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jeudi, 23 avril 2020

LA “CRITICA POSITIVA” DI DOMINIQUE VENNER: UNA RIFONDAZIONE NAZIONAL-RIVOLUZIONARIA?

LA “CRITICA POSITIVA” DI DOMINIQUE VENNER: UNA RIFONDAZIONE NAZIONAL-RIVOLUZIONARIA?

Il libro che ho postato sotto, "Per una critica positiva. Scritti di lotta per i militanti" (Passaggio al Bosco Edizioni, 2018, ed. orig. "Pour une critique positive. Écrit par un militant pour des militants", Éditions Ars Magna, 1997 ed Editions IDées, 2013), scrivono il dott. Nicolas Leoburg e il dott. Stéphane François, sarà fondamentale negli anni '60 sia per l'evoluzione della destra nazional-rivoluzionaria francese che per la genesi della Nouvelle Droite. Il libro in questione è stato scritto da Dominique Venner ed è un vero e proprio manuale del rivoluzionario di estrema destra: ancora oggi rappresenta per la galassia nazional-identitaria francese ed europea – e non è affatto un caso se pensiamo che la Nouvelle Droite leggerà da destra la figura di Antonio Gramsci, descritto come teorico dell'egemonia culturale, rilettura de-marxistizzata del suo pensiero, teorizzando il “gramscismo di destra” – l'equivalente del “Che fare?” di Lenin – e non casualmente anche Jean Thiriart si ispirerà al “centralismo democratico” marxista-leninista per organizzare il suo gruppo, Jeune Europe –.


Dominique Venner lo scrisse in carcere col preciso intento di offrire una strategia operativa ai tanti militanti francesi che credevano nella svolta nazionalista europea, scrivendo un’opera essenziale e completa, redatta con il linguaggio asciutto e diretto di chi si è formato nell’attivismo di strada e nella guerra d’Algeria, che influenzeranno tutto il radicalismo di destra francese e non[1].

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Venner ha un passato di milizia nel neofascismo francese di tutto rispetto. Figlio di un architetto fascista membro del Parti populaire français di Jacques Doriot, si arruola nel 1956 come volontario nei parà e resta segnato dall’esperienza della guerra d’Algeria. Al ritorno in patria milita in Jeune Nation e aderisce alla rete clandestina dell’Oas. Detenuto per 18 mesi nel braccio dei prigionieri politici della Santé, all’uscita dal carcere, nel 1962, scrive il suddetto pamphlet, testo basilare per tutta l’ultradestra nazionalista rivoluzionaria impegnata a passare risolutivamente dall’attivismo alla lotta rivoluzionaria sul piano legale: «Il lavoro rivoluzionario – scrive Venner – è un affare di lungo respiro che esige ordine nelle menti e negli atti. Di qui il bisogno di una teoria positiva di lotta ideologica. Una rivoluzione spontanea non esiste. […] L’unità rivoluzionaria è impossibile senza unità di dottrina».


I riferimenti venneriani sono netti e qualificanti: il richiamo alla disciplina e alla tenuta interiore, la centralità della formazione e della dottrina ideologica, l’urgenza di costruire un’organizzazione militante strutturata ed efficiente, la volontà di edificare una Comunità organica di popolo.

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Secondo Venner «Bisogna uscire dalla logica che ci vuole una piccola organizzazione e orientarci verso una struttura che corrisponda alla nostra vocazione di movimento ideologico. Una struttura diversificata e articolata, il cui ruolo sarà quello di una centrale ideologica, una struttura senza delimitazioni territoriali, i cui membri diffondano i nostri insegnamenti a seconda degli ambienti, delle capacità, dei rapporti con l'esterno».
Insomma, senza rendersene conto, Dominique Venner getta le basi per quella rivoluzione metapolitica che vedremo nel 1968, ovvero la nascita del GRECE : Groupement de Recherche et d'Etudes pour la Civilisation Européenne. Ma prima avremo la nascita, attorno all'omonimo periodico, del gruppo Europe-Action, creato nel gennaio 1963, che aggregherà i reduci dell’Oas, i giovani della Fédération des étudiants nationalistes, gli intellettuali collaborazionisti come Rebatet e molti giovani neofascisti da tutta Francia, come lo stesso giovane Alain de Benoist. l gruppo di Venner coltiva rapporti col movimento nazional-comunitarista Jeune Europe, diretto dal belga Jean Thiriart, non esaltando il nazionalismo statocentrico, ma il nazional-europeismo ispirato dall’esperienza delle Waffen-SS. L’obiettivo del gruppo è ambizioso: rinnovare la cultura della destra francese, liberandola dal proverbiale antintellettualismo e dal fardello della sconfitta nel 1945 e, soprattutto, dal patriottismo vetusto che esalta il vecchio Stato-nazione nato dalla Rivoluzione francese. Allo Stato-nazione, Europe-Action contrappone un nuovo tipo di nazionalismo etnico in cui lo Stato deve corrispondere al gruppo etnico dominante da inserire in una cornice federale ed europeista. Il discorso, mutuato da Jeune Europe – a cui però manca quella visione “trascendente”, diventando in effetti una sorta di “giacobinismo europeo” –, viene ripreso dalla Nouvelle Droite e dai gruppi etnonazionalisti identitari. I neofascisti di Europe-Action, guidati da Venner, sono razzisti, favorevoli alla preservazione dei particolarismi etnoculturali dei popoli europei dinnanzi al pericolo dei “barbari” del Terzo Mondo, specie dopo l’inizio della decolonizzazione, fenomeno che sta dando inizio all’immigrazione di tali popoli nelle metropoli europee, un razzismo biologico che risente del clima colonialista presente nella destra dell’epoca. «L’Europa è nel cuore il cui sangue batte a Johannesburg e nel Quebec, a Sydney e a Budapest, a bordo delle bianche caravelle e dei vascelli spaziali, su tutti mari e in tutti i deserti del mondo»[2]. Il crollo demografico occidentale, da contrapporre alla proliferazione dei popoli delle colonie, veniva affrontato con toni catastrofici:

«Da qui al 1990, la popolazione mondiale raddoppierà. […] La Cina, da sola, “partorisce” una Francia ogni tre anni e un’Urss ogni sedici. Al pericolo di una tale pressione demografica, aggravato dallo scatenamento di un razzismo antibianco, si aggiunge quella lenta invasione dei territori europei da parte delle popolazioni allogene. La Francia vede arrivare, ogni giorno, un migliaio di nordafricani e mille neri ogni mese. L’Inghilterra conta quasi un milione di abitanti di colore. La criminalità e l’insicurezza aumentano, come pure le malattie più perniciose. […] non si può non ricordare che Roma crollò non a causa degli assalti esterni, ma perché i barbari dalla pelle scura si erano installati nelle sue mura. Accadrà lo stesso per l’Occidente?»[3]

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La rifondazione e il riordinamento della gioventù nazionalista francese parte dalle tesi della «critica positiva» di Venner, e vengono esposte nel maggio 1963 in un numero speciale di «Europe-Action» dal titolo 'Qu’est que le nationalisme?', che si pone come una novità per il gruppo, che vedrà in modo diverso dagli altri gruppi di estrema destra il nazionalismo, il quale, pure con delle similitudini con quello europeista e “nazional-comunitarista” di Jeune Europe di Thiriart, è l’«espressione politica del pensiero occidentale, che intende creare le condizioni dello sviluppo materiale e spirituale dei popoli occidentali in stretta osservanza delle leggi della vita», che si forgia sull’idea di Europa, «comunità dei popoli bianchi» corrispondente a una «comunità di cultura, di spirito e di destino» capace di esprimere un senso di appartenenza che non ha radici nell’idea volontarista della Rivoluzione francese, ma in un nazionalismo etnico e comunitario che vada oltre lo Stato-nazione giacobino ed illuminista [4]. Ovvero oltre un nazionalismo imperiale ma non imperialista, privo di velleità espansionistiche e giacobine, desiderose di esportare un proprio modello politico-culturale al di fuori dell’Europa, ma, invece, particolarista e autarchico. Tutti temi presenti nel GRECE e nei circoli europei della Nuova destra, compresi quelli “dissidenti” (Synergies européennes e Terre et Peuple in primis). Insomma, “Pour une critique positive” permetterà il passaggio da un “vecchio” ad un muovo modo di situarsi a destra – e, successivamente, al di là destra destra e della sinistra – sia in campo militante che metapolitico.


Nel 1968 infatti, Venner sarà uno dei promotori dei «Groupes de recherches et d'études pour la civilisation européenne»: «Né partito politico, né cenacolo letterario, né società segreta, né l’ennesima incarnazione di un’inesistente “internazionale fascista”», scrive il politologo francese Jean Yves Camus,[5] questa «società di pensiero a vocazione intellettuale» (o «comunità di lavoro e di pensiero»)[6] da oltre quarant’anni ha fra i suoi teorici di punta il filosofo normanno Alain de Benoist e ha avuto, oltre a Dominique Venner, personalità come Pierre Vial, Jean Varenne, Jean Haudry, Guillaume Faye, Jean Mabire, Jean-Claude Valla, senza contare personalità esterne come l’italiano Marco Tarchi, il franco-tedesco Pierre Krebs, il belga Robert Steuckers, il tedesco Henning Eichberg, l'inglese Michael Walker, il fiammingo Luc Pauwels, gli austriaci Jürgen Hatzenbichler e Andreas Mölzer, il croato Tomislav Sunić, il romeno Bogdan Radulescu o lo svizzero Armin Mohler, per citare i più importanti teorici europei di questa corrente di pensiero rivoluzionario-conservatrice; Venner, sempre nel 1968, creerà l'Istituto di studi occidentale (IEO). Dedicatosi alla storiografia, vinse nel 1981 un premio dell'Académie française con un saggio sulla guerra civile russa che fece seguito alla rivoluzione d'ottobre. Esponente della Nouvelle droite francese, dopo aver diretto la rivista «Enquête sur l'histoire», fondò nel 2002 la rivista bimestrale di storia «La Nouvelle Revue d'Histoire», di cui tenne la direzione fino alla morte, nel 2013. Venner, infatti, si tolse la vita nella Cattedrale di Notre-Dame il 21 maggio 2013 con un colpo di pistola in bocca in segno di protesta contro la percepita progressiva scomparsa dei valori tradizionali di matrice europea. L'episodio dell'immolazione, in un luogo sacro già precedentemente all'avvento del cristianesimo, non sarebbe perciò dovuto esclusivamente all'introduzione nell'ordinamento francese del matrimonio omosessuale, la Legge Taubira, come inizialmente ipotizzato, ma per una forte critica verso l'immigrazione e la cosiddetta “sostituzione etnica”, anche se, secondo fonti investigative, lo studioso identitario soffriva da tempo di una "malattia dolorosa" non meglio specificata. Nel biglietto d'addio Venner citerà le cause del suicidio:

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«Io mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite. Mi ribello contro la fatalità del destino. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che stanno distruggendo i nostri ancoraggi identitari, prima su tutti la famiglia, intimo fondamento della nostra civiltà millenaria. Mentre difendo l’identità di tutti i popoli a casa propria, mi ribello nel contempo contro il crimine che mira alla sostituzione dei nostri popoli.»

NOTE:

[1] Nel dicembre 1982, al congresso del Parti de force nouvelle, soggetto di estrema destra concorrente del Front national e del tutto simile all’ala rautiana del Msi, ispirato cioè alle tesi trasversaliste e “solidariste” della Nouvelle droite, Roland Hélié, membro dell’ufficio politico, inviterà i militanti alla rilettura del testo di Venner (Cfr. P.-A. Taguieff, La stratégie culturelle de la “Nouvelle Droite” en France (1968-1983), in R. Badinter (a cura di), Vous avez dit fascisme?, Paris, Arthaud-Montalba, 1984, pp. 13-52.
[2] J. Mabire, Notre nationalisme européen, «Europe-Action», luglio-agosto 1964, p. 13, cit. in A-M. Duranton-Crabol, Visages de la nouvelle droite. Le G.R.E.C.E. et son histoire, 1988, p. 27.
[3] P. D’Arribére, Sous-développés, sous-capables, in «Cahier d’Europe-Action» n°1, maggio 1964, quarta di copertina.
[4] D. Venner, Qu’est-ce que le nationalisme, in «Europe-Action» n°5, maggio 1963, p. 9.
[5]J.-Y. Camus, La Nouvelle droite: bilan provisoire d’une école de pensée, in «La Pensée» n° 345, gennaio-marzo 2006, p. 23.
[6] J.-C. Valla, Pour une renaissance culturelle, in Aa. Vv., Dix ans de combat culturel pour une renaissance, GRECE, Paris 1977, p. 61.

lundi, 20 avril 2020

«Une annulation des dettes ne changera rien aux difficultés de l’Afrique» Entretien avec Caroline Galactéros

Entretien avec Caroline Galactéros*

paru dans le FigaroVox le 17/04/2020

Ex: http://www.geopragma.fr

FIGAROVOX.- Le chef de l’État s’est engagé à «effacer» une partie de la dette des pays africains, était-ce la meilleure manière d’aider ces pays face à la crise économique sans précédent qui guette le monde entier?

Caroline GALACTÉROS.- La France a décidé de réorienter une partie de son aide au développement à hauteur d’1,2 milliard d’euros pour alléger les dettes bilatérales de certains pays africains envers nous et renforcer les systèmes de soins, de recherche et de détection, notamment via les instituts Pasteur. Paris a par ailleurs poussé le Club de Paris, qui réunit les créanciers de l’Afrique, à déclarer un moratoire sur 20 des 32 milliards de dollars dus cette seule année, par 76 pays pauvres dont 40 africains. Il s’agit donc à ce stade d’un moratoire, non d’une annulation ni même d’un allègement ou d’un rééchelonnement. Par ailleurs, le FMI et la Banque mondiale ont eux aussi activé certains de leurs mécanismes pour pouvoir prendre en charge le service de la dette durant quelques mois ou prêter (comme d’ailleurs l’UE à hauteur de 20 milliards d’euros) aux pays africains dont le budget est très lourdement au service de la dette et qui risquent une trop grande fragilisation si la crise du coronavirus venait à les toucher massivement submergeant leurs structures sanitaires notoirement insuffisantes et souvent dépendantes de l’intervention humanitaire.

“Au regard du sous-équipement de notre système de soins, on peut imaginer l’incidence d’une propagation soudaine du Covid-19 en Afrique.”

Quand on voit le sous-dimensionnement et le sous-équipement de notre propre système de soins, alors que nous pérorions sur sa supériorité mondiale il y a encore quelques mois, on peut imaginer l’incidence d’une propagation soudaine du Covid-19 sur certains grands ou petits États africains. Pour l’heure, le continent est toutefois peu touché à l’exception de l’Algérie, de l’Égypte et de l’Afrique du Sud. Les pays les plus à risque sont paradoxalement les plus développés et ceux qui dépendent fortement du tourisme et du pétrole, deux ressources en chute libre. La crise économique liée à la pandémie menace au bas mot 20 millions d’emplois, pourrait priver les États africains d’un tiers de leurs recettes fiscales et faire chuter leur croissance d’au moins 1%, sans parler du fait que les économies africaines demeurent majoritairement informelles, ce qui rend le concept du confinement tout simplement impraticable.

De ce point de vue, Paris est donc une fois encore dans l’incantation généreuse, sans grands risques, mais aussi un peu décalée par rapport à la réalité des nouveaux équilibres de puissance et d’influence. L’initiative française masque mal la préoccupation grandissante qui est la nôtre. En appelant à l’annulation de la dette, Emmanuel Macron a aussi saisi l’opportunité, après son offensive européenne manquée sur la mutualisation des dettes européennes, de mettre une nouvelle fois LE sujet brûlant sur la table. Celui de notre propre dette que les vannes désormais grandes ouvertes de la création monétaire pour parer l’effondrement de l’économie nationale (et européenne) va rendre elle aussi ubuesque et de fait bientôt irremboursable! Un peu comme lorsqu’on veut poser une question personnelle à un psychologue et qu’on lui «demande conseil pour un ami».

Toutefois, cette salve de générosité envers l’Afrique correspond sans doute aussi à un élan plus large et partiellement sincère, que le tragique de la situation mondiale actuelle permet d’invoquer…sans trop y croire. En effet, la France est aussi en train de «tester» auprès des membres permanents du Conseil de sécurité des Nations unies, un texte appelant à une trêve mondiale des conflits en cours, tandis que la Russie a, de son côté, proposé son aide à l’Amérique. Donald Trump avait semblé prêter l’oreille. Crise du Pétrole oblige probablement. La Chine enfin a, à plusieurs reprises, appelé à l’unité du monde et au renforcement du multilatéralisme face à une menace qui vise la communauté humaine dans son ensemble.

“Les attaques sur la propagande des démocratures respirent la frustration et l’impuissance.”

Évidemment, comme pour les cargaisons de matériel sanitaire et médical livrées par la Russie à l’Italie ou par Pékin à l’Europe, on crie à la propagande et à l’instrumentalisation de la solidarité. Comment imaginer qu’il puisse exister, à côté d’un évident opportunisme et de la gestion bien comprise des intérêts nationaux, une once d’empathie ou de générosité gratuite dans l’action de ces démocratures? À mon sens, ces attaques sont à la fois puériles et contre-productives. Elles respirent la frustration et l’impuissance. Nous aimerions bien, nous aussi, être sortis de la tempête, avoir protégé nos populations, limité les pertes et remis notre appareil productif en branle, nous offrant le luxe de nous porter au secours des autres et de leur faire sentir combien ils dépendent de nous pour avoir abandonné leur souveraineté industrielle ou sanitaire…! Nous en sommes très loin. La crise du Coronavirus est une crise d’humanité. Elle révèle l’indifférence, la rapacité, l’absence d’appréhension globale de notre sort au-delà des envolées abstraites sur le multiculturalisme. C’est déjà le multilatéralisme qui est en morceaux et qu’il faudrait savoir ranimer.

N’est-ce pas la Chine qui est le plus gros créancier de l’Afrique?

En effet, la Chine détient environ 40% de la dette africaine: 145 milliards de dollars sur 365. Il faut savoir que cette dette n’est pas que publique, mais détenue partiellement par des fonds d’investissement, des banques, des entreprises privées. La Chinafrique n’est pas un mythe. La Chine achète l’Afrique depuis déjà près de 20 ans, sur les décombres de notre influence viciée par la repentance. L’absence de conditionnalité politique mise à son appui financier (il suffit de reconnaître l’existence d’une seule Chine pour être dans les clous) lui a assuré un immense succès qui lui fait posséder des pans entiers de l’économie de certains États ou parfois leur dette entière.

“La Chinafrique n’est pas un mythe.”

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Pékin n’a donc pas d’intérêt à annuler quoi que ce soit, mais à creuser plus encore son emprise économique et monétaire, comme d’ailleurs en Amérique latine. Le projet des Nouvelles Routes de la Soie y pourvoie notablement et vise à installer des têtes de pont notamment portuaires pour les produits chinois à destination des marchés locaux mais aussi européens. Il est d’ailleurs évident qu’au moment où se conclut ce «généreux» moratoire, de multiples contreparties en concessions minières, pétrolières agricoles doivent être négociées sans doute à des conditions léonines, contre le secours chinois (comme probablement contre celui des autres créanciers occidentaux du continent). La pandémie a juste accéléré la bascule en cours depuis plus d’une décennie du leadership global du monde vers l’Asie et chacun cherche à en tirer parti, ou du moins, à n’en point trop faire les frais.

Cette aide sera-t-elle suffisante?

Évidemment non. Ce n’est pas à la mesure des problèmes de l’Afrique qui sont endémiques. Rien ne garantit d’ailleurs qu’elle sera véritablement «fléchée» vers les bons usages et qu’elle ne disparaîtra pas au moins partiellement dans les poches de ses récipiendaires africains officiels. C’est un geste qui ne coûte pas grand-chose au Club de Paris au G20 et mais ne rapportera pas non plus beaucoup aux populations africaines.

“C’est un geste qui ne rapportera pas non plus beaucoup aux populations africaines.”

C’est à mon sens surtout un moyen d’espérer retarder les effets déstabilisateurs de la pandémie sur un continent surpeuplé dont nous voudrions en Europe qu’il fixe ses populations afin d’enrayer la perspective de flux migratoires à sens unique incontrôlables, et ce plus encore maintenant que nos propres populations vont par millions se retrouver hors de l’emploi et que les coûts économiques et sociaux de l’épidémie en Europe vont exploser.

La fermeture des frontières européennes a ralenti pour un temps la pression migratoire. Faut-il s’attendre à ce qu’elle s’intensifie dans les années qui viennent à cause de la crise?

Oui. D’abord car il faudrait une prise de conscience durable pour que l’espace Schengen demeure véritablement fermé, ce qui est impératif. Je rappelle que la France, tandis que la pandémie fait toujours rage, n’a toujours pas jugé bon de fermer ses frontières nationales avec ses voisins immédiats tandis que l’Allemagne ou l’Italie sont infiniment plus pragmatiques…Nos tabous européistes et idéologiques nous affaiblissent dans la réponse à la crise.

“Le pire en matière de pression migratoire est à venir.”

S’agissant de l’Afrique, le pire en matière de pression migratoire est donc à venir. À cause de la crise, à cause des guerres de déstabilisation suicidaires que nous soutenons toujours au Moyen-Orient sans voir qu’elles creusent au loin le lit de la déstructuration nationale. À cause aussi des questions environnementales qui affectent une Afrique déjà si structurellement frappée par les éléments. Plus encore que cette pandémie sans doute, le défi migratoire est et sera pour l’Europe le test de sa survie. Si elle ne sait pas comprendre que la souveraineté de ses membres et le rétablissement d’États lucides et solides au socle régalien assumé sont, non des handicaps, mais les conditions de sa renaissance comme ensemble qui compte, alors l’UE mourra progressivement de son européisme hors sol, de son allégeance mentale et stratégique naïve à une Amérique plus patriote et unilatéraliste que jamais, dont elle ne constitue en fait docilement que la profondeur stratégique continentale face à la Russie et face à la Chine. Pour survivre, et d’autant plus après ce coup d’arrêt économique, l’Europe va devoir réserver ses forces et ses moyens pour ses propres populations et valoriser la préférence communautaire dans tous les domaines. Pour reconstituer ses forces et ses équilibres, sans indifférence au reste du monde, mais sans vivre dans un permanent renoncement à elle-même. Ce sursaut ne sera possible qu’avec des gouvernants dotés de vision, de cohérence et de courage politique.

*Caroline Galactéros, Présidente de Geopragma

Du discrédit de la parole publique

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Du discrédit de la parole publique

par Jean-Gilles Malliarakis

Ex: https://www.insolent.fr

Alors que l'Allemagne entreprend aujourd'hui, méthodiquement et franchement, son déconfinement, les représentants du meilleur système du monde, celui de l'Hexagone, s'exprimaient hier sur les ondes du service public. La longueur de leur communication n'a d'égal que le nombre de questions sans véritables réponses.

Humainement, on peut les plaindre de leur douleur, visible en ce moment, dans leur rôle de ministres, c'est-à-dire serviteurs, d'un État aussi lourd, aussi centralisé, aussi coûteux et en même temps aussi impuissant, hésitant et cafouilleux.

Mais, autant nous souffrons tous de cet étatisme, autant nos bons esprits faiseurs d'opinion suggèrent d'en guérir les maux par un surcroît d'étatisme.

Cette conférence de presse conjointe du Premier ministre et du ministre de la Santé présentait, sur tous les points, le mérite d'une certaine franchise, celle de sa propre obscurité. Les deux intervenants associés dans cette entreprise s'enlisaient en effet dans les nouveaux méandres de la parole publique.

Ils y étalaient donc à l'envi leurs propres incertitudes.

Deux heures pour lâcher, ce 19 avril, à peu près trois informations : la première pour annoncer que nous pourrons, c'est une bonne nouvelle, aller visiter ceux de nos aînés séjournant, dépendants, contraints, en fin de vie, dans des maisons de retraite ; la deuxième qu'il sera bientôt obligatoire de porter un masque dans les transports en commun et d'installer du gel dans les magasins – à condition de pouvoir se procurer masques et gels, idem pour les tests – sans garantie du gouvernement ; et enfin, confirmation, on ne sait toujours rien, après un mois de confinement et une semaine de tâtonnement, de ce qu'il en sera vraiment de la vie scolaire des enfants et de leurs vacances d'été.

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Pour le reste, débrouillez-vous dans le brouillard braves gens, mais attention aux gendarmes.

Une seule chose semble certaine : les bistrots seront totalement fermés et les écoles en partie ouvertes. Cette dernière décision, arrêtée en fait parce qu'il se révèle urgent de laisser les parents travailler, se veut prise en principe au nom de l'égalité des chances. Le discours présidentiel du 13 avril a fixé la doctrine sur ce point. Reste aux syndicats et aux bureaucrates de l'Éducation nationale de s'accorder sur sa mise en œuvre. Ils n'y sont pas encore parvenus.

Ainsi, la parole publique ne souffre pas seulement de l'incertitude propre au sujet.

Comment accepter un propos toujours si imprécis, sur la disponibilité des masques, ou des tests, nous contraignant de croire, par ailleurs à l'omnicompétence de notre bureaucratie ?

Comment se fier, pensera-t-on, à des experts qui se contredisent ?

Comment croire en un président de leur comité, si péremptoire face aux médias, le Delfraissy, obligé de reconnaître les larges pans de son ignorance quand il est auditionné par les Sénateurs le 15 avril ?

Le discrédit s'abat, plus encore, et de plus en plus massivement, depuis les authentiques mensonges proférés face à la crise.

Le 24 janvier, deux victimes du virus chinois étaient confirmées en France, sur des patients hospitalisés à Paris et Bordeaux. Ce jour-là, encore ministre de la santé, Agnès Buzyn déclare :
• 1° que "le risque d’importation depuis Wuhan est pratiquement nul";
• 2° que "le risque de propagation est très faible";
• 3° que "notre système de santé est bien préparé".

Trois affirmations totalement démenties par les faits

Le 17 mars, la même Buzyn affirme au Monde que, dès le mois de janvier, elle avait prévenu le Premier ministre de la gravité potentielle de l’épidémie de nouveau coronavirus. Autrement dit, si on la croit : d’une part le Gouvernement, informé du danger, n’aurait pas agi ; d’autre part, elle-même aurait sciemment cherché à tromper l'opinion.

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Le 27 janvier, le professeur Jérôme Salomon directeur général de la santé ose affirmer que "nous bénéficions en France d’un test rapide qui va être disponible de plus en plus largement sur le territoire dans les prochains jours".

Le 23 février, Olivier Véran, qui vient de succéder à Agnès Buzyn, annonce : "dans les hôpitaux de Paris, nous allons pouvoir être largement en mesure de répondre aux demandes, quelles qu’elles soient, de réalisation de tests".

Que vaut donc aujourd'hui, au pays de Voltaire et des servantes de Molière, la parole publique ?

Le 11 mai approche, et ce jour-là, devant le désastre, l'opinion et la rue, artificiellement endormies jusque-là, se réveilleront et pourront demander des comptes.

Le règne du mensonge appartient toujours, certes hors concours, aux héritiers de l'empire du communisme. Mais si nous ne voulons pas évoluer vers l'ombre mortifère du totalitarisme, il faut prendre conscience du danger, ici et maintenant, de la post vérité officielle.

 

JG Malliarakis  
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dimanche, 19 avril 2020

Pourrissement des élites : pour une analyse du cas français...

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Pourrissement des élites : pour une analyse du cas français...
par Denis Collin
Ex: http://www.metapoinfors.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue de Denis Collin, cueilli sur le site La Sociale et consacré à la décomposition accélérée des élites françaises. Agrégé de philosophie et docteur ès lettres, Denis Collin est l’auteur de nombreux ouvrages consacrés à la philosophie, à la morale et à la pensée politique, dont Introduction à la pensée de Marx (Seuil, 2018) et Après la gauche (Perspective libres, 2018).

Pourrissement des élites

Pour une analyse du cas français

Il n’y a pas de société sans élite. Ce cons­tat est désa­gréa­ble pour tous ceux qui, comme moi, tien­nent l’égalité pour une vertu fon­da­men­tale. Mais c’est un fait. Nous ne pou­vons guère nous passer de chefs capa­bles de pren­dre des bonnes déci­sions sans trop ter­gi­ver­ser, de pen­seurs qui voient un peu plus loin que le bout de leur nez. Aucun État ne peut se passer d’un corps de fonc­tion­nai­res com­pé­tents, intè­gres et connais­sant les lois et les tech­ni­ques de l’admi­nis­tra­tion. Qu’on le veuille ou non, toutes ces tâches ne peu­vent être exer­cées par tous. Pour deve­nir un bon méde­cin, il faut beau­coup de temps et de connais­san­ces et per­sonne ne peut s’impro­vi­ser méde­cin.

