Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

lundi, 04 avril 2011

Obiettivo dei globalisti: la banca centrale libica

insurges_libye-benghazi.jpg

Obiettivo dei globalisti: la banca centrale libica

di Eric V. Encina

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte] 


Una notizia raramente menzionata dai politici occidentali e gli esperti dei media: la Banca Centrale Libica (N.d.T: d'ora in poi siglata con BCL) è posseduta al 100% dallo Stato. I globalisti della finanza internazionale e i manipolatori del mercato non lo gradiscono e sono intenzionati a proseguire nei loro sforzi già avviati per detronizzare Muammar Muhammad al-Gaddafi, determinando la fine della Libia come nazione indipendente.

Al momento, il governo libico crea la propria moneta, il dinaro, attraverso gli impianti della banca centrale. Alcuni potrebbero obiettare che la Libia è uno stato sovrano con grandi risorse naturali, capace di sostenere il proprio destino economico. Uno dei maggiori problemi per i cartelli bancari globalisti è che, per fare affari con la Libia, devono accordarsi con la BCL e la sua valuta, e per questi motivi hanno un dominio e una forza contrattuale pari a zero. In conseguenza di ciò, spazzare via la BCL non figurerà di certo nei discorsi di Obama, di Cameron e di Sarkozy ma è sicuramente in cima alla lista all'agenda globalista per assorbire la Libia nello sciame di nazioni accondiscendenti.

Quando il fumo dei missili Cruise e delle bombe cluster cesserà, si vedranno all'opera i riformatori dell'Occidente per riformare il sistema monetario libico, saturandolo di dollari senza valore, avviando così una serie di caotici cicli inflattivi.

La BCL è attualmente un ente al 100% di proprietà statale e rappresenta l'autorità monetaria della Jamahiriya Araba Libica del Popolo Socialista. La struttura finanziaria e le procedure gestionali di una banca statale sono naturalmente molto differenti da quelle di una banca centrale europea o di quella statunitense; le sue quote non sono detenute da banche speculative o da una lista non rivelata di azionisti privati, così come avviene per la US Federal Reserve o la Banca d'Inghilterra. Le leggi costituzionali libiche danno incarico alla BCL di mantenere la stabilità monetaria e di promuovere una crescita sostenibile della sua economia nazionale. La Libia detiene inoltre il maggior numero di lingotti d'oro in proporzione al Prodotto Interno Lordo di qualsiasi altro paese, eccetto il Libano, secondo il World Gold Council che ha sede a Londra, in base ai report di gennaio del FMI. Il prezzo dell'oro è salito a $1,429.74 per oncia il 25 marzo 2011.

Quest'oro rimarrà in Libia una volta che le forze alleate avranno preso il controllo di Tripoli, oppure verrà smarrito, o verrà scambiato con vagonate su vagonate di foglietti con sopra stampata la scritta 'US Dollars'?

PIEGARE LA LIBIA AL NUOVO ORDINE MONDIALE

Nello statuto bancario libico, uno dei principali mandati è quello di regolare la quantità, la qualità e il costo del credito per incontrare le richieste di crescita economica e di stabilità monetaria. Questo, naturalmente, è esattamente l'opposto di quanto venga svolto dalle banche centrali possedute dai privati in tutto il mondo. Le banche centrali private favoriscono l'inflazione, creano bolle speculative per poi sgonfiarle, per trasferire ingenti somme di denaro dai ceti bassi e medi nelle mani delle élite finanziarie.

Sta diventando facile diagnosticare le vere cause del caso nel Medio Oriente e dei perduranti attacchi contro la Libia. Finanza, petrolio, militarizzazione e imperialismo, globalizzazione: tutto ciò fa parte dell'agenda corrente del Nuovo Ordine Mondiale. Egitto e Tunisia sono entrambe cadute in mano a dittature militari ad interim, e sono state rese schiave da miliardi di prestiti a basso costo della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD) e della Banca Mondiale.

Qualsiasi nazione che corra nella direzione opposta all'ortodossia del NWO verrà sicuramente ostracizzata e portata in salvo dalla mannaia militare. Le azioni di guerra 'legittime' contro queste nazioni non globaliste sono designate per umiliare, degradare e compromettere i diritti umani internazionali, una condizione che è largamente non condivisa nella maggior parte dei mondo.

UN PUPAZZO CANADESE DESIGNATO LEADER PER LE OPERAZIONI DELLA NATO IN LIBIA

La maggioranza degli osservatori direbbe che il Canada è neutrale nel conflitto libico. Ma in questo caso, il consesso degli avidi potenti del mondo ha deciso che il Canada sarà in prima fila nell'intervenire nel caos libico. Con rispetto per i leader e gli ufficiali del Canada, la sua partecipazione in questo conflitto così peculiare e nella copertura dell'opera di Obama in Libia sono troppo efficaci per incamerare profitti e per impossessarsi delle risorse di quella particolare regione del mondo.
“Il ministro della Difesa del Canada Peter MacKay ha riferito venerdì che il generale Charles Bouchard è stato incaricato di condurre la campagna militare degli alleati in Libia”, (Yahoo News, 25 marzo 2011). Bouchard è di stanza a Napoli, Italia, al Comando Unitario della Forze Alleate. Il più recente incarico di Bouchard è stato quello di comandante del NORAD. MacKay aggiunge anche che “sarà comandante delle operazioni NATO, che sono ancora in fase di determinazione”.

Questa è un'ulteriore sfida per il popolo canadese; un'altra ripercussione è data dal fatto che il budget canadese sarà prosciugato da questi interventi, mentre la Bank of Canada ha come principale attività la finanza del debito. Se il Canada, in un futuro non troppo distante, continuerà a partecipare ai conflitti, diventerà allora una pienamente compiuta nazione globalista e guerrafondaia, unendosi così a USA e Regno Unito.

Ci si potrebbe chiedere cosa diventerà il mondo che è perennemente in uno stato di conflitto. Perché costruire valore solo per distruggerlo con le guerre? Perché aumentare le tasse, spendere e senza ragione devastare le entrate dello stato, creare moneta dal nulla in maniera simile all'usura, e prendere o dare in prestito denaro con interessi di modo che il debito nazionale si accumuli con progressione geometrica? Vedremo i risultati col passare del tempo: il collasso economico, la creazione di povertà, il finanziamento continuo ai venditori e produttori di armi, le guerre tecnologiche più sofisticate della storia che causano le devastazioni più incredibili e danni irreparabili alla vita umana e a quella delle nazioni.

Se le politiche estere occidentali continueranno ad avere come base la guerra, per piegare sotto il proprio controllo le risorse mondiali, sembra non esserci un futuro per l'umanità.



Eric V. Encina, vive nelle Filippine e lavora come attivista e riformatore sociale. E' anche un sostenitore del credito sociale.

Fonte: http://21stcenturywire.com
Link: http://21stcenturywire.com/2011/03/28/globalist-target-the-central-bank-of-libya-is-100-state-owned/


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

dimanche, 03 avril 2011

Le camp nationaliste en pleine confusion

Le camp nationaliste en pleine confusion

Ex: http://tpprovence.wordpress.com/ 

 

entonnoir.jpgLa confusion est actuellement grande dans le camp nationaliste en Europe. Il y a ceux qui, disons-le franchement, par antisémitisme ou par fascination femelle pour la puissance, se jettent dans les bras de l’islam. Il y a ceux qui, par haine de l’islam, se couchent devant Israël. Aucune de ces deux attitudes n’est digne d’un combattant nationaliste français et européen.

CEUX QUI SE COUCHENT DEVANT L’ISLAM

Nous avons déjà évoqué le cas du Père Lelong (dans le dernier numéro de Rivarol), qui tient des propos hallucinants de complaisance vis-à-vis du message du Coran. Les lignes qui suivent, concernant les collabos de l’islam s’inspirent largement de l’excellent texte de Pierre Vial, “Islamophiles”, paru dans la nouvelle livraison de sa revue Terre et Peuple (Terre et Peuple, BP 46, 69380 Lozanne, 7euros).

Que dit-il? «Une certaine extrême droite (qui, en général, n’aime pas qu’on l’appelle ainsi… on a ses pudeurs…) a les yeux de Chimène pour l’islam et ses adeptes.[…] Alain Soral, s’exprime ainsi au sujet des Afro-musulmans de la seconde (ou troisième) génération, désignés souvent dans la presse comme “Franco-Africains”: “C’est une chance pour eux d’être nés en France. Il faut que ces jeunes deviennent ces chances pour la France”». Propos qui rejoignent ceux que Jean-Marie Le Pen tenait à la tribune de l’Assemblée nationale, en 1958: «Il ne faut pas dire que l’Algérie a besoin de la France. Il faut dire que la France a besoin de l’Algérie. Nous avons besoin d’une jeunesse vigoureuse… etc.». Et Pierre Vial de relever cependant que certains réussissent le grand écart: leur sympathie à l’égard du monde musulman va de pair avec leur participation au FN mariniste, dont le fonds de commerce est l’hostilité à l’islam (attention, pas aux musulmans, qui peuvent devenir de bons Français s’ils adoptent «les valeurs de la République»…). Une figure de proue de l’intellectualisme, celui qui fut le pape de la Nouvelle Droite, Alain de Benoist (qui fréquente allègrement l’ambassade d’Iran), a marqué clairement son choix en ouvrant les colonnes de la revue Eléments (n°138, janvier 2011) à Franco Cardini.

Cardini déclare son «admiration pour la civilisation musulmane» et son «amour pour l’islam». Il se dit aujourd’hui «catholique traditionaliste» et affirme mépriser «la petite bourgeoisie italienne, conservatrice et philo fasciste». Après avoir porté la chemise noire lorsqu’il était membre du MSI, au temps où dans chaque permanence du MSI présidait un grand portrait du Duce, il a choisi, aujourd’hui, de s’intégrer dans le camp du politiquement correct, ce qui est certainement plus confortable. C’est, évidemment, son droit. A chacun ses goûts.

Mais ce qui est gênant, précise Pierre Vial, c’est qu’il se couvre d’un manteau académique pour justifier son islamophilie. Et, là, le bât blesse. Car, comme il l’écrit excellemment, celui qui nous est présenté dans Eléments comme «un des plus grands médiévistes contemporains»(sic) profère quelques énormités dont rougirait un étudiant en Histoire de première année. En utilisant au passage des termes déshonorants (pour leur auteur) pour s’attaquer, sans le citer (mais Alain de Benoist répare en note cet “oubli”), à Sylvain Gouguenheim, auteur d’Aristote au Mont Saint-Michel, qui a le tort, impardonnable aux yeux de Cardini, de rendre ridicule ce dernier qui déclare: «Sans la culture musulmane, la grande époque de la culture scolastique, des universités et des cathédrales serait impensable». Bref, sans l’islam l’Europe serait barbare… On pourrait se contenter de hausser les épaules. Mais on ne peut en rester là devant le caractère misérable des attaques de Cardini contre Gouguenheim «que, déclare Cardini, l’on a l’évidence convaincu de s’asseoir sur son honnêteté intellectuelle». Ce Gouguenheim qui ose ne pas partager l’admiration inconditionnelle de Cardini pour l’islam est, en conséquence, un malhonnête, un tricheur et un vendu.

Mais Pierre Vial nous propose de nous intéresser aux propos du «grand médiéviste» Cardini, histoire de rire un peu.

Nous allons prendre, dans l’ordre où elles apparaissent dans le cadre de son entretien publié par Eléments, quelques unes de ses assertions les plus fantaisistes.

Alain de Benoist lui rappelle sa définition des croisades: «Elles ont été selon toi un “pèlerinage armé” visant à soumettre la Terre sainte à l’autorité d’un certain nombre d’Etats chrétiens».

La réponse de Pierre Vial: «Pèlerinage armé»? Oui, mais pas seulement, comme l’écrit Jean Flori dans son plus récent ouvrage (La croix, la tiare et l’épée, Payot, 2010): «La croisade n’est pas seulement une guerre de reconquête entreprise contre les envahisseurs musulmans. C’est une guerre sainte». Par ailleurs il n’a jamais été question de «soumettre la Terre sainte» à l’autorité d’un certain nombre d’Etats chrétiens. Faut-il rappeler qu’aucun chef d’Etat européen ne participait à la première croisade? Quand certains souverains prirent la croix pour les croisades suivantes, ce n’était évidemment pas pour soumettre la Terre Sainte à leur autorité (ce que ni les autres souverains européens, ni la papauté… et ni le roi de Jérusalem n’auraient accepté!).

Qui sont les croisés? Des «guerriers voués à combattre comme mercenaires au service de l’empereur de Byzance» dit Cardini.

Pierre Vial réplique: c’est faux. Le canon2 du concile de Clermont (où le pape UrbainII a lancé son appel à la croisade) est sans ambiguïté: «Quiconque, mû par sa seule piété— et non pour gagner honneur ou argent— sera parti à Jérusalem pour libérer l’Eglise de Dieu, que ce voyage lui soit compté pour toute pénitence»; Il s’agit donc, écrit Jean Flori (op.cit.), «de libérer les chrétiens (l’Eglise de Dieu) de la domination musulmane.»

On sait quelle place tient Saladin, encore aujourd’hui, dans l’imaginaire musulman, en tant que conquérant champion de l’islam. Pour nous convaincre des bons rapports qui pouvaient exister au Moyen Age entre Européens et musulmans, Cardini déclare: «Dans la tradition du XIe-XIIesiècle, Saladin est devenu[…] le paradigme idéal de la magnanimité chevaleresque».

Pierre Vial exécute le pompeux personnage qu’est Cardini: tout d’abord, faire référence au XIesiècle pour parler de la réputation de Saladin soulève une légère difficulté, puisque celui-ci est né en 1137 et mort en 1193. Notre «grand médiéviste» semble quelque peu brouillé avec la chronologie, ce qui est toujours gênant pour quelqu’un qui veut être historien… Et la «magnanimité chevaleresque» de Saladin s’est peu manifestée à l’issue de la bataille de Hattin, désastreuse défaite de l’armée chrétienne en 1187, à l’issue de laquelle Saladin a fait égorger devant lui tous les Templiers survivants (sauf le maître Gérard deRidefort, renégat pour sauver sa peau).

Cardini fait appel, pour illustrer la compréhension entre islam et chrétienté au Moyen Age, au travail de traduction du Coran commandité par l’abbé de Cluny Pierre le Vénérable.

Réponse: il oublie— ou veut oublier… ou ne connaît pas— des textes de Pierre, comme le Contra Sectam Saracinorum et le De translatione Alcorani, où l’abbé désigne l’islam comme «cette erreur, supérieure à toutes les erreurs» et «cette secte impie et la vie exécrable de son fondateur».

Cardini: «Il n’existe aucune guerre, ni pour les chrétiens, ni pour les musulmans, dont les combattants sont sanctifiés pour la seule raison qu’ils y prennent part».

Réponse: appel à la croisade du pape UrbainII à Clermont (1095): «Tous ceux qui iront là-bas et qui viendraient à perdre la vie, que ce soit au cours de leur voyage par voie de terre ou de mer, ou bien en combattant les païens, obtiendront à cette heure la rémission de leurs péchés[…] Ils vont maintenant gagner des récompenses éternelles». Traité De laude novae militiae de Bernard deClairvaux, sur la mission du Templier: «La mort des païens fait sa gloire, parce qu’elle est la gloire du Christ; sa mort est triomphante».

Cardini: «La bataille de Poitiers fut une modeste escarmouche».

Affirmation absurde: «Qu’on le veuille ou non la victoire de Poitiers eut un grand retentissement dans tout l’Occident» (Pierre Riché, Les Carolingiens, Hachette, 1983). Riché, ancien professeur d’histoire médiévale à l’université de ParisX et directeur du Centre de recherches sur l’Antiquité tardive et le Haut Moyen Age, cite le témoignage d’un chrétien de Cordoue qui voit dans la bataille de Poitiers l’affrontement entre les Sarrasins et «les gens d’Europe». Riché commente: «Il a pris conscience de l’opposition qui existe entre deux mondes et deux civilisations».

Pour faire bonne mesure, Cardini passe du Moyen Age à aujourd’hui: «Les immigrés sont une ressource pour une Europe en pleine crise démographique». Pour ceux qui n’auraient pas compris dans quel camp, lui et Benoist se rangent…

En conclusion de son article, Pierre Vial signale un ouvrage récent qui est la meilleure réponse aux élucubrations d’un Cardini: Jacques Heers, L’islam cet inconnu, Ed. de Paris, 2011. Dans ce livre Heers, qui fut professeur à la Sorbonne, où il dirigeait le département d’études médiévales, règle son compte à l’image complaisamment véhiculée aujourd’hui par des islamophiles du type Cardini, à savoir celle d’un islam qui, avec sa “tolérance”, aurait apporté un «âge d’or» qui est, en fait un pur fantasme destiné à faire tomber les défenses immunitaires des Européens.

Il y a 65 ans, le grand Mufti de Jérusalem, haute autorité morale de l’islam, se rendait à Berlin faire allégeance à Adolf Hitler et encourageait la constitution des divisions de Waffen-ϟϟ musulmanes, bosniaques notamment. Les divisions Handschar et Skankerberg furent créées. La division Handschar faillit d’ailleurs d’être dissoute par Himmler, tant elle se signalait par la cruauté de ses comportements. Quand j’évoquais la fascination pour la puissance, qui entraîne avec perversité toutes les trahisons, tous les reniements, toutes les soumissions… Autres temps, même mœurs…

CEUX QUI SE COUCHENT DEVANT ISRAËL

Dans un récent article paru dans Rivarol, nous avions évoqué le pèlerinage de mouvements nationalistes européens en Israël. Des Flamands du Vlaams Belang, des Autrichiens du Fpoe, des Allemands… Ils y rencontrèrent les plus extrémistes des extrémistes sionistes, visitèrent des colonies et se rendirent à Vad Yashem. Leur objectif était d’acquérir, enfin, dans leurs pays respectifs, une respectabilité qui leur ouvrirait la porte des médias et qui leur offrirait le sésame de l’intégration au Système. Devenir des partis de gouvernement! Le rêve ! Il est assez fascinant d’analyser leur raisonnement. Ouvrir la porte des media? Est-ce à dire que les médias européens sont entre les mains des lobbys juifs? Est-ce à dire que c’est en Israël que se décide qui peut être un parti de gouvernement en Europe, et qui ne saurait l’être? Nous l’ignorions… Marine LePen cherche, elle aussi à se rendre en Israël. Elle aussi… Le Bloc Identitaire s’était déjà signalé, lors d’une réunion à Orange, par des propos particulièrement indignes, déclarant notamment qu’«ils rompaient avec l’antisémitisme du Front national»… Passons…

Le 7 mai, une grande manifestation contre l’islamisation de l’Europe aura lieu à Cologne, en Allemagne, en présence de représentants de nombreux mouvements nationalistes européens. J’ai déjà eu l’occasion d’évoquer ici l’action que mènent des agents israéliens, conscients ou inconscients, auprès des mouvements nationalistes en Europe. Certains tenteraient, d’après mes informations, de faire participer à cette manifestation une délégation israélienne, au nom d’une sorte de front commun “occidental” contre l’islamisation. Il va sans dire qu’il est absolument hors de question pour moi, et pour nombre de mes camarades européens, de défiler sous le drapeau israélien, avec une délégation israélienne… Notre combat pour la délivrance de la France et de l’Europe est ici, en France et en Europe. Il n’est ni en Afghanistan, ni en Iran, ni en Irak, et pas davantage en Palestine ou en Israël.

Robert Spieler, Rivarol, 25 mars 2011, n°2992.

 

Droit d'ingérence impérialiste

SCHRANK_Libye_-Odyssey_Dawn.jpg

DROIT D'INGÉRENCE IMPÉRIALISTE
Chronique hebdomadaire de Philippe Randa

Ex: http://www.philipperanda.com/

La chute du colonel Kadhafi, exigée publiquement par l’Occident, restera une première. Il y aura un avant et un après. Avant, un pays entrait en guerre contre un autre quand il accusait celui-ci, à tort ou à raison, d’être une menace militaire pour lui-même ou pour un pays allié. Même si de tous temps, des gouvernements ont apporté des aides militaires à un camp ou à un autre lors d’une guerre civile, cela se faisait via des “légions” ou des “brigades” qui n’engageaient pas officiellement leurs pays.

Les bombardements de la France en Lybie, d’abord, la coordination par l’Otan des opérations sur le terrain ensuite, la réunion à Londres de quarante ministres des Affaires étrangères pour assurer “le pilotage politique” de l’intervention enfin, se sont faits, eux, au nom du “droit d’ingérence humanitaire” que beaucoup qualifie plus justement de “droit d’ingérence impérialiste”.
Et ce parce que l’actuel régime lybien ne s’était pas écroulé face aux mécontentements d’une partie de sa population, à l’instar de ceux de la Tunisie et de l’Égypte. La détermination du “chef et guide de la Révolution de la Grande Jamahiriya arabe libyenne populaire et socialiste” (ouf !) à reprendre les choses en main, de façon certes musclée, aurait mis un probable coup d’arrêt aux turbulences qui secouent actuellement tous les pays arabes.
Turbulences dont les USA, son allié traditionnel la Grande-Bretagne, et compère actuel la France, espèrent tirer des profits différents : conserver hégémonie économique et politique pour les premiers au Proche et Moyen-Orient, se construire un stature d’homme d’État international pour faire oublier les déboires de sa politique intérieure pour l’actuel locataire de l’Élysée.
L’échec de la révolution d’une partie du peuple lybien était une menace directe pour de telles ambitions.
Après le traditionnel pilonnage médiatique en bonne et due forme pour asseoir dans les mentalités que Mouammar Kadhafi était à lui tout seul la réincarnation de Gengis Khan, Adolf Hitler et Saddam Hussein et que les opposants à son régime étaient tous de légitimes aspirants à la liberté démocratique, islamistes compris, il n’y avait plus qu’à attendre les premières réactions du Régime de Tripoli contre les insurgés pour décider d’une intervention militaire.
Soit une ingérence caractérisée dans les affaires strictement intérieures d’un pays qui ne menaçait en rien les pays intervenants ;
Soit une volonté désormais officielle de l’ONU de contrôler, militairement si besoin est, les affaires intérieures des pays dans le monde ;
Soit cette fameuse gouvernance mondiale qu’appellent de leurs vœux les plus avides les dirigeants des puissantes multinationales, toutes par essence apatrides.
L’Allemagne s’est abstenu d’apporter sa complicité dans l’affaire pour cause d’élections, dit-on. Après soixante années de culpabilisation massive, les Allemands actuels ne sont effectivement guère enclins à participer à quelque aventure militaire… Plus importantes sont les attitudes de la Russie et de la Chine qui avaient la possibilité de bloquer l’intervention. Ils se sont contentés d’une abstention qui lui laissait le champ libre. Simple hypocrisie ou n’est-il pas légitime se penser qu’ils ont monnayés fort chères leurs neutralités ? Ce qu’ils ont obtenus en échange n’a pas été rendu publique ; c’est peut-être une des surprises à venir bientôt…
À moins que Russie et Chine ne soient persuadés que l’aventure lybienne pourrait peut-être bien être un nouveau bourbier militaire, après celui d’Afghanistan et d’Irak, où les forces auto-proclamés démocratiques pourraient bien à nouveau s’empêtrer. Pour notre part, on le saura en comptabilisant le nombre de soldats français qui pourraient y perdre leur vie. Un décompte macabre qui, de toute façon, ne commencera, comme pour les deux autres pays envahis, que dans l’après-Khadafi…


Die Wiedergeburt der Entente Cordiale

Die Wiedergeburt der Entente cordiale

Michael WIESBERG

Ex: http://www.jungefreiheit.com/

entente_cordiale.jpgDie Scham- und Bedenkenträger sind wieder unter uns: Diesmal ist es die Scham darüber, daß Deutschland in Libyen nicht für die Rechte der „Menschen in Libyen“ mitbombt. An der Spitze dieser medial hofierten Klageweiber steht mit Klaus Naumann, dem Ex-Chef des NATO-Militärausschusses, bezeichnenderweise ein ehemaliger Bundeswehrgeneral, der derzeit jedem, der ein Mikrophon vor ihm aufbaut, erklärt, er schäme sich für Haltung seines Landes, das seine „Freiheit und seinen Wohlstand auch der Bereitschaft seiner Verbündeten verdankt, für die Deutschen einzutreten“.

Womöglich bedauert es Naumann, nicht mehr Vorsitzender des NATO-Miltärausschusses zu sein; in seine Amtszeit fiel nämlich der sogenannte Kosovokrieg, in dem die „westliche Wertegemeinschaft“ unsterblichen Ruhm auf ihre Fahnen heftete, als sie das Balkan-Monster Slobodan Milošević mittels Hightech-Kampfjets wie weiland Siegfried den Drachen in die Knie zwang. Naumann indes steht beileibe nicht allein. Die FAZ sieht sogar, horribile dictu, einen neuen „deutschen Sonderweg“, von dem wir alle nur zu genau wissen, wo er endet.

