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dimanche, 27 mai 2012

TOMISLAV NIKOLIC PRESIDENTE. SERBIA EN EL BUEN CAMINO.

TOMISLAV NIKOLIC PRESIDENTE. SERBIA EN EL BUEN CAMINO.

 


 
Contra lo que anunciaban las encuestas y  repetían los opinion-makers de los mass-media, Tomislav Nikolic ha ganado la segunda vuelta de las elecciones presidenciales serbias y se convierte en el máximo mandatario del país balcánico.
 
Hay que señalar tres circunstancias que sin duda han servido para que Nikolic lograrar aumentar su porcentaje de votos en los últimos días de campaña.
 
Primero las acusaciones por su parte y por todo el Partido Serbio del Progreso (SNS) de fraude electoral en las legislativas y en la primera vuelta de las presidenciales, documentando casos realmente increíbles de escamoteo de votos  a favor del presidente Boris Tadic y su formación.
En segundo lugar el hecho de que el antiguo presidente serbio, Vojislav Kostunica (nacionalista moderado) y su partido democrático serbio (DSS) pidiera el voto en la segunda vuelta para Nikolic. Todo indica que con Nikolic en la presidencia, la coalición gubernamental estará encabezada por su partido SNS, que quedó primero en las legislativas sin lograr la mayoría absoluta, junto al DSS de Kostunica y el Partido de la Nueva Serbia de Veilmir Ilic.
Y como colofón el debate televisivo del día 16 de mayo, en el que Tomislav Nikolic, dirigente del SNS, acusó al presidente saliente Boris Tadic de ser responsable de la independencia de Kosovo, durante el debete, Nikolic destacó las buenas relaciones de su partido con Rusia Unida el partido de Vladimir Putin.
 
Serbia en el buen camino.
 
Con estas palabras encabezada HC Strache, presidente del FPÖ austriaco sus felicitaciones a Nikolic, su aliado oficial en Serbia.  En el mismo comunicado HC Strache hace un llamamiento a que las autoridades de Bruselas no congelan ahora el proceso de adhesión serbio a la UE por “motivos políticos”.   Sin embargo Nikolic, cuyo objetivo es un acercamiento entre la UE y Moscú ha sido claro: “Queremos unirnos a la UE pero si nos dicen que el precio para hacerlo es Kosovo, les diremos que adiós y gracias, nosotros tenemos nuestra propia vía”.
La victoria de Nikolic la celebramos todos los que defendemos la creación de un gran espacio europeo integrado y armónico al margen de potencias e injerencias extranjeras.
 
Enric Ravello
Secretario de relaciones nacionales e internacionales de Plataforma per Cataluña.

NATO. "1984" rivisitato. Quando "La guerra è pace"

NATO. "1984" rivisitato. Quando "La guerra è pace"

di Ross Ruthenberg
Global Research

1984Considerando lo stato attuale della pace nel mondo e della politica della Responsabilità di Proteggere  (R2P) della NATO e per mantenere un giusto senso di equilibrio, il libro di George Orwell "1984" dovrebbe essere rivisitato periodicamente. Nello spirito del vertice NATO di Chicago, vi presento alcune citazioni di quel libro di testo-per-domani:

* "Se il Partito poteva impossessarsi del passato e dire, di questo o quell'av-venimento, che non era mai accaduto, ciò non era forse ancora più terribile della tortura o della morte?."

* "Non capisci che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d'azione del pensiero?
Hai mai pensato, Winston, che entro il 2050, al massimo, nessun essere umano potrebbe capire una conversazione come quella che stiamo tenendo noi due adesso? Sarà diverso anche tutto ciò che si accompagna all'attività del pensiero. In effetti il pensiero non esisterà più, almeno non come lo intendiamo ora. Ortodossia significa non pensare, non dover pensare. Ortodossia è incoscienza. "

* "Gli uomini di governo di tutte le epoche hanno sempre tentato d'imporre una concezione del mondo assolutamente arbitraria ai loro seguaci".

* Poi il volto del Grande Fratello si dissolse, per lasciare il posto ai tre slogan del Partito, vergati in lettere maiuscole:

LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L'IGNORANZA È FORZA
"

* Una volta che gli capitò di accennare alla guerra contro l'Eurasia, lei lo lasciò di stucco affermando con noncuranza che secondo lei questa guerra non esisteva. Le bombe a razzo che cadevano tutti i giorni su Londra erano probabilmente sganciate dallo stesso governo dell'Oceania, «per mantenere la gente nella paura». Un'idea del genere non lo aveva mai neanche sfiorato."

* Lo scopo di condurre una guerra è sempre quello di poter partire da posizioni di vantaggio nella guerra successiva.

* Lo scopo essenziale della guerra è la distruzione, non necessariamente di vite umane, ma di quanto viene prodotto dal lavoro degli uomini. La guerra è un modo per mandare in frantumi, scaraventare nella stratosfera, affondare negli abissi marini, materiali che altrimenti potrebbero essere usati per rendere le masse troppo agiate e, a lungo andare, troppo intelligenti.

* Il Ministero della Pace si occupa della guerra, il Ministero della Verità fabbrica menzogne, il Ministero dell'Amore pratica la tortura, il Ministe-ro dell'Abbondanza è responsabile della generale penuria di beni. Queste contraddizioni non sono casuali, né si originano dalla semplice ipocrisia: sono meditati esercizi di Bipensiero. È infatti solo conciliando gli opposti che diviene possibile conservare il potere all'infinito."

* Ha detto anche che sbagliavano ad equiparare l'alleanza militare ad una "macchina da guerra". "Se questa è la base per le proteste, in realtà è basata sulla mancanza di conoscenza. La nostra organizzazione è un movimento per la pace."

[Oh, aspetta! Questo non è il Ministero della Verità che parla, è il segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen! [1]]

rasmussen
Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen

Io e tanti altri abbiamo fatto fatica a capire perché abbiamo bisogno di una "macchina da guerra" mondiale nella società di oggi e, finalmente, Fogh Rasmussen, leader titolare della NATO, ha fornito l'illuminazione:

La NATO è un "movimento per la pace"!

Ora capisco che la NATO lanciando il  più grande numero di bombe dalla seconda guerra mondiale, in Jugoslavia nei primi anni '90 in realtà stava solo coprendo la zona con lanci di pace.

Adesso è chiara la recente iniziativa di pace della NATO in Libia, vale a dire esercitare semplicemente la loro responsabilità di proteggere, utilizzando gli strumenti della pace, come missili, bombe, ecc

La missione decennale della NATO in Afghanistan in realtà appare chiara come una missione di "diffusione della pace" vicino e lontano, mentre rimproverava duramente gli indigeni, se non capivano.

Poi c'è  in corso la marcia verso la pace in Siria sostenuta da Stati Uniti e NATO, con l'aiuto di molti amici della Siria come l'Arabia Saudita. Non sembra che il  leader della Siria, Assad, se la beva che la Guerra è Pace e la pace è ciò che viene riversato su di lui e il suo paese, proveniente dalla Turchia, Iraq, ecc

La Russia non dovrebbe essere preoccupata per l'accerchiamento di sistemi missilistici Aegis dispiegati intorno a loro, in quanto si tratta semplicemente di un "amichevole anello di pace".

Infine, beh, non proprio alla fine, come  ci ricorda "1984" "Lo scopo di condurre una guerra è sempre quello di poter partire da posizioni di vantaggio nella guerra successiva." (promemoria: la guerra è pace), cosa che rende ormai chiaro a me e, auspicabilmente, ai milioni di cittadini iraniani che dovrebbero solo tenere duro durante le numerose sanzioni debilitanti imposte su di loro, perché la pace è in arrivo!

La NATO e gli amici/partner ora stanno anche preparando le loro offerte di pace e gli strumenti di consegna, perché pienamente consapevoli della responsabilità di proteggeri! Pace a tutti!

"Tutto è svanito nella nebbia. Il passato è stato cancellato, la cancellazione è stata dimenticata, la menzogna è diventata verità".

Ross Ruthenberg è un analista politico di di Chicago rossersurf@comcast.net
Nota

[1] Estratto da: "The stage is set for summit, protests", di Bob Secter, reporter del Chicago Tribune, 20 maggio 2012

Andy Thayer, uno degli organizzatori, ha detto che lui e i suoi colleghi Giovedi hanno incontrato brevemente un alto ufficiale della NATO chee gli ha detto: "siamo molto consapevoli dell'immensa violenza e dell'oppressione che gli Stati Uniti e gli Stati Uniti nella loro veste NATO, fanno al mondo, e che nessuna parola della NATO o pronunciamento del vertice stesso potranno mettere in ombra questo ".

Parlando al comitato di redazione del Tribune Sabato, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha detto che riconosce il diritto dei manifestanti di esprimersi, ma ha detto anche che sbagliavano ad equiparare l'alleanza militare ad una "macchina da guerra".

"Se questa è la base per le proteste, in realtà è basata sulla mancanza di conoscenza. La nostra organizzazione è un movimento per la pace.", ha detto Rasmussen, ex primo ministro della Danimarca.

"Durante più di 60 anni, la NATO è stata il fondamento della sicurezza in Europa e Nord America. E grazie alla NATO, abbiamo mantenuto la pace e la stabilità in Europa durante quel lungo periodo, dalla 2° Guerra Mondiale. E' il più lungo periodo di pace nella storia d'Europa. Questo è un bel successo. Questo è quello che io chiamo un movimento per la pace", ha detto.

Citando il ruolo della NATO nel contribuire a riunificare l'Europa, sviluppare nuove democrazie dopo la caduta del comunismo e sviluppare azioni per proteggere i civili in Libia, Rasmussen ha detto: "Non è giustificato chiamare la NATO una macchina da guerra. Ma ancora una volta, in una società libera, è un diritto costituzionale esprimersi  - anche se le vostre dichiarazioni non sono giustificate o errate o imprecise ".
http://www.chicagotribune.com/news/local/ct-met-hd-nato-chicago-0520-20120520,0,1571541.story

Fonte: Global Research 21 Maggio 2012
Traduzione: Anna Moffa per
ilupidieinstein.blogspot.it

samedi, 26 mai 2012

Samuel Huntington aurait-il raison?

 
Samuel Huntington aurait-il raison  - Ardavan Amir-Aslani constate l'irruption du fait religieux en politique

Samuel Huntington aurait-il raison?

Ardavan Amir-Aslani constate l'irruption du fait religieux en politique

Ex: http://metamag.fr/
 
On avait, en même temps que Georges Bush, enterré Samuel Huntington, dont le concept du "choc des civilisations" donnait une prééminence aux oppositions culturelles-civilisationnelles , dans lesquelles le substrat religieux tiendrait une place centrale. Or, la religion reste au centre du champ  de réflexion retenu par Ardavan Amir-Aslani dans son ouvrage, "La guerre des dieux" (Nouveau Monde édition), qui a, bien entendu, intégré tous les mouvements du monde arabe.
 
Ardavan Amir-Aslani
 
Iranien d'origine, avocat dans une grand cabinet d'affaire parisien et président de la chambre de commerce France-Azerbaïdjan, il a livré quelques réflexions à la journaliste Caroline Castets pour Le Nouvel Economiste.
Flavia Labau
 
"En février dernier, tout le monde y croyait. Le Printemps arabe avait eu raison des dictatures du passé. Un formidable élan démocratique soufflait sur les pays musulmans. Un an plus tard, Ardavan Amir-Aslani rectifie. Ce n’est pas à “plus de démocratie, plus de droits de l’homme et plus de laïcité” que ces soulèvements ont abouti, mais bien “au mouvement inverse”. D’où sa suggestion de ne plus qualifier ces événements de “Printemps” mais d’ “Hiver arabe”, seule image conforme, selon lui, à “la régression inéluctable” à laquelle vont mener ces révolutions.
 
La vision est sévère. Le diagnostic, sans appel. C’est que, pour l’auteur de La Guerre des dieux, la descente du monde arabe dans ce qu’il appelle son “Moyen Age” a déjà commencé. Depuis que, par les urnes ou sous couvert de conseils de transition, les islamistes ont remplacé les dictateurs. Depuis, surtout, que le fait religieux a fait intrusion dans la vie politique. Constat d’autant plus inquiétant qu’il vaudrait pour l’ensemble de la planète où, partout, se multiplient les “irruptions du fait religieux en politique”.
 
Une tendance aux effets déjà perceptibles – repli sur soi, montée des communautarismes, peur de l’autre… – et qui devrait encore s’accentuer avec la mondialisation qui, contrairement à une autre illusion largement répandue, ne nous mènerait pas “vers un monde homogène porté par des valeurs communes” mais “vers une segmentation de la communauté planétaire par ethnies et par religions”. Seul espoir : voir la France assumer son rôle essentiel de “lien entre l’Orient et l’Occident” en se souvenant, pendant qu’il en est encore temps, de ses convictions républicaines. Celles-là mêmes qui, il y a plus de deux siècles, lui ont permis, précisément, de séparer fait religieux et vie politique.
 
“Il y a un an, tout le monde a voulu voir dans le Printemps arabe une formidable avancée démocratique mais pour moi, c’est le mouvement inverse qui s’est produit. Loin d’avoir l’effet escompté, ces révolutions ont poussé le monde arabe vers une régression en permettant l’intrusion du fait religieux dans la vie politique. Et malheureusement, c’est un constat qui, loin de se limiter à ces pays, doit être généralisé puisque partout dans le monde, les réactions et les orientations politiques apparaissent de plus en plus marquées par le fait religieux.
 
Michele Bachmann : un message dicté par dieu
 
L’Amérique – où l’on pourchasse le médecin qui pratique l’IVG et où de plus en plus de candidats font campagne sur un message ultra-conservateur, à commencer par Michele Bachmann qui disait son message dicté par Dieu – en est un exemple. La Russie où l’Eglise orthodoxe est de plus en plus présente, en est un autre. Même chose en Chine, où le pouvoir s’efforce d’amoindrir le rôle de l’Eglise catholique sur place et bien sûr en Afrique où le cas de la Libye, entre autres, est particulièrement saisissant, les trois premières décisions du CNT ayant eu pour effet de rétablir la charia, de légaliser la polygamie et d’interdire la mixité à l’école publique. Ce qui n’est pas ce que j’appellerais du progrès.
 
Religion et vie civile
 
Autres exemples de cette poussée religieuse dans la vie civile comme dans le domaine politique : la Syrie, au sujet de laquelle l’archevêque de Beyrouth avait déclaré : “pourvu que Bachar al-Assad ne tombe pas, sinon, cela sera le massacre des chrétiens de Syrie”, l’Egypte, où la minorité chrétienne fait régulièrement l’objet de massacres, ou encore le Bahreïn dont personne ne parle parce qu’il s’agit d’un royaume plus petit que Manhattan mais qui est le théâtre d’une quasi-apartheid. Le pays compte 25 % de sunnites, face à 75 % de chiites et cette majorité fait l’objet d’un racisme absolu avec interdiction de servir dans l’armée, d’exercer des fonctions importantes dans la fonction publique, etc.
 
En Pologne, l’Eglise est omniprésente sur le dossier de l’avortement et en France, on constate quasi quotidiennement cette incursion de plus en plus marquée du religieux dans la vie publique. Que ce soit lorsque les Musulmans de France manifestent autour de la polémique sur le port du voile ou lorsqu’une pièce de théâtre déchaîne la colère d’extrémistes chrétiens. Quelle que soit la zone géographique, il suffit de regarder l’actualité pour constater que le fait religieux est en constante éruption.
 
Hiver arabe
 
Cette poussée religieuse est récente. Prenez un Larousse des années 1977-78 : le terme de fondamentaliste n’y figurait pas. Pas plus que celui d’islamiste. Ce n’est qu’au début des années 80, avec la révolution iranienne, que ces termes font leur apparition dans le langage public. Parce que l’ayatollah Khomeyni est arrivé au pouvoir et qu’il a instauré une théocratie. Pour moi, il est clair que tous les problèmes du monde musulman découlent de cet événement. La guerre en Iran-Irak, l’opposition sunnites-chiites… Jusqu’au Printemps arabe qui devait aboutir à plus de démocratie, plus de droits de l’homme, plus de laïcité mais qui, au final, avec cette nouvelle mixité religieux-politique, a débouché sur le mouvement inverse. C’est pourquoi il faut cesser de parler de Printemps arabe et utiliser l’expression adéquate pour qualifier ces événements.
 
En l’occurrence, même le terme d’“Automne arabe” apparaît trop optimiste. Seul celui d’Hiver arabe” reflète la réalité de ce qui va suivre. La régression inéluctable vers laquelle va mener ces révolutions. Ce qui n’est en réalité une surprise pour personne puisque toutes les différentes dictatures de ces pays n’étaient maintenues au pouvoir qu’afin d’empêcher la montée de l’islamisme. Moubarak le disait : “Si ce n’est pas moi, ce sera les Frères musulmans.” Et la suite a prouvé qu’il avait raison. On a donc mis fin aux dictatures pour voir arriver au pouvoir des gens qui réintroduisent la charia dans la société civile. Des gens qui prennent par les urnes ou sous couvert de conseils de transition un pouvoir que, bien évidemment, ils ne restitueront jamais ; si bien qu’ils vont détruire le schéma démocratique qui les a eux-mêmes amenés au pouvoir. Et pour légitimer leur action, ils diront tenir leur pouvoir de Dieu.

La montée de l’islamisme
 
C’est l’un des grands avantages de l’islamisme : dès lors que vous vous positionnez comme étant celui qui matérialise la parole divine sur terre, comme une autorité de fait, personne ne peut plus s’opposer à vous. Celui qui le ferait serait un mécréant, un infidèle. Hors de l’islam, pas de salut. Voilà pourquoi cette religion implique forcément une forme prosélytisme, de guerre sainte…
 
 
L’autre atout des islamistes tient évidemment au fait qu’ils sont les seuls à être organisés et prêts à exercer le pouvoir, mais aussi au fait qu’ils sont souvent la seule forme de gouvernement qui n’a pas encore été essayée par ces pays. Les Irakiens, par exemple, ont essayé le baasisme, le socialisme, le capitalisme, le soviétisme, l’occidentalisme… et chaque fois, ils ont fini avec la même corruption, les mêmes tragédies de société, la même absence de démocratie. La seule chose qu’ils n’ont pas essayée, c’est l’islam. Et comme le Coran est censé détenir les réponses à toutes les questions qu’on peut se poser, cela apparaît très rassurant.
 
C’est pourquoi les pays arabes jusqu’alors dotés de régimes pro-occidentaux et séculiers vont désormais connaître des régimes anti-occidentaux et religieux. Prenez le cas de l’Egypte où les chrétiens coptes sont pourchassés dans les rues d’Alexandrie et abattus par dizaines ; prenez celui du Pakistan et de l’Afghanistan où, une fois les Américains partis, les talibans vont revenir… Il n’y a pas un exemple qui aille à l’encontre de cette vision des choses. C’est pourquoi j’en suis convaincu : exception faite de l’Iran qui a été le premier à entrer dans l’islamisme et sera le premier à en sortir en grande partie parce que 75 % de sa population a moins de 35 ans et est à la fois éduquée et connectée, le monde arabe va s’orienter vers le fanatisme religieux.
 
La double tragédie
 
A l’origine de ce mouvement, il y a la double tragédie du monde arabe. La première est une tragédie philosophique qui tient au fait que l’islam a connu sa Renaissance – avec l’astronomie, les grands mathématiciens… – avant de basculer dans le Moyen Age tel qu’il s’apprête à le vivre aujourd’hui : avec la polygamie, l’idée qu’un homme vaut plus qu’une femme et un musulman plus qu’un chrétien ou un juif, etc. Si bien que contrairement à l’Occident, l’évolution de ces pays prend la forme d’une régression. La seconde tragédie du monde arabe est liée au népotisme qui a longtemps caractérisé ces différents Etats. Ben Ali est resté au pouvoir 27 ans, Moubarak, 32 ans, Abdallah Saleh, au Yemen, 33 ans, Kadhafi, 42 ans. A cela s’ajoute l’extrême corruption, dans des pays qui sont riches et dont la population est jeune, éduquée et sans avenir.
 
Ce qui explique qu’en Algérie et au Maroc, les gens préfèrent nager à travers le détroit de Gibraltar pour être ensuite pourchassés en Espagne plutôt que de rester chez eux. Encore une fois ces pouvoirs-là étaient maintenus par les dirigeants du monde entier pour une unique raison : leur effet stabilisateur. Aujourd’hui que l’on voit ces régimes disparaître et le changement arriver, à défaut de pouvoir s’y opposer, mieux vaut l’accompagner dans l’espoir de retarder l’éclatement du conflit. Celui-ci aura lieu, c’est inéluctable. Car pendant que le monde arabe va vivre son Moyen Age, le reste du monde va continuer à se mondialiser et à se moderniser si bien que c’est un véritable conflit de civilisations qui se profile.
 
Conflit de civilisations
 
Je crois qu’on est parti au moins pour un siècle d’hostilités. Celles-ci ne devraient pas prendre la forme d’une guerre ouverte – l’Occident a aujourd’hui encore quelques atouts qui font que la guerre n’est pas une option envisageable – mais plutôt d’un refus marqué de l’Occident en Orient et d’un nombrilisme croissant en Occident. C’est déjà ce que l’on voit aux Etats-Unis où les Américains cherchent aujourd’hui à se replier sur eux-mêmes et affichent, dans leurs discours, un certain rejet de l’Europe et de ses difficultés actuelles. Un redressement économique aurait probablement un effet apaisant, mais il y a d’autres critères à prendre en compte. L’argent seul ne suffit pas. Aujourd’hui, ce que les gens veulent retrouver en priorité, c’est leur dignité. Cette dignité que nous prenons pour un acquis en Occident et qui reste un rêve pour eux. Que la police ne les gifle pas quand ils passent dans la rue, qu’elle ne leur fasse pas payer la rançon pour leur commerce…
 
A cette revendication naturelle s’ajoute une incapacité à accepter et à respecter la différence qui fait que les musulmans entre eux, sur leur propre territoire, ne parviennent pas à cohabiter. Comment pourraient-ils le faire avec le reste de la planète ?
 