Le pro­blème est bien connu : com­ment conci­lier l’idéal démo­cra­ti­que avec la néces­sité que les élites gou­ver­nent de fait. Il doit demeu­rer un libre jeu, conflic­tuel, entre le peuple et les grands, pour parler comme Machiavel. Les lois fon­da­men­ta­les doi­vent être adop­tées par le peuple tout entier et les élites doi­vent être élues par le peuple et doi­vent lui rendre des comp­tes. La répu­bli­que idéale n’a pas d’autres prin­ci­pes. Le pro­blème tient à ce que dans une société divi­sée en clas­ses socia­les aux inté­rêts diver­gents et même anta­go­nis­tes, les élites sont sélec­tion­nées par leur com­pé­tence, mais aussi et sur­tout par leur ori­gine sociale. Ceux d’en haut finis­sent en haut ! Vilfredo Pareto a consa­cré un tra­vail monu­men­tal à cette ques­tion en mon­trant les dif­fi­cultés de la sélec­tion des élites et la néces­sité de la cir­cu­la­tion des élites.

Si nous reve­nons main­te­nant à la situa­tion fran­çaise, il faut faire un cons­tat ter­ri­ble : celui de la décom­po­si­tion accé­lé­rée des élites. En rajeu­nis­sant le per­son­nel poli­ti­que et en contri­buant à l’éjection d’une bonne partie de la vieille classe poli­ti­que, le macro­nisme a mis en lumière l’extra­or­di­naire effon­dre­ment du niveau intel­lec­tuel des élites ins­trui­tes dans notre pays. La bêtise crasse, la vul­ga­rité, l’absence de tout sens moral et l’incom­pé­tence acca­blante domi­nent ces nou­vel­les élites, cette classe des « cré­tins éduqués » si bien carac­té­ri­sée par Emmanuel Todd. Chaque jour, pres­que chaque heure, un des per­son­na­ges haut placés du gou­ver­ne­ment pro­fère quel­que énormité qui va ali­men­ter les réseaux sociaux. La porte-parole du gou­ver­ne­ment, Sibeth Ndiaye excelle dans ce domaine, mais elle s’est tout sim­ple­ment mise dans les pas de son « Jupiter » dont les peti­tes phra­ses sur les gens qui ne sont rien, les chô­meurs qui n’ont qu’à tra­ver­ser la rue, etc. ont donné le ton géné­ral. Lallement et Castaner, Aurore Bergé et Amélie de Montchalin, Élisabeth Borne qui les a dépas­sées (les bornes) en niant la néces­sité pour les éboueurs d’avoir des mas­ques, cette dépu­tée LREM, méde­cin de son état, qui affirme que gou­ver­ne­ment a volon­tai­re­ment menti sur les mas­ques pour mieux obli­ger les Français à se laver les mains : la gale­rie des mons­tres n’en finit pas.

Trransformations sociales du mode de production capitaliste

Il serait absurde de penser qu’un hasard malen­contreux a permis à cette assem­blée de pren­dre le pou­voir. Contrairement à l’idée que 99 % des citoyens s’oppo­se­raient à 1 % de salo­pards, il faut admet­tre que la stra­ti­fi­ca­tion sociale, les modes de for­ma­tion et l’évolution tech­no­lo­gi­que ont pro­duit ces gens.

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La France, c’est bien connu main­te­nant et nous le véri­fions cruel­le­ment ces jours-ci, est un pays lar­ge­ment désin­dus­tria­lisé — à la dif­fé­rence de nos voi­sins alle­mands et ita­liens (on oublie que la deuxième puis­sance indus­trielle de l’UE n’est pas la France, mais l’Italie). La désin­dus­tria­li­sa­tion affai­blit le poids des élites scien­ti­fi­ques et tech­ni­ques. À l’époque des Trente Glorieuses, l’appa­reil d’État était dominé par les « grands corps » issus des pres­ti­gieu­ses écoles d’ingé­nieurs (Polytechnique, Mines, Ponts et Chaussées). Ces gens n’étaient for­cé­ment des modè­les d’huma­nisme ni d’huma­nité, mais au moins on peut pré­su­mer qu’ils savaient de quoi ils par­laient. En outre, leur exis­tence sociale dépen­dait de l’exis­tence d’une indus­trie forte et de la péren­nité des orien­ta­tions stra­té­gi­ques de l’État. L’orien­ta­tion vers les ser­vi­ces et le com­merce au détri­ment de l’indus­trie date de Giscard d’Estaing, grand euro­péiste. Elle sera pour­sui­vie par Mitterrand, en dépit de vel­léi­tés contrai­res entre 1981 et 1983 et par tous les gou­ver­ne­ments suc­ces­sifs depuis. Macron n’est que l’abou­tis­se­ment d’un héri­tage par­ti­cu­liè­re­ment lourd.

La délo­ca­li­sa­tion mas­sive de la pro­duc­tion vers les pays à bas coûts de main-d’œuvre se pro­jette dans l’ensem­ble du corps social. Les ouvriers et les tech­ni­ciens de l’indus­trie ont vu leurs effec­tifs fondre. Des pans entiers de l’indus­trie (tex­tile, sidé­rur­gie, électroménager) ont qua­si­ment dis­paru. Les auto­mo­bi­les « fran­çai­ses sont mas­si­ve­ment fabri­quées en dehors de nos fron­tiè­res, notam­ment pour les peti­tes cita­di­nes et gammes moyen­nes sur les­quel­les la marge de profit est plus faible quand elles res­tent fabri­quées en France. Est appa­rue une nou­velle classe moyenne supé­rieure de mana­gers, com­mer­ciaux, com­mu­ni­cants, DRH, etc. dont les com­pé­ten­ces tech­ni­ques et scien­ti­fi­ques sont net­te­ment moin­dres, mais dont l’arro­gance sur­passe bien vite les pires des anciens élèves de l’X. Cette classe moyenne supé­rieure mène une vie aisée. Ses enfants trus­tent les bonnes écoles. Elle parle sys­té­ma­ti­que­ment une langue qui mélange des restes de fran­çais avec le glo­bish. Elle com­porte plu­sieurs mil­lions d’indi­vi­dus. Certains sont direc­te­ment des pro­fi­teurs de ce nou­veau sys­tème et beau­coup d’autres sont seu­le­ment des aspi­rants, mais qui veu­lent y croire parce qu’ils pen­sent qu’ils le valent bien. Cette classe supé­rieure (entre la moyenne supé­rieure et la vrai­ment supé­rieure) est géné­ra­le­ment “pro­gres­siste” : elle aime le “high tech”, les voya­ges, la com­mu­ni­ca­tion et ne sou­haite pas trop s’encom­brer de res­tric­tions. Elle est aussi sou­vent sym­pa­thi­sante de la cause ani­male, et elle est favo­ra­ble au mul­ti­cultu­ra­lisme avec d’autant plus de fer­veur qu’elle vit dans ses pro­pres quar­tiers, notam­ment les cen­tres-villes “gen­tri­fiés”. Point commun : la haine des “gilets jaunes”, ces ploucs qui fument et rou­lent au gazole, comme l’avait dit un cer­tain ancien minis­tre, le sieur Benjamin Grivaux, dis­paru pré­ma­tu­ré­ment de la scène poli­ti­que pour avoir voulu faire concur­rence à Rocco Siffredi…

Des socio­lo­gues comme Christophe Guilluy ou des poli­to­lo­gues comme Jérôme Sainte-Marie ont com­mencé d’ana­ly­ser ces trans­for­ma­tions socia­les, mais c’est un tra­vail qu’il fau­drait pour­sui­vre afin d’en com­pren­dre toutes les impli­ca­tions.

L’éducation nouvelle et la fin de la culture générale

La culture géné­rale a tou­jours eu pour fina­lité la for­ma­tion intel­lec­tuelle des clas­ses domi­nan­tes. De Gaulle le disait clai­re­ment : “La véri­ta­ble école du com­man­de­ment est la culture géné­rale. Par elle, la pensée est mise à même de s’exer­cer avec ordre, de dis­cer­ner dans les choses l’essen­tiel de l’acces­soire (…) de s’élever à ce degré où les ensem­bles appa­rais­sent sans pré­ju­dice des nuan­ces. Pas un illus­tre capi­taine qui n’eût le goût et le sen­ti­ment du patri­moine et de l’esprit humain. Au fond des vic­toi­res d’Alexandre, on retrouve tou­jours Aristote.” Tout est dit ! C’est pour cette raison que le mou­ve­ment ouvrier tra­di­tion­nel a tou­jours reven­di­qué pour les pro­lé­tai­res l’accès à cette “école du com­man­de­ment”. Dans les écoles de for­ma­tion des partis “marxis­tes” on fai­sait lire Marx et Engels, mais aussi Balzac et Hugo. On y véné­rait l’his­toire autant que la poésie.

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À partir du moment où le gou­ver­ne­ment cède la place à la gou­ver­nance, où la com­mu­ni­ca­tion enva­hit tout le champ public autant que privé — ce qui com­mence au début du XXe siècle — la culture géné­rale authen­ti­que n’est plus d’aucune uti­lité. Symbolique : la sup­pres­sion de l’épreuve de culture géné­rale à l’entrée de Sciences Po Paris — une école “pres­ti­gieuse” qui depuis long­temps n’était le plus sou­vent que “science pipeau”. La poli­ti­que n’a plus besoin de culture, comme la direc­tion de l’indus­trie n’a plus besoin d’ingé­nieurs. Une classe diri­geante culti­vée peut être aussi cruelle et cyni­que qu’une classe diri­geante inculte — si la culture avait un rap­port quel­conque avec le bien, on le sau­rait. Mais une classe diri­geante inculte n’a aucun sens des pers­pec­ti­ves d’avenir, y com­pris de son propre avenir. L’ensei­gne­ment des vertus ayant com­plè­te­ment dis­paru, il ne peut plus en émerger quel­que grand homme, quel­que vision­naire.

Toutes les “réfor­mes” de l’école depuis 1968 ont eu comme prin­ci­pale fina­lité l’abais­se­ment du contenu des dis­ci­pli­nes ensei­gnées, entraî­nant l’indif­fé­rence crois­sante à l’idée de vérité objec­tive. Tout bon com­mu­ni­cant le sait : la vérité n’existe pas, elle n’est que ce que l’on par­vient à faire croire. La péda­go­gie n’est rien d’autre qu’une tech­ni­que de per­sua­sion. L’idée n’est pas neuve. Elle est propre au sys­tème tota­li­taire, ainsi que l’a bien montré Hannah Arendt — on peut lire avec profit son livre sur Du men­songe à la vio­lence. La fin de la culture géné­rale impli­que également la fin du rap­port au passé. Ce qui est ins­crit d’une manière ou d’une autre dans l’idéo­lo­gie du “pro­gres­sisme” s’impose avec d’autant plus de per­fi­die qu’on mul­ti­plie les com­mé­mo­ra­tions qui n’ont pas d’autre fin que de réé­crire le passé, comme le fait Winston dans 1984.

L’élite gou­ver­nante réunie der­rière la figure de Macron — on a main­tes fois raconté com­ment Macron a été choisi par l’élite tant étatique (ins­pec­tion des finan­ces) que capi­ta­liste — est à la fois inculte (il suffit d’avoir entendu Macron essayer de s’élever spi­ri­tuel­le­ment pour com­pren­dre pour­quoi il n’a pas passé l’agré­ga­tion de phi­lo­so­phie) et douée pour le bara­tin. Ils font tous imman­qua­ble­ment penser à un ven­deur de voi­tu­res d’occa­sion, ce qui est un peu injuste pour les ven­deurs de voi­tu­res d’occa­sion. Dans l’atti­tude de ces gens dans la crise du coro­na­vi­rus il y a une part d’affo­le­ment devant une situa­tion qui les dépasse, parce qu’il faut faire autre chose que de la com­mu­ni­ca­tion et que les manuels de réso­lu­tion de pro­blè­mes n’indi­quent pas la pro­cé­dure à suivre.

Ce qui atteint les clas­ses domi­nan­tes rejaillit sur les clas­ses domi­nées. On le sait depuis long­temps, ce sont sou­vent les intel­lec­tuels issus des clas­ses domi­nan­tes qui ont apporté leurs armes aux domi­nés. Marx et Engels n’étaient pas des gros pro­duc­teurs de plus-value ! Au lieu de ces mou­ve­ments des clas­ses domi­nan­tes vers les clas­ses popu­lai­res, nous avons aujourd’hui une “rébel­lion” orga­ni­sée, patron­née, finan­cée par les grands capi­ta­lis­tes qui y voient une oppor­tu­nité com­mer­ciale autant qu’une idéo­lo­gie par­fai­te­ment adé­quate à leur monde, les mou­ve­ments “anti-dis­cri­mi­na­tion” de tous les cin­glés de la Terre, fémi­niste 2.0, LGBTQ+++, déco­lo­niaux de tous poils et amis des isla­mis­tes qui trus­tent les postes à l’Université, orga­ni­sent les col­lo­ques les plus déments sur fonds publics et orga­ni­sent la chasse aux sor­ciè­res contre ceux qui gar­dent un peu de bon sens.

La destruction du sens moral

Ce qui a dis­paru, ainsi que l’a très bien montré Diego Fusaro, c’est la “cons­cience mal­heu­reuse”, c’est-à-dire l’exis­tence au sein de la classe domi­nante de la cons­cience de la contra­dic­tion entre les idéaux intel­lec­tuels et moraux au nom des­quels elle a ins­tauré sa domi­na­tion (liberté, égalité, fra­ter­nité) et la réa­lité de cette domi­na­tion. Tous ces res­sorts de la vie sociale qui expri­ment la “force de la morale” [1] ont été pro­gres­si­ve­ment sup­pri­més. Entre un mora­lisme puri­tain et anxio­gène et la des­truc­tion du “Surmoi” (au sens freu­dien), on aurait dû trou­ver une juste mesure. La cri­ti­que du mora­lisme s’est trans­for­mée en cri­ti­que de la morale et en apo­lo­gie du “style décom­plexé”. Sarkozy avait fait l’éloge de la “droite décom­plexée”. Que veut dire “être décom­plexé” ? C’est assez simple : mentir sans même avoir honte quand on se fait pren­dre la main dans le sac, n’avoir aucune com­pas­sion réelle pour les plus fai­bles, sauf, si c’est utile de mani­fes­ter une com­pas­sion feinte qui n’entraîne aucune action, mépri­ser ceux qui se trou­vent plus bas dans l’échelle sociale (les fameu­ses “gens qui ne sont rien”), et plus géné­ra­le­ment refu­ser toute contrainte d’ordre moral et consi­dé­rer que la réus­site en termes d’argent est le seul cri­tère qui vaille. Dans un tel monde, la cor­rup­tion et les passe-droits sont nor­maux. Un Benalla est pro­tégé et peut faire ce qu’il veut. Les titu­lai­res de fonc­tions poli­ti­ques se consi­dè­rent comme les pro­prié­tai­res des lieux qu’ils occu­pent — voir le couple Macron à l’Élysée. Cette pour­ri­ture se pro­page de haut en bas — la sou­mis­sion totale ou pres­que de la magis­tra­ture au pou­voir exé­cu­tif en est un exem­ple. “Le pois­son pour­rit par la tête” dit un pro­verbe.

Certes, rien de tout cela n’est vrai­ment neuf. Les scan­da­les émaillent la vie de toutes les répu­bli­ques. Mais ce qui est nou­veau, c’est qu’il n’y a même plus de scan­dale. L’immo­ra­lisme a pignon sur rue et ceux qui invo­quent la morale ne sont plus craints, mais trai­tés comme des niais incu­ra­bles, reli­quats du “monde d’avant”. On a léga­lisé l’eutha­na­sie obli­ga­toire pen­dant cette crise sani­taire sans qu’il y ait le moin­dre débat et sans qu’on entende la moin­dre pro­tes­ta­tion. La vie humaine a un coût, n’est-ce pas. Et si cela passe aussi faci­le­ment, c’est que les esprits sont pré­pa­rés depuis long­temps, parce que, depuis long­temps, règne le “tout est pos­si­ble” — un slogan dont Hannah Arendt avait montré qu’il est un des slo­gans du sys­tème tota­li­taire.

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Tous les pays d’Europe ne sont pas également atteints par ce mal qui décom­pose les élites fran­çai­ses. Le contrôle de la morale publi­que reste assez fort dans les pays pro­tes­tants d’Europe du Nord. Plus géné­ra­le­ment, le par­le­men­ta­risme aide à réfré­ner les déli­res des puis­sants, y com­pris dans un pays où la cor­rup­tion est endé­mi­que comme l’Italie. La France qui se pensa jadis comme le phare intel­lec­tuel et poli­ti­que de l’Europe, est aujourd’hui dans la pire des situa­tions. “Ma France”, celle de Jean Ferrat peine à sur­vi­vre sous le tas de fumier de la caste. Pourtant, il reste un peu d’opti­misme. Emmanuel Todd dit les choses à sa manière : les clas­ses supé­rieu­res ont bloqué l’ascen­seur social, donc les meilleurs éléments des clas­ses popu­lai­res res­tent “en bas” et donc logi­que­ment la bêtise se concen­tre en haut ! Voilà où est l’espoir.

Denis Collin (La Sociale, 5 avril 2020)

Note :

[1] Voir La force de la morale par Denis Collin et Marie-Pierre Frondziak, à paraître à l’automne 2020 aux éditions « Rouge et Noir ».

jeudi, 16 avril 2020

Tiers-mondisation de la France ?

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Tiers-mondisation de la France ?

par Jean-Gilles Malliarakis

Ex: https://www.insolent.fr

Toujours persuadé, au fond, que ce pays reste la cinquième ou la sixième puissance mondiale et devrait se comporter comme telle, Éric Zemmour s'exclamait ce 13 avril sur CNEws, dans son émission Face à l'Info : "Si on n’est toujours pas capables de produire suffisamment de masques, cela veut vraiment dire que l’on est un pays du tiers-monde".

Cette terrible question était formulée le 14 avril, avant même l'intervention présidentielle. Fidèle admirateur des institutions de la cinquième république, un peu contrarié cependant par les faits du demi-siècle écoulé depuis 1970, notre brillant polémiste en attendait manifestement un caractère providentiel.

Or, il plaidait pour la fin du confinement la plus rapide possible. Le processus avait déjà été enclenché dans l'Europe du nord, en Autriche comme dans la majorité des Länder allemands notamment, en Tchéquie et même dans les deux pays les plus touchés, l'Italie et l'Espagne. Ainsi, la date choisie par le gouvernement de Paris pour amorcer la délivrance des Français pouvait servir d'indicateur quant au problème évoqué plus haut : sommes-nous devenus, oui ou non, un pays du tiers-monde ? Le lecteur peut, dès lors, considérer que poser cette question revient à y répondre.

Bien des traits de l'évolution de notre société, de notre bureaucratie et de la classe politique ne laissent pas de nous conforter dans le sentiment de déclassement, de déclin et, à certains égards, de déchéance. Ne nous égarons pas, cependant, dans la délectation morose du sentiment de décadence : nous ne sommes pas en présence d'une fatalité collective, mais d'un renoncement de la part de nos dirigeants.

Mais il n'est pas de pays du tiers-monde qui se respecte sans des médias servilement aux ordres du pouvoir et des affairistes de connivence.

Les noms viennent trop facilement à l'esprit pour que quiconque puisse douter de cette situation au sein comme au voisinage de l'État central parisien. Et la servilité de certains commentaires convenus a confirmé la consistance de ce qui a cessé d'être une rumeur pour devenir une certitude.

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Ainsi put-on entendre, au lendemain du discours tristounet du 13 avril, l'ironique festival suivant sur BFM :

Ruth Elkrief : "Une date, un ton, l'humilité, l'empathie. Une allocution très carrée, très précise. Il y a une manière d'être beaucoup plus proche des Français. Et il y a un horizon. [... ] Il rappelle que nous sommes tous des êtres humains fragiles."

Apolline de Malherbe : "C'était un ton extrêmement humble, assez naturel. Il était assez franc, assez vrai. Ensuite, l'humilité pour lui-même et sur l'avenir. On a le sentiment du Paul Valéry qui dit que les civilisations sont mortelles. C'est une étape extrêmement importante."

Anna Cabana : "Dans la tonalité, l'espoir renaît. Dans ses précédentes allocutions, il était très tragédien. Là, il nous parle de jours heureux à venir. C'est du lyrisme souriant."

Thierry Arnaud : "On a bien compris que sa manière à lui de se réinventer, c'est vraiment de lutter contre les inégalités."

Alain Duhamel : "C'est son meilleur discours depuis le début, le plus humain. Un discours plus modeste, précis. Il y avait un ton, des réponses, un calendrier."

Bruce Toussaint : "Merci Monsieur le ministre de nous avoir réservé vos premières réactions après le discours du président de la République."

Ainsi va ce pays, ainsi va une partie du monde, celle qui s'agenouille devant l'Empire du capitalo-communisme chinois.

On félicite ce régime abominable pour son efficacité. On le remercie déjà pour son aide humanitaire. Bientôt on sollicitera ses financements. Car on accepte, jour après jour, de dépendre de l'aide de la dictature de Pékin. Nos technocrates la jugent indispensable sinon pour enterrer dignement nos morts, du moins pour combler le coût, évalué à 120 milliards d'euros, 15 milliards par jour, de la prolongation des mesures trop tardives, consécutives aux dégâts sanitaires, occasionnés par les mensonges des obligés du camarade Xi Jin-Ping.

 

JG Malliarakis  
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mardi, 14 avril 2020

Phobocratie hexagonale

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Phobocratie hexagonale

par Georges FELTIN-TRACOL

Pendant la révolte des Gilets jaunes, l’essayiste non-conformiste Michel Drac se demandait sur sa chaîne YouTube si l’hyper-classe qui tire les ficelles du gouvernement de l’Hexagone reculerait ou bien contre-attaquerait au lendemain de cette épreuve remarquable. On connaît maintenant la réponse. Après la séquence conflictuelle de l’hiver 2019 – 2020 due à la cessation des retraites aux fonds de placement appelée « réforme des retraites », la caste cosmopolite profite de la pandémie du coronavirus pour passer à la vitesse supérieure.

Se vengeant de ces contestations inouïes et de l’inquiétude qu’elle a suscitée, la clique globaliste propage grâce aux médiats centraux un discours d’effroi propice à sidérer les esprits les moins préparés. Elle répartit les tâches. Il revient ainsi au gouvernement hexagonal de jouer la théâtrocratie, ce qui est facile quand le locataire de l’Élysée a suivi au lycée des cours de théâtre. Cette notion platonicienne désigne la mise en scène du pouvoir à travers les visites officielles, le décorum, les réceptions, les rendez-vous, la parole publique sur les conseils avisés – ou supposés tels – des communicants. Ces scénaristes gouvernementaux offrent un récit médiatique plus ou moins convaincant. La théâtrocratie ne se confond pas avec la « société du spectacle » de Guy Debord.

Entre des injonctions contradictoires, des interventions présidentielles pseudo-martiales, longues et filandreuses, et un réel amateurisme, les membres de ce gouvernement ont très mal appris leur rôle. Sur scène, ils mériteraient de recevoir des tomates et des œufs pourris. Cela n’empêche pas la si bien nommée Sibeth Ndiaye, secrétaire d’État à la Désinformation, de se concerter avec Cédric O, secrétaire d’État à la Censure numérique et un certain Adrien Taquet, probable secrétaire d’État à la Fiction ministérielle, pour affronter d’hypothétiques fausses nouvelles venues d’Internet et d’au-delà.

Si la théâtrocratie a vite atteint ses limites, la phobocratie s’épanouit au contraire pleinement à l’échelle communale. Dieu de la Peur dans la mythologie grecque, Phobos accompagne toujours Arès, le dieu de la Guerre. Pour la circonstance, Phobos le devance. De nombreux maires ont édicté ces dernières semaines des arrêtés liberticides au nom de la lutte contre la propagation du virus. L’Enfer est toujours pavé de bonnes intentions.

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Le 20 mars, la municipalité de Biarritz punit la station assise de plus de deux minutes, car il ne faut pas flâner. Idole d’une certaine droite rétrograde et ringarde, le maire de Béziers fait enlever tous les bancs publics. À Carpentras, on risque une amende en cas de non-respect de la distance minimale d’un mètre. La ville de Saint-Étienne proscrit entre 9 h et 21 h toutes les activités physiques, dont la course à pied, sur l’espace public. Le 26 mars, le maire de Sanary-sur-Mer empêche les habitants de s’éloigner de leur domicile de plus de dix mètres et d’acheter à l’unité une baguette ou le journal. À la sortie de certains (hyper- ou super-) marchés, policiers et gendarmes inspectent les achats de la population. Le 2 avril, la mairie de Marcq-en-Barœul prohibe sous peine de 68 € d’amende d’éternuer sans se protéger le visage. Et combien en cas de pet ? À Morlaix, sous prétexte de permettre au personnel de santé de service nocturne de dormir en journée, il ne faut pas débroussailler, ni tondre sa pelouse de 9 h à 15 h, ce qui est normal, mais aussi de bricoler. Qu’entend-on par bricolage ? Repeindre une pièce entre-t-elle dans le champ de la contravention ? Comment le prouver depuis la rue quand on se trouve enfermé au dernier étage ?

Près d’Angers, la commune d’Avrillé refuse l’accès aux jardins familiaux et prive des familles d’une alimentation de substitution. Certaines préfectures autorisent néanmoins l’accès à ces jardins qui ne seront pas d’agrément. À Royans et à Sceaux, les maires ont exigé que leurs administrés sortent le visage couvert d’un tissu alors que les masques sanitaires manquent cruellement en raison de l’incurie patente des autorités françaises. Or, la République ne se vit-elle pas le visage découvert ? Les musulmanes en tchador n’ont-elles pas anticipé une prophylaxie bienvenue ? Le maire de « Sot » ne commanderait-il pas directement aux Talibans un milliard de burqa avec un niqab intégré ? Cela risquerait, il est vrai, de contrarier leur sacro-sainte laïcité.

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Le summum revient cependant aux Sables-d’Olonnes, à Chamonix et à Sète où se manifeste ouvertement le « rejet de l’autre ». Les discriminations fleurissent en ce printemps 2020 ! Les communes vendéenne et alpine empêchent la location de courte durée (d’une nuit à deux semaines) ainsi que de « toute nouvelle occupation de résidence secondaire » (les propriétaires devraient répondre par une grève massive des impôts locaux) au motif – incroyable – « d’éviter les mouvements de population intra-communal ou extra-territorial ». On s’en souviendra quand il faudra enfin juguler cette autre pandémie qu’est l’immigration extra-européenne. La municipalité de Sète va encore plus loin : elle fait bloquer toutes les voies d’accès et refuse quiconque, y compris les ambulances, d’entrer dans la ville. Serait-ce le début d’une sécession ?

Maints de ces arrêtés, jamais pris en Seine – Saint-Denis multiculturaliste (est-ce un hasard ?), ont été suspendus, retirés, voire annulés, suite à une intervention préfectorale ou au jugement de tribunaux administratifs. Il est toutefois intéressant de savoir que ces maires qui font la guerre contre le peuple albo-européen, appartiennent en général à la faction centriste des Républicains, à l’UDI et au MoDem, soit quelques « cas sociaux » collectifs de la vie politique française. Pour sa part, la sociétaliste Anne Hidalgo, mairesse de Paris, propose de remettre aux rescapés du covid-19 un certificat d’immunité. Qu’aurait-on entendu si cette suggestion avait concerné les sidaïques…

Potentats municipaux pour six années, les maires jouent sciemment sur la peur diffuse fomentée par les médiats aux ordres. « À l’instar de Péguy, note Rémi Soulié dans Pour saluer Pierre Boutang (Pierre-Guillaume de Roux, 2016, p. 55), [Pierre Boutang] aimait […] distinguer, pour les opposer, les “ craties ”, détestables (démocratie, ploutocratie…) aux “ archies ” (monarchie, anarchie…). » Phobocratie municipale et théâtrocratie hexagonale concourent ensemble à la mutation de ce jeu d’ombre bien installé, la démocratie, en deimocratie, le gouvernement des anxiolytiques et de l’épouvante.

