de Parieu, fervent partisan d’une union monétaire « prélude aux fédérations pacifiques du futur » (= étape préalable au gouvernement mondial), celui-ci proposa en 1867 d’introduire une monnaie commune dans une « Union européenne occidentale »,dont le nom pourrait être changé dans le cas où les États-Unis manifesteraient leur désir d’y participer.(7)

De Gaulle ne disait-il pas la même chose dans son discours du 15 mai 1962 ? (8). Il alertait sur la nature de la construction européenne qui se mettait en place. Il voyait bien qu’elle transformerait les pays européens en simples satellites des USA, comme on parlait alors des satellites de l’URSS: des pays dépendants, asservis et soumis, y compris militairement. Il parlait de fédérateur qui viendrait de l’extérieur, sous entendu pour prendre la direction de l’UE !

Bruxelles, Barroso, et la commission européenne travaillent donc à l’harmonisation des normes dans ce nouvel espace qui va naître. On doit limiter les écarts entre les deux continents, pour mieux préparer ce nouvel ordre mondial dont nous serons le socle… s’ils parviennent à leurs fins.

« Elles s’emploieront en outre à assurer la compatibilité de leur réglementation dans des secteurs spécifiques…. » (9)

La chimie américaine bénéficie actuellement d’une baisse des prix du gaz de près de 30%, grâce au gaz de schiste, qui leur fait bénéficier d’un avantage jugé déloyal par les européens. A moins que chez nous aussi la fracturation devienne possible… par soucis d’équité de traitement !

Le projet de loi Fioraso visant à faire de l’Anglais la langue universitaire en France, prépare, sous d’autres aspects, les nécessaires harmonisations pour fusionner les entités. Y compris en abandonnant notre langue !

L’exemple le plus flagrant de l’harmonisation qui est déjà réalisée, ce sont les coupes budgétaires automatiques qui s’imposeront désormais aux états européens, et qui sont constitutionalisées par le TSCG (Traité sur la Stabilité, la Coordination et la Gouvernance). Elles visent à nous aligner sur le modèle des coupes automatiques qui sont réalisées dans les dépenses publiques aux USA, lorsqu’ils sont confrontés au fameux mur budgétaire de la dette. L’asservissement à la dette et à l’usure est ainsi renforcé ! Merci à Giscard et Pompidou pour avoir initié ce chemin avec la loi du 3 janvier 1973.

Pour que cela puisse se poursuivre on nous demandera sous peu, d’aller vers une Europe Fédérale, ainsi seront réalisés les Etats Unis d’Europe, totalement inféodés aux intérêts US, et dépourvus de pouvoirs régaliens. La matrice de la soumission mondiale où chaque état ne décidera quasiment plus rien ! Qui protégera alors les peuples de la cruauté des hommes qui s’auto élisent à la direction des affaires du monde ?

L’évolution du libre échange ; quand le « bilatéral » modifie le visage de la mondialisation

L’entrée de la Chine à l’OMC, en 2001, a bouleversé les équilibres du commerce mondial ; son modèle capitaliste particulier fait trembler le maître américain, qui doit envisager d’autres règles pour tenter de se maintenir. Le cycle de Doha (libre échange multilatéral) est bloqué. Les ententes ne sont plus possibles, tant les intérêts divergents sont désormais inconciliables entre les différents pays, qui subissent à leur base, la pression de peuples mécontents.

Alors les maîtres du jeu modifient la donne et envisagent leur offensive économique sous une autre forme.

« On voit bien que le bilatéralisme se développe à mesure que le multilatéralisme se bloque. Et depuis 2008, qui a vu les négociations du cycle de Doha capoter,… lorsqu’on examine la politique commerciale américaine on voit bien qu’ elle a délibérément choisi d’abandonner le multilatéralisme commercial pour s’engager sur la voie d’un containment de la Chine en mettant en place deux mâchoires commerciales : la mâchoire asiatique avec le TPP (NDLR : accord bilatéral avec le Japon) et la mâchoire Atlantique avec le TTIP…

Les raisons de ce changement sont simples. Les États-Unis n’ont plus la force de soumettre le système commercial mondial à leurs exigences. En revanche ils s’estiment encore assez forts pour pouvoir le contourner. »(10)

Les promesses d’emplois au menu

« Cet accord, le plus important accord commercial bilatéral jamais négocié, pourrait faire économiser des milliards d’euros aux entreprises et créer des centaines de milliers d’emplois. » (1). (NDLR: 2 millions d’emplois sont « espérés » dans l’UE). Quel avenir prometteur ! Que de promesses exaltantes: mais ces promesses n’engagent que ceux qui les écoutent. Quant aux milliards qui seront économisés par les entreprises, iront-ils en hausses de salaires quand les autres salariés du monde sont si peu payés ?

Démantèlement du « modèle social » de l’Europe continentale

Droit du travail, droit syndical, tout doit être laminé ! Supprimer ce qui protège les travailleurs… Ou corrompre !

Bien plus concrètement, il faut harmoniser les protections sociales et revoir à la baisse les ambitions des travailleurs européens. Puisque ces derniers sont désormais crédules, et décérébrés (parce que conditionnés), ils peuvent subir leur nouvelle destinée. Tout sera nivelé par le bas: à commencer par les salaires qui vont pouvoir baisser.

 

 

La protection sociale doit aussi baisser, et ne devra plus peser autant dans les comptes de la nation.

Regardez le graphique intitulé « les dépenses sociales comparées »: vous y verrez l’effort accompli par l’Allemagne depuis 2003 pour se rapprocher des standards Anglais et US. Leurs dépenses sociales convergent aux environs de 15/16 % de leurs PIB respectifs. Italiens et Français dépensent trop d’après la norme libérale: près de 20 % de leurs PIB sont encore réservés aux dépenses sociales.

Des réformes doivent être menées par ceux qui seront « nommés » au pouvoir, tels Monti en son temps, ou Hollande qui devra réduire les budgets sociaux de 4 % pour coller aux autres pays. Cela implique de les baisser de 80 mds € ! Tant pis pour ceux qui souffrent ; pendant ce temps on versera quand même les 50 mds € annuels d’intérêts aux usuriers !

