por Roberto Sáenz
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Il generale, scrittore e teorico militare prussiano Carl Von Clausewitz (1780-1831) è noto per la celebre definizione della guerra, come “politica attuata con altri mezzi”. Sebbene ciò costituisca indubbiamente il merito più grande di Clausewitz alla dottrina pura del warfare (più per le sue implicazioni che per la giù lodevole chiarificazione concettuale), rimane il fatto che così come vien presentata tale definizione, oltre a mostrare la presunta erudizione di chi la dice, non chiarisce né l’oggetto né il concetto di se stessa.
C’è una seconda obiezione ad un genere di approccio semplicistico al pensiero di Clausewitz e, allo stesso tempo, a quella succitata abusata definizione: che egli non dà una sola definizione di “guerra”, ma più d’una (ad esempio: “La guerra è dunque un atto di violenza per costringere l’avversario a seguire la nostra volontà”). Anzi, Von Clausewitz presenta l’importante definizione di guerra come peculiare forma della lotta politica. Nella sua introduzione e più che per ragioni dottrinarie, egli introduce il concetto per focalizzare la prospettiva di lettura del fenomeno della guerra all’interno della sua peculiare visione, e non come una definizione che fa capo alla chiarificazione nei termini di un assioma.
Oltre a questa differenza di fatto esistente nelle guerre, va stabilito in modo esplicito e preciso anche il punto di vista – pure praticamente necessario – secondo cui la guerra non è niente altro che la politica dello Stato proseguita con altri mezzi. Questo punto di vista, tenuto ben fermo dappertutto, darà unità a questa trattazione saggistica. E tutto sarà quindi più facile da districare.
La oramai famosa e storica definizione, di per sé, non ci dice molto né sulla guerra, né sulla politica, né sulla relazione vigente tra politica e guerra. Ed è appunto in quest’ultima relazione che dobbiamo soffermare la nostra attenzione e solo perché attraverso la sua chiarificazione si dà la possibilità di interpretare correttamente la medesima in modo che disveli con chiarezza tutta la sua profondità.
Per ammettere che la definizione non sia vuota, urge specificare che “la politica dello stato proseguita con altri mezzi” sia un predicato la cui conoscenza non è supposta con il termine “guerra”. Procedendo per comprendere la seconda parte della definizione, bisogna comprendere che sussiste una precisa relazione tra la politica di uno Stato e i mezzi con cui essa agisce effettivamente nel mondo. Sicché il centro della definizione ruota attorno al concetto stesso di “politica”.
Von Clausewitz, in diversi punti, tratta della natura del conflitto e di come la guerra non sia che una sua specifica parte. La politica è, a sua volta, un sottoinsieme del dominio degli ambiti a conflitto di interesse, sicché tanto la politica che la guerra fanno capo ad una medesima più generale categoria che ha entrambi come sottoinsiemi propri. Se la guerra è una parte della politica, in quanto suo proseguimento, allora la politica segue gli stessi obiettivi della guerra, pur utilizzando sistemi diversi per raggiungere il proprio obbiettivo.
Diciamo dunque che la guerra non appartiene all’ambito delle arti o delle scienze ma all’ambito della vita sociale. È un conflitto di grandi interessi che si risolve nel sangue, e soltanto in questo si differenzia dagli altri. Meglio che con qualsiasi arte la guerra potrebbe essere paragonata al commercio, che pure è un conflitto di interessi e di attività umane. Ma molto più vicino alla guerra sta la politica che, da parte sua, può essere vista di nuovo come una specie di commercio di dimensioni più grandi. Oltre a ciò la politica è il grembo in cui si sviluppa la guerra: in essa si trovano abbozzati in modo embrionale i lineamenti della guerra come le proprietà delle creature viventi nel loro embrione.
Centrando il nostro pensiero sulla politica, per poi passare alla guerra, è necessario soffermarsi su questo punto. La politica è un conflitto di interessi, si fonda su di essi e si basa su rapporti di forza, vale a dire su rapporti tra individui che pensano e agiscono in modo da raggiungere i loro scopi. Sicché si può divergere per almeno due ragioni: si diverge sul fine o si diverge sul mezzo, o su entrambi. La politica ammette diversificazione di partiti non solo in virtù dello scopo finale, cioè un peculiare ordinamento sociale o economico, ma pure sui mezzi attraverso cui raggiungere lo scopo. I comunisti e i socialisti non avevano grandi distinzioni in merito ai fini, ma grandi differenze sussistevano nella concezione dei mezzi attraverso cui raggiungere gli scopi.
La politica, allora, non è altro che la gestione dell’esistente (cose e persone) al fine di raggiungere uno scopo sociale prefissato, la cui realizzazione implica delle conseguenze sull’organizzazione sociale. Per questo essa è molto vicina alla guerra sul piano astratto. Anzi, si può dire che la guerra e la politica sul piano astratto (cioè privi della discriminante dei mezzi) siano esattamente la stessa cosa. Se la politica e la guerra si effettuassero con le medesime tecniche (cioè l’utilizzo dei mezzi in modo consono alla loro tipologia) verrebbero inevitabilmente a collassare l’una con l’altra, divenendo indistinguibili.
Non è un caso che in alcune epoche storiche, in periodi particolarmente tormentati in alcune società, si assista ad una inestricabile serie di attentati a sfondo politico: le guerre civili romane, le trame e i sotterfugi del periodo rinascimentale italiano, gli attentati al potere di ogni genere di resistenza del periodo post-coloniale algerino o vietnamita (ad esempio). Essi non sono altro che fenomeni specifici di una realtà in cui la politica è fatta principalmente con i mezzi della guerra, pur senza arrivare ad uno scontro tra forze armate equipaggiate per una campagna militare.
Dunque, la politica è la pianificazione di una strategia per raggiungere alcuni scopi, ritenuti fondamentali. Gli scopi politici sono definiti da condizioni di interesse permanenti nei gruppi politici attivi. Tali scopi definiscono l’interesse e l’ambito dell’azione politica.
Ogni attore politico ammette tre generi di relazioni con un altro attore politico: alleanza, indifferenza, ostilità. Nel caso in cui le due parti in contrapposizione non trovino alcun genere di accordo possibile né sui fini da raggiungere, né sui mezzi, e sono propensi a darsi battaglia per ottenere la vittoria sull’altro, si giunge al conflitto. Se il conflitto è di natura sociale, si parla di lotta politica; se il conflitto è di natura armata, si parla di guerra. Politica e guerra sono solo due casi particolari della logica del conflitto e la guerra è, a sua volta, una peculiare forma della politica. Perché è solo l’interesse politico a determinare la volontà di combattere per mezzo delle armi.
Se è vero che in un tipo di guerra la politica sembra scomparire del tutto (mentre nell’altro viene fuori in modo molto determinato) si può tuttavia affermare che un tipo di guerra è politico quanto l’altro. Se si considera infatti la politica come l’intelligenza dello Stato personificato devono poter essere comprese, sotto tutte le costellazioni osservabili, anche quelle guerre in cui la natura dei rapporti impone il primo tipo. Lo scopo di ogni guerra, dunque, è propriamente uno scopo politico e, se esso cambia, è perché è cambiata la politica all’interno di uno Stato.
Se da una guerra di conquista si passa ad una guerra volta a stabilizzare solo una parte del territorio acquisito non è perché ciò è dovuto alla natura di quella guerra, ma perché è cambiata l’opinione della classe dirigente in merito ai fini che quella guerra deve raggiungere. I generali sono solo degli esecutori degli ordini di un sovrano, sia esso un monarca o un parlamento, sia esso stesso il sovrano della Nazione, come Giulio Cesare o Napoleone.
Ma Giulio Cesare e Napoleone, in realtà, sono solo degli esempi di generali che conoscono bene gli scopi da raggiungere proprio perché essi stessi li definiscono e li concepiscono con chiarezza in quanto a capo di una fazione politica o di uno Stato. Dunque, la massima “la guerra è la politica dello Stato proseguita con altri mezzi” indica che la guerra non è che un peculiare mezzo della politica di uno Stato, vale a dire uno strumento nelle mani dei politici per ottenere gli scopi loro o della nazione. I mezzi della guerra sono quelli utilizzati in un combattimento.
Dunque, in breve:
1. Dobbiamo concepire la guerra in ogni circostanza non come una realtà indipendente ma come uno strumento politico. Soltanto con questa concezione è possibile non entrare in contraddizione con l’intera storia della guerra. Essa soltanto apre il grande libro ad una lettura intelligente;
2. Questa prospettiva ci mostra quanto diverse debbano essere le guerre, a seconda della natura dei loro motivi e delle situazioni da cui nascono. Il primo, il più grande e decisivo atto di giudizio che l’uomo di Stato e capo militare compie è quello di riconoscere correttamente sotto questo riguardo la guerra che intraprende, di non prenderla o volerne fare qualcosa che non può essere che per la natura dei suoi rapporti. Questa è dunque la prima, la più comprensiva di tutte le questioni strategiche. La natura della guerra è, dunque, dipendente da due fattori decisivi: gli scopi politici e i mezzi militari. In base alla natura degli scopi si definiranno anche i mezzi adeguati per raggiungerli.
Allo stesso tempo, con l’avanzare della tecnica e delle conoscenze scientifiche, le guerre cambiano di strumenti ma non nella sostanza. La natura dei fini umani è sempre la stessa, non cambia in base alle epoche storiche: ciò che cambia è l’oggetto, non l’intenzione verso di esso. In questo senso, la guerra, non solo nel suo farsi ma anche nel suo concetto, è di natura permanentemente multiforme. Essa cambia nei mezzi e negli scopi, cioè muta totalmente di forma. È la forma della guerra, non le sue ragioni profonde, a costituire la ragione fondamentale della diversità dei conflitti armati della storia. Eppure, a partire dalla comprensione della guerra nel suo ruolo di strumento politico, si nota una lunga linea di continuità tra i vari fenomeni bellici.
Alla luce di tutto quello finora detto e riprendendo la frase di Von Clausewitz, solo adesso siamo in grado di comprendere più affondo la natura e la profondità di tale definizione, perché abbiamo chiarito la natura della politica (quel tanto che basta a questo riguardo), la natura del mezzo e la peculiarità della guerra. La guerra, dunque, è solo una peculiare forma della più generale lotta politica, politica che è da Von Clausewitz pensata esclusivamente nei termini dello Stato; forma di lotta che prevede la sopraffazione dell’avversario, nel caso in cui gli obbiettivi delle due parti in lotta siano diametralmente antitetici.
Ad esempio, nella seconda guerra mondiale Hitler non aveva ben compreso che l’Inghilterra non avrebbe mai accettato una pace o una tregua, nonostante fosse giunta al limite delle sue possibilità di resistenza. E non l’avrebbe mai accettata perché in gioco c’era la volontà di distruggere l’avversario o di essere distrutti da esso, e ogni obiettivo mediano non sarebbe risultato sufficiente a spegnere la volontà di combattere degli inglesi, che, come lo stesso Hitler sapeva bene, era superiore a quella di qualunque altro popolo, con l’eccezione, forse, dei russi.
Un’ultima osservazione da tenere a mente: la guerra totale prevede la distruzione del nemico, per quanto insensato possa essere questo genere di guerra; ma questo genere di guerra rimane indubbiamente la minoranza dei casi, sia nel tempo che nello spazio e, in ogni caso, come non manca di sottolineare Liddell Hart, le guerre non sono mai giunte vicino a determinare lo sterminio del popolo con cui si combatteva. Ad esempio, tutte le guerre successive alla seconda guerra mondiale non furono guerre totali, ad iniziare dalle guerre post-coloniali, per finire alle guerre recenti degli Stati Uniti in Afganistan e in Iraq o le guerre israeliane. In questo genere di guerre quello che conta è mettere il nemico nelle condizioni di smettere di combattere, sia esso perché glielo si impedisce fisicamente, togliendogli i mezzi sia perché gli si toglie la volontà di combattere. Ma rimane sempre il dato finale: lo scopo è quello di ottenere un obbiettivo specifico, non di distruggere.
(di Massimiliano Carta)
00:15 Publié dans Histoire, Militaria, Théorie politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : clausewitz, allemagne, prusse, histoire, militaria, guerre, théorie politique, politologie, sciences politiques, philosophie politique | | del.icio.us | | Digg | Facebook
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http://www.augsburger-allgemeine.de/donauwoerth/Gelage-un...
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Donauwörth
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Rund 150 Asylbewerber machten in Donauwörth mobil – und wollten offenbar nach Italien. Der Zugverkehr kam zeitweise zum Erliegen.
http://www.augsburger-allgemeine.de/donauwoerth/Abgelehnt...
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https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/hund-au...
Pöbeleien und Drohungen: Die Stimmung in Sigmaringen trübt sich ein
Eine Handvoll Flüchtlinge verunsichert Sigmaringer. Zuletzt kam es rund um den Sigmaringer Bahnhof und in der Bahnhofshalle zu großen Problemen. Bürgermeister Schärer will nun schärfere Sanktionen.
https://www.suedkurier.de/nachrichten/baden-wuerttemberg/...
Fulda
Männer mit Messer treiben Opfer vor sich her
http://www.nh24.de/index.php/polizei/98658-2018-02-13-15-...
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Das Haus der drei Religionen in Berlin
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(Zensur im Internet)
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Der schwarze Grundzustand
https://morgenwacht.wordpress.com/2014/05/13/der-schwarze...
(TV-Kritik "Aufbruch ins Ungewisse")
Die Läuterung wird ausbleiben
von Thorsten Hinz
https://jungefreiheit.de/kultur/2018/die-laeuterung-wird-...
(TV-Kritik "Aufbruch ins Ungewisse")
Aufbruch nach Wakanda (1): Passion der Bobos
https://sezession.de/58215/aufbruch-nach-wakanda-1
Aufbruch nach Wakanda (2): Black Panther Supremacy
https://sezession.de/58230/aufbruch-nach-wakanda-2-black-...
»Soldat ohne Befehl« – Neue Biographie über Ernst von Salomon erschienen
https://sezession.de/58176/soldat-ohne-befehl-neue-biogra...
Martin Mosebachs Buch über koptische Märtyrer
Rekonstruktion eines Massenmords
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Neu: Lisa Fitz brisanter Song zensurgefährdet?
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Guerra, política y partido
“La revolución proletaria no puede triunfar sin un partido, por fuera de un partido, contra un partido o con un sustituto para un partido. Esa es la principal enseñanza de los diez últimos años” (León Trotsky, Lecciones de Octubre).
El desborde ocurrido en las jornadas del 14 y 18 de diciembre ha puesto sobre la mesa la discusión sobre las relaciones entre guerra y política. A pesar de su campaña contra los “violentos”, el único violento fue el gobierno: reprimiendo una concentración de masas sobre el fondo del repudio masivo a la ley antijubilatoria, era inevitable que su acción represiva desatara una dura respuesta de los sectores movilizados.
La “gimnasia” del enfrentamiento a la represión dejó un sinnúmero de enseñanzas. Entre ellas, una central: las relaciones entre lucha política y lucha física: el pasaje de la lucha política a la acción directa.
Esta problemática ha sido abordada por el marxismo sobre todo a partir de la Revolución Rusa. Si bien con antecedentes en los estudios de Marx y Engels, y también los debates en la socialdemocracia alemana (que tuvo como gran protagonista a Rosa Luxemburgo), fueron Lenin y Trotsky los que le dieron vuelo a las investigaciones sobre las relaciones entre ambos órdenes sociales[1].
La fuente básica de los marxistas ha sido siempre Karl von Clausewitz, oficial del ejército prusiano, que a comienzos del siglo XIX y resumiendo la experiencia de los ejércitos napoleónicos, escribió su clásico tratado De la Guerra que hasta hoy expresa uno de los abordajes más profundos de dicho evento.
Clausewitz iniciaba su estudio con una sentencia que rompía con el sentido común de la época, cuando señalaba que la guerra no es una esfera social autónoma sino “la continuidad de la política bajo otras formas”, formas violentas.
Lenin y Trotsky recuperarían sus definiciones dándoles terrenalidad en la experiencia misma de la revolución: en el evento por antonomasia del pasaje de la política a la lucha física: la ciencia y arte de la insurrección: el momento en que se rompe el continuum de la historia con la intervención de las masas comandadas por el partido revolucionario, que se hacen del poder y cambian la historia.
Si, en definitiva, la lucha política es una lucha de partidos, la insurrección como evento máximo de traducción de la política al enfrentamiento físico, no tiene otra alternativa que ser comandado por un partido. Volveremos sobre esto.
A la insurrección de Octubre le seguiría la experiencia de Trotsky al frente del Ejército Rojo durante la guerra civil; las enseñanzas desprendidas de dicho evento.
A partir de la experiencia, y de la elaboración teórica desprendida de la misma, se fue forjando un corpus de conceptos, donde un lugar no menor lo ocupan las categorías de estrategia y táctica; la estrategia, que tiene que ver con el conjunto total de los enfrentamientos que llevan al triunfo en la confrontación; la táctica, relacionada con los momentos parciales de dicho enfrentamiento: los momentos específicos donde se pone a prueba la estrategia misma; estrategia que, como decía Clausewitz, debe entrar en el combate con el ejército y corregirse a la luz de sus desarrollos.
De ahí que esta elaboración tenga que ver con el pasaje de la política a la guerra: con aquel momento donde los enfrentamientos se sustancian en el lenguaje de la lucha física; lucha física que, de todas maneras, siempre está comandada por la política: “Bajo el influjo de Sharnhorst, Clausewitz se interesó por la visión histórica de la guerra (…) y llega a la temprana conclusión de que la política es el ‘alma’ de la guerra” (José Fernández Vega, Carl von Clausewitz. Guerra, política y filosofía).
La guerra como continuidad de la política
Desde Clausewitz guerra y política son esferas estrechamente relacionadas. Lenin y Trotsky retomaron esta definición del gran estratega militar alemán de comienzos del siglo XIX. Se apoyaron en Engels, que ya a mediados del siglo XIX le había comentado a Marx el “agudo sentido común” de los escritos de Clausewitz. También Franz Mehring, historiador de la socialdemocracia alemana y uno de los aliados de Rosa Luxemburgo, se había interesado por la historia militar y reivindicaba a Clausewitz.
Por otra parte, hacia finales de la II Guerra Mundial, en el pináculo de su prestigio, Stalin rechazó a Clausewitz con el argumento de que la opinión favorable que tenía Lenin acerca de éste se debía a que “no era especialista en temas militares”…
Pierre Naville señalaría que el Frente Oriental y el triunfo militar del Ejército Rojo sobre la Wehrmacht, había confirmado la tesis contraria: la validez de Clausewitz y lo central de sus intuiciones militares; entre otras, la importancia de las estrategias defensivas en la guerra.
Según su famosa definición, para Clausewitz “la guerra es la continuación de la política por otros medios”. Quedaba así establecida una relación entre guerra y política que el marxismo hizo suya. La guerra es una forma de las relaciones sociales cuya lógica está inscripta en las relaciones entre los Estados, pero que el marxismo ubicó, por carácter transitivo, en la formación de clase de la sociedad. La guerra, decía Clausewitz, debe ser contemplada “como parte de un todo”, y ese todo es la política, cuyo contenido, para el marxismo, es la lucha de clases.
Con agudeza, el teórico militar alemán sostenía que la guerra debía ser vista como un “elemento de la contextura social”, que es otra forma de designar un conflicto de intereses solucionado de manera sangrienta, a diferencia de los demás conflictos.
Esto no quiere decir que la guerra no tenga sus propias especificidades, sus propias leyes, que requieren de un análisis científico de sus determinaciones y características. Desde la Revolución Francesa, pasando por las dos guerras mundiales y las revoluciones del siglo XX, la ciencia y el arte de la guerra se enriquecieron enormemente. Tenemos presentes las guerras bajo el capitalismo industrializado y las sociedades pos-capitalistas como la ex URSS, y el constante revolucionamiento de la ciencia y la técnica guerrera.
Las relaciones entre técnica y guerra son de gran importancia; ya Marx había señalado que muchos desarrollos de las fuerzas productivas ocurren primero en el terreno de la guerra y se generalizan después a la economía civil.
Las dos guerras mundiales fueron subproducto del capitalismo industrial contemporáneo: la puesta en marcha de medios de destrucción masivos, el involucramiento de las grandes masas, la aplicación de los últimos desarrollos de la ciencia y la técnica a la producción industrial y a las estrategias de combate (Traverso).
Esto dio lugar a toda la variedad imaginable en materia de guerra de posiciones y de maniobra: con cambios de frente permanentes y de magnitud, con la aparición de la aviación, los medios acorazados, los submarinos, la guerra química y nuclear y un largo etcétera[2].
Como conclusión, cabe volver a recordar lo señalado por Trotsky a partir de su experiencia en la guerra civil: no hay que atarse rígidamente a ninguna de las formas de la lucha: la ofensiva y la defensa son características que dependen de las circunstancias. Y, en su generalidad, la experiencia de la guerra ha consagrado la vigencia de las enseñanzas de Clausewitz, que merecen un estudio profundo por parte de la nueva generación militante.
La política como “guerra de clases”
Ahora bien, si la guerra es la continuidad de la política por otros medios, a esta fórmula le cabe cierta reversibilidad: “Si la guerra puede ser definida como la continuidad de la política por otros medios, [la política] deviene, recíprocamente, la continuidad de la guerra fuera de sus límites por sus propios medios. Ella también es un arte del tiempo quebrado, de la coyuntura, del momento propicio para arribar a tiempo ‘al centro de la ocasión” (Bensaïd, La política como arte estratégico).
De ahí que muchos de los conceptos de la guerra se vean aplicados a la política, ya que ésta es, como la guerra, un campo para hacer valer determinadas relaciones de fuerza. Sin duda, las relaciones de fuerza políticas se hacen valer mediante un complejo de relaciones mayor y más rico que el de la violencia desnuda, pero en el fondo en el terreno político también se trata de vencer la resistencia del oponente.
En todo caso, la política como arte ofrece más pliegues, sutilezas y complejidades que la guerra, como señalaría Trotsky, que agregaba que la guerra (y ni hablar cuando se trata de la guerra civil, su forma más cruenta), debe ser peleada ajustándose a sus propias leyes, so pena de sucumbir: “Clausewitz se opone a las concepciones absolutistas de la guerra [que la veían como una suerte de ceremonia y de juego] y enfatiza el ‘elemento brutal’ que toda guerra contiene” (Vega, ídem).
De allí que se pueda definir a la política (metafóricamente) como continuidad de la “guerra” que cotidianamente se sustancia entre las clases sociales explotada y explotadora. Así, la política es una manifestación de la guerra de clases que recorre la realidad social bajo la explotación capitalista. Esta figura puede ayudar a apreciar la densidad de lo que está en juego, superando la mirada a veces ingenua de las nuevas generaciones.
Nada de esto significa que tengamos una concepción militarista de las cosas. Todo lo contrario: el militarismo es una concepción reduccionista que pierde de vista el espesor de la política revolucionaria, y que deja de lado a las grandes masas, reemplazadas por la técnica y el herramental de guerra, a la hora de los eventos históricos.
Es característico del militarismo hacer primar la guerra sobre la política, algo común tanto a las políticas de las potencias imperialistas como a las formaciones guerrilleras pequeño-burguesas de los años 70: perdían de vista a las grandes masas como actores y protagonistas de la historia.
Tal era la posición del general alemán de la I Guerra Mundial, Erich von Ludendorff, autor de la obra La guerra total (1935), donde criticaba a Clausewitz desde una posición reduccionista que ponía en el centro de las determinaciones a la categoría de “guerra total”, a la que independizaba de la política negando el concepto clausewitziano de “guerra absoluta”, que necesariamente se ve limitado por las determinaciones políticas.
A su modo de ver De la guerra era “el resultado de una evolución histórica hoy anacrónica y desde todo punto de vista sobrepasada” (Darío de Benedetti, ídem).
Para Ludendorff y los teóricos del nazismo, lo “originario” era el “estado de guerra permanente”; la política, solamente uno de sus instrumentos. De ahí que se considerara la paz simplemente como “un momento transitorio entre dos guerras”.
En esa apelación a la “guerra total” las masas, el Volk, eran vistas como un instrumento pasivo: pura carne de cañón en la contienda: “Ludendorff olvida el factor humano, las fuerzas morales según Clausewitz, como factor decisivo de toda movilización (…) [apela a] un verdadero proceso de cosificación, que permite una total disposición de medios para su alcance” (de Benedetti, ídem).
Pero lo cierto es lo contrario: si la guerra no es más que la continuidad de la política por medios violentos, es la segunda la que fija los objetivos de la primera: “En el siglo XVIII aún predominaba la concepción primitiva según la cual la guerra es algo independiente, sin vinculación alguna con la política, e, inclusive, se concebía la guerra como lo primario, considerando la política más bien como un medio de la guerra; tal es el caso de un estadista y jefe de campo como fue el rey Federico II de Prusia. Y en lo que se refiere a los epígonos del militarismo alemán, los Ludendorff y Hitler, con su concepción de la ‘guerra total’, simplemente invirtieron la teoría de Clausewitz en su contrario antagónico” (AAVV, Clausewitz en el pensamiento marxista).
Con esta suerte de “analogía” entre la política y la guerra lo que buscamos es dar cuenta de la íntima conflictividad de la acción política; superar toda visión ingenua o parlamentarista de la misma. La política es un terreno de disputa excluyente donde se afirman los intereses de la burguesía o de la clase obrera. No hay conciliación posible entre las clases en sentido último; esto le confiere todos los rasgos de guerra implacable a la lucha política.