Georges Feltin-Tracol

• « Chronique hebdomadaire du Village planétaire », n° 168.

mardi, 07 avril 2020

Semmelweis: pionnier de l'épidémiologie et héros de Céline

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Semmelweis: pionnier de l'épidémiologie et héros de Céline

Par Jacques DUFRESNE

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Ignace Philippe Semmelweis (1818-1865). Voici le nom qui se présente avec le plus d’insistance à mon esprit dans le contexte des deux grands débats actuels : sur le virus covid-19 et sur la violence faite aux femmes. Il se trouve que ce «sauveur des mères» a eu un biographe de génie, lui aussi médecin des pauvres : Louis-Ferdinand Céline. Dans son Semmelweis, qui fut sa thèse de doctorat en médecine, soutenue en 1924, s’ébauche  un style qui s’accomplira huit ans plus tard dans le Voyage au bout la nuit, mais qui déjà, dans sa verdeur, transporte le lecteur dans une région de la vérité à laquelle aucun autre livre ne lui avait donné accès. Ce fut en tout cas mon expérience lors de ma première lecture à la fin de la décennie 1970. J’en suis à ma cinquième ou sixième lecture et je m’exclame de nouveau, avec plus d’enthousiasme encore que jadis : voici un livre qui devrait être une lecture obligatoire dans toutes les facultés de médecine !  J’ai lu quelques grandes biographies, parmi les œuvres de Plutarque, de Saint-Simon et de Stéphan Zweig notamment, aucune ne m’a donné autant que celle de Céline le sentiment de l’unité de l’auteur et de son sujet. Il m’est devenu impossible de les dissocier. Céline cite Semmelweis à quelques reprises, je me demande chaque fois s’Il s’agit vraiment d’une citation.

product_9782070755837_195x320.jpgJe n’hésite plus à mettre entre parenthèses tout ce qu’on sait au croit savoir sur l’antisémitisme de Céline, suivant en cela l’exemple de l’homme qui aurait eu le plus de raisons de jeter l’anathème sur lui, George Steiner, un juif bien formé et bien informé qui, au lieu de nier le génie là où il le voyait associé aux passions les plus funestes, s’inclinait devant le mystérieux scandale de leur coexistence dans un même être,  sans jamais exclure que, dans les mêmes circonstances , il aurait pu lui-même dériver vers les mêmes excès. Je reviens sur cette question dans un article distinct sur Steiner.

Semmelweis est celui qui, en 1848, quarante ans avant les découvertes de Pasteur sur l’infection par les microbes, a trouvé le remède à la plus tragique, la plus durable, la plus récurrente et la plus occultée des épidémies : celle qui, dans les grandes villes européennes du XIXème siècle notamment, frappaient les femmes pauvres réduites à accoucher dans les hôpitaux publics. Le taux de mortalité y était souvent de 40% et plus.

On ne sait plus qui de Socrate ou de Platon, il faut admirer le plus, tant le génie littéraire du second a contribué à la gloire du premier. Semmelweis a devant l’histoire la même dette à l’endroit de Céline que Socrate à l’endroit de Platon. Comparaison disproportionnée, m’objectera-t-on, l’œuvre de Platon est un sommet unique en son genre, tandis que la découverte de l’asepsie par Semmelweis, car c’est de cela qu’il s’agit, ne serait qu’un heureux événement parmi une foule d’autres semblables en médecine. Quand on a lu attentivement la thèse de Céline, on a au contraire et à jamais la conviction qu’il s’agit de deux plaidoyers en faveur de la même vérité, l’un au plus haut degré d’abstraction compatible avec la poésie, l’autre au ras du sol, comme dans les grands romans policiers mais jumelé à une poésie encore plus déchirante : celle de la compassion pour les malheureux.

« Semmelweis était issu d’un rêve d’espérance que l’ambiance constante de tant de misères atroces n’a jamais pu décourager, que toutes les adversités, bien au contraire, ont rendu triomphant. Il a vécu, lui si sensible, parmi des lamentations si pénétrantes que n’importe quel chien s’en fût enfui en hurlant. Mais, ainsi forcer son rêve à toutes les promiscuités, c’est vivre dans un monde de découvertes, c’est voir dans la nuit, c’est peut-être forcer le monde à entrer dans son rêve. Hanté par la souffrance des hommes, il écrivit au cours d’un de ces jours, si rares, où il pensait à lui-même : ‘’Mon cher Markusovsky, mon bon ami, mon doux soutien, je dois vous avouer que ma vie fut infernale, que toujours la pensée de la mort chez mes malades me fut insupportable, surtout quand elle se glisse entre les deux grandes joies de l’existence, celle d’être jeune et celle de donner la vie.’’ »[1]

Le Semmelweis de Céline est une chose unique dans l’histoire de la littérature. Tous les genres littéraires s’y entrelacent dans une harmonie impossible et pourtant bien atteinte : essai sur la méthode scientifique, roman policier, étude de caractères, évocation du génie des villes, histoire d’une époque et, à travers cette époque, témoignages saisissants sur la condition humaine. Quand on ferme le livre, on ne sait pas si l’on sort d’une fiction ailée ou d’un méticuleux rapport de laboratoire, d’une page de l’évangile ou d’une compilation de statistiques, mais on est sûr d’avoir fait quelque progrès dans l’inconnu de la vérité.

Semmelweis lui-même, comme Céline, est un être double, plein de compassion, mais aussi orgueilleux, intolérant et maladroit au point de nuire à ses propres recherches en se mettant inutilement à dos des collègues dont le soutien lui était nécessaire. Chercheurs du monde entier, en scaphandre, reliés par Internet et disposant d’ordinateurs tout puissants, la forme que prend aujourd’hui la recherche médicale, dans le cas des épidémies en particulier, rend très difficile pour nous de comprendre les génies solitaires du passé. Semmelweis fut peut-être le plus solitaire de tous. Et pour l’histoire des sciences telle qu’on la conçoit aujourd’hui, il n’a le mérite de la grandeur ni en tant que théoricien ni en tant que technicien : il ne fut qu’un observateur servi aussi bien par ses défauts, son orgueil, son entêtement que par ses qualités, son amour des vivants et son horreur de l’a peu près.

« L’ à peu près est la forme agréable de l’échec, consolation tentante…

Pour le franchir, l’ordinaire lucidité ne suffit pas, il faut alors au chercheur une puissance plus ardente, une lucidité pénétrante, sentimentale, comme celle de la jalousie. Les plus brillantes qualités de l’esprit sont impuissantes quand plus rien de ferme et d’acquis ne les soutient. Un talent seul ne saurait prétendre découvrir la véritable hypothèse, car il entre dans la nature du talent d’être plus ingénieux que véridique.

Nous avions pressenti, par d’autres vies médicales, que ces élévations sublimes vers les grandes vérités précises procédaient presque uniquement d’un enthousiasme bien plus poétique que la rigueur des méthodes expérimentales qu’on veut en général leur donner comme unique genèse.»[2]

De-Celine.jpgDans l’hôpital de Vienne où Semmelweis travaillait en tant qu’obstétricien, il y avait deux services de maternité, celui du professeur Bartch et celui du professeur Klin, dont il était l’adjoint. Après avoir éliminé une à une toutes les hypothèses, aussi farfelues les unes que les autres, rassemblées dans la littérature médicale de l’époque, il n’avait plus comme point de départ de son enquête qu’un seul fait : les femmes mouraient plus dans le service de Klin que dans celui de Bartch. Une différence entre les deux sautait aux yeux : dans le pavillon de Bartch le service était rendu par des sages-femmes, dans celui de Klin par des internes. Il a suffi à Semmelweis de signaler ce fait pour se mettre à dos et son patron et bon nombre de ses collègues. Il a en outre exigé avec une insistance incorrecte que les internes se lavent les mains entrant dans le pavillon de Klin; ce dernier, pour qui une telle précaution paraissait dénuée de tout fondement scientifique, le congédia. Les protecteurs de Semmelweis, car il en avait quelques-uns à Vienne, organisèrent pour lui un repos de deux mois à Venise, où il se rendit avec son ami Markusovsky. La merveille ici c’est la façon dont Céline, dans son roman biographique, raconte le séjour de Semmelweis et y voit le prélude à ses découvertes futures.

«Jamais Venise aux cent merveilles ne connut d’amoureux plus hâtif que lui. Et cependant, parmi tous ceux qui aimèrent cette cité du mirage, en fut-il un plus splendidement reconnaissant que lui ?

Après deux mois passés dans ce grand jardin de toutes les pierres précieuses, deux mois de beauté pénétrante, ils rentrent à Vienne. Quelques heures seulement se sont écoulées quand la nouvelle de la mort d’un ami frappe Semmelweis. Semblable cruauté du sort n’est-elle point normale dans sa vie ? »[3]

Le malheur n’a laissé aucun répit à Semmelweis. Il avait peu de temps auparavant perdu sa mère et son père. À son retour à Vienne, il apprend la mort de son meilleur ami, Kolletchka. Cette mort, comment se fait donc la science?  enfermait la preuve que cherchait Semmelweis. Kolletchka s’était blessé à un doigt en pratiquant une autopsie : la vérité se dévoilait tragiquement : une quelconque particule cadavérique avait contaminé le sang de cet homme. Les internes transportaient cette substance dans les entrailles des mères. Semmelweis eut droit à un nouveau poste à son hôpital, cette fois dans le service de Bartch. Dans le but de préciser le contour de sa preuve, il obtint de son patron que les sages-femmes soient remplacées par des internes le temps d’une expérience. Le taux de mortalité s’accrut immédiatement. Semmelweis appliqua alors la solution technique qu’il avait à l’esprit depuis un moment : avant chaque intervention, obliger les sages-femmes et les internes à se laver les mains avec une solution de chlorure de chaux. Le taux de mortalité descendit à son niveau actuel.

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Il existait toutefois d’autres causes d’infection que les particules cadavériques. Ces causes ne manquèrent pas de se manifester en certaines occasions. Les adversaires de Semmelweis les invoquèrent pour achever de discréditer leur collègue et l’empêcher de progresser dans la défense de sa thèse. Semmelweis devait tenter par la suite de rallier les plus grands médecins d’Europe à sa cause. Peine perdue, la plupart d’entre eux, y compris le grand Virchow, ne répondirent même pas à ses lettres.

Voici le diagnostic de Céline sur cette infection de la raison humaine par les passions. 

« ‘’S’il s’était trouvé que les vérités géométriques pussent gêner les hommes, il y a longtemps qu’on les aurait trouvées fausses.’’ (Stuart Mill)

Ce philosophe, tout absolu qu’il paraisse, demeure cependant bien au-dessous de la vérité, voici la preuve. La plus élémentaire raison ne voudrait-elle pas que l’humanité, guidée par des savants clairvoyants, se fût pour toujours débarrassée de toutes les infections qui la meurtrissaient, et tout au moins de la fièvre puerpérale, dès ce mois de juin 1848 ? Sans doute.

Mais, décidément, la Raison n’est qu’une toute petite force universelle, car il ne faudra pas moins de quarante ans pour que les meilleurs esprits admettent et appliquent enfin la découverte de Semmelweis.»

Déchiré par la contradiction entre l’amour de ses patientes et l’impuissance déraisonnable de sa profession, Semmelweis perdit le reste de prudence qu’il avait en réserve. Il tenta de dresser l’opinion publique contre ses collègues en les traitant de criminels sur des affiches. « Assassins ! je les appelle tous ceux qui s’élèvent contre les règles que j’ai prescrites pour éviter la fièvre puerpérale. »[4] Il sombra ensuite dans une démence aussi ardente que l’avait été son amour de la vérité et des mères : il fit un jour irruption dans une salle de dissection, s’empara d’un scalpel, trancha les chairs d’un cadavre et se blessa à une main. Il s’ensuivit une infection semblable à celle qui avait emporté Kolletchka, mais plus violente et plus longue.

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La démence de Semmelweis inspira à Céline, sur la maladie mentale, quelques pages qui portent la marque de son génie comme tant d’autres dans son livre.  Savoir raison garder ! La raison, qu’il assimile au bon sens, est cette limite, cette chaîne, qui tempère en nous une intelligence capable de toutes les démesures.

« Rapidement il devint le pantin de toutes ses facultés, autrefois si puissantes, à présent déchaînées dans l’absurde. Par le rire, par la vindicte, par la bonté, il fut possédé tour à tour, entièrement, sans ordre logique, chacun de ses sentiments l’agissant pour son compte, paraissant uniquement jaloux d’épuiser les forces du pauvre homme plus complètement que la frénésie précédente. Une personnalité s’écartèle aussi cruellement qu’un corps quand la folie tourne la roue de son supplice.[…] Semmelweis s’était évadé du chaud refuge de la Raison, où se retranche depuis toujours la puissance énorme et fragile de notre espèce dans l’univers hostile. Il errait avec les fous, dans l’absolu. »

Semmelweis avait participé dans une euphorie excessive et irresponsable à la révolution hongroise de 1848. Pensant aux poètes de la même époque, romantique, Céline rappelle ensuite les risques de la fuite dans l’irrationnel. « S’ils se doutaient, les téméraires, que l’enfer commence aux portes de notre Raison massive qu’ils déplorent, et contre lesquelles ils vont parfois, en révolte insensée, jusqu’à rompre leurs lyres ! S’ils savaient ! De quelle gratitude éperdue ne chanteraient-ils point la douce impuissance de nos esprits, cette heureuse prison des sens qui nous protège d’une intelligence infinie et dont notre lucidité la plus subtile n’est qu’un tout petit aperçu. »[5]

N’en faisons pas une théorie. Céline écrivain éclipse ici Céline psychiatre. Retenons toutefois qu’avant lui Platon et Aristote avaint rattaché l’idée de raison à celle de limite et à arrêtons-nous à la pertinence de ce livre dans le contexte actuel. Semmelweis était un solidaire. Modeste sur le plan théorique par rapport à celles de Pasteur et de Virchow plus tard dans le même siècle, sa découverte, celle de l’asepsie, n’en n’est pas moins l’une des plus importantes de l’histoire de la médecine et elle a l’avantage par rapport à la plupart des découvertes postérieures de donner lieu à des applications qui ne coûtent rien, qui présentent le meilleur rapport coût/efficacité dont on puisse rêver. Rappelons aussi que Semmelweis a jeté les bases de ce qu’on appellera un siècle plus tard la médecine basée sur les faits.

Le même chercheur solitaire aurait sans doute été heureux de disposer des technologies et des moyens de communications offerts aux chercheurs d’aujourd’hui, mais on peut aussi se demander si la médecine ne se prive pas d’occasions de grandes découvertes en misant trop exclusivement les technologies de pointe. Faut-il exclure qu’il y ait dans le cas du cancer, de la maladie d’Alzheimer ou de tel ou tel virus grippal des causes échappant aux radars les plus sophistiqués, des causes simples que seul pourrait découvrir un génie rassemblant tous les facteurs de réussite que Céline a su repérer dans la vie et le caractère de Semmelweis. C’est parce qu’Il se posait les mêmes questions que, dans un livre intitulé Chercher, René Dubos, celui à qui l’on doit la découverte du premier antibiotique, se prononça en faveur de la recherche dans les petites universités comme complément à la recherche dans les grands instituts. Voici ce qu’il a observé dans les petites universités du Middle West : « Ce qui m’impressionne, c’est le nombre de jeunes gens à l’esprit très ouvert de qui sortiront les idées les plus originales, les plus inattendues, alors que si vous allez à Harvard, ou à l’Institut Rockefeller, vous trouverez des gens admirables, mais qui se sont engagés dans une voie dont ils ne pourront pas sortir.»[6]


[1]Louis-Ferdinand Céline, Semmelweis, Gallimard, Paris 1990, p. 81-82.

[2] Ibid., p.80

[3] Ibid., p.74

[4] Ibid., p.111

[5] Ibid., P.121

[6] René Dubos, Jean-Paul Escande, Chercher, Éditions Stock, 1979, p.55

SOURCE : http://encyclopedie.homovivens.org/

dimanche, 05 avril 2020

RIP, Référendum d’Initiative Populaire

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RIP, Référendum d’Initiative Populaire

Quand l’idée de cet article m’est venue, la révolte des gilets jaunes n’avait pas encore commencé. J’essayais de trouver des arguments pour convaincre que la démocratie directe à la Suisse était la meilleure voie pour gouverner un pays en lui assurant justice, calme et stabilité.

La démocratie représentative fut un grand pas en avant, en tous cas pour nombre de pays qui vivaient, auparavant, sous des régimes totalitaires. Si l’on considère que la politique est la façon non-violente de résoudre les conflits, on ne peut que se féliciter de voir s’opposer des gens raisonnables dans des débats d’idées, avec fougue, et même avec rage, mais toujours en-deçà de toute violence physique.

Mais aujourd’hui, la démocratie représentative arrive à bout de souffle : elle a été dévoyée et dans beaucoup de pays, des dysfonctions graves empêchent l’exercice serein de cette forme de politique. Qu’est-il donc arrivé pour que ces systèmes de démocratie en arrivent là ? Certains leaders, sans aucune expérience, sans aucun sens pratique, sans aucune considération pour les aspirations du peuple, sans aucune vision ni aucun sens de l’anticipation, sont parvenus au pouvoir et gouvernent uniquement selon l’idéologie dont ils sont pétris.

La désinvolture avec laquelle un Chef d’Etat se croit autorisé à prendre toutes sortes de décisions sans consultation du peuple ne peut que pousser les gens à désirer un système dans lequel ils ont leur mot à dire, c’est-à-dire un système de démocratie directe à travers le référendum, pas le référendum déclenché depuis le haut par la seule volonté du président, mais par le référendum d’initiative populaire déclenché par le bas.

Ceux qui s’opposent au référendum sont pour leur part favorables à une dictature de minorités, partis, groupes, clans, cliques, syndicats, qui cherchent à pérenniser leurs intérêts. Or le référendum est la piqûre de rappel nécessaire à celui qui a tendance à oublier qu’il n’est où il est que pour servir les autres. Car le Chef d’Etat n’est là que pour le bien être de son peuple et ce dernier a le droit de le lui rappeler et doit avoir le moyen de le lui imposer.

Pour que le peuple garde constamment à l’esprit ce qui doit être sa priorité, il lui faut adopter un moyen visible dans toutes les manifestations : un signe comme un badge, un emblème, une cocarde, un écusson, un ruban, en tout cas une marque bien reconnaissable avec, en son centre, sur fond clair, se détachant en sombre les trois lettres suivantes : RIP (pour Référendum d’Initiative Populaire) ou RIC (pour Référendum d’Initiative Citoyenne).

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Partout où des rassemblements importants ont lieu (dans les stades, dans les manifestations sur la voie publique quelles qu’elles soient, dans les déplacements du chef de l’Etat ou des ses ministres, dans les apparitions publiques des représentants de l’état et des députés, dans les marches, manifestations, grèves, etc.), que partout on voit s’agiter une forêt des signes estampillés RIP ! Si nous voulons une société où règne la vraie justice, il faut instaurer le RIP.

Mais diront certains : la majorité n’a pas toujours raison. A cet argument qui ne peut être contredit complètement, j’en opposerai deux autres : d’une part, la minorité n’a pas toujours raison non plus. D’autre part, si l’on analyse l’état des rares pays qui pratiquent le RIP aujourd’hui, leur situation est en général plus qu’enviable. La Suisse en est le symbole éclatant. Quand le référendum a parlé, les tensions baissent car le résultat est accepté et les polémiques se taisent jusqu’au prochain référendum. La Suisse est le cas d’école à étudier. Pourquoi l’Europe ne tirerait-t-elle pas profit de l’expérience helvétique ? La Suisse pourrait devenir un phare pour le continent tout entier.

Et pas question de faire une sarkozerie en faisant annuler le résultat d’un référendum par un tour de passe-passe (en 2007, Sarkozy utilise la voie parlementaire pour ratifier le Traité de Lisbonne, annulant du même coup le non massif du peuple français à la Constitution européenne en 2005). Il faut cadenasser le système contre de tels coups de force en instaurant une clause qui stipule qu’un résultat de référendum ne peut être annulé ou amendé que par un autre référendum. Qu’un Sarkozy décide unilatéralement contre 55 % des Français est un exemple flagrant d’une minorité qui n’écoute pas ce que veut le peuple.

Un Chef d’Etat est élu pour défendre son pays et protéger son peuple. Toutes les grandes questions concernant le pays doivent être soumises à référendum : immigration, sécurité, réforme des retraites, réforme du chômage, réforme de l’impôt, questions sociétales, pouvoir d’achat, etc. Tant que l’exécutif n’aura pas accepté cela, il gouvernera à contre-courant et fera montre d’autoritarisme le rapprochant des régimes totalitaires. A moins que les Gilets jaunes …

Sur le revers de la veste,

sur mes cahiers d’école,

sur les portes des mairies,

sur le sable et sur la neige,

sur les murs des Préfectures,

sur la pluie épaisse et fade,

sur les murs des Conseils régionaux,

sur chaque main qui se tend,

sur les tableaux de classe,

sur la vérité physique,

sur les marches de l’Assemblée nationale,

sur chaque bouffée d’aurore,

sur l’avenue des Champs-Elysées,

sur les marches de la mort,

sur les grilles de l’Elysée,

J’écris ton nom,

 

Référendum

Bertrand Hourcade, avril 2020

vendredi, 03 avril 2020

Eric Werner: La liberté, malgré les urgences !...

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La liberté, malgré les urgences !...

par Eric Werner

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue d'Eric Werner, cueilli sur le site d'Antipresse et consacré au recul progressif de la liberté en Europe, et en particulier en France.

Penseur important et trop peu connu, Eric Werner est l'auteur de plusieurs essais marquants comme L'avant-guerre civile (L'Age d'Homme, 1998 puis Xénia, 2015), De l'extermination (Xénia, 2013), ou Un air de guerre (Xénia, 2017), et de recueils de courtes chroniques comme Ne vous approchez pas des fenêtres (Xénia, 2008) et Le début de la fin et autres causeries crépusculaires (Xénia, 2012). Il vient de publier dernièrement Légitimité de l'autodéfense (Xénia, 2019).

La liberté, malgré les urgences !

Les sociétés européennes se trouvent aujourd’hui confrontées à de tels défis qu’il peut apparaître étrange, pour ne pas dire inactuel, de s’interroger sur ce que devient aujourd’hui la liberté en Europe. Ce n’est à coup sûr pas une priorité. Et pourtant c’est ce qu’on va essayer ici de faire malgré le couvre-feu matériel et mental imposé par la lutte contre le Coronavirus.

Il est beaucoup aujourd’hui question de «dérive autoritaire» en Europe. C’est évidemment un euphémisme. La vraie question, en fait, qui se pose (au-delà même de celle consistant à se demander si nous sommes encore en démocratie) est celle de l’État de droit. Que subsiste-t-il aujourd’hui encore dans nos pays de l’État de droit?

Je dis «nos pays», car la question ne se pose pas seulement dans certains d’entre eux à l’exclusion d’autres hypothétiquement mieux favorisés, mais peu ou prou partout. Un pays comme la France est évidemment en première ligne. Il serait fastidieux de dresser la liste de toutes les atteintes à l’État de droit survenues en France au cours de la période récente, en lien ou non avec l’épisode des Gilets jaunes. Ces atteintes sont graves et n’ont pas leur équivalent ailleurs. Mais il ne faut pas se faire d’illusions. On est certainement légitimé à insister sur la singularité française. Mais, d’une part, cette singularité n’est que relative, et d’autre part la France ne fait que précéder les autres pays dans une évolution d’ensemble n’épargnant, en fait, aucun pays. Elle a simplement une longueur d’avance.

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Le problème doit donc être abordé à l’échelle du continent dans son ensemble. On admettra sans peine par exemple que les violences policières constatées ces derniers mois en France n’ont pas leur équivalent en Suisse. Mais divers scandales survenus récemment à Genève, ville frontalière, montrent que la Suisse n’est pas a priori à l’abri de tels débordements (1). D’autres exemples pourraient être cités, notamment un, il y a deux ans, dans le canton de Berne. L’affaire avait débouché dans une interpellation au Grand Conseil bernois. Les violences policières sont encore en Suisse l’exception. Mais il ne faut pas dire qu’elles n’existent pas.

Par ailleurs, les violences policières n’épuisent pas le problème. Ainsi, toujours en Suisse, le Parlement s’apprête à adopter un projet de loi sur les mesures policières de lutte contre le terrorisme, projet de loi entérinant le principe selon lequel de telles mesures pourraient être prises en dehors de tout contrôle judiciaire. Il ne faut pas idéaliser la justice, ni bien sûr non plus surestimer son aptitude à protéger les libertés fondamentales (la violence judiciaire n’est pas un vain mot, elle n’a souvent rien à envier à la violence policière proprement dite), mais le contrôle judiciaire n’en est pas moins préférable à pas de contrôle du tout. Un tel contrôle ne garantit assurément pas en lui-même la survie des libertés fondamentales, mais peut en revanche, dans une certaine mesure au moins, la favoriser. Alors qu’avec sa suppression une telle survie devient hautement improbable, pour ne pas dire désespérée.

Le modèle français

La Suisse se borne ici à suivre l’exemple français, puisqu’en 2017 déjà le Parlement français avait décidé de transférer dans le droit ordinaire certaines dispositions de l’état d’urgence, au nombre desquelles, justement, l’abolition du contrôle judiciaire sur les actes des autorités en lien avec la lutte contre le «terrorisme». On met ici le mot «terrorisme» entre guillemets, car les autorités françaises ont tendance à user et abuser de cette notion en en donnant une interprétation très extensive. On est très vite aujourd’hui en France traité de «terroriste».

On pourrait aussi parler des atteintes croissantes à la liberté de parole et de critique, qui font qu’il devient de plus en plus risqué aujourd’hui d’aborder certains sujets jugés sensibles. Il n’y a pas encore à l’heure actuelle en Suisse de loi Avia, mais il est évident qu’un jour ou l’autre il y en aura une, car on voit mal la Suisse ne pas s’aligner sur ce qui se fait ailleurs en ce domaine. Ce ne sera au reste pas très compliqué. Il suffira de compléter l’article 261 bis du Code pénal, par simple adjonction d’un ou deux alinéas, comme cela vient de se faire pour la pénalisation de l’homophobie. Il faut en tenir compte quand on dit que la liberté d’expression est aujourd’hui mieux garantie en Suisse qu’en France. C’est certainement vrai en soi, mais encore une fois, c’est le mouvement d’ensemble qui compte.

Et ainsi de suite. En France toujours, un décret du 20 février dernier légalise le fichage généralisé des individus, au travers d’une nouvelle application numérique dénommée GendNotes. Les gendarmes sont encouragés désormais à collecter des données à caractère personnel (y compris celles relatives aux opinions philosophiques et politiques). Ils l’ont naturellement toujours fait dans le passé, mais c’est maintenant légalisé. On peut bien, si l’on y tient, parler ici de «dérive autoritaire», mais chacun admettra qu’il s’agit de tout autre chose. On assiste en fait à la mise en place d’un régime de type orwellien inaugurant une nouvelle espèce de totalitarisme. La généralisation à tous les coins de rue de la reconnaissance faciale s’inscrit également dans ce contexte.

Insistons au passage sur le fait qu’avec l’avènement des nouvelles technologies de l’information et de la communication (NTIC), les choses se font en quelque sorte toutes seules. C’est une opportunité qui s’offre à l’État, et celui-ci, tout naturellement, en profite.

L’humain rapetissé

On est dès lors amené à se poser cette question: comment se fait-il que personne ne réagisse? En fait, ne se révolte? Car, effectivement, les gens ne révoltent pas. On pourrait dire que la non-révolte est chose normale: plus normale, en tout cas, que la révolte. On ne se révolte qu’exceptionnellement. Les gens ne se rendent pas non plus toujours compte à quels risques ils s’exposent en ne se révoltant pas. Ou quand ils s’en rendent compte, il est déjà trop tard. Ils cèdent également volontiers à la peur. Etc. Tout cela étant admis, on n’en reste pas moins surpris de la passivité et de l’absence de réaction des citoyens. Ils donnent l’impression d’être comme tétanisés. Il y a certes eu l’épisode des Gilets jaunes. Mais leurs revendications étaient d’ordre surtout économique.

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C’est un sujet complexe, on ne va bien sûr pas ici en faire le tour, juste développer une ou deux remarques. On s’inspirera ici du dernier livre d’Emmanuel Todd, Les Luttes de classes en France au XXIe siècle (2), qui aborde le problème sous l’angle anthropologique. Prenant le contre-pied d’une thématique aujourd’hui ressassée, celle de «l’homme augmenté», Todd dit que l’homme contemporain est au contraire extrêmement «diminué». L’individu n’est pas devenu aujourd’hui «plus grand», comme on le prétend parfois, mais au contraire «plus petit». Todd se réfère à certains travaux récents sur la dépression et la fatigue mentale des individus à notre époque. Il insiste également sur le fait que les dernières décennies ont été marquées par un double effondrement religieux et moral, double effondrement qui n’est évidemment pas resté sans effet sur la psyché individuelle. L’ancienne religion s’est effondrée, et avec elle l’ensemble des croyances et points de repère qui contribuaient jusqu’à une date encore récente à «encadrer» l’individu et par là même à le renforcer, à lui donner confiance en lui-même: on pense en particulier au cadre national. L’individu est aujourd’hui très largement abandonné à lui-même. Et donc, tout naturellement, tend à «s’affaisser», à se rapetisser.

