samedi, 22 mars 2014
RIFONDARE L’UNIONE EUROPEA
RIFONDARE L’UNIONE EUROPEA
Claudio Mutti
Ex: http://www.eurasia-rivista.org
SOMMARIO DEL NUMERO XXXIII (1-2014) [1]
In seguito ai risultati referendari con cui una decina d’anni fa l’elettorato francese e olandese respinse la bozza della “Costituzione europea”, “Eurasia” pubblicò un breve dibattito tra me e Costanzo Preve sul tema Che farne dell’Unione Europea?
Il nostro compianto collaboratore scriveva tra l’altro: “Per poter perseguire la prospettiva politica, culturale e geopolitica di un’alleanza strategica fra i continenti europeo ed asiatico contro l’egemonismo imperiale americano, prospettiva che ha come presupposto una certa idea di Europa militarmente autonoma dagli USA e dal loro barbaro dominio, bisogna prima (sottolineo: prima) sconfiggere questa Europa, neoliberale (e quindi oligarchica) in economia ed euroatlantica (e quindi asservita) in politica e diplomazia. Senza sconfiggere prima questa Europa non solo non esiste eurasiatismo possibile, ma non esiste neppure un vero europeismo possibile”.
Da parte mia osservavo come nel risultato del voto francese e olandese si fossero manifestati non tanto il rifiuto dell’occidentalismo e del neoliberismo, quanto quei diffusi orientamenti “euroscettici” che, essendo espressione di irrealistiche nostalgie micronazionaliste se non addirittura del tribalismo etnico e localista, non solo non possono essere considerati alternativi alla globalizzazione mondialista, ma sono oggettivamente funzionali alla strategia dell’imperialismo statunitense. La mia conclusione, che qui ripropongo, era la seguente.
“La prima cosa da fare, sarebbe cominciare a gettare le basi per la formazione dei quadri di un movimento continentale che agisca per l’unità politica dell’Europa, in relazione solidale con tutte quelle forze politiche (governi, partiti, gruppi ecc.) che negli altri grandi spazi dell’Eurasia lottano per la nascita di un blocco eurasiatico capace di porre termine al tentativo statunitense di conquista del mondo. Solo un movimento politico strutturato su scala europea potrebbe avere la forza necessaria per sviluppare, nei confronti dell’Europa dei burocrati e dei tecnocrati, un’opposizione di senso algebrico opposta a quella degli euroscettici, un’opposizione cioè che sia finalizzata sì a buttar via l’acqua sporca del neoliberismo, ma anche a salvare il bambino europeo, per curarlo, riplasmarlo ed infondergli un’anima migliore”.
* * *
Oggi, a distanza di circa un decennio, l’acqua sporca è più sporca che mai e il bambino sta rischiando di morire. Siamo alla vigilia dell’elezione del nuovo Parlamento e i sondaggi dicono che il 53% dei cittadini europei non si sente europeo. A quanto pare, il “patriottismo costituzionale” teorizzato da Habermas non ha suscitato un grande entusiasmo.
D’altronde l’Europa liberaldemocratica, anziché sottrarsi all’egemonia statunitense ed avviare la costruzione di una propria potenza politica e militare nel “grande spazio” che le compete nel continente eurasiatico, stabilendo un’intesa solidale con le altre grandi potenze continentali, sembra impegnata a rinsaldare la propria collocazione nell’area occidentale ed a perpetuare il proprio asservimento nei confronti dell’imperialismo nordamericano.
L’Unione Europea e le cancellerie europee, dopo aver collaborato con Washington nel tentativo di ristrutturare il Nordafrica e il Vicino Oriente in conformità coi progetti statunitensi, si sono allineate col Dipartimento di Stato nordamericano nel sostenere la sovversione golpista in Ucraina, al fine di impedire che questo Paese confluisca nell’Unione doganale eurasiatica e trasformarlo in un avamposto della NATO nell’aggressione atlantica contro la Russia.
In tal modo l’Unione Europea coopera attivamente alla realizzazione del progetto di conquista elaborato dagli strateghi della Casa Bianca, secondo il quale l’Europa deve svolgere la funzione di una “testa di ponte democratica” [the democratic bridgehead] degli Stati Uniti in Eurasia. Scrive infatti Zbigniew Brzezinski: “L’Europa è la fondamentale testa di ponte geopolitica dell’America in Eurasia [Europe is America's essential geopolitical bridgehead in Eurasia]. Il ruolo dell’America nell’Europa democratica è enorme.
Diversamente dai vincoli dell’America col Giappone, la NATO rafforza l’influenza politica e il potere militare americani sul continente eurasiatico. Con le nazioni europee alleate che ancora dipendono considerevolmente dalla protezione USA, qualunque espansione del campo d’azione politico dell’Europa è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata e una NATO allargata serviranno gl’interessi a breve e a lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così politicamente integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente. Un’Europa politicamente definita è essenziale per assimilare la Russia in un sistema di cooperazione globale. (…) Un’Ucraina sovrana è una componente di importanza critica in una politica di questo genere, poiché costituisce un sostegno per Stati strategicamente decisivi [strategically pivotal states] come l’Azerbaigian e l’Uzbekistan”1.
Da Mackinder in poi, la strategia geopolitica della potenza talassocratica è sempre la stessa: occorre frazionare la regione-perno, puntando sull’effetto disgregante insito in quelle linee di faglia che corrono all’interno dei cosiddetti “paesi divisi”, cioè di quei paesi in cui consistenti gruppi di popolazione appartengono a culture diverse. Un anno prima che Brzezinski teorizzi la “testa di ponte democratica” in Eurasia, Samuel Huntington, prospettando la possibilità che l’Ucraina “si spacchi in due diverse entità e che la parte orientale del paese venga annessa alla Russia” (2), considera necessario “un forte ed efficace sostegno occidentale, che a sua volta potrebbe giungere solo qualora i rapporti tra Russia e Occidente si deteriorassero come ai tempi della Guerra fredda” (3).
L’interesse vitale dell’Europa non coincide coi piani di conquista nordamericani. L’Europa e la Russia, se vogliono esercitare un peso decisivo sulla ripartizione del potere mondiale, devono instaurare una stretta intesa che obbedisca agl’imperativi della loro complementarità geoeconomica e stabilire un’alleanza politico-militare che contribuisca alla difesa della sovranità eurasiatica. Solo così sarà possibile controbilanciare le iniziative intese a destabilizzare il Continente, risolvere le questioni territoriali, mantenere il controllo delle risorse naturali e regolare i flussi demografici disordinati.
Quando l’Europa lo capirà, una “rifondazione” dell’Unione Europea sarà inevitabile.
1. Zbigniew Brzezinski, A Geostrategy for Eurasia, “Foreign Affairs”, Sept.-Oct. 1997, pp. 53-57.
2. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2001, p. 241.
3. Samuel P. Huntington, op. cit., p. 242.
XXXIII (1-2014)
SOMMARIO
Editoriale
Claudio Mutti, Rifondare l’Unione Europea
Dossario – Rifondare l’Unione Europea
Alessandra Colla, Il ritorno dell’antica fanciulla
Ali Reza Jalali, L’UE: evoluzione storica, istituzioni, rapporti con gli Stati membri
Spartaco A. Puttini, Stati Uniti d’Europa o Europa degli Stati Uniti?
Fabio Falchi, Europeismo contro euroatlantismo
Aldo Braccio, Europa non sovrana: il ruolo della Commissione
Stefano Vernole, La Germania e la tentazione dell’Europa a due velocità
Andrea Turi, Dove Europa nacque, l’Europa muore
Alessandro Lattanzio, I Gruppi Tattici ed altre formazioni
Antonino Galloni, Europa, dove ci porti?
Giuseppe Cappelluti, Europa e Russia: un rapporto da ricostruire
Maria Amoroso, Le Relazioni dell’UE con la Russia
Giovanni Armillotta, Multipartitismo e frontismo nell’Europa socialista
Katalin Egresi, Esperienze costituzionali ungheresi e italiane
Giacomo Gabellini, Sciacalli e sicari all’assalto dell’Europa
Documenti
AA. VV., Il ratto di Europa
Jean Thiriart, La geopolitica, l’Impero, l’Europa
Progetto per una più grande Europa
Interviste
Intervista a Vaqif Sadiqov, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia a cura di Giuliano Bifolchi
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Crimée-Serbie: le fait nationaliste
Jean Bonnevey
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Peter Scholl-Latour: Die Krim ist russisch
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La sombra de BHL planea sobre Ucrania
por Adriano Erriguel
Ex: http://paginatransversal.wordpress.com
“El peligro existe… ¿Qué digo? La masacre ya ha comenzado. Ya han empezado, como en Kosovo, a mutilar, decapitar y ejecutar de un tiro en la nuca a los habitantes de pueblos enteros. Y entonces, sí, tenemos buenas razones para intervenir y detener la carnicería (…) Será precisamente al dejar el regazo ucranio cuando algunos de los mencionados crimeos – y pienso en primer lugar en los tártaros – correrían el riesgo de ser asesinados”. Así se explicaba en un reciente artículo (publicado en España por El País) el millonario y filósofo Bernard-Henry Levi (“BHL”, marca registrada) sobre la crisis en Ucrania. Cabe suponer que se ha quedado a gusto. Ser capaz de deslizar – con subterfugios de retórica alambicada – una patraña de gran calibre y conseguir que los medios internacionales la recojan tiene que producir un gozo megalómano. Y si con ello además hace lo mejor que sabe hacer, incitar a la guerra, entonces tiene que ser el clímax.
La última gran gesta de este personaje tuvo lugar durante la guerra en Libia, país al que, aprovechando su conexión personal con el Eliseo, BHL contribuyó como pocos a destruir. En la presente crisis en Ucrania, como era previsible, no le ha faltado tiempo para acudir a Kiev a chupar cámara y a aportar el solaz de su palabra a los demócratas de turno: invocaciones a la Bastilla, a las barricadas, a la sangre que se vertirá “si llega lo peor”, despedida “con el corazón en un puño” y avión de vuelta a casa antes de que las balas comiencen a silbar.
BHL ha olido sangre. Y si viviéramos en la zona habría motivos para estar más que preocupados: la aparición en el horizonte de este pájaro de mal agüero suele marcar la hora fatídica en la que las bombas empiezan a caer y los cadáveres comienzan a apilarse. BHL es un turista universal de las guerras que él contribuye a atizar, y a las que acude con un enjambre de cámaras, estilistas y majorettes para hacerse la foto en pose de intelectual engagé con melena al viento y fondo de muerte y destrucción. Y es que, según sus propias palabras, “el arte de la filosofía sólo vale si es un arte de la guerra”.
BHL no es anécdota, es categoría. Porque como intelectual al servicio de los poderes hegemónicos representa la vacuidad de la moralina que esos mismos poderes utilizan para formatear un orden internacional a su servicio. ¿Cómo es el mundo según BHL? Una lucha cósmica en la que los defensores de la sociedad abierta, de la ilustración, de la ciudadanía universal y del libre mercado como fuente suprema de felicidad se enfrentan a los tiranos sanguinarios que se interponen en el camino de ese sueño libertario. Una lucha a muerte en la que BHL pone el verbo florido y otros ponen los muertos. Y en la que los derechos humanos – sabiamente administrados por su sumo sacerdotiso BHL – aportan con su uso selectivo la legitimación necesaria para hacer y deshacer países, en aras a un modelo de globalización unipolar y en beneficio de una elite transnacional globalizada. “Pequeño telegrafista del Imperio”, llamó hace tiempo un político francés (Jean-Pierre Chevènement) a BHL. La función de este sultán de la rive gauche consiste en aportar un marchamo intelectual de preciosa ridícula parisina a los designios estratégicos de la CIA.
Claro que en este caso no se trata de un país de chichinabo de esos que el Imperio está acostumbrado a avasallar. Un dato éste que no resta brío al delirium tremens belicista de un filósofo-millonario que ya está amagando con la “intervención” (¿y por donde empezamos BHL, por un desembarco en Sebastopol o directamente por un bombardeo de misiles nucleares tácticos?). Pero dadas las circunstancias no es descartable que en este caso la realpolitik prevalezca y que BHL tenga que mantenerse a raya del proceso de toma de decisiones. Esperemos por el bien de todos que su intervención directa en esta crisis no vaya más allá de su impagable aparición en Kiev hace unas semanas para predicar la democracia y la sociedad abierta ante los neonazis armados de Pravy Sektor y Svobodna que atiborraban la plaza del Maidán (y que seguramente estarían preguntándose de dónde salió este gilipollas).
Decíamos que BHL no es anécdota, es categoría. Es la demostración de que – como decía Braudillard – la realidad ha sido asesinada por lo virtual y de que vivimos en la sociedad del simulacro. En el imperio de lo banal o en la edad del vacío. En su mitología personal el millonario-filósofo se sueña Byron o Malraux, y sólo consigue ser… ¡BHL!
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vendredi, 21 mars 2014
Menaces sur la vente des Mistral à la Russie
« La crise en Crimée est la plus sérieuse depuis la guerre froide », vient de déclarer Laurent Fabius, ministre des Affaires étrangères. Il demande à la Russie « d’éviter une escalade dangereuse. » Il va pourtant falloir que les dirigeants français et M. Jean-Marie Colombani (« Le retour de la guerre froide », slate.fr, 3 mars 2014) s’y fassent : la Crimée, c’est une affaire finie.
Il ne fait guère de doute que l’immense majorité de ses habitants ont voulu la séparation d’avec l’Ukraine. Et même ont voulu le rattachement à la Russie, car c’est la seule garantie pour que l’Ukraine ne remette pas la main sur la Crimée. Il n’y a d’ailleurs pas de « crise en Crimée », mais une crise « à propos de la Crimée ». Nuance. Poutine a rassuré les Tatars, conforté l’usage de la langue ukrainienne et assuré « ne pas vouloir la partition de l’Ukraine ». Ce n’est pas rien quand on sait à quel point les habitants de Kharkov, de la région du Don et du bassin du Donetsk, de Lougansk, mais aussi d’Odessa, de la Transnistrie (soit l’ensemble de la région entre le Dniestr et le Boug) et du Boudjak ne se sentent pas ukrainiens.
Selon les autorités autoproclamées de l’Ukraine, ce pays a reçu « des coups inacceptables à son intégrité ». « Le conflit entre dans une phase militaire », disent-elles encore. C’est toujours assez maladroit de qualifier d’inacceptables des choses que l’on devra de toute façon accepter. Viktor Ianoukovitch était certainement d’une grande impopularité, mais ceux qui l’ont remplacé sont d’une irresponsabilité qui finira vite par les rendre tout aussi impopulaires, mettant l’Ukraine dans une impasse.
Quoi qu’il en soit, M. Fabius menace de ne plus vendre des navires porte-hélicoptères Mistral à la Russie si « Poutine continue ce qu’il fait en Ukraine ». Les porte-hélicoptères, c’est 1.000 emplois pendant quatre ans à Saint-Nazaire (non loin de chez M. Jean-Marc Ayrault). Voilà une bonne idée qu’a eue M. Fabius. La France n’ayant aucun problème d’emploi et, encore moins, de balance commerciale, quel besoin avons-nous en effet de vendre nos navires de guerre ? Revenons sur terre : les échanges entre l’Union européenne et la Russie sont de plus de 320 milliards d’euros, l’Europe a besoin du gaz russe et la Russie a besoin des devises de l’Europe. Voilà la réalité.
Dans l’attitude de M. Laurent Fabius, il y a un problème de fond et un problème de forme. Le fond, ce sont les relations entre la France et la Russie. La forme est presque aussi importante : M. Fabius sort de la ligne de Jean-Marc Ayrault. On sait que M. Fabius ne fait pas grand cas du Premier ministre, mais il y a une logique des institutions que l’on n’aimerait pas voir bafouée d’une manière aussi indécente. Au fait, le 27 mars 1854, il y aura tout juste 160 ans, la France et la Grande-Bretagne déclaraient la guerre à la Russie pour bloquer sa poussée vers le sud. Objectif : stopper une expansion russe qui ne menaçait aucunement les intérêts français, mais gênait les intérêts britanniques. La France roulait pour l’Angleterre. À savoir : l’alliance anglaise ne nous fut d’aucun secours face à l’Allemagne en 1870-71.
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Algérie : ça va mal finir
Algérie : ça va mal finir
Tout le monde ne parle que de la crise Ukraine-Russie, mais il faut se pencher sur ce qui se passe en Algérie. On critique beaucoup M. Poutine, figure emblématique du tyran pour un Occident auto satisfait, mais on semble négliger le régime algérien, ubuesque, incompétent, oligarchique. Avec lequel pourtant la France entretient les meilleures relations, à la limite de la servilité, n’osant pas émettre contre lui la moindre critique (1).
Le 17 avril, le président Bouteflika, 77 ans, rendu impotent par un AVC, se présente pour un 4e mandat, après 15 ans de pouvoir. Évidemment, il ne pourra pas gouverner, mais il est la marionnette d’un clan, ou plutôt de plusieurs. L’Algérie danse sur une poudrière. Le 15 avril, une manifestation a eu lieu à Alger, avec le mouvement ”Barakat” (”Ça suffit !”), dénonçant une mascarade électorale. Dans le même temps, éclataient à Ghardaïa, à 600 km au sud de la capitale, des affrontements interethniques très violents. Ils opposaient les Mozabites (Berbères) et les Châambas (Arabes). Il y eut plus de 100 blessés graves et des pillages ou incendies de commerces et de maisons berbères. Ce n’est qu’un début. L’Algérie se dirige vers une très grave crise.
