Obiettivo Siria tra disinformazione mediatica e mistificazione
Federico Dal Cortivo
Ex: http://www.rinascita.eu/
La Siria è sotto tiro da mesi oramai e dopo la liquidazione della Libia di Gheddafi , l’apparato bellico e mediatico degli Stati Uniti e dei suoi fidi alleati, ha iniziato a muoversi contro il legittimo presidente siriano Bashar al Assad. Una guerra al momento fatta d’ intelligence, gruppi ben armati di mercenari, operazioni sotto copertura, provocazioni, che hanno già causato migliaia di vittime tra la popolazione civile e tra le forze di sicurezza governative. I fatti riportati dai media embedded tutti allineati al mainstream imposto da Washington , ogni giorno ci dipingono una Siria nel caos, un presidente delegittimato,una forza di opposizione che gode del pieno consenso dei siriani e una popolazione in attesa di essere “ liberata” . Ne abbiamo parlato con il dott. Giannantonio Valli che è stato di recente in visita a Damasco.
Dott.Valli innanzitutto una premessa, lei in una recente conferenza ha esordito parlando della totale disinformazione che c’è sull’argomento Siria. Giornali, riviste, canali televisivi tutti salvo rare e lodevoli eccezioni ci propinano ripetitivamente la solita immagine degli insorti liberatori e dei governativi oppressori, come giudica la libertà di stampa in Italia oggi e in Europa in generale?
Il paradigma storico-politico dal quale l’umanità viene conformata dal secondo conflitto mondiale o per dirla più semplicemente la cornice che inquadra la ricezione delle informazioni da parte dell’uomo comune, è stato forgiato da precise centrali di guerra psicologica. Tali centrali altro non sono che le dirette eredi della Psychological Warfare Branch angloamericana. La creazione dei più diversi immaginarii è quindi, da un lato, il risultato pressoché inconscio della conformazione dei cervelli dell’uomo democratico, dall’altro dell’incessante opera dei mezzi di comunicazione di massa. Questi ultimi rispondono, in ogni Paese dell’Occidente, per il 99 per cento ai potentati finanziari, padroni pure della quasi totalità delle forze politiche maggiori. La residua libertà, di stampa e più latamente di informazione, è dovuta a voci assolutamente coraggiose, che mettono in discussione non tanto questo e quel singolo fatto, ma le radici stesse, ideologiche e storiche, del mondo attuale. Tra queste mi piace ricordare, per la loro serietà, coerenza e irriducibilità al Sistema, il quotidiano Rinascita e la rivista l’Uomo libero, come pure i siti internetici olodogma e syrian free press network. Quest’ultimo è la maggiore e più obiettiva fonte di informazione sugli eventi siriani. Come ho detto in una recente intervista radiofonica al periodico online La voce del ribelle, tale sito, oltre ad un’infinità di notizie, smentite e rettifiche, diffonde sia filmati girati dai cosiddetti ribelli «siriani», sia filmati di provenienza governativa. Tra questi, anche i telegiornali siriani, la cui diffusione viene impedita da mesi, alla faccia del pluralismo vantato dalla cosiddetta Libera Stampa, dai canali satellitari non solo occidentali, ma in primo luogo delle petromonarchie saudita, emiratica e qatariota. Li si guardi. Ognuno giudichi poi da sé, con la propria testa, la propria sensibilità, la propria coscienza. Quanto alle mie convinzioni sugli eventi siriani, oltre che sulle citate testate, mi sono basato sull’analisi degli eventi dell’ultimo trentennio, su una quindicina di volumi, reperibili con qualche impegno per ogni volonteroso che non voglia farsi accecare dalla propaganda degli aggressori, ed infine sulle impressioni ricavate dal mio viaggio in Siria nel maggio 2012. Una settimana non permette certo di conoscere la realtà di un Paese nella sua complessità. Ma io, a differenza della quasi totalità dei giornalisti di regime, ci sono stato. A mie spese. Il mio cervello non lo paga nessuno.
Veniamo alla Siria, che da tempo faceva parte di quella lista di “Stati canaglia” stilata dal Dipartimento di Stato statunitense e quindi prima o poi sarebbe finita sotto il mirino di Washington, quali sono state a suo avviso le ragioni principali di quest’ offensiva a tutto campo contro Damasco?
La Sua domanda mi permette di proseguire il discorso in tutta naturalezza. In effetti, come ho detto alla televisione siriana, non si può capire il problema Siria se non lo si inquadra in una più ampia visione ideologica e in una strategia economico-geopolitica. Ideologia e strategia non solo americane, ma più ampiamente mondialiste, vale a dire giudaiche. Avere bollato da decenni la Siria come «Stato canaglia» ha significato, per gli Occidentali (mi riferisco agli Stati Uniti, all’Inghilterra, alla Francia e ad Israele, eterno nemico con il quale mai Damasco ha sottoscritto un trattato di pace) tenere sotto scacco quel Paese fin dagli ultimi anni Settanta. In questa ottica, è comprensibile che la diffamazione di ogni atto del governo siriano sia stata e venga condotta col massimo della tenacia e della «buona coscienza» democratica. «Buona coscienza» che io riconosco non solo ai giornalisti della cosiddetta Libera Stampa, ma persino ai loro direttori e ai più «autorevoli» commentatori. Tra questi ultimi cito, persona tra le più velenose, l’ex ambasciatore Sergio Romano. Gran penna del Corriere della Sera, costui non perde occasione per pedissequare, con supponenza, la versione degli eventi siriani data dal foglio che lo nutre. Invero, oggi, la battaglia non la si vince tanto sul campo con le armi, quanto con la conquista dei cervelli dei sudditi democratici. Al contrario del nostro Solone, io ho potuto fare esperienza diretta, vedere coi miei occhi, toccare con le mie mani, come sia possibile manipolare le coscienze. Quella in atto è in primo luogo una guerra mediatica. Prima che sul campo, la guerra oggi si vince, ripeto, invadendo la mente degli individui. Sono quindi lieto – tristemente lieto – per avere assistito di persona alla creazione di realtà fittizie con immagini manipolate e le menzogne più sordide. In particolare, mi riferisco ai massacri compiuti nell’ultimo ventennio da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Israele col massimo di buona coscienza e avallati dalla complicità, dalla viltà dei popoli del Libero Occidente. Prima però di trattare dell’aggressione alla Siria, mi permetta di rammentare sette altri casi di menzogna, altrettanto atroci.
1. Per l’Iraq di Saddam Hussein ricordo, del 1990, la farsa delle incubatrici svuotate negli ospedali del Quwait, coi neonati scagliati a terra dai soldati iracheni. E l’anno dopo le strisce verdi della contraerea nel cielo notturno, con le quali l’emittente al-Jazeera, da poco fondata dal Qatar con supervisione ebraico-americana, ci ha suggestionato, facendoci credere di assistere ad una «guerra in diretta». Ricordo, del 2003, la bufala delle «bombe intelligenti» e delle «fiale di antrace» – rammenta Powell, il Segretario di Stato, sventolante la mitica provetta di liquido giallo? Ricordo il cormorano nero dagli occhi rossi coperto di petrolio a «provare» l’«infamia ecologica» di Saddam. Mi permetta di sottolineare l’importanza anche dei colori nella creazione degli immaginari fissati nei cervelli delle masse, mille volte più forti di tante parole: verde, giallo, nero, rosso... E poi le fantomatiche «armi di distruzione di massa», pretesto per il nuovo massacro dopo il decennale stillicidio di bombe clintoniano. Prova generale per i successivi in Afghanistan, Libia e Siria.