Die Menschlichkeit will es

Alle diese Kritiker müssen sich fragen lassen, wie es um ihr Urteilsvermögen bestellt ist. Mehr und mehr zeichnet sich nämlich ab, daß die neue Entente cordiale, bestehend aus Frankreich sowie Großbritannien und vor allem den USA, Ziele verfolgt, die ausschließlich in der Rationalität ihrer geostrategischen Interessen liegen. An der Spitze der Kreuzzügler im Namen von Freiheit und Menschenrechte (Die Menschlichkeit will es!) steht diesmal allerdings kein US-Präsident, sondern der französische Staatspräsident Sarkozy, der mit Blick auf die Luftschläge in Libyen erklärte: „Jeder Herrscher muß verstehen, und vor allem jeder arabische Herrscher muß verstehen, daß die Reaktion der internationalen Gemeinschaft und Europas von nun an jedes Mal die gleiche sein wird.“

Das ist die Ankündigung einer beliebigen „Ausweitung der Kampfzone“, so wie es die neue Entente cordiale, die hier selbstverständlich stellvertretend für den Rest der „Gemeinschaft“ meint sprechen zu können, gerade für richtig erachtet. Diese Erklärung kommt einer Selbstermächtigung gleich, die auf einen Paninterventionismus im Namen der Ideen von 1789 hinausläuft. Wer bei diesem Kreuzzug nicht mittun will, läuft Gefahr als „Beschwichtigungspolitiker“ an den Pranger gestellt zu werden.

„Union für das Mittelmeer“

Im Fall Libyen wollte die neue Entente cordiale, nachdem sich von den Vorgängen in Ägypten und Tunesien offensichtlich überrascht wurde, nicht mehr zuschauen. Der „Volkswille“ könnte womöglich eine falsche, unerwünschte Richtung einschlagen. Ziel ist einmal, in Libyen eine der Entente gewogene Regierung an die Macht zu bringen, die bei einer Neuverteilung der Erdölressourcen die Kreuzzügler der „Wertegemeinschaft“ entsprechend „belohnt“. Zum anderen eröffnet sich die Möglichkeit, von Libyen aus Einfluß auf die gesamte Region zu nehmen. Wohl vor allem deshalb haben die USA, die diesmal aus „Image-Gründen“ im Hintergrund bleiben wollen, Frankreich im UN-Sicherheitsrat unterstützt.

Für Sarkozy eröffnen sich aber noch ganz andere Möglichkeiten, kann er doch seine „Union für das Mittelmeer“ wieder ins Spiel bringen, die bisher vor allem aufgrund des deutschen Widerstands Stückwerk geblieben ist. Ein einflußreicher Kritiker dieser „Union“ auf nordafrikanischer Seite war ja bisher der „wahnsinnige“ Gaddafi, der der EU vorwarf, mit dieser Union den Spaltpilz in Organisationen wie die Arabische Liga und die Afrikanische Union hineintragen zu wollen.

Die Deutschen werden zahlen

Bisher dümpelte diese Union wegen Unterfinanzierung vor sich hin. Wenn aber der Maghreb im Sinne der neuen Entente cordiale befriedet sein wird, werden hier die Karten mit Sicherheit neu gemischt. Neu gemischt heißt: Mit dem Hinweis darauf, daß die EU diesen Staaten, die nun auf einem „demokratischen Weg“ seien, „substantiell“ helfen müsse, wird Geld fließen, und zwar viel Geld, um Demokratie und Wirtschaft in diesen Staaten zu stabilisieren und an „westliche Standards“ heranzuführen.

Wer hier vor allem zur Kasse gebeten werden dürfte, ist unschwer zu erkennen, nämlich Deutschland. Und wenn sich Deutschland widerspenstig zeigt, wird ein Argument auf jeden Fall „hilfreich“ sein: Sarkozy verfolgt – neben der Sicherung und dem Ausbau des französischen Einflusses in der Maghrebzone – mit seiner „Union“, deren Aufbau er gerne nach dem Vorbild der EU vorangetrieben sehen möchte, unter anderem das Ziel, den Friedensprozeß zwischen Israel und seinen arabischen Nachbarn zu forcieren.

Finanzielle Erdrosselung Deutschlands

„Demokratisch bereinigte“ arabische Staaten böten ideale Möglichkeiten, diesem Prozeß die gewünschte Dynamik zu verleihen. Spätestens dann werden deutsche Politiker, die ja unentwegt davon reden, für das „Existenzrecht Israels“ einzustehen, alles unterschreiben, was die neue Entente cordiale ihnen zum Abwinken vorlegt.

Dem Ziel der schleichenden finanziellen Strangulierung des lästigen Rivalen Deutschland – in aller Freundschaft, versteht sich – wäre Sarkozy, der gerade erfolgreich die Implementierung des Euro-Schutzschirms vor allem auf deutsche Kosten betrieben hat, einen weiteren Schritt nähergekommen.

Michael Wiesberg, 1959 in Kiel geboren, Studium der Evangelischen Theologie und Geschichte, arbeitet als Lektor und als freier Journalist. Letzte Buchveröffentlichung: Botho Strauß. Dichter der Gegenaufklärung, Dresden 2002.


 

samedi, 02 avril 2011

Vom Gemüt der aufgehenden Sonne...

       

 

EN3081.jpg

Vom Gemüt der aufgehenden Sonne: Warum die Japaner trotz allem nicht verzweifeln

Geschrieben von: Kristina Kesselring   

Ex: http://www.blauenarzisse.de/

 

Verwackelte Aufnahmen von einer Anhöhe zeigen etwas, dass einem Katastrophenfilm entnommen sein könnte. Mächtige, schwarzbraune Fluten wälzen sich durch eine Stadt, schieben ganze Häuser vor sich her, nehmen Autos und Trümmer mit sich, von denen jedes einzelne Teil ein tödliches Geschoß darstellt. Die Gewalten preschen gegen Hochhäuser, zertrümmern alles, was sich die Menschen hier aufgebaut haben. Inmitten dieser Aufnahmen, aus dem Hintergrund, dringen einzelne Schreie. Die Laute sind von Verzweiflung belegt, von Fassungslosigkeit durchdrungen – und doch nicht panisch.

Es sind die ersten Minuten von Vorfällen, deren Folgen die halbe Welt seit über einer Woche in Atem halten. Und die uns alle verändern werden.

Die Ereigniskette: Erst Naturkatastrophe, dann drohender GAU

Am elften März erschütterte ein Unterwassererdbeben vor der Hafenstadt Sendai halb Japan. In der Multimillionenstadt Tokio bleiben die Schäden und Verletzten weitgehend überschaubar, doch die Region um Sendai hat es schwerer getroffen. Städte und Dörfer sind zerstört, die Menschen noch vor Schreck benommen, da prescht ein, vom Erdbeben ausgelöster, 23 Meter hoher Tsunami auf das dicht besiedelte Gebiet zu. Das Wasser zerstört das, was das Erdbeben übriggelassen hat. Man hielt es nicht für möglich, doch als seien diese Probleme nicht schwerwiegend genug, befürchtet das Land nun auch noch einen atomaren Super-GAU, weil das Atomkraftwerk Fukushima in Mitleidenschaft gezogen wurde. Keiner von uns konnte sich im Laufe der letzten Tage den Bildern entziehen.


Die neue Dimension des Leids weltweit vor Augen

Wir alle sahen schon Berichte aus Kriegsländern oder Krisengebieten – sei es in Afrika oder im asiatischen Raum. Erst vor wenigen Wochen bewegten uns die Bilder von der afrikanischen Flüchtlingswelle auf die italienische Insel Lampedusa: Tausende, verzweifelte Menschen, die Hilfe suchten, keine fanden, resignierten oder panisch wurden. Erwachsene Männer, die Hilfsgüter wegschleppten, die sie auch Frauen und hungrigen Kindern aus den Händen gerissen hatten. Ein Ellenbogenverhalten, das ganz Darwins Theorien entspricht – nur die Stärksten überleben, die „Bestangepassten“. Gutmenschen hielten dieses Leid für kaum zu übertreffen. Doch das Leid hat seit dem elften März 2011 eine neue Dimension erhalten.

Lächerlich erscheinen die 300 Toten, die knapp nach dem Unglück am Freitag gemeldet wurden. Momentan schätzt man, dass es am Ende mehr als 17000 Todesopfer zu beklagen geben wird – und das nur falls es nicht zu einem Atom-Super-GAU kommt. Es ist unmöglich alle Toten zu finden. Tausende wurden unter meterhohen Trümmern begraben, unzählige von den Fluten wieder ins Meer gespült. Kaum ein Mensch in Sendai und in der Umgebung hat niemanden verloren. Vor allem die Alten und Kinder, von denen nun viele Waisen sind, haben es schwer. Es werden auch von den Überlebenden noch viele sterben, seien es durch die Kälte, die mangelnde medizinische Versorgung oder durch Krankheiten, die sich zwangsläufig innerhalb der nächsten Tage und Wochen in den Flüchtlingslagern einstellen werden.

Irritierende Ruhe: Von einem uns seltsam fremden Anstand

Doch weswegen gerät niemand in Panik? Warum sieht man keine Menschen, die Versorgungswagen stürmen oder die Auffanglager überrennen? Trinkwasser wird knapp, in dem eigentlich hochtechnisierten Land ist die Infrastruktur um Sendai fast vollkommen zerstört, kaum einer kommt rein, niemand raus. Es herrschen chaotische Zustände. Doch vielen von uns fällt bei den Bildern, die aus den Auffanglagern dringen etwas auf. Es gibt keine Tränen, keine Schreie, nur die Wenigsten sind von der Lethargie eines Schocks gelähmt.

Keine Menschen rotten sich zusammen, um anderen irgendetwas wegzunehmen und sei es auch nur die tägliche Überlebensration. Im Gegenteil, es wird geholfen, geteilt, Nachbarn und Verwandte, die sich im Heer der Vermissten wiedergefunden haben, umarmen sich und schwören, einander beizustehen. Eine Frau wird interviewt, die sich fremder Kinder angenommen hat. Eine andere lächelt zuversichtlich in die Kamera, meint, sie würde auf die Hilfe der Regierung vertrauen. Von Politikverdrossenheit, ja sogar Hass auf die Landesoberhäupter, die scheinbar viel zu lange in der Atompolitik schluderten und nun sogar den ausländischen Hilfsorganisationen von der Einreise abraten, weil es zu schwierig sei in das Katastrophengebiet zu kommen, ist keine Spur. Noch herrscht größtenteils Vertrauen und Zuversicht.

Verhaltensstrategien: Gewöhnung an Katastrophen kann tödlich sein

Doch warum ist diese Mentalität so schwer für uns zu begreifen? Ein Grund für die Ruhe der Japaner mag ihre Erfahrung sein. Natürlich sind sie Menschen wie wir, haben dieselben Gefühle, die gleichen Ängste. Doch die Gewöhnung spielt eine gewaltige Rolle. In kaum einem Land der Welt ist man so erfahren darin mit Naturkatastrophen umzugehen wie dort. Immerhin liegt Japan direkt an zwei gewaltigen Kontinentalplatten, der pazifischen und der eurasischen Platte. Erdbebengebiet. Auch mit Vulkanausbrüchen und Tsunamis kennt man sich aus. Zweimal im Monat gibt es deutlich spürbare Erdbeben, Katastrophenübungen werden immer wieder abgehalten.

Selbst auf den Stühlen der kleinsten Schulkinder liegen Sitzkissen, die man sich über den Kopf ziehen kann, und die wenigstens einen kleinen Schutz vor herabfallenden Brocken bieten. Der Japaner ist an Katastrophen gewöhnt – und das wurde dem Volk zum Verhängnis. Als die Erdbebenwarnung kam, verließ kaum jemand sein Haus, kaum einer flüchtete oder schützte sich besonders. Zuviel Routine kann tödlich sein. Und nie zuvor war ein Erdbeben so stark oder ein Tsunami in der Region so gewaltig.

Kinder, die nicht weinen

Eine andere Ursache für die Verhaltensweisen der Bevölkerung ist die Erziehung. Japan wollte immer Stärke demonstrieren, selbst jetzt noch werden immer nur tröpfchenweise Informationen von der Regierung über das Ausmaß der Ereignisse weitergegeben. Drill, Disziplin und Ruhe sind die obersten Prinzipien mit allen Situationen umzugehen. Wer zu viele Gefühle zeigt, wird angreifbar, wird verletzlicher. In gewisser Weise ist gerade diese Ruhe der größte Schutzmechanismus der Japaner. Selbst die Kleinsten sind darauf eingeschworen. Beinahe unheimlich erscheinen uns die Kinder in den Hallen der Flüchtlingslager, die kaum weinen oder schreien.

Überlebensfähig in einer Katastrophensituation ist nur der, dem es gelingt, die größten Schrecken vorübergehend auszublenden. Nur deswegen ist es wohl vielen Menschen möglich inmitten der Trümmer zu stehen oder sich in einer langen Schlange ruhig vor den Essensausgaben anzustellen. Nur deswegen hört man überall, dass es weitergehen muss und wird. Verleugnung der Situation könnte man behaupten. Doch wenn den Menschen nichts mehr bleibt, außer dem, was sie am Leib tragen, wenn der schlimmste Fall eintritt, dann kann die Hoffnung das letzte sein, was eine ganze Region vor dem Irrsinn bewahrt. Auch nach den Ereignissen spulen die Japaner ihr Programm ab, wissen, was zu tun ist. Die Japaner sind Stehaufmännchen, keine Frage. Sie bleiben befremdlich ruhig, tun, was ihnen gesagt wird. Denn Panik würde die Lage nicht verbessern.

Gabriele Adinolfi sera à Gand mercredi prochain...

Gabriele Adinolfi sera à Gand mercredi prochain...

 

2908638258.jpgGabriele Adinolfi donnera une conférence en français à l’invitation de l’association étudiante KVHV à Gand (Flandre) mercredi 6 avril. Le Katholiek Vlaams Hoogstudentenverbond est une association étudiante flamande sur le modèle des burschenschaft germanique (mais sans duel étant un corps catholique).

 

Il retracera son parcours et notamment l’histoire du mouvement Terza Posizione dont il fut l’un des responsables dans les années 70  (mercredi 6 avril à 20 h 00, université de Gand (Hoveniersberg - Sint-Pietersnieuwstraat ), auditoire n°8).

 

Site sur Gabriele Adinolfi : cliquez ici

 

00:15 Publié dans Actualité, Evénement | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, événement, gand, gent, gabriele adinolfi | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

vendredi, 01 avril 2011

Obamas "Schweinebucht" in Libyen: Imperialistische Aggression verletzt UN-Charta

Obamas »Schweinebucht« in Libyen: Imperialistische Aggression verletzt UN-Charta

Webster G. Tarpley

Am 19. März starteten amerikanische und britische Marschflugkörper gemeinsam mit französischen und anderen NATO-Kampffliegern die Operation Odyssey Dawn oder Operation Ellamy, einen neoimperialistischen Luftangriff unter einem vorgetäuschten humanitären Vorwand, gegen den souveränen Staat Libyen. Und Samstagnacht Ortszeit feuerten amerikanische Marineeinheiten im Mittelmeer im Einklang mit der Resolution 1973 des UN-Sicherheitsrates 112 Marschflugkörper auf Ziele, die nach Behauptung des Pentagons zum libyschen Luftverteidigungssystem gehörten. Aber Mohammed al-Zawi, Generalsekretär des libyschen Parlaments, erklärte auf einer Pressekonferenz in Tripolis, dieser »barbarische Angriff« und diese »grausame Aggression« habe neben militärischen Zielen auch Wohnsiedlungen und Bürogebäude getroffen. In die Krankenhäuser von Tripolis und Misurata seien viele zivile Opfer eingeliefert worden. Zawi warf den ausländischen Mächten vor, eine Rebellenführung zu unterstützen, zu der auch bekannte terroristische Elemente gehörten. Die libysche Regierung wiederholte ihre Forderung an die UN, eine internationale Beobachtergruppe nach Libyen zu schicken, um über die Ereignisse dort objektiv zu berichten.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/webster-g-tarpley/obamas-schweinebucht-in-libyen-imperialistische-aggression-verletzt-un-charta.html

jeudi, 31 mars 2011

Seit wann erlaubt die UNO-Charta den Amerikanern, ihren Staatsbankrott mit noch mehr Krieg zu lösen?

Operation-Odyssey-Dawn-Destroy-Tank.jpg

Seit wann erlaubt die Uno-Charta den Amerikanern, ihren Staatsbankrott mit noch mehr Krieg zu lösen?

von Prof. Michel Chossudovsky

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/

Die USA und die Nato unterstützen einen bewaffneten Aufstand im Osten Libyens und rechtfertigen dies als «humanitäre Intervention».
Dies ist nicht eine gewaltfreie Protestbewegung wie in Ägypten oder Tunesien. Die Bedingungen in Libyen sind grundsätzlich anders. Der bewaffnete Aufstand im Osten Libyens wird direkt von ausländischen Mächten unterstützt. Die Aufständischen in Bengasi hissten sofort die rot-schwarz-grüne Flagge mit dem Halbmond und dem Stern – die Flagge der Monarchie unter König Idris. Sie symbolisiert die Herrschaft der früheren Kolonialmächte.1
Militärberater und Sondereinheiten der USA und der Nato befinden sich bereits vor Ort. Der Plan war, die Operation mit den Protestbewegungen in den benachbarten arabischen Staaten zusammenfallen zu lassen. Die Öffentlichkeit wurde glauben gemacht, die Proteste hätten spontan von Tunesien und Ägypten auf Libyen übergegriffen.
Die Regierung Obama hilft in Abstimmung mit ihren Alliierten einem bewaffneten Aufstand, und zwar einen versuchten Staatsstreich: «Die Regierung Obama steht bereit, den Libyern ‹Unterstützung jeglicher Art› zu gewähren, um Muammar al Gaddafi zu vertreiben», erklärte die amerikanische Aussenministerin Hillary Clinton am 27. Februar. «Wir knüpfen gerade Kontakte zu vielen unterschiedlichen Libyern, die versuchen, sich im Osten zu organisieren, und wenn sich die Revolution nach Westen ausbreitet, auch dort. Ich denke, es ist noch viel zu früh, um zu sagen, was dabei herauskommt, aber wir werden bereit sein, jede Art von Unterstützung zu gewähren, die von den USA gewünscht wird.»
In den östlichen Landesteilen, in denen die Rebellion Mitte des Vormonats begann, bemüht man sich um die Bildung einer provisorischen Regierung.
Die USA, erklärte Clinton weiter, drohten dem Gaddafi-Regime mit weiteren Massnahmen, aber ohne zu sagen, worum es sich dabei handelt und wann sie angekündigt werden.
Laut [dem früheren republikanischen Präsidentschaftskandidaten und Senator] John McCain sollten die USA «die provisorische Regierung anerkennen, die man bereits zu bilden versucht …». Ähnlich äusserte sich auch Senator Joseph Lieberman, der «handfeste Unterstützung, die Einrichtung einer Flugverbotszone, die Anerkennung der revolutionären Regierung, eine Bürgerregierung und deren Unterstützung durch humanitäre Massnahmen» forderte, «und ich würde sie auch mit Waffen versorgen».2

 Die geplante Invasion

Die USA und die Nato erwägen derzeit eine militärische Intervention unter einem «humanitären Mandat».
«Die USA verlegen Marine- und Luftwaffeneinheiten in die Region», um «das ganze Spektrum an Optionen einer Konfrontation mit Libyen vorzubereiten: Diese Ankündigung machte der Pentagon-Sprecher Oberst Dave Lapan am 1. März. Dann sagte er: «Präsident Obama hat das Militär gebeten, sich auf diese Optionen vorzubereiten, da sich die Lage in Libyen verschlechtere.»3
Das Ziel hinter der «Operation Libya» ist aber nicht, demokratische Verhältnisse zu schaffen, sondern sich der Erdölreserven Libyens zu bemächtigen, die staatseigene National Oil Corporation (NOC) zu destabilisieren und letztendlich die Erdölindustrie des Landes zu privatisieren. Vor allem sollen die Kontrolle und der Besitz des libyschen Erdölreichtums in ausländische Hand übergehen. Die National Oil Corporation nimmt unter den weltweit 100 führenden Erdölkonzernen den 25. Platz ein. Die NOC nimmt den 25. Platz unter den weltweit führenden 100 Unternehmen ein.4
Libyen gehört mit etwa 3,5 Prozent der weltweiten Erdölreserven, mehr als zweimal so viel wie die amerikanischen Lagerstätten, zu den führenden Erdöllieferanten.
Die geplante Invasion Libyens, die bereits im Gange ist, ist Teil des umfassenderen «Kampfs um Erdöl». Praktisch 80 Prozent der libyschen Erdölreserven befinden sich im Sirte-Becken in Ostlibyen.
Die strategischen Einschätzungen hinter «Operation Libya» erinnern an frühere Militäroperationen der USA und der Nato in Jugoslawien und im Irak. In Jugoslawien lösten amerikanische und Nato-Kräfte einen Bürgerkrieg aus. Dahinter stand die Absicht, politische und ethnische Spaltungen loszutreten, die dann letztendlich zur Aufspaltung des gesamten Landes führten. Dieses Ziel wurde unter anderem durch die verdeckte Finanzierung und Ausbildung bewaffneter paramilitärischer Einheiten zunächst in Bosnien (bosnisch-moslemische Armee, 1991–1995) und anschliessend in Kosovo (Befreiungsarmee des Kosovo, UÇK, 1998–1999) erreicht. Sowohl in Bosnien als auch in Kosovo wurde gezielte Medien-Desinformation (darunter Lügen und Fälschungen) eingesetzt, um die von den USA und der EU verbreitete Behauptung, die Regierung in Belgrad habe Kriegsverbrechen begangen, zu untermauern. Damit wurde eine militärische Intervention aus humanitären Gründen  gerechtfertigt.
Ausgerechnet die «Operation Yugoslavia» wird nun als Vorbild von amerikanischen Aussenpolitikern herangezogen: Senator Lieberman verglich «die Lage in Libyen mit den Ereignissen auf dem Balkan in den 90er Jahren des vergangenen Jahrhunderts», als er sagte, die USA hätten interveniert, um einen Völkermord an den Bosniern aufzuhalten. «Zuerst lieferten wir ihnen Waffen, damit sie sich selbst verteidigen konnten. Das, denke ich, sollten wir auch in Libyen machen.»5
Das strategische Szenario besteht darin, auf die Bildung einer Übergangsregierung  in der abtrünnigen Provinz und ihre internationale Anerkennung zu drängen, was letztendlich zu einer Spaltung des Landes führen würde.
An der Umsetzung dieser Option wird schon gearbeitet. Die Invasion Libyens hat bereits begonnen.
«Hunderte amerikanische, britische und französische Militärberater sind in der Kyrenaika, der abtrünnigen östlichen Provinz Libyens, eingetroffen […] Die Berater, unter ihnen auch Mitglieder von Nachrichtendiensten, wurden am Donnerstag, dem 24. Februar, in den Küstenstädten Bengasi und Tobruk von Kriegsschiffen und Flugkörperschnellbooten aus abgesetzt.»6
Sondereinsatzkräfte der USA und ihrer Verbündeten befinden sich bereits vor Ort und liefern den Rebellen verdeckte Unterstützung. Öffentlich wurde dies, als britische SAS-Sonderkommandos in der Region um Bengasi verhaftet wurden. Sie operierten als Militärberater der Oppositionskräfte:
«Für acht Angehörige einer britischen Spezialeinheit, die sich auf einer geheimen Mission befanden, um britische Diplomaten mit führenden Oppositionellen gegen Oberst Muammar Gaddafi in Kontakt zu bringen, endete der Einsatz mit einer Demütigung, als sie von Aufständischen in Ostlibyen festgenommen wurden», berichtete die Sunday Times am 6. März 2011. Die Männer, bewaffnet aber in Zivilkleidung, behaupteten, sie sollten sich über die Bedürfnisse der Opposition informieren und ihnen Hilfe anbieten.»7
Die SAS-Angehörigen wurden verhaftet, als sie eine britische «diplomatische Mission» begleiteten, die illegal in das Land eingereist war (zweifellos von einem britischen Kriegsschiff aus), um mit führenden Vertretern der Aufständischen zu sprechen. Das britische Aussenministerium bestätigte, dass «eine kleine Gruppe britischer Diplomaten nach Ostlibyen entsandt worden sei, um Kontakte zu den Oppositionellen, die die Unterstützung der Aufständischen geniessen, zu knüpfen.»8
Diese Berichte bestätigen nicht nur die militärische Intervention des Westens (darunter einige hundert Angehörige von Spezialeinheiten), sondern machen auch deutlich, dass die Aufständischen die illegale Anwesenheit ausländischer Truppen auf libyschem Boden strikt ablehnen:
«Der SAS-Einsatz hat die libyschen Oppositionellen verärgert. Sie befahlen, die Soldaten sollten in einem Militärstützpunkt eingesperrt werden. Die Gegner Gaddafis befürchten, dieser könne alle Beweise für eine westliche militärische Einmischung ausnutzen, um eine patriotische Unterstützung für sein Regime wachzurufen.»9
Bei dem verhafteten britischen «Diplomaten», der von sieben SAS-Angehörigen begleitet wurde, handelte es sich um einen Mitarbeiter des britischen Geheimdienstes MI-6.10
Inzwischen bestätigen Stellungnahmen der USA und der Nato auch Waffenlieferungen an die oppositionellen Kräfte. Bisher nicht bestätigte Hinweise zeigen, dass den Aufständischen bereits vor den Angriffen [der libyschen Armee] Waffen geliefert wurden. Mit hoher Wahrscheinlichkeit befanden sich Militär- und Geheimdienstberater der USA und der Nato schon vor den Unruhen im Land. Nach dem selben Muster wurde in Kosovo vorgegangen: Sondereinheiten unterstützten und bildeten die UÇK in den Monaten vor den Luftangriffen 1999 und der anschliessenden Invasion Jugoslawiens aus.
Nach jüngsten Berichten konnten die libyschen Regierungseinheiten allerdings einige von den Rebellen kontrollierte Positionen zurückerobern:
«Die Grossoffensive der Pro-Gaddafi-Kräfte, die [am 4. März begann und] das Ziel verfolgt, die wichtigsten Städte und Erdölzentren den Aufständischen wieder zu entreissen, führte [am 5. März] zur Rückeroberung der wichtigen Stadt Sawija und der meisten der wichtigen Erdölstädte rund um den Golf von Sirte. In Washington und London erlitt die Forderung nach einem militärischen Eingreifen einen Dämpfer, als man erkannte, dass die nachrichtendienstlichen Erkenntnisse vor Ort über beide Seiten des libyschen Konflikts zu lückenhaft war, um als Grundlage für Entscheidungen zu dienen.»11
Die Oppositionsbewegung ist über die Frage einer ausländischen Einmischung stark gespalten. Dabei stehen sich die Graswurzelbewegungen einerseits und die von den USA unterstützten «Führer» des bewaffneten Aufstandes andererseits gegenüber, wobei letztere ein militärisches Eingreifen aus «humanitären Gründen» befürworten. Die Mehrheit der libyschen Bevölkerung, sowohl Gefolgsleute wie Gegner des Regimes, lehnen jede Einmischung von aussen ab.