Une nouvelle guerre civile couve, avec trois types d’antagonisme : 1) Islamistes contre laïcs ; 2) Berbères contre Arabes ; 3) luttes de pouvoir au sein de l’appareil d’État, impliquant le FLN, le RND et l’Armée. Depuis son indépendance, l’Algérie, qui aurait pu être la Californie de l’Afrique du Nord, est un pays de malheur. En dépit de ses ressources primaires pétro-gazières qui sont techniquement gérées par des Occidentaux et qui amènent à l’Algérie la majorité de ses devises, ce pays n’a su développer aucun secteur économique national performant. Le chômage y est endémique, la pauvreté persistante, la bureaucratie pachydermique. À l’inverse des pays d’Asie. Il y a donc bien un problème intrinsèque à ces populations.
Tout le monde le sait et le murmure mais personne n’ose le dire : du temps de la présence française, les populations d’Algérie vivaient bien mieux qu’aujourd’hui. D’ailleurs, l’importance de l’immigration des Algériens en France témoigne de leur fuite hors de leur propre pays pour venir vivre chez l’ancienne puissance coloniale. C’est à la fois une schizophrénie (ils restent nationalistes algériens tout en détestant le régime de leur pays) et un terrible aveu d’impuissance.
En Algérie, ça va éclater. Une guerre civile, extrêmement compliquée (comme dans tous les pays arabo-musulmans et de l’arc proche-oriental), se prépare. La raison profonde en est une instabilité psycho-ethnique de ces populations, incapables de vivre dans l’harmonie. L’islam ne fait qu’aggraver les choses. La même chose se remarque en Amérique du Sud, zone d’intenses mélanges ethniques : mais elle est géopolitiquement décentrée, donc de bien moindre importance que le Maghreb et le Proche Orient.
Pour ne rien arranger, la Libye voisine sombre dans le chaos : effondrement de la production pétrolière, délitement de l’État, éclatement du pays en zones néo-tribales, montée des affrontements, installation de bases armées islamistes. Bravo à ceux qui ont aidé à renverser le régime de Kadhafi. Quant à la Tunisie, les suites du ”printemps arabe”, véritable duperie, s’annoncent sous de très mauvaises augures. (2)
La prédiction que l’on peut faire, c’est que l’Algérie présente de grands risques de s’embraser, encore plus violemment que dans les années 90. Avec, à ses portes la Tunisie et la Libye, elles aussi menacées d’incendie. Et, partout en embuscade, l’islamisme. Pour la France, qui comporte de très nombreuses communautés originaires de l’Algérie et du Maghreb, la nouvelle est inquiétante et les conséquences peuvent être gravissimes.
Notes:
(1) Deux causes : la mauvaise conscience coloniale de la repentance, fabriquée par les idéologies de gauche, et la présence en France de populations d’origine algérienne qu’il faut ménager.
(2) Pour l’instant, à part le Maroc et les monarchies du Golfe (qui sont toutes des autocraties héréditaires), tous les pays arabo-musulmans, Algérie, Tunisie, Libye, Égypte, Syrie, Liban, Irak sont dans une situation explosive. À l’échelle du monde, 80 % des pays où l’islam est majoritaire ou très présent connaissent un état endémique d’instabilité pouvant dégénérer à tout moment.
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jeudi, 20 mars 2014
La crise de l’euro frappera-t-elle bientôt l’Europe du Nord?
La crise de l’euro frappera-t-elle bientôt l’Europe du Nord?
Une étude avertit les Européens: la crise de la monnaie unique s’étendra probablement à la Belgique et à la Finlande
Le “Centre de Politique Européenne” (CPE) vient de publier un rapport qui suscite l’inquiétude. Selon cette étude, la crise de la dette, malgré le calme relatif qui règne aujourd’hui sur les marchés financiers internationaux, pourrait très bien s’étendre, notamment à des pays d’Europe du Nord. Pour la première fois, deux pays d’Europe du Nord, la Finlande et la Belgique sont frappés par une capacité déclinante à obtenir des crédits, tout comme les pays d’Europe méridionale.
Certes, la Belgique est considérée depuis longtemps comme un pays potentiellement en crise, à cause de la dette de l’Etat qui frise les 100% du PIB mais, pour la Finlande, l’alerte est nouvelle bien qu’elle étonne encore. Ce pays du Nord avait été considéré jusqu’il y a peu comme un roc inébranlable dans la tempête.
Même si ces deux pays, peu peuplés, ne doivent pas être considérés comme des poids lourds sur le marché, on a tout lieu de s’inquiéter de voir des pays du Nord se joindre à la liste des pays à problèmes, déclare le président du CA du CPE, Lüder Gerken. Dans les deux pays, on peut constater une involution, un ressac. Certes, les deux Etats nord-européens peuvent encore contracter des dettes; cette position, dont ils bénéficient, n’est pas encore véritablement menacée mais le taux de consommation est encore trop élevé en Belgique comme en Finlande.
(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°9/2014; http://www.zurzeit.at ).
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Entretien avec Hongbing Song, auteur de «La guerre des monnaies»
Entretien avec Hongbing Song, auteur de «La guerre des monnaies»
Ex: http://www.scriptoblog.com
Hongbing Song pense que la Chine devrait pousser l’intégration de la monnaie à travers l’Asie, prenant exemple sur l’Allemagne, qui a abandonné le deutsche Mark, mais a pris le contrôle de l’Europe et de l’euro. Bien que n’étant pas reconnue comme une source universitaire, la série La guerre des monnaies de Hongbing Song est très populaire parmi les lecteurs. Song se considère comme un « spécialiste de la finance internationale », qui envisage l’économie en termes de « guerres ». Il croit que l’économie n’est qu’une pièce du jeu politique plutôt qu’une théorie ou une science.
Il explique son impopularité parmi les économistes du courant dominant en disant qu’il est compréhensible que « les économistes rejettent un nouveau système qui remet en question leur système de connaissances monopolistique ».
Dans ses livres, Song tente d’expliquer l’histoire et le développement du monde à travers la perspective des monnaies et de la finance. Il pense que « bien que l’histoire ne se répète tout simplement pas, l’humanité reflétée dans des périodes différentes est étonnamment semblable. » Song espère trouver une solution pour le développement du monde.
Lors de son entretien, Song mentionne que dans le passé, les Chinois ne se sont pas préoccupés des devises. L’argent, le commerce et les relations financières et commerciales ont été négligés pendant des milliers d’années en Chine.
The Economic observer : Que-ce qui vous a poussé à écrire la série La Guerre des monnaies?
Hongbing Song : J’habite aux États-Unis depuis 14 ans et j’ai passé plus de 20 ans en Chine. Si la Chine veut devenir une puissance mondiale comme les États-Unis, elle doit se concentrer sur plus de choses que sa simple puissance militaire. La principale concurrence entre les deux pays sera l’économie et les finances, plutôt que l’armée traditionnelle ou la guerre. Plus j’y réfléchissais, plus je réalisais que la puissance financière des États-Unis a été sous-estimée par la plupart des gens.
Tous mes livres tentent d’expliquer l’histoire et le développement du monde dans la perspective de la monnaie et de la finance. Les chinois ne sont pas très préoccupés par l’argent, et nous avons négligé l’argent, les échanges et l’influence de la finance sur le commerce pendant des milliers d’années.
Voulez-vous dire que nous n’avons pas conscience de l’importance de l’argent ?
Depuis les années 1940, il y a eu quelques occasions pour les Chinois d’acquérir de l’expérience dans la finance. En tant que puissance économique montante, la Chine pourrait subir des pertes dans la concurrence internationale, si nous ne possédons pas de solides connaissances sur la finance. C’est pourquoi j’ai combiné les deux notions de « monnaie » et « guerre ». Lorsque j’ai d’abord proposé ce concept, les gens étaient confus et ont demandé : « Comment une guerre pourrait éclater entre les monnaies ? » Cependant, lorsque les gens sont devenus plus conscients de l’environnement économique du monde, ils ont commencé à en accepter la possibilité.
Il n’y a pas de recherche systématique sur la concurrence des monnaies et de l’argent en Chine. Seuls les théories monétaires ou l’économie sont étudiées. La Chine a négligé l’importance de la finance comme un outil, une mesure et une arme, qui pourrait être vital pour son développement, son économie et sa sécurité nationale à l’avenir. Par conséquent, mon point central dans les quatre livres est en fait l’influence que l’argent a sur le sort d’un pays et du monde.
Qu’avez-vous trouvé ?
Basé sur un récent sondage que j’ai effectué à l’université ETH de Zurich, nous avons analysé la structure des capitaux propres de 37 millions d’entreprises transnationales et constaté que 147 des plus grands instituts financiers exercent un contrôle sur ces 37 millions d’entreprises. En outre, il y a 20 ou 30 grands groupes de sociétés de portefeuilles derrière ces 147 institutions. Cela montre comment les sociétés de portefeuilles financières minoritaires au sommet de la pyramide contrôlent effectivement la plupart des groupes transnationaux de matériaux de base et de d’énergie.
L’enquête a démontré mon hypothèse dans La guerre des monnaies 2. Il y avait 60 familles qui contrôlaient plus de 60 % des industries aux États-Unis, en dépit de leur récente disparition du classement des plus grandes fortunes du monde depuis 1940. Pourquoi ont-elles disparu, vous demandez-vous ? Est-ce à cause de la guerre ? Cependant, gardez à l’esprit qu’il n’y a pas eu depuis de guerre sur le sol américain. J’ai le sentiment qu’à cette époque, les grandes et indispensables entreprises dans le monde étaient encore contrôlées par une minorité de familles. Les grandes banques et les entreprises sont en fait très centralisées. Beaucoup de grandes familles financières ont mis en place des fonds et fait don de leurs fortunes, surtout après 1930. Ce qu’ils veulent, c’est le contrôle plutôt que la propriété. Bien qu’il y ait peut-être des philanthropes, la pratique courante de mise en place des fondations de charité ne me semble pas logique.
Le monde est vraiment en désordre maintenant. Votre quatrième livre est « La période des États en guerre ». Qui selon vous en sortira « gagnant » ?
D’après la situation actuelle, les États-Unis et l’Europe sont les régions qui sont les plus susceptibles de réussir. En comparaison, la Chine n’est pas encore au même niveau. La compétition pour le leadership de l’économie mondiale se fait donc principalement entre les États-Unis et l’Europe. Bien que la Chine soit également prête, le pays n’est pas encore aussi compétent.
Votre réponse est très différente des autres. Pouvez-vous nous l’expliquer ?
Pour moi, la Chine est encore très fragile, non seulement au sens économique, mais en général aussi. L’énorme édifice économique que nous avons construit a une base très fragile. Comment pouvons-nous prétendre être une puissance mondiale si l’énergie et les matériaux ne sont pas suffisants au niveau national et que le commerce dépend principalement du marché étranger. Pour une véritable montée en puissance, son économie doit être beaucoup plus grande que sa dépendance aux marchés étrangers, comme l’expansion de l’Amérique l’a démontré. Avant son entrée dans la Seconde Guerre mondiale dans les années 1930, seulement 2 % à 3 % de sa croissance économique était attribuée aux marchés étrangers. En d’autres termes, les États-Unis n’avaient pas besoin d’un marché extérieur, et au contraire, les marchés étrangers avaient besoin des États-Unis. Même aujourd’hui, alors que cet État est devenu un immense empire dans le monde, son commerce extérieur ne représente que 8 % de son PIB, alors que le chiffre pour la Chine est de 30 %. Ce n’est que lorsque le pays n’est pas dépendant des autres qu’il peut mener sa propre voie.
Dans votre ère d’États supposés en guerre, est-ce que la Chine a un rôle décisif ?
Je ne suis pas pessimiste à ce sujet. L’idée de base est qu’un grand marché intérieur est la base pour l’ascension d’un pays. Certains ont mentionné l’internationalisation du yuan, mais il est évident que le yuan ne peut pas devenir la monnaie de réserve du monde si le marché intérieur de la Chine n’est pas le plus important du monde. L’économie chinoise est dépendante des exportations, ce qui signifie que la monnaie va refluer lorsque les marchandises seront exportées. Le Japon et l’Allemagne ont tous deux essayé l’internationalisation du mark et du yen. Toutefois, leur part dans la monnaie internationale n’a jamais dépassé 7 %, aussi à cause de leurs économies orientées vers l’exportation.
Cela pourrait servir de leçon à la Chine. Un tiers du PIB de la Chine vient de son marché intérieur, qui représente seulement un neuvième de la taille du marché américain. Le meilleur résultat pour les pays tournés vers l’exportation ne peut pas être mieux que ce qui était le cas pour le deutsche Mark ou le yen.
Quel est l’objectif stratégique de promotion de l’internationalisation du yuan ? À mon avis, la réponse est de remplacer le dollar. Cependant, est-il possible de garantir un encadrement efficace de la négociation des yuans à l’étranger maintenant ? Plus les yuans s’écoulent à l’étranger, plus cela sera dangereux. Il en va de même pour l’évaluation du yuan. Si l’administration d’État du marché des changes et de la Banque populaire de Chine met en place le taux de change à 6,36, alors que l’accord est de 5 à New York, quelle norme le marché va-t-il suivre ? Comme il y a beaucoup de dérivés financiers à l’étranger, le nombre d’accords là-bas peut dépasser celui de Pékin. Dans ce cas, la Chine pourrait perdre le droit d’établissement des prix.
C’est précisément pourquoi je regarde vers le passé. En regardant en arrière, nous pouvons observer comment la livre et le dollar ont augmenté. Lorsque l’on compare le marché intérieur des États-Unis et de la Grande-Bretagne à celui de la Chine, il est impossible de prétendre que le yuan pourrait remplacer le dollar américain d’ici les 30 prochaines années. Il serait préférable de promouvoir une monnaie asiatique et bénéficier de l’internationalisation indirecte des yuans. Cependant, il y a aussi des problèmes, tels que la façon dont l’Asie devrait être intégrée.
Voulez-vous dire la liaison de toute l’Asie ?
Oui. En fait, les Chinois pensent rarement à la raison pour laquelle l’économie asiatique est toujours distraite et contenue par les États-Unis et l’Europe alors que leur économie totale est déjà l’égal des deux puissances. Ils considèrent aussi rarement pourquoi tous les pays asiatiques se tournent vers les États-Unis à la place d’autres pays asiatiques en cas de problème. Si la Chine veut devenir une puissance mondiale, il est essentiel que celle-ci s’intègre à d’autres pays d’Asie.
L’intégration de l’Asie n’est elle pas difficile pour des raisons géographiques, historiques et de relations politiques ?
La racine des problèmes des pays asiatiques ne sont pas les malentendus et les obstacles historiques. Par rapport à ces problèmes secondaires, le principal facteur est externe – le fait que les États-Unis ne veulent pas que l’Asie s’unisse. Il n’y a pas eu autant de guerres en Asie, qu’il y en a eu en Europe, pourtant les pays sont encore très aliénés. Si l’Asie est intégrée en tant que communauté d’intérêt, les États-Unis n’auront aucune chance de rester une superpuissance.
C’est pourquoi j’ai décrit la réconciliation de l’Allemagne et de la France dans le livre. L’Allemagne et la France ont été réunies par la Communauté européenne du charbon et de l’acier. Les deux pays étaient en guerre, lorsque la France a pris les régions de la Ruhr et de la Sarre après la Seconde Guerre mondiale et l’Allemagne a trouvé que leur développement était limité par la France après la guerre. La guerre potentielle dans les années 1950 entre les deux pays a été plus tard éliminée par l’articulation de leurs industries sidérurgiques. L’union est supra-souveraine et ouverte, appelant aussi d’autres pays à s’y joindre. C’est l’origine de la Communauté européenne et de l’Union européenne. Si les pays asiatiques ont des conflits sur la mer à l’est et au sud, pourquoi ne pas prendre l’exemple et intégrer les sources de pétrole là-bas avec une Union supra-souveraine, qui peut lier ensemble les intérêts de la Chine, du Japon et la Corée. D’ici là, aucun de ces pays ne commenceraient une guerre et un nouveau marché asiatique uni sera également créé. Quand une monnaie asiatique pourra enfin être promue, l’influence des États-Unis et de l’Europe sur la région diminuera.
Votre réflexion est typiquement américaine. Accepteriez-vous que les Chinois ne pensent pas normalement de la même manière ?
Oui. Après avoir vécu aux États-Unis, j’ai constaté que la pensée américaine et britannique est la clé de leur succès dans la conduite du monde, car elle se concentre sur l’intérêt national rationnel. Plutôt que de se concentrer sur le « visage » du pays, ils poursuivent les entreprises les plus rationnelles et les plus utiles. Le nationalisme en Chine est trop irrationnel. Ça ne fait pas de différence si nous nous plaignons des autres tout le temps. Cependant, si nous coopérons avec le Japon et unissons les pays asiatiques pour faire une organisation d’intérêt mutuel, la Chine en bénéficiera le plus. Comme dit le proverbe, même les mendiants doivent surveiller leur dos quand ils battent les chiens, comment la Chine pourrait s’opposer à l’Europe et aux États-Unis sans le secours de l’Asie ? La Chine devrait rivaliser avec l’Europe et les États-Unis pour le rôle de premier plan dans le monde. La « diplomatie de grande puissance » que nous avons trop soulignée dans le passé devrait être remplacée par une « diplomatie de voisin ». Même si nous pouvions maintenir une bonne relation avec l’Europe et les États-Unis, comment pouvons-nous attendre d’eux de nous aider sincèrement quand tout le monde est en concurrence avec l’autre pour être le leader du monde ? C’est comme essayer de trouver un poisson dans un arbre. Nous devrions nous tourner vers nos voisins asiatiques pour de l’aide en changeant notre mentalité au sujet de comment devenir le chef de file mondial.