La política revolucionaria, no la reformista u electoralista, tiene esa base material: la oposición irreconciliable entre las clases, como destacara Lenin. Lo que no obsta para que los revolucionarios tengamos la obligación de utilizar la palestra parlamentaria, hacer concesiones y pactar compromisos.
Pero la utilización del parlamento, o el uso de las maniobras, debe estar presidida por una concepción clara acerca de ese carácter irreconciliable de los intereses de clase, so pena de una visión edulcorada de la política, emparentada no con las experiencias de las grandes revoluciones históricas, sino con los tiempos posmodernos y “destilados” de la democracia burguesa y el “fin de la historia” que, como señalara Bensaïd, pretenden reducir a cero la idea misma de estrategia.
Crítica del militarismo
El criterio principista de tipo estratégico que preside al marxismo revolucionario es que todas las tácticas y estrategias deben estar al servicio de la autodeterminación revolucionaria de la clase obrera, de su emancipación. Sobre la base de las lecciones del siglo XX, debe ser condenado el sustituismo social de la clase obrera como estrategia y método para lograr los objetivos emancipatorios del proletariado.
El sustituismo como estrategia, simplemente, no es admisible para los socialistas revolucionarios. Toda la experiencia del siglo XX atestigua que si no está presente la clase obrera, su vanguardia, sus organismos de lucha y poder, sus programas y partidos, si no es la clase obrera con sus organizaciones la que toma el poder, la revolución no puede progresar de manera socialista: queda congelada en el estadio de la estatización de los medios de producción, lo que, a la postre, no sirve a los objetivos de la acumulación socialista sino de la burocracia.
Un ejemplo vivido por los bolcheviques a comienzos de 1920 fue la respuesta al ataque desde Polonia decidida por el dictador Pilsudsky en el marco de la guerra civil, ataque que desató una contraofensiva del Ejército Rojo que atravesó la frontera rusa y llegó hasta Varsovia. Durante unas semanas dominó el entusiasmo que “desde arriba”, militarmente, se podía extender la revolución. Uno de los principales actores de este empuje fue el talentoso y joven general Tujachevsky (asesinado por Stalin en las purgas de los años 30[3]).
Esta acción fue explotada por la dictadura polaca de Pilsudsky como “un avasallamiento de los derechos nacionales polacos”, y no logró ganar el favor de las masas obreras y mucho menos campesinas, por lo que terminó en un redondo fracaso.
Trotsky, que con buen tino se había opuesto a la misma[4], sacó la conclusión que una intervención militar en un país extranjero desde un Estado obrero, puede ser un punto de apoyo secundario y/o auxiliar en un proceso revolucionario, nunca la herramienta fundamental: “En la gran guerra de clases actual la intervención militar desde afuera puede cumplir un papel concomitante, cooperativo, secundario. La intervención militar puede acelerar el desenlace y hacer más fácil la victoria, pero sólo cuando las condiciones sociales y la conciencia política están maduras para la revolución. La intervención militar tiene el mismo efecto que los fórceps de un médico; si se usan en el momento indicado, pueden acortar los dolores del parto, pero si se usan en forma prematura, simplemente provocarán un aborto” (en E. Wollenberg, El Ejército Rojo, p. 103).
De ahí que toda la política, la estrategia y las tácticas de los revolucionarios deban estar al servicio de la organización, politización y elevación de la clase obrera a clase dominante; que no sea admisible su sustitución a la hora de la revolución social por otras capas explotadas y oprimidas aparatos políticos y/o militares ajenos a la clase obrera misma (otra cosa son las alianzas de clases explotadas y oprimidas imprescindibles para tal empresa).
El criterio de la autodeterminación y centralidad de la clase obrera en la revolución social, es un principio innegociable. Y no sólo es un principio: hace a la estrategia misma de los socialistas revolucionarios en su acción.
Otra cosa es que las relaciones entre masas, partidos y vanguardia sean complejas, no admitan mecanicismos. Habitualmente los factores activos son la amplia vanguardia y las corrientes políticas, mientras que las grandes masas se mantienen pasivas y sólo entran en liza cuando se producen grandes conmociones, algo que, como decía Trotsky, era signo inequívoco de toda verdadera revolución.
Ocurre una inevitable dialéctica de sectores adelantados y atrasados en el seno de la clase obrera a la hora de la acción política; no se debe buscar el “mínimo común denominador” adaptándose a los sectores atrasados sino, por el contrario, ganar la confianza de los sectores más avanzados para empujar juntos a los más atrasados.
Incluso más: puede haber circunstancias de descenso en las luchas del proletariado y el partido -más aún si está en el poder- verse obligado a ser una suerte de nexo o “puente” entre el momento actual de pasividad y un eventual resurgimiento de las luchas en un período próximo. No tendrá otra alternativa que “sustituir”, transitoriamente, la acción de la clase obrera en defensa de sus intereses inmediatos e históricos.
Algo de esto afirmaba Trotsky que le había ocurrido al bolchevismo a comienzos de los años 20, luego de que la clase obrera y las masas quedaran exhaustas a la salida de la guerra civil[5]. Pero el criterio es que aun “sustituyéndola”, se deben defender los intereses inmediatos e históricos de la clase obrera. Y esta “sustitución” sólo puede ser una situación transitoria impuesta por las circunstancias, so pena de transformarse en otra cosa[6].
Ya la teorización del sustituismo social de la clase obrera en la revolución socialista pone las cosas en otro plano: es una justificación de la acción de una dirección burocrática y/o pequeñoburguesa que, si bien puede terminar yendo más lejos de lo que ella preveía en el camino del anticapitalismo, nunca podrá sustituir a la clase obrera al frente del poder. Porque esto amenaza que se terminen imponiendo los intereses de una burocracia y no los de la clase obrera (como ocurrió en el siglo XX).
Quebrar el movimiento inercial
De lo anterior se desprende otra cuestión: la apelación a los métodos de lucha de la clase obrera en contra del terrorismo individual o de las minorías que empuñan las armas en “representación” del conjunto de los explotados y oprimidos.
En el siglo pasado han habido muchas experiencias: el caso de las formaciones guerrilleras latinoamericanas, y del propio Che Guevara, que excluían por definición los métodos de lucha de masas en beneficio de los “cojones”: una “herramienta central” de la revolución, porque la clase obrera estaba, supuestamente, “aburguesada”…
Un caso similar fue el del PCCh bajo Mao. La pelea contra el sustituismo social de la clase obrera tiene que ver con que los revolucionarios no “inventamos nada”: no creamos artificialmente los métodos de pelea y los organismos de lucha y poder. Más bien ocurre lo contrario: buscamos hacer consciente su acción, generalizar esas experiencias e incorporarlas al acervo de enseñanzas de la clase obrera.
Esta era una preocupación característica de Rosa Luxemburgo, que insistía en la necesidad de aprender de la experiencia real de la clase obrera, contra el conservadurismo pedante y de aparato de la vieja socialdemocracia.
Vale destacar también la ubicación de Lenin frente al surgimiento de los soviets en 1905. Los “bolcheviques de comité”, demasiado habituados a prácticas sectarias y conservadoras, se negaban a entrar en el Soviet de Petrogrado porque éste “no se declaraba bolchevique”… Lenin insistía que la orientación debía ser “Soviets y partido”, no contraponer de manera pedante y ultimatista, unos y otros.
Sobre la cuestión del armamento popular rechazamos las formaciones militares que actúan en sustitución de la clase obrera, así como el terrorismo individual, y por las mismas razones. Pero debemos dejar a salvo no sólo la formación de ejércitos revolucionarios como el Ejército Rojo, evidentemente, también experiencias como la formación de milicias obreras y populares o las dependientes de las organizaciones revolucionarias.
Este último fue el caso del POUM y los anarquistas en la Guerra Civil española, más allá del centrismo u oportunismo de su política. Y podrían darse circunstancias similares en el futuro que puedan ser englobadas bajo la orientación del armamento popular.
Agreguemos algo más vinculado a la guerra de guerrillas. En Latinoamérica, en la década del 70, las formaciones foquistas o guerrilleras, rurales o urbanas, reemplazaban con sus “acciones” la lucha política revolucionaria (las acciones de masas y la construcción de partidos de la clase obrera).
Sin embargo, este rechazo a la guerra de guerrillas como estrategia política, no significa descartarla como táctica militar. Si es verdad que se trata de un método de lucha habitualmente vinculado a sectores provenientes del campesinado (o de sectores más o menos “desclasados”), bajo condiciones extremas de ocupación militar del país por fuerzas imperialistas, no se debe descartar la eventualidad de poner en pie formaciones de este tipo íntimamente vinculadas a la clase trabajadora. Esto con un carácter de fuerza auxiliar similar a una suerte de milicia obrera, y siempre subordinada al método de lucha principal, que es la lucha de masas[7].
Pasemos ahora a las alianzas de clases y la hegemonía que debe alcanzar la clase obrera a la hora de la revolución. Si la centralidad social en la revolución corresponde a la clase obrera, ésta debe tender puentes hacia el resto de los sectores explotados y oprimidos.
Para que la revolución triunfe, debe transformarse en una abrumadora mayoría social. Y esto se logra cuando la clase obrera logra elevarse a los intereses generales y a tomar en sus manos las necesidades de los demás sectores explotados y oprimidos.
Es aquí donde el concepto de alianza de clases explotadas y oprimidas se transforma en uno análogo: hegemonía. La hegemonía de la clase obrera a la hora de la revolución socialista corresponde al convencimiento de los sectores más atrasados, de las capas medias, del campesinado, de que la salida a la crisis de la sociedad ya no puede provenir de la mano de la burguesía, sino solamente del proletariado.
Este problema es clásico a toda gran revolución. Si la Revolución Francesa de 1789 logró triunfar es porque desde su centro excluyente, París, logró arrastrar tras de sí al resto del país. Algo que no consiguió la Comuna de París cien años después, lo que determinó su derrota. El mismo déficit tuvo el levantamiento espartaquista de enero de 1919 en Alemania, derrotado a sangre y fuego porque el interior campesino y pequeño-burgués no logró ser arrastrado. Multitudinarias movilizaciones ocurrían en Berlín enfervorizando a sus dirigentes (sobre todo a Karl Liebknecht; Rosa era consciente de que se iba al desastre), mientras que en el interior el ejército alemán se iba reforzando y fortaleciendo con el apoyo del campesinado y demás sectores conservadores.
Precisamente en esa apreciación fundaba Lenin la ciencia y el arte de la insurrección: en una previsión que debía responder a un análisis lo más científico posible, pero también a elementos intuitivos, acerca de qué pasaría una vez que el proletariado se levantase en las ciudades.
El proletariado se pone de pie y toma el poder en la ciudad capital. Pero la clave de la insurrección, y la revolución misma, reside en si logra arrastrar activamente o, al menos, logra un apoyo pasivo, tácito, o incluso la “neutralidad amistosa” (Trotsky), de las otras clases explotadas y oprimidas en el interior.
De ahí que alianza de clases, hegemonía y ciencia y arte de la insurrección tengan un punto de encuentro en el logro de la mayoría social de la clase obrera a la hora de la toma del poder.
Una apreciación que requerirá de todas las capacidades de la organización revolucionaria en el momento decisivo, y que es la mayor prueba a la que se puede ver sometido un partido digno de tal nombre: “Todas estas cartas [se refiere a las cartas de Lenin a finales de septiembre y comienzos de octubre de 1917], donde cada frase estaba forjada sobre el yunque de la revolución, presentan un interés excepcional para caracterizar a Lenin y apreciar el momento. Las inspira el sentimiento de indignación contra la actitud fatalista, expectante, socialdemócrata, menchevique hacia la revolución, que era considerada como una especie de película sin fin. Si en general el tiempo es un factor importante de la política, su importancia se centuplica en la época de guerra y de revolución. No es seguro que se pueda hacer mañana lo que puede hacerse hoy (…).
“Pero tomar el poder supone modificar el curso de la historia. ¿Es posible que tamaño acontecimiento deba depender de un intervalo de veinticuatro horas? Claro que sí. Cuando se trata de la insurrección armada, los acontecimientos no se miden por el kilómetro de la política, sino por el metro de la guerra. Dejar pasar algunas semanas, algunos días; a veces un solo día sin más, equivale, en ciertas condiciones, a la rendición de la revolución, a la capitulación (…).
“Desde el momento en que el partido empuja a los trabajadores por la vía de la insurrección, debe extraer de su acto todas las consecuencias necesarias. À la guerre comme à la guerre [en la guerra como en la guerra]. Bajo sus condiciones, más que en ninguna otra parte, no se pueden tolerar las vacilaciones y las demoras. Todos los plazos son cortos. Al perder tiempo, aunque no sea más que por unas horas, se le devuelve a las clases dirigentes algo de confianza en sí mismas y se les quita a los insurrectos una parte de su seguridad, pues esta confianza, esta seguridad, determina la correlación de fuerzas que decide el resultado de la insurrección” (Trotsky, Lecciones de Octubre).
El partido como factor decisivo de las relaciones de fuerzas
Veremos someramente ahora el problema del partido como factor organizador permanente y como factor esencial de la insurrección.
El partido no agrupa a los trabajadores por su condición de tales sino solamente aquéllos que han avanzado a la comprensión de que la solución a los problemas pasa por la revolución socialista: el partido agrupa a los revolucionarios y no a los trabajadores en general (cuya abrumadora mayoría es de ideología burguesa, reformista y no revolucionaria).
Quienes se agrupan bajo un mismo programa constituyen un partido. Pero si sus militantes no construyen el partido, no lo construye nadie: el partido es lo menos objetivo y espontáneo que hay respecto de las formas de la organización obrera: requiere de un esfuerzo consciente y adicional, con leyes propias.
Un problema muy importante es el de la combinación de los intereses del movimiento en general y los del partido en particular a la hora de la intervención política. Un error habitual es sacrificar unos en el altar de los otros.
En el caso de las tendencias más burocráticas, lo que se sacrifica son los intereses generales de los trabajadores en función de los del propio aparato. Ya Marx sostenía que los comunistas sólo se caracterizaban por ser los que, en cada caso, hacían valer los intereses generales del movimiento.
Pero es también una concepción falsa creer que los intereses del partido nunca valen; que sólo vale el interés “general”, sacrificando ingenuamente los intereses del propio partido.
Así se hace imposible construir el partido, cuya mecánica de construcción es la menos “natural”. Precisamente por esto hay que aprender a sostener ambos intereses: las condiciones generales de la lucha y la construcción del partido a partir de ellas. Además, hay que saber evaluar qué interés es el que está en juego en cada caso. Nunca se puede correr detrás de toda lucha, de todo acontecimiento; no hay partido que lo pueda hacer.
Pero cuando se trata de organizaciones de vanguardia, hay que elegir. Hay que jerarquizar considerando el peso del hecho objetivo, y también las posibilidades del partido de responder y construirse en esa experiencia.
Esto significa que no siempre la agenda partidaria se ordena alrededor de la agenda “objetiva” de la realidad. Hay que considerar la agenda de la propia organización a la hora de construirse, sus propias iniciativas: “La observación más importante que se puede hacer a propósito de todo análisis concreto de la correlación de fuerzas es que estos análisis no pueden ni deben ser análisis en sí mismos (a menos que se escriba un capítulo de historia del pasado), sino que sólo adquieren significado si sirven para justificar una actividad práctica, una iniciativa de voluntad. Muestran cuáles son los puntos de menor resistencia donde puede aplicarse con mayor fruto la fuerza de la voluntad; sugieren las operaciones tácticas inmediatas; indican cómo se puede plantear mejor una campaña de agitación política, qué lenguaje entenderán mejor las multitudes, etc. El elemento decisivo de toda situación es la fuerza permanentemente organizada y dispuesta desde hace tiempo, que se puede hacer avanzar cuando se considera que una situación es favorable (y sólo es favorable en la medida en que esta fuerza existe y está llena de ardor combativo); por esto, la tarea esencial es la de procurar sistemática y pacientemente formar, desarrollar, hacer cada vez más homogénea, más compacta y más consciente de sí misma esta fuerza [es decir, el partido]” (Gramsci, La política y el Estado moderno, pp. 116-7).
En síntesis: el análisis de la correlación de fuerzas sería “muerto”, pedante, pasivo, si no tomara en consideración que el partido es, debe ser, un factor fundamental en dicha correlación de fuerzas; el factor que puede terminar inclinando la balanza; el que munido de una política correcta, y apoyándose en un determinado “paralelogramo de fuerzas”, puede mover montañas.
La figura del “paralelogramo de fuerzas” nos fue sugerida por la carta de Engels a José Bloch (1890). Engels colocaba dicho paralelogramo como subproducto de determinaciones puramente “objetivas”. Sin embargo, a la cabeza de dicho “paralelogramo” se puede y debe colocar el partido para irrumpir en la historia: romper la inercia con el plus “subjetivo” que añade el partido: “(…) la historia se hace de tal modo, que el resultado final siempre deriva de los conflictos entre muchas voluntades individuales, cada una de las cuales, a su vez, es lo que es por efecto de una multitud de condiciones especiales de vida; son, pues, innumerables fuerzas que se entrecruzan las unas con las otras, un grupo infinito de paralelogramos de fuerzas, de las que surge una resultante -el acontecimiento histórico- (…)”.
El partido que sepa colocarse a la cabeza de dicho “paralelogramo”, que haya logrado construirse, que sepa hacer pesar fuerzas materiales en dicho punto decisivo, podrá mover montañas: romper el círculo infernal del “eterno retorno de lo mismo” abriendo una nueva historia.
Bibliografía
AAVV, Clausewitz en el pensamiento marxista, Pasado y Presente.
Darío de Benedetti, La teoría militar entre la Kriegsideologie y el Modernismo Reaccionario, Cuadernos de Marte, mayo 2010.
Daniel Bensaïd, La politique comme art stratégique, Archives personnelles, Âout 2007, npa2009.org.
Antonio Gramsci, La política y el Estado moderno, Planeta-Agostini, Barcelona, 1985.
León Trotsky, Lecciones de Octubre, Kislovodsk, 15 de septiembre de 1924, Marxist Internet Archive.
José Fernández Vega, Carl von Clausewitz. Guerra, política y filosofía, Editorial Almagesto, Buenos Aires, 1993.
[1] De Lenin se conoce un cuaderno de comentarios sobre De la Guerra; Trotsky “mechó” muchas de sus reflexiones estratégicas con referencias al teórico alemán, amén de tener sus propios Escritos militares.
[2] Ver nuestro texto Causas y consecuencias del triunfo de la URSS sobre el nazismo, en www.socialismo-o-barbarie.org.
[3] Tujachevsky estaba enrolado en la fallida “teoría de la ofensiva”. Trotsky estaba en contra de la misma: la condenaba por rígida, militarista y ultraizquierdista. Ver las Antinomias de Antonio Gramsci (un valioso texto del marxista inglés Perry Anderson de los años 70).
[4] En este caso se dio una sorprendente “inversión” (en relación a los errores) bajo el poder bolchevique: en general, fue Lenin el que dio en la tecla en las disputas con Trotsky. Pero en este caso las cosas se dieron invertidas: mientras Lenin se arremolinaba entusiasta sobre los mapas siguiendo la ofensiva, Trotsky manifestaba sus reservas.
[5] Ver al respecto nuestros textos sobre el bolchevismo en el poder.
[6] Ver al respecto El último combate de Lenin de Moshe Lewin.
[7] En todo caso, el siglo XX ha dado lugar a un sinnúmero de ricas experiencias militares en el terreno de la revolución, las que requieren de un estudio ulterior.
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La libertad en el Estado Mundial
José Javier Esparza
Ex: http://www.posmodernia.com
Jünger relexionó incesantemente sobre la libertad, en particular sobre la libertad personal. Lo hizo al mismo tiempo que expresaba su convicción de que la humanidad caminaba hacia formas de organización colectiva cada vez más férreas y hasta asfixiantes. Esas formas de organización, vistas desde la perspectiva jüngeriana, revestían en los años 30 los colores del mundo del Trabajador y en los años 50 se manifestaron cada vez más como Estado Mundial, que en realidad son dos fases distintas del mismo proceso. La pregunta es cómo concebir la libertad personal en semejante contexto. Y a modo de guía en el camino, Jünger aporta una interpretación que descansa en dos conceptos clave: organismo y organización.
El Estado Mundial de Jünger es, ante todo, la constatación y la explicación de una tendencia que se está acelerando a medida que el poder técnico se desarrolla; en cierto modo, podemos decir que es una pionera exploración metafísica de lo que hoy se ha llamado “globalización”. El Estado Mundial es la forma de organización del estado en la era de la técnica. Pero frente a esa organización, surgen las correspondientes resistencias. Y aquí se basa la perspectiva jüngeriana del eterno conflicto entre organismo y organización:
“Desde siempre ha sido dominante la desconfianza frente al Estado. Los esfuerzos hechos por él, sus intervenciones, despertaron desde el primer momento unos temores en los que se expresa algo más que la simple prudencia política y que la reivindicación de un modo propio de ser. Aquí no son sólo la persona singular y sus comunidades naturales, como la familia, la parentela, la tribu, el pueblo, las que se ven expuestas a una exigencia que penetra hondamente en la substancia y cuyas ventajas y desventajas es difícil ponderar. Aquí es la vida misma la que está en una de sus grandes encrucijadas. En ella el organismo y la organización se encuentran” (pp. 193-194).
Lobos y abejas
Jünger obtiene estos términos, “organismo y organización”, de una máxima del escritor francés Rivarol: “El poder es la fuerza organizada” (La puissance est la force organisée), síntesis de sus aforismos políticos . Pero Jünger intenta ir más allá de la perspectiva de este autor y se sitúa en una posición en la que la organización es aprehendida al mismo tiempo que su contrario, el organismo . Tampoco es difícil hallar aquí ecos de la tradición organicista alemana, en la que la materia y el organismo se contraponen como, en Tönnies, se contraponen sociedad (mecánica) y comunidad (orgánica).
El organismo es la forma de ser de las realidades vivas, naturales; la organización es la “plantilla”, el “molde” que se impone sobre el organismo ya para facilitar su supervivencia, ya para incrementar su poder. Al orden del organismo pertenecen la familia, el clan, la comunidad; al orden de la organización pertenecen el Estado y la división del trabajo. En el orden del organismo, la libertad es muy amplia, pero también el riesgo, pues la capacidad de supervivencia disminuye; en el orden de la organización, la seguridad es intensa, así como la riqueza, pero a costa de enormes sacrificios de la libertad. Esta díada de potencias no es exclusiva del orden humano, sino que echa sus raíces en la propia estructura del mundo natural:
“La elección es honda y penetra profundamente, llega hasta la célula. Tiene su balance de pérdidas y ganancias. Un ejemplo: cuando las células de la visión se diferencian, la ganancia de fuerza perceptiva tiene como contrapartida una pérdida de fuerza sensorial, erótica. Cuando se forman colonias, como ocurre en el caso de las esponjas, la seguridad de los individuos afectados aumenta, pero su libertad disminuye. Cuando, como ocurre en el caso de los insectos estatizadores, la ordenación del trabajo y su división han hecho progresar la economía hasta un grado tal que posibilita el acumular reservas, esa riqueza es comprada con sacrificios asombrosos. La abeja obrera es una hembra mutilada, producto de una reducción; el asesinato de los zánganos es un modelo de implacable razón de Estado. En las termitas y en las hormigas encontramos formas que anticipan idealmente no sólo la agricultura, sino también la esclavitud” (p. 194).
Jünger constata que la tendencia a la estatización (a la “organización”) se hace más rara a medida que ascendemos en la escala de los animales superiores. En ellos –por ejemplo, en los lobos, en numerosos grupos de aves, etc.- es frecuente hallar ejemplos de socialización, pero muy rara vez asistiremos a los sacrificios que la estatización impone a los insectos. En ese sentido, el hombre ocupa un lugar especial: la estatización no es algo que le sea natural, aunque el proceso de desarrollo de la civilización técnica muestre claras tendencias estatizadoras. En el mundo natural, la tendencia hacia la organización es un rasgo específico de los animales sociales; en el caso de la especie humana, es el síntoma más evidente del avance del proceso de civilización. Y sin embargo, la tendencia a la organización no es inapelable, inevitable; ni siquiera natural. Ese es el sentido de la pregunta que Jünger se formula: ¿Acaso el mundo está lleno de organismos que esperan ser organizados y reivindican tal organización? No, e incluso lo contrario es lo cierto, pues por todas partes puede percibirse como actúa “la tentativa de sustraerse al poder”. De manera que la organización no es un hecho natural, o al menos no lo es más que la resistencia a la organización.
Más allá del Estado y el Mercado
A nuestro juicio, lo que hace especialmente interesante la perspectiva jüngeriana es su capacidad para sentar un marco de interpretación que trasciende las habituales polémicas entre diversas formas de organización, cada una de las cuales pretende a su vez encarnar mayores cotas de libertad. Por ejemplo, ¿cuántas veces se ha invocado la libertad en nombre del Estado? ¿Y cuántas otras veces se ha invocado esa misma libertad en nombre del Mercado y contra el Estado? La división jüngeriana entre organismo y organización nos brinda un esquema bastante más profundo que el que aporta Hayek con su dialéctica entre “orden tribal” y “orden amplio”: la verdadera espontaneidad reside en el organismo, donde los impulsos naturales actúan con mayor libertad; la organización, por el contrario, significa la imposición de una estructura racional sobre los impulsos primarios, y esa estructura no es sólo de tipo estatal, sino que también puede adoptar otras formas. El mercado, sin duda, es una de ellas. Cambian las reglas del ejercicio de la organización, pero no el hecho de la organización en sí. Desde la perspectiva de la organización que se contrapone al organismo, Estado y Mercado no representan fuerzas esencialmente contradictorias, sino que ambas responden a una misma lógica: las dos, por su potencia reglamentadora, normativizadora, constituyen otras tantas formas de organización, esto es, otras tantas formas de someter al organismo, vale decir, a la libertad.
