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samedi, 11 mai 2013

Le guerre per l’acqua in Africa

Le guerre per l’acqua in Africa

Secondo un rapporto di Archivio Disarmo, nel continente nero il rischio di “idroconflitti” è particolarmente “grave”

Francesca Dessì

L’acqua è la fonte della vita. Come la maggior parte delle risorse naturali, è oggetto del contendere e alimenta dissapori e ostilità. È soprannominata, non a caso, “l’oro blu”. Per lei sono state combattute tante guerre e ce ne saranno altre nel prossimo futuro. È quanto emerge in un rapporto intitolato “I conflitti per l’acqua. Le aree e i caratteri più significativi dei conflitti per l’acqua in Africa”, pubblicato ieri dall’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo. Nel continente nero, il rischio di “idroconflitti”, si legge nel documento, “è particolarmente grave, dato che ogni Paese africano condivide almeno un fiume e quindici Stati ne condividono cinque o più determinando un contesto geopolitico nel quale risulta inevitabile la presenza di attriti. (…)Se più Paesi fanno riferimento alla stessa fonte idrica, l'uso condiviso di questa risorsa può generare competizione e discordia”. L’esempio più eclatante è il Nilo, che bagna l’Egitto, il Sudan, il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania, il Ruanda, il Burundi e la Repubblica democratica del Congo. La gestione comune dell’acqua e l’interdipendenza idrologica delle nazioni e dei popoli si ripercuotono “oltre confine”. Il rapporto fa alcuni esempi: “La ritenzione d’acqua a monte dei fiumi limita i flussi a valle, l’inquinamento può essere trasportato in altri Paesi e la presenza di dighe, oltre a impedire il flusso naturale dell’acqua, può causare il deposito di limo nei bacini idrici artificiali, impedendo che questo prezioso fertilizzante naturale raggiunga le pianure a valle”.


Pertanto, si legge sempre nel documento, “la divergenza di potere economico e politico degli Stati che condividono lo stesso bacino genera relazioni asimmetriche nelle quali tendono a prelevare gli interessi dei Paesi più forti ( vedi l’Egitto, ndr) che si riflettono nella scelta delle modalità di uso della risorsa e di disciplina dei conflitti”.


In Africa c’è poi il problema dei cicli di siccità che si tramutano in stragi di carestie. Come si evince dallo studio di Archivio Disarmo “la carenza d’acqua è un problema della vita di tutti i giorni per gran parte della popolazione. In molti Paesi, vista la scarsità delle risorse idriche, l’irrigazione agricola dipende esclusivamente dalle condizioni climatiche”.


Secondo un rapporto pubblicato venerdì scorso dalla Fao, la carestia ha ucciso 260mila persone in Somalia tra il 2010 e il 2012. Circa la metà era costituita da bambini sotto i cinque anni. Dati allarmanti che non tengono conto dell’intera regione del Corno d’Africa, colpita da una delle più drammatiche crisi di siccità degli ultimi vent’anni, e di quella del Sahel.
“Con la domanda crescente e una storia di cattiva gestione delle risorse di molti governi africani” precisa il rapporto di Archivio Disarmo “i conflitti sembrano quasi inevitabili, alimentati, oltre che dalla ineguale distribuzione delle risorse idriche tra i Paesi, anche, a livello locale, dalla privatizzazione delle risorse idriche, dall’inquinamento massiccio delle falde acquifere dovuto allo sfruttamento del suolo da parte delle multinazionali del petrolio e dal rancore delle molte persone sfollate a causa delle dighe lungo i fiumi”. È il caso del Delta del Niger, la regione meridionale della Nigeria, dove le fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti e la pratica di “gas flaring” (un processo in cui il gas che fuoriesce dai giacimenti viene bruciato a cielo aperto) hanno devastato l’ecosistema fluviale, distrutto la pesca e reso imbevibile l’acqua. Per quanto riguarda le dighe, l’esempio più lampante è quella dell’Etiopia, dove il governo di Addisd Abeba sta sfrattando migliaia di indigeni dalle loro terre nella valle dell’Omo per la costruzione della mega-diga, che si chiama Gilgel Gibe III, e per la vendita delle terre fertili alle multinazionali.

Secondo lo studio di Archivio Disarmo, i conflitti possono essere generati “anche per l’utilizzo della falde freatiche, che contengono oltre il 90% dell’acqua dolce allo stato liquido a livello mondiale, quando queste si snodano sotto dei confini statali. Queste riserve oggi sono oggetto di uno sfruttamento sempre più intenso nelle zone aride del mondo”. Si fa l’esempio, nel rapporto, del più grande sistema acquifero detto “Arenaria nubiana” che attraversa un’area di oltre due milioni di chilometri quadrati compresi tra Ciad, Egitto, Libia e Sudan. “Esso contiene grandi quantità di acque sotterranee dolci non rinnovabili perché risalenti a migliaia di anni fa durante climi molto più umidi”.


“I principali conflitti e le contese per l'acqua in Africa - prosegue lo studio - hanno inevitabilmente luogo nelle aree dei bacini dei principali fiumi del continente. (…) Di solito al primo stadio della disputa uno dei Paesi beneficiari delle fonti idriche comuni intraprende un’azione unilaterale di sfruttamento con progetti che intervengono sui corsi d'acqua: ciò causa la protesta degli altri Paesi che vedono intaccate le loro risorse idriche e possono far seguire vere e proprie condizioni di ostilità, mentre nell’ultima fase i Paesi in conflitto riprendono i contatti diplomatici e si sforzano di trovare lente e complesse risoluzioni”.
L’esempio più naturale è forse quello del Nilo. Uno dei fiumi più lunghi al mondo ( al secondo posto, dopo il Rio delle Amazzoni), che ha dato la vita all’Egitto con le sue piene periodiche. Eppure il Nilo nasce in Sudan, dall’unione delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo Bianco, che a loro volta nascono rispettivamente dal Lago Tana in Etiopia e dal Lago Vittoria, le cui acque attraversano i confini di Kenya, Uganda, Tanzania. Ognuno di questi Paesi ha il diritto sovrano di poter gestire le acque del fiume, costruendo dighe o altri progetti. Ma non sulla carta, in quanto violerebbero gli accordi internazionali sulle acque del Nilo, del tutto favorevoli all’Egitto.


Il primo accordo sulle acque del Nilo è stato firmato nel 1929 da Egitto e Gran Bretagna, che agiva in nome delle sue colonie dell’Africa orientale. È poi stato in parte rinegoziato nel 1959, poco prima dell’inizio dei lavori per la grande diga di Assuan, da Egitto e Sudan ormai indipendenti, dando ai due Stati rispettivamente 55,5 e 18,5 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno. Ma tutti gli altri Paesi non hanno partecipato alla spartizione. E ormai da anni chiedono, in particolare Tanzania e Etiopia, di poter riaprire la partita negoziale per stabilire delle quote più eque di utilizzo delle acque.
 


07 Maggio 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20724

vendredi, 10 mai 2013

Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

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Le Qatar, champion du mensonge et de la dissimulation

Majed Nehmé
 
Ex: http://www.legrandsoir.info/
 

AFRIQUE-ASIE : Sans sponsors et en toute indépendance, à contre-courant des livres de commande publiés récemment en France sur le Qatar, Nicolas Beau et Jacques-Marie Bourget* ont enquêté sur ce minuscule État tribal, obscurantiste et richissime qui, à coup de millions de dollars et de fausses promesses de démocratie, veut jouer dans la cour des grands en imposant partout dans le monde sa lecture intégriste du Coran. Un travail rigoureux et passionnant sur cette dictature molle, dont nous parle Jacques-Marie Bourget.

Écrivain et ancien grand reporter dans les plus grands titres de la presse française, Jacques-Marie Bourget a couvert de nombreuses guerres : le Vietnam, le Liban, le Salvador, la guerre du Golfe, la Serbie et le Kosovo, la Palestine… C’est à Ramallah qu’une balle israélienne le blessera grièvement. Grand connaisseur du monde arabe et des milieux occultes, il publiait en septembre dernier avec le photographe Marc Simon, Sabra et Chatila, au cœur du massacre (Éditions Érick Bonnier, voir Afrique Asie d’octobre 2012)

Nicolas Beau a longtemps été journaliste d’investigation à Libération, au Monde et au Canard Enchainé avant de fonder et diriger le site d’information satirique français, Bakchich. info. Il a notamment écrit des livres d’enquêtes sur le Maroc et la Tunisie et sur Bernard-Henri Lévy.

Qu’est-ce qui vous a amenés à consacrer un livre au Qatar ?

Le hasard puis la nécessité. J’ai plusieurs fois visité ce pays et en suis revenu frappé par la vacuité qui se dégage à Doha. L’on y a l’impression de séjourner dans un pays virtuel, une sorte de console vidéo planétaire. Il devenait intéressant de comprendre comment un État aussi minuscule et artificiel pouvait prendre, grâce aux dollars et à la religion, une telle place dans l’histoire que nous vivons. D’autre part, à l’autre bout de la chaîne, l’enquête dans les banlieues françaises faite par mon coauteur Nicolas Beau nous a immédiatement convaincus qu’il y avait une stratégie de la part du Qatar enfin de maîtriser l’islam aussi bien en France que dans tout le Moyen-Orient et en Afrique. D’imposer sa lecture du Coran qui est le wahhabisme, donc d’essence salafiste, une interprétation intégriste des écrits du Prophète. Cette sous-traitance de l’enseignement religieux des musulmans de France à des imams adoubés par le Qatar nous a semblé incompatible avec l’idée et les principes de la République. Imaginez que le Vatican, devenant soudain producteur de gaz, profite de ses milliards pour figer le monde catholique dans les idées intégristes de Monseigneur Lefebvre, celles des groupuscules intégristes qui manifestent violement en France contre le « mariage pour tous ». Notre société deviendrait invivable, l’obscurantisme et l’intégrisme sont les meilleurs ennemis de la liberté.

Sur ce petit pays, nous sommes d’abord partis pour publier un dossier dans un magazine. Mais nous avons vite changé de format pour passer à celui du livre. Le paradoxe du Qatar, qui prêche la démocratie sans en appliquer une seule once pour son propre compte, nous a crevé les yeux. Notre livre sera certainement qualifié de pamphlet animé par la mauvaise foi, de Qatar bashing… C’est faux. Dans cette entreprise nous n’avons, nous, ni commande, ni amis ou sponsors à satisfaire. Pour mener à bien ce travail, il suffisait de savoir lire et observer. Pour voir le Qatar tel qu’il est : un micro-empire tenu par un potentat, une dictature avec le sourire aux lèvres.

Depuis quelques années, ce petit émirat gazier et pétrolier insignifiant géopolitiquement est devenu, du moins médiatiquement, un acteur politique voulant jouer dans la cour des grands et influer sur le cours de l’Histoire dans le monde musulman. Est-ce la folie des grandeurs ? Où le Qatar sert-il un projet qui le dépasse ?

Il existe une folie des grandeurs. Elle est encouragée par des conseillers et flagorneurs qui ont réussi à convaincre l’émir qu’il est à la fois un tsar et un commandeur des croyants. Mais c’est marginal. L’autre vérité est qu’il faut, par peur de son puissant voisin et ennemi saoudien, que la grenouille se gonfle. Faute d’occuper des centaines de milliers de kilomètres carrés dans le Golfe, le Qatar occupe ailleurs une surface politico-médiatique, un empire en papier. Doha estime que cette expansion est un moyen de protection et de survie.

Enfin il y a la religion. Un profond rêve messianique pousse Doha vers la conquête des âmes et des territoires. Ici, on peut reprendre la comparaison avec le minuscule Vatican, celui du xixe siècle qui envoyait ses missionnaires sur tous les continents. L’émir est convaincu qu’il peut nourrir et faire fructifier une renaissance de la oumma, la communauté des croyants. Cette stratégie a son revers, celui d’un possible crash, l’ambition emportant les rêves du Qatar bien trop loin de la réalité. N’oublions pas aussi que Doha occupe une place vide, celle libérée un temps par l’Arabie Saoudite impliquée dans les attentats du 11-Septembre et contrainte de se faire plus discrète en matière de djihad et de wahhabisme. Le scandaleux passe-droit dont a bénéficié le Qatar pour adhérer à la Francophonie participe à cet objectif de « wahhabisation » : en Afrique, sponsoriser les institutions qui enseignent la langue française permet de les transformer en écoles islamiques, Voltaire et Hugo étant remplacés par le Coran.

Cette mégalomanie peut-elle se retourner contre l’émir actuel ? Surtout si l’on regarde la brève histoire de cet émirat, créé en 1970 par les Britanniques, rythmée par des coups d’État et des révolutions de palais.

La mégalomanie et l’ambition de l’émir Al-Thani sont, c’est vrai, discrètement critiquées par de « vieux amis » du Qatar. Certains, avançant que le souverain est un roi malade, poussent la montée vers le trône de son fils désigné comme héritier, le prince Tamim. Une fois au pouvoir, le nouveau maître réduirait la voilure, notamment dans le soutien accordé par Doha aux djihadistes, comme c’est le cas en Libye, au Mali et en Syrie. Cette option est même bien vue par des diplomates américains inquiets de cette nouvelle radicalité islamiste dans le monde. Alors, faut-il le rappeler, le Qatar est d’abord un instrument de la politique de Washington avec lequel il est lié par un pacte d’acier.

Cela dit, promouvoir Tamim n’est pas simple puisque l’émir, qui a débarqué son propre père par un coup d’État en 1995, n’a pas annoncé sa retraite. Par ailleurs le premier ministre Jassim, cousin de l’émir, le tout-puissant et richissime « HBJ », n’a pas l’intention de laisser un pouce de son pouvoir. Mieux : en cas de nécessité, les États-Unis sont prêts à sacrifier et l’émir et son fils pour mettre en place un « HBJ » dévoué corps et âme à Washington et à Israël. En dépit de l’opulence affichée, l’émirat n’est pas si stable qu’il y paraît. Sur le plan économique, le Qatar est endetté à des taux « européens » et l’exploitation de gaz de schiste est en rude concurrence, à commencer aux États-Unis.

La présence de la plus grande base américaine en dehors des États-Unis sur le sol qatari peut-elle être considérée comme un contrat d’assurance pour la survie du régime ou au contraire comme une épée de Damoclès fatale à plus ou moins brève échéance ?

La présence de l’immense base Al-Udaï est, dans l’immédiat, une assurance vie pour Doha. L’Amérique a ici un lieu idéal pour surveiller, protéger ou attaquer à son gré dans la région. Protéger l’Arabie Saoudite et Israël, attaquer l’Iran. La Mecque a connu ses révoltes, la dernière réprimée par le capitaine Barril et la logistique française. Mais Doha pourrait connaître à son tour une révolte conduite par des fous d’Allah mécontents de la présence du « grand Satan » en terre wahhabite.

Ce régime, moderne d’apparence, est en réalité fondamentalement tribal et obscurantiste. Pourquoi si peu d’informations sur sa vraie nature ?

Au risque de radoter, il faut que le public sache enfin que le Qatar est le champion du monde du double standard : celui du mensonge et de la dissimulation comme philosophie politique. Par exemple, des avions partent de Doha pour bombarder les taliban en Afghanistan alors que ces mêmes guerriers religieux ont un bureau de coordination installé à Doha, à quelques kilomètres de la base d’où décollent les chasseurs partis pour les tuer. Il en va ainsi dans tous les domaines, et c’est le cas de la politique intérieure de ce petit pays.

Regardons ce qui se passe dans ce coin de désert. Les libertés y sont absentes, on y pratique les châtiments corporels, la lettre de cachet, c’est-à-dire l’incarcération sans motif, est une pratique courante. Le vote n’existe que pour nommer une partie des conseillers municipaux, à ceci près que les associations et partis politiques sont interdits, tout comme la presse indépendante… Une Constitution qui a été élaborée par l’émir et son clan n’est même pas appliquée dans tous ses articles. Le million et demi de travailleurs étrangers engagés au Qatar s’échinent sous le régime de ce que des associations des droits de l’homme qualifient « d’esclavage ». Ces malheureux, privés de leurs passeports et payés une misère, survivent dans les camps détestables sans avoir le droit de quitter le pays. Nombre d’entre eux, accrochés au béton des tours qu’ils construisent, meurent d’accidents cardiaques ou de chutes (plusieurs centaines de victimes par an).

La « justice », à Doha, est directement rendue au palais de l’émir, par l’intermédiaire de juges qui le plus souvent sont des magistrats mercenaires venus du Soudan. Ce sont eux qui ont condamné le poète Al-Ajami à la prison à perpétuité parce qu’il a publié sur Internet une plaisanterie sur Al-Thani ! Observons une indignation à deux vitesses : parce que cet homme de plume n’est pas Soljenitsyne, personne n’a songé à défiler dans Paris pour défendre ce martyr de la liberté. Une anecdote : cette année, parce que son enseignement n’était pas « islamique », un lycée français de Doha a tout simplement été retiré de la liste des institutions gérées par Paris.

Arrêtons là car la situation du droit au Qatar est un attentat permanent aux libertés.

Pourtant, et l’on retombe sur le fameux paradoxe, Doha n’hésite pas, hors de son territoire, à prêcher la démocratie. Mieux, chaque année un forum se tient sur ce thème dans la capitale. Son titre, « New or restaured democracy » alors qu’au Qatar il n’existe de démocratie ni « new » ni « restaured »… Selon le classement de The Economist, justement en matière de démocratie, le Qatar est 136e sur 157e États, classé derrière le Bélarusse. Bizarrement, alors que toutes les bonnes âmes fuient le dictateur moustachu Loukachenko, personne n’éprouve honte ou colère à serrer la main d’Al-Thani. Et le Qatar, qui est aussi un enfer, n’empêche pas de grands défenseurs des droits de l’homme, notamment français, de venir bronzer, invités par Doha, de Ségolène Royal à Najat Vallaud-Belkacem, de Dominique de Villepin à Bertrand Delanoë.

Comment un pays qui est par essence antidémocratique se présente-t-il comme le promoteur des printemps arabes et de la liberté d’expression ?

Au regard des « printemps arabes », où le Qatar joue un rôle essentiel, il faut observer deux phases. Dans un premier temps, Doha hurle avec les peuples justement révoltés. On parle alors de « démocratie et de liberté ». Les dictateurs mis à terre, le relais est pris par les Frères musulmans, qui sont les vrais alliés de Doha. Et on oublie les slogans d’hier. Comme on le dit dans les grandes surfaces, « liberté et démocratie » n’étaient que des produits d’appel, rien que de la « com ».

Si l’implication du Qatar dans les « printemps » est apparue comme une surprise, c’est que la stratégie de Doha a été discrète. Depuis des années l’émirat entretient des relations très étroites avec des militants islamistes pourchassés par les potentats arabes, mais aussi avec des groupes de jeunes blogueurs et internautes auxquels il a offert des stages de « révolte par le Net ». La politique de l’émir était un fusil à deux coups. D’abord on a envoyé au « front » la jeunesse avec son Facebook et ses blogueurs, mains nues face aux fusils des policiers et militaires. Ceux-ci défaits, le terrain déblayé, l’heure est venue de mettre en poste ces islamistes tenus bien au chaud en réserve, héros sacralisés, magnifiés en sagas par Al-Jazeera.

Comment expliquez-vous l’implication directe du Qatar d’abord en Tunisie et en Libye, et actuellement en Égypte, dans le Sahel et en Syrie ?

En Libye, nous le montrons dans notre livre, l’objectif était à la fois de restaurer le royaume islamiste d’Idriss tout essayant de prendre le contrôle de 165 milliards, le montant des économies dissimulées par Kadhafi. Dans le cas de la Tunisie et de l’Égypte, il s’agit de l’application d’une stratégie froide du type « redessinons le Moyen-Orient », digne des « néocons » américains. Mais, une fois encore, ce n’est pas le seul Qatar qui a fait tomber Ben Ali et Moubarak ; leur chute a d’abord été le résultat de leur corruption et de leur politique tyrannique et aveugle.

Au Sahel, les missionnaires qataris sont en place depuis cinq ans. Réseaux de mosquées, application habile de la zaqat, la charité selon l’islam, le Qatar s’est taillé, du Niger au Sénégal, un territoire d’obligés suspendus aux mamelles dorées de Doha. Plus que cela, dans ce Niger comme dans d’autres pays pauvres de la planète le Qatar a acheté des centaines de milliers d’hectares transformant ainsi des malheureux affamés en « paysans sans terre ». À la fin de 2012, quand les djihadistes ont pris le contrôle du Nord-Mali, on a noté que des membres du Croissant-Rouge qatari sont alors venus à Gao prêter une main charitable aux terribles assassins du Mujao…

La Syrie n’est qu’une extension du domaine de la lutte avec, en plus, une surenchère : se montrer à la hauteur de la concurrence de l’ennemi saoudien dans son aide au djihad. Ici, on a du mal à lire clairement le dessein politique des deux meilleurs amis du Qatar, les États-Unis et Israël, puisque Doha semble jouer avec le feu de l’islamisme radical…

Le Fatah accuse le Qatar de semer la zizanie et la division entre les Palestiniens en soutenant à fond le Hamas, qui appartient à la nébuleuse des Frères musulmans. Pour beaucoup d’observateurs, cette stratégie ne profite qu’à Israël. Partagez-vous cette analyse ?

Quand on veut évoquer la politique du Qatar face aux Palestiniens, il faut s’en tenir à des images. Tzipi Livni, qui fut avec Ehud Barak la cheville ouvrière, en 2009, de l’opération Plomb durci sur Gaza – 1 500 morts – fait régulièrement ses courses dans les malls de Doha. Elle profite du voyage pour dire un petit bonjour à l’émir. Un souverain qui, lors d’une visite discrète, s’est rendu à Jérusalem pour y visiter la dame Livni… Souvenons-nous du pacte signé d’un côté par HBJ et le souverain Al-Thani et de l’autre les États-Unis : la priorité est d’assister la politique d’Israël. Quand le « roi » de Doha débarque à Gaza en promettant des millions, c’est un moyen d’enferrer le Hamas dans le clan des Frères musulmans pour mieux casser l’unité palestinienne. C’est une politique pitoyable. Désormais, Mechaal, réélu patron du Hamas, vit à Doha dans le creux de la main de l’émir. Le rêve de ce dernier – le Hamas ayant abandonné toute idée de lutte – est de placer Mechaal à la tête d’une Palestine qui se situerait en Jordanie, le roi Abdallah étant déboulonné. Israël pourrait alors s’étendre en Cisjordanie. Intéressante politique-fiction.

