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lundi, 16 mai 2011

La fine dell'Europa

La fine dell’Europa

Luca Leonello Rimbotti

Ex: http://www.centrostudilaruna.it/ 

L’Europa sta vivendo il momento più tragico della sua storia trimillenaria. Siamo dinanzi a eventi di portata epocale che, secondo tutte le previsioni, condurranno nel giro di pochi decenni alla pura e semplice estinzione fisica dei nostri popoli. Questa drammatica situazione sta precipitando lungo un piano inclinato, privo di ostacoli e a velocità crescente. L’Europa, quale è esistita dal Neolitico agli anni Sessanta-Settanta del Novecento, sta rapidamente scomparendo sotto i nostri occhi. L’Europa della nostra nascita, della nostra cultura, delle nostre città, di tutti i nostri valori, non è più già oggi la stessa. E nel breve volgere di una generazione sarà un ricordo del passato. Sarà diventata un’altra cosa. A leggere il recente libro di Walter Laqueur Gli ultimi giorni dell’Europa. Epitaffio per un vecchio continente (Marsilio) c’è davvero da rabbrividire. Nessun allarmismo a effetto, intendiamoci, non si tratta di un instant book a sensazione. È semplicemente una riflessione basata sui fatti. Che atterrisce per le prospettive che squaderna, solo osservando i dati già acquisiti e quelli in dinamica evoluzione. La questione di vita o di morte si riduce a due semplici, ma esplosivi fattori: denatalità e immigrazione.

Laqueur dà qualche cifra e avanza osservazioni elementari su dati che sono pubblici, alla portata di tutti, ma che nessuno divulga: «Fra cent’anni la popolazione dell’Europa sarà solo una minima parte di quello che è ora e in duecento anni alcuni paesi potrebbero scomparire». E aggiunge che «alcuni hanno sostenuto che se l’Europa sarà ancora un continente di qualche importanza duecento anni da adesso, sarà quasi certamente un continente nero». Poiché i bianchi sono sterili, non fanno e non vogliono fare figli, mentre gli immigrati di colore sono fertilissimi e si riproducono a tassi esponenziali. Tutto vero, si dirà, ma insomma si tratta di proiezioni parecchio lontane, nulla di cui preoccuparsi oggi… Non esattamente. La catastrofe è già in pieno svolgimento e il cappio si chiuderà tra breve. E nel corso della nostra stessa vita avremo modo di verificarlo non per sintomi, magari anche gravi come sta già accadendo, ma per una travolgente evidenza. Secondo le stime della Comunità Europea e delle Nazioni Unite, che l’autore riporta, la Francia, nel corso del secolo XXI, passerà dagli attuali 60 milioni di abitanti a 43, il Regno Unito da 60 a 45, la Germania da 80 a 32, la Spagna da 39 a 12…

L’Italia poi, dagli odierni 57 milioni, si troverà a contarne 15 verso la fine del secolo. Occorre ovviamente considerare che i dati riferiti a queste proiezioni sulle popolazioni europee dei prossimi decenni contengono il fatto che moltissimi di quei cittadini non saranno altri che i figli di recente e recentissima immigrazione. Tanto che le popolazioni europee in calo vedranno velocemente elevarsi il numero dei propri concittadini di origine non europea: maghrebini, mediorientali, asiatici, africani… Laqueur attira non a caso l’attenzione sul fatto che il declino demografico relativamente contenuto che si rileva nei casi di Francia e Gran Bretagna dipende essenzialmente dal «tasso di fertilità relativamente alto nelle comunità di immigrati, neri e nordafricani in Francia, pakistani e caraibici in Gran Bretagna». Cioè: le previsioni sulle popolazioni europee del prossimo futuro non riguardano la popolazione bianca che in una parte sempre meno numerosa… I bianchi europei, come già accade negli Stati Uniti – che nel 2050 vedranno il gruppo ispanico prevalere su quello anglosassone, e quello nero avvicinarglisi sensibilmente –, vittime della loro denatalità conculcata dalla società del benessere e del profitto, stanno andando incontro a un rapido inabissamento, che presto ne farà una minoranza minacciata di estinzione sul suolo europeo.

L’Europa orientale, sulla quale qualcuno si poteva fare delle illusioni di tenuta demografica, è investita da una sterilità ritenuta addirittura più micidiale, “catastrofica” la definisce Laqueur, con percentuali di decrescita spaventose. La Russia in cinquant’anni vedrà ridursi la sua popolazione dei due terzi. L’Ucraina viaggia a un ritmo di perdita di popolazione stimato al 43%, la Bulgaria al 34%, la Croazia al 20%… Lo studioso di statistica demografica Paul Demeny, nella rivista Population and Development Review, ha osservato che «non c’è alcun precedente di un crollo demografico così rapido in tutta la storia umana». Questo veniva segnalato nel 2003. In cinque-sei anni le cose sono ulteriormente precipitate. A fronte di questa inaudita contrazione delle nascite, si erge un contro-dato terribilmente minaccioso: l’esplosività demografica del Terzo Mondo, e in particolare di quella fascia territoriale che sta a diretto contatto con le frontiere meridionali dell’Europa: Nord Africa, Africa sub-sahariana, Medio Oriente. Esistono studi e previsioni semplicemente agghiaccianti. Un solo esempio: lo Yemen, che oggi conta 20 milioni di abitanti, ne avrà oltre cento nel 2050. Cento milioni di yemeniti, in un Paese povero di tutto e privo di strutture agricole e industriali, evidentemente non rimarranno mai a casa loro. Si sposteranno in massa. Sì, ma dove? Laqueur risponde con eufemistica pacatezza: «ci sarà una pressione demografica sull’Europa ancora più forte». Il solo Yemen – uno dei Paesi più piccoli – ben presto avrà dunque un esubero di ottanta milioni di persone da indirizzare verso l’Europa.

Ma gli scenari tratteggiati da Laqueur riguardano anche altro. L’immigrazione in atto. Si tratta di una pietra tombale di fabbricazione mondialista, sotto la quale sta per essere tumulata l’idea stessa di Europa. Quella che dal dopoguerra in poi è stata prima un’emigrazione per lavoro, cui seguì il ritorno quasi generale in patria, dagli anni Ottanta è diventata una crescente infiltrazione, infine assumendo, in questi anni, i contorni dell’incontrastato arrembaggio di massa. Non diciamo frenato o regolamentato, ma neppure deplorato. Al contrario: i governi, la stampa, gli esponenti della letale “società civile” asservita ai suoi tabù, l’alimentano di continuo. A questi ambienti della sobillazione tengono dietro gli esecutori materiali. Cosche criminali, agenzie umanitarie, volontariati onlus debitamente sovvenzionati, Chiese: ecco i protagonisti di quella potente lobby – come la definisce Laqueur – che ha per tempo individuato nella sollecitazione della disperazione di massa e nel suo incanalamento verso l’Europa il business del secolo. Un neo-schiavismo che sradica il nero o il giallo, lo stipa nelle periferie degradate delle città portuali del Terzo Mondo, infine lo dirige verso le centrali dello sfruttamento turbocapitalistico di ultima generazione, operando la devastazione di ogni comunitarismo, sia nell’ospitante che nell’ospitato: con una criminalità reale e un umanitarismo di facciata (spesso unendo le due cose in un’unica intrapresa industriale), si ottiene così la spaventosa tratta, che ha come conseguenza matematica due avvenimenti simultanei: l’annientamento dei tessuti etnico-sociali delle millenarie culture europee; lo sgretolamento e la disumanizzazione delle stesse realtà terzomondiste attirate in Europa.

Laqueur fornisce prove a getto continuo. Per dire, anziché la tanto sbandierata integrazione – maniacale fissazione degli utopisti – presso le moltitudini immigrate si hanno delinquenza, asocialità, diserzione dallo studio e dal lavoro (massicciamente offerti dai governi, secondo binari preferenziali stabiliti dalle istituzioni europee a discapito secco delle popolazioni autoctone) e alla fine un oceano di odio. Un odio aggressivo e inestinguibile, che gli immigrati – specialmente i giovani – nutrono per tutto quanto è europeo. Ad esempio, le rivolte della banlieu parigina del 2005 furono causate da «l’odio per la società francese». La banda etnica delle periferie metroplitane arricchisce il quadro dei paradisi multiculturali. In Gran Bretagna si tratta di neri contro indo-pakistani, a Bruxelles di turchi contro africani, a Parigi di islamici contro ebrei… Il risultato delle politiche immigratorie, sottolinea Laqueur, è che ovunque «si è sviluppata una cultura dell’odio e del crimine».

Mentre i nostri governi applicano il principio dell’autolesionismo sistematico, dando privilegi sociali (sussidi, alloggi, lavoro, depenalizzazione dei reati, permissivismo sempre e ovunque), gli immigrati sfruttano i congegni legali offertigli su un vassoio d’argento. L’esempio tedesco: gli assistenti sociali «hanno insegnato ai turchi come approfittare delle rete di protezione sociale, il che significa ottenere dallo Stato e dalle amministrazioni locali il massimo possibile di assistenza economica e di altro genere con il minimo contributo possibile al bene comune». Integrazione? Per milioni di immigrati, ovunque in Europa, «i problemi sono gli stessi: ghettizzazione, re-islamizzazione, alta disoccupazione giovanile e scarso rendimento nelle scuole».

Le organizzazioni degli immigrati del tipo della potente Muslim Brotherhood – incoraggiate dagli europei e cavalcate da sciami di imam, leader etnici, predicatori – finiscono prima o dopo per «ottenere ciò che vogliono». E, mentre gli europei perdono mano a mano la loro identità, accade al contrario che gli immigrati rafforzino la loro: «I turchi in Germania rimangono turchi anche se hanno adottato la cittadinanza tedesca; il governo di Ankara vuole che essi votino alle elezioni turche, e allo stesso tempo che essi, ovunque vivano, difendano gli interessi della Grande Turchia che rimane la loro patria».

Nel frattempo, irresponsabili politici di tutte le sponde – ne sappiamo qualcosa noi in Italia – spingono per offrire al più presto il diritto di voto agli immigrati. Vogliono la fine dell’Europa. Vibrano di quella febbre suicida di cui parlò Spengler a proposito delle società corrotte, senili, morte dentro. Laqueur parla di declino irreversibile per l’Europa. Ci invita a fare un giro per Neukölln, La Courneuve o Bradford, concentrazioni urbane completamente extra-europee. E si chiede come mai «ci si sia resi conto così tardi di questo stato di cose». Ma noi chiediamo a lui: è sicuro che gli europei abbiano capito in che situazione si trovano? Ottenebrati dalla propaganda mondialista e dalla paura di incorrere nel tabù del “razzismo”, sapientemente evocato, gli europei guardano dall’altra parte. Questo bel capolavoro umanitario che è l’Europa multiculturale viene infatti perseguito agitando come bastoni alcune infernali parolette, dietro alle quali si ripara il trafficante europeo di uomini e di ideali: accoglienza, solidarietà, diritti umani, etnopluralismo… Queste parole ipocrite nascondono la violenza del senso di colpa instillato a forza nella nostra gente. Hanno il rintocco della campana a morto per l’Europa.

* * *

Tratto da Linea del 9 gennaio 2009.

 

Luca Leonello Rimbotti

dimanche, 15 mai 2011

Obama, le Pakistan, Ben Laden: des manoeuvres tortueuses...

Obama, le Pakistan, Ben Laden : des manoeuvres tortueuses...

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com/

Nous reproduisons ci-dessous une analyse de Jean-Paul Baquiast, publiée sur son site Europe solidaire, à propos de l'opération "Ben Laden" et de ses développements stratégico-médiatiques.

 

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Obama, le Pakistan, Ben Laden

Des nuages de fumées de plus en plus opaques continuent à être émis par les Etats-Unis pour camoufler aux yeux du monde les manoeuvres tortueuses impliquant les relations entre l'administration fédérale, le lobby militaro-industriel, le Pakistan, nombre d'autres protagonistes moins importants et dont l'affaire Ben Laden représente la partie émergée.

Nous avons dans un article précédent parlé d'enfumage, principalement dirigé contre ceux qui dans le monde entier ont le tort de chercher à comprendre le dessous des cartes. L'enfumage continue plus que jamais mais on peut regretter que Barack Obama, présenté à l'intérieur et à l'extérieur comme un parangon de bonne foi, en soit l'instrument sinon l'instigateur principal.

Il suffit de jeter un coup d'oeil sur les éditorialistes non alignés de la presse américaine pour se rendre compte que plus personne sauf les naïfs invétérés ne croit en Amérique au récit héroïque présenté par Obama lui-même en annonçant le coup de mains ayant permis de supprimer Ben Laden. Existait-il encore un personnage de ce nom doté du curriculum vitae que le renseignement américain lui avait inventé. Dans l'affirmative, à supposer qu'un Ben Laden très diminué ait survécu en se cachant à Abbottabad, près d'Islamabad, comment croire que tant le Pakistan que l'Amérique aient pu l'ignorer jusqu'à ces derniers jours. Mais s'ils ne l'ignoraient pas, pourquoi faisaient-ils comme s'ils l'ignoraient et pourquoi, subitement, manifestement de connivence, l'ont-ils fait disparaître un beau jour.

L'hypothèse la plus répandue, dans les médias américains non conformistes, est que le Pentagone, la CIA et Obama, les trois grands protagonistes de cette aventure, ont eu besoin du « mythe Ben Laden » pour justifier ces dernières années, non seulement une mobilisation permanente de type sécuritaire qualifiée de « global war on terror » mais l'occupation de l'Afghanistan. Il s'est cependant trouvé que le coût de la guerre, comme ses résultats de plus en plus désastreux, obligent Obama à précipiter le retrait. Mais devant l'hostilité de la CIA représentée par son omniprésent directeur Léon Panetta, comme plus généralement de celle du lobby militaire représenté par le Pentagone, qui n'auraient pas accepté un départ pur et simple, le trio a été obligé d'inventer un éclatant fait d'armes qui rendra dans les semaines à venir ce retrait beaucoup plus acceptable. L'économie budgétaire en résultant, comme sa nouvelle aura de chef de guerre, permettra ainsi à Barack Obama d'aborder se réélection dans de bien meilleurs conditions qu'auparavant. Il saura en compensation mettre un frein aux propositions de réduction du budget militaire qui continuent à circuler dans certains cercles démocrates. 

Il semble que Panetta ait été convaincu d'accepter ce deal. En tant que sympathisant démocrate, il devrait en principe « rouler pour Obama », que ce soit aujourd'hui ou demain. Mais la CIA se garde des biscuits si l'on peut dire. Elle vient d'annoncer que Ben Laden, loin d'être un grand malade inoffensif comme le prétendaient les conspirationnistes, préparait de nouveaux attentats sur le sol américain. La CIA dispose surtout de l' « immense » réserve des documents saisis sur les ordinateurs et disques durs de Ben Laden, qu'elle sera la seule à déchiffrer. Elle pourra donc annoncer au monde exactement ce qu'elle voudra pour justifier les politiques futures du Pentagone – Pentagone dont assez normalement Panetta devrait prendre la tête en remplacement de Robert Gates apparemment disqualifié. Il s'ensuit que la liberté d'action future de Barack Obama sera nécessairement très contrainte par les révélations que les militaires et les gens du renseignement jugeront bon de faire (nous allions dire d'inventer) à partir de tous les documents qu'ils analyseront.


Quant au Pakistan, bien malin, même à Washington, qui pourrait dire ce qu'il veut vraiment, compte tenu des diverses factions qui se disputent le gouvernement, dont l'ISI et l'armée ne sont pas les moindres. On peut penser que ces dernières années, il avait intérêt lui-aussi à encourager le mythe Ben Laden, peut-être en accord secret avec la CIA. Il ne pouvait pas cependant laisser supposer qu'en fonction de cet accord il protégeait directement ledit Ben Laden, aux yeux par exemple de l'Inde.

Mais aujourd'hui, plus que les survivances d'El Qaida, aujourd'hui, ce sont les Talibans qui importent aux yeux du Pakistan. Il semble que le départ américain étant désormais programmé, il lui est devenu impératif de s'entendre avec eux pour que l'Afghanistan à ses frontières occidentales continue à lui assurer un potentiel back-up à l'égard de l'Inde. Or Ben Laden n'était en rien apprécié par les Talibans, qui y voyaient plutôt semble-t-il une émanation de l'Arabie saoudite.


Certes, orchestrée par la classe politique unanime - et pas seulement par l'opposition -, la colère monte au Pakistan. Elle éclabousse à la fois les responsables du gouvernement civil et le tout puissant appareil militaire. On leur reproche indifféremment leur dissimulation ou leur aveuglement. Mais on peut penser qu'une fois sorti du guêpier que représentait la présence de Ben Laden, ces deux forces dirigeantes s'entendront à nouveau pour continuer à ménager l'Amérique tout en jouant divers double-jeux avec les gouvernements de la région.

Ce que nous continuons pour notre compte à trouver affligeant, c'est la candeur avec laquelle les Européens admettent le récit héroïque présenté par Obama lui-même, alors que, comme nous l'avons indiqué, un nombre croissant de ses compatriotes refusent dorénavant de le laisser duper.

Jean-Paul Baquiast (Europe solidaire, 9 mai 2011)

 

L'implosion de l'Union Européenne est programmée

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L'implosion de l'Union européenne est programmée

par Georges-Henri Bricet des Vallons

Ex: http://www.polemia.com/ 

« Si un aveugle guide un aveugle, tous les deux tomberont dans un trou. » Cette sentence biblique a inspiré le tableau de Bruegel l’Ancien, où l’on voit une procession d’aveugles liés les uns aux autres s’entraîner mutuellement vers le précipice. La parabole de Bruegel vaut pour le destin de l’Union Européenne, qui n’a jamais paru aussi précaire.

Notre inconscient collectif nous le murmure : l’UE, dans son organisation actuelle, est condamnée. Certains experts le savent et le disent, à l’instar de Joseph Stiglitz, de Jacques Sapir, de Christian Saint-Etienne, de Jean-Luc Gréau, d’Alain Cotta, de feu Maurice Allais, Nobel d’économie symptomatiquement dédaigné par notre intelligentsia pour crime de lèse-béatitude envers l’euro. Notre élite politique aussi le sait, mais elle le tait soigneusement. Il faut la comprendre, faire pièce à la vérité signifierait sa chute

L’euro, ce moteur de croissance zéro

L’euro, ce moteur de croissance zéro, ne sera bientôt plus qu’une poudre de comète, abîmée dans le vaste charnier d’une oligarchie supranationale qui s’est trop tôt rêvée toute-puissante. Se corrompre dans de telles illusions d’omnipotence et d’expansion indéfinie, c’est la justice que l’histoire réserve à tous les projets impériaux, même les plus technocratiques et les moins séduisants. L’extraordinaire revitalisation des mouvements populistes européens, que la doxa nous affirmait enterrés dans les sables de la Fin de l’histoire, souligne assez la marche à la mort de l’illusion euratlantique.

La fable « crisiste » n’empêchera pas les grands mensonges de tomber

Certes, la crise de 2008 a été un effet d’aubaine pour une partie de la classe politique qui s’est ingéniée à masquer sous les traits de la conjoncture ce qui relève en réalité de failles structurelles, systémiques, propres à l’architecture de l’Union. Il faut bien être naïf pour avaler la fable crisiste qu’on tente de nous vendre : avons-nous attendu 2008 pour subir la stagflation, les délocalisations, la désindustrialisation massive, le chômage de masse, une politique d’élargissement aberrante, une immigration massive qui a explosé à la fin du siècle dernier, c’est-à-dire au moment même où la lutte contre l’immigration devenait l’omega du discours gouvernemental, plongeant le débat médiatique dans une schizophrénie ravageuse, où le durcissement des paroles va de pair avec l’impuissance des actes ? 2008 n’aura fait que révéler ces lignes de failles, dont aucune n’a été colmatée. La machine s'épuisera dans des annonces de réforme impossibles à mener et pour cause, l’ordre même de l’Union l’interdit. L’épreuve d’enfumage aura duré deux décennies. Une durée de vie remarquable pour une malversation aussi patente. L’Union semble désormais aussi fragile qu’un enfant atteint de progéria. Voici venu le temps où vont tomber les grands mensonges.

Trou noir des dettes souveraines et faillite civilisationnelle

Le trou noir des dettes souveraines travaille à leur perte fatale les économies européennes. Deux événements survenus dernièrement soulignent l’effet d’accélération : d’abord la rétrogradation de la note des Etats-Unis par Standard & Poor’s, qui signifie que le séisme financier mondial n’a pas encore épuisé ses capacités de réplique, puis l’annonce, tout aussi inédite, par le gouvernement français de sa volonté de suspendre les accords de Schengen pour tenter de juguler, vainement, l’afflux de dizaines de milliers de jeunes Tunisiens. L’édifice craque de partout. La pitoyable querelle avec l’Italie dit la faillite civilisationnelle dans laquelle nous sommes engagés. Sur le plan économique, maintenant que les pions sont tombés (Grèce, Irlande, Portugal), le cercle du désastre s’élargit et ce sont les pièces de choix qui vont être mises en jeu. L’Espagne sera la prochaine à offrir sa tête au billot du Fonds de solidarité. Gageons que le couple franco-allemand, roi et reine de ce sombre échiquier, feront tout pour proroger la demande de soutien des ibériques, qui entraînerait inéluctablement l’effondrement de l’union monétaire.

Euro et Schengen : vers la fin de l’utopie sans frontiériste

Formidable entropie qui engloutira tout de l’utopie sans-frontiériste : l’euro et Schengen imploseront simultanément. L’effet de sidération qu’engendrera cette implosion dans les opinions publiques se traduira par une série de révolutions politiques internes. Un basculement que tous les sondages annoncent et dont 2012 va dramatiquement préciser les contours.

La coque du vaisseau amiral est trouée

On aimerait ne pas avoir à se réjouir de telles perspectives. Et pourtant, nombre de politiques avisés, défaits par le référendum de Maastricht, nous avaient mis en garde : cette autodestruction était inscrite dans le programme génétique même de l’UE et de l’idéologie supranationale. Nous serions nous bornés à une Europe des Douze, fondée sur des coopérations bilatérales, seule solution pour aboutir à terme à un ensemble politique et économique stable et cohérent, que nous n’aurions pas eu à redouter un naufrage aussi radical. Persistance des Cassandres. Inutile désormais de chercher à sauver un vaisseau-amiral dont la coque est trouée. La situation ne nous laisse d’autre choix que de nous préparer à abandonner l’embarcation. L’épreuve sera douloureuse à court terme mais salvatrice à moyen terme. La plaie a de toute façon suffisamment suppuré. Il est temps de parapher l’acte de décès et d’achever cette chimère malade ou c’est elle qui nous achèvera.

Georges-Henri Bricet des Vallons
Chercheur en science politique 6/05/2011

Correspondance Polémia – 10/05/2011

Image : implosion de l’Union européenne

 

Georges-Henri Bricet des Vallons

Der Mythos von Abbottabad

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Der Mythos von Abbottabad

Michael WIESBERG

Ex: http://ww.jungefreiheit.de/

Es ist Zeit, aus der medial verabreichten Jubel-Narkose in der Causa Osama bin Laden (OBL) aufzuwachen und den Verstand wieder einzuschalten. An dieser Stelle möchte ich ein wenig Starthilfe in Form von offenen Fragen und Gedankenspielen geben, die sich im Hinblick auf die Tötung des „Terrorfürsten“ aufdrängen, die in westlichen Medien als Heldenstück der US-Navy-Seals beziehungsweise als Ausdruck der Entschlossenheit von US-Präsident Obama verklärt worden ist.

Bilal-Stadt, der nordöstliche Vorort von Abbottabad und OBL letzter Aufenthaltsort, zirka 50 Kilometer Luftlinie von Islamabad entfernt, hat einen Militärbezirk, was unter anderem die Anwesenheit von Sicherheitspersonal und Geheimdienstmitarbeitern impliziert. Ibn Ladens Haus befand sich etwa 500 Meter entfernt von der pakistanischen Militärakademie Kakul. Fremde, die keinen militärischen Hintergrund haben, müssen hier über kurz oder lang auffallen. Überdies bot sich keine direkte Fluchtmöglichkeit in Richtung derjenigen Gebiete Afghanistans, die von der Taliban kontrolliert werden. Warum ist Ibn Laden samt Familie gerade hier untergetaucht?

Was passierte mit den Leichen der Familienangehörigen?

Neben Ibn Laden sollen weitere Personen umgekommen sein, angeblich auch ein Sohn Ibn Ladens. Was ist aus ihren Leichen geworden beziehungsweise wo sind diese Leichen? Warum hielt sich OBL ausgerechnet in einem auffälligen, „festungsartig“ ausgebauten Wohnkomplex auf, der die umliegenden, deutlich kleineren Häuser klar überragte? Naheliegend wäre es gewesen, eines der unauffälligen kleineren Häuser auszuwählen.

Die letzten Guantánamo-Dokumente, die via Wikileaks veröffentlicht worden sind, enthüllen, daß US-Geheimdienste seit längerem wußten, daß sich OBL und seine Familie oder Teile seiner Familie in Abbottabad aufhalten. Wurde das Kommandounternehmen vorzeitig vom Zaun gebrochen, um zu verhindern, daß Ibn Laden nach Bekanntwerden dieser Dokumente den Standort wechselt? Zur Erinnerung: Der Libyer Abu al-Libi, ein El-Kaida-Kurier, wurde am 2. Mai des Jahres 2005 in der nahe Abbottabad gelegenen Stadt Mardan verhaftet. Im Januar 2011 stellten Fahnder Umar Patek, einen der Planer des Attentats im Jahr 2002 auf der indonesischen Ferieninsel Bali, in Abbottabad. Abbottabad erfreute sich offensichtlich in El-Kaida-Kreisen einer gewissen Beliebtheit.

FBI-Fahndungsliste führt die Vorgänge von 9/11 nicht auf

Warum wird immer wieder behauptet, OBL sei der Drahtzieher der Anschläge vom 11. September 2001 gewesen, obwohl er laut FBI wegen dieser Anschläge gar nicht gesucht wurde? Laut Fahndungsliste des FBI – Danke an Rainer Rupp, das er darauf in der Jungen Welt erneut aufmerksam gemacht hat – wurde er wegen der Anschläge auf die US-Botschaften in Nairobi und Daressalam gesucht, nicht aber wegen der Vorgänge im Zusammenhang mit 9/11.

Wie bei den Anschlägen am 11. September 2001 wurde auch diesmal die Erhebung von wichtigen Beweismitteln verunmöglicht. Eine Obduktion der Leiche OBL beziehungsweise eine eindeutige Identifikation seiner Person durch unabhängige Experten konnte nicht stattfinden. Die digitale „Daten-Goldader“, die OBL angeblich hinterlassen haben soll, eröffnet den USA neue Optionen, dort zu intervenieren, wo diese es gerade für angezeigt halten. Diese Daten könnten der Generalschlüssel für einen „Krieg gegen den Terror“ werden, der alle Konventionen hinter sich läßt. Abbottabad wäre vor diesem Hintergrund zwar das Ende der Ära OBL, bedeutet möglicherweise aber den Auftakt für eine neue Ära des Antiterrorkrieges, mit dem die USA seit der Präsidentschaft von George W. Bush ihre geostrategische Interessen zu bemänteln suchen.

El Kaida, so eine der letzten Meldungen, soll in einem Posting in „islamistischen Internetforen“ bestätigt haben, daß die militärische Operation zur Tötung von OBL am Sonntag erfolgreich gewesen sei und hilft dem Weißen Haus damit, bösartige Verschwörungstheorien zu entkräften. Wie hilfreich! Bezeichnend bleibt das, was ein Sprecher des Weißen Hauses anmerkte, nämlich daß El Kaida damit nur das „Offensichtliche“ anerkenne. Auf die Frage nach weiteren Details der Operation erklärte er, es sei „extrem wichtig“ [!], daß er darüber nichts mehr sage. Dieser Sprecher wird seine Gründe dafür haben, warum er „darüber“ lieber nichts mehr sagt ...

Michael Wiesberg, 1959 in Kiel geboren, Studium der Evangelischen Theologie und Geschichte, arbeitet als Lektor und als freier Journalist. Letzte Buchveröffentlichung: Botho Strauß. Dichter der Gegenaufklärung, Dresden 2002.

En la muerte de Bin Laden

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En la muerte de Bin Laden

Ex: http://infokrisis.blogia.com/

Info-krisis.- El 2 de mayo han matado a Bin Laden. Peor fue lo del parque de Monteleón ese mismo día en 1808. De alguna manera se tenía que acabar con la historia improbable de un terrorista que durante 10 años ha mantenido en jaque a los servicios de inteligencia y a las policías de todo el mundo. Y lo he hecho un triste 2 de mayo. Hay algunas reflexiones que se me ocurre en este momento.