A qui profitera cette baisse de la protection sociale « solidaire » ? Au privé bien sûr. Au fait qui a payé une partie de la campagne présidentielle du sieur Hollande ? Henri de Castries, le PDG d’Axa ; ce groupe qui vit de contrats de protection « privés »…

Sur le dos de qui va se faire ce renversement d’alliance ?

Selon le Wall Street journal: « David Cameron fait le pari que le TTIP, en cas de succès, réduira sensiblement les pressions exercées à son encontre pour qu’il obtienne, avant 2017 (NDLR: référendum de sortie de l’UE), une renégociation complète des conditions de l’affiliation de la Grande-Bretagne à l’UE. [...] » (11)

Die Welt en Allemagne explique que cet accord bénéficierait essentiellement aux USA dont le PIB par habitant pourrait croitre de 13,4 %. (11)

La Frankfurter Allgemeine Zeitung précise que suite à cet accord, les échanges commerciaux au sein de l’UE diminueraient également: « Le volume d’échanges commerciaux entre l’Allemagne et les pays d’Europe du sud baisserait de 30% [...] celui entre l’Allemagne et la France de 23% [...] tandis qu’il doublerait avec les États-Unis. [Ainsi] l’Union douanière [mise en place par l’UE en 1968] perdrait de sa valeur. » (11)

L’Allemagne fera cavalier seul, et délaisse l’UE ? Juste avant l’euro ?

L’Europe sortira laminée et divisée: ni plus ni moins, car l’Allemagne va changer de partenaires (c’est ça le libre échangisme !) et ceux qui vont être délaissés vont en souffrir ! Le commerce interne de l’UE se tasse ? Alors l’Allemagne cherche de meilleurs débouchés économiques pour ses entreprises. Au détriment de la construction européenne. Un choix qui sera lourd de conséquences… N’en doutons pas.

Le dollar favorisera les USA ?

En revanche rares sont les informations qui viendraient nous rappeler l’avantage compétitif incomparable dont disposent les USA avec leur monnaie, ce dollar qu’ils impriment à façon, et qui a une valeur inférieure à l’euro. Un vrai avantage, qui ne sera pas harmonisé pour le coup.

Et nos entreprises vont souffrir, face à la faiblesse du dollar, qui fait en réalité sa force ! Une force injuste, car déloyale du fait des manipulations sans fin qu’opère la FED.

Peuples et entreprises sous le rouleau compresseur

Les entreprises qui ont cru aux bienfaits des premiers temps de la mondialisation, vont désormais subir le rouleau compresseur des multinationales qui ne supportent pas la concurrence et tendent à grandir jusqu’à détenir des monopoles complets, grâce auxquels ils feront alors, seuls, le prix final !

C’est dans le contexte déjà dramatique de 2013 que ce marché transatlantique plante ses jalons. Cette nouvelle vague de libéralisme économique va déferler au moment où l’économie réelle est en train de s’arrêter. Au moment où les faillites d’entreprises sont nombreuses, entrainant des flots de chômeurs qui viennent peser sur les amortisseurs sociaux (déséquilibrés de ce fait).

La crise financière s’est transformée en crise bancaire ; la crise bancaire est devenue crise budgétaire pour les états qui se sont endettés pour les soutenir. La crise budgétaire ne permet pas la relance attendue pour éviter la crise économique (l’époque actuelle), avant de se transformer en quoi, en crise sociale ?

L’avenir n’est pas certain, mais il est évident que toutes les divisions de notre société seront exacerbées par ce qui se prépare ! A chacun de s’y préparer le plus consciemment possible.

Si vous aspirez à un autre destin que la dictature économique promise par les marchands, plus que jamais, il vous faut vous engager, pour militer activement et donner de votre temps pour travailler contre cette entreprise.

Vous avez souffert du marché Unique Européen ? Alors vous n’aimerez pas non plus sa version transatlantique !

Ceux qui voudraient creuser la question du marché transatlantique, et la régression sociale qui l’accompagne, peuvent écouter l’émission n° 140 réalisée par Méridien Zéro sur cette question intitulée l’offensive générale du système.

Notes:

(1) Ec.europa.eu

(2) Atlantico

(3) Le Figaro

(4) Libre échange transatlantique : Les-européens paieront

(5) La Tribune

(6) Le Monde

(7) Félix_Esquirou_de_Parieu

(8) De Gaulle: conférence de presse du 15 mai 1962 sur les questions européennes

(9) Europa.eu

(10) Telos

(11) Presseurop

Divers:

Début des négociations transatlantiques ambiance tendue et points délicats (France info)

L’Europe face aux États-Unis (France Info)

Libre échange : le précédent de 1860 (La Tribune)

mardi, 12 novembre 2013

Jacqueries, rébellions, révolution: quelle forme finira par prendre la révolte des Français?

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Jacqueries, rébellions, révolution: quelle forme finira par prendre la révolte des Français?

Par Serge Federbusch

Ex: http://fortune.fdesouche.com

C’est une révolte ? Non sire, c’est une ralbolution !“. Si l’écotaxe cristallise tous les mécontentements, les vraies raisons de la révolte grandissante des Français sont plus profondes.

1 – C’est une révolte ? Non sire, c’est une ralbolution !

L’écotaxe n’est évidemment qu’un abcès de fixation. Les vraies raisons de la révolte grandissante des Français ont pour noms récents la Redoute, Fagor, Cristal d’Arques, Alcatel, Michelin, Fralib, Electrolux et Gad. Altares, société spécialisée dans la collecte d’informations sur les entreprises, a recensé au troisième trimestre 13 140 procédures collectives (sauvegardes, redressements et liquidations judiciaires d’entreprises) avec 52.700 emplois directs menacés.

Mieux vaut ne pas parler de leur impact indirect, sur le commerce, les revenus des familles, etc. Et il s’agit de vrais emplois, pas des cataplasmes dont Mou-Président espère une cosmétique et purement transitoire “inversion de la courbe du chômage“. Cette incantation a du reste tendance à se faire discrète ces derniers temps dans les services de communication du pouvoir. Les jobs bidons et subventionnés ne sont même pas capables de faire illusion quelques semaines !

La vraie question est donc : quel chemin prendra la rébellion qui vient ?