Desinformation durch die Medien

Die weitreichenden strategischen Ziele, die der vorgeschlagenen Invasion zugrunde liegen, werden in der Berichterstattung der Medien nicht erwähnt. Nach den Vorgaben einer arglistigen Medienkampagne, in der Nachrichten und Meldungen buchstäblich ohne bezug auf die realen Ereignisse vor Ort fabriziert werden, ist ein Grossteil der internationalen «veröffentlichten Meinung» auf eine unbedingte Unterstützung einer militärischen Einmischung aus humanitären Erwägungen eingeschwenkt.
Diese Invasion wird in den Planungsstäben des Pentagon bereits ausgearbeitet. Sie soll ungeachtet der Forderungen der libyschen Bevölkerung durchgezogen werden, einschliesslich der Gegner des Regimes, die ihre Ablehnung einer militärischen Einmischung – als Verletzung der Souveränität ihrer Nation – deutlich gemacht haben.

Einsatz der Marine und der Luftwaffe

Sollte es zu dieser militärischen Intervention kommen, wäre die Folge ein offener Krieg, der als «Blitzkrieg» geführt werden soll, was Luftangriffe auf militärische und zivile Ziele einschliesst. In dieser Hinsicht drohte der Kommandeur des amerikanischen Zentralkommandos (Uscentcom), General James Mattis, unverhohlen, die Einrichtung einer «Flugverbotszone» schliesse praktisch umfassende Luftangriffe ein, die sich auch gegen die libysche Luftverteidigung richte:
«Es würde sich um eine Militäroperation handeln – es ginge nicht nur darum, den Menschen zu sagen, sie sollten keine Flugzeuge mehr benutzen. Man muss die Luftverteidigungskapazitäten zerschlagen, um eine Flugverbotszone einzurichten, da darf man sich keine Illusionen machen.»12
Massive Seestreitkräfte der USA und ihrer Verbündeten wurden vor der libyschen Küste eingesetzt. Das Pentagon verlegt weitere Kriegsschiffe ins Mittelmeer. Der Flugzeugträger «USS Enterprise» hatte bereits wenige Tage nach den ersten Unruhen den Suez-Kanal passiert. Auch die amphibischen Kriegsschiffe «USS Ponce» und  «USS Kearsarge» wurden in das Mittelmeer verlegt.
Ferner wurden 400 Marineinfanteristen «im Vorfeld ihres Einsatzes auf Kriegsschiffen vor der libyschen Küste» auf die griechische Insel Kreta verlegt.13
Mittlerweile haben auch Deutschland, Frankreich, England, Kanada und Italien damit begonnen, Kriegsschiffe vor der libyschen Küste einzusetzen. Deutschland hat den Einsatz dreier Kriegsschiffe unter dem Vorwand, bei der Evakuierung von Flüchtlingen an der libysch-tunesischen Grenze helfen zu wollen, angeordnet. «Frankreich schickt seinen Hubschrauberträger «Mistral», der nach Angaben des Verteidigungsministeriums die Evakuierung einiger tausend Ägypter unterstützen soll.»14
Kanada entsendet seine Fregatte «HMCS Charlotttown».
Auch die 17. Luftflotte der USA (mit Namen US Air Force Africa, die auf dem amerikanischen Luftwaffenstützpunkt in Ramstein in Deutschland stationiert ist) soll bei der Evakuierung der Flüchtlinge helfen. Andere Luftwaffenstützpunkte der USA und der Nato in England, Italien, Frankreich und dem Nahen und Mittleren Osten sind ebenfalls einsatzbereit. •

1 siehe Manilio Dinucci, Libya – When historical memeory is erased, Global Research, 28. Februar 2011
2 «Clinton: US Ready to Aid to Libyan Opposition», Associated Press, 27. Februar 2011
3 Manlio Dinucci, «Preparing for ‹Operation Libya›: The Pentagon is ‹Repositioning› its Naval and Air Forces …», in: Global Research, 3. März 2011, Hervorhebungen durch den Verfasser
4 The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies,  Libyaonline.com
5 «Clinton: US Ready to Aid to Libyan Opposition», Associated Press, 27. Februar 2011
6 DEBKAfile, «Amerikanische Militärberater in Kyrenaika eingetroffen», 25. Februar 2011
7 «Top UK commandos captured by rebel forces in Libya», in: Indian Express, 6. März 2011,
Hervorhebung durch den Verfasser
8 «UK diplomatic team leaves Libya», in: World – CBC News, 6. März 2011
9 Reuters, 6. März 2011
10 The Sun, 7. März 2011
11 «Qaddafi pushes rebels back. Obama names
Libya intel panel», in: DEBKAfile, 5. März 2011
12 «U.S. general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya», in: Mail Online, 5. März 2011, Hervorhebung durch den Verfasser
13 «‹Operation Libya›»: US Marines on Crete for Libyan deployment», in: Times of Malta, 3. März 2011
14 «Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean», in: Agenzia Giornalistica Italia, 3. März 2011.


Quelle: Michel Chossudovsky, Insurrection and Military Intervention: The US-Nato Attempted Coup d’Etat in Libya?, 7. März 2011, http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=23548   
(Übersetzung Zeit-Fragen)

00:25 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, politique internationale, onu, etats-unis | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

Depuis quand la Charte de l'ONU permet-elle aux USA de résoudre leur problème de faillite d'Etat en menant une nouvelle guerre?

Op%20Odyssey%20Dawn.jpg

Depuis quand la Charte de l’ONU permet-elle aux USA de résoudre leur problème de faillite d’Etat en menant une nouvelle guerre?

 

par Michel Chossudovsky, Canada

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch/

Il ne s’agit pas d’un mouvement de protestation non violent comme ceux de l’Egypte et de la Tunisie. Les conditions en Libye sont fondamentalement différentes. L’insurrection armée dans l’est de la Libye est directement soutenue par des puissances étrangères. Les insurgés à Benghazi ont immédiatement hissé la bannière rouge, noire et verte avec le croissant et l’étoile: le drapeau de la monarchie du roi Idris, symbolisant le règne des anciennes puissances coloniales.1Les conseillers militaires et les Forces spéciales des Etats-Unis et de l’OTAN sont déjà sur le terrain. L’opération a été planifiée pour coïncider avec les manifestations dans les pays arabes voisins. On a fait croire à l’opinion publique que le mouvement de protestation s’est étendu spontanément de la Tunisie à l’Egypte et ensuite à la Libye.L’administration Obama en consultation avec ses alliés assiste une rébellion armée, à savoir, une tentative de coup d’Etat:«L’administration Obama reste prête à offrir ‹tout type d’assistance› au Libyens cherchant à déloger Mouammar Kadhafi», a affirmé la secrétaire d’Etat Hillary ­Clinton [le 27 février]. «Nous avons contacté de nombreux Libyens de différents horizons qui tentent de s’organiser à l’est et à l’ouest, à mesure que la révolution avance également dans cette direction. Je crois qu’il est trop tôt pour dire comment cela va se dérouler, mais les Etats-Unis seront prêts et préparés à offrir tout type d’assistance souhaitée.» Dans la partie Est du pays, là où la rébellion a débuté au milieu du mois, les efforts visant à former un gouvernement provisoire sont en branle.» Clinton a affirmé que les Etats-Unis menacent de prendre d’autres mesures contre le gouvernement de Kadhafi, mais n’a pas mentionné leur nature ou quand elles seraient annoncées.Les Etats-Unis devraient «reconnaître le gouvernement provisoire que l’on est en train de mettre sur pied [...]» [John McCain]Le sénateur Joseph Lieberman s’est exprimé en des termes similaires, préconisant «un appui tangible, [une] zone d’exclusion aérienne, la reconnaissance d’un gouvernement révolutionnaire, le gouvernement des citoyens, ainsi qu’un appui sous forme d’aide humanitaire et d’armes».2

L’invasion planifiée

Une intervention militaire est maintenant envisagée par les forces des Etats-Unis et de l’OTAN en vertu d’un «mandat humanitaire».«Les Etats-Unis sont en train de repositionner leurs forces navales et aériennes dans la région» pour préparer «leur gamme complète d’options» à l’égard de la Libye: c’est ce qu’annonce hier (mardi 1er mars) le porte-parole du Pentagone, colonel de marines Dave Lapan. Il a ainsi dit que «c’est le président Obama qui a demandé aux militaires de préparer ces options», car la situation en Libye empire.3 Le véritable objectif de l’«Opération Libye» n’est pas d’instaurer la démocratie mais de prendre possession des réserves de pétrole du pays, de déstabiliser la Compagnie pétrolière nationale de Libye (CPN ou NOC en anglais) et de privatiser tôt ou tard l’industrie pétrolière du pays, c’est-à-dire transférer le contrôle et la propriété de la richesse pétrolière libyenne dans des mains étran­gères. La CPN est au 25e rang des 100 compagnies pétrolières les plus importantes.4 La Libye est l’une des plus impor­tantes économies pétrolières au monde, avec approximativement 3,5% des réserves mondiales de pétrole, plus du double de celles des Etats-Unis. L’invasion planifiée de la Libye, laquelle est déjà en cours, fait partie de la plus vaste «bataille du pétrole». Près de 80% des ré­serves pétrolières de la Libye se situent dans le bassin du golfe de Syrte dans l’est du pays. Les hypothèses stratégiques derrière l’«Opération Libye» évoquent les engagements militaires des Etats-Unis et de l’OTAN en Yougoslavie et en Irak.En Yougoslavie, les forces des Etats-Unis et de l’OTAN ont déclenché une guerre civile. Le but était de créer des divisions ethniques et politiques, lesquelles ont finalement mené à l’éclatement d’un pays entier. Cet objectif a été atteint par la formation et le financement clandestin d’organisations paramilitaires armées, d’abord en Bosnie (Armée bosniaque, 1991–95) puis au Kosovo (Armée de Libération du Kosovo (ALK), 1998–1999). La désinformation médiatique (incluant des mensonges purs et simples et des fabrications) a été utilisée à la fois au Kosovo et en Bosnie pour appuyer les affirmations des Etats-Unis et de l’Union européenne voulant que le gouvernement de Belgrade ait commis des atrocités, justifiant ainsi une intervention militaire pour des raisons humanitaires.Ironiquement, l’«Opération Yougoslavie» est maintenant sur les lèvres des responsables de la politique étrangère des Etats-Unis: le sénateur Lieberman a «comparé la situation en Libye aux événements dans les Balkans dans les années 1990 lorsqu’il a dit: les Etats-Unis «sont intervenus pour arrêter un génocide à l’endroit des bosniaques. Et ce que nous avons fait en premier lieu a été de leur fournir des armes pour qu’ils se défendent. Je crois que c’est ce que nous devrions faire en Libye».5 Le scénario stratégique consisterait à faire des pressions en faveur de la formation et de la reconnaissance d’un gouvernement intérimaire dans la province sécessionniste dans le but de faire éclater le pays tôt ou tard.Cette option est déjà en cours. L’invasion de la Libye a déjà débuté.«Des centaines de conseillers militaires étasuniens, britanniques et français sont arrivés en Cyrénaïque, la province séparatiste de l’est de la Libye [...] Les conseillers, incluant des agents du renseignement, sont débarqués des navires de guerre et des bateaux lance-missiles dans les villes côtières de Benghazi et Tobrouk.»6 Les Etats-Unis et les Forces spé­ciales alliées sont sur le terrain dans l’est de la Libye et fournissent un appui clandestin aux re­belles. Cela a été admis lorsque des commandos des Forces spéciales SAS britanniques ont été arrêtés dans la région de Benghazi. Ils agissaient à titre de conseillers militaires pour les forces de l’opposition:«Le Sunday Times révèle aujourd’hui qu’alors qu’ils étaient en mission secrète pour mettre des diplomates britanniques en contact avec des opposants majeurs du colonel Mouammar Kadhafi en Libye, huit commandos des Forces spéciales britanniques ont été humiliés après avoir été détenus par des forces rebelles dans l’est de la Libye.Les hommes, armés, mais en tenue civile, ont affirmé qu’ils étaient là pour vérifier les besoins de l’opposition et offrir de l’aide.»7 Les forces SAS ont été arrêtées alors ­qu’elles escortaient une «mission diplomatique» britannique entrée au pays illégalement (sans aucun doute à bord d’un navire de guerre britannique) pour discuter avec les chefs de la rébellion. Le Foreign Office britannique a admis qu’«une petite équipe diplomatique britannique [avait été] envoyée dans l’est de la Libye pour prendre contact avec l’opposition soutenue par des rebelles».8 Ironiquement, les reportages confirment non seulement une intervention militaire occidentale (comprenant des centaines de forces spéciales), ils reconnaissent également que la rébellion était fermement opposée à la présence illégale de troupes étrangères en sol libyen:«L’intervention des SAS a irrité les opposants libyens qui ont ordonné que les soldats soient enfermés sur une base militaire. Les opposants de Kadhafi craignent qu’il utilise toute preuve d’interférence militaire occidentale pour former un appui patriotique en faveur de son régime.»9 Le «diplomate» britannique capturé avec sept soldats des Forces spéciales était un membre du service de renseignement britannique, un agent du MI6, en «mission secrète».10 Des armes sont fournies aux forces de l’opposition et cela est confirmé par des déclarations des Etats-Unis et de l’OTAN. Malgré l’absence de preuves établies à ce jour, des signes indiquent que des armes ont été livrées aux insurgés avant l’attaque contre la rébellion. Selon toute probabilité, des conseillers militaires et du renseignement des Etats-Unis et de l’OTAN étaient également sur le terrain avant l’insurrection. C’est le modèle appliqué autrefois au Kosovo: des forces spéciales ont entraîné et soutenu l’Armée de libération du Kosovo (ALK) dans les mois précédant la campagne de bombardement et l’invasion de la Yougoslavie en 1999.Toutefois, alors que les événements se déroulent, les forces du gouvernement libyen ont repris le contrôle des lieux détenus par les rebelles:«L’importante offensive lancée par les forces pro-Kadhafi [le 4 mars] pour arracher des mains des rebelles le contrôle des villes et des centres pétroliers les plus importants de la Libye leur a permis de reprendre la ville clé de Zawiya [le 5 mars] et la plupart des villes pétrolières autour du golfe de Syrte. A Londres et Washington, des pourparlers d’intervention militaire aux côtés de l’opposition libyenne ont été mis en sourdine lorsque l’on a réalisé que le renseignement sur le terrain, des deux côtés du conflit, était trop sommaire pour servir de base à la prise de décision.»11 Le mouvement d’opposition est fortement divisé sur la question d’une intervention étrangère.Il y a division entre le mouvement populaire et les «chefs» de l’insurrection armée appuyée par les Etats-Unis et favorisant une intervention militaire étrangère «pour des raisons humanitaires».La majorité des Libyens, à la fois les opposants et les partisans du régime, sont fermement opposés à toute forme d’intervention extérieure.

Désinformation médiatique

Les objectifs stratégiques plus vastes sous-jacents à l’invasion proposée de la Lybie ne sont pas mentionnés par les médias. A la suite d’une campagne médiatique trompeuse, où les nouvelles ont littéralement été fabriquées sans que l’on rapporte ce qui se passait sur le terrain, un large secteur de l’opinion publique internationale a accordé son appui inflexible à une intervention pour des raisons humanitaires.L’invasion est sur la planche à dessin du Pentagone. On prévoit la mettre en œuvre sans tenir compte des demandes de la population libyenne, y compris les opposants du régime qui ont exprimé leur aversion pour une intervention militaire étrangère dérogeant à la souveraineté de la nation.

Déploiement de forces navales et aériennes

Si l’intervention militaire était mise à exécution, elle entraînerait une guerre totale, une blitzkrieg, impliquant le bombardement de cibles militaires et civiles.A cet égard, le commandant du Commandement central étasunien (USCENTCOM), le général James Mattis, a suggéré que l’implantation d’une «zone d’exclusion aérienne» impliquerait de facto une campagne de bombardement extrême ciblant entre autres le système de défense antiaérienne libyen:«Il s’agirait d’une opération militaire. Il ne suffirait pas de dire aux gens de ne pas piloter d’avion. Il faudrait éliminer la capacité de défense antiaérienne afin d’établir une zone d’exclusion aérienne, donc il ne faut se faire d’illusions.»12 Une puissance navale massive des Etats-Unis et des alliés a été déployée le long de la ligne de côte libyenne.Le Pentagone envoie ses navires de guerre vers la Méditerranée. Le porte-avions USS Enterprise avait pour sa part transité par le canal de Suez dans les jours qui ont suivi l’insurrection. (www.enterprise.navy.mil) Les navires d’assaut amphibies des Etats-Unis, l’USS Ponce et l’USS Kearsarge, ont également été déployés en Méditerranée.Quatre cents Marines étasuniens ont été envoyés sur l’île de Crète en Grèce «avant d’être déployés sur des navires de guerre partant pour la Libye.13 Pendant ce temps, l’Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, le Canada et l’Italie sont en train de déployer des navires de guerre le long de la côte libyenne.L’Allemagne a déployé trois navires de combat en prétextant aider à l’évacuation de réfugiés à la frontière entre la Libye et la Tunisie. «La France a décidé d’envoyer le Mistral, son porte-hélicoptères, lequel, selon le ministère de la Défense, contribuera à évacuer des milliers d’Egyptiens.»14  Le Canada a envoyé la frégate de la Marine NCSM Charlottetown. Entre-temps, la 17e Force aérienne étasunienne dénommée US Air Force Africa, située sur la base aérienne de Ramstein en Allemagne, aide à l’évacuation de réfugiés. Les ­forces aériennes des Etats-Unis et de l’OTAN en Grande-Bretagne, en Italie, en France et au Moyen-Orient sont en attente. •

Article original en anglais: Insurrection and Military Intervention: The US-NATO Attempted Coup d’Etat in Libya?, publié le 7 mars 2011. globalresearch.ca/PrintArticle.php (Traduit par Julie Lévesque pour Mondialisation.ca)

1     Voir Manlio Dinucci,  La Libye dans le grand jeu du nouveau partage de l’Afrique, 25/2/11

2     Clinton: US ready to aid to Libyan opposition - Associated, Press, 27/2/11

3    Manlio Dinucci, Opération Libye en préparation, Le Pentagone «repositionne» les forces navales et terrestres, Mondialisation.ca, 2/3/11

4    The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies. - Libyaonline.com

5    Clinton: US ready to aid to Libyan opposition - Associated, Press, 27/2/11

6    DEBKAfile, US military advisers in Cyrenaica, 25/2/11

7    Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report, Indian Express, 6/3/11

8    U.K. diplomatic team leaves Libya - World - CBC News, 6/3/11.

9    Reuters, 6/3/11

10    The Sun, 7/3/11

11    Debkafile, Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel, 5/3/11

12    U.S. general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya, Mail Online, 5/3/11

13    «Operation Libya»: US Marines on Crete for Libyan deployment, Times of Malta, 3/3/11

14    Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean, Agenzia Giornalistica Italia, 3/3/11

mardi, 29 mars 2011

La guerre contre Kadhafi: mission confuse, stratégie dure

OperationOdysseyDawn.jpg

Günther DESCHNER :

La guerre contre Khadafi : mission confuse, stratégie dure

 

L’Occident n’est pas logique avec lui-même : ce qu’il fait en Libye ne semble pas possible ailleurs, ni au Yémen ni à Bahrein

 

Depuis une semaine, les bombes pleuvent sur la Libye. Les Etats-Unis et une poignée de pays européens, avec, en tête, la France et l’Angleterre, mènent une guerre d’intervention en Afrique du Nord, contre l’Etat créé par le Colonel Kadhafi. Mettons entre parenthèses tous les arguments qui évoquent la « démocratie » ou les « droits de l’homme » et remarquons que c’est là la sixième guerre  —après deux guerres contre l’Irak et les guerres contre l’Afghanistan, la Somalie et la Yougoslavie—  que mène l’Occident depuis que George Bush Senior a annoncé l’avènement du « Nouvel Ordre Mondial ».

 

Aucun plan pour l’avenir de la Libye…

 

Couvert diplomatiquement par la résolution 1973 du Conseil de sécurité des Nations Unies, simple chiffon de papier, la nouvelle alliance belliciste a fait pleuvoir les bombes et les missiles sur la Libye, a ordonné une interdiction de survol du sol libyen par les appareils libyens, a détruit l’aviation de Kadhafi au sol ainsi que tous les aéroports puis annihilé tous les postes de la défense anti-aérienne et les installations C3 de tout le pays. Les frappes aériennes françaises et américaines ont visé également les colonnes de blindés et les unités d’artillerie de l’armée de terre libyenne. D’après les médias américains, des unités spéciales de l’armée britannique sont à l’œuvre dans l’Est du pays, où l’opposition à Kadhafi tient ses plus solides bastions.

 

Les alliés estiment qu’ils ont le droit d’agir de la sorte malgré la formulation imprécise du texte de la résolution. Ce texte permet l’emploi de « tous les moyens nécessaires » pour protéger les « civils et les zones habitées par des civils » contre toute attaque, c’est-à-dire d’attaquer de manière arbitraire toutes les troupes libyennes si celles-ci circulent simplement à proximité de zones habitées ou se meuvent près d’insurgés, automatiquement considérés comme des « civils ».

 

En fin de compte, le Conseil de sécurité a laissé à quelques Etats le loisir totalement arbitraire de frapper des objectifs libyens, où, quand et comment ils le souhaitent. Pourtant, dès le départ, il aurait fallu être clair : toutes les attaques aériennes font des victimes civiles, surtout si elles sont perpétrées par l’US Air Force, dont les expériences en matière de « dégâts collatéraux » sont riches et variées.

 

Il n’a pas fallu attendre longtemps pour ouïr les plaintes de la Ligue Arabe qui avait pourtant admis le principe d’une guerre contre Kadhafi et cultivé l’illusion que les attaquants n’avaient qu’un seul objectif : soulager la pression qui s’exerçait sur les insurgés de Benghazi. La Russie, la Chine, le Brésil et l’Inde émettent de concert des critiques à l’encontre des frappes aériennes qui s’avèrent de plus en plus dures.

 

L’Opération « Odyssey Dawn » est le nom qu’a donné l’alliance à l’acte de guerre qu’elle vient de commettre. Ce nom est bien choisi car les puissances concernées sont encore et toujours à la recherche de la « bonne voie ». Avec l’appui de leurs forces aériennes, les Américains, les Britanniques et les Français permettront sans aucun doute aux insurgés de prendre totalement le contrôle de la partie orientale de la Libye, soit la province de Cyrénaïque, où se trouvent bien entendu les principaux gisements pétrolifères libyens. La conquête du reste du pays ne pourra pas se faire sans l’appui de troupes au sol. Dès lors, en pratique, cela nous mènera automatiquement à la partition du pays.

 

Mais on ne perçoit aucune stratégie précise dans l’action des alliés. En effet, on ne sait rien de précis quant aux plans que concoctent les puissances occidentales pour l’avenir de la Libye. On ne peut même pas affirmer qu’il en existe ! Une chose est sûre cependant, selon l’expert ès géostratégie George Friedman, qui formule son hypothèse comme suit : « L’objectif final, qui n’a pas été avoué, mais que tous comprennent, est de forcer un changement de régime et d’en établir un nouveau avec les éléments insurgés. C’est parce qu’il faudra bien les utiliser à court terme qu’on les sauve aujourd’hui de la tenaille où les tiennent les troupes de Kadhafi. Telle est la logique politique qui se profile derrière cette action militaire ».

 

Il y a différents « degrés d’oppression »

 

Le rythme rapide avec lequel les trois puissances de l’OTAN ont fait démarrer cette guerre laisse entrevoir que les plans de l’attaque avaient été préparés de concert depuis plusieurs semaines. L’intervention militaire constituerait de la sorte une réponse aux turbulences récentes qui ont animé l’Afrique du Nord et le monde arabe, à commencer par la Tunisie pour se poursuivre en Egypte et trouver un écho dans la péninsule arabique. On ne peut pourtant pas affirmer péremptoirement que le mouvement insurrectionnel libyen relève du même contexte : enlisés et englués dans des ritournelles conceptuelles éculées, les élites occidentales croient voir, dans « l’agitation arabe » et dans l’effervescence révolutionnaire qui anime toutes les strates sociales de ces pays, une volonté de créer des « sociétés démocratiques », pures copies du modèle occidental.