Dernier élément aggravant : le fait que le monde arabe a une revanche à prendre sur son passé. Ces pays ont été colonisés, ils ont été humiliés, ils estiment qu’ils continuent à l’être au travers du conflit Israël-Palestine. Ils veulent s’affirmer. Et aujourd’hui, ils le font en rejetant nos valeurs. Le foulard dans les rues de Paris ou dans les rues du Caire, c’est bien cela : le rejet patent d’une valeur d’égalité entre l’homme et la femme et, à travers lui, un déni de l’accès de la femme au travail, à l’éducation. C’est un refus de ce qu’est l’Occident. Et face à cela nous ne pouvons rester indifférents.
 
La mondialisation
 
Encore une fois cette tendance à la politisation du fait religieux est générale. Partout dans le monde, la religion entre en politique. Les gens se retranchent. Et loin de freiner cette tendance, la mondialisation a pour effet de l’accentuer. Contrairement à ce qu’on pense, on ne va pas vers un monde homogène porté par des valeurs universelles communes mais vers une segmentation de la communauté planétaire par ethnies, par religions. Pour moi, cela s’explique par le fait que la religion est devenue un élément identitaire et que, à l’heure actuelle, on manque d’autres éléments d’identification. Le port du voile est un cri identitaire, tout comme la croix visible. Sauf que chez certains, ce n’est que cela et chez d’autres, c’est l’élément dominant d’une personnalité, ce qui prime et l’emporte sur toutes les valeurs occidentales.
 
 
Si bien qu’on ne va pas vers un melting-pot mais vers des séparations de plus en plus marquées, avec tous les risques que cela comporte en matière de montée des communautarismes et l’éventualité d’aboutir à une situation où les gens ne s’identifient que par leur communauté religieuse. Pour l’heure, la position européenne face à ces mutations est teintée d’angélisme. C’est pourquoi il faut se ressaisir : penser aux droits de l’homme, à la république, aux valeurs de la révolution qui ont permis de séparer gouvernance politique et fait religieux ; et parallèlement, être conscient d’un monde qui change et dans lequel on n’est plus les premiers. Puisque quand on en est à envisager de faire appel à la Chine pour renflouer les banques européennes, on cesse d’être crédible et on ne peut plus vivre sur la gloire du passé.
 
L’exclusion
 
Dans ce contexte les sentiments s’exacerbent. C’est pour cela qu’on voit resurgir les mêmes thèses supposément rassurantes et portées par le même discours anti-immigration, sécurité… Il faut bien comprendre qu’aujourd’hui, les craintes des gens ne se limitent pas à être exclus du droit au travail. Cette peur-là, on vit avec depuis 30 ans. Ce qu’ils redoutent, c’est l’exclusion du droit au logement, du droit au soin, du droit à l’éducation. Il y a 40 ans, lorsqu’on disait “exclu” on pensait “chômeur”. Aujourd’hui, on pense “SDF”, ce qui montre bien à quel point le malaise social s’est aggravé. On n’est plus seulement dans le “je n’ai pas de boulot”, on est dans “j’ai mal”.
 
A l’origine de tout cela il y a certes des facteurs économiques mais aussi cette incursion du religieux en politique et dans la vie civile qui génère une peur de l’autre. C’est cette peur qui nous alimente l’absence de dialogue et, insidieusement, nous mène au conflit.
 
Le rôle de la France
 
En dépit de cette peur rampante, la France reste sans doute le seul pays, avec les Etats-Unis, à pouvoir s’enorgueillir de porter le message universel, républicain et laïc. Ce qui explique qu’elle a un rôle majeur à jouer dans le contexte actuel : elle doit être un lien entre l’Orient et l’Occident, entre l’Est et l’Ouest, comme elle l’a d’ailleurs toujours été. Et pourtant, elle semble absente. Détachée des enjeux du moment. Sa politique étrangère est intégralement calquée sur celle des Etats-Unis et pendant ce temps, le vide qu’elle laisse n’est pas comblé. C’est dans cet espace laissé vacant, dans cette absence de lien avec l’Occident et ses valeurs que s’engouffrent les islamistes et que le ressentiment enfle. Et que se passe-t-il lorsque les véhicules de transmission de valeurs cessent d’être présents ? On s’enracine chez soi et on regarde l’autre en face avec envie.
 
Politique étrangère
 
Le malaise est encore accentué par le fait que la politique étrangère de la France sur le Moyen-Orient et sur le monde musulman dans son ensemble est une politique marquée dont les entreprises françaises paient le prix. Car il est bien clair que, pour elles, l’obtention de grands contrats au sein de ces pays du monde arabe est associée à l’image de la France là-bas. Ce qui fait du choix d’une entreprise française un choix politique autant qu’économique. Or certaines positions politiques de la France sont perçues comme injustes ou excessives. Comme le fait que le gouvernement français ait pu être proche de Ben Ali et totalement opposé à Ahmadinejad. Ou encore que Kadhafi, qui était un fou furieux, ait été reçu à Paris et ait pu planter sa tente dans les jardins de l’Elysée alors que, parallèlement, ce même gouvernement français appelle au boycott de la Banque centrale iranienne. Pourquoi composer avec certaines dictatures et se montrer inflexibles avec d’autres ? C’est ce qui, pour beaucoup, reste difficile à comprendre.

Repli sur soi
 
Pour toutes ces raisons, j’ai du mal à croire en un avenir proche apaisé entre Orient et Occident ; en une cohabitation sereine et respectueuse des différences de chacun. Ce que je vois se profiler, en revanche, c’est un monde occidental replié sur lui-même avec des échanges extrêmement difficiles avec le monde musulman. Les visas vont être de plus en plus rares et le dialogue de plus en plus ténu. Tant sur le plan culturel que militaire, parce que toute la communauté éduquée de ces pays voudra fuir et que, bien évidemment, l’Europe ne pourra accueillir tout le monde. 
 
Afghanistan : le retour des talibans
 
Et c’est pourquoi le réveil pour tous ces pays qui croyaient avoir gagné leur liberté promet d’être brutal. Lorsque les gens réaliseront que les bouleversements récents ont entraîné une forte diminution de la manne que représentait pour eux le tourisme, lorsqu’ils prendront conscience de qui détient désormais le pouvoir et des effets induits sur la vie civile et que, au final, ils se retrouveront encore plus démunis aujourd’hui, dans cette soi-disant liberté, qu’il y a un an. Pire que tout, les gens vont constater – beaucoup l’ont d’ailleurs déjà fait – que les dictateurs sont peut-être partis, mais que les dictatures demeurent. Via ce qui reste de leur gouvernement, de leur armée ou via les islamistes.”
 
Les titres et sous-titres sont de la rédaction
Caroline Castets pour lenouveleconomiste.fr

Au sommaire du numéro 53 de la revue Rébellion :

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Au sommaire du numéro 53
de la revue Rébellion :
Editorial : Le temps des leurres. 
Culture : Sank'ia, l'épopée barbare de Z. Prilipine. 
Dossier géopolitique 
Entretien avec Aymeric Chauprade : comprendre la Realpolitik. 
L'Union pour la Méditerranée par Julien Teil. 
Obama et l'Impérialisme par Terouga. 
Entretien avec Alexandre Douguine. 
Histoire : Thermidor, le crépuscule de la République par david l'Epée. 
Culture : Entretien avec François Bousquet sur Jean Edern Hallier. 
 
Numéro disponible contre 4 euros à notre adresse :
Rébellion c/o RSE BP 62124 31202 TOULOUSE cedex 02 
http://rebellion.hautetfort.com/

jeudi, 24 mai 2012

Conferentie Syrië – 26 mei 2012 – Brussel /

Conferentie Syrië – 26 mei 2012 – Brussel /

Conférence Syrie – 26 mai 2012 – Bruxelles /

Conference Syria – 26 May 2012 – Brussels

Version française plus bas / English invitation: scroll down

 

Beste vrienden

Hiermede nodigen wij u uit op de conferentie ‘Syrië anders bekeken’ van de Mediawerkgroep Syrië op zaterdag 26 mei 2012 van 13.30 tot 18 uur in de zaal van de Sint-Niklaaskerk, Steenstraat 44 te 1000 Brussel (vlakbij de Grote Markt).

Priester Daniël Maes, norbertijn van Postel en afkomstig uit Arendonk, draagt zorg voor de mannenvleugel in het zesde eeuwse klooster Mar Yakub in Qâra, gelegen op 90 kilometer van Damascus. Hij is er ook verantwoordelijk voor het eerste seminarie van de katholieke priesteropleiding. Door vele contacten ter plaatse kreeg priester Maes het voorbije jaar de unieke kans om vast te stellen wat er werkelijk gaande is in Syrië. Hij zal ons daarover uitvoering informeren.

Eveneens krijgen we een overzicht van de actuele geschiedenis van Syrië door historicus Bahar Kimyongür en een recent reisverslag door journalist Kris Janssen.

Op het programma staan nieuwe video’s, foto’s, muziek en een gezellig samenzijn met een babbel en een drankje.

Als u wilt weten wat er zich werkelijk het voorbije jaar afspeelde in Syrië, loop dan gewoon even langs en noteer nu reeds 26 mei 2012 in uw agenda. En breng gerust een aantal vrienden mee. Tot dan!

* * * * *

Journalisten nodigen wij graag uit op de persconferentie van de Mediawerkgroep Syrië op zaterdag 26 mei 2012 om 12 uur stipt in de zaal van de Sint-Niklaaskerk, Steenstraat 44 te 1000 Brussel (vlakbij de Grote Markt). Priester Daniël Maes zal de aanwezige media toelichten over de laatste stand van zaken in Syrië en antwoorden op vragen van journalisten.

* * * * *

Met vriendelijke groeten,

namens Mediawerkgroep Syrië

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

Blog: http://mediawerkgroepsyrie.wordpress.com

Facebook: http://www.facebook.com/MWSyria

Twitter: @MWSyria

 

Chers amis,

Nous voulons vous inviter à une conférence ‘Syrie autre regard’ du Groupe-Média Syrie. L’événement aura lieu le samedi 26 mai 2012 dans la salle de l’église Saint-Nicolas, Rue de Pierre 44, 1000 Brussel (tout près de la Grande Place). Et ça de 13.30 h à 18.00 h. Prêtre Daniël Maes, Norbertin de l’abbaye de Postel et originaire de Arendonk, donnera un exposé sur la situation actuelle en Syrie. Daniël Maes prend soin de la section masculine du monastère Mar-Yacub (6iéme siècle) à Qâra, à une 90 kilomètres de Damascus. Il est aussi le responsable pour le premier séminaire catholique de la Syrie. Par ses nombreux contacts sur place, ce prêtre a eu l’unique occasion de constater ce qui se passe vraiment en Syrie. C’est un témoin de première main. Il nous en informera d’une manière détaillée.

Prévus également: un aperçu de l’histoire actuelle de la Syrie par l’historien Bahar Kimyongür et un reportage de voyage du journaliste Kris Janssen.

Sur le programme aussi des vidéos, des fotos, de la musique… Et tout cela dans une atmosphère de convivialité (boisson et bavarde).

Si vous voulez vraiment savoir ce qui s’est passé vraiment en Syrië l’année passée, n’hésitez pas et rejoignez nous le 26 mai. Et notez déjà cette date dans votre agenda. Amenez sûrement quelques amis. A bientôt donc!

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Nous avons l’honneur d’inviter les journalistes à une conférence de presse du Groupe-Média Syrië. Et ça le samedi 26 mai 2012 à 12.00 h à la minute. La conférence aura lieu dans la salle de l’église Saint-Nicolas, Rue de Pierre 44, 1000 Bruxelles (tout près de la Grande Place).

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Cordialement votre,

Groupe-Média Syrie

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

Blog: http://mediawerkgroepsyrie.wordpress.com

Facebook: http://www.facebook.com/MWSyria

Twitter: @MWSyria

 

Dear Sir, Madam,

Priest Daniel Maes from Arendonk, Norbertine monk at Postel Abbey, is in charge of men’s quarters at the 6thC monastery in Mar Yakub at Qara, 90 kilometres from Damascus. He is also responsible for the first seminary at the Catholic seminary. Continually communicating with locals, priest Maes is uniquely in the position to know what is really going on in Syria and will inform the public.

The public part of the meeting, from 13:30 to 18:00 p.m., offers beside the presentation of priest Maes, an overview of Syria’s contemporary history by historian Bahar Kimyongür and a recent inside report by journalist Kris Janssen. The programme includes new footage and photos as well as music and an opportunity to socialize and share a drink.

If you are interested in what is really going on in Syria from last year onwards, just block 26 May 2012 in your diary, walk in and feel free to bring your friends. Until then!

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The Media Group Syria would like to invite journalists to a special press conference on Saturday May 26th at 12:00 a.m. in the hall of St Nicholas Church, Steenstraat / rue des Pierres 44, 1000 Brussels (near the Grand Place).  At the press conference priest Daniël Maes will present his findings, explain the current situation in Syria and answer questions from journalists.

* * * * *

Media Workgroup Syria

Email: werkgroepsyrie@gmail.com

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Al-Qaeda Involvement with Syrian Rebels

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Assad’s Motives for Claiming Al-Qaeda Involvement with Syrian Rebels

Ex: http://www.counter-currents.com/

Whenever you see something in the mainstream media, it’s always a good idea to ask yourself, “who benefits” from the situation and how it is portrayed. Besides the damning evidence Israel was directly involved [2] in the 9/11 terrorist attacks, that question is why I’m highly skeptical about the terrorist network, Al-Qaeda.

Al-Qaeda’s actions appear to benefit (perceived) Jewish interests and the hostile elite within Anglosphere much more than it benefits the Muslims it claims to represent. If anything, Al-Qaeda seems to act against the interests of Arab Muslims (as well as white people).

So when I heard Gaddafi’s claim [3] that, “al-Qaeda is behind the Libyan uprising,” last year, I dismissed it as Gaddafi making a very ineffective, naïve, and embarrassing appeal to those in the West (1). Given his character and history, I wouldn’t have put it past him.

Now Assad’s government in Syria is also claiming Al-Qaeda is playing a role [4] in the violence aimed at overthrowing the Syrian government. This, and my better grounding in the global political situation (especially concerning Russia) made me reflect more on the situation.

I’ve come to suspect two things. First, that, Al-Qaeda operatives probably were involved in overthrowing Gaddafi’s government and are currently involved in the attempt to overthrow the Syrian government. To what extent, I don’t know, but this would make a lot of sense if Al-Qaeda is actually an Israeli-Neocon front group or is somehow bribed into serving their interests. Second, that instead of a poorly thought-out appeal to the West, claiming Al-Qaeda is involved in the rebel’s terrorism may actually be very smart political positioning – at least in Assad’s case. Let me explain.

By claiming Al-Qaeda is involved with but not necessarily the only group behind the rebels, Syria leaves room for its allies, namely Russia, to strike a deal with Anglosphere that allows the West a way to save face if it backs down from supporting the overthrow of Assad’s government.

If a deal cannot be struck, the Assad government has not claimed that Al-Qaeda is exclusively behind the rebellion and therefore can still point the finger at Western governments (i.e. the United States, Israel, and the U.K.). Such an accusation may be more powerful than you would think given the West’s long track record of intervention in the Middle East. If promoted enough by allies like Russia and China, exposing Western involvement in the violent terrorism in Syria could critically undermine Anglosphere’s ever-decreasing credibility on Middle Eastern affairs and threaten to unite most of the world in anger against the primary culprits—America, Israel, and the U.K.—who are already growing more and more isolated on the international political plain.

In an admittedly unlikely scenario, it’s even possible that bringing captured Al-Qaeda operatives into the international limelight [5] could expose the unseemly connections between Al-Qaeda and the governments and groups who actually run and/or support it.

Whoever runs Al-Qaeda and whatever role it is really playing, I think the motive for claiming Al-Qaeda involvement in the conflict is primarily to leave options open for political maneuvering by allies like Russia that have the power to dissuade Anglosphere from further pursuing Syrian regime change. In any case, there’s a lot more to this than meets the eye, and it behooves us to read between the lines and ask, “why is this being said,” and “who benefits from this?”

1. http://www.guardian.co.uk/world/2011/mar/01/gaddafi-libya-al-qaida-lifg-protesters [6]

 


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

URL to article: http://www.counter-currents.com/2012/05/assads-motives-for-claiming-al-qaeda-involvement-with-syrian-rebels/

mercredi, 23 mai 2012

Ces ministres de François Hollande qui ont été formés par les Américains

Washington sur Seine ?
Ces ministres de François Hollande qui ont été formés par les Américains

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

La French American Fondation est connue pour sa formation, les "Young Leaders", réservée à une dizaine de jeunes surdiplômés chaque année. Sur les huit socialistes sélectionnés comme Young Leaders depuis François Hollande en 1996, six rentrent dans son gouvernement cette semaine. Le plus "atlantiste" n'est pas toujours celui qu'on croit...

 
Sur les huit socialistes sélectionnés comme Young Leaders depuis François Hollande en 1996, six rentrent dans son gouvernement cette semaine.

Sur les huit socialistes sélectionnés comme Young Leaders depuis François Hollande en 1996, six rentrent dans son gouvernement cette semaine. Crédit Reuters

Exit Alain Juppé, Valérie Pécresse, Nathalie Kosciusko-Morizet, Laurent Wauquiez, Jeannette Bougrab... Place à François Hollande, Pierre Moscovici, Arnaud Montebourg, Marisol Touraine, Najat Vallaud-Belkacem, Aquilino Morelle (plume du Président), etc.

« Enfin des têtes nouvelles ! » entend-t-on ici ou là. Nouvelles ? Tout est relatif, quand on sait décrypter la liste ci-dessus : en fait, tous ces « Young Leaders » de l’UMP ont laissé la place à des « Young Leaders » du Parti socialiste. Car François Hollande et Pierre Moscovici depuis 1996, Marisol Touraine et Aquilino Morelle depuis 1998, Arnaud Montebourg depuis 2000 et Najat Vallaud-Belkacem depuis 2006, sont tous des « Young Leaders ». Tous ont été minutieusement sélectionnés et « formés » par ce très élitiste réseau Franco-Américain, inconnu du grand public, sponsorisé entre autres par la banque Lazard. En d’autres termes, ils ont tous postulé et se sont fait parrainer pour être admis à suivre ce programme phare mis en place par la FAF, la French American Fondation. La FAF est elle-même un organisme à cheval sur Paris et New-York, créée en 1976 conjointement par les présidents Ford et Giscard d’Estaing. A noter qu’entre 1997 et 2001, John Negroponte présida la FAF, avant de devenir entre 2005 et 2007, sous Georges Bush, le premier directeur coordonnant tous les services secrets américains (DNI), dirigeant l’US States Intelligence Community (qui regroupe une quinzaine de membres, dont le FBI et la CIA).

Crée en 1981, ce programme Young Leaders permet de développer « des liens durables entre des jeunes professionnels français et américains talentueux et pressentis pour occuper des postes clefs dans l’un ou l’autre pays ». Pressentis par qui ? Par un très strict comité de sélection, composé majoritairement d’anciens Young Leaders, qui ne retient qu’une dizaine d’admis par an. Seuls 13 hommes ou femmes politiques ont été admis depuis 1995, soit moins d’un politique par an en moyenne. Ces heureux « élus » sont choisis comme d’habitude parmi l’élite française : seuls 4% des Young Leaders français ne sont pas diplômés de l’ENA ou pas titulaires d’au moins un diplôme Bac+5, les trois quarts sont des hommes, à 80 % Parisiens... Autant dire qu’on reste en famille avec ce gratin issu de nos grandes écoles. Une spécificité française, qui, comme le souligne un rapport de la FAF, assure « une fonction de "reproduction sociale" de la "classe dominante " […] dans un pays où la simple notion de leadership renvoie aux "diplômes" et non aux qualités intrinsèques de la personne comme c’est souvent le cas outre-Atlantique ». Bref, notre nouveau président et ses nouveaux ministres cités ici sont de purs produits de nos grandes écoles, « ces acteurs influents (qui) personnifient la "pensée dominante" depuis de nombreuses décennies » selon la FAF.

Dès que l’on parle de réseaux d’influence, certains de leurs membres crient aux « obsédés du complot » et s’empressent généralement de préciser que le rôle de telles organisations est marginal et informel. Pour ce qui est de l’efficacité des « Young Leaders », les chiffres parlent plus que tous les longs discours : sur les 8 socialistes sélectionnés comme Young Leaders depuis François Hollande en 1996, 6 rentrent dans son gouvernement cette semaine. (Ne restent sur la touche, pour le moment, que Bruno Le Roux, qualifié par beaucoup de « ministrable », et Olivier Ferrand, l’ambitieux président du think-tank Terra Nova ayant permis l’élection de François Hollande aux élections primaires ; deux candidats impatients de rejoindre leurs camarades Young Leaders au gouvernement). Beau tir groupé, comme s’en enorgueillit à juste titre le site américain (http://www.frenchamerican.org : «The French-American Foundation is proud to have five Young Leader in the cabinet of President François Hollande, himself a Young Leader in 1996”), tandis que le site français n’en dit pas un mot (http://www.french-american.org). Il est vrai que, depuis l’affaire DSK, chacun aura compris que les deux pays n’ont pas la même culture de la transparence…

En septembre 2006, lors de sa visite aux États-Unis, Nicolas Sarkozy avait prononcé un discours à la French American Foundation (FAF), rappelant la nécessité de « rebâtir la relation transatlantique », paraphrasant ainsi les statuts de la fondation dont l’objectif est de « renforcer la relation franco-américaine considérée comme un élément essentiel du partenariat transatlantique ». A ceux nombreux qui me demandent, à l’occasion de la visite de François Hollande à Barack Obama, « pourquoi est-ce que les journalistes ne nous parlent pas de ça, à propos de François Hollande, au lieu de nous parler de son séjour d’étudiant et de son goût des cheeseburgers dont on a rien à faire? ». Qu’ils demandent donc la réponse aux journalistes qui ont l’art de nous servir ces hamburgers, préparés par les communicants, en prenant leurs lecteurs pour des cornichons ! Qu’ils la demandent en particulier aux Young Leaders des médias, aujourd’hui actionnaires ou directeurs des principales rédactions, ces copains de promo de certains de nos nouveaux ministres pour certains d’entre eux : de Laurent Joffrin (Nouvel Observateur) à Denis Olivennes (Europe 1, Paris Match et du JDD), en passant par Matthieu Pigasse, Louis Dreyfus et Erik Izraelewicz (Le Monde)… Et la liste hommes de médias Young Leaders est longue, comme on peut la lire plus intégralement dans l’enquête très documentée « Ils ont acheté la presse » de Benjamin Dormann, sur l’envers du décor de ces réseaux d’influence auxquels appartiennent désormais tant d’hommes clés des médias (ce qui explique que la presse évite d’en faire écho).