Les échauffourées bretonnes font pour le moment penser aux jacqueries médiévales qui perdurèrent jusqu’au 18ème siècle. Elles ont un caractère régional, sont plutôt ancrées dans les zones rurales et dirigées contre la cherté de la vie, la difficulté à joindre les deux bouts, la noblesse protégée – sous sa forme actuelle c’est à dire la fonction publique et les élus à vie – et, surtout, les impôts et octrois mis en place par l’État.

L’écotaxe est le nouveau nom de la gabelle. Les foules défilantes en ont d’ailleurs conscience lorsqu’elles revêtent le bonnet rouge qu’arborèrent leurs lointains prédécesseurs. La France que l’Enfumeur(*) nous prédisait apaisée est en pleine régression historique et sociale, conséquence de son déclin économique.

Pour que la jacquerie devienne révolte, il faut qu’elle se “nationalise”, qu’elle se transforme en contestation générale du pouvoir.

Des premiers bonnets rouges ont été signalés en région parisienne, signe d’un début de contagion. Les portiques d’Ecomouv risquent de devenir les portes d’entrée de la maladie, comme on dit en épidémiologie. Un d’entre eux a été incendié dans les Landes. La révolte en progression doit également, pour peser, fédérer des intérêts divers, ne pas se limiter aux agriculteurs, éleveurs, pêcheurs et autres petits entrepreneurs.

Elle se nourrira quoi qu’il arrive du discrédit de la classe dirigeante. La grande jacquerie de 1358 fut attisée par les déboires de la noblesse d’épée, après les défaites de Crécy en 1346 et de Poitiers en 1356. La sourde colère actuelle est le fruit des défaites de Maastricht (1992) et Lisbonne (2007) qui ont ouvert les marchés français au grand vent de la concurrence internationale tout en leur imposant une monnaie, l’euro, qui les handicape gravement par sa surévaluation. La classe dirigeante française a failli à ces deux occasions. Elle commence à en payer le prix.

Mais ces accès de brutalité populaire, qui voient les équipements publics vandalisés et les représentants locaux du pouvoir malmenés, peuvent-ils se transformer en une révolution en bonne et due forme ?

Ce qui caractérise le processus révolutionnaire, par rapport aux jacqueries et révoltes ordinaires, est d’abord qu’il est précédé d’un travail idéologique, d’un soubassement théorique dont l’ambition est d’offrir une véritable alternative au pouvoir en place, un ordre nouveau en quelque sorte. Ce fut le rôle des philosophes des Lumières dans la France du 18ème siècle ou des marxistes cent ans plus tard.

L’opposition est encore aux balbutiements de cette entreprise intellectuelle. Elle est tiraillée entre critiques libérales de l’État, mots d’ordre protectionnistes et réflexes conservateurs. Que l’économie française ne puisse s’abriter plus de deux ou trois ans derrière de nouvelles barrières sans sombrer dans la sous productivité et l’inflation galopante est certes problématique. Mais l’essentiel n’est pas d’être convaincant, c’est d’être fédérateur. Les victimes de l’ordre européen sont en passe d’être majoritaires en France. D’une manière ou d’une autre, ce mouvement trouvera sa traduction idéologique, probablement dans la contestation de la représentation politique et l’exigence de démocratie directe.

 

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Il manquera alors un dernier ingrédient, indispensable à toute révolution : que les forces protestataires se fédèrent, d’où qu’elles viennent, contre les maîtres du moment. Que, comme sur la barricade peinte par Delacroix, le peuple, l’étudiant, l’artisan se retrouvent. C’est là que le bât révolutionnaire blesse encore.

Pour l’heure, la “ralbolution” progresse en ordre dispersé. Le meilleur allié du pouvoir s’appelle Jean-Luc Mélenchon. Il ne peut s’empêcher de ressortir le préchi-précha gauchiste sur le fait que la révolte bretonne serait téléguidée par un petit patronat revanchard. Il défile dans son coin, fustigeant les chouans et leurs croyances. Il est isolé mais il divise, jouant le rôle d’idiot utile du hollandisme qu’il avait déjà incarné lors de la dernière élection présidentielle. On peut également faire confiance à Sa Normalité élyséenne pour tenter d’affaiblir le mouvement de contestation en le noyant dans les méandres des tables rondes et autres processus de concertation, usines à parlote dont le parti socialiste détient les brevets.

Cependant, la persistance de la crise économique et des difficultés budgétaires peut finalement coaliser les forces de contestation, comme elles le firent sous Louis XVI et Necker. Le pouvoir n’ayant plus la moindre marge de manœuvre pour augmenter les impôts et n’ayant pas le courage de s’attaquer aux dépenses, est frappé de tétanie. Après l’écotaxe, dans quelques semaines, quelques mois, un prétexte quelconque, une mesure vénielle mettra à nouveau le feu aux poudres. Si ce n’est, à plus long terme, l’euro qui ne finisse par s’effondrer, semant le chaos dans l’économie.

Faisons confiance à François Hollande : il finira bien par trouver l’équivalent de la convocation des États généraux pour précipiter la fin du nouvel ancien régime…

2 – L’horizon fuyant du déficit

La Commission de Bruxelles, qui préfère ne pas voir que la hausse actuelle de l’euro va anéantir le timide début de reprise en Europe, est en tout cas pessimiste sur les chances de la France de passer en dessous des 3% de déficit public en 2015. Il sera selon elle d’au moins 4,1% du PIB cette année, 3,8% l’an prochain et 3,7% en 2015, très éloigné donc du chant des sirènes entendu depuis le pédalo présidentiel.

Dans ces conditions, la remontée des taux d’intérêt deviendra insupportable et la croissance de la dette publique ingérable. Tout ce qu’il faut pour justifier que la Commission, forte des nouveaux pouvoirs qui lui ont été conférés, demande au gouvernement français de réécrire son budget. Le grand problème de cette forme d’Europe est qu’elle ne parvient à étendre son pouvoir que sur les décombres des États membres.

3 – Senatus Consulte

100 % des sénateurs ont voté contre un projet de loi du gouvernement socialiste et pas le moindre puisqu’il s’agit de la réforme des retraites ! Comment disait-il déjà ? Une démarche d’écoute, consensuelle et apaisante.