 

Or la tectonique qui meut l’insurrection libyenne est bien différente : elle procède de la coalescence de revendications tribales et de l’action de figures politiques, dont les motivations et les objectifs sont différents et divergents. Elles proviennent, pour une part, des anciens adversaires de Kadhafi et, pour une autre, de son propre vivier. Tous les rebelles sont pour le moment unanimes dans leur opposition au « Frère Raïs » mais, pour le reste, rien ne les unit, aucune conviction politique commune, a fortiori aucun projet de démocratie à l’occidentale.

 

Quand Kadhafi s’est mis à résister au choc des manifestations et de l’insurrection, les politiciens occidentaux ont refait de lui un paria, après lui avoir fait une cour éhontée, afin d’obtenir des avantages dans le pétrole libyen ou pour pouvoir faire des affaires lucratives avec son régime. Le premier à en avoir profité fut bien entendu Nicolas Sarközy. Aujourd’hui, le président français se pose en acteur de premier plan dans l’Opération « Odyssey Dawn » afin de redorer son blason, passablement écorné par des révélations pénibles ; en effet, on lui reproche d’avoir bénéficié d’une manne libyenne pour le financement de campagnes électorales.

 

Mais qu’y a-t-il de neuf dans le chef de Kadhafi ? Au Bahreïn et au Yémen aussi, l’insurrection populaire connaît une recrudescence inquiétante et le conflit s’envenime entre le pouvoir et ses adversaires. En Libye, le « degré d’oppression » ne semble pas être « plus fort et plus lourd » que dans d’autres pays de régime autoritaire, a déclaré récemment Richard Falk, expert ès droit des gens et porte-paroles spéciale des Nations Unies, au micro de la chaine de télévision arabe Al-Djazira. « Mais ce n’est qu’en Libye que l’Occident intervient militairement. Il est effectivement plus difficile de retirer son amitié au Roi du Bahreïn, un bon ami des puissances occidentales ; ce Roi Hamad, ne l’oublions pas, constitue une redoute contre l’Iran et permet à la 5ème Flotte américaine de mouiller dans ses ports. Quant au Président yéménite Ali Salah, il est bel et bien un dictateur aux yeux de l’Occident mais beaucoup craignent que sans lui le Yémen ne tombe aux mains d’Al-Qaïda. Il existe donc des motivations en apparence inavouées qui expliquent les différences d’attitude face à la Libye, au Yémen et à Bahreïn mais aucune d’entre elles ne relève de la sagesse ».

 

Günther DESCHNER.

(article paru dans « Junge Freiheit », Berlin, n°13/2011 ; http://www.jungefreiheit.com/ ).    

lundi, 28 mars 2011

"Aube de l'Odyssée" contre la Libye: grands principes et jeux de dupes

OdysseyDawnUssBarryLancTomahawk@US110319.jpg

« Aube de l'odyssée » contre la Libye : Grands Principes et jeux de dupes

Ex: http://www.polemia.com/ 

Qui tire les ficelles contre la Libye ? Sous le couvert des Droits de l’homme, manipulations partisanes, intérêts pétroliers et calculs politiciens font rage.

Dans l’après-midi du 19 mars, veille des cantonales, le chef de l’Etat se fendait, devant les drapeaux entrecroisés de la France et de l’Europe, d’une intervention aussi pathétique que martiale pour nous annoncer que, des peuples arabes ayant « choisi de se libérer de la servitude dans laquelle ils se sentaient depuis trop longtemps enfermés », ils « ont besoin de notre aide et de notre soutien ».

« C'est notre devoir », ajoutait Nicolas Sarkozy. « En Libye, une population civile pacifique (…) se trouve en danger de mort. Nous avons le devoir de répondre à son appel angoissé (…) au nom de la conscience universelle qui ne peut tolérer de tels crimes » et le président de la République concluait avec emphase : « Nos forces aériennes s'opposeront à toute agression des avions du colonel Kadhafi contre la population de Benghazi. D'ores et déjà, nos avions empêchent les attaques aériennes sur la ville. D'ores et déjà d'autres avions français sont prêts à intervenir contre des blindés qui menaceraient des civils désarmés. »

En effet, dix-huit Mirage et Rafale étaient mobilisés pour établir la zone d’exclusion aérienne comme l’ONU en avait finalement donné mandat, cependant que le porte-avions Charles De Gaulle recevait l’ordre de cingler vers la Tripolitaine.

Aux ordres du Pentagone

Ainsi la patrie des Immortels Principes apparaissait-elle en héraut de la conscience universelle et en fer de lance de la résistance armée au satrape de Tripoli. Seul ennui : au moment même où le petit Nicolas se livrait à ce solennel exercice d’autopromotion – présenté sur le site officiel de l’Elysée sous le titre ronflant « Crise en Libye : l'action forte, concertée et déterminée du président Nicolas Sarkozy », le vice-amiral William E. Gortney précisait du Pentagone que l'opération, baptisée Odyssey Dawn (Aube de l'odyssée), était « placée sous le commandement du général Carter F. Ham, chef du U.S. Africa Command (Africom), basé à Stuttgart (Allemagne) ». « Une force navale portant la dénomination Task Force Odyssey Dawn est commandée à la mer par l'amiral américain Samuel J. Locklear III, dont l'état-major est embarqué à bord du navire de commandement USS Mount Whitney », précisait l’amiral Gortney.

Ce que, sur le site LePoint.fr, le spécialiste militaire Jean Guisnel commentait assez cruellement : « Les autorités politiques françaises présenteront sans doute une version les plaçant en tête de gondole, mais la réalité est plus prosaïque : les Américains sont aux manettes et assurent le contrôle opérationnel de l'ensemble du dispositif (OPCON, pour Operational Control) en assurant la coordination de l'ensemble des missions et des moyens qui leur sont attribués… Les Français sont donc des « fournisseurs de moyens » à la coalition qui leur a accordé le « privilège » (ou vécu comme tel par Nicolas Sarkozy) de prendre l'air les premiers. »

En somme, dans cette affaire exhalant un fort relent de pétrole, Sarkozy serait l’estafette de la Maison-Blanche comme Giscard avait été, selon Mitterrand en 1981, « le petit télégraphiste du Kremlin ». Marine Le Pen qui, interrogée sur Europe 1 le 18 mars, mettait en garde contre le risque de guerre car « il faut être conscient que si nous engageons notre armée, d'abord il va falloir la retrouver parce qu'elle est éparpillée partout dans le monde, embourbée en Afghanistan, mais aussi parce que mener un acte de guerre contre un pays, ce n'est pas un jeu vidéo, il faut s'attendre à ce qu'il y ait une réplique », n’avait donc pas tort de se demander ensuite « si les Etats-Unis n’ont pas, une fois de plus, envoyé la France au charbon avec toutes les conséquences qui vont suivre ».

« Carnage » et lâchage… de la Ligue arabe

Ces conséquences, on les connaît :

- risque d’enlisement même si la Libye est désertique et son armée peu connue pour son efficacité (mais on se souvient quel échec fut pour Israël son intervention « Pluie d’été », pourtant apparemment sans dangers, contre le Hezbollah libanais en juillet 2006) ;
- risque de représailles terroristes ;
- risque de raz-de-marée migratoire puisque Kadhafi n’a plus aucune raison de bloquer sur son sol les candidats à l’exode vers l’Europe comme il le faisait depuis son accord avec Berlusconi ;
- et surtout revirement du monde arabo-musulman contre la « croisade occidentale » dès les premiers « dommages collatéraux », lesquels n’ont pas tardé.

Dès le 21 mars, en effet, nos pilotes étaient accusés par Libération et le Herald Tribune de s’être livrés à un « jeu de massacre » et à un « carnage », après avoir pris pour une colonne de blindés loyalistes une colonne de blindés saisis par les rebelles s’étant également emparés d’uniformes. Mais, du ciel et même avec l’aide de drones, comment reconnaître les « bons » démocrates (que l’AFP a d’ailleurs décrits « faisant les poches » des soldats tués) des « mauvais », suppôts du tyran ? Inéluctables, de telles bavures n’avaient pas été envisagées, semble-t-il, par le généralissime de l’Elysée, qui pourrait bien se retrouver en posture d’accusé si la promenade de santé tournait à la déculottée.

Au demeurant, le revirement avait été très vite amorcé : alors que, dans son allocution du 19 mars, Nicolas Sarkozy s’était targué du soutien complet d’Amr Moussa, président des Etats de la Ligue arabe – et présent au sommet de l’Elysée –, l’Egyptien se déchaînait dès le lendemain (à 14h 43) contre l’Aube de l’odyssée. Pour Moussa, candidat à la succession de Moubarak et donc soucieux de se ménager l’opinion égyptienne en vue de la présidentielle, « ce qui s'est passé en Libye diffère du but qui est d'imposer une zone d'exclusion aérienne : ce que nous voulons c'est la protection des civils et pas le bombardement d'autres civils ». Quel camouflet pour Sarkozy !

Un devoir d’ingérence très sélectif

Mais peu importe à celui-ci puisque, simultanément, dans Le Parisien, Bernard Henri Lévy lui tressait des lauriers pour s’être montré « lucide et courageux » dans le déclenchement de la « guerre juste » destinée à débarrasser la Libye « dans les délais les plus brefs, du gang de Néron illettrés qui ont fait main basse sur leur pays et l'ensanglantent, pour l'heure, impunément ».

Vive donc le devoir d’ingérence si cher à Bernard Kouchner ! Débarqué le 13 novembre 2010 du Quai d’Orsay pour incompétence, il aura remporté avec cette intervention en Libye une fameuse victoire « posthume » – dont il se réjouit d’ailleurs sans retenue, célébrant lui aussi le « courage » de Nicolas Sarkozy.

On remarquera toutefois que ce prétendu devoir s’inscrit dans une géométrie éminemment variable ainsi que le notait d’ailleurs Polémia dans son « billet » du 18 mars : « Les Occidentaux, philanthropes expérimentés, voleront au secours de la population libyenne en la bombardant. (Préservez-moi de mes amis…) Pourquoi la Libye et pas la Côte d'Ivoire ? Pourquoi Kadhafi et pas Gbagbo ? »

De même, pourquoi défendre les « résistants » de Benghazi et de Tobrouk et abandonner à leur triste sort ceux de Bahrein que, circonstance aggravante, les troupes saoudiennes et émiraties ont envahi le 14 mars à seule fin de prêter main forte au monarque de cet Etat du Golfe qui ne parvenait pas à juguler l’opposition ? Une incroyable intervention que Paris n’a pas cru devoir condamner. Quant aux Etats-Unis, ils se sont bornés à appeler leurs alliés saoudiens à la « retenue » alors qu’ils avaient fait frapper d’un embargo sauvage puis ravagé en 1990-1991, par « Tempête du désert », l’Irak coupable d’avoir envahi en août 1990 le Koweit, sa « dix-septième province ».

Et que dire du mutisme assourdissant des champions aujourd’hui autoproclamés de la conscience universelle devant la sanglante opération « Plomb durci » déclenchée fin décembre 2008 par les Israéliens contre la bande de Gaza, où la plupart des (milliers de) victimes furent des civils, de tous âges et de tous sexes ?

Les mensonges de mars

Mais on sait qu’Israël bénéficie d’une grâce d’état. Quant aux manifestants bahreinis, ils sont chiites : considérés comme vassaux de l’Iran, ils sont donc traités en supplétifs de l’« axe du mal ». On peut ainsi les réduire en charpie sans que les bonnes âmes ne s’en émeuvent, comme elles l’ont fait, à l’instar de Bernard Henri Lévy, devant les deux mille morts faits par la répression à Benghazi fin février dernier.

D’ailleurs, y en eut-il réellement deux mille ? Ce chiffre, alors avancé sur TF1, et au conditionnel, par un médecin français confiné dans son hôpital, n’a jamais été confirmé de source sûre. Il n’en est pas moins – ce qui n’est pas une première dans l’histoire – accepté sans discussion par les chancelleries occidentales et les cercles de l’OTAN.

Mais attention ! Sous le titre « Yougoslavie, Irak, Libye : les mensonges de mars », le quotidien britannique The Guardian rappelait utilement le 20 mars : « En mars 1999, on nous a dit qu’il nous fallait intervenir en Serbie parce que le président yougoslave Slobodan Milosevic avait lancé contre les Albanais du Kossovo « un génocide de type hitlérien » alors que ce qui arrivait au Kossovo était une guerre civile entre les forces yougoslaves et l’Armée de Libération du Kossovo soutenue par les Occidentaux, avec des atrocités commises des deux côtés (*). Et les proclamations sur l’arsenal de destruction massive détenu par l’Irak étaient une pure foutaise (pure hogwash) inventée pour justifier une intervention militaire… En mars 1999 comme en mars 2003, nos dirigeants nous ont menti sur les raisons réelles de notre engagement dans un conflit militaire. Comment pouvons-nous être sûrs qu’il en va différemment en mars 2011 malgré l’aval donné par l’ONU à l’intervention en Libye ? »

Le retour des faucons « néo-cons »

D’autant que les manipulateurs sont les mêmes, en commençant par Bernard Henri Lévy, à la manœuvre en Libye comme il l’avait été dans les années 1990 en Bosnie puis au Kossovo, et surtout les stratèges neo-conservative américains Paul Wolfowitz et William Kristol, ce dernier venu du trotskisme mais « partisan passionné d'Israël, de la puissance américaine et du renforcement de la présence américaine au Moyen-Orient », comme le souligne Wikipedia. Quant à Wolfowitz, secrétaire adjoint à la Défense entre 2001 et 2005 dans le gouvernement de George W. Bush puis président de la Banque mondiale jusqu’en mars 2007, c’est lui qui fabriqua la « foutaise » des armes de destruction massive irakiennes comme il l’avoua avec cynisme dans le n° de mai 2003 du magazine Vanity Fair, alors que l’Irak était crucifié. Point de détail : la nouvelle compagne de cet inquiétant personnage, Shaha Riza, est une Lybo-Britannique précédemment chargée des droits des femmes arabes à la Banque mondiale et aujourd’hui apparatchik au département d'Etat des Etats-Unis.

De son côté, le compère Kristol, auquel les frappes aériennes sur Tripoli et Syrte ne suffisent plus, préconisait le 20 mars sur FoxNews le déploiement au sol des troupes de la coalition. Contredisant Barack Obama dont il est pourtant devenu l’un des plus proches conseillers après avoir instrumentalisé Bush jr., il affirme ainsi : « Non, nous ne pouvons pas laisser Kadhafi au pouvoir et nous ne le laisserons pas au pouvoir. »

Un programme aussitôt applaudi par BHL et auquel notre président adhérera sans doute, quitte à risquer la vie de nos soldats, puisque ledit BHL est devenu son directeur de conscience et, tant pis pour l’avantageux Juppé, le vrai chef de notre diplomatie. Et tant pis également si l’opération Aube de l’odyssée favorise l’instauration d’un « Emirat islamique de la Libye orientale dans la région pétrolière de Tobrouk », avènement redouté par le ministre italien des Affaires étrangères, Franco Frattini, dans une déclaration du 22 février. Tout comme Tel Aviv finança le Hamas pour affaiblir l’OLP de Yasser Arafat, la « croisade » (dénoncée le 21 mars par Vladimir Poutine) aboutira-t-elle au remplacement de Kadhafi par des Barbus ? Beau résultat, en vérité !

Kadhafi, sinistre bouffon mais roi de Paris

Peu nous chaut évidemment le sort du colonel libyen qui, depuis des décennies, n’a eu de cesse de monter contre la France ses anciennes colonies africaines, au prix de sanglantes guerres civiles. Comme au Tchad où il soutint sans défaillance Hussein Habré, kidnappeur de Mme Claustre, assassin du commandant Galopin et, parvenu au pouvoir, responsable de plus de 40.000 morts, ce qui lui a valu le 15 août 2008 d’être condamné à mort (par contumace) pour crimes contre l'humanité par un tribunal de N'Djaména. Et nous n’oublions pas la responsabilité directe de Kadhafi dans d’innombrables actes de terrorisme, dont l’attentat de 1989 contre un avion de la compagnie française UTA – 170 morts.

Mais, justement, Sarkozy, lui, avait oublié ces faits d’armes, de même que l’impitoyable répression s’abattant depuis quarante ans sur les opposants au chef de la « Jamariya » quand, en décembre 2007, il réserva un accueil triomphal au sinistre bouffon – qui, après avoir obtenu de planter sa tente bédouine dans le parc du vénérable Hôtel de Marigny, fit d’ailleurs tourner en bourriques les services du protocole et la préfecture de Paris. Il est vrai qu’à l’époque, le président français avait cru pouvoir annoncer la signature de contrats pour une valeur d' « une dizaine de milliards d'euros ». Soit, selon Claude Guéant, alors secrétaire général de l’Elysée, « l'équivalent de 30.000 emplois garantis sur cinq ans pour les Français ». Essentiellement dans le domaine militaire puisque l’on nous faisait miroiter la vente, dans « deux ou trois mois », s’il vous plaît, de quatorze Rafale – les mêmes Rafale qui, finalement jamais achetés, bombardent aujourd’hui la Libye.

Un calcul bassement politicien

Autant que le non-respect par Kadhafi des sacro-saints droits de l’homme, et l’habituel alignement sur l’Hyperpuissance, est-ce le dépit engendré par ces illusions perdues qui a incité le chef de l’Etat à nous lancer dans l’aventure libyenne ?

Sans doute, mais même si BHL, toujours lui, félicite Sarkozy d’avoir eu « le juste réflexe – pas le calcul, non, le réflexe, l'un de ces purs réflexes qui font, autant que le calcul ou la tactique, la matière de la politique », il est difficile de ne pas voir dans la démarche présidentielle un calcul politique. Et même politicien. A l’approche d’élections annoncées comme catastrophiques pour la majorité, l’Elyséen devait à tout prix se « représidentialiser ». Quoi de mieux, pour y parvenir, que d’adopter la flatteuse posture de chef des armées, de plus arbitre planétaire des élégances morales ?

Echec sur toute la ligne. Aux cantonales du 20 mars, l’UMP, talonnée par un FN à 15,56% (résultat jamais atteint dans ce type de scrutin), n’a obtenu que 17,07% des suffrages, contre 25,04% au PS.

Alors, tout ça (car il faudra bien donner un jour le coût du ballet aérien et de la croisière du Charles-De-Gaulle) pour ça ?

Camille Galic
21/03/2011

(*) Voir notre article du 28 février « Albanie : la dictature de la corruption, meilleur allié de l'islamisation » :

Correspondance Polémia - 22/03/2011

La grande guerre de Nicolas le petit

La grande guerre de Nicolas le petit

 

Sarkozy_guerre_libye_kadhafi.jpgÉric Besson avant de se renier, alors qu’il était encore socialiste, publia un petit opuscule fort bien fait intitulé « Sarkozy l’Américain ». Il y expliquait comment les néo-con yankees mettaient tous leurs espoir dans l’élection de Nicolas Sarkozy à la présidence de la République. Ils ne le soutenaient pas, à ses yeux, comme ils soutiendraient n’importe quel candidat de droite, mais parce qu’il était le seul homme politique français important qui incarnait leurs idées. Pour eux, Nicolas Sarkozy était l’espoir d’en finir une fois pour toutes avec l’hydre à deux têtes constituée par ce qui reste du modèle social français et de la politique étrangère indépendante de la France.

Et de rappeler qu’alors qu’il était déjà candidat à la présidence de la République, Sarkozy de passage aux États-Unis n’avait pas hésité à déclarer qu’il se sentait étranger dans son propre pays, qu’il était fier qu’on l’appelle « l’américain » et qu’il considérait comme arrogant le discours d’un premier ministre français (de Villepin à l’ONU en 2003) qui a fait l’admiration du monde entier.

Au lendemain de son accession à l’Élysée, l’universitaire Jean Bricmont, n’avait pas hésité à écrire, quant à lui, que cette « victoire représente une inféodation de la France à l’étranger comme il n’y en a jamais eu dans le passé, sauf suite à des défaites militaires. »

Tout ceci pouvait sembler excessif.

Malheureusement il n’en était rien et ce qu’avaient prédit ces auteurs s’est malheureusement confirmé : la France de Sarkozy est devenu le caniche de l’oncle Sam.

L’opération en Libye nous en donne une nouvelle preuve.

La propaganda staffel des médias aux ordre nous présente dans cette affaire une « France aux commandes » et un Président « chef de guerre »… Cela avec un objectif purement politique évident : rehausser l’image du nain hongrois en chute libre dans les sondages en donnant l’impression qu’il a une véritable surface internationale et qu’il est, au moins, capable de réussir quelque chose… Fut-ce faire tuer des femmes et des enfants par des missiles téléguidés !

La réalité est plus cruelle et nous pouvons la découvrir dans la presse yankee dont les articles sont repris en France par quelques blogs et sites « mal-intentionnés ». La réalité c’est que, comme l’écrit Jean Guisnel sur Le Point.fr, « la France est placée sous commandement américain » et que Paris est uniquement un « fournisseur de moyens » de la coalition internationale engagée contre Kadhafi. Et notre journaliste d’expliquer «  Lors d’un briefing organisé samedi au Pentagone, le vice-amiral William E. Gortney a précisé que l’opération (…) est placée sous le commandement du général Carter F. Ham, chef du U.S. Africa Command (Africom), basé à Stuttgart (Allemagne). Une force navale portant la dénomination Task Force Odyssey Dawn est commandée à la mer par l’amiral américain Samuel J. Locklear III, dont l’état-major est embarqué à bord du navire de commandement USS Mount Whitney. À ce stade, les conditions précises de l’organisation de l’opération Odyssey Dawn ne sont pas entièrement définies. Les autorités politiques françaises présenteront sans doute une version les plaçant en tête de gondole, mais la réalité est plus prosaïque : les Américains sont aux manettes et assurent le contrôle opérationnel de l’ensemble du dispositif (OPCON, pour Operational Control) en assurant la coordination de l’ensemble des missions et des moyens qui leur sont attribués. La raison en est simple : alors que la coalition pourrait compter jusqu’à une vingtaine de pays dans les jours qui viennent, seuls les Américains sont en mesure de gérer un tel dispositif. Les Français sont donc des « fournisseurs de moyens » à la coalition qui leur a accordé le « privilège » (ou vécu comme tel par Nicolas Sarkozy) de prendre l’air les premiers. »

Pire, une lecture de la presse américaine permet d’apprendre que ce sont les États-Unis, seuls, qui ont décidé qu’il était enfin possible de se lancer dans l’opération diplomatique ouvrant la voie à l’emploi de la force contre la Libye et que une fois ces opérations entamées, la France sarkozyste a été placée sous commandement américain et obéit depuis au doigt et à l’œil à ce que disent et décident Hillary Clinton et le président Obama.

Ainsi, notre pays est engagé dans une opération militaire, dont on ne comprends guère le sens et dont on ignore tout de l’issue, pour des raisons qui n’ont rien à voir avec notre intérêt national mais beaucoup avec celui des États-Unis et avec l’avenir politique d’un lilliputien ambitieux.

Voici à quoi sont utilisés nos impôts (le coût de cette opex devrait rapidement se chiffrer à plusieurs dizaines, voire centaines si elle dure, millions d’euros), voici pourquoi le sang de Français sera peut-être versé demain !

Mais que Nicolas le petit et ses sbires n’aient crainte, tout se paie (parfois pas uniquement dans les urnes…) et le peuple de France a commencé à faire l’addition. La vague bleu marine de dimanche pourrait bien n’être encore qu’une vaguelette en comparaison des élections futures !

dimanche, 27 mars 2011

Libye: le "médiamensonge", arme suprême

michel-collon-belgium-rog-r90p.jpg

Libye : le « médiamensonge » arme suprême

Ex: http://www.polemia.com/

Michel Collon a plublié sur son site un article assez virulent en cinq points, dans lequel il dénonce la médiatisation complaisante et partisane des événements libyens. Nous ne partageons pas forcément l’intégralité du contenu, mais nous invitons nos lecteurs à se rendre sur ce site pour en prendre connaissance. Il est très éclairant.

Au moment où Polémia organise sa deuxième cérémonie des Bobards d’Or le 5 avril prochain, il nous paraît intéressant de le leur signaler. En plus et en avant goût de notre manifestation, nous reproduisons le point 5 qui traite d’un sujet qui nous est cher : le « médiamensonge », que l’on retrouve pratiquement à l’origine de chaque conflit. C’est le thème de Michel Collon.

En fin d’article, on trouvera  les références de cette publication qui a pour titre : 

Cinq remarques sur l’intervention contre la Libye
et dont les cinq points sont :

  1. Humanitaire, mon œil !
  2. Qui a le droit de « changer de régime » ?
  3. Les buts cachés
  4. La « communauté internationale » existe-t-elle ?
  5. Chaque guerre est précédée d’un grand médiamensonge

Chaque guerre est précédée d’un grand médiamensonge.

Même dans la gauche européenne, on constate une certaine confusion : intervenir ou pas ? L’argument massue « Kadhafi bombarde les civils » a pourtant été démenti par des sources occidentales et des sources de l’opposition libyenne. Mais répété des centaines de fois, il finit par s’imposer.