2. Svaniti da ogni memoria sono i 200.000 – sottolineo, duecentomila – morti del golpe algerino compiuto nel 1992 dai militari massonici dopo la vittoria elettorale del Fronte Islamico di Salvezza. Duecentomila persone, per la quasi totalità stragizzate in un decennio. Vittime non solo i protestatari cui sarebbe andata la legittima vittoria – e della cui radicalizzazione successiva, e ribadisco: successiva, non dovremmo quindi stupirci – ma anche migliaia di semplici cittadini tacciati di connivenza. A carte ribaltate rispetto agli eventi siriani, è conferma di quanto dico l’ammissione del supergiornalista Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera del 19 gennaio. Le cito: «Si affinò la tecnica dei massacri di civili imputandoli poi agli islamici per ingraziarsi la popolazione. Mohammed Samraoui, ex numero due dell’antiterrorismo, in un libro del 2003 [...] citava una frase che usava ripetere il suo capo diretto, Smail Lamari: “Sono pronto ad eliminare tre milioni di algerini pur di mantenere la legge e l’ordine”».
3. E il massacro del popolo serbo operato dalla NATO seminando il paese di uranio. Uranio per il quale sono morti e muoiono tuttora di cancro centinaia di nostri soldati inviati in quella missione «di pace». Massacri compiuti non solo dai delinquenti albanesi , addestrati, armati e guidati dagli americani, ma anche dai bombardieri partiti dall’Italia. Dalle basi concesse al Grande Fratello Capitalista dal comunista Massimo D’Alema, promosso capo del governo alla bisogna. E quindi sbrigativamente scaricato. E qui apro una parentesi, e non parlo dei famigerati «danni collaterali», espressione da allora entrata nell’immaginario collettivo. «Collaterali», anche se furono scientemente voluti per logorare e demoralizzare i serbi. Sottolineo come obiettivo primario degli Occidentali fu, allora come oggi, silenziare i mezzi di comunicazione non conformi. E tanto più quelli nemici, in particolare le televisioni.
Allora quella serba, bombardata con qualche «distrazione» a monito contro la Cina... nell’attacco, ricorderà, morirono, istruttivamente, cittadini cinesi. E nel 2011 la televisione libica, colpita perché, dissero i virtuosi delle democrazie, «era di parte» e «mentiva». E l’anno dopo, ed oggi la televisione siriana per mano di ben istruiti terroristi, con l’uccisione di decine di giornalisti. E tutto senza alcuna protesta dei loro «colleghi» occidentali. Ultima ma non ultima riprova dell’idea occidentale di libertà di informazione: all’inizio di settembre 2012 sono stati oscurati i canali televisivi al-Ikhbariya e al-Dunya. Dopo il successo di Damasco nell’affrontare il feroce attacco occidentale, armato e mediatico, gli amministratori del satellite NileSat, hanno non solo violato i termini del contratto, ma anche brutalmente violato le regole deontologiche dell’informazione.
4. Ricordo poi due eventi gemelli: la cacciata dei giornalisti dalla città ribelle di Falluja in Iraq nell’aprile 2004, per settimane stragizzata all’uranio e al fosforo bianco dagli USA, e la cacciata dei giornalisti da Gaza nel dicembre 2008, città e terra stragizzate all’uranio e al fosforo bianco da Tel Aviv con l’Operazione Piombo Fuso. Da quell’Israele, che avrebbe aggredito l’Iran già nel 2006 se non fosse stato fermato sui confini dagli Hizbollah. Schiumando rabbia, Israele distrusse allora dall’aria, strategia dei vigliacchi, le infrastrutture civili. Ponti, strade, scuole, ospedali, abitazioni, acquedotti, elettrodotti, e quant’altro. Tutto distrutto, contro ogni norma di diritto bellico. Nessuna reazione dall’ONU, silenzio dal Tribunale dell’Aja, guaiti dal Vaticano. Al contrario, le falsità create da al-Jazeera e da al-Arabiyya, come pure i filmati girati dai terroristi, vengono ripresi da ogni televisione e giornalone occidentale. E riproposti a distanza, anche se da tempo smascherati come falsi.
5. Solleticando il buon cuore dei sudditi democratici, dei minimalisti di buona famiglia, di quelli che vedono l’albero e non si accorgono che fa parte di una foresta, l’Afghanistan è stato devastato all’insegna di «liberare le donne dal burqa». Che, infatti, è rimasto lì come prima.
In compenso, oltre ad avere impiantato enormi basi militari, fatto affari con la ricostruzione di quanto avevano distrutto, portato alle stelle la produzione di oppio, gli americani continuano a seminare stragi anche da decine di migliaia di chilometri di distanza attraverso i droni. In particolare, stragizzando qualunque assembramento «sospetto», come quelli durante le feste di nozze.
6. Quanto alla cosiddetta «primavera araba», spacciata per moti di libertà in particolare dalle sinistre di ogni sfumatura, ci accorgiamo solo ora che il vero obiettivo della messa in scena era propiziare un «inverno libico» e, Dio non voglia, siriano. Aggredita a occidente a partire da una Tunisia destabilizzata, ad oriente da un Egitto destabilizzato, bombardata dal mare e dall’aria sempre contro ogni norma di diritto bellico, la Libia ha finora visto il massacro di 120.000 suoi cittadini. Con bombe a sottrazione di ossigeno, bruciato da ogni bomba su un’area di ventimila metri quadri, tre campi di calcio. Con bombe a frammentazione. Con una pioggia di fosforo, proiettili all’uranio, missili a gas nervini. Con crani esplosi a colpi di mitra e persone sgozzate. Massacro operato dai tagliagole armati dall’Occidente, così come dai bombardamenti «umanitari» franco-anglo-americani. Ai quali si è accodato, violando la Costituzione e su istigazione del quirinalizio comunista Napolitano, lo sciacallo italiano. Nella fattispecie, il governo berlusconico, quintocolonnato dal ministro degli Esteri Frank Frattini. Ma poi, dov’erano quelli che nel 2003 appendevano gli stracci arcobaleno della «pace» contro Bush? E così la Libia è stata riportata all’ovile occidentale dopo quarant’anni di indipendenza e un’eroica resistenza durata di sette mesi fino all’assassinio del colonnello Gheddafi. Una resistenza tuttora in atto, nel silenzio della Disinformazione Corretta. E questo, aggiungo, senza contare la popolazione angariata e le decine di migliaia di lealisti tuttora incarcerati, torturati e massacrati per essere rimasti fedeli ad un legittimo governo. Ma, talora, chi semina vento raccoglie tempesta. L’11 settembre – un altro 11 settembre, ricorrenza mitopoietica dell’operazione Torri Gemelle – sono stati linciati tre marines e l’ambasciatore americano a Bengasi... ci dicono ad opera della «furia fondamentalista». La causa: una «imperdonabile» offesa inferta a Maometto dal cinema hollywoodiano. Con tutta evidenza, contro gli Apprendisti Stregoni del «laico» Occidente si sta rivoltando un mostro da loro scatenato contro Gheddafi. Nessuna pietà, me lo lasci dire, ho provato per l’ambasciatore, uno degli organizzatori dei massacri di Libia. Ne potrei provare un pizzico, per carità solo un pizzico, se l’Abbronzato di Washington si cospargesse di cenere per la morte inferta «per sbaglio», dai suoi, all’ultimo cammelliere dell’ultima oasi libica. O all’ultimo spazzino dell’ultima cittadina libica, massacrato perché pubblico dipendente.