C’est un début de réponse. La fatigue, en elle-même, n’est pas nécessairement incompatible avec la révolte, il y a des gens fatigués qui pourtant se révoltent. Mais ce n’est pas le cas le plus fréquent. Ce que la fatigue nourrit plutôt, c’est le renoncement, la passivité. Mais on pourrait dire autre chose encore. Qu’ils soient ou non fatigués, les gens, en règle générale, se révoltent quand ils ont faim. Encore une fois, il faut citer les Gilets jaunes. Or être privé de liberté, ce n’est pas exactement mourir de faim. La liberté n’est pas un bien matériel, mais immatériel. On croise ici Dostoïevski et sa légende du Grand Inquisiteur. Le Christ dit au Grand inquisiteur: l’homme ne vit pas seulement de pain. Soit, mais la plupart de nos contemporains sont aujourd’hui sincèrement convaincus du contraire: l’homme ne vit que de pain. Pourquoi dès lors le fait d’être privé de liberté les conduiraient-il à se révolter?

On retrouve ici l’effondrement religieux. Avec raison, Emmanuel Todd, met la fatigue en lien avec l’effondrement religieux. L’effondrement religieux conduit à la fatigue, qui elle-même conduit à la non-révolte. Sauf que ce passage par la fatigue n’est que facultatif. La non-révolte se laisse aussi penser comme un produit direct de l’effondrement religieux.

Eric Werner (Antipresse n°226, 29 mars 2020)

Notes :
  1. 1) Voir Slobodan Despot: « L’affaire Simon Brandt, un “signal faible” — mais assourdissant! », Antipresse 219 | 09/02/2020.

  2. 2) Seuil, 2020. Cf. en particulier le chapitre V (pp. 127-153).

jeudi, 02 avril 2020

Le gouvernement de la Peur

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Le gouvernement de la Peur

Ex: http://www.geopolintel.fr

Dans la nuit du 28 au 29 mars 2020, le chiffre officiel, si sinistrement symbolique, de 666 000 cas de coronavirose due au SRAS-CoV-2 était atteint. Au matin du 29 mars, pour 177 pays, l’on comptait 666 300 cas prouvés, chiffre à multiplier par mille en ce qui regarde les contaminés asymptomatiques… 30 900 morts et 142 000 guérisons définitives. Le taux de mortalité moyen à travers la planète serait, à titre indicatif, de 4,6%. En France, 6%, soit le double de ce qui avait été initialement estimé pour les classes d’âge des plus de soixante-dix ans ; en Grande-Bretagne 5,8% ; aux Pays-Bas 6,5%, et en Allemagne de 7 pour mille.

Au désastre sanitaire que représentent en France 2606 décès ce lundi 30 mars, vient se surajouter en France les conséquences économiquement catastrophiques des décisions prises à contretemps par un gouvernement paralysé par ses contradictions… Sempiternellement condamné qu’il est à se heurter de plein fouet au mur de la réalité physique, celle-ci venant contredire les partis-pris idéologiques qui rendent impuissantes nos élites de papier-mâché à prévoir les conséquences en cascade de décisions prises sous l’empire d’une consistante insuffisance intellectuelle et prévisionnelle. Aujourd’hui, en France, et ce ne sont que des ordres de grandeur, 220 000 entreprises prévoient de mettre en chômage partiel quelque 2,2 millions de salariés, ce qu’annonçait sans frémir le 29 mars, la ministre du Travail Muriel Pénicaud au cours du « Grand Jury » RTL/Le Figaro/LCI… « On est à plusieurs milliers de demandes par minute… Les principaux domaines concernés sont l’industrie, l’hébergement et restauration, la construction et le commerce non alimentaire… comme les garages, qui sont très touchés ». On appréciera au passage (et à sa juste valeur) la qualité, la fluidité de l’expression verbale de cette politique de haut-vol !

L’actuelle casse sociale en accélération constante et la démolition en dominos de l’économie française (mais également européenne), n’est au fond que l’aboutissement d’un demi-siècle de laisser-faire/laisser-passer libéraliste porté à son paroxysme et légitimé dans et par le culte des droits-de-l’homme. Un mix idéologique ayant accouché d’un anarcho-capitaliste suppresseur de frontières, promoteur de la délocalisation des industries avec, en fin de parcours, dans le cadre d’une économie de services vulnérable à tous les vents mauvais de la conjoncture, la transformation de la France et de l’Europe en un vaste parc à la Disneyland dépendantes en tout de l’Asie profonde, depuis l’informatique jusqu’aux panneaux solaires (si coûteux à produire pour la planète, mais si chers à nos écolos-bobos), des substances médicamenteuses de base…aux masques chirurgicaux.

Heureusement que la Chine marxiste-léniniste (c’est-à-dire très officiellement stalinienne) vient au secours de l’Europe moribonde… Comme par exemple en vendant à l’Espagne 640.000 tests de dépistage défectueux [1] ! L’entreprise, Shenzen-Bioeasy-Biotechnology, avait été pourtant directement sélectionnée par le gouvernement de Pedro Sanchez qui, sorti du même tonneau euro-mondialiste que celui d’Édouard Philippe, montre que les classes dirigeantes de l’Union européenne (exception faite de la Hongrie ou de l’Italien Salvini) se ressemblent à s’y méprendre à l’instar de celles du Canada si bien incarnées par le clone de M. Macron, Justin Trudeau… Cela au point qu’elles en seraient presque interchangeables ! Espérons donc que l’Union européenne qui a failli en tout et quasiment partout, ne survivra pas à cette crise, laquelle aura révélé – Apocalypse signifie étymologiquement “Révélation” – à la fois sa totale impuissance et son extraordinaire potentiel de nuisance. L’histoire gardera en mémoire pour l’anecdote, l’image de la présidente de la Commission européenne Mme von der Leyen, qui devant son lavabo, se lavant soigneusement les mains et l’entre doigts tout en chantonnant l’Hymne à la joie de Ludwig van Beethoven, se réjouit apparemment d’avoir suspendu les absconses règles budgétaires de l’Union. Tout un poème et tout un programme…

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Un état de droit intégralement policier

Le 16 mars, le président macron imposait aux Français un confinement général, tout à fait inédit n’ayant d’équivalent que les blocus sanitaires imposés en Afrique de l’Ouest, au Liberia en août 2014 et dans une moindre mesure, au Sierra-Leone durant le mois septembre suivant. Ceci afin de bloquer la progression du virus Ebola cause d’une fièvre hémorragique presque toujours mortelle et sans traitement connu. Reste que le taux de létalité du SRARS-CoV-2 n’est en rien comparable (de 1 à 3% nous a-t-on dit jusqu’à présent… un mensonge parmi d’autres) à celui d’Ebola qui peut atteindre 90%. L’actuelle mise en quarantaine de la France – qui s’allonge et se resserre au fil des discours présidentiels et des interventions de Matignon – était-elle cependant indispensable pour juguler l’épidémie ? Nous connaissons tous la réponse : évidemment non !

Nous avons présent à l’esprit les contre-exemples de la Suède [2] (jamais mentionnée par les honnêtes médias grands menteurs professionnels, à commencer par omission), de Singapour, de la Corée du Sud et du Japon. Dans l’empire du Soleil levant, la population est douée - il est vrai – d’une intense discipline sociale (ne parlons pas de civisme), et continue de vaquer à ses occupations comme à l’accoutumée et surtout s’emploie à ne pas laisser sombrer une économie déjà lourdement plombée par une dette publique culminant à 238% du PIB (Produit intérieur brut) en 2018… mais avec les circonstances atténuantes de l’après Fukushima. Sachant aussi que cette dette est détenue à plus de 90 % par des investisseurs nationaux, en particulier par la Banque du Japon !

À comparer avec le pharamineux endettement hexagonal, sans autres causes que la démagogie, le laxisme et l’incompétence des gouvernements de Gauche successifs (ceux du “front républicain” dit UMPS), et ce, depuis Raymond Barre. En septembre 2019, la dette de l’État français dépassait les 100,4 % du PIB soit 2 415 milliards d’euros (en hausse de 39,6 mds par rapport au trimestre précédent)… et c’était avant le Covid-19, avant que l’État ne s’ingénie à mettre le pays en panne en ruinant les strates intermédiaires du tissu productif national, le bon exemple étant celui des petits commerçant laminés par des fermetures contraintes pendant la quarantaine générale au profit exclusif de la grande distribution. À croire que, profitant de la conjoncture de crise, il ferait durement payer la fronde des Gilets jaunes, réprimée dans la violence mais dont les braises continuent à rougeoyer sous la cendre chaude d’une légitime contestation sociale (salaires, régime des retraites…).

Or que nous dit donc “Le Monde” du 20 mars à propos de Singapour : « très tôt infecté par le virus venu de Chine, ce confetti territorial de l’Extrême-Orient [“confetti” mais néanmoins 4e place financière mondiale], a su réagir à la menace avec rapidité et efficacité : dépistage systématique ; établissement du parcours précis des patients dans les jours et les heures qui ont précédé leur infection pour remonter la piste du virus ; suivi étroit, méthodes policières rigoureuses à l’appui, des personnes en quarantaine forcée ». On notera la remarque suggestive par le ton, relative aux méthodes policières rigoureuses d’un régime semi-autoritaire… On ne le sait que trop bien, le quotidien vespéral Le Monde, largement subventionné par l’argent des contribuables et organe du grand capital [3], n’aime pas l’ordre politique et social des régimes semi-autoritaire (“semi” n’étant qu’une concession langagière semi-diplomatique), à l’instar de ceux du Hongrois Viktor Orban ou du Biélorusse Alexandre Loukachenko. À Singapour parler une autre langue que le mandarin est réprouvé et depuis 1992, horresco referens, importer, vendre, mâcher du chewing-gum sont interdits et le cas échéant sévèrement pénalisés.

Est-ce à dire que la vie publique de la Cité-État soit particulièrement asphyxiante ? Sans doute moins que celle des Français confinés dans leur résidence pour une durée indéterminée pendant que les Singapouriens – bien qu’interdits de polluer les villes avec des galettes de gomme visqueuses - continuent d’aller et venir librement, de se réunir et de vivre comme à l’ordinaire… Au contraire des Hexagonaux, qui, eux, se retrouvent ces jours-ci soumis à un très réel régime policier et incarcérés à domicile au moment même où le Garde des Sceaux, l’échevelée Mme Belloubet, prévoit la libération de 5 à 6000 délinquants et criminels en fin de peine (d’autres envisagent de vider les camps où sont retenus les migrants clandestins). Ainsi quand l’écume du monde bénéficie de sa liberté de mouvement, et lorsque les frontières ont été délibérément maintenues ouvertes (en perte totale du sens commun), le citoyen lambda en est réduit à se retrancher chez lui… Demeure, propriété privée, denier espace de liberté ! Et certes, quand les magistrats exonèrent le crime et vident les prisons, celui qui respecte les lois et paie ses amendes (parce qu’il est solvable), se voit infliger une double peine : contraint qu’il est de se barricader à la fois contre l’épidémie importée d’Asie sous les semelles de vent du mondialisme et contre la caillera non astreinte à respecter les couvre-feux dans ses “territoires” où fleurissent les mille et une start-up du narcotrafic.

Et tandis que la France d’en bas ronge son frein, qu’elle se débat, confinée, souvent dans des logements trop étroits pour des marmailles exubérantes, et que les petits commerces périclitent… les géants de la distribution (Amazon-Leclerc-Carrefour-Metro-Auchan-Casino-Monoprix-Lidl-SystèmeU-Intermarché) demeurent autorisés à vendre sans interruption pendant la grande panne nationale. On voudrait liquider les classes moyennes rétives à la mondialisation heureuse (dernier avatar de la Révolution universelle et du paradis prolétariens des rêves sanglants de Lénine) et leurs supports économiques, que l’on ne s’y prendrait pas autrement. Nous savons par ailleurs que les milieux financiers ne se sont pas privés de spéculer sur une éventuelle crise sanitaire mondiale avec les “obligations sur les pandémies” (pandemic bonds) émises en juillet 2017 par la Banque mondiale qui ont permis de lever 320 millions de dollars sur les marchés… même si au final, en raison de l’extension planétaire du virus coronal, le pari pourrait s’avérer une assez mauvaise affaire !

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Mensonge et impotence

Notre si fragile économie nationale est de toute évidence appelée à très vite payer – d’ici quelques mois - les ruineux effets de son arrêt forcé orchestré sous l’empire de la peur et sous les auspices de l’improvisation qui sont le substrat des décisions de politique de sécurité sanitaire des dirigeants de la Gauche plurielle (droite libérale et socialistes grand teint - bonnet blanc et blanc bonnet). Une classe politique qui usurpe le pouvoir et qui devrait retourner au néant d’où elle sort. Déjà parce que l’évolution de la crise nous administre la démonstration que ces gens se sont bien contre fichus non seulement de prévoir la survenue d’une vague pandémique (malgré de multiples avertissements de la part des spécialistes et de diverses récentes alertes : H1N1, SRAS-Cov, etc.)… Mais encore de faire entreposer par avance des quantités suffisantes d’équipements, de matériels et de produits les plus nécessaires et les plus élémentaires tels que masques de protection, trousses de dépistage, respirateurs, gel hydro alcoolique… ou de disposer des capacités de production utiles à répondre à tous besoins d’urgence.

Tant et si bien, que ce n’est pas la lutte contre la pandémie elle-même qui a déterminé les choix déplorables que nous connaissons en matière de sécurité sanitaire (confinement généralisé et arrêt subséquent de la vie économique), mais bien l’improvisation (eu égard également à la haute contagiosité du SRAS-CoV-2) la plus catastrophique dictée par une situation devenue immaîtrisable en raison d’un déferlement de pathologies dans une forme aiguë et en passe de saturer les possibilités hospitalières d’accueil en soins intensifs. Même si les autorités annoncent – mais ne font-elles pas qu’annoncer ? – le doublement des lits de réanimation, de 5000 à 10.000.


Ces mesures de pis-aller ont de cette façon été présentées comme salvatrices par les pompiers pyromanes de la haute Administration et ont valu au président Macron – au moins pour un temps – l’aura du chef de guerre sauveur de la Nation. Sans rire, des comiques involontaires ont été jusqu’à le grimer en Clémenceau, le Père la victoire ! Un travestissement rendu possible grâce à la peur injectée à hautes doses dans les têtes de spectateurs tétanisées par les commissaires politiques (de quinquas-sexagénaires dont beaucoup sont issus des rangs trotskistes) qui se bousculent sur les plateaux télévisuels… experts improvisés et Monsieur Je-sais-tout ferraillant à tout-va pour tresser dans la débâcle, des couronnes à une Macronie failli, mais toujours triomphale dans la déconfiture [4].

D’ailleurs ne gouverne-t-on pas la plèbe, le Démos, avec la peur viscérale, Phobos [5]… Tous deux affiliés à la guerre dans nos démocraties en passe de devenir concentrationnaires tant les libertés réelles, concrètes, rétrécissent comme peau de chagrin. À entendre Nicolas Machiavel « Celui qui contrôle la peur des gens devient le maître de leurs âmes »… De nos jours, la peur rend les foules trop souvent étrangères à la lucidité, et le climat anxiogène soigneusement entretenu par les médias rend d’inappréciables services à un gouvernement dont il transmute les fautes (crimes et trahisons) en vertus rédemptrices…

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L’empire de la jactance

Dispositions coercitive - sans exagération aucune - destinée à voiler les carences prévisionnelles d’un État défaillant sur tous les plans… mais très apte à entourer sa poly-incompétence dans le brouillard des mots, les mensonges éhontés [6] et la jactance hypnotique tient lieu de seconde nature pour nos autorités responsables au premier rang desquels le chef de l’État, le directeur général de la Santé Jérôme Salomon, le Premier ministre Édouard Philippe et les deux titulaires de l’Intérieur Christophe Castaner et Laurent Nunez, le remplaçant de Mme Buzyn à la Santé, Olivier Véran ou encore M. Gilles Bloch, grand patron de l’Inserm (Institut national de la santé et de la recherche médicale)… tous protagonistes d’une tragédie que leur incompétence fondamentale à soigneusement préparée, organisée et au-delà, prolongée… Dont les conséquences immédiates est de reléguer au second plan toutes les interventions chirurgicales décrétées non essentiellement nécessaires… Et chose affreuse, si les dons de sang peuvent continuer (ils ne requièrent pas de dispositifs lourds et leur utilité est indéniable), par contre : « les greffes non urgentes et les projets de procréation médicalement assistée doivent être reportés »… Houlala ! Les vitales greffes d’organes et la PMA étant mises sur le même plan dans les priorités médicales par l’Agence de biomédecine dont les préoccupations majeures se portent (d’abord) sur « les dons d’ovocytes et de sperme » sans lesquels la société transgendérisée serait à l’évidence en grande perdition [7].

C’est - résumons-nous - dans l’urgence la plus cruelle que ces gens ont dû adopter des textes [8] transcrivant une stratégie de sauve-qui-peut essentiellement dictée par les défaillances d’un État tout entier asservi à l’idéologie libérale-libertaire, celle de la permissivité la plus vile, du sans-frontiérisme et de la négation des réalités physiques et biologiques les plus élémentaires. La stratégie de combat contre la pandémie adoptée par nos élites, celles de la politique et du complexe sciencio-industriel (laboratoires et pontes médicaux formant la technostructure de l’industrie de la santé), bien représenté en l’occurrence par l’Inserm déjà nommé… cette sorte de monstrueuse féodalité à la charnière de l’État et du secteur privé : institué établissement public en 2018, il jouit d’un budget de 908 millions d’euros dont 68 % sous forme de subventions et 32 % en ressources externes… C’est aussi une chasse-gardée pour une certaine caste oligarchique du monde médical et certains réseaux passionnément confraternels : dirigé jusqu’à l’automne 2018 par Yves Lévy (conjoint de Mme Buzyn alors mirobolante ministresse de la Santé), Gilles Bloch prenait sa succession le 2 janvier 2019. Suspect de passe-droit entre époux et de conflit d’intérêt, Yves Lévy – l’homme du laboratoire de haute sécurité P4 de Wuhan - a été discrètement poussé vers la sortie en échange d’une juteuse sinécure au Conseil d’État [9] où il est nommé conseiller extraordinaire. La République reconnaissante à ses grands serviteurs, est également une prodigue vache-à-lait (et dire que les rentiers sont honnis et vomis par la Sociale) !

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Le centre contre la périphérie… Lévy versus Raoult

Le retard à l’allumage quant aux justes décisions qui devaient être prises pour prévenir la crise et la gérer, nous ne devons évidemment pas imputer ces manquements à la seule incompétence de nos élites, à leur soumission aux oukases bruxellois ou à leur inféodation aux injonctions intéressées des grands groupes pharmaceutiques lancés dans la course au vaccin et aux prodigieux profits qui en découleront… Toutes choses pouvant expliquer en partie – mais pas entièrement - l’ostracisme dont a été l’objet le Pr. Didier Raoult (inventeur du traitement à base de chloroquine contre le coronavirus), pas plus que la rivalité personnelle l’opposant à Yves Lévy, ex patron de l’Inserm (avant que le relais ne soit assuré par son coreligionnaire idéologique, Gilles Bloch) et son épouse Agnès Buzyn. Il n’est en effet que trop facile de rapporter certains grands fiascos ou des grandes cabales, uniquement à des questions de personnes en oubliant que les hommes incarnent des dimensions, des enjeux et des positions qui à certains moments peuvent entrer en conflit idéologiques et stratégiques. C’est certainement le cas ici car la France est rongée par un autre virus, politique celui-là, qui n’est autre que le jacobinisme, lequel se développe à échelle planétaire : le jacobinisme est en cours de recombinaison (ou de reconversion) avec le mondialisme et tend dorénavant à servir un système global multipolaire dont les divers pouvoirs autonomes qui le composent se développent en arborescence indépendamment des États qu’ils absorbent. Comprenons par exemple que l’Inserm – l’un des organes, avons-nous dit, du complexe international industriel et scientifique de l’ingénierie génétique et de la chimie organique (Big Pharma) – pèse plus lourd en matière de Santé publique que le ministère affublé de ce nom et qui n’est là que pour s’agiter sur la scène du théâtre d’ombres de la politique spectacle.

On le sait Raoult, expert en maladie tropicale et infectiologue réputé au plan international, a proposé en début de crise un traitement simple, peu coûteux et efficace en dépit du nombre réduit d’essais cliniques (une vingtaine au départ). À ce sujet il lui fut reproché avec maints sarcasmes par tous les Diafoirus et Purgon du landernau parisianiste (soutenus et relayés par les médic-journalistes à l’instar du ludion médiatique, Michel Cymes, (fils de fripier dont il a gardé la mentalité adaptative et mimétique) de soi-disant n’avoir respecté les protocoles inhérents à la vraie science, la médecine de terrain, empirique n’ayant plus droit de cité… sauf qu’aujourd’hui les malades de virose coronale ne sont pas imaginaires et requièrent des soins attentifs et immédiats, très au-delà de la logorrhée médiatique.

Raoult pour faire définitivement taire ses détracteurs a publié le 28 mars les résultats sans appel d’un complément d’essais cliniques : cette deuxième étude portait cette fois non plus sur vingt patients mais sur 80 et visait à démontrer « l’efficacité et la pertinence » de la prise d’hydroxychloroquine (un substitut synthétique de la quinine parfaitement connu dans ses effets et contre-indications, utilisé depuis soixante-dix ans) associée à un antibiotique, l’azithromycine destiné à bloquer des infections respiratoires opportunistes. Sur 80 personnes hospitalisées entre le 3 et le 21 mars ayant reçues une combinaison d’hydroxychloroquine les équipes de l’IHU du Pr. Raoult ont constaté « une amélioration clinique chez tous les patients, sauf un patient de 86 ans décédé, et un patient de 74 ans maintenu en soins intensifs.« Concernant la charge virale, au jour 7 « 83% des patients étaient négatifs. Un taux qui monte à 93% au jour 8 pour atteindre 100% au jour 12. L’âge médian des 80 patients était de 52 ans (situé entre 18 et 88 ans) et 57,5% de ces patients présentaient une comorbidité (hypertension, diabète, maladie respiratoire chronique »...) [10]. Aucun effet secondaire important n’a été constaté chez les malades contrairement aux cris d’alarmes lancée par les scientistes tenant le crachoir dans l’œil de bœuf télévisuel ! Ces braves gens soucieux de la santé physique de leurs contemporains étaient parvenus à faire inscrire cette molécule au tableau des substance vénéneuse en janvier… sous le ministériat de dame Buzyn.

Depuis la Chloroquine a été propulsée en tant que solution d’urgence (à défaut d’autres) aux États-Unis, en Chine, en Suisse, en Israël et adoptée à Paris par l’hôpital de la Pitié-Salpêtrière. Ce qu’il y a d’extraordinaire est bien que la cabale dirigée contre les infectiologues appartenant à l’équipe de Didier Raoult de l’IUH marseillais - quoique Lauréat du grand prix de l’Inserm en 2010 – se sont vus retirer l’agrément de la susdite institution… Par conséquent, en dépit des démentis nationaux et internationaux, la caste de médicastres parisianistes, relais de puissants enjeux de pouvoir financier et géopolitique, n’en démord pas et s’entête, en déployant leur méga artillerie médiatique, de couler – avec une indécence extravagante - le seul remède actuellement en mesure de sauver des vies. Quelle leçon quant au cynisme et au mépris des hommes témoigné par des élites qui prétendent ne vouloir que notre plus grand bien et mieux, notre bonheur.

30 mars 2020

Notes

[1rfi28mars20

[2Alors que la Finlande a déclaré l’état d’urgence le 16 mars, que la Norvège et le Danemark sont en « lockdown » (blocage), le royaume scandinave des Bernadotte n’a toujours pas fermé ses écoles, ni bannis les rassemblements de moins de 500 personnes [lemonde.fr18 mars20].

[3Encore subventionné en 2017 à hauteur de 5 millions 438 216 €, cet organe est surtout celui du grand capital en la personne de MM. Xavier Niel (Pdg de l’entreprise de téléphonie mobile Free et créateur en 1984 du Minitel rose à l’origine de sa fortune, l’un des premiers supports électroniques de libre-échangisme sexuel), Matthieu Pigasse (directeur général délégué de la banque Lazard) et du Tchèque Daniel Kretinsky, un oligarque producteur et distributeur d’électricité d’origine thermique (gaz/charbon/fuel lourd)… et président du club sportif Sparta Prague.

[4L’État annonce en fanfare le 28 mars – avec quatre mois de retard, la crise ayant démarré fin novembre 2019 - une commande d’un milliard de masques à la Chine communiste, et que finalement, au bout du mois d’avril – avec ainsi donc encore un mois en sus – le pays sera en mesure d’effectuer 50.000 tests quotidiens de contamination pour 20.000 hebdomadaires actuellement… tandis que l’Allemagne en réalise déjà de son côté 500.000 chaque semaine.

[5Les deux satellites de la planète Mars, elle-même baptisée du nom du dieu de la Guerre, sont Phobos et Deimos (terreur)… une troublante homophonie avec démos.

[6Compilation de quelques grossiers mensonges du ministre Véran qui affirme les 18 et 23 février puis le 3 mars que « La France est prête », archi prête, pas un bouton de guêtre ne manque ! Patatras le 20 mars il passe aux aveux devant l’Assemblée nationale, le 16 mars encore le président Macron annonce des livraisons de masques en quantité suffisante dans les deux jours, ils n’arriveront qu’au compte-goutte. Il faudra attendre le 27 du mois pour que soit “annoncé” des livraisons chinoises encore à venir. https://www.youtube.com/watch?fbcli...

[7En ce qui concerne la PMA, « aucune stimulation ovarienne ne débutera pendant la durée du confinement mais les patientes en cours de traitement non atteintes par le Covid-19 pourront le poursuivre afin de congeler les ovocytes ou les embryons et de reporter le transfert embryonnaire après l’épidémie ». “Recommandations mises à jour concernant les activités d’assistance médicale à la procréation durant l’épidémie de SARS-CoV-2” [agence-biomedecine.fr25mars20].

[8La loi n° 2020-290 du 23 mars 2020 destinée à contenir l’épidémie de Covid-19, est adoptée en modification de loi de 1955 relative à l’état d’urgence. Le rafistolage juridique au secours de l’impéritie. Resterait à valider la légalité (indépendamment de l’opportunité sur le fond) des laisser-passer exigés pour les déplacements personnels, purs produits de bricolages juridiques.

[9Agnès Buzyn est nommée ministre de la Santé le 17 mai 2017 devenant de ce fait le ministre de tutelle de l’Inserm. Épouse d’Yves Lévy, son directeur, et pour éviter toute suspicion ou risque de conflits d’intérêts, le Premier ministre, Édouard Philippe, prend un décret disposant que le Secrétariat général du gouvernement que l’Inserm sera directement placé sous sa tutelle. Le Conseil d’État est une sorte de cimetière des éléphants rassemblant, parmi les trois cents titulaires d’une charge, beaucoup de copains recasés après bons et déloyaux services (à l’égard du bien commun), ainsi le jeune Arno Klarsfeld (par sa mère petit fils d’un soldat de la Wehrmacht) est-il nommé conseiller au tour extérieur par le conseil des ministres du 27 octobre 2010.

[10yahoo.com28mars20

 

L’inacceptable statut privilégié de l’islam radical en France

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L’inacceptable statut privilégié de l’islam radical en France

mercredi, 01 avril 2020

Coronavirus: le mondialisme enfin démasqué!

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Coronavirus: le mondialisme enfin démasqué!

par Frédéric Andreu

Pour les sansfrontiéristes qui nous gouvernent, le port du masque serait «anxiogène». Les policiers ont d’ailleurs ordre de ne pas le porter, argument tout à fait cohérent avec leur vision du monde puisque les masques, comme les frontières, sont des filtres.

Combien de morts faudra-t-il encore pour démasquer cette idéologie mortifère ? Devant les monceaux de cadavres, une économie en ruine, les sansfrontiéristes finiront sans doute par admettre leur responsabilité, quitte d’ailleurs à jouer du clairon et faire dans la surenchère nationaliste. Mais admettront-ils que leur idéologie est tout autant meurtrière en matière d'immigration massive, de finance dérégulée, de culture de masse, de transfert de technologie ?

Très peu connaissent les dessous de cette affaire, mais en autorisant - contre l’avis des experts français - la construction d'un laboratoire épidémiologique P4 à des équipes chinoises non préparées, Jérôme Guedj et ses compères se sont rendu complice d’une crise sanitaire gigantesque. Ce laboratoire franco-chinois, inauguré par Cazeneuve et placé sous la haute autorité d'un certain Yves Levy, directeur de l'INSERM, qui n'est autre que le mari d'Agnès Buzyn, aurait-il laissé échappé le virus ?

En tout cas, cette thèse n’est jamais évoqué dans les médias. Elle le mérite pourtant car Wuhan est l’endroit d’où est parti le virus. Il paraîtrait normal à n’importe quel journaliste de suivre cette piste, sauf aux journalistes français. Nous sommes peut être confinés mais nous ne sont pas des cons finis.

Scandales en cascade, un : la France supervise la vente d’un labo hyper-dangereux à Wuhan, deux : un gouvernement prévenu par les médecins français, détachés à Wuhan, et qui ne fait strictement rien pour contenir l’ «arrivée de la vague» et qui ment aux français ; trois, des Européistes idéologiques coupables de non assistance à pays en danger, en laissant une Italie exsangue de matériel crever la bouche ouverte.  