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Las cosas han cambiado mucho en los últimos 10 años. En 2001, cuando Bush utilizó los dos mil y pico muertos de las Torres Gemelas como excusa para emprender dos guerras coloniales, los EEUU todavía aspiraban a ser “la ciudad en la colina”, el país modelo de virtudes con su “destino manifiesto”, recompensado por Dios con la hegemonía mundial. Al menos eso se creía en el “cinturón de la Biblia” y entre los cristianos “renacidos”. Y con mucho más fundamento lo creían también los cerebros neoconservadores que, como el “primo de Zumosol” querían enseñar a diestro y siniestro como se mantiene una “voluntad de imperio” (con minúsculas) rentable para los negocios.

Pero de 2001 a 2011 han ocurrido muchas cosas: el ascenso de China y de los países emergentes, la gran crisis económica de 2007, la recomposición de Rusia, las revueltas árabes, el empantanamiento en Irak y Afganistán y, sobre todo, una deuda interna que supera el 14% del PIB norteamericano y que no hay forma de disminuir, han hecho que cada vez más se tambalee la posición de los EEUU tanto en el exterior como incluso en el interior.

Por otra parte, los idus de la crisis han llegado, pero no han pasado. Y en la Casa  Blanca, hoy se respira un ambiente ligeramente más realista: los EEUU tienen los días contados como potencia hegemónica mundial. De hecho, si hoy no se han declarado en quiebra es gracias a las inyecciones diarias de fondos en las Bolsas norteamericanas, fondos que vienen de China, petrodólares, euros, libras esterlinas, etc. Obama parece el hombre que si logra mantenerse otros cuatro años en el poder tendrá el triste honor de certificar la quiebra del “imperio norteamericano” y ser su enterrador oficial. Esa quiebra es hoy irreversible y los EEUU como todo imperio morirá por su poder hipertrófico y su gigantismo.

Pero, además, incluso la única oposición digna de tal nombre que tiene Obama, el Tea Party, ya no cree siquiera en el “terrorismo internacional”. Para ellos, la verdadera amenaza es el “comunismo”. Allí se entiende por “comunismo” lo que aquí quiere decir “socialismo” y allí lo que aquí se considera “socialdemocracia” es llamado también “comunismo”. Por eso no puede extrañarnos que el Tea Party (véase el artículo http://info-krisis.blogspot.com/2011/03/el-ultimo-grito-de-la-derecha.html) se manifieste incrédulo ante el “terrorismo internacional” y haya introducido un giro en los sectores neoconservadores norteamericanos: el “enemigo” no es ya el “fundamentalismo islámico”, sino el “comunismo” porque “ya está en el poder con Obama”. ¿La prueba? La miserable reforma de la sanidad norteamericana considerada como iniciativa “socialista”. El “enemigo” ya no es el “terrorismo internacional” sino el “comunismo anidado dentro de la administración gracias a Obama.

Si Al-Qaeda sirvió para que ese mastuerzo analfabestia que fue Bush pudiera prestigiarse a costa de ejercer como “master and commander” y si utilizó los extraños ataques del 11-S para declarar sus dos guerras de conquista que han enriquecido extraordinariamente a sus amigos del complejo militar-petrolero-industrial y han sumido un poco más a los EEUU en el pozo sin fondo del déficit, a Obama, ni Bin Laden, ni Al-Qaeda le servían absolutamente para nada. Además no eran cosa suya. Era necesario, pues, dar el carpetazo final, a la primera oportunidad. Y esta se ha presentado el 2 de mayo de 2011.

Poco importa quién ha muerto en Pakistán, si es que ha muerto alguien, y poco importa si es el auténtico Bin Laden o un actor, o un muñeco de goma. Siempre quedará la duda. Lo han hecho de tal manera que ya en los momentos de escribir estas líneas se especulan con tres o cuatro versiones diferentes de la “operación”, contradictorias entre sí. ¿A quién se le ocurre “enterrar el cadáver en el mar”? ¿Tanto cuesta meterlo en el pasapuré? ¿Y qué me dicen de la menos truculenta cremación que siempre permite esparcir las cenizas sin dejar rastros? Aunque lo normal hubiera sido que habiendo cometido atentados –presuntamente– en medio mundo, el cadáver fuera presentado a la “comunidad internacional” para que ésta pudiera determinar que, efectivamente, se trataba de aquel que los Seals pretendían que se trataba y que el ADN recogido correspondía al del cadáver.

Los EEUU han llevado el desenlace del Caso Bin Laden tan mal como construyeron al personaje. Si éste ha podido pasar como fundador de una extraña “franquicia” terrorista ello ha sido posible gracias a la credulidad de una población anestesiada y por la presión psicológica de unos medios de comunicación en su mayoría acríticos. El Caos Bin Laden coleará durante años y las versiones que aparecerán sobre su muerte serán tan misteriosas como todo lo que ha rodeado al personaje desde hace 20 años.

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Había prisa en los últimos tiempos en pasar la página Bin-Laden. De un lado porque en los últimos 20 días, el presidente Obama está asaeteado por quienes dudan si nació en el corazón de África o si nació en Haway. Este era un buen momento para borrar a Bin Laden en la seguridad de que esta noticia taparía a cualquier otra, y acallaría las dudas sobre el presidente.

De otro lado, algo está pasando desde hace seis meses en el mundo árabe cuya importancia aún no puede valorarse, pero, en cualquier caso no conviene dejar atrás una pieza como Bin Laden a través del cual ya no se puede explicar nada: porque en ninguna de estas revueltas árabes ha aparecido Al-Qaeda, ni franquiciado alguno. Y si eso es así –y así es, porque de haber sido otra cosa los medios lo hubieran alardeado en portada y a grandes titulares– es evidente que el fundamentalismo islámico, aún existiendo, no tiene nada que ver con una Al Qaeda que nadie sabe dónde está.

Si Al Qaeda existiera, su presencia habría sido notable en las revueltas árabes. No lo ha sido. Al Qaeda es el gran ausente de las convulsiones árabes, simplemente porque no tiene entidad real, ni probablemente la haya tenido nunca más allá de unas docenas de islamistas chalados y sin dos dedos de frente dispuestos a ser manipulados o a llevar la reivindicación de un atentado y pensar que lo han cometido (hoy mismo El País –aprovechando- recordaba que las pistas del 11-S pasan por España… algo que ningún tribunal ha conseguido demostrar jamás).

Y, ahora, cuando están emergiendo nuevos gobiernos en el mundo árabe lo peligroso para EEUU sería seguir fomentando el antiislamismo que emana sin esfuerzo de la presencia hasta hace unas horas de Bin Laden en la foto de los 10 hombres más buscados en aquel país.

*     *     *

Por todo esto era un buen momento para eliminarlo: los norteamericanos reforzaban su confianza en un presidente que medio año después de su elección ya había caído en picado y sigue sin remontar; las “primaveras árabes” exigían que las baterías se apuntaran hacia otra parte. Y, por lo demás, el horno económico no está para bollos: EEUU tiene que emprender la retirada de Irak este verano y la de Afganistán en breve, a pesar de que hoy la situación sea mucho más inestable en ambos países que hace una década. Hace quince días ni siquiera había dinero para pagar a los funcionarios de Washington (y los marines son considerados funcionarios). Ahora, con la “misión cumplida” (Bin Laden muerto), los EEUU pueden hacer más presentable su retirada de Irak y la futura de Afganistán.

Por todo eso era preciso que Bin Laden –un hallazgo para las “operaciones psicológicas” del Pentágono que ya no tenía lugar ni en la nueva línea de la administración norteamericana, ni siquiera en el acervo doctrinal de la oposición conservadora del Tea Party–, desapareciera para siempre, rindiendo un último servicio a la Casa Blanca. Y lo ha hecho un 2 de mayo. Lo dicho, peor fue lo del parque de Monteleón. Y además fue de verdad…

© Ernest Milà – infokrisis – infokrisis@yahoo.eshttp://infokrisis.blogia.comhttp://info-krisis.blogspot.com – Prohibida la reproducción de este texto sin indicar origen

samedi, 14 mai 2011

Wer war Osama bin Laden?

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Wer war Osama bin Laden?

Prof. Michel Chossudovsky

Der im Folgenden wiedergegebene Artikel »Wer ist Osama bin Laden?« wurde am 11. September 2001 entworfen. Am Abend des 12. September 2001 wurde er erstmalig auf der Global-Research-Internetseite veröffentlicht. Seit 2001 wurde er von zahllosen Internetseiten übernommen. Der ursprüngliche Eintrag gehört zu den am meisten gelesenen Internetartikeln im Zusammenhang mit al-Qaida.

Nur wenige Stunden nach den Terroranschlägen auf das World Trade Center und das Pentagon kam die Regierung Bush ohne stichhaltige Beweise zu dem Schluss: »Osama bin Laden und seineOrganisation al-Qaida sind die Hauptverdächtigen«. CIA-Direktor George Tenet erklärte, bin Laden sei in der Lage, »mehrere Anschläge mit nur geringer oder gar keiner Vorwarnung« zu planen. Außenminister Colin Powell bezeichnete die Anschläge als einen »kriegerischen Akt«, und Präsident Bush machte in einer am Abend vom Fernsehen ausgestrahlten Rede an die Nation deutlich, er unterscheide »nicht zwischen den Terroristen, die diese Verbrechen begehen, und denjenigen, die ihnen Unterschlupf gewähren«. Der frühere CIA-Direktor James Woolsey bezog sich explizit auf »staatliche Unterstützung«, was die Komplizenschaft eines oder mehrerer Staaten nahelegte. Und der frühere Nationale Sicherheitsberater Lawrence Eagleburger formulierte: »Meiner Ansicht nach werden wir beweisen, dass wir schreckliche Vergeltung üben, wenn wir so wie jetzt angegriffen werden.«

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/enthuellungen/pr...

 

 

Mayotte, département français: une calamité!

Par Robert Spieler (*)

MAYOTTE.gifMayotte, ce confetti situé dans le canal du Mozambique, entre Madagascar et l’Afrique, est devenue le 101ème département français, le 4 avril 2011, suite au référendum du 29 mars 2009 : une calamité…

 

Un peu d’histoire :

 

Mayotte, située dans l’archipel des Comores ne représente qu’une surface minuscule (374 km2) : deux îles entourées d’un récif corallien et d’un magnifique lagon. On la surnomme l’île aux parfums, tant la présence de l’ylang-ylang, utilisé en parfumerie, est abondante. Les Comores sont, au XIXème siècle, l’objet de luttes incessantes entre roitelets locaux. Elles survivent avec peine grâce au trafic d’esclaves à destination du Moyen-Orient. Un sultan malgache, qui règne sur Mayotte, appelle au secours un Français, le commandant Pierre Passot. Et cède son île à la France pour la modique somme de 1 000 piastres. L’archipel ne représente en réalité aucun intérêt pour la métropole : éloigné des grandes routes maritimes, pauvre, sans ressources, il n’intéresse guère l’administration coloniale. Mayotte, une des îles de l’archipel (il y a aussi Anjouan, Grande Comore et Mohéli) ne compte que 3 000 habitants.

 

La situation administrative des Comores perdurera jusqu’en 1968, où la France lui concède une large autonomie interne, prélude à l’indépendance. Mais les maladresses vont succéder aux maladresses. Jacques Foccart, l’homme ‘Afrique ‘ de De Gaulle choisit un riche commerçant, Ahmed Abdallah, de l’île d’Anjouan, concurrente de Mayotte pour diriger le pays. Les Mahorais ont peur de ce tyranneau et, pour s’en protéger, proclament leur attachement indéfectible à la France. Un référendum décisif a lieu le 22 décembre 1974. Les Mahorais se prononcent à 63% contre l’indépendance, les autres Comoriens votent à 95% pour. Dès lors, le problème devient inextricable. La grande majorité des Comoriens a voté pour l’indépendance. On arrête là ?  Non, au mépris du droit international, et aussi sur la pression de groupes « nationalistes » français, notamment royalistes (Pierre Pujo et Aspects de la France furent très actifs dans ce lobbying), qui s’émerveillent de voir le drapeau tricolore flotter sur tous les continents, la calamité nationale Giscard d’Estaing, deux ans avant le « regroupement familial », décide de reconnaître à Mayotte le droit de vivre sa vie. Sa vie au sein de la France. Le 8 février 1976, les habitants de Mayotte votent par référendum à 99% en faveur de l’intégration à la France.

 

Depuis lors, Mayotte est administrée par des fonctionnaires venus essentiellement de métropole.

 

Les conséquences

 

Mayotte, qui comptait en 1841, 3000 habitants, en compte aujourd’hui 200.000, tous musulmans. Toutes les nuits, à partir de l’île d’Anjouan, distante de cinquante kilomètre, des comoriennes sans papier embarquent, enceintes, dans des embarcations de fortune, les kwassa-kwassa pour venir accoucher à Mayotte, c'est-à-dire en France. Et c’est à Mamoudzou, chef-lieu de la collectivité territoriale, que se trouve la plus grande maternité de France : 5000 naissances par an sur un total de 8000. Les comoriennes ne sont, au demeurant, pas les seules à débarquer. Des malgaches, des africaines qui viennent faire bénéficier leurs enfants du droit du sol … Inutile de relever qu’il y a un fossé culturel entre Mayotte et la France. Il y a quelques années, on pouvait lire sur les feuilles d’impôts de l’île « première femme », « deuxième femme » dans la liste des personnes à charge à déclarer…

 

Grâce à Mayotte, le Ministère de l’Intérieur peut se targuer de chiffres quelque peu valorisants de reconduite à la frontière de clandestins. Mais ces chiffres n’ont aucune signification. Tous les matins, la police procède à l’arrestation de clandestins dans les villages de brousse.  Qui sont expulsés et reviennent tranquillement dans les semaines qui suivent. On en voit même qui, désireux de retourner à Anjouan, pour un décès ou une fête de famille, se rendent d’eux-mêmes à la gendarmerie pour réclamer leur rapatriement en avion ou en bateau. Tous frais payés. Et qui reviennent derechef…

 

Quant au système éducatif, il est en toute première ligne pour encaisser le choc de cette natalité considérable et de cette immigration massive. Beaucoup ne sont pas francophones. On bricole pour faire face. On recrute des instituteurs au niveau du bac. On instaure un système de rotation : la moitié des classes viennent de 7 à 12h20, l’autre moitié de 12h30 à 17h40. Pour suivre, il faudrait construire trois collèges par an ! Et combien de lycées demain ?

 

La délinquance progresse, quant à elle, de façon spectaculaire. On envisage la construction d’une deuxième prison. Le nombre d’enfants ou d’adolescents livrés à eux-mêmes est énorme. Les conditions d’hébergement du centre de rétention épouvantables. Un apartheid de fait existe à Mayotte : des quartiers habités par les blancs, ultra protégés. Quant aux autres…

 

Mayotte est de fait, en état de faillite. Prendre en charge cette île va coûter des sommes astronomiques. Il y a certes, sans doute, de l’argent à faire, au profit de certains privilégiés, à Mamoudzou. Pour des banquiers, des entrepreneurs de travaux publics, des fonctionnaires. On s’apprête à construire un hôtel de luxe… Et des écoles, et des prisons, et sans doute demain un somptueux Hôtel du Département… L’essentiel de cette « richesse » qui se déversera sur l’île proviendra, bien sûr, de la poche des contribuables français.

 

Quelle folie que Sarkozy se soit engagé dans la départementalisation ! En ce 35ème anniversaire du regroupement familial, voulu par Chirac et Giscard d’Estaing, désignons cette droite méprisable, collaborationniste, qui trahit les intérêts de notre Peuple. Et considérons que c’est elle, l’ennemi principal…

 

(*) Tribune libre publiée dans Rivarol n°2995 (30 avril 2011)

 

Source : le blog de Robert Spieler, cliquez ici

 

vendredi, 13 mai 2011

Gefangennehemen und töten

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Gefangennehmen und töten (»capture and kill«) – eine Präsidentenorder im Widerspruch zum Menschenrecht

Wolfgang Effenberger

Nachdem US-Präsident Barack Obama mit seiner Außenministerin Hillary Clinton und weiteren Mitarbeitern am späten Sonntagabend des 2. Mai die Operation im pakistanischen Abbottabad live verfolgt hatte, trat Obama eloquent vor die Kameras und den Teleprompter. Über zehn Minuten verkündete er in einer wortgewandten und bilderreichen Rede die Tötung des Staatsfeindes Nr. 1 – des seit 1998 gesuchten Chefs des islamistischen Terrornetzwerks Al-Kaida, Osama bin Laden. Zuletzt waren 25 Millionen Dollar Kopfgeld auf ihn ausgesetzt.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/wolfgang-effenberger/gefangennehmen-und-toeten-capture-and-kill-eine-praesidentenorder-im-widerspruch-zum-menschenr.html

jeudi, 12 mai 2011

Der Krieg in Libyen, amerikanische Macht und der Niedergang des Petrodollar-Systems

Der Krieg in Libyen, amerikanische Macht und der Niedergang des Petrodollar-Systems

Peter Dale Scott

Der gegenwärtige Kampfeinsatz der NATO gegen Gaddafi in Libyen hat sowohl unter denjenigen, die diesen wirkungslosen Krieg führen, als auch unter denen, die ihn beobachten, für große Verwirrung gesorgt. Viele Menschen, deren Ansichten ich normalerweise respektiere, halten dieses Vorgehen für einen notwendigen Krieg gegen einen Verbrecher – wobei einige Gaddafi als den Verbrecher sehen, andere dagegen auf Obama deuten.

Nach meiner persönlichen Auffassung ist dieser Krieg geleichermaßen schlecht durchdacht und gefährlich – er bedroht die Interessen der Libyer, der Amerikaner, des Mittleren Ostens und durchaus vorstellbar auch der ganzen Welt. Neben dem vorgeschobenen Anliegen der Sicherheit der libyschen Zivilbevölkerung gibt es noch einen verborgeneren Beweggrund, der kaum offen zugegeben wird: die westliche Verteidigung der derzeitigen weltweiten Petrodollar-Wirtschaft, die im Niedergang begriffen ist.

Die Verwirrung in Washington, zu der das Fehlen jeglicher Diskussion über ein vorrangiges strategisches Motiv für eine amerikanische Einmischung passt, steht symptomatisch für die Tatsache, dass das Ende des »Amerikanischen Jahrhunderts« gekommen ist und es auf eine Weise zu Ende geht, die einerseits auf lange Sicht vorhersehbar ist und andererseits sprunghaft und unkontrollierbar in den Einzelheiten erfolgt.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/peter-dale-scott/der-krieg-in-libyen-amerikanische-macht-und-der-niedergang-des-petrodollar-systems.html

 

 

mercredi, 11 mai 2011

Africa and the New World Order

Africa and the New World Order

 
 
africommap.jpgTo paraphrase Harold Macmillan, a “wind of change” is blowing through Africa. But, unlike 1960, when the former British Prime Minister made his famous remark, the wind today is not that of a growing national consciousness in the mud huts and shanty-towns, but instead the stiff breeze of a new kind of Neocolonialism.

Already this year, we have seen significant events in three places: Sudan, Libya, and most recently Ivory Coast, where the country’s President, Laurent Gbagbo was successfully removed from power with the active military participation of France and the United Nations. In these three cases we can see the emerging lineaments of a new modus operandi in Africa, one that secretly recognizes the limitations of African society and under a false flag of humanitarian concern ruthlessly exploits what the continent has to offer.

To understand what is happening, we need to bear in mind Africa’s very specific role in the greater global economic order. In fact, this also explains a lot about its history. In order to maximize economic efficiency in the last few decades, the world has seen a major separating-out of the key economic functions, rather like the division of labour described by Adam Smith in The Wealth of Nations, and while any racial implications in this reorganization are strenuously denied, much of it is based on the inherent characters of different national and racial groups.

For example, the qualities of the Germans and the Asians have marked them out as the world’s premier manufacturers; while the individualism, extravagance, sense of entitlement, and former economic greatness of North Americans and some Europeans make them the perfect global consumer class. While many may look askance at citing consumption as an important economic function, in our overproducing global economic system it is vital. Without the massive trade deficits of the West, the rest of the World would be sunk. Indeed, it is the world’s overwhelming need for a major consumer that more than anything shores up America’s increasingly hollow power.

It may have been the dawning sense of this new global “division of labour” that hastened the removal of the old colonial system from Africa rather than any impetus caused by the largely feeble efforts of African nationalism. Although colonialism certainly taught the African to hate the White man by driving home his inferiority in a number of key indices, anyone who has lived in Africa, as I have, will know that petty tribalism, and not broad-based nationalism, has been and is always likely to be the driving force in that considerable part of the world.

So, what use does the global economic order have for Africa? Sadly, the Africans are terrible producers, lacking the precision, conscientiousness, group ethic, and self-sacrificing qualities needed to constitute a hard-working, reliable industrial population. Not to mention the issue of IQ! They are equally inept when it comes to consumption, and not only because of their proverbial penury and otherwise laudable penchant for reusing every piece of junk that comes their way. Even when they have money to burn, they seem more attracted to simple bling than to acquiring the wide variety of gizmos, gadgets, home appliances, bric-a-brac, and exotic interests that support vast export industries. The lack of protection accorded property in Africa also plays an important role in disqualifying them from this key economic function.

This means that Africa’s economic destiny is simply to be a raw material source—oil, gas, minerals, and a few tropical crops—something for which its still relatively virgin vastness makes it an ideal candidate. In the past this was always the case, although then it was gold, ivory, and slaves that slowly turned the wheels of commerce. Nobody thought the continent was worth bothering about beyond this, especially the Sub-Saharan portion. That was until the discovery of the Americas, two virgin continents that proved eminently more developable.

The tragic shortage of labour in the fast developing New World, in large part caused by European diseases, led to the unfortunate institution of the trans-Atlantic slave trade, and while the labour mobilized at the crack of whip played a key role in working sugar cane plantations and silver mines, the partial success of the system also fostered the mistaken belief among Europeans that Africa and the Africans had the same sort of economic potential as anywhere and anyone else in the World. All it would take would be a few guns, Bibles, and copies of Samuel Smiles Self-Help to turn Bulawayo into Chicago.

This is how 19th-century colonialism really should be seen—as a vote of confidence by Europeans in the capabilities and ultimate potential of the Black man. Without the belief that the African could ultimately become just as economically upstanding as the European or Asian, the great 19th-century wave of colonization and investment in the Dark Continent would never have happened.

Harold Macmillan’s Winds of Change speech probably marks the point when European colonialists and capitalists realized that the game was up and that, for one reason or another, Africa was never going to be America or Japan, leapfrogging from wilderness or agrarian backwater to economic greatness.

Once the colonialists upped sticks, merely allowing Africa to revert to its wild state was not an option. In the period before colonization, various goods from the interior had naturally trickled down to the European and Arab trading posts and forts dotted along the coast. However, in the post-colonial period the kind of amounts produced by this process were wholly insufficient. Although the flags were lowered, Africa had to be kept on tap. This is what determined the characteristics of Neocolonialism: a system that could get the raw materials out more efficiently than the natives would left to themselves. Absolute efficiency was not required as that would simply flood the market and reduce profits, but some quickening of Africa’s natural tendencies was required.

The characteristics of the system of Neocolonialism that emerged included:

  1. Creating and maintaining vast ethnic and tribal patchwork states that ignored the principle of local self-determination

  2. Fostering tribal divisions to keep the states weak, encourage tyranny, and to exert leverage on the rulers

  3. Various forms of bribery, including corporate bribery, foreign “aid,” and other incentives

  4. Granting major Western corporations carte-blanche exploitation rights and allowing them access to cheap unskilled labour to supplement imported skilled labour

  5. Occasional, low-key military intervention

The most successful African dictators, like the Congo’s Joseph Mobutu and Ivory Coast’s Félix Houphouët-Boigny, realized that their role was to facilitate raw material extraction, rather than develop their countries or challenge the ex-colonial masters. They instinctively understood that their slice of the profits should be used in ways the Neocolonialists found non-threatening—depositing the money in Swiss banks, for example, importing European haute-couture, or building shining palaces or cathedrals in the jungle.

Mobutu and Nixon

Joseph Mobutu and Richard Nixon, 1973

But Neocolonialism could only work when applied to weak states, of which Africa has plenty. Some African rulers, buoyed up by Islam, Communism, or Arab Nationalism, could escape its grasp. Examples here include Nasser in Egypt, Gaddafi in Libya, and Mengistu in Ethiopia. Against such rulers, Neocolonialism could do little except play a waiting game.

Nor was Neocolonialism always negative. Under its first president Houphouët-Boigny, Ivory Coast saw particularly good relations with its ex-colonial power, France, and the development of the country’s coffee and cocoa crops, with a large influx of foreign labour from poorer Northern countries like Burkina Faso and French experts who helped run everything from the army and economic planning to the cocoa harvest. This gave the country one of the highest standards of living in post-colonial Africa, leading to the term “The Ivorian Miracle,” although problems started to set in following the slump in the price of its main export cocoa in the 1980s.

Many of the coups and revolutions in post-colonial African history that otherwise look so random and pointless, and seem like the result of tribalism or over-ambitious army officers, start to make more sense in the context of Neocolonialism. Ivory Coast is a good example. In 1999, Houphouët-Boigny’s successor, Henri Konan Bédié, was removed by a coup; while in 2002 an attempted coup tried to remove Laurent Gbagbo, and ended up splitting the country into Northern and Southern halves. Unlike their esteemed predecessor, both these leaders succeeded in antagonizing France, most noticeably by attempting to shore up their positions through mobilizing resentment against immigrant labourers and foreign economic interests.

But old-fashioned Neocolonialism of the type that was behind removing Bédié and putting and keeping Mabuto in power in the Congo had to rely on low-key opportunism and subtle methods. The public back home could not be made too aware of the bribery, contacts with thugs and tyrants, weapons smuggling, and occasional employment of small groups of mercenaries. The environment of the Cold War also meant that Neocolonialism had to tread softly, so much so that even petty dictators like Robert Mugabe, who could benefit from the crutch of having a White population to oppress, were able to defy it.

But the soaring need for African commodities combined with the festering apathy of Africans, who, after 50 years of being tyrannized and brutalized by their own kind, have largely lost their faith in the dream of independence, has led to a major revamping of Neocolonialism, so much so that it has effectively become something else that can best be termed “Global-colonialism” because (a) it is designed to subordinate Africa to the global division of economic functions, (b) the moral justification for the system hinges on globalist “humanitarian values,” and (c) its chief agents are the key globalist nations, America, Britain and France.

The system retains many of the methods of Neocolonialism, including setting tribe against tribe, extensive bribery, weapons smuggling, and giving the green light to those with their own axe to grind. But there are also important differences:

  1. Unlike Neocolonialism, which preferred long-term rulers and only sought to remove leaders who were uncooperative, Global-colonialism has a preference for shorter-term leaders and places more emphasis on elections. This actually creates more leverage as rulers constantly need the endorsement of the West. Even if elections produce the “wrong” result, they can always be declared invalid due to ballot fraud or corruption as these phenomena are always present in any African election.
  1. While Neocolonialism tended to be low-key and avoided publicity, Global-colonialism is noisy and demonstrative. It always tries to involve the media, which is one of its key arms. (In the event that the individuals and groups it elevates turn out to be Al-Qaeda sympathizers or genocidal thugs, expect Orwellian U-turns and the full exploitation of the public’s short attention span and near total ignorance of Africa.)
  1. Global-colonialism is prepared to use much greater military force. This includes the smuggling of larger quantities of arms than before, as well as higher calibre weapons, such as the Ukrainian tanks the U.S. was caught smuggling to the Southern Sudanese rebels through Kenya in 2008. It also includes direct military intervention of the kind that removed Gbagbo and prevented Gaddafi crushing the Libyan rebellion. There is a preference for air power and specialist ground forces rather than the kind of heavily involved military intervention that has occurred in other parts of the world. Cost may be a factor. Nevertheless, this is certainly a step up from the old days of “The Dogs of War.”
  1. To justify such military action, “human rights” and “protecting the civilian population” are tirelessly invoked. However, such “Totalitarian Humanism” can be applied very selectively, as we see in the case of Ivory Coast, where massacres by the French- and UN-approved rebels did not result in any military action being taken except on behalf of the same rebels.
  1. There is a willingness to change borders as seen in Sudan and the suggestion that Libya too might be partitioned.
  1. Perhaps because the system is new, Global-colonialism places great importance on getting someone—indeed anyone—to sign the chit for its actions. This is supposed to give a disinterested gloss to any intervention. Ideally, the signer should be the United Nations, but other suitable candidates include the African Union, the Arab League, or even, I suspect, the local chapter of the Abidjan Boy Scouts.

Global-colonialism can be seen as a combination of three separate pre-existing strands: (i) Neocolonialism, (ii) the kind of humanitarian intervention pioneered by the United Nations Mission to Sierra Leone in 1999, and (iii) a more cynical but equally virulent form of the old neocon crusading spirit.