7. Nessuno ha poi parlato, se non per un giorno, del Bahrein, ove la repressione dei moti di libertà da parte sciita, quelli sì veri, ha visto il mitragliamento della popolazione da parte degli elicotteri americani e l’invasione delle truppe saudite, chiamate dall’emiro. Inoltre, la polizia ha imprigionato e torturato decine – sottolineo, decine, il che rende l’’ampiezza della repressione – di medici, accusandoli di complicità coi dimostranti per avere curato i feriti. All’inizio dello scorso settembre, dopo un anno e mezzo dai moti, decine di manifestanti – ovviamente, i sopravvissuti – sono stati condannati a pene che giungono all’ergastolo. E questo, nel più completo silenzio della stampa e di ogni organizzazione umanitaria. E le rivolte, queste sì vere e legittime, e la repressione continuano tuttora, nel più laido silenzio della Grande Stampa Democratica.
E mi fermo, ricordando l’imbonimento mediatico, quanto alla Siria, compiuto per le stragi, veramente istruttive, di Houla, Daraya, Deir al-Safir (colpi di mortaio su un asilo, spacciati per bombardamento aereo governativo), Halfaya (scoppio di esplosivi in un covo terroristico, spacciato per bombardamento aereo governativo di una panetteria con la gente in coda... morti duecento, poi cento, poi trenta, poi venti, poi boh!), Aleppo (missili o colpi di mortaio sull’università e gli studenti in esame, sempre attribuiti al governo) ed ancora Aleppo (un’ottantina di corpi nel canale, cittadini assassinati con le mani legate dietro la schiena). Nessun problema poi, ottenuto il risultato con titoloni, ad ammettere nelle pagine interne, dopo qualche settimana, la responsabilità dei tagliagole e non del governo siriano. Tanto, cosa ricorda il suddito democratico, tra migliaia di altre notizie e in mezzo a tutti i suoi problemi? Altro che la «verità» di chi spaccia filmati girati su regia occidentale! Vedi i 40 bambini di Houla, il 25 maggio. Cadaveri veri, bambini e familiari colpiti da breve distanza o con le gole tagliate, fatti passare per vittime dell’esercito, quando tutti erano di famiglie filogovernative. Verità ammessa tre mesi dopo, ad esempio, dalla Frankfurter Allgemeine, ma ignorata da ogni altro giornalone. Cento innocenti massacrati, foto truccate, immagini scattate anni prima in Iraq e a Gaza. Di bambini vittime del fuoco americano e israeliano. Egualmente massacrati dai terroristi nelle case e per le strade sono stati, il 25 agosto, i 245 civili di Daraya presso Damasco. E sempre la strage è stata attribuita, prima di svanire d’un botto dai giornali, all’esercito.
L’attacco era stato preparato da qualche tempo, basta scorrere le pagine internet del Brooking Institute e del Saba Center, noti think thank della potente lobby sionista statunitense, oppure dare uno sguardo alla rivista Foreingn Policy che a novembre 2011 ospitava un intervento di Hillary Clinton dall’eloquente titolo “Il secolo pacifico dell’America” vera e propria dichiarazione bellica contro il Vicino Oriente.
Quindi stiamo solo assistendo all’applicazione della geopolitica statunitense, che andando a ritroso s’ispira a Zbigniew Brzezinski il quale nel celebre libro “La grande scacchiera” aveva tracciato le linee guida per il controllo dell’Eurasia. Lei dott. Valli che ne pensa?
In un’intervista televisiva a Damasco mi è stato chiesto: perché la Siria? Ho risposto che non è solo questione di geopolitica o di economia, ma anche di ideologia. I piani degli aggressori datano da decenni, sono piani a lunga scadenza. L’obiettivo finale, il messianico obiettivo finale, è la distruzione delle nazioni e l’instaurazione di un unico governo mondiale. A guida, ovviamente, americana. A guida, ovviamente, dell’Alta Finanza. A guida, ovviamente, giudaica. Un governo che, delira il profeta Isaia, tramuterà le spade in falci e le lance in vomeri d’aratro. E dove il leone si pascerà di fieno a fianco dell’agnello, senza mangiare l’agnello. Potenza dell’ingegneria genetica! Sappiamo che non è un complotto, un tenebroso complotto. Un complotto, quando gli scopi sono stati dichiarati a tutte lettere – ripeto: a tutte lettere – dagli stessi autori in decine di pubblicazioni? Cerchiamo di essere seri. Non prendiamoci in giro.
È una strategia pensata in ogni aspetto, non un complotto. Chi parla di complotto è un mistificatore. Uno che nuota nel torbido. O, altrimenti, un perfetto ignorante.
Di queste pubblicazioni, progenie di precedenti progetti, cito solo tre esempi.
(A) Nel 1997 Brzezinski, l’ebreo polacco da Lei citato, consigliere di sei presidenti da Carter ad Obama, democratici come repubblicani, pubblicò The Great Chessboard, “La Grande Scacchiera - Il mondo e la politica nell’era della supremazia americana”. Suggerendo di adoperarsi per fare scoppiare conflitti interetnici nei più diversi paesi, Brzezinski ammonisce che in futuro «la capacità degli Stati Uniti di [continuare ad] esercitare un’effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo in cui sapranno affrontare i complessi equilibri di forze nell’Eurasia, scongiurando soprattutto l’emergere di una potenza predominante e antagonista in questa regione».
(B) Nello stesso 1997 una trentina di neoconservatori, ventotto almeno dei quali ebrei e anime nere bushiane, lanciò il Project for the New American Century, “Progetto per il Nuovo Secolo Americano”, che rilanciava le tesi di Brzezinski, suggerendo i necessari comportamenti applicativi.
(C) Similmente, un gruppo di intellettuali israeliani capeggiati dall’influente politologo Oded Yinon aveva codificato, fin dal 1982, quindi ben quindici anni prima dei confratelli di oltreoceano, la preventiva distruzione di ogni Stato considerato nemico.
Cinque sono state le fasi di tale strategia. La prima: scagliare in una guerra contro l’Iran khomeinista un Iraq stupidamente caduto nella trappola e quindi, dopo averlo indebolito, spiazzarlo economicamente. La seconda: occupare l’Iraq e impadronirsi delle sue risorse energetiche, eliminando al contempo uno dei più tenaci nemici di Israele e interrompendo la continuità territoriale tra Siria ed Iran. La terza: occupare l’Afghanistan e impiantare basi nell’ex Asia sovietica, condizionando a nord la Russia e accerchiando da oriente l’Iran, già possedendo a sud il controllo del Golfo.