Les apprentis-sorciers qui dirigent la France font porter à notre pays une responsabilité morale équivalent à un Tchernobyl puissance 1000. A l’heure où j’écris ces lignes se sont en effet pas moins de trois milliards de personnes confinés dans le monde, un quart de million sont décédées.

Et maintenant ?

L’incompétence criminelle du gouvernement entraîne déjà des situations dramatiques dans les hôpitaux ; elle oblige les infirmières et les forces de l’ordre à travailler sans masque tout comme les peuples sont contraint de vivre sans frontière. A l’heure où j’écris ces lignes, nul ne sait si les quartiers surpeuplés de nos villes ne seront pas en état d’émeute après quelques semaines de confinement ? Les populations immigrées, importées par les sansfrontièristes comme des boites de conserve, ne veulent pas se soumettre aux mesures de confinement pourtant nécessaires lorsque le confinement national a été prohibé idéologiquement.

L’impact du confinement sur l’économie du pays, sur les PME, sur la santé psychologique des enfants, des personnes âgées enfermés chez elles pourrait transformer ce pays en pays du Tiers Monde.

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Le plus dangereux virus s’appelle le sansfrontiérisme. Il s’appelle l’idéologie libéral-libertaire. Les porteurs saints de ce virus occupent le gouvernement et les médias. Macron, Philippe, Mathieu Gallet (patron de Radio France), Laurent Vallée (directeur de Carrefour), sont tous membres des Young Leaders FRANCE-CHINA promotion 2013, un club d’influence où l’on ne parle ni Français, ni Chinois, mais l’Anglais des affaires et la langue des statistiques...

Que ce soit le Coronavirus aujourd’hui ou la Grippe Espagnole hier, le viol des régulations naturelles, la haine du concret, le péché contre la Loi Naturelle, déchaînerait-il le châtiment divin ? C’est l’impression première qui domine.

Une incroyable symétrie de faits et de calendrier, nous montre que la Grippe dite « Espagnole » est apparue dans un monde dominé par les nationalismes agressifs. La France et l’Allemagne notamment se déchirent devant le gâteau des colonies africaines. C’est dans ce contexte qu’un nouveau virus importé par les soldats américains choisi de  contaminer l’Europe, puis le Monde. C’est au final un habitant sur deux dans le monde qui est infecté. Environ 50 millions d’entre eux mourront.  

Il est amusant de constater que cette nouvelle pandémie pénètre le monde juste cent ans après la grippe Espagnole dans un contexte à la fois inverse et symétrique. La guerre actuelle n’est pas celle de nations rivales voulant conquérir le monde, mais le mondialisme cherchant à faire disparaître les nations.

L’idéologie «globaliste» présentée comme la panacée pour résoudre tout les problèmes, est en fait le problème, la cause. Le Globalisme est une guerre non déclarée contre les patries charnelles, les familles, les identités particulières, les frontières. L’irruption du virus covid-19 aura peut être un effet salvateur. Les Pinocchios-menteurs qui nous gouvernent méritent notre mépris. Nous sommes des milliards à nous retrouver confinés dans nos abris devenus les murs de lamentations ; nous pleurons la disparition des membranes naturelles protectrices, cellule familiale, nationale et même littéraire.

Les nationalismes d’hier ne furent pas le fait de patriotes raisonnés mais de titans, des hommes implacables et sans pitié, à l’instar de Staline ou Hitler ; la Mondialisation met au aujourd’hui au pouvoir des amateurs politiques, jouant avec les statistiques comme des enfants jouent avec des allumettes, à l’instar d’un vulgaire Macron, d’une Agnès Buzyn qui, en échec électoral, se met a chougner comme une gamine ayant égaré sa poupée. Buzyn parle de «mascarade» en période de pénurie de masque, elle montre l'incompétence crasse de cette bande d'amateurs à la tête de la cinquième puissance du monde.

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Hitler est né autrichien et non Allemand ; Staline géorgien et non russe. Le Mondialisme aussi, a besoin de leaders qui ne sont pas d’ici. Il met en scène des managers d’entreprise aux égos gonflés totalement étrangers au génie des peuples, à l’instar d’un vulgaire Macron n’hésitant pas à faire tirer au flash-ball sur son propre peuple, d’une Buzyn totalement à côté de la plaque. Ces gens n’ont pas de patrie mais ils ont des réseaux. 

Le coronavirus et le réseau Young Leaders de la French-China Foundation

Je veux bien croire que le Coronavirus provient d’une chauve-souris et pourquoi pas d’un éléphant à cheveux longs ou d’un flamant rose à poils durs, mais il existe aussi un faisceau d’indices non moins plausible que je m’empresse de vous livrer alors même que le virus atteint des proportions pandémiques dans le monde.

D’origine lyonnaise, je peux tout d’abord avancer une première pièce élément au puzzle de compréhension globale. Lyon abrite un laboratoire hyper-sécurisé où sont étudiés, manipulés les virus les plus dangereux au monde. Bien que secret, ce laboratoire qui porte le nom d’un lyonnais célèbre Louis Mérieux, est connu à Lyon. A noter que cette ville discrète abrite d’autres institutions et banque de donnée à dimension mondiale. Lyon est par exemple le siège du secrétariat général d’Interpol.

En 2017 fut inauguré, en partenariat avec la France, un laboratoire P4 chinois cousin du laboratoire Mérieux mais ce n’est pas Lyon qui est signataire de l’accord chinois. Wuhan est une ville chinoise stratégique puisque située en plein milieu de la Chine. La période d’installation de ce laboratoire est en fait contemporaine avec l’intronisation de Macron comme leader d’un nouveau parti électoraliste construit sur le modèle de la communication managériale. Ce point n’est pas un point de détail, ou un simple hasard de calendrier, puisque le projet de laboratoire avait été précédemment ajourné car les experts français compétents, inquiets des risques d’une telle coopération avec la Chine communiste. Je sais par ailleurs que la molécule de doliprane a été parallèlement rachetée par la Chine, et est moins efficace. Le labo d’origine était lui aussi à Lyon. Il en était de même avec l’Oscillococcinum, efficace il y a 20 ans avec 1 dose, et presque plus maintenant, car il faut démultiplier la posologie.

Allons un peu plus loin. Macron, et son compère Philippe, sont issus d’un groupe élitaire appelé «Young Leaders». Mais avec quel pays ce club était-il lié ?

Ce club regroupe des personnalités influentes dans la politique, la finance, le commerce, la grande distribution, les médias. Un président de la République, un premier ministre, le président de la chaîne de grande distribution Carrefour, Magda Danys, une galiériste d’«art» contemporain, tout ce monde hétéroclite fait partie de la France-China Foundation, réseau favorable au mondialisme financier notamment entre la France et la Chine.

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Lorsque les faits accusent un réseau – car il s’agit bien d’une accusation nominative – il ne faut pas se contenter de vagues rumeurs. L’accusation doit être argumentée de la façon la plus précise. Repéré parmi les treaders de la Banque Rottschild par Jacques Atali, le Merlin de la politique française depuis Mitterrand, Macron est reçu en septembre 2014 par François Hollande, au Quai D’Orsay afin que celui-ci jette les bases d’un nouveau parti transcourant, le fameux «EM».

A ce moment-là, François Hollande, qui avait renoncé à lutter contre son «ennemi invisible de la finance internationale» savait qu’il ne serait jamais réélu. Il savait qu'il jouerait le triste rôle d'idiot utile d’une politique voulue par d’autres. Il trouva une narcissique compensation a ce que «son» jeune poulain puisse remporter les élections à sa place lors des prochaines élections.

Le projet de laboratoire P4 chinois, qui traînait dans les cartons depuis plusieurs années, devint subitement une priorité en 2017 – année où Macron est élu président de la République. Un candidat sans expérience, issu de cooptation de réseau, gonflé artificiellement par le système, est élu par un peuple sous influence médiatique. Mis au pouvoir pour accélérer l‘alignement de la France sur le FMI et les critères mondialistes, migratoires, culturels, familiales, déjà bien entamés avant lui par Sarkozy et les autres agents du «système», Macron joue à merveille son rôle d’agent de commerce du Mondialisme. Il accroît la casse sociale, réprime les Gilets Jaunes, cherche à contrôler les réseaux sociaux.

Mais qui a finalement signé les accords du P4 entre la France et la Chine ? Est-ce le discret Alexandre Mérieux, descendant de Marcel, disciple de Pasteur, héritier direct d’une  dynastie familiale humaniste ? Non, le Labo P4 est crée à Wuhan par des affairistes apatrides basés dans l’Essonne et membre de la French-China Foundation.

Incroyable concordance du calendrier, la vente du P4 est contemporain de la casse des  hôpitaux français. Pour la ville de Paris, l’une des responsables de la «restructuration des hôpitaux publics » n’est autre qu’une membre de la France-China Foundation, Sybil Veil. entrée à l’Assistance publique – Hôpitaux de Paris 9 (AP-HP), où elle travaillera avec Martin Hirsch sur un programme de transformation de ses 37 hôpitaux dans le contexte tendu des restructurations hospitalières.

Ses mesures brutales, sans concertation avec les médecins, entraîne alors un mouvement de défense de l'hôpital public qui regroupe les médecins en colère. Ces derniers listent une kyrielle d'« aberrations ». Je leur laisse la parole : « Le projet irréaliste de restructuration de la chirurgie entre Ambroise-Paré et Georges-Pompidou, le déplacement provisoire de l'urologie de Necker à Georges-Pompidou sans les anesthésistes prévus, la fermeture brutale de l'activité de stomatologie et chirurgie maxillo-faciale de Cochina ?». Cette association appelait même ses membres à démissionner en bloc. 

La suite, nous la connaissons, le virus couronné se répand à partir de la même ville chinoise qui abrite un labo P4. Macron au pouvoir, et informé des ravages subis par la population chinoise maintient les frontières ouvertes. La théorie chauvesouriesque se diffuse alors dans les médias officiels. Aucun média ne met en relation ce labo P4 vendu par la France et le virus.

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L’inauguration du P4 franco-chinois n’est pas une opération secrète. Sur la photo, à gauche de Marisol Touraine, Yves Levy (marqué d’une étoile jaune) époux de la ministre de la Santé Agnès Buzyn et farouche opposant, lui aussi, à Marine LE PEN. Ce projet de laboratoire P4, qui n’est pas la copie de l’institut Mérieux de Lyon mais celui de l’Essonne a été livré aux Communistes Chinois. Yves Lévy a supervisé le transfert de technologie française à la Chine communiste contre l‘avis de nombreux experts de l’époque, comme homme d’affaire et non comme médecin et, semble-t-il, sans se soucier du principe de prudence : 

Le site Wikipedia du labo chinois, visible par tous, contient cet avertissement que Levy ne semble pas a voir lu : « Le biologiste moléculaire américain Richard H. Ebright s'est dit préoccupé à propos de fuites du virus SRAS de laboratoires à Pékin, et par le rythme et l'ampleur des projets de développement de laboratoires de haute sécurité biologique BSL-4. » 

On trouve dans l’Histoire d’autres précédents de manœuvres effectuées contre l’avis des experts et le principe de prudence. Les accords secrets entre la France et Israël  posèrent les bases d’une usine de traitement nucléaire. Décidée secrètement en octobre 1956 entre Guy Mollet et l’État d’Israël, ce projet a conduit l’État d’Israël a se doter de la bombe atomique. Le Général De Gaulle, parvenu au pouvoir deux ans plus tard, fou de rage, ne put faire machine arrière.

Labo P4 et la piste de l'Essonne

Un lien semble donc désormais établi entre le labo P4 à Wuhan et le département de l'Essonne. Bien que le président de l’Institut Mérieux ait effectué un voyage à Wuhan, le P4 chinois n’est pas la copie du P4 lyonnais de l’Essonne. En effet, l’Essonne et Wuhan sont en relation commerciale depuis très longtemps. Dans le monde, il y a UN labo P4 (armes bactériologiques, virus etc., niveau 4, donc maximal) en Chine, à Wuhan, et TROIS en France, dont un en Essonne qui appartient à la DGA (Direction Générale de l'Armement).

Dans la fondation des Young Leaders, il y a des Chinois et des Français dont... Emmanuel Macron, Edouard Phillippe et Matthias Fekl. Ce dernier était secrétaire d'Etat au Commerce extérieur et donc du voyage à Wuhan, en février 2017, pour la visite du labo P4, en compagnie d'Yves Levy, directeur de l'INSERM et époux d'Agnès Buzyn (ministre de la Santé "démissionnée" en février 2020, en pleine pandémie de Covid19, et qui a fait inscrire la chloroquine sur la liste des substances vénéneuses), elle aussi de la délégation officielle.

On note la présence de Jérôme Guedj. Je me suis demandé ce que fait Jérôme Guedj dans cette délégation ? Et voici qu’une simple recherche internet établi le lien : Guedj était le président du Conseil régional de l'Essonne jusqu'en 2015 et un "spécialiste des affaires de Santé publique" doublé d'un conseiller très actif dans le domaine des relations commerciales entre Wuhan et l'Essonne comme le mentionne très explicitement la page consacrée sur le site Young Leaders de la FCF :

En date du 23 mars, à l'heure où j'écris ces lignes, le ministre de la Santé Olivier Véran vient de nommer Guedj pour diriger "une mission de lutte contre l'isolement des personnes âgées confinées". Encore beaucoup, beaucoup, de coïncidences et de réseaux d'influence qui interpellent pour ce qui est du volet français de la pandémie mondiale de Covid19.

Ce Lundi 23 Mars, le ministre Véran n'approuve toujours pas la formule testée et approuvée par le professeur Raoult qui guérit du Covid19. 

Reste maintenant à établir le lien entre finance et santé, pourquoi tant d’empressement à l’ouverture d’un P4 en Chine passant outre 130 ans d’expérience lyonnaise de la dynastie Mérieux ?

L’idée généralement répandue chez ces hommes d’affaires est que la coopération de jeunes leaders issus de Grandes Écoles serait toujours plus efficace que les principes de prudence identifié au repli nationaliste et à la réaction. Yves Lévy est d’ailleurs le rédacteur d’une lettre ouverte appelant explicitement à voter contre Marine Le Pen en 2017 car, selon M. Lévy, le RN serait « porteur de régression et de déclin sur tous les plans ». La lutte de chaque instant contre le repli, l’antiracisme et l’antisémitisme semble partagé par un certain nombre de personnes en lien avec le labo P4. En l’occurrence, soulignons le fait que la femme de Jérôme Guedj est l’éminente scénariste Émilie Frèche, engagée elle aussi dans la lutte contre le racisme et l’antisémitisme. Elle est liée à la famille Veil tout comme Agnès Busyn. Quant à Sygrid Veil, « réformatrice » controversée des hôpitaux de Paris en 2010, elle est devenue en 2018 directrice de Radio France. Des compétences étendues et reconnues dans des domaines très différents. En avril de cette même année, elle rédige elle aussi un « manifeste contre le nouvel antisémitisme » paru dans LE PARISIEN.

L’idéologie antiraciste est une belle vertu et nous y souscrivons des deux mains,  mais elle n’implique pas la « société ouverte » promue par Georges Soros, une société ouverte à tous les vents de la mondialisation, flux migratoires, pandémie, culture de mort. Une incroyable concordance montre que les membres de cette sombre affaire de P4 chinois sur fond de casse de l’hôpital français sont TOUS des antiracistes professionnels :

-Sygrid Veil, casseur de l’hôpital parisien

-Yves Levy superviseur du P4 chinois

-Busyn épouse du précédent

-Guedj, affairiste entre l’Essonne et Wuhan, époux d’Emilie Frèche.

Dans l’univers virtuel des antiracistes, le monde se sépare entre racistes et antiracistes ; dans le monde réel, il se sépare entre patriotes et mondialistes. En passant outre les organismes et les traditions nationales, les chantres de l’antiracisme au pouvoir depuis 30 ou 40 ans ont contribué à dissoudre les patries charnelles, la famille, les cultures nationales et locales. Toutes les décisions prises par les gouvernements, droite et gauche confondus, la loi de l’endettement de 1973, le regroupement familial de 1974, immigration massive, l’avortement de Simone Veil, PMA, conduisent à la ruine de la société et de l’économie réelle.

Le Coronavirus restera une crise sanitaire mineure à comparé avec d’autres pandémies dans l’Histoire comme la grippe espagnole. Il aura eut une vertu, celle de révélé l’idéologie mondialiste qui se cache derrière le faux nez de l’antiracisme.

Nous avons subi des gouvernements qui, par paliers successifs, sont passés de l’incompétence à la nuisance. Le gouvernement actuel, casseur des protections sociales, briseur de grève, est un gouvernement de plus en plus impopulaire. Il n’est plus à côté du peuple, sourd à ses revendications vitales, il est contre le peuple.

Tout repose désormais sur l’intelligence et la stratégie du peuple français, sur son sens politique et sa foi, sa capacité d’organisation pratique afin de lutter efficacement contre ses dirigeants qu’ils soient politiques, religieux ou culturels, vendus aux intérêts transnationaux.

Nous sommes contemporains d’une remise en cause radicale du nouvel ordre mondial. Les manifestations contre la PMA et les lois sociétales marquent le retour de la valeur famille, la révolte des Gilets Jaunes marque le retour de la valeur Travail. La crise systémique actuelle marquera le retour de la Patrie ou alors, elle débouchera sur l’instauration du gouvernement mondial.

Que Dieu vous protège et protège votre famille. Que Dieu protège la France et le monde.

Frédéric Andreu, le 23 mars 2020.                                   

Contact fredericandreu@yahoo.fr

 

jeudi, 26 mars 2020

De la prostate de Mitterrand au coronavirus sous Macron : vingt-huit ans d’enfermement idéologique

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De la prostate de Mitterrand au coronavirus sous Macron : vingt-huit ans d’enfermement idéologique

par Georges FELTIN-TRACOL

Ex: http://www.europemaxima.com

En septembre 1992, à quelques jours du référendum sur le traité de Maastricht, s’inquiétant de la dynamique favorable au « Non » et craignant que les Français rejettent l’œuvre de sa vie, François Mitterrand rendit public son cancer de la prostate. En 1996, son médecin personnel, le Dr. Claude Gubler, révéla dans son livre co-écrit avec le journaliste Michel Gonod, Le Grand Secret (très vite interdit par une justice aux ordres !) que le premier président socialiste de la Ve République souffrait de cette maladie depuis… 1980.

En redoutable tacticien politique, Mitterrand instrumentalisa son mal afin de culpabiliser les indécis. Le coup réussit puisque le traité de Maastricht fut adopté avec une courte avance de 539 410 voix. Des Français, bien incapables de comprendre un traité illisible, prirent pitié pour le locataire de l’Élysée et votèrent « Oui ». Avec l’épidémie de coronavirus, leurs descendants ne les remercient pas.

Lors de son allocution radio-télévisée du 16 mars dernier, Emmanuel Macron a répété à six reprises que la France était « en guerre » sanitaire. Il a même ordonné l’installation en Alsace d’un hôpital militaire de campagne. Or, mutatis mutandis, 2020 ressemble à 1914. Les premiers mois de la Grande Guerre sur le front occidental voient un nombre de pertes considérables dans l’armée française. Pourquoi ?

– L’affaire scandaleuse des fiches remontant à 1905, bien des officiers supérieurs, en particulier les ganaches étoilées, sont certes de bons républicains francs-maçons, mais ils se montrent de piètres commandants sur le terrain, guère soucieux de la vie de leurs hommes, souvent venus de ces campagnes profondes restées catholiques et traditionnelles qu’ils méprisent tant. Ils se focalisent sur la priorité accordée à l’offensive.

– Malgré le vote en 1913 du service militaire de trois ans, l’armée française est mal préparée. L’incessant bourrage des esprits autour de la « Revanche » et les guerres coloniales ininterrompues amoindrissent paradoxalement la combativité effective des troupes.

– Un équipement inapproprié favorise enfin des pertes françaises élevées. Le soldat français est visible de très loin avec son calot rouge, sa veste bleu foncé et son pantalon rouge garance pour le plus grand bonheur des tireurs d’élite allemands.

Rien n’a changé ! Les médecins, les infirmières, les aides-soignants, les pharmaciens ne disposent pas d’une réserve suffisante de masques sanitaires, de blouses de protection, de gants… En outre, le nombre d’appareils de réanimation et de lits est limité. L’hôpital pâtit de plein fouet de la réduction des coûts imposée par les critères de Maastricht. Ce n’est pas sans raison que le service des urgences a mené une grève de presque d’un an !

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Non contents de subventionner en vain la lutte fantasmatique contre toutes les discriminations, de financer sur fonds publics les partis politiques, les syndicats et certaines associations, et d’inciter au clientélisme, y compris migratoire, tous les gouvernements depuis 1992 ont imposé au secteur hospitalier, à l’Éducation nationale et aux forces armées et de police une cure d’austérité qui se traduit par la diminution draconienne des effectifs, des moyens et des coûts, d’où un sous-dimensionnement général chronique, criminel en temps de crise majeure.

Pourquoi l’Italie, la France, l’Espagne ou la Belgique se confinent-elles ? Non pas pour des motifs sanitaires immédiats : le coronavirus ne circule pas dans l’air; il se propage de personne à personne par la salive, les postillons et le contact physique. Le confinement est décidé afin de retarder au maximum la contagion de la population. Les autorités savent que leur système de santé rationné se révèle incapable de surmonter l’afflux des victimes virales. En Italie, en Espagne et en Belgique, la fédéralisation et la régionalisation de l’hôpital ont favorisé l’embauche massive partisane d’agents administratifs inutiles, des détournements de fonds et une corruption systémique. Une vision comptable étriquée a primé sur l’intérêt des patients et du personnel médical. Résultat : en Lombardie et en Alsace, les services de santé doivent maintenant trier les patients à sauver des autres souvent d’un âge avancé. Nos sociétés « ouvertes » qui dénoncent sans cesse toutes les ségrégations pratiquent dans le réel une féroce et terrible discrimination. Un « gériocide » s’annonce…

Par ailleurs, les frontières retrouvent leur pertinence (l’île d’Yeu est sur décision préfectorale séparée du continent !). L’Allemagne, la Suisse, l’Italie réactivent les douanes et les contrôles frontaliers. L’Espace Schengen se ferme pour trente jours renouvelables. Bien trop tardive, cette mesure reste timorée. Avant le début du confinement, le mardi 17 mars à Midi, des centaines de Franciliens ont fui la capitale pour se réfugier dans leurs résidences secondaires auprès des ploucs. Quelle sacrifice de la part des chantres du « vivre ensemble » ! Les bo-bo risquent ainsi d’infecter des zones jusque-là épargnées.

En 2000 – 2001, l’Union dite européenne a connu l’épizootie de la vache folle. À l’époque, les gouvernements réagirent avec vigueur peut-être parce que ce n’était que du bétail. En parallèle à l’élimination de tous les troupeaux (horrifiés, les Indiens s’horrifièrent de ce zoocide), les États rétablirent non seulement les frontières nationales, mais imposèrent un confinement régional, voire départemental. Pour quelle raison, l’actuel gouvernement français, un ramassis de pense-petits, n’a-t-il pas pris des dispositions similaires assorties d’autres mesures spécifiques telles un couvre-feu et l’instauration de strictes barrières cantonales, communales, voire entre les quartiers d’une même ville dès la mi-janvier ?

Darwiniste social, le gouvernement hexagonal n’entend pas tester toute la population. Les tests manquent en raison des réductions budgétaires exigées par la règle pseudo-scientifique des 3 % que la Commission européenne vient d’abandonner dans l’urgence. L’Allemagne semble au contraire miser sur le dépistage systématique de ses habitants. Pis, les médiats centraux qui répercutent et amplifient les mensonges gouvernementaux n’évoquent jamais le contre-exemple de la Corée du Sud. Malgré un effort militaire important qui grève son budget et sans se confiner, la République de Corée parvient à juguler la pandémie par des tests nombreux et fréquents. Le régime macronien trouve son intérêt à dramatiser la situation.

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Contesté par les Gilets jaunes et une forte opposition à la réforme des retraites, le régime veut éviter toute nouvelle réaction populaire. Il plonge le pays via un puissant « bobardement » médiatique dans une ambiance anxiogène. Il en profite pour placer tout l’Hexagone en résidence surveillée. Les militaires du plan Vigipirate deviennent des auxiliaires de la police. S’opère sous nos yeux la fusion sécuritaire des policiers, des gendarmes, des militaires, voire des vigiles privés. Si Internet ne se plante pas avant, le verrouillage des réseaux sociaux parachèvera l’avènement d’une tyrannie douceâtre aux forts relents cosmopolites.

Il ne faut pas croire les beaux discours de Macron et de ses sbires. La crise sanitaire donne à son gouvernement cynique l’occasion de revenir en catimini dans le cadre de l’« état d’urgence sanitaire » (en attendant l’« état de siège climatique » et la « loi martiale financière », c’est-à-dire la spoliation légale des comptes des particuliers et des entreprises par la pègre financiariste) sur les acquis sociaux. Le coronavirus constitue bien le stade ultime du traité de Maastricht. Nos amis de CasaPound – Italie ont raison d’afficher partout que « le patient zéro est la mondialisation ».

Georges Feltin-Tracol.

• « Chronique hebdomadaire du Village planétaire », n° 165.

lundi, 23 mars 2020

Non, la France n’est pas en guerre !

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Antipresse 225

LA POIRE D’ANGOISSE par Slobodan Despot

Non, la France n’est pas en guerre !

Enfin, pas celle qu’on lui promet. La France risque de se réveiller demain en comprenant qu’elle était elle-même la cible de la guerre proclamée par M. Macron. Mais il sera trop tard. Avec ou sans virus, elle devra vivre pieds et poings liés. Le monde qui est entré dans le Coronavirus n’en sortira plus. Ce qui en sortira sera quelque chose de radicalement différent. Nous ne savons pas quelle sera la portée de ce virus sur le corps physique de l’humanité, mais nous voyons déjà son action sur son corps social. L’exemple français est très parlant.

LA GUERRE... CONTRE QUI ?

Le 16 mars dernier, M. Macron a solennellement proclamé : « Nous sommes en guerre » et la nation entière lui a emboîté le pas, lui qu’elle détestait hier encore. Depuis les balcons où ils sont confinés, les Français comptent les entorses à la loi martiale et s’empressent de les dénoncer sur les réseaux sociaux voire plus haut. Ils sont si émoustillés par les harangues dont on les bombarde à longueur de journée qu’ils ne remarquent même pas le danger de cet entraînement. Non, la France n’est pas en guerre. Pour sa sauvegarde en tant que peuple et en tant que démocratie, elle doit s’ôter cette idée de la tête. Elle est en situation de pandémie, une situation que les structures compétentes de l’Etat sont censées savoir affronter. Ce qui l’attaque n’est pas un adversaire humain, c’est une maladie. Lorsque la France était ravagée par la peste, on ne parlait pas de guerre, mais de fléau de Dieu. Lorsque la France entre concrètement en guerre contre quelqu’un, comme lorsqu’elle participa au bombardement de la Serbie ou de la Libye, le président ne va surtout pas dire au peuple qu’il est en guerre. La guerre dont on parle aujourd’hui n’en est pas une... à moins qu’on ait oublié d’ajouter l’adjectif: guerre civile. La transmissibilité de cette maladie est un levier de contrôle absolu de la population. S’il ne s’agissait que de notre vie, personne ne pourrait rien nous imposer. Mais par la contagion nous sommes liés par un réseau de responsabilités — et donc de culpabilités — enchaînées. En proclamant que le virus est l’ennemi, les citoyens sont tous des vecteurs potentiels de l’ennemi. Autrement dit, des collabos, et à ce titre potentiellement justiciables comme tels : avec rigueur et de manière expéditive. Par extension de la métaphore, la régulation de leurs conditions de vie et de travail peut dorénavant elle aussi être « militarisée ». (1)

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C’est ainsi qu’avec la « déclaration de guerre » de M. Macron, le collimateur s’est subrepticement déplacé de la maladie vers ses vecteurs potentiels sans même qu’ils aient senti la pastille rouge du pointeur laser se poser sur leur front. Pour en arriver là, il aura fallu les nouvelles dantesques de Chine, puis ce brusque saut de cavalier vers l’Iran et l’Italie à nos portes. L’Italie où la maladie se déchaîne... avant tout sur ceux qui, hélas, étaient d’emblée les plus exposés (2). Il aura fallu, dès le départ, une surenchère de dramatisation médiatique, souvent inconsciente. Par exemple, le simple fait de parler initialement du Coronavirus au lieu d’un coronavirus, membre d’une famille étudiée depuis les années 1960 et comprenant aussi bien le SARS de 2003 que des « types de coronavirus bénins », naturellement hébergés par l’homme. En France, le jour où la guerre est officiellement déclarée (16 mars), le COVID_19 a officiellement fait 148 morts sur 6645 cas confirmés. C’est grave et préoccupant, mais on est loin, comme l’explique le Pr Didier Raoult, du pic de mortalité saisonnière associée aux infections virales de 2017 qui avait fait plus de 10’000 morts (et qui correspondrait, pour un même taux de mortalité déclaré de 2,2%, à quelque 500’000 contaminés).