Le Qatar a-t-il « acheté » l’organisation de la Coupe du monde football en 2022 ?

Un grand et très vieil ami du Qatar m’a dit : « Le drame avec eux, c’est qu’ils s’arrangent toujours pour que l’on dise “cette fois encore, ils ont payé !” » Bien sûr, il y a des soupçons. Remarquons que les fédérations sportives sont si sensibles à la corruption que, avec de l’argent, acheter une compétition est possible. On a connu cela avec des jeux Olympiques étrangement attribués à des outsiders…

Dans le conflit frontalier entre le Qatar et le Bahreïn, vous révélez que l’un des juges de la Cour internationale de justice de La Haye aurait été acheté par le Qatar. L’affaire peut-elle être rejugée à la lumière de ces révélations ?

Un livre – sérieux celui-là – récemment publié sur le Qatar évoque une manipulation possible lors du jugement arbitral qui a tranché le conflit frontalier entre le Qatar et Bahreïn. Les enjeux sont énormes puisque, sous la mer et les îlots, se trouve du gaz. Un expert m’a déclaré que cette révélation pouvait être utilisée pour rouvrir le dossier devant la Cour de La Haye…

Les liaisons dangereuses et troubles entre la France de Sarkozy et le Qatar se poursuivent avec la France de Hollande. Comment expliquez-vous cette continuité ?

Parler du Qatar, c’est parler de Sarkozy, et inversement. De 2007 à 2012, les diplomates et espions français en sont témoins, c’est l’émir qui a réglé la « politique arabe » de la France. Il est amusant de savoir aujourd’hui que Bachar al-Assad a été l’homme qui a introduit la « sarkozie » auprès de celui qui était alors son meilleur ami, l’émir du Qatar. Il n’y a pas de bonne comédie sans traîtres. Kadhafi était, lui aussi, un grand ami d’Al-Thani et c’est l’émir qui a facilité l’amusant séjour du colonel et de sa tente à Paris. Sans évoquer les affaires incidentes, comme l’épopée de la libération des infirmières bulgares. La relation entre le Qatar et Sarkozy a toujours été sous-tendue par des perspectives financières. Aujourd’hui Doha promet d’investir 500 millions de dollars dans le fonds d’investissement que doit lancer l’ancien président français à Londres. Échange de bons procédés, ce dernier fait de la propagande ou de la médiation dans les aventures, notamment sportives, du Qatar.

François Hollande, par rapport au Qatar, s’est transformé en balancier. Un jour le Qatar est « un partenaire indispensable », qui a sauvé dans son fief de Tulle la fabrique de maroquinerie le Tanneur, le lendemain, il faut prendre garde de ses amis du djihad. Aucune politique n’est fermement dessinée et les diplomates du Quai-d’Orsay, nommés sous Sarkozy, continuent de jouer le jeu d’un Doha qui doit rester l’ami numéro 1. En période de crise, les milliards miroitants d’Al-Thani impliquent aussi une forme d’amitié au nom d’un slogan faux et ridicule qui veut que le Qatar « peut sauver l’économie française »… La réalité est plus plate : tous les investissements industriels de Doha en France sont des échecs… Reste le placement dans la pierre, vieux bas de laine de toutes les richesses. Notons là encore un pathétique grand écart : François Hollande a envoyé son ministre de la Défense faire la quête à Doha afin de compenser le coût de l’opération militaire française au Mali, conduite contre des djihadistes très bien vus par l’émir.

Majed Nehmé

http://www.afrique-asie.fr/menu/actualite/70-points-chauds/5510-le-qat...

* Le Vilain Petit Qatar – Cet ami qui nous veut du mal, Jacques-Marie Bourget et Nicolas Beau, Éd. Fayard, 300 p., 19 euros

URL de cet article 20343
http://www.legrandsoir.info/le-qatar-champion-du-mensonge-et-de-la-dissimulation.html

The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

Wayne MADSEN:

Ex: Strategic-Culture.org

The Ties That Bind Washington to Chechen Terrorists

To scan the list of major American supporters of the Chechen secessionist movement, which at some points can hardly be distinguished from Chechen terrorists financed by U.S. allies Saudi Arabia and Qatar, is to be reminded of some of the most notorious U.S. Cold War players.

Evidence is mounting that the accused dead Boston Marathon bomber Tamerlan Tsarnaev, allegedly killed during an April 19 shootout with police in Watertown, Massachusetts, became a «radicalized» Muslim while participating in a covert CIA program, run through the Republic of Georgia, to destabilize Russia's North Caucasus region… The ultimate goal of the CIA's campaign was for the Muslim inhabitants of the region to declare independence from Moscow and tilt toward the U.S. Wahhabi Muslim-run governments of Saudi Arabia and Qatar.

The Western corporate media largely ignored an important story reported from Izvestia in Moscow: that Tamerlan Tsarnaev attended seminars run by the Caucasus Fund of Georgia, a group affiliated with the neo-conservative think tank, the Jamestown Foundation, between January and July 2012. The U.S. media reported that during this six month time frame, Tsarnaev was being radicalized by Dagestan radical imam «Abu Dudzhan», killed in a fight with Russian security forces in 2012. Tsarnaev also visited Dagestan in 2011. 

However, in documents leaked from the Georgian Ministry of Internal Affairs' Counterintelligence Department, Tsarnaev is pinpointed as being in Tbilisi taking part in «seminars» organized by the Caucasus Fund, founded during the Georgian-South Ossetian war of 2008, a war started when Georgian troops invaded the pro-Russian Republic of South Ossetia during the Beijing Olympics. Georgia was supported militarily and with intelligence support by the United States and Israel, and the American support included U.S. Special Forces advisers on the ground in Georgia. The Georgian intelligence documents indicate Tsarnaev attended the Jamestown Foundation seminars in Tbilisi.

The Jamestown Foundation is part of a neo-conservative network that re-branded itself after the Cold War from being anti-Soviet and anti-Communist to one that is anti-Russian and “pro-democracy.” The network not only consists of Jamestown and the Caucasus Fund but also other groups funded by the U.S. Agency for International Development (USAID) and George Soros’ Open Society Institute (OSI).

Georgia has become a nexus for the U.S. aid to the Russian opposition trying to oust President Vladimir Putin and his supporters from power. In March [2010], Georgia sponsored, with CIA, Soros, and British MI-6 funds, a conference titled 'Hidden Nations, Enduring Crimes: The Circassians and the People of the North Caucasus Between Past and Future.' Georgia and its CIA, Soros, and British intelligence allies are funneling cash and other support for secessionism by ethnic minorities in Russia, including Circassians, Chechens, Ingushetians, Balkars, Kabardins, Abaza, Tatars, Talysh, and Kumyks».

The March 21, 2010 conference in Tbilisi was organized by the Jamestown Foundation and the International School of Caucasus Studies at Ilia State University in Georgia. If Georgian counter-intelligence documents have Tamerlan Tsarnaev attending Jamestown conferences in Tbilisi in 2011, could the Russian FSB have tracked him to the Jamestown Hidden Nations seminar in March 2010? In any event, a year later the FSB decided to contact the FBI about Tsarnaev's ties to terrorists.

The first Russian request to the FBI came via the FBI's Legal Attache's office at the U.S. embassy in Moscow in March 2011. It took the FBI until June of 2011 to conclude that Tamerlan posed no terrorist threat but it did add his name to the Treasury Enforcement Communications System, or TECS, which monitors financial information such as bank accounts held abroad and wire transfers. In September 2011, Russian authorities, once again, alerted the U.S. of their suspicions about Tamerlan. The second alert went to the CIA. By September 2011, Russian security agencies were well aware that the Hidden Nations seminar held a year earlier was a CIA-sponsored event that was supported by the Mikheil Saakashvili government in Georgia and that other similar meetings had been held and were planned, including the one that Tamerlan Tsarnaev was to attend in Tbilisi in January 2012. 

At some point in time after the first Russian alert and either before or after the second, the CIA entered Tamerlan's name into the Terrorist Identities Datamart Environment list (TIDE), a database with more than 750,000 entries that is maintained by the National Counterterrorism Center in McLean, Virginia.

The Jamestown Foundation is a long-standing front operation for the CIA, it being founded, in part, by CIA director William Casey in 1984. The organization was used as an employer for high-ranking Soviet bloc defectors, including the Soviet Undersecretary General of the UN Arkady Shevchenko and Romanian intelligence official Ion Pacepa. The Russian domestic Federal Security Bureau and the SVR foreign intelligence agency have long suspected Jamestown of helping to foment rebellions in Chechnya, Ingushetia, and other north Caucasus republics. The March 21 Tbilisi conference on the north Caucasus a few days before the Moscow train bombings has obviously added to the suspicions of the FSB and SVR. 

Jamestown's board includes such Cold War era individuals as Marcia Carlucci; wife of Frank Carlucci, the former CIA officer, Secretary of Defense, and Chairman of The Carlyle Group [Frank Carlucci was also one of those who requested the U.S. government to allow former Chechen Republic 'Foreign Minister' Ilyas Akhmadov, accused by the Russians of terrorist ties, to be granted political asylum in the U.S. after a veto from the Homeland Security and Justice Departments], anti-Communist book and magazine publisher Alfred Regnery; and Caspar Weinberger's Deputy Assistant Secretary of Defense for Public Affairs Kathleen Troia «KT» McFarland. Also on the board is former Oklahoma GOP Governor Frank Keating, the governor at the time of the 1995 Murrah Federal Building bombing.

Cooperating with Jamestown in not only its north and south Caucasus information operations, but also in Moldovan, Belarusian, Uighur, and Uzbekistan affairs, is George Soros's ubiquitous Open Society Institute, another cipher for U.S. intelligence and global banking interests. Soros's Central Eurasia Project has sponsored a number of panels and seminars with Jamestown.

Russian security indicated in their first communication with the FBI that Tamerlan Tsarnaev had changed drastically since 2010. That change came after the Hidden Nations conference in Tbilisi. U.S. support for Chechen and North Caucasus secession came as a result of a public statement on August 2008 by GOP presidential candidate John McCain that «after Russia illegally recognized the independence of South Ossetia and Abkhazia, Western countries ought to think about the independence of the North Caucasus and Chechnya».

Upon becoming President in 2009, Barack Obama adopted McCain's proposal and authorized CIA support for North Caucasus secessionists and terrorists with money laundered through the USAID, the National Endowment for Democracy, Soros's Open Society Institute, Freedom House, and the Jamestown Foundation. In January 2012, Obama appointed a Soros activist and neocon, Michael McFaul of the right-wing Hoover Institution at Stanford University, as U.S. ambassador to Moscow. McFaul immediately threw open the doors of the U.S. embassy to a variety of Russian dissidents, including secessionists from the North Caucasus, some of whom were suspected by the Russian FSB of ties to Islamist terrorists.

Whether Tamerlan Tsarnaev was always a CIA asset and participated in a “false flag” operation in Boston and became an unwitting “patsy” in a CIA plot, much like “U.S. Marine “defector” to the Soviet Union Lee Harvey Oswald became a “patsy” in President Kennedy’s assassination, or he was indeed radicalized in an attempt to infiltrate him into the ranks of the Caucasus Emirate and decided to defect and carry out a terrorist attack against the United States may never be known. If the latter is the case, Tsarnaev is much like Osama Bin Laden, once a CIA fighter in the field in Afghanistan who allegedly decided to launch a jihad against the United States. If Tsarnaev was a “patsy” like Oswald, that might explain the setting off of an incendiary device at the John F. Kennedy Library in Boston ten minutes after the twin bombings at the Boston Marathon. After Boston Police stated the fire was caused by an explosion, the Boston Fire Department went into cover-up mode and tried to claim the fire could have been caused by someone tossing a cigarette on to flammable material.




Republishing is welcomed with reference to Strategic Culture Foundation on-line journal www.strategic-culture.org.

Italia sotto attacco

Italia sotto attacco

Marco della Luna: quinte colonne della finanza internazionale presenti nel governo

Federico Dal Cortivo

Federico Dal Cortivo ha intervistato Marco Della Luna, autore del libro “Traditori al governo? Artefici, complici e strategie della nostra rovina”. L’Italia è oramai da anni sotto attacco, non militare, non ve ne è bisogno essendo la penisola dalla fine della Seconda Guerra Mondiale occupata militarmente dagli Stati Uniti, ma economicamente.Gli obiettivi fin troppo chiari: distruggere completamente il sistema Italia che era fatto anche d’imprese anche a partecipazione statale, lo Stato sociale, le regole del mondo del lavoro, la previdenza pubblica e la sanità, la scuola e l’università dello Stato e infine mettere le mani sul nostro patrimonio economico, colonizzando definitivamente la penisola.
 
Avv. Della Luna lei ha recentemente pubblicato un saggio da titolo eloquente, “Traditori al governo”, nel quale analizza in modo esauriente le dinamiche e i personaggi che hanno portato la nostra nazione al punto in cui si trova oggi dopo l’ultimo governo tecnico di Mario Monti . Quali sono stati a suo avviso i passaggi fondamentali che ci hanno portato alla situazione attuale di grave crisi economica?
Le principali tappe della rovina voluta, e finalizzata a dissolvere il tessuto produttivo del Paese, desertificandolo industrialmente e assoggettandolo alla gestione via centrali bancarie fuori dai suoi confini, onde farne territorio di conquista per capitali stranieri, sono i seguenti:
- la progressiva e totale privatizzazione-divorzio dal Ministero del Tesoro della proprietà e della gestione della Banca d’Italia, con l’affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato (operazione avviata con Ciampi e Andreatta negli anni Ottanta);
- l’immediato, conseguente raddoppio del debito pubblico (da 60 a 120% del pil) a causa della moltiplicazione dei tassi, e la creazione di una ricattabilità politica strutturale del Paese da parte della finanza privata;
- la svendita agli amici/complici e ai più ricchi e potenti, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti per le grandi industrie straniere;
- la privatizzazione, con modalità molto “riservate”, ma col favore di quasi tutto l’arco politico, della Banca d’Italia per mezzo della privatizzazione delle banche di credito pubblico (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d’Italia);
- la riforma Draghi-Prodi che nel 1999 ha autorizzato le banche di credito e risparmio alle scommesse speculative in derivati usando i soldi dei risparmiatori e alle cartolarizzazioni di mutui anche fasulli, come i subprime loans americani;
- l’apertura delle frontiere alla concorrenza sleale dei Paesi che producono schiavizzando i lavoratori e bruciando l’ambiente;
- l’adesione a tre successivi sistemi monetari – negli anni Settanta, Ottanta e Novanta – che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi partecipanti – anche l’Euro non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete – con l’effetto di far perdere competitività, industrie e capitali ai paesi meno competitivi in favore di quelli più competitivi, che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli.
Da ultimo, le misure fiscali del governo Monti-Napolitano-ABC, che, tra le altre cose, hanno depresso i consumi,hanno messo in fuga verso l’estero centinaia di miliardi, svuotando il Paese di liquidità; hanno distrutto il 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano, paralizzato il mercato immobiliare così che imprese e famiglie non possono più usare gli immobili per ottenere credito, e l’economia è rimasta senza liquidità, con insolvenze che schizzano al 30% e oltre..
 
Nel suo libro lei parla senza mezzi termini di “tradimento”, di quinte colonne che, neppure camuffate, operano all’interno dei governi per agevolare l’opera di conquista economica, che si traduce anche in politica, dell’Italia. Personaggi che devono avere dei requisiti ben precisi a suo avviso, ce ne può parlare?
Ma io nego che siano definibili “traditori”. Sono piuttosto definibili “nemici”, perché fanno gli interessi stranieri contro quelli nazionali, in modo scoperto. Definisco traditori, invece, i dirigenti dell’ex PCI che sono passati al servizio del capitalismo finanziario sregolato e collaborano con esso alla costruzione di una società e di un nuovo ordinamento nazionale e mondiale al servizio di esso, tradendo il loro elettorato. A dirla tutta, però, non ci sono nemici né traditori: l’Italia è un Paese tanto radicalmente mal assortito e tanto irrimediabilmente entropizzato, che l’unica cosa che razionalmente se ne può fare è ciò che quei signori ne stanno facendo, lasciando ai giovani, ai ricercatori, agli imprenditori la possibilità di emigrare verso paesi più funzionanti. Quindi sono assolti, anche moralmente.
 
Ci dica di Mario Monti e dell’altro Mario, quel Draghi che regge la BCE. Ambedue hanno prestato i loro servizi… alla stessa banca d’affari, la Goldman Sachs. A quali poteri, economici e non, rispondono realmente questi figuri? Per il primo si può ipotizzare oggi il reato di Alto Tradimento?
Per quali interessi lavorino è nella loro storia obiettiva… non è un mistero. Ciò vale anche per Romano Prodi, altra carriera con Goldman Sachs: quando non era suo advisor, era al governo e la nominava advisor del governo per le privatizzazioni… pensiamo specialmente a quella della Banca d’Italia… sono tutte storie di vita e lavoro convergenti… dirlo ieri poteva suonare ardito e fantasioso, dirlo oggi suona per contro ovvio. Il reato di alto tradimento, previsto dall’art. 77 del Codice Penale Militare di Pace, presuppone che l’autore del fatto sia un militare; altra ipotesi di questo reato è quella enunciata dall’art. 90 della costituzione, in relazione al solo capo dello Stato. Quindi un civile in generale, e in particolare un premier, può commettere il reato di alto tradimento solo in concorso o con un militare o col capo dello Stato. Altrimenti, a un civile diverso dal capo dello Stato si possono ipotizzare altri reati, di attentato alla Costituzione e all’indipendenza della Repubblica, commessi con la violenza consistita nel sottoporre il Paese e il popolo a gravi sofferenze e minacce economiche per indurlo a modificare il suo ordinamento costituzionale e a cedere la sua sovranità sancita dall’art. 1 della Costituzione.
 
E veniamo al Presidente Giorgio Napolitano, ha favorito la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, posto sotto ricatto dalla famosa lettera della BCE ,con la quali si ordinava all’Italia di prendere tutta una serie di misure antisociali per favorire i “mercati”. Che ruolo ha avuto e ha tutt’ora colui che fin dai tempi del PCI aveva ottimi rapporti con gli Stati Uniti e quali sono i suoi legami con i poteri finanziari e massonici?
Dico che non so se e che legami abbia coi poteri finanziari forti e con le massonerie. E direi così anche se li conoscessi. Quando si parla di un presidente della Repubblica, bisogna stare attenti. A meno che si parli da un Paese estero, sotto la protezione di un’altra bandiera. Da dove sono, posso dire che egli si intende di macroeconomia, quindi capiva e capisce ciò che stava e sta avvenendo, e che effetti hanno certe manovre.
 
Per un attimo un passo indietro, certe cose non sono solo di oggi come lei ben saprà. Come giudica i precedenti governi, sia di centrosinistra sia di centrodestra, che nulla hanno fatto per tutelare gli interessi nazionali negli ultimi decenni? Si potrebbe, a suo avviso, far partire la loro “negligenza” (ma meglio starebbe il termine “tradimento” degli interessi nazionali) da quella famosa riunione a bordo del panfilo reale Britannia al largo di Civitavecchia nel giugno 1992?
 
Facendo seguito alla mia prima risposta direi che la partitocrazia italiana, complessivamente, dalla fine degli anni ‘70, lavora per rendere il Paese territorio di conquista per i capitali stranieri, come ho già detto. Ciò ha fatto e sta facendo soprattutto la sinistra sotto la copertura di due concetti, quelli del riformismo e dell’europeismo.
 