Je ne veux pas dire que nous devrions vivre dans l’histoire, mais je veux montrer que nous ne devrions pas répéter l’histoire non plus – nous ne devons pas être divisés et gouvernés par des puissances étrangères. La Chine devrait intégrer les puissances asiatiques dans un marché commun ainsi qu’une monnaie commune. L’Allemagne a renoncé à son marché intérieur et son deutsche Mark, mais a gagné l’ensemble du marché ainsi que le contrôle de l’Union européenne. Il s’agit de la relation dialectique du « donner » et « gagner ». Comment pouvons-nous obtenir quelque chose sans donner ?
Traduction E&R
Source : The Economic Observer
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Der Westen, Russland, China und die Ukraine
«Rechtzeitig die bereits brennende Lunte aus dem Benzinfass nehmen»
Der Westen, Russland, China und die Ukraine
Ex: http://www.zeit-fragen.ch
von Willy Wimmer, Staatssekretär des Bundesministers der Verteidigung a.D., Mitglied des Deutschen Bundestages 1976–2009
Die Nachrichten wegen der Ukraine überschlagen sich und der schöne Schein von Sotschi mit den glänzend gestimmten Sportlern ist schneller zerstoben, als das allen lieb sein konnte.
Dennoch sollten wir in der Flut der Nachrichten über Ereignisse gut 700 Kilometer von Berlin entfernt die Meldung über ein fürchterliches Massaker in der chinesischen Stadt Kunming nicht übersehen oder falsch einordnen. Kunming als Hauptstadt der chinesischen Provinz Yünnan beeindruckt eigentlich durch seinen Charme, der an lebenslustige Gebiete am Mittelmeer erinnert. Am letzten Wochenende kam der Tod nach Kunming, als fast 30 Menschen ermordet und mehr als 100 Menschen schwer verletzt wurden. Weit weg?
Erinnern wir uns an den Vorabend des völkerrechtswidrigen Krieges gegen die Bundesrepublik Jugoslawien, dessen Beginn sich in diesen Tagen zum 15. Male jährt. Über Monate hatte es im chinesischen Westen Anschlag über Anschlag gegeben. Tote und Verletzte waren die Folge. Prominente Schauspieler aus Hollywood eröffneten eine Kampagne wegen Tibet. Es war so dramatisch, dass eine kriegerische Auseinandersetzung wegen Tibet erwartet wurde. Nicht nur im Spiegel konnte jeder lesen, dass wohl amerikanische Dienste hinter den Ereignissen im Westen Chinas stünden.
Das, was losbrach, waren die Bombenangriffe auf Belgrad, mitten im europäischen Kerngebiet, und das Vehikel war die albanische Terrororganisation UÇK, auf die die Vereinigten Staaten und später die gesamte Nato gesetzt hatte, um ihre Ziele in der Bundesrepublik Jugoslawien durchzusetzen.
Zeichen an der Wand sind häufiger zu sehen, als uns lieb sein kann. Das bedeutet für uns, dass wegen der gleichzeitig stattfindenden Umbrüche in der Ukraine das Gesamtbild nicht aus den Augen gelassen werden darf.
Es ist etwas ganz Grosses im Gange, das uns alle zerreissen kann. Wer heute Russland aus den G 8 schmeissen will, der hat keine Hemmungen, morgen China mit dem Rauswurf aus der Welthandelsorganisation zu drohen und die Drohung auch wahrzumachen. Es ist Endspiel-Zeit, und es ist geradezu spektakulär, wie der amerikanische Aussenminister John Kerry sich als Schutzengel des Völkerrechtes aufspielt.
Dennoch ist das amerikanische Verhalten seit dem völkerrechtswidrigen Krieg gegen Belgrad und die folgenden, ebenfalls klassischen Aggressionskriege gegen den Irak u. a., keine Ausrede für andere, in amerikanische Muster der letzten Jahrzehnte zu verfallen. Aber tun sie das? Man ist heute schnell bei der Hand, den russischen Präsidenten Putin mit Adolf Hitler zu vergleichen, wie es in diesen Tagen ein ehemaliger tschechischer Aussenminister getan hat. Fürst Schwarzenberg hat gut reden, waren es doch die Russen, die gnadenlos unter Adolf Hitler ihr Blut vergiessen mussten. Peinlicher geht es nicht mehr.
Aber die Ukraine wird uns um die Ohren fliegen, auch wenn es seit Joschka Fischer einen Nato-Modus zu geben scheint, wenn Ziele angeleuchtet werden. Janukowitsch ist weg, und wer will ihm eine Träne nachweinen? Bei den Protzvillen? Als wenn das bis zum Ringen um das Assoziierungsabkommen irgend jemanden in Brüssel, Berlin, London oder Washington gestört hätte. In der Staatskasse noch knapp 300 000 Euro? Wo waren die peniblen Brüsseler Schlaumeier bei der Überprüfung der Kiewer Daten vor dem angepeilten Abkommen zwecks grösserer Nähe der Ukraine zur Europäischen Union?
Von ganz neuer Qualität dürfte jedoch sein, dass nicht nur die US-amerikanische Staatssekretärin Nuland den Überlegungen zur Manipulation der neuen Regierung in der Ukraine freien Lauf gelassen hat. Hier wurde zum ersten Mal in der neueren Geschichte eine Regierung, die nach Bekundungen aller – von der OSZE bis zum Europa-Rat – durch faire und freie Wahlen zustande gekommen war, aus dem Amt geputscht, und alle Abkommen zur Krisenbeilegung wurden beiseite gefegt.
Das geschah wohlgemerkt auch und gerade durch Kräfte, die einen gesamteuropäischen Aufschrei der Abscheu hätten hervorrufen müssen. Noch in der Nacht der Machtergreifung wurde gegen die russischsprachigen Bewohner der Ukraine mobil gemacht. Man hatte nichts Eiligeres zu tun, als ihnen die Zerstörung ihrer Bürgerrechte in Aussicht zu stellen. Es war eben auch der politische Mob, der anschliessend drohte, durch die gesamte Ukraine zu fegen.
Wegen des unmittelbar drohenden Finanzkollapses der Ukraine droht sich dort ein Furor breitzumachen, der zwar heute nach dem Westen ruft, aber dem Heulen und Zähneknirschen drohen, wenn ihn die westeuropäische und amerikanische Realität erreicht.
Washington scheint zu den letzten Mitteln vor einer Kriegserklärung an die Russische Föderation greifen zu wollen, wenn man die Herren Obama und Kerry hört. Wäre es wegen der Dimension des von der Ukraine ausgehenden Urknalls für ganz Europa nicht sinnvoller gewesen, die Fäden zusammenzuhalten? Schliesslich war es Moskau, das der maroden Ukraine noch mehr Geld nachwerfen wollte, als der in diesen Dingen äusserst penible Westen.
Und Putin? Hätte er zuwarten sollen, bis die Kiewer Machtübernahme die russische Grenze erreicht hätte? Die Träger des neuen Geistes waren alle auf dem Weg. Was in Teufels Namen hat nach der Kiewer Machtübernahme die neuen Machthaber dazu veranlasst, nun jeden wichtigen Amtsträger im ganzen Land aus dem Amt zu jagen und durch eigene Günstlinge zu ersetzen? Der russische Präsident Putin hat durch die Form seiner Reaktion diesem Tun ein Halt-Signal gesetzt, für das man ihm vielleicht noch einmal sehr dankbar sein wird. Die Souveränität und territoriale Integrität auch der Ukraine stehen ausser Frage. Rechtzeitig die bereits brennende Lunte aus dem Benzinfass zu nehmen, wie es Putin gemacht hat, sollte dann als Chance begriffen werden, wenn das russische Handeln nicht als Gefährdung der eigenen westlichen Absichten gesehen wird. •
Westeuropäische Medien wie gleichgeschaltet unter US-Oberbefehl?
Offener Brief an die Staats- und Regierungschefs der EU zur Sitzung vom 6. März 2014
Sehr verehrte Damen,
sehr geehrte Herren,
nach den Standards, die in der Europäischen Union bei schwierigen Entwicklungen üblich sind, müssten die Staats- und Regierungschefs bei ihrem Treffen in Brüssel wegen der Lage in der Ukraine festlegen, dass
1. zu den neuen Machthabern in Kiew auf der Regierungsebene keine Kontakte stattfinden, solange es ernsthafte und begründete Zweifel an der Rechtmässigkeit der neuen Organe in Kiew gibt,
2. so lange davon ausgegangen werden muss, dass in hohen und höchsten Ämtern der neuen Organe in Kiew sich Personen befinden, deren politische Haltung in ganz Europa Abscheu wegen ihres Gedankengutes hervorruft, sollte ein Boykott der EU […] über die Organe in Kiew so lange verhängt werden, bis diese Personen nicht mehr den im Amt befindlichen Organen in Kiew angehören. Für die Bundesregierung in Berlin ist es nicht akzeptabel, dass vor dem Bundesverfassungsgericht in Karlsruhe ein Verbot der NPD durchgesetzt werden soll, während man gleichzeitig in Kiew mit denen unter einer Decke steckt, die engste Kontakte zur NPD pflegen.
Es ist in hohem Masse bedauerlich, dass in Westeuropa die Medien auf die krisenhafte Entwicklung so reagieren, als wären sie gleichgeschaltet und unterstünden amerikanischem Oberbefehl. […]
In der letzten Woche drohten die Flammen des Maidan in Kiew auf die ganze Ukraine überzugreifen. Eine im Bürgerkrieg versinkende Ukraine hätte ganz Europa mit in den Untergang gerissen. Diese Gefahr ist immer noch nicht vom Tisch, weil die wirtschaftlichen Gefahren erst noch auf alle zukommen. Das besonnene und deutliche Auftreten der russischen Regierung unter Präsident Putin hat Europa und der Welt eine Chance gegeben, Souveränität und territoriale Integrität der Ukraine zu erhalten und uns vor dem Furor eines Bürgerkrieges in der Ukraine zu bewahren.
Die Russische Föderation hat in den Jahren, die mit dem ordinären Angriffskrieg der Nato gegen die Bundesrepublik Jugoslawien vor fast genau 15 Jahren und zu einem friedensbedrohenden und völkerrechtswidrigen Verhalten der USA auch in anderen Teilen der Welt führten, sich zum Völkerrecht und seinen tragenden Grundsätzen bekannt. Ohne dieses Völkerrecht und vor allem die Charta der Vereinten Nationen wird das Schicksal Europas mehr denn je ungewiss sein. […]
Willy Wimmer, Staatssekretär des Bundesministers der Verteidigung a.D., Mitglied des Deutschen Bundestages 1976–2009
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Snowden dénonce un «bazar européen» au service des États-Unis
Snowden dénonce un «bazar européen» au service des États-Unis
Bruxelles — Sous pression américaine, l’UE a laissé se mettre en place un « bazar » de l’espionnage généralisant la surveillance de masse à tous les citoyens, a dénoncé auprès du Parlement européen le lanceur d’alerte américain Edward Snowden.
« L’une des activités essentielles de la division des affaires étrangères de la NSA est de faire pression ou d’inciter les États membres de l’UE à changer leurs lois autorisant la surveillance de masse », soutient M. Snowden dans une déposition écrite que le Parlement européen a rendu publique vendredi.
De telles opérations ont été menées en Suède, aux Pays-Bas, ou en Allemagne, avec comme résultat « la mise en place en secret de systèmes intrusifs de surveillance massive », met en garde l’ancien consultant en sécurité, qui répond à des questions écrites de la commission des Libertés civiles du Parlement.
M. Snowden incrimine notamment le droit que se réserve la NSA (Agence nationale de sécurité américaine) d’espionner les ressortissants des partenaires des États-Unis, sans les en informer. Au passage, cela permet aux États concernés d’invoquer leur ignorance face à leur opinion publique, met-il en avant.
Selon M. Snowden, le « résultat est un bazar européen » où les États membres acceptent de céder individuellement à la NSA des droits censés être limités mais lui permettant au final de mettre en place « un patchwork de surveillance de masse contre l’ensemble des citoyens ordinaires ».
M. Snowden exhorte les eurodéputés à agir pour empêcher que « les espions ne dictent la politique » des États de l’UE.
« La bonne nouvelle est qu’il y a une solution : la faiblesse de la surveillance de masse est qu’elle peut facilement être rendue trop coûteuse via des changements de normes techniques » avec la généralisation du cryptage, ajoute-t-il.
À l’issue d’une enquête de six mois sur la surveillance massive américaine révélée par M. Snowden, le Parlement européen doit se prononcer la semaine prochaine sur un projet de rapport préconisant de suspendre SWIFT et Safe Harbour, deux importants accords d’échange de données avec les États-Unis.
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mercredi, 19 mars 2014
La Crise ukrainienne et la troisième voie géopolitique
La Crise ukrainienne et la troisième voie géopolitique
par Jure Vujic
Ex: http://www.polemia.com
«L’Eurasisme russe aurait tout intérêt à ménager les nationalismes européens de cet espace centre-européen et de l’espace pontique de la mer Noire y compris l’Ukraine, plutôt que de nier leurs identités nationales et d’attiser leurs positions russophobes.»
♦ Polémia a reçu de son contributeur franco-croate, Jure Georges Vujic, une analyse géopolitique de la crise ukrainienne. Donner accès à la diversité des points de vue fait partie de notre ligne éditoriale. Nous la soumettons donc à la réflexion de nos lecteurs.
Polémia
Il semblerait que la crise ukrainienne divise la mouvance nationale et eurasiste en deux camps, le premier soutenant l’opposition nationaliste ukrainienne en tant que vivier identitaire et vecteur national-révolutionnaire, le second, le camp des «eurasistes» russophiles, qui, pour des raisons géopolitiques anti-atlantistes, soutiennent l’intervention russe en Crimée. Pourtant, cette vision binaire demeure quelque peu simplificatrice. C’est pourquoi je réitère « qu’il faut savoir raison garder » et que la démesure dans l’analyse géopolitique, le jusqu’au-boutisme et l’engouement belliciste ne font que conforter une fois de plus l‘hybris et le conflit entre des peuples européens et, une fois n’est pas coutume, sur la terre européenne.
Bien sûr, il faut rappeler que suite à la décision du gouvernement élu de ne pas signer d’accords commerciaux avec l’Union européenne, le camp atlantiste et américain a tenté d’orchestrer une seconde « Révolution orange » cette fois-ci en s’appuyant et en manipulant des groupes ultranationalistes ukrainiens aux fins d’installer un pouvoir pro-occidental à Kiev. Le nationalisme ukrainien extrêmement dynamique est autant antirusse qu’antioccidental alors que les arguments de l’adhésion à l’UE servent uniquement de levier d’émancipation de la tutelle russe. Par ailleurs, l’expérience de la Hongrie de Orban démontre très bien que l’on peut être dans l’UE et mener une politique nationale et souverainiste.
D’une part, je ne suis pas convaincu qu’il s’agisse d’une confrontation entre une vision eurasiste pro-russe et un nationalisme ukrainien pro-atlantiste. Il faut avoir à l’esprit la question de la légitimité des manifestations du peuple ukrainien systématiquement spolié et paupérisé par des régimes corrompus et oligarchiques successifs, tour à tour pro-occidentaux et pro-russes (la famille du présidentViktor Ianoukovitch s’est enrichie de près de 8 milliards d’euros par an). D’autre part, l’opposition entre le sud-est russophone de l’Ukraine et l’EuroMaidan s’est cristallisée en raison du ressentiment antirusse qui s’est développé dans la partie occidentale de l’Ukraine. Si une partie des habitants s’est organisée en formations paramilitaires et a manifesté contre le nouveau gouvernement de Kiev, c’est parce que la révolution a gagné à ses yeux une connotation antirusse plutôt que pro-européenne.
Il est en effet déplorable que l’Ukraine soit entre le marteau et l’enclume, et n’ait finalement que le choix entre l’intégration européenne pro-atlantiste et la soumission au voisin russe. C’est dans les leçons de l’histoire européenne qu’il faut peut-être chercher la solution. « L’Ukraine a toujours aspiré à être libre » a écrit Voltaire dans son Histoire de Charles XII, à propos de l’hetman Mazeppa. L’identité ukrainienne s’est cimentée il y a une dizaine de siècles et n’est pas près d’être russifiée, quand bien même son histoire reste étroitement liée à la Russie. L’Ukraine est et restera un pays écartelé entre le géant eurasiatique qu’est la Russie à l’est, et l’Europe centrale beaucoup plus proche de l’Occident. Etymologiquement le nom d’’Ukraine est associé à celui de « marche », et c’est ainsi qu’il faut la traiter en tant qu’espace géopolitique pontique et médian. C’est pourquoi la Russie aurait tout intérêt à traiter le peuple ukrainien et l’identité ukrainienne sur un pied d’égalité et de réciprocité plutôt qu’obstinément nier leur existence nationale, les associer à des «petits Russes», ce qui ne fera qu’exacerber le sentiment ukrainien antieurasiste et antirusse.