A New-York, la venue de François Hollande et de sa nouvelle équipe était attendue sereinement. Vu de la FAF, « Welcome à la Hollande team » ; on reste en terrain connu, tout est sous contrôle, on est même fier d’avoir autant de ses poulains dans la place, nous l’avons vu. Que les angoissés se rassurent : « le changement, ce n’est pas pour maintenant », n’en déplaise à Jean-Luc Mélenchon, l’allié peu atlantiste du Président !

mardi, 22 mai 2012

Etats-Unis : Mitt Romney et le rétroviseur néoconservateur

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Etats-Unis : Mitt Romney et le rétroviseur néoconservateur

Par Guillaume COULON*,

Diplômé de l’Institut d’Etudes Politiques de Bordeaux (Affaires Internationales)

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

Etats-Unis. Suite aux retraits successifs de Rick Santorum (10 avril 2012), de Newt Grinwich (3 mai) et de Ron Paul (14 mai) dans la course à l’investiture républicaine, Mitt Romney, ancien gouverneur du Massachusetts, est en passe de devenir le candidat officiel du « Parti de l’Eléphant ». Fort de son expérience d’ancien consultant en stratégie et de fondateur d’un fonds d’investissement, Mitt Romney a jusqu’alors critiqué le bilan de l’Administration Obama sur le plan économique. A l’approche des échéances électorales en novembre 2012, un éclairage mérite d’être fait sur son programme en matière de politique étrangère.

MITT ROMNEY est surtout connu pour ses qualités de manager et de financier dont il a fait preuve dans l’organisation des Jeux Olympiques d’Hiver de Salt Lake City en 2002. Engagé depuis 1994 en politique, il devient gouverneur du Massachussetts en 2002 au sein d’un bastion historique du Parti Démocrate. En 2008, il essuie un échec aux Primaires Républicaines en terminant en 3ème place derrière Mike Huckabee et John Mac Cain. En 2012, il est en position de force face à ses rivaux républicains et incarne l’unique espoir d’alternance pour son Parti, porté notamment à sa droite par les revendications des Tea Parties [1].

Mormon et francophone [2], Mitt Romney a été vivement critiqué au sein de son parti comme n’étant pas un véritable conservateur. Il est affublé du surnom de RINO [3] – ou républicain sur le papier – pour son côté « libéral » et progressiste dans le domaine des mœurs. Peu loquace sur les questions stratégiques et de défense, il a surtout attaqué le bilan de Barack Obama d’un point de vue économique et social, tout au long des primaires républicaines, en faisant valoir son expérience pratique de la vie économique américaine.

Pourtant, à mesure que la campagne des primaires républicaines progresse, il commence à prendre aussi position sur les enjeux internationaux et dévoile progressivement sa stratégie pour remettre « l’Amérique au leadership du 21ème siècle ». A l’instar des hommes providentiels auxquels il fait constamment référence - Lincoln, Eisenhower & Reagan -, il croit à la « destinée manifeste » des Etats-Unis et affirme que la puissance des Etats-Unis et la stabilité du Monde sont inextricablement liées. Il compare le Président B. Obama à Jimmy Carter et se voit en incarnation moderne de Ronald Reagan qui aurait la capacité d’instaurer la « paix par la force ». Dans la lignée des faucons néoconservateurs, il exprime une vision globalement binaire et manichéenne du Monde, qui ressasse les thèses du clash des civilisations de Samuel Huntington.

Faire du 21ème siècle « un siècle américain »

Au sein de son Livre Blanc [4], Mitt Romney identifie clairement les menaces probables : la montée en puissance de l’Asie (Chine & Russie), le fondamentalisme Islamique, les conséquences des Révolutions Arabes, le risque d’implosion des Etats faillis et la menace présentée par les « rogue States ». Pour faire du 21ème siècle « un siècle américain », il est nécessaire selon M. Romney de raffermir les liens, distendus par l’Administration Obama, avec les alliés traditionnels (ex : Israël), d’adopter une ligne plus dure face aux ennemis désignés (ex : Iran et Russie) et de redresser la puissance américaine sur les plans économique, militaire et stratégique.

Malgré quelques hésitations au début de la campagne, la « fermeté » constitue dorénavant l’alpha et l’oméga de la politique étrangère de M. Romney. Il tente ainsi de se démarquer des positions de B.Obama, qu’il dépeint comme irresponsable dans sa décision de se retirer d’Afghanistan en 2014. Par le passé, Mitt Romney a été critiqué pour la modération de son soutien porté aux troupes en opérations extérieures. Son inconstance en matière de questions stratégiques lui a d’ailleurs valu le sobriquet de « girouette » par les journalistes américains. Par exemple, il a émis des réserves publiques sur le budget alloué à la capture de Ben Laden avant de se féliciter publiquement de son décès et d’affirmer que « même Jimmy Carter l’aurait capturé » [5].

Dans le but de couper court aux propos de ses détracteurs, Mitt Romney s’est entouré d’une équipe d’experts issue du carcan traditionnel du Parti Républicain. Pour la plupart en activité sous les présidences de G. Bush Sr et de G.W Bush, l’équipe de conseillers de Mitt Romney rassemble quelques figures emblématiques des théoriciens néoconservateurs, tel que les historiens Robert Kagan et Eliot Cohen, les diplomates de renom Richard Williamson et Mitchell Reiss ou encore des anciens responsables du renseignement comme Michael Chertoff, Michael Hayden et Coper Black [6].

Les priorités stratégiques de Mitt Romney : « a new big stick policy »

Dans sa stratégie de retrait d’Afghanistan, M. Romney s’interdit de négocier avec les Talibans [7] et promet de retirer les troupes de façon prudente, en prenant en compte les recommandations opérationnelles des commandants militaires. Le cœur de sa critique à l’encontre de B. Obama réside dans l’instrumentalisation politicienne du retrait, dont il accuse son adversaire démocrate, et de l’abandon supposé de la population afghane au joug des Talibans. Toutefois, le récent accord signé entre B. Obama et H. Karzaï, sur l’ « après 2014 » en Afghanistan, est susceptible de prouver à l’opinion publique que B. Obama entend promouvoir la stabilité à moyen terme en Afghanistan et prive en même temps Mitt Romney de son argument central.

Par ailleurs, M. Romney s’est récemment attiré les foudres du Kremlin en désignant la Russie comme « l’ennemi numéro 1 » des Etats-Unis [8]. Il dénonce la stratégie de « flexibilité » de B. Obama qui nuit aux intérêts américains, en particulier sur le dossier de la défense anti-missile ou celui du désarmement nucléaire (Traité New Start 2010). Concernant l’Iran, Mitt Romney est favorable à une intensification des sanctions économiques (5ème round) et considère comme parfaitement crédible l’option militaire en territoire iranien. En cela, il est peu ou prou aligné sur la position du gouvernement israélien de Benjamin Netanyahu, qui affirme que laisser l’Iran enrichir son uranium correspond à signer l’arrêt de mort de l’Etat hébreu.

En désaccord total avec l’ouverture politique de B. Obama au monde arabe (exprimée dans le fameux discours du Caire 2009), il a promis de faire son premier déplacement en tant que Président des Etats-Unis dans la ville de Jérusalem, considérée comme capitale incontestable d’Israël. Peu attaché à la diplomatie multilatérale, il a parallèlement menacé de bloquer les fonds américains alloués aux Nations-Unies, si ces derniers venaient à reconnaître ipso facto l’Etat palestinien.

L’outil militaire est un élément central dans la vision des relations internationales de Mitt Romney. Le réarmement des Etats-Unis est, par conséquent, une priorité indiscutable [9]. Il s’oppose en cela frontalement avec la stratégie de coupures dans le budget américain opérées par l’Administration Obama.

Promue par l’Administration Obama, la réduction du budget de défense américain devrait s’élever à 487 milliards de dollars dans les 10 ans à venir. Pour Mitt Romney, ces coupes amputent les capacités militaires américaines et participent à une politique d’affaiblissement général des Etats-Unis. Le remède préconisé par Mitt Romney réside dans la constitution d’un budget irréductible de 4% du PIB alloué à la Défense et des investissements capacitaires importants dans la défense (notamment dans la Marine) afin de redresser la puissance militaire américaine.

Pour autant, la sauce ne prend pas. On comprend aisément pourquoi Mitt Romney n’insiste pas sur ces questions, à la vue des sondages récemment publiés par The Washington Post et ABC News. En matière d’affaires internationales, les citoyens américains font confiance à 53% à B. Obama contre 36% à M. Romney [10]. Le retrait des troupes d’Afghanistan devient une priorité fondamentale pour les citoyens américains et les velléités bellicistes des conseillers de Mitt Romney sont relativement mal perçues par l’électorat américain.

Conclusion

Après avoir tiré les leçons des primaires de 2008, Mitt Romney a fait montre de toute son habileté politique lors des primaires de 2012. Jugé trop libéral sur les questions sociales, il a intentionnellement durci son discours afin de récupérer les voix des électeurs les plus conservateurs.

En temps de paix, la même stratégie pourrait s’avérer payante sur les questions internationales. Dans la situation actuelle, c’est tout le contraire : après les traumatismes irakien et afghan, l’opinion publique n’est pas prête à l’engagement des forces américaines dans un autre conflit d’envergure. Alors, M. Romney, sous influence de ses conseillers néoconservateurs, ressort la rengaine chère aux Républicains de la critique acerbe de la « mollesse démocrate » comparant B. Obama à J. Carter.

Une nouvelle fois, M. Romney est dans l’obligation de se confronter au principe de réalité [11] : depuis 4 ans, B. Obama n’a pas lésiné sur l’utilisation de l’outil militaire comme le prouve, entre autres, sa décision du renfort afghan en 2009 (« the Surge ») ou l’approbation de l’opération des « Navy Seals » visant O. Ben Laden. Sans expérience de gestion de crises internationales, le prix Nobel de la Paix 2009 a passé avec brio son épreuve du feu et prouvé ses qualités de « chef de guerre », comparables à un Theodore Roosevelt et aux antipodes d’un Jimmy Carter.

En qui concerne les questions internationales, M. Romney est donc pris au piège. S’il adopte une position trop dure et trop belliciste - en somme néoconservatrice - vis-à-vis des « rogue states », il risque d’effrayer de nombreux électeurs qui ne veulent pas d’un nouvel engagement militaire. S’il n’arrive pas à se différencier suffisamment de la politique étrangère menée actuellement par B. Obama, les électeurs choisiront sans doute l’original à la copie.

Dès lors, on comprend mieux pourquoi Mitt Romney préfère concentrer la quasi intégralité du débat politique sur les questions intérieures. Joe Biden, Vice-Président des Etats-Unis, a bien compris le dilemme dans lequel se trouvait le candidat républicain en affirmant le 27 avril 2012 : « Si Mitt Romney a une vision de politique étrangère, c’est en regardant dans le rétroviseur ».

Copyright Mai 2012-Coulon/Diploweb.com

Plus

Voir sur le Diploweb.com l’article d’Amy Green, "Etats-Unis - Clash des générations. Les Baby Boomers vs. les Millennials : vers une véritable révolution dans la politique américaine ?" Voir

Voir sur le Diploweb.com l’article de Mehdi Lazar, "(re) Lire Huntington : ce que "Le choc des civilisations" nous apprend des Etats-Unis et de l’administration Bush jr", Voir

Voir le Diploweb.com l’entretien de Jean-François Fiorina avec Olivier Zajec, "Etats-Unis : quelles perspectives stratégiques ?" Voir

 

[1] En référence à la Boston Tea Party (1773), ils désignent un mouvement politique antiétatique qui dénonce les dépenses gouvernementales et les levées fiscales effectuées par l’Administration Obama depuis 2009.

[2] Il a effectué un séjour de 2 ans et demi en France (Nantes et Bordeaux) en tant que missionnaire mormon lors de sa jeunesse. Il garde l’image d’un pays archaïque et peu enclin au changement. « L’Amérique de Mitt Romney ». Soufian Alsabbagh. Editions Demopolis 2011 p 35.

[3] RINO : Republicans In Name Only.

[4] Livre Blanc de Mitt Romney « An American Century : A strategy to secure America’s enduring interests and ideals » (octobre 2011). mittRomney.com/sites/default/files/shared/AnAmericanCentury-WhitePaper_0.pdf

[5] edition.cnn.com/2012/04/30/politics/campaign-wrap/index.html (consulté le 01-05-2012)

[6] Liste exhaustive des conseillers disponible sur le site officiel de M.Romney : mittromney.com/blogs/mitts-view/2011/10/mitt-romney-announces-foreign-policy-and-national-security-advisory-team

[7] Cette intransigeance –digne de John Bolton (ancien ambassadeur américain aux Nations Unies)- lui a valu de se brouiller avec certains de ses conseillers, comme James Shinn, auteur de « Afghan peace talks : a primer » (Rand Corporation, 2011), qui considèrent qu’une solution politique viable au conflit afghan ne peut faire l’impasse sur la négociation avec les Talibans. nytimes.com/2012/05/13/sunday-review/is-there-a-romney-doctrine.html ?pagewanted=1#

[8] thehill.com/video/campaign/218201-Romney-calls-russia-our-no-1-geopolitical-foe (consulté le 01-05-2012)

D. Medvedev a réagi expressément en demandant à ce que « chacun utilise sa tête et consulte sa raison quand il s’exprime en public, ainsi qu’il vérifie la date : nous sommes maintenant en 2012 et pas au milieu des années 70 ».

[9] mittRomney.com/blogs/mitts-view/2011/10/fact-sheet-mitt-Romneys-strategy-ensure-american-century

[10] cbc.ca/news/world/story/2012/04/18/us-Romney-foreign-policy.html (consulté le 02-05-2012)

[11] Clip de Campagne du Parti Démocrate contre la politique étrangère de Mitt Romney « Mitt Romney Versus Reality » : youtube.com/watch ?v=VrfxymxuyxA

lundi, 21 mai 2012

Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

 
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Kosovo : un centre de formation pour les opposants syriens à Vucitrn

Photo: RIA Novosti
     

« Les opposants serbes suivent une formation au Kosovo », confirme le journaliste militaire Milovan Drecun dans une interview accordée à la Voix de la Russie. Rappelons que depuis plusieurs jours les médias parlent des liens existant entre l’opposition syrienne et les autorités kosovares. Il s’agit, entre-autres, de former les terroristes dans un centre situé au Kosovo. Milovan Drecun a mené sa propre enquête.

« Lors de mon enquête demi-secrète que j’ai menée aux alentours de la ville de Vucitrn, j’ai vu de mes propres yeux plusieurs étrangers avec une peau brune du type syrien. Ils avaient des longues barbes que portent d’habitude les islamistes radicaux. Ces gens-là se promenaient librement dans les rues. Lorsque j’ai interrogé les Albanais locaux, ils m’ont expliqué que ces gens passaient pratiquement tout leur temps à l’Académie de la police du Kosovo. Celle-ci n’est pas un simple établissement de formation des policiers. Les enseignants qui y travaillent, faisaient partie, il y a plusieurs années seulement, des commandos britanniques SAS (Special Air Service). Je suis certain que l’Académie héberge un centre de formation pour les opposants étrangers, notamment pour les islamistes radicaux. La formation prend deux ou trois semaines en petits groupes. On leur y apprend à manipuler les explosifs et les différents types d’armes. Des membres du mouvement de moudjahid Abou Bekir Sidiq qui coopère étroitement avec Al-Qaïda, ont été repérés dans le centre. On y a également vu des membres du mouvement islamiste radical de la Macédoine qui s’apprêtent à aller en Syrie pour aider les opposants au régime du président en place ».

Selon Milovan Drecun, les résultats de son enquête ne furent pas une surprise pour lui.

« Le centre de formation à Vucitrn est directement supervisé par certains services secrets occidentaux, avant tout, britanniques et américains. Ils ont transformé l’Académie de la police en centre de formation des opposants syriens, avant tout, des islamistes radicaux parmi lesquels on trouve des membres d’Al-Qaïda venus des pays différents, en premier lieu, des pays de la région. Après cette formation, ils seront envoyés en Syrie pour y organiser des actes de sabotage et des attentats. C’est-à-dire qu’a été mis en place un camp où l’on forme les gens qui vont perpétrer des actes de violence en Syrie contre le président syrien et que ce camp est dirigé par les services secrets britanniques et américains. Il ne faut pas oublier qu’Hashim Tahci et Ramush Haradinaj sont des fantoches manipulés par Washington et Londres. Ils suivent à la lettre les directives reçues des représentants américains au Kosovo. Si leurs maîtres le souhaitent, ils feront tout pour aider l’opposition syrienne ».

La revue de presse de Pierre Jovanovic

La revue de presse de Pierre Jovanovic

Ex: http://www.jovanovic.com/

JP MORGAN: 1) LE REMAKE DE LA LTCM
du 14 au 18 mai 2012 : Oyez oyez lectrices, lecteurs, une violente attaque sur le donjon de la Morgan va accélerer le processus de désintégration progressive des marchés financiers, grâce à la folie furieuse de Jamie Dimon qui a laissé ses traders prendre des positions totalement folles via des credit default swaps sur des... credit default swaps (autrement dit des CDS dit "synthétiques"). L'action a déjà perdu presque 10% soit 14 milliards de dollars en valeur boursière. Le Telegraph a même écrit: "JP Morgan's 2bn loss was an accident waiting to happen. Senior executives at JP Morgan were given repeated warnings about the controversial unit responsible for a shock 2bn trading loss at the bank, it can be disclosed.".La valse des permutations de paiements à déjà coûté à la banque la modeste somme de 2 milliards qui pourrait monter à 10 milliards pour une raison très simple, tous les autres traders savent maintenant que la JP Morgan est blessée.

Les requins de Wall Street vont donc s'acharner sur la bête blessée pour en tirer le plus grand profit. En effet, ces 2 milliards ont simplement changé de mains :-) Les autres banquiers, comme les politiques, ne lui feront plus de cadeaux. Ni de crédit. La Morgan a refait l'erreur de la LTCM: une fois que les autres savent ce que vous faites et connaissent vos positions, ils vont vous pousser dans les cordes et vous mettre KO par triangulation de tirs groupés de mortiers et autre artilleries lourdes financières. Et tout en vous jouant à la baisse. A Park Avenue, ils ont tous mis leurs casques lourds. La bataille pour liquider les positions actuelles de Bruno Iksil va être épique. Comme le note un fin observateur, "s'ils le font, ils sont foutus, s'ils ne le font pas, ils seront blâmés". Une situation vraiment impossible. Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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JP MORGAN: 2) LES DEGRADATIONS DES AGENCES
du 14 au 18 mai 2012 : Elles ont été immédiates. Reuters a titré: "JPMorgan's 2 billion loss hits shares, credit, image". Bong. Non seulement la Morgan a déjà perdu 2 milliards, mais en plus, le jour d'après, la banque a été dégradée dans son intégralité par les agences Standard and Poors et Fitch, cette dernière ayant estimé que la banque a eu ces pertes parce qu'elle n'avait pas eu assez de liquidités pour tenir. Cette dégradation implique que la Morgan SERA OBLIGEE DE POSTER DES CETTE SEMAINE AU MOINS 10 MILLIARDS DE DOLLARS DE GARANTIES POUR TOUS SES ENGAGEMENTS. Rien que la Morgan Stanley Bank, plus petite, si elle est encore dégradée de deux crans, sera obligée de poster elle aussi 10 milliards de dollars de garanties à ses contre-parties. CQFD. La question qui demeure: jusqu'à quelle somme la Morgan est "too big to fail"? Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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JP MORGAN: 3) L'AVENIR DE JAMIE DIMON
du 14 au 18 mai 2012 : Jamie Dimon peut remercier sa directrice du risque, Ina Drew (elle surveillait Bruno Iksil - salaires annuels: environ 15 millions de dollars par an, lire ici Bloomberg), Javier Martin-Artajo et Achilles Macris (ça ne s'invente pas, le talon d'achille, on y est!!!) qui ont laissé cette situation dégénérer... Mais tout le monde sait que leur situation a dégénéré depuis bien plus longtemps et que, comme Kerviel, ils ont toujours pensé que tout allait se remettre en place très vite et que leurs pertes allaient cesser. Las, les électeurs en Grèce ont fini par ruiner leurs plans et par ricochet leurs positions suicidaires... Et comme Dimon se bat depuis 2 ans contre la régulation (voir plus bas), eh bien là il vient de perdre le crédit que tous les politiques (Obama, sénateurs, etc.) lui accordaient un peu partout dans le monde. Ils vont se déchaîner et sans doute imposer cette fois la fameuse taxe Tobin sur les transactions financières. Dimon ne pourra plus se présenter comme le chevalier blanc de la haute finance... Il était le dernier banquier debout : - ) Il vient de poser un genou à terre.

Sachez aussi que toutes les autres méga-banques ont des positions semblables, et qu'on les verra exploser elles aussi, les unes après les autres, en fait à chaque élection dans un pays européen en colère... Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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JP MORGAN: 4) L'ETRANGE BALLET DES "EX" MORGAN
du 14 au 18 mai 2012 : Dans le livre Blythe Masters, j'avais donné la liste de tous ceux et celles qui avaient travaillé dans son équipe et qui avaient diffusé les CDS dans les autres banques. Cela ne vous surprendra donc pas de découvrir (via Bloomberg, NYT, WSJ, etc.,) que parmi les fonds qui ont pris des positions opposées à celle de Bruno Iksil, on trouve des ex de la JP Morgan!!!

Blue Mountain, hedge funds (à côté du siège de la JPM) de 7 milliards, a été lancé par un Andrew Feldstien et Jeremy Barnum, deux ex de l'équipe.


Bluecrest lancé par un ex Morgan, Michael Platt.


CQS Capital du fameux Michael Hintze, décoré par Benoît XVI, si, si, a joué contre la Morgan.


Lucidus Capital un fonds londonien peu connu.


Hutchin Hill avec David Gulkowitz, un quant new yorkais.

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L'ARNAQUE DE L'EXTREME GAUCHE: EN FRANCE COMME EN GRECE !
du 14 au 18 mai 2012 : Ozzo nous montre dans cet article d'Europegrece que "l'extrême-gauche grecque veut davantage d'immigration" exactement comme le Front de Gauche, pour qui l'avenir de la France passe par une immigration de masse. Même par temps de crise économique massive, quand le chômage est au plus haut? C'est grâce à eux que les Grecs votent pour l'Aube Dorée. Et rien ne vous dit qu'on ne verra pas émerger en France un parti similaire, à côté duquel Marine Le Pen apparaîtra comme une gentille sympathisante du Parti Socialiste...