The element of humanitarian intervention, oddly enough, has rock n’ roll roots, stemming from the naïve do-goodism of Bob Geldof’s Live Aid and other efforts by pop stars like Bono to “improve” the world without touching their own bank balances. This has played a significant role in seeding the idea among the wider public and giving Global-colonialism its strong pseudo moral imperative.

Given Neocolonialism’s preference for large ethnic patchwork states, Global-colonialism’s willingness to change borders is noteworthy. This has its precedents in the campaign to help the Kosovars and Montenegrins break away from Serbia, but seeing this concept applied to Africa in the case of Sudan is intriguing. If followed to its logical conclusion, the decision to support the creation of new states based on local ethnic factors would lead to practically every border in Africa being redrawn, with the creation of dozens, if not hundreds, of new statelets. Clearly this would remove a useful mechanism for imposing effective tyrannies over large areas or destabilizing and removing leaders it did not like, so why has Global-colonialism supported it in this case?

Blair and GaddafiThe PR men for Global-colonialism would claim that, after decades of civil war and millions of deaths, partition is the only way to “save human lives” and achieve a “lasting peace.” But this ignores the fact that both the states created by this division will still be ethnic patchworks. A more likely explanation is that, in addition to wishing to humiliate Khartoum, the Global-colonialists are simply removing an overly polarizing division that serves to unite the diverse groups on either side of the divide. With the non-Muslims in the South out of the way, the simmering divisions between the Muslim Furs, Nubians, Bejas, and various Arab-speaking groups in the North will move to the fore; while, in the same way, in the new state of South Sudan ethnic divisions long suppressed by the need to fight Islamic oppression will also bubble to the surface. This, in effect, creates much better conditions for the profitable exploitation of the oil fields in the region.

Global-colonialism means that no African ruler can now count himself safe. This was vividly demonstrated in Côte d'Ivoire, where Laurent Gbagbo was perhaps its first clear-cut scalp. Having displeased the French with his anti-immigrant and anti-French populism, he suffered an old style Neocolonialist coup in 2002 that didn’t quite work. After a stand-off lasting several years that was resolved by an agreement to hold an election, the campaign against him then entered a new phase that was clearly Global-colonialist in character.

After a disputed election result, Gbagbo’s authority was undermined by foreign criticism and calls for him to stand down, immediately followed by a military push from the Northern rebels supported by France and then the UN, along with a media blitz. At the same time that NATO was bombing Libya to “protect human life,” the rebel forces on their way south committed massacres, most notably at the town of Duekoue, but rather than NATO or even France bombing the roads carrying the rebels south, the issue was fudged and forgotten, allowing the perpetrators to close in on Gbagbo’s power base of Abidjan.

With the rebels unable to storm the president’s heavily-defended compound, French ‘peacekeepers’ in the country since 2002, along with some Ukrainian helicopter gun-ships under the auspices of the UN, blew away Gbagbo’s heavy defences, leading to his capture. There have also been rumours that rather than the undisciplined rebel forces, it was actually French specialist ground troops who delivered the coup de grâce. Either way, the rebel leader and the new president, Alassane Ouattara, with his immigrant origins, ties to the old Houphouët-Boigny regime, and French-Jewish wife is much more to the tastes of the old Neocolonialists as well as the new Global-colonialists.

With successes in The Sudan and the Ivory Coast, the new paradigm of Global-colonialism has so far been proving itself effective. Cheaper than full-scale war, but with more cutting edge than Neocolonialism, Global-colonialism seems the ideal tool for integrating Africa’s resources into the global economy.

Of the three cases mentioned, Libya is obviously proving the more difficult one, but even here the removal of half the country from the control of Gaddafi must be counted a success. This is the kind of result that Neocolonialism could never have achieved. The Gaddafi clan may hang on. They may even regain control over the rebel-held part of the country. But, even if they do, they will be much weaker than they were before and may well decide to follow the route of Mabuto and Houphouët-Boigny, especially as the next generation of the clan is likely to lack the Quixotic tendencies of its founder.

In its early days Gaddafi’s regime gave a glimpse of what a new kind of radical African nationalism might be like. Rather than spending the nation’s oil revenue on the bling that attracted other African leaders, Gaddafi used it to stir up trouble and challenge the status quo, rather like a latter day Hannibal taking on the Roman Empire. This was possible in the post-colonial age when Neocolonialism had to tread lightly and pull its punches, but now recalcitrant African leaders face a different beast, armed with longer teeth and sharper claws and the kind of PR that makes it seem all fuzzy and cute. Back in the ‘50s and ‘60s, the Wind of Change ruffled the coat tails of a departing colonial order, but now, the hurricane of Global-colonialism is blowing the other way.

 
 
 
Colin Liddell

Colin Liddell

Colin Liddell is a Tokyo-based journalist.

Brèves réflexions sur les "révolutions arabes"

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Bernhard TOMASCHITZ :

Brèves réflexions sur les « révolutions arabes »

 

Les Egyptiens ont placé d’énormes espoirs dans leur révolution. Mais maintenant que le régime dictatorial d’Hosni Moubarak appartient définitivement à l’histoire, une strate particulière de la population égyptienne verra sans doute sa situation changer de manière dramatique. Je veux parler de la minorité copte, qui forme quelque 10% des 80 millions d’habitants de l’Egypte et qui, déjà, depuis un certain temps, est la cible de débordements et de violences.

 

Quoi qu’il en soit, la nouvelle constitution du pays, acceptée avec une très large majorité en mars, ne laisse rien augurer de bon pour les Coptes, car elle prévoit que la Charia, c’est-à-dire le droit islamique, sera « la source principale du droit ». Ce qui est le plus étonnant, c’est que ce refus de toute forme laïque d’Etat ne provoque aucun cri d’orfraie en Occident chez les fabricants d’opinions et chez les exportateurs patentés de « démocratie ». Finalement, les victimes potentielles de cette nouvelle constitution islamiste ne seront « que de simples chrétiens ». Or il y a eu un précédent : les chrétiens d’Orient, dans l’Irak d’après Saddam Hussein, constituent le groupe ethno-religieux qui a eu le plus à souffrir du changement. Dans le pays du Tigre et de l’Euphrate vivait près d’un million de chrétiens : aujourd’hui, d’après les estimations, il n’y en aurait plus que 300.000 et leur nombre diminuerait encore. Les chrétiens de Syrie pourraient subir le même sort que leurs homologues irakiens, après la chute du régime d’el-Assad, dès que le pays pourrait jouir des « libertés démocratiques », ce qui amènerait probablement les « Frères musulmans » à devenir la principale force politique à Damas.

 

Mais il n’y a pas que les chrétiens qui risquent de connaître des temps sombres : certains musulmans sont également dans le collimateur des nouveaux pouvoirs potentiels. Au cours de ces dernières semaines, en Egypte, plusieurs attentats ont été commis contre des sanctuaires chiites. Le chiisme, on le sait, est une variante de l’islam, qui met surtout l’accent sur le mysticisme, ce qui fait que les islamistes les considèrent comme relaps par rapport à la « vraie foi ». Ces destructions de sanctuaires chiites sont attribuées aux  salafistes qui professent un islam particulièrement intolérant à l’égard des syncrétismes et des modernisations. Les salafistes prétendent vouloir retourner à un islam « pur », pareil à celui des origines.

 

Mais derrière tous les événements qui ont animé les scènes arabes au cours de ces quelques derniers mois, il n’y a pas que des querelles religieuses. Il s’agit plutôt de savoir qui exercera le plus d’influence dans le monde arabe. L’Arabie Saoudite, où le salafisme domine la vie sociale et politique sous la forme locale du wahhabisme, est le plus généreux des promoteurs des groupes salafistes en Afrique du Nord, au Proche et au Moyen Orient. Pour le royaume intégriste et rigoriste du désert arabique, les choses sont claires : les époques d’agitation révolutionnaire sont des époques d’incertitude ; l’insécurité et l’incertitude permettent d’orienter les hommes déboussolés vers la « bonne voie », afin de remplir très vite un vide de pouvoir.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans « zur Zeit », Vienne, n°15/2011 ; http://www.zurzeit.at/ ).   

mardi, 10 mai 2011

Riad friert umfangreiches Rüstungsgeschäft mit den USA ein

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Riad friert umfangreiches Rüstungsgeschäft mit den USA ein – die Kluft zwischen Saudi-Arabien und den Amerikanern vertieft sich

 

Redaktion

Das 60jährige Bündnis zwischen den Vereinigten Staaten und Saudi-Arabien hat gewiss schon viele Höhen und Tiefen erlebt, aber bisher war die Stimmung noch nie so eisig wie gegenwärtig, was die strategische Position Amerikas auf der arabischen Halbinsel und dem Persischen Golf ernsthaft gefährdet. Als der amerikanische Verteidigungsminister Robert Gates am Mittwoch in der saudischen Hauptstadt eintraf, hatte sich die Lage schon so weit zugespitzt, dass mit einem Erfolg seiner Mission, die Beziehungen zu kitten, nicht mehr zu rechnen war. Sein Gespräch mit König Abdullah verlief vernichtend.

Mehr : http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/redaktion/riad-friert-umfangreiches-ruestungsgeschaeft-mit-den-usa-ein-die-kluft-zwischen-saudi-arabien-und-.html

Les Raïs arabes: garants de la stabilité

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Bernhard TOMASCHITZ :

Les Raïs arabes : garants de la stabilité

 

Le régime du Président syrien Bachir el-Assad commence à flancher. Parce que ce régime affronte les manifestations par une violence excessive, de plus en plus de militaires et de membres importants de l’appareil de l’Etat s’éloignent du Président et se rapprochent de l’opposition. Cela peut paraître paradoxal mais cette évolution recèle un grand danger en soi. Car les dictateurs arabes, aussi brutaux qu’ils peuvent être, sont finalement les garants d’une certaine stabilité dans ces régions du monde marquées par toutes sortes de désordres et d’effervescences.

 

Il suffit de jeter un regard sur ce qui se passe en Irak, pays voisin, pour deviner quel sort menace la Syrie. Le pays du Tigre et de l’Euphrate ne s’est pas transformé en « phare de la démocratie » après la chute de Saddam Hussein mais a sombré dans la guerre civile et le chaos total. La raison de cette implosion irakienne réside dans les clivages ethniques (Arabes contre Kurdes) et religieux (Sunnites contre Chiites) qui avaient pu être neutralisés par l’Etat irakien, fondé en 1921. Depuis qu’il existe, l’Irak s’est maintenu grâce à la poigne de fer de ses dirigeants, les militaires ou Saddam Hussein, et a ainsi évité la désagrégation.

 

A plus d’un point de vue, la Syrie ressemble à son voisin de l’Est. Dans le Nord-Est du pays vit une forte minorité kurde, qui constitue à peu près 10% de la population totale ; quant à la minorité religieuse alaouite, à laquelle appartient le Président el-Assad, elle a toujours marqué l’histoire du pays. Avec tout cela, nous retrouvons toutes les conditions nécessaires pour voir la Syrie se transformer en un nouveau foyer de troubles au Proche Orient, dès la fin de la domination du clan el-Assad. D’une part, dans ce pays divisé en plusieurs communautés ethniques et religieuses, où vivent 15% de chrétiens de diverses obédiences, le risque est grand de voir se déclencher une lutte âpre pour une redistribution du pouvoir et une nouvelle répartition des influences ; d’autre part, le risque est tout aussi grand que ces communautés en viennent à régler leurs vieux comptes, une fois la chape alaouite/baathiste disparue. Enfin, dans les strates de la population qui n’ont aucun lien avec l’élite dominante, trop de haine s’est accumulée pendant la cinquantaine d’années qu’a duré le régime baathiste.

 

Si la Syrie devient un « Etat failli », les conséquences d’une telle implosion seraient de vaste ampleur. Les islamistes pourraient s’emparer du pouvoir et les Kurdes pourraient tenter de s’unir à leurs frères du Nord de l’Irak, ce qui pourrait entrainer une intervention turque dans la région, car, on le sait, la Turquie n’a pas encore résolu sa propre question kurde. L’Europe n’échapperait pas davantage au tourbillon provoqué par l’implosion de la Syrie baathiste. Car, d’un côté, ce Proche Orient est voisin de l’Europe et n’a nul besoin d’une nouvelle poudrière ; de l’autre, le chaos qui émergerait après la disparition du régime alaouite/baathiste, risquerait bien de provoquer une nouvel afflux massif de réfugiés en Europe.

 

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans « zur Zeit », Vienne, n°18/2011 ; http://www;zurzeit.at/ ).   

lundi, 09 mai 2011

Soft Power - der kulturelle Krieg der USA gegen Russland - 1991-2010

 

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Soft Power – der kulturelle Krieg der USA gegen Russland, 1991–2010

 

Die neue Strategie und ihre Zentren

von Peter Bachmaier

In den letzten zwei Jahrzehnten hat eine Umorientierung des amerikanischen strategischen Denkens stattgefunden: Der Krieg wird nicht mehr rein militärisch definiert, sondern findet auch mit nicht militärischen, informativen und psychologischen Methoden statt, die man als «psychologische Kriegführung» [psychological warfare] oder «kulturellen Krieg» bezeichnet. Diese Methoden haben eine lange Vorgeschichte. Der amerikanische Militärstratege Liddell Hart entwickelte bereits vor dem Zweiten Weltkrieg die Strategie der indirekten Einwirkung [the strategy of indirect approach].1 Während des Zweiten Weltkriegs wandten die  amerikanischen und britischen Streitkräfte die «psychologische Kriegführung» gegen Deutschland an, die nachher zur Umerziehung [re-education] des deutschen Volkes eingesetzt wurde. Nach dem Ende des Krieges gründeten die CIA und das Verteidigungsministerium nach dem Vorbild des Tavistock Institute of Human Relations, eines spezialisierten Instituts für den psychologischen Krieg in England, Denkfabriken [think tanks] wie die RAND Corporation, das Hudson Institute von Herman Kahn, und andere, die in erster Linie gegen die Sowjetunion gerichtet waren.

Die Methoden in diesen Zentren wurden von einer Reihe von sozialwissenschaftlichen Instituten entwickelt. Die amerikanischen empirischen Sozialwissenschaften, d.h. Soziologie, Politikwissenschaft, Psychologie, Anthro­pologie, Kommunikationswissenschaft [communication studies] u.ä. entstanden in ihrer gegenwärtigen Form durch die Initiative und Finanzierung militärischer und nachrichtendienstlicher Agenturen in den 40er und 50er Jahren.2 Eine weitere Quelle waren die grossen Stiftungen wie die Carnegie Corporation, die Ford Foundation und die Rocke­feller Foundation. Es waren berühmte wissenschaftliche Zentren wie die New School for Social Research in New York, das ­Bureau of Applied Social Research in Princeton (von Paul Lazarsfeld geleitet), das Institut für Sozialforschung (geleitet von Max Horkheimer und Theodor W. Adorno, das 1949 nach Frankfurt zurückkehrte), das Center for International Studies (CENIS) am Massachusetts Institute of Technology, aber auch das von Michael Murphy und Gregory Bateson gegründete alternative Esalen Institut in Kalifornien – ein Zentrum der Gegenkultur, das auch an der Organisation des Woodstock-Festivals 1968 beteiligt war –, die diese Aufträge erhielten. Insbesondere die führenden Institute der Kommunikationswissenschaften waren durch die Programme für psychologische Kriegführung geprägt.
Diese Institute gaben Zeitschriften wie das Public Opinion Quaterly (POQ), die American Sociological Review, die American Political Science Review u.ä. heraus. An diesen Instituten arbeiteten Experten, meist Emigranten aus Deutschland und Österreich, die sich später grosse Namen in der Wissenschaft erwarben wie Paul Lazarsfeld, Oskar Morgenstern, Leo Loewenthal, Herbert Marcuse, Walter Lippmann, Harold Lasswell, Gabriel Almond, Daniel Lerner, Daniel Bell, Robert Merton u.v.a. Es waren dieselben Experten und Institute, die auch für die Umerziehung des Volkes in Deutschland verantwortlich waren. Einige dieser Projekte waren auch mit der Vorbereitung der Kulturrevolution der sechziger Jahre mit ihren Begleiterscheinungen Rockmusik, Drogenkultur und Sexuelle Revolution beschäftigt.
In besonderer Weise waren natürlich die «Soviet Studies» von der Regierung abhängig. Das Russian Research Project in Harvard, geleitet von Raymond Bauer und Alex Inkeles, war ein gemeinsames Unternehmen der CIA, der U.S. Airforce und der Carnegie Corporation. Das Institut veröffentlichte 1956 eine Studie mit dem Titel «How the Soviet System Works», die ein Standard-Lesebuch in Soviet Studies wurde.3 Zur psychologischen Kriegführung gehörten auch Radiosendungen der CIA nach Osteuropa, «eines der billigsten, sichersten und effektivsten Werkzeuge der U.S.-Aussenpolitik», wie Jean Kirkpatrick später erklärte, nämlich die Voice of America. RIAS Berlin, Radio Free Europe und Radio Liberty, die bis heute auf russisch und in den Sprachen der GUS senden.4 Diese Sender unterstanden dem Kongress für kulturelle Freiheit, der 1950 mit 400 Mitarbeitern in Paris von der CIA gegründet worden war.5
Der Sieg über die Sowjetunion wurde vor allem mit Hilfe dieser nicht militärischen Methoden erreicht. Die Strategie, die als Ziel keine Koexistenz mit der Sowjetunion, sondern eine «Demontage» des sowjetischen Systems vorsah, wurde von der Reagan-Administration 1982 ausgearbeitet.6 Der Plan umfasste sieben strategische Initiativen, darunter als Punkt 4: Psychologischer Krieg, gerichtet auf die Erzeugung von Angst, Unsicherheit, Verlust der Orientierung sowohl bei der Nomenklatura als auch bei der Bevölkerung.7 Dieser Krieg wurde nicht nur gegen den Kommunismus, sondern gegen Russland geführt, wie die direkten Aussagen Brzezinskis bezeugen: «Wir haben die UdSSR zerstört, wir werden auch Russland zerstören.» «Russland ist überhaupt ein überflüssiger Staat.» «Die Orthodoxie ist der Hauptfeind Amerikas. Russland ist ein besiegtes Land. Es wird aufgeteilt und unter Vormundschaft gestellt werden.»8
Im Jahr 1990 prägte Joseph Nye, ein Mitarbeiter des Council on Foreign Relations und Verbündeter von Zbigniew Brzezinski, für diese Methoden den Begriff «Soft Power» oder «Smart Power», der auf dieselbe Wurzel wie das «Social Engineering» zurückgeht.9 Er veröffentlichte im Jahre 2005 sein Buch «Soft Power: The Means to Success to World Politics», in dem er den Vorschlag machte, Amerika müsse durch seine Kultur und seine politischen Ideale attraktiv werden. Das Center for Strategic and International Studies in Washington, eine neokonservative Denkfabrik, in dessen Aufsichtsrat Henry Kissinger und Zbigniew Brzezinski sitzen, gründete 2006 eine Commission on Smart Power, von Joseph Nye und Richard Armitage geleitet, die 2009 ein Memorandum «A Smarter, More Secure America» vorlegt e, die das Ziel verfolgte, Amerikas Einfluss in der Welt mit «weichen» Methoden zu verstärken.10

Erste erfolgreiche Anwendung der neuen Strategie: die Perestrojka

Zum ersten Mal wurden diese neuen Methoden als Strategie in der Perestrojka eingesetzt, als Michail Gorbatschow an die Macht kam. Die Perestrojka hatte ihre positiven Seiten, sie stellte die Meinungs- und Bewegungsfreiheit wieder her, aber sie war auch eine massive Einflussnahme des Westens.11 Innerhalb des Zentralkomitees der KPdSU und der Nomenklatura bildete sich eine Gruppe, die auf die Positionen des Westens überging und das westliche neoliberale System einführen wollte.
Der eigentliche Architekt der Perestrojka war Alexander Jakowlew, seit 1985 Sekretär des ZK der KPdSU für Ideologie, der in den 50er Jahren in Washington studiert hatte und seit damals ein überzeugter Anhänger des Neoliberalismus war, wie er mir bei einem Gespräch in Wien am 9. November 2004 erklärte. Zu seinem Netzwerk gehörten Leute wie Jegor Gajdar, Grigorij Jawlinskij, Boris Nemzow, Viktor Tschernomyrdin, German Gref und Anatolij Tschubajs. Jakowlew schuf mit ihnen in der UdSSR eine fünfte ­Kolonne des Westens, die bis heute im Hintergrund die Fäden zieht. Auch Boris Jelzin war ein Mann der Amerikaner, der im September 1989 auf Einladung des Esalen-Instituts in Kalifornien, das seit 1979 ein amerikanisch-sowjetisches Austauschprogramm unterhielt, bei einem Besuch in Washington direkt im amerikanischen Kongress angeworben wurde und 1991 mit ihrer Hilfe die Macht übernehmen konnte.12
Gorbatschow wurde durch Vermittlung von George Soros zum Mitglied der Trilateralen Kommission, die im Jänner 1989 in Moskau eine Konferenz abhielt, an der auch Henry Kissinger und Valéry Giscard d’Estaing teilnahmen.

Westliche Organisationen zur kulturellen Beeinflussung in Russland

In der Zeit der Perestrojka wurden auch die Logen und ihre Vorfeldorganisationen wieder zugelassen.13 Auf Ersuchen Kissingers erlaubte Gorbatschow im Mai 1989 die Gründung der B’nai Brith Loge in Moskau. Seit damals wurden in Russland etwa 500 Logen durch die Grosslogen von England, Frankreich, Amerika u.a. gegründet. Gleichzeitig wurden aber für Politiker, Unternehmer und Angehörige der freien Berufe, die keine Beziehung zu den Ritualen hatten, aber die Prinzipien der Logen teilten, offenere Organisationen, Klubs, Komitees und Stiftungen geschaffen. Es gibt einige tausend Logenmitglieder in Russland, die sich an den Ritualen beteiligen, aber darüber hinaus gibt es zehnmal so viele Mitglieder der «maçonnerie blanche», die keine Rituale benützen, aber die Prinzipien akzeptieren und von Logenbrüdern geleitet werden. Solche Organisationen sind der Klub Magisterium, der Rotaryklub, der Lionsklub, die Soros-Stiftung u.v.a. Diese Mitglieder halten sich für eine Elite, die besondere Rechte hat zu regieren.14
Um die Literaturszene zu kontrollieren, wurde das russische PEN-Zentrum gegründet, eine weitere Vorfeldorganisation. Zu seinen Mitgliedern gehörten bekannte Schriftsteller und Dichter wie Bella Achmadulina, Anatolij Pristawkin, Jewgenij Jewtuschenko, Wassilij Aksjonow und Viktor Jerofejew.
Die Stiftung «Offene Gesellschaft» von George Soros, bereits 1988 in Moskau gegründet, war in den 90er Jahren der mächtigste Mechanismus der Destabilisierung und Zerstörung in den Händen der Hintergrundmächte. Soros richtete seine Tätigkeit auf die Änderung der Weltanschauung der Menschen im neoliberalen Geist, die Durchsetzung des American way of life und die Ausbildung von jungen Russen in den USA. Mit den Mitteln der Soros-Stiftung wurden die wichtigsten russischen Zeitschriften finanziert und für die Unterstützung der Literatur spezielle Preise vergeben.15  
Im Rahmen seines Programms gab die Stiftung Lehrbücher heraus, in denen die russische Geschichte im neoliberalen, kosmo­politischen Sinne dargestellt wurde. Im September 1993, während das Parlament beschossen wurde, hatte ich Gelegenheit, an einer Preisverleihung im russischen Bildungsministerium teilzunehmen. George Soros verteilte Preise an die Autoren russischer Lehrbücher für ­Geschichte und Literatur, und der russische Bildungsminister Jewgenij Tkatschenko erklärte, was das Ziel der neuen Schulbücher war: «Es geht darum, die russische Mentalität zu zerstören.»
Die Programme von Soros waren im kulturellen Bereich so vielfältig, dass praktisch der gesamte nichtstaatliche Sektor von der Finanzierung durch die «Offene Gesellschaft» abhing. Das Institut für die Wissenschaften vom Menschen (IWM), 1983 in Wien gegründet und ebenfalls von Soros unterstützt, förderte die Reform des Bildungswesens und der Universitäten in Russland und den postsozialistischen Ländern. Allein zwischen 1997 und 2000 vergab die Stiftung 22 000 Stipendien in der Höhe von 125 Millionen Dollar.16
Ein weiterer amerikanischer Think tank ist die Nationale Stiftung für Demokratie (NED), 1982 von Reagan gegründet, die ihrerseits wieder die Institute der Demokratischen und der Republikanischen Partei der USA und ihre Büros in Moskau finanziert. Sie unterstützt vor allem private Medien und prowestliche politische Parteien und Bewegungen. Das Budget der NED wird vom Kongress der USA als Unterstützung für das State Department beschlossen. Dem Vorstand gehören prominente Politiker an wie John Negroponte, Otto Reich, Elliot Abrams. Die NED ist die Fortsetzung der Operationen der CIA mit anderen Mitteln. Die NED finanzierte u.a. folgende russische Organisationen (2005): Gesellschaft «Memorial» für historische Bildung und den Schutz der Menschenrechte, Moskauer Helsinkigruppe, das Sacharowmuseum, Mütter Tschetscheniens für den Frieden, die Gesellschaft für russisch-tschetschenische Freundschaft, das Tschetschenische Komitee der nationalen Rettung (in einem Jahr insgesamt 45 Organisationen).17
Das Moskauer Carnegie-Zentrum wurde 1993 als Abteilung der Carnegie-Stiftung für internationalen Frieden, errichtet 1910 von Andrew Carnegie als unabhängiges Forschungszentrum für internationale Beziehungen, gegründet. Die Spezialisten des Moskauer Zentrums befassen sich mit den wichtigsten Fragen der Innen- und Aussenpolitik Russlands. Es gibt eine Sammlung von Informationen über die problematischen Punkte der Entwicklung des Landes. Das Zentrum publiziert Sammelbände, Monographien, Periodika und Nachschlagewerke sowie eine Vierteljahreszeitschrift «Pro et contra», die Serie «Working Papers» und führt regelmässig Vorträge und Konferenzen durch. Die Stiftung wird von grossen Firmen wie BP, General Motors, Ford, Mott sowie von Soros, Rockefeller, dem Pentagon, dem State Department und dem britischen Aussenministerium finanziert. Die Direktorin war bisher Rose Goettemoeller, frühere Mitarbeiterin der RAND Corporation, die derzeit stellvertretende Aussenministerin der USA ist.
Die Vertreter der russischen Geschäftswelt im Aufsichtsrat sind Pjotr Awen, Sergej Karaganow, Boris Nemzow, Grigorij Jawlinskij und Jewgenij Jasin, der Präsident der Moskauer Wirtschaftsuniversität. Führende Mitarbeiter sind Dmitrij Trenin, der auch für Radio Free Europe und Radio Liberty arbeitet, und Lilija Schewzowa, die beide regelmässig in den Westen eingeladen werden, um dort zu erklären, dass Russland die demokratischen Freiheiten einschränkt. Die Forschungen des Zentrums werden von der politischen Klasse Russlands und auch des Westens umfangreich benützt. Die Arbeit des Moskauer Zentrums wird von der Zentrale in Washington durch ein «Russland- und Eurasien-Programm» unterstützt.18
Die Stiftung Freedom House, 1941 auf Initiative von Eleanor Roosevelt gegründet, entstand aus dem Kampf gegen den Isolationismus in den USA. Offizielles Ziel war der Kampf gegen den Nationalsozialismus und Kommunismus, heute wird sie von Soros und der Regierung der USA finanziert. In den 90er Jahren gründete Freedom House Büros in fast allen GUS-Staaten und das Amerikanische Komitee für Frieden in Tschetschenien (Mitglieder: Brzezinski, Alexander Haig, James Woolsey – früherer CIA-Chef). Das bekannteste Projekt ist heute «Freiheit in der Welt», das seit 1972 jährlich alle Staaten der Welt analysiert, wo sie in «freie», «teilweise freie» und «unfreie» eingeteilt werden.19
Im Jahr 1992 wurde die russische Filiale der Rockefeller-Stiftung Planned Parenthood Federation in Moskau und 52 weiteren russischen Städten gegründet. Die Stiftung machte den Versuch, das Fach «Sexualkunde», das in Wirklichkeit die Auflösung der Familie und die Erziehung eines neuen Menschen zum Ziel hat, in allen russischen Schulen einzuführen. Dazu kam es jedoch nicht, da die Beamten des Bildungsministeriums, die Lehrer, die Eltern und die orthodoxe Kirche Widerstand leisteten und das Projekt auf einer Konferenz der Russischen Akademie für Bildungswesen im Jahr 1997 abgelehnt wurde.20
Die Nichtregierungsorganisationen (NGOs) gelten im Westen als die Bausteine der Zivilgesellschaft. Im Falle Russlands haben sie nichts mit dem Aufbau einer direkten Demokratie zu tun, sondern sind Agenturen, die vom Westen finanziert und gesteuert werden.