L’identité ukrainienne tout comme l’histoire des peuples cavaliers, de souche européenne, fait partie intégrante de notre héritage indo-européen le plus ancien tout comme le constitue l’héritage slavo-russe et orthodoxe. Il faut rappeler que c’est un chercheur ukrainien Iaroslav Lebedynsky, qui enseigne à l’Institut national des langues et civilisations orientales, qui nous a livré de remarquables récits historiques sur les Scythes, les Sarmates, les Saces, les Cimmériens, les Iazyges et les Roxolans, les Alains, etc. qui témoignent de l’identité pluriséculaire de ces peuples de souche européenne sur cet espace eurasiatique qui va de l’Europe centrale jusqu’aux confins de la Sibérie orientale, espace qui ne possède pas de frontières naturelles comme l’expliquait le général Heinrich Jordis von Lohausen dans son traité de géopolitique. En effet, l’importance géostratégique pontique de l’Ukraine, bordée par la mer Noire et la mer d’Azov au sud et située entre l’Europe occidentale et la masse continentale eurasiatique, dépend en majeure partie de sa configuration frontalière. Les régions historiques ukrainiennes, comme la Volhynie et la Galicie (jadis polono-lituaniennes), la Bukovine (jadis moldave) ou la Méotide (jadis tatare criméenne), s’étendent également sur les pays voisins, ouvrant ainsi une profondeur stratégique à la Russie au nord et à l’est, à la Biélorussie au nord, à la Pologne, à la Slovaquie et la Hongrie à l’ouest et à la Roumanie et la Moldavie au sud-ouest.
Bien sûr, il convient d’un point de vue géopolitique de soutenir le projet eurasiste russe comme facteur de rééquilibrage multipolaire face aux menées néo-impériales atlantistes, mais ce projet géopolitique grand-européen eurasiste doit être avant tout un projet fédérateur, de coopération géopolitique, fondé sur le respect de tous les peuples européens, sur le respect des souverainetés nationales et sur le principe de subsidiarité. L’affirmation agressive et exclusiviste de la composante slavo-orthodoxe et « grand-russe » dans le projet eurasiste, surtout dans les territoires centre-européens et du sud-est européen catholiques qui gardent un mauvais souvenir de l’expérience soviétique, ne fera au contraire que raviver les tensions entre les peuples européens, ce qui fait le jeu de la stratégie atlantiste qui divise pour régner. Par ailleurs, tout comme il convient de dénoncer la fragmentation ethno-confessionnelle qui est à l’œuvre au Moyen-Orient en tant qu’instrument de domination atlantiste, il convient aussi de se méfier des constructions annexionnistes ou irrédentistes linguistiques « grand-russes » sous prétexte d’unification « des terres russophones » qui peuvent à long terme avoir les mêmes effets dissolvants en Eurasie dans le Caucase et en Europe centrale, car le même argument linguistique pourrait justifier la revendication séparatiste d’ethnies ou de populations non-européennes sur le sol européen. En effet, le déchaînement du nationalisme ethno-confessionnel à l’ouest de l’Ukraine inquiète les minorités ethniques et notamment les Polonais, les Hongrois et les Roumains. Les Tatares de Crimée qui semblent avoir déjà choisi leur rattachement à la Russie ne peuvent pas rester à l’écart de la recomposition en cours à l’ouest et au sud-ouest d’Ukraine. Ainsi le groupe ethnique des Gagaouzes qui forment une communauté homogène en Moldavie s’est déjà prononcé par référendum pour l’intégration eurasienne. On assiste également à une montée en puissance du facteur turcophone dans la région du Caucase et dans les Balkans (en Bosnie Herzégovine), plus particulièrement dans le contexte des processus d’intégration dans l’espace eurasien.
Il faut rappeler que l’Ukraine, au-delà du contexte très particulier de ce pays (en réalité constitué de deux ensembles historiquement antagonistes, l’un catholique-uniate, tourné vers l’ouest et l’autre orthodoxe proche de la Russie), constitue un exemple des possibilités de manipulation d’un sentiment national. Pourtant je ne suis pas certain qu’un recentrage « grand-russe » de l’Ukraine constitue un pôle de stabilité géopolitique eurasiatique à long terme dans la mesure où le sentiment antirusse en Ukraine est fortement enraciné et cela depuis plusieurs siècles. La perception du projet eurasiste vu de Paris, Moscou, Vienne, Berlin, Zagreb, Kiev est très différente et variable. Dans les ex-pays du bloc soviétique, l’eurasisme est souvent perçu comme une idéologie néocoloniale « grande russe » et post-soviétique, car ces pays ont retrouvé leur indépendance nationale et étatique dans les années 1990 après la chute du Mur de Berlin (et non au XVIIIe ou XIXe siècle), et il est compréhensible qu’ils restent récalcitrants à tout projet fédérateur, multinational et/ou néo-impérial, alors que d’autres pays européens qui ont vécu « leur printemps des peuples » en 1848 ou avant, sont plus ouverts au discours eurasiste grand-continental. Il faut alors tenir compte de ces variables pondérables de psychologie collective (au même titre que les fameuses guerres de représentation) lorsqu’on adopte une position géopolitique pan-européenne. L’eurasisme ne devrait pas évoluer vers un projet néocolonial et impérialiste (L’idée d’empire n’est pas réductible à l’impérialisme) mais rester fidèle à l’idéal de l’empire en tant qu’unité organique et œcuménique dans la diversité. Cet eurasisme géopolitique n’a jamais été aussi cohérent et stable que lorsqu’il a été respectueux des idendités, et des diverses composantes impériales comme cela a été le cas lors de l’alliance austro-franco-russe du XVIIIe siècle, de la Sainte-Alliance et de l’Union des Trois Empereurs, voire en tant que projets d’alliance franco-germano-austro-russe de Gabriel Hanotaux (1853-1944), avant 1914.
Il convient également de constater que le projet eurasiste « grand-européen » ne peut reposer uniquement sur un pôle russo-centré, et que si l’on raisonne en termes de continent (de l’Atlantique à la Sibérie), il semblerait que ce projet soit à double vitesse, l’un russo-centré autour de l’union eurasiatique qui s’articule autour de la composante russo-slavo-orthodoxe et l’autre que l’on peut qualifier d’eurasiste-médian ou centre-européen (voire germano-slave mitteleuropéen) qui s’étend de l’Europe occidentale héritière de l’empire Carolingien (héritière de l’Empire romain) et l’eurasisme central-danubien qui s’étend le long de l’ancien limes danubien, à son embouchure dans la mer Noire, jusqu’à l’espace scythien de la Dobroudja, à la charnière de la Roumanie et de la Bulgarie actuelles. Le point de jonction de l’Eurasie russo-centré et de cette Eurasie centre–européenne est l’Ukraine qui de par sa position pontique relie et verrouille ainsi l’espace centre-européen pannonien et la profondeur eurasiatique vers l’est. Pourtant ce qui différencie àl’heure actuelle ces deux projets eurasiens complémentaires, c’est l’héritage historique de l’Union soviétique. En effet l’ensemble des peuples rattachés à la couronne austro-hongroise (Croates, Slovaques, Hongrois, Tchèques) gardent un mauvais souvenir de la férule communiste et des Etats multinationaux fantoches tels que la Yougoslavie titiste et la Tchécoslovaquie en tant que zones tampons et cordons sanitaires créés par la politique britannique dans les Balkans. C’est la raison pour laquelle l’Eurasisme russe aurait tout intérêt à ménager les nationalismes européens de cet espace centre-européen et de l’espace pontique de la mer Noire y compris l’Ukraine, plutȏt que de nier leurs identités nationales et d’attiser leurs positions russophobes.
Ainsi la crise ukrainienne peut être l’occasion ou jamais de réfléchir et de peut-être redéfinir les axes géopolitiques d’une Eurasie triarchique reposant sur la triplice géopolitique carolingienne-occidentale/catholique autro-hongroise et centre-européenne/slavo-orthodoxe eurasiatique.
Jure Georges Vujic
11/03/2014
Correspondance Polémia – 16/03/2014
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Turkey and Crimea
Turkey and Crimea
Ex: http://www.strategic-culture.org |
On 16 March, the people of Crimea will independently determine their own future. Opinion polls show that the overwhelming majority of Crimeans (75-80 percent) have already decided in favour of becoming part of the Russian Federation. Crimea is being given a unique opportunity to reunite with its historic homeland. Several days ago, Barak Obama called the overthrow of the legitimate authorities in Kiev a triumph of democracy. Now Crimea will give President Obama a lesson in democracy...
By supporting the coup, the US has laid the foundations for a broad restructuring process of the Ukrainian state into a looser confederation of regions. The principle of self-determination, to which the people of Crimea are adhering, is enshrined in international law, while non-recognition of the results of the people’s will would be the latest evidence of the American establishment’s commitment to the project of creating a ‘Ukrainian Reich’ within former Ukraine. The Western media are lying when they talk about the so-called full solidarity of all NATO countries with the American position. In truth, Washington’s position is not supported by many of those with a special interest in Crimea and these include Turkey, since Crimea is home to Crimean Tatars, who are ethnically close to Turks. Ankara is worried about the risk of deepening the political crisis in Ukraine. While offering to accept the preservation of Ukraine’s territorial integrity as a basis for resolving the conflict, the Turkish Foreign Ministry is nevertheless warning Kiev against creating military tension in Crimea, where «our kinsmen – the Crimean Tatars» live. In the past, Ankara has done much for Crimea to become the Tatars’ homeland again. Kiev, however, has never given the development of Crimea much attention, removing up to 80 percent of the autonomous republic’s revenue and giving nothing back in return. For Turkey, with its highly-developed tourism industry, the deplorable state of tourism in Crimea, as well as the peninsula’s infrastructure, which has fallen into complete disrepair and has not been modernised since Soviet times, are compelling evidence of Kiev’s disdain for the fate of the Crimean people. Many in Turkey well understand why Crimea becoming part of Russia is the natural desire of the overwhelming majority of those living on the peninsula. Turkey’s Foreign Affairs Minister, Ahmet Davutoğlu, believes that «Crimea should not be an area of military tension; it should be a centre of prosperity, tourism, and intercultural relations». At the same time, the Turkish government is being forced to consider its own position with regard to Crimea, and the internal forces that adhere to the opposite point of view. In some parts of the country, the compatriots of Crimean Tatars are organising demonstrations against Crimea becoming part of Russia. Zafer Karatay, a Tatar member of the Turkish Assembly, is calling for Ankara to intervene in Crimea and a confrontation with Russia. His opponents respond: «What business do we have in Crimea? Why is Crimea so important?» Well, the Kiev scenario of the illegal overthrow of President Yanukovych may well be used by the Americans to change the leadership in Turkey. In this regard, Prime Minister Erdoğan has clearly stated that it is not a case of Turkey choosing between Moscow and Washington or Ukraine and Russia, it is a case of choosing between a tool of destabilisation like the pro-American Maidan protests and adhering to the fundamental principles of international law. Many Turkish politicians disliked Davutoğlu’s hasty trip to Kiev immediately following the coup. Given that Ankara does not have an answer to the question «What should Turkey do now?», such a visit is definitely cause for bewilderment. Davutoğlu’s statement, meanwhile, «that Crimean Tatars are currently the main apologists for Ukraine’s territorial integrity» shocked many observers. They reminded the minister of the number of Turkish compatriots in the 46-million strong Ukraine, as well as the fact that Turkey had a strategic partnership with the previous legitimate authorities in Kiev to which neither Turchynov nor Yatsenyuk are able to add anything except a hatred of Russia. Davutoğlu’s assurances regarding the fact that the new regime in Kiev «will take all necessary measures to protect the rights of Turks living in Crimea» has also given rise to scepticism. It is unlikely that the fascist authorities in Kiev currently threatening Ukraine’s multimillion Russian population are going to concern themselves with the fate of the relatively small Crimean Tatar community. Pragmatists in the Turkish government have warned the head of the Turkish Foreign Ministry, who has promised Kiev «political, international and economic support to protect Ukraine’s territorial integrity», against any hasty actions and even statements towards Moscow. Commenting on events in Kiev, the Turkish Minister for EU affairs, Mevlut Çavuşoğlu, referred to the European’s approach towards Ukraine as completely wrong, and that asking Ukrainians to choose between Europe and Russia was a grave political mistake. «Russia»,Çavuşoğlu pointed out, «is part of the European continent.» Turkey still does not understand why Brussels, which thinks that Turkey does not meet its high democratic standards and for many years has refused Turkey’s accession to the EU, has decided that the new Ukraine is more democratic than Turkey – and that is even after the bloody coup carried out by Western stooges. There is the feeling that supporting the new regime in Kiev could cost Erdogan’s government dearly. Should Turkey join sanctions against Moscow, the country’s economists are predicting the collapse of the national economy, which is closely tied to Russian hydrocarbon supplies. They consider energy exports from Russia to be «a national security issue» and are warning that even Europe, which is also dependent on Russian gas, has not allowed itself to cross the line of open hostility to Moscow, despite unprecedented pressure from Washington. Turkey is still a growing market for Russia, and its gas supplies to the country increase by 4-5 percent annually and exceed 30 billion cubic metres. There is a desire to diversify Ankara’s sources, but there is no real alternative to Russian blue-sky fuel. America’s promises to replace Russian gas with its own shale surrogate in connection with calls to support anti-Russian sanctions are eliciting a smile from Turkish experts. The infrastructure needed for the supply of liquefied fuel would be more expensive than the cost of Russian supplies for the next 5-7 years. And it is not just Turkey’s energy economy that will lose out. Trade between Russia and Turkey exceeds 33 billion dollars, and nearly four million Russians visit Turkey every year, leaving behind at least USD 4 billion. The Turkish media has also made explicit references to the fact that the significance of Ukraine and Russia for Turkey’s foreign policy is incomparable. Turkish political observer Fuat Kozluklu, meanwhile, writes that Russia’s decision to use force if necessary to protect Ukraine’s Russian and Russian-speaking population was a good deterrent to the Ukrainian radicals and the Western politicians watching over them. Putin’s determination to stand up for the interests of Russians in his neighbouring country has revealed Russia’s real strength, while Moscow’s actions have the sole intention of preventing the further escalation of tensions in Ukraine. It is also from this point of view that many Turkish analysts are regarding the forthcoming referendum in Crimea. |
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Russland und die Krim
Russland und die Krim
von Gereon Breuer
Ex: http://www.blauenarzisse.de
Kriegsspiele. Was haben Merkel und Steinmeier gemeinsam? Ihnen fehlt jede Vorstellung des strategischen Werts der Geopolitik für außenpolitisches Handeln. Das Ergebnis: Außenpolitischer Dilettantismus.
Ohnehin genießt die Geopolitik in Deutschland seit dem Ende des II. Weltkriegs einen eher schlechten Ruf. Dieser ist vor allem auf der Missinterpretation politischer Intellektueller gegründet, dass die Wahrnehmung eigener Interessen per se als „böse“ gelte. Das zeigt nun auch wieder die „Krim-Krise“. Schon allein von einer Krise zu sprechen offenbart die schlichte Natur dessen, der sich bemüßigt fühlt, die Wahrnehmung von Interessen mit einer Krise zu assoziieren. Denn Russland unternimmt auf der Krim, bei der es sich noch dazu um eine autonome Republik handelt, nichts anderes, als in Zeiten unsicherer politischer Verhältnisse in der Ukraine die eigene Einflusssphäre zu wahren. Das heißt konkret: Den Stützpunkt der Schwarzmeerflotte und damit die maritime Herrschaft über das Schwarze Meer zu sichern.
In geostrategischer Hinsicht ist das ein sehr kluges und umsichtiges Verhalten. Dass die EU – und vor allem Deutschland – Russland deshalb nun mit Sanktionen drohen, zeigt, dass die bürokratischen Führer in Berlin und Brüssel nicht verstanden haben: „Staaten haben keine Freunde, nur Interessen.“ Dieses unter anderen dem britischen Premierminister Ewald Gladstone zugeschriebene Diktum lässt ahnen, dass Außenpolitik vor allem egoistisch funktioniert oder eben nicht. Wladimir Putin scheint das verstanden zu haben und in seinem Handeln äußert sich, was Halford Mackinder (1861−1947) in seiner „Heartland-Theory“ beziehungsweise „Herzland-Theorie“ niederlegte: „Wer Osteuropa beherrscht, kommandiert das Herzland, wer das Herzland beherrscht, kommandiert die Weltinsel, wer die Weltinsel beherrscht, kontrolliert die Welt.“
Bedeutung der „Herzland-Theorie“
Der britische Geograph und Geopolitiker verstand unter der Weltinsel Eurasien und den afrikanischen Kontinent. Das Herzland sah er in Sibirien und im europäischen Russland konstituiert. Er ging davon aus, dass unter anderem die Rohstoffreserven der Weltinsel es ermöglichen würden, von dort aus alle anderen Länder zu beherrschen, also solcher in kontinentaler Randlage und langfristig auch den amerikanischen Kontinent, Japan und Australien. Für Mackinder ist damit die Beherrschung des Kernlandes Eurasien der Schlüssel zur Weltmacht. In Deutschland fand seine Theorie so gut wie keine Rezeption und sein 1904 erschienenes Werk Democratic Ideals and Reality, in dem auch der für die Herzland-Theorie grundlegende Aufsatz The Geographical Pivot of History erschien, hat bis heute keine deutsche Übersetzung erfahren.