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CA Y EST, C'EST L'EXODE VERS L'ANGLETERRE...
du 14 au 18 mai 2012 : Les riches quittent la Hollande de l'Ouest, ie, la France. C'est ce que nous apprend le Telegraph, et c'est du sérieux. Les classes moyennes, elles, restent en France, et vont se faire saigner par la prochaine hausse, inévitable, des impôts pour payer l'embauche de 60.000 fonctionnaires. "High earners say au revoir to France As summer draws near, thoughts of the well-heeled Parisian turn to Le Grand Départ". On vient simplement d'apprendre que cette décision (super-taxe) prise par Hollande est due à la concurrence que lui faisait Melenchon. Comme quoi, Hollande n'avait rien dans son programme. Heureusement que Melenchon est là pour lui souffler dans les oreilles. Les agents immobiliers anglais vont lui dresser une statue... Lire ici l'article de Emma Rowley, Anna White et Helia Ebrahimi. Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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MELENCHON, NOTRE NOUVEAU DICTATEUR
du 14 au 18 mai 2012 : Samedi, j'ai vu par hasard le discours de Melenchon en direct. Clairement, sa décision montre qu'il ne peut plus se passer des caméras. Il faut dire que c'est une drogue nécéssaire à tout politique qui se respecte. J'aime bien le personnage, mais comme beaucoup (y compris Laurent Ruquier!!!), je n'ai pas compris son obsession de ne parler que de Marine le Pen... Et ce qui m'a bien fait rire, c'est que maintenant Melenchon prend des postures (se mettre de profil à gauche et à droite avec l'index levé bien haut, poings et coudes levés, jeu d'épaules, poings dressés, la bouche, etc.) qui rappellent furieusement des personnages des années 30. J'ai regardé du coup les discours de Lénine, Mussolini et d'Hitler, et c'est assez clair, ses postures viennent de là : -) Allez Jean-Luc, on veut tous vous voir à Hénin Beaumont face à Marine. Vous êtes la nouvelle idole tv car visuellement, vous nous rappellez trop de personnages historiques (ainsi que Charlie Chaplin dans le Dictateur). Sans doute que vous allez, vous aussi, devenir historique :-)

Regardez bien sa conférence, allez directement à 15 minutes (ou 21 minutes), et observez bien sa gestuelle, c'est assez fabuleux. C'est sûr, Melenchon va vraiment faire führer. Vive les législatives, on veut la suite. Quelqu'un peut-il le doubler en allemand ou en italien?

 

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LE QUATAR A ACHETE UNE ILE GRECQUE + CARLOS SLIM
du 14 au 18 mai 2012 : Ben oui, ca y est, l'Etat grec a commencé la grande braderie. Claire Valdini a révélé dans Arabian Business que "Qatar royal buys Greek island ... A member of Qatar's royal family has purchased a greek island for 5 million euros, according to a local report. The 1,236-acre island, named Oxia, was initially advertised by owners the Greek-Australian Stamoulis family for 6.9m Greek daily Ekathimerini reported, citing unnamed sources". La journaliste ajoute, ce que vous savez, que la troïka pousse la Grèce à tout privatiser...

Notez que les Quataris achètent dès que cela va mal... et justement ils ont aussi acheté la France, ce qui techniquement veut dire que notre pays est dans la même situation que la Grèce... Même le milliardaire Carlos Slim a commencé à racheter l'Europe, regardez: "Carlos Slim offered 3.4 billion dollars to increase his stake in ailing Dutch Telecom Royal KPN, sparking speculation that the world's richest man could start to snap up beaten-down European assets" (j'ai perdu le lien). Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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L'INTERVIEW DE NIKOS MICHALIOKAS DANS ATHENES NEWS
du 14 au 18 mai 2012 : On en parle beaucoup, mais personne n'a daigné écouter ce que Michaloliakos, le chef de l'Aube dorée avait à dire... Coup de chance, je suis tombé dessus dans Athenes News, et clairement la lecture en vaut la peine. Constat, j'ai le sentiment d'avoir déjà entendu tout cela, il y a longtemps, en particulier chez... Georges Marchais! Lire ici A-News. Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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LES BANQUES KIDNAPPENT VOS DEPOTS...
du 14 au 18 mai 2012 : Du factuel d'un lecteur: "j'ai reçu au mois de Mai une grosse paie, que je pouvais voir crédité sur mon compte dès le 27 Avril; mais impossible de retirer de l'argent. Il est là, mais je ne peux faire aucune transaction avec. Pont du 1er mai oblige, j'attends le 2 mai pour retirer 400 euros dans mon agence de la XX à Carpentras (84) afin de pouvoir m'acheter une télé neuve.
Au distributeur, je suis limité à 300 euros par semaine. A cause de ça que je suis allé au guichet. Quelle ne fut pas ma surprise et ma colère quand la bonne femme au guichet m'a dit "désolé on ne donne plus d'argent liquide au guichet veuillez utiliser le distributeur". Ces banques sont de vraies pourritures, et comme vous le dites souvent cela va mal finir, si cela continue. De simple employés, ils seront "victimes" de la politique de leur banque, je sens que des agences vont bientôt brûler si rien ne change
". Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012

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LE PORTUGAL SUPPRIME LES JOURS FERIES !
du 14 au 18 mai 2012 : Eh oui, c'est la crise... "Le parlement portugais a adopté une loi pour supprimer quatre jours fériés dans l'année pour améliorer la compétitivité du pays". Ha ha ha... J'en ai eu mal au bide... Et plus la crise va s'aggraver, les Portugais supprimeront ensuite des jours dans l'année... On se retrouvera ainsi avec une année de 360 jours. Et ensuite ils supprimeront le dimanche... Je ne savais pas que les Portugais étaient drôles... ha ha ha au secours, lectrices, lecteurs, dites-moi que je ne suis pas en train de devenir fou !!! Lire ici le Figaro. Merci à tous les lecteurs portugais : -) Revue de Presse par Pierre Jovanovic © www.jovanovic.com 2008-2012
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dimanche, 20 mai 2012

Hollande et l’Otan, la continuité dans le changement

 

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Hollande et l’Otan, la continuité dans le changement

Léon Camus

Ex: http://mbm.hautetfort.com/

Le nouveau président français participera au sommet du G8 à Camp David les 18 et 19 mai puis à celui de l’Otan à Chicago, les 20 et 21. Un programme chargé mais qui devrait confirmer ce que chacun subodore : Hollande incarnera – avec brio on l’espère – « le Changement c’est maintenant », mais dans la continuité. L’annonce claironnée d’un retrait définitif d’Afghanistan devrait être en conséquence l’illustration magistrale de cette maxime… Car, quoiqu’il en dise, M. Hollande ne retirera pas le contingent français d’Afghanistan d’ici la fin de l’année, pour la bonne et simple raison qu’il ne le pourra pas. D’abord parce que cela est matériellement impossible, parce qu’a priori la préparation logistique d’une telle évacuation ne s’improvise pas 1 . Il faut affréter les avions gros porteurs que la France ne possède pas et pour ce faire « budgéter » l’évacuation. Qui plus est les Français ne seront pas autorisés à n’en faire qu’à leur tête : ils ne sont pas seuls, notamment ce ne sont pas eux qui décident en fonction de leurs humeurs ou de leurs caprices… dans le domaine de la guerre la réalité n’est pas escamotable derrière les pétitions de principe idéologiques, celles que l’échec sanctionne à tout coup !

Les forces hexagonales – plus ou moins 3500 hommes – occupent en effet une place déterminée dans un dispositif, lequel serait forcément remis en question dans sa totalité si un élément venait à en être retiré sans une soigneuse et longue planification préalable. De ce seul point de vue la France ne peut pas partir sauf à mettre en difficulté l’ensemble du dispositif de la Force internationale d’assistance et de sécurité - FIAS – conduite par l’Otan, sous commandement américain et sous couvert d’un mandat des Nations Unies. Une question cruciale d’ailleurs se pose, celle du nécessaire transfert des « responsabilités de sécurité » aux Afghans sans laquelle toute cette misérable guerre eut été totalement inutile. Or, dans la région de Surobi, la Kapisa, zone opérationnelle affectée à la France, représente un terrain particulièrement difficile à tenir, en raison notamment de sa grande complexité ethnique et tribale 2. Logiquement, ce transfert aurait dû avoir lieu dès l’été 2011, mais les Américains s’y sont catégoriquement opposés… et sans ménagement. En principe la décision en revient au gouvernement fantoche afghan, mais en principe seulement. Il a suffi que l’armée américaine rajoute une condition sine qua non - la présence d’un axe routier national dans le secteur, ici absent - pour décider que le retrait français n’était ni opportun ni faisable. Rompez !

Un retrait ni stratégiquement opportun ni techniquement faisable

Dans une telle occurrence, la France manquerait doublement à ses engagements et aux devoirs qu’elle s’est à elle-même imposée en tant qu’État membre de l’Organisation des Nations unies, et en tant que signataire du Pacte de l’Alliance Atlantique, traité fondateur de l’Organisation du même nom. Ce faisant Paris sortirait de la légalité et de la Communauté internationale 3. Est-ce seulement envisageable ?

Reste que nos politiques ne sont pas à ça près. Toutes les foucades et les coups de canif dans les traités sont toujours possibles. Au demeurant c’est avec beaucoup d’inconséquence que M. Hollande a pratiqué ici, à l’instar de son prédécesseur, la technique de l’effet d’annonce, se réservant d’éventuellement corriger le tir une fois installé dans les ors de la République. Cela augure pourtant mal de la suite des événements en ce que cela ouvre le bal quinquennal sur une duperie. Doit-on dire aussi que cela n’a pas été lancé en l’air, au cours de la campagne des présidentielles, par simple légèreté ?

M. Hollande est entouré de conseillers qui savent exactement de quoi il retourne. Le contraire n’est d’ailleurs pas imaginable et serait au final particulièrement inquiétant. Il est surprenant d’ailleurs qu’au cours de la campagne le candidat sortant et futur perdant n’ait pas relevé avec toute la vigueur nécessaire l’irréalisme du projet et de l’intention, lui qui en connaissait les ressorts cachés aux yeux de l’opinion ! Il est vrai que les questions extérieures, les crises en cours au Proche-Orient et en Asie centrale, les profondes mutations qui affectent de précaires équilibres internationaux, n’ont guère été évoquées tout au long d’une campagne électorale d’une consternante platitude… à l’image des deux compères qui se sont affrontés sans jamais franchir les limites de la bienséance consensuelle et surtout sans jamais aborder les questions de fond, celles qui engagent l’avenir d’une Nation ! De ce point de vue personne n’a noté le peu de distance séparant l’un de l’autre candidat, complices dans la sauvegarde d’un système fondé sur le mensonge par omission. Le silence n’est-il pas la meilleur façon de masquer les choses qui ne ce cas « n’existent pas » ?

Ni M. Hollande, ni M. Obama ne perdront la face

Inutile de dire que l’élection de M. Hollande a suscité de vives inquiétudes à Bruxelles siège de l’Otan. Vu de loin les socialistes français apparaissent soit comme des sauveurs (pour les Grecs par exemple ce qui est du plus haut comique), soit comme des croquemitaines. Il est vrai que les « riches » taxés à 75% au-delà d’un revenu de 1 million d’€ l’an, revêt une dimension surréaliste aux yeux du premier libéral (progressiste) américain venu pour lequel un imposition à 30% constitue une limite indépassable voire intransgressible.

Le Secrétaire américain adjoint à la Défense, à l’Europe et l’Otan, James Townsend a ainsi déclaré à propos des velléités françaises de départ précipité d’Afghanistan « J’ai parlé avec leur ministre de la défense Le Drian [il s’agit du shadow minister, la personnalité pressentie pour occuper le poste]. Ils se trouvent dans une situation avec laquelle beaucoup d’hommes politiques sont confrontés suite à une élection. Ils vont devoir gouverner. Ils vont se retrouver devant un sommet pour lequel beaucoup de travail a été accompli par les Alliés pour essayer de s’assurer que nous sommes tous unis sur la marche à suivre… Au sommet, nous ferons une déclaration relative à l’Afghanistan… Or le nouveau gouvernement français, au moment où il arrive au pouvoir, va devoir entrer dans un fleuve qui coule déjà… et l’Alliance veut s’assurer qu’une présence sera maintenue en continu après 2014 ». Le programme est clair, le plan est tracé et Hollande n’aura guère le loisir de discuter, il lui faudra, d’une façon ou d’une autre, obtempérer.

Gageons que dans ces conditions M. Hollande saura à Chicago se montrer accommodant et que le calendrier du retrait français sera aménagé de façon à concilier les divers intérêts et impératifs d’ordre stratégique, organisationnel, technique et politique qui entrent en ligne de compte… Dans cette perspective il est à parier qu’une fois de plus le départ des soldats français sera strictement calé sur le départ des GI’s américains dont l’annonce sera un puissant argument de campagne en vue d’une éventuelle réélection de l’actuel titulaire de la Maison-Blanche.

Un argument massue, en premier lieu parce que les dépenses induites par l’occupation de l’Afghanistan deviennent insupportables : en juillet dernier, soit en dix ans, il apparaissait que les États-Unis avaient gaspillé approximativement 320 milliards d’€. Et puis aujourd’hui, il s’agit de clore le plus en douceur possible ce nouveau chapitre désastreux de l’histoire militaire américaine… Au plan militaire disons-nous, parce que les bénéfices géopolitiques éventuels des dévastations afghanes ne se comptabilisent pas sur le court terme ! Finalement, parce qu’il est temps de clore ce théâtre d’opérations afin de pouvoir, le cas échéant, ouvrir d’autres fronts de guerre. L’Iran par exemple contre lequel l’offensive a été reportée d’une année sous la pression des états-majors tant israéliens qu’américains . 4

Quant à la France prise dans l’actuelle tourmente de la dette souveraine, elle se trouve confrontée aux mêmes difficultés financières que les États-Unis… Il y a un an, 27 000 militaires français étaient déployés à l’étranger, or le budget 2011 limitait à 640 millions d’€ les dépenses liées aux opérations extérieures. Budget qui en réalité aura certainement atteint le milliard d’€ en fin d’année. De cela évidemment, les finalistes de la course à la présidence se sont bien gardés de parler. On comprend mieux aussi pourquoi M. Hollande semble pressé de clore le peu reluisant épisode afghan qui aura causé la morts de 82 soldats en pure perte si l’on considère la récente offensive Taleb sur Kaboul… non en raison d’un prurit moral aigu, tout bonnement parce que la France n’en a plus les moyens.

L’agitation tient lieu d’action

Le 12 juillet 2011, emboîtant le pas au président Obama 5, M. Sarkozy annonçait à l’occasion d’une visite surprise à Kaboul le retrait accéléré des 4000 militaires français d’Afghanistan. Un quart devait être rapatriés avant la fin de 2012, le retrait définitif étant prévu en 2014. Presque un an plus tard ce sont toujours quelque 3500 hommes qui sont encore présents sur le sol afghan. M. Hollande fera-t-il mieux ? Rien n’est moins certain ! Au mieux il tiendra l’échéancier de M. Sarkozy – donc rien de nouveau – soit le rapatriement de 1300 hommes d’ici la fin de l’été 2012… Une procédure renouvelée d’alignement sur le désengagement Yankee que les Socialistes auraient eu du mal à désavouer puisque le PS s’était prononcé, en novembre 2010, lui aussi, pour un « retrait coordonné avec le désengagement américain ». Un plan américain d’évacuation (dicté a priori essentiellement par des considérations de fiasco militaire quasi intégral, un coût monstrueusement exorbitant et un refus grandissant de l’opinion publique américaine qui s’est moulé à bon escient sur des considérations de politique intérieure liée à l’élection présidentielle américaine de novembre 2012, tout autant que sur le calendrier politique français, ce qui convenait autant au candidat malheureux Sarkozy qu’au vainqueur Hollande à présent héritier de dispositions dont il n’hésitera pas à se prévaloir, n’en doutons pas.

Quant au retrait américain proprement dit il relève du grand art tout autant que du tour de passe-passe : M. Obama claironnait en juillet 2011 l’annonce du départ d’Afghanistan d’un premier contingent de 5000 GI’s sur cent mille (les derniers ne devant revenir au pays pas avant 2015)… Il fallait cependant voir dans cette amorce spectaculaire de reflux, à la fois un aveu de plate déconfiture et une habile manipulation : si effectivement à l’été 2012, 33 000 personnels sont censées avoir quitté les vallées de l’Hindou Koush, cela n’interviendra qu’après que le même Obama eut augmenté en décembre 2009 les effectifs américains basés en Afghanistan de quelque 30 000 hommes. Retrait claironné et conçu bien évidemment pour son rendement électoral basé sur un principe analogue à celui des soldes : les prix augmentent au préalable afin de rendre plus alléchant le rabais ensuite consenti 6.

Intérêts convergents Obama/Hollande

Ce pourquoi le Sommet de Chicago pourrait voir se préciser un nouveau calendrier de retrait coordonné entre les divers membres de l’Otan empêtrées dans une confrontation aussi asymétrique que sanglante, rebaptisée pour les besoins de la cause « assistance et sécurité » ! Une telle annonce permettrait à n’en pas douter au président Démocrate américain de redorer un blason que l’exécution extra judiciaire d’un pseudo Ben Laden n’est pas parvenue à faire mieux briller. Mais jusqu’où pourra-t-il également aller au-delà de l’effet d’annonce ?

Notons que par une certaine ironie de l’histoire, les prétentions du président français à s’affranchir de toutes règles de bonne conduite internationale (mandat des Nations Unies oblige : lorsque l’on accepte une mission de paix et de stabilisation l’on est présumé aller jusqu’au bout, non ?) et du respect des traités, pourrait servir à M. Obama de prétexte à hâter le mouvement tant le « fardeau de l’homme blanc » 7 se fait désormais politiquement écrasant (« mais qu’allaient-ils faire dans cette galère ? »). Cela avons-nous dit, pour redéployer éventuellement ses troupes sur d’autres fronts présentant un caractère d’urgence accrue : Iran, Syrie… Algérie peut-être si tout y bascule à nouveau comme en 1991 après des élections dont les résultats laissent assez perplexes.

Et puis plus une centaine de milliers de « contractors », personnels de sécurité et mercenaires de tous poils, occupent le terrain pour un certain temps encore. Au moins aussi longtemps que la manne financière issue de l’exportation massive d’héroïne perdurera. Et le flux n’est apparemment pas prêt de se tarir dans un pays devenu le premier État narcotrafiquant de la planète par l’ampleur de production (de 7 à 8000 Tonnes/an… à comparer au 180 T produites la dernière année d’existence – 2001 - de l’Émirat islamique afghan !).

Guerre de l’opium

Grâce à l’action civilisatrice de l’Otan sous la houlette de la démocratie universelle façon Wall Street, l’Afghanistan fournit à présent 90% de la production mondiale de produits opiacés qui, selon la version politiquement correcte, servirait exclusivement à financer la résistance afghane… en réalité et « accessoirement » les chefs de guerre et tribaux liés de l’actuel clan au pouvoir, celui des Karzaï ! Ce pourquoi, le 5 avril 2012, Alexandre Grouchko, vice-ministre russe des Affaires étrangères dénonçait sans ambages le rôle de l’Otan dans le trafic d’héroïne en provenance d’Afghanistan… trafic causant en Russie plus de 30 000 décès l’an, tout en favorisant la pandémie sidaïque et en permettant au crime organisé de prospérer comme jamais.

Ce qu’établit formellement un rapport rendu public le 21oct. 2009, intitulé « Toxicomanie, criminalité et insurrection » de l’Office des Nations Unies contre la drogue et le crime (UNODC)… « L’opium afghan : une menace transnationale…[le rapport] décrit quelles conséquences dévastatrices les 900 tonnes d’opium et 375 tonnes d’héroïne sorties clandestinement d’Afghanistan chaque année ont en termes de santé et de sécurité dans les pays situés le long de la route des Balkans et de la route eurasienne en direction de l’Europe, de la Fédération de Russie, de l’Inde et de la Chine. Il y explique comment la drogue la plus meurtrière au monde a donné naissance à un marché d’une valeur de 65 milliards de dollars où s’approvisionnent 15 millions de toxicomanes, marché qui cause jusqu’à 100 000 décès par an, qui favorise la propagation du VIH à une vitesse encore jamais vue et qui, surtout, finance des groupes criminels, des insurgés et des terroristes. Environ 40 % de l’héroïne afghane (soit 150 tonnes) passe clandestinement au Pakistan, à peu près 30 % (105 tonnes) en République islamique d’Iran et 25 % (100 tonnes) en Asie centrale ».

Au sommet de l’Otan de Bucarest en 2008, le président Medvedev avait offert de remettre à disposition les lignes ferroviaires russes pour assurer le transport depuis ou vers l’Europe du matériel non militaire en provenance ou en direction d’Afghanistan. Le 5 avril 2012, Alexandre Grouchko, lequel devrait devenir dans les prochains jours le représentant permanent de la Russie auprès de l’Otan, déclarait donc dans un entretien à l’Agence de presse Ria Novosti que ce fret sera désormais régi par un nouveau Protocole en vertu duquel les convois de l’Otan pourront faire l’objet de fouilles approfondies par les services de sécurité russes affectés à la lutte contre les narcotrafics. Des dispositions qui ne devraient pas calmer le jeu Est-Ouest à l’heure où les tensions se révèlent particulièrement vives entre Washington et Moscou à propos de l’installation, en Europe orientale et en Mer Baltique, d’un système antimissile prétendument destiné à contrer une attaque balistique iranienne… mais perçu, à juste titre, comme un quasi casus belli, par le président Poutine et ses conseillers militaires.

La Russie a déjà par le passé et à plusieurs reprises dénoncé le rôle de l’Otan, notamment en présentant le dossier au Conseil de Sécurité, dans le trafic d’héroïne, sachant que 193 000 hectares dévolus à la culture du pavot sont situés à 92 % dans les zones contrôlées par les forces du Pacte atlantique ! On comprendra à ce titre que Vladimir Poutine regarde son pays comme cible d’une authentique « agression par l’héroïne », autrement dit une version actualisé des « Guerres de l’opium » que les Britanniques livrèrent à la chine des Qing au milieu du XIXe siècle, et entend agir et réagir en conséquence…

Afghanistan nouveau Vietnam ?