Die westliche Einflussnahme auf das Bildungswesen und die Medien

Ein wichtiges langfristiges Ziel der westlichen Einflussnahme ist das Bildungs- und Hochschulwesen. Zunächst wurden nach der Wende von 1991 mit Hilfe westlicher Berater der Zentralismus und die marxistische Ideologie aufgelöst. Das Bildungsgesetz von 1992 und die Verfassung der Russischen Föderation von 1993 schrieben eine tiefgreifende Umorientierung des Bildungswesens im Zeichen eines neoliberal-demokratischen Paradigmas nach westlichem Vorbild fest. Es umfasste den Einbau marktwirtschaftlicher Elemente im Bildungswesen und den Aufbau einer Zivilgesellschaft.21
Die Vergabe von westlichen Krediten an das Bildungswesen war an die Erfüllung der Vorgaben gebunden. Auf diese Weise wurde das Bildungswesen im Sinn des neoliberalen Systems umgestaltet. Ein nichtstaatlicher Sektor mit teuren Privatschulen etablierte sich. Die privaten höheren und Hochschulen waren gewinnorientiert und verlangten Schul- und Studiengebühren. Durch die PISA-Studien der OECD wurde das Bildungswesen auf die Wirtschaft ausgerichtet. Viele Schulen in ländlichen Gebieten, die nicht mehr «rentabel» waren, wurden geschlossen. Viele Kinder gehen nicht mehr in die Schule oder schliessen sie nicht ab. Im Jahr 2000 gingen nach einem Unesco-Bericht 1,5 Millionen Kinder in Russland nicht in die Schule. Der Drogenkonsum der Schüler, der früher unbekannt war, breitete sich aus.22
Am bedeutendsten war die Reform des Hochschulwesens, das gleich nach der Wende von Weltbank und Internationalem Währungsfonds evaluiert wurde, die dann ein Programm für eine Umstrukturierung nach angloamerikanischem Vorbild ausarbeiteten. Im Jahr 2004 wurde die Bologna-Deklaration gesetzlich beschlossen: d.h. der Übergang zum vierjährigen Bakkalaureat und zum anschliessenden zweijährigen Magisterstudium sowie eine Präsidialverfassung mit Hochschulräten, in denen Vertreter der Wirtschaft sitzen. Viele russische Bildungsexperten sehen darin eine Zerstörung der Tradition der russischen Universität, weil der Bildungsprozess auf die Weitergabe von Informationen reduziert wird. Von den etwa 1000 Hochschulen und Universitäten in Russ­land sind heute 40% privat, viele davon vom Westen errichtet, an denen eine neue Elite herangebildet wird.23
Ein weiterer Sektor, der vom Westen mit grosser Aufmerksamkeit verfolgt wird, sind die Medien, die nach 1991 die grösste Wandlung durchgemacht haben. Sie wurden durch die neoliberalen Reformen nach 1991 privatisiert und von Oligarchen oder vom Ausland übernommen. Viele Fernsehstationen, Zeitungen und Zeitschriften erhielten ausländische Eigentümer wie die News Corporation von Rupert Murdoch, die heute die Zeitung «Vedomosti», die führende Finanzzeitung Russ­lands gemeinsam mit der «Financial Times» herausgibt und die News Outdoor Group, die grösste Werbeagentur, die in etwa 100 Städten Russlands aktiv ist, besitzt. Die Bertelsmann AG, die über das grösste europäische Fernsehunternehmen RTL verfügt, betreibt in Russland den landesweiten Sender Ren TV.24 Die Bertelsmann-Stiftung, 1977 von Reinhard Mohn gegründet, eine der mächtigsten Denkfabriken der EU, arbeitet mit der Gorbatschow-Stiftung zusammen, die ihren Sitz in Moskau hat, aber auch eine Zweigstelle in Deutschland und in den USA unterhält.
Die Medien waren unter Jelzin fast vollständig in den Händen der neuen Oligarchie, die wiederum mit den westlichen Finanzzentren verbunden ist. Gusinskij besass den gröss­ten Fernsehsender NTW, und Boris Beresowskij kontrollierte die Zeitungen. Als Putin begann, den russischen Staat wieder zu stabilisieren, stellte sich als vordringlichste Aufgabe die Kontrolle der Medien, weil die Regierung sonst gestürzt worden wäre.
Zur Amerikanisierung muss man last not least die Alltagskultur rechnen, die mit Rockkonzerten, Internet, Privatfernsehen, Kino­palästen, Discotheken, Musik-CDs, DVDs, Comics, Werbung und Mode fast dieselbe wie im Westen ist.
 Das Ziel der amerikanischen Strategie ist der Transfer des westlichen Wertesystems auf die russische Gesellschaft. Der russische Staat soll entideologisiert werden. In der Verfassung von 1993 wurde die staatliche Ideologie als Kennzeichen des Totalitarismus desavouiert und im Art. 13 verboten.25
Die offizielle sowjetische Ideologie beruhte auf einer materialistischen Philosophie, aber hatte Elemente einer nationalen Idee und war die Klammer, die den Staat zusammenhielt. Durch dieses Verbot wurde der Staat der Wertorientierungen der nationalen Idee beraubt. Die geistige Leere wird heute durch die westliche Populärkultur ausgefüllt.
Die kulturelle Offensive der USA hat das Ziel, in Russland eine multikulturelle, d.h. kosmopolitische, pluralistische und säkulare Gesellschaft zu schaffen, in der die einheitliche russische Nationalkultur aufgelöst ist. Das Volk, die Gemeinschaft der Bürger mit einer gemeinsamen Geschichte und Kultur, soll in eine multinationale Bevölkerung umgewandelt werden.

Der Widerstand des russischen Staates und der Intelligenzia

Das unter Staatspräsident Wladimir Wladimirowitsch Putin seit dem Jahr 2000 durchgesetzte Staatskonzept, insbesondere die Forderung nach einem starken Staat, beinhaltete eine teilweise Rezentralisierung, den Übergang von einem multinationalen zu einem nationalrussisch geprägten Staatsverständnis sowie die Tendenz, der russisch-orthodoxen Kirche und Religion eine Sonderstellung im Staat einzuräumen.
Im April 2001 übernahm der staatliche Energiekonzern Gasprom die Kontrolle über den Fernsehsender NTW. Die Tageszeitung «Sewodnja» (Heute) wurde eingestellt, der Chefredakteur des Wochenmagazins gekündigt. Boris Beresowskis Fernsehsender TW-6 wurde im Jänner 2002 geschlossen und Beresowski emigrierte nach England.
Im September 2003 wollte der Ölmagnat Michail Chodorkowski die liberale Wochenzeitung Moskowskije Nowosti übernehmen, um die liberalen Oppositionsparteien «Union rechter Kräfte» und «Jabloko» im bevorstehenden Wahlkampf zu unterstützen. Dieses politische Engagement war ein wichtiger Grund für die Verhaftung Chodorkowskis im Oktober 2003. Diese Massnahmen waren notwendig, weil es der Oligarchie sonst gelungen wäre, mit Hilfe der Medienmacht die Regierung selbst unter ihre Kontrolle zu bringen. Die drei wichtigsten Fernsehsender – ORT, Rossija und NTW – sowie ein bedeutender Teil der Druckmedien werden heute durch staatliche Konzerne (Gasprom und Wneschtorgbank) oder durch den Staat direkt (RTR) kontrolliert.
Der Oligarch Wladimir Potanin kontrolliert aber weiterhin die Tageszeitungen «Izwestija» und «Komsomolskaja Prawda». Derzeit gelten die «Nowaja Gaseta» (unter Kontrolle des Oligarchen Alexander Lebedew und des  ehemaligen sowjetischen Präsidenten Gorbatschow) und die Tageszeitung «Wedomosti» (ein Projekt des «Wall Street Journal» und der «Financial Times») als von der Regierung unabhängige Medien.26 Seit dem Jahr 1993 wurden in Russland gemäss einer Statistik 214 Journalisten ermordet, darunter 201 Journalisten in der Jelzin-Ära und 13 seit dem Amtsantritt Putins, darunter aber die meisten in seiner ersten Amtszeit, während es in der zweiten Amtzeit nur mehr drei waren.27
Die nationale Doktrin für Bildung 1999 und die Konzeption 2001 führten im inhaltlich-ideologischen Bereich das nationalpatriotische Gedankengut wieder ein. Eine Hinwendung zu Werten der Zarenzeit traf mit dem Postulat zusammen, die Vorzüge des Bildungssystems der Sowjetunion zu erhalten. Eine Sonderstellung haben die von der russisch-orthodoxen Kirche getragenen Privatschulen und Geistlichen Akademien inne, die seit 2007 staatlich anerkannt sind. In den Lehrprogrammen der Schulen wurden neue Gegenstände wie seit 1999 die obligatorische Vorbereitung auf den Wehrdienst und seit 2007 das Schulfach «Grundlagen der orthodoxen Kultur» eingeführt.28
Zum kulturellen Krieg gehört auch die Kampagne der westlichen Medien gegen Russland, die seit zehn Jahren, vor allem aber seit der Verhaftung Chodorkowskijs 2003 geführt wird unter dem Schlagwort «Russland auf dem Weg zurück zum Sowjetsystem!» Ein weiteres Beispiel ist die sogenannte Verfolgung progressiver Künstler, die darin bestehen soll, dass blasphemische und pornographische Werke aus öffentlichen Ausstellungen entfernt wurden. Es handelte sich in der Regel um Provokationen westlich finanzierter NGOs. Das Sacharow-Zentrum, das sich die Durchsetzung der offenen Gesellschaft zum Ziel setzt, organisierte 2003 eine Ausstellung «Vorsicht! Religion», auf der auch blasphemische antichristliche Exponate ausgestellt waren. Daraufhin forderte die Duma die Staatsanwaltschaft auf, gegen die Leitung des Zentrums tätig zu werden. 2005 wurden die Organisatoren zu einer Geldstrafe verurteilt.
Im Jahr 2005 führte die Regierung einen neuen Staatsfeiertag am 4. November ein, in der Nähe des alten Feiertags der Oktober­revolution am 7. November. Diesmal sollte aber der Sieg über die polnischen Invasionstruppen im Jahre 1612 gefeiert werden. Im Jahr 2006 wurde ein neues Gesetz über die Nichtregierungsorganisationen verabschiedet, nach dem sich alle neu registrieren mussten und die ausländische Finanzierung genauer kontrolliert wurde. Anfang 2008 wurden alle regionalen Büros des British Council mit Ausnahme des Moskauer Büros geschlossen, weil man dem Council antirussische Tätigkeit vorwarf.29
Im Unterschied zu der Zeit der ­Perestrojka und der Jelzin-Ära ist die russische Intelligenzia seit dem Nato-Angriff auf Jugoslawien 1999 nicht mehr neoliberal, sondern nationalpatriotisch eingestellt. Die Schriftsteller, Künstler, Filmschaffenden und Theaterleute sind heute Patrioten und werden vom Kreml unterstützt. Die Regierung kontrolliert auch die politische Berichterstattung der Medien, vor allem im Fernsehen, etwas weniger in den Zeitungen.
Die Hauptfigur der Traditionalisten war früher Alexander Solschenizyn, dem aber seine ungenügende Kritik des Westens vorgeworfen wurde. Die führende Gruppe sind heute die «Bodenständigen» [po venniki], sie sind christlich-orthodox, aber sehen die sowjetische Periode in der Tradition der russischen Geschichte. Ihre Ideologen sind Dorfschriftsteller wie Walentin Rasputin, Wassilij Below und Wiktor Astafjew. In den Zeitschriften «Nasch sowremennik», «Moskwa» und «Molodaja gwardija» wurde seit den 70er und 80er Jahren die patriotische Ideologie ausgearbeitet.
Die «Stiftung der historischen Perspektive», die von der ehemaligen Duma-Abgeordneten Natalia Narotschnizkaja geleitet wird, vertritt ein patriotisches und christliches Programm, verfügt über die Schriftenreihe «Zvenja», die Internetzeitschrift «Stoletie» und organisiert Vorträge und Tagungen. Die nationalpatriotische Intelligenz diskutiert eine grundsätzliche Änderung des Systems, die einen starken Staat und eine Schliessung der Grenzen vorsieht. Die Verbände der Kulturschaffenden wie der Schriftstellerverband, der Künstlerverband, der Verband der Filmschaffenden verfügen über Kulturhäuser, Galerien, Kinozentren und Zeitschriften und organisieren ein dichtes Programm von Veranstaltungen. Es gibt in Moskau 150 Theater, Opernhäuser und Konzertsäle, die überwiegend klassische Stücke aufführen. Regietheater, abstrakte Kunst und atonale Musik sind ein Minderheitenprogramm.30
Österreich und Deutschland werden positiv gesehen, man sieht vor allem die alte deutsche Kultur, man hat ein Bild davon, das aus der Vergangenheit kommt, aber man weiss nicht wirklich, was in Deutschland heute vor sich geht. Alexander Solschenizyn hat immer gehofft, Deutschland werde eine Art Brücke zwischen Russland und dem Rest der Welt sein, weil sich Deutschland und Russland gegenseitig zueinander hingezogen fühlen.31 Die deutschen Medien zeichnen aber ein verzerrtes Bild von Russ­land: dass Russland auf dem Weg zurück zum Sowjetsystem ist und die neoliberalen Intellektuellen einen verzweifelten Abwehrkampf führen. Als Beispiel präsentiert man den Pornoschriftsteller Viktor Jerofejew, der von der Hamburger «Zeit» nach Deutschland eingeladen wurde.32 Die entscheidende Frage ist heute in Russland aber nicht, ob es wieder eine kommunistische Diktatur wird, sondern ob es eine «Diktatur des Relativismus» nach westlichem Vorbild oder eine christliche Gesellschaft wird.33

Die religiöse Erneuerung

Der entscheidende Widerstand gegen die Verwestlichung kommt heute von der orthodoxen Kirche, die antimodernistisch und traditionalistisch eingestellt ist. Die Orthodoxie tritt für traditionelle Werte wie Ehe, Familie und Mutterschaft ein und lehnt die Homosexualität ab. Die Kirchen sind voll, überwiegend mit jungen und jüngeren Menschen. Die Jugend bekennt sich mehrheitlich zur Orthodoxie, d.h. zum Christentum, und heiratet wieder in der Kirche. Es gibt wieder 100 Millionen Gläubige, 30 000 Priester und 600 Klöster. Die Geistliche Akademie in Sergijew Possad ist voll, es gibt vier Bewerbungen für einen Platz. Es gibt eine orthodoxe Radiostation, einen Verlag, eine Reihe von Zeitschriften, Militärgeistliche in der Armee sowie eine Spitals- und Gefängnisseelsorge, und in den Schulen wurde de facto Religion als Unterrichtsfach zum ersten Mal seit 1917 wieder eingeführt. Nach den Umfragen bezeichnen sich 70% der Russen als religiös.34
Im Jahr 2007 beschlossen die russisch-orthodoxe Kirche und der Vatikan, Gespräche aufzunehmen, um ihre langjährigen Differenzen zu beseitigen. Erzbischof Ilarion, Leiter des Aussenamts des Patriarchats, früher russisch-orthodoxer Bischof von Wien, sagte dazu: «Wir sind Bündnispartner und stehen vor der gleichen Herausforderung: einem aggressiven Säkularismus.»35
Die Orthodoxie wird in Russland als die «Religion der Mehrheit» bezeichnet. Am 4. November, dem Tag der Nationalen Einheit in Russland, konnte ich eine ungewöhnliche Prozession auf dem Roten Platz beobachten. Der Patriarch ging in der ersten Reihe, die Spitzen des Islams, der jüdischen Gemeinde und der Buddhisten in der zweiten. Das war als sichtbares Symbol gedacht: «Der Patriarch ist das Oberhaupt der vorherrschenden Religion. Er eint die Gläubigen und fördert die Zusammenarbeit der Religionsgemeinschaften. Der Patriarch ist der geistige Führer des ganzen Volkes, nicht nur der orthodoxen Gläubigen.»36

Schlussfolgerungen

Russland ist heute in einer Krise, die zunächst im Finanz- und Währungssystem zum Ausdruck kommt, aber genauso den Kulturbereich erfasst, ja sogar dort ihre tiefere Ursache hat, die darin besteht,  dass pluralistische säkulare Gesellschaft den Menschen keine wirkliche Gemeinschaft, keine Weltanschauung und keinen Sinn gibt.
Russland braucht nicht die «materialistische und egoistische Kultur» der gegenwärtigen westlichen Gesellschaft, sondern eine universelle nationale Ideologie, die alle Seiten des Lebens des Volkes erfasst, das Land entwickelt und alles abwehrt, was die Existenz des Volkes bedroht.37
Die «Neufassung» [reset] der russisch-amerikanischen Beziehungen seit zwei Jahren ändert jedoch nichts an der langfristigen antirussischen Ausrichtung der amerikanischen Politik und hindert die CIA nicht daran, wieder aktiver in Russland zu werden. Auch Hillary Clinton betonte nach dem Besuch Obamas in Moskau, dass die USA am Konzept des absoluten Weltführers festhalten. Russland wird daher früher oder später vor der Wahl stehen, entweder einen souveränen Staat aufzubauen, der die Grenzen schliesst und die Unterminierung seiner Kultur abwehrt, oder zu kapitulieren und eine Provinz des Westens zu werden. •

Dr. Peter Bachmaier, geb. 1940 in Wien, Studium in Graz, Belgrad und Moskau, 1972–2005 Mitarbeiter des Österreichischen Ost- und Südosteuropa-Instituts, seit 2006 Sekretär des Bulgarischen Forschungsinstituts in Österreich, 2009 dreimonatiger Forschungsaufenthalt in Moskau. Vortrag, gehalten auf dem Kongress «Mut zur Ethik» in Feldkirch, 3. September 2010.

1 Basil Liddell Hart, Strategy: The Indirect Approach, 1. Aufl. 1929, 2. Aufl. 1954.
2 Christopher Simpson, Science of Coercion: Communication Research and Psychological Warfare, 1945–1960, New York, Oxford U.P. 1994, p. 4.
3 Simpson, Science of Coercion, p. 87.
4 A. Ross Johnson, R. Eugene Parta, Cold War Broadcasting: Impact on the Soviet Union and Eastern Europe, Woodrow Wilson International Center, Washington 2010.
5 Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War, London 1999, dt. Ausgabe: Wer die Zeche zahlt … Der CIA und die Kultur im Kalten Krieg, Berlin 2001; Simpson, Science of Coercion, p. 68.
6 Peter Schweizer, Victory: The Reagan Administration’s Secret Strategy That Hastened the Collapse of the Soviet Union, New York 1994.
7 S.G. Kara-Murza, A.A. Aleksandrov, M.A. Muraškin, S.A. Telegin, Revolucii na eksport [Revolutionen für den Export], Moskva, 2006.
8 Zitiert nach: V.I.Jakunin, V.Bagdasarjan, S.S.Sulakšin, Novye technologii bor’by s rossijskoj gosudarstvennost’ju [Neue Technologien des Kampfes gegen den russischen Staat], Moskva, 2009, str. 50.
9  oseph Nye, Bound to Lead: the Changing Nature of American Power, Basic Books 1990; Joseph Nye, Transformational Leadership and U.S. Grand Strategy, Foreign Affairs, vol. 85, No. 4, July/August 2006, pp. 139–148.
10 Richard Armitage, Joseph S. Nye, A Smarter, More Secure America, CSIS Commission on Smart Power, 2009.
11 Peter Schweizer, Victory: The Reagan Administrations’s Secret Strategy That Hastened the Collapse oft he Soviet Union, New York 1994.
12 Das steht in der offiziellen Jelzin-Biographie von Wladimir Solowjow, Elena Klepikowa, Der Präsident. Boris Jelzin. Eine politische Biographie, Berlin 1992. Nach der Anhörung Jelzins in einem Ausschuss des Kongresses sagte David Rockefeller: «Das ist unser Mann!»
13 O. A. Platonov, Rossija pod vlast’ju masonov [Russ­land unter der Macht der Freimaurer], Moskva 2000, S. 35.
14 Platonov, Rossija, str. 3.
15 Platonov, Rossija, str. 15.
16 Jakunin, Novye techologii, S. 81.
17 Jakunin, Novye technologii, S. 90.
18 Jakunin, Novye technologii, S. 94f.
19 Jakunin, Novye technologii, S. 92.
20 www.pravda.ru 03.19.2008.
21 Gerlind Schmidt, Russische Föderation, in: Hans Döbert, Wolfgang Hörner, Botho von Kopp, Lutz R. Reuter (Hrsg.), Die Bildungssysteme Europas, Hohengehren 2010 ( = Grundlagen der Schulpädagogik, Bd. 46, 3. Aufl.), S. 619.
22 Schmidt, Russische Föderation, S. 635.
23 Schmidt, Russische Föderation, S. 632.
24 Pierre Hillard, Bertelsmann – un empire des médias et une fondation au service du mondialisme, Paris 2009, p. 27.
25 «In der Russischen Föderation ist die ideologische Vielfalt anerkannt. Keine Ideologie darf als staatliche oder verbindliche festgelegt werden.» Art. 13 der Verfassung der Russischen Föderation, Dezember 1993.
26 A. Cernych, Mir sovremennych media [Die Welt der gegenwärtigen Medien], Moskva 2007.
27 Roland Haug, Die Kreml AG, Hohenheim 2007.
28 Schmidt, Russische Föderation, S. 639.
29 Das Feindbild Westen im heutigen Russland, Stiftung Wissenschaft und Politik, Berlin 2008.
30 Vladimir Malachov, Sovremennyj russkij nacionalizm [Der gegenwärtige russische Nationalismus], in: Vitalij Kurennoj, Mysljaškaja Rossija: Kartografija sovremennych intellektual’nych napravlenij [Das denkende Russland: Kartographie der gegenwärtigen intellektuellen Richtungen], Moskva 2006, str. 141 ff.
31  nterview mit Alexander Solschenizyn, Der Spiegel Nr. 30, 23.07. 2007; Marc Stegherr, Alexander Solschenizyn, Kirchliche Umschau, Nr. 10, Oktober 2008.
32 Nikolaj Plotnikov, Russkie intellektualy v Germanii [Russische Intellektuelle in Deutschland], in: Kurennoj, Mysljaškaja Rossija, a.a.O., str. 328.
33 Westen ohne Werte? Gespräch mit Natalja Alexejewna Narotschnizkaja, Direktorin des russischen Instituts für Demokratie und Zusammenarbeit in Paris, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Nr. 51, 29.02.2008.
34 Jakunin, Novye technologii, str. 196ff.   
35 Interview in: Der Spiegel.
36 Der Spiegel, Nr. 51, 14.12.2009.
37 Papst Benedikt XVI. Enzyklika «Spe salvi», Rom 2007, in der er von einer «Diktatur des Relativismus» spricht; Jakunin, Novye technologii, str. 174f.

 

 

«Zukunftwerkstätten» in Russland

Im Juli 2010 fand in Jekaterinburg die 21. deutsch-russische Zukunftswerkstatt mit etwa 40 Teilnehmern im Rahmen des Petersburger Dialogs zwischen Deutschland und Russland statt. Diese Seminare, zu denen junge russische Führungskräfte eingeladen werden, wurden im September 2004 von der Deutschen Gesellschaft für Aussenpolitik begründet, die die erste «Zukunftswerkstatt» mit dem Thema «Deutschland und Russland in der globalen Welt» in den Räumen des Bertelsmann-Verlags Gruner und Jahr in Hamburg organisierte. Das Ziel der Seminare, die heute von der Körber-Stiftung unterstützt werden, ist die Aufarbeitung der kommunistischen Vergangenheit und die Verbreitung der Idee der demokratischen Zivilgesellschaft. Die deutschen Vortragenden erklären den jungen Russen, dass eine strategische Partnerschaft mit Russland nur auf der Basis gemeinsamer westlicher Werte möglich wäre. Sie geben ihnen den Rat, das imperiale Erbe Russlands zu beseitigen und sich den Spielregeln der Globalisierung zu unterwerfen.
Die Deutschen sagen den Russen, dass sie in Deutschland seit den 60er Jahren die Auseinandersetzung mit dem Krieg und dem Nationalsozialismus geführt und die Vergangenheit aufgearbeitet hätten, und werfen den Russen vor, mit der Erinnerung an den Sieg im Zweiten Weltkrieg an die sowjetische Identität anzuknüpfen und nicht bereit zu sein, den Totalitarismus umfassend aufzuarbeiten, womit sie eine weitere Demokratisierung der Gesellschaft verhindern würden. Die russischen Teilnehmer antworten, dass sich 1991 ein Bruch in ihrem historischen Bewusstsein vollzog, der zum Zerfall der fundamentalen Werte in der Gesellschaft führte. Die Russen sind bisher nicht bereit, sich vollständig «von der Vergangenheit zu lösen» und die «universalen Werte» zu akzeptieren.

Quelle: Newsletter, DGAP, 20.7.2010

samedi, 07 mai 2011

Obama, Sarközy und Cameron: "Regime-Change" in Libyen mit allen Mitteln

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Obama, Sarkozy und Cameron: »Regime-Change« in Libyen mit allen Mitteln

 

Wolfgang Effenberger

 

In den Medien erschien Mitte April 2011 ein gemeinsamer, scharf formulierter Brief der Präsidenten Barack Obama und Nicholas Sarkozy sowie des Premierministers David Cameron. Darin wird die Entschlossenheit erklärt, Gaddafi mit aller Macht zu verjagen. Das UN-Mandat für den Libyen-Einsatz umfasse zwar nicht den Sturz Gaddafis, schrieben die Staats- und Regierungschefs. Es sei jedoch undenkbar, dass »jemand, der versucht hat sein eigenes Volk zu massakrieren, an dessen künftiger Regierung beteiligt ist«.

 

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/wolfgang-effenberger/obama-sarkozy-und-cameron-regime-change-in-libyen-mit-allen-mitteln.html

 

vendredi, 06 mai 2011

Presseschau - Mai 2011/01

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Presseschau

Mai 2011 / 01

Hallo,
einige Links. Bei Interesse anklicken...