DEVOIR DE PESSIMISME, CONGÉ DE LA RAISON

« Certes », nous dit-on, « mais attendez de voir ! » En effet, nous ne savons rien de ce qu’il arrivera demain. Les courbes de progression du virus peuvent frôler la verticale, il peut soudain muter et tuer 60% des contaminés comme le H5N1. Tout peut arriver — y compris un dégonflement de la menace comme ce fut le cas avec H1N1. Mais on a comme l’impression que personne n’a envie d’entendre les hypothèses intermédiaires. Seule l’option du pire a pignon sur rue, car l’incertitude en matière de santé publique ne profite qu’aux pessimistes. Ce devoir de pessimisme, c’est l’avantage stratégique d’une épidémie en termes de contrôle des masses. On n’en voudra à personne d’en avoir fait trop ; on lynchera celui qui sera suspecté de n’en avoir pas fait assez. (3)C’est une véritable crémaillère vers la dictature, un mur de confinement auquel chacun, depuis le simple pékin psychosé jusqu’au ministre qui ne peut «faire moins» que ne lui enjoignent les médias, ajoute de bon cœur sa petite brique — tout en se privant d’une part de raison et de libre arbitre. Si l’Etat français se considérait réellement en guerre avec le virus, il réquisitionnerait des usines pour fabriquer des masques au lieu de bloquer celles qui peuvent en procurer rapidement (4). Il mettrait immédiatement à profit les résultats encourageants de la chloroquine (5) plutôt que de les noyer dans des débats cauteleux. Il desserrerait l’étau psychologique dévastateur que représente le confinement à domicile, mesure carcérale qui génère déjà des conflits graves et des effondrements psychologiques. La résistance morale de la population est un facteur clef de toutes les guerres, autant que les forces armées, et c’est ce facteur dont les mesures extrêmes sont en train de priver le pays. L’état de guerre, c’est l’abolition de la vie parlementaire et des libertés, le gouvernement par décret-loi, le droit d’ingérence du pouvoir dans toutes les sphères de la vie privée et le monopole de l’Etat et de ses relais sur les fake news. C’est sans doute à quoi M. Macron rêvait de parvenir — et que le virus lui a offert sur un plateau. Reste à savoir combien de temps la peur, chez les Français, fera passer la pilule de l’oppression.

Notes

  1. 1) Ainsi, la nuit dernière, le Sénat a pris des mesures d’exception à vocation sanitaire impliquant des modifications du droit du travail qui seront non temporaires. En outre ces mesures permettront au parlement de légiférer sans contrôle pour sauver l’économie.
  2. 2) Voir les statistiques de l’Institut de santé publique italien du 17 mars.
  3. 3) On a beaucoup reproché à Roselyne Bachelot d’avoir accepté un très important stock de vaccins et de masques. Aujourd’hui les journalistes la réhabilitent en disant qu’on ne peut jamais en faire trop, justifiant ainsi les mesures les plus draconiennes ! Forts de l’idée que l’épidémie progresse en France parce que M. Macron n’en n’aurait pas assez fait au début, les médias nous martèlent qu’il faut désormais accepter les mesures les plus contraignantes, même pour longtemps.
  4. 4) On apprend en dernière minute que LVMH va « se mobiliser » pour produire les masques dont la France a besoin. Quel Etat attend le geste de bonne volonté d’une multinationale pour se procurer un article d’importance vitale ?
  5. 5) Essai clinique mené par le Pr Raoult sur 24 patients. «Au bout de six jours de traitement au Plaquénil (le nom commercial de la molécule, ndlr), 75% des porteurs ont une charge virale négative.» Les Etats-Unis et la Chine ont immédiatement compris l’intérêt de cette molécule.

mercredi, 18 mars 2020

Aveux d’Agnès Buzyn : une défaillance criminelle de l’État Macron ?

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Aveux d’Agnès Buzyn : une défaillance criminelle de l’État Macron ?

Ex: https://www.vududroit.fr

« On aurait dû tout arrêter, c’était une mascarade » vient de nous dire la pauvre Agnès Buzyn en parlant des élections municipales, entre ces sanglots dont elle n’est pas avare.

Ces aveux formulés dans le journal le Monde et selon lesquels le plus haut sommet de l’État savait parfaitement la catastrophe qui se profilait sont assez terrifiants. « Quand j’ai quitté le ministère, assure-t-elle, je pleurais parce que je savais que la vague du tsunami était devant nous. Je suis partie en sachant que les élections n’auraient pas lieu. » Bien sûr, c’est une pure et simple désertion qu’elle a commise et qu’elle reconnaît aujourd’hui en essayant assez lâchement de s’en défausser. Mais de cela elle se débrouillera avec sa conscience sur laquelle pèsera une partie de ces morts qui vont tomber, emportés par le virus, et dont on sait parfaitement qu’ils vont se compter par milliers. Dormez bien Madame Buzyn, si vous le pouvez.

Mais il y a plus grave, beaucoup plus grave, on peut déduire de ses propos le caractère criminel du comportement des décideurs publics dont c’était la responsabilité de prendre toutes les mesures permettant d’affronter la catastrophe et d’éviter une hécatombe.

Que nous dit-elle en effet ? : « Je pense que j’ai vu la première ce qui se passait en Chine : le 20 décembre, un blog anglophone détaillait des pneumopathies étranges. J’ai alerté le directeur général de la santé. Le 11 janvier, j’ai envoyé un message au président sur la situation. Le 30 janvier, j’ai averti Edouard Philippe que les élections ne pourraient sans doute pas se tenir. Je rongeais mon frein. » Donc, dès la fin janvier il était clair que prévenu par la ministre de la santé de la république Emmanuel Macron savait à quoi il fallait s’attendre, son premier ministre aussi ainsi que le directeur général de la santé. Malgré cela, le président de la république paradait le 7 mars dans les rues de Paris pour inciter les parisiens à continuer à aller au théâtre ! Tous ceux, professeurs de médecine, spécialistes, chercheurs qui sonnaient l’alarme se faisaient insulter par les serviteurs du pouvoir, de Jean-Michel Apathie à Christophe Barbier en passant par l’ineffable Michel Cymes et bien sûr l’inévitable Sibeth Ndiaye. L’incompétence à la direction d’un État de toute cette équipe arrivée au pouvoir par surprise en 2017 n’est plus à démontrer, mais aujourd’hui si l’on en croit Buzyn ce n’est pas de cela qu’il s’agit.

Si ces faits sont établis, si Madame Buzyn dit la vérité, tout cela engage la responsabilité pénale de tous ces décideurs publics.

Que nous dit le code pénal, celui-là même utilisé dans l’affaire du sang contaminé ?

C’est tout d’abord l’article 221–6 qui s’applique et qu’il faut citer intégralement :

 « Le fait de causer, dans les conditions et selon les distinctions prévues à l’article 121-3, par maladresse, imprudence, inattention, négligence ou manquement à une obligation de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, la mort d’autrui constitue un homicide involontaire puni de trois ans d’emprisonnement et de 45 000 euros d’amende.

En cas de violation manifestement délibérée d’une obligation particulière de prudence ou de sécurité imposée par la loi ou le règlement, les peines encourues sont portées à cinq ans d’emprisonnement et à 75 000 euros d’amende. »

Il renvoie à l’article 121-3 qui nous dit :

« Il y a également délit, lorsque la loi le prévoit, en cas de faute d’imprudence, de négligence ou de manquement à une obligation de prudence ou de sécurité prévue par la loi ou le règlement, s’il est établi que l’auteur des faits n’a pas accompli les diligences normales compte tenu, le cas échéant, de la nature de ses missions ou de ses fonctions, de ses compétences ainsi que du pouvoir et des moyens dont il disposait.

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Dans le cas prévu par l’alinéa qui précède, les personnes physiques qui n’ont pas causé directement le dommage, mais qui ont créé ou contribué à créer la situation qui a permis la réalisation du dommage ou qui n’ont pas pris les mesures permettant de l’éviter, sont responsables pénalement s’il est établi qu’elles ont, soit violé de façon manifestement délibérée une obligation particulière de prudence ou de sécurité prévue par la loi ou le règlement, soit commis une faute caractérisée et qui exposait autrui à un risque d’une particulière gravité qu’elles ne pouvaient ignorer. »

Ces deux textes, fruit d’une élaboration particulière dans les années 90 pour justement bien définir le périmètre de la responsabilité personnelle en matière d’homicide et de coups et blessures involontaires, méritent un éclairage.

Dans ce domaine, la France applique depuis toujours ce que l’on appelle : « la théorie de l’équivalence des conditions » qui veut que tous ceux qui ont commis le dommage ou CONTRIBUÉ à sa réalisation sont pénalement responsables. C’est ce que l’on appelle les « auteurs directs » et les « auteurs indirects ». On prendra un exemple un peu éloigné de notre sujet mais qui éclaire la problématique. L’automobiliste qui renverse un cycliste et le tue est l’auteur direct de l’infraction de l’article 221–6 par défaut de maîtrise de son véhicule. Mais, si la manœuvre mortelle a aussi été causée en raison d’une voirie défectueuse non signalée à cet endroit, les responsables de celle-ci seront également poursuivis.

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Bien évidemment, l’auteur principal et direct des morts de la pandémie est bien le coronavirus. Mais il existe aussi comme vient de l’avouer Agnès Buzyn des auteurs indirects dont la culpabilité si elle est établie serait accablante. Le chef de l’État, le Premier ministre, la ministre de la santé, le directeur général de la santé, savaient donc à quoi s’en tenir dès janvier ? Alors manifestement, n’ayant pas pris les mesures afin de l’éviter alors qu’elles étaient de leur compétence, en n’appliquant pas les « diligences normales » qu’exigeaient leurs responsabilités, ils ont contribué à créer la situation d’une catastrophe aggravée. Et en s’abstenant d’agir, ils ont commis une faute pénale caractérisée en exposant autrui « un risque d’une particulière gravité qu’ils ne pouvaient ignorer ».

Par conséquent, compte tenu de l’ampleur de tout ceci, comme cela avait été le cas pour l’affaire du sang contaminé, il est indispensable que la Cour de Justice de la République soit saisie d’une procédure dirigée contre les ministres pour dire si leur défaillance est établie ainsi que le prétend Agnès Buzyn et prononcer à leur encontre les sanctions à la mesure du dommage subi. Le juge judiciaire de droit commun doit l’être pour les fonctionnaires qui n’ont pas fait leur devoir comme cela avait été également le cas dans l’affaire du sang contaminé.

Emmanuel Macron quant à lui ne risque rien. Avec ses propres pouvoirs et un Parlement à sa botte, celui qui pouvait tout est protégé par son immunité.

Reste le déshonneur.

"Nouvelle histoire de la Révolution française" par Jean-Clément Martin

Jean-Clément Martin, avec le talent qu’on lui connaît, arrive à décortiquer les passionnants faits historiques qui marquent encore durablement la société française du XXIe siècle. En France, il demeure toujours difficile d’aborder sereinement les nombreuses questions soulevées par les événements liés à la Révolution.

Pourquoi, plus de deux cents ans après 1789 et la mort du roi Louis XVI survenue le 21 janvier 1793, en sommes-nous encore là ? Dès les premières lignes l’auteur livre une intéressante réflexion : « La Révolution fascine ou dérange. Qu’elle soit morale, sexuelle, économique ou politique, elle porte un imaginaire qui séduit ou révulse mais ne laisse jamais indifférent ».

En même temps, comment en serait-il autrement ? 1789 semble être l’horizon indépassable pour l’écrasante majorité des acteurs de la vie politique française, comme si de 496 – date du baptême de Clovis – au 5 mai 1789 – ouverture des États Généraux –, il n’y avait presque rien eu entre-temps. Pourtant, Martin rappelle que « même si la France continue de se dire Patrie des droits de l’homme, elle se réclame moins de son héritage révolutionnaire qu’elle ne le fit jusqu’au milieu du XXe siècle. »

9782262081515ORI.jpgLes raisons de ce relatif abandon intellectuel sont multiples : mondialisme, faiblesses intellectuelles et historiques chez la grande majorité du personnel politique et l’inventaire de la Révolution est de plus en plus connu… Cela étant, un homme situé à l’extrême gauche de l’échiquier politique républicain n’a pas hésité, tout récemment, à commettre une œuvre dans laquelle il assume se reconnaître dans l’héritage jacobin.(1)

Quoi qu’il en soit, la France républicaine reste imprégnée par la Révolution, et l’auteur écrit, avec selon nous une pointe d’ironie, que « son hymne national, qui revendique de faire couler le sang de ses ennemis dans les sillons, est toujours chanté dans les stades du monde entier ». Nous citerons également, entre autres : la Marianne, la devise Liberté-Égalité-Fraternité inscrite aux frontispices de nombreux bâtiments, officiels ou non, autant de symboles qui démontrent tous la mainmise idéologique de la Révolution sur la France contemporaine.

De fait, ce n’est donc pas un hasard si « la force de cet imaginaire est telle que l’année zéro des temps modernes français est toujours identifiée à 1789. Tous se rejoignent sur ce point, qu’ils regrettent la monarchie idéalisée, qu’ils voient 1789 ou 1793 comme la première marche vers le totalitarisme, ou bien au contraire qu’ils demeurent convaincus que 1789 jette les bases d’une ère nouvelle pour l’humanité, ou qu’ils puisent plus simplement dans les rebondissements des événements révolutionnaires des enseignements pour aujourd’hui. »(2)

Pour comprendre les bouleversements historiques, encore faut-il prendre le temps de les analyser loin des passions. Effectivement ces dernières obscurcissent souvent la vue et embrument les capacités de réflexion. Martin estime que « c’est le processus révolutionnaire lui-même qui est à examiner pour ce pour quoi il se donne : une inventivité politique, économique, sociale, religieuse, culturelle, qui commence sous l’effet des expériences européennes et américaines dans les années 1785-1787 et qui est accompagnée, en permanence, par les contre-courants provoqués en retour. »

Pour saisir l’essence de la Révolution, il faut constamment avoir à l’esprit comme le dit Martin que « la Révolution est dans cette optique une création et une affirmation ininterrompue d’expériences, créant une attente à jamais insatisfaite et une angoisse de l’échec. »

Très rapidement, les révolutionnaires en sont venus à se poser la question suivante : « Comment finir la révolution ? », car le vide institutionnel créé par la mort de Louis XVI fut en définitive difficile à combler, comme beaucoup s’en aperçurent, souvent à leurs dépens.

La période Révolutionnaire fut marquée par la guerre intérieure et aux frontières, par des exécutions officielles – approuvées par l’État de droit(3) – et non officielles – violences des populations non encadrées par les différents gouvernements révolutionnaires – ainsi que par des rivalités politiques très puissantes. Martin n’entend bien sûr pas fermer les yeux sur ces nombreux épisodes : « Il ne s’agit pas d’exonérer les acteurs de leurs responsabilités. Ce qui est en jeu est la compréhension des moments révolutionnaires, de ces périodes pendant lesquelles des façons de voir s’imposent, des groupes s’emparent du pouvoir, des personnalités sont reconnues et suivies. »

L’intention de Martin ne repose pas sur la volonté de défendre ou d’attaquer la Révolution : « Le but du livre a été d’inscrire ces moments dans la période révolutionnaire tout entière – ce que Maistre appelait l’époque – en respectant les engrenages minuscules qui ont régi les rapports entre les individus et les groupes. »

Après une lecture attentive et critique, nous pouvons dire que l’objectif est atteint, même si nous ne suivons pas l’auteur dans toutes ses intuitions et analyses.

Martin nous présente en effet une étude passionnante et réellement originale sur la Révolution française. Nous saluons son érudition et surtout son grand talent de pédagogue pour expliquer des situations complexes dont le profane ne mesure pas toujours les implications puissantes. La bibliographie se montre conséquente et exhaustive. Elle permet de repérer d’excellents ouvrages pour creuser les sujets qui nous intéressent. L’auteur ne se départit jamais de son rôle d’historien et, quand il analyse les faits historiques, il ne défend pas une cause politique. Il énonce même que la révolution – mais par le haut ! – fut initialement lancée par Louis XV, et maladroitement reprise par Louis XVI…

La suite est connue : révoltes, Révolution, espoirs de la mise en place d’une société nouvelle et d’un Homme nouveau, libéralisation de la violence, stabilisation des institutions qui restent malgré tout fragiles, pour finir par Bonaparte prenant le pouvoir. Onze ans après avoir tué leur roi, les Français voyaient à Paris un étrange paradoxe : un général de la Révolution – soupçonné un temps d’avoir été jacobin – devenir Empereur en présence du Pape Pie VII. Quel roman que l’histoire française, pour reprendre une phrase très connue de Napoléon…

Pour conclure, rappelons que dès le début des émotions populaires, l’attente exprimée par les Français vivant à l’heure de ces soubresauts politiques atteignait des sommets. Martin note qu’il n’y a «  pas lieu de s’étonner que nombreux soient ceux qui, au moment de l’ouverture des États Généraux en France et surtout après la prise de la Bastille, parlent de l’heureuse révolution qui se déroule sous leurs yeux ». Leurs espoirs seront douchés. Cela arrive généralement quand on accorde – trop légèrement ? – sa confiance aux politiques.

Nous laissons le mot de la fin à l’auteur : « Le scandale de la Révolution tient depuis la fin du XVIIIe siècle à ce qu’elle a été « une promesse dont l’échec est inscrit dans la nature même de la promesse » pour reprendre une formule saisissante de M.-C Blais. »

Rien à ajouter !

Notes

(1) Alexis Corbière, Jacobins !, Paris, Éditions Perrin, 2019

(2) Jean-Clément Martin, Robespierre : la fabrication d’un monstre, Paris, Éditions Perrin, 2016

(3) État de droit révolutionnaire, notion difficile à discerner, à défendre et à légitimer au vu des différents coups de force (parfois meurtriers) opérés par les révolutionnaires pour s’approprier le pouvoir et le garder…

 

lundi, 16 mars 2020

Élections municipales 2020: n’importe quoi!

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FRANCE:

Élections municipales 2020: n’importe quoi!

C’est entendu, ce pouvoir a été en dessous de tout dans la gestion prévisionnelle de ce qui était totalement prévisible dès le mois de janvier, c’est-à-dire une crise sanitaire majeure. Après avoir méthodiquement démoli le système de santé français, ils ont été incapables de prévoir et ont pris toutes les décisions à l’envers. Quand on pense que face à une crise planétaire géante, la voix de la France est cette imbécile de Sibeth Ndiaye incroyable calamité ambulante !

Il faudra impérativement faire les comptes dans la France post-Covid19. Et ces comptes nous les demanderons, pas seulement à la bande de bras cassés qui entourent Macron, mais surtout à ceux qui ont choisi le psychopathe improbable et à ces grands intérêts qui l’ont adoubé et lui ont fixé sa feuille de route.

En attendant, alors que tout le monde sait bien que nous n’échapperons pas à un confinement drastique et en particulier en Île-de-France, la grande presse fait semblant d’être intéressée par les municipales. Et il convient encore une fois de dire, que celui qui avait le pouvoir de reporter les élections municipales n’est personne d’autre qu’Emmanuel Macron. Il est là pour ça, et il est le seul à disposer de TOUTES les informations support des décisions. Se défausser sur d’autres par l’intermédiaire de ses perroquets habituels ne devraient tromper personne.

Alors on va rappeler que dans une démocratie représentative, la SINCÉRITÉ du scrutin est quelque chose de fondamental. Il est clair que celle-ci a été complètement altérée par la situation que traverse notre pays, et que la légitimité démocratique des listes élues le 15 mars est égale à zéro. Le deuxième tour est absolument impossible à tenir, avec le délai très court pour éventuellement fusionner les listes et les déposer en préfecture avant mardi soir !

Par ailleurs, les règles qui président au déroulement des élections sont extrêmement précises et minutieuses. Leur respect destiné à garantir la sincérité du scrutin est absolument fondamental. Et si elles ont été violées, les scrutins concernés peuvent et doivent être annulés. PAR LE JUGE. Administratif en l’occurrence sous le contrôle du Conseil d’État. Là aussi les délais pour faire les recours sont très courts, et la désorganisation des services publics de la justice empêchera que le juge puisse réaliser son contrôle.

En matière d’élection afin d’en assurer la sincérité, LA FORME EST INSÉPARABLE DU FOND.

Par conséquent :

•            Campagne complètement faussée par la crise sanitaire.

•            Scrutin marqué par une abstention énorme due à la crise sanitaire.

•            Impossibilité d’organiser normalement le deuxième tour.

•            Impossibilité du contrôle judiciaire INDISPENSABLE pour vérifier la régularité du scrutin.

Tout cela rend impossible non seulement la tenue du deuxième tour, mais, les deux tours étant inséparables, nécessite l’annulation de l’ENSEMBLE du scrutin. Jusqu’à ce que les conditions de déroulement régulier puissent être à nouveau réunies. Organiser le deuxième tour serait en l’état une folie. L’organiser plus tard en fonction du résultat du premier tour du 15 mars, par conséquent sans tenir compte de son illégitimité, serait simplement une forfaiture.

Extraordinaire et fascinante leçon politique que de voir se fracasser sur le réel, un président de la république entré à l’Élysée par effraction avec sa bande de fonds de cuve, représentants ultimes et en grande partie dépravés de l’ancien monde.

Oui décidément, il faudra leur demander des comptes.

La Sécu a été entièrement bâtie dans un pays ruiné grâce à la volonté militante d'Ambroise Croizat

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La Sécu a été entièrement bâtie dans un pays ruiné grâce à la volonté militante d'Ambroise Croizat

Entretien avec Michel Etiévent

Ex: https://echelledejacob.blogspot.com

Avec Macron, la privatisation de la Sécu est en marche forcée : augmentation de la CSG (contribution sociale généralisée), milliards d’euros “économisés” (et lits d’hôpitaux en moins), chasse aux fraudeurs, augmentation du forfait hospitalier… Pour comprendre pourquoi on devrait défendre la Sécurité sociale avec acharnement plutôt qu’accepter béatement sa destruction méticuleuse, nous revenons sur les conditions de sa création et son histoire avec Michel Étiévent – historien militant né dans la même maison que l’homme à l’origine de la Sécu – dans le numéro deux de notre revue. Construite envers et contre le Capital dans un pays ruiné par la guerre, la Sécurité sociale est probablement le service public qui a le plus changé la vie des Français au siècle dernier.

Le Comptoir : Comment les gens se soignaient-ils en France avant la création de la Sécurité sociale en 1945 ?

Michel Étiévent : En 1938 en France, il y a sept millions de salariés. Cinq millions d’entre eux n’ont aucune protection sociale. Les deux millions restants ont de vagues assurances sociales. Celles-ci sont nées en 1930 et s’apparentent plutôt à de l’aumône. Certains ont aussi de vagues mutuelles mais elles sont épuisées à la moindre épidémie de grippe. La majorité des gens ne se soignent pas et attendent la mort. C’est l’insécurité totale du lendemain. Cinq millions de salariés n’ont pas de retraite non plus. La seule retraite à l’époque, c’est le cimetière. On imagine la rupture qu’apportât la Sécurité sociale en amenant simplement de la dignité. La Sécu, au final, ce n’est rien d’autre que le droit de vivre.

En 1945 en France, le taux de mortalité infantile est de 100 pour 1.000. Neuf ans après seulement l’institution de la Sécu, on passe à 30 pour 1.000. De 1915 à aujourd’hui, on a gagné près de trente années d’espérance de vie. On le doit essentiellement à la Sécu qui a apporté à tous la possibilité de se soigner et qui a mis à la disposition de tous les grands succès médicaux, comme la naissance de médicaments tels que la pénicilline, ou ceux pour soigner l’hépatite, qui ont pu sauver des vies.

« La Sécu, ce n’est rien d’autre que le droit de vivre. » 

À la faveur de quoi le processus de création de la Sécurité sociale s’est-il enclenché ?

Après la guerre, le Conseil national de la résistance (CNR), un groupe de 18 jeunes résistants mené par Jean Moulin avant sa mort, a décidé d’en finir avec cette insécurité du lendemain. C’est l’idée de cotiser selon ses moyens et recevoir selon ses besoins. C’est le sens d’ailleurs de la première intervention d’Ambroise Croizat, ministre communiste de la Libération, à l’Assemblée nationale en 1945 : « Désormais, nous mettrons fin à l’insécurité du lendemain, nous mettrons l’homme à l’abri du besoin, nous ferons de la retraite non plus l’antichambre de la mort mais une étape de la vie et nous ferons de la vie autre chose qu’une charge et un calvaire. » Du programme rédigé par le CNR naît la fameuse ordonnance du 4 octobre 1945 qui institue la Sécurité sociale.

Qui est Ambroise Croizat ?

Ambroise Croizat est un fils d’ouvrier, un fils de manœuvre, qui naît le 28 janvier 1901 à Notre-Dame-de-Briançon, en Savoie. Très vite, Antoine Croizat, son père, comprend que si on veut améliorer les conditions de vie extrêmement dures des travailleurs, il faut se bouger. Il lancera une grève en 1906. Ce sont les prémisses des revendications pour la protection sociale. Il s’agit de changer les rythmes, d’avoir des conditions de travail plus décentes et surtout d’obtenir une caisse de secours, l’ancêtre de la Sécu en fait, qui amènerait une couverture en cas de maladie ou d’accident de travail, puisqu’à l’époque, il n’y avait rien. Il se fera licencier pour ça. La famille va alors partir pour Ugine avant de rejoindre Lyon. Ouvrier depuis ses 13 ans, Ambroise va devenir un syndicaliste important de la CGT [Confédération générale du travail, NDLR]. Il adhérera au Parti communiste en 1920. En 1936, il est secrétaire de la fédération nationale CGT des métaux et il devient alors député de Paris. C’est le Front populaire. Dans les batailles menées à l’époque, c’est lui, avec d’autres, qui imposera les 40 heures, les congés payés, les conventions collectives.

Suite au pacte germano-soviétique d’août 1939, le PCF est dissous et ses militants incarcérés, dont les 36 députés communistes de l’Assemblée nationale. Croizat est ainsi arrêté et sera déporté au bagne d’Alger par Pétain. Il est libéré en 1943, après le débarquement anglo-américain sur les côtes algériennes et marocaines, et il rejoint le général de Gaulle dont le gouvernement provisoire est alors à Alger. Il fera ainsi partie de la commission consultative du premier gouvernement provisoire de la France, qui est en lien avec le CNR fondé la même année. Croizat est nommé président de la commission Travail par de Gaulle et il est chargé de préparer clandestinement la mise en œuvre du programme social du CNR.

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Ambroise Croizat, au centre

En 1945, à la Libération, et suite au succès du Parti communiste aux élections législatives, il est nommé ministre du Travail et de la Sécurité sociale. Il laissera un héritage social considérable : les retraites, les comités d’entreprise, la médecine du travail, le triplement du montant des allocations familiales, le doublement du congé maternité, la prévention dans l’entreprise, la reconnaissance des maladies professionnelles, et la mise en place de tous les statuts sociaux (de la fonction publique, des mineurs, d’électricien-gazier, etc.) avec Marcel Paul. Croizat a permis aux travailleurs d’avoir un rôle social, avec la création des comités d’entreprise notamment, dans la gestion et l’avenir de leur profession. Il va le payer très cher puisqu’il va mourir très jeune, en 1951. Il a 50 ans. Un million de personnes suivent le cortège dans les rues de Paris lors de son enterrement. C’est un enterrement à la Victor Hugo. Il n’y en a pas eu beaucoup. Les gens lui ont rendu hommage.

J’imagine qu’Ambroise Croizat n’a pas mené cet immense chantier seul. Sur le terrain, qui a bâti la Sécu ?

La Sécu va être bâtie par le peuple français, par un petit groupe de militants de base, essentiellement issus de la CGT en fait. Ces mêmes militants géraient la Sécu. La CGT avait d’ailleurs la majorité dans les conseils d’administration des caisses où 75 % des sièges étaient réservés aux travailleurs syndiqués et 25 % aux patrons. Ce sont donc des ouvriers comme Jolfred Fregonara, qui apparaît dans le film La Sociale, qui ont bâti en un temps très court la Sécu. On dit souvent que ça a pris 18 mois parce que ça correspond au temps qu’Ambroise Croizat, qui avait la maîtrise d’œuvre de ce chantier, est resté au gouvernement, mais en fait la création des caisses a eu lieu du 22 mai 1946 à août 1946. C’est un travail considérable. Ces militants vont construire 138 caisses de Sécu et 113 caisses d’allocations familiales, qui vont complètement changer la vie des gens. Il faut imaginer que les caisses de l’époque, c’est parfois une baraque en planches, parfois un wagon aménagé dans une gare, c’est un petite pièce ici ou là où des bénévoles, ramassent les feuilles de Sécu, payent les gens, etc.