Après tout, l’unanimité contre soi, c’est une façon de faire consensus. Il faut dire qu’au Sénat, on prend sa retraite très tard.

Atlantico.fr

(*) Titre du livre de Serge Federbusch (Ixelles éditions, 2013).

Bielorussia e Cina resistono alle pretese occidentali sui diritti umani

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Bielorussia e Cina resistono alle pretese occidentali sui diritti umani

Minsk, 1 novembre (BelTA)

Ex: http://www.statopotenza.eu

Bielorussia e Cina resistono agli assalti delle forze occidentali sui diritti umani. Il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko ha dichiarato incontrando Meng Jianzhu, membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, segretario della Commissione per gli affari politici e legali del Comitato centrale del PCC, membro del Consiglio di Stato della Cina, a Minsk il 1° novembre. Aleksandr Lukashenko ha detto: “Credo che la vostra visita come rappresentante del presidente cinese aprirà una nuova pagina nelle nostre intense consultazioni e relazioni“. Il Presidente ha osservato che non vi è alcuna necessità di analizzare la situazione nei rapporti bielorusso-cinesi e d’indicare l’importanza e l’intensità di queste relazioni per le nazioni bielorussa e cinese.


La Cina è un alleato strategico della Bielorussia. I nostri rapporti sono stati costruiti fin dal primo giorno dell’indipendenza, mentre le basi furono gettate ai tempi dell’Unione Sovietica“, ha detto il leader bielorusso. Secondo lui non vi sono assolutamente problemi tra la Bielorussia e la Cina dal punto di vista dei futuri sviluppi della situazione globale. “Oggi abbiamo le stesse idee sull’agenda internazionale“, ha sottolineato Aleksandr Lukashenko. Secondo il capo di Stato bielorusso, la Cina è in prima linea nel tentativo volto a realizzare un mondo multipolare. “Sosteniamo anche la stessa visione“, ha detto Aleksandr Lukashenko. “Abbiamo sempre sostenuto e sosterremo la Cina sull’integrità territoriale. Agiremo insieme anche nel contrastare gli assalti attuati da certe forze occidentali sui diritti umani e altre cose che conosciamo bene“. Aleksandr Lukashenko ha anche detto che i buoni rapporti e la visione comune sulle questioni politiche evolvono tra la Bielorussia e la Cina.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Warum die UKIP täuscht

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Warum die UKIP täuscht

von Johannes Konstantin Poensgen

Ex: http://www.blauenarzisse.de

Ein Rechter hierzulande muss, mangels ernstzunehmender Parteien, ins europäische Ausland blicken. Doch der Schein trügt: Eine Alternative wie die UKIP wird die Probleme nicht beseitigen.

Einen Großteil der deutschen konservativen Aufmerksamkeit hat in den letzten Jahren die britische „United Kingdoms Independence Party” (UKIP) auf sich gezogen. Dieser ist sowohl dank ihres charismatischen Führers Nigel Farage, als auch aufgrund der tiefen wirtschaftlichen Krise des Landes ein kometenhafter Aufstieg gelungen. Deshalb ist es wichtig, die Natur dieser Partei zu untersuchen ‒ und vor allem, was sie geleistet hat und was sie noch leisten kann.

Keine Ein-​Themen-​Partei

Die UKIP hat seit ihrer Gründung 1993 drei wichtige Etappenziele erreicht: 2004 gelang der Einzug ins Europäische Parlament. Die Partei gewann 16,8 Prozent der britischen Wählerstimmen und damit zwölf Sitze. Ironischerweise bot das Parlament in Straßburg der UKIP und insbesondere dem begnadeten Redner Farage eine gute Plattform. Es war ein Gütesiegel der Seriosität. Zweitens ist sie eine der wenigen Protestparteien, der es gelang, die Fixierung auf ein Thema zu überwinden und zu allen Politikbereichen ausgearbeitete Programme zu erstellen.

Hierbei verbindet UKIP ihre zentralen Forderungen nach einem Austritt aus der EU und einem Ende der Masseneinwanderung mit liberalen Positionen in Fragen der Wirtschaft wie der Gesellschaft. Drittens veränderte UKIP tatsächlich die politische Debatte in England. Mit dieser Leistung steht sie unter den Protestparteien Europas allein da. Selbst dem in Wahlen ebenfalls erfolgreichen Front National und und der FPÖ gelang es nie, dem Gegner die eigenen Themen und die eigene Debatte aufzuzwingen.

In Britannien müssen nun aber auch die alteingesessen Parteien zur Einwanderungs– wie zur Europafrage Farbe bekennen. Es zeichnet sich sogar ein, unter Umständen aber nur rhetorisches, Einschwenken auf UKIP-​Forderungen ab. Ein Beispiel dafür sind die jüngsten Forderungen von Premier David Cameron (Conservative Party) gegenüber der EU.

Das liberale Verhängnis der UKIP

Die UKIP stilisiert sich damit als Verteidigerin der britischen Demokratie. Liberales Gedankengut ist derart essenziell für die gesamte Programmatik dieser Partei, dass dieser Anspruch ernstzunehmen ist. Denn die Partei ist nur aus der liberal-​parlamentarischen Tradition Britanniens zu verstehen. Darin liegt das Geheimnis ihres Erfolgs und zugleich ihr Verhängnis.

Die UKIP braucht unter Briten niemanden von einer neuen Weltsicht zu überzeugen. Sie baut auf das auf, was auf der Insel eine lange Tradition hat. Nigel Farage will nichts umstürzen, sondern ein politisches System wieder in sein Recht setzen. Hinter dieser politischen Tradition steht die Geschichte und der Stolz des ganzen britischen Volkes. Unter Brüsseler Vormundschaft, ebenso wie unter dem Kartell seiner etablierten Parteien, droht es zu einer Karikatur herabzusinken.

An der ethnischen Krise ändert die UKIP nichts

Doch dadurch wird die UKIP trotz aller Erfolge zum Anachronismus. Es ist bezeichnend, dass die UKIP glaubt, der Einwanderungsproblematik sei allein mit einer Reduzierung der Migration beizukommen, als wenn zumindest die Großstädte Englands nicht bereits ethnisch zersplittert seien, als wenn es keine Unruhen in Tottenham gegeben hätte, als wenn nicht die großen Unterschiede in der Geburtenrate der einzelnen Gruppen diesen Prozess weiter treiben müssten, egal was an der Grenze geschieht.