Como suele ocurrir en Jünger, erraríamos el tiro si tratáramos de incorporar juicios de valor demasiado simples a los términos de este esquema. No tiene mucho sentido ver en la organización una suerte de desdicha; más bien se trata de un hecho inevitable, porque cuanto más arriesgada es la vida, más necesaria es la cooperación, esto es, la sociedad. Y toda vida en sociedad, en la medida en que exige la imposición de normas, presenta necesariamente ciertos rasgos de alienación –eso es algo que está en la naturaleza humana. En consecuencia, cuanto más compleja es la sociedad, esto es, la organización, mayor es su carácter alienante. Ahora bien, la tendencia hacia el organismo, hacia la libertad, tampoco deja nunca de estar presente, porque forma parte igualmente de las pulsiones naturales. Y en el caso de la especie humana, además, esta tendencia se hace consciente, pues sólo el hombre es racionalmente consciente de su libertad. En cierto modo, la búsqueda del equilibrio entre organismo y organización es una de las claves fundamentales de la historia natural, no sólo en la especie humana. Toda la cuestión, pues, reside en que el ser humano sea capaz de mantener siempre alta la guardia de su libre albedrío:
“Cuando el Estado y con él el pensamiento organizativo cobran dimensiones enormes, tal como lo están experimentando en el presente los hombres y los pueblos, ocurre que los peligros son en parte sobreestimados y en parte subestimados. Consisten no tanto en la amenaza física que representan para los pueblos y los hombres que los componen –esa amenaza es desde luego evidente- cuanto en el riesgo que corre la especie como tal, sobre todo porque es afectada en su nota específica: el libre albedrío. Ello haría que la luminosidad de una civilidad superior desapareciese en el brillo de la perfección. El peligro real del plan no está tanto en que fracase cuanto en que obtenga un éxito demasiado fácil (…)
La especificidad del ser humano está en su libre albedrío, o sea, en su imperfección; está en su capacidad de convertirse en culpable, de cometer errores. La perfección hace superflua, por el contrario, la libertad; el orden racional cobra entonces la precisión del instinto” (pp. 204-205).
Jünger no cree que la marcha de la civilización, que apunta hacia una creciente complejidad de la organización, hacia una creciente perfección de la técnica , sea reversible. No estamos en condiciones de decidir si queremos entrar en esa nueva casa, porque ésta se nos impone de manera irresistible. Pero sí estamos en condiciones de preguntarnos qué queremos llevarnos con nosotros al entrar en la nueva casa, y aquí es donde Jünger reivindica el libre albedrío como seña principal de la especie humana. La conclusión del texto apunta inequívocamente en esa dirección. Y sostiene, precisamente, que tal cosa será más fácil en el Estado mundial que en los Estados que el mundo han conocido hasta ahora:
“La forma del Estado humano viene determinada por el hecho de la existencia de otros Estados. Viene determinada por el pluralismo. No siempre ha sido así y, esperémoslo, no siempre será así. Cuando el Estado era una excepción en la Tierra, cuando era insular o, en el sentido de su origen, único en su género, los ejércitos de guerra resultaban innecesarios, más aún, estaban fuera de lo imaginable. Eso mismo habrá de ocurrir cuando el Estado en su sentido final se vuelva único en su género. Entonces el organismo humano podría destacar con más pureza como lo auténticamente humano, liberado de la coacción de la organización” (p. 217).
Una libertad difícil
Toda la posición de Jünger frente al Estado/Organización en sus obras posteriores mantiene esta misma línea. La organización, aupada sobre el poder técnico, representa una fuerza que no es posible invertir, aunque sí es posible actuar dentro de ella. En el lado contrario, el organismo, la libertad, no podrá consistir en una declaración de derechos o en una lista de libertades formales, sino en una actitud de espíritu que pasa por mantener el libre albedrío como fundamento de la persona singular.
Todos los protagonistas de novelas jüngerianas como Heliópolis, Eumeswil e incluso El problema de Aladino se caracterizan por ese talante . La misma atmósfera se respira en ensayos como La emboscadura. Y es muy importante subrayar que todo este planteamiento guarda perfecta coherencia con las posiciones del Jünger anterior a 1933. El descreimiento de las libertades formales se halla ya en los textos de la “Revolución conservadora”, al mismo título que la desconfianza en los movimientos basados en “principios universales”. La percepción del Estado como máquina subsidiaria, dependiente de devoradores procesos técnicos, nace en las trincheras de la Gran Guerra y se prolonga a través de La movilización total y El Trabajador hasta llegar a las opresivas ciudades-Estado de Eumeswil y Heliópolis. La idea aristocratizante de la libertad –la libertad interior como signo de una aristocracia del espíritu- enlaza con el anarquista prusiano de El corazón aventurero, el libro que marcó su separación de la órbita nacionalista alemana en 1929, y se prolonga en Sobre los acantilados de mármol y en La emboscadura.
Ahora la pregunta post-jüngeriana podría ser esta: ¿Qué ocurre cuando la nueva casa, el Estado Mundial, exige como señal de entrada la renuncia al libre albedrío, a la libertad interior? Entonces volveríamos a la necesaria insurgencia, al mismo tiempo espiritual y política, que alimentó los grandes incendios de Sobre los acantilados de mármol.
Jünger, Ernst “La Paz seguido de El nudo gordiano, El Estado Mundial y Alocución en Verdún”, traducción de Andrés Sánchez Pascual), Tusquets Editores, Barcelona, 1996.
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Le crépuscule de Merkel
« Vide sidéral » et « négociations désastreuses »
Par Bernard Tomaschitz
Après que les accords pour former une « Grosse Koalition » (GroKo) ont été conclus avec la SPD socialiste, on commence à râler et à jaser dans les rangs de la CDU. Pourquoi ? Parce que les sociaux-démocrates ont obtenu deux ministères importants : celui des affaires étrangères et celui des finances. Ce qui donne deplus en plus le ton dans ce mécontentement généralisé, ce sont les critiques adressées à la présidente du parti, la Chancelière Angela Merkel. « Jamais encore dans toute l’histoire de la CDU », il n’y a eu une telle perte de confiance, tant sur le plan émotionnel que sur le plan politique, a déclaré Norbert Röttgen aux journalistes du Tagesspiegel. Röttgen n’est pas n’importe quel permanent du parti, un anonyme sans relief, mais le président de la Commission des affaires étrangères du Bundestag. Cet homme politique, âgé aujourd’hui de 52 ans, constate de « vide sidéral » que représente son parti : il avait pourtant été ministre de l’environnement dans le deuxième cabinet dirigé par Angela Merkel.
Un autre grand format du parti de Merkel a pris la parole: Volker Rühe. Répondant aux questions du magazine Stern, cet ancien secrétaire général de la CDU et ancien ministre de la défense ne ménage pas ses critiques à l’endroit des talents de négociatrice de la Chancelière ; sans mâcher ses mots, Rühe déclare : « Pour l’avenir de la CDU, la manière dont Merkel a négocié est un vrai désastre, alors que le salut du parti aurait dû davantage la préoccuper que sa propre situation présente ».
Rühe appelle les chrétiens-démocrates à trouver les bonnes directives pour l’après-Merkel. L’ancien vice-président de la CDU exige de la cheffesse du parti qu’elle place « auxprincipales positions du cabinet et de la direction de la fraction des candidats potentiels au poste de Chancelier mais qui ont encore besoin d’acquérir de l’expérience ». Il est intéressant de noter que Rühe estime, aujourd’hui, que les sociaux-démocrates, malgré le chaos qui règne actuellement dans leurs rangs, sont dans une meilleure position stratégique, à moyen ou à long terme, que la CDU. En effet, la SPD dispose, avec la future dirigeante du parti Andrea Nahles et le nouveau ministre des finances Olaf Scholz de deux candidats potentiels à la chancellerie qui ont du poids. Et Rühe ajoute, sarcastique : « En d’autres mots, ils ont deux as pour l’avenir. Nous n’en avons même pas un seul ! ».
(article issu du site http://www.zurzeit.at ).
13:09 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, allemagne, politique internationale, europe, affaires européennes, angela merkel, volker rühe, cdu, csu, spd, politique | | del.icio.us | | Digg | Facebook
L’armée allemande en Ukraine ?
Jan Nolte, expert ès-questions militaires de l’AfD : « Ne pas suivre automatiquement les intérêts américains, ne tenir compte que des nôtres : voilà la recette idéale en politique étrangère ! ».
Berlin/Kiev : En envoyant récemment des « Tornados » d’observation au Proche-Orient, la gouvernement fédéral allemand s’était immiscé dans un conflit international. Par ce précédent, des soldats de la Bundeswehr pourraient désormais être engagés dans un conflit à l’étranger, comme l’évoquait Hans-peter Bartels, chargé d’affaires en matières de défense auprès du Bundestag.
Aux questions de “RedaktionsNetzwerk Deutschland” (RND), cet affilié à la SPD socialiste déclarait : « Dans le cas d’une mission de casques bleus dans l’Est de l’Ukraine, l’Allemagne participera activement d’une manière ou d’une autre. Cela pourra aussi concerner la Bundeswehr ».
Il se référait aux accords récemment conclus entre la CDU, la CSU et la SPD pour former une coalition gouvernementale : dans ces accords, les partis signataires admettaient qu’il fallait résoudre dans l’avenir la crise en Ukraine orientale. Outre l’élargissement de la mission déjà existante de l’OCDE, on envisage aussi un mandat des Nations Unies. Ce mandat pourrait avoir pour objectif de maintenir en vigueur les accords de Minsk, prévoyant la paix en Ukraine orientale..
Un frein existe toutefois pour le plan envisagé par Bartels : un mandat des Nations Unies devra être avalisé par le conseil de sécurité de l’ONU, où siège également la Russie, qui pourrait exercer son droit de veto et empêcher ainsi la manœuvre.
Les Verts ont déjà marqué leur accord pour y engager éventuellement la Bundeswehr, tandis, dans les rangs de l’AfD, on rejette catégoriquement le projet. Jan Nolte, qui siège pour ce nouveau parti à la commission de la défense au parlement fédéral allemand, a déclaré au journal Zuerst: “Sans l’accord de la Russie, aucune mission des Nations Unies ne peut avoir lieu. Bien que Poutine ait bel et bien signé les accords de Minsk, il est très peu probable qu’il donne son accord pour ce nouveau mandat. Malheureusement, nous constatons, en nous rappelant l’engagement en Syrie de la Bundeswehr, que le droit international n’intéresse pas une majorité des parlementaires du Bundestag, tant que la volonté politique d’agir est là. J’espère dès lors que l’Allemagne, à l’avenir, ne suivra pas la voie indiquée par les intérêts américains mais ne suivra que la sienne propre en politique étrangère ».
Dans l’Est de l’Ukraine, depuis 2014, nous assistons à des affrontements très violents entre, d’une part, les forces de sécurités des républiques populaires de Lougansk et du Donetzk, et, d’autre part, les troupes ukrainiennes. Les deux régions autonomistes et russophiles s’étaient proclamées indépendantes suite à un putsch commis à Kiev, afin de s’orienter vers la Russie, tandis que le nouveau gouvernement ukrainien cherche à s’aligner sur l’Occident et sur l’OTAN. Les deux camps s’accusent mutuellement de saboter les accords jadis conclus à Minsk.
(article paru sur : https://www.zuerst.de )
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par Juan Asensio
Ex: http://www.juanasensio.com
«En effet, même si elle n’est ni nécessité, ni caprice, l’histoire, pour le réactionnaire, n’est pourtant pas une dialectique de la volonté immanente, mais une aventure temporelle entre l’homme et ce qui le transcende. Ses œuvres sont des vestiges, sur le sable labouré par la lutte, du corps de l’homme et du corps de l’ange. L’histoire selon le réactionnaire est un haillon, déchiré par la liberté de l’homme, et qui flotte au vent du destin.»
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Ex: http://www.dedefensa.org
Il y a eu un accord entre le SPD et la CDU/CSU pour un gouvernement allemand dite de “Grande Coalition”(laquelle n’a plus la majorité dans les sondages, mais passons puisque les sondages ne sont que des photographies d’un instant) ; c’est-à-dire qu’il y a eu un accord d’abord entre Martin Schulz et Angela Merkel, les deux dirigeants des deux partis et comme deux bois morts de la forêt dévastée qu’est la politique allemande ; puis, aussitôt après cet accord déjà des protestations très vives dans les “parties” prenantes, surtout au SPD, jusqu’à un coup de théâtre. Schulz, l’ancien et insupportable président du Parlement Européen fameux pour ses menaces méprisantes à l’encontre des Grecs et des Polonais, a dû en rabattre. Sorti de la salle de négociation en annonçant triomphalement qu’il prenait le poste convoité de ministre des affaires étrangères, il a dû reculer, pressé par la fureur qui a parcouru la direction de son propre parti devant lequel il s’était engagé à ne jamais faire partie d’un nouveau gouvernement Merkel, et renoncer à ce poste au profit du titulaire actuel, le SPD Sigmar Gabriel qui a mené la fronde. Ce qu’Alexander Mercouris nommait déjà “la Grande Coalition-fantôme” est devenue instantanément la “Grande Coalition-zombie” quasiment unijambiste sinon hémiplégique.
Mercouris, grand connaisseur de l’Allemagne et jugeant la crise allemande actuelle particulièrement grave, avait commencé son article de fond sur l’accord Schulz-Merkel avec la situation initiale (Schultz ministre des affaires étrangères). Il l’a terminé par un “postcript” relatant par le biais du Financial Times les dernières péripéties :
« M. Schulz a fait face à une vague de colère de la part du SPD après avoir accepté le poste, bien qu'il ait juré de ne jamais servir dans un cabinet dirigé par Angela Merkel :
» “Les sociaux-démocrates ont déclaré que la volte-face [de Schulz] a laissé le parti avec un énorme problème de crédibilité alors qu'il lance un sondage national de ses 460 000 membres sur l'accord de coalition conclu cette semaine avec les conservateurs de Mme Merkel.
» Dans une déclaration vendredi, M. Schulz a déclaré que la discussion de son rôle “mettait en danger le succès de l’accord” et qu’il espérait qu’en abandonnant le ministère des Affaires étrangères, il pourrait mettre fin aux “discussions sur les questions de personne au sein du SPD”. “Nous faisons tous de la politique pour les gens de ce pays”, a-t-il dit, “il est donc approprié que mes ambitions personnelles soient reléguées au second plan des intérêts du parti“.
» Son retrait inattendu intervient après qu'il ait été l’objet d’une attaque furieuse du ministre allemand des Affaires étrangères, Sigmar Gabriel, qui l'a accusé d'avoir trahi ses engagements en acceptant son poste. M. Gabriel a déclaré au groupe de presse Funke qu'il avait été un ministre des Affaires étrangères efficace et populaire, mais que ‘les nouveaux dirigeants du SPD se fichent clairement de cette appréciation publique de mon travail’.
» Berlin a été secoué de tumulte depuis que les conservateurs d'Angela Merkel et le SPD de M. Schulz ont dévoilé mercredi leur nouvel accord de coalition, au milieu d'une fureur généralisée sur la façon dont les postes ministériels étaient répartis entre les deux partis.
» L'accord de 177 pages est conçu pour mettre fin à l'impasse politique laissée par les élections peu concluantes de septembre, au cours desquelles les deux partis ont perdu des voix en faveur de l'Alternative d'extrême droite pour l'Allemagne. Mais l’affaire a été éclipsée par la dispute sur quelles personnalités ont obtenu quels ministères.
» De leur côté, les conservateurs sont absolument déchaînés : le SPD, qui n'a remporté que 20,5% des suffrages – son pire résultat dans l'histoire de l'Allemagne d'après-guerre – s’est vu également confier le ministère des Finances, qui depuis huit ans est le fief de la CDU de Mme Merkel. Au SPD, la colère à propos de la nomination de M. Schulz au ministère des Affaires étrangères était encore plus grande ...” »
Cela conduit Mercouris à sa conclusion finale qui laisse ouverte, sinon grande ouverte la porte à de nouveaux rebondissements dans ce qui est désormais, et de loin, la crise politique la plus grave de l’Allemagne d’après-guerre : « Cette révolte et la décision de Schulz d’abandonner le ministère des Affaires étrangères soulignent le fait qu’essayer de perpétuer le gouvernement de la ‘Grande Coalition’ qui a perdu tant de soutien en septembre est une très mauvaise idée. Le fait que Schulz ait été obligé de partir, et la réaction également furieuse à propos de cet accord de la part de nombreux membres du SPD et de la CDU/CSU, semblent signaler que l’accord pourrait bien être en train de se désintégrer... »
L’épisode laisse effectivement présager d’autres tribulations pour cette “Grande Coalition” qui semble être rien de moins que mort-née ; qui, si elle se met tout de même en place, n’aura guère d’autorité ni de latitude d’action, comme un gouvernement de crise perpétuant l’apparence d’une sauvegarde... L’accord avec ses péripéties permettent d’avoir une vision impressionnante des ravages causés au système politique allemand, aussi bien par la politique de Merkel de ces dernières années que par la décrépitude de l’establishment, le vieillissement et l’inanité du personnel de direction, et notamment des dirigeants les plus en vue, le désordre interne des deux principaux partis, etc. Quelle différence avec l’Allemagne d’il y a trois ans, qui dictait sa loi à la Grèce comme si elle était le IVème Reich et faisait marcher l’Europe au pas de l’oie ! L’Europe justement : alors que Macron commence à rencontrer des difficultés sérieuses après l’hébétude fascinée qui suivit sa victoire, son attente des retrouvailles d’un “partenaire” allemand solide pour relancer une dynamique européenne selon la vision conventionnelle se trouve confrontée à de très sérieux obstacles. D’ores et déjà, l’élimination de Schulz du poste des affaires étrangères représente un sérieux revers pour Macron, Schulz étant un partisan acharnée d’une intégration européenne au forceps, selon ses habitudes ; au contraire, Gabriel est plus tenté par un équilibrage de la politique allemande, passant par une amélioration des relations avec la Russie, à laquelle une Merkel extraordinairement affaiblie ne pourra guère s’opposer.
Encore tout cela reste-t-il de la spéculation du meilleur des cas, celui où l’accord SPD-CDU/CSU de mercredi dernier serait accepté sans autre remous, et le nouveau gouvernement mis en place dans les mêmes conditions. Après l’épisode Schulz et le constat d’un si fort mécontentement des cadres des deux partis pour un accord qui ne satisfait personne, l’hypothèse d’une désintégration de cet accord est loin d’être hors de propos. On se trouverait alors dans une impasse, après avoir essayé toutes les formules, avec la possible nécessité de nouvelles élections qui pourraient être catastrophiques, – en fait, une autre sorte d’impasse pour les partis dominant, ou ex-dominant. (Actuellement, le SPD est à 17%, presque rejoint par l’AfD eurosceptique d’extrême-droite avec 15%, et il est probable que les dernières péripéties ont encore réduit cette marge minimaliste. D’autres déplacements de voix sont probables et ces divers facteurs font que de nouvelles élections pourraient réserver des surprises catastrophiques pour l’establishment.)
Il se confirme par conséquent que l’Allemagne se trouve dans une crise politique profonde, qui ébranle le régime lui-même. L’Allemagne suit la tendance crisique très forte qui affecte tous les pays du bloc-BAO, d’une façon ou l’autre, spécifiquement selon les pays, alors que les crises extérieures (en Syrie et au Moyen-Orient avec la “folie-compulsive” US, à “D.C.-la-folle” où se poursuit l’affrontement autour du pouvoir, etc.) continuent à se développer au rythme du “tourbillon crisique”. C’est un des derniers pôle d’une stabilité-Système qui tend à se dissoudre, tandis que le partenaire français de l’Allemagne, incapable de se dégager des engagements extérieurs catastrophiques de ces dix dernières années, continue à cultiver une exceptionnelle absence d’influence par rapport à ce que ce pays pourrait prétendre, – contribution française à la Crise Générale de l’Effondrement.
Avec la quasi-sécession en cours des pays d’Europe de l’Est (“les quatre de Visegrad”), l’Europe est sur la voie d’une sorte de désintégration par délitement et par dissolution de l’intérieur (autre approche du même processus que risque de suivre la “Grande Coalition” de la pauvre Merkel). Tout semble donc fonctionner, avec une quasi-parfaite coordination, pour poursuivre le processus de l’effondrement. Ce qui est remarquable, c’est la diversité des approches, et combien, les divers dangers identifiés (la montée du populisme, identifiée depuis 4-5 ans) ne se manifestent pas comme on les attend mais s’adaptent aux diverses situations. C’est qu’en vérité, il n’y a pas à craindre un danger ou l’autre qui attaquerait le Système puisque le seul danger est le délitement et le processus d’autodestruction alimentés par le Système lui-même. C’est de plus en plus une affaire qui roule...
Mis en ligne le 10 février 2018 à 14H58
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Hermann, comte von Keyserling, Philosophe allemand d'origine balte, né le 20 juillet 1880, décédé le 26 avril 1946
Voyage dans le temps
Hermann von Keyserling
Extraits (Sélection de Georges Hupin) :
- 1 - Cependant, une mère qui n'est pas une éducatrice de l'âme dans le sens de la transmission d'une tradition, ne mérite pas son nom. Cela est le seul fondement valable du fait que, dans aucune société saine, les enfants illégitimes ne sont placés sur le même rang que les enfants légitimes.
- 2 - On disait généralement que mon père adulait sa femme et l'admirait au-delà de toutes les bornes de la raison. En effet, non seulement il lui abandonnait la direction de sa maisonnée, mais son être tout entier, il se laissait choyer comme un enfant et conseiller par elle en toute chose.
De son côté ma mère lui donnait son cœur tout entier, ce qui lui permettait de mettre pleinement en valeur son caractère exceptionnellement fort et puissant et de vivre jusqu'au bout son exclusivisme qui confinait à la dureté : c'est là ce dont elle avait besoin. Elle régnait absolument sur tout en gardant l'apparence de servir. […] Elle s'était donnée si exclusivement à son mari et à ses enfants que sitôt après son mariage, elle était devenue pour ainsi dire étrangère à sa propre famille […] Jour et nuit, elle faisait infatigablement tout ce qui était nécessaire pour son mari et ses enfants, car sa capacité d'action était immense […] En vertu de quoi mon père, qui lui avait donné tout son cœur et qui croyait aveuglément en elle, était parfaitement heureux. Et quant à elle, du moins croyait-elle l'être.
- 3 - Ma mère manquait complètement de souplesse, elle était passionnée et colérique, avec une tendance à la brutalité et à une certaine grossièreté d'expression. Elle était dominatrice et despote, mais comme elle avait sans cesse à faire et que les gens lui obéissaient au doigt et à l'œil, son énergie se déployait en général de manière bienfaisante. Comme chef de la maison, mon père était un véritable pacha et à ce titre-là, fort exigeant, bien qu'il fût doux et délicat de nature ; il se sentait tellement seigneur et maître, aussi bien dans le sens de la domination que dans celui de la possession, que je n'ai jamais rencontré son pareil plus tard en aucun lieu. Il considérait aussi sa femme comme sa propriété et il était si jaloux de nature, que dans notre enfance il lui arriva d'être de mauvaise humeur durant plusieurs jours parce que ma mère s'était intensément vouée à de jeunes cigognes noires que l'on avait apportées à la basse-cour pour nous autres enfants. […] dans sa féminité primitive, ma mère semblait apprécier assez ce genre "pacha" et ce sentiment possessif chez mon père. Elle-même était d'ailleurs excessivement jalouse, considérant par exemple ses enfants comme sa possession exclusive.
- 4 - Là était la beauté de l'ancien ordre aristocratique : chacun était pleinement respecté dans son caractère spécifique, à son rang reconnu, et chacun se comportait sincèrement selon ce rang, de sorte qu'il ne pouvait y avoir de conflits nés de la jalousie ou de l'envie.
- 5 - Après la mort de mon père, ma mère fut complètement perdue […] Elle devint de plus en plus intime avec lui [le précepteur de Hermann Keyserling] […] Nous autres enfants, bien entendu, ne remarquions rien de ce qui se passait […] parce que notre sentiment de la différence de niveau qui séparait de notre famille ce jeune homme, excluait à nos yeux toute relation intime. Aujourd'hui, hélas ! ce sentiment élémentaire du niveau social n'existe presque plus chez les jeunes gens ; il suffit pour eux qu'on soit gentil et sympathique à tous égards : toute autre considération passe pour être un préjugé aristocratique ou bourgeois et est éliminée d'office. […] Il n'y a rien de plus essentiel que les différences de niveau ; elles […] créent sur ce plan des limites aussi infranchissables que celles qui séparent une espèce animale d'une autre. […] Celui qui est né un seigneur est essentiellement un seigneur-né, de même que celui qui est né un serviteur est un serviteur-né. Là où cela n'est pas clairement entendu, il y a toujours une dégénérescence psycho-intellectuelle […] un soir […] ma mère me déclara qu'elle ne pouvait faire autrement que d'épouser l'ancien précepteur […]
- 6 - Cette génération [les ancêtres de Keyserling] possédait encore le sentiment très vif qu'il était tout naturel qu'elle occupât une position privilégiée, sentiment que l'on ne retrouve plus chez les générations suivantes. […] Aristote, qui enseignait que l'égalité est le véritable rapport entre égaux, mais qu'entre gens inégaux c'est au contraire l'inégalité. […] Les monarchies ne s'écroulent jamais quand les rois les tiennent solidement en main, et, dans l'histoire, rares sont les révoltes de paysans au temps où les seigneurs étaient forts et conscient de leur force. L'oppression suscite rarement la révolte, mais la faiblesse toujours, et l'on a tôt fait d'interpréter faussement l'humanité et la libéralité comme de la faiblesse.