E veniamo alla cura proposta dalle teste d’uovo di Bruxelles, del FMI e dalla BCE: pareggio di bilancio, privatizzazioni, tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni, riforma del lavoro ecc. Queste cose dove sono state messe in pratica non hanno certo portato prosperità per i popoli, bensì solo per i cosiddetti mercati, che non sono di certo un entità aliena. Ce ne può parlare?
La parola “riformismo”, di cui tutti si riempiono oggi la bocca, ha avuto, dopo la metà degli anni ‘70, un’inversione di significato: dapprima, dalla seconda rivoluzione industriale, e anche nella Carta Costituzionale del 1948, e ancora nello Statuto dei Lavoratori, “riformismo” significava riforma della proprietà agraria per porre fine allo sfruttamento dei contadini da parte dei latifondisti; significava diritti sindacali, previdenziali e di sciopero per por fine allo sfruttamento degli operai da parte dei grandi imprenditori; significava contrastare le sperequazioni di reddito, diritti e opportunità tra lavoratori e capitale finanziario; significava consapevolezza del crescente strapotere delle corporations e del capitalismo rispetto ai cittadini, ai lavoratori, agli elettori, ai risparmiatori, ai piccoli proprietari, degli invalidi (uno strapotere che oggi è moltiplicato dalla globalizzazione e dal carattere apolide della grande finanza). Era un riformismo per la solidarietà, l’equa distribuzione delle opportunità e del reddito, l’accessibilità al lavoro e alla proprietà privata. Da tutto ciò l’art. 1 con la Repubblica fondata sul lavoro; l’art. 3 con la parità dei cittadini e l’obbligo di rimuovere gli ostacoli anche economici che, di fatto, limitano questa parità; gli artt. 35-40 con la tutela del lavoro; l’art. 41, che vieta l’iniziativa economica che sia contro l’interesse sociale o la sicurezza e dignità umane, stabilendo che la legge possa indirizzarla ai fini collettivi; l’art. 42 che assicura le funzioni sociali della proprietà; l’art. 43 che prevede l’esproprio nel pubblico interesse; etc.; fino all’art. 47, che tutela il risparmio, e non le maxifrodi ai danni dei risparmiatori, e i bonus e le cariche pubbliche in favore di chi le ordisce.
Dalla fine degli anni ‘70, “riformismo” ha preso a significare esattamente l’inverso, ossia la demolizione di tutto quanto sopra al fine, dichiarato, di togliere ogni limitazione alla possibilità di azione e profitto del capitale finanziario, della proprietà privata, della privatizzazione di beni e compiti pubblici, sul presupposto che ciò genererà più ricchezza, più equità, più produzione, più occupazione, più libertà, più stabilità, più razionale allocazione delle risorse. Con i risultati che vediamo: crescente estrazione della ricchezza prodotta dalla società da parte di cartelli e oligopoli multinazionali, anzi soprannazionali. È la linea, come dicevo, della scuola economica di Chicago, del Washington Consensus, della CIA, di Thatcher, Reagan, etc. E dell’europeismo. Ma nonostante questi risultati, i vari Monti, Draghi, Rehn, Merkel e compagnia bella non fanno che ripetere che bisogna continuare sulla via delle riforme, altrimenti non c’è speranza, e se qualcosa non funziona, è appunto perché le riforme non sono state abbastanza risolute e complete. In realtà personaggi come la Merkel non sono tanto ottusi da non capire che il modello è radicalmente sbagliato e devastatore, ma alcuni paesi, Germania in testa, traggono vantaggio da esso in quanto la sua applicazione colpisce in modi diversi quei medesimi Paesi e altri, come l’Italia; e l’effetto di tale diversità è che esso, come già detto, spinge capitali, imprese e lavoratori qualificati a trasferirsi nei Paesi più forti, depauperando i più deboli ed eliminandoli come concorrenti. Se vi prendete qualche minuto e leggete attentamente i suddetti articoli della Costituzione, che regolano la sovranità e i rapporti e valori socio-economici, noterete, forse con stupore, che tutto il percorso di riforme in materia di moneta, finanza, lavoro, Banca d’Italia, sistema monetario europeo (Maastricht), globalizzazioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, cartolarizzazioni, finanziarizzazione dell’economia – tutto, dico, è costituzionalmente illegittimo perché va esattamente, intenzionalmente e organicamente contro quelle norme costituzionali e contro lo stesso impianto sociale e valoriale e teleologico della Costituzione, che è appunto teso all’esclusione dell’attività imprenditoriale contraria all’interesse della società e alla realizzazione di una parità anche sostanziale dei cittadini in un quadro di solidarietà e di sicurezza in fatto di lavoro, reddito, servizi, pensioni. E non di “casinò” speculativo che comanda il Paese da piattaforme finanziarie estere attraverso il potere del rating e della manipolazione dei mercati, decidendo irresponsabilmente e insindacabilmente come si debba vivere e morire e governare.

È un disegno eversivo della Costituzione. Illecito. A esso hanno collaborato attivamente quasi tutti i “rappresentanti” del popolo, soprattutto la sinistra parlamentare. Senza farlo capire al popolo, ovviamente. Qui sta il conflitto di interessi vero. L’incompatibilità assoluta con le cariche pubbliche. Quindi i veri e primi incandidabili, ineleggibili, portatori di conflitto di interessi sono proprio i leaders della sinistra, assieme a Monti e Draghi: tra i vivi, Prodi, Bersani, Amato…
 
Lei parla di “ sacrifici senza prospettive e di “ sogno che la crisi finisca”, ma non vede la luce in fondo al tunnel? Eppure Monti e i suoi sodali ci hanno ripetuto fino alla nausea che siamo in ripresa… e che bisogna avere fiducia nei “mercati”. Lei contesta le linee economiche e fiscali imposte all’Italia dai paladini del “libero mercato”. Ci spieghi perché.
L’Italia è vicina alla fine, lo ha detto anche Squinzi il 24 marzo parlando al premier incaricato Bersani. Gli indici sono tutti al peggio, e vengono frequentemente corretti al peggioramento. Non vi è outlook di ripresa. Le migliori risorse del Paese – capitali, imprenditori, cervelli – se ne sono andate o se ne stanno andando. Chi dice che l’Italia stia riprendendosi, o è pazzo o mente. Secondo la tesi adottata dalle istituzioni monetarie, dalla Ue, da quasi tutta la politica che vuole governare, il libero mercato spontaneamente realizzerebbe l’ottimale impiego delle risorse e l’ottimale distribuzione dei redditi, inoltre automaticamente preverrebbe o riassorbirebbe le crisi. I fatti hanno clamorosamente smentito questa tesi. Del resto quella tesi valeva per i mercati dell’economia reale, non per i mercati della speculazione e dell’azzardo della finanza, che sono un’altra cosa.
O meglio, il libero mercato non esiste, perché per essere libero un mercato dovrebbe essere trasparente (cioè con operatori visibili, eleggibili dentro), non dominato da cartelli, non influenzato da asimmetrie informative, etc. etc. I mercati reali sono dominati, cioè manipolati, da cartelli di soggetti che approfittano di enormi asimmetrie informative (anche in fatto di tecnologie), che si mantengono opachi (anche FMI, BCE, Ue, Tesoro Usa, hedge funds, grandi banche…).
E che influenzano, pagandole o ricattandole, le funzioni politiche
 
Nel suo libro non disdegna di toccare la vicenda MPS,l a famosa banca senese da sempre nell’orbita della sinistra, fatti che al momento sembrano essere stati messi a tacere, con una Magistratura tutta impegnata nell’attacco a tutto campo contro Berlusconi. Chi sono i protagonisti principali e perché si è arrivati a questo, e il ruolo del duo Draghi-Monti e del PD di Bersani? Un Bersani che oramai interpreta da tempo, così come tutta la sinistra italiana, il ruolo di “mosca cocchiera dei poteri finanziari antinazionali”.
Volete i protagonisti principali? È una cerchia di nomi che potete individuare ricercando gli amministratori e i beneficiari effettivi di società derivate, di controllo, di gestione, cessionarie di rami di aziende, sicav, siv, stichtingen,… società che ricevono strani e grandi prestiti da banche in condizioni sospette… andate a consultare il Cerved, farete molte interessanti scoperte. E, per i bilanci, guardate in Cebi…Draghi ha prestato in segreto 2 miliardi a MPS già in crisi di liquidità a seguito non solo dell’acquisto di Antonveneta per un multiplo del suo dubbio valore, ma anche per una storia precedente di molti mutui concessi a soggetti che si sapeva non avrebbero pagato, e per le storie Myway e 4you, e per l’acquisizione della Banca del Salento (121)… e Monti presta 4 miliardi pubblici a MPS che in banca ne capitalizza 2,7.
Bisogna salvare MPS, l’ho detto dal mio primo articolo su di esso, del 29.06.11, ma salviamola per farne una banca nazionale di finanziamento all’economia produttiva, non solo per proteggere interessi privati o di uomini politici.
 
Avv. Della Luna i rimedi esistono per uscire da questa situazione, il mercato non è il destino dell’uomo, come non lo sono le banche, le vie alternative al capitalismo esistono, mancano oggi probabilmente gli uomini in grado d’applicarle in Italia e in Europa. Altrove i popoli hanno intrapreso una marcia diversa, e buona parte dell’America Latina ne è un esempio, questo a pochi giorni dalla morte del Presidente della repubblica Bolivariana del Venezuela Chávez, che certamente ha tracciato una via chiara di socialismo del XXI Secolo. Lei che misure adotterebbe per uscire da questo giro infernale usuraio in cui siamo precipitati?
Dalle situazioni non si esce per applicazione razionale e intenzionale di rimedi condivisi, ma perché una situazione si rompe e si cade in un’altra situazione. Non è questione di uomini. Anche il capitalismo finanziario assoluto si romperà, e io mi aspetto che ciò avvenga sia perché il tipo di mondo che esso costruisce per massimizzare la propria efficienza è incompatibile con la vita umana (troppa incertezza, violenza, mutevolezza), sia per effetto della incontrollabile accelerazione e autonomizzazione dei processi informatizzati attraverso cui si realizza lo high frequency computerized algotrading – una rete cibernetica capace di imparare e, in prospettiva, di sfuggire di mano.
 
www.europeanphoenix.com


30 Marzo 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20032

jeudi, 09 mai 2013

Rassegna Stampa - Maggio 2013/2

Rassegna Stampa: articoli in primo piano (Maggio 2013/2)
 

Jean Aziz et le face à face Iran – Arabie Saoudite au Liban et en Syrie

Jean Aziz et le face à face Iran – Arabie Saoudite au Liban et en Syrie

La thèse que je défends sur ce blog est que la crise syrienne a dès le départ donné lieu à une immixtion de forces étrangères à ce pays ; des forces qui ont engagé très tôt une action violente, parfois très professionnelle, contre l’appareil policier et militaire du régime.

Ces forces étrangères, non contentes d’armer militairement et d’outiller dans la guerre médiatique des citoyens syriens, qu’ils appartiennent à la mouvance des Frères Musulmans, du wahabbisme ou tout simplement à celle de ceux qui pensent que leur avenir personnel ou celui de leur clan pourrait être plus radieux sans Bachar al-Assad, ont fait venir des mercenaires de Turquie, de Jordanie, et même de Tunisie, de Tchétchénie et d’Europe (je ne parle pas là de Syriens résidant en Europe).

Il va sans dire que ceux qui espéraient une démocratisation de la vie politique en Syrie en sont pour leurs frais.

Jean Aziz, qu’on a déjà croisé sur ce blog, grossit peut-être un peu le trait, mais oui, nous assistons en Syrie à une guerre entre l’Iran et le Hezbollah d’une part, et l’Arabie Saoudite, le Qatar, la Turquie et les Etats Unis d’autre part.

Et c’est l’axe turco-arabo-occidental qui a pris l’initiative de cette guerre et a fait en sorte qu’elle perdure faute de possibilité de règlement politique qu’il s’est ingénié à empêcher, exactement comme en Libye.

Sauf que l’enjeu stratégique est nettement plus important en Syrie qu’en Libye et que si les Américains jouent là avec la sécurité de leur entité sioniste adorée, les monarques jouent peut-être leurs têtes !

Pourtant, dans un monde rationnel, cette crise aurait été réglée depuis longtemps ou n’aurait jamais eu lieu.

Mais un monde rationnel serait un monde où les Etats Unis au lieu de chercher la confrontation avec l’Iran, le Hezbollah et la Syrie, chercheraient à avoir des relations normales avec ces pays avec lesquels ils ne devraient avoir à priori pas de conflit aigu.

Oui, j’écris ces pays car je ne compte pas le Hezbollah qui n’existerait pas si les Etats Unis ne s’entêtaient pas à soutenir inconditionnellement une entité sioniste qui ne pourra jamais avoir un statut normal dans la région.

Même si, pour les pétromonarchies d’Arabie et du Qatar, tout l’enjeu d’une défaite de l’axe Syrie – Hezbollah – Iran est la possibilité de pouvoir enfin normaliser leurs relations avec l’entité sioniste et donc d’enterrer définitivement les droits du peuple palestinien.

L’objectif est illusoire certes et les monarques comme le Grand Turc devraient méditer ce propos de Kant :

Est illusion le leurre qui subsiste même quand on sait que l’objet supposé n’existe pas.

L'Iran contre la diplomatie saoudienne au Liban

par Jean Aziz,  

Al-Monitor Lebanon Pulse, 29 avril 2013 traduit de l’anglais par Djazaïri

Trois semaines de développements de la situation au Liban ont suffi pour effacer le sentiment qu’une percée dans les relations entre l’Arabie Saoudite et l’Iran était proche, du moins au Liban. Ce sentiment avait pris corps le 6 avril quand le parlement libanais a désigné, dans un consensus presque total, le député de Beyrouth Tammam Salam pour former le nouveau cabinet.

Au début, il y avait certains signes qu’une percée dans la relation entre l’Arabie Saoudite et l’Iran était en vue. L’ambassadeur Saoudien à Beyrouth, Ali Awad Asiri, avait clairement fait une ouverture en direction du Hezbollah. A un point tel que certains avaient dit que l’Arabie Saoudite avait entamé des contacts directs avec la plus puissante organisation chiite du Liban par l’intermédiaire d’un officiel des services de sécurité libanais qui jouit de la confiance du secrétaire général du Hezbollah Hassan Nasrallah en personne. On a même dit que l’adjoint de Nasrallah, le Cheikh Naim Qassem devait se rendre en Arabie Saoudite à la tête d’une mission du Hezbollah avec la mission de discuter des relations entre la banlieue sud de Beyrouth et Riyad. La délégation devait aussi aborder le problème de la formation d’un nouveau gouvernement [au Liban] et l’acceptation d’une nouvelle loi pour les élections législatives pour faire en sorte que les élections interviennent avant la fin du mandat de l’assemblée actuelle le 20 juin et éviter ainsi au Liban d’aller vers l’inconnu.

Cette impression optimiste a vite disparu et il est devenu évident que la stratégie de la tension entre les axes saoudien et iranien reste d’actualité  jusqu’à nouvel ordre.

Il semble que les deux parties pratiquent un jeu de dupe pour améliorer leurs positions et leurs capacités en préparation d’une attaque surprise contre l’autre camp.

Sous couvert d’ouverture en direction du Hezbollah à Beyrouth, l’axe saoudien a l’œil rivé sur une bataille régionale pour renforcer le siège du régime syrien et renverser le président Bachar al-Assad. Au moment où les Saoudiens se préparaient à attaquer la capitale syrienne, ils avaient jugé prudent de ne pas ouvrir plus d’un front à la fois. Ils ont donc fait une trêve avec le Hezbollah et montré de la bonne volonté à l’égard de ce dernier, tandis que le nœud coulant arabo-turco-occidental se resserrait autour du cou d’Assad.

Image

Jean Aziz prend la pose entre Michel Aoun (à droite sur la photo) et Hassan Nasrallah

De leur côté, l’Iran et le Hezbollah ne se sont pas laissés berner par la manoeuvre saoudienne. Quelques jours après avoir commencé à tester les réactions de l’autre camp, l’Arabie Saoudite a commencé son attaque : les alliés libanais de Riyad ont durci leurs positions en formant un nouveau gouvernement et en définissant une loi électorale, ce qui a fait prendre conscience à l’axe du Hezbollah [le Hezbollah et ses alliés au Liban] de la manœuvre, ce qui a amené cet axe à changer de tactique. Le Hezbollah a alors contre attaqué sur presque tous les fronts.

Il semble que l’Arabie Saoudite avait misé sur une évolution favorable de la situation militaire en Syrie quand  cette évolution a en fait été favorable au camp iranien. Un facteur sur le terrain a inversé la donne : en deux semaines, les forces pro-régime ont avancé dans toutes les régions autour de Damas et de Homs. Ce développement a placé les 370 kilomètres de frontière syro-libanaise sous le contrôle du régime syrien et de ses alliés au Liban. Ce qui a piégé et isolé une partie significative des Sunnites – qui sont traditionnellement soutenus par l’Arabie Saoudite et sont près d’un demi-million à Akkar et à Tripoli – par l’interposition de l’armée syrienne et de ses alliés libanais.

Mais la riposte contre l’Arabie Saoudite au Liban a d’autres manifestations: la visite du Hezbollah à Riyad dont on parlait n’a jamais eu lieu et on a appris que Nasrallah est allé à Téhéran dernièrement. Malgré de nombreuses conjectures sur les objectifs de cette visite et son timing, le Hezbollah a ostensiblement gardé le silence sur ce sujet. Le parti ne l’a ni confirmée, ni infirmée. Cependant, des photos de Nasrallah rencontrant le Guide Suprême Iranien Ali Khamenei ont été publiées sur les réseaux sociaux. Des cercles proches du Hezbollah affirment que la photo était tirée d’archives, mais la photo n’a pourtant pas l’air bien ancienne.

Une autre manifestation de la contre attaque a été l’annonce par Israël de la destruction au dessus de la mer au large d’Haïfa d’un drone venu du Liban. Mais à la différence d’incidents similaires, comme quand Israël avait détruit le drone Ayyoub le 9 octobre 2012, le Hezbollah a promptement démenti avoir un rapport quelconque avec cette affaire. Certains ont interprété ce démenti comme étant causé par l’échec du drone «Ayyoub 2» à pénétrer en profodeur en territoire israélien. Mais le drone avait peut-être simplement comme objectif de survoler les champs gaziers israéliens en Méditerranée. Dans ce cas, le drone a réussi à envoyer le message à Israël, ce qui explique aussi le démenti du Hezbollah.

Ces deux derniers jours, ce cercles proches du parti ont traité cette affaire d’une manière évasive en demandant: Et si toute cette affaire se résumait à un gamin du sud Liban qui jouait avec un avion télécommandé amenant les Israéliens à suspecter le Hezbollah de leur faire la guerre ?

Certains à Beyrouth pensent que la contre attaque iranienne contre les avancées de l’Arabie saoudite, qui se sont traduites par la démission de l’ancien premier ministre Libanais Najib Mikati se déploie bien au-delà de la scène libanaise pour toucher le Bahreïn et même l’Irak. On a parlé de découvertes de caches d’armes pour l’opposition bahreïnie à Manama ; et les troupes du premier ministre Irakien Nouri al-Maliki sont entrée à Hawija et menacent de faire la même chose à Anbar.

Toutes choses qui confirment une fois encore que tout accord entre les Libanais doit se faire sous des auspices internationaux, c’est-à-dire au minimum une entente entre Washington et Téhéran. Mais une telle entente ne pourra sans doute pas intervenir tant que ne se seront pas produits certains événements, que ce soient les élections présidentielles en Iran en juin prochain ou les résultats des discussions d’Almaty sur le nucléaire (si elles reprennent).

Entre temps, la situation libanaise va déboucher soit sur la prolongation de la crise par la prolongation du mandate du parlement et le report de la formation d’un nouveau gouvernement, soit sur l’explosion de la situation!

La plupart des organisations libanaises et des parties étrangères préfèrent la première option.

Jean Aziz est un collaborateur d’ Al-Monitor’s Lebanon Pulse. Il est éditorialiste au journal libanais Al-Akhbar et anime une émission de débat politique sur OTV, une chaîne de télévision libanaise.

Ajoutons que ce chrétien a d’abord appartenu aux Forces Libanaises, un mouvement d’extrême droite avant de rejoindre le général Michel Aoun sur une position nationaliste, modérément antisyrienne (ou modérement prosyrienne), favorable à l’entente interconfessionnelle et hostile à l’entité sioniste. C’est pourquoi on dit qu’il est proche du Hezbollah. Il l’est à peu près à la façon de Michel Aoun.

http://mounadil.wordpress.com/2013/04/30/jean-aziz-et-le-face-a-face-iran-arabie-saoudite-au-liban-et-en-syrie/

Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

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Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

Global Research

The decision of the European Union to lift the embargo on Syrian government’s energy exports by importing oil from the ‘armed opposition’ is another flagrant violation of international law. It violates the UN General Assembly declaration of 1962 on Permanent Sovereignty over Natural Resources and is yet another violation of the 1981 UN declaration on the Inadmissibility of Intervention and Interference in the Internal Affairs of States. But it is much more than a technical violation of the law. It marks the decent of civilization into barbarism.

London and Paris, have more than Washington, been at the forefront of aggression against Syria. In spite of the fact that it has now been confirmed by most media sources that the Syrian ‘opposition’ is Al-Qaeda, London and Paris persist  in their insane drive to arm the terrorists, using the spurious argument that if they don’t arm the ‘moderates’ the ‘extremists’ will take over the country. However, in the words of the New York Times, ‘nowhere in rebel-controlled Syria is there a secular fighting force to speak of’. [1] The fact that the Syrian ‘rebels’ are in fact Al- Qaeda has even  been admitted by the war-mongering French daily  Le Monde.[2]

So, Paris and London are pushing for further arming of Al-Qaeda and the legalization of oil trading with the jihadi terrorists. In plain language this means that the loose, terrorist network known to the world as Al-Qaeda will soon become one of the EU’s partners in the oil business. A new absurd chapter in the Era of Terror is about to be enacted.

International law and its violators.

The 1962 UN Resolution 1803 on the Permanent Sovereignty Over Natural Resources states:

‘Violation of the rights of peoples and nations to sovereignty over their natural wealth and resources is contrary to the spirit and principles of the Charter of the United Nations and hinders the development of international co-operation and the maintenance of peace’[3]

Japhat Al-Nusra and other Al-Qaeda affiliated groups do not in any way represent the Syrian people, nor do they constitute a sovereign state according to the categories of international law.  The ‘armed opposition’ IS Al-Qaeda. Therefore, the European Union’s decision to officially buy oil from terrorist gangs currently occupying territories in the Syrian Arab Republic constitutes a heinous crime and makes a further mockery of the basic principles governing the relations between states.

The 1981 UN document explicitly condemns:

‘the increasing threat to international peace and security owing to frequent recourse to the threat or use of force, aggression ,intimidation, military intervention and occupation, escalation of military presence and all other forms of intervention or interference, direct or indirect, overt or covert, threatening the sovereignty and political independence of other States, with the aim of overthrowing their Governments’,

The declaration goes on to categorically condemn the deployment of ‘armed bands’ and ‘mercenaries’ by states for the use of overthrowing the governments of other sovereign states:

‘Conscious of the fact that such policies endanger the political independence of States, freedom of peoples and permanent sovereignty over their natural resources, adversely affecting thereby the maintenance of international peace and security,

Conscious also of the imperative need for any threat of aggression, any recruitment, any use of armed bands, in particular mercenaries, against sovereign States to be completely ended, so as to enable the peoples of all States to determine their own political, economic and social systems without external interference or control’ [4]

Western governments, who for many years have been openly and shamelessly violating all known and agreed principles of international law, arming terrorist gangs who murder and maim civilians, funding common criminals who traffic drugs and recruit child-soldiers, have now descended to a new low by purchasing oil and gas from these same terrorist gangs, natural resources which are legally the property of the Syrian Arab Republic and its citizens.