In den USA beispielsweise war die Rezeption eine völlig andere. Dort werden Mackinders Ausführungen bis auf den heutigen Tag sehr ernst genommen. Mackinder selbst ging sogar so weit zu behaupten, dass nur durch den I. Weltkrieg verhindert werden konnte, dass Deutschland sich die Herrschaft über Herzland und Weltinsel sicherte. Dass die USA das um jeden Preis verhindern wollten, ist hinlänglich bekannt. Unter anderen stehen heute Zbigniew Brzezinski oder Henry Kissinger als prominente Vertreter der politischen Kreise, die das außenpolitische Handeln der USA im Wesentlichen an Mackinders Herzland-Theorie ausrichten – theoretisch und auch in praktischer Hinsicht. Ein Blick auf die Weltkarte zeigt auch ohne umfassende geographische Kenntnisse, dass Russland heute immer noch einen wesentlichen Teil des Herzlandes abdeckt. Am Rande des Herzlandes befindet sich auch die Krim. Ihr geostrategischer Wert für Russland ist daher offensichtlich.
Böse geopolitische Realität
Während nun in Moskau und Washington bezüglich den aktuellen politischen Entwicklungen in der Ukraine Geopolitik betrieben wird, beschränken sich die EU-Bürokraten auf die Ankündigung von Sanktionen. Unter anderem soll ein Drei-Stufen-Plan im Gespräch sein, den die EU durchführen möchte, sofern Russland seine Truppen nicht von der Krim abzieht. Auf eine solche Idee würden Staatsmänner nie kommen. Das ist Sache von Bürokraten, denen die Realität nur aus Erzählungen bekannt ist. Vielleicht sollten die Schreibtischtäter in Brüssel stattdessen mal über einen Drei-Stufen-Plan der EU nachdenken, sofern die USA ihre Truppen nicht aus Deutschland zurückziehen. Aber nein, das wäre dann doch wieder zu viel Geopolitik. Und die ist ja böse.
Bild 2: Mackinders Herzland (Pivot Area), Abbildung in seinem 1904 erschienenen Text The Geographical Pivot of History
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Ukraine: Regime change à la USA
Ukraine: Regime change à la USA
Aufflammen eines neuen kalten Krieges
von Thomas Kaiser
Ex: http://www.zeit-fragen.ch
Die erste Woche der Frühjahrssession des Menschenrechtsrats in Genf gehört den politischen Vertretern der einzelnen Länder. Häufig kommen die Aussenminister selbst oder deren Stellvertreter, um für zehn Minuten den Schwerpunkt ihrer Menschenrechtspolitik darzulegen. So auch in der letzten Woche, und es bot sich den Zuhörern ein interessantes Bild. Während die afrikanischen und asiatischen Staaten mehrheitlich die Menschenrechtslage in ihren jeweiligen Ländern zum Thema machten und wie sie diese verbessern könnten, waren es vor allem die EU- und Nato-Staaten, die die Situation in der Ukraine, in Syrien oder auch in Venezuela aufgriffen und auf äusserst polemische Weise kommentierten. Dabei wurden zum Teil scharfe Töne angeschlagen.
Sehr auffallend war am Dienstag die Rede des estnischen Aussenministers Urmas Paet, derjenige, der das inzwischen weithin bekannte Telefonat mit der EU-Aussenbeauftragten Catherine Ashton führte, in dem er erwähnte, dass die Scharfschützen in Kiew sowohl Polizisten als auch Demonstranten ins Visier genommen hatten (vgl. «Neue Zürcher Zeitung» vom 7. März). Ein ähnliches Vorgehen, das auch der französische Journalist und Publizist Tierry Meyssan aus Venezuela berichtete. Auch hier wurden sowohl Sicherheitskräfte als auch Demonstranten mit den gleichen Waffen getötet. Urmas Paet versuchte in seiner Rede, die Krise in der Ukraine als eine Gefahr für den Frieden in Europa heraufzubeschwören, und forderte die internationale Gemeinschaft zum Handeln auf. Es sollten «alle möglichen Massnahmen» gegen Russland ergriffen werden.
Nato-Osterweiterung gegen das Versprechen von George Bush sen.
Was mit der Nato-Ost-Erweiterung Mitte der 90er Jahre begann, nämlich gegen das Versprechen von George Bush sen. gegenüber Michail Gorbatschow, dass es keine Erweiterung der Nato auf die ehemaligen Sowjetrepubliken und Warschauer-Pakt-Staaten geben werde, sollte im ersten Jahrzehnt des 21. Jahrhunderts mit der Ausdehnung auf Georgien und die Ukraine weitergeführt werden. Die konsequente Einschnürung Russlands und damit eine starke Schwächung dieses aufstrebenden Landes, das sich in den letzten Jahren seit der Präsidentschaft Vladimir Putins verstärkt gegen die US-amerikanischen Hegemonialbestrebungen gestellt hat, besonders im Fall von Syrien, wird hiermit immer offensichtlicher.
Plötzlich aufflammende innere Konflikte
Es ist auffallend, dass verschiedene Länder, die sich bisher unabhängig vom US-Imperium auf ihre eigene Art entwickelten, mit plötzlich aufflammenden, inneren Konflikten zu kämpfen haben, sei es in Libyen, Syrien, Venezuela und nicht zuletzt in der Ukraine. Was Libyen anbetrifft, berichtete die «Neue Zürcher Zeitung» am 7. März, das Land drohe auseinanderzubrechen und im Chaos zu versinken. Ist das das Resultat einer «humanitären Intervention» für Freiheit, Demokratie und Menschenrechte, die von der Uno sanktioniert und durch die von ihr beauftragte Nato durchgeführt worden war? Damals hatten sich Russland und China der Zustimmung im UN-Sicherheitsrat enthalten. Was nach der Resolution folgte, hat ihre Haltung mehr als nur bestätigt. Es war ein notwendiges Signal an alle Staaten, dass nicht eine kleine Gruppe von Nationen nach ihrem Gutdünken einen Staat überfallen und dessen Regierung absetzen darf.
Ukraine aktuelles Opfer genau dieser amerikanischen Destruktionspolitik
Hört man sich auf den Gängen der Uno in Genf um, sind es vor allem die lateinamerikanischen Staaten, die ein Lied auf US-amerikanische Interventionen für Demokratie und Menschenrechte singen können, und eine klare Position zu den Vorgängen in Syrien, in Venezuela und in der Ukraine einnehmen. Hier besteht kaum Zweifel, dass die Ukraine aktuelles Opfer genau dieser amerikanischen Destruktionspolitik ist.
Doppelte Standards
Besonders zynisch war die Rede der US-Amerikanerin vor dem Menschenrechtsrat. Sie beschwor die edlen Bestrebungen der USA, sich für Freiheit, Demokratie und Menschenrechte einzusetzen, und kritisierte das Eingreifen Russlands in die inneren Angelegenheiten der Ukraine. «Wir haben darauf zu bestehen, dass alle Staaten die territoriale Integrität der Ukraine zu respektieren haben», und sie betont, dass das ukrainische Volk das Recht habe, «seinen eigenen politischen Weg zu bestimmen». Kennen wir nicht diese Worte? Wie sagte 1965 Präsident Johnson als Rechtfertigung für die militärische Intervention der USA in Vietnam, die in einem völligen Desaster endete: «Vietnam muss die Gelegenheit bekommen, seinen eigenen Weg beschreiten zu dürfen.» Wie sah dieser «eigene» Weg aus? Ein völlig zerstörtes und ein mit Agent Orange verseuchtes Land mit über 2 Millionen Toten. Das ist die Realität, wie es in der Ukraine weitergehen wird, wird sich zeigen.
USA haben am Staatstreich in diesem Land von Anfang an mitgearbeitet
Gerade in den letzten Wochen und spätestens seit dem Telefonat, als die Beauftragte für Osteuropa des US-Aussenministeriums Victoria Nuland im Gespräch mit dem US-amerikanischen Botschafter in der Ukraine, Geoffrey Pyatt, ihren Unmut über die mangelnde Entschlossenheit der EU beim Sturz des ukrainischen Präsidenten Janukowitsch zum Ausdruck brachte und unter anderem den viel zitierten Satz «Fuck the EU» äusserte, ist bekannt, wer sich hoch offiziell in die inneren Angelegenheiten eines anderen Staates einmischt. Während sich die Medien vor allem über die verbale Entgleisung empörten, gab es keinen Aufschrei über den Inhalt des Telefonats, in dem für die gesamte Weltöffentlichkeit deutlich wurde, dass die USA am Staatsstreich in diesem Land von Anfang an mitgearbeitet haben.
Bei Syrien hat US-Strategie nicht erfolgreich funktioniert
Was unter George W. Bush mit brutaler militärischer Intervention erreicht wurde, nämlich ein sogenannter Regime change von aussen, wird unter Obama mit Smartpower betrieben und verfolgt das gleiche Ziel: Sturz von Regierungen, ob demokratisch gewählt wie im Falle Janukowitsch oder nicht. Es spielt für die US-Politik keine Rolle, wenn es um die eigenen politischen und wirtschaftlichen Interessen geht. Wenn der Wechsel nicht durch einen Bürgerkrieg erlangt werden kann, dann durch eine militärische Intervention, am besten natürlich mit einem erschlichenen Uno-Mandat wie im Fall Libyens.
Russland und China haben dort ihre Lektion endgültig gelernt. Bei Syrien hat die US-Strategie schon nicht mehr erfolgreich funktioniert, abgesehen von der Zerstörung des Landes und dem Töten vieler Unschuldiger. China und Russland haben damals im Uno-Sicherheitsrat das Veto eingelegt. Welches Schicksal die USA der Ukraine jetzt noch bereiten wollen, wird sich weisen. Sicher ist, Russland soll weiter in die Enge getrieben werden. Wenn man unsere Medien liest, kann man dem Irrtum aufsitzen, alle seien sich einig, dass Russland der «Bösewicht» sei, wenn man jedoch die Stimmen anderer Länder hört und liest, die bei uns verschwiegen werden, bekommt man ein ganz anderes Bild. Die US-EU-zentrische Sicht der Dinge ist naiv und einfältig. Es wird Zeit, dass wir unseren Horizont wirklich erweitern. •
«… gegen jedes Ausnützen humanitärer Krisen …»
Auszug aus der Rede von Marcos Timermann, Aussenminister von Argentinien
«Herr Präsident, die Welt leidet noch immer unter dauernden und wiederholten Beispielen brutaler Unterdrückung grundlegender Menschenrechte. Der Schrecken, der über die Leben derjenigen gekommen ist, die in Ländern leben, die Opfer interner bewaffneter Konflikte sind, beschämt uns alle, und aus diesem Grund verurteilt mein Land aktiv, an Splittergruppen Waffen zu verkaufen, um diese Länder auseinanderzureissen, Waffen, die sehr oft von genau denjenigen Ländern kommen, die den Horror verurteilen, während sie vom Tod profitieren.
Auf diese Art und Weise möchte ich die Einstellung meines Landes zum Ausdruck bringen gegen jedes Ausnützen humanitärer Krisen, um eine ausländische militärische Intervention zu rechtfertigen, die nicht mehr ist als geopolitische Manöver in einem Spiel, in dem die Interessen der Opfer nicht zu den Prioritäten gehören.»
Quelle: www.un.org
(Übersetzung Zeit-Fragen)
«Die Intervention der westlichen Mächte muss aufhören …»
Vize-Aussenminister Abelardo Moreno Fernández zitiert am 6. März im Uno-Menschenrechtsrat in Genf Kubas Staatspräsident Raúl Castro
«Wo immer es eine Regierung gibt, die den Interessen der Machtzirkel in den USA und einigen ihrer europäischen Aliierten nicht entspricht, wird sie zum Ziel subversiver Kampagnen. Jetzt werden neue Zermürbungsmethoden angewendet, subtiler und verschleierter, ohne allerdings auf Gewalt zu verzichten, um den Frieden und die innere Ordnung zu zerrütten und zu verhindern, dass die Regierungen sich auf die ökonomische und soziale Entwicklung konzentrieren können, falls es ihnen nicht gelingt, sie niederzuringen.»
«Es lassen sich nicht wenige Analogien in den Manualen für nicht-konventionelle Kriegsführung finden, wie sie in verschiedenen Ländern unserer Region Lateinamerika und Karibik zur Anwendung kommen, so wie es heute in Venezuela geschieht und sich nach ähnlichem Muster auf anderen Kontinenten abgespielt hat, vor einiger Zeit in Libyen und gegenwärtig in Syrien und in der Ukraine. Wer daran zweifelt, den lade ich ein, das Trainings-Zirkular 1801 der US-amerikanischen Spezialeinsatzkräfte durchzublättern, veröffentlicht im November 2010 unter dem Titel ‹Der unkonventionelle Krieg›.»
«Die Intervention der westlichen Mächte muss aufhören, damit das ukrainische Volk auf legitime Art sein Recht auf Selbstbestimmung ausüben kann. Man sollte nicht vergessen, dass diese Vorgänge sehr schwerwiegende Konsequenzen für den Frieden und die internationale Sicherheit haben können.»
Quelle: www.un.org
(Übersetzung Zeit-Fragen)
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Fabius prend la tête de la guerre froide anti Poutine
Fabius prend la tête de la guerre froide anti Poutine
par Jean-Paul Baquiast
Ex: http://www.europesolidaire.eu/
Aujourd'hui, parlant (de quel droit?) au nom du G8, il annonce que la Russie est suspendue de la prochaine réunion de celui-ci. Plus généralement il s'affiche comme le premier de ceux qui veulent sanctionner la Russie, au mépris de tous nos intérêts, pour avoir encouragé le rattachement de la Crimée à la Russie, rattachement manifestement désiré comme l'a montré le référendum du 16 mars par une grande majorité de la population.
Entre Fabius et John Kerry, c'est à qui se montre le plus acharné pour combattre Poutine. Kerry, encore, on le comprend, puisqu'il poursuit le combat multi-décennal destiné à refaire de l'Amérique la seule super-puissance, face à une Russie insupportable du fait qu'elle dispose de l'arme nucléaire et de nombreux atouts naturels. Mais Fabius? Quels intérêts sert-il? A-t-il été missionné par François Hollande et Jean-Marc Ayrault pour transformer la France en une ennemie définitive de la Russie? Il devrait, s'il avait un minimum de sens stratégique, militer au contraire pour une alliance euro-russe dont la France pourrait être un des pivots. Veut-il laisser Angela Merkel, bien plus prudente, se préparer à piloter seule un rapprochement euro-russe qui deviendra vite inévitable.
Les mauvaises langues diront que Fabius, pris d'ambitions tardives, veut se positionner comme futur premier ministre, voire futur président de la République. Mais il n'ajoutera pas à sa popularité en s'agitant pour conforter un lobby anti-Poutine bien moins populaire en France que les médias pénétrés d'atlantisme ne le prétendent.
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mardi, 18 mars 2014
Mutations et transformations dans l’armée américaine
Bernhard TOMASCHITZ:
Mutations et transformations dans l’armée américaine
D’importantes transformations s’annoncent au sein de l’armée américaine. C’est le “New York Times” qui nous en informe, en faisant référence à des officiels du Pentagone, dont le journal ne révèle évidemment pas les noms. D’après ces informations le ministre de la défense Chuck Hagel est en train de planifier une réduction importante du personnel de l’US Army. Les effectifs seraient ainsi réduits à 490.000 militaires, au lieu du maximum de 570.000 hommes que l’armée avait comptés immédiatement après les attentats du 11 septembre 2001. En 2011, la moyenne avait été de 560.000. Pour l’avenir, Hagel souhaiterait encore une réduction, pour tomber à 450.000 ou 440.000 soldats: ces chiffres seraient les plus bas depuis 1940. Le ministère de la défense viserait essentiellement, par son plan d’épargne, les forces aériennes. Le budget général des forces armées américaines est de 600 milliards de dollars. Dans ce cadre, la mise en oeuvre d’une flotte d’avions de combat A-10 serait définitivement arrêtée.
Mais malgré cette réduction très importante du personnel militaire, les forces armées américaines resteraient parfaitement opérationnelles. Cependant, en cas de maintien de longue durée sur de multiples terrains d’opération, comme l’Afghanistan ou l’Irak, l’armée buterait rapidement sur des limites. “Il faut toujours être bien équipé mais cela n’a aucun sens de conserver d’importantes forces au sol si l’on ne mène pas une guerre sur le terrain”, écrit le “New York Times”, en citant un représentant du Pentagone. Il n’y aura cependant aucune modification dans la flotte des porte-avions (onze bâtiments), qui sera toujours prête à assumer des missions à l’étranger.