On comprend l’enthousiasme indescriptible dans lequel ces militants ont bâti la Sécu, hors de leur temps de travail, pendant leur temps de congé et de manière totalement bénévole. Ils ont bouleversé la vie des Français en un temps très court, dans un pays totalement ruiné. 

Au moment de la création de la Sécu, quelles ont été les résistances ?

Immédiatement, dès l’apparition de l’ordonnance d’octobre 1945 instituant la création de la Sécu, des défiances sont apparues. Elles viennent, naturellement, d’abord des patrons qui n’en veulent pas puisqu’il faut payer des cotisations sociales. Ensuite, ça vient de syndicats minoritaires, comme la CFTC [Confédération française des travailleurs chrétiens, NDLR], qui voulaient revenir aux anciennes caisses. Les oppositions proviennent évidemment des mutuelles dont la Sécu prend alors les biens puisque c’est elle qui va désormais tout gérer. Ça vient aussi des médecins, notamment du syndicat des médecins libéraux, qui s’opposent tout de suite à la Sécu parce qu’elle fixe leurs honoraires. Ils supportaient par ailleurs difficilement que la Sécu soit gérée par des ouvriers, qui plus est par des ouvriers de la CGT. Les assurances privées ont également lutté contre la Sécu, on comprend pourquoi. La droite française s’est battue farouchement bien qu’elle se refusait à le faire ouvertement puisque le rapport de force était contre elle. C’est d’ailleurs ce rapport de force au moment de la Libération qui a permis à la Sécu d’être mise en place : les cinq millions d’adhérents à la CGT, les 29 % d’adhérents au Parti communiste et les classes ouvrières sont sortis grandis de leur résistance alors que le patronat était totalement mouillé par la collaboration. Ce dernier pouvait difficilement dire quelque chose.

« Cotiser selon ses moyens et de recevoir selon ses besoins.«

Quels sont les principes qui ont orienté la création de la Sécurité sociale ?

Il y en a quatre et ils ont tous été volés aujourd’hui.

Le premier, c’est l’unicité : dans une seule caisse, au plus proche des habitants, par département, on va grouper tous les risques sociaux (maladie, vieillesse, maternité). De la naissance jusqu’au décès, les gens peuvent disposer de tous leurs droits sur place et au même endroit.

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Le deuxième grand principe au moment de la fondation de la Sécu, c’est celui de l’universalité. On le doit principalement à Croizat. Tout le monde sera soigné. Ceux qui ne le veulent pas, c’est parce qu’ils l’ont refusé, comme les fonctionnaires ou les cheminots qui ont décidé d’avoir leurs propres caisses.

Le troisième, et il constitue l’exception française, c’est la solidarité. La Sécu est financée essentiellement par la cotisation sociale par répartition et par solidarité, qu’on soit bien portant ou malade, vieux ou jeune, actif ou non actif. Ce qui est formidable dans la cotisation sociale, contrairement à l’impôt, c’est qu’elle va directement du cotisant au bien-être des gens. C’est d’ailleurs la raison pour laquelle aujourd’hui, on voudrait supprimer les cotisations sociales, parce que cet argent ne passe par aucun actionnaire, aucune banque, il va directement aux gens qui en ont besoin.

Le dernier pilier de la Sécu, qui est à imputer à Croizat aussi, c’est la démocratie. Si on veut permettre l’accès au droit de la santé pour tous, il faut que l’institution soit gérée par les intéressés eux-mêmes. C’est l’idée des conseils d’administration à majorité ouvrière.

Comment la Sécurité sociale a-t-elle évolué depuis ?

Dès 1947, les mutuelles qui géraient certaines des anciennes caisses sont arrivées à imposer leur existence grâce au retour de la droite au pouvoir après l’expérience gaullo-communiste de 1945-47. Et puis, la même année, les Américains vont s’en mêler en proposant le plan Marshall, c’est-à-dire en offrant une aide financière colossale à condition qu’on arrête l’invention sociale. Les communistes sont alors évincés du gouvernement. Au même moment, la classe ouvrière va se diviser, notamment avec l’invention de FO [Force ouvrière, NDLR], qui est d’ailleurs directement le fruit de la CIA(1) [Central intelligence agency, les renseignements américains, NDLR]. Elle est destinée à casser l’unité ouvrière de manière à ce que les caisses n’appartiennent plus entièrement à la CGT. Ça a notamment été reconnu par George Meany, le chef des syndicats américains, qui a financé FO. Cette époque correspond aussi au début de la Guerre froide, où une répression formidable est menée contre les communistes mais aussi contre les syndicalistes – les grandes grèves de 1947 seront d’ailleurs durement réprimées.

Ce mouvement s’est amplifié avec les années puisque dès 1953, les premières vraies batailles contre la Sécu apparaissent. On essaye d’abord de miner la retraite des fonctionnaires. Puis, en 1959, on va essayer d’imposer ce qu’on appelle les franchises, c’est-à-dire que les gens ne seront remboursés qu’à partir d’une certaine somme dépensée en soins médicaux, à l’époque c’était 3 000 francs. L’opposition a été si forte qu’elles n’ont pas pu être mises en place.

En 1958, c’est la première attaque forte contre la Sécu par le général de Gaulle, pourtant porteur de l’idée en 1945 quoiqu’elle lui ait été imposée par le rapport de force. Les directeurs de caisses seront dès lors nommés et non plus élus. Puis, il revient sur l’idée même de Sécurité sociale en imposant les ordonnances Jeanneney d’août 1967. Celles-ci imposent le contrôle préalable des budgets et le paritarisme, supprimant ainsi la gestion de la Sécu par les travailleurs puisque 50 % des sièges du conseil d’administration passent alors aux mains des patrons, laissant 50 % aux ouvriers. Il suffira alors d’un syndicat patronal minoritaire (mais unique) pour faire basculer la gestion vers le patronat. De Gaulle casse aussi la Sécu en plusieurs branches : auparavant tout était lié, les accidents de travail, la maternité, la maladie, la vieillesse. C’est comme un saucisson, quand on le coupe c’est plus facile de le manger. Le principe de solidarité est supprimé.

« Aujourd’hui, alors que la France est la 5e puissance du monde, 32 % des Français hésitent ou renoncent à se soigner pour des raisons financières. »

Et puis, il y aura toute une succession d’attaques. Avec le plan Barre, l’État commence à vouloir faire des économies sur la Sécu. Le ticket modérateur – le reste à charge pour l’assuré – était très mince sous Croizat et, dès lors, il ne cessera plus d’augmenter sous tous les gouvernements successifs dans le sillage de la privatisation rampante de la Sécu via le contrôle de l’État. Rocard impose ensuite la CSG (Contribution sociale généralisée), qui est un impôt et plus du tout une cotisation sociale prélevée sur le salaire. Georgina Dufoix va essayer d’imposer des franchises dans les années 1980. Et l’ensemble des plans Juppé, Raffarin, Chirac vont allonger la durée de travail et de cotisation. Et ça continue jusqu’à aujourd’hui avec l’ANI (Accord national inter-professionnel) de 2013 que la CGT n’a pas signé mais que la CFDT [Confédération française démocratique du travail, NDLR] a avalisé. Celui-ci impose une mutualité dans l’entreprise et constitue une rupture d’égalité puisque tout le monde n’est pas concerné, mais uniquement ceux qui travaillent (vieux, chômeurs et précaires ne l’ont pas). La mutuelle est au choix du patron. L’ANI impose aussi une rupture de confidentialité dans la mesure où les patrons peuvent potentiellement connaître le profil pathologique de leurs employés. Tout ça participe à privatiser la Sécu.

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Il ne faut pas oublier que la Sécu a été entièrement bâtie dans un pays ruiné grâce à la seule volonté militante. Aujourd’hui, alors que la France est la 5e puissance du monde, 32 % des Français hésitent ou renoncent à se soigner pour des raisons financières [chiffres Insee de 2007, NDLR]. Tout ça est imposé par les réductions budgétaires décidées par l’État et votées par les députés. Si on voulait en finir avec le “problème” du “trou” de la Sécu, pourtant, on le pourrait. Celui-ci est de 10 milliards d’euros et dû au fait qu’il y a de moins en moins de recettes. Ceci est notamment imputable à la baisse de l’emploi : alors que plus de trois millions de personnes ont été mises au chômage, 100 000 emplois en plus en France correspondraient à deux milliards de plus dans les caisses de la Sécu. Aujourd’hui, il y a 40 milliards d’euros d’exonérations de cotisations sociales pour le patronat, obtenus par le chantage à l’emploi. Il y a 20 milliards de fraude aux cotisations, principalement obtenues par le travail au noir. Il y a 80 milliards d’évasion fiscale. Enfin, il y a 312 milliards d’euros de revenus financiers en France qui ne sont soumis à aucune cotisation sociale. L’État vient d’employer 270 personnes pour courir après les chômeurs. Est-ce qu’on ne pourrait pas plutôt employer ces gens-là pour courir après l’évasion fiscale, c’est-à-dire après les gens qui ne payent pas de cotisations ?

Le problème du prix des médicaments est scandaleux par ailleurs : un traitement pour l’hépatite C aujourd’hui coûte 100 dollars à la fabrication et est vendu 48 000 euros à la Sécu. On pourrait très bien créer un Pôle public du médicament avec des médecins et des usagers qui géreraient tout ça. Un autre moyen “d’économiser” serait de faire enfin de la prévention : par exemple, on connaît la toxicité de l’amiante depuis 1967 mais il a fallu attendre 1997 pour l’interdire. Entre temps c’est 30 000 morts et on en annonce 100 000 nouveaux. Il y aurait beaucoup de choses à faire avant de vouloir supprimer la Sécu. Il faudrait seulement un peu de courage politique. Et c’était la vertu cardinale de certains de nos représentants au moment de la Libération : ils plaçaient l’humain au centre de tout leur champ politique. Ce n’était pas les banques qu’ils voulaient sauver, c’était l’homme.

Note

1- George Meany a déclaré peu après “l’opération” au club de presse de Washington : « Je suis fier de vous dire, parce que nous pouvons nous permettre de le révéler maintenant, que c’est avec l’argent des ouvriers de Detroit et d’ailleurs qu’il nous a été possible d’opérer la scission très importante pour nous dans la CGT, en créant le syndicat ami Force ouvrière. » (cité dans E… comme espionnage, de Nicolas Fournier et Edmond Legrand, éditions Alain Moreau, 1978). 
 
Source : https://histoireetsociete.wordpress.com/2018/01/04/la-secu-a-ete-entierement-batie-dans-un-pays-ruine-grace-a-la-seule-volonte-militante/?fbclid=IwAR24-NDzoC7DC9RFF7DR-5Vr8K8W9rmY-XHnns06DiOiFi_UsZB0p3ylfw0

samedi, 14 mars 2020

France : le retour de la guerre idéologique ?

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France : le retour de la guerre idéologique ?

 
On croyait les luttes idéologiques disparues avec les « grands systèmes » du XXe siècle. Non, nous dit François-Bernard Huyghe: Gilets jaunes, bras de fer autour des retraites ou cérémonie des césars, les nouvelles fractures en disent long sur un conflit de valeurs d’un nouveau genre. Peut-on l’apaiser ?
 
Le « bloc élitaire », dont Emmanuel Macron est le leader, a marié gestion économique de droite et références morales de gauche. L’équation devait garantir un consensus, mais suscite en fin de compte des troubles au sein de la population. Les convictions des élites dirigeantes ne séduisent plus les masses: François-Bernard Huyghe, directeur de recherche à l’Institut de Recherche Internationales et Stratégiques (IRIS), lance l’alerte dans son essai L’art de la guerre idéologique (Le Cerf, 2019).
 
A ses yeux, les tensions multiples qui traversent la société française reflètent le durcissement de la société libérale fondée sur la séduction. Les bras de fer dans la rue, dans les médias ou dans les milieux culturels en disent long : les idéologies sont de retour. La France pourra-t-elle en sortir ?
 
 
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vendredi, 13 mars 2020

Réquisitions dans l’affaire Fillon : parfaire le coup d’Etat

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FRANCE

Réquisitions dans l’affaire Fillon : parfaire le coup d’Etat

Cinq ans d’emprisonnement dont deux ferme et dix ans d’inéligibilité ont été requis contre François Fillon ainsi que trois ans avec sursis contre son épouse Penelope dans le cadre du procès Fillon, pour des soupçons d’emplois fictifs de sa compagne et pour « détournement de fonds publics ».

Atlantico.fr : Le procureur de la République a requis à l’encontre de François Fillon une peine de 5 ans d’emprisonnement dont 3 avec sursis, assortie d’une amende de 375 000 euros et de 10 ans d’inéligibilité. Une peine de trois ans de prison avec sursis a été requise à l’encontre de Pénélope Fillon. À vous yeux, ce réquisitoire est-il cohérent avec les chefs d’accusation ?

Régis de Castelnau : Les réquisitions soutenues par Aurélien Letocart au nom du Parquet National Financier sont à la fois incohérentes et très cohérentes…

L’incohérence réside dans le fait qu’au regard du droit qui devrait trouver à s’appliquer dans ce dossier, il est clair que les demandes de cette autorité de poursuite entretiennent avec lui des rapports très lointains. Tant en ce qui concerne le support juridique de l’accusation que le quantum des peines réclamées. Pour attraire l’ancien Premier ministre devant le tribunal correctionnel, il a fallu brutaliser la loi et les principes. Le principe de la séparation des pouvoirs qui fait que le législatif doit être à l’abri des empiétements et des pressions de l’exécutif dont dépend le parquet, aurait dû prévaloir et le PNF n’aurait pas dû être suivi dans la conduite de la procédure comme il a été par les juges du siège qu’étaient les magistrats instructeurs, la chambre d’instruction de la cour de Paris et la Cour de cassation. Les chefs de poursuite utilisée n’auraient pas dû être cela et pour plusieurs raisons. En effet si l’on respecte les principes d’interprétation restrictive en matière pénale qui sont fondamentaux, le détournement de fonds publics reproché à François Fillon ne tient pas. Il y a ensuite le principe de liberté politique et d’immunité des parlementaires qui leur permet d’organiser librement leur mandat. Cela ne veut pas dire qu’ils peuvent faire n’importent quoi, mais le contrôle est alors effectué et les manquements sanctionnés par l’institution parlementaire elle-même. Relever ces caractéristiques, ne rend pas pour autant François Fillon moralement séduisant, mais l’aversion que l’on peut avoir pour ce médiocre personnage ne justifie pas que l’on prenne des libertés avec le droit et que l’on bascule dans l’arbitraire.

Et quand bien même, on considérerait les poursuites juridiquement fondées, le quantum des peines réclamées est sans commune mesure avec la jurisprudence habituelle. Et l’on rappellera également que les poursuites du PNF, institution sur-mesure créée par François Hollande sont singulièrement à géométrie variable. Que sont devenus le socialiste Bruno Le Roux, ou l’ancien ministre socialiste Kader Arif par exemple ? Quid du cas de Bruno Lemaire LR rallié qui employait son épouse artiste peintre (!) comme assistante parlementaire … ? Quid également d’un véritable travail juridique relatif à cette question des fonctions d’assistants parlementaires puisque les trois quarts des parlementaires ont opéré de la même façon que François Fillon, employant pour des missions obscures conjoints, enfants, cousins et petits cousins et bien sûrs maîtresses. Tout ceci est d’une hypocrisie noire.

La cohérence quant à elle réside dans le fait que ces réquisitions sont un acte de plus dans l’opération judiciaire enclenchée par Le PNF au début 2017 pour disqualifier la candidature de François Fillon à l’élection présidentielle et favoriser ainsi l’arrivée au pouvoir d’Emmanuel Macron. Il est aujourd’hui impossible de nier qu’il y a bien eu un raid judiciaire avec cet objectif. Deux des protagonistes de la partie médiatique de l’affaire, les journalistes du Monde Davet et Lhomme le reconnaissent explicitement dans un livre récent. Ces réquisitions sont une pièce de plus visant à légitimer l’opération du printemps 2017. Si elles avaient été autres, respectueuses du droit et modérées dans leur quantum, elles auraient judiciairement disqualifié le coup d’État judiciaire. Il est à craindre que le tribunal ne soit pas lui aussi coincé dans cette problématique. Respecter le droit et la jurisprudence prononcée soit une relaxe, soit une peine modérée, établirait sans conteste la dimension antidémocratique de l’opération visant à favoriser Emmanuel Macron. Et contribuerait à fragiliser encore un peu plus une légitimité déjà brinquebalante, tout en disqualifiant encore cette partie de la justice qui s’est mis au service du nouveau chef de l’État.

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La notion de détachatabilité a été évoquée à plusieurs reprises par l’accusation. Que signifie cette notion ? En quoi est-t-elle utile à l’accusation ?

Régis de Castelnau : Dans l’affaire Fillon, cette notion de « détachabilité » n’a pas grand sens. La Cour de cassation qui a pris la très mauvaise habitude d’ajouter à la loi dès lors que cela facilite les poursuites contre les élus a adopté plusieurs jurisprudences que je considère, et mon avis de juriste praticien et universitaire en vaut largement d’autres, comme inconstitutionnelles. L’une d’entre elles a permis les poursuites contre François Fillon. Mais pour faire bonne mesure l’autorité de poursuite d’exception qu’est le PNF a jugé bon d’injecter une notion qui relève du droit administratif. Le conseil d’État a consacré une notion particulière à l’action des agents publics. Lorsque ceux-ci commettent des fautes, si celles-ci sont ce que l’on appelle « rattachables au service » c’est-à-dire en lien avec l’exécution de leur mission publique, l’administration leur doit protection. Mais afin de bien faire la part des choses le juge administratif utilise la notion de « faute détachable du service ». Qui parce qu’elle ne concerne pas la mission publique relèvera du droit commun. Prenons un exemple extrême, le policier qui tuera sa femme avec son arme de service commettra « une faute détachable ». Donc pour poursuivre Fillon tout en utilisant la jurisprudence anormale de la Cour de cassation, on a rajouté pour faire bon poids le raisonnement selon lequel les fautes reprochées à François Fillon n’étaient pas rattachables à sa mission de parlementaire et que par conséquent il était possible de le poursuivre sans porter atteinte à son immunité. Tout cela n’est pas très intéressant.

L’initiative du Parquet National Financier, créé en décembre 2013 sous le quinquennat de François Hollande, d’initier une procédure judiciaire à l’encontre de François Fillon est-elle en accord avec le droit ? 

Régis de Castelnau : Le problème n’est pas de savoir s’il était en accord avec le droit mais bien de rappeler que c’était une opération à visée politique. Dans laquelle le PNF a joué un rôle particulier, et a ensuite passé le relais aux juges du siège qu’étaient les juges d’instruction du pôle financier, la chambre d’instruction et la Cour de cassation. Les questions juridiques posées tout au long de cette procédure peuvent nourrir des débats entre spécialistes et permettent de noircir du papier, mais cela ferait oublier l’enjeu de toute cette affaire. Et malheureusement il est à craindre comme je l’ai dit que le tribunal soit coincé dans une alternative délétère. Soit traiter loyalement ce dossier en appliquant le droit, et dans ce cas ce serait reconnaître qu’on le veuille ou non l’ingérence de l’institution judiciaire altérant la sincérité du scrutin dans la principale élection de la république française, en altérant la sincérité du scrutin. Soit poursuivre dans la mauvaise voie empruntée au début de 2017. Et de ce point de vue, le refus de transmission au Conseil constitutionnel des deux Questions Prioritaires de Constitutionnalité (QPC) pourtant évidente et de très mauvais augure. Compte tenu du fait de la situation politique pour le moins tumultueuse que connaît notre pays avec à sa tête un président considéré par l’opinion publique comme illégitime, la justice risque de traîner longtemps l’accusation d’avoir été à l’origine de son avènement

Quel impact une condamnation de François Fillon peut-il avoir sur la classe politique française ?

Régis de Castelnau : C’est très simple, tous ceux qui s’opposent à Emmanuel ont tout à craindre de la Justice. De Marine Le Pen aux gilets jaunes en passant par Jean-Luc Mélenchon et tout ceux à qui viendrait l’idée de faire un tour de piste à la présidentielles 2022, je ne saurais conseiller que la plus extrême prudence. Une petite garde à vue, une perquisition, des mises en examen et autres joyeusetés sont si vite arrivées… 

En revanche les amis d’Emmanuel Macron n’ont rien à craindre, Richard Ferrand, Alexandre Benalla, Muriel Pénicaud, François Bayrou, Sylvie Goulard, Bruno Le Roux, Bruno Lemaire, Ismaël Emelien, etc. etc. vont pouvoir continuer à vivre paisiblement.

La révolution nationale de Georges Valois

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La révolution nationale de Georges Valois

par Juan ASENSIO

Finalement, le ton pamphlétaire en moins propre à l’auteur des Décombres, Georges Valois adressera à Charles Maurras, après l’avoir admiré de manière un peu trop grandiloquente (1), les mêmes reproches que Lucien Rebatet : «Maurras et ses commanditaires avaient toléré ma politique ouvrière, tant qu’ils avaient pu la mener sur le plan de la littérature, mais du jour où je déclarais que nous passions à l’action politique, on voulait m’arrêter net» écrit ainsi l’auteur dans son Basile ou la politique de la calomnie (2), décrivant Charles Maurras comme tant d’autres l’ont fait, à savoir un homme qui est avant tout un esprit plutôt que des muscles et des mains. Maurras dut ainsi être «extrêmement embarrassé par mes questions», continue Georges Valois, qui poursuit sa charge en enfonçant le clou d’une ironie point complètement débarrassée de regrets, du moins à cette date : «Il nous fit un discours d’une demi-heure pour me démontrer que, nécessairement, il avait toujours pensé à faire ce qu’il disait. Je lui demandai des ordres, il n’en donna aucun» (3).


Ce n’est pourtant pas tant l’action qui a souri à Georges Valois, Paul Sérant rappelant en quelques pages synthétiques l’échec que fut sa tentative de créer un fascisme à la française, que la réflexion, dont ce texte heureusement réédité par La Nouvelle Librairie dirigée par François Bousquet (qui reprend l’héritage de Valois, créateur de la Nouvelle Librairie nationale) nous donne un témoignage plus qu’intéressant. La Préface à cet ouvrage évoque l’intérêt principal de ce livre de Georges Valois, l’un de ces auteurs qui heureusement ne fait pas partie de ces «penseurs simples, binaires, facilement classables [qui] ne sont plus d’un grand secours» (p. 8) : «une tentative de dépasser les clivages sociaux, dans une vision organique et corporatiste de la nation» (p. 20), ou, pour l’écrire avec l’intéressé lui-même, une tentative de refonder voire, plus désespérément, fonder un État national, autrement dit «nous-mêmes avec nous-mêmes, avec nos femmes et nos enfants, avec ceux de nos métiers, avec nos propres chefs, pour la France régénérée par la victoire, pour la grandeur française que nous aurons servie et que nous voulons servir !» (p. 41).

De cet État national, Georges Valois donne une définition qui synthétise l’opposition courant au travers de tout son livre entre les vertus du combattant, héroïques et nobles, et celles du bourgeois, aussi peu héroïques que nobles, corrosives à vrai dire : «c’est l’État qui repose sur les valeurs héroïques par lesquelles toute cité est fondée, défendue, conduite à la grandeur; c’est l’État qui repose sur la philosophie même du combattant; c’est l’État qui veille sur la propriété nationale, qui veille sur le patrimoine spirituel de la nation, qui n’accorde aucune licence aux tentatives faites contre les valeurs fondamentales de la Cité; pour qui la propriété individuelle et familiale n’est qu’un moyen de prospérité et non le but de son activité; qui est au-dessus des partis et des classes et qui recrute ses états-majors aussi bien dans une classe que dans l’autre» (pp. 67-8). L’État national est donc l’inverse même de l’État libéral, dans lequel la nation n’est qu’une «juxtaposition de citoyens dont la règle individuelle est la loi de l’argent», alors que, pour l’autre, «la nation est une organisation de familles, qui font corps avec les régions et les métiers» (p. 69).

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Seul cet État national est capable de provoquer un patriotisme charnel, antithèse même du «patriotisme verbal» (p. 31) qui a fait des ravages durant la Grande Guerre dont Georges Valois exalte l’esprit véritable, seul à même d’insuffler sa vitalité à la nouvelle organisation sociopolitique qu’il appelle de ses vœux : «La philosophie du combattant, qui défend les valeurs héroïques, s’oppose à la philosophie du financier, pour qui il n’y a dans le monde que des valeurs de bourse, des commissions sur les emprunts, qu’ils soient français ou allemands» (p. 49). Il s’agit de retrouver un horizon spirituel et une dimension complétant la Politique par une mystique, s’il est vrai qu’un peuple ne pourra «supporter longtemps la pensée que son effort n’a d’autre expression que les plaisirs de Deauville et de la Côte d’Azur» (p. 72) et, puisqu’il faut «recréer les conditions de la grandeur», la première d’entre elles, juge Georges Valois, sera de faire rentrer dans la vie publique les «valeurs héroïques retrouvées dans la guerre» (p. 73). Il ne sera pas le seul à avoir exigé, une fois sorti vivant de l’hécatombe monstrueuse que fut la Première Guerre mondiale, une refondation ou même une régénération du pays profondément blessé. Il ne sera pas le seul à vite déchanter, les vertus de l’Arrière ayant pris, si j’ose dire, le devant de la scène politique française, les grands appels et belles déclarations s’étant vite transformés en petites médiocrités et compromissions.


Comme nous comprenons que Georges Valois ait fini par se séparer de Charles Maurras, pourtant qualifié de «grand libérateur de la pensée » (147), lui qui écrivait, assez crânement : «Notre objet, c’est la grandeur. On atteint la grandeur par l’action» (p. 75) même s’il n’a pas vraiment su la concrétiser sous ses propres entraînement et panache, alors qu’il n’aura eu de cesse, du moins dans ce petit livre, d’évoquer une «comptabilité des impondérables» (p. 95) à opposer systématiquement à la basse comptabilité des bourgeois qui ne sont en fin de compte rien d’autre que les propagateurs d’une «conception mercantile ou économique de la vie nationale et sociale» (p. 99), comme si le bourgeois avait finalement diffusé son poison matérialiste jusqu’à la tête, aux plus hauts sommets de la nation mais aussi dans l’ensemble de l’organisme social qui ne tardera pas à devenir fiévreux : «Quand le bourgeois veut être le premier dans l’État, c’est un destructeur, ou un chef qui s’abandonne, c’est Étienne Marcel, c’est Guizot, c’est M. Thiers, c’est M. Raymond Poincaré» alors que, s’il restait fidèle à sa place qui ne devrait jamais être la première, il serait bien évidemment capable de servir, puisque c’est alors «un grand serviteur du Prince et du Peuple, c’est Colbert» (p. 93). L’opposition au bourgeois n’est donc pas complète, le propos de Valois concernant bien davantage le fait que ce dernier n’occupe que la place qui lui revient, subalterne. C’est au contraire au Combattant d’être au premier rang, car c’est sur la force que l’on fonde la paix, et que «l’on organise le commerce dans les limites que trace sur le sol l’épée du combattant» (p. 104) puisque, en effet, c’est «la sécurité qui est la condition de l’abondance» (p. 109) et certainement pas l’inverse, sur quoi repose la prétention et la tromperie du régime que le Bourgeois cherche à favoriser, toutes les fois que l’une de ses déclinaisons historiques cherche à mettre en place un pouvoir qui lui soit favorable, donc qui le laisse en paix faire ce qu’il sait faire le mieux : acheter et vendre, autrement dit faire des affaires. Ainsi, «le bourgeois libéral représentait l’Argent, mais recouvert d’un voile pieux; le bourgeois national représentait l’Argent, mais avec un petit morceau du drapeau tricolore; le bourgeois radical représente l’Argent nu et obscène» (p. 132).