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AUßENPOLITISCHES

Mindestens ein Toter - Oppositionsführer um Deeskalation bemüht
Schwerste Zusammenstöße auf Tahrir-Platz seit Mubaraks Sturz
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/schwerste-zusammenstoesse-tahrir-platz-seit-mubaraks-sturz-1197913.html

Jürgen Elsässer spricht:
Libyen verteidigen heißt JETZT Gaddafi unterstützen!
http://juergenelsaesser.wordpress.com/2011/04/21/libyen-verteidigen-heist-jetzt-gaddafi-unterstutzen/#more-3145

Hiwis für Nicolas
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b4fc1e22af.0.html

Friedrich: "Italien muss Flüchtlingsproblem selbst regeln"
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/friedrich-italien-muss-fluechtlingsproblem-selbst-regeln-1198225.html

Nach Massenausbruch in Afghanistan
Noch immer über 400 Taliban auf der Flucht
http://www.rp-online.de/panorama/ausland/Noch-immer-ueber-400-Taliban-auf-der-Flucht_aid_991319.html

Wirtschaft
Risikofaktor Deutschland
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5bd7d36069e.0.html

Die Transferunion beginnt am Wasserhahn
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d4e4ea0664.0.html

„Wahre Finnen“ triumphieren bei Parlamentswahl (in Finnland)
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5caa9431395.0.html

Regierungswechsel in Andorra (Mitte-Rechts hat gesiegt)
http://www.faz.net/s/RubA24ECD630CAE40E483841DB7D16F4211/Doc~E54D2734941684049B126300C32A677B0~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Japan: Das Militär und die Aufräumarbeiten Kampf gegen Trümmer und Schlamm
http://www.sueddeutsche.de/politik/japan-das-militaer-und-die-aufraeumarbeiten-kampf-gegen-truemmer-und-schlamm-1.1079004

Mahnung der Vorfahren
Wegsteine in Nordjapan warnten vor Tsunamis
http://www.spiegel.de/wissenschaft/natur/0,1518,756622,00.html#ref=top

US-Deserteur drängt auf Asyl
http://www.taz.de/1/politik/deutschland/artikel/1/shepherds-anwalt-klagt/

British National Party stellt Bürgermeister
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5c7e31e3b23.0.html

Schweden: Mehr Zuwanderung
http://www.preussische-allgemeine.de/nachrichten/artikel/schweden-mehr-zuwanderung.html

Großbrand in Elendsviertel in Manila
http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5h9h3gyLwXFdLBdCKS-ujI10n0QZQ?docId=CNG.8038f99cc655f53ed7233e1d82be931e.1e1

Forscher warnt vor Staudamm-Bauten am Mekong
http://www.morgenpost.de/printarchiv/wissen/article1596675/Forscher-warnt-vor-Staudamm-Bauten-am-Mekong.html

Umweltzerstörung in Peru
Goldsuche vernichtet den Regenwald
http://www.sueddeutsche.de/wissen/umweltzerstoerung-in-peru-goldsuche-vernichtet-den-regenwald-1.1087378

Japan errichtet 20 km-Sperrzone um Fukushima
http://www.iwr.de/re/iwr/11/04/2106.html

Konservative Ansichten in Malaysia
Umerziehungscamp für „feminine“ Jungen
http://www.fr-online.de/panorama/umerziehungscamp-fuer--feminine--jungen/-/1472782/8366280/-/index.html

INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK

EU-Freizügigkeit
Polen verhelfen ostdeutschem Dorf zu neuer Blüte
http://www.welt.de/wirtschaft/article13277174/Polen-verhelfen-ostdeutschem-Dorf-zu-neuer-Bluete.html

Alarm-Papier aus Verteidigungsministerium
Bundeswehr wird kaputtgespart!
In einem vertraulichen Papier des Verteidigungsministeriums werden die Folgen von Bundeswehrreform und Sparplänen untersucht. Ergebnis: Bleiben die Pläne unverändert, gehen „Bündnis- und Einsatzfähigkeit absehbar verloren“.
http://www.bild.de/politik/inland/bundeswehrreform/einsatzfaehigkeit-kaputtgespart-158000-statt-185000-soldaten-17527866.bild.html

Rekrutenmangel
Freiwillig zum Bund? Nein, danke!
Nachwuchsprobleme bei der Bundeswehr: Noch nicht einmal jeder zweihundertste junge Mann hat Interesse am freiwilligen Wehrdienst. Das zeigen Reaktionen auf eine Briefaktion des Verteidigungsministeriums.
http://www.spiegel.de/schulspiegel/abi/0,1518,758641,00.html

(Oder einfach keinen Bock?...)
Zeit- und Leistungsdruck
Jugend hat weniger Zeit fürs Ehrenamt
http://www.bbv-net.de/aktuelles/nrw/1537447_Jugend_hat_weniger_Zeit_fuers_Ehrenamt.html

Aus Asservatenkammer
Polizisten sollen Geld und Drogen gestohlen haben
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,758230,00.html

Rettungsschirm für den Euro
Tickende Zeitbombe
http://www.sueddeutsche.de/geld/rettungsschirm-fuer-den-euro-tickende-zeitbombe-1.1080370

Wo sind die Konservativen in Deutschland?
http://www.welt.de/debatte/kommentare/article13041095/Wo-sind-die-Konservativen-in-Deutschland.html

Sarrazin bleibt SPD-Mitglied
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5466ba2a503.0.html

Jüdischer SPD-Mann Lagodinsky verläßt seine Partei, weil Sarrazin bleiben darf
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2480-juedischer-spd-mann-lagodinsky-verlaesst-seine-partei-weil-sarrazin-bleiben-darf

Sarrazin-Bestseller
NPD soll Raubkopien versendet haben
http://www.focus.de/politik/deutschland/sarrazin-bestseller-npd-soll-raubkopien-versendet-haben_aid_601356.html

Sachsen
Verfassungsrichter kippen Versammlungsgesetz
http://www.mdr.de/sachsen/8485497.html

Ein Furz der Geschichte
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M538e14b7ad8.0.html

Über Wut- und Angstbürger
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M50da2c936ea.0.html

Konsens und Empörung: Warum die parlamentarische Demokratie am Ende ist
http://www.blauenarzisse.de/index.php/gesichtet/2479-konsens-und-empoerung-warum-die-parlamentarische-demokratie-am-ende-ist

Peter Sloterdijk
"Japan hätte eine Dosis deutsche Angst gut getan"
http://www.welt.de/politik/deutschland/article13128797/Japan-haette-eine-Dosis-deutsche-Angst-gut-getan.html

Putenmastskandal in Niedersachsen: Landwirtschaftsminister kündigt 38-Punkte-Plan an / PETA: „Reine Absichtserklärungen, die nichts wert sind!“
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2475-putenmastskandal-in-niedersachsen-landwirtschaftsminister-kuendigt-38-punkte-plan-an--peta-reine-absichtserklaerungen-die-nichts-wert-sind

Stuttgarter Oberbürgermeister übernimmt Schirmherrschaft für Schwulenparade
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M59bf5d5d0ba.0.html

(wäre er es doch geworden…)
Christian Wulff wollte eigentlich Busfahrer werden
http://www.nordbayern.de/nuernberger-nachrichten/politik/christian-wulff-wollte-eigentlich-busfahrer-werden-1.1159577

Ostfriesenwitze: Radiohörer erstattet Anzeige wegen Volksverhetzung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f9e6dc54bd.0.html

Diskussion um Tanzverbote an Ostern
http://www.fuldainfo.de/index.php?area=1&p=news&newsid=15944

FDP versus Grüne
Oster-Tanzverbot: Wie die Politik reagiert
http://www.journal-frankfurt.de/?src=journal_news_einzel&rubrik=9&id=12919

(Kommentar zu Tanzverbot an Ostern)
Nicht mehr zeitgemäß
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/nicht-mehr-zeitgemaess-1207516.html

Die Inkonsequenz der Oster-Tanzwilligen
Angriffe gegen Ordnungsdezernent Stein unberechtigt
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=96

Mit Partylaune gegen das Verbot
Demonstranten tanzen unbehelligt
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/frankfurt/mit-partylaune-gegen-das-verbot_rmn01.c.8857938.de.html
(die mit dem Rollstuhl und dem Pierre Vogel-Maske-Bezug waren mit ziemlicher Sicherheit Antifanten (man erkennt auch ein paar der typischen Sonnenbrillen-Gesichter), die sich der Sache organisatorisch angehängt haben. Der gewöhnliche und völlig unpolitische Spaß-Tanzende, den man mehrheitlich im Video sehen kann, wäre viel zu stupid und desinteressiert, um solche politischen Bezüge herzustellen. So trifft sich, was auch irgendwie zusammengehört, Antifantentum und kulturelle Respektlosigkeit, ja Kulturlosigkeit, Fixierung auf pure Befriedigung von eigenen Bedürfnissen. Es sind eben einfach nur die jungen Produkte dieser Gesellschaft. Einen Pierre Vogel macht das einem insgesamt aber nicht noch unsympathischer.)

Frankfurt
Flashmob tanzt trotz Verbot vor dem Rathaus
http://www.spiegel.de/panorama/0,1518,758761,00.html

(mit Musik unterlegtes Video)
22.04.2011 - Tanzverbot Flashmob Frankfurt Römerplatz
http://www.youtube.com/watch?v=VizP6Mvf8fk

Die Zappelprozession der grün-linken Dekadenz
Karfreitag: Tanz-Demo für kulturelle Verwahrlosung
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=98

Flashmob: Anwalt zeigt Tänzer an
http://www.op-online.de/nachrichten/frankfurt-rhein-main/strafanzeige-reaktion-flashmob-1223219.html

Verein fordert Umbenennung des „christlichen Garten“ in Berlin
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5861254ba8b.0.html

Treitschkestraße in Heidelberg wird umbenannt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f327d899ea.0.html

Streit über "Das Amt"
Historiker zerpflückt Bestseller
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,754558,00.html

Holocaust
"Eichmann zog in Jerusalem eine perfide Show ab"
http://www.welt.de/kultur/history/article13063495/Eichmann-zog-in-Jerusalem-eine-perfide-Show-ab.html

Neue Kampagne gegen die Wehrmacht
Nicht ehrenhaft, aber grausam
Der Mythos der Wehrmacht wird entzaubert
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/beitrag/video/1305276/Wie-grausam-war-die-Wehrmacht%253F#/beitrag/video/1305276/Wie-grausam-war-die-Wehrmacht%3F

Mittlerweile Verkaufsrang 2 bei Amazon ...
Soldaten: Protokolle vom Kämpfen, Töten und Sterben
http://www.amazon.de/gp/product/3100894340/ref=s9_simh_gw_p14_d0_i2?pf_rd_m=A3JWKAKR8XB7XF&pf_rd_s=center-1&pf_rd_r=04FSMPKX653WBYNZF503&pf_rd_t=101&pf_rd_p=463375193&pf_rd_i=301128

Mannheim ehrt Reemtsma
http://www.zuerst.de/archives/1521#more-1521

Treitschke oder „Die Juden sind unser Unglück“
http://www.sezession.de/24510/treitschke-oder-die-juden-sind-unser-ungluck.html#more-24510

(Die „Vergangenheitsbewältigung der 68er auf ihrem Höhepunkt… Nun ist die nächste Institution dran…)
NS-Kriminalisten im BKA
Die braunen Wurzeln von Wiesbaden
http://www.taz.de/1/politik/deutschland/artikel/1/die-braunen-anfaenge-von-wiesbaden/

(interessant die Leserkommentare. Man sieht, dass bisweilen eine Kluft zwischen den (aktiven) Lesern und den jüngeren, oft unbedarften Autoren der JF aufreißt…)
Das Hamsterrad der Geschichtsbewältigung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5244f76043f.0.html

TV-Vorschau: "Liebe deinen Feind" Sommer nach dem Krieg
http://www.sueddeutsche.de/medien/tv-vorschau-liebe-deinen-feind-sommer-nach-dem-krieg-1.1086481

"Liebe deinen Feind"
Packender ZDF-Fernsehfilm der Woche von Niki Stein
http://www.presseportal.de/pm/7840/2026870/zdf

Deutsches Filmwunder. Nazis immer besser - von Dietrich Kuhlbrodt
http://www.shoa.de/index.php?option=com_content&task=view&id=757&Itemid=389

Der Hitlerspiegel
http://blogs.taz.de/hitlerblog/2007/06/12/der-hitlerspiegel/

Deutschland erhöht Zahlungen für Holocaustüberlebende
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M50645939506.0.html

LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS

Wie schüchtern Linksextremisten Gastwirte ein - eine Dokumentation
http://www.npd-bayern.de/index.php/menue/24/thema/939/id/2868/anzeigemonat/03/anzeigejahr/2011/infotext/Wie_schuechtern_Linksextremisten_Gastwirte_ein-eine_Dokumentation/Aktuelles.html

Linksextremismus: Studenten besetzen Evangelische Hochschule
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57c29619a07.0.html

Streit um neuen Sarrazin-Auftritt in Halberstadt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5db67725ee2.0.html

(Interessant, dass hier keine Diskriminierung aufgrund politischer Auffassungen gesehen wird. Könnte also ein deutscher 4-Sterne-Hotelier zukünftig auch einem Schwarzen aufgrund dessen Hautfarbe das Hotelzimmer verweigern, weil sich andere Gäste beeinträchtigt fühlen könnten und ein Schwarzer ja ohnehin nicht unbedingt in ein Luxushotel einkehren müsste, um ein Nachtlager zu haben?...)
NPD-ChefVoigt muss Hausverbot in Hotel hinnehmen
http://www.focus.de/politik/deutschland/npd-chef-voigt-muss-hausverbot-in-hotel-hinnehmen_aid_619528.html

Kein Wellnessurlaub für den NPD-Chef in Bad Saarow
http://www.morgenpost.de/printarchiv/brandenburg/article1613503/Kein-Wellnessurlaub-fuer-den-NPD-Chef-in-Bad-Saarow.html

Sachsen-Anhalt bereitet neuen NPD-Verbotsantrag vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f5713fa535.0.html

Der weiche Plan der Stadt Dortmund gegen Nazis
http://de.altermedia.info/general/der-weiche-plan-der-stadt-dortmund-gegen-nazis-01-04-11_63032.html#more-63032

„Marsch für die Freiheit": Polizeigewerkschaft ruft zu Blockade auf
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58b8d7f2fb1.0.html

Großrazzia bei Linksradikalen in zwei Bundesländern
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ac0fa2c82f.0.html

Linksextremisten greifen Polizeiwache an
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M532e607a2cc.0.html

Linksextremisten bekennen sich zu Anschlag auf Polizeiwache
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M585d1509f1f.0.html

Christoph Ruf – Was ist links? Das wissen wir auch nicht, aber derzeit sind wir erfolgreich damit
http://www.blauenarzisse.de/index.php/gesichtet/2427-christoph-ruf-was-ist-links-das-wissen-wir-auch-nicht-aber-derzeit-sind-wir-erfolgreich-damit

Cohn-Bendit will seine politische Karriere beenden
http://www.welt.de/politik/ausland/article13182793/Cohn-Bendit-will-seine-politische-Karriere-beenden.html
(Wer sich unterhalten möchte, kann auch mal ein wenig in den Leserkommentaren blättern…)

(Vorher hat Dany aber mal wieder eine seiner konstruktiven Ideen…)
Cohn-Bendit will Özdemir als Kanzlerkandidaten
http://www.welt.de/politik/deutschland/article13268133/Cohn-Bendit-will-Oezdemir-als-Kanzlerkandidaten.html
(auch hier eindeutige Kommentare der Leser…)

Vesper, Ensslin, Baader revisited
http://www.sezession.de/24165/vesper-ensslin-baader-revisited.html#more-24165

Marsch der Melonen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5579ed51175.0.html

Linke: Partei ist offenbar knapp bei Kasse
http://www.maerkischeallgemeine.de/cms/beitrag/12065181/492531/Partei-ist-offenbar-knapp-bei-Kasse-linke.html

(Fragt sich nur, von wem die Dresdner Barrikade auf dem Foto in diesem Zeitungsartikel eigentlich errichtet worden ist…)
Verfassungsschutz
Rechtsextremismus: Gewaltbereitschaft der Neonazis nimmt zu
http://www.augsburger-allgemeine.de/politik/Rechtsextremismus-Gewaltbereitschaft-der-Neonazis-nimmt-zu-id14762721.html

Polizeigewerkschaft fordert vom DGB mehr Distanz gegenüber Linksextremisten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b3c06b536d.0.html

Zu Volkmar Wölk…
Endstation Zickenkrieg?
http://www.sezession.de/23907/endstation-zickenkrieg.html

Wölkische Ideologie und ablenkende Diskurse
http://www.sezession.de/24231/wolkische-ideologie-und-ablenkende-diskurse.html#more-24231

Politische Prozesse: Wenn die „Polizei des Deutschen Bundestages“ gegen einen Blaue Narzisse-Autor ermittelt und die Linke Ulla Jelpke verliert
http://www.blauenarzisse.de/index.php/anstoss/2448-politische-prozesse-wenn-die-polizei-des-deutschen-bundestages-gegen-einen-blaue-narzisse-autor-ermittelt-und-die-linke-ulla-jelpke-verliert

(auch zu Jelpke…)
CSU-Innenexperte Mayer attackiert Linkspartei
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54b4b84d8dd.0.html

Extremismusdebatte: Bayerns Innenminister greift SPD an
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52041222acb.0.html

Herrmann wirft München Förderung der linksextremen Szene vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M53090670196.0.html

Die Diffamierung funktioniert nicht mehr richtig: Über die schlechte Konjunktur von „Eigentlich sind alle Nazis“
http://www.blauenarzisse.de/index.php/gesichtet/2440-die-diffamierung-funktioniert-nicht-mehr-richtig-ueber-die-schlechte-konjunktur-von-eigentlich-sind-alle-nazis

BJV distanziert sich von jeglicher rechtsextremer Publikation
Feldkirchen/München - Der Bayerische Jagdverband (BJV) distanziert sich aufs Schärfste von der Werbebroschüre der „Jungen Freiheit“, die der gerade ausgelieferten Mitgliederzeitung „Jagd in Bayern“ (Ausgabe April 2011) beiliegt.
http://www.jagd-bayern.de/bjv-nachrichten-einzelanzeige.html?&no_cache=1&tx_ttnews%5Btt_news%5D=236&cHash=fb22a15ba397e843eb2b9c8f59df5c82

Zum Urheber Dr. MdL Prof. Dr. Jürgen Vocke:
http://de.wikipedia.org/wiki/J%C3%BCrgen_Vocke
http://www.oejv.de/blog/?p=218
http://www.wildland-bayern.de/00000198670090b1b/03393c98990cc8a04/index.html

(soll man „das war zu erwarten“ oder „besser so“ sagen?)
Ex-Arbeitsloser
Henrico Frank macht Alkohol-Therapie statt Politik
http://www.welt.de/politik/deutschland/article13033821/Henrico-Frank-macht-Alkohol-Therapie-statt-Politik.html

Lausitz
Protest gegen "Schoko-Traum"-Werbung einer Bäckerei
http://www.tagesspiegel.de/weltspiegel/protest-gegen-schoko-traum-werbung-einer-baeckerei/4015128.html

Österreich
Bäcker verkauft Torten mit Nazi-Symbolen
http://web.de/magazine/nachrichten/panorama/12526542-baecker-verkauft-torten-mit-nazi-symbolen.html#.A1000107

EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT

Wir machen uns ein neues Volk – Teil I
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M59ae58e9774.0.html

(Qualitätssender „Pro7“ macht auf Wallraff…)
„Tolerance Day“ Wie weltoffen sind die Deutschen?
http://www.news.de/medien/855154987/wie-tolerant-sind-die-deutschen/1/

Unermeßliche Wohltaten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M518efee16af.0.html

Deutschland nimmt afrikanische Flüchtlinge aus Malta auf
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54d1b456ace.0.html

Aufhebung der Residenzpflicht
Freie Fahrt für Asylbewerber
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57e7c636e89.0.html

Österreich beschließt umstrittenes Fremdenrecht
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/oesterreich-beschliesst-umstrittenes-fremdenrecht-1223405.html

Nichtwestliche Ausländer kosten Dänemark 2,1 Milliarden Euro im Jahr
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M553e71fb752.0.html

Berliner Landesbank verkauft Scharia-konformen Fonds
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5536123bcf6.0.html

(Burka voraus…)
Urteil: Hochzeit ohne Sichtkontakt gültig
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1137047

Türkischstämmiger Ministerkandidat warf Deutschen Völkermord an Türken vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5eacda3da9c.0.html

Schriftsteller Senocak
"Deutschland ist ein gescheiterter Staat"
http://www.welt.de/kultur/literarischewelt/article12956773/Deutschland-ist-ein-gescheiterter-Staat.html?fb_ref=artikelende&fb_source=profile_oneline

Afghanistan: Linkspartei gibt Innenminister Mitschuld an Ausschreitungen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M596453ad57e.0.html

Dreieicher Bilderstreit: Kontroverse um abgehängtes Bild mit Öcalan-Gesicht geht weiter
http://www.op-online.de/nachrichten/dreieich/kunst-darf-unbequem-sein-1201173.html

Film "Four Lions"
Die unfreiwillige Komik der Selbstmordattentäter
http://www.welt.de/kultur/kino/article13204522/Die-unfreiwillige-Komik-der-Selbstmordattentaeter.html

Frankfurt
Linke und Rechte gegen Islam-Prediger Pierre Volgel
http://www.focus.de/panorama/vermischtes/deutschland-linke-und-rechte-gegen-islam-prediger-pierre-volgel_aid_620314.html

Extremismus: Islamisten-Prediger muss Deutschland bis heute Abend verlassen / Veranstaltung in Frankfurt verläuft friedlich
Nach Kundgebung ausgewiesen
http://www.morgenweb.de/nachrichten/politik/20110423_mmm0000001567593.html

Pierre Vogel und die Hilflosigkeit der Beschwichtiger
Der Islam-Boxer knockt Verbot mühelos aus
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=97

Bremen schafft sich ab - der Miri-Clan
http://www.youtube.com/watch?v=7lFbGXyAfxw

Offenbach
Jugendliche überfallen Seniorin
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/raub-seniorin-goldkette-1195579.html

Dietzenbach
Spektakulärer Raubüberfall aufgeklärt
http://www.op-online.de/nachrichten/dietzenbach/raubueberfall-spektakulaer-dietzenbach-aufgeklaert-1194343.html
(nicht online, aber in der Printausgabe der Offenbach-Post vom 8.4.2011 steht folgender Hinweis auf die Täter: „Die Täter stammen aus intakten Familien; die Eltern hätten bestürzt reagiert. Da schnell klar war, dass es sich bei den Tätern - drei Deutsch-Marokkaner und zei Türken - um Ortskundige handeln musste, konnten die Beamten ihre täterorientierte Arbeit aufnehmen.“)

Hanau
Messer an den Hals gesetzt
http://www.op-online.de/nachrichten/hanau/messer-hals-gesetzt-1181735.html
„Frankfurter Rundschau“ natürlich ohne ethnische Kennung…
http://www.fr-online.de/rhein-main/hanau/messerstecher-verurteilt/-/1472866/8287844/-/index.html

Hanau
Schüler überfallen
http://www.osthessen-news.de/beitrag_A.php?id=1196256
(nicht online, aber in der Printausgabe der Offenbach-Post vom 8.4.2011 steht folgender Hinweis auf die Täter: „…forderten zwei etwa 15 Jahre alte Jugendliche Zigaretten. Da ihr Opfer keine hatte, schlug einer der Räuber - angeblich ein türkisch wirkender dicker Junge mit scharzem, lockigem Irokesenschnitt - auf den 14-Jährigen ein. Der andere Angreifer, ein Südländer mit Irokesenschnitt, stach dem Schüler mit einem Messer in den Oberarm.“ Zum zweiten Überfall heißt es dort: „Er wurde von fünf jungen Südländern umringt und musst ihnen Geld und Handy herausgeben.“)

Wuppertal
Tritt hätte Polizisten töten können
http://www.wz-newsline.de/lokales/moenchengladbach/tritt-haette-polizisten-toeten-koennen-1.630893

Ausländerkriminalität: Türkischer Exhibitionist, Türke ersticht Mutter, Versuchte Entführung von Südländern, Versuchte Vergewaltigung einer 13-Jährigen durch Iraker
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2452-auslaenderkriminalitaet-tuerkischer-exhibitionist-tuerke-ersticht-mutter-versuchte-entfuehrung-nach-gescheiterter-ehe-von-suedlaendern-versuchte-vergewaltigung-einer-13-jaehrigen-durch-iraker

KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES

Gottfried Benn für Arme
Ein bitteres Adieu zum 100. Geburtstag: E.M. Ciorans brünstig-inbrünstige Aufsätze aus den Dreißigerjahren entlarven den Philosophen als braunen Schwärmer
http://www.welt.de/print/die_welt/vermischtes/article13045823/Gottfried-Benn-fuer-Arme.html

José Sánchez de Murillo: Luise Rinser
Nie sollst du mich befragen
Denn wir sind treu: Luise Rinser hat ihr Leben und Wirken zwischen 1932 und 1945 systematisch umgeschrieben. Das verschweigt auch eine neue, von ihrem Freund und Kollegen José Sánchez de Murillo verfasste Biographie nicht.
http://www.faz.net/s/Rub79A33397BE834406A5D2BFA87FD13913/Doc~E8B23097127234EA897F42CD31D367B1E~ATpl~Ecommon~Scontent.html

Gerd-Klaus Kaltenbrunner gestorben
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M528f666438d.0.html

Panorama, Gesellschaft
Rainer Langhans: „Ihr seid die neuen 68er!“
http://www.freie-allgemeine.de/artikel/news/rainer-langhans-ihr-seid-die-neuen-68er/

(Man betrachte mal die Wortwahl für die kommunistischen Putschisten des Augustputsches 1991 in Moskau bei wikipedia. Man glaubt sich bei einer trotzkistischen Gruppe:
„Die Führer des Putschversuches waren Mitglieder einer konservativen [1] Junta [2] des reaktionären Flügels der KPdSU[3][4]…“)
Augustputsch in Moskau
http://de.wikipedia.org/wiki/Augustputsch_in_Moskau

Religion
Meine Freundin, die Nonne
http://www.zeit.de/2008/15/Nonne-15

Einheitsdenkmal in Berlin
Demokratie zum Schaukeln
http://www.sueddeutsche.de/kultur/zum-entwurf-des-einheitsdenkmals-demokratie-zum-schaukeln-1.1084869
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/beitrag/video/1310932/Einheitsdenkmal-Entscheidung-gefallen?bc=sts;sta#/beitrag/video/1310932/Einheitsdenkmal-Entscheidung-gefallen

Berliner Einheits-Denkmal
Ehrlich verschaukelt
http://www.spiegel.de/kultur/gesellschaft/0,1518,756941,00.html

Einheitsdenkmal in Berlin: Die Freiheit in der Salatschüssel
http://www.stern.de/kultur/kunst/einheitsdenkmal-in-berlin-die-freiheit-in-der-salatschuessel-1674780.html

Einfach wieder aufbauen - darf und soll man das?
Pro und contra Rekonstruktion verlorener Bauwerke
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/34/34372/1.html

Bürger sehnen sich nach der guten, alten Stadt
Initiativen setzen sich für bauliche Rekonstruktionen ein. Ausgerechnet der Denkmalschutz warnt aber vor Beliebigkeit
http://www.welt.de/die-welt/wirtschaft/article7045747/Buerger-sehnen-sich-nach-der-guten-alten-Stadt.html

Sanierung
Bürokratie lässt Schloss Prötzel zerfallen
http://www.morgenpost.de/brandenburg/article1584684/Buerokratie-laesst-Schloss-Proetzel-zerfallen.html

Prötzel
Grünes Licht für Schlossherrn
http://www.moz.de/lokales/artikel-ansicht/dg/0/1/286082/

Niedergang eines Monuments
Mit dem Marinekraftwerk in Wilhelmshaven droht ein bedeutender Industriebau zu verschwinden
http://www.nzz.ch/nachrichten/kultur/kunst_architektur/niedergang_eines_monuments_1.10259533.html

Bildung im Nordosten: Abitur auf Knopfdruck
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52aea61fa32.0.html

(Eine weitere Absurdität…)
Wikimedia Deutschland: Wikipedia soll Weltkulturerbe werden
http://www.netzwelt.de/news/86323-wikimedia-deutschland-wikipedia-weltkulturerbe.html

Big Brother Awards 2011: „Oscars für Datenkraken“ gehen u.a. an Facebook und Apple
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2431-big-brother-awards-2011-oscars-fuer-datenkraken-gehen-ua-an-facebook-und-apple

Buch über die Generation Facebook
Die effektvolle Scheißegal-Revolution
http://www.taz.de/1/leben/buch/artikel/1/die-effektvolle-scheissegal-revolution/

Google-Suche in Deutschland häufig zensiert
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5c220c1baba.0.html

Apple speichert heimlich Geodaten von iPhone und iPad
http://www.mobilfunk-talk.de/news/33864-apple-speichert-heimlich-geodaten-von-iphone-und-ipad/

Neben Apple speichert auch Google Ortsdaten am Handy
http://www.wienerzeitung.at/DesktopDefault.aspx?TabID=3930&cob=557193

Handy-Osteraufzeichnung
Kommentar: Warnschuss aus den USA
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/kommentar-hady-aufzeichnung-usa-1220332.html

re:publica 2011 Gunter Dueck - Das Internet als Gesellschaftsbetriebssystem
http://www.youtube.com/watch?v=MS9554ZoGu8

Umwelt: Aus Energiesparlampen strömen giftige Dämpfe
http://www.derwesten.de/nachrichten/wirtschaft-und-finanzen/Aus-Energiesparlampen-stroemen-giftige-Daempfe-id4552929.html

Gegen die Illegalisierung und Abschaffung natürlicher Heilmittel durch multinationale Pharmakonzerne und die Europäische Union
http://www.savenaturalhealth.de/

Zu Vertiefung:
ANH Europe
http://www.anh-europe.org/

THMP-Direktive
Heilpflanzen werden in der EU verboten
http://alles-schallundrauch.blogspot.com/2010/09/heilpflanzen-werden-in-der-eu-verboten.html

Petition
2 Tage zur Rettung von pflanzlichen Heilmitteln
http://www.avaaz.org/de/eu_herbal_medicine_ban/97.php?cl_tta_sign=c72a3f7fdc0642a2e084263e1ca5b63f

Klage
Jesus-Gruß bei QVC unerwünscht
http://www.derwesten.de/staedte/duesseldorf/Jesus-Gruss-bei-QVC-unerwuenscht-id4544021.html

Memminger Wirt verliert
Rauchen ist doch keine Kunst
http://www.br-online.de/aktuell/rauchverbot-memmingen-wirt-ID1301651414197.xml

(Problem verwilderter Hunde)
Rußland
Streunende Hunde bissen Jungen zu Tode
http://www.news.at/articles/1115/15/294291/streunende-hunde-jungen-tode-fuenfjaehriger-grossmutter

Das karlsruher//netzwerk fragt nach: Interview mit Enesess (n'Socialist Soundsystem)
http://www.youtube.com/watch?v=7hhi-PpmhVM&feature=player_embedded

Christenbashing aus den USA: „Paul – Ein Alien auf der Flucht“ kommt nach Deutschland
http://www.blauenarzisse.de/index.php/rezension/2471-christenbashing-aus-den-usa-paul--ein-alien-auf-der-flucht-kommt-nach-deutschland

Bollywood goes Action-Kino
Game: Sarah Jane Dias im sexy Debüt neben Abhishek Bachchan
http://www.vip-chicks.de/game-sarah-jane-dias-im-sexy-debut-neben-abhishek-bachchan-13682.html
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Krantenkoppen - Mei 2011/01

zeitungsleser_im_garten.jpgKrantenkoppen

 

Mei 2011 / 01

 

BITTERE UITKOMST CACAO-OORLOG IN IVOORKUST:

"Gelukkig voor ons dat Frankrijk nog altijd haar Vreemdelingenlegioen achter de hand heeft. Rebellerende stammen in het noorden werden gerekruteerd en van wapens voorzien; stembussen volgestopt met vervalste stembiljetten, en ziedaar, hoera, Ouattara, de harlekijn van de multinationals, heeft de recente presidents verkiezingen eerlijk gewonnen."

http://www.ftm.nl/followleader/bittere-uitkomst-cacoa-oorlog-in-ivoorkust.aspx

 

 

'NEDERLANDSE' PIJPLIJN TUSSEN LIBIË EN ITALIË:

"Greenstream B.V. is een Libisch/Italiaanse joint venture. Een dochter van het Italiaanse energiebedrijf ENI - het eveneens in het WTC gevestigde ENI North Africa BV, en het Libische staatsoliebedrijf National Oil Corporation of Libya (NOC), bezitten ieder 50 procent van de aandelen van Greenstream. Deze vennootschap bezit en exploiteert de langste onderwater pijplijn van de Middellandse zee. De gaspijplijn loopt van de kust van Libië naar Sicilië en zorgt voor een zeer voornaam deel van de Italiaanse energievoorziening." 

http://www.ftm.nl/followleader/nederlandse-pijplijn-in-libië.aspx

 

 

WELKE ECONOMISCHE WERELDORDE GAAT HET WORDEN?