Le projet de Hagel reflète la ré-orientation de la politique de défense américaine après les guerres d’Afghanistan et d’Irak qui n’ont pas été de francs succès. C’est la raison pour laquelle, écrit le “New York Times”, il faut dorénavant “amorcer une nouvelle voie américaine”, qui pariera de plus en plus sur les forces spéciales et sur la guerre électronique. Barack Obama, a parié déjà depuis longtemps, depuis son accession à la présidence, sur l’utilisation de drones, surtout en Afghanistan, au Pakistan et au Yémen. Cette évolution spécifique dans l’art de la guerre se poursuivra dans les années à venir. De même, on assistera, de plus en plus souvent, à des opérations subversives menées par les forces spéciales de l’US Army dans des pays comme la Syrie ou l’Iran.
Bernhard TOMASCHITZ.
(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°9/2014, http://www.zurzeit.at ).
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France : le scénario yougoslave?
France : le scénario yougoslave?
par Joris KarlL’Histoire, si elle ne se répète jamais exactement, nous enseigne les processus qui conduisent à l’éclatement des nations.
Parce qu’en certains points les ressemblances sont frappantes avec la France, le cas de la Yougoslavie est fascinant. Nous reproduisons les mêmes erreurs, l’État central cède aux mêmes forces centrifuges (revendications religieuses, linguistiques, scolaires)… Sans parler que, pour les municipales à venir, commencent à fleurir des listes ouvertement communautaires…
Mais sans qu’on y prenne garde, l’érosion est causée par de minuscules détails, gouttes insignifiantes qui, à force de s’accumuler, se transformeront en pluie torrentielle.
L’an passé, la victoire de Naöelle, candidate d’origine maghrébine, dans l’émission « Top Chef » sur M6, fut à mon avis révélatrice : dans les minutes qui ont suivi son triomphe, les réseaux sociaux ont explosé de haine envers la gagnante. Résumons : la jeune femme, dont le comportement fut certes peu recommandable (caractère exécrable, pleurnicheries régulières), se trouva soudain assaillie par des milliers de posts et de tweets assassins. À vue de clavier, c’était près de 90 % des internautes (sites de la presse nationale ou page Facebook de M6) qui la vouaient aux gémonies !
Peu ou pas de paroles xénophobes, du moins en surface. Mais on sentait quand même le net rejet communautaire ! Un peu comme lorsque votre coiffeur ou votre boucher parlent nonchalamment de « ces gens-là » qui posent toujours problème… Le plus significatif était le fait que, parmi les rares soutiens de Naöelle, on trouvait essentiellement des internautes dont le nom était à consonance musulmane…
Nous pouvons observer dans cet exemple — apparemment anodin — le symptôme d’un mal profond. L’impression déjà vue dans d’autres domaines d’une « scission » dans la communauté dite nationale. En Yougoslavie, cela a commencé par des engueulades dans les bals, des petits différends entre clubs de supporters de foot. Qui se transformèrent en violentes bastons les soirs de match, qui finirent en bain de sang et en explosion du pays.
La présence de véritables « enclaves » de populations étrangères (Sevran, Montreuil, Roubaix, Marseille, etc.) rend la situation, à terme, ingérable. Nous n’avions pas de « républiques autonomes » sur le modèle titiste, nous les avons importées ! Pour le moment, chaque camp s’affronte, virtuellement, sur des sujets périphériques. Sur le terrain, on vit autant que possible des existences séparées : Français d’origine européenne et arabo-africaine se mélangent extrêmement peu, fréquentent des écoles différentes, n’écoutent pas les mêmes musiques, ne s’habillent pas de la même façon ! Le vote lui-même est devenu ethnique. Sur Facebook, des sites appellent à la haine contre les beurettes qui fréquentent les blacks. Repli général. Les Chinois de Belleville manifestent contre la violence dont ils sont victimes… Peu à peu, des micro-nations émergent dans cette République de moins en moins réelle. Un jour, la fiction ne prendra plus.
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L’Union Européenne et l’Ukraine : une diplomatie à la BHL!
Frédéric Dalmas Ex: http://www.voxnr.com |
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Samedi 1er Mars 2014 : la Chambre haute du parlement russe, le Conseil de la Fédération, à la demande du Président Vladimir Poutine, vote à une très large majorité la décision de recourir aux "forces armées de la Fédération de Russie sur le territoire de l'Ukraine jusqu'à la normalisation de la situation sociopolitique dans ce pays".
Face à cette situation, que font les occidentaux ? Plutôt que de se mettre autour d’une table avec la Russie, ils la menacent de sanctions ! Nous allons suspendre le G8 de Sotchi ! Nous allons limiter les importations de gaz russe ! Nous allons bloquer les avoirs des oligarques ! Le 11 mars sur France Inter, Laurent Fabius déclarait que « les Russes n’ont pas encore répondu à notre proposition de désescalade ». Mais quelle proposition ? Les décisions prises par les occidentaux, en mettant la pression sur la Russie, ne sont pas des propositions de désescalade, plutôt que d’apaiser les tensions, elles contribuent à les favoriser !
Et maintenant, dans la perspective du référendum de dimanche sur le rattachement de la Crimée à la Russie, tous crient que ce référendum est illégal ! Que la Russie ne peut pas bafouer la « légalité internationale » en menaçant l’intégrité du territoire ukrainien ! Oui, tout cela est vrai, mais à quoi ces cris d’orfraie vont-ils servir ? En quoi cela va-t-il changer quelque chose à la situation ? Que peuvent les Nations Unies, quand la Russie fait partie du Conseil de Sécurité ?
Non, tout cela est totalement inefficace et nous mène droit à la guerre ! La méthode la plus efficace serait la négociation gagnant-gagnant : dans le business comme en diplomatie, l’objectif de cette méthode est que toutes les parties aient l’impression d’avoir gagné quelque chose. Pour cela, il convient d’étudier à tête reposée les intérêts de chacun, et les « lignes rouges » à ne pas franchir. Or, cela n’a pas été fait dans la crise ukrainienne. Pour revenir à des bases de négociation saines, il faudrait accorder deux choses à la Russie : le retour en arrière du Parlement ukrainien de transition sur sa décision de supprimer l’enseignement obligatoire du russe, et un moratoire sur l’adhésion de l’Ukraine à l’OTAN. Voici les deux « lignes rouges » pour la Russie.
Il y a 3 éléments essentiels constitutifs d’une nation : des frontières communes bien sûr, mais aussi une culture commune, et une langue commune (ou plusieurs langues reconnues à égalité sur l’ensemble du territoire). Les occidentaux accusent les Russes de vouloir remettre en cause les frontières de la nation ukrainienne, mais le Parlement ukrainien de transition, lui, s’en est pris à la langue ! En remettant en cause l’enseignement obligatoire du russe, il a remis en cause la langue russe elle-même comme langue officielle, à parité avec l’ukrainien. Inacceptable pour les ukrainiens russophones qui se sentent ainsi exclus de la nation ukrainienne, et donc pour la Russie qui est naturellement solidaire de cette population qui partage avec elle une langue, une histoire et donc une culture commune. Imaginons qu’un jour les Flamands se révoltent et prennent le pouvoir au Parlement belge. Que dirait la France si le Parlement belge remettait en cause l’enseignement obligatoire du français pour les Wallons ?
La perspective de voir renaître les velléités d’adhésion de l’Ukraine à l’OTAN est également inacceptable pour la Russie, qui se retrouverait ainsi complètement entourée par une coalition militaire largement au service des intérêts US, jusqu’au cœur-même de sa sphère d’influence naturelle. A mon sens, l’occupation de la Crimée par l’armée russe est une réaction de la Russie pour signifier tout simplement qu’elle ne se laissera pas faire. Comment en effet envisager que la Crimée, où la Russie possède une base navale d’intérêt stratégique crucial, se retrouve un jour dans l’OTAN !
Certes, Vladimir Poutine est un président autoritaire, qui utilise des méthodes dignes du KGB (à ce propos, voir le livre d’Alexandre Litvinenko, Le Temps des Assassins (2), mais il faut tenir compte des réalités géostratégiques. Et plutôt que de se positionner par rapport à la réalité, les occidentaux campent sur des positions de morale ! Des positions binaires, manichéennes, réductrices, alors que la réalité est plus complexe… Soulignons au passage que parmi les « défenseurs de la Russie », certains tiennent également des positions binaires : la crise ukrainienne, si on les écoute, serait une lutte entre les « gentils » Russes et les « méchants Ukrainiens fascistes », ce qui est tout aussi ridicule ! Bien sûr, il y a avait des fascistes dans le mouvement de révolte, mais les fascistes étaient une minorité, une minorité bien visible certes, mais une minorité quand même. Le mouvement de la place Maïdan était hétéroclite, comme le soulignait la rédaction du Monde diplomatique dans l’émission Là-bas si j’y suis du 6 Mars 2014 (3). Il n’y a pas eu de Coup d’État en Ukraine, juste une révolution comme toutes les autres, qui ne peut pas aboutir du jour au lendemain au régime idéal.
Mais revenons à des considérations diplomatiques. Dans la situation actuelle, nous voyons les États-Unis « négocier » avec la Russie, alors que les 2 parties ont des intérêts totalement contradictoires : les États-Unis veulent étendre leur sphère d’influence à l’Ukraine par l’intermédiaire de l’OTAN et la Russie ne le veut pas. On ne doit pas s’étonner, dans ces conditions, que ces « négociations » s’apparentent à un dialogue de sourds. L’Allemagne ou la France auraient pu se positionner comme arbitre, pour favoriser la recherche d’un compromis acceptable, mais non, comme pendant la Guerre froide, l’UE se soumet à la diplomatie US, alors que s’il y a une guerre en Ukraine, c’est l’UE qui sera en première ligne et subira les dégâts. Les États-Unis, géographiquement isolés, ne craignent rien. Rappelons que pendant la Guerre froide, l’OTAN était un système permettant aux États-Unis de créer un tampon avec l’URSS : en installant des missiles en Europe, les États-Unis avaient l’assurance qu’en cas de déflagration nucléaire, ce sont leurs alliés européens qui prendraient en premier ! Aujourd’hui, on dirait que rien n’a changé !
Et après le « référendum » de dimanche en Crimée, c’est la guerre qui se profile ! Si la Crimée se détache de l’Ukraine, qui empêchera les autres russophones ukrainiens de demander la même chose ? Le rattachement de la Crimée à la Russie, ou la reconnaissance de son indépendance, risque d’avoir les mêmes effets qu’en ex-Yougoslavie, où la reconnaissance de l’indépendance de la Croatie par l’Allemagne en 1992 a déclenché la guerre. Alors que la crise ukrainienne aurait pu être l’occasion de rapprocher diplomatiquement l’UE et la Russie, toute cette histoire vire au gâchis ! Pour moi, la meilleure option pour l’Ukraine serait d’en faire une confédération à la suisse, un état tampon neutre, comme un pont entre l’UE et la Russie. Car c’est la neutralité de la Suisse qui a garanti sa stabilité pendant les deux guerres mondiales. Si la Suisse n’avait pas été neutre, imaginez ce que cela aurait donné entre les parties francophone, germanophone et italophone !
Si la guerre éclate la semaine prochaine, nous constaterons une fois de plus qu’on ne fait pas de diplomatie avec de la morale, mais avec des principes. Le premier d’entre eux étant le principe de réalité !
notes |
1 Et oui, je veux bien sûr parler de Bernard-Henry Lévy, le grand « philosophe » germanopratin qui a courageusement lutté les armes à la main contre l’infâme Kadhafi en Lybie, et le cruel Milosevic en Yougoslavie.
2 Alexandre Litvinenko. Le Temps des Assassins, Éditions Calmann-Lévy.
3 http://www.monde-diplomatique.fr/carnet/2014-03-06-La-bas
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lundi, 17 mars 2014
UN says Libya is Fueling Wars: Gulf and Western Powers Should be Held Accountable
UN says Libya is Fueling Wars: Gulf and Western Powers Should be Held Accountable
Murad Makhmudov and Lee Jay Walker
Modern Tokyo Times
European Union powers and America are currently lambasting the Russian Federation over actions taken in Crimea while people are dying daily in Afghanistan, Libya, Pakistan, Syria – and other nations – based on the destabilization policies of major Gulf and Western powers (Pakistan destabilized itself). Serbians and Africans of course are sent to criminal courts while the nations that have killed in the millions based on destabilization policies literally get away with murder. Even the United Nations can’t cover-up the mess of America, France, Qatar, Saudi Arabia, Turkey and the United Kingdom. Therefore, Libya is free of Colonel Gaddafi but to hell with the collapse of the nation state just like in Afghanistan and Iraq.
Reuters reports: “U.N. experts say Libya has become a primary source of illicit weapons, including shoulder-fired missiles, which have been trafficked to at least 14 countries and are fueling conflicts on several continents, Rwanda’s U.N. envoy said on Monday.”
However, does the report go deep enough? After all, it is clear that Gulf and Western powers have utilized Libya in order to send military arms to various terrorist and sectarian forces against the government of Syria. Indeed, NATO Turkey along the border with Syria is a Takfiri and al-Qaeda paradise while weapons pour in via Libya and other sources. Of course, Gulf and Western covert operatives continue to play their part in helping various terrorist and sectarian forces in Syria. Therefore, while Libya may be at the centerpiece of the UN report it is clear that other sinister forces are also at play.
Eugene Gasana, chairperson of the findings by the United Nations Security Council’s Libya sanctions committee, says “The panel noted that the control of non-state armed actors over the majority of stockpiles in Libya as well as ineffective border control systems remained primary obstacles to countering proliferation and that Libya had become a primary source of illicit weapons, including MANPADs.”
“The panel furthermore noted that investigations relating to transfers to 14 countries reflected a highly diversified range of trafficking dynamics; and that trafficking from Libya was fueling conflict and insecurity – including terrorism – on several continents.”
In other words, powerful Gulf and Western powers have enabled various terrorist and anti-government forces to flourish in at least 14 nations based on their destabilization policies in Libya. Therefore, vast numbers of people have perished because of the policies of America, France, Qatar, Saudi Arabia, Turkey and the United Kingdom. These nations not only helped to destroy Libya whereby various militias cleansed black Africans and slaughtered individuals deemed to be pro-Gaddafi; but the same nations also used ratlines in Croatia, Kosovo (Albanian led Kosovo) and in Libya (and other nations) in order to destabilize Syria.
If the Russian Federation is serious about standing up to nations that are meddling throughout the world; then why not use several UN findings to charge past and current leaders in major Gulf and Western nations? Of course, this may sound idealistic but until powerful nations are held accountable for the deaths of untold numbers then nothing will change. In other words, after Syria it will be another nation – and then after the next nation, it will be another nation.
The pattern is now abundantly clear and this applies to collective chaos; destabilization; the reduction in the rights of women; religious minorities fleeing; terrorism; and often sectarianism. In modern day Kosovo it is clear that Orthodox Christians can’t travel freely without armed protection; in Iraq this nation is a failed state whereby sectarianism and terrorism is an ongoing nightmare; Afghanistan is in turmoil and women have been put into the shadows; Libya is now a land based on various militias and increasingly religious minorities are being attacked and alienated; while Syria is now a free area for Takfiri terrorists, al-Qaeda groups and barbaric sectarian forces.
All the above means that vast numbers of people have been killed because of Gulf and Western meddling – Turkey and Pakistan are also involved when it comes to Syria and Afghanistan respectively. Indeed, Turkey, Gulf and Western powers have now started the second destabilization of Iraq based on destabilizing Syria and Lebanon is now extremely fragile. However, where are the war crimes against the usual players that utilize the mass media, slick private propaganda marketing agencies, so-called humanitarian agencies, manipulating the United Nations – and other sinister means that are available.
Gaddafi was brutally killed and his death sums up the inhumanity of nations that will use any means available to them. It matters not if people agreed with Gaddafi or not. Yet his death said much about what would happen to Libya based on the brutality unleashed against him. In time, the same chaos would ultimately be unleashed throughout Libya whereby law is rendered redundant. Many years later and not only is Libya a failed state but now according to the UN it is a nation that is being manipulated in order to fund international conflicts. This is a million miles away from the mantra of democracy after the demise of Gaddafi.
Business Insider reports: “The administration has said that the previously hidden CIA operation in Benghazi involved finding, repurchasing and destroying heavy weaponry looted from Libyan government arsenals, but in October we reported evidence indicating that U.S. agents — particularly murdered ambassador Chris Stevens — were at least aware of heavy weapons moving from Libya to jihadist Syrian rebels.”
“There have been several possible SA-7 spottings in Syria dating as far back as early summer 2012, and there are indications that at least some of Gaddafi’s 20,000 portable heat-seeking missiles were shipped before now.”
“On Sept. 6 a Libyan ship carrying 400 tons of weapons for Syrian rebels docked in southern Turkey. The ship’s captain was “a Libyan from Benghazi” who worked for the new Libyan government. The man who organized that shipment, Tripoli Military Council head Abdelhakim Belhadj, worked directly with Stevens during the Libyan revolution.”