Etes-vous certains de savoir ce qui se passe vraiment en Libye ? Quand l’Empire décide une guerre, l’info qui provient de ses médias est-elle neutre ? N’est-il pas utile de se rappeler que chaque grande guerre a été précédée d’un grand médiamensonge pour faire basculer l’opinion ? Quand les USA ont attaqué le Vietnam, ils ont prétendu que celui-ci avait attaqué deux navires US. Faux, ont-ils reconnu des années plus tard. Quand ils ont attaqué l’Irak, ils ont invoqué le vol des couveuses, la présence d’Al-Qaida, les armes de destruction massive. Tout faux. Quand ils ont bombardé la Yougoslavie, ils ont parlé d’un génocide. Faux également. Quand ils ont envahi l’Afghanistan, ce fut en prétendant qu’il était responsable des attentats du 11 septembre. Bidon aussi.

S’informer est la clé.

Il est temps d’apprendre des grands médiamensonges qui ont rendu possibles les guerres précédentes.

Michel Collon
20/03/2011

Source :

Cinq remarques sur l’intervention contre la Libye, à lire sur :
http://www.michelcollon.info/Cinq-remarques-sur-l-intervention.html

Correspondance Polémia – 22/03/2011

samedi, 26 mars 2011

Libyen: Grösster Militäreinsatz seit der Irak-Invasion

Libyen: Größter Militäreinsatz seit der Irak-Invasion – auf dem Weg in langwierige Kampfhandlungen

Prof. Michel Chossudovsky

Unverblümte Lügen der internationalen Medien: Bomben und Raketen werden als Instrumente des Friedens und der Demokratisierung gepriesen: Hier geht es nicht um ein Eingreifen aus humanitären Gründen. Der Krieg in Libyen eröffnet einen neuen Kriegsschauplatz. In der Großregion Naher und Mittlerer Osten sowie Zentralasien existieren drei unterschiedliche Kriegsschauplätze: Palästina, Afghanistan und der Irak. Vor unseren Augen entwickelt sich ein vierter Kriegsschauplatz der USA und der NATO in Nordafrika und erhöht das Risiko einer Eskalation. Diese vier Kriegsschauplätze sind funktionell miteinander verbunden; sie sind Teil einer integrierten militärischen Agenda der USA und der NATO.

 

 

Die Luftangriffe auf Libyen wurden schon seit Jahren von den Planungsstäben des Pentagon vorbereitet, wie der frühere NATO-Kommandeur General Wesley Clark bestätigte. Operation Odyssey Dawn wird als die »größte militärische Intervention des Westens in der arabischen Welt seit der Invasion des Irak vor genau acht Jahren« bezeichnet. (»Russia: Stop ›indiscriminate‹ bombing of Libya«, Taiwan News Online, 19. März 2011)

Dieser Krieg ist Teil des Kampfes um Erdöl.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/prof-michel-chossudovsky/libyen-groesster-militaereinsatz-seit-der-irak-invasion-auf-dem-weg-in-langwierige-kampfhandlunge.html

vendredi, 25 mars 2011

Libyen: Zwischen Stamm und Staat

Libya_ethnic_de.png

Martin J.G. Böcker


Libyen: Zwischen Stamm und Staat

Ex: http://www.jungefreiheit.de/

In Libyen erleben wir in diesen Wochen, welch enorme Macht die Stämme haben. Der Staat zerfällt, weil sie die Machtfrage stellen. Der Konflikt dauert an, weil Ghaddafis Familie nicht schwach genug ist, um weggefegt zu werden. Und währenddessen kommt die Frage auf, was eigentlich nach dem libyschen Krieg passieren soll? Ein ehrliches Ziel wäre: Ein stabiles Libyen, das Öl liefert – und keine Flüchtlinge. Ein hehres, aber vorerst unrealistisches Ziel wäre: Die Etablierung einer Demokratie, die diesen Namen verdient hat.

Dieser Prozeß wäre wohl „langwierig“ und „von Rückschlägen“ gezeichnet, wie es Wolfram Lacher von der Stiftung Wissenschaft und Politik euphemistisch formuliert. Die Konkurrenz zwischen Stamm und Staat ist ein Phänomen, welches in Libyen nun mit aller Macht zu Tage tritt, aber wohl für ganz Europa mitsamt seiner Peripherie von immer größerer Bedeutung werden könnte.

Gewaltmonopol und Beamte notwendig

Für das Verhältnis zwischen den Stämmen und einem Staat lohnt ein Blick auf das Werden der westlichen Demokratie: Laut Max Weber war die „gewaltsame Herrschaft“ mit einem „Monopol legitimer physischer Gewaltsamkeit“ unabdingbar. Das setzte einen funktionierenden Verwaltungsstab und einen politischen Enteignungsprozeß voraus. Der Verwalter war also nicht mehr im Besitz des Verwalteten; er bestritt seinen persönlichen Unterhalt nicht mehr durch das verwaltete Gut. Vielmehr lebte er von Unterhaltszahlungen, die er von einer herrschenden Instanz erhielt. Sprich: Er wurde verbeamtet. Nur so war das Werden der westlichen Demokratie möglich.

Daraus ergab sich die Ausdifferenzierung, welche die technische, bürokratische, ökonomische und politische Überlegenheit des Westens bedingte. Gleichzeitig bedeutete sie aber auch den Abschied von der emotionalen, pathetischen oder abhängigen Bindung an den Fürsten, also den Abschied vom Grund für Treue. Der Nationalismus scheint als Ersatz für diese Bindung nur von vorübergehender Wirkung gewesen zu sein.

Vorstaatliche Patronage- und Stammesstrukturen

Die Stärke des bürokratischen Westens bedingt also gleichzeitig dessen Schwäche. Denn – wie zum Beispiel Thorsten Hinz in seinem Essay über die „Zurüstung zum Bürgerkrieg“ dargestellt hat – manche Zeitgenossen empfinden die Energie arabischer und türkischer Großfamilien (also Patronage- und Stammesstrukturen) in den europäischen Innenstädten als Bedrohung für die europäisch-christliche Kultur. Durch ihren Zusammenhalt und ihre familiäre Bindung ist sie der deutschen Vater-Mutter-Kind-Familie in mancher Hinsicht überlegen.

Aber: Wenn uns schon die Anwesenheit solcher großfamiliärer Strukturen in unseren Innenstädten wie eine Bedrohung, wie schleichende Islamisierung, wie das Ende des Abendlandes vorkommt; wie unermeßlich apokalyptischer muß einem libyschen Obergefreiten dann die – im wahrsten Sinne des Wortes sagenhafte! – Feuerwirkung der alliierten Luftstreitkräfte erscheinen?

Bürokratischer Staat versus Stammesgesellschaft

„Hier“ haben wir den bürokratischen Staat, „dort“ die Stammesgesellschaft. Nach Weber geht mit der Entwicklung des modernen Staates auch das Ende des „ständischen Verbandes“ einher, also bedroht die Bürokratie den Stamm und im Umkehrschluß der Stamm die Bürokratie. Jeder den anderen auf seine Weise. Das meint nicht den Stamm, der sich der Bürokratie unterordnet; das meint auch nicht den Stamm, der sich einer Bürokratie bedient, um sich selbst zu verwalten.

Es geht vielmehr um die Situation, in der die Machtfrage gestellt wird – siehe Libyen. Das heißt die Situation, in der das staatliche Gewaltmonopol die Loyalität zum Stamm bricht beziehungsweise die Loyalität zum Stamm in der Lage ist, sich über das Gewaltmonopol hinwegzusetzen. So wie uns die Energie einer archaischen Stammeskultur bedrohlich vorkommt, kann der Stammeskultur unsere technische, wissenschaftliche, ökonomische, politische Überlegenheit beängstigend vorkommen – zumal wir sie letztlich erst durch den Abschied von den archaischen Strukturen erlangen konnten.

Die Globalisierung hat zur Folge, daß so eine Feindschaft Grenzen überwindet. Es ist eben nicht mehr so, daß die Türken vor Wien stehen oder die Kreuzritter nach Jerusalem ziehen. Die jeweils andere Seite ist „hier“ wie „dort“ in vielfältigen (vornehmlich ökonomischen) Beziehungsformen zugegen. Also als Geschäftspartner, Arbeitgeber, Arbeitnehmer, Sozialhilfeempfänger, Entwicklungshelfer, Urlauber, natürlich auch als Missionar. Das heißt freilich nicht, dass die Bedrohung der jeweils anderen Struktur durch die eigene damit aufgehoben wäre. Der Kampf der Strukturen setzt sich unvermindert fort – nicht nur in Libyen.

jeudi, 24 mars 2011

Las verdaderas razones de Occidente para intervenir en Libia

o_dawn.jpg

LAS VERDADERAS RAZONES DE OCCIDENTE PARA INTERVENIR EN LIBIA

Libia en crisis. Occidente pide invadir para apoderarse del petróleo y el gas
Crisis en Libia

Hipocresía y oro negro

Las pinzas que se cierran sobre Libia promueven un escenario abierto para que las potencias centrales se apropien de su riqueza petrolera.
 
Ex: http://elnomadeenlaciudad.blogspot.com/

Levantamientos en Libia, ni tan espontáneos ni tan ingenuos.

Por Diego Ghersi


Habrá mil maneras de explicar, y otras mil más de no entender, cómo fueque la oposición política de un país fue capaz en horas de atacar de igual a igual al poder militar de un Estado y confinar al gobierno a un radio de 50 kilómetros de la capital.

A diferencia de lo ocurrido en Túnez, Marruecos, Jordania, Yemen oEgipto, en Libia no hubo protestas pacíficas sino que las acciones incluyeron toma de cuarteles, armas, tanques y ataques al Ejército oficial.

La paridad militar es tan notoria que la única diferencia a favor de Muammar Kadaffi la hace el control del aire, cuestión que las fuerzas opositoras intentan equilibrar solicitando apoyo aéreo de combate al extranjero.

Es evidente que el Consejo Nacional Libio de Bengasi considera que con tal apoyo podrían imponerse a la fuerzas de Kadaffi por sí mismos sin necesidad de una invasión explícita de fuerzas multinacionales encabezadas por Estados Unidos. Por las dudas, Washington sigue concentrando su flota frente a las costas del país.

Es también evidente -por la magnitud de los choques- que Libia se encuentra en un escenario de guerra civil entre fuerzas equilibradas en disputa por el poder.

Cuesta entender cómo fue que una masa que protestaba pacíficamente según la prensa internacional hegemónica- adquirió en horas el exitoso vuelo táctico digno de un ejército entrenado, a menos que se abone la hipótesis de que las revueltas fueron coordinadas por cuadros militares y de inteligencia- seguramente extranjeros.

No es la primera vez en la historia que eso sucede: en Vietnam era tarea de la CIA y de los Boinas Verdes, en el Afganistán soviético era Bin Ladeny, de nuevo, la CIA.

La composición de las fuerzas interiores que se oponen y atacan a Muammar Kadaffi es conocida, compleja y de orden tribal.

Se sabe que Libia es una nación formada por diferentes tribus y que históricamente los manejos políticos al menos desde que Kadaffi llegara al poder- perjudicaron a unas y favorecieron a otras pero, fundamentalmente, desplazaron al orden tribal.

En el primigenio sistema político de Kadaffi -básicamente socialista- no había lugar para las tribus ni para los partidos políticos.

Sí lo había para comités y congresos populares, y los 40 años de la era Kadaffi con sus buenas y sus malas- no fueron suficientes para digerir la idea del fin del orden tribal que, con sus clanes y subdivisiones, fue la única institución que reguló durante siglos la sociedad en las zonas de Tripolitania, Fezzan y Cirenaica.

Aún así, articular una fuerza capaz de competir militarmente con un Estado no se logra en un segundo y tiene que haber sido organizada y plasmada durante largo tiempo, quizás como parte de otro plan desestabilizador que las circunstancias del efecto dominó norafricano aceleraron.

Las acciones militares terrestres fueron combinadas con los discursos generados por las grandes corporaciones periodísticas de Europa y deEstados Unidos funcionales a los intereses petroleros de los países centrales.

La contribución mediática utilizada para estrangular al gobierno de Libia es transparente: desprestigiar al gobierno de Kadaffi ante el mundo para allanar el camino de la intervención armada de fuerzas multinacionales amparadas por las Naciones Unidas.

La invasión militar extranjera apuntaría a barrer de la faz de la tierra todo residual apoyo al régimen.

Muchos analistas denunciaron en los últimos días la carencia de imágenes de los supuestos bombardeos en Tobruk; Bengasi o Trípoli. Tampoco se vieron los miles de muertos anunciados en los partes noticiosos.

El 22 de febrero, las noticias fijaban en el orden de 300 a 400 el número de fallecidos.

Al día siguiente, el canal Al Arabiya Arabic afirmaba que el gobierno de Kadaffi había causado 10 mil muertos y 50 mil heridos por bombardeos en Trípoli y Bengasi.

Pero no se vieron ni rastros de bombardeos, ni de edificios dañados, ni de los restos de los aviones supuestamente abandonados por pilotos que prefirieron desobedecer antes que proceder con el bombardeo ordenado.

Lo que sí se vio corroborado por Telesur y Al Jazera- fue gente que apoyaba a Kadaffi en la Plaza Verde. Telesur y Al Jazera, presentes en Trípoli, son cadenas de otra matriz ideológica y sus informes confrontan con los de la prensa hegemónica internacional.

La estrategia mediática no se detuvo simplemente en destrozar la figura del líder libio sino que intentó capitalizar como bonus las mentiras tendidas sobre el Presidente de Venezuela Hugo Chávez acusándolo falsamente y desde el principio- de brindar asilo en Caracas a Kadaffi, cuestión por la que por supuesto- nadie pidió disculpas posteriormente.

La campaña informativa contra Kadaffi ha cobrado importancia fundamental porque sobre los informes periodísticos dudosos se fundó ladeterminación del Consejo de Derechos Humanos de Naciones Unidas (ONU) para condenar a Libia y suspender del organismo al país africano.

Es más, antes de votar, el mismísimo secretario de la ONU, Ban Ki-Moon citó reportes de prensa acerca de asesinatos indiscriminados, incluidos algunos contra soldados que se negaron a disparar contra los manifestantes antigubernamentales.

A nadie se le ocurrió la idea de mandar veedores seguramente convencidos de que lo que sale publicado en los diarios es siempre la verdad.

Es más, los mismos reportes han sido suficientes para acusar a Kadaffi en el Tribunal Penal Internacional de La Haya.

Lo gracioso del caso es que la mismísima Canciller de Estados Unidos,Hillary Rodham Clinton, ha apoyado la comparecencia del líder libio ante ese estamento jurídico sin siquiera ruborizarse por el hecho de que su país jamás apoyó someterse a ese organismo judicial. Una verdadera vergüenza.

Pero los medios hegemónicos no han hecho más que explotar una gran ventaja, como en el caso de Saddam Hussein antes de la invasión de Irak, Muammar Kadaffi es indefendible desde el punto de vista del imaginario occidental.

Después de lo de Lockerbie, y de haberlo visto montar su carpa beduina en las puertas de la ONU, el impoluto hombre blanco europeo está listo para creer cualquier cosa que le cuenten acerca del líder libio y también aceptará que se le haga llover plomo desde buques y aviones de combate.

La ventaja es aún mayor porque Muammar Kadaffi no es indefendible solo por esas liviandades.

En efecto, el perfil revolucionario de Kadaffi empezó a cambiar en 1992 cuando firmó un tratado con Rusia que abrió el mercado petrolero libio a las nacientes mafias moscovitas.

Posteriormente, entre 1995 y 2006, firmó pactos políticos, financieros y comerciales con el FMI, el Banco Mundial y con las multinacionales de de la Unión Europea, Estados Unidos y China.

Gracias a estas conductas, los europeos decidieron reivindicarlo desde 1996 y además de recibirlo y homenajearlo, firmaron con él pactos de extradición de “terroristas”, de concesiones petroleras, de control de la migración africana y le levantaron los embargos de armas en octubre de 2004, cuestión que abrió las puertas a pertrechos de origen español, italiano, británico y alemán.

En su discurso del 31 aniversario de la Revolución, Kadaffi notificó al mundo que renunciaba al “comportamiento revolucionario” que hacía de Libia un Estado Rebelde debido a que explicó- no aceptar la legalidad internacional impuesta por Washington implicaría el fin del país.

Congraciarse con Occidente no alivió la situación del pueblo libio. Una radiografía de Libia tomada un minuto antes de la actual situación de revuelta mostraría un país que no tiene soberanía alimentaria -importa a las multinacionales europeas el 75 % de los alimentos que consume-, con una tasa de desempleo del 30 % y de analfabetismo en un 18 %. Ni que hablar de la extrema pobreza.

Son estas las verdaderas razones por las que Kadaffi es indefendible y son de mucho más peso que meras cuestiones de imagen.

Aún así, la prensa necesita explicaciones más sencillas para justificar la guerra ante sus ciudadanos y, además, los países centrales no pueden desprenderse tan fácil de un personaje al que antes adularon para favorecerse con sus negocios sin que su hipocresía los ponga en evidencia.

El cuadro de crisis interna que hoy se compone con cruentos combates es la oportunidad esperada por las naciones europeas, cuyoobjetivo principal es asegurar el suministro del petróleo y de gas a su Unión.

Y en este orden de cosas Estados Unidos se apoderaría de las fuentes y de la comercialización del fluido.

La situación pone en aprietos a los gobiernos progresistas del mundo: no se puede defender a Kadaffi pero tampoco se puede avalar la intervención armada internacional en un país soberano.

De hecho, los antecedentes son lapidarios: no ha servido de nada en Haití; ni en Irak; ni en Afganistán ni en Somalia, países donde sólo se ha cosechado el desastre.

Ante situaciones de debacle interna de un país cualquiera correspondería la actitud de silencio stampa y no injerencia en asuntos extranjeros.

Pero cuando las Naciones Unidas van en camino de autorizar una intervención armada liderada por Estados Unidos la cuestión cambia sustancialmente y requiere de la firme condena diplomática de los gobiernos para frenar el intento de saqueo de los poderosos.

Nada de eso está pasando. La creciente concentración de buques estadounidenses en el Mar Mediterráneo parece ser demasiado importante como para que no se produzca la intervención armada en Libia en cuanto todas las armas estén en posición.

Solo la voz en solitario de Hugo Chávez se escucha en otro sentido, probablemente porque -más que diplomático o político- es en el fondo un soldado galvanizado con la impronta característica de las tropas paracaidistas: sería de cobardes culpar de las muertes en el país magrebí al Gobierno de Kadaffi sin conocer lo que está pasando .

Chávez también se anima a denunciar la maniobra en ciernes: Estados Unidos “está distorsionando las cosas para justificar una invasión. Se frotan las manos por el petróleo libio. Sobre Libia se teje una campaña de mentiras".


La voz del líder bolivariano se torna incómoda porque no filtra diplomáticamente ninguna verdad que por otra parte nadie ignora aunque insistan en mirar para otro lado: Porqué no condenan a Israel cuando bombardea Faluya y mata a niños y mujeres?; Quién condena a Estados Unidos por matar a millones de inocentes en Irak, en Afganistán, en el mundo entero?”.

Lo de Faluya parecería un error porque Israel no bombardeó la ciudad iraquí pero, sin embargo, existen testimonios de que fuerzas de Israel tomaron parte de la batalla. Otro dato es que en Faluya se usaron proyectiles de uranio empobrecido que hoy causan mortalidad inusual en la población.

Aún así, la campaña de mentiras sobre Libia parece ser más eficiente porque ha creado el sentido común de que en Libia se está produciendo una masacre contra un pueblo indefenso que se manifestaba en paz por sus derechos.

Nadie se ha movido para verificarlo y mostrar las imágenes al mundo. Da la sensación de que es una realidad creada y tiene la extraordinaria virtud de que muchísima gente quiere creerla, le conviene económicamente creerla.

También es el presidente bolivariano el único que ha acercado una propuesta de paz al convocar a la comunidad mundial a no dejarse llevar por los tambores de la guerra y buscar una “fórmula política” que sugiere- podría comenzar con una comisión internacional de buena voluntad países amigos de Libia- enviada para evitar una guerra civil.

La interesante propuesta ha sido aceptada sólo por Kadaffi y rechazada por su oposición, el Consejo Nacional Libio de Bengasi.

Al respecto, Mustafá Gheriani, encargado de la prensa del Consejo Nacional opositor sostuvo que “Tenemos una posición muy clara: es demasiado tarde, se ha derramado demasiada sangre. Sin embargo, como señal de que el Consejo Nacional Libio no está interesado en salidas pacíficas, el 2 de marzo solicitó a las fuerzas internacionales que implementen apoyo de fuego aéreo estratégico contra Kadaffi. Las repercusiones al plan Chávez no son todo lo entusiastas que cabría esperar de una comunidad internacional ávida de paz.Desde París, el ministro francés de Relaciones Exteriores, Alain Juppé, rechazó la idea de Chávez y recalcó que cualquier mediación que permita al coronel Kadaffi sucederse a sí mismo evidentemente no es bienvenida“.

El ministro de Relaciones Exteriores italiano, Franco Frattini, estimó que“será muy difícil” que la comunidad internacional acepte la propuesta del presidente venezolano.

Desde Europa, solo los socialistas españoles han acompañado tibiamente la iniciativa bolivariana. La canciller española, Jiménez sostuvo que, a pesar de no conocer a fondo la propuesta venezolana, estaría bien si sirve para ayudar. Sería el colmo que un gobierno de corte socialista como el del PSOE español dijese algo diferente.

Mientras los enfrentamientos entre los leales a Kadaffi y los rebeldes se intensifican, el secretario general de la Liga árabe, Amir Musa, sostuvo que en su organización se estaba considerando el plan de paz del presidente venezolano.

Desde Washington la respuesta negativa al plan de Hugo Chávez llegó elípticamente de boca del propio Barack Obama quién reiteró que Estados Unidos está listo para actuar inmediatamente: Será una decisión que tomaremos junto con la comunidad internacional.

Philip Crowley, vocero del departamento de Estado de Estados Unidos,fue menos diplomático: No se necesita que una comisión internacional le diga al coronel Khadafi lo que tiene que hacer por el bien de su país, y la seguridad de su pueblo. Es claro que Estados Unidos no quiere salida pacífica.

En general se entiende la apatía: la propuesta viene de Chávez eterno postulante a ser el próximo blanco- y anularía un lucrativo negocio que la comunidad internacional ya cuenta en sus balances. Pero ¿y si Brasil apoyara la propuesta venezolana? ¿Y si Sudamérica en bloque la apoyara?

En ese sentido, algunas fuentes señalaban al ex presidente brasileño Luiz Inacio Lula Da Silva como un mediador de consenso internacional y, los países de la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) apoyaron la propuesta de paz.

Resulta interesante pasar revista a las opiniones tomadas de Reuters- que despierta la propuesta de Hugo Chávez entre los miembros del establishment mundial.

Chistophe Barret, analista, Credit Agricole CIB de Londres opina que el plan parece muy vago y no creo que sea considerado seriamente.

Samuel Ciszuk, analista de Oriente Medio, IHS Energy: No creo que otro líder relativamente extremista que es aliado de Kadaffi tenga una oportunidad de ser aceptado como mediador de paz. Es muy poco probable que funcione.

Olivier Jakob, de la firma de investigación suiza Petromatrix: Chávez no tiene mucha credibilidad, el único valor de esa propuesta sería que ofreciera una salida honorable para el clan Kadaffi.

Carsten Fritsch, analista de Commerzbank en Frankfurt: Es altamente improbable que una propuesta de paz de Chávez pueda funcionar. Tim Riddell, jefe de análisis técnico de ANZ en Singapur: Si sale de Chávez, puede no tener ningún grado de sustancia. Obviamente, estas gentes derrochan un optimismo contagioso.

El fondo de la cuestión no es el mismísimo Kadaffi sino lo que se vendría después de un traumático y en este estado de cosas casi seguro- derrocamiento del líder.

Y no hay que ser adivino para visualizar lo que se viene si el plan de paz fracasa: una invasión extranjera someterá a Libia a un baño de sangre concreto que las cadenas informativas del mundo ignorarán como enIrak, Afganistán o Gaza- y el Consejo de Seguridad de la ONU no se reunirá velozmente como lo ha hecho ahora para derrocar al líder libio.

En lo comercial, las potencias que secunden la invasión se repartirán el botín petrolero y dejarán a los libios -que hoy piden apoyo de fuego extranjero- en su inhóspito desierto para que lo transiten en camello y tribalmente como hace mil años, mientras sus recursos son esquilmados hasta el tuétano.

FUENTE: soydondenopienso - http://wp.me/poKd-5EG

mercredi, 23 mars 2011

Après la Libye, le Yémen? Barhein? ... Ou alors la Turquie?

no-war-on-libya.jpg

Après la Libye, le Yémen? Barhein? ... Ou alors la Turquie?

Par Pieter Kerstens

 

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com/

 

Le premier trimestre de cette année est riche en évènements géopolitiques et pimenté de catastrophes naturelles et humaines…

 

Soucieux de redorer sa cote de popularité, après des déclarations inopportunes concernant l’affaire Cassez et  les « amitiés » franco-tunisiennes, Sarko a déclaré la guerre à son client/fournisseur le bédouin Mouammar.

Forts d’une autorisation onusienne à bombarder les armées d’un tyran sanguinaire, dictateur mégalomane et bourreau de son peuple, les « coalisés occidentaux » mettront le paquet pour réduire le guide à néant.

 

Car ce colonel, tombeur du roi Idriss 1er en septembre 1969, avait entamé une révolution de type socialo/nationaliste dont le modèle était celle de Nasser en Egypte et durant de nombreuses années fut aussi soutenu par l’intelligentsia gaucho-bobo.  Il a entretenu des relations très équivoques avec d’anciens agents de la CIA, a financé le terrorisme international, a organisé moult attentats ayant entraîné des centaines de morts et n’a cessé de s’ingérer dans les affaires intérieures des pays africains pour y créer un chaos désastreux.