EU governments colluding with terrorists

Europe’s descent into absolute moral turpitude and lawlessness is further reflected in the fact that EU authorities are doing nothing to prevent brainwashed Muslim youths from traveling to Syria in order to fight NATO’s war. Yet, the officials of EU states readily admit that hundreds if not thousands of jihadis from Britain, Ireland, Spain, Germany, Belgium, the Netherlands and other states are now joining the ranks of the so-called ‘Syrian rebels’.  But they also admit that their only concern is that these terrorists might be a threat to European security if they ever return. The fact that these terrorists are putting bombs in busy market squares; cars; universities; schools; hospitals and mosques throughout Syria, and that US State Department’s own reports confirm this, doesn’t seem to bother the EU’s governments. Their only concern is that they might eventually bite the hand that feeds. [5] The EU ‘anti-terror’ chief Gilles de Kerchove tells the BBC:

“Not all of them are radical when they leave, but most likely many of them will be radicalized there, will be trained

“And as we’ve seen this might lead to a serious threat when they get back.”[6]

We know from Israeli intelligence sources that most of the terrorists are being trained in US/NATO military bases in Turkey and Jordon.[7]

So, why doesn’t the EU’s ‘anti-terror’ chief seem to know about this? This is the man responsible for protecting Europe from terrorism?  As I reported before, France’s ‘anti-terror’ magistrate actually admitted on French state radio in January 11th  that the French government was on the same side as Al-Qaeda in Syria:

“There are many young jihadists who have gone to the Turkish border in order to enter Syria to fight Bachar’s regime, but the only difference is that there France is not the enemy. Therefore we don’t look on that in the same way. To see young men who are at the moment fighting Bachar Al-Assad, they will be perhaps dangerous in the future but for the moment they are fighting Bachar Al-Assad and France is on their side; they will not attack us’’.[8]

The cynical double standard which states that all territories outside the EU are barbaric and therefore outside the realm of international law has now become a policy that goes unnoticed by Europe’s brainwashed masses.  Euro-Atlantic powers are not only behaving like criminals but are now openly displaying their criminality.  One should also note that the French government has now decided to call the Syrian president by his first name. Calling a state official by his first name is a sign of deep disrespect in French etiquette. Since the Sarkozy regime, French diplomacy has been dragged through the mud, with France’s diplomatic corps now behaving like a cross between spoilt brats and fascist thugs.

Syria’s Oil Geopolitics

The quest for sources of cheap energy is one of the geopolitical contexts driving the war in Syria. Christof Lehmann has written that the discovery of the Iranian Pars gas field in 2007 and Teheran’s plan to pipe the gas to the Eastern Mediterranean by constructing a pipeline through Iraq and Syria holds the potential of turning Iran into a global economic power, giving Teheran enormous leverage over the EU’s Middle East policy. This development would pose a threat to the Zionist entity. It would pose an existential threat to the despotic emirates of the Gulf, who depend on the power of the petro-dollar for their survival.[9]

That is one of the reasons why NATO and the Gulf Cooperation Council are using Al-Qaeda terrorists to break the Shite-led alliance of Iran, Iraq, Syria and Lebanon’s Hezbollah. As Italian geographer Manlio Dinucci has reported, contrary to received opinion, Syria actually has massive energy reserves.

Dinucci writes:

‘The U.S. / NATO strategy focuses on helping rebels to seize the oil fields with a twofold purpose: to deprive the Syrian state of revenue from exports, already strongly decreased as a result of the EU embargo, and to ensure that the largest deposits pass in the future, through the “rebels” under the control of the big Western oil companies. [10]

The first implementation of the ‘humanitarian intervention’ ideology was during the NATO bombing of Serbia in 1999. Since then, the truncated entity called Kosovo has become Europe’s number one criminal state, run by a convicted organ and drug trafficking mass murderer called Hacim Al Thaci, a protégé  of Brussels and Washington. This is the kind of narco-mafia anti-state NATO has installed in Libya since the Blitzkrieg against that country in 2011 and it is the type of criminal regime that will rule over Syrians if NATO succeeds in bombing that country.

One can read hundreds of articles in the mainstream press about the criminality of the Kosovar regime and articles describing the chaos in post-Gaddafi Libya have not been rare. But the same media outlets will systematically ignore the fact that they were the ones cheering on the CIA’s Kossovo Liberation Army during the destruction of Yugoslavia. The same prestitutes are now pushing for more arming of the terrorists in Syria and for military intervention by NATO.

The closing of the European mind

The pontificators of European integration and Europe’s role in the world like to pepper their speeches with pompous references to the ‘rule of law’ and the universality of ‘European values’.

This specious rhetoric is unceasingly drummed into European students throughout our universities and institutions of higher learning and it is repeated ad nauseum by the mass media. The people now using Al-Qaeda terrorism to further their interests in the Middle East teach courses in prestigious European universities on ‘international relations’.

It is no wonder ordinary people are incapable of seeing and understanding what is happening before their very eyes. The sheer scale and complexity of the global institutional networks built upon an empire of lies, self-righteousness and deceit is simply too overwhelming for the unschooled intellect to comprehend. Something in our order-seeking minds rejects reality when its horror surpasses our horizons of tolerance and intelligibility. As a result, the mind recoils, filters out the real, preferring instead to see in our masters the expression of complex, contradictory and arcane policies, whose moral content is consigned to the studies of ‘experts’ and ‘specialists’, who are themselves the products and propagandists of the same corrupt institutions.

There are now so many academic institutions, conferences; foundations; think tanks; policy institutes and university courses proclaiming the virtues of ‘humanitarian intervention’ that it has acquired the status of a dogma. The repetition and reproduction of this dogma by the scholastics of neo-liberal academia has turned that which critical reason would normally scoff at into an apriori principle of ‘global governance’.

In chapter 22 of his seminal work on international law De Juri Belli ac Pacis, (On the Law of War and Peace), the great 17th century Dutch jurist Hugo Grotius wrote:

‘Some wars were founded upon real motives and others only upon colorful pretexts. This distinction was first noticed by Polybius, who calls the pretexts, profaseis and the real causes, aitias. Thus Alexander made war upon Darius, under the pretense of avenging the former wrongs done by the Persians to the Greeks. But the real motive of that bold and enterprising hero was the easy acquisition of wealth and dominion, which the expeditions of Xenophon and Agesilaus had opened to his view.’ [13]

Little has changed since the days of Alexander the Great. Wars are still fought for pillage and plunder and the furtherance of empire. Polybius’s vocabulary of ‘profaseis’ and ‘aitias’ will be useful here. Since the start of the Syrian nightmare in 2011, the ‘profaseis’ propagated by corporate media agencies calling for military intervention in Syria has been the desire to ‘protect civilians’ from a ‘brutal regime’.  Only the naïve and ignorant could now defend such nonsense as the same media agencies have finally admitted that the ‘opposition’ is in fact Al-Qaeda, a fact the alternative media have been pointing out since the beginning of the violence in Deraa in March 2011.

NATO’s ‘aitias’ in this conflict is clear: break up and destroy an independent sovereign state; rob and pillage all of its resources; rape and terrorize its citizens into submission by unleashing drugged and brain-washed death squads on the population; constantly blame all of this on the ‘regime’, then finish the country off with an intensive aerial bombing campaign before installing a crime syndicate to run the country. Finally, call that holocaust freedom. Call that holocaust democracy. It’s a tried and trusted formula which is now being deployed all over the world in NATO’s megalomaniacal drive for global supremacy.

Grotius again:

‘Others make -use of pretexts, which though plausible at first sight, will not bear the examination and test of moral rectitude, and, when stripped of their disguise, such pretexts will be found fraught with injustice. In such hostilities, says Livy, it is not a trial of right, but some object of secret and unruly ambition, which acts as the chief spring. Most powers, it is said by Plutarch, employ the relative situations of peace and war, as a current specie, for the purchase of whatever they deem expedient.’

 In the war-ravaged 17th century Europe of Hugo Grotius, to establish the distinction between profaseis and aitias or the pretexts and real reasons for war was not considered heretical in the domain of rigorous juridical discourse. Today, those who make such distinctions are dismissed as ‘paranoid conspiracy theorists’.  In an interview entitled LA PENSÉE CRITIQUE COMME DISSOLVANT DE LA DOXA,(Critical Thought as a solvent of Doxa)French sociologist Loic Wacquant argues that ‘never before have false thought and false science been so prolix and ubiquitous.’[14]

In this age of technological lawlessness, the basic precepts of international and domestic law have been dismantled. With the promulgation of the Patriot Act and now the National Defense Authorization Act, the United States has regressed to the kind of juridical tyranny that preceded the drafting of the Petition of Right in the England of 1628, a document denouncing imprisonment without trial, torture and martial law and providing the legal and moral groundwork for the English Revolution of 1640.

Conclusion

It behooves us all to reflect upon the current war in the Levant.  What we are witnessing is the destruction of the Westphalian state system and a return to the kind of chaos of the 17th century’s Thirty Years War, except this time it is festering on the borders of Europe where the principle of bellum se ipsum alet, war will feed itself, is being acted out by private military corporations, drug gangs, terrorist networks and international crime syndicates linked directly and indirectly to the ideological state apparatuses of the Atlantic powers.

And so, the KLA have been training the ‘Syrian Free Army’, while Libya’s Islamic Fighting Group has also joined the ‘holy war’ in Syria. Like the Thirty Years War, the armed gangs and mercenaries are funding themselves by pillaging the local economies and selling their booty as contraband. Whole factories in Syria have been dismantled and stolen by mercenaries in the service of Turkey and Qatar, while the drug trade is now booming like never before. When one country is destroyed and reduced to despotic fiefdoms and emirates, Western corporations move in with their private military companies and proceed to pillage the country’s resources, unhindered by the rules and regulations of the Sovereign State. The terrorist hordes then move on to the next country on NATO’s hit list. This is NATO’s strategy of chaos, a form of liquid warfare that is spreading rapidly throughout the Southern Hemisphere.

Given the criminality of Western oil companies in the past, it is perhaps not entirely surprising that they would now, in the form of the EU, be openly buying oil from terrorist organizations. What is surprising, however, is the morbid insouciance of Europe’s populations.  How could there be so many ‘respectable’ people in our media and academic institutions prepared to collaborate with these mobsters? Why have there been few if any significant demonstrations against NATO? How is it possible that the powers that be should be allowed to get away with such unmitigated criminality?

The Roman poet Horace wrote- neglecta solent incendia sumere vires -a neglected fire always gathers in strength. Since the destruction of  the Democratic Republic of Afghanistan by the Western-backed Mujahedeen terrorists in the 1979, sovereign states have fallen prey to mercenaries and terrorist gangs backed by Western imperialism, while civil liberties have been curtailed in America and Europe in the name of the ‘War on Terrorism’.

The fire has since spread to the former Yugoslavia; Rwanda; Côte d’Ivoire; Sudan; Somalia; Iraq; DRC; Chechnya,Libya and now Syria. If people don’t wake up and mobilize against the criminals planning these wars, the flames of destruction will eventually come home in the form of martial law, and a fascist, panopticon police state which will be deemed necessary during the prosecution of a Third World War against Iran, Russia and China. If this fire of terrorism is not put out in Syria, it will continue into the Caucasus, Central Asia, the Russian Federation and Eastern China until all possible resistance to NATO’s drive for ‘full spectrum dominance’ is eliminated and a tyrannical, corporate hyper-state rules over the planet.

World wars have happened in the past and given the scelerate Will-to-Power of our current rulers, there is no reason to believe that a world war will not happen again. Many in the West, inured to televised violence and indifferent to distant wars, have a tendency to believe that politics is a domain that does not affect them. But in the words of the French politician Charles de Montalembert  ‘Vous avez beau ne pas vous occuper de politique, la politique s’occupe de vous tout de même.’[It is easy for you not to be concerned about politics, but politics, however, is concerned about you] In the light of current events the statement merits reflection.

Notes

[1]http://www.globalresearch.ca/time-to-end-western-support-for-terrorists-in-syria-opposition-is-entirely-run-by-al-qaeda/5333204

[2] http://www.globalresearch.ca/frances-media-admits-that-the-syrian-opposition-is-al-qaida-then-justifies-french-government-support-to-the-terrorists/5331289

[3] http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/9D85892AC6D7287E8525636800596092

 [4] http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/NaturalResources.aspx

[5]http://www.un.org/documents/ga/res/36/a36r103.htm

[6] http://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2012/12/201759.htm

[7] http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-22275456

[8] http://www.globalresearch.ca/syria-nato-s-next-humanitarian-war/?print=1

[9] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[10]http://www.globalresearch.ca/oil-and-pipeline-geopolitics-the-us-nato-race-for-syrias-black-gold/5330216

[11] http://www.franceinter.fr/emission-le-79-marc-trevidic-et-jean-pierre-filiu

[12] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[13] http://www.constitution.org/gro/djbp_222.htm

[14][http://www.homme-moderne.org/societe/socio/wacquant/pensecri.html

mercredi, 08 mai 2013

Dans l’Hexagone de François Hollande

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Dans l’Hexagone de François Hollande

par Georges FELTIN-TRACOL

Dans l’Hexagone de François Hollande, il ne fait pas bon être opposant. Ce triste constat se vérifiait déjà au temps de l’atlantiste Nicolas Sarközy. À cette époque oubliée par quelques demeurés droitards sans cervelle, ni mémoire, désormais fans d’une véritable imposture appelée la « Droite forte », C.R.S. et gendarmes arrêtaient avec une violence certaine les manifestants hostiles aux pièces de théâtre blasphématoires, en particulier la pièce de Romeo Castellucci, Sur le concept du visage du fils de Dieu. Des manifestants courageux tentèrent d’interrompre certaines représentations et se firent arrêter. Prévenus d’entraves de manière concertée à la liberté d’expression, par voies de fait, destruction ou dégradation et violence, ces victimes du politiquement correct risquent d’après l’article 431 – 1 du Code pénal  45 000 € d’amende et trois ans d’emprisonnement. Qu’en pensent Amnesty International, la Ligue internationale des droits de l’homme et Human Rights Watch si prompts en général à dénoncer les législations iranienne, russe et bélarussienne ?

Pigiste à l’hebdomadaire bourgeois mondialiste Charlie Hebdo, Sigolène Vinson rapporte que « leur action se doublait d’actes subversifs constituant à balancer des poules puantes ou à souffler dans des sifflets à roulette (1) ». De vrais actes terroristes… « À l’audience, la présidente rappelle les termes de la commission rogatoire, faisant état de propos tenus par les manifestants : “ Le Seigneur vous pardonne ” “ Allez au diable ”, etc. (2) ». De pareils mots bafouent vraiment la sacro-sainte (sic !) laïcité républicaine et la dignité de policiers guère habitués à de telles « injures » probablement plus scandaleuses que les insultes proférées par la racaille des banlieues de l’immigration…

Ce « deux poids deux mesures » est une caractéristique constante de la part des pseudo-autorités ripoublicaines. Alors que quatre militants de Génération Identitaire pâtissent de conditions draconiennes inacceptables de contrôle judiciaire parce qu’ils ont osé organiser l’occupation pacifique du chantier de la future grande mosquée de Poitiers, les FemHaine qui investissent, seins nus, la nef de Notre-Dame de Paris, beuglent leur joie à l’abdication de Benoît XVI et saccagent les nouvelles cloches, n’ont qu’un simple contrôle d’identité…

Ces faits ne sont pas isolés; ils se répandent plutôt. Le 18 octobre 2012, le président d’Entraide-Solidarité, François Maris, fut placé en garde à vue pendant dix-sept heures. Pourquoi ? Parce qu’il défendait un couple de harkis à Gorniès dans l’Hérault. Les gendarmes l’accusèrent d’« installation en réunion sans autorisation d’un mobil-home » (un délit puni de six mois de prison !), et de… « génocide » ! Vite conscients de l’absurdité des accusations, les pandores enquêtèrent alors sur le « vol d’une banderole » ! Puis, comprenant que l’objet du délit avait été récupéré dans une décharge, ces Sherlock Holmes de bas-étage retinrent finalement une banale « installation d’une habitation légère en un lieu non autorisé».

Le Régime aime terroriser. Outre des pressions psychologiques et sociales sur l’entourage de ses proies, il n’hésite pas à instrumentaliser le fisc contre ceux qui lui tiennent tête. Suite à un redressement fiscal, l’humoriste Dieudonné a été condamné à une amende d’un million d’euros. On cherche ainsi à museler les grandes gueules. À leur faire peur aussi. Le 18 novembre 2012, les FemHaine agressaient les paisibles manifestants de Civitas qui, voyant l’inaction des policiers, réagirent avec vigueur. Or, raconte Aurélien, l’une des victimes de ces hystériques, « le mercredi 28 novembre à six heures précise, j’ai été réveillé par les forces de l’ordre (le S.I.T. [Service d'investigation transversale, une unité de la police nationale hexagonale chargée des enquêtes pour motif politique] plus précisément) qui m’ont menotté dans mon lit, une arme à feu braquée sur ma tempe. J’ai ensuite fait quarante-huit heures de garde à vue et quinze heures de dépôt (une sorte de prison sous le tribunal de Paris) et je suis désormais sous contrôle judiciaire avec interdiction de sortir du territoire Français, et l’obligation de pointer tous les quinze jours au commissariat de ma ville, tant que le jugement ne sera pas rendu. J’ai un travail, je n’avais pas de casier judiciaire, j’ai été traité comme un terroriste, alors que c’est nous qui avons été agressés ! Il y a eu quatre autres interpellés ce même jour… […] Nous risquons 45 000 € d’amende et trois ans de prison, sans compter les dommages et intérêts (3) ».

L’action policière contre des personnes solvables et honnêtes a atteint son point culminant au moment des démonstrations de force de la « Manif pour tous ». Suite à des manœuvres provocatrices d’agents infiltrés parmi les manifestants, le 24 mars 2013, des enfants ont été gazés par les lacrymogènes des forces du « désordre » établi ! Conditionné à s’élever à la seconde près contre les soi-disant violences policières à l’Est ou ailleurs dans le monde, le Parlement européen, cette pétaudière inutile, a gardé un silence éloquent et n’a nullement protesté contre la centaine d’interpellations et les six gardes à vue ! La République a maintenant ses prisonniers politiques.

Quant aux prisonniers d’opinion, après l’historien dissident Vincent Reynouard, voici le président de l’Œuvre française, Yvan Benedetti, et le responsable des Jeunesses nationalistes, Alexandre Gabriac, d’être poursuivis pour des motifs futiles par une justice devenue par enchantement d’une rare intransigeance. Incapables d’empêcher les « nouvelles attaques de diligence » dans le R.E.R. D en Île-de-France ou des T.E.R. en Provence – Alpes – Côte d’Azur ou l’épidémie de kalachnikovite aiguë dans les quartiers marseillais, le Pouvoir préfère réprimer les « factieux ». Il faut dire que les risques sont souvent bien moindres face aux familles, aux jeunes gens sympathiques et aux « veilleurs » que devant la voyoucratie des banlieues lourdement armée.

Les responsables du désordre public légal ont en effet reçu des consignes précises, iniques et grotesques. Le 1er avril dernier, venu depuis l’Aisne pour passer quelques jours dans la capitale avec son épouse et leurs six enfants, Franck Talleu est arrêté par les agents du parc du Luxembourg, conduit une heure au poste et poursuivi par le ministère public. Qu’a donc commis cet honorable père de famille ? A-t-il agressé une personne âgée qui promenait son chien sous le contrôle vigilant des pervenches des caniveaux ? Entraîné ses enfants dans une salle de shoot ou bien payé son séjour parisien grâce au compte singapourien de Jérôme Cahuzac ? Non, Franck Talleu a fait pire. Il portait, ce jour-là, un maillot de corps sans slogan, ni inscription, de la « Manif pour tous ». Il a d’abord été verbalisé pour « port d’une tenue contraire aux bonnes mœurs ». On hallucine ! Voilà pourquoi la Gay Pride ne passe jamais par ces jardins… Devant l’énormité du motif, le procès-verbal a ensuite été modifié (4). Fort de ce précédent incroyable, les gendarmes ont ensuite réprimé une douzaine de personnes au même endroit pour le port de maillots semblables. « Interpellés, emmenés au poste, écrit Delphine de Mallevoüe, certains ont été fouillés et ont subi un interrogatoire de une à deux heures, avant de recevoir un P.V. [pour] organisation d’une manifestation ludique sans autorisation spéciale [ou] gêne à la tranquillité des promeneurs par affichage ostentatoire d’éléments relatifs à une manifestation interdite (5) ». Ces zélés fonctionnaires auraient-ils ainsi agi devant les solides gaillards des Jeunesses nationalistes, de Génération Identitaire, du Renouveau français ou du G.U.D. ?

Une telle entrave à la liberté d’expression réelle (on n’est pas dans un théâtre subventionné !) est somme tout cohérente venant d’un Système mortifère qui proscrit le voile intégral musulman. La police du vêtement et des tenues va de pair avec le flicage de la pensée. La peste du politiquement correct contamine tout. En raison d’un risque supposé de troubles à l’ordre public (toujours la même rengaine), la journée régionale de Synthèse nationale dans le Nord a été interdite, Synthèse nationale devant même payer un millier d’euros au maire U.M.P. de Marcq-en-Barœul. Fort heureusement, l’équipe nordiste a pu trouver une autre salle, ailleurs, et la réunion prévue du 28 avril s’est bien tenue. Elle a été un succès. Le fait est révélateur qu’il est maintenant difficile pour les résistants au Nouvel Ordre mondial d’organiser des réunions publiques et de trouver des salles.