On jugera à l’aune des informations qui viennent d’être données ci-dessus, la déclaration, le 24 janvier, du général allemand Carsten Jocobson, porte-parole de l’Otan pour l’Afghanistan, soulignant le « succès remarquable » obtenu par les troupes d’occupation au cours de l’année 2011.

Pourtant, à titre indicatif, en tant que « marqueur » de ce tonitruant « succès », les chiffres afférents aux décès de soldats (fournis par l’Onu elle-même) font état d’une hausse de 39% des incidents armés en 2011, alors que les insurgés se montrent de plus en plus capables de monter des coups d’éclat, comme l’attaque à Kaboul de l’ambassade américaine. À telle enseigne que l’Otan a semble-t-il retiré ses officiers des ministères afghans. La haine des uniformes étrangers paraît à présent rassembler et unir le peuple afghan. Quant à la nouvelle armée afghane, elle se sent trahie par la précipitation - devenue sensible - à vouloir partir de leurs bons alliés, faisant que les désertions maintenant se multiplient…

Succès si remarquable que l’on se bouscule désormais au portillon pour évacuer un pays intenable où les forces afghanes formées par les occidentaux, retournent de plus en plus fréquemment leurs armes contre leurs supposés sauveurs fourriers de la démocratie et de la libération de la Femme ! Ainsi, depuis le début 2012, 17 soldats de l’Otan ont en effet été exécutés par des policiers ou des soldats afghans 8. Assassinats qui sont devenus une menace aussi importante que les attentats suicides ou les bombes improvisées. En près de trois mois ces actes représentent 20% des pertes. Le 20 janvier dernier ce sont quatre soldats français qui trouvent la mort sous les coups d’un déserteur. Le 26 mars un officier afghan abat deux soldats à l’entrée d’une base. Le 6 mai un soldat de l’Otan était tué par un individu portant l’uniforme afghan, une semaine auparavant, dans la province de Kandahar, un agent des forces spéciales afghanes retournait son arme contre ses alliés, tuant un soldat américain, deux militaires afghans et un interprète… En dépit de ses 130000 soldats, l’Isaf associée aux troupes de l’Opération « Liberté immuable » spécifiquement américaine, rencontre à l’évidence un franc et « remarquable succès »… auquel l’histoire devra associer M. Sarkozy et son « suppléant » M. Hollande, lesquels auront bien mérité de l’internationale des marchands de mort, narcomafias, industries de l’armement, mercenariat en tout genre !

Dans un tel contexte, les Américains pourront-ils tenir encore longtemps sans dévoiler totalement au monde l’ampleur de leur échec ? Auront-ils le loisir d’évacuer leurs troupes en bon ordre. Les morts se multiplient au sein des forces de l’Otan et de leurs supplétifs afghans à telle enseigne que les statistiques sérieuses et exhaustives sont introuvables. Aucune publicité n’est faite relatives aux pertes coalisées et pour cause. Nous sommes loin des décomptes macabres et bidouillés qu’égrènent mécaniquement les communiqués de presse ayant trait à la Syrie : l’on sait apparemment mieux ce qui se passe chez les autres que chez soi !

Notes

(1) Ce sont 1500 conteneurs et 1200 véhicules dont quelque 500 blindés lourds ainsi que 14 hélicoptères qui doivent être rapatriés en France. Les forces françaises doivent en outre compter avec un dispositif logistique engorgé par le retour au pays de 23000 soldats américains d’ici fin septembre.

(2) De ce point un départ français rapide de Kapisa est jugé comme extrêmement problématique et risqué en raison d’un fort aléatoire transfert d’autorité à des forces afghanes éminemment fragiles dans une province caractérisée par son instabilité. En tout état de cause, la mise en œuvre de la « transition » en Kapisa, devrait prendre au minimum 18 mois pendant lesquels la coalition devra épauler les forces afghanes. La Kapisa, à 2 heures de la capitale, constitue « l’axe naturel de contournement de Kaboul sur lequel se rencontre une forte présence de trafiquants et de talibans »… mosaïque ethnique, c’est en vérité « un coupe-gorge… une zone quasi contrôlable ». En avril 2012, le général Emam Nazar, commandant de la 3e brigade de l’Armée afghane, évaluait à 800 le nombre d’insurgés présents en Kapisa, parmi lesquels de nombreux moudjahidin étrangers, « pakistanais et arabes ».

(3) Le Monde 10 mai. Philip Gordon responsable de l’Europe au département d’État est venu recadrer à Paris M. Hollande et son équipe diplomatique, avec pour unique préoccupation l’Afghanistan et le sommet de l’Otan à Chicago, rappelant de manière brutale devant la Commission des affaires étrangères du Sénat, le principe adopté au Sommet de Lisbonne « in together, out together »… une rupture unilatérale avec les engagements de l’Alliance est donc totalement hors de question. « Notre principe de base a été ensemble dedans, ensemble dehors. A Lisbonne, l’Alliance entière et l’ISAF entière ont décidé conjointement que les troupes devraient rester et accomplir leur mission jusqu’à la fin de 2014 ».

(4) Dans les colonnes du quotidien progressiste israélien Haaretz, le 29 avril 2012, l’ancien directeur du Shin Bet, le contre-espionnage hébreu, Yuval Diskin montait au créneau contre le bellicisme affiché du Premier ministre Netanyahu et de son ministre de la Guerre, Ehud Barak, déclarant n’avoir aucune « confiance dans les dirigeants actuels » incapables à ses yeux « de gérer un événement aussi majeur qu’une guerre régionale ou un conflit contre l’Iran…Je ne crois ni au Premier ministre, ni au ministre de la Défense. Je n’ai surtout pas confiance dans une direction politique susceptible de prendre des décisions sur des présupposés messianique ». Propos appuyés par Meir Dagan, également directeur retraité, mais du Mossad, ce dernier faisait également écho au chef d’état-major, Benny Gantz, celui-ci étant allé jusqu’à dire que l’Iran ne cherchait pas à se doter de l’arme atomique [AFP 25 avril 2012]… « Si le guide suprême iranien l’ayatollah Ali Khamenei le veut, son pays ira de l’avant dans l’acquisition de la bombe atomique, mais la décision doit être prise en premier ». Quant au “messianisme “ de certains dirigeants israéliens dénoncé par une hiérarchie militaire (laquelle semble dotée d’un sens des réalité très supérieur à celui des politiques), il a de quoi laisser songeur : le 27 janvier 2010, lors du 65e anniversaire de l’arrivée fortuites des troupes soviétiques au camp d’Auschwitz, M. Netanyahou déclarant accomplie la prophétie contenue au chapitre 37 du livre d’Ézéchiel, laissait entendre que les annonces des chapitres 38 et 39 restaient à accomplir… à savoir l’assomption du Peuple élu à l’issue d’une guerre sans laquelle l’arrivée si attendue du « Messie » ne pourrait intervenir. http://www.mfa.gov.il/MFA/Governmen....

(5) 11 Juin 2011. Deux heures après les déclarations du président Obama sur le retrait des troupes d’Afghanistan, l’Élysée annonçait que le France « engagera un retrait progressif de renforts envoyés en Afghanistan, de manière proportionnelle et dans un calendrier comparable au retrait des renforts américains ». On remarquera que le document accessible sur le site de la présidence française n’est pas datée et reste introuvable dans la nomenclature de communiqués. http://www.elysee.fr/president/les-.... M. Sarkozy ayant quadruplé les effectifs français pour atteindre 4000 hommes, la mort de 4 soldats français le 20 janvier 2012, avait une fois de plus relancé la question d’un retrait anticipé… au mieux fin 2013, au lieu de 2014 comme prévu par l’Otan.

(6) On relira utilement l’article de L. Camus « Afghanistan : la débâcle américaine » publié par Médiapart le 13 juillet 2011 ://blogs.mediapart.fr/blog/kafur-altundag/130711/afghanistan-la-debacle-americaine

(7) Poème de l’écrivain britanno-franc-maçon Rudyard Kipling publié la première fois en février 1899 avec pour sous-titre « Les États-Unis et les îles Philippines ». Une exaltation sans équivoque de l’empire en marche vers la conquête mondiale sous couvert – déjà – de « libération » des peuples.

(8) 22 victimes en 2011. Un rapport officiel du Pentagone (mai 2011 - publié en juin 2011 par le Wall Street Journal), présente ces « incidents » comme des « actes isolés », commis par des taliban infiltrés, des déséquilibrés ou des islamistes radicaux. Entre mai 2007 et mai 2011, sur l’ensemble du territoire afghan, ce sont au moins 58 personnels des armées occidentales qui ont trouvé la mort dans 26 attaques de soldats ou de policiers afghans soit 6 % de la totalité des pertes de coalition pendant cette même période. Le rapport précise cependant que ces attaques sont le symptôme le plus visible d’un mal plus profond lié à la « crise de confiance » et à « l’incompatibilité culturelle » existant entre les forces de sécurité afghanes et leurs homologues américaines.

Zuerst Magazin: Interview mit Alexandr Dugin

Zuerst Magazin: Interview mit Alexandr Dugin

ex: http://www.zuerst.de/

Aleksandr-Dughin-Alexandr-Dugin-Badescu-Roncea-ro-Ziaristi-Online-ro.jpgHerr Dugin, Rußland wird seit Monaten mit einem Trommelfeuer westlicher Kritik überzogen – vor allem nach der Wiederwahl Wladimir Putins zum Präsidenten der Russischen Föderation. Politiker und Medien behaupten, die Wahlen seien gefälscht gewesen, Putin sei kein Demokrat und verletze die Menschenrechte…

Dugin: Wladimir Putin gehört wohl zu den wirklichen Größen in der internationalen Politik. Seine Politik ist zudem sehr speziell, das mögen viele Politiker und Journalisten im Westen vielleicht nicht verstehen. Einerseits handelt es sich bei Putin um einen liberalen, durchaus pro-westlichen Politiker, andererseits ist er ein starker Verfechter der russischen Souveränität und Unabhängigkeit. So tritt er gegenüber den USA und ihrer geopolitischen Interessen stark auf. Er ist also gleichzeitig liberal-demokratisch und souveränistisch. Putin ist zudem ein absoluter politischer Realist und kein Phantast. Putin wäre eigentlich der perfekte Partner für jedes westliche Land, welches sich ebenfalls der Souveränität einen so hohen Stellenwert einräumt. Aber der Westen hat längst dem politischen Realismus eine Absage erteilt.

Wie meinen Sie das?

Dugin: Sehen Sie, der Westen glaubt heute doch, daß alle liberalen Demokratien unter Aufgabe ihrer Souveränität zu einer Art Supernation unter US-Führung verschmelzen sollen. Das ist doch die Idee der Globalisierung. Doch das ist mit Wladimir Putin nicht zu machen, er wehrt sich dagegen und verteidigt die russische Souveränität. Zudem erkennt er nicht den Hegemonialanspruch der USA an. Das ist der wahre Grund, weshalb er aus dem Westen so scharf attackiert und dämonisiert wird. Und das ist auch der Grund, weshalb der Westen so massiv die Opposition in Rußland unterstützt – es geht um Einfluß und westliche Hegemonie.

Macht Putin also Ihrer Ansicht nach alles richtig?

Dugin: Natürlich nicht. Fehler wurden beispielsweise bei den vergangenen Parlamentswahlen gemacht. Diese waren nicht so transparent, wie sie hätten sein sollen und müssen.

Die westliche Kritik richtete sich aber vor allem auf die Präsidentenwahlen…

Dugin: Da war ja genau das Gegenteil der Fall: Diese Wahlen waren sehr transparent. Die große Mehrheit der Wähler unterstützt nun einmal Putin, auch wenn es der Westen nicht verstehen kann oder will. Nur eine Minderheit, die pro-amerikanisch, ultra-liberal und anti-souveränistisch eingestellt ist, wurde vom Ausland unterstützt, damit sie Putin angreift. Darum geht es. Sehen Sie, Putin kann in der Innenpolitik gut oder schlecht sein, das spielt für den Westen keine Rolle. Sein Eintreten für die Souveränität – und nicht nur für die von Rußland – sowie für eine multipolare Welt macht ihn zum Angriffsziel des Westens.

Auch die Ukraine ist schweren medialen Angriffen aus dem Westen ausgesetzt. Vor allem die Inhaftierung von Julia Timoschekow wird kritisiert. Geht es dort um die gleichen Dinge wie in Rußland?

Dugin: Die Situation in der Ukraine ist eine völlig andere, obgleich die Kritik aus dem Westen ebenfalls auf die Souveränität des Landes abzielt.

Der ukrainische Präsident Wiktor Janukowytsch gilt in den etablierten westlichen Medien als „pro-russisch“…

Dugin: Das ist aber falsch. Janukowytsch versucht das politische Gleichgewicht zwischen Rußland und der Europäischen Union zu halten. Natürlich ist er nicht so pro-westlich, wie es Timoschenkow war. Aber was den Westen stört, ist daß Janukowytsch sich wieder an Rußland angenähert hat. Das widerspricht den transatlantischen Interessen. Julia Timoschenkow hingegen ist heute ein Symbol für die sogenannte „Orangene Revolution“ – die vom Westen materiell und ideologisch unterstützt wurde - in der Ukraine. Im Westen gilt sie deswegen als Heldin.

Vor allem die Haftbedingungen von Julia Timoschenkow stehen in der Kritik. Es ist die Rede davon, daß diese einen schweren Verstoß gegen die Menschenrechte darstellen…

Dugin: Der Begriff der Menschenrechte wird vom Westen immer wieder gerne dafür genutzt, um auf mißliebige Regierungen Einfluß auszuüben. Spricht man über Hegemonie und Interessen, hat man für seine Politik weniger Unterstützung als wenn man über die Menschenrechte spricht. Das ist der Punkt.

Sie erwähnten die „Orangene Revolution“ in der Ukraine im Jahr 2004. Waren die Proteste und Demonstrationen gegen Putin in Moskau vor einigen Wochen ebenfalls ein Versuch einer solchen „Farbrevolution“?

Dugin: Absolut.

Warum erst jetzt und nicht schon früher?

Dugin: Das Timing ist sehr interessant. Und es gibt dafür eine sehr einfache Erklärung. Präsident Dmitri Medwedew wurde vom Westen als eine Art zweiter Gorbatschow betrachtet. Die Hoffnung des Westens war, daß Medwedew in einer zweiten Amtszeit als Präsident entscheidende ultra-liberale Reformen umsetzen würde und sich der EU und den USA annähern. Als aber Medwedew erklärte, er werde das Präsidentenamt für Putin freimachen und stattdessen wieder Regierungschef werden, war das der Start für die „Revolution“ in Rußland.

Die Proteste und Demonstrationen richteten sich doch angeblich gegen die mutmaßlichen Wahlfälschungen und gegen die fehlende Transparenz bei den Präsidentenwahlen…

Dugin: Nein, das ist Unsinn. Es ging einzig und allein darum, eine Rückkehr Wladimir Putin ins Präsidentenamt zu verhindern. Und wieder mischten dabei viele westlich beeinflußte Gruppen und Nichtregierungsorganisationen mit. Dabei wurde dieser Protest gegen Putin noch ausgeweitet, was durch die Mißerfolge Putins natürlich einfacher wurde. Er war vor allem in sozialen Belangen nicht sehr erfolgreich und es gibt nach wie vor große Probleme mit der Korruption im System Putins. Das sind tatsächliche Schwachpunkte seiner Politik. Aber nochmals: Die Revolte gegen Putin war und ist inspiriert und unterstützt von ausländischen Kräften und hat nichts mit diesen Schwachpunkten zu tun – es geht einzig und allein um Putins souveränistische Ausrichtung, die bekämpft werden soll.

Medwedew gilt als pro-westlich?

Dugin: Die russische Politik ist etwas komplizierter, als man im Westen allgemein annimmt. Lassen Sie es mich so erklären: Wir haben auf der einen Seite den Souveränisten und politischen Realisten Wladimir Putin, auf der anderen Seite sind die ultra-liberalen, vom Westen geförderten „Revolutionäre“ und Transatlantiker. Zwischen diesen beiden Positionen steht Medwedew. Übrigens spielen auch die Oligarchen wie beispielsweise Boris Abramowitsch Beresowski, der in London lebt, auf Seiten der ultra-liberalen Revolutionäre eine wichtige Rolle.

In diesem Zusammenhang wird auch immer wieder der inhaftierte Michail Chodorkowski genannt. In den westlichen Medien gilt er mittlerweile als eine Art liberaler, demokratischer Märtyrer. Wie sehen Sie das?

Dugin: Er steht für das organisierte Verbrechen in Rußland. Es ist kaum vorstellbar, daß ein Mann wie Chodorkowski in einem westlichen Land nicht in Haft säße. Er ist genauso kriminell wie die vielen anderen Oligarchen, die in sehr kurzer Zeit und sehr viel Geld gekommen sind.

Warum sitzen dann die anderen nicht im Gefängnis?

Dugin: Das ist wieder ein Kritikpunkt an Putin: Die Oligarchen, die ihm gegenüber loyal sind, sind auf freiem Fuß.

Was war Chodorkowskis Fehler?

Dugin: Chodorkowski machte sich zunehmend für pro-westliche Positionen stark, sprach sich unter anderem für eine starke Abrüstung der russischen Armee aus. Er unterstützte westlich-liberale Kräfte in Rußland. Für Chodorkowski war eine russische „Entwaffnung“ ein wichtiger Weg, das Land für die westlich-liberale Entwicklung zu öffnen. Unabhängigkeit und Souveränität sollten gegen eine größere Bindung an den Westen eingetauscht werden. Als reichster Mann Rußlands verkündete Chodorkowski sogar, er könne nicht nur Parlamente, sondern auch Wahlergebnisse kaufen. Chodorkowski ging sogar noch weiter: Er erpreßte Putin damit, daß er das größte Erdölunternehmen Rußlands „Jukos“ an die Amerikaner verkaufen würde.

Damit stand Chodorkowski also im Widerspruch zu Putin…

Dugin: Genau das ist der Punkt. Chodorkowski hat Putin quasi öffentlich den Krieg erklärt. Und Putin reagierte und ließ den Oligarchen vor Gericht stellen, wo er natürlich nicht wegen seiner politischen Ansichten, sondern wegen seiner Verbrechen verurteilt wurde. Für den Westen ist Chodorkowski natürlich ein Held. Denn er wollte es mit Putin aufnehmen und Rußland zum Teil des Westens machen. Daher behaupten nun verschiedene westliche Regierungen, Medien und NGOs, Chodorkowski sei ein politischer Häftling. Und genau das ist Unsinn. Kritik verdient aber die Tatsache, daß so viele andere Oligarchen bei uns noch immer frei herumlaufen, obwohl sie die gleichen Verbrechen begangen haben wie Chodorkowski. Diese sind nur deshalb frei, weil sie nicht gegen Putin agieren. Genau das ist die große Ungerechtigkeit und nicht die Haftstrafe Chodorkowskis.

Hat Putin bei Chodorkowskis sozusagen die Notbremse gezogen?

Dugin: Genau so kann man das sagen. Bevor Chodorkowskis die Möglichkeit hatte, die Kontrolle der wichtigsten Ressourcen Rußlands an das Ausland zu vergeben, hat ihn Putin gestoppt.

Sie sprechen von den pro-westlichen Gruppen und NGOs, die in Rußland die Putin-Gegner unterstützen und in der Ukraine, aber auch in Georgien die „bunten Revolutionen“ unterstützt haben. Wer steht hinter diesen Organisationen?

Dugin: Eine wichtige Rolle spielt hierbei der US-Milliardär George Soros, der über seine Stiftungen pro-westliche Gruppen in Rußland massiv unterstützt. Dazu kommen andere US-Stiftungen, wie beispielsweise „Freedom House“, die ihrerseits mit etwa 80 Prozent mit Geldern der US-Regierung finanziert wird. „Freedom House“ sorgt für die Verbreitung der Schrift The Politics of Nonviolent Action des US-Politologen Gene Sharp, auf die sich die Revolutionäre in der Ukraine explizit berufen. Viele andere Gruppen und Organisationen, teilweise direkt von der US-Regierung oder den europäischen Regierungen finanziert, engagieren sich in Rußland und in den Ländern der ehemaligen Sowjetunion. Es gibt es regelrechtes Netzwerk. Sie alle eint ein Ziel: die Destabilisierung Rußlands, damit das Land ein Teil des westlichen Systems wird.

Ist das eine neue Form des Krieges?

Dugin: So kann man das betrachten. Die bunten Revolutionen sind eine neue Form des Krieges gegen souveräne Staaten. Die Angriffe wirken auf allen Ebenen der Gesellschaft. In diesem neuen Krieg kämpft man nicht mit Kanonen, sondern mit Propaganda, Geld und weit verzweigten Netzwerken, mit denen man versucht, die Entscheidungszentren des Gegners lahmzulegen. Eine der wichtigsten Waffen dieses neuen Krieges ist der Begriff der „Menschenrechte“.

Herr Dugin, vielen Dank für das Gespräch.