 

S’il est exact que sous sa férule, la Libye a pu se développer d’une manière spectaculaire grâce à la manne pétrolière et à la mise en place d’un réseau d’irrigation performant (issu d’un « fleuve » souterrain pharaonique), que l’Indice de Développement Humain compte parmi les plus élevés d’Afrique, que la situation de la femme n’est plus comparable celle des Egyptiennes, Marocaines ou Soudanaises, Kadhafi est bien l’un des seuls qui a pu juguler l’expansion islamiste au Maghreb, en jouant des alliances avec les tribus qui lui sont inféodées.

 

Bien des potentats africains, des éminences européennes ou des barons de multinationales lui sont redevables et surtout ceux du complexe militaro-industriel ! Il détiendrait donc des informations et des documents compromettant certains de ceux qui veulent sa peau aujourd’hui…ces va-t-en-guerre haineux et méprisables.

 

Deux poids, deux mesures ?

 

Au prétexte de sauver les insurgés, ces rebelles qui ne songent qu’à renverser le « guide » au nom d’ALLAH le tout-puissant, l’ONU, par sa résolution 1973, permet l’envoi de forces militaires afin de destituer dans un ouragan de fer un dirigeant mégalomaniaque.

 

Mais alors, serait-ce le SEUL ? L’ONU va-t-elle également prendre les mêmes dispositions envers le président du Yémen Ali Abdallah Al-Salih qui lui aussi fait tirer sur la foule des insurgés ? Une autre résolution onusienne pour contraindre par un embargo Hamad Ibn Isa Al Khalifa, monarque de Bahreïn, au cessez-le-feu contre les manifestants de la place de la Perle à Manama ? Avant l’envoi de chasseurs-bombardiers ?

Et pour ce qui est des guerres civiles en Côte d’Ivoire, au Nigeria, en RDC, et tutti quanti, l’ONU pourra-t-elle fermer les yeux encore longtemps sur les massacres perpétrés par des « tyrans sanguinaires », sans prendre des résolutions identiques à la 1973 ?

 

Et que dire des situations dramatiques vécues par les populations innocentes par exemple au Zimbabwe, en Corée du Nord et même au Mexique (aux portes de l’ONU) où les narcos trafiquants, bien mieux armés que les va-nu-pieds de Benghazi, ont acheté l’Etat de Droit cher au cœur des humanistes et massacrent à tour de bras.

 

Devoir de mémoire ?

 

Les états membres (192) s’engagent à remplir les obligations prévues par la Charte, en vue de sauvegarder la paix et la sécurité internationale et d’instituer entre les nations une coopération économique, culturelle et sociale. Cà c’est pour les intentions …car chaque pays membre est obligé de faire respecter les résolutions du Conseil de Sécurité et l’Histoire nous oblige à constater que de la théorie à la pratique, il y a un gouffre !

 

Les résolutions 181,194, 242, 476, 478, et 672 par exemple, prises de 1947 à 1990, n’ont JAMAIS été respectées par Israël, qui persévère quant à son attitude belliqueuse et refuse de libérer les territoires occupés.

 

Même chose pour  l’occupation et l’annexion illégale du Tibet par la Chine en 1950.

 

Ne parlons pas des deux guerres en Irak où règne l’anarchie la plus totale et où la population subit des exactions pires que sous le régime de Saddam Hussein.  

 

Idem en Afghanistan qui devient un copié collé de la guerre du Vietnam…

 

En Somalie, les onusiens de 1992 à 1995 (avec Kouchner et son sac de riz) se sont fait aplatir par les milices islamistes, qui ont maintenant muté en une coopérative de piratage international et preneur d’otages maritimes.

 

Plus près de nous, l’armée turque occupe militairement le nord l’île de Chypre depuis 1974, sans que l’ONU n’ait pris une résolution permettant un embargo contre la Turquie, ni le bombardement d’Ankara : et on voudrait même que l’Europe accepte cet agresseur en son sein !

Libia. Evviva i "buoni" !

Libia. Evviva i “buoni”!

di Alberto B. Mariantoni

Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]

 

Ci risiamo… Tuh, tuh, tuh tuuuh… Qui Londra, vi parla Ruggero Orlando: I “buoni”, parlano ai “buoni”. Stiamo arrivando a “liberarvi”!

Ed ancora una volta, come in uno scenario di film a moviola che si ripete instancabilmente all’infinito, i soliti “buoni” dell’Occidente (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti)[1] – con addirittura, questa volta, il supporto politico[2], militare[3] e logistico[4] degli abituali “struzzi-meharisti”, sempre ben colonizzati ed obbedienti, dell’Italia del 150° Anniversario… – sono volati in “soccorso” delle “povere”, angariate e tormentate “popolazioni” libiche in rivolta, per salvarle, in extremis, dalle ire furenti e vendicative del Colonnello di Tripoli ed offrire loro una sicura chance, di “libertà” e di “democrazia” (sic!)!

A partire, dunque, dalle 17:45 di Sabato 19 Marzo 2011, i “buoni di cui sopra, in questa occasione con il nome d’arte di “Coalizione dei volenterosi” – nascondendosi furbescamente dietro l’occasionale ed ipocrita “dito” delle Risoluzioni, “1970” (26 Febbraio 2011) e “1973”[5], del 17 Marzo 2011 (approvata, quest’ultima, con soli 10 voti favorevoli, su 15, e 5 astenuti) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – hanno incominciato a sferrare, con le loro rispettive forze aeree militari, i loro sanguinosi e sproporzionati attacchi, contro le installazioni militari (e civili…) del “cattivo” di turno: la Libia del Colonnello Gheddafi.

Contro la Libia, naturalmente, e non contro lo Yemen o il Bahrein, dove – nonostante il triste computo dei morti civili sia abbastanza comparabile e la repressione dei contestatori altrettanto violenta e brutale – esistono regimi arabi (“moderati”…) che sono strettamente infeudati ai “buoni” di cui sopra. Meno ancora contro Israele, dove – da almeno 63 anni – avvengono più gravi e sistematiche stragi di civili, senza contare le abominevoli e reiterate violazioni dei Diritti dell’Uomo, a danno dell’annosamente martirizzata ed indifesa popolazione palestinese. Ancora meno, contro uno qualsiasi della decina di Paesi nell’Africa nera, dove da all’incirca 30 anni, continuano regolarmente a svolgersi sanguinosissime e poco mediatizzate guerre civili, sistematicamente alimentate (sottobanco…) – in armi, munizioni e tecnici – dal discreto, affaristico e solerte impegno “democratico” degli apparati militaro-industriali dei succitati Paesi “buoni.

Questo, nel momento in cui, le forze militari e paramilitari del Colonnello Gheddafi erano riuscite, abbastanza rapidamente e con molti sacrifici, a riconquistare un certo numero di località del Centro-Nord, del Centro-Nord-Est e del Nord-Ovest del Paese, fino ad allora, in mano ai “ribelli”.

In particolare: all’Est di Tripoli – sul litorale mediterraneo o adiacenti a quest’ultimo – i gheddafiani avevano rioccupato: Ras Lanouf, Al Uqalia, Al Bicher, Brega, Misratah/Misurata, Syrte/Sirte, Ajdabiya/Agedabia, fino alle porte di Benghazi; all’Ovest di Tripoli, invece, sempre sulla costa, avevano facilmente ripreso il controllo delle città di As Zawiyyah (nell’omonimo distretto) e di Zuwara/Zuara (distretto di An Niqat Al Khams), nonché del territorio della località di Mellitah (dove esistono importanti impianti ed installazioni che – oltre a far convergere e recepire gas, petrolio e condensati, sia dai pozzi di Bahr Es-Salam, nel Mediterraneo, che da quelli di Wafa, nel deserto, ai confini con la Tunisia – congiungono direttamente, in uscita, il Nord-Ovest della Libia con Capo Passero/Gela, in Sicilia, attraversogli all’incica 520 km. del gasodotto Greenstream).

Allora, per tentare di accertare il “chi”, “dove”, “come”, ”quando” e “perché” di quella che i Media mainstream dell’Occidente continuano a chiamare “l’intera popolazione libica in rivolta”[6], prendiamoci pazientemente il tempo di andarci a fare un “giretto” da quelle parti.

Intendiamoci: non per fare il “distinguo”, come i “liberatori” di cui sopra, tra chi sono i buoni e chi sono i cattivi dell’attuale guerra, ma semplicemente, per cercare di non morire ignoranti!

Ecco, allora, senza nessun commento, l’effettivo quadro della situazione, nel campo dei cosiddetti “ribelli”:

a.  Cirenaica:

-         un buon 30% della grande Tribù (in arabo: qabila) arabizzata[7] degli Az-Zuwayya o Zuwayya o Zawiya che è situata all’Est di Benghazi ed all’interno della porzione di territorio che è formata dalle città di Ajdabia o Agedabia, Jalu e Marsa al Burayqa, con alcune propagini (per ora, rimaste neutrali nell’attuale conflitto) che sono dislocate: da un lato, attorno alla città di Tazirbu o Tazerbu ed all’Oasi di Kufra; dall’altro, nelle vicinanze della città di Sehba, nel Fezzan, essendo legate con una parte della grande Tribù berbera degli Al Asauna[8];

-         alcuni Clan della Tribû arabizzata degli Al Abaydat o Abdiyat o Beidat – all’interno della quale confluiscono all’incirca 15 Clan distinti – che è, in maggioranza, posizionata sulla regione costiera mediterranea, tra la città di Darnah o Darneh e quella di Bardiya o Bardia, con forti presenze individuali, sia a Tobruk che a Benghazi;

-         all’incirca il 30% degli effettivi della grande Tribù arabizzata degli Al Barasa (a cui, tra l’altro, appartiene la seconda moglie del Colonnello, Safia, figlia di un alto dignitario dei Firkeche[9], un Clan molto influente all’interno di questa tribù) che, in parte, è situata a Benghazi e dintorni e, l’altra parte, all’interno del Sud delle regioni di Al Fatih, Al Bayda e Darnah;

-         alcuni elementi della modesta Tribù arabizzata dei Drasa che è insediata nella regione che è compresa tra le città costiere di Tûkrah, Al Bayda e Susah, oltre che a Benghazi;

-         alcuni gruppi della modesta Tribù arabizzata degli Arafah che è situata tra i territori della Tribù dei Darsa e quella degli Al Barasa;

-         alcuni membri della Tribù arabizzata degli Al Awaqir o Awagir (storicamente conosciuta per la sua accanita resistenza contro la colonizzazione italiana) che è insediata nella regione di Barqa o Barkah;

-         diversi membri della Tribù arabizzata dei Mesratha (da non confondersi con gli abitanti della città di Misratah o Misurata, in Tripolitania) che è impiantata, oltre che a Benghazi ed a Darnah o Darneh, parimenti nei loro circondari limitrofi;

-         un buon 20% dei componenti della Tribù arabizzata degli Al Fawakhir che è insediata nella regione cirenaica di Murzuq (all’Est della regione di Ajdabiya o Agedabia), come pure sulle colline di Qārat al Fawākhir e le zone di Qalb Thamad `Ulaywah, Bayādat ash Shajarah, Qarārat Umm Uthaylah, `Unqūd al Yāsirāt, Thamad `Ulaywah, etc.;

-         alcuni membri della Tribù arabizzata dei Tawajeer o Tawaglir che è impiantata, tra Bardiyah o Bardia e l’Oasi di Al Jaghbub o Giarabub;

-         qualche gruppo delle Tribù arabizzate dei Kawar (regione di Kawar o Kauar) e dei Kargala che è insediata, tra il Gebel Akhdar (o Jebell-el-Akhdarr o al-jabal al-ʾaḫḍar o ‘Montagna verde’), l’Oasi di Yégabibs o Yegabob ed il deserto cirenaico;

-         diversi componenti delle Tribù arabizzare dei Ramla, dei Masamir o Masameer e degli Awajilah (tribù, queste ultime, tradizionalmente ubicate a ridosso del confine cirenaico-egiziano);

-         qualche Clan del ramo cirenaico della Tribù araba ed arabizzata degli Al Majabrah[10] o Magiabra (che è insediata nella regione di Jalo o Gialo, a Sud-Est della città di Ajdabia o Agedabia; mentre, la maggioranza – rimasta neutrale o fedele al regime di Gheddafi – è stanziata tradizionalmente al Sud-Ovest di Tripoli e sulle montagne dell’Ovest della Tripolitania);

b. Syrte o Sirte e Golfo di Sidra (Khalij Syrt):

-         alcuni Clan della Tribù arabizzata degli Al Farjan che è fissata nella città di Sirte, con una sua forte presenza nella regione di Zliten o Zlitan (all’Ovest del Paese, in Tripolitania): un’area costiera, quest’ultima, che è praticamente a sandwich, tra la città di Al Kums o Al Khoms (distretto di Al Murgub) e quella di Misratah o Misurata, del distretto omonimo;

-         un’esigua minoranza della Tribù arabizzata degli Al Magharba che è impiantata al Nord-Est di questa regione, tra le località di As Sidrah e quella di Marsa al Burayqah;

c. Tripolitania:

-         all’incirca il 3-4% della Tribù araba[11] degli Orfella o Warfalla o Werfella (la più numerosa della Libia, con i suoi 52 Clan ed all’incirca 1 milione di effettivi): quella frazione della medesima tricù, cioè, che, nel caso particolare, è insediata all’interno del distretto montagnoso di Bani Walid (125 km. al Sud di Tripoli)[12]; mentre la quasi totalità degli Orfella o Warfalla o Werfella (che, fino ad ora, sembra, siano rimasti neutrali o fedeli al regime di Gheddafi) è insediata nel distretto di Misratah o Misurata ed, in parte, in quello di Sawfajjn;

-         una parte della Tribù arabizzata degli Az Zintan o Zentan che è allogata a circa 150 km. al Sud-Ovest di Tripoli, a mezza costa, sui rilievi montagnosi occidentali, in un territorio idealmente delimitato dalle città berbere di Kabaw, Jado, Yefren e Nalut;

-         alcuni Clan della Tribù berbera (leggermente arabizzata) degli Awlad Busayf che è stabilita sulla regione costiera di Az Zawiyah;

-         alcuni gruppi dissidenti della Tribù berbera degli Ait Willul che sono impiantati, sempre sul litorale, tra le città di Zuwarah o Zuara, di Al Mangub e la località di Ras Jedir o Gedir, sul confine libico-tunisino.

Insomma, come abbiamo potuto constatare, quella che, fino ad oggi – con la flagrante ed inaccettabile complicità dei Media embedded dell’Occidente – ci è stata definita e “venduta” come “la rivolta generalizzata dell’intera popolazione libica, contro il regime del Colonnello Gheddafi”, ha piuttosto l’aria di essere un’ordinaria o straordinaria insurrezione di alcune frazioni di Tribù del Paese, contro quelle – senz’altro molto più numerose (almeno il 60%, su all’incirca 140 tribù che conta la Libia) – che continuano ad appoggiare e sostenere il medesimo regime.

Ecco, ora, dunque, per cercare di capire meglio la situazione, il “filo conduttore” ideologico (democratico?) della rivolta in questione…

La Senussiya

Chi ha un minimo di dimestichezza con la Libia, sa perfettamente[13] che il principale ed indissolubile “legame” (generalmente invisibile o inavvertibile, ai non “addetti ai lavori”…) che, da almeno due secoli, tende a mettere in relazione ed a tenere unite – e molto di più, nell’attuale situazione di Guerra civile, collettivamente solidali e cobelligeranti – le suddette, diverse, variegate e parziali realtà geo-etnico-politico-tribali (attualmente in aperta ribellione armata contro il regime di Mu’ammar Gheddafi), non può essere nient’altro che il loro specifico, caratteristico e comune credo religioso. Nel caso particolare, una fede – non soltanto nei principi e nei valori, nei dogmi e nella tradizione, dell’Islam sunnita[14] di “scuola” malikita[15] (confessione e rito, nei quali la maggioranza dei maghrebini musulmani – ed a maggior ragione libici – ha solitamente tendenza a riconoscersi), ma addirittura – in una specifica ed esclusiva “lettura” ed interpretazione del sunnismo-malikita: quella, per l’appunto, che è ordinariamente rivendicata, espressa, professata, propagandata e diffusa dai membri di una singolare e poco nota (in Occidente) Setta (in arabo: firqa) o Confraternita (tariqa) mistico-missionaria-militante dell’Islam sunnita che esiste ed opera in Libia ed in alcuni Paesi dell’Africa sahariana e centrale, e che risponde all’appellativo o alla denominazione di Senussiya.

Questa Confraternita, infatti, a differenza di molte altre dello stesso genere o filone, non preconizza solamente – come, ad esempio, i Wahhâbiti[16] o (forse) gli Zaiditi[17] – il ritorno dei fedeli, al Corano (al-Qur’ân)[18] ed alla Sunna (la tradizione che si riferisce alla vita ed all’insegnamento del Profeta Muhammad). Essa annuncia, proclama e pretende altresì – aggiuntivamente – il rifiuto della semplice “imitazione” (taqlid)[19] delle vie tracciate dai principali e tradizionali Saggi dell’Islam, e la sistematica e puntuale riapertura della “porta dell’ijtihâd” (lo “sforzo di riflessione”)[20] che, secondo la maggior parte degli storici delle consuetudini e della prassi di questa religione, sarebbe stata definitivamente chiusa nel IV secolo dell’Egira (il nostro X secolo).

Va da sé, dunque, che questo suo modo di concepire e vivere l’Islam – a causa delle sue “innovazioni” (bid’a) dottrinali – ha generalmente tendenza ad essere contestato e condannato (o quanto meno, biasimato, respinto o censurato…), sia dalla maggioranza dei teologi delle “scuole” hanafita, shafita e hanabalita che da quelli della “scuola” malikita[21].

Altro, dunque, che “anelito di libertà” e di “democrazia” di “tutto un popolo” che ci viene enfaticamente sottolineato dalla maggior parte dei “nostri” politici e ripappagallato, parola per parola, fino alla noia, dall’insieme dei Media meanstream dell’Occidente!

La Setta Senussita, infatti – che perfino il grande Jules Verne (1828-1905), nel suo romanzo, intitolato Mathias Sandorf[22], non aveva affatto esitato, già nel suo tempo, a definire o ad acquarellare, come semplicemente delirante ed estremamente aggressiva– venne fondata nel 1837, sul monte Abû Qubais (nella Penisola arabica, a prossimità della città di Mecca), da un berbero della Tribù algerina (secondo le diverse fonti) dei Walad Sidi Abdallah o dei Medjaher e del Clan degli Ulad o Ulad Sidi Jusuf (Clan insediato, all’epoca, nella regione di Hillil o al-Wasita, a prossimità delle città di Relizane e di Mostaganem), di nome Sayyed o Sidi Muhammad al-Sanûsi o al-Senussi[23] (1787-1859 o 1792-1859): un personaggio, bonariamente soprannominato Ben Al-Attzoc, e la cui famiglia pretendeva[24] di discendere dal Profeta dell’Islam, via sua figlia Fatima, e, di conseguenza, aveva tendenza ad auto-fregiari del titolo di Sharîf dell’Islam.

Questa particolare tariqa (o Confraternita) incominciò ad impiantarsi ed a funzionare, in Libia, nel 1843. Inizialmente, per puro caso: quando, cioè, il medesimo Muhammad al-Sanûsi o al-Senussi (il suo fondatore) – essendo di passaggio in questo Paese, nel corso di un suo ordinario viaggio di trasferimento dall’Egitto all’Algeria – decise di realizzare a Baida (nei pressi dell’antica città di Cirene), un suo primo centro religioso (zâwiya). E, qualche anno dopo, nel 1856, quando, il medesimo personaggio, ritenne opportuno prendere di nuovo l’iniziativa di istituire una seconda e più importante zâwiya (divenuta, poi, in seguito, la sede principale di questa Confraternita) nell’Oasi di Jaghbub o Giarabub[25]: una località situata a circa 300 km. dalla costa mediterranea, ed al crocevia di una serie di piste carovaniere che conducono a Bir Tengeder ed a Bir El-Gobi, nonché alle oasi di Jalo o Gialo e di Augila (sempre in Libia) e di Siwa, in Egitto.

Negli anni successivi, dopo il successo ottenuto da quei primi Centri religiosi, incominceranno a fiorire numerose altre zâwiya: ad esempio, quella di Misratah o Misurata (nella regione della Sirte), di Bani Walid e di Homs (in Tripolitania), di Benghazi e di Derna (in Cirenaica), di Amamra, di Mezdha (situata al Sud di Gharian), di Ghadames, di Matrès (all’Est di Ghadames), di Murzuk e di Zuila (nel Fezzan), etc. Questo, fino a coprire, con la presenza e l’attività di proselitismo dei suoi numerosi ed intraprendenti missionari, non soltanto la maggior parte delle città e distretti amministrativi della Libia, ma ugualmente numerose regioni (vilâyet) fuori da quest’ultima, come alcune località del Sahara, del Nord del Ciad e del Niger, e parimenti dell’Ovest dell’Egitto e del Sudan, nonché del Sud della Tunisia e dell’Algeria.

Sin dall’inizio della sua attività in Libia, la conduzione politico-culturale-religiosa di questa Setta ebbe ad assumere un carattere prettamente dinastico e gerarchico. Caratteristica che sarà successivamente ed invariabilmente confermata da tutti i naturali discendenti del primo fondatore[26]: vale a dire, da Sayyed o Sidi Muhammad bin ‘Ali al-Sanûsi o al-Senussi (1843-1859); da Sayyed o Sidi Muhammad al-Mahdi bin Sayed Muhammad al-Sanûsi o al-Senussi (1859-1902); da Sayyed o Sidi Ahmad al-Sharîf bin Sayyed Muhammad al-Sharîf al-Sanûsi o al-Senussi (1902-1916) e, dulcis in fundo, da Sayyed o Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Sanûsi o al-Senussi (1916-1969). Personaggio, quest’ultimo, che il 24 Dicembre del 1951, diventerà – grazie alla volontà ed agli inconfessabili interessi degli Inglesi e degli Americani che allora occupavano militarmente il Paese – il Primo re di Libia, con il nome di Idris I. E’, dunque, questo re, ed allora capo pro-tempore della Senussiya, che venne militarmente spodestato da Gheddafi e dagli Ufficiali nasseriani, il 1 Settembre 1969.

L’organizzazione gerarchica di questa Setta, ancora oggi (anche se segretamente, in quanto, il Libia, dagli anni ’70, è chiaramente proibita!), è immutabilmente così composta…

A suo vertice, c’è lo Sheikh Supremo (o Sceicco detentore della “Santa Barakah”[27]). Carica e responsabilità che sono attualmente rivestite e personificate dall’ultimo rampollo, in ordine di tempo, della famiglia del solito primo fondatore: cioè, in questo caso, da Sayyed o Sidi Muhammad bin Sayyed Hasan ar-Rida al-Mahdi al-Sanûsi o al-Senussi (1992-fino ad oggi) che, con molta discrezione e diplomazia, dal suo confidenziale e dorato esilio di Londra, continua a dirigere (per conto terzi?) questa Confraternita.

Subito dopo, nell’immediato sott’ordine, troviamo tre principali alti dignitari: il Gran Khalifa (o Vicario dello Sceicco Supremo); l’Ukil o l’Uqil (o Amministratore/Tesoriere); ed il Responsabile centrale dell’insieme dei tolba[28] (gli studenti coranici) delle zâwiya della Setta.

In una porzione di grado leggermente inferiore, troviamo una serie di Sheikh el-zâwiya che altro non sono che dei responsabili ufficiali e qualificati dei diversi Centri religiosi regionali della Confraternita. Seguono a ruota, e praticamente a “pioggia” verso il basso, una miriade di medi e piccoli Mokkaddem (direttori o soprintendenti) che, generalmente, sono permanentemente impiantati nelle diverse regioni e province di maggiore interesse di questa Congregazione, oppure hanno l’incarico speciale – in nome e per conto di quest’ultima – di svolgere la particolare, delicata ed aggregante mansione di missionari itineranti.

L’insieme dei succitati dignitari – per potere rivestire le cariche che rivestono ed esercitare gli incarichi che esercitano – hanno l’assoluta e indispensabile necessità di potere prioritariamente vantare il possesso di quello che viene chiamato il “diploma mistico” (Ijéza o Igéza). E per riuscire a poterlo conseguire – in uno qualsiasi dei diversi “gradi” previsti (un po’ come all’Università) dall’ordinamento interno della Setta – debbono ugualmente e preventivamente avere frequentato e superato le lunghe, esigenti ed intransigenti trafile ideologico-teologico-religiose all’interno delle principali madaariss (al singolare: madrassa = “scuola coranica”) della loro Congregazione.

In fine, al più basso “gradino” del medesimo ordine gerarchico interno, troviamo l’insieme degli affiliati a questa Confraternita. I quali, a loro volta, sono ugualmente ed individualmente distinti e differenziati (secondo la loro personale sensibilità, il livello di convinzione e/o la loro specifica preparazione spirituale) in, Responsabili di cellula, militanti e semplici aderenti e simpatizzanti.