La quarta: assicurarsi, in vista di una guerra con l’Iran, le ingenti risorse energetiche libiche, spegnendo al contempo le velleità panafricaniste di Gheddafi e testando le reazioni del duo Russia-Cina. La quinta: eliminare il baluardo geografico e militare siriano, premessa per l’aggressione all’Iran.
Sull’onda delle secolari teorizzazioni massoniche dell’«Ordo ab chao, Ordine dal caos», sull’onda di quel «caos creativo» cantato nel 2006 dal Segretario di Stato bushiano Condoleezza Rice, possiamo definire tale strategia «geopolitica del caos», espressione coniata dallo storico Paolo Sensini. I Signori del Caos vogliono frantumare gli Stati laici e modernizzatori – Iraq, Libia, Siria e, anche se non è propriamente laico, l’Iran sciita di Ahmadinejad – in miniregioni in lotta una contro l’altra per motivi etnici e religiosi. Un federalismo in salsa orientale. Uno Stato dopo l’altro, la «politica del carciofo». Eliminare una foglia dopo l’altra, fino a giungere al cuore. L’ultima foglia è l’Iran. Il cuore, il nemico strategico dell’Alta Finanza, sono la Russia e la Cina. In particolare, per l’estensione del suo territorio e la ricchezza in materie prime di ogni genere, la Russia. Ma i giochi non sempre riescono, e l’ultimo osso sarà troppo duro per questa banda di assassini. Anche la distruzione economica dell’Europa, in quanto potenza alternativa agli USA, rientra nei loro piani. Quanto alle modalità dell’applicazione di tale strategia, invito ad informarsi sul rivelatore volume dell’ebreo Gene Sharp, attivo fin dal 2004, «Come abbattere un regime», edito in Italia da Chiarelettere nel 2011.
Quale è a suo avviso il ruolo che stanno ricoprendo la Russia,la Cina e l’Iran in questa fase?
Proprio di recente la Repubblica Islamica dell’Iran ha presentato una sua proposta di pace in sei punti per uscire dalla crisi ribadendo ancora una volta la posizione pacifica di Teheran.
Dopo avere abbandonato al suo destino la Libia, Russia e Cina hanno preso una netta posizione all’ONU ponendo il veto sulla terza «zona di non volo» pretesa (dopo la prima in Iraq e la seconda appunto in Libia) dagli aggressori mondialisti. Date le loro dimensioni, le loro economie ed i loro armamenti, Russia e Cina sono potenze globali, per cui, consapevoli della sostanziale ostilità americana nei confronti di entrambi, devono giocare su diversi scacchieri. Come che sia, all’errore storico di valutazione compiuto nel caso libico potranno rimediare con grande difficoltà. Resta la bruciante lezione, che certo non dimenticheranno. L’ipocrisia, il cinismo, l’arroganza e la violenza adoperati dagli Occidentali – l’ignobile mosca cocchiera fu la Francia – saranno una lezione perenne per chiunque voglia ancora prestare fede alle Grandi Carte, dell’ONU come delle Democrazie. Dopo l’«ingenuità» di allora, quali furono gli altri motivi dell’indecisionismo russo-cinese? Certamente la freddezza, o se vogliamo l’«equidistanza», mostrata da sempre da Gheddafi nei loro confronti. Di un Gheddafi non solo illuso dal «patto di amicizia» stipulato con l’Italia (che avrebbe dovuto tutelarlo non mettendo a disposizione dei suoi nemici le basi per un’aggressione aerea), ma anche, tutto sommato, illuso dalle «garanzie» cartacee dello statuto dell’ONU. Quanto alla politica di Russia e Cina nei confronti della Siria, devo dire che, a differenza della Russia putiniana, della Cina io non mi fido affatto. La Russia ha concreti, essenziali interessi geopolitici alla sua periferia. Se cadesse la Siria non avrebbe più sbocco navale sul Mediterraneo, ma, cosa ancora più importante, i suoi nemici occidentali avrebbero mano totalmente libera sui suoi confini meridionali. Pensiamo al caso Georgia, a ragione bacchettata duramente nel 2008. Per la Cina conta, invece, in primo luogo l’Iran, uno tra i suoi primi fornitori energetici.
L’Iran sciita sa benissimo di essere nel mirino da un lato delle petromonarchie sunnite infeudate agli americani, dall’altro degli Occidentali e di Israele. Se non vuole crollare come Stato e infeudarsi a Washington e Tel Aviv, non può assolutamente permettersi di perdere la Siria. Non solo per le affinità ideologico-religiose, ma per concreti interessi strategici geopolitici. Quanto alla proposta di pace cui Lei accenna, da un lato confesso di non averne preso documentata visione, dall’altro mi permetto di ritenerla un passo che, seppur doveroso nell’ambito della politica internazionale e mediatica, sarà del tutto infruttuoso, data la determinazione degli aggressori occidentali. Questi delinquenti politici, che in tempi più fausti sarebbero stati pubblicamente impiccati per i loro crimini – parlo di supercriminali come Sarkozy, Hollande, Obama, Erdogan, Netanyahu, i sauditi e i qatarioti, come pure dei loro portaborse italiani – si sono spinti ormai troppo avanti. Ritengo difficile, per non dire impossibile, non solo che questa banda ripieghi rientrando nei ranghi del diritto internazionale, ma anche che si arresti in una sorta di nuova guerra fredda.
Chi sono invece i nemici principali della Siria?
Ogni aggressore della Siria ha i propri obiettivi. In prima fila – per quanto silenzioso, dato che per lui agisce l’intero Occidente – resta sempre Israele, per il quale Damasco è non solo il nemico tradizionale, ma l’ultimo ostacolo per l’aggressione all’Iran, pianificata da anni.
A ruota segue il suo grande satellite a stelle e strisce. La distruzione di un altro anello dell’Asse del Male risale non ai repubblicani Bush padre né a Reagan, ma al democratico Carter.
Al Nobel per la pace Carter, al buono e mite democratico, che trentatré anni fa avviò la destabilizzazione della Siria.
Vale a dire, tre anni prima che Hafez al-Assad, il padre dell’attuale presidente, reprimesse il terrorismo dei Fratelli Musulmani, mobilitati fin dal 1971 contro il «testo ateo» della Costituzione. Sulla stessa linea si è messo, con più concreti ordini operativi, nel marzo 2005 Bush figlio.
La scoperta, in questi ultimi anni, di enormi depositi di gas e petrolio al largo delle coste siriane è un’altra motivazione per l’intervento dei predatori occidentali.
Quanto a Londra e Parigi, i due compari ricalcano un colonialismo nato nel maggio 1916 e proseguito coi Mandati loro assegnati dopo la prima guerra mondiale dalla Società delle Nazioni. Cioè, da loro stessi. Violando ogni norma, Parigi non solo staccò dalla Siria nel 1923 il territorio libanese, da sempre provincia di Damasco, ma nel giugno 1939, per ingraziarsi la Turchia in vista della nuova, programmata guerra mondiale, le cedette l’intera provincia di Alessandretta con Antiochia. Infine, un punto ancor più significativo, almeno sotto l’aspetto simbolico, è che le bande terroristiche del cosiddetto «Libero Esercito Siriano» sventolano oggi, senz’alcuna vergogna, la bandiera con la striscia verde e le tre stelle rosse. Quella dei servi, della Siria coloniale francese.