The above applies to 2012 and clearly since this period many deals are being done in shadows. Of course, the UN is fully aware of this but nothing is being done to hold nations accountable for their destabilization policies. Similarly, international criminal courts are just a witch-hunt against nations outside of the loop and to be held against individuals fighting on the wrong side. Therefore, vast numbers of people are dying every day in countless conflicts because of the collective policies of powerful Gulf and Western powers – alongside the respective deeds of Pakistan and Turkey.
http://www.reuters.com/article/2014/03/10/us-libya-crisis-un-idUSBREA291OV20140310
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Iraq Blames Qatar and Saudi Arabia for Terrorism
Iraq Blames Qatar and Saudi Arabia for Terrorism: Re-run of Afghanistan and Pakistan
Salma Sribi and Michiyo Tanabe
Modern Tokyo Times
Prime Minister Nouri Maliki of Iraq denounces Qatar and Saudi Arabia for supporting terrorism and sectarianism against Iraq. Maliki made it abundantly clear that Qatar and Saudi Arabia are involved in the destabilization of Iraq based on Gulf petrodollars, their geopolitical ambitions, sectarian factors and other negative realities. Of course, this highlights the sham of Saudi Arabia that often claims it is fighting terrorism but in reality this nation turns this clock on and off when it suits the elites in Riyadh.
Indeed, the only real fear for Saudi Arabia and other Gulf states is to keep internal terrorism at bay. Therefore, exporting terrorism and spreading sectarianism is the mantra. Of course, major Western powers also conveniently use terrorism and sectarianism when the time suits. This reality applies to fighting on the same side in Afghanistan (1980s/1990s); Bosnia; Libya and currently in Syria. However, it is Gulf petrodollars, Salafi ideology, exporting militancy and funding sectarian ventures based on the intrigues of feudal kingdoms, where all the barbaric synergy comes together.
Maliki spoke frankly to France 24 about Qatar and Saudi Arabia supporting the brutal terrorist and sectarian insurgency in Iraq. Maliki says: “I accuse them of inciting and encouraging the terrorist movements. I accuse them of supporting them politically and in the media, of supporting them with money and by buying weapons for them…I accuse them of leading an open war against the Iraqi government.”
Lee Jay Walker at Modern Tokyo Times says: “This reality is like a re-run because in Afghanistan it is clear that Pakistan is involved in many murky terrorist and sectarian dealings against this nation. In other words, the allies of America and the United Kingdom are the same nations assisting terrorism against governments and nations they are meant to be supporting. Of course, this equally entails that many British and American soldiers have been killed and maimed because of the collective intrigues of so called allies. Despite this, what is the comeback against Pakistan, Qatar and Saudi Arabia?”
President Hamid Karzai of Afghanistan is saying the same with regards to Pakistan destabilizing his country. The New York Times reports “Mr. Karzai charged that elements of the Pakistani government were still supporting Islamic militants, as they had in the past, and that if such sources of terrorism were not defeated, Afghans and international soldiers would continue to die.”
The above was stated in 2006 yet in 2011 Karzai made it clear that nothing had changed. In the Washington Post they quote Karzai saying: “Pakistan has pursued a double game toward Afghanistan, and using terrorism as a means continues.” Of course, in 2014 this same opinion is held by many in Afghanistan but at no time is Pakistan worried about becoming a pariah – just like Qatar and Saudi Arabia don’t have to worry. Therefore, what is going on in the corridors of power in Washington and London?
While Maliki was accusing Qatar and Saudi Arabia yet another barbaric terrorist attack killed over 30 Iraqi nationals. The latest terrorist attack took place at a checkpoint in Hilla. Like usual, Sunni Islamic jihadists attacked Hilla because this area is predominantly Shia and Takfiri hatred towards this community knows no boundaries.
France 24 reports: “Maliki went on to say that not only did Saudi Arabia support terrorism in countries such as Iraq and Syria, but around the world.”
Lee Jay Walker says: “Afghanistan and Iraq are paying a heavy price because of the respective intrigues of Qatar, Pakistan, and Saudi Arabia. India knows full well that being the largest democracy in the world doesn’t appear to resonate in London and Washington. After all, for decades Pakistan is exporting terrorism to Kashmir and many brutal terrorist attacks in India can be traced back to Pakistan. Yet, despite this reality, and the obvious connection linking Pakistan with many terrorist and sectarian factions in Afghanistan, this still doesn’t prevent America and the United Kingdom from supporting Pakistan in the field of economic and military support. Indeed, it appears that just like American and British soldiers are expendable to political elites in Washington and London; the same can clearly be said about Pakistan soldiers being killed based on the intrigues of Pakistan.”
In 2013 just below 9,000 people were killed in Iraq because of sectarian and terrorist forces. This figure is the highest since 2007 and says much about the bankruptcy of President Obama in America. Indeed, France 24 should be asking why France is involving itself along with Turkey against the government of Syria. After all, like Maliki says about Qatar and Saudi Arabia: “They are attacking Iraq through Syria, and in a direct way.”
Until Gulf and Western powers are held accountable then sadly the destabilization of nations will continue whereby terrorism is a useful tool. Obviously, this reality is being ignored by the United Nations therefore the same methodology will continue to be utilized by the same Gulf and Western powers – along with Turkey and Pakistan that continue to switch the terrorist clock on.
Lee Jay Walker gave guidance to both writers
http://www.france24.com/en/20140308-france24-exclusive-interview-iraq-maliki/
http://www.bbc.com/news/world-middle-east-26501610
http://www.nytimes.com/2006/12/13/world/asia/13afghan.html?_r=0
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dimanche, 16 mars 2014
The War on Russia in its Ideological Dimension
The War on Russia in its Ideological Dimension
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US Pushes Georgia into NATO
US Pushes Georgia into NATO: MAP is Option Again
Ex: http://www.strategic-culture.org |
As Russian Kommersant daily reports citing its own NATO and US State Department sources, the idea of granting Georgia a Membership Action Plan (MAP) is getting wide support in the Alliance, as the events in Ukraine unfold. On his recent visit to Washington on February 25 Georgian Prime Minister Garibashvili got the assurances that his country will get a MAP at NATO September 2014 session in Cardiff, Wales, in case Crimea votes for joining the Russian Federation at the March 16 referendum. The article notes that only Germany may hesitate a bit while the foreign department is headed by Franc-Walter Steinmeier prone to show restraint towards Russia.
US administration takes stance to support Georgia’s NATO’s bid The U.S. State Department endorsed granting Georgia its long-coveted status as an aspiring NATO member. This is the first time in recent history that the U.S. has explicitly come out in favor of MAP. Before the visit State Department officials had shied away from making the US stance definite. President Barak Obama and State Secretary John Kerry met the Georgian Prime Minister. After the meeting Kerry mentioned the possibility of his visit to Georgia for the first time (before May). The Secretary also announced «additional assistance» to Georgia: «Today I am announcing additional assistance by the United States to help support Georgia’s European and Euro-Atlantic vision, specifically to help Georgia achieve visa-free travel with the EU and to mitigate the hardships caused by borderization along the occupied territories». Georgian Defense Minister Irakli Alasania said Russia’s campaign in Ukraine creates a need for more decisive NATO policy in Eastern Europe. «Speeding up the process of Georgia joining NATO should be one of the essential elements of the new policy approach that will better contribute to ensuring [the] stability of the European and Euro-Atlantic area», Alasania wrote in an emailed response to questions posed by EurasiaNet.org. «Speeding up the process of Georgia joining NATO should be one of the essential elements of the new policy approach that will better contribute to ensuring [the] stability of the European and Euro-Atlantic area», he wrote in an emailed response to questions posed by EurasiaNet.org. «There is now a wave of support building here for the idea of giving Georgia a MAP to protect against Russia», says Caucasus expert Thomas de Waal, a senior associate at the Carnegie Endowment for International Peace in Washington, DC. In late 2008 NATO embarked on an intensive cooperation program intended to strengthen the Georgian military. A NATO-Georgia Commission was established and tasked with overseeing implementation of successive Annual National Programs intended as a substitute for a MAP. At the NATO's Lisbon summit in 2010 participants reaffirmed the commitment enshrined in the Bucharest summit communique that Georgia would eventually join the alliance. Georgia has made an outsized contribution to the NATO effort in Afghanistan. In March 2013, the Georgian parliament passed a unanimous resolution reconfirming Georgia's NATO and EU aspirations. Last year NATO Secretary-General Anders Fogh Rasmussen for his part lauded Georgia's progress toward meeting NATO membership requirements. Visiting Tbilisi in June 2013, he said Georgia had «moved a lot closer to NATO» and «is on the right path» to «NATO's open door». «With consistent and determined efforts, you will reach your destination», Rasmussen assured the hosts. Georgia is situated in the strategically vital Caucasus region, which links Europe and the West to resource-rich Central Asia and beyond to China and India. A growing network of sea ports, air and land corridors put Georgia at the emerging nexus for Asian and European economies. As NATO and the US scale down their presence in Afghanistan, the West is going to need strong partners in this region. When it comes to the EU, Brussels is working to accelerate the signing of accords that will eventually make the country’s laws, economy and political system EU-compatible. The agreements, expected later this year, are subject to legislative approval by both the EU and Georgia, and require more reforms. But for the first time Brussels has hinted that its overtures to Georgia will not stop there. Sergi Kapanadze, a deputy foreign minister under former Georgian President Mikheil Saakashvili, believes that showing a strengthened commitment to Georgia on NATO membership would be one of the best ways to show Russia how resolute the West is to oppose it, «Based on other situations, such as Syria, [Russian President Vladimir] Putin now feels that the West is weak and its warnings taper off without translating into something that can actually hurt Russia», said Kapanadze. «If the West does not take real steps, such as expelling Russia from the G8 and making Georgia a NATO member, Putin will think he can get away with Ukraine». US lawmakers strongly push for granting MAP While the events in Ukraine dominate headlines, congressmen in Washington are pressuring the administration to take a more aggressive stand toward allowing NATO membership for Georgia. In February 2014, 40 lawmakers from both sides of the aisle wrote a letter to Secretary of State John Kerry stressing that the U.S. and its allies «have reached a critical point in which action is necessary to ensure NATO’s future relevance and viability». They encouraged continued efforts to make enlargement a key priority for the United States and urged him to support NATO membership for Macedonia and Montenegro, encourage continued progress in implementing the MAP for Bosnia-Herzegovina. The Feb. 5 letter, drafted by the office of Rep. Mike Turner Ohio Republican and chairman of the U.S. Delegation to the NATO Parliamentary Assembly, specifically called on the Secretary of State to advocate granting Georgia a MAP at NATO’s 2014 summit, which is slated for September. In response to the letter, the U.S. Assistant Secretary of State of Legislative Affairs Julia Frifield wrote, «We believe Georgia deserves credit at the upcoming NATO Summit for the progress it has made and its demonstrated commitment to NATO operations and standards. We stand ready to support Georgia's own efforts to build a consensus within the Alliance for granting it a Membership Action Plan». Republicans say President Barack Obama has been too passive in responding to the crisis in Ukraine. US Senator Mario Rubio (R-FL), who is widely viewed as a 2016 presidential contender, called for a renewed push for NATO membership for Georgia. South Carolina Republican Sen. Lindsey Graham told CNN on March 2 that Obama should «stop going on television and trying to threaten thugs and dictators». Graham added that «Every time the President goes on national television and threatens Putin or anyone like Putin, everybody’s eyes roll, including mine. We have a weak and indecisive president that invites aggression». As to him, «Georgia is trying to seek NATO admission through the membership action plan. Let’s accelerate Georgia’s admission into NATO», said Graham. «We abandoned our missile defense agreements with them to protect Europe from a rogue missile attack coming out of the Mid East. Russia backed Obama down. If I were President Obama, I would reengage Poland and the Czech Republic regarding missile defense». House Intelligence Committee Chairman Mike Rogers told Fox News that «Putin is playing chess and I think we’re playing marbles». The Michigan congressman added that the Russians have been «running circles around us» in negotiations on issues like missile defense and Syria. Rogers said the White House should not attend the G-8 summit and should seek international sanctions. And Republican Sen. John McCain of Arizona – Obama’s 2008 general election opponent and a frequent critic of the President’s foreign policy – said in a statement that he is «deeply concerned» that Russia’s presence in Ukraine could grow if Obama does not go into detail about what exactly he’s going to do. McCain called on the U.S. to give economic aid to Ukraine and to install U.S. missiles in the Czech Republican. «President Obama said that Russia would face ‘costs’ if it intervened militarily in Ukraine», McCain said. «It is now essential for the President to articulate exactly what those costs will be and take steps urgently to impose them». Imponderables and factors to reckon with There are imponderables as the issue is considered, for instance, it remains unclear to what extent the Georgian Army as a whole meets NATO standards, as opposed to the battalions that have served since 2009 with the NATO-led mission in Afghanistan. NATO has been enthusiastically engaged in the Alliance extension for the very idea of extension game. Now it has become an alliance of rag tag members with different potentials and different interests complicating to utmost any decision making process. Georgia will add more headache and burden without giving anything on return. Giving a MAP to Georgia is like cutting off the nose to spite the face. After all it was Georgian President Saakashvili who launched an attack in 2008. If Georgia were a NATO member those days, it would have done a real lip service to the Alliance putting it in an awkward position nobody needed, to put it most mildly. Russia still maintains a military presence within the breakaway regions of Abkhazia and South Ossetia, and regards NATO advancement as an immediate threat. Giving MAP to Georgia means constant confrontation with Russia adamant to stay firm asserting its foreign policy interests and ready to rebuff any attempts to intimidate or exert pressure on it. Speaking at a news conference in Brussels after the NATO-Russia Council on December 8, Russia’s Foreign Minister Sergey Lavrov said, «I noticed that yesterday’s communiqué, which was adopted by the NATO foreign ministers, contains a term ‘aspirant countries’ and among them was named Georgia too. I openly warned our colleagues not to again push, wittingly or unwittingly, the current regime in Georgia towards repeating an adventure similar to the one of August, 2008… it was shortly after the [April, 2008 NATO] Bucharest summit, during which [NATO] imperatively stated, that Georgia will join NATO», Lavrov said. Riccardo Alvaro, a visiting fellow at the Brookings Institution’s Center on the United States and Europe, noted that as a general rule,NATO is unwilling to accept countries with such unresolved disputes because it «involves the risk of NATO being drawn into a military confrontation». «Common sense has it that NATO’s enlargement should take place wherever it enhances NATO’s security», he added. «If enlarging the Alliance means a spillover of insecurity into it, what’s the point?» The very process of NATO expansion is an irritant negatively affecting the security situation in Europe in general and bringing no dividends; NATO has no axe to grind here. This is the time to come up with well thought over and balanced initiatives to find a common understanding and ways to calm the tensions down, not pouring more fuel to the fire. Granting a MAP to Georgia is an obvious wrong step in the wrong direction at the wrong time. |
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samedi, 15 mars 2014
Information Warfare: New Face of Cold War
Information Warfare:
New Face of Cold War
Ex: http://www.strategic-culture.org |
Today one could only guess what the recently started, unprecedented in scope, anti-Russian campaign may lead to as mainstream Western media outlets are getting more and more involved in the effort. Russia has taken resolute steps to defend its vital interests in Crimea and Ukraine as the West unleashed a new form of cold war – information warfare…
The unanimity of German media condemning Russia evokes concern calling to mind historic precedents. A hundred years ago the Kaizer Germany unleashed the First World War; the German elite unanimously supported the government those days. As the issue of war expenditure was put to Reichstag, Karl Liebknecht happened to be the only Member of Parliament to abstain. (1) Military hysteria spread on political elite and creative intelligentsia including such well-known personalities as Richard Strauss, Thomas Mann and Hermann Hesse. Friedrich Meinecke, German historian who lived in the first half of last century, wrote that the people of Germany were deeply and irreversibly convinced that the war was imposed from outside and the people had their homes to defend in the most broad sense of the word. Reading these lines one can understand that the massive brainwashing campaign has made almost ¾ of Germans known to be frugal ready to support the new regime in Kiev while 12% believe it is acceptable to offer military aid. Over one third of respondents favor sanctions against Russia (1). The Berlin’s stance on Crimea and on Ukraine in general by and large coincides with that of the United States, though a bit more restrained. For instance, it took Germany some time to support the idea of excluding Russia from G8; it didn’t rush to make calls for urgent sanctions against Russia. With Germans obviously lacking fervor, Senator McCain started to rebuke them for being too passive. But don’t get taken in. Berlin sees Ukraine as a testing ground for the recently announced new, more assertive foreign policy. Angela Merkel does not find it possible to go on with the preparations for G8 summit. The German government has adopted a phased plan of imposing sanctions against Russia. Even German business elite hesitate when it comes to sanctions. For instance, Martin Wansleben, Managing Director of the Association of German Chambers of Industry and Commerce (DIHK), told Deutschlandfunk, «I don’t believe we can allow ourselves to impose any sanctions, it’s not our option. No matter that, the European Union must launch it». (2) It would be an exaggeration to say that Germans are under the spell of those who accuse Russia of committing an act of aggression. There are some things that prevent the mass psychosis, like new information technologies making it possible to watch footages showing the attacks by Maidan militants against Berkut soldiers or provocations by «unknown snipers»…Official media never post such video clips in Internet. Frankfurter Allgemeine Zeitung has already adopted the rule to avoid the stories about Ukrainian right-wing radicals and anything that pours water on the mill of Russian propaganda (3). Bruno Gollnisch, a French National Front activist, said France should not repeat the mistakes of the 1953 Crimean war fighting against Russia to serve the interests of Great Britain striving for world dominance (4). The French right-wing National Front has no doubts that the fight for Ukraine contradicts the interests of the European Union. This view is shared by ultra-right parties of old Europe. Bernhard Tomasitz, the editor-in-chief of the German People's Union’s media outlet, is sure that the new pro-Western regime has provoked the exacerbation of situation. One of its first steps was striking Ukraine’s Russian speakers by rescinding the law on the status of regional languages. The European Union normally defends the rights of minorities but this time it turned a blind eye. (Russians are not a «minority» in Ukraine) (5). The ultra-right in France and Austria believe that the federalization is quite an acceptable way to settle the Ukraine’s crisis. According to Andreas Meltzer, the leading candidate of Austrian People's Party at the elections to the European Parliament, the division of Ukraine the same way it was done in the case of Czechoslovakia would be a better alternative to civil war. (6) Andreas Meltzer is sure that Europe could get rid of the US influence and establish normal relations with Russia. In France only left-oriented media has reported that Dmitry Yarosh, the leader of Ukraine’s nationalists, has decided to run for presidency. Only left-wing media informs about recruitment centers for volunteers to man formations to be sent to Crimea. Yulia Timoshenko has threatened the peninsula with a guerilla war. Left Junge Welt tells about Pravy Sector’s absolute power in Lviv. It also tells about armed groups demanding recompense «for revolution» on the roads of western and central Ukraine (7). Tagesspiegel is not that candid, it shies away from calling a spade a spade telling about imposters who said they belonged to «people’s control» and tried seize two German factories (8) to the west of Kiev. It’s worth to pay special attention on the articles reflecting the point of view of big business. Such renowned economists as Michael Hutter and Hans-Werner Sinn warn about negative consequences of economic sanctions. The businessmen with direct interest in Russian economy are alarmed. Eckhard Cordes of the Committee on Eastern European Economic Relations and Volker Treier, Chief Economist for the German Chamber of Commerce and Industry, together voice their concern over the sanctions against Russia calling it a risky business which may cost dearly. E. Shoppe, chairman of machine building union in the East, expressed concern over negative affect of possible sanctions for German machine building competitivity. According to him, in case sanctions are imposed Russia will buy the machines and equipment it needs in China (9). Those down to earth reporters who specialize on economy go beyond strict ideological restrictions openly saying that for the majority of Germans Crimea is rather Russia than Ukraine (10). A Wirtschaftswoche weekly reporter believes the following conditions are crucial for normalization of the Ukraine’s situation: first, the country has to stand on its own feet so that the new election would not take place in the atmosphere of despair as a result of economic failure, second, emotions need to be cooled down, third, President Putin should not be demonized anymore (11). The concern of German entrepreneurs over the situation in Ukraine is understood, as well as their willingness to look for the ways to get things in order there. Will it be enough to stop the further negative development of events? Striking Russia-Germany ties directly corresponds to the goals cherished by the initiators of Transatlantic Trade and Investment Partnership agreement being pushed through by Washington. (1) The results of the poll published on March 7 2014
(3) www.faz.net/aktuell/politik/ausland/europa/ukraine-die-extremisten-vom-majdan-12816972-p2.html
(4) www.marinelepen.fr,.03.07. 2014.