[Comme dans Le chat et les pigeons d'Agatha Christie.]
- 7 - Mon père était si doux dans son commerce avec autrui qu'à une époque où cela pouvait passer pour un tour de force, il ne se battait jamais en duel. Cela ne l'empêcha pas de me dire, alors que j'avais tout juste treize ans : "Si jamais un professeur a l'audace de porter la main sur toi, tue-le d'un coup de revolver ; peu importent les conséquences". Dans cet ordre, en apparence si peu pédagogique, s'exprimait le sentiment que nous autres, gentilshommes baltes, nous ne pouvions nous maintenir que très exactement dans la mesure où nous ne nous plierions pas à ce que les autres trouvaient bon, et où nous défendrions notre position privilégiée non seulement sans tenir le moindre compte de l'esprit de l'époque mais avec une folle témérité.
- 8 - Il est ridicule de prétendre, comme on le fait malheureusement trop souvent ces derniers temps, qu'ils [les ancêtres de Keyserling] aient "lutté" contre la russification, contre les Esthoniens ou contre la barbarie. Le seigneur ne lutte pas contre ce qui est en dessous de lui, il le domine, le guide, l'éduque. […] Tous mes ancêtres, qui ont défendu leur caractère germanique […] l'ont fait au nom de leur être propre, senti par eux comme supérieur, mais qui, en tant que tel et selon l'impératif "Noblesse oblige" créait des obligations et ne justifiait aucune sorte de ségrégation. Leur devise inexprimée n'était pas celle que Leopold Ziegler présentait après 1918 comme celle de l'homme noble : "Servir, et non se servir", mais : "Ni se servir, ni servir, donner généreusement." Ils avaient l'assurance souveraine de l'homme vraiment souverain, qui n'a besoin d'aucun aiguillon extérieur pour donner le meilleur de soi-même et qui à plus forte raison n'attend aucune reconnaissance.
- 9 - Le type du seigneur balte avait des racines psychologiques et sociologiques ; il était le produit de la tension qui opposait une infime minorité à une couche inférieure beaucoup plus nombreuse qu'elle ne se contentait pas de dominer, mais dont elle prenait soin, consciente de ses responsabilités […] Ainsi s'est opéré, au cours des temps chez le type le plus accompli du gentilhomme balte, une sorte de synthèse du sentiment de responsabilité du prince qui veut le bien de ses sujets, de la conscience aristocratique du Romain, proclamant fièrement Civis romanus sum, et du colon anglais. Ce n'est donc pas sans raison qu'un historien allemand a prétendu que le seul type d'homme des temps modernes avec lequel les Baltes aient quelque ressemblance était celui du colon anglais des États du Sud, en Amérique du Nord, avant qu'il ait été médiatisé par la guerre de Sécession. […]
Ainsi mes ancêtres ont défendu leur originalité non par étroitesse de vue et de cœur, en s'opposant à d'autres sur le même plan qu'eux et en les combattant, mais au nom de leur être propre, ressenti par eux comme supérieur, et qui, de ce fait, leur créait des devoirs.
- 10 - […] après qu'on eût porté le cercueil [du père de Keyserling] dans la salle, de fidèles serviteurs, en particulier les gardes forestiers de Könno, de vrais vassaux, montèrent en pleurant la garde funèbre. Jamais aucun de nos gens ne fut effleuré par l'idée que mon père, en tant que seigneur, n'était pas leur maître à tous. Il était si naturellement le seigneur qu'il lui suffisait d'être là, plein de douceur, et de guider doucement pour que tous lui offrissent leurs services.
- 11 - Pour moi, dès ma prime jeunesse, je n'étais jamais tombé amoureux ; en tout cas je ne m'étais jamais avoué qu'un amour germait en moi, car mon inconscient très puritain n'admettait pas la simple possibilité d'une chute dans la sensualité, condamnée comme une faiblesse. En outre la conscience des hommes baltes de ma génération qui furent plus ou moins mes contemporains, était encore entièrement déterminée par la tension : sanctuaire inviolable - vice […] ce qui les conduisait d'une part à idéaliser démesurément la femme dite "comme il faut", d'autre part à traîner dans la boue, avec autant d'exagération, toute femme qui menait une vie contraire à l'idéal, ce qui excluait une vie amoureuse libre sous la forme de la beauté.
- 12 - Le fait que, chez l'homme, les sens mènent, à tous les âges, une vie à part, tient à sa physiologie, et plus encore au penchant qui incline la plupart des hommes vers la laideur des bas-fonds, et auquel ils ne peuvent - et le plus souvent aussi ne veulent s'adonner avec un être qui fait vibrer leur âme. Gustave Flaubert s'est fait l'interprète de beaucoup d'hommes quand il a écrit très justement : "On peut adorer une femme et aller chaque soir chez les filles."
[Comme Simenon.]
- 13 - Je compris alors une fois pour toutes combien nos sentiments personnels et nos opinions - qui reposent toujours sur des préjugés - font obstacle à notre évolution si nous les prenons au sérieux. Or aucun type humain ne le fait autant que l'Anglo-Saxonne, surtout l'Américaine. Elle accepte moins que toute autre de reconnaître des différences de niveau et par suite une hiérarchie des valeurs. "Mon opinion vaut bien la vôtre", tel est son dernier argument. Et elle croit avoir le droit de détruire un rapport essentiellement profond entre deux êtres, tel que le mariage, pour peu que le mari ait un caractère difficile ou des habitudes qui ne lui plaisent pas. Voilà pourquoi les Américaines se font si peu scrupule de quitter un homme pour un autre. Voilà pourquoi […] le niveau des livres américains les plus lus est extrêmement bas et pourquoi les esprits qui jouissent en Amérique du plus grand prestige sont si médiocres […] car outre-Atlantique c'est la femme qui détermine le goût […]
- 14 - Le premier objet d'authentique vénération que je trouvai et le plus important fut Houston Stewart Chamberlain. […] Je laissai de côté ce qui fit de Chamberlain une puissance morale politique, son racisme, son pangermanisme, ses vues antidémocratiques et antilibérales ; ces particularités, je les lui "passai" […] Personnellement ces opinions ne m'intéressaient pas ; à cette époque-là j'étais rigoureusement apolitique.
[En fait Keyserling n'a pas dû se forcer beaucoup pour admirer Chamberlain, parce qu'il était lui-même aristocratique, antidémocratique et antilibéral.]
18:43 Publié dans Philosophie, Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : hermann von keyserling, révolution conservatrice, noblesse balte, aristocratie balte, pays baltes, baltikum, philosophie, allemagne | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Avondland en Rijksgedachte
door Jonathan Van Tongeren
Ex: https://www.novini.nl
Er wordt veel gesproken over Europa of het Avondland. Maar wat is Europa? Velen hebben al gewezen op de betekenis van het Romeinse recht en het Griekse denken en sommigen noemen de Europese cultuur daarom zelfs excentrisch. Zij zien echter iets cruciaals over het hoofd. Kenmerkend voor het Avondland is de spanning tussen universaliteit en particulariteit. Dit laat zich het beste illustreren aan de hand van de Rijksgedachte.
Enerzijds is Europa voor een klein continent zeer rijk aan volken en naties, kent het een grote diversiteit aan regionale culturen en levenswijzen, anderzijds leeft nergens het universele denken sterker dan in Europa. Dat universele denken heeft bijvoorbeeld betrekking op het denken in termen van Europa of Avonland; ondanks de niet geringe culturele onderscheiden tussen de volken en regio’s van Europa, bestaat er toch een besef dat de Europeanen iets gemeen hebben, in zekere zin bij elkaar horen. Verder heeft het universele denken ook betrekking op de hele mensheid. Nergens wordt er zo sterk in termen van de gehele mensheid gedacht als in de Europese cultuurkring.
Aanvankelijk was Europa vooral een term die betrekking had op de klassieke beschaving ten westen van de oostkust van de Middellandse Zee. Het Romeinse Rijk breidde zich echter uit naar Gallië, Iberië en Germanië en incorporeerde Galliërs, Germanen en anderen in het Romeinse Rijk, ging ze op enig moment als Romeinse burgers beschouwen. Zo werden deze Germanen en anderen vanuit hun particulariteit opgenomen in de universaliteit van de Pax Romana. Hier werd een belangrijk fundament gelegd voor wat Europa later zou worden.
In de nadagen van het Romeinse Rijk organiseerde zich buiten het bereik van Rome, aan de andere kant van Rijn en Donau een confederatie van Germaanse stammen. Zij noemden zich de Franken, dat wil zeggen de vrijen, vrij van Romeinse overheersing. Deze Franken zouden later net als de Alemannen en anderen het Romeinse Rijk binnenvallen, zich vermengen met de lokale Gallo-Romeinse bevolking en er eigen koninkrijken vormen.
Nog later zou echter juist een Frankische koning de draad van het gevallen West-Romeinse Rijk weer opnemen: Karel de Grote. Dit is het eerste rijk, hier begint de Rijksgedachte. Het Rijk van Karel de Grote stond natuurlijk niet alleen in de universele traditie van het Romeinse Rijk, de Franken namen ook hun particulariteit mee. Hier zien we de typische spanning die kenmerkend is voor Europa. De Franken waren de dragende natie van het nieuwe Rijk, maar voor andere volken was zeer beslist plaats daarbinnen.
Zo hebben we gezien hoe het Romeinse en het Germaanse een rol speelde in de totstandkoming van het Europese. Ook het christendom speelde echter een belangrijke rol, het faciliteerde het samengaan van het Romeinse universele en het Germaanse particuliere. Het christendom kon de samenvloeiing van het Romeinse en het Germaanse faciliteren, doordat het zelf al de spanning tussen het universele en het particuliere in zich draagt. Dit zien we bijvoorbeeld als de apostel Paulus vanuit Klein-Azië naar Europa is gekomen en op de Areopagus in Athene met de mensen spreekt. We lezen hierover in Handelingen 17:15-34. In vers 26 zegt de apostel dan: “Hij [God] heeft uit één enkele [mens]het gehele menselijke geslacht gemaakt om op de ganse oppervlakte van de aarde te wonen en Hij heeft de hun toegemeten tijden en de grenzen van hun woonplaatsen bepaald.” Enerzijds is de hele mensheid dus verwant, anderzijds wil God dat de mensen zich verspreiden op de aarde en volken zich ergens vestigen om eigen particuliere tradities vormen.
We zien in de geschiedenis ook terug dat dit denken heeft postgevat bij de gekerstende Germanen. Zonder Clovis die zich liet dopen, was er geen Karel de Grote geweest die bij Byzantium erkenning zocht van zijn rijk als opvolger van het West-Romeinse Rijk. Waar het Romeinse Rijk nog uitging van het opnemen van Galliërs en Germanen in het Romeinse Rijk door assimilatie, is deze neiging nauwelijks aanwezig in het Rijk van Karel de Grote. Waar Rome zijn particulariteit expandeerde tot universele proporties, neemt de universaliteit van het Frankische Rijk andere particulariteiten in zich op zonder die op te heffen.
De Rijksgedachte leeft later voort in het Heilige Roomse Rijk der Duitse Natie. De Duitse natie is daarin dragend, maar andere naties hebben een plaats binnen het rijk dat zich uitstrekt naar Bohemen en Italië. Nog later zien we nog het meeste van de Rijksgedachte terug in de Oostenrijks-Hongaarse Dubbelmonarchie. Dat rijk wordt na de Eerste Wereldoorlog echter onder het mom van Wilsons idee van nationale zelfbeschikking aan stukken gereten. Deze schending van de Rijksgedachte zal grote gevolgen hebben voor Europa. “Dat is nu eenmaal”, zoals Schiller dicht, “de vloek van de euvele daad, dat ze, zich voortplantend, steeds nieuw kwaad baart.”
Hieruit komt dan ook de geperverteerde Rijksgedachte van een door de afloop van de Eerste Wereldoorlog gefrustreerde Oostenrijkse korporaal in Duitse dienst voort. Zijn zogenaamde Derde Rijk heeft niets uit te staan met de oude Rijksgedachte, het gaat hem om Lebensraum voor de Duitse natie en andere volken moeten daarvoor wijken of zelfs uitgeroeid worden. Om deze demonische pervertering van de Rijksgedachte uit te bannen moest alles uit de kast getrokken worden.
Maar na het uitbannen van deze geest, is Europa niet teruggekeerd naar de Rijksgedachte. Zo zitten we nu met een ten diepste on-Europese ‘ever closer union’. De vraag is of een terugkeer naar de Rijksgedachte om die onder de nieuwe omstandigheden opnieuw vorm te geven nog mogelijk is. Een appreciatie van het Europese erfgoed lijkt daarvoor niet toereikend. De Britse Conservatieve politicus, wijlen sir Fred Catherwood bracht het treffend onder woorden: “We have swept our European house clean of fascism and of communism. We now have democracy and freedom of speech from the Atlantic to the Urals. But we also now have a Europe emptier than before of the Christian faith. In the words of Christ’s parable, Europe is a house swept clean, ready for seven devils worse than the first to come in.”
00:54 Publié dans Affaires européennes, Histoire, Synergies européennes, Théorie politique, Traditions | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : empire, saint empire, allemagne, occident, idée impériale, europe, affaires européennes, histoire, théorie politique, politologie, sciences politiques, philosophie politique, tradition, traditionalisme | | del.icio.us | | Digg | Facebook
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https://sezession.de/58155/andreas-kalbitz-im-gespraech-d...
FAZ: „Hurra, wir haben die AfD unter Kontrolle“
http://www.pi-news.net/2018/01/faz-hurra-wir-haben-die-af...
Eklat um Björn Neumann wegen ehem. NPD Mitgliedschaft auf dem 8. AfD-Bundesparteitag (02.12.2017)
https://www.youtube.com/watch?v=bEMAsxwe05c
Landtag
Landtag: Rasches Ende der staatlichen Finanzierung der NPD
http://www.t-online.de/nachrichten/id_83110992/landtag-ra...
(Kommentar dazu)
Parteienfinanzierung
Im Geiste undemokratisch
von Moritz Schwarz
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/im-geiste...
Wer hat uns verraten?
Der Doppelbetrug der Sozialdemokraten
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/der-doppe...
SPD
Wirklichkeitsferne
Abschied vom Volk
von Nicolaus Fest
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/abschied-...
Bundesdelegiertenkonferenz der Grünen
Neue Gesichter, alter Größenwahn
von Michael Paulwitz
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/neue-gesi...
Öffentliche Verkehrsbetriebe
Richterbund: Schwarzfahren soll keine Straftat mehr sein
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/richter...
Ersatzfreiheitsstrafe
Schwarzfahrer im Knast kosten den Staat Millionen
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/schwarz...
Hessens Behörden haben 2017 erneut mehr Kleine Waffenscheine ausgestellt
http://www.echo-online.de/politik/hessen/hessens-behoerde...
Einsatz zur Ortung von Tatverdächtigen: Behörden schicken immer mehr "stille SMS" Handy-Überwachung nimmt zu
https://www.ovb-online.de/handy-ueberwachung-nimmt-955604...
Bundesnachrichtendienst
Deutschland lässt zu, dass sein Geheimdienst unkontrolliert schaltet und waltet
http://www.sueddeutsche.de/politik/bundesnachrichtendiens...
Der geheimnisvolle Neubau des Bundesnachrichtendienstes
http://www.tagesspiegel.de/berlin/buchvorstellung-ueber-a...
Verbrennen von Israel-Flaggen verbieten
CDU-Fraktion im Abgeordnetenhaus stellt Antrag. Zentralrat der Juden begrüßt die Initiative
http://www.juedische-allgemeine.de/article/view/id/30569
Niederschlesien erhalten - Historisches nicht einfach streichen!
http://www.afdsachsen.de/presse/pressemitteilungen/nieder...
Greifswald
Ernst-Moritz-Arndt-Universität benennt sich um
https://jungefreiheit.de/kultur/2018/ernst-moritz-arndt-u...
Rudolf Gramlich gehörte der Waffen-SS an
Eintracht lässt NS-Zeit ihres Ehrenpräsidenten untersuchen
https://www.op-online.de/sport/eintracht-frankfurt/eintra...
Oskar Gröning
Ex-SS-Mann reicht Gnadengesuch ein
http://www.tagesspiegel.de/politik/oskar-groening-ex-ss-m...
Ex-SS-Mann Gröning: Gnadengesuch abgelehnt
https://www.ndr.de/nachrichten/niedersachsen/lueneburg_he...
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS/ RECHTE
Friktionen in der Linkspartei
Die Dialektik des Sozialen
von Werner Patzelt
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/die-diale...
Karheinz Weißmann: Kulturbruch ’68 – eine Rezension
Von Werner Olles
https://sezession.de/58137/karheinz-weissmann-kulturbruch...
Ellen Kositza: "Nebenbei: knallrechts"
Ellen Kositza lebt auf einem Rittergut, hat sieben Kinder und gilt als Frontfrau der Neuen Rechten. Sieht so ein nationalistischer Feminismus aus?
http://www.zeit.de/2018/05/ellen-kositza-neue-rechte-femi...
Kampagne gegen IB-Chef Sellner
„Wer nicht ihrer Ideologie entspricht, soll ruiniert werden“
von Lukas Steinwandter
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/wer-nic...
AfD-Anzeige gegen Eintracht-Präsident Fischer
http://www.faz.net/aktuell/sport/fussball/bundesliga/afd-...
JF-TV
Zwietracht Frankfurt – Die Doppelmoral des Peter Fischer
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/zwietra...
Eintracht-Frankfurt-Präsident Peter Fischer legt gegen AfD nach
https://www.gmx.net/magazine/sport/fussball/bundesliga/ei...
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/frankfu...
Politisierung des Sports
HSV geht auf Distanz zu Anti-AfD-Antrag
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/hsv-geh...
(Linke Demonstration gegen die "Demo für alle")
„Queer, pervers und arbeitsscheu“
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/queer-p...
"Recht auf faires Asylverfahren" Hunderte demonstrieren in Darmstadt gegen Abschiebegefängnis
In Darmstadt haben sich hunderte Menschen gegen die Einrichtung eines Abschiebegefängnisses gewandt. Mit Trillerpfeifen und Plakaten forderten sie faire Verfahren für alle Asylbeweber.
http://www.hessenschau.de/gesellschaft/hunderte-demonstri...
Düsseldorf
Proteste gegen Abschiebung nach Afghanistan
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/protest...
Leipziger Buchmesse
Skipis: Rechte Verlage sind keine Opfer, sondern Täter
https://jungefreiheit.de/kultur/literatur/2018/skipis-rec...
#verlagegegenrechts
Literarischer Zwergenaufstand
von Boris T. Kaiser
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/literaris...
Konzerte sollen verboten werden
Frei.Wild: Grüne sind beim Zündeln immer in erster Reihe
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/frei-wi...
Martin Schulz (SPD) beschimpft während Pressekonferenz Zwischenrufer als "Nazi" (15.01.2018)
https://www.youtube.com/watch?time_continue=39&v=5uEg...
Kritik an Facebook-Eintrag
Empörung über KZ-Vergleich von Jusos
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/empoeru...
Ermittlungsverfahren
„Bullenhunde“: Linken-Politikerin pöbelt gegen Polizisten
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/bullenh...
65 Prozent mehr "Reichsbürger" – 1000 besitzen legal Waffen
https://www.morgenpost.de/politik/article213229301/65-Pro...
SPD warnt vor Reichsbürger
Die SPD hat einen neuen Feind ausgemacht, der das gesellschaftliche Leben bedroht: Bundesvize Ralf Stegner warnt vor Unterschätzung der „Reichsbürger“-Szene.
https://www.mmnews.de/politik/46209-spd-warnt-vor-reichsb...
„Aufstehen gegen Rassismus“
AfD: Keine öffentlichen Gelder für Feierabendterroristen
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/afd-kei...
(Geduldeter Linksextremismus in Offenbach)
Polizei: Aktion in Zollamt-Studios unbedenklich
Tätowieren für die Antifa
https://www.op-online.de/offenbach/taetowieren-antifa-955...
https://de-de.facebook.com/events/1552738274761305/
G20-Ausschreitungen
Linken-Politikerin attackiert „Rote Flora“-Besetzer
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/linken-...
Kosten in Millionenhöhe
Polizei räumt besetzte Schule in Berlin-Kreuzberg
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/polizei...
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
PRO ASYL – Migrationsnetzwerk und Meinungsmacht
https://fassadenkratzer.wordpress.com/2016/06/06/pro-asyl...
Türkische Gemeinde: Deutschland neu denken
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/tuerkis...
Europa Reform des Asylrechts der Gemeinschaft besorgt einige Mitgliedstaaten / Bis zu 1,4 Millionen zusätzliche Einwanderer?
Nachzugspläne alarmieren Deutschland
https://www.morgenweb.de/mannheimer-morgen_artikel,-polit...
Bundesagentur für Arbeit
Mittlerweile ist fast jeder sechste Hartz-IV-Empfänger ein Flüchtling
https://www.welt.de/politik/deutschland/article172660377/...
Die Flüchtlingskosten sind ein deutsches Tabuthema
https://www.nzz.ch/meinung/kommentare/die-fluechtlingskos...
(Na dann ist ja alles wieder gut…)
GroKo-Sondierungen
Union und SPD erklären Flüchtlingskrise für beendet
https://www.welt.de/politik/deutschland/article172416497/...
(Na also… Nur, wer bezahlt es den Kassen?...)
Regierung soll „gute Situation nutzen“
Kassen: Flüchtlinge entlasten Krankenversicherung
https://www.op-online.de/wirtschaft/kassen-fluechtlinge-e...
Gesundheitsversorgung für Flüchtlinge
Die Mär von der Entlastung der Krankenkassen
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/die-maer-...
Christmette im Petersdom
Papst ruft zu Mitgefühl für Geflüchtete auf
http://www.spiegel.de/panorama/gesellschaft/papst-franzis...
Papst fordert zum Weltflüchtlingstag Überwindung von Ängsten
https://www.kirche-und-leben.de/artikel/papst-fordert-zum...
Papst Franziskus fordert offene Türen für Migranten
https://www.stern.de/panorama/papst-franziskus-fordert-of...
Essen
SPD-Politiker beklagt Moslemisierung ganzer Stadtteile
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/spd-pol...
Knapp die Hälfte der Klagen gegen Asylbescheide erfolgreich
https://www.welt.de/politik/deutschland/article172477957/...
Bayern
Gericht hängt Kreuz in Prozeß gegen Afghanen ab
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/gericht...
Merkels Erbe: Ein verunsichertes Land
https://www.youtube.com/watch?v=M55Tkb0V4nI
Werner J. Patzelt - "Europa für alle? Aspekte der neuen Völkerwanderung"
https://www.youtube.com/watch?v=t2YOyDPN4RQ
Udo di Fabio - "Europa für alle? Aspekte der neuen Völkerwanderung"
https://www.youtube.com/watch?v=nyO-3yj1CNA
Flüchtlingszahlen
Eine Hartz-IV-Stadt jährlich
von Michael Paulwitz
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/eine-hart...
(Abschiebung verunmöglicht; gleich arabisch übersetzt)
https://www.youtube.com/watch?v=nYC0rdmKo-A
SPD-Außenminister verbreitet wiederholt "türkische Wiederaufbaulüge"
Sigmar Gabriel: Türken haben Deutschland aufgebaut
http://www.pi-news.net/2018/01/sigmar-gabriel-tuerken-hab...
Die Sonntage immer den Künsten!
Von Michael Klonovsky
https://www.michael-klonovsky.de/acta-diurna/item/741-14-...
(Christian Pfeiffer)
Zuwandererkriminalität
Schuld ist die Gesellschaft
von Fabian Schmidt-Ahmad
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/schuld-is...
Interview
Aras Bacho: „Ich will nicht provozieren“
von Felix Krautkrämer
https://jungefreiheit.de/debatte/interview/2018/aras-bach...
Familiennachzug
500.000 Syrern könnten genau so viele Angehörige folgen
https://www.welt.de/politik/deutschland/article160844524/...
Behörde genehmigt Ausnahmen
Zwei Syrer dürfen Zweitfrauen nach Deutschland holen
http://www.t-online.de/nachrichten/deutschland/gesellscha...
Düsseldorf
Islamisten bedrohen Bundespolizisten vor seiner Haustür
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/islamis...
Flüchtlingspolitik
Jeder Zweite klagt erfolgreich gegen negativen Asylbescheid
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/jeder-z...
Studie
Radikal-islamisch in der dritten Generation
von Boris T. Kaiser
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/radikal-i...
Besonders Schwarze betroffen
Antidiskriminierungsbeauftragte geißelt Alltagsrassismus
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/antidis...
Arbeitsagentur
Integration von Flüchtlingen dauert noch lange
http://www.hessenschau.de/wirtschaft/arbeitsagentur-integ...