La Turchia minaccia rappresaglie contro chi coopera con Cipro

La Turchia minaccia rappresaglie contro chi coopera con Cipro

Il governo di Amkara vuole mantenere il controllo sulla parte settentrionale dell’isola e garantirsi anche quello sulle risorse energetiche

Andrea Perrone

Ankara minaccia chi coopera con Nicosia.
Il ministero degli Esteri turco ha chiesto ai consorzi partecipanti a una gara d’appalto per le prospezioni di idrocarburi sui fondali al largo della Repubblica greca di Cipro di ritirarsi, se non vogliono essere esclusi da ogni progetto energetico in Turchia. “Invitiamo i Paesi e le compagnie petrolifere interessati a comportarsi con buon senso, rinunciando a ogni attività in questa zona di mare all’origine delle divergenze legate alla questione cipriota, ritirandosi dalla gara d'appalto in questione”, è scritto in un comunicato del ministero.
Secondo il ministero, le società saranno ritenute “responsabili” della tensioni che potrebbero sorgere nella regione se avvieranno una cooperazione con il governo greco-cipriota “in spregio dei diritti dei turchi-ciprioti”. “Diritti” questi, o presunti tali, nati dopo aver calpestato quelli dei greco-ciprioti, legittimi proprietari delle terre invase quasi quarant’anni fa, nel lontano 1974 quando Ankara prese il controllo manu militari della parte settentrionale dell’isola. “Sarà escluso comprendere le compagnie che avranno cooperato con l’amministrazione cipriota greca nei progetti energetici futuri in Turchia”, ha proseguito il comunicato. La Repubblica di Cipro greca, membro dell’Ue, ma non riconosciuta dalla Turchia, ha annunciato venerdì che 15 società e consorzio hanno presentato offerte su 12 blocchi di esplorazione e sviluppo di petrolio e gas al largo dell’isola del Mediterraneo orientale. La Turchia ha espresso più volte la sua opposizione a queste esplorazioni, che ritiene “illegali”. Attualmente Ankara è l’unica capitale a riconoscere la Repubblica turca di Cipro nord e finora i tentativi di pacificazione e i progetti di creare uno Stato federale non ha sortito alcun effetto, perché i greco-ciprioti non intendono rinunciare ai loro diritti e alle loro proprietà perduta con l’invasione dell’area settentrionale dell’isola.
Per quanto riguarda invece il contendere sulle risorse energetiche tutto ha avuto inizio alla fine dicembre 2011, quando la major statunitense Noble Energy Inc. incaricata dal governo di Nicosia di fare delle esplorazioni nelle sue acque territoriali, aveva annunciato che il giacimento al largo delle coste di Cipro poteva contenere 8 miliardi di metri cubi di gas naturale. Ai primi di aprile del 2012 si è così svolto il secondo turno per l’assegnazione delle licenze per la prospezione nelle acque cipriote che ha attirato l’interesse – senza precedenti – di oltre 70 aziende internazionali fra cui molte statunitensi, israeliane, cinesi e russe. Le ricerche messe in campo da Nicosia avevano provocato la collera di Ankara, che le aveva giudicate illegali e che per tutta risposta ha iniziato le sue prospezioni nelle acque che considera pertinenti alla parte nord di Cipro, quella occupata nel 1974. Da fine aprile, poi, la società petrolifera statale turca Tpao ha iniziato le sue prospezioni nell’area off-shore di Gazi Magusa alla ricerca di giacimenti di petrolio e gas naturale. Ora la società petrolifera turca ha poi siglato un accordo con la major petrolifera anglo-olandese Shell per l’esplorazione del Mediterraneo nel sud della Turchia e queste le nuove prospezioni rischiano di aggravare ulteriormente le tensioni con Cipro e l’Unione europea, che nonostante tutto continua a sperare nell’ingresso della Turchia nel club dei Ventisette. E per questo nel contenzioso è intervenuta per l’ennesima volta l’Ue, che con un comunicato del commissario all’Allargamento, Stefan Fuele, ha espresso il suo appoggio ai greco-ciprioti e quindi al legittimo governo di Nicosia, affermando che la Repubblica di Cipro “ha il diritto di condurre esplorazioni di gas e petrolio nel Mediterraneo, nonostante le minacce turche” e sottolineando che l’Unione europea riconosce i diritti sovrani di tutti gli Stati membri. Belle parole, ma intanto Ankara continua a fare quel che vuole sapendo che le lobby euro-atlantiche sono dalla sua parte.  


19 Maggio 2012 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=14969

samedi, 19 mai 2012

Contre la proportionnelle

Contre la proportionnelle

par Georges FELTIN-TRACOL

 

Le 19 février 2012, lors d’une émission de « Méridien Zéro » consacrée à une « Histoire non-conformiste de l’élection présidentielle », Emmanuel Ratier critiqua la constitution de la Ve République, condamna le mode de scrutin majoritaire et en appela à l’établissement de la proportionnelle (1).

 

Dans le « camp national », il n’est pas le seul à la réclamer. À l’occasion des « clans de la presse » en première partie du « Libre-Journal de la Résistance française » sur Radio Courtoisie qu’Emmanuel Ratier anime un mercredi sur quatre, un autre de ses invités réguliers, Jérôme Bourbon, directeur du coruscant hebdomadaire Rivarol, défend lui aussi ce point de vue.

 

Il est exact que le scrutin majoritaire uninominal à deux tours déforme considérablement les résultats électoraux. Ainsi, aux élections législatives de juin prochain, il est très probable que le Front national n’ait que un, deux, voire aucun député, alors que sa présidente, Marine Le Pen, a recueilli à la présidentielle 6 421 426 suffrages (17,90 %). Dans le même temps, grâce à un accord électoral passé avec les socialistes, Europe Écologie – Les Verts peut espérer obtenir une trentaine de sièges malgré les 828 345 voix (2,31 %) de leur candidate, Éva Joly. Déjà, cinq ans plus tôt, François Bayrou, alors troisième homme de la présidentielle avec 18,57 % (6 820 119 voix), n’eut finalement que quatre députés !

 

Le scrutin majoritaire appliqué actuellement dans l’Hexagone crée de l’injustice politique et organise une réelle discrimination civique en rejetant des portions importantes du corps électoral. Tous les spécialistes des systèmes électoraux relèvent judicieusement que « cette injustice se double d’une certaine immoralité, dans la mesure où nombre de marchandages sont possibles à l’heure des désistements (2) ». Le scrutin proportionnel gomme ces travers et reflète le « corps des représentés, exprimant toutes les variétés, toutes les nuances physiques, idéologiques, économiques du corps social considéré (3) ». Mais, outre les problèmes arithmétiques de répartition des sièges entre les listes selon le plus fort reste, la plus forte moyenne, la méthode d’Hondt ou le quotient rectifié, la proportionnelle comporte de grands inconvénients tels que susciter l’instabilité ministérielle, favoriser des coalitions gouvernementales précaires et renforcer les partis politiques. Un peu comme leurs prédécesseurs ultra-royalistes sous la Seconde Restauration qui, à leur corps défendant, acclimatèrent en France le régime parlementaire anglomorphe alors qu’ils se présentaient en chantres de l’Ancien Régime (magnifique exemple d’hétérotélie historique), Emmanuel Ratier, Jérôme Bourbon et d’autres défendent avec passion le scrutin proportionnel afin que leur famille politique puisse être représentée à l’Assemblée nationale. Cependant, « il serait inexact de tenir le système proportionnel pour plus démocratique que d’autres, souligne Carl Schmitt. Les divisions qu’il introduit ne sont certes pas territoriales mais elles n’en traversent que plus fortement l’État entier (4) ».

 

Ce dysfonctionnement majeur a été perçu par un autre observateur attentif de l’Occident, Alexandre Soljénitsyne. De son exil forestier du Vermont, il soulignait que « les élections à la proportionnelle avec scrutin de liste renforcent exagérément le pouvoir des instances des partis, qui constituent les listes de candidats, l’avantage allant alors aux grands partis organisés (5) ». Du fait de son principe qui ne peut  concevoir que des listes, la proportionnelle avantage la partitocratie et la forme partisane avec une nette prédilection pour des candidats médiocres et serviles envers leur direction. Le révolutionnaire conservateur allemand et le dissident russe avaient compris que « ce sont […] les partis qui règnent au sein du Parlement en faisant et défaisant les majorités et les gouvernements sans tenir compte de l’opinion publique. Le régime des partis c’est également et surtout l’irresponsabilité des partis d’où la crise qu’ils provoquent dans le fonctionnement du régime parlementaire (6) ». Profondément partitocratique, la proportionnelle attise les coteries personnelles et attire les groupes de pression.

 

Il est néanmoins vrai qu’en France, le système partitocratique a su proliférer et s’implanter grâce au scrutin majoritaire. Est-ce pour autant une raison pour instituer une représentation proportionnelle ? Le raisonnement dans ces circonstances repose souvent sur une démonstration binaire et franchement manichéen. D’autres solutions existent pourtant au-delà des scrutins majoritaire à deux tours et proportionnel. Citons par exemple le vote préférentiel, le scrutin proportionnel à deux tours en vigueur aux élections municipales et régionales, le système proportionnel personnalisé allemand, le vote alternatif ou préférentiel appliqué en Australie ou le vote unique transférable en cours en Irlande et que les libéraux-démocrates britanniques ont tenté d’introduire sans succès à la Chambre des Communes. Ce mode de scrutin original assure à chaque parti « une représentation proportionnelle à sa force réelle et les électeurs ont élu les candidats de leur choix (7) ».

 

Mais tous ces systèmes électoraux entérinent l’existence des partis politiques. Or ce sont ces nuisances politiciennes qui perturbent par leur présence même l’ordre de la Cité. Ne faut-il pas dès lors envisager une alternative démocratique impartiale, c’est-à-dire sans la présence parasitaire et nocive de formations politiques, électorales ou politiciennes ? N’est-il pas temps de s’extraire des schémas vieillots, carrément obsolètes même, de la « représentation nationale » et d’abandonner le système représentatif ?

 

En effet, plutôt que de soutenir la proportionnelle, œuvrons en faveur d’une démocratie post-moderne. Ses fondements en seraient l’interdiction effective des partis politiques (comme en Iran), la généralisation de la pratique référendaire à chaque échelon administratif territorial avec des choix autres que les habituels « oui » ou « non » (des projets plutôt) – plus loin donc que la Suisse -, la révocation et le mandat impératif pour les magistrats (les exécutants gouvernementaux des décisions populaires), l’instauration du vote parental (8) et l’introduction massive du tirage au sort (embryon de clérocratie).

 

Imaginée par François Amanrich, président du Mouvement des clérocrates de France, la clérocratie est une solution d’avenir souhaitable dont les effets – hasardeux – seraient préférables à l’actuel système électif avec ses candidats pré-sélectionnés par les appareils militants pour leur obéissance, leur naïveté et leur avidité au gain (9). Les partis politiques ne servent à rien, faisons plutôt confiance aux aspirations du peuple incarné par ses citoyens. À la condition bien sûr qu’on entende par « citoyen » « l’enfant né de parents tous deux citoyens (10) ».


Georges Feltin-Tracol


Notes

1 : « Histoire non-conformiste de l’élection présidentielle » à « Méridien Zéro », le 19 février 2012, animée par le Lieutenant Sturm et Pascal G. Lassalle en compagnie d’Emmanuel Ratier et de Georges Feltin-Tracol. Le passage évoqué débute vers la vingt-cinquième minute.

2 : Jean-Marie Cotteret et Claude Emeri, Les systèmes électoraux, P.U.F., coll. « Que sais-je ? », n° 1382, Paris, 1983, p. 55.

3 : Id., p. 56.

4 : Carl Schmitt, Théorie de la Constitution, P.U.F., coll. « Léviathan », 1993, p. 378.

5 : Alexandre Soljénitsyne, Comment réaménager notre Russie ? Réflexions dans la mesure de mes forces, Fayard, Paris, 1990, p. 76.

6 : Gwénaël Le Brazidec, René Capitant, Carl Schmitt : crise et réforme du parlementarisme. De Weimar à la Cinquième République, L’Harmattan, coll. « Logiques juridiques », Paris, 1998, p. 133.

7 : Jean-Marie Cotteret et Claude Emeri, op. cit., p. 80.

8 : cf. Frederico Fubini et Danilo Taino, « Et si l’on accordait le droit de vote aux enfants ? », Corriere della Sera, repris dans Courrier international du 8 au 14 décembre 2011. Sur l’histoire du vote parental (ou familial), on peut se reporter – avec précaution car hostile à cette véritable idée d’avant-garde – à Jean-Yves Le Naour (avec Catherine Valenti), La famille doit voter. Le suffrage familial contre le vote individuel, Hachette, Paris, 2005. L’Autriche a abaissé le droit de vote à 16 ans et ces jeunes nouveaux électeurs apprécient beaucoup le parti populiste F.P.Ö.

9 : Le tirage au sort comme mode de désignation commence à être examiné avec attention par des juristes, des journalistes et des citoyens. Outre Georges Feltin-Tracol, « Plus loin que Simone Weil » et « La clérocratie comme alternative politique » dans Orientations rebelles (Les Éditions d’Héligoland, 2009) et Étienne Chouard (cf. son site <http://etienne.chouard.free.fr/> et son texte « Tirage au sort ou élection ? Démocratie ou aristocratie ? Qui est légitime pour faire ce choix de société ? Le peuple lui-même ou ses élus ? » repris par Polémia, le 29 avril 2012), un « grand » quotidien vespéral a évoqué cette idée révolutionnaire radicale à la fois traditionnelle et post-moderne dans ses pages intérieures : Pierre Barthélémy, « Et si on tirait au sort nos députés ? », Le Monde, 24 mars 2012, et Pierre Mercklé, « La démocratie au hasard », Le Monde, 28 avril 2012.

Dans son article d’improbablologie et en s’appuyant sur un modèle de calcul inspiré de la physique statistique, Pierre Barthélémy explique qu’une « Chambre aléatoire à 100 % est un échec retentissant. Certes, les projets de loi adoptés profitent tous au plus grand nombre, mais les 500 députés virtuels par ce modèle sont tellement indépendants les uns des autres que la plupart des textes n’obtiennent pas la majorité suffisante pour être votés ! Efficacité presque nulle ». Preuve rationnelle que la clérocratie est incompatible avec le système représentatif.

10 : Aristote, La politique, Vrin, introduit et traduit par J. Tricot, Paris,  1995, III, 2, p. 172.


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Krantenkoppen Mei 2012 (1)

Krantenkoppen

Mei 2012 (1)

9 MAY: VICTORY DAY PARADE ON MOSCOW'S RED SQUARE.

http://www.youtube.com/watch?v=ryNzmstsakg&list=%2Fwatch%3Fv%3DryNzmstsakg&list=UUFU30dGHNhZ-hkh0R10LhLw&index=0&feature=plcp

DE NAVO IS IN CRISIS.

"De NAVO bevindt zich in een diepe crisis. (...) De economische crisis laat zich voelen. De NAVO-norm voor militaire bestedingen is 2% van het BNP. Bij de Europese NAVO-leden halen alleen Groot-Brittannië en Griekenland nog die drempel en de trend vertoont een dalende lijn. Maar er is meer aan de hand dan louter een gebrek aan middelen. De Koude Oorlog is ver verleden tijd en de angst om aangevallen te worden, ooit de primaire bestaansreden van het Westerse militaire bondgenootschap, is al lang verdwenen.

Nu blijkt dat de dure en onproductieve ISAF-missie in Afghanistan allesbehalve succesvol verloopt, verliest de NAVO ook haar legitimiteit als interventie-apparaat. Voor de gemiddelde Europeaan en Amerikaan is dit een ver-van-ons-bedshow geworden. De bondgenoten en hun partners houden in Afghanistan de knip op de beurs en zijn een race begonnen naar de nooduitgang.

(...) Een succes kan de Libië-operatie ook niet worden genoemd. Slechts 8 van de 28 NAVO-lidstaten waren bereid om aan deze oorlog te participeren. Weinig landen deelden het enthousiasme van Frankrijk en Groot-Brittannië om ten strijde te trekken. Duitsland toonde zijn ontevredenheid (...) door zijn troepen terug te trekken die in NAVO-verband in het Middellandse Zeegebied opereerden.

De bestaansreden van de NAVO is flinterdun geworden en de cohesie staat onder grote druk. Dat blijkt ook uit de grote meningsverschillen rond nucleaire wapens, die angstvallig binnenskamers worden gehouden. (...) Het is geen geheim dat niet alleen de bevolking, maar ook verschillende NAVO-regeringen daar helemaal anders over denken. Drie van de 5 landen die tactische atoombommen op hun grondgebied herbergen - België, Nederland en Duitsland - hebben al openlijk te kennen gegeven dat ze die bommen liever kwijt dan rijk zijn. Het gaat om militair nutteloos geworden relikwieën uit de Koude Oorlog. Duitsland, en op een omfloerste manier ook België, heeft de verwijdering ervan zelfs in het regeerakkoord geschreven. (...)

Tot overmaat van ramp zit nu ook het Europese rakettenschild in de problemen: grote vertragingen, stijgende kosten en 'kritische' technische problemen. Ook de Russische tegenkanting maakt veel Europeanen weinig enthousiast.

Samengevat: de NAVO kampt met een gebrek aan vijanden en aan middelen. Het is symbolisch dat twee derde van het geld voor de Chicago-top bijeengeraapt wordt bij privébedrijven. (...) Bij de bevolking zal dit alles uiteindelijk tot maar 1 conclusie leiden: de NAVO, weg ermee!"

http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2012/05/11/de-navo-in-crisis

 

MOLDAVIE: UNE JEUNESSE 'ALTERNATIVE' MADE IN USA.

"Ils sont jeunes, créatifs, dynamiques, promeuvent la culture alternative dans une ancienne république soviétique et … sont financés par la CIA! (…)
Je m’étonne qu’un lieu réputé alternatif accueille ainsi des activités à visées commerciales. Mais apparemment, le fait que la soirée «underground» soit sponsorisée par une multinationale du thé ne dérange personne. (…) Les jeunes [sont] (…)pour la plupart d’étudiants qui ont entre 16 et 25 ans. J’aperçois un écran où défilent les noms des partenaires de la soirée. En plus d’Ahmad Tea, il y a «Kineters» et «Papergirl».
Papergirl, c’est l’organisation du jeune (…) qui s’occupe des ateliers artistiques. Quant à Kineters, il s’agit d’un collectif «promouvant la ‘culture alternative’ à travers le monde». Ce collectif (…) est né lors des manifestations d’avril 2009 (la «Révolution Twitter») au cours desquelles des milliers de jeunes moldaves sont descendus dans la rue pour contester [les] (…) élections. Une multinationale, un collectif lié à l’opposition anti-communiste ... Je m’interroge de plus en plus sur le sens des ateliers Papergirl.
Papergirl est né à Berlin en 2006. C’est un projet artistique qui (…) consiste à réaliser des œuvres d’arts et à les distribuer gratuitement dans la rue. En Moldavie, des ateliers ont été spécialement organisés pour offrir aux artistes un environnement propice à la création. Selon les membres de Papergirl, c’était une nécessité car les artistes moldaves n’auraient pas spontanément participé au projet. (…)
Une belle idée, mais financée comment? «Nous avons reçu et recevons encore beaucoup de soutien de l’endroit où j’ai travaillé. Le directeur de cette organisation internationale est américain et, heureusement, il comprend et soutient notre enthousiasme. Ainsi, nous avons une pièce à notre disposition, du matériel de projection, des espaces de rangement, etc.» Cet «endroit» (…) n’est autre que l’American Council for International Education (ACIE).
Cette organisation, créée pendant la guerre froide, a officiellement pour but de faciliter les échanges culturels entre les USA et divers pays, principalement de l’ex-URSS. En réalité, il s’agit d’un des nombreux instruments qu’utilisent les Etats-Unis pour répandre leur influence dans des zones (…) qui ne se soumettent pas à leurs intérêts économiques. Parmi les partenaires et financiers de l’ACIE, on retrouve sans surprise l’USAID et la Fondation Soros, 2 organismes liés à la CIA qui se sont entre autres récemment illustrés par leur soutien aux opposants vénézuéliens et syriens.
(…) Papergirl reçoit également directement de l’argent de l’Ambassade des Etats-Unis. «Pour nos dépenses (…) nous avons fait une demande de bourse à l’Ambassade US et nous comptons faire de même cette année. C’est en fait comme ça que l’on obtient les fonds pour acheter tout ce dont nous avons besoin.»
(…) On peut cependant s’interroger sur les raisons qui incitent l’Ambassade US et l’ACIE à soutenir ce projet. Il y a quelques années, Ana a participé à un programme d’échange aux USA. Elle en est revenue conquise: «(…) L’Amérique m’a donné la force de poursuive mes propres rêves avant tout. (…) J’ai trouvé l’inspiration et la motivation pour inciter d’autres personnes à explorer la vie sous des perspectives qui comptent vraiment.» De retour en Moldavie, c’est à travers l’art qu’elle a choisi d’exprimer son besoin de «liberté». Il n’est pas étonnant qu’elle ait reçu pour cela le soutien des institutions US: c’était l’occasion d’entretenir des liens avec la jeunesse de Chisinau, de lui donner une image positive des Etats-Unis et de l’orienter indirectement vers des activités d’un autre type qu’artistiques: l’«Académie pour jeunes leaders féminines» ou encore les sessions «Business pour la jeunesse», organisées par l’ACIE et dont notre amie n’est autre que la chargée de communication.
C’était aussi l’occasion de promouvoir, sous le couvert d’activités culturelles, une idéologie individualiste profitable au monde de l’entreprise. Ana m’a d’ailleurs confié voir dans les membres de Papergirl «de jeunes leaders qui, lorsqu’ils auront grandi, auront Papergirl en tête et seront plus ouverts à tout ce qui est créatif et coloré.» (…)
La Moldavie (…) reste aujourd’hui profondément divisé entre mouvements pro-russes et pro-occidentaux. Le Parti des Communistes de la République de Moldavie (PCRM), arrivé démocratiquement au pouvoir en 2001, a incarné un instant la première tendance. Il a cependant rapidement changé de cap, affirmant dès 2002 vouloir intégrer l’UE et entamant par la suite des partenariats avec l’OTAN. Entre 2003 et 2008, son président Vladimir Voronin a envoyé 4 contingents militaires en Irak, ce qui lui a valu d’être félicité par Bush en personne. D’un autre côté, le PCRM s’est illustré par une politique économique qui a pu laisser ses partenaires occidentaux – en particulier US – sur leur faim. (…)
serait-ce donc pour contrer l’influence des «rouges», jugés trop peu conciliants, que les USA sont actifs auprès de la jeunesse de Chisinau?"

http://www.michelcollon.info/Moldavie-une-jeunesse-alternative.html?lang=fr

 

PALESTINIAN CHRISTIANS AGAINST THE OCCUPATION.