Dem Erbe der Premiers Gladstones und Churchills, selbst dem Maggie Thatchers, wird zunehmend die Substanz entzogen. Eine liberale Partei wie die UKIP kann weder mit dieser noch gegen diese Entwicklung regieren. Wie will sie etwa die den Muslimen bereits eingeräumten Schariagerichte auflösen, ohne Widerstand in der muslimischen Bevölkerung auszulösen?

Farage: Der letzte britische Premier?

Es steht außer Zweifel: Die UKIP wird bei den Unterhauswahlen 2015 ins Parlament einziehen. Es ist sogar möglich, dass sie bald den Premierminister stellt. Das Mehrheitswahlrecht, welches sie bisher hinderte, muss sie fördern, sobald sie eine bestimmte Wählermasse erreicht. Es wäre ein demokratischer Traum. Die Bürger hätten tatsächlich eine ungeliebte Machtelite friedlich abgewählt, mit ihren Stimmen der Politik keine andere Fassade, sondern eine andere Richtung gegeben. Aus dieser Welt stammt die UKIP, darüber hinaus wird sie nicht aber nicht wachsen.

Nigel Farage könnte der letzte britische Premierminister werden. Dieser Ausdruck bleibt bewusst mehrdeutig: Er könnte der letzte Premierminister sein und bzw. oder der letzte Brite als Premierminister. Zumindest wird er wohl der letzte Premierminister, bei dessen Wahl britische Stimmen den Ausschlag gaben. Es wäre nicht das schlechteste Ende des britischen Parlamentarismus.

samedi, 09 novembre 2013

Révolte de « bonnets rouges » bretons : la vraie cause

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Révolte de « bonnets rouges » bretons : la vraie cause

par Guillaume Faye

Ex: http://www.gfaye.com

La révolte des Bretons contre l’écotaxe (un impôt de plus parmi les milliers que comporte le Code le plus kafkaïen de la planète) est emblématique : toutes les professions réunies, agroalimentaires, pêche , agriculture ; les patrons et les employés, tous ligués contre l’État français spoliateur (on est loin du stupide schéma cégétiste et ”mélanchonien” de lutte des classes, des salauds de patrons capitalistes qui licencient pour maximiser leurs profits). La cause apparente, c’est la disparition progressive du tissu industriel des PME bretonnes, les difficultés des marins pêcheurs, la disparition des exploitations agricoles. Mais quelle est la vraie cause de ce naufrage, qui touche d’ailleurs toutes les autres régions de France ? 

Voyons voir…Les cyniques allemands qui font du dumping social, par exemple en refusant le salaire minimum et qui emploient à 5 € de l’heure  des travailleurs issus des pays de l’Est ?  Oui, mais comment se fait-il que seule la France soit victime de cette concurrence allemande ? C’est peut-être aussi la mondialisation et le libre-échangisme ? Ou les réglementations de la technocratie européenne ? Toutes ces raisons sont partiellement valables. Mais on oublie la cause principale des délocalisations, des fermetures d’usines et de PME, des licenciements, des absences d’embauches, en Bretagne notamment et ailleurs aussi : le fiscalisme délirant de l’État français bureaucratique.  Ce dernier, pourtant animé de bons sentiments ”socialistes” et redistributifs, voire écologistes, mène une politique objectivement anti-sociale dans ses résultats. Comment ? En étranglant les entreprises privées (des TPE aux filiales des groupes internationaux en passant par les PME) par les taxes et le harcèlement administratif. Ce qui tue leur compétitivité, les empêche de vendre, d’investir, d’innover et, évidemment, d’embaucher.

Le président de la FDSEA du Finistère, Thierry Merret, déclarait le 3  novembre, en marge de la révolte des « bonnets rouges » : « l’urgence, c’est de lever les contraintes fiscales, administratives, environnementales qui pèsent sur l’économie et empêchent les chefs d’entreprise, qu’ils soient agriculteurs, artisans ou dirigeants de PME  de travailler ou d’investir ». La cause première des faillites, des fermetures d’usine, des licenciements, ce n’est pas la ”crise”, ni la mondialisation, ni l’Europe ni la méchante Allemagne, c’est l’État-Providence français qui ponctionne, taxe, et qui, au lieu d’aider les entreprises créatrices d’emplois, est, en toute bonne conscience, leur pire ennemi. Bien pire que leurs concurrents.

Il ne s’agit pas d’être contre l’État ou de céder aux excès de l’idéologie libertarienne. Mais l’État français actuel a perdu son rôle d’initiateur, au sens gaullien ou…américain du terme : aider l’économie nationale et non pas la racketter. L’État français est aujourd’hui dirigé par une caste pléthorique de mandarins et de fonctionnaires qui n’ont jamais fait le lien mental entre leur salaire garanti à vie et la productivité de leur travail, imprégnés (même à droite, sans le savoir) par une vulgate socialiste qui enchante et fait rire tout le monde, même les ”communistes” chinois . Cette caste étatico-politique française (y compris chez les élus comme chez les apparatchiks des partis et des cabinets ministériels) ignore le fonctionnement d’une entreprise et n’a pas reçu de formation économique sérieuse. Elle n’est pas méchante, elle est ignorante et naïve.

La révolte des Bretons contre cet État français qui perd les pédales a puisé une certaine force dans l’identité bretonne (la vraie, pas celle des gauchistes), ce qui n’est pas le cas dans d’autres régions. Bien sûr, au départ, la rébellion est économique. Mais les Bretons doivent se poser la question suivante : à qui va l’argent que leur ponctionne l’État français ? 

jeudi, 07 novembre 2013

Presseschau November 2013

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Presseschau
November 2013

Wieder mal einige Links. Bei Interesse einfach anklicken...
 
AUßENPOLITISCHES
 
Die neuen Superreichen
Die globale Elite und die Revolution von oben
 
Goldman Sachs, das heimliche Imperium
 
IWF
Die große Enteignung: Zehn Prozent „Schulden-Steuer“ auf alle Spar-Guthaben
Die große weltweite Enteignung wird konkret: Der Internationale Währungsfonds verlangt eine allgemeine „Schulden-Steuer“ in Höhe von 10 Prozent für jeden Haushalt in der Euro-Zone, der auch nur über geringe Ersparnisse verfügt.
 