Moslemische Kopfbedeckungen
Islamkurs-Debatte: Volkshochschule bietet Burkaanprobe an
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/islamku...
Forscher schlagen Alarm
Flüchtlinge bringen neue Form der Tuberkulose nach Europa
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/fluecht...
Es wurden Raubtiere unter Schafe gemischt und die Folgen werdet ihr spüren!
https://www.youtube.com/watch?v=YjT2NcvHdV8
KiKA-Sendung über junges Pärchen
Flüchtlingsliebe im Kinderfernsehen
von Lukas Steinwandter
https://jungefreiheit.de/kultur/medien/2018/fluechtlingsl...
Kinderkanal von ARD und ZDF betätigt sich als Kuppelsender mit "Flüchtlingen"
KiKA: Love-Story zwischem Moslem-Syrer und 16-jähriger Deutscher
http://www.pi-news.net/2018/01/kika-love-story-zwischem-m...
„Malvina, Diaa und die Liebe“
Flüchtlingsliebe im Kinderfernsehen: Unions-Politiker fordern Stopp von Doku
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/fluecht...
KiKA-Sendung
Hessischer Rundfunk verteidigt Doku über Flüchtlingsliebe
https://jungefreiheit.de/kultur/medien/2018/hessischer-ru...
Kritik an AfD
Grüne nehmen KiKA-Doku über Flüchtlingsliebe in Schutz
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/gruene-...
KiKA-Dokumentation
Flüchtlingsliebe: Sender weist Islamismus-Vorwürfe zurück
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/fluecht...
KiKA-Liebesdoku
Gemeingefährliche Vielfalts-Propaganda
von Michael Paulwitz
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/gemeingef...
KiKA und Kandel
https://sezession.de/57527/?komplettansicht=1
Frankfurt : Betonblöcke gegen Anschläge mit Lastwagen
http://www.faz.net/aktuell/rhein-main/betonbloecke-gegen-...
Debatte nach Mord in Kandel
Kinderärzte stemmen sich gegen Alterstests bei Flüchtlingen
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/kindera...
Darmstadt
Parallelen zu Kandel
16-Jähriger sticht Ex-Freundin nieder - Staatsanwaltschaft beantragt Altersüberprüfung
https://www.focus.de/panorama/welt/parallelen-zu-kandel-1...
Parallelen zum Fall Kandel
Altersprüfung bei Flüchtling nach Messerstichen auf 17-Jährige
https://www.welt.de/politik/deutschland/article172199090/...
#120db
Mein Name ist Mia
https://sezession.de/58169/mein-name-ist-mia
Angriff in Berlin
19-Jähriger versucht, 17-Jährige in Havel zu ertränken
https://www.welt.de/vermischtes/article171756964/Angriff-...
Studie zu Asylbewerber-Kriminalität
Und nun?
https://www.ovb-online.de/politik/nun-9497730.html
Gewaltkriminalität
Zahl der Messerattacken in Hessen gestiegen
http://www.hessenschau.de/panorama/zahl-der-messerattacke...
(Prügelopfer in Wien)
Edi Finger: So schlecht geht es ihm
http://www.oe24.at/oesterreich/chronik/wien/Edi-Finger-So...
Vier Fälle in einer Nacht
17 Jahre alter Afghane tritt Polizisten immer wieder gegen Kopf
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/17-jahr...
Polizisten krankenhausreif geprügelt
Regensburg: Foto zeigt Hauptverdächtigen auf Polizeiauto
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/regensb...
„Schweigespirale durchbrechen“
Weidel: Angriffe auf Einsatzkräfte sind „kulturelles Phänomen“
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/weidel-...
Hamburg
Barmbeker Messerstecher wollte als Märtyrer sterben
https://www.abendblatt.de/hamburg/article213088835/Prozes...
Kein heißes Pflaster
Spricht Serie von Gewalttaten für veränderte Sicherheitslage?
https://www.op-online.de/region/hanau/serie-gewalttaten-h...
Neun Jahre in Haft nach lebensgefährlichen Schüssen
Eskalation im Zockermilieu
https://www.op-online.de/offenbach/eskalation-zockermilie...
Nauen
Urteil im Prozess um Mord in Flüchtlingsheim - "Menschlich schwer nachvollziehbar, wie das geschehen konnte"
https://www.rbb24.de/politik/beitrag/2018/01/urteil-somal...
Gesicht aufgeschlitzt
Erneute Messerattacke in Cottbus – zwei Syrer festgenommen
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/erneute...
Erneut Konflikte zwischen Ausländern und Deutschen in Cottbus
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/erneut-...
Nach Messerangriffen
Cottbus wird keine weiteren Flüchtlinge aufnehmen
https://www.welt.de/politik/deutschland/article172640202/...
Prenzlau
18-jähriger Syrer wegen Bedrohung angezeigt
https://www.nordkurier.de/prenzlau/18-jaehriger-syrer-weg...
Nicht der erste Konflikt an Prenzlauer Schule
https://www.nordkurier.de/prenzlau/nicht-der-erste-konfli...
Suhl: Asylbewerber lassen Polizei nicht zur Ruhe kommen
https://jungefreiheit.de/politik/deutschland/2018/suhl-as...
Gelsenkirchen
Wegen Wodka: Moslemische Sittenwächter bedrohen Supermärkte
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/wegen-w...
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
Leben im Denkmal
Alle wollen im Fachwerk wohnen, im Bauhaus lieber nicht
https://www.welt.de/finanzen/immobilien/article172210406/...
Initiative „Gegen die Zerstörung historischer Fassaden durch Wärmedämmung“
https://stadtbildberlin.wordpress.com/schwerpunktthema-en...
Bahnprojekt Stuttgart 21
Stuttgart – Massengrab
https://jungefreiheit.de/debatte/kommentar/2018/stuttgart...
Frankfurts Merkel-Poller sollen schöner werden
Junge Union mit Ideen, BFF hat natürlich die besseren
http://www.bff-frankfurt.de/artikel/index.php?id=1260
Gegenwartsbewältigung durch Realitätsverweigerung
http://www.achgut.com/artikel/gegenwartsbewaeltigung_durc...
Inflationsbedingt
ARD-Intendant fordert höhere Rundfunkgebühr
https://jungefreiheit.de/kultur/medien/2018/ard-intendant...
„Strategie der schlauen Schlange“
Papst Franziskus ruft zum Kampf gegen „Fake News“ auf
https://jungefreiheit.de/kultur/gesellschaft/2018/papst-f...
Umstrittenes Busen-Memory
Heute bei Kika: Brüste! Brüste! Brüste!
https://www.bz-berlin.de/kultur/fernsehen/heute-bei-kika-...
Fragwürdiger Online-Beitrag
Neuer Kika-Wirbel: Hier lernen Jungs, wie man Mädchen an die Wäsche geht
https://www.bz-berlin.de/panorama/kika-beitrag-bh-oeffnen...
Politische Korrektheit
Formel 1 verzichtet zukünftig auf „Grid-Girls“
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Eklat um WDR-Sendung: "Cool" - Pubertierendes Mädchen wird zum Tragen eines Kopftuchs animiert
https://deutsch.rt.com/inland/64099-wdr-sendung-fur-puber...
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Kabarettist Malte Anders: „Ich muss nicht mehr lügen“
Obertshausen - Schwul, lesbisch, bi – soll das Schule machen? – Die „Partnerschaft für Demokratie im Kreis Offenbach“ und die Hermann-Hesse-Schule in Obertshausen sagen Ja und laden den Kabarettisten Malte Anders ein, mit Achtklässlern zu reden.
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Amazon und Google erhalten Einblick auf private Kontodaten
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Überwachung
Amazon: Datenabfrage der Behörden auf Rekordniveau
von Henning Lindhoff
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„Freiheit, lästig zu sein“
#MeToo-Debatte: Filmstar Deneuve verteidigt offenen Brief
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("Antirassistische" Feministen)
„Boris Palmer, wir hassen dich!“
Wilde Mädchen
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Sexismus-Vorwurf: Liebesgedicht an Hochschule wird übermalt
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Alice-Salomon-Hochschule
Poesie-Zensur – Wie eine Hochschule für Sozialarbeit versagt
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Das Drei-Klassen-Bildungssystem des Globalismus in Frankfurt
Privatschulen für Brexit-Kinder ausgebucht
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Fiume kommt nicht wieder – Demographie und Chancen
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„2.000 Jahre alte Hirtenmythologie“
Jusos blasen zum Kirchenkampf
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Frankreich-Polen
Posse um Papst-Denkmal
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Aufsehenerregende Aktion in der Domstadt
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Angebliches Islamverbot in Türkei
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Karnevalsrede
Innenminister provoziert mit Witz über Flüchtlinge
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Rassismusvorwurf in Frankfurt
Ausländerbeirat fordert Namensänderung der „Mohren“-Apotheken
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„Mohren-Apotheke“ in Frankfurt entfernt Logo
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Amerikanische Baseball-Liga
Nach Rassismusvorwürfen: Cleveland Indians entfernen Logo
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Foto zurückgezogen
Rassismus-Vorwürfe gegen H&M wegen „Affen“-Pullover-Werbung
https://www.welt.de/vermischtes/article172294655/Foto-zur...
(Der "Skandal" hat sich nicht nur für einen offenbar gelohnt)
Nach Rassismus-Skandal: H&M-Model bekommt Millionen-Deal von P. Diddy
https://www.gmx.net/magazine/unterhaltung/lifestyle/rassi...
Nach Rassismus-Vorwurf
Randale in südafrikanischen H&M-Filialen
https://www.br.de/nachrichten/randale-in-suedafrikanische...
Umstrittene H&M-Werbung
Das Empörende ist der Rassismus-Aufschrei
https://www.welt.de/vermischtes/article172302125/Umstritt...
Disney-Klassiker mit Will Smith
Weiße zu Arabern geschminkt: Rassismus-Vorwürfe gegen "Aladdin"-Neuverfilmung
https://www.stern.de/kultur/film/aladdin--disney-neuverfi...
Rassismus-Vorwürfe
Was für ein Affenzirkus!
Ein Journalist des "Kicker" bezeichnet Pierre-Emerick Aubameyangs Eskapaden als "Affenzirkus". Der BVB-Stürmer begibt sich auf Internetrecherche und fühlt sich rassistisch beleidigt – Aufregung allenthalben. Doch die Sache ist kompliziert.
http://www.rp-online.de/sport/fussball/borussia-dortmund/...
Rattenexperiment
(Calhoun 1962).
http://www.nulb.de/Calhoun.htm
L’Oréal wirbt mit Kopftuchmoslemin für Haarshampoo
http://www.pi-news.net/2018/01/loreal-wirbt-mit-kopftuchm...
Sieben Millionen sind zu wenig
Verkäufer bleibt auf Hitlers Mercedes sitzen
https://www.n-tv.de/auto/Verkaeufer-bleibt-auf-Hitlers-Me...
Darren Aronofskys „Mother!“ über die Zerstörung unserer kulturellen Identität
https://sezession.de/58136/darren-aronofskys-mother-ueber...
(Ängste vor der politischen Rechten in der Unterhaltungsliteratur und im Kino)
Wer hat Angst vor welchem Mann?
https://sezession.de/58101/wer-hat-angst-vor-welchem-mann
Das war's. Diesmal mit: Panik vor Büchern und unserem "Stoff"
https://sezession.de/57522/das-war's
Jelena Tschudinowa: „Die Moschee Notre-Dame“
https://sezession.de/58114/jelena-tschudinowa-die-moschee...
Buchtipp: "Tote weiße Männer lieben"
Streitschrift gegen Weißenfeindlichkeit
http://www.pi-news.net/2018/01/streitschrift-gegen-weisse...
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Comme le soulignait très justement le philosophe italien Julius Evola (1), les mots n’échappent pas au processus total d’involution, ce qui résulte en une perte de sens, en un galvaudage et, pire, à une substitution de sens. Le terme de « païen » ne se soustrait donc pas à la dégradation de son sens originel, c’est-à-dire à celui de « paysan » (2).
Le paganisme peut susciter de nombreuse interrogations quant à sa pratique et quant aux différentes façon d’être païen. Étant donné que cette forme spirituelle ne possède pas de dogme, la porte reste ouverte à tout et n’importe quoi, notamment le néo-paganisme, démarche obsolète et souvent ridicule. Il convient de balayer d’un revers de main ces manifestations de « religiosité seconde ».
Ensuite, certains appliquent un verni (pseudo-)polythéiste à l’athéisme. Tel est le cas d’Alain de Benoist, notamment, à l’époque de son livre Comment peut-on être païen ? (3). Faisant fi de son athéisme, il faut tout de même saluer le « paganisme philosophique » professé dans cet ouvrage de qualité. En ce qui nous concerne, notre critique du livre d’Alain de Benoist demeure semblable à celle de l’auteur américain Collin Cleary (4) qui lui oppose un polythéisme théiste aux accents heideggériens.
La question du polythéisme, et de la manière d’être païen, nécessiterait un article à part entière, si ce n’est pas un ouvrage complet. Nous ne pouvons donner ici que quelques pistes avant d’approfondir notre sujet. Renouer avec les textes fondateurs de l’Europe pré-chrétienne est indispensable : L’Iliade et L’Odyssée d’Homère, La théogonie d’Hésiode, Les métamorphoses d’Ovide, les sagas nordiques et les textes du cycle arthurien. Quant aux écrivains et penseurs païens contemporains, impossible de tous les citer ici. Néanmoins, nous conseillons trois lectures aux personnes intéressées par ce sujet. Tout d’abord, le numéro 73 de la revue Terre & Peuple (5) dont le dossier central porte justement sur le paganisme. Puis L’Âme européenne. Réponses à Bernard-Henri Lévy (6) de Robert Dun (précurseur dans notre milieu du sujet central développé dans cet article) et, enfin, Histoire et tradition des Européens. 30 000 ans d’identité (7) de Dominique Venner. Ces titres devraient apporter, dans un premier temps, une lumière bienvenue sur ce thème fondamental.
Le sujet que nous abordons constitue peut-être la racine principale de ce que l’on nomme paganisme : la relation de l’homme à sa terre, à la nature et au Kosmos; ces relations, ou plutôt interrelations, nous pourrions les réunir dans une seule expression, celle d’« écologie profonde » (ou « écologie intégrale »). Préoccupation majeure, l’écologie est malheureusement délaissée par de nombreuses personnes se réclamant de Droite au titre qu’elle serait de Gauche. Grave erreur ! La Gauche (extrême) a mis le grappin sur les questions environnementales, car la Droite radicale – sauf certains mouvements faisant exception comme feu le MAS ou, dans un registre plus « folklorique » dirons-nous, le Greenline Front – a abandonné ce thème qui fut le sien à l’origine. Heureusement vient de paraître aux éditions Akribeia un livre qui, nous espérons, remettra les pendules à l’heure, Piété pour le cosmos de l’Italien Giovanni Monastra et du Français Philippe Baillet.
Sans doute n’est-il pas nécessaire de présenter Philippe Baillet, illustre traducteur de Julius Evola, essayiste, auteur de nombreux articles (nous pensons notamment à la revue de tendance traditionaliste-révolutionnaire Totalité; saluons aussi son article écrit pour le dossier du numéro du magazine Terre & Peuple susnommé) et de plusieurs essais. Quant à Giovanni Monastra, il doit probablement être inconnu du public français. Son profil est très intéressant, car Monastra a une formation scientifique (il effectua des recherches dans les domaines de la neuropharmacologie, de l’immunopharmacologie) et se réclame également de la pensée traditionnelle, principalement d’Evola. Autant dire que nous avons affaire à un mélange explosif ! Le premier de nos auteurs, traduisant l’étude du second – et qui figure dans cet ouvrage – eut l’envie de contribuer, lui-aussi, à ce sujet essentiel qu’est l’écologie. Voici comment Piété pour le cosmos vit le jour.
La première partie de l’ouvrage s’intitule « Les racines révolutionnaires-conservatrices de la pensée écologique », elle est l’œuvre de Giovanni Monastra. Celui-ci débute son exposé par un constat évident, à savoir la césure entre l’homme et la nature, séparation qui s’est d’autant plus accéléré à cause de la révolution scientifique et de la révolution industrielle. Cet état dichotomique procède de la dégradation cyclique, la relation entre l’homme et la nature n’a pas toujours été ainsi comme le rappelle l’auteur. Les sociétés traditionnelles connurent une relation empathique et holistique de la nature. « La première modalité, dominante par le passé et qui renaît de nos jours, consiste en une approche empathique et holistique, donc une approche qui perçoit et “ sent ” la réalité vivante comme un Tout au sein duquel les différentes parties, du niveau microscopique aux macrosystèmes en passant par celui où nous nous situons, ont certes leur autonomie (et cela vaut en premier lieu pour l’homme, dont la liberté est hors de question), mais où cette autonomie ne revient pas à nier les interrelations profondes qui existent entre les parties. Tout cela s’accorde avec la conception de la nature comme “ puissance ” créatrice et sacrée (pour les cultures prémodernes), force unitaire ordonnée et complexe, gouvernée par un équilibre délicat qu’il ne faut pas enfreindre, mais au contraire respecter, si bien qu’il importe de ne pas dépasser certaines “ limites ” (p. 11.). »
Ces « limites » sont d’une importance capitale car elles garantissent l’équilibre naturel. Notre civilisation (devrions-nous pas l’orthographier Zivilisation ?), que l’auteur qualifie de « faustienne », ou « prométhéenne », avec son axiome indépassable du Progrès ne peut qu’enfreindre ces limites. Le respect scrupuleux de celles-ci et, par conséquent, la lutte contre le prométheisme caractérise normalement toute écologie (ante litteram) véritable. « Il est fermement établi que la conception “ traditionnelle ” du monde est porteuse d’éléments culturels qui impliquent l’« endiguement » de la poussée prométhéenne, donc qui tendent à conserver, en freinant certaines tendances à la domination incontrôlée et rapace de la nature, tendances latentes chez l’homme en tant que tel, hier non moins qu’aujourd’hui (p. 13). »
À cause de ces tendances prométhéennes, l’homme envisage différemment la nature qu’il se contentait jusqu’à présent de respecter, toujours dans le cadre holiste des sociétés traditionnelle. Dorénavant, la nature est vu d’un point de vue mécaniste, rationaliste et scientiste; l’homme sort de la nature, et « le monde devient un champ d’expérimentation illimité, les seules limites étant celles imposées par les moyens techniques (p. 15) ». Giovanni Monastra poursuit : le monde « est comparé à un gigantesque laboratoire, où il convient de réaliser, c’est-à-dire de satisfaire, tous les rêves de puissance, de bonheur et de bien-être de l’homme complètement absorbé et englouti dans son aveugle hédonisme consumériste (p. 15) ». Ce qu’il faut retenir, c’est que l’« on assiste au passage de la technique traditionnelle comme « imitation de la nature » à la technique moderne comme « subversion de la nature (p.15) ». La conséquence ? « La nature devient muette : elle se referme sur elle-même et ne nous permet pas de la connaître à fond et complètement. Elle nous devient étrangère (p.17). »
Avant d’évoquer plusieurs précurseurs de l’écologie, et d’autres défenseurs de la nature, Giovanni Monastra se devait de mentionner le rapport entre la Gauche et les mouvements de préservation de la nature de manière générale. De nos jours, les partis écologistes sont souvent synonyme de partis d’extrême gauche, à tel point qu’un politicien comme Jean-Marie Le Pen les qualifiait de « pastèques » puisque vert à l’extérieur et rouge à l’intérieur, cette couleur désignant, bien entendu, leur véritable couleur politique. Assimiler l’écologie et la Gauche est « une énorme tromperie, qui a malheureusement pu s’appuyer aussi sur la façon de penser et le comportement concret […] d’une large faction des milieux de “ droite ” européens (p. 18) ». Pourtant, quelle soit marxiste ou pas, la Gauche ne fut pas toujours l’amie de l’écologie. « Elle a toujours exalté les vertus émancipatrices du progrès matériel sous toutes ses formes, au point de se faire la championne la plus stupide de l’industrialisme le plus exacerbé, à l’origine de toutes les pollutions. Le marxisme, lui, a toujours été intrinsèquement hostile aux perspectives écologistes. […] Selon Marx, la nature doit être “ humanisée” à travers la science afin de transformer la valeur intrinsèque du milieu en valeur d’usage pour l’homme (p. 19). »
Si nous remontons dans le temps, il apparaît très clairement que deux visions du monde antagonistes s’affrontent, celle issue des Lumières et celle qui provient du romantisme. La première est mue par l’idée de Progrès et de la domination de la nature par l’homme pour l’homme. La seconde « est volontiers antiprogressiste, holiste, organiciste, vitaliste, plus ou moins mystique (parfois dans un sens néopaïen), empathique envers la nature (p. 23) ». Cette dernière possède les valeurs promptes à la défense de la nature, elle instaure ainsi les fondements d’une pensée écologique ante litteram. L’Allemagne est le berceau de ce que l’on appellera plus tard l’écologie. « Ce fut précisément dans l’Allemagne de la fin du XIXe siècle que se forma un courant écologiste très actif, autour de quelques idées-forces. Il faut signaler en premier lieu les conceptions anthroposophiques de Rudolf Steiner, défenseur de l’agriculture biodynamique, puis les orientations antibourgeoises des Wandervögel (“ Oiseaux migrateurs ”), un mouvement de jeunesse non politique au sens strict, mais existentielle et culturel, animé par des idéaux nationaux-conservateurs, et enfin la composante ruraliste, nourrie par le mythe “ Sol et Sang ” (Blut und Boden), tournée vers la formation d’une nouvelle aristocratie spirituelle et très hostile à la modernité, à l’industrialisation, à l’urbanisation effrénée et à l’internationalisme niveleur, ennemi des identités populaires (p. 25). »
Citant l’historien George L. Mosse, Monastra montre bien l’influence sur le réenchantement entre le peuple et sa terre via l’intermédiaire du romantisme. Il « a bien fait ressortir l’influence du romantisme sur l’intérêt croissant pour la nature lié au bien-être du Volk dans les milieux “ nationaux ” allemands à la fin du XIXe siècle et au début du siècle suivant. Mosse a également souligné l’intégration panthéiste des racines historiques du Volk dans la nature, conformément au sentiment de la correspondance de l’homme, par l’intermédiaire de son âme, avec le paysage et ainsi avec le Volk incarnant l’esprit vital du cosmos (p. 25) ».
Giovanni Monastra va donc ensuite énumérer, en les présentant eux et leur idées, différents penseurs écologistes ou proche de la nature. Citons Ernst Haeckel, Ernst Moritz Arndt, Wilhelm Heinrich von Riehl, l’écrivain norvégien Knut Hamsun, les frères Friedrich Georg et Ernst Jünger, Oswald Spengler – qui dénonça « la domination de la technique [qui] nourrit la toute-puissance de l’économie et la diffusion cancérigène du marché, tout en s’en nourrissant elle-même (p. 46) » – Konrad Lorenz, Alexis Carrel, Ortega y Gasset, Julius Evola, René Guénon, etc. Parmi tous ces brillants penseurs, Giovanni Monastra s’intéresse particulièrement à un personnage regrettablement méconnu en France : Ludwig Klages (photo).
Nous omettrons volontairement une succincte biographie de cet auteur allemand, pour le moment du moins… Concentrons-nous sur ce qui, chez Klages, suscite l’intérêt de Giovanni Monostra. Notons déjà qu’il rédigea un manifeste écologiste en 1913 qui fit date (8). Analysant la pensée de Klages, Monostra souligne que l’« on voit s’exprimer ici [chez Ludwig Klages], il y a donc un siècle, plusieurs thèmes chers à l’écologisme de ces dernières décennies : la dénonciation de l’aliénation urbaine, de la pollution, du trafic routier, la conscience de la perte de l’empathie humaine envers la nature. […] De manière prémonitoire, il dénonce les dommages infligés au milieu par les troupeaux de touristes (pp.36 et 38) ». Ludwig Klages fustigeait l’idéologie du Progrès, tout autant que son pendant technique qui remettra l’homme au servage, dans les usines, au service d’un patron.
Giovanni Monastra, se réclamant de l’immense œuvre de Julius Evola, met brièvement en lumière la pensées du philosophe italien concernant la nature ou plutôt sa vision de la nature, bien qu’elle ne représente pas un sujet à part entière dans son œuvre. Notons qu’Evola critiquait tout mouvements de « retour à la nature » qu’il identifiait à une réponse catagogique à un vide existentiel, les deux émanant d’une société « crépusculaire et décomposée ». Evola connaissait bien l’un des aspects de la nature, celui qui défie les hommes et les pousse à se surpasser, quitte à y laisser la vie. Alpiniste chevronné sa vision de la nature ne se targue d’aucun matérialisme, ni d’aucun sentimentalisme, Giovanni Monastra cite le philosophe. Il « s’agit donc de rendre à la nature – à l’espace, aux choses, au paysage – ce caractère lointain et étranger à l’homme qui était couvert à l’époque de l’individualisme, quand l’homme projetait dans la réalité, pour se la rendre proche, ses sentiments, ses passions, ses petits élans lyriques. Il s’agit de redécouvrir le langage de l’inanimé […]. C’est de cette façon que la nature peut parler à la transcendance (p. 60) ».