Insomma, l’immagine che tende ad emergere o ad evidenziarsi da un qualsiasi approfondimento del modo di essere, di esistere e di agire di questa peculiare Comunità di fedeli, è quella di una particolare organizzazione di iniziati ideologico-teologico-religiosi (khuan) che è estremamente e particolarmente ordinata, affiatata e strutturata. Una specie di organismo “para-militare”, cioè, che lascia a sua volta intuire o dedurre che, al suo interno, i singoli membri della Setta, non siano soltanto dei convinti, mansueti e subordinati adepti che accettano semplicemente ed attivamente di frequentare le prescritte riunioni religiose collettive (hadrah) di ogni Venerdì di preghiera. Ma bensì, un vero e proprio corpus gerarchico che è disciplinatamente predisposto, sia ad obbedire ciecamente all’insieme dei dettami dei suoi diretti superiori che a difendere, contro chiunque e con qualsiasi mezzo, la particolare dottrina dell’Islam nella quale ognuno di loro tende ordinariamente a riconoscersi e ad identificarsi, nonché a cercare di materializzare l’insieme degli scopi che sono comunemente perseguiti dalla loro Confraternita. A maggior ragione, in una situazione di aperta rivolta contro le istituzioni del regime del Colonnello Gheddafi, come quella a cui stiamo assistendo dal 17 Febbraio ad oggi.

E’ questa Setta politico-religiosa, in ogni caso, per intenderci, che è la famosa “al-Qaida” di cui continua sistematicamente a parlare il Colonnello libico, nei suoi ormai quasi quotidiani ed accalorati speech televisivi. E contro la quale, sin dall’inizio della rivolta, minacciandola di drastiche e sanguinose rappresaglie, ha cercato di mettere in guardia quelli che, fino al giorno prima, lui aveva ingenuamente creduto che fossero davvero diventati i suoi “amici” dell’Occidente!

Ora, se per pura ipotesi – dopo aver tenuto in seria e ponderata considerazione la natura e la portata di questa Confraternita – si potesse ugualmente accertare che dei particolari interessi economici esterni o estranei alla Libia, per degli scopi che ancora non conosciamo (sottrarre, ad esempio, all’Italia[29] la sua invidiata ed ambita manna petrolifera e gasiera di cui, fino a prima della crisi, stava godendo, in maniera privilegiata?), siano riusciti – in questa occasione – a corrompere o a manipolare i principali responsabili della suddetta Setta, si potrebbe altresì ed analogamente comprendere tutta una serie di altri aspetti della “guerra civile” in questione. Tra i tanti, uno in particolare: la facilità, cioè, con la quale, i dirigenti della Confraternita in questione, sono stati capaci, da un giorno all’altro, di mobilitare, da un lato, l’insieme dei loro adepti (che – come abbiamo visto – sono disparatamente ed irregolarmente disseminati all’interno delle diverse e variegate tribù e regioni del Paese) e, dall’altro, di farli simultaneamente e collettivamente insorgere in armi (con tanto di “consiglieri” di “specialisti miltari” fatti espressamente giungere dall’Afghanistan…) e con flagrante ed indiscutibile sincronia militare, contro le istituzioni della Jamahiriya libica.

La “prova del nove” di questa mia “scorretta” e sicuramente “disturbante” ipotesi, essendo che la pretesa “insurrezione popolare” è stata solo ed unicamente registrata – guarda caso… – in quelle località della Libia, dove la Senussiya è sempre stata e continua ad essere maggiormente presente ed influente.

Insomma, per concludere, mi pongo e pongo al lettore questa domanda: dopo aver constatato ciò che finora abbiamo avuto la possibilità  di constatare, non incominciano ad apparire, ai nostri occhi, come un po’ strane e sospette, sia l’improvvisa e generalizzata “rivolta delle popolazioni libiche” che la successiva, aggressiva e sproporzionata solerzia con la quale, la Francia (Total-Fina) in primis, ed i soliti “liberatori” di sempre, Stati Uniti (ExxonMobil + Chevron + Occidental Petroleum) e Gran Bretagna (British Petrleum + Shell), hanno preso la frettolosa e drastica iniziativa di intervenire militarmente, come delle vere e proprie parti in causa, nella “guerra civile” (o tentativo di Colpo di Stato?) che sta vivendo la Libia, dal mese di Febbraio scorso?

Alberto B. Mariantoni ©


[1] Sul “diritto”, i “principi” e la “morale” invocati dai suddetti “buoni”, vedere: http://www.abmariantoni.altervista.org/internazionale/Cri... – per le aggressioni militari dei soli Stati Uniti, vedere: http://www.youtube.com/watch?v=5aEOm1lRLD0&feature=re...

[2] Le stolte ed affrettate dichiarazioni di “circostanza” dell’insieme– salvo Bossi e la Lega – della classe politica italiana, tradizionalmente asservita ai voleri ed ai ricatti dei “Padroni del mondo”.

[3] Alcuni Tornado che continuano incessantemente a decollare dall’aeroporto militare di Trapani-Birgi, in Sicilia.

[4] Per potersene sincerarsene: http://www.youtube.com/watch?v=zta5359CHhA

[5] Per il testo integrale di questa Risoluzione, vedere: http://www.ticinolive.ch/esteri/no-fly-zone-il-testo-della-risoluzione-del-consiglio-di-sicurezza-dellonu-13858.html

[6] Un’ “intera popolazione” che – secondo le immagini che ci sono state fino ad ora trasmesse – si riduce, in realtà, a qualche centinaio di manifestanti nelle strade di Benghazi e di Misurata, e qualche decina di insorti in armi che in posa, davanti alle telecamere, mentre agitano i loro mitra o manovrano due o tre gipponi Mazda o uno o due vecchi carri armati ex-sovietici, illegalmente sottratti alla Forze armate del Paese.

[7] Le uniche tribù arabe della Libia, infatti, sono esclusivamente i discendenti dei Bani Salim o Salem che – insieme ai Bani Hilal (i cui discendenti, in maggioranza, secondo la tradizione, sarebbero, oggi, i membri della Tribù degli Orfella o Warfalla o Werfella, in Tripolitania) – penetrarono in questo Paese e vi si stanziarono (i primi, in Cirenaica; i secondi, in Tripolitania), in provenienza dalla Penisola arabica, al seguito dell’espansione militare verso il Maghreb e la Spagna (El-Andalus), dei regni Fatimidi d’Egitto, nell’XI secolo.

[8] Tribù, in maggioranza, rimasta fedele, per ora, alla Jamahiriya libica, essendo legata, sia alla maggioranza della Tribù degli Orfella o Werfella o Werfalla della Tripolitania che alla Tribù degli Awlah Soleiman o Soluiman (per il momento, rimasta neutrale) del Fezzan.

[9] Clan rimasto fedele al Colonnello di Tripoli.

[10] A cui appartiene il Comandante in capo delle Forze Armate libiche (chiamate: Es.Shaâb El Mussalah o “popolo armato”), il Generale Abu-Baker Yunis Jaber o Giaber (uno dei 12 Ufficiali che, con Gheddafi, realizzarono il Colpo di Stato nasseriano del 1 Settembre 1969).

[11] Come ho già precisato, la tradizione li considera discendenti diretti dell’antica Tribù Araba, di confessione Musulmana-Fatimida, dei Bani Hilal, giunti in Libia, nell’XI secolo, assieme ai Bani Salim o Banu Salem (in tutto, all’epoca, qualche migliaio).

[12] Località che ospita ugualmente i membri della Tribù arabizzata degli Al Riaina o Rayaina che, per ragioni di rivalità clanistica, si è invece completamente schierata con il Colonnello Gheddafi.

[13] Strano, insomma, che lo sappia io, e non i più alti responsabili del Ministero degli Esteri e del Governo italiano!

[14] Designati variabilmente ed indistintamente con il nome arabo diahl al-sunna wa ‘l-giama’a (letteralmente, le ‘genti della tradizione e dell’assemblea’), di ahl al-Kitab wa ‘l-sunna (le ‘genti del Libro e della tradizione’), di ahl al-giama’a (le ‘genti dell’assemblea o della comunità’), di ahl al-hadith (les ‘genti delle fonti imitative’) o di ahl al-igtima (le ‘genti del consenso’), i Sunniti corrispondono generalmente ad una visione particolare dell’Islam. Quella per l’appunto, che scaturisce da una concezione generalmente maggioritaria e conformista di questa religione, ed allo stesso tempo moderata e realista. Senza essere ‘ortodossi’ – poiché l’Islam non conosce nessun magistero capace di definire una tale norma – i rappresentanti di questa dottrina si presentano come i ‘portavoce qualificati del pensiero di Muhammad (come d’altronde lo farebbe qualunque Setta o Fazione di questa religione) e tendono ad esplicitare il loro pensiero attraverso una catena ininterrotta di garanti, depositari ed interpreti fedeli dell’insegnamento del Profeta.

[15] Vale a dire, quella “scuola” che tende a riconoscersi negli insegnamenti religiosi del teologo Malik inb Anas (m. 795). Le altre “scuole” di rito sunnita, essendo: quella hanafita, del teologo arabo-persiano Abu Hanifa (m. 767); quella shafita, del teologo ash-Shafii (m. 820); quella hanabalita, del teologo Ibn Hanbal (m. 855).

[16] Il Wahhâbismo è una dottrina che è nata in seno alla “scuola” hanabalita. E’ stato fondato (1745) e guidato inizialmente da Mohammed ibn Abd el-Wahhâb (1703 -1792), uno sceicco arabo della tribù dei Banû Tamim, e futuro alleato del principe Mohammed ben Saoud ben Mohammed, detto ibn Saoud (1710 -1765), il capostipite dell’attuale monarchia saudita. Da cui, il fatto che il Wahhâbismo è stato, e continua ad essere, la tendenza religiosa ufficiale dell’attuale Arabia Saudita.

[17] “Seguaci di Zaid ibn ‘Ali (riformatore religioso musulmano dell’VIII secolo, nipote di Husayn – uno dei figli del quarto Califfo ‘Ali e, dunque, parente del Profeta Muhammad) e costituenti una delle più importanti correnti Shi’ite” (http://www.sapere.it/enciclopedia/Zaiditi.html). Gli affiliati a questa Confraternita continuano a possedere alcuni centri di influenza politico-religiosa sulle montagne a Sud del Caspio e nello Yemen, con qualche propaggine in Africa.

[18] Dalla radice QaRa’A che significa recitare, recitare salmodiando, declamare, leggere, leggere attentamente, studiare. Chiamato ugualmente El–tenzît (“la Rivelazione”) o Kitâb-Allah (“il Libro di Dio”) o El-Kitâb (“il Libro”), l’intero Corano comprende 114 Sure (o Capitoli); ogni Sura è composta da un numero variabile di Ayat o āyyāt (versetti), per un totale di all’incirca 6.236 versetti e 77.250 parole.

[19] Seguire, cioè, senza discuterle, le decisioni dell’Autorità religiosa, nei vari campi abbordati, senza dovere necessariamente esaminare, criticare o rimettere in discussione le interpretazioni verbali o scritte che hanno inizialmente giustificato quella decisione.

[20] Lo sforzo, cioè, che originariamente fu compiuto dai primi ‘Ulemā (Teologi), dai primi Mufti (Responsabili che sono in grado dare delle risposte decisive su delle controversie o di fare conoscere la verità attraverso una risposta giuridica) e dai primi Fuqahā (Giuristi) musulmani, per cercare di interpretare il più oggettivamente possibile i testi fondatori dell’Islam e poterne dedurre la Sha’ria (il “Diritto musulmano”). Questo, al solo fine di potere correttamente informare i fedeli di questa religione, a proposito di ciò che, per loro, è lecito, illecito o disapprovato/vietato.

[21] “Pretesa che fu condannata a Cairo, già nel 1843, da un malikita, le Sheik ‘Alaish, l’avversario di Jamâl al-Din al-Afghani” (Henri Laoust, Les schismes de l’Islam, Payot, Paris, 1983, pag. 355).

[22] Romanzo scaricabile su questo sito: http://www.livres-et-ebooks.fr/ebooks/Mathias_Sandorf-4608/

[23] Per esteso: Sheikh Sidi Muhammad ben Ali ben El Senussi el Khettabi el Hassani el Idrissi el Mehajiri.

[24] Dico “pretendeva”, in quanto, essendo di origine berbera, difficilmente, a mio giudizio, avrebbe potuto discendere da Abu al-Qâsim Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn ‘Abd al-Muttalib ibn Hâshim (in chiaro: Muhammad, figlio di Abdallah e di Aamina, appartenente al Clan degli Hâshim ed alla Tribù araba dei Quraysh), Messaggero di Allah (Rassul-Allâh), Vicario (Khalifa) e Sigillo dei Profeti (Khatam-al-Nabíyín). In altre parole, il nostro Maometto.

[25] Luogo abbastanza conosciuto, in Italia, poiché li – tra il 9 Febbraio ed il 21 Marzo del 1941 – si svolse la celebre ed eroica resistenza ad oltranza del presidio militare italo-libico comandato dal Colonnello Salvatore Castagna, che era stato accerchiato da preponderanti forze britanniche ed australiane, nel corso della Seconda guerra mondiale (per saperne di più sull’argomento, vedere: Salvatore Castagna, «La difesa di Giarabub», Ed. Longanesi & C., Milano, 1958).

[26] Che è considerato, dai fedeli di questa Confraternita, il Mahdi (Imam nascosto) o il Sahib al-waqt (o Maestro dell’ora) della fine dei tempi, che un giorno ritornerà sulla Terra, per ristabilire la pace e la giustizia.

[27] Saggezza o Benedizione (inviata da Allah).

[28] In arabo: taleb o t’aleb = studente; tolba o t’olba = studenti. Da cui, l’appellativo forzatamente occidentalizzato di “talebani” che è stato diffuso, dai Media, nel contesto di un altro scenario di “guerra per la pace”: quello che conosciamo dal 2001, da quando è iniziata la Guerra in Afghanistan.

[29] Per farsene un’idea e cercare di capire, vedere: http://salvatoretamburro.blogspot.com/2011/03/libia-colpo-di-stato-usa-nato-in-atto.html

 

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Bernard Lugan sur la Libye

Libye: l'éditorial de Bernard Lugan dans le nouveau numéro de l' "Afrique réelle"

 
Par Bernard Lugan
 
libye,afrique,afrique du nord,affaires africaines,méditerranée,monde arabe,actualité,monde arabo-musulmanLa France a son Lampedusa, mais un Lampedusa à la puissance 10. Pour la seule année 2010, 26 405 clandestins en furent expulsés, ce qui donne une idée du chiffre réel du nombre des arrivants... 
 
Le nom de ce poste frontière submergé est Mayotte, petite île de l’océan indien qui, dans moins de trois semaines, juste après les élections cantonales, « en douce », sans que les Français aient été consultés, va devenir notre 101° département[1]. Par la décision de quelques politiciens irresponsables, toute l’Europe va désormais être accessible aux miséreux de l’océan indien, de l’Afrique orientale et de plus loin encore...
 
Arc-boutés sur l’immédiat, les observateurs n’ont pas vu la portée des récents évènements de Côte d’Ivoire. Le ratissage des quartiers d’Abobo et de Treichville ou les tirs sur des femmes n’ont ainsi été traités que sous l’angle de l’émotionnel alors qu’il s’agit du déroulé d’une stratégie mûrement réfléchie par le camp de Laurent Gbagbo. Quelle est en effet la situation ?
 
1) Comme je ne cesse de le dire depuis le premier jour, l’expédition de la CEDEAO est plus que jamais problématique ;
2) Dans ces conditions, Alassane Ouattara est donc incapable de chasser Laurent Gbagbo du pouvoir ;
3) Gbagbo sait qu’il ne tiendra jamais le nord et Ouattara est conscient qu’il ne s’imposera jamais au sud.
Conclusion : la partition est donc consommée.
 
Certes, mais pour Laurent Gbagbo, un gros problème demeure, celui des nordistes vivant dans le sud, notamment à Abidjan, ville qui a voté à 50% pour Alassane Ouattara. Sa priorité est donc de supprimer cette menace au coeur même de son pouvoir et c’est pourquoi, par la terreur il a entrepris de donner à la ville une plus grande homogénéité ethnique[2]. Son objectif étant d’éviter l’ouverture d’un front intérieur, tout le reste n’est qu’analyses superficielles et émois médiatiques.
 
Le président Sarkozy a reconnu comme représentant du « Peuple libyen » une coalition tribale de Cyrénaïque s’étant donné le nom de Conseil National de l’Opposition.
 
Cette reconnaissance précipitée est particulièrement insolite. En serrant longuement et ostensiblement la main des membres de la délégation du CNO, et cela alors que les marches du palais de l’Elysée étaient encore chaudes des pas du colonel Kadhafi, le président de la République n’a en effet pas reconnu l’ « opposition libyenne », mais les seuls représentants des tribus insurgées de Cyrénaïque ce qui, convenons-en, n’est pas exactement la même chose…
 
En écoutant BHL et non les spécialistes de la région, le président Sarkozy a donc involontairement redonné vie au plan Bevin-Sforza rejeté par les Nations Unies en 1949. Ce plan proposait la création de deux Etats, la Tripolitaine, qui dispose aujourd’hui de l’essentiel des réserves gazières, et la Cyrénaïque qui produit l’essentiel du pétrole.
 
Voilà donc la première étape de ce plan oublié désormais réalisée avec la reconnaissance par la France, suivie par l’UE, du gouvernement insurrectionnel de Cyrénaïque. Plus important encore, Paris a annoncé l’envoi d’un ambassadeur à Benghazi, capitale de cette même Cyrénaïque…
 
A l’heure où ces lignes sont écrites (13 mars 2011), et comme la coalition des tribus de Tripolitaine semble se maintenir autour du colonel Kadhafi dont les forces paraissent avoir repris l’offensive, deux Etats existent donc sur les ruines de la défunte Libye : la Cyrénaïque - provisoirement ? - aux mains des insurgés, et la Tripolitaine.
 
C’est à partir de cette donnée qu’il convient d’analyser la situation, tout le reste n’étant une fois encore que stérile bavardage, vaine gesticulation et soumission à la dictature de l’émotionnel.
 
Notes
 
[1] Que Mayotte soit à la France, bien évidemment oui pour des raisons diverses, mais que Mayotte soit la France est une toute autre affaire et comme nous ne cessons de le dire dans les divers numéros de la revue, il y avait d’autres alternatives à la départementalisation.
[2] Laurent Gbagbo ne fait que s’inspirer de ce qu’avaient fait avant lui les Bosniaques musulmans qui déserbisèrent Sarajevo par le massacre ou encore avant eux le FLN algérien quand il provoqua l’exode des Européens comme nous l’expliquons à l’intérieur de la revue.
 
L'Afrique réelle cliquez ici

 

lundi, 21 mars 2011

Bomben im Namen der Humanität

Libya_Bombing_14MAR11.jpg

Bomben im Namen der Humanität

Michael Wiesberg

Aus: http://www.jungefreiheit.de/

Seit dem Wochenende bombt nun eine neuerliche „Koalition der Willigen“; vorgeblich um in Libyen im Namen der Menschlichkeit eine Flugverbotszone durchzusetzen („Operation Odyssey Dawn“). Das geschieht just in dem Moment, in dem sich die Waagschale zugunsten Gaddafis zu neigen begann, der mit seinen Truppen bereits vor der Rebellenhochburg Bengasi stand, dem Ausgangspunkt der Revolte.

Damit steht die konkrete Gefahr im Raum, daß der zum „Menschheitsfeind“ hochgeschriebene Gaddafi an der Macht bleiben könnte. Die Prognose in meinem letzten Blog, nämlich daß sich der Westen in eine Lage manövriert hat, die nur noch eine militärische Intervention zuläßt, wenn Gaddafis politisches Überleben droht, hat sich damit bereits einige Tage später als zutreffend erwiesen.

Umfassende militärische Intervention

Den Luftschlägen vorausgegangen war in der Nacht vom Donnerstag zum Freitag eine Resolution im UN-Sicherheitsrat, die vornehmlich von Frankreich, den USA und Großbritannien – Staaten also, die noch vor ein paar Monaten um die Gunst des Gaddafi-Clans gebuhlt haben – betrieben wurde.

Diese Resolution, die mit zehn Ja-Stimmen bei fünf Enthaltungen, darunter auch Deutschland, angenommen wurde, sieht indes nicht nur die Durchsetzung einer Flugverbotszone vor; sie eröffnet überdies die Möglichkeit einer umfassenden militärischen Intervention, wenn in ihr die Rede davon ist, daß „alle notwendige militärische Gewalt“ einzusetzen sei, „um Zivilisten und von Zivilisten bewohnte Gebiete vor Angriffen zu schützen“. Wann das der Fall ist, darüber entscheiden die Gutmenschen der „Koalition der Willigen“.

Die deutsche Stimmenthaltung

Daß sich Deutschland vor diesem Hintergrund der Stimme erhalten hat, ist aufgrund der weitgehenden Implikationen dieser Intervention nachvollziehbar. Entsprechend erklärte der deutsche UN-Botschafter Peter Witte, daß die Anwendung militärischer Gewalt „die Wahrscheinlichkeit von hohen Verlusten an Menschenleben“ erhöhe. Nicht ausgeschlossen werden kann weiter, daß es irgendwann doch zum Einsatz von Bodentruppen kommen wird, um das apostrophierte Ziel zu erreichen, nämlich Gaddafi aus dem Amt zu treiben.

Dessenungeachtet nahm unter anderem der sattsam bekannte Transatlantiker Richard Herzinger, der hier pars pro toto aus der Schar humanitärer Bellizisten herausgehoben sei, die deutsche Stimmenthaltung zum Anlaß für einen Angriff auf Bundesaußenminister Westerwelle, der angeblich „unser Land blamiert“ habe.

Keinerlei „belastbare Informationen“

Deutschland habe sich, so Herzinger, in eine Reihe „mit Rußland und China gestellt“, die er als „notorische Blockierer“  abqualifiziert. Es zeigten sich unter Westerwelle „Symptome einer Regression in die nationalpazifistische Borniertheit“. Herzinger ist indes nicht präzise genug: Deutschland hat sich, um es genau zu sagen, in eine Reihe mit den BRIC-Staaten gestellt, die gemeinhin als Herausforderer der westlichen Führungsmacht USA angesehen werden.

Hier liegen die Frontlinien im Sicherheitsrat und hier liegt der eigentliche Skandal für Richard Herzinger, der als Obergutmensch gerne den publizistischen Herold der „westlichen Wertegemeinschaft“ mimt. Wenn er schon die Argumente Rußlands und Chinas nicht gelten lassen will, sollte er zumindest die indische Begründung für die Stimmenthaltung im Sicherheitsrat studieren. Der indische UN-Botschafter Hardeep Singh Puri erklärte nämlich, der Sicherheitsrat handle, obwohl er über keinerlei „belastbare Informationen“ über die „Lage vor Ort“ verfüge. Überdies gebe es keine Klarheit in Hinsicht auf eine Reihe anderer relevanter Parameter der Intervention. All das sind beste Voraussetzungen für eine neuerliche „Schlacht der Lügen“ mit ihren bekannten propagandistischen Nebelwänden.

Chinas Interessenpolitik

Bleibt die Frage, warum sich China der Stimme enthalten hat, das bei einem politischen Überleben Gaddafis mit Sicherheit zu den Profiteuren gehören würde, weil es einen privilegierten Zugriff auf die Erdölressourcen des Landes in Aussicht gestellt bekommen hat. Der chinesische Botschafter verwies in diesem Zusammenhang auf die Entscheidung der Arabischen Liga, vom UN-Sicherheitsrat die Einrichtung einer Flugverbotszone zu verlangen.

Mit anderen Worten: China vertritt nach Abwägung aller Argumente offenbar die Auffassung, eine Blockade der Resolution könnte womöglich eine Schädigung chinesischer Geschäftsinteressen im arabischen (und westlichen) Raum zur Folge haben und entschied sich deshalb für eine Stimmenthaltung. So hat jede Seite ihre Gründe. Nur eines ist bei diesen Gründen mit Sicherheit nicht ausschlaggebend, nämlich die Durchsetzung von „Frieden und Demokratie“ für die „Menschen in Libyen“. Genau das aber versuchen, um in der Diktion zu bleiben, bornierte Wertegemeinschafts-Bellizisten wie Herzinger e tutti quanti glauben zu machen.

Michael Wiesberg, 1959 in Kiel geboren, Studium der Evangelischen Theologie und Geschichte, arbeitet als Lektor und als freier Journalist. Letzte Buchveröffentlichung: Botho Strauß. Dichter der Gegenaufklärung, Dresden 2002.

 

Totalitarian Humanism Versus Qaddafi

porteavions222.jpg

Totalitarian Humanism Versus Qaddafi

By Keith PRESTON
 

In past blog postings for AltRight, I have discussed the phenomenon of what I call totalitarian humanism,” a particular worldview that I regard as being at the heart of the most serious political and cultural problems currently facing the modern West. Specifically, I consider totalitarian humanism to be an intellectual and ideological movement among contemporary Western elites that serves as a replacement for older worldviews such as Christianity, nationalism, cultural traditionalism, Eurocentrism, or even Marxism. Such features of modern life as political correctness and victimology serve as a representation of the totalitarian humanist approach to domestic policy. The present war against the Libyan state provides an illustration of what the totalitarian humanist approach to foreign policy and international relations involves.