"Toevallig de monetaire conferentie van Bretton Woods in 1944 gemist? De kans is groot dat u ook de reprise van deze historische bijeenkomst die afgelopen weekeinde werd gehouden, mis heeft gelopen."

http://www.ftm.nl/original/welke-economische-wereldorde-gaat-het-worden.aspx

 

 

BETER BOER DAN BANKIER

"De Voedselcrisis van 2011 is nog niet verdwenen, integendeel. Het gaat er nu pas om spannen. (...) Inmiddels "investeren" hedgefunds, maar ook pensioenfondsen, steeds meer in landbouwgrond en boerderijen. Het is niet voor niets dat Jim Rogers onlangs in Amsterdam verkondigde dat u beter per direct boer kan worden dan bankier. De boer van de toekomst zal in een Lamborghini (sportauto) rijden en de bankier moet lijdzaam toezien dat zijn bonus stap voor stap verder wordt ingeperkt."
http://www.ftm.nl/followleader/beter-boer-dan-bankier.aspx

 

 

USDA: "Rusland nieuwe graanschuur van de wereld"

De VS domineert sinds 1945 de tarwemarkt. Analisten voorspelden een paar jaar geleden al dat de VS niet langer de grootste leverancier van tarwe zou blijven op de wereldmarkt. Het Amerikaanse ministerie van landbouw (USDA) heeft dat nu in een eigen rapport bevestigd. Het USDA verwacht dat Rusland in 2019 de grootste tarwe-exporteur ter wereld wordt.

http://www.vilt.be/USDA_Rusland_nieuwe_graanschuur_van_de_wereld

 

 

IN DE TIJD VAN DE MARTELAREN:

"Dat Nietzsche al zijn academische aanhangers zou hebben uitgelachen, lijdt geen twijfel. Voor hem hoorde de denker onafhankelijk te zijn. De gezaghebbende Kant verweet hij een loonslaaf van de staat te zijn; wie hij hoogachtte was Schopenhauer, die onderscheid maakte tussen filosofen en professoren filosofie. Om een gesprekspartner van Nietzsche te zijn, hoort men vrij de heersende opvattingen te bekritiseren. Socrates, Paulus of Spinoza komen in aanmerking. Voorts moet men aan de vakspecialismen, de literatuur en de journalistiek ontstijgen. Feiten, informatie, archiefmuizerij zijn voor de geschiedschrijver niet genoeg. Alleen de profeet telt. En dat is wat Nietzsche zich voelde. Voor hem was het christendom schuldig aan onderdrukking van de gezonde levenslust; de naastenliefde was een uiting van ziekelijk naar de dood hunkerende kruipers. De christelijke beschaving gijzelde de sterken ten behoeve van de zwakken."

http://www.catholica.nl/archief/11458/de-tijd-van-de-martelaren

The Coming Chinese Superstate

Richard HOSTE

Ex: http://www.counter-currents.com/

Review: Richard Lynn
Eugenics: A Reassessment
Westport, Conn.: Praeger Publishers 2001

eugenics.jpgOne of the only valid points made by the critics of Bell Curve was that if the science was accepted, then eugenics, which Hernstein and Murray refused to endorse, becomes the rational solution to society’s ills. Steven Pinker, the next major public thinker associated with the hereditarian position, likewise refused to follow his own logic far enough. One scholar who doesn’t flinch is psychologist Richard Lynn. Eugenics is not only right, but we have a duty to increase the frequency of genes for positive traits and reduce the frequency of genes for negative traits. Once you determine that something is a genetic problem it cries out for a genetic solution. Eugenics: A Reassessment looks at the history of eugenics, the ethical case for it and its future. Here Lynn goes beyond his role as a psychologist and gives us his own theory of the coming end of history.

The Rise and Fall of Eugenics

Eugenic ideas existed long before the publications of Darwin’s On the Origin of Species and The Descent of Man. In The Republic, Plato pictured a society where rulers, soldiers, and workers would be bred on the same principles of the breeding of plants and livestock, about which much must have been known in 380 B.C. Still, it was the discovery of evolution that was the catalyst of these ideas taking off in the late nineteenth and early twentieth centuries. Biologist, statistician, and psychologist Sir Francis Galton was the main prophet of eugenics. He spent his life forming organizations, writing, and spreading the word about humanity’s potential for improvement. He carried out the first studies that showed nature to be more important than nurture in determining intelligence and character.

By the early 1900s eugenics was endorsed by practically all biologists and geneticists, politicians such as Theodore Roosevelt, Herbert Hoover, Woodrow Wilson, and Winston Churchill, and thinkers across the political spectrum, including Bertrand Russell, H. L. Mencken, and George Bernard Shaw. Lynn makes the distinction between positive eugenics, encouragement given to society’s best to produce children, and negative eugenics, trying to set limits on the breeding of the inferior. It was the latter that was easier to legislate on.

The first American sterilization law was passed in Indiana in 1907 “to prevent the procreation of confirmed criminals, idiots, imbeciles, and rapists.” By 1913 similar acts had been passed in 12 states and a further 19 had laws on the books by 1931. The constitutionality of these laws was challenged in court and in 1927 Buck v. Bell went to the supreme court. The case centered around a mentally retarded woman who was born to a mentally retarded mother and gave birth to yet another retard. Her hospital applied to have her sterilized, and Christian groups protested. The court ruled 8-1 in favor of sterilization. Justice Oliver Wendell Holmes wrote the following in the famous decision.

We have seen more than once that the public welfare may call upon the best citizens for their lives. It would be strange if it could not call upon those who already sap the strength of the state for these lesser sacrifices . . . in order to prevent our being swamped with incompetence. It is better for all the world if, instead of waiting to execute the degenerate offspring of crime, or to let them starve for their imbecility, society can prevent those who are manifestly unfit for continuing their kind. The principle that sustains compulsory vaccinations is broad enough to cover cutting the Fallopian tubes. Three generations of imbeciles are enough.

Unfortunately, over the twentieth century only about 60,000 American sterilizations would take place, which amounted to less than 0.1 percent of mentally retarded and psychopathic people. Sweden did a little better, sterilizing the same amount, totaling one percent of the entire population. In Japan, 16,520 women met the same fate until their law was repealed in 1996. In Denmark, a third of all retards over a ten year span. Unsurprisingly, the all-time champions of sterilization were the Germans, who sterilized 300,000 people after their sterilization law was passed in 1933.

As Lynn points out, it’s not all that unusual for a scientific theory to be accepted and then rejected. What makes eugenics unique is that it’s a rejected theory that turned out to be true. While the importance of heredity in determining individual and group traits is well-established, by the end of the twentieth century to call something eugenic was to condemn it. The author blames horror at the crimes of Nazi Germany and the increasing value given to individual over social rights. In recent years courts in the US and Britain have said that parents can have retarded women in their care sterilized, ruling against civil liberties organizations who’ve joined with Christian groups in arguing that all people have a right to as many children as they can produce. While these legal decisions aren’t made on eugenic grounds, we should be thankful for the effect.

The arguments against eugenics don’t hold up. First is the claim that we can’t decide what positive and negative traits are. It’s hard to argue with Galton’s original three characteristics of intelligence, health, and character (close enough to conscientiousness in modern psychology) being desirable. Who would argue that disease could be preferable to health or stupidity to genius? It’s a case of moral relativism taken to the extreme.

Lynn looks at other characteristics we may select for but doesn’t find any beyond Galton’s original three. Society needs a wide range of people on the continuum of extraverted/introverted and neurotic/relaxed in a way that it doesn’t need a wide range of propensity to break the law or catch diseases. He also says that beauty provides no social good, and people have different definitions of it. Here is the only place I part ways with the author. Among environmentalists (people who care about the environment, not anti-hereditarians), beauty is seen as a legitimate reason to preserve certain forests and trees that provide no economic good. It’s why we save redwood trees but not swamps. As far as the lack of a universal standard, Peter Frost demolishes that as a PC myth. Even if everyone didn’t agree that blue eyes and white skin were the most beautiful, every race could select based on their own standards.

The idea that eugenics wouldn’t work is also answered here. If we determined that it wouldn’t be possible to select for certain traits in living organisms, then not only eugenics but horticulture, animal domestication and even evolution itself would all have to be rejected too. As a matter of fact, heritability of running speed among horses has been found to be between 15 and 35 percent heritable, lower than the lowest estimates for intelligence or psychopathy among humans. Any trait that is passed on genetically can be made more or less common or enhanced among a population.

Classical Eugenics

Lynn differentiates between classical eugenics and new eugenics, the use of biotechnology. A section is given to each.

The only country to practice classical positive eugenics in the modern world has been Singapore, under the leadership of Lee Kuan Yew. Higher earners were given tax breaks for children and a government unit was set up to bring college graduates together in social settings like dances and cruises to encourage relationships and procreation. In three short years, the results were impressive.

Births in Singapore

 

Education Level of Mother 1987   1990  
  Number Percent Number Percent
Below Secondary 26,719 61.3 26,718 52.3
Secondary and above 16,012 36.7 24,411 47.7

Between 1987 and 1990, births to college educated women went from 36.7 percent of all births to 47.7. Obviously, it’s not hopeless, and the problem of dysgenics can be corrected if a government sets its mind to it. In Nazi Germany, loans were given to couples determined to be of good genetic stock. For each child they produced, 25 percent of the loan would be written off. Whether such things can be done in a democracy, especially a multi-racial one, is a different question.

The biggest victory for negative eugenics has been the liberalization of abortion laws. Although justified as based on a “woman’s right to choose,” those who have unintended pregnancies are usually of low intelligence and those with anti-social tendencies. Thus, increasing the availability of abortion is eugenic. Those who are concerned about good breeding should support causes traditionally associated with the left like abortion on demand and making birth control freely available.

The Promise of Biotechnology

The most exciting part of this book is the section on the new eugenics, and how biotechnology may make all the questions raised here obsolete. Prenatal diagnosis can now screen for some of the most common genetic diseases, and the fetuses can be aborted. In the 1990s, this was estimated to reduce incidences of genetic disorders at birth by 5 percent. As the technology becomes better and more widely available we can expect the rate of genetic disease to drop. It’s a matter of time before embryos can be screened for other traits like beauty and intelligence.

Gene therapy is the attempt to help an individual by inserting genes for positive traits. These genes are then passed on to offspring. In the 1980s, this technology was used on mice to treat a heredity disease and by the 1990s was used to treat human disorders. Like prenatal screening, it’s only a matter of time before this technology can be used for the selection of whatever parents desire.

Embryo selection consists of taking a number of eggs from a woman, fertilizing them with the sperm of a partner in vitro, testing each for desirable traits and inserting the best embryo. The second, third, and fourth best can be saved for possible future use and the rest discarded. When Lynn’s book was written in 2001, it was possible to test for sex and thousands of genetic diseases.

In the twenty-first century it will become possible to test embryos for the presence of genes affecting numerous other characteristics, including late-onset diseases and disorders; intelligence; special cognitive abilities, such as mathematical, linguistic, and musical aptitudes; personality traits; athletic abilities; height; body build; and physical appearance. It will then be possible for couples to examine the genetic printouts of a number of embryos and select for implantation the ones they regard as having the most desirable genetic characteristics.

Before this happens some technical issues need to be addressed, such as identifying the desirable genes. That’s going to happen over the next few decades. Right now it’s possible to hormonally stimulate a woman to produce around 25 embryos at one time. With this technology, even parents of poor stock will be able to produce at least average children. Couples can be expected to produce embryos within a range of 30 IQ points; 15 over the parents‘ average to 15 below. With embryo selection the IQ of a population will have the potential to be raised 15 points in a single generation. Average intelligence can be expected to keep increasing until we hit our limit and new mutations pop up, the way average speed among thoroughbreds has been rising without the fastest times doing so in decades. In 2001, in vitro fertilization cost between $40,000 and $200,000 in the US and $3,000 to $4,000 in Britain, due to lower health care costs in general. Today, it’s a fraction of that. Like all technology, the quality can be expected to improve and the price to drop.

Western governments may outlaw all these technologies, but they will be legal somewhere, and as these options became cheaper and better known more couples will travel to take advantage of them. The situation will be similar to when abortion was only available in certain US states or European countries, and women desiring to have one would simply take a bus.

Not everybody will be able to afford biotechnology, and some ethicists reject it on those grounds. Of course, there are all kinds of things that rich people can afford that the poor can’t; we don’t outlaw them all. Lynn optimistically points out that no technology that can help humanity has ever been successfully suppressed. The inherent quality gap between the genetically engineered upper class and the ‘natural’ lower class will continue to grow until the former decides to sterilize the latter or forces them to use biotechnology themselves.

Why China is the Future

In 1994 China passed the Eugenic Law. All pregnant women were required to undergo embryo screening and abort fetuses with genetic disorders. This was a follow-up to the famous one-child policy introduced in 1979 that brought the birth rate down to 1.9 per woman.

Attitudes of elites and those who work in the relevant fields are likely to determine what technologies are accepted and how liberally they’ll be used. A survey was conducted between 1994 and 1996 asking geneticists and physicians around the world whether they agreed with the statement “An important goal of genetic counseling is to reduce the number of deleterious genes in the population.”

Country Percentage of Geneticists and Physicians Agreeing with Eugenic Goals
China 100
India 87
Turkey 73
Peru 71
Spain 67
Poland 66
Russia 58
Greece 58
Cuba 57
Mexico 52
Major 

 

Western

Democracies

<33

In addition to the negative attitudes of the elites towards anything eugenic, other reasons we can expect these ideas not to win fast acceptance in the West are the value placed on individual rights, democracy, and the existence of low IQ minorities who would be disproportionately affected by any measures aimed at improving the genetic quality of the population. While many countries in the third world might feel positively about eugenic measures, the attitudes in China are the most favorable and when that is combined with the advantages of an authoritarian government, a lack of dysgenic immigration, and a high IQ starting point it’s not hard to believe that the Chinese will continue to be the most enthusiastic and efficient users of biotechnology.

So how will this nation of a billion people treat the rest of the world after it’s raised its IQ to 150+? Lynn might be too optimistic here. He believes the Chinese will colonize the world and try to improve the IQs and living standards of their subjects. The Europeans will be kept around for their biological uniqueness and admired for their cultural accomplishments, the way that the Romans subjugated the Greeks but appreciated their philosophy and art. If the Chinese decide that the Europeans should be preserved they’d be doing more for them than whites are currently doing for themselves. A global eugenic superstate led by by the Chinese will be the “end of history.”

Lynn’s forecasts the next 100 years with a stone-cold detachment. The first government to utilize the power of biotechnology will take over the world. Thanks to third world immigration and egalitarianism, the decline of the West seems inevitable and eugenic policies unlikely. The future of humanity being in the hands of the dictators in Beijing may not be the most comforting idea in the world, but at least the reader of Eugenics may be convinced that intelligence and civilization will continue somewhere.

For a review of Richard Lynn’s Dysgenics see here.

jeudi, 05 mai 2011

La truffa di Bin Laden per espandere il conflitto

La truffa di Bin Laden per espandere il conflitto

di Tony Cartalucci

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte] 



Lo scriba e totalmente disonesto propagandista per la “Fondazione per la Difesa della Democrazia” (FDD) Bill Roggio, che scrive sul "Long War Journal", ha dedicato la sua vita a pubblicizzare la falsissima "Guerra al Terrore”, abbandonando ogni parvenza di obbiettività persino nel nome del suo blog, affiliato all’establishment neoconservatore, che ora sappiamo ufficialmente essere sovvenzionato dal governo. Il termine "Guerra Lunga" naturalmente è un parto dell’era Bush e una rassicurazione costante del presidente che avrebbe garantito una “Guerra al Terrore" senza fine.



"La casa di Osama": sembra quasi una casa in rovina di Los Angeles, ma è più probabile che fosse un edificio della CIA che ha ospitato un’esercitazione, causa della morte di una certa quantità di persone ignare. Naturalmente, tutto ciò ha la stessa credibilità dei proclami del governo che si basano su prove photoshoppate, bruciate sul terreno o affondate nel mare.


FDD e il suo doppione, Foreign Policy Initiative – essenzialmente la reincarnazione del Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC) – sono state tra le prime, poco dopo l’annuncio di Obama, a ipotizzare un’implicazione del Pakistan nell’aver ospitato Bin Laden fino alla sua morte. Ma questi annunci si sono solo ultimamente intensificati.

Un recente articolo di Roggio, "
La complicità del Pakistan nell’ospitare Osama bin Laden è evidente", ci propina quello che sembra essere un argomento convincente, ossia che non solo il Pakistan sapesse della presenza di Bin Laden nella città di Abbotabad, il centro della comunità militare e d’intelligence pakistana, ma che è stato anche suo complice per avergli fornito un rifugio. Roggio si prodiga nel ricordare ai lettori le "vaste connessioni con i gruppi terroristi".

Invece di argomentare i motivi per cui era certo che il Pakistan stesse ospitando il ricercato più famoso nella storia del pianeta, Roggio suggerisce che gli Stati Uniti hanno mantenuto l’operazione completamente segreta all’intelligence pakistana fino al suo avvio, e persino allora gli Stati Uniti non avrebbero rilevato il luogo dell’operazione a causa di un’ipotetica mancanza di fiducia. Senza freni, Roggio glissa su questa carenza logica per mancanza d’immaginazione o per un totale disprezzo verso i propri lettori. Naturalmente, se Osama Bin Laden era effettivamente a Abbotabad e il Pakistan gli stava fornendo un rifugio, quel complesso non sarebbe stato costantemente sotto sorveglianza? E poi, dopo l’annuncio dell’operazione agli ufficiali pakistani, questi non ne avrebbero dovuto già conoscere l’esatta ubicazione?

La narrativa caracollante di Roggio, come tutta la
stessa truffa di Bin Laden insieme all’intera esistenza dell’FDD e dell’FPI, non ha lo scopo di far progredire la nostra comprensione del mondo, ma piuttosto quella di favorire l’agenda degli interessi guidati dalla finanza che pilotano queste nefaste organizzazioni. In questo caso, il Pakistan rimane un ostacolo sul cammino di guerra che inizia nel Medio Oriente con la progettata e finanziata dagli USA "Primavera Araba" e si scaglia contro l’Europa dell’Est, l’Asia Centrale e fino a Mosca e a Pechino.

In Pakistan le tensioni si sono alzate in modo drammatico negli ultimi tempi. I think-tank sovvenzionati dalla finanza delle multinazionali hanno richiesto a alta voce che
il Pakistan venisse letteralmente smembrato in una serie di stati più piccoli per mezzo di un’insurrezione sorretta dagli Stati Uniti nella provincia del Belucistan. Questa è una risposta diretta alle relazioni sempre più assidue tra Pakistan e Cina e il crescente rifiuto di questi paesi di obbedire agli ordini che servono per la tutela degli interessi americani nella regione.

Lo scriba globalista
Selig Harrison, del Center for International Policy finanziato da Soros, ha pubblicato due articoli sulla cruciale importanza del Pakistan in un contesto geopolitico allargato, suggerendo la strada che potrebbe portare a un "cambio" vantaggioso. Il pezzo di Harrison del febbraio, "Belucistan Libero," che già nel titolo ci indica un altro "movimento per le libertà" studiato e finanziato in modo da fornire un esito favorevole ai patroni della finanza. In modo esplicito, egli chiede di "aiutare i sei milioni insorti beluci nel combattere per l’indipendenza dal Pakistan a causa della crescente repressione dell’ISI." Prosegue nello spiegare gli aspetti positivi di una tale intromissione, affermando che "il Pakistan ha offerto alla Cina la base di Gwadar nel cuore del territorio beluco e, per questo motivo, un Belucistan indipendente servirà agli interessi strategici degli Stati Uniti in aggiunta all’obbiettivo immediato del contenimento delle forze islamiste."

Harrison ha proseguito nel suo richiamo a un rimodellamento del Pakistan parlando delle relazioni tra Cina e Pakistan in un articolo del marzo 2011 dal titolo, "
I Cinesi cercano di fare i simpatici con i pakistani." Esordisce con l’affermare che "l’influenza in espansione della Cina è una conseguenza naturale e anche accettabile della sua crescente importanza, ma deve avere dei limiti." E così reitera la sua proposta di un’intromissione extraterritoriale in Pakistan: "Considerando quello che la Cina sta facendo in Pakistan, gli Stati Uniti dovrebbero interpretare un ruolo aggressivo nel sostenere il movimento per l’indipendenza del Belucistan verso il Mare Arabico e lavorare con gli insorti beluci per far allontanare i cinesi dalla loro nascente base navale di Gwadar. Pechino vuole fare delle incursioni verso Gilgit e il Baltistan in modo da compiere il primo passo nel percorso verso uno sbocco sul Mare Arabico a Gwadar."

Considerando che i ribelli beluci
sono già stati armati e finanziati per innalzare il livello dello scontro in Iran, è più che probabile che simili aiuti siano stati forniti per mettere alle strette il governo pakistano e l’ISI (ndt: sono i servizi segreti pakistani). Dopo la recente manifestazione di scontento del Pakistan che ha richiesto agli Stati Uniti di fermare tutte le operazioni dei drone all’interno dei suoi confini, la CIA ha risposto con una serie di attacchi, l’ultimo dei quali ha ucciso almeno 22 persone, tra cui donne e forse bambini, solamente per vessare e esasperare questa richiesta del rispetto della sovranità nazionale.

Ora, l’aver trovato "Osama Bin Laden" nel cuore della comunità militare e d’intelligence pakistana ha la funzione di una chiara minaccia nei confronti del Pakistan, con i cheerleader come Roggio che stanno puntando il dito contro l’ISI per poi lasciarcelo, per far comprendere a noi e agli ufficiali pakistani quale sarà il logico corso degli eventi futuri.

Il Pakistan ha davanti a sé due possibilità. Rimanere complice degli Occidentali mentre si avviano a dominare il pianeta a detrimento degli interessi dello stesso Pakistan oppure rendere noto il bluff degli Stati Uniti, un bluff che non hanno modo di tenere a lungo. Le condizioni di vita nel Pakistan passeranno momenti difficili nel futuro prossimo, indipendentemente da quale decisione verrà presa, dato che la sua posizione è proprio sul punto di convergenza dei disegni dell’Occidente su Iran, Cina e Russia.

Nel frattempo, mentre Washington si mostra alleata dell’India, l’unico proposito di questa relazione è quella di gestire la competizione crescente con la Cina e con tutta l’area centrale e meridionale dell’Asia, India inclusa. Forse, mentre all’India gli si sta ghiacciando il sangue, non volendo interpretare un ruolo che si opponga a Pakistan e Cina, sarebbe necessaria
un’altra opportuna fuga di notizie da Wikileaks che etichetti il governo indiano come un covo di corrotti per poter generare un bel "movimento anti-corruzione".

Mentre l’India sembra sperare che l’annuncio della morte di Bin Laden
darà finalmente l’opportunità agli Stati Uniti di uscirsene dalla regione, i guerrafondai che hanno iniziato e proseguito la guerra, tra cui l’FDD, l’FPI e i propagandisti come Bill Roggio, suggeriscono invece che tutto questo servirà solo come stimolo per rimanerci ancora più a lungo e per espandere il raggio delle operazioni. Forse sarebbe una buona iniziativa che l’India, il Pakistan e la Cina abbandonino tutte insieme questa strategia della tensione che ultimamente non è utile a nessuno dei loro interessi e espellere l’Occidente una volta per tutte dai propri confini e dalla regione. In ultima analisi, è giunta di certo per chiunque l’ora di richiedere il rispetto della propria sovranità personale e nazionale da parte di un’élite al comando che ha completamente perso la testa.


Fonte: http://landdestroyer.blogspot.com/

Link: http://landdestroyer.blogspot.com/2011/05/bin-laden-hoax-to-exapand-war.html


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE


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La Syrie, malade du chaos irakien

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La Syrie malade du chaos irakien

par Camille GALIC

Ex: http://www.polemia.com/ 

Quelles que soient les lacunes et même les tares, indéniables, du régime syrien, on ne peut dissocier les troubles qu’il doit affronter aujourd’hui des problèmes qui affectent toute la région : l’impérialisme sunnite, la non-résolution de la question kurde, le conflit israélo-palestinien et surtout le drame irakien, dont les séquelles ont anéanti les équilibres sociaux, économiques et religieux de la Syrie.

Combien de morts en Syrie depuis les premières émeutes survenues à Deraa le 23 mars ? « Plus de sept cents », soutenait un mois plus tard Walid Saffour, président du Comité syrien des droits de l'homme basé à Londres, en annonçant également cinq mille arrestations.
Des chiffres totalement invérifiables. Souvenons-nous pourtant de la brutalité du châtiment infligé à Hama, l’Epiphania hellénistique, temple du sunnisme où, en 1980, un Frère musulman avait tenté d’assassiner le président Hafez al-Assad. Plusieurs imams ayant été embastillés, une agitation chronique s’ensuivit, qui déboucha en février 1982 sur une insurrection, conduite par une grosse centaine d’officiers sunnites. Hafez réagit brutalement, ordonnant à l’armée d’assiéger la ville et de la bombarder à l’artillerie lourde. Le siège dura près d’un mois, et 10.000 civils selon le gouvernement – 25.000 selon les insurgés – y perdirent la vie ; sans que, soit dit en passant, ce nettoyage par le vide soit beaucoup reproché au colonel de Damas.

A Deraa, l’étincelle palestinienne

Mais les temps ont changé. Le fils n’a ni l’autorité ni la poigne du père et, sur le plan international, la mode est aux printemps arabes, que tout politique bien né se doit d’admirer et de protéger. Le 26 avril, Nicolas Sarkozy flétrissait donc le « comportement inacceptable » du président Bachar al-Assad – qu’il avait pourtant invité à participer (ainsi que deux autres réprouvés de fraîche date, le Tunisien Ben Ali et l’Egyptien Moubarak, car la réussite de l’ « Union pour la Méditerranée » voulue par l’Elysée primait alors sur toute autre considération) aux festivités du 14 juillet 2008 – et exigé des « mesures fortes » pour faire cesser « l'usage de la force contre la population ». En clair, des sanctions, prises aussi bien par les Nations unies que par l'Union européenne, même si, a tenu à nous rassurer le chef de l’Etat, « cela ne veut pas dire pour autant que nous allons intervenir partout dans le monde ». On respire ! D’autant que, comme l’a reconnu le président français, « la situation en Syrie est complexe ».

Une complexité évidente pour quiconque a visité la Syrie (où l’auteur de ces lignes avait passé plusieurs semaines au printemps 2010) mais qui semble avoir échappé à la plupart des commentateurs, lesquels nous parlent à l’envi de l’ « opposition syrienne », comme si celle-ci était unie, homogène et structurée, alors qu’elle n’est – comme son homologue libyenne d’ailleurs (*) – qu’un conglomérat de malcontents, une accumulation de rancunes, de contestations sociales, religieuses et surtout ethniques.