EU beginnt nun offiziell mit dem Verbot der Meinungsfreiheit
 
Europäische Union will »intolerante Bürger« überwachen
 
EU-Staubsaugerregulierung stößt auf Kritik
 
(EU reguliert nun auch WC-Spülungen)
Commission to regulate flushing of toilets and urinals
 
Schuldenkrise
Ökonomie-Nobelpreisträger Pissarides zweifelt am Euro
 
Haushaltskrise in den USA: Warten auf die Eine-Billion-Dollar-Münze
Noch kürzt der amerikanische Staat nur einen Teil seiner Ausgaben, doch die Haushaltskrise könnte sich dramatisch verschärfen: Wenn die USA ihre Schulden nicht mehr bedienen, droht der Crash des globalen Finanzsystems. Dann hilft womöglich nur noch ein Trick.
 
Warum wir die USA zum Krisengebiet erklären müssen
 
US-Haushaltsstreit
Bizarrer Auftritt einer Parlamentsstenotypistin
 
Enthüllungsjournalist Greenwald
Geld spielt keine Rolle
 
Collapse - Über den Zusammenbruch der Wirtschaft
 
Martin Schulz makes a fool of himself
 
Geheimdienste
„Wir sind die Helden“: NSA-Chef Alexander weist Europäer in die Schranken
 
Norwegen rückt nach Rechts
 
Front National gewinnt Kommunalwahl mit 40%
 
Wahl in Südtirol Aufstieg der deutschsprachigen Populisten
 
Ungarn: Regierung will keine Obdachlosen in Weltkulturerbe-Zonen
 
EU verbietet Mentholzigaretten
 
Niederlande
Rassismus-Vorwurf Andersweiß
 
Vereinte Nationen verurteilen Nikolausfest
 
(Vom August, aber kaum in den Medien gewesen)
Aufstand gegen Amerika: Italiener stürmen Militärbasis in Sizilien
 
Nach Mord an einem jungen Russen
Rechtsradikaler Mob hetzt Migranten in Moskau – hunderte Festnahmen
 
Katyn: Gerichtshof weist polnische Klage gegen Rußland zurück
 
Edinburgh: Lehrer fliegt nach Hitler-Äußerung von Schule
 
Radioaktives Wasser
Japan bittet um ausländische Hilfe für Fukushima
Japan bekommt seine Probleme mit radioaktiv belastetem Wasser in Fukushima nicht in den Griff. Ministerpräsident Abe hat nun internationale Experten um Hilfe gebeten.
 
Fukushima: „Die Wahrscheinlichkeit, dass die Rettung gelingt, geht gegen Null“
 
Syrien: Islamisten massakrierten hunderte Dorfbewohner
 
Unnötige Erregung über Online-Sexshop für Muslime
In der Türkei herrscht viel Aufruhr um den ersten Online-Sexshop für Muslime. Aber warum nur? Wahrscheinlich gibt es ein weit verbreitetes Vorurteil, wonach Muslime und Sex nicht zusammen passen.
 
Brunei
Sultanat will Dieben Hand abhacken und Ehebrecher steinigen
 
Brasilien: Polizei erschießt Jugendlichen, schwere Ausschreitungen
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Umfrage Deutsche finanziell in Bestlaune
Der Begriff Geldsorgen hat für viele Bundesbürger eine ganz neue Bedeutung: Sie haben nicht etwa zu wenig. Es fehlt eher an guten Anlagemöglichkeiten. Also geben die Deutschen ihr Geld aus.
 
Umfrage zur finanziellen Lage
Zufriedenheit der Deutschen auf "extrem hohen Niveau"
 
Preise für Grundnahrungsmittel steigen stark an
 
IWF empfiehlt Deutschland Steuererhöhungen
 
Wann wird rebelliert?
von Michael Paulwitz
 
AfD verhängt Aufnahmestop für „Die Freiheit“-Mitglieder
 
(Der "Welt"-Artikel hat noch nicht vom Wahlkampf- zum Hofberichterstattungsmodus umgeschaltet…)
"Hart aber fair"
Lucke findet große Gemeinsamkeiten mit der Linken
 
AfD-Chef Lucke muss sich bei „Hart aber fair“ für den Ausdruck „entartet“ rechtfertigen
 
Schmerzhafter Schnitt
von Marcus Schmidt
 
Freiheitliche Neue Volkspartei oder FDP 2.0 ohne Euro?
Überlegungen zur politischen Ausrichtung der AfD
 
Strategie für Europa-Wahl: Liberale AfD-Politiker wollen FDP ersetzen
 
AfD verteidigt Aufnahmestopp für „Die Freiheit“-Mitglieder
 
Aufnahmestopp
AfD streitet über Rechtspopulisten
 
Damit die AfD nicht die falsche Alternative wird
Anmerkungen zu aktuellen Misstönen
 
("Antifa"-Experte Alexander Häusler holt mal wieder die Keule raus)
AfD „eindeutig rechtspopulistisch, aber nicht rechtsextrem“
 
AfD wirft Gauck „Entgleisung“ vor
 
Richard Sulik: Nur die AfD kann die „Euro-Retter“ stoppen
Beeindruckender Aufritt des slowakischen Euro-Kritikers in Ingolstadt
 
FDP-Politiker verortet AfD im „braunen Sumpf“
 
Warum die FDP auch abgewählt wurde
Die Partei missachtete kritische Stimmen zum Islamunterricht
 
Ex-SPD-Abgeordneter tritt Bürgern in Wut bei
 
Frankfurt
Razzia bei CDU-Geschäftsführer
Frankfurter Politiker soll Kinderpornos besitzen
 
Dringender Verdacht auf Kindesmissbrauch
Haftbefehl gegen Büroleiter von Top-Grünen
 
Büroleiter soll Kinder vergewaltigt haben
Grünen-Politiker Koenigs: „Ich bin völlig schockiert“
 