Sous le prétexte fallacieux de maintenir la « légalité républicaine », le Régime entend frapper fort afin de contenir, voire d’étouffer, tout mouvement protestataire durable. Dans la nuit du 14 au 15 avril, soixante-sept « campeurs illégaux », les « veilleurs », âgés de 18 à 25 ans, ont été raflés et placés en garde à vue. Stéphane Kovacs évoque des gardes à vue de quarante-quatre heures ! Outre « la fouille – intégrale -, la prise d’empreintes, les photos de face et de profil, “ comme des criminels ” (6) », ces nouveaux prisonniers politiques « ont dû se soumettre à des tests A.D.N. et seront inscrits au fichier (7) ». Or le fichage génétique ne concernait à l’origine que les affaires de terrorisme et les crimes sexuels. « La Manif pour tous n’est pas du tout appréciée en haut lieu… » avance Amicie, une étudiante de 25 ans interpellée qui a eu droit à une confidence de policier (8). Sur la même place près du Palais-Bourbon se tiennent régulièrement des manifestations d’étrangers clandestins sous l’œil placide des policiers. « Les délinquants sont ici ceux qui ont le front de s’opposer au Pouvoir pour des raisons de conviction », écrit la philosophe Chantal Delsol (9). Taubira adore tellement les délinquants qu’elle en crée de nouveaux…

Les exactions policières témoignent de l’étroite connivence de l’appareil d’État aux mains de l’hyper-classe mondialiste avec les racailles allogènes des banlieues annoncée en son temps par Éric Werner qui voit son hypothèse validée. La protection des sites officiels implique pour l’heure « moins de sécurisation des cités et plus de mission pour protéger les palais nationaux (10) », affirme un officier des forces mobiles.

Un an après l’élection du « capitaine de pédalo (heureuse expression de Jean-Luc Mélenchon) » « Flamby le Pépère », une ambiance de fin de règne s’installe dans la population. Des comités de hués de ministres se lèvent partout dans le pays. Certes, les conditions de 1992 quand les membres du gouvernement socialiste ne pouvaient plus circuler ne sont pas encore réunies. En outre, parier sur une convergence des luttes entre les opposants de l’Ayraultport à Notre-Dame des Landes, la colère sociale incitée par la fermeture massive d’entreprises et l’Accord national interprofessionnel (A.N.I.) qui nie les droits des salariés, et le combat sociétal contre le mensonger « Mariage pour tous » relève de l’impossibilité tactique, faute d’investissements militants tangibles dans le syndicalisme et l’action écolo-agricole. Les tensions actuelles traduisent néanmoins un ras-le-bol patent du pays réel. Son réveil pourrait à terme provoquer un anti-Mai 68 ou un contre-4 Septembre 1870. On comprend que pour les hiérarques faillis du Pouvoir, la répression, c’est maintenant !

Georges Feltin-Tracol

Notes

1 : dans Charlie Hebdo, 6 février 2013.

2 : Idem.

3 : entretien d’Aurélien avec Laurent Bayard, La Voix de la Russie, 13 décembre 2012.

4 : La contravention porte sur « organisation d’une manifestation ludique dans le jardin du Luxembourg sans autorisation spéciale », dans Emmanuel Ratier, Faits & Documents, du 15 au 30 avril 2013, p. 9.

5 : dans Le Figaro, 9 avril 2013.

6 : Stéphane Kovacs, dans Le Figaro, 24 avril 2013.

7 : Stéphane Kovacs et Jean-Marc Leclerc, dans Le Figaro, 16 avril 2013.

8 : Stéphane Kovacs, dans Le Figaro, 24 avril 2013.

9 : dans Le Figaro, 25 avril 2013.

10 : cité par Jean-Marc Leclerc, dans Le Figaro, 16 avril 2013.


Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=3118

'Alliantie Israël met Arabische Golfstaten, Jordanië en Turkije in de maak'

'Alliantie Israël met Arabische Golfstaten, Jordanië en Turkije in de maak'

Ex: http://xandernieuws.punt.nl/

Wordt dit het in de Bijbel voorzegde 'verbond met de dood' dat de laatste eindtijdoorlog zal inluiden?


De ondertekening van de Camp David vredesakkoorden in 1979. Zal dit verbond binnenkort worden 'versterkt' met andere Arabische/islamitische landen?

Volgens een artikel in de Sunday Times probeert het Witte Huis achter de schermen een nieuwe defensie alliantie in het Midden Oosten te vormen waar behalve Israël ook Saudi Arabië, Jordanië, Turkije en de Verenigde Arabische Emiraten aan deel zouden moeten nemen. Het doel van het verbond is om een nucleair bewapend Iran in bedwang te houden, en niet militair te confronteren. Strategie analist Mark Langfan heeft het al over de MEATO, de Middle East Alliance Treaty Organization.

Russia Today bericht dat de Joodse staat samen met de genoemde 'gematigde' Soennitische islamitische staten een front wil vormen om een met kernwapens bewapend Iran in bedwang te houden. Israël en de Arabische landen zouden onder andere informatie van elkaars radar- en antiraketsystemen gaan delen. In het voorstel moet Jordanië beschermd gaan worden door Israëls Arrow lange-afstands afweerraketten.

Diplomaten spreken van een '4+1' voorstel waar de Verenigde Staten een bemiddelende rol in spelen. Een official van het Turkse ministerie van Buitenlandse Zaken verklaarde echter dat het 'manipulatieve bericht niets van doen heeft met de realiteit.'

Midden Oosten versie van de NAVO

Israël en Amerika hebben jarenlang volgehouden dat een nucleair bewapend Iran onacceptabel is. Voormalige hoge Israëlische veiligheidsofficials, waaronder oud Mossad directeur Meir Dagan, verzetten zich echter met hand en tand tegen een militaire aanval op de Iraanse kerninstallaties. Het nieuws zou dan ook een signaal kunnen zijn dat Israël en de VS besloten hebben het -al dan niet toekomstige- bestaan van Iraanse kernwapens te accepteren.

Het is onduidelijk of en wanneer dit bericht bevestigd wordt. Strategie analist Mark Langfan neemt het in ieder geval heel serieus. 'De MEATO is geboren. De Middle East Alliance Treaty Organization is gecreëerd op de puinhopen van de val van (de Egyptische president) Hosni Mubarak.' (1)

Bijbel voorzegt verbond Israël met 'de dood'

We berichtten de laatste maanden al vaker dat er geruchten en aanwijzingen zijn voor een baanbrekend akkoord tussen Israël en diverse islamitische landen. Het is niet ondenkbaar dat ook Egypte hier deel van zal uitmaken. De profeet Jesaja voorzegde duizenden jaren geleden dat zo'n verbond er in de eindtijd inderdaad gaat komen:

'Omdat u zegt: Wij hebben een verbond gesloten met de dood, en met het rijk van de dood zijn wij een verdrag aangegaan, wanneer de alles wegspoelende gesel voorbijtrekt komt hij niet bij ons, want van de leugen hebben wij ons toevluchtsoord gemaakt en in het bedrog hebben wij ons verborgen,... Dan zal uw verbond met de dood tenietgedaan worden, uw verdrag met het rijk van de dood zal geen stand houden. Trekt de alles wegspoelende gesel voorbij, dan zult u door hem afgeranseld worden.' (Jes.28;15+18)

De tot het christendom bekeerde voormalige Palestijnse terrorist Walid Shoebat zegt al jaren dat de uitleg van dit vers duidelijk is: Israël zal (met o.a. Turkije) een vredesverdrag sluiten -mogelijk in Egypte-, een 'verbond met de dood' dat wellicht een bevestiging '('versterking' genoemd door de profeet Daniël) en uitbreiding zal zijn van de bestaande Camp David akkoorden tussen Egypte en Israël en de vrede met Jordanië. Dit nieuwe verdrag zal voor Israël echter op een compleet drama uitlopen:

'Wee jullie, koppige kinderen -spreekt de Heer- die plannen uitvoeren tegen mijn wil (NBG/SV: 'niet van mijn Geest'), verdragen sluiten tegen mijn zin en zo zonde op zonde stapelen; die zonder mij te raadplegen op weg gaan naar Egypte, om te schuilen in de vesting van de farao en bescherming te zoeken in de schaduw van Egypte.' (Jes.30:1-2)

Turken zullen Israël aanvallen

Vanaf het moment dat de Turken Israël zover krijgen een nieuw of versterkt vredesverdrag te sluiten, waarschijnlijk met steun en deelname van Amerika en andere islamitische landen en wellicht ook de EU, zullen er volgens de profeet Daniël slechts 3,5 jaar voorbij gaan voordat de Turken Jeruzalem zullen aanvallen en zullen bezetten. 'Maar dan zal de G-d van Israël de stad (en het volk) redden van deze gesel (het Tweede Paasfeest),' aldus Shoebat.

In zijn visioen (of droom) zag Daniël het laatste wereldrijk, het rijk van de Antichrist: het opnieuw opgerichte Ottomaanse Rijk, het rijk van 'het beest' dat zal herstellen van zijn dodelijk wond, opgelopen in 1917 toen de Turken zonder slag of stoot werden verdreven uit Jeruzalem. Het Tweede Paasfeest, de definitieve verlossing van Israël door de komst van de Messias, zal volgens Shoebat worden ingeluid door de totale vernietiging van dit in de maak zijnde Turks-islamistische imperium.Xander

(1) Arutz 7

Zie ook o.a.:

29-03: Door profeet Daniël voorzegd vredesverdrag met Israël nabij
23-03: Turkse minister BuZa: Wij zullen weer heersen van Sarajevo tot Damascus
21-03: Jordaanse koning waarschuwt het Westen voor Turkse premier Erdogan
12-03: Duitse geheime dienst: Turkije werkt al jaren aan kernwapens

Schweiz und Russland verbindet eine lange Geschichte

Schweiz und Russland verbindet eine lange Geschichte

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/

thk. Die Beziehungen zwischen der Schweiz und dem riesigen russischen Reich bzw. der Russischen Föderation haben eine lange und bewegte Geschichte. Während Jahrhunderten gab es einen regen Austausch zwischen beiden Staaten, sowohl auf offizieller als auch auf privater Ebene. Das geht zurück bis in die Zeit Peters des Grossen. Damals entstanden erste Ausländervorstädte in Moskau, die auch von Schweizern, vor allem Handwerkern und Offizieren, als neue «Heimat» gewählt worden waren. Das Buch «Käser, Künstler, Kommunisten», herausgegeben von Eva Maeder und Peter Niederhäuser, berichtet über das interessante Kapitel schweizerisch-russischer Beziehungen.1 Berühmtheit erlangte der Genfer Francois Lefort, der ein Vertrauter Peters des Grossen wurde und es bis zum General und ersten Admiral der russischen Geschichte brachte.2 Aber auch weniger berühmte Schweizer versuchten ihr Glück in den russischen Weiten und sorgten so für einen Austausch zwischen den Kulturen. Letztlich kam der vorzügliche Tilsiter Käse ursprünglich aus der Schweiz. Ausgewanderte Schweizer Käser stellten diese Käsesorte in Tilsit her, und interessierte Berufskollegen vor Ort lernten die schweizerische Verkäsungskunst. So wurde der Tilsiter geboren, dessen Name wieder zurück in die Schweiz importiert wurde und sich bei uns grösster Beliebtheit erfreut.

Im Bereich der Architektur haben Schweizer offensichtlich bis heute sichtbare Spuren hinterlassen. Der Tessiner Architekt Luigi Fontana wanderte im jungen Alter von 21 Jahren im Jahre 1845 nach Petersburg aus. Hier stellte er seine grossen Fähigkeiten unter Beweis und bekam den Titel eines «kaiserlichen Architekten» verliehen. Er erschuf sowohl öffentliche Bauten, wie zum Beispiel das grosse dramatische Theater «Towstonogow», das ursprünglich «kleines kaiserliches Theater» hiess und am rechten Ufer der Fontanka liegt, als auch neben Ausstellungs- und Handelshäusern ganz «einfache» Wohnhäuser.

Russen in der Schweiz

Ungefähr 25 000 Schweizer wanderten nach Russland aus. Es zog aber nicht nur Schweizer nach Russland, sondern auch Russen lockte es in die kleine, aber nicht minder attraktive Schweiz. Bereits 1667 nehmen die Republik Genf und die Moskauer Kanzlei für auswärtige Angelegenheiten offizielle Beziehungen auf. Zar Iwan V. tauschte mit der Genfer Regierung offizielle Gesandte aus. Das interessante Werk von Michail Schischkin, «Die russische Schweiz»3, berichtet über die Beziehungen von Russen zur Schweiz. Im 17. und 18. Jahrhundert, so schreibt Schischkin, war es die hohe Gesellschaft, die besonders Genf wegen seiner ausgezeichneten Akademie grosse Beachtung schenkte, «die strengen Sitten der Stadt Calvins, der hohe Wissenstand der Professoren und die Verständlichkeit der Sprache» waren triftige Gründe für die russische Aristokratie, Genf als einen wichtigen Bestimmungsort wahrzunehmen. So galt Genf lange als das Zentrum russischer Immigranten. Als sicherer Hort erwies sich die Schweiz und insbesondere Genf, als gegen Ende des 19. Jahrhunderts das zaristische Russland gegen die politische Opposition und die Aktivitäten der sogenannten russischen Sozialrevolutionäre vorging.

Der russische General Suworow will Napoleon aus der Schweiz vertreiben

Nahezu hundert Jahre vorher, im Zuge der Napoleonischen Kriege, wird die Schweiz zum Schauplatz militärischer Auseinandersetzungen. 1798 besetzte Napoleons General André Masséna die Schweiz. Paris zwingt den Schweizern die Helvetische Republik auf; die alte Eidgenossenschaft bricht zusammen.
Napoleon hatte daraufhin Österreich, das mit Russland und England verbündet war, den Krieg erklärt. Die monarchischen Länder beschliessen eine gemeinsame Offensive gegen Frankreich. Im Jahre 1799 tobt die Schlacht in der Schweiz, in deren Zuge der russische General Suworow eine wichtige Rolle spielt, auch wenn es nicht gelingt, die Franzosen entscheidend zu schlagen und aus der Schweiz zu vertreiben. Unter grossen Verlusten muss sich die antinapoleonische Koalition zurückziehen. Mit der Neuordnung Europas auf dem Wiener Kongress 1814/15 nach der endgültigen Niederlage Napoleons erhält die Eidgenossenschaft ihre volle Souveränität zurück. Auch wenn Napoleon der Schweiz schon 1803 den Rücken zugekehrt hatte, stand das Land bis 1813 noch in direkter Abhängigkeit zu ihm. Der Wiener Kongress bringt die ersehnte Wende.

Russischer Zar stützt Schweizer Neutralität

Es war auch Zar Alexander II., der sich auf dem Wiener Kongress massgeblich für die völkerrechtliche Anerkennung der Schweizer Neutralität eingesetzt hat, so wie sie der Schweizer Diplomat Charles Pictet de ­Rochemont eingebracht hatte. Für den Zaren war klar, dass die Schweiz als Kleinstaat zwischen den europäischen Grossmächten wie Frankreich, Italien, Österreich und Preussen nur dann überleben kann, wenn sie den neutralen Status erhält und dieser auch von den umliegenden Grossmächten respektiert wird. Zwar bietet die völkerrechtliche Anerkennung einem neutralen Kleinstaat einen gewissen Schutz, aber den Respekt, im Ernstfall nicht doch angegriffen zu werden, erreicht man nur mit einer schlagkräftigen Armee, sonst sind die Begehrlichkeiten der Grossmächte, wie ein Blick in die Geschichte beweist, nur allzugross. Wohlweislich haben die Gründerväter der modernen Schweiz der Neutralität den Zusatz «bewaffnete» und «immerwährende» gegeben. Nur so konnte das erreicht werden, was der Schweiz seit dieser Zeit gelungen ist, sich aus allen internationalen Kriegen und Konflikten herauszuhalten.

Schweiz bietet Verfolgten Asyl

Die Neutralität der Schweiz und ihr liberaldemokratischer Aufbau machten sowohl im 19. als auch im 20. Jahrhundert das Land zu einem Zufluchtsort politisch Verfolgter aus aller Herren Ländern, besonders aus jenen Ländern, die im 19. Jahrhundert mit aller Härte gegen liberale und demokratische Bewegungen vorgegangen sind und an dem monarchischen System festhalten wollten. Dass die neutrale Schweiz hier einen wichtigen Beitrag zur Demokratisierung Europas geleistet hat und im Grunde genommen immer noch leistet, wird oft viel zuwenig wahrgenommen. So bot die Schweiz auch Kritikern des zaristischen Russland ein sicheres Zuhause.
Dass Wladimir Iljitsch Uljanow, genannt Lenin, der seine April-Thesen in der Zentralbibliothek der Stadt Zürich verfasste, schon längere Zeit in der Schweiz politisches Asyl genossen hatte, zeigt uns, wie konsequent die Schweiz damals ihren Anspruch als neutrales Land umgesetzt hatte.
Besonders Genf blieb das Zentrum der russischen Revolutionäre. Erst mit dem Ausbruch der Oktober-Revolution zog es die russischen Immigranten in ihre Heimat zurück, um am Aufbau Sowjetrusslands teilzunehmen.

Schweiz nimmt 1946 diplomatische Beziehungen mit der Sowjetunion auf

Auch nach dem Zweiten Weltkrieg blieben die Schweiz und Russland (bis 1991 Sowjet­union) im Austausch. So nahm die Schweiz kurz nach dem Zweiten Weltkrieg diplomatische Beziehungen mit Moskau auf und die Sowjetunion mit der Schweiz. Bis heute ist die russische Botschaft in Bern ein wichtiges Bindeglied zwischen der Schweiz und der Russischen Föderation.

Achtung anderer Staaten als gleichwertige Mitglieder der Staatengemeinschaft

Mit der Öffnung und dem Ende des Kalten Krieges wurden die Beziehungen zwischen der Schweiz und Russland immer intensiver. Das hängt unter anderem damit zusammen, dass beide Staaten eine Politik der Unabhängigkeit verfolgen. Die Grundprinzipien der Nichteinmischung in die inneren Angelegenheiten eines anderen Staates, die Achtung  anderer Staaten als gleichwertige Mitglieder der Staatengemeinschaft und die Wahrung legitimer Interessen, wie sie von Präsident Putin immer wieder erwähnt und von ihm als Grundlage einer partnerschaftlichen Zusammenarbeit zwischen den Staaten gesehen werden, werden im Grundsatz auch von der Schweiz geteilt und stehen in Übereinstimmung mit der Uno-Charta.
Für die Schweiz als Kleinstaat inmitten einer sich immer dreister gebärdenden EU sind bilaterale Beziehungen zu anderen Staaten von äusserster Wichtigkeit, und vor allem dann auch von grosser Bedeutung, wenn das Interesse auf Gegenseitigkeit beruht.
Der offizielle Besuch des damaligen russischen Präsidenten Dmitri Medwedew, der als erster russischer Staatspräsident im Jahre 2009 die Schweiz bereist, und schon damals die Schweiz als ganz besonderen Partner bezeichnet hat, unterstreicht die Qualität der schweizerisch-russischen Beziehungen.
Wenn der russische Aussenminister Sergej Lawrow in die Schweiz kommt und sich den Fragen der Presse stellt, ist das letztlich Ausdruck einer bilateralen Partnerschaft zwischen zwei Ländern, die, wenn sie in bedeutenden Fragen weiterhin einen Konsens finden, eine gewichtige Stimme in Europa und auch weltweit sein werden.    •

1    Eva Maeder, Peter Niederhäuser (Hg.). Käser, Künstler, Kommunisten. Vierzig russisch-schweizerische Lebensgeschichten aus vier Jahrhunderten. ISBN 978-3-0340-0508-1
2    Zeit-Fragen vom 11.12.2011
3    Michail Schischkin. Die russische Schweiz. Ein literarisch-historischer Reiseführer. ISBN 3-85791438-6

 

Was ist die OSZE?

Die in Wien ansässige Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (OSZE) wurde 1975 als Konferenz für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa (KSZE) gegründet und 1992 als regionale Abmachung im Sinne von Kapitel VIII der Charta der Vereinten Nationen anerkannt. 1994 wurde die KSZE in OSZE umbenannt. Die Schwerpunkte der Tätigkeit der OSZE liegen in der Präventivdiplomatie, der Konfliktverhütung und Krisenbewältigung sowie im Wiederaufbau und der Festigung demokratischer Gesellschaftsstrukturen nach Konflikten. Damit trägt die OSZE aktiv zur Förderung von Demokratie, Menschenrechten und Rechtsstaatlichkeit bei. Im politisch-militärischen Bereich bemüht sie sich durch Herstellung von Offenheit, Transparenz und Berechenbarkeit darum, Spannungen abzubauen, das gegenseitige Vertrauen zu stärken und dadurch zur gegenseitigen Rüstungskontrolle im OSZE-Raum beizutragen. Die OSZE umfasst 57 Teilnehmerstaaten, darunter die Schweiz seit 1975. Nächstes Jahr wird die Schweiz den Vorsitz in der OSZE für ein Jahr übernehmen.

Quelle: www.eda.admin.ch/eda/de/home/topics/intorg/osce.html

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

Non riesce la strategia di rompere il monopolio delle agenzie private statunitensi. Dopo molti tentativi la società di consulenza Berger getta la spugna e i tecnocrati europei non favellano

Andrea Perrone

Fallisce il disegno europeo di rompere il monopolio delle agenzie di rating statunitensi. L’intenzione di lanciare un’agenzia indipendente tutta europea non ha avuto seguito per non aver suscitato l’interesse sperato nel mondo delle imprese. Dopo tre anni di sforzi, ha dichiarato il suo cofondatore si è rinunciato ai piani, come si evince da un’intervista pubblicata dal quotidiano tedesco Handelsblatt. “Non c’erano abbastanza investitori”, ha commentato nel corso di una serie di domande il quarantanovenne Markus Krall (nella foto), ex partner tedesco della società di consulenza Roland Berger e ipotetico presidente della naufragata – ancor prima di nascere – agenzia di rating europea.