Est-ce ainsi un hasard si l’étincelle est partie de Deraa, ville située à la frontière jordanienne, ce qui signifie qu’on y trouve une très forte concentration de Palestiniens ? Or, au-delà de la commune haine contre Israël, bien peu de choses unissent les Syriens et les Palestiniens. Les premiers rappellent volontiers que « Gaza, c’est géographiquement en Afrique » – autrement dit, c’est peuplé de sauvages – et les seconds ne pardonnent pas à Damas d’avoir, contrairement à la Jordanie, toujours refusé de les naturaliser, préférant les doter de passeports « syro-palestiniens » sous prétexte de préserver leur « droit au retour » au cas où Tel-Aviv se résignerait à la création d’un véritable Etat palestinien. Ces passeports bâtards, qui rendent difficiles les déplacements à l’étranger mais entravent aussi les carrières professionnelles, alimentent depuis des décennies l’animosité des Palestiniens, généralement sunnites, à l’encontre de la dynastie al-Assad, issue de la minorité alaouite – donc chiite – représentant à peine 10% de la population.

L’impatience sunnite et l’activisme kurde

Une situation, et une sujétion, que supporte également très mal la majorité sunnite (78% des Syriens) que Bachar al-Assad avait pourtant tenté de se concilier en épousant la sunnite Asma, d’ailleurs longiligne et d’apparence très aryenne avec ses cheveux blonds et son teint clair venus sans doute d’ancêtres circassiens. Et, comme si cela ne suffisait pas, il faut ajouter à ces différents antagonismes celui des Kurdes : moins de 10% de la population mais très remuants en Syrie, comme d’ailleurs en Turquie et en Irak, et d’autant plus actifs qu’ils peuvent s’appuyer sur une solide diaspora à travers l’Europe. L’un des idéologues de la révolte actuelle est ainsi Rabhan Ramadan, un Kurde syrien résidant en Autriche et travaillant avec la Fondation Haitan Maleh, mouvement des droits de l'homme basé à Bruxelles.

Le double jeu turc

De même les Kurdes, dont les Syriens répètent volontiers qu’ « ils ne sont jamais contents et cherchent toujours des histoires », étaient-ils nombreux parmi les membres de la susdite « opposition syrienne » qui, réunis le 26 avril à Istanbul, ont adjuré la « communauté internationale » d’aider par tous les moyens « le mouvement non violent qui se développe en Syrie » et donc d’ « exercer un maximum de pression sur le régime syrien afin qu'il cesse de s'en prendre aux civils » – des civils souvent armés, la contrebande d’armes faisant rage avec l’anarchique Irak voisin.

Cette réunion avait été organisée par des ONG turques, ce qui peut paraître paradoxal puisque la Turquie est communément présentée en France comme l’alliée de la Syrie. Les choses sont en réalité moins simples car les contentieux ne manquent pas entre les deux pays. Ainsi Damas reproche-t-elle toujours à Paris d’avoir laissé la Turquie s’emparer en 1939 du sandjak d’Alexandrette (Iskanderun) et du district d’Antioche, et elle ne pardonne pas davantage à la Turquie actuelle de contribuer à la désertification du pays – déjà si asséché par la perte du Golan et l’occupation depuis 1967 par les Israéliens qui récupèrent toutes les eaux du plateau – par ses gigantesques barrages sur l’Euphrate. De plus, la Syrie commence à s’inquiéter de l’activisme diplomatique et économique déployé par Ankara dans les territoires arabes naguère possessions de la Sublime Porte. Au demeurant, la conversion relativement rapide de la République kémaliste du laïcisme à l’islam presque radical laisse sceptiques beaucoup de Syriens qui, fiers de leur histoire multimillénaire quand les futurs Seldjoukides n’étaient encore que des coureurs de steppe illettrés, y voient un simple opportunisme : bridé dans ses ambitions européennes, le Grand Turc chercherait des exutoires à sa volonté de puissance, en Asie centrale, à la faveur de l’éclatement de l’empire soviétique, et au Moyen-Orient, en profitant de l’enlisement et des échecs du monde arabe.

Le prix exorbitant de l’accueil aux « Frères irakiens »

Or, la Syrie a été totalement déstabilisée, et durablement paupérisée, par un événement dont tout le Moyen-Orient n’a pas fini de payer les conséquences : l’invasion de l’Irak, avec l’occupation étrangère, le chaos et surtout le gigantesque exode qui ont suivi.

Officiellement, Damas a dû accueillir trois millions et demi de réfugiés. Là encore, le chiffre est très exagéré, l’ONU ayant évalué à deux millions le nombre des Irakiens contraints à l’exil et dont, il est vrai, la Syrie a accueilli la plus grande partie : un fardeau insupportable pour un pays de 18,8 millions d’habitants, désespérément aride sur la plus grande partie de sa superficie et pratiquement dépourvu de ressources naturelles. Cet afflux massif a donc mis en valeur les insuffisances du régime, provoquant notamment de très graves tensions sur un marché du travail déjà exigu, et d’autant plus que les exilés appartenaient souvent aux classes supérieures. Or, tout comme la Tunisie, la Syrie, très fière de son système éducatif (le taux d’alphabétisation y est de 78%, avec neuf années de scolarité obligatoire), avait formé des quantités de diplômés qui se sont retrouvés en concurrence directe avec les réfugiés irakiens acceptant des salaires bien plus bas. On imagine les conséquences sociales et politiques d’une telle situation… dont la « croisade pour la démocratie » lancée contre Saddam Hussein est la première responsable. Ajoutons que, mis à part les chrétiens globalement très minoritaires, la plupart de ces réfugiés sont de confession sunnite, ce qui a accru le déséquilibre religieux.

Menace sur les chrétiens

Faut-il le rappeler ? Comme la Syrie, l’Irak était le seul Etat laïc du Moyen-Orient. Mais le temps n’est plus où – en mars 2003, juste avant l’agression américaine –, les reliques de sainte Thérèse de Lisieux défilaient à Bagdad. En mai 2010, à Alep, les étrangers étaient très surpris du nombre de jeunes filles chaussées de sandales et vêtues de longues robes bleues ceinturées de corde. Renseignement pris, il s’agissait de chrétiennes honorant ainsi le mois de Marie, une tradition qu’elles observaient en toute quiétude. En sera-t-il de même cette année ou les adolescentes vouées à Marie jugeront-elles plus prudent de se faire discrètes ? Les analystes glosant sur l’ « opposition syrienne » omettent de préciser que les chrétiens, pourtant actifs dans la vie politique syrienne (le Damascène Michel Aflak, fondateur du parti Baath, était de confession grecque orthodoxe), n’y ont pour le moment aucune part et soutiennent même le régime.

Un régime à l’évidence dictatorial, obtus à bien des égards, mais où les minorités religieuses sont protégées : il suffit pour s’en convaincre de voir la foule, souvent des femmes enfouies sous le niqab, attendant leurs gosses à la sortie des écoles franciscaines, la prospérité du village entièrement chrétien Maalula où l’on parle encore l’araméen et dont le couvent Sainte-Thérèse est un lieu de pèlerinage très suivi ou encore la splendeur des églises d’Alep dont les coupoles dorées rivalisent en hauteur avec les minarets.

Mais, il ne faut pas se leurrer, cette coexistence pacifique pourrait facilement basculer dans l’hystérie antichrétienne, comme cela s’est si souvent produit en terre d’islam – tout récemment encore dans l’Egypte « libérée » – si le régime venait à être balayé.

En avril 2010, Damas avait été accusée par Washington d’avoir livré des missiles SCUD au Hezbollah, accusation reprise par Tel-Aviv qui, bien que l’allégation ait été formellement démentie par Saad Hariri, premier ministre du Liban, avertissait la Syrie de son intention de « la ramener à l’âge de pierre » ; à la suite de quoi James Cartwright, adjoint du chef des armées des Etats-Unis, déclarait : « Durant les dix prochaines années, nos forces auront à mener des combats semblables à ceux qui furent menés en Irak et en Afghanistan ». Ce ne sera sans doute pas nécessaire en Syrie si, soutenu par les démocrates autoproclamés du monde entier, le « mouvement non violent » parvient à déboulonner Bachar al-Assad. Et tant pis si une République islamique, soumise à la Charia, supplante l’actuelle République laïque syrienne…

Camille Galic
27/04/2011

(*)  Libye, tribus et barbus : le “bobardement”… en attendant l'enlisement

Correspondance Polémia 29/04/2011

L'Afrique face à l'Europe: du choc démographique au choc culturel

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L'Afrique face à l'Europe : du choc démographique au choc culturel

Communication de Jean-Yves Le Gallou, président de Polémia
Au Colloque de l’Institut de géopolitique des populations
sur : « Les prochaines guerres seront-elles démographiques ? » - 28 avril 2011

Ex: http://www.polemia.com/

Choc démographique

Un peu de géographie d’abord. Trois espaces doivent être distingués : –

L’Europe : elle a connu un baby-boom de 1945 à 1973 ; elle connaît un papy-boom aujourd’hui ; aucun pays n’y atteint plus, depuis de longues années, le taux de fécondité de 2,1 enfants par femme, nécessaire au simple renouvellement des générations.

– Le Maghreb : Maroc, Tunisie et Algérie ont connu un baby-boom jusque dans les années 1990 ; ils sont actuellement en situation de transition démographique, avec des taux de fécondité proches de 2. La proportion de jeunes actifs dans la population reste très forte.

En Algérie, 50% des 34 millions d’habitants ont moins de 25 ans. Au Maroc, 50% des 32 millions d’habitants ont moins de 27 ans. En Tunisie, 50% des 11 millions d’habitants ont moins de 30 ans. Il y a donc là les conditions démographiques de ce qu’Alfred Sauvy a appelé, dans un livre célèbre, « La Révolte des jeunes » – un élément majeur d’explication de ce que les grands médias ont baptisé les « révolutions arabes » et qui jusqu’ici n’ont été en fait que des révoltes déstabilisatrices.

Ainsi de la Tunisie, pays du Maghreb le plus développé, où le taux de chômage va passer, de 2010 à 2011, de 11% à 17%, selon le ministre tunisien de l’emploi – avec les conséquences que l’on constate de Lampedusa à Vintimille sur les flux migratoires.

– L’Afrique : la fécondité subsaharienne reste la plus élevée de la planète ; encore de 6,2 enfants par femme en 1990, elle a été ramenée en 2008 à 4.9 enfants par femme.

Le nombre des naissances de l’Afrique subsaharienne qui, en 1950, était encore comparable à celui de l’Union européenne dans ses limites actuelles, lui est aujourd’hui près de 7 fois supérieur : tous les ans, 33 millions de naissances contre 5 millions, selon les travaux de Philippe Bourcier de Carbon.

Les flux d’immigrants (réguliers et irréguliers) dans les pays de l’Union européenne en provenance de l’Afrique subsaharienne sont aujourd’hui essentiellement composés de jeunes adultes âgés de 20 à 40 ans et plus de 40% de ces flux sont désormais constitués de jeunes femmes de ces tranches d’âge. Les effectifs de ces jeunes adultes âgés de 20 à 40 ans sont donc appelés à doubler d’ici à 2040 en Afrique subsaharienne, passant de 250 millions à 500 millions en trente ans. Cela signifie – toutes choses égales par ailleurs, en particulier si la probabilité d’émigrer dans l’Union reste ce qu’elle est aujourd’hui – que la pression migratoire des jeunes adultes en provenance de l’Afrique subsaharienne sur les frontières de l’Union est appelée à doubler au cours des trois prochaines décennies.

Ce face-à-face de l’Europe (y compris la Fédération de Russie) ou de l’Union européenne avec l’Afrique subsaharienne peut donc se résumer ainsi en ce début du XXIe siècle :

  • – La zone la plus urbaine de la planète fait à présent face à la zone la plus rurale ;
  • – La zone la plus riche de la planète fait à présent face à la zone la plus pauvre ;
  • – La zone la plus stérile de la planète fait à présent face à la zone la plus féconde ;
  • – La zone où la vie est la plus longue fait à présent face à celle où elle est la plus courte ;
  • – La zone la plus âgée de la planète fait à présent face à celle où elle est la plus jeune ;
  • – La zone où le nombre des décès excède celui des naissances fait face à celle où la croissance naturelle de la population est la plus rapide.

Le constat d’échec des politiques migratoires

Depuis les années 1960, la France, la Grande-Bretagne, l’Allemagne et le Benelux subissent des vagues migratoires : de travail pour faire baisser les salaires, familiales pour des raisons « humanitaires ».

Au cours de la dernière décennie, ces migrations se sont amplifiées :

  • – tous les pays de l’Europe à quinze sont désormais concernés : les pays scandinaves et l’Irlande, au nord ; l’Italie, l’Espagne, le Portugal et la Grèce, au sud ;
  • – les mouvements d’entrées se sont accrus : 500 000 étrangers ont été régularisés en Espagne en 2005 ; de 500 000 à 800 000 en Italie depuis 2008 ; en Grande-Bretagne le solde migratoire de 1997 à 2009 s’est élevé à 2,2 millions de personnes, selon le premier ministre David Cameron ; en France, c’est plus de 1,5 million de personnes qui sont entrées de 2002 à 2010.

Dans le même temps les politiques suivies à l’égard des populations immigrées ne donnent pas les résultats attendus : qu’il s’agisse du multiculturalisme assumé de la Grande-Bretagne et des Pays-Bas, ou de l’assimilation/intégration à la française, l’échec est au rendez-vous. Et il est constaté par les principaux acteurs qui ont conduit ces politiques.

Angela Merkel a déclaré à Potsdam le 16 octobre 2010 devant les jeunes militants de la CDU et de la CSU : « L’instauration d’une société multiculturelle, où chacun prendrait plaisir à vivre côte à côte, a fait faillite. » « Nous nous sentons liés aux valeurs chrétiennes. Celui qui n’accepte pas cela n’a pas sa place ici », ajoutait-elle. La veille, le dirigeant des conservateurs bavarois, Horst Seehofer, avait lancé : « Le Multikulti est mort »

Le premier ministre belge Yves Leterme a suivi ses collègues allemands en affirmant sur RTL Belgique : « Mme Merkel a raison, en ce sens que les politiques d'intégration n'ont pas toujours eu les effets bénéfiques qu'on attendait d'elles. »

Le 5 février 2011, David Cameron, s'exprimant devant la 47e Conférence sur la sécurité, a dénoncé le multiculturalisme tel que l'a pratiqué le Royaume-Uni : « Le multiculturalisme a conduit à ce que des communautés vivent isolées les unes des autres. Ces sociétés parallèles ne se développent pas selon nos valeurs. Nous ne leur avons pas donné une vision de ce qu'est notre société. »

Vendredi 15 avril 2011, c’est au tour du ministre de l’Intérieur français Claude Guéant d’affirmer : « L’intégration est en panne » – une opinion partagée par 76% des Français qui, selon un sondage Harris interactive du 20 avril 2011, estiment que « les étrangers ne font pas suffisamment d’efforts pour s’intégrer ».

Certes, l’analyse n’est pas nouvelle : les plus lucides l’avaient déjà fait depuis… trente ans. Ce qui est nouveau, c’est que le constat émane des hommes au pouvoir, de ceux qui servent la superclasse mondiale (SCM) et dont les politiques ont consisté à promouvoir la mondialisation.

Dans la revue Le Débat de mars–avril 2011, l’essayiste André Grejbine commente ainsi la montée, à ses yeux parallèle, de l’islamisme et du populisme en Europe : « Derrière les beaux discours sur le dialogue des civilisations et la diversité des cultures, c’est un engrenage de ressentiment et de rejet réciproque qui se développe. » C’est reconnaître le choc des cultures.

Minorités visibles, minorités qui se rendent visibles

Les Américains ont créé dans les années 1960 la notion de minorités visibles pour qualifier des populations qui, même lorsqu’elles sont intégrées, apparaissent visiblement différentes : c’est le cas des Afro-Américains aux Etats-Unis ou, en France, des Antillais.

Mais en Europe, on a assisté à un phénomène différent, celui de minorités se rendant visibles, c'est-à-dire de Turcs et de Maghrébins, hommes pourtant de race blanche mais choisissant d’accentuer leurs différences par rapport aux populations d’accueil par leurs comportements et leurs exigences, tels que le voile islamique, les interdits alimentaires, les revendications religieuses ou simplement culturelles.

Choc culturel

Le choc culturel prend des formes multiples tant en raison des différences d’origine des cultures et des civilisations que des différences d’évolution historique et sociologique des sociétés.

Orient versus Occident

La fracture entre l’Orient et l’Occident est aussi profonde qu’ancienne : elle remonte aux guerres Médiques et aux guerres Puniques. Elle oppose la personne aux masses, les libertés individuelles à la soumission collective. Cette opposition se retrouve dans l’Empire romain avec la victoire de l’Occident à Actium puis la division du IIIe siècle entre Empire d’Orient et Empire d’Occident.

Islam versus Europe

L’opposition entre l’Islam et l’Europe est une structuration géopolitique majeure de l’espace euro-méditerranéen. Elle s’étend sur douze siècles : de la bataille de Covadonga (722) à la libération de la Grèce (1822/1832). Mais plus encore qu’un choc militaire, c’est un choc de mentalités : l’Islam, c’est la « soumission », l’Europe, c’est l’exercice du libre-arbitre et de la liberté. La théorie des trois « religions monothéistes » dont les sources seraient identiques fait l’impasse sur l’hellénisation et l’européanisation du christianisme.

Les différences entre l’Islam et l’Europe sont nombreuses et majeures :

  • - dans la relation avec le divin ;
  • - dans la séparation, d’un côté, la soumission, de l’autre, entre le domaine de Dieu et celui de César ;
  • - dans la représentation de la figure divine et de la figure humaine ;
  • - dans la conception et la représentation de la femme ;
  • - dans le lien avec la nature ;
  • - dans l’existence ou non d’une multitude d’interdits ;
  • - dans les pratiques et les rituels alimentaires ;
  • - dans les configurations architecturales.

Société intolérante versus société tolérante

L’Europe – et singulièrement l’Europe moderne – s’est construite autour de la liberté d’expression. L’Islam n’admet ni l’étude critique de l’histoire du prophète, ni la représentation de Mahomet (sauf chez les Persans). L’Islam exige l’application de lois sur le blasphème, ce qui heurte profondément la sensibilité européenne, comme l’a montré l’affaire des caricatures danoises de Mahomet.

Plus gravement, il est difficile de faire cohabiter sur le même sol une culture de la tolérance et une culture de l’intolérance :

  • - Que certaines femmes puissent porter le voile islamique, pourquoi pas ? Mais quand dans un quartier une majorité de femmes porte le voile islamique, il est très difficile pour les autres de ne pas en faire autant, sauf à accepter de passer pour des proies ;
  • - Que des musulmans veuillent faire ramadan, c’est leur choix ; que ceux qui veulent s’en abstenir y soient contraints, c’est insupportable ;
  • - Que des musulmans veuillent manger halal, pourquoi pas ? Mais que de plus en plus de non-musulmans soient contraints d’en faire autant, ce n’est pas acceptable ;
  • - Qu’il y ait des mariages mixtes (au regard de la religion ou de la culture), pourquoi pas ? Mais comment trouver normal que la conversion s’opère systématiquement dans le même sens, c'est-à-dire vers l’Islam ?

En fait, les relations entre une culture tolérante et une culture intolérante sont dissymétriques : car la culture intolérante finit par imposer ses règles à la culture tolérante. C’est la négation de la règle de réciprocité.

Il est d’ailleurs significatif de voir les nations européennes et chrétiennes poussées à abandonner leurs repères symboliques : crèches de Noël, œufs de Pâques, fêtes du cochon.

Afrique versus Europe : société individualiste/rationaliste versus société instinctive et tribale

Une partie des Africains noirs sont musulmans. Mais, indépendamment de leur religion – musulmane, catholique ou pentecôtiste – les Africains noirs ont généralement un rapport au monde différent de celui du rapport européen. Le collectif y pèse plus que l’individuel. Le froid rationalisme y joue un rôle moins important. Il ne s’agit pas ici de dire où est le bien, où est le mal, mais de souligner des différences de comportement qui pèsent dans la vie collective, la capacité de développement économique et la vitalité démographique.

D’autres distinctions méritent d’être abordées : indépendamment de leurs constructions mythologiques et de leur histoire, les sociétés musulmanes et africaines d’un côté, européennes de l’autre sont à des stades différents de leur évolution.

Société traditionnelle versus modernité

Depuis le XVIIIe siècle, l’Europe est entrée dans une modernité individualiste. Pour le meilleur et pour le pire. Les sociétés africaines et musulmanes – même si elles sont touchées par la modernité, surtout lorsqu’elles sont transposées en Occident – sont restées davantage holistes et traditionnelles : le salut collectif, l’attachement à la lignée, le respect des valeurs ancestrales, le maintien de codes d’honneur y jouent encore un rôle important. Or ce qui peut paraître « archaïque » à l’Européen moderniste peut être un avantage évolutif dans la compétition entre sociétés ; c’est incontestablement le cas en termes d’expansion démographique.

Droit du sol versus droit du sang

Dans leur logique « d’intégration » des immigrés, les pays européens ont tous adopté le droit du sol ou le double droit du sol. Né en Europe, l’enfant d’immigrés a donc juridiquement vocation à acquérir la nationalité du pays de son lieu de naissance. Mais cela ne l’empêche pas, lui et ses descendants, de garder la nationalité de ses pères. En terre d’Islam, nationalité et religion sont liées : acquérir la nationalité du pays d’accueil ne dispense pas de conserver la nationalité du pays d’origine, qui est irrévocable, tout comme l’apostasie est impossible. D’où l’explosion dans tous les pays européens de doubles nationaux pratiquant la double allégeance (dans le meilleur des cas !)

Société individualiste versus société communautaire

En premier lieu, l’Occidental individualiste a placé au sommet de ses valeurs : « le droit de l’enfant ». C’est au nom du droit de l’enfant (et de son intérêt supposé) que les jurisprudences européennes – et singulièrement les jurisprudences françaises – ont imposé le regroupement familial dans le pays d’accueil et non dans le pays d’origine. En France, en 1978, c’est le Conseil d’Etat, par l’arrêt GISTI, qui décide que « Les étrangers qui résident régulièrement en France ont le droit de mener une vie familiale normale, et en particulier celui de faire venir leur conjoint et leur enfant mineur. » C’est ainsi une interprétation individualiste de textes généraux qui prévaut.

En second lieu, c’est la même logique qui prévaut pour le mariage. Au nom du « mariage d’amour » entre deux individus, on autorise le déplacement de blocs de population. Deux grandes catégories de cas sont ici à distinguer :

  • - l’étranger qui cherche à venir en France ou bien le clandestin déjà présent sur le territoire qui veut obtenir une régularisation peuvent recourir à la voie du mariage : mariage arrangé, mariage gris ou simple escroquerie sentimentale ; les bénéficiaires en sont souvent des hommes jeunes ;
  • - l’immigré de deuxième génération, français au regard de la nationalité plus qu’au regard de la culture, qui veut se marier au « bled », c'est-à-dire dans le pays d’origine de sa famille ; il s’agit généralement de jeunes hommes qui se marient avec des filles du pays réputées plus respectueuses des mœurs traditionnelles ; cela concerne aussi des jeunes filles pas toujours mariées selon leur gré.

Ce comportement qui peut s’analyser comme un refus de l’intégration est un puissant facteur d’accélération de l’immigration. C’est là que se niche la cause majeure de l’immigration de peuplement subie par l’Europe : « l’immigration nuptiale ».

Société à famille nucléaire versus société à famille élargie

Les mentalités et le droit français s’inscrivent dans une vision nucléaire de la famille. Or les pays du sud de la Méditerranée ont une vision élargie de la famille. Il est encore normal de vivre avec sa belle-famille, d’où le regroupement familial des ascendants. Quant aux descendants, la vision est large : la jurisprudence française reconnaît la pratique de la Kafala (quasi-adoption) au moins pour les Algériens. Les Africains ont une conception souple de la parenté qui n’est pas uniquement biologique. D’où l’élargissement du regroupement familial aux bâtards et aux neveux (ce qu’aurait empêché le contrôle génétique) – regroupement familial d’autant plus facilement élargi que la qualité des états civils africains reste imparfaite… pendant que le système social français est généreux et donc incitatif à l’arrivée de nouveaux bénéficiaires.

Choix communautaires et cascades d’immigration…

L’immigration familiale a représenté 82 762 entrées régulières en 2009. Les dix premiers pays concernés étant l’Algérie, le Maroc, la Tunisie, la Turquie, le Cameroun, la Côte d’Ivoire, le Mali, le Sénégal, la Chine, le Congo (RDC).

La dynamique migratoire la plus commune est la suivante : un immigré de deuxième génération se marie avec quelqu’un de même origine que lui – un phénomène en voie d’accélération rapide : il y a eu 23 546 transcriptions d’actes de mariage établis par les postes français à l’étranger en 1995, 48 301, soit plus du double, en 2009. Le nouveau, plus souvent la nouvelle mariée rejoint ensuite la France, ce qui peut lui permettre d’acquérir la nationalité française et de faire venir des membres de sa famille.

Par ailleurs, ces arrivées concernent des jeunes femmes en âge d’être fécondes et dont le taux de fécondité en France est supérieur à celui des femmes nées en France, bien sûr, mais aussi à celui des femmes étrangères restées à l’étranger. Il y a donc un effet multiplicateur des populations immigrées. En 2009, d’après les chiffres du Haut Conseil à l’intégration, 7,0% des naissances provenaient de deux parents étrangers, 13,1% d’un parent français et d’un parent étranger : une « nuptialité mixte » au regard de la nationalité mais rarement mixte au regard de l’origine et de la culture. A ces naissances il faudrait ajouter les naissances d’enfants d’immigrés de la deuxième génération pour pleinement mesurer ce qui est en train de se passer en termes de substitution, au moins partielle, de population.

Quelles solutions ?

Nous sommes en face d’un choc démographique doublé d’un choc de civilisations. Un choc de civilisations qui se passe à l’intérieur des frontières des Etats. Les solutions ne sont pas techniques. Elles sont tributaires des valeurs dominantes. Plus précisément, les solutions supposent un changement radical des dogmes dominants tels qu’ils sont imposés par la superclasse mondiale à travers les médias.

Préférence de civilisation versus Big Other

L’écrivain Jean Raspail a remarquablement résumé l’idéologie dominante de l’Europe : Big Other, ce qui revient à placer l’autre – sa religion, ses mœurs, ses pratiques – au-dessus de tout. Là est la source de la formidable asymétrie dont les peuples européens souffrent. Changer, c’est revenir à la préférence de civilisation ; à la préférence pour sa civilisation ; soit parce que nous la trouvons meilleure dans l’absolu, soit tout simplement, dans une perspective plus relativiste, parce qu’elle est la nôtre. Il ne s’agit pas de haïr l’autre mais d’en finir avec la haine de soi. Il s’agit de cesser d’opposer une société innocente (celle des immigrés) à des nations européennes coupables.

Droit à la défense des libertés individuelles

Nous vivons une époque où ce n’est pas la majorité qui opprime les minorités mais des minorités communautaristes qui prétendent imposer leurs lois à la majorité. Les libertés individuelles sont au cœur de la civilisation européenne : liberté d’expression, liberté de recherche, liberté de débat, liberté de circulation, liberté de consommer, liberté de s’habiller, liberté d’ignorer le licite et l’illicite des autres, liberté de boire de l’alcool et de manger du cochon, y compris dans les transports et les cantines. Lorsque des libertés sont menacées, elles doivent être défendues. Rappelons-nous la phrase de Royer-Collard : « Les libertés ne sont pas autre chose que des résistances. »

Droit à la défense des libertés collectives

Mais ces libertés individuelles sont inséparables des libertés collectives. Sans défense des libertés collectives aujourd’hui, sans défense du modèle de civilisation européenne, il n’y aura pas de libertés individuelles demain. Les nations européennes doivent donc réaffirmer – y compris dans leur Constitution comme viennent de le faire les Hongrois – leur droit à l’identité, leur droit à des frontières, leur droit à rester eux-mêmes.

Droit à l’identité des peuples versus droit des individus à immigrer

Allons plus loin : face au choc démographique et au choc migratoire, il faut mettre en œuvre le principe de précaution, et bloquer toute immigration en provenance de pays dont beaucoup de ressortissants – même de nationalité française – sont peu ou pas assimilés. Ici le droit collectif à l’identité des peuples doit l’emporter sur le droit des individus à immigrer.

Le populisme contre le putsch des médias et des juges

En matière d’immigration (et de politique familiale), le pouvoir n’appartient plus aux hommes politiques. Il appartient aux médias et aux juges : au tribunal médiatique qui fixe les limites du licite et de l’illicite dans les discours ; aux cours internationales et aux cours suprêmes qui interprètent les principes fondamentaux des droits de l’homme à leur manière : pour le droit des étrangers contre le droit des peuples ; pour le politiquement correct contre les libertés individuelles. Mais partout en Europe de puissants courants populistes s’expriment. Ils demandent un retour aux frontières car ils savent que le sort de la civilisation européenne ne se joue pas à Benghazi mais à Lampedusa.