(5) National Zeitung,.03. 07. 2014. The Verhovna Rada of Ukraine voted to rescind the law of February 23. A commission to work out a new legislature on language has already been formed in Kiev. One of the options for consideration is to cancel Cyrillic script for Latin.
(6) diepresse.com
(7) Reinhard Lauterbach. Rechte machen mobil/ Junge Welt, 08.03.2014.
(8) tagesspiegel.de
(9) dpa, 03. 07.2014.
(10) www.wiwo.de/politik/ausland/krise-in-der-ukraine-moskaus-geopolitische-arroganz/9560642-2.html.
(11) Bettina Röhl. Krim: Keine Eskalation herbeireden!/Wirtschaftswoche, 04.03.2014.
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Grand Puppetmaster Brzezinski
Directing War Strategies from the Shadows
“From the moment the Soviet Union collapsed in 1991, the United States has relentlessly pursued a strategy of encircling Russia, just as it has with other perceived enemies like China and Iran. It has brought 12 countries in central Europe, all of them formerly allied with Moscow, into the NATO alliance. US military power is now directly on Russia’s borders…This crisis is in part the result of a zero-sum calculation that has shaped US policy toward Moscow since the Cold War: Any loss for Russia is an American victory, and anything positive that happens to, for, or in Russia is bad for the United States. This is an approach that intensifies confrontation, rather than soothing it.”
- Stephen Kinzer, “US a full partner in Ukraine debacle”, Boston Globe
“We have removed all of our heavy weapons from the European part of Russia and put them behind the Urals” and “reduced our Armed Forces by 300,000. We have taken several other steps required by the Adapted Conventional Armed Forces Treaty in Europe (ACAF). But what have we seen in response? Eastern Europe is receiving new weapons, two new military bases are being set up in Romania and in Bulgaria, and there are two new missile launch areas — a radar in Czech republic and missile systems in Poland. And we are asking ourselves the question: what is going on? Russia is disarming unilaterally. But if we disarm unilaterally then we would like to see our partners be willing to do the same thing in Europe. On the contrary, Europe is being pumped full of new weapons systems. And of course we cannot help but be concerned.”
- Russian President Vladimir Putin, Munich Conference on Security Policy, February 2007
The Obama administration’s rationale for supporting the fascist-led coup in Ukraine collapsed on Wednesday when a “hacked” phone call between EU foreign affairs chief Catherine Ashton and Estonian foreign minister Urmas Paet revealed that the snipers who fired on protestors in Maidan Square in Kiev were not aligned with President Viktor Yanukovych, but with the protest leaders themselves. The significance of the discovery cannot be overstated since the Obama team has used the killing of protestors to justify its support for the new imposter government. Now it appears that members of the new government may be implicated in the killing of innocent civilians. This new information could force Obama to withdraw his support for the coup plotters in Kiev, which would derail the administration’s plan to remove Russia from the Crimea and expand NATO into Ukraine. Here’s a short recap of the details from an article in Russia Today:
“Estonian foreign ministry has confirmed the recording of his conversation with EU foreign policy chief is authentic. Urmas Paet said that snipers who shot at protesters and police in Kiev were hired by Maidan leaders.
During the conversation, Paet stressed that “there is now stronger and stronger understanding that behind the snipers, it was not Yanukovich, but it was somebody from the new coalition.”….
The Estonian Ministry of Foreign Affairs also issued a statement on its website, saying that the recording of the leaked telephone conversation between Paet and Ashton is “authentic.” (“Estonian Foreign Ministry confirms authenticity of leaked call on Kiev snipers“, Russia Today)
To its credit, the UK Guardian published an article reporting the basic facts, but there’s been no coverage by the New York Times, the Washington Post or any of the major TV News networks. America’s elite media are engaged in a coordinated news blackout to keep people from seeing that the Obama administration and their EU collaborators are supporting a group of far-right extremists who were directly involved in the killing of civilians in order to topple a democratically-elected government. Here’s more from the same article:
“…there is a stronger and stronger understanding that behind snipers it was not Yanukovych, it was somebody from the new coalition,” Paet says…the same handwriting, the same type of bullets, and it’s really disturbing that now the new coalition, that they don’t want to investigate what exactly happened.” (“Ukraine crisis: bugged call reveals conspiracy theory about Kiev snipers“, Guardian)
There won’t be an investigation because an investigation would reveal the truth, and the truth would undermine Obama’s plan to install a puppet regime in Kiev. The new government has already shown that it is more than willing to do Washington’s bidding, that is, to impose austerity measures on the working people of Ukraine, to pay off fatcat bondholders in Berlin and Brussels via more extortionist IMF loans, to extend NATO to Russia’s border in contravention of agreements made with Bush the Elder following the fall of the Berlin Wall, and to pursue the crackpot dreams of global hegemony laid out in “The Grand Chessboard” by New World Order fantasist Zbigniew Brzezinski. These are the primary objectives of the present policy which could be upended by the allegations of foul play.
The smoking gun revelations of the hacked phone call came just hours before US officials indicated they were planning to increase their military footprint in Eastern Europe. According to the World Socialist Web Site:
“Defense Secretary Chuck Hagel said the Pentagon will boost joint training of NATO forces in Poland and step up NATO air patrols in the Baltics…US military officials said they were deploying six F-15 fighter jets and KC-135 transport planes. ….One guided-missile frigate, the USS Taylor, is still in a Black Sea port in Turkey after patrolling the region during the Sochi Olympics…
Turkish officials confirmed that they had given a US Navy warship permission to pass through the Bosphorus straits into the Black Sea, which borders Ukraine.” (“Amid Ukraine crisis, US launches military escalation in Eastern Europe”, World Socialist Web Site)
Also Russia Today reports that: “The guided missile destroyer, the USS Truxton, is heading to the Black Sea, for what the US military said is a “routine” deployment…The ship has a crew of about 300 and is part of an aircraft carrier strike group that left the US in mid-February.” (“US navy confirms missile destroyer USS Truxton approaching the Black Sea”, RT)
“Routine deployment”? So provoking a war with Russia is “routine”? Talk about understatement.
The military escalation occurs in an atmosphere of heightened tension between the two nuclear-armed powers and will certainly add to their mutual distrust. Hagel’s deployment is consistent with a plan for antagonizing Moscow that was proposed just days earlier in the Washington Post by the Obama administration’s ideological godfather, Zbigniew Brzezinski. Here’s a bit of what Brzezinski had to say in the article titled “What is to be done? Putin’s aggression in Ukraine needs a response”:
“…the West should promptly recognize the current government of Ukraine as legitimate. Uncertainty regarding its legal status could tempt Putin to repeat his Crimean charade…
“…the West should convey.. that the Ukrainian army can count on immediate and direct Western aid so as to enhance its defensive capabilities. There should be no doubt left in Putin’s mind that an attack on Ukraine would precipitate a prolonged and costly engagement, and Ukrainians should not fear that they would be left in the lurch.
Meanwhile, NATO forces, consistent with the organization’s contingency planning, should be put on alert. High readiness for some immediate airlift to Europe of U.S. airborne units would be politically and militarily meaningful. If the West wants to avoid a conflict, there should be no ambiguity in the Kremlin as to what might be precipitated by further adventurist use of force in the middle of Europe.” (“What is to be done? Putin’s aggression in Ukraine needs a response”, Washington Post)
“Adventurist”? Dr. Strangelove is calling the Kremlin adventurist when his recommendations would put NATO, the US and Moscow on hairtrigger alert increasing the chances of an error in judgment that could lead to thermonuclear war. Isn’t that the pot calling the kettle black?
But listen to the tone of Brzezinski’s op-ed. In just a few short paragraphs, the author–who many respect as a restrained and brilliant global strategist–refers to Putin as a thug, a Mafia gangster, Mussolini, and Hitler. I imagine if he had another paragraph to work with, he would have added Beelzebub Satan to the list.
This isn’t politics; it’s hysterics. It’s incendiary, jingoistic mumbo-jumbo intended to rouse the public and fan the flames of nationalism. It’s the same kind of self-righteous raving that precipitated the invasion of Iraq.
And what is Brzezinski saying?
Is he saying that events in the Crimea are a threat to US national security? Is he saying that the US should now feel free to apply the Monroe Doctrine everywhere across the planet, sticking our big nose wherever the president sees fit?
The trouble in the Crimea has nothing to do with the United States. We have no dog in this fight. This is about military expansion into Eurasia, this is about pipeline corridors and oil fields, this is about dismantling the Russian Federation and positioning multinational corporations and Wall Street investment banks in Asia for the new century. And, finally, this is an ego-driven crusade by an old man who wants to see his looneybin NWO global hegemony vision enacted before they cart him off on a marble slab. That’s what this is really about; the glorious new world disorder, the dystopian wetdream of thinktank patricians everywhere whose only purpose in life is to initiate wars that other-peoples-sons will have to fight.
Entering Ukraine into the corporate-western alliance is a critical part of Brzezinski’s masterplan. The basic strategy has been underway since the fall of the Berlin Wall when neoliberal carpetbaggers from the US assisted in the looting of the former Soviet state leaving Russia politically broken and economically destitute. Since then, US policy towards Russia has been overtly hostile, making every effort to encircle the oil-rich nation while positioning nuclear missile installations on its perimeter. Now Washington is using its fascist-backed coup in Ukraine to force Moscow to relinquish its grip on a region that is vital to its national security.
Here’s a brief excerpt from an interview with Stephen Cohen, professor of Russian studies and history emeritus at New York University on Monday on PBS Newshour. Cohen helps to clarify what is really going on viv a vis the US and Russia:
“What we’re watching today is the worst kind of history being made, the descent of a new Cold War divide between West and East in Europe, this time not in faraway Berlin, but right on Russia’s borders through Ukraine. That will be instability and the prospect of war for decades to come for our kids and our grandchildren. The official version is that Putin is to blame; he did this. But it simply isn’t true. This began 20 years ago when Clinton began the movement of NATO toward Russia, a movement that’s continued.
…the fundamental issue here is that, three or four years ago, Putin made absolutely clear he had two red lines…One was in the former Soviet republic of Georgia. (Putin would not allow NATO in Georgia) The other was in Ukraine. We crossed both. You got a war in Georgia in 2008, and you have got today in Ukraine because we, the United States and Europe, crossed Putin’s red line.” (PBS News Hour)
There’s no doubt who is to blame for the present conflict in Cohen’s mind. It’s Washington.
So, here we are, between a rock and a hard place: Putin cannot back down on an issue that’s crucial to national security, and Washington is more determined than ever to pull Ukraine into –what Henry Kissinger calls–”a cooperative international system.” (aka–global capitalist rule) That means there’s going to be a war.
On Thursday, Crimea MPs voted unanimously to hold a referendum on whether the region should become a part of Russia or not. The balloting will take place in 10 days although Obama has already said that he will not honor the results. Apparently, other countries need to get the green-light from Washington before they conduct their elections now. This is how ridiculous things have gotten.
In 2008, Brzezinski revealed the real motives behind US aggression in Central Asia in an article that appeared in the Huffington Post that dealt primarily with the dust up in Georgia. (where Putin deployed Russian troops to defend Russian speaking civilians in South Ossetia.) Here’s what Brzezinski had to say:
“The question the international community now confronts is how to respond to a Russia that engages in the blatant use of force with larger imperial designs in mind: to reintegrate the former Soviet space under the Kremlin’s control and to cut Western access to the Caspian Sea and Central Asia by gaining control over the Baku/Ceyhan pipeline that runs through Georgia.
In brief, the stakes are very significant. At stake is access to oil as that resource grows ever more scarce and expensive and how a major power conducts itself in our newly interdependent world, conduct that should be based on accommodation and consensus, not on brute force.
If Georgia is subverted, not only will the West be cut off from the Caspian Sea and Central Asia. We can logically anticipate that Putin, if not resisted, will use the same tactics toward the Ukraine. Putin has already made public threats against Ukraine.” (“Brzezinski: Russia’s invasion of Georgia is Reminiscent of Stalin’s attack on Finland”; Huffington Post)
Huh? It sounds a lot like Brzezinski thinks that oil should be his. Or maybe he thinks it belongs to the western oil giants; is that it?
So we’re not dealing with national security, sovereignty or spheres of influence here. What we’re really talking about is “access to oil.” Not only that, but Brzezinski is being quite blunt in his assertion that “the West” –as he calls it–has a legitimate claim to the resources on other people’s land. Where’d he come up with that one?
In another interview on Kavkacenter.com, in 2008, Brzezinski sounded the same alarm with a slightly different twist. Here’s an excerpt from the article titled ”Russia tends to destabilize Georgia”:
“Brzezinski said the United States witnessed “cases of possible threats by Russia… motivated not by some territorial disputes….but caused by intention to take control over the Baku-Ceyhan pipeline”.
“If Georgia government is destabilized, western access to Baku, Caspian Sea and further will be limited”, said Brzezinski …. he stated that Russia will try to consolidate its monopoly on these markets and will use all existing political and economic levers, including “politically motivated cessation of energy supplies” in Europe and Baltic states.
“Russia actively tends to isolate the Central Asian region from direct access to world economy, especially to energy supplies”, considers the political scientist.” (“Zbigniew Brzezinski: ”Russia tends to destabilize Georgia” kavkacenter.com)
Putin is not isolating anyone and he’s certainly not taking over anyone’s damned pipeline. He’s the president of Russia. He sells oil and makes money, that’s how the system works. It’s called capitalism. But the oil is theirs. The natural gas is theirs. The pipelines are theirs. Not ours. Get over it!
Don’t kid yourself, it’s all about oil. Oil and power. The United States imperial ambitions are thoroughly marinated in oil, access to oil, and control of oil. Without oil, there’s no empire, no dollar hegemony, no overbloated, bullyboy military throwing weaker countries against the wall and extorting tribute. Oil is the coin of the realm, the path to global domination.
Putin has audacity to think that the oil beneath Russian soil belongs to Russia. Washington wants to change his mind about that. And that’s why the situation in Ukraine is so dangerous, because the voracious thirst for oil is pushing us all towards another world war.
MIKE WHITNEY lives in Washington state. He is a contributor to Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion (AK Press). Hopeless is also available in a Kindle edition. He can be reached at fergiewhitney@msn.com.
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vendredi, 14 mars 2014
Lavia mediterranea
09:24 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Evénement, Géopolitique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : événement, italie, syrie, levant, méditerranée, politique internationale, géopolitique, monde arabe, monde arabo-musulman, europe, affaires européennes, proche orient | | del.icio.us | | Digg | Facebook