Monastra explique très bien que pour Evola, « la nature incontaminée est avant tout expression du primordial et de l’inaccessible, qui renvoie symboliquement, dans son objectivité pure, au sacré, au numineux, dont elle est saturée. L’approche évolienne est donc éloignée de l’« humain trop humain », et c’est pourquoi, sans doute, elle paraît « indigeste » à beaucoup : elle exprime une écologie digne du bouddhisme zen, à des distances abyssales de tout sentimentalisme et de toute rhétorique fastidieuse (p. 60) ».
En conclusion, Giovanni Monsatra conseille en premier lieu au lecteur de méditer les pensées des différents auteurs cités à travers son article. Puis, il appelle de ses vœux la « création » d’un anthropocentrisme « écocompatible ». « On n’échappe as à son destin en se cachant, mais plutôt en exposant sous une forme claire un nouvel anthropocentrisme “ écocompatible ”, responsable et solidaire, ancré dans des valeurs fondatrices, réellement conscient de la dimension temporelle et de la succession des générations, à l’égard desquelles nous avons des devoirs imprescriptibles (p. 67). »
Selon l’auteur, « une approche écologique identitaire, et jamais prédatrice, non fondée sur le culte du développement et l’exploitation, permet de privilégier la vocation spécifique d’un lieu et d’en mettre en valeur les particularités (p. 68) ». Mais, ce qui transparaît avant tout dans l’essai de Monastra, c’est l’urgence d’un retour à l’organicité (ou holisme). « La tâche d’aujourd’hui qui apparaît essentielle consiste à faire un travail culturel de recomposition d’un tout unitaire (p. 68). »
De ce roboratif essai, qui constitue la première partie de Piété pour le cosmos, nous retiendrons quelques idées directrices dont l’importance se révèle cruciale pour l’établissement d’une écologie profonde conforme à notre vision du monde. Parmi elles, mettre un terme à l’hybris, trait de caractère de notre civilisation faustienne, en réhabilitant un « juste retour à la limite ». Plus que jamais, il est grand temps de ré-enchaîner Prométhée ! Cela devrait permettre à l’homme de se « ré-intégrer au monde » dans une logique biocentrique, donc de reconsidérer la nature et les interactions qu’il a avec elle. Les idées fantaisistes de développement durable ou de Green Economy prônées par les pseudo-écologistes, et les bonnes âmes, ne sont que foutaises. Une écologie intégrale ne sera jamais conciliable avec l’économie de marché et le libéralisme, même dans sa variante libérale-libertaire. Bien que le sujet ne soit que légèrement effleuré par Giovanni Monastra, l’enracinement nous semble une condition sine qua non. Nous entendons par enracinement un sentiment d’appartenance au sol de ses ancêtres par exemple ou un attachement émotionnel/spirituel fort à une « patrie charnelle ». Va de paire l’exaltation du Beau (et du Bien), le fameux Kalos Kagathos, ré-apprendre à s’émerveiller devant une cascade ou une forêt plutôt qu’applaudir l’implantation d’éoliennes qui défigurent le paysage. Grâce à ce texte de Giovanni Monastra, l’homme de Droite redécouvrira les liens qui l’unissent à la terre, et (re)découvrira peut-être que la défense de la nature ne fut jamais et n’est toujours pas l’exclusivité des crasseux à dreadlocks et des écologistes de salon.
Thierry Durolle
Notes
1 : Julius Evola, « L’affaiblissement des mots », dans L’Arc et la Massue, Éditions Trédaniel, 1996.
2 : Du latin paganus, paysan.
3 : Alain de Benoist, Comment peut-on être païen ?, Albin Michel, 1981, réédition Avatar Éditions, 2009.
4 : Collin Cleary, L’appel aux dieux. Essais sur le paganisme dans un monde oublié de Dieu, Les Éditions du Lore, 2016.
5 : Magazine Terre & Peuple, n° 73, équinoxe d’automne 2017, « Paganisme pour aujourd’hui et pour demain ».
6 : Robert Dun, L’Âme européenne. Réponses à Bernard-Henri Lévy, L’Anneau, 1993, nouvelle édition, chez l’auteur, 1994.
7 : Dominique Venner, Histoire et tradition des Européens. 30 000 ans d’identité, Éditions du Rocher, 2002, réédité en 2004.
8 : Ludwig Klages, L’Homme et la Terre, RN Éditions, 2017.
• Giovanni Monastra, Philippe Baillet, Piété pour le cosmos, Akribeia, 2017, 176 p., 15 €.
Dans la première partie de notre article sur Piété pour le cosmos, nous avions décortiqué la première partie de l’ouvrage. Giovanni Monastra y rappelait les bases de l’écologie envisagée d’un point de vue traditionaliste, celle-ci s’apparentant à la Deep Ecology (biocentrée et en opposition avec la Shallow Ecology anthropocentrée), puis l’auteur énumérait un certains nombre d’auteurs ayant influencé cette pensée écologique issue majoritairement du romantisme allemand.
Cette partie était à l’origine un article. Celui-ci eut un effet stimulant sur son traducteur, Philippe Baillet, co-fondateur de la revue Totalité et traducteur émérite, entre autre, de Julius Evola. En plus de la version de l’article originale, Philippe Baillet décida d’écrire une contribution sur l’écologie qui se nomme par conséquent « Conservation, conservatisme, national-socialisme, écologie : des liens très étroits ».
À la vue de la longueur de la première partie de cette recension, cette deuxième partie sera volontairement beaucoup plus courte.
Philippe Baillet débute son étude avec la notion de conservatisme. Le dictionnaire Larousse propose la définition suivante : « Attitude ou tendance de quelqu’un, d’un groupe ou d’une société, définie par le refus du changement et la référence sécurisante à des valeurs ou des structures immuables (1). » Un brin réducteur tout de même que cette définition. Nonobstant les a priori partisans sur le conservatisme, le bon sens voudrait que sa définition première corresponde au maintien et à la préservation de ce qui est bien pour une société ou une nation. Ainsi préserver, conserver la nature intacte n’est-il pas, au-delà de la nécessité vitale, une question politique de bien commun ?
Baillet rappelle également l’importance que revêtait, au sein du national-socialisme, la défense de l’environnement et de la protection des animaux, et par conséquent l’application en terme politique de la compréhension du Sinn der Erde national-socialiste. La programmation mentale post-Seconde Guerre mondiale fut efficace en ce qu’il s’agit de la dénazification et de l’occultation des tenants et des aboutissants de la politique hitlérienne. Personnellement, nous avions découvert la dimension écologique du IIIe Reich via la revue Terre & Peuple (2). Quoi que l’on pense du national-socialisme, les lois du 24 novembre 1933 sur la protection des animaux, du 19 juillet 1934 et du 1er juillet 1935 sont exemplaires.
Parmi les sujets évoquées dans la riche étude de Philippe Baillet, il nous semble impératif, en tant que païen identitaire, d’évoquer le concept d’Heimat. Contrairement à Das Vaterland, « la terre des pères », expression possédant un sens juridique dans la langue de Goethe, l’expression Die Heimat, « le pays natal », possède un caractère essentiellement organique impliquant de facto l’enracinement. « La Heimat peut donc être perçue même en l’absence d’un État. Elle ne renvoie pas à un concept juridique, c’est une réalité d’ordre phénoménologique : elle relève volontiers du “ ressenti ”, comme on a coutume de dire aujourd’hui, mais au sens le plus fort du terme (p 92). »
Plus développée, cette partie du livre écrite par Philippe Baillet a notre préférence. Nous regrettons l’absence d’éclairage sur certains mouvements tels l’Artamanen Gesellschaft, et plus généralement, la mouvance Völkisch. Il est d’ailleurs vraiment regrettable qu’aucun ouvrage, qu’aucune étude ne soit disponible en français sur le sujet… Globalement Piété pour le cosmos est un excellent livre sur l’écologie vue de Droite. L’ouvrage aurait pu sans doute être plus complet, mais la présence de nombreuses références devraient permettre aux intéressés de la question écologique d’explorer de nouveaux horizons.
Thierry Durolle
• Giovanni Monastra – Philippe Baillet, Piété pour le cosmos, Akribeia, 2017, 176 p., 15 €.
Notes
1 : Nous citons la définition trouvée sur www.larousse.fr.
2 : cf. Terre & Peuple Magazine, n°41, automne 2009.
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The “National Bolsheviks” of the Weimar period rallied around this cry. Sparta represented a type of porto-Prussian socialism, with the entire social body based around the all-male military and its campaigns. Potsdam represented true Prussian socialism, while Moscow represented what many thinkers in the 1920s and 1930s considered to be the world’s inevitable future.
This is a very concise rendering of a complex topic, around which there is confusion.
Much of this confusion stems from the fact that National Bolshevism did not have a guiding text or any kind of magnum opus for the proliferation of a workers’ state ruled by nationalist sentiment. The closest to such a founding document is Ernst Junger’s The Worker (1932), a long essay that mixes Marx with Nietzsche and Heidegger. Notably, The Worker was denounced by the Nazi Party for undermining its emphasis on biological race as the unifying glue of the new German state. But for Junger, work and workers not only created a new race through their very specific Typus (a German word closely meaning “typical,” as in typical representative), but future civilization would have to be a work-democracy in order to sustain itself in the face of technology unmoored from its original ideal as an engine of human progress.
To understand The Worker and the origins of National Bolshevism, one must recognize the truly revolutionary character of the First World War. Between 1914 and 1918, Junger (who experienced the war firsthand as a lieutenant in the 73rd Infantry Regiment) argues that the old bourgeoisie order of the nineteenth century was blown to bits by advanced artillery, poison gas, and machine guns. Along with this death, two nineteenth century ideals, namely nationalism and socialism, were also obliterated. In their wake came a new type of man—a violent individual who had mixed with all classes in the trenches. This “unknown soldier” rubbed elbows with Prussian Junkers, the sons of French Protestant immigrants, Catholic peasants from Bavaria and the Rhineland, and working class socialists from Berlin, Hanover, and Bremen. Through death and action, these various classes melded in order to create “the worker,” an individual who is neither an individualistic consumer (the prize desired by all capitalist democracies), nor a member of the mass (the ideal of the materialistic Marxists).
The characteristics that are valued have changed; they are of a simpler, dumber nature, which suggests the emergence of a will to race-formation…to produce a certain typus whose endowment is more standardized and more aligned to the tasks of an order determined by the total-work character. This is connected to how the possibilities of life in general decrease, to an advancing degree, in the interest of a singular possibility…[1]
The goal of this new “race” (Junger eschews a biological explanation for race, arguing that in the worker, the only thing that matters is whether or not the individual worker is excellent at performing his work) is to create the work-state. This state is beyond liberal capitalism and internationalist communism. Its sole purpose is to facilitate the existence of the worker—the poet-warrior-priest ideal that Junger compares to the knight orders of the Middle Ages and the Jesuit priests of the Counter-Reformation who braved foreign lands in order to spread the Gospel.
Once we have recognized what is needed now, namely, assertion and triumph…even readiness for utter collapse within a thoroughly dangerous world, then we will know which tasks are to take control of every kind of production, from the highest to the simplest. And the more life can be led in a cynical, Spartan, Prussian, or Bolshevist way, the better it will be. The established standard is to be found in the way the worker leads his life. It is not a matter of improving this way of living, but of conferring upon it a highest, decisive meaning.[2]
Put into simpler language, Junger sees the ideal worker not as a member of the working class (“class” is, after all, a liberal concept from the nineteenth century), but rather as a type of dedicated monk that sees existence as based on work. This means that workers are dedicated thoroughly to their work, almost as if work in the technological age is akin to Calvin’s “calling of God.” Unsurprisingly, Junger’s worker ideal closely mirrors the “Christian Sparta” of Puritan Massachusetts, where all things were done in order to uphold the Anglican Church’s special communion with God. In that society as in Prussia, order, duty, and work consumed all notions of liberty, freedom, or leisure. This is desirable, for Junger notes that “the measure of freedom possessed by any force corresponds precisely to the measure of obligation assigned to it.”[4] The negative “freedom from” and the positive “freedom to” are both undesirable unless said freedoms are attached to overriding obligations. To obey a higher law is the only freedom worth experiencing.
Such idealism is consciously divorced from all aspects of liberalism. In order for Junger’s desired “total mobilization” of society, all traces of liberalism must be eradicated in order for a work-democracy to form.
Much to the chagrin of the Communist Party of Germany (KPD), Junger does not see internationalist Marxism as the vanguard against the bourgeoisie. For Junger, the “Soviet” revolutions that swept through Germany in 1919 were thoroughly liberal in character—they conformed to liberal notions of individual freedom, they fought on behalf of material prosperity, and they accepted the liberal notions of “art” and “civilization.” The fact that striking workers and soldiers marched through Germany with copies of Faust in their knapsacks highlighted how thoroughly liberal culture had permeated the so-called “worker movement.”[3]
Junger was not the only German thinker who recognized the inherent weaknesses of Marxist-derived communism. Ernst Niekisch, who served the short-lived Bavarian Soviet Republic of 1919, saw in the very same Freikorps troops who put down the Munich Soviet Republic the ideal man for his movement. In contrast to Robert G.L. Waite, who saw in the Freikorps a nihilistic movement, Thomas Weber, in his new book Becoming Hitler, sees the Freikorps as the forefront of a new revolutionary movement that actively sought to stop both the KPD from importing Russian-style Bolshevism and Bavarian reactionaries from bringing back the failed Hohenzollern dynasty.
Niekisch would become the greatest propagandist for National Bolshevism during the Weimar era. His short-lived journal Widerstand would publish Junger and other German writers who wanted to mix the austere radicalism of the Bolsheviks with that frontline soldier’s dedication to nation.
Karl Radek, who saw in nationalism the perfect vehicle for mass mobilization, was all but excommunicated from the communist movement in Germany for delivering a speech in 1923 that lionized Leo Schlageter, a Freikorps officer and early supporter of the National Socialists who died while fighting the French following their military takeover of the Ruhr in 1923. In “Leo Schlageter: The Wanderer into the Void,” Radek encouraged the Communists to seek out men like Schlageter rather than either pacifistic academics or material-minded industrial workers.
The way in which he [Schlageter] risked his life speaks on his behalf, and proves that he was convinced he was serving the German people. but Schlageter thought he was best serving the people by helping to restore the mastery of the class which had hitherto led the German people, and had brought such terrible misfortune upon them.[5]
For Radek, brave Germans must be taught to think in national class terms first. Niekisch agreed, but he placed a much greater emphasis on nationalism than did Radek. In the pages of Widerstand, Niekisch wrote paeans to the glories of the Prussian spirit and the traditional German resistance to bourgeoisie society. Junger went much further in synchronizing radical nationalism with “elemental” socialism. For Junger, liberal society is against everything “elemental.” Liberalism seeks security, while elemental life seeks adventure. Elementalism often seems like romanticism. Junger praises “elemental” men who seek to live in the untrammeled wilderness or who volunteer for the French Foreign Legion. The Worker is a romantic text at its core, and Junger’s thinking privileges action, sacrifice, and philosophical poverty (if not also material poverty) over the riches produced by capital and global trade.
As hard to digest as The Worker is, some of Junger’s key points bear re-reading. A will to power is not enough, Junger writes. An example of the truth of this view can be seen in the current sex scandals rocking Hollywood and Washington. Such accusations, whether true or not, are emblematic of a female will to power that is encouraged by the capitalist class that understands that single women make better, more pliable workers than masculine men. However, as much as these accusations are helping to dethrone men in certain places of power, a new female boss or a more feminine economy is unlikely to change anything in any meaningful way. In fact, things will almost certainly change for the worse because this new hierarchy is not the result of merit. In order for a will to power to matter, a new “race” must exist in order to carry this power forward. For Junger, this race must only contain the best of a worker typus; if it is based on anything other than practical skill, it is doomed to fail.
Another important point that Junger makes in The Worker is that liberal democracies are the preserve of cowards who continually place unfounded faith in their own systems. After all, arms limitations and attempts at universal governance after World War I did not stop war. Similarly, the theory that “democracies do not fight democracies” could be taken by some to suggest that warfare against non-democracies is justified under the guise of creating new democracies. The international system be damned, Junger says; it is better to let workers become the new Dominican monks, except with a higher intolerance of heresy.
The Worker represents the best of the National Bolshevist ideal. Rather than graph jingoistic nationalism onto the shibboleths of Marxian socialism, Junger’s thought concerns how to defeat all traces of outdated liberalism, socialism, and other modes of nineteenth century thought. A new type of worker—a worker not bound by class, but by an organic desire to increase work and see everything as work—is the best antidote to the shape-shifting bourgeoisie. Creating this new worker will be difficult, but The Worker notes that peasants and workers in the twentieth century have shown that that they are neither the small capitalists of the liberal imagination nor the ardent proletarians of Marxist daydreams. A socialist Benito Mussolini saw that workers flocked to nationalist calls for war faster than their middle class counterparts, while Junger notes that when the aristocracy tried to used the peasantry as a bulwark against the bourgeoisie by instituting grain tariffs in the nineteenth century, the peasants did not respond to economic stimuli and instead preferred to stick to older economic arrangements.[6]
Without discipline, a desire for collective action, and a hatred of liberal freedom, a work-state cannot exist. Ergo, in order for a work-state to flourish, workers must acquire a new consciousness. This consciousness must also include action in the form of constant work, whatever that work may be.
For us, as Americans, much can be adopted from The Worker. In the book, Junger praises the unbridled energy of the American settler-workers who tamed the West and built the wealthiest state in human history all within one hundred years. Junger also notes that Soviet Russia’s economic success during the late 1920s was because so many American technocrats flooded the country, thus showing the Russian peasant what quasi-religious attachment to craft can accomplish.
Americans have long been known for their work ethic. This is to be praised, but it needs to be channeled. American workers should no longer work for the glory of the internationalist state. American workers should no longer toil away for the benefit of capitalism or even for the benefit of their own material prosperity. These goals, while understandable, are in fact invisible prisons. According to The Worker, a new, healthier American state would be concerned only with a total mobilization towards work and towards living an “elemental” life.
For Junger, this means America embrace Sparta and the unwavering path of duty.
This means America must embrace Potsdam and the Prussian virtues.
This means America must embrace Bolshevism not for its iconoclasm or its hatred for the higher classes, but for its unlimited energy for creating a new system.
Without creating new men, America cannot break from its liberal prison.
Bibliography:
[1]: Junger, Ernst. The Worker: Dominion and Form. Ed. Laurence Paul Hemming. Trans. Bogdan Costea and Paul Hemming (Evanston: Northwestern University Press, 2017). P. 66.17:05 Publié dans Littérature, Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : littérature, lettres, lettres allemandes, littérature allemande, allemagne, années 20, années 30, national-bolchevisme, révolution conservatrice, ernst jünger, ernst niekisch, nationalisme, communisme | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Cher Monsieur le Président, chers invités, chers collègues,
C’est une habitude très régulière de voir les orateurs officiels allemands s’excuser dans les pays étrangers pour le passé de l’Allemagne. Heureusement je ne suis pas fonctionnaire !
Alors pardonnez-moi s’il vous plaît de ne pas suivre cette règle de fer des interventions allemandes à l’étranger. Je pense que notre problème aujourd’hui n’est pas notre passé. Nos problèmes sont les événements du temps présent, ceux d’aujourd’hui, pas d’hier. En d’autres termes, les fonctionnaires allemands s’excusent pour la Seconde Guerre mondiale alors qu’ils planifient et mènent une politique de nuisance contre notre continent européen, alors qu’ils imposent un système de colonialisme financier libéral à l’Europe de l’Est et du Sud-Est et se préparent à une nouvelle confrontation sérieuse avec le monde russe. C’est – je ne trouve pas d’autre terme – de l’hypocrisie.
Ce qui se passe aujourd’hui au nom de ma nation est honteux. J’appellerais cela de la « publicité mensongère ». Que comprenons-nous habituellement sous ce terme ? Si je vous offre un produit et que vous trouvez plus tard que dans la boîte, il y a quelque chose d’autre, probablement de qualité inférieure, c’est de la « publicité mensongère ». C’est aussi le cas lorsque vous voulez acheter du poulet sur le marché, mais qu’on vous donne de la viande de chien ou de chat à la place par exemple. Pour le traduire en politique, dans ses relations étrangères, Berlin dit « intérêt allemand » mais en réalité, il faut entendre « trans-atlantisme ». Et il ne faut pas oublier que quand nous disons Europe, nous voulons dire Union européenne. En économie, Berlin propose des « valeurs commerciales allemandes » alors qu’il faut plutôt entendre « Wall Street ». C’est de la « publicité mensongère » dans sa forme la plus pure.
Mais il existe un exemple très connu de « publicité mensongère » : la « Deutsche Bank ». Beaucoup de gens – peut-être même certains ici dans l’auditoire – pensent que c’est notre banque nationale. En raison de son nom. Cela semble presque aussi stable et fiable qu’une « horloge suisse ». Mais la « Deutsche Bank » est une banque privée ordinaire, fortement impliquée dans des projets de spéculation hyper-capitalistes de Wall Street, une institution financière mondialiste où le mot « allemand » n’est qu’une marque. Notre banque nationale est la « Bundesbank » – « banque fédérale ». Bien sûr, « Bundesbank » semble moins attrayant que « Deutsche Bank ». Mais c’est exactement l’essence de la « publicité mensongère ».
En Europe centrale, nous nous sommes tellement habitués à ces mensonges, à ces interprétations erronées de la réalité qu’il nous est très souvent difficile de faire la distinction entre la réalité virtuelle de l’étiquetage frauduleux et le monde réel.
La crise financière mondiale de 2008 aurait dû nous ouvrir les yeux. Pour la première fois dans l’histoire moderne, le gouvernement allemand renflouait une banque privée, la « Commerzbank » la deuxième plus grande banque d’Allemagne. En d’autres termes : l’argent réel du contribuable, généré par les travailleurs allemands, les employés, les petites et grandes entreprises a dû combler un énorme trou causé par l’hyper-spéculation virtuelle et les opérations financières risquées. La confiance que nous avions auparavant dans notre secteur bancaire soit-disant « solide » a été rompue en 2008 et dans les années qui ont suivies.
Malheureusement aujourd’hui, nous trouvons ce principe virtuel de « publicité mensongère » dans l’ensemble de l’espace économique européen, en particulier en ce qui concerne l’Europe de l’Est et du Sud-Est. Ces pays ont été soumis à de vastes campagnes de publicité pour rejoindre l’Union européenne et sa sphère économique. Interrogez les Tchèques, les Hongrois, les Bulgares ou les Roumains sur les promesses de Bruxelles et de Berlin. Ils en ont payé le prix fort. Leur industrie a été attaquée, leurs valeurs ont été violées et récemment ils sont devenus une autoroute géante pour des masses d’immigrants clandestins traversant la soi-disant « route des Balkans ».
Ou vérifiez aujourd’hui les principaux médias ukrainiens et lisez leurs attentes à se rapprocher un peu plus de la super-entité bruxelloise.
Ce n’est pas l’Europe des Européens, c’est l’Union européenne du secteur financier international. Ce n’est pas une coïncidence si les institutions financières mondiales encouragent par tous les moyens la désintégration de nos sociétés. En Allemagne, les grandes compagnies globalistes encouragent les migrations massives malgré le danger. Elles encouragent la fuite des cerveaux de l’Europe du Sud-Est vers le centre où, par exemple, un enseignant roumain gagne de l’argent en servant de la bière aux étudiants saouls et aux touristes à Berlin, Cologne ou Hambourg. C’est un système qui détruit toute identité collective en Europe. Les identités collectives sont également importantes en matière de sécurité sociale. À la fin, il ne restera qu’un continent sans nom et sans visage de quelques centaines de millions d’individus, ou peut-être mieux, de consommateurs. Mais même s’il n’y aura plus d’« Allemagne » il y aura toujours une « Deutsche Bank ».
Comment contrer un tel développement ? Comment le combattre ? Comment développer un système immunitaire européen ? La gauche politique authentique en Europe, comme de nombreux groupes socialistes, se bat pour imposer des règles strictes et des sanctions draconiennes aux entités financières globalistes. Ils se battent aussi contre les systèmes financiers virtuels, ces systèmes de capitalisme de casino. Cela va-t-il améliorer la situation ? Peut-être un peu. Mais malheureusement, dans de nombreux cas, la gauche sous-estime l’importance des identités collectives. Les forces eurosceptiques conservatrices luttent contre la désintégration de leurs identités nationales et culturelles. Mais elles sous-estiment très souvent l’importance de limiter le pouvoir du globalisme financier.
Mais l’un sans l’autre ne fonctionnera pas à la fin. Le système de l’économie virtuelle va de pair avec le système de désintégration des sociétés. Le marché libre vient avec la société ouverte et vice versa.
Comme je l’ai dit au début : il est dommage que Berlin soit la principale force du marché ouvert et de la société ouverte en Europe. Nous pourrions même dire : Angela Merkel est le bulldozer de la désintégration.
L’Allemagne pourrait jouer un rôle positif, si elle retrouve sa propre identité. C’est exactement là où le vrai travail des Allemands commence, enfin ceux qui s’opposent à la politique domination de Berlin. Être ici et discuter avec vous de notre nouvelle Europe, l’Europe européenne, est un bon début. Une Europe, où un fonctionnaire allemand sera capable et désireux de commencer un discours sans s’excuser.
Manuel Ochsenreiter
Centre allemand d’études eurasiennes
Traduit par Hervé relu par Cat pour le Saker Francophone
Source: http://lesakerfrancophone.fr
20:14 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : manuel ochsenreiter, allemagne, europe, affaires européennes, économie, géopolitique, politique internationale | | del.icio.us | | Digg | Facebook
par Jean-Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu
Les trois chefs de partis, Angela Merkel (CDU), Horst Seehofer (CSU) et Martin Schulz (SPD) ont souligné leur accord sur trois points fondamentaux.