Jean-Yves Le Gallou
Polémia
28/04/2011

Texte en PDF cliquer ici

Voir aussi les articles Polémia :

Une lecture très protectrice des droits des étrangers par les juridictions françaises restreignant les possibilités de réaction du gouvernement face à la pression migratoire accrue à laquelle est confronté notre pays 
« Eloge des frontières », de Régis Debray 
L'immigration par escroquerie sentimentale
L'immigration noire africaine : un phénomène qui s'amplifie
L'Implosion démographique européenne face à l'explosion démographique africaine : l'Afrique déborde-t-elle sur l'Europe ?

et

Rapport au Parlement sur les orientations de la politique d’immigration et d’intégration (année 2009) 

Image : démographie en Afrique

 

Jean-Yves Le Gallou

mercredi, 04 mai 2011

Clio et les dessous de la justice internationale

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Clio et les dessous de la justice internationale

par Jure G. VUJIC

Ex: http://www.polemia.com/ 

Jure Vujic, contributeur de Polémia et auteur de nombreux articles dans des revues philosophiques et de politique internationale telles que Krisis, nous propose, à l'occasion de la récente condamnation du général croate Ante Gotovina, une tribune sur les mécanismes du Tribunal pénal international pour l'ex-Yougoslavie et ses véritables motivations à l'égard des intérêts géostratégiques anglo-américains.
Polémia

La condamnation par le Tribunal pénal international pour l'ex-Yougoslavie ( TPY) à 24 ans de prison  de l'ancien général croate Ante Gotovina pour «crimes de guerre» lors de l'offensive en 1995 dans l'enclave serbe de la Krajina, confirme une fois de plus que la justice internationale n'existe pas et qu'elle n'a jamais existé. Comme l'affirmait Hobbes: «Auctoritas non veritas facit legem» (C’est l’autorité et non la vérité qui fait la loi/la norme). Nous pourrions, au seuil de ce XXIe siècle, qui s’annonce comme un siècle de catastrophes, tout comme le XXe, étendre cette réflexion de Hobbes et dire : «Auctoritas non lex facit imperium», soit «C’est l’autorité et non la loi/la norme qui fait l’empire». En effet la justice internationale et le TPY de surcroit constituent les instruments de légitimisation de l'autorité globale anglo-américaine dans le monde ce qui explique bien que la loi et la justice sont absentes des considérations purement politiques de juges hollandais ou scandinaves qui ne savent même pas situer sur une carte géographique les pays des bélligerants qu' ils entendent pacifier ou purifier de prétendus crimes barbares. Dans le cas de la guerre ex-yougoslave et plus particulièrement dans le cas croate, il s'agit non seulement d'un déni de justice flagrant ( le TPY a volontairement dénié de juger l'agression de la Croatie en 1991 par l'armée yougoslave grande-serbe ainsi que les crimes contre l'humanité commis á Vukovar), mais aussi d'une parodie de justice qui enterrine bien les intérêts géopolitiques anglo-amércains dans la région du sud-est européen.

Le Tribunal de La Haye, porte-parole des intérêts géostratégiques anglo-américains

En effet, le Tribunal de La Haye s'est fait le porte parole de ces mêmes intérêts lorsque «il a, contre et envers toutes les dispositions en vigueur du droit international classique, motivé sa condamnation du général Gotovina par une incrimination montée ad hoc et de toute pièce » á savoir : avoir contribué á une entreprise criminelle dont le but était de nettoyer la Krajina de sa population serbe. En outrepassant ses compétences juridiques, le TPY s'est constitué ainsi en véritable tribunal de l'Inquisition et démonisant l'ensemble de l'élite politique, étatique et militaire croate de l'époque du premier président croate Franjo Tudjman en 1991. En un mot, le TPY s'arroge unilatéralement le droit de criminaliser la Croatie, un Etat souverain reconnue internationalement. Ne prenant pas en compte qu'il s'agissait en l'occurence et indiscutablement d'une guerre internationale classique et que la Croatie en 1991 a tout bonnement été agressée par l'armée yougoslave communiste et ses auxiliaires paramilitaires grands-serbes, le Tribunal a décidé de mettre sur un même pied d'égalité les parties bélligerantes : Serbes, Croates et Bosniaques. Le procédé est rôdé et classique, car il permet de diviser pour régner, faire table rase da la volonté des peuples et de la souveraineté étatique qu'elle soit croate, serbe ou bosniaque afin de consolider les intérêts géopolitiques anglo-américains dans ce que Buxelles appelle «les Balkans occidentaux».

En Croatie la guerre avec la Serbie d'il y a plus de dix ans laisse encore des cicatrices et l'opinion publique désapprouve á l'unanimité la condamnation d'Ante Gotovina, considéré comme un héros de guerre. Les 24 ans de prison pour Ante Gotovina ont suscité une levée de boucliers et des manifestations dans la capitale croate, Zagreb, où des milliers de personnes sont rassemblées, ainsi que dans beaucoup de villes de Croatie. Beaucoup de Croates espéraient, en effet, un acquittement du général Gotovina - ou une condamnation à une peine légère qui aurait permis sa remise en liberté. Le fossée se creuse entre une opinion publique de plus en plus eurosceptique et les élites politiques croates qui s'acharnent de rejoindre le plus vite possible l'UE et sans égard aux aspirations souverainistes de son peuple. En effet cette condamnation est vécu par le peuple comme un véritable coup de poignard dans le dos, et comme une trahison de la politique croate aux ordres de Londres et de Bruxelles. Le cas croate illustre très bien l'histoire des victoires militaires trahis par les politiciens, ou mieux encore la criminalisation des guerres justes de libération nationale. Le verdict injuste et inéquitable du TPY démontre une fois de plus que l’ordre international actuel sert les intérêts des «Plus forts» et en particulier les intérêts géostratégiques anglo-américains dans le monde. Loin d'en finir avec l’anarchie des traités de Westphalie (1648) qui reconnaissaient aux États souverains le droit de se faire la guerre, tout en l'«humanisant», la justice internationalle, en passant par la Société des Nations et l’Organisation des Nations Unies qui soit disant mettaient la la guerre hors la loi, reste aujourd'hui un moyen privilégié pour les États ploutocrates et les oligarchies financières apatrides de dominer le monde et un moyen insidieux d’arriver à leurs fins, au mieux, a une justification a posteriori de leurs actes d'agression et d'occupation.

Les aberrations juridiques

Au palmarés des aberrations juridiques de la justice internationale, il faut rappeler que le droit international ne reconnaît traditionnellement que les États comme sujets, et que pourtant il a justifié l’arrestation, la condamnation et l’exécution de Saddam Hussein et, avant lui, de tous ceux qui ont été jugés et condamnés par les tribunaux de Nuremberg et de Tokyo. Ainsi La guerre, crime contre la paix, est ainsi alignée sur le même plan que le crime contre l’humanité. Dans le cas croate, on renvoie dos á dos l'agresseur et l'agressé, la guerre défensive légitime et la guerre d'agression illégale, tout en inculpant les bélligerants d'organisation criminelle, comme si les Etats souverains constituaient des mafias du crime organisé. D'autre part il convient de rappeler une autre aberration juridique constitutive et fondatrice, c'est celle de la primauté du droit anglo-saxon dans la justice internationale, qui est inapplicable et non conforme á la tradition juridique continentale européenne et qui fait une confusion manifeste entre la souveraineté des États, reconnue et la subjectivité internationale attribuée aux individus, entre l’universalisme et le particularisme, deux notions juridiques antagoniques mais réunies ici au sein du même système anglo-saxon.

Cela explique le fait que l’agression ne soit pas jugée selon la même norme que les autres crimes. Le tribunal ad hoc, financé par les États-Unis, a refusé de mettre en cause les agissements de l'armee yougoslave populaire à Vukovar en 1991 et l'appui logistique et politique de Belgrade á la guerre d'agression contre la Serbie. D'autre par le TPY a refusé de prendre en compte les agissements out of area et illégaux de l’O.T.A.N., comme s’il y avait une hiérarchie entre les victimes dues aux violations des droits de l’homme et les victimes dues à la guerre d’agression. Pour éviter la menace que constitue la possibilité de tels jugements, les États-Unis n’ont toujours pas ratifié les statuts de la Cour pénale internationale, en exercice depuis 2003. La guerre humanitaire, qui résulte du droit d'ingérence, concept juridique et hybride flou créé ad hoc en dehors du droit international classique, en contradiction avec le principe même de notre droit international, a permis les pires bavures de ce droit international. Parce que les droits de l’homme sont placés au-dessus de la paix, leur violation peut légitimer une guerre d’agression, y compris sans l’autorisation des institutions internationales, comme nous l’avons vu au Kosovo en 1999, et aujourd'hui en Lybie. Force est de constater que le plan moral, éthique est distingué ici du plan juridique. Le travail du TPY dans l'épisode ex-yougoslave s'inscrit tout droit dans le cadre d'un conflit néo-colonialiste opposant l’Occident anglo-américain aux pays qui résistent à son ambition d’hégémonie planétaire. Les peuples européens aujourd'hui déshonorés et humiliés tout comme le sont les peuples croates, serbes et bosniaques vivent dans cet état de menace permanente, qui rend possible une «industrie de la mort collective», illustrée par des condamnations judiciaires infâmantes et des bombardements lâches et ignobles de population civiles. Cette réalité conflictuelle permet de réintroduire un antagonisme ami/ennemi inspiré de Carl Schmitt, dans un monde officiellement gouverné par une visée pacifiste universelle, dont Clio, la muse de l'histoire universelle, se moque et n'a que faire. 

Jure Georges Vujic
19/04/2011

L'auteur : Jure Vuji, est avocat, diplomé de droit à la Faculté de droit d'Assas Paris II. Géopoliticien et écrivain franco-croate, il est diplomé de la Haute Ecole de Guerre Ban Josip Jela_i_ des Forces Armées Croates et de l'Académie diplomatique croate où il donne des conférences regulières en géopolitique et géostratégie.

Les intertitres sont de la rédaction

Voir les articles de Polémia :

 « Bloody Sunday »ou le modèle global de la contre-insurrection
Krisis, « La Guerre ? » 
L'Occident : une Yougoslavie planétaire 

Correspondance Polémia 19/04/2011

mardi, 03 mai 2011

L'alchimie tribale libyenne

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L’alchimie tribale libyenne (Point de situation)

Communiqué de Bernard Lugan, le 24 avril 2010
 
 

GN27630T.jpgLa nouvelle selon laquelle le colonel Kadhafi  aurait ordonné à son armée de se retirer de la ville  de Misrata  pour y confier le rétablissement de l’ordre aux tribus qui lui sont loyales, permet de mettre en évidence la grande réalité tribale sur laquelle repose la vie sociale libyenne [1]

 Le problème, lorsque l’on parle des tribus de Libye tient au fait que nous sommes en présence d’ensembles divisés en une infinité de clans et de sous clans aux alliances fluctuantes et aux zones d’habitat mouvantes. On recense ainsi environ 150 tribus et clans dont la plupart vivent éclatés sur plusieurs régions et dont les intérêts sont régulièrement contradictoires. Ces tribus ne constituent pas des blocs homogènes unanimement rangés dans un camp ou dans l’autre. Ainsi, au sein même des Gaddafa, la tribu du colonel Kadhafi, l’un des cousins de ce dernier, Ahmed Gaddaf al-Dam est passé chez les insurgés. S’agit-il d’une adhésion sincère ou d’une habitude bédouine de ménager une porte de sortie pour les siens? L’histoire le dira. 

Entre ces tribus et ces clans, les apparentements familiaux sont étroits, ce qui fait qu’en dépit des combats, les liens qui ne sont jamais rompus peuvent donc être renoués à tout moment. Deux exemples :
 

1) Les liens historiques et matrimoniaux entre la tribu des Gaddafa et certaines composantes des Warfallah sont anciens. Au mois de mars 2011, quand une majorité de clans warfallah abandonna le colonel Kadhafi, le chef de la branche warfallah de Beni Wallid  « capitale » historique des Warfallah déclara qu’il ne considérait plus Kadhafi comme un « frère ». Certes, mais les liens du sang demeurent qui permettront, un jour, de procéder à des retrouvailles…

2)   Toujours au mois de février,  Seif al-Islam, fils du colonel Kadhafi, prononça un  discours télévisé dont la portée a échappé à bien des observateurs. S’adressant aux rebelles de Cyrénaïque, il parla de ses « oncles d’el Baida », un des bastions de l’insurrection et centre de la tribu des Barasa. La raison de cette adresse était claire : le coeur de la confédération tribale de Cyrénaïque est la tribu Barasa, celle de l’ancien roi Idriss ; or, la seconde femme du colonel Kadhafi,  Safeya Farkash al-Baraasa, mère de Seif al-Islam, est une Barasa. En parlant à « ses oncles d’el Baida», Seif al-Islam tentait donc de rallier le lignage de sa mère au régime de son père.  

Pour ce qui est des grandes tribus, à la date à laquelle ces lignes sont écrites (24 avril 2011), la situation est la suivante :  

Les Warfallah (Werfella) qui forment la principale tribu de Libye et qui sont divisés en plus de 50 clans que l’on retrouve dans toute la partie septentrionale du pays, avec une assise en Cyrénaïque dans la région des villes de Benghazi et de Dernah, mais qui sont également présents en Tripolitaine, se sont majoritairement rangés dans le camp des rebelles. Plusieurs de leurs clans, notamment une partie de ceux résidant en Tripolitaine sont cependant demeurés loyaux au colonel Kadhafi. Pour mémoire, l’opposition entre certains clans warfallah, essentiellement ceux de Cyrénaïque, et le régime libyen, remonte à l’année 1993 quand plusieurs dizaines d’officiers accusés de complot furent arrêtés et certains exécutés.  

L’ensemble Maghara (al-Maghara) de Tripolitaine est en majorité demeuré fidèle au régime du colonel Kadhafi. Quant aux tribus du Sud, elles n’ont pas la même importance démographique que celles du Nord, mais elles sont demeurées loyales. Elles auraient à craindre des représailles de la part des insurgés de Cyrénaïque si ces derniers étaient vainqueurs car elles ont fourni au colonel Kadhafi ceux qu’ils nomment les « mercenaires », alors qu’il s’agit largement de Libyens « noirs », à commencer par les Toubou du Fezzan.  

Pour ce qui est des tribus berbères ou dites berbères, soit entre 10 et 15% de la population totale, la situation n’est pas homogène. Il est important de rappeler que le fond de la  population de Libye est Berbère (Amazigh) et que son arabisation s’est produite aux XI-XII° siècles, sous les Fatimides d’Egypte, avec l’arrivée des tribus bédouines arabes Beni Hilal et Beni Salim.Les Touaregs qui sont des Berbères, soutiennent le régime Kadhafi tandis que les Berbères de l’Ouest, notamment ceux de la région du djebel Nefusa et de la ville de Zwara vers la frontière tunisienne, comme d’ailleurs ceux de l’Est se sont clairement rangés du côté des rebelles. 

 www.bernard-lugan.com  

 
[1]15% seulement de la population du pays est détribalisée et vit en majorité dans les villes de Tripoli et de Benghazi (Al-Haram Weekly).
 

dimanche, 24 avril 2011

Qadhafi, van paria naar bevriende leider en terug

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Qadhafi, van paria naar bevriende leider en terug

 

 

 

door Georges Spriet

 

Ex: http://www.uitpers.be/

 

Het belang van Libië heeft van doen met de ondergrond en de geografische ligging van het land. Eerst en vooral is er de olie. Vervolgens is er de voornamelijk Amerikaanse strijd tegen het terrorisme. En ten slotte is er de voornamelijk Europese strijd tegen de migratie. Qadhafi was sedert de oplossing van de Lockerbie-kwestie (1) en zijn afzweren van massavernietigingswapens op bepaalde terreinen de nieuwe vriend van het Westen geworden op andere dan weer (nog) niet. De directere reden voor een interventie is dat het Westen over geen enkele ernstige hefboom beschikt om de gebeurtenissen van deze 'Libische lente' te (bege-)leiden in een richting die het geheel van de westerse belangen veilig kan stellen.

Van korte duur

 

Het lijkt erop dat de Westerse analisten ervan uitgingen dat een nieuw Tunesië en een nieuw Egypte voor de tegenstanders van Qadhafi een blijvend voorbeeld zouden vormen, en men schatte wellicht in dat deze 'opstand' niet snel weg zou ebben, en dus dat Qadhafi's dagen wel 's geteld zouden kunnen zijn. Zo zag er het de eerste tijd ook naar uit. En de EU nam snel duidelijk stelling tegen Qadhafi toen er signalen kwamen van moordende repressie.

 

De relaties tussen Libië en het Westen waren nochtans volop aan het groeien de laatste tijd. Qadhafi bezocht geregeld Europese regeringsleiders. De EU stond op het punt een Raamakkoord met Libië te ondertekenen en overwoog een vertegenwoordigingsbureau te openen in Tripoli. Qadhafi ontmoette in 2009 president Obama tijdens de G8-top in Italië, als toenmalig voorzitter van de Organisatie van Afrikaanse Eenheid. Toen de chef van Africom, generaal William Ward, in mei 2009 voor de tweede keer bij Qadhafi op bezoek was geweest rapporteerde hij aan Washington dat Qadhafi de politieke crisissen in Afrika niet langer aan de VS toeschreef. Dat blijkt uit de Wikileaks hieromtrent die onderzoeker Michael Bush (City College New York) behandelde in een bijdrage op Foreign Policy in Focus.(2)

 


Wikileaks

 

Volgens Qadhafi is het Chinese beleid in Afrika veel softer dan dat van de VS omdat het zich niet mengt in binnenlandse aangelegenheden. De VS hebben ook teveel de neiging om militaire basissen te ontwikkelen nabij de energiebronnen: mochten de VS dit ook willen doen in de Golf van Guinea dan zou dit het terrorisme aanwakkeren, aldus Qadhafi. Hij meende dat de VS teveel aan de zijde staan van Israël en dat het in het belang van Amerika is om de Palestijnen te steunen. Hij raadde ook aan niet teveel vertrouwen te hebben in de Arabische leiders van de Golf en de Levant. Hij stelde vragen bij de VS-basissen in Djibouti met de opmerking dat militaire machtsaanwezigheid door de terroristen wordt aangegrepen om terreur te verantwoorden.

 

Qadhafi had het vervolgens over de twee bronnen van terrorisme : het wahabisme [een fundamentaal conservatieve strekking in de islam, die de staatsgodsdienst is in Saudi-Arabië en Qatar, nvdr]en Zwitserland. De Zwitserse banken sponsoren terroristen en hij stelde voor het land op te splitsen volgens taalgroep. Hij legde de oorzaak van de piraterij voor de Somalische kusten bij 'buitenlandse entiteiten' die de territoriale wateren van dat land hadden geschonden en meende dat de oplossing van het piratenprobleem een overeenkomst zou moeten inhouden tussen de piraten en deze landen die de Somalische wateren exploiteren. Qadhafi stelde in dit verband voor te helpen zoeken naar gesprekspartners. Hij benadrukte verder dat nu Libië (2009) voorzitter is van de Organisatie van Afrikaanse Eenheid er kon samengewerkt worden met Africom om het terrorisme in de Sahara en de piraterij te bestrijden. Hij zei nog dat hij volop kon samenwerken met het nieuwe Amerika, nu het geregeerd werd door een "nieuwe geest van verandering".

 

Qadhafi was dus de laatste tijd bijzonder salonfähig geworden in de westerse wereld. Hij wilde samenwerken in de bestrijding van het terrorisme, hij sloot akkoorden met de EU onder meer over migratie, en hij laat de Libische olie mede-ontginnen door een hele rist buitenlandse ondernemingen: Europese, Amerikaanse, Russische, Chinese en andere Aziatische petroleummaatschappijen. Toch zijn er nog wolken aan de blauwe Sahara-lucht. Die hebben in de eerste plaats te maken met beleid van de VS qua militaire basissen, met Israël, met de VS-bevriende leiders in Saudi-Arabië en de Golfstaten en met de controle van de toegang naar de Indische Oceaan (het dossier van de Somalische piraterij). Dat is in elk geval wat Wikileaks ons toont.

 

We zagen dus een soort jonge verstandsverloving tussen het Westen en Qadhafi afspringen bij de eerste nieuwe misstap van de Libische leider, met name zijn gewelddadig militair optreden tegen de opstandelingen.

 


Oppositie

 

Wat de Libische oppositie betreft beschrijft een recent rapport van de US Congres Research Service vooreerst het belang van de tribale relaties in het distributief systeem van Qadhafi: meer bepaald voor het aanduiden van ministers en in de politiek-militaire relaties. Qadhafi omringt zich met getrouwen uit de eigen kring, en onder meer de grotere Warfala-stam voelt zich gediscrimineerd. Hier situeert zich een eerste lijn van 'oude' oppositie. Anderzijds zijn er nog de royalisten, en verschillende religieus geïnspireerde oppositie zoals de Moslim Broederschap, en de Libyan Islamic Fighting Group. Het Westen had eigenlijk voornamelijk contact met de royalisten die over een bureau in Londen beschikken.

 

Het blijft een belangrijk punt in de analyse van de huidige situatie dat het Westen over onvoldoende hefbomen beschikt om te wegen op de ontwikkelingen. 'Arabische lente' staat niet gelijk met 'nieuwe vriend' van het Westen. Daar moet dus wat aan gedaan. Dat was in Tunesië en Egypte niet nodig wat daar beschikken de VS over uitstekende contacten met de legerleiding.

 

De opstand in Libië betreft een mengelmoes van individuen en kleine groepen die naar politieke bewegingsruimte verlangen, van bestaande oppositietendensen, en van de tribale gelaagdheid van de Libische samenleving. Het regime bleef zolang overeind niet alleen door repressie en door het inzetten van migrantenarbeiders maar ook door het cliëntelistisch systeem waarbij regionale, tribale leiders mede konden genieten van de vetpotten van de olie-inkomsten in ruil voor hun steun aan het regime. Hebben opeenvolgende uitzuiveringen een stadium bereikt van te grote frustraties bij sommige 'families'? Het leger van Libië telde zo'n 120.000 man, maar waarvan er slechts een 15 à 20.000 goed zijn opgeleid en bewapend, o.m. de Khamis brigade onder leiding van een van de zonen van Qadhafi. De anderen beschikken slechts over zwaar verouderd materieel en werden zo goed als niet opgeleid. Hun desertie, zelfs als ze de wapens mee nemen, zal militair niet kunnen opwegen tegen een Qadhafi-regime dat tekeer gaat als een kat die in een hoek is gedrongen.

 

Is het juist te denken dat het Westen alles op alles zet om een 'bevriende' oppositie te vinden, of te maken, en die nu zo snel mogelijk in het zadel te helpen als nieuwe leiders van het land? Is het juist te denken dat het Westen eigenlijk de 'Arabisch lente' in Libië aan het kapen is?

Niet eensgezind

Hoe eensgezind is het Westen in deze zaak? Kennelijk kijkt men vanuit verschillende hoofdsteden ook verschillend aan tegen de Libië crisis. Een centrale vraag blijft waarom Parijs zo voortvarend wilde zijn, en kennelijk heel wat andere landen voor het hoofd durft te stoten. Zoals de grote media het stellen speelt inderdaad zeker het Napoleon-gehalte van president Sarkozy een rol. Bovendien doet hij het voorlopig slecht in de peilingen in de aanloop naar de Franse presidentsverkiezingen in 2012, en zoekt hij daar verandering in te brengen door zijn optreden in Libië. Ziet hij misschien brood in het vacuüm dat het verdwijnen van Qadhafi zou veroorzaken qua Afrikaanse contacten en netwerken, in een periode waarin de VS met Africom en China met investeringen en grondstoffenexploitatie zich duidelijk op de kaart van dit continent zetten? Ziet hij een kans om zijn positie en prestige weer op te vijzelen in de regio na z'n getorpedeerd Middellandse-Zee-initiatief tijdens zijn EU voorzitterschap drie jaar geleden?

 

President Obama en de EU leiders willen absoluut de beeldvorming vermijden dat het Westen opnieuw tegen een islamitisch land militair zoekt op te treden, het derde in de rij. Vandaar de nadruk op het standpunt van de Arabische Liga, vandaar de noodzaak om Arabische deelname te hebben aan de bombardementen. Qatar biedt zich aan als eerste kandidaat in dit verband. Sarkozy trachtte zijn en Obama's agenda te verenigen via zijn top in Parijs op 19 maart en het inzetten van bombardementsvluchten – exact 8 jaar na de aanval op Irak om daar de 'dictator en baarlijke duivel Saddam Hoessein' weg te jagen. Qua Arabische landen waren in Parijs aanwezig(2): Qatar, Jordanië, Verenigde Arabische Emiraten, Marokko en...Irak. En de secretaris van de Arabische Liga. Door de lijn om een uitdrukkelijke Arabische participatie te verzekeren, lig het niet zo makkelijk het geheel als een NAVO-operatie te laten doorgaan. Bovendien, waren binnen de NAVO zelf, Duitsland en Turkije kennelijk enkel gewonnen voor niet-militaire maatregelen tegen Qadhafi, en toonden de Centraal-Europese landen weinig interesse. Op 25 maart meldde een NAVO-woordvoerster dat de gelegenheidscoalitie van de Verenigde Staten, Frankrijk, Verenigd Koninkrijk en enkele andere landen binnenkort waarschijnlijk zal vervangen worden door een NAVO-operatie. België schaarde zich opnieuw bij de braafste leerlingen in de klas die overenthousiast volgen wat de leraar voorschrijft.

 

Besluit

 

Het Westen besloot de jonge relaties met het Qadhafi-regime te verbreken na zijn moordende repressieve aanpak van de 'Arabische lente' in zijn land. Qadhafi had wel mee gewerkt in de westerse strijd tegen het terorisme en de migratie, had zijn olierijkdom open gesteld voor internationale actoren, maar leek op andere punten - zeker ook wat de positie tegenover Israël betreft - nog lang niet in de pas te lopen. Zijn verdwijnen zou de kansen op een bereidwilliger Libië kunnen vergroten: vandaar de zoektocht om een westers gezinde oppositie naar voor te kunnen schuiven. Sarkozy stond hier op de eerste rij door heel snel de Nationale Transitieraad als enige vertegenwoordiger van het Libische volk te erkennen. Een militaire tussenkomst moet de krachtsverhoudingen verder doen kantelen ten voordele van de nieuwe vrienden van het Westen.

 

(Uitpers nr. 130, 12de jg., april 2011)

 


Noten:

 

 

(1) Op 21.12.1988 stortte een Boeing-747 ten gevolge van een bomexplosie aan boord neer in het Schotse plaatsje Lockerbie. Alle 259 inzittenden en 11 mensen op de grond kwamen daarbij om het leven. Uiteindelijk werd op 31.01.2001 een Libiër schuldig gevonden aan het plegen van de aanslag. Op 20.09.09 werd de hij officieel om gezondheidsredenen vrijgelaten. Zie hierover "Londen stopt Lockerbie-affaire in doofpot" in Uitpers nr. 112, september 2009. Zie: http://www.uitpers.be/artikel_view.php?id=2453

 

(2) Africom's Gen. Ward the Beneficiary of Gaddafi's Wit and Wisdom By Michael Busch, February 26, 2011 http://www.fpif.org

 

 

 


(3) In Parijs waren op de top van 19 maar 2011 naast de vernoemde Arabische staten ook 10 Europese staten aanwezig: Franrkijk, Duitsland, Spanje, Polen, Denemarken, Italië, Griekenland, België, Nederland, Noorwegen. Verder de USA, Canada en de Aarbische liga, EU, VN

samedi, 23 avril 2011

Wie Nordafrikas Kriege und Krisen nun Europas Problem werden

Wie Nordafrikas Kriege und Krisen nun Europas Problem werden

Eva Herman

Dass sich in Nordafrika und der arabischen Welt grandiose Flüchtlingskrisen abzeichnen, hat sich bereits herumgesprochen. Dass Italien dabei derzeit eine Schlüsselrolle zukommt, die niemand dem Land gerne abnehmen möchte, will auch niemand leugnen. Die kleine italienische Flüchtlingsinsel Lampedusa, die im Mittelmehr zwischen Tunesien und Sizilien liegt, erzählt täglich aufs Neue grässliche Geschichten von Elend, Not, Angst und Sorge vor der Zukunft. Bisher schauen die Nachbarländer mit wohligem Grausen dem Treiben zu: Täglich landen neue Boote mit Hunderten Flüchtlingen. In Italien – und nicht etwa bei ihnen, in Frankreich, Österreich, der Schweiz oder in Deutschland. Italien ist weit. Noch.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/eva-herman/wie-nordafrikas-kriege-und-krisen-nun-zu-europas-problem-werden.html