Secolare è poi l’ostilità tra Istanbul e Damasco, cui si aggiunge l’odio religioso tra la Turchia sunnita e l’Iran sciita. Nonché, con più concrete motivazioni, la volontà turca di diventare il principale crocevia, e quindi controllore, energetico dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale all’Europa.
I regimi feudali di Arabia e Qatar, stretti agli USA fin dal febbraio 1945 da un ferreo patto in cambio della più totale acquiescenza, aggiungono ai predominanti motivi economici l’odio per il laicismo siriano che difende la convivenza delle più varie fedi ed etnie.
Intrisa di wahabismo – una ideologia messianica fondata da criptoebrei come criptoebrei furono i fondatori del clan dei Saud – l’Arabia è l’unico paese al mondo a trarre il nome non da un popolo né da un credo, ma da una famiglia. Quasi che lo Stato e il popolo siano proprietà personale di qualche migliaio di principotti. Invero, non esiste «il mondo arabo», e neppure «il mondo islamico», intesi come entità omogenee spinte contro l’Europa da un interesse comune o da un’ideologia unificante. Esistono solo paesi arabi, o islamici, in lotta fra loro. Divisi da concreti interessi, da rivalità geopolitiche, da settarismi religiosi. Paesi vassalli degli Stati Uniti, a partire dal Marocco fino agli Emirati Uniti.
Sono del tutto infondate due tesi. La prima, che vede in Siria una rivolta di popolo contro il cosiddetto «clan» alauita del presidente Bashar. La seconda, che vede in atto una guerra civile. Per quanto esistano frange di opposizione antigovernativa più o meno radicali, non è una rivolta, non è una guerra civile, cioè un conflitto fra due componenti sostanziali di una stessa società. È invece una feroce aggressione dall’esterno, voluta dagli Occidentali, dalle petromonarchie e dalla Turchia. I loro strumenti sono bande di fanatici religiosi, di sperimentati mercenari, di sadici criminali.
Contro la splendida realtà siriana di umana convivenza, l’Occidente ha scagliato centomila tagliagole. Qualche decina di migliaia di terroristi autoctoni, pressoché tutti delinquenti comuni e latitanti condannati con pene anche fino all’ergastolo; ben più numerosi e in posizione trainante sono quelli giunti dall’estero. Mercenari sperimentati in Libia, Iraq ed Afghanistan. Pazzoidi religiosi arrivati da Marocco, Algeria, Tunisia, Libano, Giordania, Yemen e Pakistan. Guerriglieri salafiti e wahabiti. intossicati da un credo ottuso, esaltati contro l’«eretico» Bashar che permette a cristiani, drusi e altri non musulmani di convivere a parità di diritti con la maggioranza sunnita.. Bande di terroristi salafiti, wahabiti, alqaedisti messe in piedi dalla CIA. Armati, addestrati, pagati e guidati dall’Occidente «laico e progressista».
Assassini che soprattutto all’inizio, quando la mano delle autorità è stata leggera per mesi, dapprima nelle zone più periferiche poi in quartieri delle grandi città hanno creato repubblichette partigiane ove regnava la violenza più cruda. Dove hanno compiuto attentati con mortai, autobombe, lanciarazzi e, ritiratisi sotto la pressione dell’esercito, con mine a scoppio ritardato. Dove hanno incendiato e distrutto monumenti millenari come il vecchio mercato di Aleppo, patrimonio dell’UNESCO. Dove hanno distrutto centinaia di scuole e ambulatori. Dove hanno sgozzato, decapitato, squartato, mutilato impiegati statali, poliziotti, amministratori, insegnanti, medici, religiosi non allineati. Dove hanno sequestrato e massacrato nei modi più efferati, nella ferrea logica di ogni partigianesimo che deve intimorire i civili con un terrore esemplare, gente di ogni età e di ogni ceto. All’inizio, diffondendo video sulle proprie prodezze, quali i «processi» agli avversari malmenati, umiliati e messi al muro, lo sgozzamento di poliziotti, l’assassinio di civili a colpi di mitra o di machete, il lancio nel vuoto di lealisti dai tetti delle case. In seguito, eliminando in massa civili di ogni età e, resi più accorti delle reazioni negative del delicato Occidente, attribuendo, spudoratamente supportati dalla Grande Stampa e dalle Grandi Televisioni, i massacri alle forze governative. In ogni caso cercando di sfiancare, logorare, demoralizzare, paralizzare il paese dall’interno, di far perdere ai cittadini la fiducia nella protezione del proprio governo. Il tutto, in attesa dell’attacco in supporto dall’esterno, con le bombe e i missili NATO. E di un più vasto bagno di sangue.
Certa è in ogni caso l’intercambiabilità degli aggressori. Il risultato è lo stesso che ad aggredire sia un Bush, bianco massone cattivo e repubblicano, o un Obama, negro massone buono e democratico. Un tizio nobelizzato per la Pace ancor prima di avere detto bah, e per questo legittimato a fare ciò che vuole. Nonché zombizzato dall’odiosa Hillary, quella dei quintali di Viagra – qualcuno lo ricorderà – distribuiti da Gheddafi per incitare i soldati a stuprare le donne dei nemici.
Il risultato è lo stesso vi sia il socialista Blair o il conservatore Cameron, il destrorso Sarkozy o il sinistrorso Hollande, i militari massoni di Istanbul o l’islamico Erdogan. Complici e pagatori pronta cassa, gli sceicchi delle petromonarchie. E a tirare le fila, Israele e l’ebraismo internazionale. Di quest’ultimo mi limito a citare il trio intellettuale rappresentato dagli ex sessantottini miliardari Bernard-Henri Lévy, Alain Finkielkraut e André Glucksmann. Coadiuvati fattivamente dall’ex ministro degli Esteri sarkozyco Bernard Kouchner, già fondatore di Medici senza frontiere, uno dei massimi istigatori al massacro di Serbia, e dal ministro degli esteri hollandico Laurent Fabius. Cinque ebrei. Come ebrei ed ebrei onorari furono e sono lo stesso Sarkozy e lo stesso Hollande. Di Fabius, poiché tutto si tiene, rammento che fu il cervello, l’ideatore eponimo della legge Fabius-Gayssot, approvata nel 1990 per tacitare ogni storico nonconforme alla vulgata sterminazionista, all’Immaginario Olocaustico. Defilatosi in seguito Fabius, tutto il merito della repressione del pensiero, tutto il merito dell’infamia, resta al comunista Gayssot, l’ennesimo utile idiota goyish.
Dott.Valli ci parli delle libere elezioni che si sono svolte in Siria nel maggio 2012, sulle quali è calato il silenzio mediatico teso ad avallare l’immagine di una Siria dominata da una feroce dittatura e ci parli della Costituzione siriana.