GVage.jpgL’Argent, puisqu’il est parlé du bourgeois que Valois substantifie en quelque sorte en lui accordant, comme au métal précieux d’ailleurs, une majuscule, est le thème sous-jacent de notre livre et on peut sans trop craindre de se tromper affirmer qu’il est, comme la Machine chez Georges Bernanos, l’un des surgeons du règne de la quantité, du chiffre, alors que, pour Valois, c’est «l’épée, et non le bidon de pétrole, qui est au premier rang» car la «paix, ce n’est pas une entente entre financiers et producteurs des deux mondes, c’est l’équilibre entre les forces des combattants» (p. 150). D’ailleurs, toutes les fois qu’un empire s’est laissé envahir par le Chiffre n’ayant d’autre but que son accroissement, il a péri, comme lorsque «Rome devenue trop riche, l’Argent l’emporta sur le glaive», comme «lorsque l’esprit combattant de Rome héroïque céda devant l’esprit bourgeois de Rome riche et jouisseuse» (p. 152).
Le Combattant, le premier, a été floué par la paix honteuse qui a été signée après la Grande Guerre, tout bonnement parce que cette paix est «la paix bourgeoise, la paix des financiers, qui rejette l’Europe tout entière dans la corruption de l’argent » (p. 157), Georges Valois allant même, et c’est sans doute la page la plus saisissante de son ouvrage, que je me permets donc de citer in extenso, jusqu’à décrire fascisme et communisme comme «une même réaction contre l’esprit bourgeois et ploutocratique» : «Au financier, au pétrolier, à l’éleveur de porcs qui se croient les maîtres du monde et veulent l’organiser selon la loi de l’argent, selon les besoins de l’automobile, selon la philosophie des cochons, et plier les peuples à la politique du dividende, le bolcheviste et le fasciste répondent en levant l’épée. L’un et l’autre proclament la loi du combattant. Mais le bolcheviste slave arme son bras pour s’élancer à la conquête des richesses accumulées dans le monde romain. Le fasciste latin dresse la hache pour fonder la paix et protéger le laboureur contre l’usurier. Ce n’est point par hasard que la réaction contre le régime bourgeois produit le bolchevisme en Russie et le fascisme en Italie. Le bolcheviste slave, c’est le guerrier du Nord, qui se place à la tête des hordes asiatiques et scythiques et à qui sa doctrine fournit une justification pour partir au pillage du monde romain, qu’il nomme le monde capitaliste. Le fasciste latin, c’est le combattant du Midi, qui veut arracher l’État aux mains débiles de l’administrateur bourgeois, protéger le travail contre l’argentier, et redresser les défenses de la civilisation abandonnées par les mercantis et les juristes incapables de porter les armes» (p. 158).

Je me demande si nous ne pourrions pas transposer assez facilement cette excellente analyse, comme le suggère d’ailleurs la première de couverture de notre réédition, au cas actuel de la France ployant sous la Macronie qui, après tout, peut à bon droit être considérée comme la prise de pouvoir d’une petite oligarchie méprisante et arriviste, dénuée de tout scrupule, ayant pour politique dévastatrice d’allier les différentes bourgeoisies françaises, puisqu’elle considère que c’est un climat propice au développement des affaires, un monde libéré de toute forme de régulation et dans lequel l’Argent, le Chiffre, seraient donc roi, qu’il faut instituer pour libérer l’homme de ses vieilles attaches, ne pariant donc, pour parvenir à son désir le plus cher, que sur les valeurs pondérables, échangeables, reléguant les valeurs impondérables au musée des horreurs réactionnaires et si affreusement passéistes.


Si c’était le cas, il nous faudrait alors faire nôtre ce rappel de Georges Valois affirmant que ce n’est pas un Gouvernement bourgeois, instauré par le bourgeois et n’ayant d’autre but que de favoriser la prospérité de ce dernier, qui décidera de notre sort, mais l’esprit des combattants qui «fera la révolution nécessaire» (p. 161). Reste à savoir si nous sommes encore capables de dresser des combattants, même éborgnés, face à ce qu’incarne le pouvoir macronien, l’empire du chiffre, ce qui sera un avenir peut-être moins sombre, à tout prendre, que celui que Georges Valois appelle de ses vœux, une révolution nationale établissant impitoyablement une «Dictature nationale, afin d’accomplir son œuvre» (p. 174).

Notes
(1) Georges Valois, La Révolution nationale (1924) (La Nouvelle Librairie, préface de Guillaume Travers, 2019, p. 148) : «Le XIXe siècle portera le nom bourgeois. Le XXe, s’il est nommé, portera celui de Maurras».
(2) Cité par Paul Sérant, Les dissidents de l’Action française (Éditions Pierre-Guillaume de Roux, préface d’Olivier Dard, 2016), p. 49.
(3) Paul Sérant, op. cit., pp. 45-6.

Source : http://www.juanasensio.com/archive/2020/02/26/la-revoluti...

https://www.lanouvellelibrairie.fr/

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dimanche, 08 mars 2020

Macron et le séparatisme: «Le processus d’éclatement ne sera pas endigué avec ces mesures» - Entretien avec Lucien Cerise

samedi, 07 mars 2020

Quelle leçon tirer du comportement des élites?

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Quelle leçon tirer du comportement des élites?

« La rupture des liens sociaux, provoquée par l’effondrement de la société, l’inégalité des revenus, la stagnation sociale et la marginalisation de la classe ouvrière s’exprime dans d’innombrables pathologies sinistres.

Une société clivée adopte des comportements autodestructeurs – violence armée incontrôlée, dépendance aux opiacés et sadisme sexuel – pour tenter de composer avec la dislocation, l’impuissance et la douleur. Les croisades morales sont l’expression de cette maladie culturelle. Elles sont emblématiques d’une société en profonde détresse, incapable de faire face rationnellement aux problèmes qu’elle rencontre. Ces croisades ne font qu’empirer les choses, dès lors qu’il apparaît qu’elles sont inefficaces, elles engendrent invariablement un fanatisme effrayant. » (Chris Hedges, le 26 août 2019, dans Truthdig, traduit par www.les-crises.fr)

Cette description de la situation d’une société façonnée par les « élites » aux Etats-Unis pourrait quasi être la même pour la France d’en haut qui s’est enfoncée à son tour dans la dégénérescence, provoquant la même rupture sociale, le même mensonge politique et la criminalité des gouvernants faisant tout pour cacher le fait qu’ils soutiennent le terrorisme et fournissent les armes qui massacrent actuellement les enfants du Yémen, par exemple… Les preuves documentées sont abondantes et accablantes sur le sujet, c’est même l’embarras du choix pour celui qui veut s’informer vraiment. Mais les rôles de chacun sont compartimentés et la réalité est ainsi morcelée à souhait.

Je renvoie le lecteur aux actions de Benoit Muracciole, président de l’ONG ASER, Action Sécurité Éthique Républicaines. Avec toutes les preuves nécessaires, il se bat contre la vente d’armes françaises, utilisées dans le conflit au Yémen et dénonce le Gouvernement français pour crimes contre l’humanité.

51SAVye6WaL.jpgOn peut également citer Jean-Loup Izambert, avec ses reportages incomparables et ses livres minutieusement documentés, comme « 56 », Tome 1, l’État français complice de groupes criminels ; Tome 2, Mensonges et crimes d’État…. Crimes sans châtiment… etc. On peut encore renvoyer le lecteur intéressé par la qualité et l’objectivité journalistique sur ce type de sujets, à Paul Moreira qui a traité la question de l’Ukraine et les crimes impardonnables de l’Occident.

Ces références à elles seules, produisent une bibliothèque de documents avec leurs multiples sources vérifiées et officielles… qu’il n’est pas possible de contester… Bien entendu, ces journalistes de qualité, largement reconnus depuis longtemps par la profession, n’ont pas échappé à l’exclusion, à la condamnation, à la diffamation, pour avoir osé tenir un discours qui n’était pas « politiquement correct » !

Le fanatisme des « élites » dirigeantes, est celui de l’ultra libéralisme qui prévaut sur tout le reste et l’ultra libéralisme est un vrai fascisme, comme cela a été démontré, notamment par Manuela Cadelli, Présidente de l’Association Syndicale des Magistrats Belges, dans une excellente tribune du Journal Le Soir, en mai 2017. Nous sommes revenus au point de départ de ce qui avait provoqué en 1939 l’engagement du monde entier dans une guerre meurtrière et le désastre pour les peuples maltraités par cette folie des élites…

Les Français ont rejeté massivement en 2005 la constitution européenne déguisée en « Traité de Lisbonne » : en 2008, les « élites » ont imposé d’office aux Français cette constitution en se moquant de leur avis pourtant éclairé ! Aujourd’hui, ces mêmes « élites » leur imposent les règles de Bruxelles à coups de 49.3 puisque, par exemple, la réforme du droit du travail en 2017 et aujourd’hui la réforme des retraites en 2020 ont été exigées par l’UE. Dans la logique du referendum de 2005, ces deux réformes sont naturellement refusées massivement par le peuple Français dans son ensemble…

Comme le disait Chris Hedges en août 2019, la seule option qui reste à ce pouvoir est celui d’adopter « des comportements autodestructeurs, la violence armée et un fanatisme effrayant. »

Édouard Philippe a annoncé un nouvel usage du 49.3 pour imposer aux Français la réforme des retraites conçue par Bruxelles au profit de la mafia financière. Là aussi toutes les preuves ont été largement étalées sur la table des discussions interminables avec la ploutocratie au pouvoir. Il est impossible que ce mépris exceptionnel pour les Français puisse en rester là, sans conséquences graves pour le pays tout entier !

Le meilleur du patrimoine national est bradé au profit de la haute finance mondiale. Le pays est livré aux flibustiers du « monde de la finance », le véritable ennemi identifié par François Hollande dans son discours du Bourget en 2012, les compagnies internationales d’assurances et les fonds de pensions… Tout est clairement organisé pour un pillage en règle des nations livrées à la prédation financière.

Toute souveraineté des peuples passe par la souveraineté monétaire. C’est précisément elle qui a été consciencieusement minée pour être détruite dans le détail, livrant le monde entier à la précarité absolue et à sa soumission au système devenu le pouvoir totalitaire qui règne sans partage sur la vie de tous. Les peuples, dans leur ensemble, sont tombés à la merci du système bancaire qui fait la pluie et le beau temps sur le monde livré à ses caprices de dominants ne pensant que profit. Voilà la dégénérescence qui nous frappe et les pouvoirs en place travaillent avec acharnement pour nous l’imposer…

Nous savons donc très exactement qui est notre ennemi : le capitalisme sous sa forme actuelle ultra libérale et mondialisée. On peut le reconnaître, même solennellement (comme François Hollande l’avait fait dans son « fameux » discours du Bourget le 22 janvier 2012, qui lui avait valu son élection à la présidence de la République) et en même temps se mettre à son service !

« Dans cette bataille qui s’engage, je vais vous dire qui est mon adversaire, mon véritable adversaire. Il n’a pas de nom, pas de visage, pas de parti, il ne présentera jamais sa candidature, il ne sera donc pas élu, et pourtant il gouverne. Cet adversaire, c’est le monde de la finance. » (F.Hollande)

Comment expliquer que les « élites » puissent dénoncer l’ennemi commun, ce capitalisme sauvage ultralibéral qui sème la dévastation dans ce monde, et se mettre pourtant à son service avec acharnement ? Une première réponse est possible : celle de la solution facile par la trahison ou celle de la complicité, égocentrique, opportuniste ! Mais serait-il possible que les « élites », en réalité et « malgré elles » prises en otage par ce capitalisme sauvage ultralibéral, puissent manifester simplement un syndrome de Stockholm pour tenter de sauver leur peau au cœur de ce système sans pitié qui les obligerait à le servir ?

(Le syndrome de Stockholm est un phénomène psychologique que l’on a observé chez des otages ayant vécu un certain temps avec leurs geôliers et qui ont développé une forme d’empathie, ou contagion émotionnelle vis-à-vis de ceux-ci, selon des mécanismes complexes d’identification devenu un moyen efficace de survie.)

medium.PNGA les entendre, il semblerait que oui ! Il semblerait que ce fut le cas de François Mitterrand théoriquement socialiste, de François Hollande théoriquement socialiste, d’Alexis Tsipras théoriquement de gauche. On se rappelle de la description faite par Tsipras évoquant le couteau sous la gorge tenu par les Allemands alors que Hollande se faisait collaborateur docile aux ordres de Merkel.

Le 13 juillet 2015, Angela Merkel imposait un plan « d’austérité́ » aux Grecs ! Alexis Tsipras déclarait : « j’ai signé le couteau sous la gorge un accord auquel je ne crois pas » !

Hollande était pourtant en position de force : il pouvait faire valoir une autre vision que celle de ce chantage odieux imposé à la Grèce, jetée dans le malheur sans autre raison que celle exigée par la logique du pillage ultralibéral. Pourquoi ce « socialiste » devait-il se sentir otage impuissant du chantage pratiqué par l’ennemi : « le monde de la finance » ?

Pourquoi, Macron, aujourd’hui, se croit-il obligé de nous imposer par 49.3 la réforme des retraites exigée par Bruxelles, au profit de l’ennemi « du monde de la finance », comme il nous avait imposé en 2017, à coup de 49.3, la réforme du code du travail voulue par Bruxelles au profit des grandes entreprises du CAC 40 et donc de l’ennemi « du monde de la finance » ?

Vraisemblablement, en ce qui concerne Macron tout au moins, parce qu’il est un serviteur dévoué de « l’ennemi du monde de la finance », parce qu’il en fait partie, parce qu’il en est issu, parce qu’il roule exclusivement pour lui, parce qu’il a été parachuté là dans ce seul objectif financé à grand frais par « l’ennemi du monde de la finance » auquel il doit aujourd’hui sa prestigieuse promotion et ses nombreux privilèges exorbitants aux frais, cette fois-ci, du peuple !

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On a parfois le sentiment d’assister à un aveuglement volontaire des « élites » qui fonctionnent sur le mode « hypnotique », comme si chacune d’elles ne voyait qu’un seul élément du puzzle complexe organisé par l’ennemi « du monde de la finance », comme si chaque élément était perçu comme le bien de tous et pour tous…

C’est exactement de cette manière que chaque complice du Régime nazi du Troisième Reich, faisait sa part du travail, ne voyant chacun que l’élément immédiat au service duquel il consacrait sa vie et son énergie, croyant sincèrement travailler au bien commun et pour un monde meilleur. Dans le Film de Costa-Gavras « Amen » (2002), le réalisateur fait comprendre cette terrible réalité : l’ensemble des éléments complexes qui permettaient d’organiser la Shoa, n’était pas visible pour la conscience de chaque acteur volontairement isolé dans sa tâche dont la réelle finalité lui échappait sans cesse. C’est cela qui explique comment le crime contre l’humanité s’organise : en faisant croire aux complices recrutés, promotionnés, élevés aux fonctions suprêmes, qu’ils vont être les héros, même incompris, du plus grand bien de l’humanité !

Jean-Yves Jézéquel

Source: Jean-Yves Jézéquel via https://www.mondialisation.ca

Source de la photo en vedette : Wikimedia Commons, Chairman of the Joint Chiefs of Staff, juillet 2017.

jeudi, 05 mars 2020

La Grande Peur, version mondialiste

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La Grande Peur, version mondialiste

Par Bernard PLOUVIER

Ex: https://metainfos.fr

En l’An 2020, nos bons princes ont une fois de plus décidé que les opinions publiques étaient majoritairement constituées d’andouilles et, une fois de plus, ils ont eu raison !

En 1789, depuis le 20 juin, une majorité d’élus aux États Généraux voulaient donner une Constitution au royaume de France. Désignés par le bon peuple pour régler un imbroglio fiscal, les élus ont décidé le 17 juin – date réelle du début de la Révolution française – de se constituer en Assemblée Nationale, de façon à transformer la monarchie française en un régime parlementaire à l’anglaise.

Le colossal mollasson Louis XVI fait mine de résister, puis cède comme il ne cessera de le faire et, le 9 juillet, les États Généraux muent en Assemblée Constituante. À chaque fois que le « Gros Louis » s’insurgera contre les fadaises des élus, un groupe d’agités du bocal lui organisera une « manifestation spontanée de la colère du peuple ».

Ce groupe de pression est composé des sbires du très ambitieux cousin du roi, Philippe d’Orléans, un viveur débauché, déconsidéré par sa nullité lors du combat naval au large d’Ouessant, l’année 1778. C’est un anglophile, comme de nos jours, les globalo-mondialistes sont tout dévoués aux multinationales de la production, du négoce, de la finance et de la manipulation d’opinions publiques.

Le 12 juillet, le roi, bien conseillé, renvoie Necker, un banquier qui se croit un homme d’État, et appelle au ministère des hommes d’expérience. Le 13, on brûle 40 des 54 bâtiments de l’octroi aux portes de Paris. Et le14, la populace, fort bien manipulée, prend d’autant plus facilement La Bastille Saint-Antoine que personne ne veut la défendre sérieusement, puis on tue quelques soldats, histoire de faire croire qu’on va beaucoup tuer, si le roi ne fait pas ce que veulent les merveilleux députés réformateurs.

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L’ennui est qu’en province, le roi est extrêmement populaire : une majorité de Français savent qu’il est un bonhomme sage, peu dépensier et fidèle à sa stupide autrichienne. Comme la prise de la forteresse parisienne ne suffit pas à lancer le roi dans une répression qui lui ferait perdre sa réelle popularité, les agitateurs orléanistes reçoivent l’ordre de susciter une jacquerie en Île-de-France et en Champagne. Le mouvement prend une ampleur que nul « stratège » n’avait prévue et dure même jusqu’au printemps de 1790 dans le Limousin et les provinces du Sud-Ouest.

La « Grande Peur », émaillée d’incendies criminels, de quelques tueries et même de scènes de cannibalisme, marquera plusieurs générations de riches. Elle permet d’organiser, en cet été de 1789, dans toutes les villes une milice ou Garde nationale, imitée de celle de Paris : désormais les agités auront leur armée privée… comme les titulaires du pouvoir globalo-mondialistes ont leur armée privée de casseurs-gauchistes-fils à papa.

La jacquerie de 1789 panique les députés, au point de leur faire voter en urgence l’abolition du régime féodal et des privilèges municipaux ou provinciaux, la fin des dîmes cléricales (dont une partie était justifiée par d’authentiques services rendus à la population rurale : enseignement, assistance et soins gratuits) et la fin de la propriété des charges civiles et militaires, durant la nuit du 4 au 5 août 1789. Bientôt, on démolit le système corporatif.

Imaginons un peu la fin de tout ou partie de la protection sociale publique, de la franchise de taxe dans la transmission des assurances-vie, du droit de désigner les édiles municipaux, la fin de la réglementation du travail (c’était la raison d’être des corporations), la modification radicale des codes de lois – notamment l’imposition de la charî’a, pour faire plaisir aux ZZ (Z’honorables Z’immigrés).

En résumé, pour inaugurer un régime de soi-disant Liberté et de contrôle du pouvoir Exécutif par le Législatif, on tue, on pille et on orchestre une panique.

Ces premiers jours de mars 2020, par un temps réellement glacial dans la plus grande partie du continent européen, 60% des Français sondés se disent effrayés par « l’épidémie de coronavirus »… on a enregistré 3 morts en France, soit infiniment moins que durant les premières semaines de la précédente pandémie grippale (2009) ! Au fait, une épidémie de viroses respiratoires ne survient que par temps froid et humide… en quelle que sorte un temps de « réchauffement climatique », version XXIe siècle, c’est-à-dire à la sauce bourrage de crânes !

La panique actuelle est orchestrée par les media, à propos d’une affaire médicale démesurément grossie – comparez la mortalité des trois épidémies de coronavirus depuis 2002 avec celle de la Grande Peste du milieu du XIVe siècle (40% de la population européenne emportée en deux années), celle de la « Grippe espagnole » des années 1916-19 (25 millions de morts, rien que pour la période avril 1918-avril 1919), ou même de la dernière pandémie de grippe (en 2009 : un peu plus de cent-cinquante mille morts) !

L’unique question à poser est : pourquoi a-t-on organisé cette panique, à partir d’un fait épidémiologique mineur ? Veut-on simplement désorganiser les circuits commerciaux chinois, ou dégraisser le mammouth boursier à Wall Street, Londres, Paris et Francfort ? Ou bien, faut-il imaginer un plan plus machiavélique, comme une chasse aux sorcières populistes couplée à une nouvelle arrivée en masse de « réfugiés économiques et sanitaires » ?

L’avenir nous le dira. Mais quand on connaîtra le groupe de gros malins à qui aura profité ce crime contre la sérénité – on a bien inventé les notions de crime contre l’humanité, de crime homophobe, de crime contre les droits de telle ou telle minorité, on peut bien s’attaquer à ceux et celles qui veulent troubler la vie des familles -, il faudra punir les coupables et leurs complices, aussi sévèrement que l’on punit les « déviants » dans notre Justice au service du culte des Droits de certaines catégories d’êtres humains.

Plus que jamais s’impose le devoir de vigilance, couplé au devoir de résistance au crétinisme médiatique ambiant. Et s’imposera peut-être le devoir d’insurrection, si nos doux princes déraillent dans un sens totalitaire, imposant une pensée unique et obligatoire comme aux bons temps du sanglant crétinisme marxiste, ou s’ils s’orientent vers la destruction de nos sociétés européennes.

Les empreintes de la France sont partout sur les groupes terroristes à Idlib

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Les empreintes de la France sont partout sur les groupes terroristes à Idlib

par Steven Sahiounie 
Ex: http://www.zejournal.mobi

Le soutien de la France aux groupes extrémistes en Syrie, en particulier près d’Idlib, remonte aux premiers jours de la rébellion anti-gouvernementale soutenue par la CIA en 2011.

Wassim Nasr, de France 24, spécialiste des réseaux djihadistes, s’est récemment entretenu via Skype avec le recruteur français Omar Omsen, le chef du groupe djihadiste Furkat-al-Ghuraba, une filiale d’Al-Qaïda à Idlib.

De nombreux terroristes français se trouvent aujourd’hui à Idlib, luttant pour établir un État Islamique à partir d’une petite partie de la Syrie laïque. Leur rêve est une utopie sunnite à la frontière turque, où ils peuvent bénéficier du plein soutien du Président turc Erdogan, à la tête du parti AK, un parti des Frères Musulmans qui domine la Turquie depuis une vingtaine d’années.

Le fait d’être à la frontière turque leur offre le luxe d’être nourris et vêtus par des organismes d’aide internationale, tels que le Programme Alimentaire Mondial des Nations Unies, et d’autres groupes humanitaires qui distribuent des fournitures aux civils, ainsi que par leurs fils, frères, époux ou père qui sont à la solde d’Al-Qaïda financé par le Qatar et certaines monarchies du Golfe Arabe. Les groupes humanitaires, dont les Nations Unies, travaillent comme des facilitateurs, prolongeant la souffrance des innocents en continuant les approvisionnements. Si les besoins quotidiens des familles des terroristes avaient été coupés, ces derniers auraient été contraints de fuir en Turquie, et éventuellement en Europe, pour bénéficier d’une plus grande partie des avantages gratuits offerts par la « Mère Merkel », en référence à la chancelière allemande Angela Merkel.

Les terroristes français ont été recrutés en France, et non en ligne. Le réseau Sevran, un réseau de recrutement de terroristes à Sevran, près de Paris, opérait à partir d’une salle de prière informelle, car il ciblait des jeunes hommes avec un mélange sophistiqué de tactiques psychologiques et, selon certains, de tactiques d’hypnose acquises par Al-Qaïda au cours des décennies passées en Afghanistan, un pays bien connu pour ses compétences d’hypnose perfectionnées qui existaient avant les agents de terrain de la CIA ; mais qui ont été utilisées par la CIA dans son programme de djihad pour contrer la présence soviétique sur place.

Le recruteur djihadiste français, Omar Omsen, a simulé sa mort en août 2015, pour réapparaître des mois plus tard dans une interview télévisée. On ignore combien de terroristes ont simulé leur mort pour effacer leur identité et se réinventer plus tard en Europe ou aux États-Unis.

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Une photo non datée du recruteur français d’ISIS, Omar Omsen

Le gouvernement français a commencé à soutenir les terroristes en Syrie à partir de 2011, lorsque la CIA a ouvert son premier bureau à Adana, en Turquie, juste après la frontière d’Idlib. Les présidents français, de Sarkozy à la Hollande, en passant par Macron, ont tous suivi le projet de « changement de régime » ordonné par les États-Unis en Syrie. En 2017, le Président américain Trump a mis fin au programme de soutien de la CIA à Al-Qaïda en Syrie. Cependant, Al-Qaïda est pleinement opérationnel à Idlib et bénéficie d’un soutien très évident au plus haut niveau, sous forme d’armes, de munitions, de missiles anti-aériens, de drones et de salaires.

Les rebelles modérés de Syrie

En septembre 2015, le Président syrien Assad a imputé la crise des réfugiés en Europe au soutien de l’Occident aux terroristes. En référence à la photo virale en ligne d’un enfant syrien échoué sur une plage turque, il a déclaré :

« Comment pouvez-vous être triste de la mort d’un enfant dans la mer et ne pas avoir de sentiments pour les milliers d’enfants qui ont été tués par les terroristes en Syrie ? Et, aussi pour les personnes âgées, pour les femmes et les hommes ? Ce deux poids, deux mesures européen n’est plus acceptable ».

Il a ajouté : « L’Occident soutient les terroristes depuis le début de cette crise, lorsqu’il a déclaré qu’il s’agissait d’un « soulèvement pacifique » – comme ils l’ont appelé. Ils ont dit plus tard que c’était une opposition modérée et maintenant ils disent que ce sont des terroristes comme Al-Nusra et ISIS ». Jibhat al-Nusra est la filiale d’Al-Qaïda en Syrie et contrôle Idlib.

En juin 2015, le procès à Londres d’un Suédois, Bherlin Gildo, accusé de terrorisme en Syrie, s’est effondré après qu’il soit devenu clair que les services de renseignement britanniques avaient armé les mêmes groupes que ceux que l’accusé était accusé de soutenir. L’accusation a abandonné l’affaire, apparemment pour éviter d’embarrasser les services de renseignements. Les agents des services de renseignement français travaillaient main dans la main avec les États-Unis et le Royaume-Uni en Syrie.

Un an après le début de la rébellion syrienne, les États-Unis et leurs alliés ne se sont pas contentés de soutenir et d’armer une opposition qu’ils savaient dominée par des groupes sectaires extrêmes ; ils étaient prêts à approuver la création d’une sorte « d’État Islamique ».  L’habitude occidentale de jouer avec les groupes djihadistes, qui reviennent ensuite pour les mordre, remonte au moins à la guerre des années 1980 contre l’Union Soviétique en Afghanistan, qui a favorisé la création d’Al-Qaïda sous la tutelle de la CIA.

Sotchi 2018

L’accord exigeait que la Turquie évince des terroristes tels que Jibhat al-Nusra, et permettait à la Turquie de mettre en place 12 postes d’observation à Idlib pour séparer les terroristes des civils non armés. Cependant, près de deux ans après la conclusion de l’accord, la Turquie n’a pas respecté ses engagements et Moscou a ouvertement accusé la Turquie d’aider les terroristes. Cela a conduit à l’offensive de l’Armée Arabe Syrienne à Idlib qui a commencé en décembre 2019 pour libérer les civils et éliminer tous les terroristes. Cette opération militaire est en cours et les Syriens, avec l’aide de la puissance aérienne russe, ont fait des progrès spectaculaires.

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Des combattants soutenus par la Turquie aident un camarade de combat blessé par les forces gouvernementales syriennes et leurs alliés à Idlib, en Syrie, le 1er mars 2020. Photo | AP

Les procès fantômes de la France

En janvier 2020, un tribunal de Paris a entendu des affaires contre des terroristes français en Syrie, mais la majorité des accusés étaient morts. Les médias français ont qualifié ce procès de « procès fantôme ».

Antoine Ory, l’un des avocats de la défense, a déclaré : « En France, en 2020, on refuse de rapatrier les vivants mais on juge les morts ». La France a pour politique de ne pas reprendre ses terroristes, même s’ils sont des milliers en Syrie.

La scène de Hatay

La frontière entre la Syrie et la Turquie est une ligne relativement droite d’est en ouest jusqu’au fleuve Oronte, puis elle s’abaisse soudainement et se dirige vers le sud sur environ 80 miles. Ce morceau de terre syrienne manifestement manquant a été donné à la Turquie par la France en 1939 pour assurer que la Turquie se battrait pour la France contre l’Allemagne d’Hitler pendant la Seconde Guerre mondiale.

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La Turquie a arraché la province d’Alexandretta à la Syrie française en 1939 après un référendum truqué. Le Conseil de Sécurité des Nations Unies va-t-il condamner ce changement territorial unilatéral ?

Liwa Iskanderoun pour les Syriens est maintenant appelée province de Hatay, elle comprend les villes d’Antakya et d’Iskenderun, qui étaient auparavant connues sous les noms d’Antioche et d’Alexandretta. Cette région se trouve du côté turc d’Idlib.

En 1939, la région était un mélange de nationalités, avec des Turcs, des Turkmènes, des Arabes sunnites, des Alaouites, des Arméniens et des Grecs. Leurs descendants parlent encore aujourd’hui l’arabe, contrairement au reste de la Turquie qui ne parle que le turc. Avant 2011, le Président turc Erdogan et le Président syrien Assad avaient une relation très étroite et un accord a été signé pour construire un barrage de l’amitié syro-turque de 28 millions de dollars sur le fleuve Oronte. Hatay a été transformé en un lieu de rassemblement pour les terroristes internationaux, dont les Français, qui ont afflué en Syrie pour participer à l’attaque USA-OTAN-UE contre la Syrie en vue d’un « changement de régime », et aujourd’hui le monde assiste à une possible guerre ouverte.

Traduit par Réseau International