"Two Sundays ago, ‘60 Minutes’ [broadcasted] a hard-hitting, but honest piece which (…) helped to expose the terrible harm the Israeli occupation (…) is doing to Christian Palestinians in the Holy Land.
I am a Palestinian Christian, now a U.S. citizen (…). I was born in East Jerusalem (…). My family, like almost all the other Palestinians who fled - Christians and Muslims alike - became refugees, losing their fields, orchards, homes and practically everything else, to Israel. Israel defied the international consensus and a U.N. resolution calling on it to allow the Palestinian refugees to return. (…)
Why is it that any Jew from any country in the world can claim full rights of citizenship as soon as he sets foot in Jerusalem, while I, whose family roots in Jerusalem go back many centuries, am barred from living with full human rights in my hometown? (…)
There is no doubt that Arab Christians face problems in the Middle East. The worst examples were during the Lebanese civil war and in the aftermath of the war in Iraq, when political and economic stability collapsed. Israel's attacks on Lebanon played a major role in destabilizing that country and Israeli hawks cheered the loudest for the U.S. invasion which destabilized Iraq. (…)
To say that Hamas is the cause of the declining Christian population in the occupied Palestinian territories is standing the truth on its head. Our people are fleeing their homeland because the Israelis are confiscating the land of Palestinians - Muslims and Christians alike - to build Jewish-only settlements and the Apartheid Wall which is ghettoizing many Palestinian communities. Palestinian Christians are leaving because of Israeli checkpoints and barriers that severely restrict the freedom of movement of Palestinians, destroying their economy and preventing their access to their holy places in Jerusalem. They are leaving because Israel diverts Palestinian water resources in a way that gives illegal Jewish settlements the right to enjoy swimming pools while the fields of Palestinian farmers next door go fallow for lack of water. (…)
To suggest that Palestinian Christians are doing well under Israeli domination couldn't be further from the truth."

http://www.huffingtonpost.com/philip-farah/palestinian-christians-against-the-occupation_b_1466027.html

 

LA HONGRIE QUITTE LE PROJECT NABUCCO.

‎"Le groupe gazo-pétrolier hongrois MOL sort du projet Nabucco, (...) a annoncé le Premier ministre hongrois Viktor Orban. (...) Destiné à acheminer le gaz naturel de la mer Caspienne vers l'Europe (...) en contournant la Russie, le projet Nabucco (3.900 kms de longueur) est soutenu par l'Union européenne et les Etats-Unis."
http://french.ruvr.ru/2012_04_24/Hongrie-Nabucco-gaz-Union-Europeenne/

 

JAPAN TO RESTART 2 NUCLEAR REACTORS.

"The government of Japan and the power companies are dedicated to restarting the reactors (...) for 2 reasons. First, they believe that the longer the nuclear plants remain offline, the harder it will be to eventually restart them. So they are determined to restart the reactors just to keep them viable. This is a political choice. The second reason is because the power companies have invested so much money into the nuclear power plants (half of their assets for some of them) that they do not want to see those investments become worthless. So to preserve the value of their assets, they will push very hard to restart the nuclear reactors, whether they are safe or not. This is an economic choice. But the people of Japan are almost entirely against restarting the nuclear plants and that is why they remain offline. They don't believe the assurances of the government, the power companies and also the media."

http://rt.com/news/nuclear-japan-reactors-fukushima-196/

 

JAPAN IS IN DANGER OF EXTINCTION.

"Every hour (...) there are 30 less Japanese in the world. By the end of this year, there will be 200,000 less and by the year 2050, Japan will have lost nearly a quarter of its population. Such is the legacy of a country which has so eagerly embraced materialism and the Culture of Death. (...) The problem is simple: Japanese women have virtually stopped having babies."
http://www.lifesitenews.com/news/the-asian-tiger-japan-is-in-danger-of-extinction

SYRIAN 'OPPOSITION' STUDIES TERROR TACTICS IN KOSOVO: FREE SYRIAN ARMY (FSA) AND KOSOVO LIBERATION ARMY (KLA) JOIN HANDS.

 "A delegation of Syrian rebels has made a deal with Pristina authorities to exchange experience on partisan warfare. The Syrian opposition is sending militants to Kosovo for adopting tactics and being trained to oust President Bashar Assad’s regime. (…) So far, a poorly-organized Syrian opposition has proven unable to self-organize and form a steady front against the forces of President Assad. Terror tactics (…) allow them to kill military and governmental officials, but do not help to hold positions against a regular army. (…) Syrian opposition leaders have promised to immediately recognize Kosovo once they seize power in the country. (…) The training camp on the Albanian-Kosovo border that has welcomed Syrian attendees was originally organized by the US to help the KLA train its fighters. (...) The KLA used to have up to 10% of underage fighters in its ranks.
There were numerous reports of the KLA having contacts with Al-Qaeda, getting arms from that terrorist organization, getting its militants trained in Al-Qaeda camps in Pakistan and even having members of Al-Qaeda in its ranks fighting against Serbs. (...) The war in the region was marked with mass atrocities and executions of the civilian population. Most of the Serbs that used to live in Kosovo became refugees. (…)
The same horrors that were witnessed during the war in Kosovo are now apparently being prepared for the multi-confessional Syrian population by the Syrian Liberation Army trained in Muslim Kosovo."

http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=30686

19,000 SYRIAN REFUGEES RETURN HOME FROM TURKEY.

"The Turkish government has announced that nearly 19,000 Syrian refugees who fled violence into neighboring Turkey have now returned home."

http://www.presstv.ir/detail/2012/05/12/240805/syrian-refugees-return-turkey/

MALAYSIAN TRIBUNAL FINDS BUSH GUILTY OF WAR CRIMES.

The second Kuala Lumpur War Crimes Tribunal, part of an initiative by former Malaysian premier Mahathir Mohamad, in a unanimous vote on Saturday found Bush and 7 of his associates, including former Vice President Dick Cheney and former De...fense Secretary Donald Rumsfeld guilty of torture and war crimes. (...)
'I hope people in the world will take notice and they should actually ... these are basically murderers and they kill on large scale', the former Malaysian premier maintained.
The symbolic court was first held in November 2011 during which Bush and former British Prime Minister Tony Blair were found guilty for committing crimes (...) during the Iraq war."

http://presstv.com/detail/2012/05/12/240810/malaysian-tribunal-finds-bush-guilty-war-crimes/


ERDOGAN: TURKISH SOLDIERS WILL HELP ALBANIANS LIBERATE THEIR LANDS.

"Erdoğan declared that Turkey will support its Albanian brothers with its troops (...). He added that the Albanian people has the right to (...) the creation of a Great Albanian State (...)."

http://balkanstory.wordpress.com/2012/05/07/erdogan-turkish-soldiers-will-help-albanians-liberate-their-lands/

THE SECRET LIFE OF YOUR CELL PHONE.

"Concerned that mobile phone networks are becoming surveillance tools, the American Civil Liberties Union recently asked hundreds of local law enforcement agencies whether they've tracked people's movements through their cellphones. Most o...f those that responded said they had, usually obtaining the information from mobile phone companies without a warrant. The practice has become so routine, the ACLU found, that phone companies are sending out catalogs of monitoring services with detailed price lists to police agencies. The alarming findings should persuade Congress to clarify that the government can't follow someone electronically without showing probable cause and obtaining a warrant. (...)
Mobile phone networks collect another type of data that wire-line networks don't: they register a phone's location continuously as long as it's turned on, even when it's not in use. Those records can be exceptionally revealing; as the ACLU put it, the potential insights range 'from which friends you're seeing to where you go to the doctor to how often you go to church'. (...)
The fact that phone companies are collecting fees for providing this information raises the additional question of whether their financial interests trump their customers' privacy interests."

http://www.latimes.com/news/opinion/editorials/la-ed-privacy-warrantless-cellphone-tracking-20120507,0,1902344.story

DE SPION BOVEN UW HOOFD: WANNEER DOET DE DRONE ZIJN INTREDE IN ONZE SAMENLEVING?

"Het potentieel van (...) drones voor militaire en bewakingsdoeleinden is eindeloos. Dit kan zowel positieve als negatieve gevolgen hebben. (...) Drones zijn zonder twijfel de makkelijkste manier om een vijand uit te schakelen dankzij hun vaak onvoorstelbare nauwkeurigheid en effectiviteit. YouTube-videos (...) tonen doelwitten die bijna als insecten worden weggevaagd. (...)
Sommige onbemande vliegtuigen zijn even groot als een Boeing 727 en blijven tot 5 jaar lang in de lucht, andere lijken op modelvliegtuigjes (...). De elementaire werking van drones is ook niet zo ingewikkeld als velen veronderstellen. De bekende schrijver Francis Fukuyama bouwde zelfs zijn eigen surveillance-drone, een quad-helicopter met camera (...). Fukuyama (...) stelt zich wel degelijk vragen omtrent de wenselijkheid van drones: 'De visie van een wereld waarin iedereen een potentiëel doelwit is van een anonieme vijand is geen aangename gedachte' (...).
Maar de technologie achter de drones kan ook voor positieve doeleinden worden gebruikt. (...) In Amerika traceren en elimineren drones ongewenste roofdieren, ze monitoren olielekken en berekenen de schade na natuurlijke rampen. (...) Steven Gitlin van AeroVironment voorspelt dat surveillance-drones in de toekomst dagdagelijks gebruikt zullen worden om peuters of mentaal gehandicapten in de gaten te houden.
Ongeveer 70% van de controles die de EU uitvoert op gesubsidiëerde landbouwers vindt nu al plaats via satellieten en spionagevliegtuigen. Onregelmatigheden kunnen leiden tot het verlies van de subsidie. Scotland Yard gaat deze zomer (...) met camera’s uitgeruste (...) drones inzetten om de veiligheid op de Olympische Spelen van Londen te garanderen.
De spionagefunctie van drones is echter potentieel Orwelliaans. Onze steden zijn nu al gesatureerd met steeds meer geavanceerde camera’s. Vanuit dit opzicht bieden drones nog meer mogelijkheden voor Big Brother. In zijn boek 1984 (...) schreef Orwell al dat 'de Gedachtenpolitie iedereen de hele tijd in de gaten houdt'; een voorspelling die nu realiteit dreigt te worden.
Er bestaat wel degelijk publieke oppositie tegen de drones, maar in de 3 landen waar de technologie het verst gevorderd is (de VS, het VK en Israël) blijven de voorstanders aan de winnende hand. De reden is duidelijk: de overheid gebruikt de drones om vijanden makkelijk uit de weg te ruimen tegen een minimale kost.
Maar wat als in de toekomst de negatieve aspecten van drones duidelijk worden? Wat als de technologie wordt gebruikt om ons, zoals in 1984, continu in de gaten te houden, of wat als vijandelijke regimes dezelfde technologie tegen ons zullen inzetten?"

http://www.express.be/business/nl/technology/de-spion-boven-uw-hoofd-wanneer-doet-de-idronei-zijn-intrede-in-onze-samenleving/167363.htm

 

ARMY MANUAL FOR RE-EDUCATION CAMPS APPLIES TO US CITIZENS.

 ‎"The callous plans to populate military camps in the US and abroad are not only authentic, but indeed establishes blueprints for putting the country’s own citizens into guarded Army detainment centers.
They always tell the media that it’s for disasters — domestically — or foreign wars and putting people in camps like Abu Ghraib in Iraq or Camp X-Ray in Cuba (...) The Pentagon refit old military bases into camps through the Emergency Centers Establishment Act to prepare them for, quote, 'emergencies', but there is way more than the government isn’t saying. (...) They were training with the role players to put American political dissidents in them.
(...) Marines [were] training to confiscate firearms on the West Coast and to put Americans both on the left and the right into camps and even segregate them according to their different political persuasions. (...) Now we have an Army document that dovetails with huge increased spending, hiring tens of thousands of people in the military to specifically be internment camp officers."

http://rt.com/usa/news/army-manual-camps-citizens-593/

DE ZAAK DSK: OPGEZET SPEL?

 ‎"Is DSK er in mei vorig jaar door zijn politieke opponenten ingeluisd, toen hij in New York werd gearresteerd omdat hij een kamermeisje zou hebben aangerand? Hijzelf beweert van wel en hij krijgt bijval van Edward Jay Epstein, een gerenommeerd Amerikaans onderzoeksjournalist die een boek over de zaak-DSK heeft geschreven.
Dominique Strauss-Kahn vermoedde al vóór het incident in het Sofitel van New York, dat op 14 mei vorig jaar een einde maakte aan zijn politieke ambities, dat zijn politieke tegenstanders — Sarkozy en zijn UMP — het op hem gemunt hadden. Hij had achterhaald dat zijn (…) mobilofoons werden afgeluisterd en zijn e-mails werden onderschept. Een goede vriendin van hem, die voor de UMP van Sarkozy werkte, had op het hoofdkwartier van die partij achter een kopieermachine een uitgeprinte e-mail van DSK aan zijn vrouw, Anne Sinclair, gevonden. Er waren zoveel aanwijzingen dat zijn doen en laten werd gevolgd dat DSK zijn veiligheidsmensen in het voorjaar van 2011 opdroeg al zijn mobilofoons van een ingewikkelde codering te voorzien, zodat hij niet langer kon worden afgeluisterd.
Toen na enkele weken bleek dat die codering zijn gsm's naar de bliksem hielp, liet hij ze weer verwijderen. Maar in de ochtend van 14 mei belde hij vanuit zijn kamer in het Sofitel in New York zijn veiligheidsadviseur in Parijs op, met de vraag om zijn IMF-Blackberry opnieuw te coderen zodra hij weer thuis was, omdat hij zeker was dat die was gekraakt. Hij had namelijk weer een sms-je van zijn vriendin bij het UMP gekregen over onderschepte mails. (…) Toen hij 's middags, na zijn ‘ontmoeting' met het kamermeisje Nafissatou Diallo, uitcheckte, vergat hij die Blackberry mee te nemen. Het toestel is nadien verdwenen en nooit teruggevonden.
De onderzoeksjournalist Edward Jay Epstein (77), van wie morgen het boek 'Three days in May (sex, surveillance and DSK)' verschijnt, is niet de eerste de beste. Hij is de auteur van onder meer 'Inquest', een invloedrijk boek over het onderzoek van de Warren Commission naar de moord op JFK, en van verscheidene boeken over de praktijken van de CIA. Voor 'Three Days in May' (…) dook hij zelf in het dossier DSK en hij sprak uitvoerig met Strauss-Kahn zelf (…). Beiden zijn het erover eens dat DSK's ontmoeting met het kamermeisje in zijn suite wellicht geen opgezet spel was, maar wat erna gebeurde wel: ‘Zoveel toevalligheden, dat kan geen toeval meer zijn.'
Het begint (...) al voordat DSK incheckt in het Sofitel. Hij had een kamer geboekt, maar had niemand laten weten wanneer hij zou aankomen. Op de beelden van de beveiligingscamera voor de ingang van het hotel is te zien hoe, een minuut voor DSK in een taxi wordt voorgereden, een man in een pak het hotel komt buitengelopen, druk pratend in een mobilofoon. Die man is Brian Yearwood, hoofd technische dienst van het hotel. Hij geeft zijn gsm aan de portier, die even een gesprek voert, de gsm teruggeeft en meteen zenuwachtig de straat oploopt, in alle voorbijrijdende taxi's binnenglurend. Hij loopt zelfs een eind de straat in, buiten beeld van de camera, en komt dan als een bezetene teruggelopen achter de taxi waar DSK in zit, om het portier te openen en 's mans bagage uit de koffer te halen. Wie had het hotel op de hoogte gebracht van zijn komst? Alvast DSK zelf niet.
(…) Op de beelden van die bewuste 14 mei is daardoor ook te zien hoe Brian Yearwood DSK de hele tijd ongemerkt volgt, terwijl hij zich naar de lobby begeeft, incheckt en de lift naar zijn kamer neemt. Yearwood stelt zich geen enkele keer aan de hoge gast voor en duikt zelfs weg in een nis als DSK zijn kant op kijkt. (…) In ieder geval gedroeg Yearwood, die op 14 mei eigenlijk een dag vrij had maar expliciet had gevraagd om te komen werken, zich wat later ook verdacht. Nadat kamermeid Diallo, die na te zijn aangerand door DSK nog 2 keer zijn suite betrad voor ze hulp zocht bij collega's, toch de manager van het hotel had ingelicht, belde die in het bijzijn van Yearwood de politie. Onmiddellijk na dat telefoongesprek liep Yearwood weg en stapte een stapelruimte binnen waar een veiligheidsagent klaarblijkelijk op hem zat te wachten. Ze wisselden enkele woorden uit en deden dan een overwinningsdansje: high fives, omhelzingen, schouderklopjes. Toeval? Toen hen tijdens het gerechtelijk onderzoek werd gevraagd wat hen tot dat vreugdedansje had bewogen, antwoordden ze allebei dat ze het zich niet konden herinneren.
De rechtstreekse overste van Brian Yearwood bij Sofitel is overigens John Sheehan, hoofd veiligheid en beveiliging. Sheehan had ook een dag vrij op 14 mei, maar uit de telefoongegevens die Epstein voor zijn research kon inkijken, blijkt dat hij die ochtend rond half elf in een kwartier 13 sms'en naar Yearwood stuurde. Rond één uur 's middags reed hij dan zelf naar het hotel en belde intussen naar het hoofdkantoor van Accor in New York. Accor is het moederbedrijf van Sofitel — het is een Frans bedrijf met hoofdzetel in Parijs. Het hoofd van de dienst veiligheid voor de hele Accor-groep, en dus de rechtstreekse overste van Sheehan, is René-Georges Querry, een voormalige Franse politiecommissaris. Tot voor enkele jaren werkte Querry bij de politie erg nauw samen met Ange Mancini, die tegenwoordig de inlichtingendienst leidt van ... Nicolas Sarkozy. Terwijl Sheehan naar het hoofdkwartier van Accor in New York belde, zat Querry samen met Sarkozy in de presidentiële box naar een voetbalwedstrijd te kijken. Of Querry daar op de hoogte werd gebracht van wat er zich in het Sofitel afspeelde, heeft Epstein niet kunnen achterhalen. Querry zelf ontkent het in alle toonaarden.
En dan is er nog (…) de verdwenen Blackberry van DSK. Strauss-Kahn vergat die in zijn kamer en belde vanaf de luchthaven naar het hotel om dat te melden, wat tot zijn arrestatie leidde. De Blackberry was op dat moment al verdwenen, want toen de politie de kamer doorzocht, bleek het toestel onvindbaar. Nadat DSK was uitgecheckt en vóór de politie aankwam, hebben maar 2 mensen de kamer nog betreden: het kamermeisje en (…) Brian Yearwood.
Te veel toeval? (…) ‘Ik heb nooit beweerd dat DSK in New York in de val is gelokt', zegt Epstein zelf. ‘Ik ben er wel van overtuigd dat zijn tegenstanders hem schaduwden en dat ze daardoor meteen na de feiten in de hotelsuite alles in gang konden steken om hem aan te galg te praten’.”

http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=EE3PDON4

 

DIE INTERNATIONALEN POLIT-VERBRECHER SIND SOLIDARISCH.

"Die Milliardärin, Gasprinzessin und ehemalige ukrainische Ministerpräsidentin Julia Timoschenko (51) sitzt gerade im Gefängnis. Sie wurde letztes Jahr zu 7 Jahren Knast und umgerechnet 137 Millionen Euro Schadensersatz verurteilt. Ihr Vergehen: Amtsmißbrauch in Zusammenhang mit einem Gas-Geschäft. Gegenwärtig laufen weitere Ermittlungen gegen sie. Sie wird verdächtigt, 295 Millionen Euro veruntreut und Drahtzieherin bei der Ermordung ihres Konkurrenten Yevhen Schtscherban († 1996) gewesen zu sein.
Frau Timoschenkos Verurteilung löste in der EU große Empörung aus. Sogar die Unterzeichnung eines Assoziierungsabkommens mit der Ukraine wurde ausgesetzt. (…) Frau Timoschenko wurde nach ihrer Inhaftierung 'ganz plötzlich ganz kompliziert krank' (…). Sie braucht nach eigenen Angaben ärztliche Behandlung – und zwar im EU-Ausland. Dorthin hat sich bereits ihr Ehemann seit einiger Zeit als politischer Asylant abgesetzt, um sich der Strafverfolgung in der Ukraine zu entziehen. (…)
In Absprache mit Bundeskanzlerin Angela Merkel sagte auch Bundespräsident Joachim Gauck eine Reise in die Ukraine ab. Auch er will dagegen protestieren, daß Politverbrecher – anders als in Deutschland – in der Ukraine damit rechnen müssen, im Gefängnis zu landen."

http://www.kreuz.net/article.15103.html

 

jeudi, 17 mai 2012

L'Europe est en proie à une islamisation forcée à ses portes

 

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L'Europe est en proie à une islamisation forcée à ses portes. Les Balkans sont victimes d'une radicalisation financée par l'Arabie Saoudite.

 

Des manifestations qui témoigneraient de l’émergence d’un islam radical en Macédoine

Les Albanais de Macédoine se sont rassemblés dans plusieurs villes du pays vendredi (11 mai) pour protester contre l’arrestation de suspects lors d’une opération de police dans une affaire de quintuple meurtre. La presse régionale a interprété ces manifestations comme un signe de la radicalisation des islamistes du pays.

Des milliers de personnes d'ethnie albanaise ont manifesté contre l'arrestation de trois hommes accusés d'avoir tué cinq Macédoniens le mois dernier.

Les photos montrent de nombreux manifestants qui brandissent des drapeaux saoudiens, certains portant des T-shirts avec des inscriptions comme « L'Islam dominera le monde ».

Le 13 avril dernier, les corps de cinq pêcheurs macédoniens ont été découverts près d'un lac du village de Smiljkovci, au nord de Skopje. Quatre des victimes avaient autour de 20 ans. Le cinquième homme avait environ 40 ans. Le 1ermai, la police a arrêté 20 personnes suspectées du quintuple meurtre, y compris des islamistes radicaux qui se seraient battus aux côtés des talibans en Afghanistan.

Les manifestants ont scandé des slogans tels que « UCK » (l'ancien mouvement de libération du Kosovo dans les années 1990), « On se retrouvera dans les montagnes » et « La Grande Albanie ». Ils auraient également jeté des pierres aux forces de police, a rapporté le SETimes.

Ce site d'information a en outre affirmé que les manifestants avaient attaqué les bureaux de la municipalité de Skopje dont le maire, Izet Medziti, appartient au parti albanais de l'Union démocratique pour l'intégration (DUI). « Ils ne veulent clairement pas coexister : leurs slogans trahissent l'objectif d'abuser de l'Islam pour créer un Etat purement ethnique qui alimenterait les conflits dans la région. Les slogans en faveur du Parti démocratique des Albanais trahissent également l'implication de certains partis politiques qui souhaitent profiter de cet abus de la religion », a déclaré au SETimes Ivan Babanovski, ancien professeur d'études stratégiques et de sécurités.

L'agence de presse serbe Tanjug a rapporté que les manifestants portaient des bannières critiquant le gouvernement macédonien et le premier ministre, Nikola Gruevski, qu'ils ont qualifiés de « terroriste » et de « Chetnik » en référence au mouvement nationaliste serbe qui a usé de la tactique de la terreur contre les musulmans. Ils ont traité les membres des forces de police de meurtriers.