* Le premier concerne l'Europe. En ce domaine, il n'y aura guère de changement dans la politique actuelle, que l'on peut qualifier de conservatrice ou de droite. Le document poursuit l'appel aux politiques d'austérité, dans la perspectives de rester compétitif au sein de la mondialisation. Cependant il demande un renforcement des contrôles fiscaux internes à l'UE.
Il souligne par contre la nécessité de renforcer l'UE dans un paysage stratégique global qui voit s'affronter les superpuissances et où l'Europe n'a pas encore joué un rôle à la hauteur de ses possibilités. Cette demande comporte bien que cela ne soit pas dit explicitement, un jugement concernant la politique allemande, jugée jusqu'ici trop dépendante des Etats-Unis et ignorant le renforcement de la Chine et de la Russie.
Pour assurer le statut de l'Europe dans le monde, la coalition demande une coopération étroite avec la France et son président, Emmanuel Macron. Elle se dit prête comme l'a demandé la France a augmenter la contribution allemande au budget européen, à la création d'un budget européen d'investissement et à celle d'un Fonds Monétaire européen.
Sur la question d'une défense commune, la coalition propose de renforcer la contribution allemande à la politique de sécurité et défense (PESCO). Dans ce but, l'armée allemande devra bénéficier de crédits supplémentaires et continuer à participer aux opérations communes au Mali et en Afghanistan.
On notera que pas une fois, le document ne fait allusion à l'Otan, dont jusqu'à présent l'Allemagne était un membre actif au service des stratégies américaines.
* Sur un second point également très important, la politique d'accueil aux réfugiés (migrants), les auteurs du document commun semblent se rapprocher des objectifs demandés par l'extrême droite (ou dite telle), Alternative pour l'Allemagne. Ils se séparent donc sensiblement de la large politique d'ouverture précédemment adoptée par Angela Merkel et qui suscite des rejets croissants en Allemagne. Ils demandent un renforcement des frontières européennes, et une limitation des contingents afin de ne pas surestimer les capacités d'intégration de la société allemande. Au total, le nombre des accueils définitifs ne devrait pas dépasser 180.000 à 220.000 par an.
A cette fin, ils souhaitent transformer Frontex en une véritable police de protection aux frontières et limiter l'immigration pour regroupement familial. Les demandeurs d'asile seront rassemblés dans des centres de réception, de traitement des dossiers et de rapatriement concernant ceux non bénéficiaires du droit d'asile.
* On notera enfin que rien n'est pratiquement proposé pour un renforcement des politiques sociales et de protection du travail, dont l'insuffisance fait l'objet aujourd'hui de nombreuses manifestations au sein de la classe ouvrière allemande.
Les organisations syndicales ont déjà prévenu que la politique sociale de la future Coalition ne marquera pas une amélioration de la politique actuelle, mais son abaissement. Elles lancent un appel pour de nouvelles élections.
18:06 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, politique internationale, europe, affaires européennes, allemagne, angela merkel, grande coalition, spd, cdu, csu | | del.icio.us | | Digg | Facebook
door Emanuel Rutten
Welke rol speelt wiskunde in het denken van Spengler? In zijn hoofdwerk De ondergang van het avondland uit 1917 neemt de wiskunde ontegenzeggelijk een belangrijke plaats in. De titel van het eerste hoofdstuk – over de betekenis van getallen – verwijst er niet voor niets al naar.
Bekend is uiteraard dat volgens Spengler elke cultuur een bepaalde levenscyclus doormaakt en gekenmerkt wordt door een specifieke cultuurziel. Deze cultuurziel drukt zich uit op een groot aantal verschillende culturele en maatschappelijke terreinen. Alle cultuurfenomenen binnen een cultuur zijn ten diepste te begrijpen als veruitwendigingen of manifestaties van die ene cultuurziel die de gehele cultuur in kwestie bezield, draagt en in stand houdt.
Nu begrijpt Spengler de wiskunde eveneens als een cultuurfenomeen. Iedere cultuur drukt dus vanuit haar eigen verborgen ziel haar eigen wiskunde uit. Iedere cultuur heeft zijn eigen specifieke wiskunde precies omdat zelfs de wiskunde net zoals muziek, architectuur, politiek en alle andere cultuurfenomenen een uitdrukking is van de ziel van een cultuur. Zelfs de wiskunde is volgens Spengler dus een cultureel bepaald verschijnsel en niet universeel. Dit gaat uiteraard radicaal in tegen de gangbare Platoonse opvatting van wat wiskunde is.
In zijn boek behandelt hij vervolgens de wiskunde van een aantal verschillende culturen. In wat volgt zal ik stilstaan bij twee daarvan, namelijk de wiskunde van de Griekse Oudheid oftewel de klassieke tijd en de wiskunde van het Avondland oftewel het Europese Westen. Om goed te begrijpen hoe deze twee zich tot elkaar verhouden dienen we op grond van het voorgaande dus eerst na te gaan hoe beide cultuurzielen zich precies tot elkaar verhouden.
Welnu, de ziel van de Griekse Oudheid is apollinisch. Ze wordt gesymboliseerd door het oersymbool van het zintuiglijk waarneembare individuele menselijke lichaam dat zich in een vaste, begrensde en welbepaalde onveranderlijke vorm in onze nabijheid voor ons bevindt. Deze typische gerichtheid op het menselijke waarnemen, op het “zien”, vinden we onder andere in de openingspassage van De Metafysica van Aristoteles. Daarin stelt hij dat alle mensen van nature streven naar weten en dat de mens het meest gehecht is aan het “zien” omdat we daarvan het meeste leren. De klassieke tijd wordt dus gekarakteriseerd door een hang naar concreetheid, naar het zintuiglijk aanschouwelijke, naar het eindige, naar het begrensde en naar de vaste vorm. In genoemd werk ontwikkeld Aristoteles dan ook een specifieke ‘vormen’-metafysica. Iets “is”, iets bestaat pas, doordat en omdat het een eindige afgeronde concrete vorm heeft. Het onbepaald vormloze, zoals volgens hem bijvoorbeeld het actueel oneindige, kan dan ook eenvoudigweg niet bestaan. Het vormloze staat anders gezegd gelijk aan het niets. Daarnaast is de klassieke oerziel gericht op “zijn” in plaats van op worden en op het in stand willen houden van een vaste natuurlijke orde in plaats van het voortdurend willen overschrijden van natuurlijk gegeven grenzen. Men heeft een sterke voorkeur voor het statische boven het dynamische en voor het discrete boven het continue.
Het oersymbool van de cultuurziel van het Avondland is daarentegen de abstracte oneindige, onmetelijke en onbegrensde ruimte. De Westerse cultuur is faustisch. Ze wordt gekenmerkt door het faustische streven naar oneindigheid en onmetelijkheid. Wat haar bezield is een enorme expansiedrift in ruimte en tijd. En dit ondanks dat deze abstracte oneindige ruimten haar ook een bepaalde angst kunnen inboezemen, zoals Pascal opmerkt in zijn Gedachten. De Westerse cultuur is steeds gericht op het abstracte, oneindige en onbegrensde. Men zoekt het vormloze en het onbepaalde. Ze wil in eerste instantie het intelligibele en niet het zintuiglijk waarneembare. Men wil “worden” in plaats van zijn. Het gaat voortdurend om het willen overschrijden van grenzen in plaats van om de gegeven natuurlijke orde in stand te houden. Ze heeft dan ook een sterke voorkeur voor het dynamische boven het statische en voor het continue boven het discrete.
Deze twee verschillende cultuurzielen leveren volgens Spengler twee volstrekt verschillende soorten wiskunde op. Eudoxis, Archimedes en Euclides waren wezenlijk andere wiskundigen dan Descartes, Leibniz en Newton, en later Euler, Lagrange, Poincare en Gauss.
Uitgaande van haar oerziel wordt de apollinische antieke wiskunde gekenmerkt door de volgende aspecten. In de eerste plaats zijn getallen concrete meeteenheden voor het meten van de afmetingen en het volume van eindige voorwerpen die elk een welbepaalde en vaste vorm hebben. Daarnaast wordt de natuur gekenmerkt door volkomen harmonieuze onderling vergelijkbare verhoudingen. Al het waarneembare is anders gezegd ten opzichte van elkaar meetkundig commensurabel. Daarom erkent de apollinische wiskunde alléén gehele getallen en getallen die te schrijven zijn als verhouding van twee gehele getallen (i.e., breuken).
Alleen deze getallen representeren immers een harmonieuze maat. Het getal nul, negatieve getallen en irrationale getallen werden onverbiddelijk afgewezen omdat ze niet passen in de door hen veronderstelde harmonieuze orde van de natuur. Dergelijke getallen corresponderen niet met een eindige commensurabele vorm. Ze werden daarom tegennatuurlijk gevonden. Bekend is dan ook de legende uit de klassieke tijd dat de man die op een gegeven moment inzag dat de wortel van twee niet als breuk te schrijven is – en zo de irrationale getallen ontdekte – deze ontdekking vervolgens met de dood moest bekopen door op zee schipbreuk te leiden.
Ten derde erkende de Griekse wiskunde geen actuele oneindigheden. Uitsluitend potentiële oneindigheden werden erkend. Actuele oneindigheden werden naar hun wezen verondersteld onbepaald en vormloos te zijn en dus onmogelijk te kunnen bestaan. Precies om deze reden wees men oneindig convergente rekenkundige reeksen – zoals de reeks 1/2+1/4+1/8+… met als limietsom het getal 1 – resoluut af. Een wiskunde van de limieten van dergelijke reeksen kwam dan ook niet van de grond. Ook werd om dezelfde reden het bestaan van een oneindig continuüm afgewezen. Want zo’n continuüm zou een actuele oneindigheid impliceren. En omdat actuele oneindigheden ontkend werden, werkte men nooit met oneindige verzamelingen van objecten, zoals de oneindige verzameling van alle driehoeken.
De aandacht richtte zich louter op één enkel concreet object, zoals een bepaalde driehoek die in de aanschouwing is gegeven. Iedere verdergaande abstractie werd geschuwd. In de vierde plaats was ook de wiskundige bewijsvoering altijd concreet en aanschouwelijk. Bewijsvoering diende plaats te vinden op grond van zintuiglijk waarneembare en uitvoerbare constructies en nooit op grond van een onthechte abstracte formele afleiding. Tenslotte maakte men om deze reden nooit gebruik van abstracte variabelen. Vanuit hun gerichtheid op het “statische” kende men meer in het algemeen géén dynamische wiskundige concepten zoals het moderne functiebegrip. Functies beelden de ene collectie entiteiten af op een andere en zijn dus te formeel en te dynamisch.
Uitgaande van haar oerziel wordt daarentegen de grensverleggende faustische wiskunde van het Avondland gekenmerkt door de volgende aspecten. Getallen worden geheel formeel en abstract begrepen als functies of als verzamelingen van verzamelingen. Het getal ‘drie’ wordt bijvoorbeeld strikt formeel gedefinieerd als de collectie van alle verzamelingen die in een één-op-één correspondentie te brengen zijn met de verzameling {a, b, c}. Zo ontstaat een zuiver abstract en onthecht getalbegrip.
De faustische wiskunde richt zich vanuit haar drang tot expansie en grensoverschrijding vervolgens op het ontwikkelen van zoveel mogelijk nieuwe soorten abstracte getallen. Naast het getal nul, de negatieve en de irrationale getallen kan hierbij gedacht worden aan complexe getallen, quaternionen, transcendentale getallen, kardinaalgetallen, ordinaalgetallen en infinitesimalen. De hechte band met de concreet gegeven empirisch waarneembare werkelijkheid die voor de Griekse wiskunde heilig was, wordt dus volledig losgelaten, ook al bleken later verrassend veel van deze nieuwe abstracte getallen zeer concrete toepassingen te hebben in de technische wetenschappen. Veel moderne technologische ontdekkingen zijn zonder deze nieuwe abstracte getallen zelfs onmogelijk.
In de tweede plaats erkent men volop het bestaan van actuele oneindigheden. Sterker nog, de wiskundige Cantor introduceerde een abstracte verzamelingenleer waarmee oneindig veel soorten oneindigheden ontsloten werden. Het aantal verschillende soorten oneindigheden bleek hierbij zelfs zo groot dat er niet aftelbaar maar zelfs overaftelbaar veel verschillende soorten oneindigheden zijn. De Duitse wiskundige Hilbert merkte na Cantors ontdekking dan ook op dat de moderne wiskunde zich nooit meer uit het door Cantor ontsloten paradijs zou laten verdrijven. In het verlengde hiervan begonnen de wiskundigen van het Avondland te werken met willekeurige oneindige verzamelingen van objecten in plaats van met één enkel object dat ons in de zintuiglijke aanschouwing gegeven is. Dit leidde tot een stormvloed aan nieuwe wiskundige ontdekkingen.
Ten derde werd wiskundige bewijsvoering volstrekt formeel en abstract. Ook in dit opzicht verbrak men dus de oude band met de concrete zintuiglijk waarneembare werkelijkheid. We kunnen hierbij denken aan de louter abstracte algebra en het inzetten van de zuiver formele rekenmethodes van de door Newton en Leibniz ontdekte integraal en differentiaalrekening. Daarnaast introduceerde men vanuit haar gerichtheid op het dynamische in tegenstelling tot het statische formele variabelen en abstracte functies. Het moderne functiebegrip had in de Oudheid dan ook nooit tot ontwikkeling kunnen komen. Tenslotte denkt men niet langer na over begrensde en eindige meetkundige figuren. De aandacht wordt volledig verlegd naar het analyseren van oneindige ruimten en abstracte oneindige structuren zonder directe concrete wetenschappelijke toepassingen. Dit resulteerde in een heel universum van nieuwe oneindige ruimten, zoals niet-Euclidische – , metrische – , Sobolev – , Banach – en Lebesque ruimten. Eveneens ontstonden allerlei nieuwe oneindige wiskundige structuren, zoals de structuren van de mathematische groepen –, Galois –, en categorieëntheorie.
Deze abstracte Westerse wiskunde zou door de concrete apollinische antieke cultuur gezien worden als een ernstige, ja zelfs perverse, ontaarding en ontkenning van het primaat van de harmonische natuurlijke orde. Men zou het hebben afgedaan als onthecht, onnatuurlijk, niet reëel en illusoir. Dit pathos van de Griekse cultuurziel heeft er echter wel voor gezorgd dat zij zich nooit zo sterk expansief heeft kunnen ontwikkelen als in het Avondland. Vele belangrijke paradoxen, zoals die van Zeno, zijn voor de Griekse wiskunde altijd onoplosbaar gebleven. En dit precies omdat zij de faustische wiskundige concepten die nodig zijn voor het oplossen ervan – zoals in dit geval oneindig convergente reeksen – nooit heeft kunnen overwegen en aannemen. De mensheid moest na de Griekse Oudheid dan ook nog vele eeuwen wachten voordat de wiskunde van het Avondland deze en andere problemen eindelijk zou oplossen.
00:55 Publié dans Philosophie, Révolution conservatrice, Science, Sciences | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : oswald spengler, mathématiques, mathématiques grecques, mathématiques faustiennes, révolution conservatrice, allemagne, philosophie, esprit grec, esprit apollinien, esprit faustien | | del.icio.us | | Digg | Facebook
par Jean Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu
Le patron de IG Metall, Jörg Hofman, a menacé de grèves plus étendues si l'industrie ne fait pas davantage de concessions. Le syndicat demande une hausse des salaires de 6% et plus généralement, le passage de la semaine de travail de 35 à 28 heures pour ceux qui le souhaitent, avec compensation partielle du manque à gagner salarial par l'employeur. La formule serait valable deux ans au maximum et l'employeur devrait garantir un retour à un poste à plein temps.
Il est surprenant de voir un tel mouvement de grève s'étendre dans un pays qui est devenu le leader européen en matière industrielle et dont de ce fait l'excédent à l'exportation bat des records, contrairement par exemple au déficit français qui ne cesse de s'accroitre.
On peut s'étonner en outre du fait que les syndicats s'engagent dans ce mouvement alors qu'ils soutiennent actuellement la formation d'un gouvernement de Grande Coalition (CDU, CSU et SPD). Il n'est pas certain que ce futur gouvernement, malgré la présence du SPD social démocrate, prête une oreille attentive aux revendications des travailleurs, alors qu'il sera nécessairement au service des intérêts industriels qui ont toujours financé la Grande Coalition.
Les grèves s'expliquent parce que les travailleurs allemands ont vu depuis des années s'accroitre les inégalités dont ils souffrent au regard de l'enrichissement des autres catégories sociales. Les revenus des allocataires ne cessent de diminuer, alors que s'accroissent les couts des dépenses médicales. Dans le même temps, les dividendes payés aux actionnaires se sont accrus dans le secteur industriel d'environ 10% depuis 3 ans (12% en 2016) alors que les salaires nominaux n'avaient cru que de 2 à 3 %, ce qui est ressenti comme un gel des salaires.
En dépit de l'actuelle semaine de 35h, environ 20% des salariés du secteur industriel travaillent, selon les syndicats, plus de 40 h, y compris pendant les jours de congé. Beaucoup d'entreprises ont été délocalisées en Europe de l'Est. Les salariés sont par ailleurs de plus en plus confrontés à la concurrence de travailleurs temporaires turcs ou fraichement immigrés.
IG Metall est bien obligé de tenir compte des revendications croissantes des travailleurs de la base. Ceux ressentent concrètement la disproportion croissante, même et surtout en Allemagne, entre le 1% des super-riches et les autres. L'avenir proche dira s'ils ont une chance de se faire entendre. L'expérience sera suivie sans doute attentivement par les autres salariés européens.
12:21 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : grèves, mouvements sociaux, allemagne, europe, affaires européennes, syndicalisme, syndicats | | del.icio.us | | Digg | Facebook
By Fabian Grummes
Equity and Freedom
Ex; http://www.lewrockwell.com
In the course of the ongoing mass immigration, the question of integration has been raised by everyone: Politicians, journalists and also the regulars in the bar puzzle over, talk about and discuss how the hundreds of thousands of Afghans, Ethiopians, Algerians, Bosniaks, Eritreans, Iraqis, Moroccans, Serbs, Syrians, Pakistanis and everyone else on a pilgrimage to the German welfare handouts can best be ‘integrated’ into Germany. To be honest, what this ubiquitous word is actually supposed to mean is not quite clear to me.
The idea is, apparently, that the immigrants who are hiding behind the veil of the right to asylum should learn the language, acquire German culture, celebrate the same festivals, learn the history of the country, possibly even talk about the German drinking culture and thereby finally become good, perhaps even better ‘Germans.’ At the same time, of course, they should retain as much of their own culture as possible and introduce it into the new emerging society. After all, Germany is being ‘enriched’ by this very fact, at least that’s what the social engineers in the unified parties, the brought-into-line editorial offices and the countless statist think tanks say.
Now, I am also – among other things – a refugee. More precisely, an economic refugee. I went to Asia about four years ago. I quit my employment, gave up my accommodation and, on the day of departure, duly deregistered my residence and myself from the Federal Republic of Germany. I had decided to take this step because I was fed up. I didn’t want to have to pay any more taxes for a corrupt regime that would use them to support torture prisons in foreign countries, protect criminal banks from bankruptcy, let bad criminals go sailing in the Caribbean for the purpose of resocialization, to finance left-wing thugs directly, and right-wing thugs indirectly through the ‘Verfassungsschutz’ Intelligence Agency. Furthermore, I didn’t want to keep paying into a pension system from which I would, at most, receive a bowl of soup, should I ever reach the mystical retirement age.
The fact that I ended up in China is due to love – in two ways. First of all, my love for Chinese cuisine and then – more importantly – the love for my wife, who is called ‘Little Happiness.’ I also owe to my Little Happiness my permanent residence permit in the Middle Kingdom. And the ‘permanent’ is relative and tied to the duration of our marriage. Should ‘Little Happiness’ one day no longer be mine, I could face expulsion.
Seen from these vantage points, I have a lot in common with immigrants coming to Germany. Like me, they’re looking for a better life. In contrast to me, however, they believe they can find that better life in Germany.
What also distinguishes us, is the way we were received. They were officially invited by the German federal government with the approval of the official opposition. The population – at least parts of it – gave them an enthusiastic reception with balloons, teddy bears and cakes at the train stations and did not hesitate to make the beds for the much-traveled young men. No one invited me, except my wife. My arrival at the airport was not acclaimed by anyone except my wife. Nobody makes my bed, not even my wife.
Above all, however, the Chinese state has a rather different attitude towards me than the German one towards its asylum seekers. The latter provides housing, pocket money and medical care for the newcomers. Teachers of German, psychologists and cultural advisors are there to ensure that the ‘new citizens’ are integrated as soon as possible. Nobody cared about my integration, and nobody is bothered by it. Yes, even the idea that (western) foreigners should integrate into China would seem quite strange to the Chinese. The fact that a foreigner could speak their language, which is not easy to learn, seems unimaginable to most of them. It is also almost impossible to delve into the subtleties of the almost 5,000 year-old culture, to understand the subtle hints and ambiguities, to raise the tea cup to a level commensurate with the status of the person opposite, or to comprehend, let alone to imitate correctly, the implicit cycle of celebrations and behaviors during the 14-day spring festival.
At least I speak Mandarin. After a fashion. But I can communicate and get along. I have some Chinese friends, am polite and friendly, but ‘integrated’ I am not. I will always be a foreigner.
Integration is therefore neither encouraged nor required. However, there were three things I was asked to do: First of all, in order to apply for my residence permit, I had to take an extensive health test, which of course I had to pay for out of my own pocket. An HIV, TBC or hepatitis C infection would have resulted in my being quarantined and subsequently deported – also at my own expense. At the same time as I received my residence permit, I was given a list of the facts that would inevitably lead to its repeal. Criminal acts of any kind were at the top of this list. Every criminal offence means deportation, but this may only be carried out after a corresponding period of imprisonment. Thirdly, not quite a week after the residence permit was issued, the tax collectors rang my doorbell. Though my small company is based in Hong Kong, and so the taxation of my income does not fall under the jurisdiction of the People’s Republic, the residence permit was implicitly accompanied by registration as a permanent resident of an apartment, and in China the tenants pay the taxes on the respective rental income of the landlord directly themselves.
Now I don’t want to promote the tax state here. But China’s approach seems more logical to me. The country considers the practical aspects of immigration: the possible consequences for the health system, internal security and tax revenue. The cost-benefit analysis is all that counts. This is more auspicious than the discussion of any kind of integration, which depends on the good will of at least two sides and is therefore, at the end of the day, hardly calculable.
Translated from eigentümlich frei, where the original article was published on 21st February 2016.
Reprinted from Equity and Freedom.
20:03 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : chine, asie, affaires asiatiques, europe, allemagne, affaires européennes | | del.icio.us | | Digg | Facebook
La sauvegarde de notre « maison commune », notre planète et la nature, représente un enjeu d’égal importance que la préservation de nos peuples, et plus particulièrement de leur substrat ethnique. En réalité, les deux marchent ensemble : l’esprit Blut und Boden et les mouvements Völkischen en sont les parfaits exemples. Certains, dans le milieu de la Droite radicale, ont adopté ou essayent de se conformer à cette démarche.
De facto, en tant que païen, la question de l’écologie nous interpelle. Bien qu’elle ait une facette opérative qui ne devrait pas tomber dans le réductionnisme politique (certaines démarches écologiques comme par exemple trier ses déchets n’étant ni de Gauche, ni de Droite), nous pouvons malgré tout affirmer qu’il y a une écologie de Droite et une écologie de Gauche, ou plus exactement une véritable écologie et une pseudo-écologie. Sur la façon de concevoir l’écologie, ainsi que ses origines, Giovanni Monastra et Philippe Baillet ont récemment fait le tour de la question avec leur livre Piété pour le cosmos (1).
Dans cet ouvrage hautement intéressant, le tandem franco-italien remet les pendules à l’heure concernant l’écologie comme phénomène politique – mais surtout comme Weltanschauung – de Droite. À cet effet, ils présentent bon nombre d’auteurs, beaucoup étant des auteurs allemands, influencés par le romantisme, mouvement qui par sa nature rejette largement toutes les valeurs prônées par la philosophie des Lumières. L’un de ces auteurs tient justement une place de choix dans l’ouvrage de Giovanni Monastra et de Philippe Baillet.