La società Berger aveva previsto di contribuire a lanciare l’impresa attraverso una ricerca di ben 30 investitori per creare una fondazione con circa 300 milioni di euro di capitale iniziale. I progetti di Krall avevano immaginato un’agenzia in grado di competere alla pari con le statunitensi Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Tutte e tre le agenzie statunitensi agiscono a scopo di lucro per i loro clienti e per questo Krall aveva tentato di sfidarle nel tentativo di creare un’agenzia di rating Ue sul modello di una Fondazione, affinché contrastasse attivamente e positivamente lo strapotere delle tre Parche della finanza apolide e cosmopolita al servizio dell’usura internazionale, che elevano o affossano Stati e istituti di credito a loro piacimento. Gli investitori, mutuatari, e le amministrazioni pubbliche utilizzano i rapporti di agenzia per contribuire a rendere decisioni di investimento e finanziarie. Tuttavia non va dimenticato il dominio a livello globale dell’impero a stelle e strisce non soltanto politico-militare, ma come conseguenza di questo anche economico fondato sulla potenza del biglietto verde. Le agenzie statunitensi infatti dominano infatti il 95 per cento del mercato globale che ancora usa come moneta di riferimento per il peso a livello globale il dollaro Usa. Tutte e tre hanno subito delle dure critiche in passato per il modo in cui non hanno saputo valutare gli inizi  della crisi finanziaria nel 2008. Standard&Poor’s e Moody’s ha avuto una serie di cause legali stabilirono con l’Abu Dhabi Commercial Bank e la King County di Washington, nei giorni scorsi accettando di pagare dei crediti con l’accusa di aver truffato degli investitori poco prima della crisi immobiliare statunitense, come ha riportato il quotidiano della City, Financial Times. Standard&Poor’s ha precisato che l’insediamento non è un’ammissione di colpa. Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti è stato anche citato in giudizio da Standard&’sPoor’s per una somma pari a 5 miliardi di euro per aver preteso la concessione di rating migliori sui mutui subprime sulle grandi spese pur conoscendo i pericoli insiti nella loro natura finanziaria. E così i Signori del danaro, i banksters, quelli che speculano ignobilmente sulle miserie dei popoli riescono sempre a farla franca, grazie naturalmente al sostegno palese o velato dei politicanti di tutto il mondo, come dei tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo.


Nel gennaio di quest’anno, infatti, l’Europarlamento ha votato nuove regole su quando e come le agenzie di rating possono votare i debiti dello Stato e allo stesso tempo valutare la salute finanziaria delle aziende private. Le nuove regole – affermano gli eurocrati – permetteranno agli investitori privati ​​di citare in giudizio le agenzie per eventuali negligenze, omissioni o attacchi indiscriminati. In più si è posto anche un limite alla partecipazione di un’agenzia di rating nelle aziende valutate, per evitare conflitti di interessi e quindi di valutazione. “Le nuove regole contribuiranno ad una maggiore concorrenza nel settore del rating dominato da pochi operatori di mercato”, ha osservato con poca verve il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier, in linea con il voto espresso dall’Assemblea di Strasburgo. Insomma gli eurocrati sono soddisfatti dell’insuccesso, che lascia lo stesso libertà di movimento in favore dell’usura internazionale alle agenzie di rating made in Usa. I tecnocrati preferiscono lo status quo per restare legati mani e piedi a Signori del danaro, quelli che speculano ignobilmente sui prestiti ad usura, così come all’impero a stelle e strisce, che laddove non arriva a conquistare nuovi mercati causando la povertà con l’oppressione del dollaro, giunge nei luoghi prefissati con i cacciabombardieri a portare la morte.


03 Maggio 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20688

mardi, 07 mai 2013

EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

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EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

Ratten krijgen massaal agressieve kanker van Monsanto's producten, maar de EU heeft deze toch toegelaten.

Als het aan de Europese Unie ligt gaat de Amerikaanse multinational Monsanto bepalen wat wij in de toekomst eten. Diverse onafhankelijke wetenschappelijke onderzoeken hebben de afgelopen jaren uitgewezen dat Monsanto's genetisch gemanipuleerde zaden de gezondheid van zowel mens als dier grote en onherstelbare schade kunnen toebrengen. Niettemin wil de EU de omstreden producten van het concern vrij baan geven. Dat komt niet in de laatste plaats omdat Monsanto lobbyisten een stevige greep op diverse EU commissies hebben gekregen.

Er is veel verzet onder de Europese bevolking tegen de komst van genetische gemanipuleerde zaden, kortweg genzaden genoemd. Zowel vertegenwoordigers van onafhankelijke boeren als milieugroepen proberen te voorkomen dat Brussel binnenkort de complete macht krijgt over alle soorten groenten en fruit. De EU Commissie gaat volgende week een wet voorstellen die het vrijwel onmogelijk maakt om zaden te kopen die niet van de grote concerns afkomstig zijn.

Industrie stelt EU wetten op

Door de extreem complexe en ontransparante EU structuren heeft Brussel het voor gewone burgers doelbewust vrijwel onmogelijk gemaakt om enige invloed uit te oefenen op het besluitvormingsproces. Recent werd duidelijk dat de EU vaak wetten invoert die door lobbyisten van de industriële concerns zijn opgesteld. Amerikaanse internetbedrijven hebben zelfs een speciale stichting die hen toegang tot de EU parlementariërs verzekert.

Ook de zaden- en levensmiddelenconcerns hebben al jaren geleden een stevige greep op Brussel weten te krijgen, zozeer dat niet de politiek, maar de industrie -en met name Monsanto- bepaalt welke wetgeving wordt ingevoerd. Bovendien gebeurt dit op basis van 'wetenschappelijk' onderzoek dat door deze bedrijven zelf is uitgevoerd. De agrochemische lobby -de producenten van zaden en bestrijdingsmiddelen- is hiermee één van de machtigste in de EU. 'Hun handelwijze is deels zeer agressief,' verklaarde Nina Katzemich van de organisatie LobbyControl.

EFSA hand in hand met concerns

Hoe groot de invloed van de machtige biotechbedrijven is blijkt ook uit het feit dat in de zogenaamd onafhankelijke Europese levensmiddeleninstantie EFSA regelmatig personen zitten die rechtstreeks uit de voedselindustriële en agrochemische lobby afkomstig zijn en/of hier jaren een ongezonde relatie mee hebben of hadden:

* Harry Kuiper, EFSA genexpert, bijna 10 jaar nauw samenwerkend met het International Life Science Institute (ILSI) dat gefinancierd wordt door o.a. Coca-Cola, Danone, Kraft, Unilever, Nestlé en McDonald's en dat samenwerkt met Monsanto, Dupont, DowAgroSciences, Syngenta en Bayer;

* Diana Bánáti, bestuursvoorzitter bij zowel de EFSA als het ILSI. Na kritiek van het EU parlement trok ze zich in 2010 uit het ILSI terug, terug om daar in 2012 alsnog naar terug te keren;

* Suzy Renckens, EFSA gentechnologie leider tot 2008, daarna lobbyist namens Syngenta bij dezelfde EFSA;

* Albert Flynn, voorzitter van de voedselcommissie, afkomstig van het Amerikaanse concern Kraft. Hij zorgde ervoor dat omstreden graanproducten van Kraft in de EU werden toegelaten. Andere links tussen de EFSA en de industrie: Jiri Ruprich (Danone), Carlo Agostoni (o.a. Nestlé, Danone, Heinz).

De EU Commissie ging in 2012 zelfs zover door Mella Frewen, voorzitter van de Europese industrielobby FoodDrinkEurope en tevens oud Monsanto medewerker, tot het bestuur van de EFSA te willen benoemen. Na protest van het EU parlement werd haar nominatie ingetrokken.

Twee jaar eerder had de EU Commissie na intensieve lobby van BASF de gen-aardappelsoort 'Amflora' toegelaten. Na een onderzoek van het Corporate Europe Observatory  bleek dat meer dan de helft van de leden van de gentech-raad van het EFSA belangenconflicten hadden met de genetische industrie. De Europese Rekenkamer uitte daar zware kritiek op en het EU parlement eiste vervolgens meer onafhankelijkheid in de EFSA.

Ook andere EU commissies geïnfiltreerd

Andere EU commissies zijn eveneens door de genlobby geïnfiltreerd. Isabelle Clément Nissou zit in de directie van DG SANS (Europese Gezondheid en Verbruikers) en werkt tegelijkertijd voor de GNIS lobbygroep van de genindustrie. Dezelfde GNIS is in Frankrijk belast met de controle van de kwaliteit van het zaaigoed. Nissou heeft op deze wijze al diverse EU wetten negatief beïnvloed.

Eenzelfde dubieuze situatie deed zich voor bij het toestaan van controversiële bestrijdingsmiddelen die voor massale bijensterfte verantwoordelijk worden gehouden.

Onafhankelijk onderzoek ontkend

Ook wat wetenschappelijk onderzoek betreft zit de EU diep in de tas van de industrie, met name van Monsanto. Vorig jaar bleek uit een onafhankelijke Franse wetenschappelijke studie dat Monsanto's genmaïs bij ratten een veel hoger risico op agressieve kanker veroorzaakt. Omdat de EU dit maïs al had toegelaten betitelde Brussel dit Franse onderzoek als 'niet wetenschappelijk' en werd er dus geen actie ondernomen.

Draaideureffect ook in VS

In de VS bestaat hetzelfde 'draaideureffect' tussen politiek en industrie. Voormalig minister van Defensie Donald Rumsfeld was CEO bij voedselconcern Searle en verkocht dit aan Monsanto. Oud Opperrechter bij het Hooggerechtshof Clarence Thomas was advocaat voor Monsanto. Toenmalig minister van Landbouw Anne Veneman had zitting in de toezichtsraad van een Monsanto-dochter. Ex officier van Justitie John Ashcroft was één van de vele politici die grote sommen geld van Monsanto ontving voor zijn herverkiezingscampagne.

Monsanto maakt de dienst uit

De conclusie is duidelijk: Grote multinationals, maar vooral Monsanto, maken wat ons voedsel betreft de dienst uit in Europa. Als het aan de EU en Monsanto ligt gaat dat ook gelden voor de zeer omstreden genzaden. De naar verwachting dramatische gevolgen zijn voor ons en de generaties die na ons komen. En daar kan een andere, even machtige lobby, die van de farmaceutische/medische industrie, weer flink van profiteren.
Winst over rug burgers

De ene industrie maakt ons ziek, en de andere maakt ons weer beter (??). De Europese burger is anno 2013 vervallen tot een product over wiens rug een kleine groep industriëlen zoveel mogelijk winst probeert te maken en daar ruim baan van krijgt van de Brusselse politiek.

Xander

 

(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten

Caroline Fourest: féministe virile et journaliste engagée

Caroline Fourest: féministe virile et journaliste engagée

par Michel Lhomme

Ex: http://metamag.fr/

Le 17 janvier 2013 dans les salons d’honneur du ministère de la Culture, rue de Valois, la journaliste Caroline Fourest, ancienne présidente du Centre gay et lesbien (CGLB) s’est vue remettre par Aurélie Filippetti, ministre de la culture, les insignes de Chevalier de l’ordre national des Arts et Lettres, une distinction censée honorer “les personnes qui se sont distinguées par leur création dans le domaine artistique ou littéraire ou par la contribution qu’elles ont apportée au rayonnement des arts et des lettres en France et dans le monde”.
 
 
Chevalier de l’ordre national des Arts et Lettres
 
En 1998, Caroline Fourest coécrit, avec Fiammetta Venner, « Le guide des sponsors du FN »(Editions Raymond Castells). Utilisant de nombreuses sources écrites (publications proches du Front national, documents officiels), le livre dressera notamment la liste des nombreuses entreprises ayant financé le parti.
 
 
En 1999, elle publie, à nouveau avec Fiammetta Venner, « Les Anti-PACS ou la dernière croisade homophobe », (Ed Prochoix) une enquête sur les mouvements anti-PACS, leurs liens avec la droite catholique radicale et Christine Boutin.
 
 
En septembre 2008, profitant du voyage du Pape Benoît XVI, Caroline Fourest renoue avec son sujet de prédilection et enquête, en compagnie de Fiammetta Venner, « sur les réseaux intégristes catholiques » (Les nouveaux soldats du pape, Panama, Ed Panama).
 
Passée à l’audiovisuel, elle réalise une enquête sur « Les Réseaux de l’extrême », diffusée en quatre parties et en en prime time par « France 5 ».
 
Un auteur décrié
 
Caroline Fourest a été lauréate du prix National de la laïcité (2005), du prix du Livre politique (2006), du prix Jean Zay (2006), du Prix Condorcet-Aron (2008), du prix Adrien Duvand de l’Académie des sciences morales et politiques (2009) et du Prix de la licra(2010).
En 2008 André Waroch dans « France Terminus » évoquait Caroline Fourest en parlant du « quart-monde de la pensée ». Pascal Boniface, directeur de l’Institut des relations internationales et stratégiques (IRIS) la traitait quant à lui de « sérial-menteuse ».
 
Qui est Caroline Fourest ?

Caroline Fourest est née en 1975 à Aix-en-Provence. Après des études dans un collège privé catholique, elle s’installe à Paris à 14 ans. C’est durant son adolescence qu’elle découvre son homosexualité. Elle vit aujourd’hui en couple avec l’essayiste et politologue Fiammetta Venner, de quatre ans son aînée.  Elle est diplômée de l’École des Hautes Études en Sciences sociales et titulaire d’un DESS en sciences politiques obtenu à l’Université de la Sorbonne.
 
 
Pour « Le Monde » du 12 mai 2006, cette « militante se réclame d’un féminisme radical et libertaire » et se retrouve dans «tout ce qui est minoritaire ». Après avoir dénoncé presque exclusivement l’extrême-droite et l’intégrisme chrétien pendant plus de dix ans, Caroline Fourest surprit son monde en dénonçant, en 2006, dans deux livres, « Frère Tariq » ( Ed Grasset) et « La tentation obscurantiste »,(Ed Grasset) un islamisme radical intellectuel. Dans « Frère Tariq », Caroline Fourest propose une interprétation du discours de Tariq Ramadan, à partir de lectures et d'écoutes de ses livres et cassettes. Selon elle, Tariq Ramadan tient une sorte de «double discours», relativement libéral lorsqu'il s'exprime dans les médias et fondamentaliste et réactionnaire quand il s'exprime devant ses partisans musulmans. Tariq Ramadan affirmera qu'elle multiplie les approximations, les erreurs historiques et les mensonges.

Aujourd’hui en France, il y a une « orwellisation » de la pensée. Caroline Fourest y participe à sa façon. La meilleure arme à opposer restera toujours le bon sens, la vérité, et la connaissance.

lundi, 06 mai 2013

Loi Taubira : Vote sous pression du « grand capital »

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Loi Taubira : Vote sous pression du « grand capital »

Ex: http://linformationnationaliste.hautetfort.com/

 

Le débat sur le mariage homosexuel qui a accaparé l’actualité au cours des derniers mois tend à apparaître comme un débat franco-français lié à l’affrontement des partis et des sensibilités propres à l’Hexagone et l’outre-mer français. Il a pourtant une dimension internationale déterminante. Il n’est même, d’un certain point de vue, que l’un des champs de bataille dans une guerre non déclarée qui fait rage dans une grande partie du monde, pas seulement occidental.

En même temps que les parlementaires français débattent de la loi Taubira, en effet, le mariage unisexe fait la une aux États-Unis avec le recours auprès de la Cour suprême contre l’État de Californie qui a interdit le « mariage gay » par référendum (et un autre recours, le cas Wilson, tendant à faire reconnaître un « mariage » lesbien conclu au Canada).

Si la Cour suprême annule la décision de l’État de Californie comme contraire aux droits de l’homme, le mariage homosexuel qui, jusqu’ici, n’avait été admis que par neuf États sur 50 [1], deviendrait obligatoire sur tout le territoire de l’union. La décision de la Cour suprême est attendue pour la fin juin.

 Le business gay

Une des dimensions de cette bataille particulièrement âpre est l’intervention massive des plus grandes sociétés américaine en faveur du mariage homosexuel. 278 d’entre elles ont signé un mémoire déposé à la Cour suprême en tant qu’amici curiae (une procédure propre aux États-Unis, qui permet à des tiers, « amis de la Cour », de donner leur avis dans une affaire) lui demandant instamment d’admettre cette revendication.

Parmi les signataires, rien que du beau linge : Apple, Bain & Co, Bank of New York Mellon, Black Rods, CBS, Facebook, Goldan Sachs, Jet Blue, Johnson & Johnson, Starbuck, Twitter, Viacom, Walt Disney. Tous les secteurs sont représentés mais d’abord la banque et la communication.

Ce mouvement des grandes sociétés en faveur du mariage homosexuel se fonde sur l’idée que le reconnaître serait « bon pour le business ». Il est, au dire d’observateurs, un fait nouveau, illustrant l’emprise croissante de la culture « gay » sur l’Amérique des affaires.

La bataille qui fait rage outre-Atlantique va jusqu’à des campagnes de boycott commercial par l’un ou l’autre des camps. Que dirait Disney si les familles nombreuses qui peuplent notre Manif pour tous boycottaient Disneyland ?

Relativement discret dans son premier mandat, le président Obama est aujourd’hui ouvertement engagé du côté des partisans du mariage homosexuel.

Socialisme et grand capital

On peut mettre l’engagement d’une partie du business américain en parallèle avec l’aide que reçoit de sociétés comme Microsoft ou Ernst &Young, la Fondation Terra Nova, proche du Parti socialiste et ardente promotrice des réformes sociétales.

Un rapport récent de cette fondation avait attiré l’attention en 2011 car il proposait que le Parti socialiste prenne définitivement ses distances avec ses appuis historiques, classe ouvrière ou fonctionnaires, pour se tourner vers « une nouvelle alliance des diplômés, des jeunes, des minorités , des femmes, des urbains et des non-catholiques, tous supposés tournés vers l’avenir et adeptes du libéralisme culturel ».

De ce côté de l’Atlantique, la fondation socialiste n’effraye pas non plus le grand capital : Areva, Air France, Casino, EADS, Suez, Sanofi, Vivendi lui apportent leur soutien.

On s’est interrogé sur le financement des femens, ces jeunes femmes venues d’Ukraine pour perturber les manifestations anti-mariage unisexe en France. Il semblerait que pour une jeune femme de ce pays encore très pauvre, où le taux chômage est élevé, la condition des femmes très difficile (notamment en raison de l’alcoolisme, générateur de brutalités), il y aurait d’autres priorités que la condition des homosexuels en France (si tant est que sa promotion aille de pair avec la cause féministe, ce qui reste à prouver).

D’autant que vivre à Paris coûte cher. Mais elles y recevraient pour ce faire un salaire représentant trois fois le salaire moyen ukrainien !

Qui paye ? Parmi les financeurs possibles de ce mouvement, on cite le nom de George Soros, le milliardaire américain dont la Fondation pour une société ouverte s’attache à promouvoir la démocratie et surtout les idées libertaires en Europe de l’Est. Elle a pris pour cible depuis quelques années, le régime de Poutine, encore trop attaché à son gré aux valeurs chrétiennes et patriotiques.

Le Parti socialiste entretient, quant à lui, des liens suivis avec la galaxie du parti démocrate américain, en particulier la National endowment for democracy, fondation chargée de promouvoir à travers le monde la vision américaine « libérale » de la démocratie.

La France sous surveillance

C’est dire que ce qui se passe en France en matière de droits des homosexuels est observé attentivement par des forces internationales aussi puissantes que vigilantes. Pierre Berger, qui a osé dire : « Louer son ventre pour faire un enfant ou louer ses bras pour travailler à l’usine, quelle différence ? » et dont on connaît l’engagement en faveur des LGBT, est, sur ces sujets, pleinement en phase avec George Soros.

Ces forces, largement relayées à la commission de Bruxelles, ne séparent pas ce qui est libéral de ce qui est libertaire. La France était, à leurs yeux, en retard sur les deux plans. Elles attendaient du gouvernement Hollande qu’il « modernise » la France sur le double plan social et sociétal.

Sur le plan social, il s’agissait de remette en cause une législation protectrice héritée d’un siècle de politique social-démocrate, Le projet de loi « sur la sécurisation de l’emploi » est un pas dans ce sens mais jugé encore trop timide.  Sur le plan sociétal, on attendait bien sûr de lui qu’il fasse adopter à la France le mariage dit « gay ».

Pressé par ces puissants mentors, Hollande, ces derniers mois, a paru un peu mou sur l’un et l’autre dossier. Il ne serait pas étonnant qu’on l’ait mis en demeure de faire rapidement ses preuves, ne serait-ce que pour améliorer son image internationale désastreuse.

François Hollande a pris la décision, immédiatement après le vote du Sénat, d’accélérer le passage en force de la loi Taubira. On a d’abord pensé qu’il voulait par-là se débarrasser vite d’une question épineuse. Mais cette accélération est en phase avec le calendrier mondial de la question.

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Suspecte précipitation

N’en déplaise à ceux pour qui la France n’est plus qu’un pays de second rang sans influence, l’adoption du mariage homosexuel chez nous pourrait avoir un impact sur les décisions attendues de la Cour suprême. Si la loi n’avait été votée qu’à l’automne, comme il en avait d’abord été question, elle serait, à cet égard, venue trop tard.

Si dans le courant de cet été l’adoption de la loi française se conjuguait avec une décision de la Cour suprême favorable au lobby « gay », l’équilibre mondial basculerait de manière décisive en sa faveur. Jusqu’ici en effet, contrairement à ce que prétend la propagande homosexuelle, seuls de petits ou moyens pays, au total 11 sur 200[2], avaient adopté cette forme de mariage ; les grandes puissances étaient toutes réticentes.

L’adjonction à la liste de deux pays comme le États-Unis et la France serait une victoire emblématique pour les partisans de la révolution libertaire ; la phase suivante, la destruction définitive du mariage pourrait être rapidement engagée.

Mais nous savons qu’en France, la décision ultime est désormais entre les mains du Conseil constitutionnel. Nous voyons par tout ce contexte combien sa responsabilité est lourde.

Abandon du mariage gay en Colombie

En Colombie, une proposition de loi autorisant le mariage entre personnes du même sexe vient d’être abandonnée mercredi 24 avril. Le Sénat a repoussé très largement ce texte qui ne pourra pas être transmis à la Chambre des députés, où il aurait dû être validé en dernier ressort. Bogota avait adopté le principe des unions civiles entre homosexuels en 2011. La Cour constitutionnelle avait fixé au parlement un délai pour décider ou non d’étendre cette législation aux mariages.