Claudia Roth ist Bundestagsvizepräsidentin
 
(Zu Roth)
Parlamentarischer Brauch
 
(Zu Roth)
Empörungsbereite Übermutti
von Michael Paulwitz
 
(NSA-Merkel-Abhöraffäre)
Die geheuchelte Empörung
 
Bundeswehr in Afghanistan
Rückzug ins Nirgendwo
 
(Gegen Bundeswehr…)
Offenbach
Aachener Friedenspreis für Kollwitz-Schule
Angefeindet und gelobt
 
Weitere Artikel zum "Aachener Friedenspreis"
 
Schlesische Landsmannschaft trennt sich von Rudi Pawelka
 
100 Mio. Euro sichern Auschwitz-Gedenkstätte
 
Danzig entfernt Skulptur von vergewaltigendem Rotarmisten
 
(dazu)
„Frau, komm!“
 
Ehemaliger SS-Offizier: NS-Kriegsverbrecher Priebke ist tot
 
Streit um Beerdigung von Erich Priebke
 
NS-Kriegsverbrecher
Es gibt noch 30 Erich Priebke
 
(zu Priebke)
Unbarmherzig
Von Thorsten Hinz
 
(Skandal! Sensation…)
Mitglied der Waffen-SS
Oetker-Sohn: Mein Vater war Nazi
 
(1. Weltkrieg)
Der dritte Streich des Christopher Clark
 
Gedenken an Völkerschlacht
Die Freien Wähler gedachten der Niederlage Napoleons vor 200 Jahren in Leipzig
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
(DKP-Aktivistin schaltet sich plötzlich ein…)
Angeklagte soll kurz vor einem Mord mit NSU-Komplizen in Dortmund gewesen sein
Zeugin will Zschäpe erkannt haben
 
Ehemaliges DKP-Mitglied: Die dubiose NSU-Zeugin aus Dortmund
 
Nach dem 2. „zwischentag“
 
Rechte Messe in "Zwischentag" Berlin
Die Neuen Rechten vernetzen sich
 
Armin Mohler und die Freuden des Rechtsseins
 
Metapolitische Unterweisung (I)
 
Gewissensfragen (Fundstücke 19)
 
Rudolf Burger über Moral und Politik (Fundstücke 20)
 
Frauen in der NPD
Weiblich, selbstbewusst, rechtsextrem
 
Verfassungsgericht verbietet Überwachung von Bodo Ramelow
 
Die Universität Wien als Plattform linksradikaler Ideologien
 
(diskriminierendes Lokalverbot)
Linke Lokalbesitzer hetzen gegen FPÖ-Wähler
 
Berlin: Evangelische Kirche schließt Rechtsextreme von Mitarbeit aus
 
Linksextremisten randalieren in Hamburg
 
Berlin
Linksextremisten beschädigen Polizeiautos
 
Hanau
„Bündnis für Vielfalt“ formiert sich
„Gemeinsam gewaltfrei gegen Nazis“
 
Hanau
CDU fordert veränderte Strategie
„Nazis besser ins Leere laufen lassen“
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
(Neues prä-totalitäres EU-Netzwerk für "Toleranz")
Wollt ihr die totale Toleranz?
 
Betrachtungen über die Revolution des Michael Wolffsohn
 
Knallharte Sprüche statt Visionen
Die rechte Gefahr: Droht Europa eine Nazi-Revolution?
 
Einen Flüchtling heiraten
 
"Der Vorwurf, Europa schottet sich ab, ist falsch"
Innenminister Hans-Peter Friedrich fordert nach dem Flüchtlingsdrama vor Lampedusa einen verstärkten Kampf gegen Schleusungskriminalität. Gleichzeitig verteidigt er die eigene Flüchtlingspolitik.
 
Flüchtlings-Notstand im Kreis
Kommentar: Hilfe ist eine Christenpflicht
 
Gauck: Flüchtlinge besser schützen
Tragödie von Lampedusa: Bundespräsident und Menschenrechtler mahnen Berlin – Das Flüchtlingsdrama vor Lampedusa schreckt auch die deutsche Politik auf.
 
Lampedusa und das Palais Lobkowitz
 
(Ein klarer Kommentar zu Lampedusa)
Das Heerlager der Heuchler
 
Vom Dilemma zum Desaster
Von Michael Paulwitz
 
Krisenfestigkeit und das humanitäre Ethos
 
Motive für die Öffnung von Grenzen: Selbsthaß und Senkung des Lohnniveaus
 
Jean Raspail: “Unsere Zivilisation ist dabei zu verschwinden”
 
Demographie: Japans erloschener Lebenswille
 
Zahl tschetschenischer Asylbewerber steigt um mehr als 500 Prozent
 
Großbritannien: “Feindliche Umgebung für illegale Einwanderer schaffen”
 
Flüchtlinge
Europas gefährliches Spiel mit den Afrikanern
Von Gunnar Heinsohn
 
(Wer konditioniert ist, kennt keine Zukunftsprobleme…)
Paris
Nach Abschiebung von Roma-Mädchen: Tausende Pariser Schüler blockieren Schulen
 
Nach Abschiebung von 15-Jähriger
Schüler gehen auf die Straße
Frankreichs Innenminister gerät im Streit um die Abschiebung von Jugendlichen immer mehr in Bedrängnis. Wieder demonstrieren französische Schüler.
 
Frankreich
Präsident Hollande hemmungslos vorgeführt
Der Fall eines Roma-Mädchens wird für François Hollande zum Albtraum. Die 15-Jährige stellt Forderungen, die eigene Partei fällt dem französischen Präsidenten in den Rücken, die Opposition frohlockt.
 
NSU: Opferanwälte fordern neue Ermittlungen gegen Ex-Verfassungsschützer
 
Anders Breivik und der Kampf gegen die Islamisierung Europas. Eine Streitschrift
 
("Hassprediger"-Vorwurf)
Linksparteichef beschimpft Innenminister
 
Berlin: Flüchtlingscamp versinkt im Dreck
 
Hungerstreik vor dem Brandenburger Tor Völker der Welt, schaut auf diesen Platz!
(Auf die im Bild gezeigte Losung achten)
 
Hungerstreikende Flüchtlinge Wowereit: Campieren ist keine Lösung
Mit einem Appell hat Berlins regierender Bürgermeister Wowereit die hungerstreikenden Asylbewerber aufgefordert, ihre Aktion zu beenden. Der Sprecher der Protestbewegung sprach von „seelischer Folter“, die in Deutschland verübt werde.
 