A differenza della Libia, Paese di sei milioni di abitanti divisi in centocinquanta tribù in eterna discordia tra loro, unificati solo dal carisma di Gheddafi – e tuttavia semplicemente eroico nella resistenza solitaria, per sette mesi, contro nemici perfidi e ultrapotenti – la Siria è un vero Stato. Uno Stato laico nel quale convivono una quindicina di confessioni religiose e una ventina di etnie. La scuola è gratuita. La sanità è anch’essa a carico dello Stato. Se il presidente è di religione musulmana-alauita, i vicepresidenti sono di confessione sunnita. E non solo, uno dei tre vicepresidenti è stata una donna, l’unica donna a rivestire una carica di tale importanza nel Vicino Oriente. In Arabia alle donne è persino vietato guidare la macchina. Inoltre la Siria, per quanto secondo la Costituzione il Presidente non possa essere che musulmano, è l’unico paese arabo dove l’islamismo non è religione di Stato e il credo dei cittadini non è riportato sulle carte d’identità.
Impressionanti, a confronto del deserto stepposo della Giordania, sono i cento chilometri che separano Damasco da Daraa visti dall’aereo, verdeggianti, bonificati, irrigati dalle riforme volute da Hafez al-Assad, «il padre della Siria». Un personaggio di umili origini divenuto generale d’aviazione, un modernizzatore che, appoggiato dagli intellettuali e dai tecnici del partito nazionalista e socialista Baath, «Rinascita», ha spazzato via le tracce del peggiore feudalesimo.
Che un paese assediato abbia usato ed usi un pugno saldo, ed ora un pugno finalmente di ferro, per mantenere la convivenza civile e fronteggiare una spietata aggressione esterna, non fa meraviglia. In ogni caso la Siria di Bashar al-Assad era un paese che stava vivendo una fase di dinamismo politico caratterizzato dal progetto di una nuova Costituzione – stilata da un comitato di giuristi, parlamentari e membri della società civile – e da un multipartitismo sempre più vivace.
E, soprattutto, caratterizzato da quelle libere elezioni del 7 maggio 2012 sulle quali è subito calato il silenzio, il silenzio totale da parte dei massmedia occidentali... arma la più efficace perché una qualunque cosa, come che la si voglia giudicare, neppure più esiste se non se ne parla. Non vale neppure accusare il governo di brogli. Non se parla. In ogni caso le democrazie occidentali, le nostre truffaldine democrazie del nostro beato Occidente, sono proprio le ultime a poter impartire lezioni di correttezza. Inoltre, le elezioni hanno dato una netta maggioranza ai partiti governativi. Alla tornata elettorale ha partecipato il 51,26 % degli aventi diritto, una cifra miracolosa, se pensiamo che in molte zone l’accesso ai seggi è stato impedito dai terroristi, che hanno anche assassinato numerosi candidati. Una tornata che ha visto 7.195 candidati, di cui 710 donne, contendersi i 250 seggi dell’Assemblea Nazionale che avrebbe approvato una nuova Costituzione. Prima delle elezioni il governo era retto da una maggioranza di nove partiti, tra cui il Baath. Oltre a candidati indipendenti, hanno concorso altri nove partiti, facenti parte di un’opposizione più o meno determinata ma non terroristica. Con Paolo Sensini, della genuinità della contesa elettorale sono stato testimone io stesso a Damasco.
Chiudo con qualche cifra. Su ventiquattro milioni di siriani, i nemici radicali del regime sono quattro milioni, pressoché tutti sunniti ed appartenenti alla parte più bassa della popolazione. Trogloditi, mi passi il termine, nemici delle scuole pubbliche, tenuti nel più ignorante fanatismo islamico dai loro capi religiosi, residenti nelle zone di Homs, Hama, Idlib e Daraa. All’epoca del mio viaggio in Siria le vittime, civili come militari, dell’aggressione terroristica imperversante da tredici mesi si aggiravano sulle 4000. A fine giugno erano balzate a 13.000. Terrificante la successiva scalata. A tutt’oggi, febbraio 2013, dopo soli altri otto mesi, possiamo contare, dalla parte del governo e del popolo siriano, assassinati 40.000 civili e caduti 30.000 militari – militari di leva, il «ragazzo della porta accanto», non «milizie di regime» – e 30.000 paramilitari di autodifesa. Di contro, 40.000 sarebbero i terroristi indigeni ed altri 40.000 quelli stranieri terminati dall’esercito.
Durante il suo recente viaggio in terra siriana ha potuto certamente raccogliere testimonianze e vedere con i proprio occhi la realtà locale, quella quotidiana fatta di uomini e donne del popolo, ce ne può parlare?
Come ho detto, ho avuto la fortuna di passare in Siria la prima settimana di maggio 2012. Ho interrogato il generale medico, cristiano figlio di contadini, direttore del maggiore ospedale di Damasco. Quotidianamente vi morivano una decina di militari, oggi infiniti di più. La nostra delegazione ha intervistato decine di soldati feriti e mutilati. Ho intervistato il presidente del parlamento. Il ministro dell’Informazione. Il governatore di Daraa, la prima città ad essere infiltrata dai terroristi. Il patriarca greco-cattolico melchita Gregorio III ci ha parlato a nome di tutte le confessioni cristiane, sostenendo il governo. Il massimo studioso vivente dell’Islam, il dottor Mohammad Albouti, lucidissimo novantenne nella moschea sunnita degli Omayyadi, nella funzione del venerdì ci ha detto testualmente: «I cittadini siriani hanno un livello di conoscenza che impedisce loro di cadere nella trappola. È proprio questa conoscenza la nostra difesa contro questa aggressione». Dopo avere citato il proverbio «È un tuo fratello anche se non è stato generato da tua madre», si è rivolto a noi: «Credo nella vostra fratellanza più che in quella dei nostri cugini arabi che falsificano la verità». Per un più dettagliato resoconto rimando al numero 73 de l’Uomo libero.
Mi consenta di citare la testimonianza di Agnès-Mariam de la Croix, suora carmelitana libanese, attiva in Siria da vent’anni, resa nell’ormai lontano 25 luglio 2012 in un convegno a Roma: «Per quanto riguarda il massacro di Homs attribuito all’Esercito governativo, ho constatato con i miei occhi un centinaio di cadaveri all’obitorio. Erano civili sgozzati dai ribelli per distruggere la vita sociale della Siria. Ho contattato e incontrato i loro familiari, che in parte conoscevo, erano cristiani e musulmani baathisti. Ho capito che il fine dei rivoltosi è la distruzione della Siria così come è stata sino ad ora. Per far ciò bisogna prima distruggere la vita sociale, ad esempio si impedisce al medico di curare gli ammalati e se non obbedisce lo si sgozza, al panettiere di sfornare il pane e così via, e poi si giunge alla distruzione della Siria. Tutto è finalizzato a far collassare la Società civile siriana. I cento morti di Homs erano cittadini che hanno osato non obbedire ai ribelli e sono stati sgozzati. Oggi la medesima tattica, impiegata ieri ad Homs, è stata perfezionata in peggio. A Damasco seimila mercenari stranieri hanno invaso la zona residenziale della capitale per seminare il terrore tra i civili; ad Aleppo dodicimila mercenari stranieri e qualche centinaio di siriani stanno seminando il panico nella “capitale economica” della Siria. Ma a Damasco i cittadini in 48 ore hanno evacuato la città ed hanno permesso all’Esercito di reprimere i rivoltosi. Questa è legittima difesa, non “crimine di guerra” come dice la stampa occidentale. Ad Aleppo non vi sono mai state dimostrazioni pacifiche o violente, come invece vi erano state a Damasco per dare l’impressione e la parvenza di una “rivoluzione spontanea primaverile” che chiedesse la libertà. Come mai adesso dodicimila miliziani, che son sbucati fuori dal nulla, marciano verso Aleppo e sono entrati nella città? Chi sono? Chi li manda? [...] Sono turchi, libici, afghani, pachistani, sudanesi, e vogliono portare solo caos e distruzione, non vogliono la libertà dei siriani come dicono i ‘media’. Da Homs a Damasco si contano 13.000 cristiani uccisi dai mercenari islamisti radicali. Cosa avverrà ad Aleppo? I vescovi siriani si sono riuniti oggi per smascherare il complotto che si cela dietro le apparenze di democrazia e libertà e fare in modo che tutti sappiano chi si nasconde dietro la rivolta, ma la stampa occidentale non vuol ascoltare».