Notes :

[1] Plus le district fédéral de Columbia (ville de  Washington) et trois tribus indiennes.

[2] Sept monarchies : les Pays-Bas, la Belgique, le Danemark, la Norvège, la Suède, l’Espagne, le Canada et quatre républiques : l’Islande, le Portugal, l’Afrique du Sud et l’Argentine, à quoi s’ajoutent certains États des États-Unis, du Mexique et du Brésil (qui sont aussi des États unis).

Liberté Politique  http://fortune.fdesouche.com

dimanche, 05 mai 2013

USA haben Tausende unersetzlicher irakischer Kulturschätze gestohlen

Irakischer Archäologe: USA haben Tausende unersetzlicher irakischer Kulturschätze gestohlen

Redaktion

Der irakische Archäologe und Architekt Ihsan Fathi zeigte sich gegenüber RussiaToday überzeugt, zu den schwerwiegendsten Folgen des nunmehr seit zehn Jahren anhaltenden Krieges im Irak gehöre die Zerstörung des jahrtausendealten kulturellen Erbes des Landes.

 

Neben den Tausenden während des Krieges gestohlener oder auf andere Weise illegal angeeigneter kultureller Schätze seien Werte in Milliardenhöhe aus »der irakischen Zentralbank ohne jegliche schriftliche Dokumentation in die USA« geschafft worden. »Ich bin sicher, dass alles,in der Zentralbank und anderen Banken aufbewahrt war, ohne jegliche Dokumentation in die USA gebracht wurde und dort bis heute in Archiven gelagert wird. Darunter befinden sich große Mengen an Dokumenten mit enormer historischer Bedeutung, deren Wert in Geld nicht zu bestimmen ist, die die USA an sich genommen haben.«

Bisher sind alle Versuche der irakischen Regierung, diese gestohlenen Schätze wieder ausgehändigt zu bekommen, gescheit.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/redaktion/irakischer-archaeologe-usa-haben-tausende-unersetzlicher-irakischer-kulturschaetze-gestohlen.html/

samedi, 04 mai 2013

Rassegna Stampa - Maggio 2013/1

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Rassegna Stampa: articoli in primo piano (Maggio 2013/1)

Die Krise in Griechenland und verborgene Ölkriege

Die Krise in Griechenland und verborgene Ölkriege

F. William Engdahl

In der Griechenlandkrise und der jüngsten Krise in Zypern gibt es einen höchst bedeutsamen Faktor, über den jedoch nicht geredet wird: Beide Länder sitzen auf riesigen unerschlossenen Erdgas- und auch Erdölreserven.

 

Genauso wie großen Gasvorkommen, die in Syrien, im Libanon und in Israel gefunden wurden, sind die kürzlich entdeckten, noch nicht erschlossenen Gasreserven eine wesentliche, wenn nicht sogar die entscheidende Motivation für den NATO-geführten Krieg in Syrien. Dort soll Baschar al-Assad vertrieben und durch eine den USA wohlgesonnene Marionette der Muslimbruderschaft oder, falls das nicht gelingen sollte, durch internes Chaos wie in Libyen ersetzt werden. Bereits wenige Monate vor den von Washington unterstützten Aufständen, die »Arabischer Frühling« genannt wurden, zeichnete sich ab, dass neu entdeckte Erdgas- und Erdölfelder im östlichen Mittelmeer ein neues »Großes Spiel« um die Herrschaft über diese riesigen Energiereserven auslösen würden.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/f-william-engdahl/die-krise-in-griechenland-und-verborgene-oelkriege.html/

vendredi, 03 mai 2013

Presseschau - Mai 2013

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Presseschau
 
Mai 2013
 
Wieder einmal einige Links. Bei Interesse einfach anklicken...

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AUßENPOLITISCHES
 
(Neue Weltordnung)
UN stellen Deutschland Ultimatum wegen Sarrazin
 
Türkischer Bund für Einschränkung der Meinungsfreiheit
 
Rezession ist (fast) da
Frankreich spürt die Krise
 
(älter, aber dennoch bemerkenswert)
CIA prophezeit Bürgerkrieg in Deutschland und EU
 
"Große" Sparer zahlen bei Pleiten mit
Wer mehr als 100.000 Euro auf einer Bank hat, soll künftig beteiligt werden, wenn eine Bank abgewickelt wird, einigten sich die EU-Finanzminister. Das Thema Einlagensicherung war im Zuge der Zypern-Krise hochgekocht.
 
Immobilienblase in den Niederlanden
Der Albtraum vom Eigenheim
Wohneigentum für alle! So wollte es die Regierung in Den Haag. Lange ging das gut. Dann platzte die Immobilienblase. Die Niederlande, bisher Inbegriff der Stabilität in Europa, rutschen in die Krise.
 
Beginnendes Bargeldverbot in Schweden
 
Schwedendemokraten schlossen zwölf Mitglieder aus
 
Lebensmittel
EU will Anbau von Obst und Gemüse in Gärten regulieren
 
Wie funktioniert Geld? 3 Teile
 
Putin führt WDR-Mann Schönenborn vor!
Die ARD kam in den Genuss eines Interviews mit dem russischen Präsidenten Wladimir Putin. Für den Fragesteller Jörg Schönenborn – hierzulande bekannt als Erfinder der Demokratie-Abgabe – wurde das Gespräch allerdings zum Albtraum. Es war ein Sieg der russischen Angriffslust über die bräsige Eitelkeit des deutschen Funktionärs-Fernsehens. http://deutsche-wirtschafts-nachrichten.de/2013/04/06/putin-fuehrt-wdr-mann-schoenenborn-vor-wie-heissen-sie/
 
„Gastarbajter“ in Rußland
 
Frankreich
Senat stimmt für Homo-Ehe
 
Frankreich: Großrabbiner stürzt über Plagiatsaffäre
 
Boston: Explosionen im Ziel - mindestens zwei Tote
Im Ziel des Boston Marathons hat es Medienberichten zufolge zwei Explosionen mit zwei Toten und mehreren Verletzten gegeben.
 
Explosion At Boston Marathon - Videos and Pictures
 
Anschläge bei Marathon in Boston Radikale Christen: Bomben waren Strafe Gottes
 
S.P.O.N. - Im Zweifel links: Für immer im Ausnahmezustand
Eine Kolumne von Jakob Augstein
Der Anschlag von Boston beschleunigt die Erosion des Rechts in den USA. Der Ausnahmezustand wird dadurch permanent. Die Amerikaner wollen die totale Sicherheit - aber sie bekommen stattdessen den totalen Sicherheitsstaat.
 
Golanhöhen
Gefecht an israelisch-syrischer Grenze
 
Die ruhigen Jahre auf den Golanhöhen sind vorbei
 
Waffenexport
KMW vor Panzerdeal mit Katar
 
Türkei Frauen ohne Rock
Weibliche Abgeordnete im türkischen Parlament dürfen neuerdings Hosen tragen. Nun wird noch darüber gestritten, ob auch Kopftücher erlaubt sein sollen.
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
(Interview mit Konrad Adam)
Mitbegründer der Alternative für Deutschland: "Der Euro bringt die Völker gegeneinander auf"
 
Wahre Populisten!
Frank-Furter Schnauze: Viel Glück der Alternative, eine andere haben wir nicht…
 
Umfrage zur AfD
24 Prozent liebäugeln mit Wahl der Anti-Euro-Partei
 
Alternativen für Deutschland – Analysen im Plural
 
Frankfurter Freie-Wähler-Chef tritt der „Alternative für Deutschland“ bei
 
Die „Alternative für Deutschland“ – Interview mit Wolfgang Hübner
 
(Alternative für Deutschland)
Ein Hauch von Vormärz
 
Die Tücken der Demokratie
Alternative werden Partei
 
Die alte Presse sinniert darüber, dass die AfD von der NPD unterwandert werden könnte…
 
Mit der „NPD-Keule“ auf die neue Partei
Diffamierende Spekulationen über eine AfD-„Unterwanderung“
 
„Bei aller Skepsis: Diesmal hoffe ich!“ – Ein Gespräch mit Dieter Stein über die „Alternative für Deutschland“
 
(Lucke vs. Gysi)
Duell mit Überraschungen
 
Lafontaine für Rückkehr nationaler Währungen
 
Regierungsberater sieht Euro-Ende in fünf Jahren
Der Vorsitzende des Wissenschaftsbeirats beim Bundesfinanzministerium, Kai Konrad, gibt dem Euro "mittelfristig nur eine begrenzte Überlebenschance". Die Schuldengrenzen in Europa will er abschaffen.
 
Folgen der teuren Euro-Rettung: Droht auch Deutschlands Sparern eine Zwangsabgabe?
 
Deutsche Arbeitslose sind in der EU am ärmsten dran
 
Grünen-Streit um Steuererhöhung: Stur auf Kurs
 
Das Schlachtopfer der Grünen sind die Deutschen
Nach Identität und Kultur ist jetzt die Geldbörse dran
 
500-Euro-Schein soll unter fadenscheinigen Begründungen abgeschafft werden. Beginn des Bargeldverbots?... 
 
"Das Rechtsstaatsprinzip bröckelt gewaltig"
Jürgen Roth über dubiose Justiz- und Staatspraktiken in Deutschland
 
Debatte über Videoüberwachung
Friedrich weist Voßkuhle zurecht
 
EU plant Vorratsdatenspeicherung 2.0
 
Uli Hoeneß ist nur ein Symptom
 
Caramba Bayern, Danke Hoeneß!
 
Rücktritt von Georg Schmid: CSU-Spitzenmann stürzt über Gehaltsaffäre
 
(Rechte Polemik gegen das Volk)
Kein schönes Land I
von Dietrich Müller
 
(Rechte Polemik gegen das Volk)
Kein schönes Land II
von Dietrich Müller
 
Multikulti-Bundeswehr
 
Deutschland
Britische Soldaten ziehen schon bis 2018 ab
Die britischen Truppen ziehen früher aus Niedersachsen und NRW ab als geplant. Großbritannien will Geld sparen. Manche deutsche Orte werden nun deutlich schrumpfen. Bürgermeister sind besorgt.
 
Niedersachsen: Kein Landesbeauftragter mehr für Vertriebene
 
Eine Briefmarke zum 150. Geburtstag für die SPD
(Die Leserkommentare sprechen mal wieder eine eindeutige Sprache)
 
1813 – das umgedeutete Schicksalsjahr
 
Eine Nation schämt sich ihrer Geburt
Von Dieter Stein
 
Lutherdekade
Römische Tyrannei
 
Preis der Stadt Frankfurt
Ignatz-Bubis-Preis für Bauer Institut
 
Rödermark
Späte Ehre für Opfer des NS-Terrors
 
Bildrückgabe
Flechtheim, seine Erben und die Frage der Restitution
Ein wichtiger Präzedenzfall: Das Kölner Museum Ludwig soll Oskar Kokoschkas „Bildnis der Schauspielerin Tilla Durieux“ an die Nachkommen Alfred Flechtheims zurückgeben.
 
"Unsere Mütter, unsere Väter"
ZDF reagiert auf Polen-Kritik mit neuer Doku
 
Umbenennung der Hindenburgstraße abgelehnt
 
Lesenswerte Amazon-Rezension zum ZDF-Dreiteiler "Unsere Mütter, unsere Väter"
 
Unsere Mütter, unsere Väter [2 DVDs]
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS
 
Dickicht, Sumpf, wildes Wuchern – der Nationalsozialistische Untergrund
 
Wer sind die Terroristen? (2)
 
Seltsam
Wo ist das Kreuz im NSU-Gerichtssaal?
Für den NSU-Prozess wurde der Gerichtssaal umgebaut – dabei verschwand das Kreuz
 
Warum nicht gleich türkische Richter in deutschen Gerichtssälen?
 
Presseplätze für NSU-Prozess
Große Medien gehen leer aus
 
Neue Empörung über Akkreditierungen beim NSU-Prozeß
 
Die schlechten Verlierer aus der Dutschke-Straße
 
Eine neue Rechte
Der Flashmob marschiert
Sie protestieren mit Masken gegen „Multikulti“ und bringen Ghettoblaster mit: Angeblich stehen die jugendlichen Anhänger der „Identitären Bewegung“ weder links noch rechts. Aber die Rhetorik trügt.
 
FAZ, Identitäre und Merkel: Zweierlei „Diskurs“?
 
(Antideutsche Hetze)
Alte Menschen, weniger Geburten
Super, Deutschland schafft sich ab!
Kolumne von Deniz Yücel
 
Die „antirassistische“ Praxis (I)
 
Die „antirassistische“ Praxis (II)
 
(Antideutsches Plakat des Thalia-Theaters)
Übers Theater: Schlau ist, wer geht
 
(Kritik)
Liebe Antifa…
 
Korrektes Sprechen: "Sag das Wort nicht"
Eine Kolumne von Jan Fleischhauer
Es braucht nicht viel, um linksfühlende Menschen in Aufregung zu versetzen. Wie wenig dazu ausreicht, zeigt der Eklat auf einem "taz"-Kongress. Manchmal genügt hierzulande schon ein einziges Wort.
 
(Kampagne der Grünen und Linken)
„Ich bin linksextrem, weil...“
 
Steinbach: Grüne müssen sich von Jugendorganisation trennen
 
Scharfe Kritik an Grüne-Jugend-Chefin wegen „Rote Hilfe“-Mitgliedschaft
 
Österreich
Grüner Machtkampf: Linksextreme setzen sich durch
 
Cohn-Bendits pädophile Äußerungen
Danys Phantasien und Träume
Archivmaterial zu Daniel Cohn-Bendit ist gesperrt. Pädophile Äußerungen findet man trotzdem. Von Cohn-Bendit selbst und von anderen, unter seiner Verantwortung.
 
Cohn-Bendit verzichtet auf Medienpreis
 
Frankfurter IvI geräumt
Nach der Räumung keinerlei städtische Hilfe
FW-Fraktion begrüßt Maßnahmen gegen linke Rechtsbrecher
 
Linker Vandalismus an Frankfurts Goethe-Universität
Eine Schande für die ganze Studentenschaft
 
Nur FREIE WÄHLER ohne Zugeständnis an Gesetzesbrecher
Gesamter Parteienblock kommt Linksextremen entgegen
 
Stadt Frankfurt muss „Occupy“-Schäden selbst bezahlen!
Magistrat gesteht Kapitulation gegenüber FREIEN WÄHLERN ein
 
(christlich verbrämter Sozialismus)
Religion als soziale Utopie: Die Jesus-Alternative
Eine Kolumne von Jakob Augstein
 
(Antifa-Autor Thomas Kuban wird von katholischem Bistumsblatt interviewt; Anfälligkeit
katholischer Kreise für antifaschistische Strippenzieher…)
"Blut muss fließen": die Neonazi-Szene
 
(Kritik an REWE-Deutschland-Sammelbildchen)
Kauft nicht bei Deutschen!
 
Nordhausen: das braune „Gedenken“ in Kleinstädten
 
(Sensation! Skandal!)
Rechte suchen die Lücken in der Mitte
 
(Skandal! Gefahr!)
Weitreichende Kontakte Rechtes Knast-Netzwerk reicht bis ins NSU-Umfeld
Unter den Augen ihrer Aufseher haben rechtsextreme Häftlinge ein Netzwerk in Gefängnissen aufgebaut. Die Verständigung lief über verschlüsselte Schriftstücke. Der Kontakt reicht bis ins NSU-Umfeld.
 
(Hardy Krüger gegen Rechts)
„Wenn der Genickschuß eine Landsmannschaft hat, dann die deutsche“
 
(Zu Frei.Wild)
Martenstein
Über eine umstrittene Band aus Südtirol und ehrenwerte Rapper
 
Nürnberger BN-Chef tritt zurück
Braune Töne beim Bund Naturschutz
"Wie viele Migranten/Ausländer verkraften wir?" Der Nürnberger Chef vom Bund Naturschutz hat sich rechtslastig geäußert. Nun hat er sein Amt abgegeben.
 
„Ich bin Faschist, aber kein Rassist“
Paolo di Canio soll Sunderland retten – Miliband tritt zurück
 
AFC Sunderland
Streit um rechtsextreme Vorgeschichte von Trainer di Canio
 
Meinung
Gegen Faschisten wie Di Canio hilft nur Boykott
Es gibt niemanden im europäischen Fußball, der sich so offen als Faschist inszeniert, wie der Italiener Di Canio. In der englischen Premier League ist er nun dennoch Trainer – mit ersten Konsequenzen.
 
Griechenland
Katidis nach Nazi-Jubel fünf Spiele gesperrt
 
(Das nächste Medienskandälchen…)
Neonazis fahren in Andrea Bergs Tour-Bus
Eine Gruppe von Neonazis war am Samstag auf dem Weg zu einer Demonstration. Ihr schwarzer Bus wurde von Einsatzfahrzeugen der Polizei eskortiert. Kurios: Der schwarze Riesen-Mercedes gehört dem Schlagerstar Andrea Berg.
 
(Und noch ein Medienskandälchen…)
Herbe Kritik an Heino
Der Schlagersänger sucht den Skandal. Im Interview mit dem britischen "Guardian" soll Heino Adolf Hitler zitiert haben.
 
(Das nächste Mini-Skandälchen…)
Peinlicher Eintrag im Anne-Frank-Haus
Justin Bieber blamiert sich
 
(Sofort Sendungen einstellen!!!...Das nächste Skandälchen…)
Enthüllung über "Derrick"-Darsteller: Horst Tappert war in der Waffen-SS
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
Regierung: Kampf gegen Rassismus intensivieren
 
Merkel: „Wir wollen ein Integrationsland werden“
 
Satire
Adolf Hitler bringt Multi-Kulti nach Israel
 
(BA-Chef auf Beschwichtigungstour)
Bis zu 180.000 Zuwanderer aus Osteuropa erwartet
Ab 2014 gilt die volle Freizügigkeit für Arbeiter aus Bulgarien und Rumänien. Frank-Jürgen Weise, Chef der Bundesagentur für Arbeit, erwartet viele Einwanderer – aber keine hohe Armuts-Zuwanderung.
(Die Leserkommentare sprechen eine eindeutige Sprache)
 
Juhuu: schon 28.900 Bulgaren und Rumänen beziehen Hartz IV
 
Exklusiver Club
Die EU will Balkan-Asylbewerber aussperren: Visa-Freiheit für Serben, Albaner und andere vor dem Ende
 
Dietzenbach
14 Männer auf 70 Quadratmetern
 
Migration
Grüne attackieren Einreisepolitik
 
Guy Debord über Identität und Einwanderung
 
Rapper Haftbefehl im Interview
Ihr seid nicht mein Vater!
Der Rapper, der sich „Haftbefehl“ nennt und aus Offenbach stammt, spricht im Interview über Schutzgeld, Drogen und die Frage, wann Integration gelingen kann.
 
Steuerzahler zahlt ausländische Vielehen mit
 
(eine Bemerkung dazu)
Ein Ex-Sponti bekennt
Hurra, ich bin ein Spießer!
Von Reinhard Mohr
 
Polizeikontrollen in Shisha-Bars
Wasserpfeifen: Die unterschätzte Gefahr
 
(Forderung nach getrenntem Sportunterricht)
Scharfe Kritik an Steinbrück
 
FDP bekommt Vorfeldorganisation für Einwanderer
 
Politik
CDU-Politiker Ismail Tipi wird offenbar von Salafisten bedroht
 
Nach Brand in Köln: Türkei kritisiert Deutschland
 
Freispruch in Frankreich
Klein Jihad darf „Ich bin eine Bombe“-Shirt tragen
 
Einbrecherbanden in NRW: Wo die Diebe am häufigsten zuschlagen
 
Raub an Geldautomaten in Mönchengladbach Kinderbanden: Zum Stehlen erzogen
 
Bonn: 90 % der Jugendkriminalität migrantisch
 
Deutsche Opfer: Lebensgefahr von Hamburg bis München
 
Polizei fahndet nach Brutalos
Versuchter Totschlag! Wer kennt diese Männer?
 
Wer sah jugendliche Räuber? – Offenbach
 
Düsseldorf
Hohe Haftstrafe für Jobcenter-Mörder
 
(Ramin T….)
Offenbach
Haftstrafe für Hartz-IV-Empfänger
Hartnäckig und frech genug
 
Fünfer-Gruppe beklaut Taxifahrer – Offenbach
 
Offenbach
Jugendlicher tritt Kind vom Rad
(dunkelhäutiger Täter)
 
Zwei Offenbacher überfallen
Räuberische Radler mit Klappmesser
(Täter Südländer)
 
(Redoine Faïd…)
Französischer Ausbrecher
Nicht einfach nur im Knast geprahlt
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
Zwei Experten – Zwei Positionen
Rekonstruktion – Sünde oder Segen?
 
Fassadenrekonstruktion
Eigentümer geben Altbauten den Schmuck zurück
Der hektische Wiederaufbau nach dem Krieg hat den Stuck oft aus dem Stadtbild verdrängt. Viele Hausbesitzer wollen ihre Objekte nun nach historischem Vorbild wiederherstellen. Das zahlt sich aus.
 
Die große Kunst, ein kleines Haus zu bauen
 
Initiative “Gegen die Zerstörung historischer Fassaden durch Wärmedämmung”
 
Städtebau
Aufstand gegen die Verschandelung von Denkmälern
Die Potsdamer wollen keinen Mitropa-Pavillon am Schloss, in Worms gibt es Proteste gegen einen hässlichen Neubau neben dem Dom. Bürger fordern "Umgebungsschutz" für ihre architektonischen Schätze.
 
Stadtentwicklung
"Nicht ganz Berlin kann am Prenzlberg wohnen"
Die Hauptstadt braucht einen Plan, meint der Berliner Senator für Stadtentwicklung. Eine Vorstellung dafür hat er nicht. Die traurige Wahrheit ist, dass die Planer 20 Jahre alten Idealen nacheifern.
 