Hamburger CDU: Kirche mitverantwortlich für gewaltsame Flüchtlingsproteste
 
Hamburg: Afrikanische Flüchtlinge drohen weiter mit Gewalt
 
Siedler, nicht Flüchtlinge
 
(Comicclip)
How Whites Took Over America
 
Grüne fordern Einwanderung in die Sozialsysteme
 
Grüne: Wir brauchen Flüchtlinge für unsere Sozialsysteme
 
Kriminelle Asylbewerber bekommen volle Sozialbezüge
 
Türkische Gemeinde setzt SPD unter Druck
 
DLRG soll Vereinsheim für Asylbewerber räumen
 
Vereinte Nationen verurteilen Nikolausfest
 
Hannover streicht Zigeunerschnitzel von der Speisekarte
 
Angeblicher Rassismus: Klage gegen Münchner Diskotheken
 
Muslime missbrauchen Rassismusbegriff
Der menschliche Makel
 
Migrantische Kriminalität: Desinformation durch Behörden in Deutschland (aktualisiert)
 
Fall Jonny K.: Täter weiter auf freiem Fuß
 
(Asmir A.)
Berlin
Anklage gegen mutmaßlichen Münzhändler-Mörder
 
(Kujtim A.)
Dietzenbach
Erschütternde Bandaufnahme
Bewährung: Ehefrau im Wald gewürgt und verprügelt
 
Nachts knallt’s in Berliner Bankfilialen
 
Aachen
Großrazzia nach Hetzjagd auf Polizisten
 
Frankfurt: Polizei sucht südeuropäischen Sexualstrafttäter
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
Berlin
Die ersten Fensteröffnungen sind fertig
Erstes Stück Stadtschloss steht schon!
 
Porta Westfalica: Kaiser-Wilhelm-Denkmal wird für 2,8 Millionen Euro saniert
 
Bruckhausen-Blog dokumentiert die Zerstörung des gründerzeitlichen Ruhrgebietsstadtteils Duisburg-Bruckhausen durch die Stadt Duisburg
 
Limbach-Oberfrohna
Rittergut darf abgerissen werden
Die Denkmalschutzbehörde hat nach sechs Jahren die Erlaubnis für den Abriss des historischen Gebäudes erteilt. Dort soll eine Grünfläche entstehen.
 
Abriss wegen Garzweiler II
Des Teufels Werk
2017 soll Immerath weggebaggert werden. Das Dorf steht leer, die Kirche ist ausgesegnet. Was ist, wenn dem Braunkohleabbau nun doch das Ende droht?
 
(Tebartz-van Elst vs. Wowereit)
Die säkularisierte Inquisition
 
(Sprachschutz)
Ministerin für Verständlichkeit
 
ARD und ZDF könnten halbe Milliarde Euro sparen
Laut einer Studie des Deutschen Steuerzahlerbundes arbeiten ARD und ZDF extrem unproduktiv. Grundsätzliche Kritik wird an der "grenzenlosen Expansion" der Öffentlich-Rechtlichen geübt.
 
Die Besserer
 
Kinder nach Maß
Unternehmen sichert sich Patent auf „Designer-Babys“
 
Design Blond
 
(Auch mal wieder ein bezeichnender Moment der gedankenlosen Konsumgesellschaft...)
New York
Bei Victoria's Secret
Teenager ging mit Babyleiche Dessous shoppen
 
Kolumne Die gute Ausländerin
Türken lecken nicht, Ossis immer
Sagt die Bereitschaft zum Cunnilingus etwas über die ethnische Zugehörigkeit des Lovers aus? Und wenn ja, darf man das einfach so sagen?
 
(Frauenquote)
Quoten-Spielverderber
 
USA: Universal-Studios streichen nach Protest schwule Superman-Parodie
 
Französische Promis reichen Petition ein
Freier sollen 1500 Euro Strafe zahlen
Paris -Prominente um den französischen Erfolgsautor Frédéric Beigbeder machen mit einer Petition gegen Pläne mobil, Besuche von Prostituierten unter Strafe zu stellen.
 
Armin Mohler und die Freuden des Rechtsseins
 
Geist und Pampe oder Die Dämmwolle des Bösen (Fundstücke 18)
 
Peter Brandt über Willy Brandt
„Mein Vater hat sich nicht verstellt“
Der Historiker Peter Brandt ist der älteste Sohn von Willy Brandt. Ein Gespräch über den Kanzler zu Hause, Wutausbrüche, Liebe und Verrat.
 
(Coefficients)
Der Club der Selbstgerechten
 
Unsere Welt ist seit 1900 viel besser geworden
Die Zukunft der Erde wird immer düsterer? Von wegen: Die wichtigsten Indikatoren haben sich seit 1900 zum Positiven verändert. Und zur Lösung der Probleme haben wir heute mehr Ressourcen denn je.
 
Klimapolitik Wo bleiben die Zumutungen?
Einen Veggie-Tag pro Woche? Fünf wären besser.
 
Hostien-Burger sorgt in Chicago für Aufregung
 
High-Tech-Brille übersetzt japanische Speisekarten
 
Facebook lockert seine Privatsphäre-Einstellungen
Schützt unsere Kinder endlich vor Facebook!
 
Leben und Umwelt - Genforschung
Per Schnellzug in die Südsee
Das Volk der Polynesier stammt ursprünglich aus Taiwan und hat sich auf seiner Reise durch Ozeanien kaum mit den eingeborenen Melanesiern vermischt.
 
Nach dieser Karte müsste Amerika Deutsch sprechen
150 Jahre nach der Gettysburg Address gedenken die USA auch ihrer ethnischen Vielfalt. Nicht die Nachfahren von Engländern dominieren im Land, sondern Menschen mit deutschen Vorfahren.
 
Auch Schimpansen mögen Gleichgesinnte
 
Finsterworld von Frauke Finsterwalder und Christian Kracht
 
(ach hätte Napoleon doch gesiegt…)
Sahra Wagenknecht liest Safranski
Goethe sah die Gefahren einer durchkommerzialisierten Gesellschaft vor Marx