Ludwig Klages est né à Hanovre le 10 décembre 1872. Après des études de physique-chimie, de psychologie et de philosophie, il va fonder en compagnie du sculpteur Hans Busse et Georg Meyer l’Association allemande de graphologie en 1884. Klages sera d’ailleurs mondialement connu pour son travail sur la caractérologie. Son œuvre comporte une part philosophique importante, nourrie de la pensée de Bergson, de Bachofen et de la Lebensphilosophie de Nietzsche. À notre plus grand regret, l’ouvrage capital de Ludwig Klages, Geist als Widersacher der Seele (« L’esprit comme antagoniste de l’âme ») n’est pas pour l’heure disponible en français. Gilbert Merlio nous en résume la ligne directrice dans la préface de l’édition française de Mensch und Erde de Ludwig Klages : « Au logocentrisme triomphant depuis les Lumières, il y oppose son “ biocentrisme ” ou son panvitalisme. Comme tout bon philosophe de la vie, il part de l’opposition entre l’esprit et la vie. Mais il la formule autrement : l’âme est ce qui relie l’homme au macrocosme et lui donne accès à des expériences et des visions archétypales. L’esprit est une conscience de soi “ acosmique ” et au service exclusif d’une volonté qui cherche à façonner la réalité à son image. Comme Spengler au sein de ses “ hautes cultures ”, Klages voit à l’œuvre dans l’histoire une sorte de “ dialectique de la raison ”. Les grandes civilisations naissent de la collaboration de l’âme et de l’esprit. Mais lorsque l’esprit s’émancipe, son action réifiante, qui ne conçoit la nature que comme une matière rationnellement exploitable, coupe l’homme de ses racines cosmiques et devient dangereuse pour l’humanité. C’est ce qui se passe dans la civilisation industrielle moderne (pp. 10-11). »
Ludwig Klages, et cela découle sans doute directement de sa philosophie de la vie, de son « biocentrisme », fait partie des précurseurs de l’écologie, et plus précisément de ce que l’on nomme « écologie profonde ». C’est donc l’opuscule, L’homme et la terre, qui synthétise sa vision de l’écologie et du monde. Le texte provient d’un discours prononcé par Klages à la « Fête de la Jeunesse » organisée sur le Haut-Meissner, les 11 et 12 octobre 1913. Longtemps indisponible dans la langue de Molières, une traduction française est sortie l’année dernière aux éditions RN avec une excellente préface du germaniste Gilbert Merlio.
Cet écrit aux accents poétiques possède deux visages : d’un côté, c’est un appel à la vie, à la Grande Santé et au cosmos. De l’autre, L’Homme et la terre prend des airs de réquisitoire sans concessions envers le Progrès et la modernité. Nos pastèques bobos Duflot et Cohn-Bendit seraient horrifiées par tant de véhémence contre leurs dogmes et crieraient à la « peste vert-brune ». « Là où il a pris le pouvoir dont il se targue, l’homme du progrès a semé l’horreur et la mort autour de lui (p. 32). » Ludwig Klages égrène tout au long de son manifeste de saillantes attaques contre le Progrès. C’est bel et bien l’esprit faustien de notre « Haute-Culture » devenue Zivilisation qui est la racine du Mal selon lui.
Plus d’un siècle après sa prononciation, l’appel à la lucidité, que constitue ce bref mais intense texte, démontre toute la clairvoyance de Ludwig Klages. En effet, celui-ci prédit les désastres du tourisme et la perturbation du règne animal causé par l’extinction de nombreuses espèces et la futilité toute marchande d’un tel massacre de masse. Et surtout l’auteur de préciser que « les conséquences du cours réel des événements, dont tous les concepts savants ne sont que l’ombre intellectuelle (p. 51) ». En d’autre terme, aucun retour en arrière n’est possible et la destruction de la faune revêt un caractère d’irréparabilité.
L’idéologie du Progrès, le scientisme, le capitalisme font partie des responsables de la destruction de l’environnement. Le christianisme figure aussi parmi les causes de rupture entre l’homme et la terre. Effectivement, dans le cas du christianisme, nous pouvons affirmer, sans mauvais jeu de mots, que le ver était ipso facto dans le fruit puisque le royaume véritable et définitif « n’est pas de ce monde ». Ainsi l’une des nécessité du christianisme consiste à « abolir le rapport entre l’homme et l’âme de la terre (p. 56) », c’est-à-dire à « dé-paganiser » l’homme. Néanmoins, les arguments de Klages sont d’ordre civilisationnel et non pas théologique. « Si le “ progrès ”, la “ civilisation ”, le “ capitalisme “« ne sont que des facettes d’un même volontarisme, alors nous pouvons bien rappeler que seuls les peuples de la chrétienté en sont les porteurs (p. 54). »
Bien qu’influencé par la pensée de Nietzsche, Klages voit d’un mauvais œil le concept de volonté de puissance (Wille zur Macht) qui fait de l’homme un « animal de proie » et, in extenso, légitimerait parallèlement le concept darwinien de struggle for life. « La nature ne connaît pas la “ lutte pour la vie ”, mais seulement celle qui résulte de l’assistance en faveur de la vie. Beaucoup d’insectes meurent après s’être accouplés, la nature accordant si peu de poids à la conservation du moment que le flot de la vie continue à se déverser sous des formes similaires (p. 50). »
Enfin, nous ne pouvons pas manquer de citer Ludwig Klages lorsqu’il parle du système capitaliste et de la manière dont il asservie l’homme, érigeant, au final, une authentique société de zombies standardisés. Ces paroles datant de 1913 sont tristement d’actualité. « La plupart des gens ne vivent pas, ils ne font qu’exister, s’usant comme esclaves du “ travail ” telles des machines au service de grandes usines, s’en remettant aveuglément au délire numérique des actions et des fondations comme esclaves de l’argent, pour finir comme esclaves des enivrantes distractions de la grande ville; ils n’en ressentent pas moins sourdement la faillite et la morosité (p. 49). »
Texte fondateur de la Deep Ecology, emprunt d’un lyrisme hérité du romantisme allemand, court mais complet, L’Homme et la nature de Ludwig Klages expose clairement les problèmes environnementaux, leurs causes et leurs conséquences, ainsi que les défis qui nous attendent, le tout vu de Droite. Ce vade-mecum contredit l’affirmation naïve (ou partisane) que l’écologie est de Gauche. Nous laisserons conclure Ludwig Klages. « Aucune doctrine ne nous ramènera ce qui fut perdu. Seule une conversion intérieure de la vie pourrait nous aider, mais il n’est pas dans le pouvoir de l’homme de l’effectuer. Nous disions plus haut que les anciens peuples n’avaient eu aucun intérêt à espionner la nature par des expériences, à la soumettre aux lois de la mécanique et à la vaincre ainsi par ruse avec ses propres moyens; maintenant nous ajoutons qu’ils auraient considéré cela comme ἀσέβεια, impiété (p. 59). »
Thierry Durolle
Note
1 : Giovanni Monastra – Philippe Baillet, Piété pour le cosmos, Akribeia, 2017, 176 p., 15 €.
• Ludwig Klages, L’Homme et la terre, RN Éditions, 2016, 64 p., 8,90 €.
09:57 Publié dans Ecologie, Livre, Livre, Philosophie, Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : ludwig klages, allemagne, livre, écologie, écologie profonde, révolution conservatrice, philosophie, vitalisme | | del.icio.us | | Digg | Facebook
La saison des étrennes est passée. C’est dommage, car Aristide Leucate, rédacteur à L’Action Française 2000 et à Réfléchir & Agir, par ailleurs chroniqueur à l’émission hebdomadaire « Synthèse » à Radio Libertés, aurait volontiers offert à Yves-Charles Zarka le « Qui suis-je ? » qu’il vient de consacrer à Carl Schmitt. Dénonciateur en chef d’une clique pseudo-universitaire sclérosée qui traque l’infime « détail nazi » dans l’œuvre schmittienne, Zarka aurait sûrement apprécié ce magnifique cadeau…
Il faut reconnaître qu’à rebours de nombreux ouvrages publiés dans cette collection, Aristide Leucate ne retrace pas la vie de Carl Schmitt de sa naissance, le 11 juillet 1888 à Plettenberg, à son décès, le 7 avril 1985 dans la même ville. Certes, il en parle, mais ce sont les repères biographiques de neuf pages quand même placés en annexes qui fournissent l’essentiel. Félicitons-nous aussi de l’absence des trois pages habituelles de bio-astrologie qui n’apportaient rien aux précédentes études.
Aristide Leucate propose surtout la biographie intellectuelle d’un des plus grands penseurs du XXe siècle. Juriste de formation, universitaire de haut vol, Carl Schmitt est un Prussien de l’Ouest en référence à ces terres rhénanes remises à la Prusse par le traité de Vienne en 1814 – 1815. Francophone et latiniste, ce catholique intransigeant admira toujours l’Espagne et tout particulièrement son Âge d’Or. Il n’est pas fortuit si sa fille unique, Amina, épousa en 1957 un professeur de droit de nationalité espagnole, ancien membre de la Phalange, Alfonso Otero Varela. Ses quatre petits-enfants sont donc des citoyens espagnols.
Carl Schmitt est remarquable dans son hostilité à l’État de droit bourgeois et aux thèses libérales. « Le libéralisme juridique, selon Schmitt, peut être défini comme une excroissance du droit et des libertés individuelles dans le champ du politique, au point de subsumer celui-ci sous l’empire de ceux-là (p. 34) ». Il s’attache au contraire à considérer « le droit comme unité d’ordre concret (p. 39) », à rebours des chimères juridiques positivistes. Aristide Leucate aurait pu mentionner les confrontations qu’avait Schmitt avec les cercles libéraux dont certains comme Röpke assimileront quelques-uns de ses commentaires dans la formulation de l’ordo-libéralisme ou des théories défendues par l’École néo-libérale autrichienne. N’oublions pas que Carl Schmitt et Friedrich A. Hayek font partie des références du Carrefour de l’Horloge.
L’auteur de cette biographie s’attarde longtemps sur la brève adhésion de Schmitt au NSDAP entre 1933 et 1936. Il rappelle que le pseudo-tribunal de Nuremberg l’acquitta bien que les occupants alliés eussent confisqué toute sa bibliothèque et que Schmitt fût révoqué et mis d’office à la retraite à titre disciplinaire sans toutefois bénéficier de la moindre pension. Jusqu’en 1952, il bénéficiera de la « générosité de quelques admirateurs (élèves, amis, collègues) qui, par l’intermédiaire de l’Academia Moralis fondée en 1947, subvinrent à ses besoins (p. 85) ».
Retournant vivre dans sa maison natale qu’il nomme « San Casciano » en référence au lieu d’exil de Machiavel, Carl Schmitt continue à observer la marche du monde d’un point de vue à la fois juridique et philosophique de l’histoire. En 1950 paraît son célèbre Nomos de la Terre. Penseur du politique qui se structure autour de la distinction « ami – ennemi », du décisionnisme, de la nouvelle figure du partisan/terroriste et de la neutralisation des institutions politiques, il théorise le « grand espace » géopolitique. Il « craignait l’avènement d’un État mondial qui signifierait, du même coup, l’anéantissement du politique par neutralisation des antagonismes seuls à même de lui conférer sa substance vitale. La “ dépolitisation ” devait donc être conjurée par la recherche d’un espace politique concret où s’arrimerait la décision du souverain. Ce nouvel ordre international, théorisée, dès 1939 […] inspiré de la doctrine de Monroe (formulée en 1823 par ce président américain), devait prendre acte de l’effacement progressif de l’État en tant que sujet central, sinon architectonique, de l’ancien jus publicum europaeum, et privilégier l’avènement de nouvelles prises et distributions de terres organisées autour d’un Volk (pp. 103 – 104) ». Ce « grand espace » qui peut correspondre à la politogénèse européenne pourrait exercer la fonction vitale de Ketachon, soit de rempart aux ravages de l’entropie politique.
« À l’heure où, dans le monde, il se publie sur Carl Schmitt une étude (livre, monographie ou article) tous les dix jours (p. 10) » et que les États-Unis, l’Amérique latine et la Chine discutent de plus en plus de ses écrits, l’opuscule d’Aristide Leucate constitue une excellente introduction à l’œuvre magistrale de ce très grand maître à réfléchir.
Georges Feltin-Tracol
• Aristide Leucate, Carl Schmitt, Pardès, coll. « Qui suis-je ? », 2017, 124 p., 12 €.
09:47 Publié dans Livre, Livre, Révolution conservatrice, Théorie politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : carl schmitt, aristide leucate, livre, révolution conservatrice, allemagne, théorie politique, politologie, sciences politiques, philosophie, philosophie politique | | del.icio.us | | Digg | Facebook
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Führerscheinentzug
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Flüchtlinge in Baden-Württemberg
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Abgeschobener Afghane
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(Steuergeldverschwendung)
Silvester
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Grüne wollen Kopftuchverbot für Lehrerinnen kippen
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Der Weg zum globalen Lumpenproletariat
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Wie bekommt man den Moralismus vom Hals?
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Am 30. November veröffentlichte der Programmierer und Milliardär Markus Persson unter seinem Pseudonym "Notch" folgenden Satz: It's ok to be white…
https://sezession.de/57494/sonntagsheld-(40)---alles-in-o...
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Gedenk-Aktion zum Jahrestag des Terroranschlags am Breitscheidplatz
Identitäre setzen Denkmal für Islamopfer am Brandenburger Tor
http://www.pi-news.net/2017/12/identitaere-setzen-denkmal...
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http://www.pi-news.net/michael-klonovsky-ueber-das-antaio...
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Die Nähe zur Macht suchen
von Thorsten Hinz
https://jungefreiheit.de/kultur/2017/die-naehe-zur-macht-...
(Tilgung des Begriffs "Völker")
Hamburger Kulturszene
Mehr Weltoffenheit: Museum für Völkerkunde wird umbenannt
https://jungefreiheit.de/kultur/2017/mehr-weltoffenheit-m...
„Nazi“-Alarm bei sächsischer Polizei
http://www.pi-news.net/2017/12/nazi-alarm-bei-saechsische...
Polizei Sachsen
Trotz Rechtfertigung des LKA: Umstrittenes Logo wird aus Sitzen entfernt
Das LKA hatte auf die Aufregung um ein Logo mit Fraktur-Schrift im neuen Polizeipanzer "Survivor R" zunächst mit einer Rechtfertigung reagiert. Nun wird der Schriftzug aber doch entfernt.
https://www.stern.de/panorama/gesellschaft/polizei-sachse...
(1. Weltkrieg in Belgien)
Erster Weltkrieg
Ein Verzicht auf diplomatische Zugeständnisse
https://jungefreiheit.de/wissen/geschichte/2017/ein-verzi...
Dezember 1917: Brest-Litowsk
Gastbeitrag von Stefan Scheil. Es ist oft versucht worden, aus der bekannten historischen Vergangenheit große geschichtliche Linien herauszulesen.
https://sezession.de/57511/?komplettansicht=1
„Für Elise“ aus dem Müllwagen
Wird irgendwo in der Welt die Mülltrennung so ernst genommen wie in Deutschland? Ja – in Taiwan wird die Müllabfuhr gar zum Event
https://www.svz.de/deutschland-welt/panorama/fuer-elise-a...
Japaner entdeckt selbstreparierendes Glas
Per Zufall entwickelt ein japanischer Forscher eine glasartige Substanz, die sich nach einem Bruch fast von selbst repariert.
https://diepresse.com/home/ausland/welt/5344992/Japaner-e...
Volle Fahrt voraus und Kurs aufs Riff
https://jungefreiheit.de/kultur/2017/volle-fahrt-voraus-u...
AfD-"Tatort" mit Wilke Möhring
"Westentaschen-Goebbels" auf Abwegen
https://www.n-tv.de/leute/Westentaschen-Goebbels-auf-Abwe...
"Tatort"-Kritikerspiegel
Wenn die Rechten mal den Rand halten
Nicht zur AfD, sondern zu den "Neuen Patrioten" führt der Hamburger "Tatort". Könnte Fahnder Falke, Proll und Ex-Punk, bitte auch sonst das Reden gegen rechts übernehmen?
http://www.zeit.de/zeit-magazin/leben/2017-12/tatort-hamb...
Sie wollen für Angela Merkel sterben
von Ellen Kositza
Zu den Parallelen zwischen dem Tatort "Dunkle Zeit" und Julis Zehs "Leere Herzen".
https://sezession.de/57516/sie-wollen-fuer-angela-merkel-...
10:47 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, affaires européennes, europe, allemagne, presse, journaux, médias | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Le-CEP
La nature de retour : la rupture avec l'ère libérale dans la pensée politique allemande des années 1920 - Thierry Buron
12:31 Publié dans Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : allemagne, révolution conservatrice, années 20, philosophie politique, écologie, philosophie | | del.icio.us | | Digg | Facebook
Il ne s’agit point de médire de notre enseignement, mais d’en déplorer l’écroulement national, si l’on prend au sérieux les résultats statistiques de sa partie primaire, hier classée au plus bas en Europe, pour ce qui est de l’arithmétique, et à une place médiocre, sinon alarmante pour un pays se voulant une grande puissance dans le monde, en grammaire. L’effort du présent ministre est à noter, après les folies ou divagations de ses prédécesseurs, d’introduire la discipline d’une dictée quotidienne, mais cela ressemble, à user d’une métaphore militaire, à une distribution de cartouches sans fusil, car tout l’édifice logique de la grammaire, qui est un art de bien penser, est depuis longtemps écroulé.
L’on parlera de réussites individuelles, ou de succès statistiques « d’apprenants » dans les examens généraux de fin d’études – mot absurde puisqu’il n ‘y aura pas eu de vrai commencement et de fondation assurée -, et de carrières, mais que vaut un savoir au sein d’une nation ou d’une nature de peuple fragilisée, et ignorant qu’elle porte en elle un destin, lequel la broiera si elle ne le maîtrise ? Cette question s’est posée au professeur Heidegger, le terme de professeur étant plus proche de la profession de foi que de l’exercice mécanique de répétitions vides, brillantes mais infécondes, comme une coque de noix vide.
Lui-même n’eût point été surpris du délabrement de ce corps étudiant, car son engagement politique et celui de sa nation meurtrie et recouvrant cette santé de l’âme qu’est la vérité (selon le mot de Descartes) fut de surmonter le nihilisme ou réduction au néant de la culture entendue comme volonté populaire de garder le savoir et de se former par lui.
Dans un précédent article nous traduisions l’Appel de ce même Heidegger à ses collègues d’approuver l’appel du Guide du peuple allemand à quitter l’O.N.U. de son temps, la S.D.N. ou Ligue, Société des Nations de Genève, pour suivre son propre devoir. Nous reprenons ici le texte déjà traduit en 1987 par un défunt ancien maître de philosophie à l’université de Toulouse, Gérard Granel (1930-2000), que nous retraduisons de nouveau, pour être plus fidèle au texte allemand, du discours dit de Rectorat, adressé par Heidegger à ses étudiants de Fribourg-en-Brisgau, tenu le 27 mai 1933, lors de la solennité de sa prise en charge :
« La prise en charge du Rectorat est l’obligation de la conduite spirituelle de cette école supérieure. La suite [le mot Gefolgschaft étant employé au sens ancien chevaleresque d’une suite accompagnant un guide] des maîtres et des élèves croît et se renforce seulement à partir de l’enracinement véritable et commun dans l’essence de l’université allemande. Mais cette essence n’accède d’abord à la clarté, au rang et à la puissance, que si préalablement et en tout temps les guides sont eux-mêmes guidés par l’inflexibilité de cette charge spirituelle qui fait entrer de force le destin du peuple allemand dans l’empreinte de son histoire. »
Heidegger indique le sens d’être un Guide et en même temps un Guidé ! Alors s’évanouissent toutes les caricatures ou fantômes de fascisme que nous servent les fast-food de l’esprit.
« Car le décisif dans (l’acte) de conduire [« im Führen »] n’est pas le pur et simple aller de l’avant, mais est la force de pouvoir aller seul, non pas par égoïsme et plaisir de dominer, mais en vertu d’une détermination très profonde et d’une obligation très étendue. Une telle force oblige à l’essentiel, crée la sélection des meilleurs et éveille l’authentique suite de ceux qui sont d’un nouveau courage. Mais nous n’avons pas besoin d’abord d’éveiller. La corporation allemande est en marche [die deutsche Studentenchaft ist auf dem Marsch].
Et ceux qu’elle cherche, ce sont ces guides par lesquels elle veut élever sa propre détermination à une vérité fondée, savante et la placer dans la clarté de la parole qui agit significativement et de l’œuvre.
A partir de la décision de la corporation étudiante allemande de tenir ferme au destin allemand dans son extrême détresse advient une volonté d’essence de l’Université. Cette volonté est une vraie volonté, pour autant que la corporation étudiante grâce au nouveau droit estudiantin se place lui-même sous la loi de son essence et par là délimite avant tout cette essence. Se donner à soi-même la loi, est la plus haute liberté. »
Heidegger de poursuivre en dénonçant les slogans dont on abreuve aujourd’hui la masse qui est invitée à tout sauf à connaître cette essence populaire ou nationale, au point que le mot traditionnel de peuple (Volk) est en langage officiel de moins en moins usé en Allemagne, remplacé par du « social », pays où – sachons le – le père de Madame Merkel, pasteur passé à l’Est après guerre pour mette son séminaire sous la coupe du ministre de l’Instruction Publique, de famille israélite berlinoise immigrée, au début du XXe siècle, de Suisse, nommé Gyzi, père de l’actuel chef berlinois de « La Gauche » (Die Linke), refusa d’admettre la réunification du pays de novembre 1989 :
« La tant vantée « liberté académique » sera repoussée de l’université allemande; car cette liberté était inauthentique [unech]), parce que seulement négatrice. Elle signifiait surtout insouciance, arbitraire des vues et des inclinations, licence [Ungebundenheit] dans le faire et laisser-faire. Le concept de liberté de la corporation étudiante allemande est maintenant ramené à sa vérité. A partir d’elle se déploient à l’avenir lien et service de la corporation étudiante.
Ce qui s’impose à l’étudiant : le lien de la nation au savoir.
1.Le premier lien est dans la communauté du peuple [Volksgemeinschaft].Il fait un devoir d’avoir part , en aidant à porter et en co-agissant, aux efforts et à la capacité de tous les états [terme préféré à celui plus égoïste et autodestructeur, au plan national, de classe] et membres du peuple. Ce lien est dorénavant affermi et enraciné dans l’existence estudiantine par le service du travail.
2. Le deuxième lien est attenant à l’honneur et au sort de la nation au milieu des autres peuples. Elle réclame la disponibilité, assurée dans le savoir et le pouvoir et sanctionnée par la discipline, à l’engagement jusqu’au bout. Ce lien embrasse et parcourt dans l’avenir toue l’existence étudiante comme un service de défense [Wehrdienst].
Le distingué Granel traduit par « service militaire », la Wehrmacht étant littéralement une force de défense, tout comme la vérité, selon la même origine indo-germanique, est une défense de la réalité contre les forces destructrices.
Le dernier point, ou lien, – [le mot allemand de Bindung ne signifie pas proprement une obligation, mais un attachement, un lien, comme un membre est lié au corps, à l’organisme)] – est le plus important et touche au vif notre société qui n’est plus digne de cette qualification.
3. Le troisième lien de la corporation étudiante est liée à la charge spirituelle du peuple allemand. Ce peuple œuvre à son destin, tandis qu’il insère son histoire dans la manifestation de la surpuissance de toutes les puissances de l’existence humaine façonnant le monde, et entreprend de combattre toujours à nouveau pour son monde spirituel. Ainsi exposé au questionnement extrême de l’existence propre, ce peuple veut être un peuple spirituel. Il exige de lui-même et pour lui-même dans ses guides et protecteurs, la clarté la plus dure du savoir le plus élevé, le plus étendu et le plus riche. Une jeunesse étudiante qui se risque tôt dans la virilité et déploie sa volonté sur le sol futur de la nation, se contraint à partir du fond [von Grund aus] à ce savoir. Pour elle le service du savoir [Wissensdienst] ne devra plus être le dressage accablant et rapide à une vocation « distinguée ». Parce que l’homme d’Etat et le maître, le médecin et le juge, le pasteur et l’architecte guident [führen] l’existence populaire-étatique et dans ses traits fondamentaux éveillent aux forces de l’être humain façonnant le monde et se tiennent acérées, pour cette raison ces métiers et l’éducation attachée à eux sont confiés au service du savoir.
Le savoir n’est pas au service des vocations, mais à l’inverse: les vocations [ou métiers] suscitent et régissent ce suprême et essentiel savoir du peuple pour sa propre existence. Mais ce savoir n’est pas pour nous la prise de connaissance tranquille d’entités et de valeurs en soi, mais au contraire la plus aiguisée dangerosité de l’existence au milieu de la surpuissance des étants. Le questionnement de l’être en général arrache au peuple travail et combat et le contraint à son Etat auquel appartiennent les vocations.
Les trois liens – par le peuple au sort de l’Etat dans la charge spirituelle – sont pour l’essence allemande également originels [gleichursprünglich]. Les trois des services qui en jaillissent – service du travail service de défense et service du savoir – sont également nécessaires et de rang égal.
Après la guerre, Heidegger poursuit cet effort ou patience de pensée, en citant le poète Heinrich von Kleist qui assurait que le sens de l’effort de penser, travailler, combattre, ou l’effort en un mot qui les lie tous, de poétiser ou, pour le dire mieux, de renforcer et serrer de plus près le travail de l’activité scientifique dans lequel s’épanouit le philosophie, devait déboucher un siècle plus tard sur la germination d’une créativité qui continuerait de faire renaître l’existence, celle des peuples et du savoir dont ils sont l’enveloppe. Ce message est dans la vidéo aux sous-titres anglais ci-dessus.
Cela exige sérieux, continuité de l’effort, persévérance, un questionnement constant de notre origine, ce qui va plus loin et plus haut que l’imitation de modèles, et qu’il entend par la métaphysique. Inutile de dire que notre présent monde a ce dernier terme en horreur. Aussi l’avenir se dérobera-t-il à lui.
Pierre Dortiguier
VIDEO: https://archive.org/details/MartinHeideggerVolkPhilosopher
01:59 Publié dans Ecole/Education, Philosophie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : martin heidegger, philosophie, philosophie politique, allemagne, enseignement, université, années 30 | | del.icio.us | | Digg | Facebook