Sur leurs bannières, les manifestants ont également écrit que les Serbes et les Macédoniens étaient responsables du meurtre des cinq hommes.

Des manifestations auraient également eu lieu dans les villes de Gostivar et Tetovo.

Nombreux sont les experts et les Macédoniens qui pensent que ces manifestations ont pour but de déstabiliser la Macédoine en amont du sommet de l'OTAN à Chicago les 20 et 21 mai prochains. L'adhésion à l'OTAN de la Macédoine a été bloquée en 2008 suite à un conflit toponymique entre Athènes et Skopje.

Certains experts craignent aujourd'hui que les Albanais de Macédoine tentent à nouveau de créer un Etat albanais à l'ouest du pays.

Selon des professionnels de la sécurité, environ 5000 islamistes aguerris des guerres en Bosnie-Herzégovine, au Kosovo et du précédent conflit en Macédoine vivent dans la région.

Dvezad Galijašević, un membre de l'équipe d'experts d'Europe du Sud-est pour la lutte contre le terrorisme et le crime organisé, a déclaré à SETimes que les adeptes du wahhabisme étaient bien plus nombreux. Il a expliqué que les pays de la région devraient rompre les circuits financiers du wahhabisme et arrêter les leaders et les membres les plus importants de ces mouvements qui promeuvent la violence.

EurActiv.com - traduit de l'anglais par Amandine Gillet

 

Lendemain d’élections: Les maladies infantiles du populisme

Lendemain d’élections:
Les maladies infantiles du populisme
 
Par Dominique Venner

elections3.jpgPolitologues, observateurs, chroniqueurs ou éditorialistes, tous se sont accordés pour dire que le vote FN du 22 avril était un bouleversement et que, d’une façon ou d’une autre, il changerait les données électorales à venir. Dominique Venner, lui, tout en faisant un premier constat, celui du ratage de Sarkozy dans sa manœuvre de « siphonnage » de l’électorat FN à son profit – ce que tout le monde reconnaît, Sarkozy en tête –, estime que la grande première de ce premier tour est une sorte de renaissance du FN qui sort de cette aventure « entièrement rajeuni et dynamisé ». Il regrette néanmoins que le parti de MLP, qui bouscule le bipolarisme issu du gaullisme, soit atteint d’une sorte de « maladie infantile » que l’on retrouverait chez beaucoup des mouvements populistes qui éclosent en Europe.
Polémia

Les deux tours de l’élection présidentielle de mai 2012 m’incitent à des réflexions nullement électoralistes ni politiciennes. Quelque chose d’important est survenu, qui était peu prévisible et que je vais résumer en deux remarques principales.

En dépit d’effets d’annonce peu discrets n’engageant que ceux qui voulaient y croire, le président sortant a raté sa tentative de « siphonner » l’électorat frontiste qui lui avait tant bénéficié en 1997. Oublions le candidat socialiste désigné en raison de son profil terne et rassurant après la mise à l’écart du richissime couple Sinclair-DSK pour cause de scandales publics répétés. Oublions aussi Jean-Luc Mélanchon qui n’a pas dépassé le total habituel des candidats d’extrême gauche, PC inclus. Reste la nouveauté de cette campagne, le Front national, entièrement rajeuni et dynamisé par la personnalité de sa présidente. A la faveur de qualités propres et d’un parcours difficile et tenace, Marine Le Pen a pu se faire entendre par la France qui souffre, représentant un réel espoir. Ses 18% de suffrages au premier tour constituent un succès d’autant plus évident qu’ils s’accompagnent d’un renouvellement important de l’électorat. Avec Marine Le Pen, le Front a changé de physionomie. Il a perdu l’image ringarde et agressive qui était la sienne pour s’afficher « moderne » sur les questions de société (contraception, avortement) et ferme sur la question de l’immigration. Les erreurs de la campagne de 2007 (présence d’une beurette) alors que Sarkozy brandissait un karcher symbolique ont, semble-t-il, été comprises. Le Front national est redevenu le grand rassemblement identitaire des Français souvent très jeunes qui refusent l’immigration.

Mais je ne prends pas la plume pour entretenir mes lecteurs d’évidences que l’on peut trouver ailleurs. Je voudrais appeler tout d’abord l’attention sur certaines conséquences de la défaite du président sortant. Elle vaut condamnation de son style « marchand de cravates » et de son soutien inconditionnel aux Etats-Unis et à Israël. Cette défaite s’étend à l’ancienne majorité. Dans son désarroi, celle-ci ne pourra plus opposer au Front national l’habituel barrage électoral l’excluant des assemblées contre toute justice démocratique ; un barrage qui favorisait la reproduction des oligarchies de droite et de gauche (à supposer que ces mots aient un sens). Ce « système » avait été mis en place par le général De Gaulle pour éliminer des concurrents de droite, et assurer son pouvoir face à un parti communiste encore puissant et avec qui il entretenait une étrange complicité depuis la Résistance (été 1941), l’Epuration (mené contre des ennemis communs) et la Libération (cinq ministres communistes dans le gouvernement De Gaulle en 1945). Neutralité encore du PCF lors des événements de Mai-68 provoqué en grande partie par le soutien du pouvoir à l’intelligentsia de gauche pour lutter contre la droite « Algérie française » de l’époque. J’ai détaillé tout cela dans mon essai, De Gaulle, La grandeur ou le néant (Le Rocher, 2004) qui est plein d’enseignements pour comprendre notre temps.

En résumé, la grande époque de la bipolarisation voulue par l’ancien gaullisme est révolue. On le doit au temps qui passe et use tout, aux fautes et au tempérament de Sarkozy, mais aussi aux qualités de Marine Le Pen, sans préjuger naturellement d’un avenir que nous ignorons.

A ce sujet, il est nécessaire de relever une tendance inquiétante qui n’est pas le propre du Front national, mais qui semble commune à la plupart des mouvements « populistes » européens (j’entends le qualificatif populiste de façon nullement péjorative).

Comme la plupart de ses émules européens, le Front national souffre d’une sorte de « maladie infantile », comme aurait dit Lénine pour les siens. La « maladie infantile » du populisme peut être diagnostiquée comme une méconnaissance dramatique de la réalité européenne et une tentation de repli rétrograde, dans le vieux cadre apparemment rassurant de vieilles nations sorties de l’Histoire, celui de la « France seule » (comme si nous en étions encore à Louis XIV). C’est une option difficilement soutenable dans un monde constitué d’énormes puissances et de vastes espaces en conflits, et alors que d’évidentes catastrophes pointent à l’horizon. On comprend naturellement la défiance justifiée à l’encontre des institutions actuelles de l’Union européenne qui n’ont d’européennes que le nom, et sont en réalité mondialistes dans leur idéologie et leurs desseins. Mais, sous prétexte qu’une oligarchie dénaturée a mis en place un système aberrant (plus jacobin que fédéral), faut-il rejeter en bloc toutes les perspectives européennes qui étaient justes à l’origine (interdire une nouvelle guerre fratricide entre la France et l’Allemagne et construire un ensemble géopolitique cohérent par rapport aux grands blocs mondiaux, disposant de sa propre monnaie face au dollar et au yen) ? Ne faut-il pas, au contraire, dessiner un nouveau projet mobilisateur, celui d’une nouvelle Europe carolingienne, qui entraînerait la volonté d’une refonte complète des institutions, afin que celles-ci permettent une véritable union fédérative de peuples frères et non l’instrument dictatorial d’idéologies mondialistes et d’oligarchies mafieuses ? Enfin, ne faudrait-il pas rappeler haut et fort, en préambule à tout, notre appartenance à une civilisation européenne qui nous justifie et plonge ses racines jusque dans notre antiquité commune la plus ancienne, qu’elle soit grecque, romaine, celte et germanique ?

Dominique Venner

mercredi, 16 mai 2012

Fyrom: ancora violenze interetniche

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Fyrom: ancora violenze interetniche

Le milizie albanesi si riarmano. Sale la tensione con i macedoni

Andrea Perrone

Ex: http://www.rinascita.eu/

Sale ancora la tensione interetnica nella Fyrom, dopo la strage di Pasqua. E così undici anni dopo la guerra di riaccendono le tensioni interetniche tra macedoni e albanesi, tanto che sono previste una serie di manifestazioni in contemporanea tra maggioranza slava e minoranza albanese. è comunque importante ricordare che gli albanesi nella Fyrom rappresentano circa il 30 per cento della popolazione, pronti a realizzare armi in pugno la “Grande Albania”.


La situazione è quindi in rapida evoluzione e le tensioni non sono escluse. Come ha riferito venerdì il portale specializzato Balkaninsight, “attivisti albanesi stanno utilizzando di Tweeter e Facebook per organizzare proteste a Skopje, Tetovo, Gostivar, Deba, Struga subito dopo la preghiera di mezzogiorno del venerdì”, ovvero in città dove è prevalente la presenza albanese. Il riferimento è alla maxi operazione del primo maggio scorso, che ha portato all'arresto di una ventina di presunti estremisti islamici, ex combattenti in Afganistan e Pakistan, ma detentori di passaporto di Skopje. Tra questi, secondo le autorità macedoni, vi sarebbero anche alcuni dei presunti autori dell’ormai tristemente nota strage di Pasqua, in cui morirono quattro giovani macedoni e un quinto adulto, uccisi da colpi d’arma da fuoco, presso un laghetto alle porte di Skopje. Secondo indiscrezioni quel crimine venne compiuto proprio da albanesi. D’altronde le tensioni interetniche non sono una novità per questo Paese dei Balcani, ma a preoccupare è l’escalation di violenze nei primi mesi del 2012 dovrebbe far ripensare a quello che è il contesto macedone, dove vivono circa due milioni di abitanti un quarto dei quali albanesi stabiliti principalmente nel nord. Anche i dati sono fonte di tensioni etniche che si riverberano nell’ambito della politica, tanto che il censimento dello scorso ottobre è stato annullato per le diverse interpretazioni di metodologia tra i due partiti di governo, il Vmro del premier conservatore Nikola Gruevski e il Dui di Ali Ahmeti, che da leader dell’Uck macedone, sigla del terrorismo albanese, durante gli scontri del 2001 è diventato il punto di riferimento della minoranza albanese. In più non bisogna dimenticare che le milizie albanesi sono ancora una realtà in grado di seminare paura, tra queste spicca l’Aksh, esercito nazionale albanese, un gruppo paramilitare che ha come obiettivo l’unificazione di Kosovo, Albania e parte della Macedonia. Per non smentirsi, infatti, poche settimane fa, il 17 marzo, l’Aksh ha emesso un comunicato in cui afferma di aver riattivato le sue strutture militari. A conferma che il sogno della “Grande Albania” potrebbe non essere una visione onirica, ma la dura realtà.


12 Maggio 2012 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=14830

Philippe Conrad présente Géopolitique de la France, par Pascal Gauchon


Philippe Conrad présente

Géopolitique de la France, par Pascal Gauchon

par realpolitiktv

« L'Inquisition médiatique » de Francis Puyalte

« L'Inquisition médiatique » de Francis Puyalte

Ex: http://www.polemia.com/


De minimis non curat praetor
, dit l’adage latin, mais il n’est pas de sujet, si subalterne soit-il en apparence, qui échappe aux champions de la désinformation. On ne s’étonnera donc pas de voir ceux-ci à l’œuvre dans le traitement des faits divers, ce qui est logique dans la mesure où ces derniers passionnent un public trop souvent, hélas, indifférent à la politique. _________________________________________________________________________________________

 

Au lendemain du premier tour de la présidentielle, Valeurs actuelles révélait le résultat des votes internes organisés au Centre de formation des journalistes et à l’Ecole supérieure des journalistes de Lille : soit 100% des voix pour la gauche dans le premier, et 87% dans la seconde, Nicolas Sarkozy et Marine Le Pen n’obtenant pas un seul suffrage de la part des étudiants qui, demain, seront nos « dealers d’opinion » !

On sait depuis longtemps à quoi s’en tenir sur la désinformation journalistique en matière politique. Dans L’Inquisition médiatique, Francis Puyalte, ancien de Paris-jour, de L’Aurore puis du Figaro, démontre que l’esprit partisan est également de règle, et donc le public est tout aussi fourvoyé en matière de faits divers. Et de citer en exemple le scandale d’Outreau, le « naufrage » des Kurdes (pseudo-irakiens et soi-disant persécutés) du cargo East Sea échoué près de Fréjus en 2001 et surtout l’affaire Kamal, dont l’opportune relecture par Puyalte occupe la moitié du livre. Rappelons pour ceux, sans doute nombreux, qui l’auraient oublié que, pour justifier l’enlèvement de sa petite fille Lauriane et sa fuite aux Etats-Unis, le Franco-Marocain Karim Kamal avait accusé son ex-femme Marie-Pierre Guyot, fille d’un haut magistrat, d’avoir violé et fait violer la gamine lors d’orgies titanesques auxquelles aurait participé le gratin de la justice et de la police niçoises, en particulier le doyen des juges d’instruction Jean Pierre Renard et le procureur général Paul-Louis Auméras (*).

Pendant des lustres, ces accusations gravissimes, mais qui n’ont jamais reçu l’ombre d’un début de preuve malgré de nombreuses enquêtes, ont fait régner dans les tribunaux des Alpes-Maritimes un climat délétère, encore attisé par l’attitude équivoque du procureur Eric de Montgolfier, successeur d’Auméras et, semble-t-il, plus enclin à hurler avec les loups de presse qu’à établir la vérité et à protéger les institutions.

A la remorque du Monde

Or, qui avait lancé la rumeur ? Le journaliste Hervé Gattegno, alors protégé, au Monde, du fanatique Edwy Plenel – qui, aujourd’hui patron du site Mediapart, peut à bon droit se vanter d’avoir eu la peau de Nicolas Sarkozy en faisant état, peu avant le scrutin présidentiel, des allégations d’un ministre libyen affirmant que la campagne du vainqueur de 2007 avait été financée à hauteur de 50 millions d’euros par le colonel Kadhafi. En reprenant l’argumentation de Karim Kamal, il s’agissait pour le tandem Plenel-Gattegno de jeter l’opprobre sur Nice, ville restée trop « médeciniste » aux yeux de ces moralistes.

Francis Puyalte montre d’ailleurs bien le rôle moteur joué par Le Monde dans le traitement des faits divers. Il faut se souvenir, d’ailleurs, de la place extravagante réservée en 1986 par ce quotidien dit « de référence » à la mort accidentelle de l’étudiant manifestant Malik Oussekine dont le décès, attribué à la « violence policière », obligea Jacques Chirac et Alain Devaquet à remiser leur réforme des Universités… et d’une manière générale à oublier toutes les promesses faites à l’électorat droitier. Or, loin de se livrer à des investigations personnelles pour tenter de démêler le vrai du faux, presse écrite et télévisions se mettent à la remorque du Monde et en adoptent toutes les thèses. Comme si ce quotidien était leur directeur de conscience.

Et malheur aux dissidents – fussent-ils collaborateurs du Figaro – qui tentent de faire entendre leur vérité ! Ils sont à leur tour victimes de l’Inquisition médiatique, traités de racistes ou d’ « anticommunistes primaires », tel l’auteur qui, aujourd’hui retraité, se souvient : « J’ai couvert presque toutes les grandes manifs des années 1970-1980. Elles m’ont éclairé sur le rôle de la presse, son singulier suivisme, sa propension à aller dans le sens du vent, qui soufflait souvent de l’Est […] Certes, je fus témoin, bien sûr, de quelques excès et même de bavures [policières]. Mais, en général, je constatais et j’admirais la placidité et le sang-froid des CRS et gendarmes mobiles qui supportaient pendant des heures les injures les plus abjectes […], les cailloux et les pierres, les jets d’œufs pourris et les cocktails Molotov dans l’attente d’un ordre, qui ne venait pas. » Surtout face aux « bandes ethniques », « un phénomène que je m’honore de ne pas avoir occulté », écrit Francis Puyalte en insistant sur la discipline de ces bandes allogènes « dont le seul but était le pillage ». Un but ignoré par les lecteurs du Monde

Ecrit sans prétention par un journaliste « à l’ancienne » formé non dans quelque « prestigieuse » école mais aux chiens écrasés – et à la lecture de son « cher Céline » ! – et enrichi d’une intéressante préface de Christian Millau, ce témoignage éclaire sur la nocivité et l’omnipotence des forces de désinformation, auxquelles aucun domaine n’est étranger dès lors qu’il s’agit de culpabiliser le lecteur lambda.

Florent Dunois
8/05/2012

Francis Puyalte, L’Inquisition médiatique, préface de Christian Millau, Dualpha éditions, Collection Vérité pour l’Histoire, octobre 2011, 338 pages.

(*) Aux mêmes éditions et dans la même collection, Paul-Louis Auméras livre son propre témoignage dans Parcours de proc, préfacé par François Missen. 380 pages.

Voir article de Polémia :

Comment les écoles de journalisme enseignent le conformisme (Polémia 13/12/2011)

Correspondance Polémia 10/05/2012

mardi, 15 mai 2012

Robert Steuckers:lezing "Arabische Lente", Hasselt, 8 mai 2012

Robert Steuckers:

Lezing "Arabische Lente"

Hasselt, 8 mai 2012

La Grèce peut elle suivre la trace de l’Islande ?

La Grèce peut elle suivre la trace de l’Islande ?

Tandis que la crise grecque savamment instrumentalisée par les médias du système ne cesse de s’amplifier, l’Islande sans coup férir a mis au pas les banksters britanniques.

L’Islande, petit pays européen, mais non enchaîné aux folles décisions des technocrates bruxellois, écrasée il y a peu par une dette colossale auprès des banques britanniques recouvre progressivement sa liberté. L’Islande s’émancipe peu à peu de l’étau des marchés financiers et avec elle les contribuables islandais.

De quoi faire réfléchir les Grecs. Les Islandais ont tout bonnement refusé de payer cette dette datant de 2008 et se sont même payés le luxe de faire démissionner le gouvernement, et surtout de faire réécrire une constitution. Occulté par les médias de l’oligarchie, un fait important s’est déroulé le 23 avril dernier, puisque le verdict concernant l’ancien Premier ministre islandais Geir Haarde a été rendu. Comparaissant devant un tribunal spécial à la demande du Parlement, l’ex-Premier ministre a été reconnu coupable de ne pas avoir convoqué de réunion ministérielle pour discuter de la situation qui a conduit le pays au bord du gouffre, alors que le système bancaire islandais implosait et plongeait le pays dans une grave crise.

En refusant l’asservissement, l’Islande montre donc le chemin à suivre aux peuples européens noyés sous les cures d’austérité et les plans de renflouement de la Troïka ?

Effectivement, puisqu’il s’agit d’une véritable révolution démocratique et anticapitaliste à l’heure où d’autres pays comme la Grèce mais aussi certainement l’Espagne ou l’Italie sans oublier la France sont proches de l’asphyxie.

La semaine dernière, la Grèce a, lors d’une élection partielle dit non à l’austérité et vient de faire rentrer au Parlement des députés radicaux en se moquant de ce qu’en pensent Moody’s ou les chancelleries. De quoi nourrir l’avenir d’espoir à l’aune de ce qui s’est produit en Islande. La mobilisation du peuple islandais s’est traduite par un succès inespéré en faisant payer le coût de cette crise aux responsables.

Ainsi, 93 % des Islandais ont refusé que leur pays assume les dettes privées, et ont rejeté par référendum citoyen le sauvetage des banques capitalistes, laissant plonger certaines d’entre elles. L’Islande, qui a enregistré une croissance de 3,1 % en 2011, vient de donner une leçon aux autres pays européens qui croulent sous la dette.

Novopress

Philippe Conrad présente "La Nouvelle impuissance américaine", d'Olivier Zajec


Philippe Conrad présente

"La Nouvelle impuissance américaine", d'Olivier Zajec

par realpolitiktv

Rapaille Reportage over Junge Freiheit

Rapaille Reportage over Junge Freiheit

http://podcast.radiorapaille.com/show/rapaille-reportages/item/721-rapaille-reportage-over-junge-freiheit

Geschreven door

Zondag 9 oktober kan je de integrale lezing van Mina Buts horen die ze op 1 oktober gaf tijdens de bijeenkomst die door de Deltastichting en Radio Rapaille was georganiseerd in De Beest.

Mina sprak in het Nederlands over dit neo-conservatieve weekblad dat ondanks terreur, boycot en algemeen doodzwijgen al 25 jaar vanuit Berlijn haar eigen kijk op de (inter)nationale politiek en samenleving geeft.

Radio Rapaille biedt de nieuwsgierige luisteraar nu de  gelegenheid om kennis te maken met een uniek mediaproject.

En als je jouw favoriete top 3 invult voor de Rapaille Top 100 maak je ook nog eens kans op één van de 3 jaarabonnementen op dit prima weekblad twv € 169,- !!!

Ga dus snel naar: http://top100.radiorapaille.com

 

lundi, 14 mai 2012

Syrië & Iran: Een reëel-historische visie

http://omroepodal.podomatic.com/entry/2012-05-03T15_19_10-07_00

http://podcast.radiorapaille.com/show/rapaille-reportages/item/2431-syri%C3%AB-iran-een-re%C3%ABel-historische-visie

Syrië & Iran: Een reëel-historische visie

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Lezing door Robert Steuckers voor NSV! Gent op 08-03-2012

Iran: schurkenstaat en bedreiging voor de wereldvrede of land in isolement gedreven?
Syrië: onderdrukte massa in opstand tegen een dictator of een Egyptische wissel van de wacht?


Voor beide landen zijn de voorbeelden reeds gekend. In Irak zijn 9 jaar na de start van de oorlog nog steeds geen massavernietigingswapens gevonden, laat staan vrede. Libië wacht nog steeds op haar democratie die de NAVO-interventie ze in de schoot zou werpen. Intussen horen we telkens dezelfde verhalen weer terugkomen en dringt de vraag op of we geen self-fulfilling prophecy in de hand werken.


Robert Steuckers is een van de meer ervaren geopolitieke experts van het land. Hij houdt onder andere een blog in zeven talen bij (http://euro-synergies.hautetfort.com/). Tijdens de conflicten in Libië hield hij voor NSV! Hasselt reeds een diepgaande uiteenzetting (http://www.youtube.com/watch?v=Q_nAXrbnP4Y).

Een uitgelezen kandidaat om deze conflictzones toe te lichten!