The regime of Colonel Qaddafi poses no conceivable threat to Western nations. Allegations of Qaddafi’s insanity not withstanding, his substantive efforts over the past two decades to ease tensions between Libya and the West have shown his capabilities for behaving as a rational actor and practicing realpolitik. As recently as August of 2009, Qaddafi was described by David Blair of the Daily Telegraph as having “gone from being the epitome of revolutionary chic to an eccentric statesman with entirely benign relations with the West.” These benign relations ended with the outbreak of the present civil war between Qaddafi and opponents of his regime. Richard Spencer has pointed out the nearly identical parallels between Western intervention in Kosovo in 1999 and the current intervention in Libya. Both interventions serve as prototypes for the vision for the world that our contemporary elites possess. An interesting discussion that aired earlier today on ABC’s This Week cuts to the chase of the matter. Former Congresswoman Jane Harman, now of the aptly named Woodrow Wilson Center, monster neoconservative Paul Wolfowitz, and Wilson Center scholar Robin Wright provided rationales for the intervention that involved no consideration whatsoever of national interests, geopolitical questions, or legitimate defensive concerns. Essentially, their rationales amount to little more than “Qadaffi runs an illiberal regime.”

Libya under Qadaffi represents everything Western elites despise: a conservative, religious, nationalistic, traditional, patriarchal, tribal society that has resisted the penetration of its own culture by the norms of Western, secular, liberal, humanism and globalism. According to the religion of Western elites, Qaddafi is an infidel and must be punished or destroyed. The intervention in Libya is essentially about spreading the Jacobin revolution to the Middle East (a plausible argument of a comparable nature could be made concerning the Bush administration’s invasion of Iraq). The role of the United Nations and the participation of certain usually rather pacific European nations in the assault on Libya is rather telling. The vision of the elites is one where a global super-state maintains an international army whose purpose is the eradication of political institutions and cultural values that fail to conform to the standards of totalitarian humanism. Kosovo and Libya are essentially pilot programs for this future vision.

Die "Libysche Revolution" und die gigantischen libyschen Wasserreserven

Die "Libysche Revolution" und die gigantischen libyschen Wasserreserven

Die Dämonisierung Gaddafi in der westlichen Pressehurerei nach dem Motto: “Ein bißchen Wahrheit vermischt mit einer Menge Lügen” lässt nur zu deutlich darauf schließen, wer hinter der “Libyschen Revolution” steckt. Nachdem die Russen die westliche Presse wieder einmal wegen der angeblichen Bombardierung der Bevölkerung durch Gaddafis Luftwaffe der Lügen strafen konnten, ist es keineswegs mehr von der Hand zu weisen, dass die “Libysche Revolution” in Gänze auf Befehl der einschlägigen Weltbrandstifter in London angezettelt wurde.

Die “eingefrorenen” Milliarden im Ausland, die angeblich im Privatbesitz Gaddafis waren, dürften eher Gelder sein, die dem libyschen Staat gehören. Und an die wollen die Globalisten heran. Wo werden wohl Mubaraks abgebliche 70 Milliarden Auslandsguthaben landen? Und in Zukunft die saudischen , bahrainischen und kuwaitischen Auslandsvermögen? Gewiss nicht bei der Bevölkerung dieser Staaten. Noch lukrativer sind natürlich die Erdölbestände dieser Länder, die bald unter direkter Kontrolle der Londoner City stehen werden.

Gaddafi ist ( oder war) die vielleicht wichtigste Figur in Nordafrika, denn es hat sein Land an die Spitze des afrikanischen Kontinent gebracht und die Erdöleinnahmen Libyens nicht in Paläste, Yachten und Fuhrparks gesteckt, sondern in sein Land investiert. Darauf wurde in diesem Artikel schon eingegangen. Aber das ist noch nicht alles:

Der “wahnsinnige” Gaddafi hat 1980 ein riesiges Projekt zur Wasserversorgung für Libyen, Ägypten, Sudan und den Tschad begonnen und beinahe fertiggestellt. Es ist gefährlich, ohne einen Cent der Weltbank und des IWF ein Projekte durchzuziehen, welches das Potential hat, ganz Nordafrika in einen blühenden Garten zu verwandeln. Das steht dem Ziel der Destabilisierung der Region entgegen, welche die Londoner City anstrebt, um die Weltdikatur der Konzerne durchzusetzen. Am 01. September 2010 konnte der erste Großabschnitt des Projektes nach dreißigjähriger Planung und Bauzeit in Betrieb genommen werden. Das sind 5 Monate vor Beginn der Unruhen, also bevor das Projekt im wahrsten Sinne des Wortes Früchte tragen konnte.

Im Süden Libyens gibt es vier große Wasserreservoirs (Kufra basin, Sirt basin, Morzuk basin und Hamada basin), in denen 35.000 Kubikkilometer(!) Wasser lagern. Um sich von der Größe der Reservoirs ein Bild zu machen: Nehmen Sie die Fläche der Kolonie Deutschland und stellen sie sich einen ebenso großen See mit 100 Metern Wassertiefe vor! Diese quasi unerschöpflichen Wasserreserven sind für die Globalisten, die das Weltwassergeschäft monopolisieren wollen, viel wichtiger, das das libysche Öl! Ein Kubikmeter unbelastetes, extrem reines Wasser kann mit einem Kostenaufwand von unschlagbaren 35 Cent gefördert werden.

Unterstellt man einen Abgabepreis von nur 2 Euro/Kubikmeter (den Globalisten werden sicherlich lukrativere Geschäftsmodelle einfallen), so beziffert sich der Wert dieser Wasserreservoirs höchster Güte auf 58 Billionen (58.000.000.000.000.-) Euro!

Mit diesem Projekt hätte Libyen eine wahrlich “grüne Revolution” in Gang gesetzt und die Versorgung Afrikas mit Lebensmitteln übernehmen können. Vor allem hätte es Libyen und Nordafrika aus den Klauen des IWF befreit und unabhängig gemacht. Selbstversorgung? Ein Reizwort für das Bankster- und Konzernkartell, das auch schon den Jonglei-Kanal vom weißen Nil in den Süden Sudans blockierte, in dem die CIA die Sezessionskriege im Südsudan anheizte.  Die Globalisten setzten lieber auf teure Entsalzungsanlagen, selbstverständlich über die Weltbank finanziert und von ihren Konzernen erbaut.

Am 20.03.2009 konnte man in den Maghreb-Nachrichten lesen:

Libysche Offiziere präsentierten zum ersten Mal auf dem 5. Weltwasserforum in Istambul ein Projekt zur Wasserförderung, das auf 33 Milliarden Dollars geschätzt wurde. Das Projekt wurde als die  8. Weltwunder bezeichnet und  sieht die Errichtung eines künstlichen Flusses vor, damit die Bevölkerung im Norden Libyens mit trinkbarem Wasser versorgt werden können.   Die Projektarbeiten wurden seit 1980 auf Aufrag des libyschen Führers, Muammar Gaddafi, eingeführt. 2/3 des Projekts wurde bereits fertig gestellt. Es handelt sich um eine 4 000 Km lang Wasserleitung, die im Grunde liegendes gepumptes Wüstenwasser durch die libysche Sahara in den Norden fliessen lässt.  „Die Studien zeigten, dass das Projekt kostensparender als die anderen Altrnativen war.“ meldete der für das Grundwassermanagement zuständige  Fawzi al Sharief Saeid.

Lake Gabron, one of the Germa Lakes, Fezzan, Libya. Photo: Martin Spencer Greening the desert projects Like at Jardinah and Sulug near the coast south of Benghazi, there are a few highly irrigated and extremely larger farms in the desert which are irrigated using water from the “Great Man Made River project”. This project taps into huge underground aquifers under the desert. The two largest farms are near Kufra in the central eastern desert and at Makunsah which is 50 kilometres south of the middle of the Germa lake complex. These farms have a micro-climate greatly different from the surrounding desert.

Der Wasservorrat reicht nach Berechnungen bis zu 4.860 Jahren, wenn die davon profitierenden Staaten Libyen, Sudan, Tschad und Ägypten ihn wie es vorgesehen verwenden.

Haben Sie davon schon gehört, oder lesen Sie etwa  die Maghreb-Nachrichten nicht? Warum erfährt man davon im Westen so wenig? Bei der Einweihungsfeier sagte Gaddafi , dass dieses Projekt “die größte Antwort auf Amerika ist, das uns anklagt, den Terrorismus zu befördern.”  Auch Mubarak war ein großer Anhänger des Projekts.

Quelle:

http://www.water-technology.net/projects/gmr/

http://de.wikipedia.org/wiki/Jonglei-Kanal

http://poorrichards-blog.blogspot.com/2011/03/virtually-u...

http://american_almanac.tripod.com/libya.htm

http://www.africanbirdclub.org/countries/Libya/geography....

http://www.goumbook.com/tag/libya/

http://www.politaia.org/kriege/die-libysche-revolution-un...

Der Artikel hier als PDF-Dokument zum herunterladen: Die libysche Revolution

.

dimanche, 20 mars 2011

Les enjeux de la bataille pour Tripoli

Combats-en-Libye_scalewidth_630.jpg

Les enjeux de la bataille pour Tripoli

Alexandre LATSA

Ex: http://fr.rian.ru/

Le directeur de l’Institut du Proche-Orient, Evgueny Satanovsky à donné récemment une interview extrêmement intéressante sur la position que la Russie devrait selon lui adopter face aux révolutions dans le monde Arabo-musulman. Cette interview mérite une place dans le panthéon du multilatéralisme et du non-interventionnisme.

Selon lui, ces mutations dont on ne peut pour l’instant réellement prédire l’évolution pourraient également s’étendre aux pays d’Afrique noire (car ceux-ci sont victimes des même maux et que leurs frontières issues de la décolonisation sont fragiles) mais également à certains pays d’Asie comme par exemple le Pakistan, par ailleurs doté de l’arme nucléaire.

Cette potentielle agitation pourrait donc entrainer une modification des frontières mais aussi des grands équilibres internationaux. La Russie, poursuit Evgueny Satanovsky devrait "s’abstenir d’intervenir et conserver son énergie et son argent sur son développement intérieur, et ne pas du tout rentrer dans une logique néo-soviétique d’investissement à perte". Il affirme que "la Russie devrait probablement imiter la Chine qui construit des routes et des chemins de fer sur son territoire et qui ne va au Proche-Orient et en Afrique qu’à la recherche des matières premières". Enfin rappelle t-il "beaucoup de régions russes en Sibérie et en Extrême-Orient ont un niveau de vie inférieur aux pays que la Russie pourrait être tentée d’aider".

Ces révolutions qui se déclenchent ci et là ne sont réellement pas toute de mêmes natures même si on peut leur trouver des points communs, le premier étant d’appartenir à ce grand moyen orient que l’administration Américaine en 2003 s’était juré de remodeler et transformer en une zone libre, comprenne qui pourra. Certes la plupart des pays concernés ont en général une situation interne propice à des explosions sociales mais on peut se poser la question de savoir comment interpréter l’offensive diplomatique et médiatique anti-Kadhafi en faveur de rebelles, en partie Islamistes, mais qui ont déjà les faveurs de Nicolas Sarkozy, de Bernard Henri Lévy et de quasiment toute la communauté internationale. Bien sur le colonel Kadhafi est loin d’être un grand démocrate et la Lybie loin d’être une social-démocratie à l’Européenne, mais la Lybie n’a jamais adhéré à l’Islamisme radical global.

La révolution socialiste y a abouti à la constitution d’un régime qui n’est finalement pas le moins démocratique ni le plus pauvre de la région, et ce malgré 10 ans d’embargo, et un leader ennemi public de la communauté internationale. En 40 ans, la population libyenne à été multipliée par quatre, une classe moyenne éduquée à vu le jour, le taux d'analphabètes était en 2006 de 8% pour les hommes (contre 36% au Maroc et 16% en Tunisie) et 29% pour les femmes (contre 50% au Maroc et 36% en Tunisie). Enfin les droits des femmes y sont mieux défendus que dans nombre d’autres pays musulmans puisque elles sont actuellement majoritaires dans l’enseignement supérieur. Une leçon aux Ben-Ali et autres Moubarak, amis de la communauté internationale, de l’Occident et du FMI, mais incapables d’instaurer le moindre embryon de justice sociale et financière au sein de leurs sociétés.

J’ai brièvement expliqué dans ma précédente tribune le risque quasiment nul qu’une révolution à l’Egyptienne puisse survenir en Russie. Pour autant, la Russie reste très attentive aux derniers évènements, notamment en Libye. Les conséquences que la chute du régime Libyen, souhaitée hâtivement par les Occidentaux, France en tête, auraient par ricochet sur la Russie sont en effet assez importantes. Bien sur depuis le début des évènements dans le monde arabe la Russie profite de la hausse du prix du pétrole qui lui permet de réduire fortement son déficit budgétaire mais également de consolider ses réserves financières. En outre, et peut être surtout, la Russie apparait désormais (et il était temps) à l’Union Européenne comme un fournisseur stable et apte à compenser le manque libyen.

L’analyste Dmitri Babitch à même souligné que la crise Libyenne était d’ailleurs devenue le catalyseur des bonnes relations Russie/UE. Néanmoins cette dépendance confortable et accrue envers l’or noir ne va pas dans le sens voulu par les autorités russes. La Russie souhaite en effet réorganiser et renforcer son industrie et ne souhaite pas s’installer seulement dans la rente pétrolière. Rappelons-nous également que la dernière flambée excessive des prix du pétrole en aout 2008 avait mené (plus ou moins directement) à l’implosion financière mondiale qui a fait tant de mal à l’économie russe. Enfin, les pertes économiques qui pourraient résulter d’un remplacement de Kadhafi ou d’une dislocation à la Yougoslave de la Libye pourraient faire perdre à la Russie des milliards de dollars, que l’on pense aux contrats en cours de vente d’armes, d’extraction de pétrole, de constructions d’installations énergétiques ou hydrotechniques, ou de l’immense projet par les chemins de fers russe de construction d’un réseau ferré à travers tout le pays.

Les évènements en Lybie restent donc aujourd’hui l’équation la plus incertaine pour la Russie. Ce qui justifie les positions neutres et non interventionnistes russes, cherchant sans doute un statuquo. C’est peut être pour cette raison que Kadhafi, après avoir joué la carte du Panarabisme, du Panafricanisme, puis la carte d’un rapprochement désordonné avec l’Occident, vient de sortir un  joker BRIC en appelant  très récemment la Russie, la Chine et l’Inde à investir en Libye. Il est également possible que si les contestations venaient à se généraliser et s’étendre, le Caucase, voir l’Asie centrale pourraient être touchés par ces "agitations non violentes". Pas plus tard que avant-hier, l’Azerbaïdjan a par exemple connu sa première manifestation Facebook.

Bien sur il est possible que ces révolutions entrainent également la chute de régimes plutôt hostiles à la Russie comme en Géorgie, mais pour autant l’instabilité de son étranger proche n’a jamais contribué à sa sérénité intérieure, surtout à la veille d’élections. Evgueny Satanovsky pense lui que "la boite de Pandore est ouverte, et qu’on verra ce qui va en sortir". Une chose est certaine, la Libye pourrait marquer un coup d’arrêt à ces mouvements de protestations si Kadhafi arrivait à restaurer l’ordre et écraser la rébellion, ou les accélérer dans le cas contraire.

La disparition des "dictateurs" a déclenché un courant d’enthousiasme dans de nombreux pays occidentaux, qui comprennent mal l’attitude prudente de la Russie. Il suffit pourtant de regarder le prix de l’essence à la pompe pour comprendre ce qui se passe. Si d’autres producteurs de pétrole sont déstabilisés, notamment dans le golfe arabo-persique, c’est la faible croissance économique des USA et de l’Europe occidentale qui sera menacée en premier.


"Un autre regard sur la Russie": Tunis, Le Caire, mais pas Moscou!

Bernard Lugan: "L'Afrique n'est pas un continent économique"

Bernard Lugan : « L’Afrique n’est pas un continent économique »

Ex: http://fr.novopress.info/

Le 8 mars dernier a eu lieu une conférence sur « Les grands problèmes de l’Afrique subsaharienne d’aujourd’hui », donnée à la Chambre de Commerce et d’Industrie de Versailles, par Bernard Lugan, historien spécialiste de l’Afrique [1].

L’actualité récente de la Côte d’Ivoire illustre parfaitement la résistance de l’Humanité diverse contre le mondialisme uniformisateur. Selon Bernard Lugan (photo), « les Africains sont des gens enracinés. Ils comparent Alassane Ouattara, vainqueur de l’élection présidentielle, à un Dominique Strauss-Kahn noir », les deux hommes étant professionnellement liés au FMI, le Fonds monétaire international.

Bernard Lugan observe que « depuis 1960, les approches de l’Afrique ont toujours été économiques. Les Africains sont perçus comme des Européens pauvres à la peau sombre ». Or appliquer le modèle économique occidental au continent noir se révèle inadapté, ne serait-ce que pour des raisons culturelles. Ayant enseigné pendant 11 ans à l’Université nationale du Rwanda, Bernard Lugan explique que « les notions d’Hier et de Demain ne sont pas les mêmes qu’en Occident. Les Africains se demandent pourquoi prévoir, puisque demain n’appartient qu’à Dieu et aux Dieux ». Une constatation nullement raciste car « comme le disait Lyautey, les Africains ne sont pas inférieurs, ils sont autres », souligne Bernard Lugan.

Le système économique occidental repose sur une soif de consommation importante en comparaison avec d’autres civilisations humaines. Plaquer ce style de vie fortement individualiste sur les corps communautaires africains mènerait à des troubles sociologiques. « L’individu n’existe pas en Afrique. L’Homme fait partie d’un lignage ; le culte des ancêtres fait que chaque africain est capable de réciter sa généalogie sur plusieurs générations », explique Bernard Lugan. Le cas des noirs américains des classes populaires baignant dans un environnement culturel mondialiste indique que cette voie ne saurait-être la bonne pour l’épanouissement du continent noir. Gavé de « malbouffe » issue des chaînes de fast-foods, de musiques RAP agressives et de films violents, le noir New-Yorkais est, aux yeux de Bernard Lugan, « un zombie déraciné, pas un Africain ».
La démographie galopante du continent complique également la tâche. « 100 millions d’habitants en 1900, 1 milliard aujourd’hui », précise Bernard Lugan. Pour toutes ces raisons, « l’Afrique n’est pas un continent économique », conclut-il.

Aurélien Dubois, pour Novopress France


samedi, 19 mars 2011

Sortir du cauchemar strauss kahnien

Sortir du cauchemar strauss kahnien

par Jean-Gilles MALLIARAKIS

Ex: http://www.insolent.fr/

110314

Depuis la diffusion de la grande nouvelle, à savoir que DSK aurait pris sa décision en personne mais qu'il désire encore en conserver le secret, les commentaires conspirationnistes affleurent.

Ceux-ci proviennent du reste des gens auxquels on s'attend le moins. Sur RTL ce 14 mars, M. Alain Duhamel glapissait, de sa manière inimitable, une sorte de réquisitoire mettant en cause le couple infernal du populisme et du socialisme. Plus scientifique, le 12 mars M.  M.Franck Gintrand (1), conseil en communication, soulignait le trucage grâce auquel ont été calculés les résultats de l'étude Louis Harris, chiffres sur la base desquels, bien évidemment, le directeur général du FMI fait office de "sauveur". Déjà "Libération" le 7 mars avait publié une charge tant soit peu polémique de Jérôme Sainte-Marie directeur général adjoint du concurrent CSA contre le patron dudit institut : "le bonhomme nous ridiculise". (2)

Dans la pratique, à dire vrai, rien ne nous assure encore que l'époux d'Anne Sinclair daignera même quémander ni les voix virtuelles des sympathisants du PS dans le cadre des primaires de 2011, ni les suffrages effectifs des électeurs français lors de la présidentielle de 2012.

En tout état de cause son influence peut faire autant de mal au pays que son accession au pouvoir.

Reste en effet le fond du problème.

Évoquons les cures dites d'austérité qui s'imposent hélas à un certain nombre de pays européens. Ceci va englober bientôt, de manière inéluctable, la république jacobine. Dans ma chronique du 11 mars, j'avais cherché à tirer, brièvement, les leçons du cas de la Grèce. Je l'ai fait à la fois parce que je cherche à le suivre et le comprendre depuis le début et aussi parce qu'il aura été le plus immédiatement révélé à l'opinion dès l'automne 2009. (3)

Sans doute ne faut-il pas mettre ni au débit du seul Dominique Strauss-Kahn, ni à son crédit, le plan de sauvetage financier, ni dans ses grandes lignes, ni dans le détail de son application. Une assez scabreuse intervention de la "troïka" à Athènes a fait ainsi couler beaucoup d'encre et de salive. Cela se déroulait au moment même où les trois représentants de l'UE, de la BCE et du FMI constataient la bonne tenue [arithmétique] du programme gouvernemental local. Douloureusement, mais finalement de manière assez crédible, le retour vers la santé des finances publiques s'accomplit. Or, les trois porteurs d'attachés-cases ont cru bon, pour mieux faire, de suggérer une vente à l'encan des biens fonciers appartenant à l'État. Évidemment cette solution, la pire de toute, ressemble à celle que les jacobins utilisèrent au temps des assignats. (4) Mais finalement cette scandaleuse "sardine" n'aura pas bloqué longtemps le port du Pirée et il a encore été rappelé lors du Conseil européen du 11 mars qu'elle était totalement écartée.

Dans ce dossier, Strauss-Kahn n'endosse aucune responsabilité personnelle.

Seulement voilà. À vouloir incarner la finance mondiale, à poser en sauveur du capitalisme le dirigeant socialiste, l'ancien ministre de Jospin, le maire de Sarcelles, l'ancien militant des courants du PS eux-mêmes issus des groupuscules trotskistes conforte surtout son image d'ancien étudiant en économie à Chicago, et une réputation [à mon avis flatteuse, trop flatteuse] d'ancien élève du libéral conservateur Gary S. Becker. La vérité vraie consiste à considérer qu'il ne mérite sans doute "ni cet excès d'honneur ni cette indignité". Ex trotskiste ne signifie pas admirateur de Chavez ou sympathisant de Mélenchon, élève ne veut pas dire disciple, coureur de jupons ne veut pas dire violeur en série, etc.

DSK ne doit pas être vu comme le diable incarné, il en deviendrait presque intéressant. Il doit être débusqué avant tout comme un gros enfumeur.

Admirons la grande commisération avec laquelle il se penche sur le cas de la France. Le propriétaire immobilier à Paris qu'il demeure, au moins à égalité avec Marrakech, ne doit pas manquer de se préoccuper des valeurs foncières place des Vosges, ce qui implique un minimum de maintien de la sécurité du quartier, de la propreté de la ville et de l'efficacité des taxis. [Présumons que l'odeur du métro ne l'étouffe pas.] Ne reconnaît-on pas là le B A Ba de la citoyenneté ?

Malheureusement, à Paris comme n'importe où ailleurs, cela ne suffit pas.

Les équations keynésiennes, entièrement fausses du point de vue de la Théorie économique, n'interdisent pas de comprendre que les budgets publics, ceux des États comme ceux des collectivités locales, ceux des organismes sociaux comme ceux des entreprises sous contrôle ministériel, doivent se présenter, devraient revenir, seront contraints de se rétablir au moins à l'équilibre.

On ne doit donc pas tenir les critères dits de Maastricht pour de simples obligations liées à la "construction de l'Europe", ou à ce qu'il en reste. On doit les considérer comme des bases minimales assurant un plancher de crédibilité, certes grossier et arbitraire, mais en dehors duquel on entre dans le délire, au moins en temps de paix. Un grand nombre de pays européens, – dont l'Angleterre sous Gordon Brown, la France depuis Mitterrand et Chirac, etc. – y ont succombé ces dernières années.

En quoi, dès lors, l'influence de M. Strauss-Kahn conduirait-elle un programme de redressement plus mauvais qu'un autre ? Tout simplement parce qu'on ne communiquerait que sur le principe de ce programme, que ses adversaires succomberaient à la tentation et commettraient l'erreur de lui laisser le monopole de la rigueur – mais dans le quotidien, dans le réel, il se révélerait incapable de le fonder sur ses vraies bases qui s'appellent libertés, responsabilités et respect du droit de propriété.

D'un tel point de vue la régence de DSK, ou le gouvernement de celui qu'il désignera comme le plus capable de réaliser le programme qu'il préconise ne différerait en rien de l'alternance entre sociaux démocrates et démocrates sociaux qui fonctionne depuis des décennies.

Je ne m'intéresse pas au rapport que les politiciens, socialistes ou autres, entretiennent avec les autres commandements de la Loi, je leur pose seulement la question suivante : en matière économique et sociale ne devrait-on pas commencer par appliquer ceux qui s'énoncent simplement ainsi : "tu ne voleras pas", "tu ne désireras pas le bien d'autrui" et "tu ne mentiras pas".

JG Malliarakis

Apostilles

  1. Sa chronique écrite "Le fil rouge de l'opinion" ne manque pas d'intérêt et il faut la recommander.
  2. cf. "On ment pour avoir de la reprise médiatique": Jean-Daniel Lévy [de l’institut qui a réalisé le sondage, rappelle Libé] s’est déjà associé à des sondages qui se sont révélés totalement faux, mais qui ont bénéficié d’une reprise médiatique intense.
  3. Je me permets d'ailleurs de rappeler que dès le 27 novembre 2009, l'Insolent titrait sur "la redécouverte du risque souverain". (version vocale sur le site de Lumière 101).
  4. Rappelons que les "dynasties bourgeoises" que fustige Beau de Loménie sont nées de ce détournement de propriétés.

Vous pouvez entendre l'enregistrement de notre chronique
sur le site de Lumière 101

 

Puisque vous avez aimé l'Insolent Aidez-le par une contribution financière !