Alla luce dei recenti fatti che si stanno succedendo nel Vicino Oriente, chi sono oggi i veri “nemici dei Popoli”?
Per rispondere compiutamente alla Sua domanda occorre alzare lo sguardo dalle motivazioni economiche e geopolitiche. Andare al fondo delle cose. Dal punto di vista ideologico le finalità – basate sull’eterno delirio dell’Unico Mondo guidato dagli Unici Eletti – sono quelle vantate, in otto sole parole, da un personaggio buffo ma pericoloso, l’amministratore delegato FIAT Sergio Marchionne. Quello dei maglioncini e della barba incolta. Della delocalizzazione e della miseria nazionale. Dei contributi statali a fondo perduto e degli Elkann. Cito tra virgolette tanta saggezza: «Bisogna superare l’attaccamento emozionale al proprio paese». La stessa concezione anima mister Mario Monti, nel novembre 2011 unto senatore a vita dal quirinalizio comunista e da lui messo a capo del governo. Sei mesi prima, il 28 maggio, alla Bocconi, l’esimio Salvatore delle Banche si era augurato che si estinguesse «il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività nazionale». Si veda su Google il video di tre minuti titolato «Monti le parole di un pazzo».
Ma la disgrazia, per Marchionne, per Monti, per tutti i mondialisti del «volemose bene» intergalattico, è che ci sono popoli, come i siriani, che al loro paese – alla loro gente, alla loro nazione, ai loro padri, ai loro figli, a se stessi – non vogliono rinunciare. Lo si intenda una volta per tutte! Non siamo all’interno di una disputa scolastica, ma di una guerra di civiltà! È una guerra politica, una guerra intellettuale, una guerra morale, una guerra spirituale, è una guerra totale quella che ci coinvolge. La posta in gioco, nel suo senso più profondo, non è il Potere, ma la Memoria e l’esistenza dei popoli, la sopravvivenza dell’Anima stessa dell’uomo.
Come ho detto a Milano il 14 luglio in una manifestazione pro-Siria, non sono mai stato politicamente corretto, non ho paura delle parole. Non è il tempo dei compromessi. È il tempo delle affermazioni assolute e delle negazioni radicali. Non è tempo di neutralità. Non è il tempo degli utili idioti che strillavano «né con Saddam né con Bush, né con Milosevic né con la NATO». Il privilegio dell’ignoranza e il vanto dell’idiozia li lascio a chi sventolò gli stracci arcobaleno con iscritto «pace». A coloro che usano ancora termini ammuffiti come colonialismo e imperialismo. Il nemico dell’uomo, il nemico dei popoli liberi non è oggi l’imperialismo. È il Nuovo Ordine Mondiale. È il mondialismo, l’universalismo. È il cosmopolitismo, la cittadinanza planetaria. Il termine imperialismo proietta le menti in un’atmosfera fuorviante, in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, epoca nella quale ancora vivevano e si mobilitavano le nazioni. Combattendosi l’un l’altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero. Il quadro è radicalmente mutato. Oggi stanno per scomparire tutte le nazioni, stanno per decomporsi tutti i popoli, per divenire sezioni di un osceno ammasso planetario dominato neanche più da una singola nazione, ma da una mostruosa entità finanziaria. Da una entità globale che ha inventato a suo uso e consumo, ed imposto a tutti i popoli, la farsa dei Diritti Umani. Una entità apolide che se ne serve a scopo del più bieco sfruttamento. Il re oggi è nudo, nudissimo.
L’umanitarismo, il capitalismo finanziario del quale gli Stati Uniti sono l’espressione più compiuta, è il male assoluto, un disastro come il mondo non ha mai conosciuto. Perché comporta l’annientamento di ogni cosa.
Se in passato qualche sistema politico ha distrutto gli individui, fin dalla sua infanzia il Sistema ha decomposto tutte le culture, attaccato i valori che fanno la specificità delle civiltà, privato l’uomo delle sue appartenenze naturali, ridotto le nazioni a folklore. Quando pure, nella sua giovinezza e maturità, non ha distrutto, fisicamente, interi popoli. Dei suoi complici sono parte gruppi come Amnesty International, Human Rights Watch, gli altermondialisti, i neoglobal... altro che no global ! Dei suoi complici è parte il Tribunale Internazionale dell’Aja, responsabile dell’assassinio in carcere di Slobodan Milosevic e del massacro di Libia. Tribunale mobilitato oggi contro il popolo siriano, avallando con la sua «autorità» l’operato dei tagliagole e ponendo le premesse per un’ennesima guerra. Gli «aiuti umanitari» mascherano i più torbidi interessi, quando non dirette forniture di armi. Già disse Proudhon: «Chi dice umanità cerca di ingannarti».
Se non si capisce che l’universalismo è la tara di fondo, che non è mai esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè un «cittadino del mondo», che la «vera democrazia» esiste solo nella mente di Giove, che la democrazia è solo questa bieca democrazia reale, non si è capito nulla. La differenza non è più tra destra e sinistra, tra rossi e neri, e così via. La differenza è fra mondialisti e difensori del diritto dei popoli ad essere se stessi. Per distruggere le appartenenze al mondo reale – fatto di razze, stirpi, nazioni, popoli e Stati – tre sono le strategie dei Nemici degli uomini liberi.
(A) La prima è la distruzione armata degli Stati che non s’inchinano ai loro voleri: nel Vicino Oriente, in Africa, in America Latina. Ma anche in paesi europei come la Serbia. Le cito al proposito, non si potrebbe essere più chiari, il detto Glucksmann, quello dal caschetto argenteo a paggetto, sul Corrierone del 15 dicembre: «Il nuovo ordine mondiale ora passa anche per Damasco».
(B) La seconda sono le rivoluzioni colorate – arancioni, viola, gialle, rosa, verdi, dei tulipani e chi più ne ha più ne metta – contro l’Iran e i paesi ex comunisti: Serbia, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Russia (vedi le tre efebiche pussy riot, traduzione più cruda: “la rivolta della figa”), Georgia, Kirghizistan. «Rivoluzioni» studiate a tavolino da gruppi come la Fondazione Società Aperta del supermiliardario, guarda caso sempre ebreo, George Soros. L’affondatore della lira nel 1992. Il superspeculatore inventore dell’acronimo PIIGS nel 2010 coi confratelli Steven Cohen e John Paulson. Il compare di Prodi, da Prodi fatto premiare a Bologna con una laurea honoris causa.
(C) La terza è la strategia contro l’Europa. In quattro fasi: rieducazione dei suoi popoli mediante il lavaggio del cervello con le cosiddette «colpe» della guerra mondiale, in particolare la Fantasmatica Olocaustica; invasione migratoria; distruzione dello Stato sociale; riduzione in miseria dei suoi popoli. In particolare, dell’ultima fase sono artefici, attraverso colpi di Stato chiamati governi tecnici, i portaborse dell’Alta Finanza. Sempre quelli della «cittadinanza planetaria», dei predicatori della pace perpetua. Della pace eterna. Di tali golpe, due soli esempi. In Italia mister Monti, in Grecia un altro maggiordomo Goldman Sachs. E su tutto, l’occhio insonne del ciambellano Mario Draghi, già Goldman Sachs. Colpi di Stato coordinati dalle massime cariche istituzionali e avallati dalla quasi totalità dei politici, camerieri dei banchieri, complici consapevoli o semplici idioti.
Intervistato l’11 ottobre dalla TV siriana, l’ex generale libanese, cristiano, Michel Aoun, capo del Blocco per il Cambiamento e le Riforme, ha pronosticato che la Siria non cadrà. I paesi che cospirano non riusciranno a sottometterla: «La fermezza della Siria contro il complotto è molto forte, perché la crisi non ha potuto colpire il settore amministrativo, né quello giudiziario, né quello militare, nonostante tutte le enormi perdite umane ed economiche». RingraziandoLa per l’opportunità offertami, riassumo il senso della questione siriana in due frasi. 1° L’unica possibilità di salvezza per la Siria sta nel suo esercito, nei giovani militari in difesa del loro popolo; l’unica possibilità di non essere inghiottiti dalla cloaca dell’Occidente è Bashar al-Assad. 2° La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo della residua libertà.
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NOTE
Gianantonio Valli, nato a Milano nel 1949 da famiglia valtellinese e medico-chirurgo, ha ● pubblicato saggi su l’Uomo libero e Orion; ● curato la Bibliografia della Repubblica Sociale Italiana (19891), i saggi di Silvano Lorenzoni L’abbraccio mortale - Monoteismo ed Europa e La figura mostruosa di Cristo e la convergenza dei monoteismi, i libri di Joachim Nolywaika La Wehrmacht - Nel cuore della storia 1935-1945 (Ritter, 2003), Agostino Marsoner Gesù tra mito e storia - Decostruzione del dio incarnato (Effepi, 2009), Wilhelm Marr, La vittoria del giudaismo sul germanesimo (Effepi, 2011) e Johannes Öhquist, Il Nazionalsocialismo - Origini, lotta, Weltanschauung (Thule Italia, 2012); ● redatto la cartografia e curato l’edizione di L’Occidente contro l’Europa (Edizioni dell’Uomo libero, 19841, 19852) e Prima d’Israele (EUl, 19962) di Piero Sella, Gorizia 1940-1947 (EUl, 1990) e La linea dell’Isonzo - Diario postumo di un soldato della RSI. Battaglione bersaglieri volontari “Benito Mussolini” (Effepi, 2009) di Teodoro Francesconi; ● tradotto, del nazionalsocialista Gottfried Griesmayr, Il nostro credo - Professione di fede di un giovane tedesco (Effepi, 2011). È autore di: ● Lo specchio infranto - Mito, storia, psicologia della visione del mondo ellenica (EUl, 1989), studio sul percorso e il significato metastorico di quella Weltanschauung; ● Sentimento del fascismo - Ambiguità esistenzialesare Pavese (Società Editrice Barbarossa, 1991), nel quale sulla base del taccuino «ritrovato» evidenzia l’adesione dello scrittore alla visione del mondo fascista; ● Dietro il Sogno Americano - Il ruolo dell’ebraismo nella cinematografia statunitense (SEB, 1991), punto di partenza per un’opera di seimila pagine di formato normale: ● I complici di Dio - Genesi del Mondialismo, edito da Effepi in DVD con volumetto nel gennaio 2009 e, corretto, in quattro volumi per 3030 pagine A4 su due colonne nel giugno 2009; ● Colori e immagini del nazionalsocialismo: i Congressi Nazionali del Partito (SEB, 1996 e 1998), due volumi fotografici sui primi sette Reichsparteitage; ● Holocaustica religio - Fondamenti di un paradigma (Effepi, 2007, reimpostato nelle 704 pagine di Holocaustica religio - Psicosi ebraica, progetto mondialista, Effepi, 2009); ● Il prezzo della disfatta - Massacri e saccheggi nell’Europa “liberata” (Effepi, 2008); ● Schindler’s List: l’immaginazione al potere - Il cinema come strumento di rieducazione (Effepi, 2009); ● Operazione Barbarossa - 22 giugno 1941: una guerra preventiva per la salvezza dell’Europa (Effepi, 2009); ● Difesa della Rivoluzione - La repressione politica nel Ventennio fascista (Effepi, 20091, 20122); ● Il compimento del Regno - La distruzione dell’uomo attraverso la televisione (Effepi, 2009); ● La razza nel nazionalsocialismo - Teoria antropologica, prassi giuridica (in La legislazione razziale del Terzo Reich, Effepi, 2006 e, autonomo, Effepi, 2010); ● Dietro la bandiera rossa - Il comunismo, creatura ebraica (Effepi, 2010, pp. 1280); ● Note sui campi di sterminio - Immagini e statistiche (Effepi, 2010); ● L’ambigua evidenza - L’identità ebraica tra razza e nazione (Effepi, 2010, pp. 736); ● La fine dell’Europa - Il ruolo dell’ebraismo (Effepi, 2010, pp. 1360); ● La rivolta della ragione - Il revisionismo storico, strumento di verità (Effepi, 2010, pp. 680); ● Trafficanti di sogni - Hollywood, creatura ebraica (Effepi, 2011, pp. 1360); ● Invasione - Giudaismo e immigrazione (Effepi, 2011, pp. 336); ● Il volto nascosto della schiavitù - Il ruolo dell’ebraismo (Effepi, 2012); ● L’occhio insonne - Strategie ebraiche di dominio (Effepi, 2012, pp. 604);.Quale complemento di L’occhio insonne ha in preparazione ZOG - Governi di occupazione ebraica, cui seguirà Giudeobolscevismo - Il massacro del popolo russo, aggiornamento e rielaborazione della prima parte di Dietro la bandiera rossa.
Riconoscendosi nel solco del realismo pagano (visione del mondo elleno-romana, machiavellico-vichiana, nietzscheana ed infine compiutamente fascista) è in radicale opposizione ad ogni allucinazione ideo-politica demoliberale e socialcomunista e ad ogni allucinazione filosofico-religiosa giudaica/giudaicodiscesa. Gli sono grati spunti critico-operativi di ascendenza volterriana. Non ha mai fatto parte di gruppi o movimenti politici e continua a ritenere preclusa ai nemici del Sistema la via della politica comunemente intesa. Al contrario, considera l’assoluta urgenza di prese di posizione puntuali, impatteggiabili, sul piano dell’analisi storica e intellettuale.
09 Marzo 2013 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=19556