Ideologische Stadtplanung
Die Einheitsfratze der Fußgängerzone
 
Verkehrsplanung
Warum Plätze in Italien schöner sind als deutsche
Deutsche Gemeinden tun sich schwer damit, ihre Plätze zu gestalten. Stets sollen alle Verkehrsteilnehmer auf ihre Kosten kommen. Ergebnis: ein seelenloses Nebeneinander von Beeten und Bordsteinkanten.
 
In der Zange der Propaganda
Dr. Claus-M. Wolfschlag: Feministen und Christlich-Konservative geben sich die Klinke in die Hand
 
Deutsche Bischofskonferenz kritisiert Proteste gegen Homo-Ehe
 
Barbie Dreamhouse in Berlin
„Sexistische Propaganda“ in Pink
 
Barbie-Traumhaus in der Kritik
Ein Alptraum in Pink
 
Bekommt Barbie in Berlin Polizeischutz?
Linker Hass: Aktivisten protestieren gegen Barbie-Haus
 
Der Fromet-und-Moses-Mendelssohn-Platz oder die Angst des Feuilletonisten vor dem Weiblichen
 
IG Antifeminismus IGAF
 
Agens e.V. — Mann+Frau MITeinander
 
Das Männermagazin
 
Der Maskulist
 
Cuncti
 
Zentrum für Jugend, Identität und Kultur – Dresden
 
Warum sich jemand bewusst für Hartz IV entscheidet
Susanne Müller (42) könnte gut verdienen, doch sie braucht nicht viel. Sie hat sich gegen Karriere und für Hartz IV entschieden – und stellt doch Ansprüche. Zu Gast in einem spartanischen Luxusleben.
 
Chris Dercon
„Das Künstlerprekariat sitzt in der Falle“
Wir kuratieren uns zu Tode: Chris Dercon über das Elend der Projektemacher, die Ghettos der Kreativen – und über die Frage, ob wir eine Revolution brauchen
 
„68 ist mehr als Sex, Drugs and Rock´n Roll“ – Kommunarde Rainer Langhans im Porträt
 
Der typische Tatort in 123 Sekunden
 
Banal - Das typische Promi-Magazin
 
Schockierend - Der typische Unglücksbeitrag
 
Samira Schwall - die typische Talkshow
 
"Glücksgefühle" (Prof. Gerald Hüther)
 
Die Telekom erdrosselt das Internet
Die Telekom will DSL-Flatrates abschaffen. Sie sollen durch Datenkontingente ersetzt werden, wie sie im Mobilfunk üblich sind. Wer mehr verbraucht, muss mehr zahlen oder im Schneckentempo durchs Netz schleichen. Das ist der Anfang vom Ende der Netzneutralität - wenn niemand einschreitet.
 
Spiegel Online klar vor Bild.de und dem Rest
Top 25: Leitmedien bei Facebook, Twitter&Co.
 
Fleischhauer, FDP, Fisch
 
Augenöffner! Die Geschichte der Political Correctness - Frankfurter Schule
 
Franzobel: Warum wir die Arbeit abschaffen sollen
 
KenFM über: Stell dir vor es ist Krieg und DU bist kein Opfer mehr!
 
Kampf gegen Weltraumschrott „Wir haben unsere Warnschüsse gehabt“
In Darmstadt diskutieren dieser Tage 300 Wissenschaftler am europäischen Satellitenkontrollzentrum Esoc über die Gefahren von Weltraumschrott. Heiner Klinkrad, Leiter des ESA-Büros für Weltraumrückstände, im Gespräch über die schwierige Bekämpfung der gefährlichen Weltraumtrümmer.
 
Leni Riefenstahls „Olympia“
Die Erotik des freien Flugs
 
Neu entdeckte Filmaufnahmen
Interviews mit Hitlers engsten Vertrauten
 
Belgien: 800-jährige Tradition am Ende – letzte Begine gestorben
 
Papst-Porträt aus 17.000 Kondomen wird versteigert
 
Russische Forscher benennen Dinosaurier-Gattung nach Lenin
 
William T. Vollmann im Gespräch
Manchmal frage ich mich, ob Hitler nicht scheitern wollte
Mit seinem Roman „Europe Central“ hat William T. Vollmann ein Panorama des Zweiten Weltkriegs aus der Sicht von Russen und Deutschen entworfen. Wir trafen den Autor auf einer Lesereise in Berlin.
 

The Tsarnaevs are a product of America

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The Tsarnaevs are a product of America

Interview with Mark Sleboda

Ex: http://granews.info/

- Assessing the existing information from the media, can we say that Tsarnaevs' guilt in committing a terrorist act in Boston is obvious?

Mark Sleboda: While the guilt of the Tsarnaev brothers in being responsible for the Boston Marathon bombings may seem self-evident to most people from the narrative of events that the government and mainstream media have put forth, the US like most countries, operates on the legal principle of guilty until proven innocent. Until proven guilty of these crimes in a court of law (hopefully a civilian court of law and not a military show trial) with the presentation of sufficient evidence, they are presumed innocent. Personally, I think there are many holes and inconsistencies in the narrative of events put forth by the authorities and the mainstream media that must be addressed and answered.

As of writing, Dzhokar Tsarnaev, a naturalized American citizen, has not yet been read his Miranda rights or been charged with any crime under a legally dubious ‘public safety’ exemption that has been expanded and abused by the Obama administration under the rationale of interrogating suspects for ‘critical intelligence’. Some neoconservative politicians are calling for Dzhokar Tsarnaev to de declared an ‘enemy combatant’ so that he receives no legal due process, and others have even openly called for him to be tortured. This is all extremely disturbing for anyone concerned with the rule of law in the United States.

- In general in the USA there is a widespread perception of the Chechens as victims who suffered from the Russians in both Chechen wars. There are people sympathetic to them among the professors as well. For example, Bryan Williams, a professor at the University of Massachusetts sent to Dzhokhar Tsarnaev material on, as he put it, "Russia's genocidal war on Chechen people". In this case, why did the Tsarnaevs turn their anger against the USA? Given Tsarnaevs' strong patriotic feelings should we consider, first of all, as radical Muslims or as Chechen nationalist, as applied to the terrorist act in Boston.

M.S: It is par for the course for Western politicians and academics to take an extremely unobjective and critical view of Russia and the Russian government due to latent Russophobia and self-righteous ethnocentrism, while at the same time hypocritically remaining silent and willfully ignorant of their own countries often far greater and more numerous crimes and human rights violations, both historical and those in the present day. Opprobrium over Russia’s actions in the two wars in Chechnya, while simultaneously whitewashing and seeing no equivalence in the West’s numerous and continuing crimes in the invasions and occupations of Iraq, and Afghanistan, regime change operations in Libya and Syria, and the continuing so-called ‘Global War on Terror’ is a prime example of this selective and subjective finger-pointing. Such is extremely unhelpful for international efforts to genuinely deal with the root causes of terrorism and extremism. Schadenfreude…

If the Tsarnaevs are guilty of the crimes they are suspected of as presented by the authorities it would seem that a strict reading of their Chechen ethnicity would have only a marginal influence on their neuroses and motivations. As Chechen leader Ramzan Kadyrov rightly noted, “They grew up and studied in the United States and their attitudes and beliefs were formed there. Any attempt to make a connection between Chechnya and the Tsarnaevs is in vain.” The Tsarnaev brothers spent most of their lives in Kyrgyzstan and the United States. If their lifestyle is any indication they obviously have only faded and vague emotional connections to their ethnic roots. If they are guilty of the crimes they are alleged to have committed, it would seem that the most likely motivation is Islamic fundamentalism and radicalization of a pernicious Wahhabist variety, occurring primarily over the internet. Tamerlan was recently in Russia, but he did not lash out in violence there against Russians. He committed an act of terror against the United States and against Americans, which he obviously had conflicted feelings about. With America’s ‘Global War on Terror’ commonly perceived by both Americans and the rest of the world as a hegemonic war against Islam, such an act is easily understood if not accepted. He is far from the first to do so and he will not be the last. The US’s bloody ‘Global War on Terror’ is a self-perpetuating one, breeding its own terrorists. The Tsarnaevs are a product of America and thus took out their religious and political frustrations on America.

- Republicans call on the authorities to treat Tsarnaev as a terrorist, not just criminal. In this context, what do you think about Guantanamo prison? Does its existence contribute to eradication of terrorism or quite the contrary?

M.S.: The Guantanamo Bay Gulag is a bleeding hole of crimes against humanity and egregious violations of international and domestic law. We can only hope, one day, that the American politicians and military leaders responsible, from both the Bush and Obama regimes, will be held accountable and receive justice. It is an embarrassment to the nation, which has tarnished the US’s international reputation and already questionable moral standing. It only causes more hatred and resentment against the US, spurring more violence and acts of terror.

- Recently in the USA, not long ago before the Boston tragedy, there was a series of shootings, when innocent people, including children, were killed. Thus could we say that Tsarnaevs were a sort of the society's product or did their Caucasian origin play a crucial role?

M.S.:The US does indeed have a terrible “culture” of violence, glamorized and normalized by Hollywood, video games, and the US’s global military Empire. It is perfectly reasonable to assume that this had at least as much, if not more of a role to play, as their remnant ethnicity, in motivating the Tsarnaev’s alleged crimes, considering that they spent much of their lives in the so-called ‘melting pot’ of the US, and very little of it in the Caucasus.

- What is your attitude to the right to bear and use a gun? After the shootings some American politicians increasingly began to demand its limitation. However, in Boston people were killed with the use of a self-made bomb. Should we focus so much on the means of committing a crime?

M.S.:I do not believe there is any inherent right to bear and use a gun, beyond limited hunting and sporting purposes. The US Constitution’s second amendment regarding regulated militias or armed forces has been badly abused and misinterpreted by special interest lobbies such as the National Rifle Association (NRA). To the contrary, I would say that Hobbes was right. We have given the Leviathan, our states, a monopoly on violence, because without it, life is, indeed, ‘nasty, brutish, and short’. It is understandable to fear the power of the state. But I am much more afraid and mistrusting of lethal weapons in the hands of my fellow irrational, emotional, maladjusted, and often inebriated citizens. I fear the people, more than the state, and the Tsarnaev brothers, if guilty of the crimes they are alleged to have committed, are a perfect illustration of why. The Rest of the world looks on in horror at the continuous stream of gory headlines of Americans killing themselves with guns.

Russia is a statistical and social aberration in that is has extremely high levels of homicide, suicide, and domestic abuse, even without private gun ownership. I shudder to think what would result from adding firearms to that mix.

-What can thе authorities can do to avert such terrorist acts? What should be done first: stricter immigration laws, stricter control in public places or something else?

M.S.:There is no one single magic bullet solution to ending ‘terrorism’. Terrorism is just a tactic. Acts of terror most often have political, ethnic, religious, and economic motivations and root causes that must be addressed. Context is everything.

Russia in the Chechen Republic under the leadership of Ramzan Kadyrov, for example, has seen remarkable success over the last decade in reducing terrorism and violence through a combination of autonomous government and self-rule in the Chechen ethnic Republic, a firm hand, the sizeable influx of federal funds bringing jobs and reconstruction, rebuilding education and universities, and promoting the institutions and moral guidance of traditional and moderate Sufi Islam. This model needs to be repeated and expanded throughout the Northern Caucasus.

The biggest things the United States can do to end terrorism is to bring an end to their global military Hegemony, stop their ‘Global War on Terror’, close their hundreds of military bases in the Middle East and bring their troops home, stop supporting, arming, and propping up brutal dictatorships, including Saudi Arabia, Qatar, and Bahrain, and generally stop interfering in the Islamic world and trying to impose their values and way of life on the people who live there. 

In short, in the words of the great US political thinker and philosopher, Noam Chomsky:  “Everybody's worried about stopping terrorism. Well, there's a really easy way: stop participating in it.”

- In American media the Chechens are often called "the Russians". However in Russia it's crucial to emphasize that these are two different nations. For he part of the American media, is it just a mistake or maybe it's being done so deliberately?

M.S.:Great ethnic Russians and Chechens are indeed two different ethnicities. However, as with the other 185 ethnicities in the rich tapestry that makes up the Russian Federation, their lives, history, culture, and blood have been intermingled for centuries. Russia is a multi-ethnic and multi-confessional country and has been – from the time of the Golden Horde, through the early Russian Empire, to the Romanov Empire, through the Soviet Union, and to the Russian Federation today. The Chechen people are a vital and intrinsic part of who and what we are as Russians. We would not be the same without them, and would be much less for their loss. The vast majority of the Chechen and Caucasian peoples are normal and peaceful citizens with a rich tradition, religion, and culture – concerned primarily with their personal economic situation, family, and communities – as we all are. We must not fall into the trap of stereotyping and blaming the whole for the despicable actions of an extremist few, often motivated to violence by Saudi-promoted foreign Wahhabism. That would lead to the disintegration of Russia.

Americans are as rule ignorant of other countries, cultures, religions, and peoples. The outside world doesn’t exist for them. They don’t understand the difference between Russians (Russki) and Russians, (Rossisski), nor how important Russia’s varied ethnicities are for who and what we are.  We must not become like them. We cannot claim that Chechnya or any other ethnic republic is part of Russia, but then try to disown and keep a distance from them when it is inconvenient. Chechens are Russians (rossisski) and Russians are Chechen. And we should be proud of that. Russians are many and one.

"How many people are there in Russia who have no Khazar or Polovtsian, Tatar or Bashkir, Mordin or Chuvash blood in their veins" [This applies to Russian or Chechen blood as well] - P.N. Savitsky, Povorot k Vostoku (Turn to the East), 1921

 

La guerre civile en Europe avant 2050 ?

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La guerre civile en Europe avant 2050 ?


Par Pierre Lance

Ex: http://fierteseuropeennes.hautetfort.com/

 

Depuis quelques années, je reçois de nombreux messages émanant d’une demi-douzaine de militants du Front National, qui se donnent beaucoup de mal sur Internet pour diffuser des informations et des commentaires. La principale motivation de ces propagandistes est la hantise de l’immigration musulmane et de toutes les formes de pression qu’exerce cette communauté, et surtout ses éléments extrémistes, pour la modification à leur profit de la culture française. Parmi ces militants, quelques-uns mettent en avant les «racines chrétiennes» de la France et de l’Europe et semblent croire que la renaissance du christianisme, et surtout du catholicisme, permettrait aux Occidentaux de faire échec à l’expansion de l’Islam. C’est une erreur dramatique, car elle aboutirait à transformer un problème ethnologique et démographique en guerre de religion. Je ne suis d’ailleurs pas sûr que ces militants soient plus catholiques que ne l’était Charles Maurras, agnostique notoire qui avait, dans les années 30, choisi de soutenir le catholicisme par tactique politique. Or, ce qui était déjà inopportun il y a 80 ans l’est encore bien davantage aujourd’hui.

 

Cette erreur repose essentiellement sur une ignorance abyssale des véritables fondements de la civilisation occidentale et sur une ignorance non moins abyssale de la nature profonde et commune aux religions monothéistes nées au Proche-Orient et dont les deux premières, le judaïsme et le christianisme, envahirent l’Europe à la faveur de la décadence romaine, tandis que la troisième et la plus virulente, l’islamisme, est en train de le faire à la faveur de notre propre décadence et surtout d’une immigration étrangère que nos gouvernements semblent incapables de maîtriser. A ces deux ignorances s’en ajoute une troisième, encore moins excusable que les deux autres de la part de «nationalistes», puisqu’elle concerne la formation même de la nation française.

 

Comme ces militants me semblent manifestement sincères et de bonne foi, j’aimerais, sans me faire trop d’illusions sur mes chances de succès, tenter de leur ouvrir les yeux sur des réalités historiques avérées qu’aucun honnête homme ne peut contester, sauf en se mentant à lui-même. Je les résume ci-après en 21 paragraphes, aussi succinctement que possible, bien que la plupart exigeraient de plus longs développements :

 

1)  L’expansion du christianisme s’est très longtemps heurtée à la résistance des Gaulois, à qui cette religion étrangère semblait si aberrante qu’ils affublèrent du nom de «chrétien» les débiles mentaux, qualificatif demeuré jusqu’à nos jours dans la langue française sous la forme «crétin» (le terme médical «crétinisme» étant lui-même dérivé de «christianisme»). De la défaite d’Alésia jusqu’à la chute de l’Empire, les Gaulois ne cessèrent de se révolter contre l’occupant. De véritables armées populaires (les Bagaudes, terme celtique signifiant «combattants») mirent en échec le pouvoir romain de 283 à 311 et elles réapparurent à la fin du IVe siècle et au début du Ve. Bien entendu, les Romains disaient de ces révoltés qu’ils étaient des pillards et des brigands, ce que les historiens conformistes ont repris à leur compte sans examen.

 

2)  Les Gaulois ne purent finalement être soumis au despotisme de l’Église romaine que par la faute de Constantin 1er (272-337), dont la fausse conversion au christianisme, opération de pur opportunisme politique, lui assura le soutien de l’Église, l’élimination de ses concurrents et sa domination sur tout l’empire romain. Ce prétendu chrétien fit assassiner son fils aîné Crispus et son épouse Fausta, en 326. Après l’avènement de Constantin, la collusion entre le pouvoir politique et le pouvoir clérical fut totale, amenant Constantin à faire du catholicisme la religion d’État.

 

3)  La seconde grande trahison de l’esprit occidental fut celle de Clovis (466-511), lui aussi faux converti au christianisme par arrivisme politique, ce qui lui apporta le soutien de l’Église romaine pour installer sa dictature sur toute la Gaule. Cet assassin multirécidiviste fit exécuter tous ses rivaux, les chefs saliens et rhénans voisins, certains de ses anciens compagnons et les membres de sa propre famille qui auraient pu revendiquer sa succession contre ses fils, soit au total une dizaine de meurtres. Mais il semble qu’aux yeux du clergé catholique, son baptême chrétien l’ait lavé de toute faute.

 

4)  Ce chef de gang sans scrupules est toujours célébré aujourd’hui par les catholiques français, qui veulent voir en lui le fondateur de notre nation. Cette absurdité est contredite par le fait indéniable que la première unité nationale de notre pays est due à Vercingétorix, qui la réalisa cinq siècles plus tôt, et l’on peut même affirmer qu’elle préexistait à la formidable entreprise de résistance anti-romaine du prince arverne, car comment celui-ci aurait-il pu susciter la formation d’une armée de secours autour d’Alésia, comprenant des contingents de toutes les tribus gauloises (au total 300.000 guerriers, chiffre stupéfiant pour l’époque), si celles-ci n’avaient pas déjà eu conscience de l’unité profonde de leur culture ?

 

5)  Les prétendues «racines chrétiennes» de la France ne sont donc rien d’autre qu’une escroquerie intellectuelle entretenue par l’Église romaine. Est-il besoin d’être horticulteur pour savoir différencier une racine d’un greffon ? Le christianisme est un greffon oriental imposé à nos aïeux par la force et la ruse, grâce au concours successif de deux arrivistes sans foi ni loi : Constantin et Clovis. Charlemagne prit leur suite en imposant le christianisme aux Germains par la guerre. Il fit massacrer 4.500 Saxons qui refusaient le baptême chrétien. La peine de mort fut décrétée contre tous ceux qui voulaient demeurer païens. Prétendre que les Européens ont des «racines chrétiennes» est aussi absurde et mensonger que le serait de dire que les évangélistes afro-américains chanteurs de gospels ont des «racines chrétiennes», alors que le christianisme fut imposé à leurs ancêtres par les esclavagistes. Ce qui prouve à quel point il ne suffit pas d’être physiquement libre pour être délivré de ses chaînes mentales. Les chrétiens résiduels européens sont toujours des esclaves psychiques.

 

6)  Les véritables racines du peuple français (comme des autres peuples européens), sont à rechercher dans les principes éthiques et philosophiques du paganisme, du polythéisme et du druidisme, honteusement calomniés depuis vingt siècles par les zélateurs de Rome, et de ce fait totalement ignorés des Français d’aujourd’hui, qui ont été littéralement amputés de leur propre Antiquité historique. Les monothéistes, qu’ils soient juifs, chrétiens ou musulmans, ne se rendent pas compte à quel point ils ont été «lobotomisés» dans leur enfance par des religions contre-nature qui n’ont cessé d’abaisser et d’humilier l’être humain pour le prosterner devant un Seigneur céleste imaginaire, au seul profit de pouvoirs despotiques soutenus par des clergés félons.

 

7)  Les adeptes des trois cultes abrahamiques ont été persuadés par la propagande cléricale que le monothéisme est supérieur au polythéisme et qu’il était un progrès par rapport à lui, alors qu’il fut au contraire une tragique régression de la vraie spiritualité humaine, notamment européenne. Comme Nietzsche l’a clairement vu et affirmé : «Le polythéisme était une première image de la libre pensée, de la «polypensée» de l’homme.» Aussi n’est-ce pas un hasard si, de nos jours, les Français et les Européens tournent le dos au christianisme et retrouvent leurs vraies racines. (Plus de 50% d’entre eux déclarent ne pas croire en Dieu, les Tchèques arrivant en tête avec plus de 70%). C’est le seul continent où se produit ce phénomène, apportant la preuve que les Européens sont toujours en tête du progrès de la civilisation et de l’esprit.

 

8 ) Le polythéisme ayant toujours été jugé comme archaïque, primitif et barbare, très peu d’Occidentaux, même libre-penseurs, sont aujourd’hui capables d’en apprécier la valeur philosophique et spirituelle. Pourtant, le professeur et ancien ministre Luc Ferry écrit dans son récent ouvrage «De Homère à Platon» (Edition Le Figaro/Le Point, sept 2012) : «Les philosophes (grecs) connaissaient admirablement la mythologie : c’était tout simplement la culture commune de leur temps et, sous une apparence littéraire, elle fourmillait déjà d’idées métaphysiques d’une profondeur inouïe.» Ces philosophes, notamment Aristote, considéraient les druides gaulois comme leurs pairs.

 

9)  Les mythologies européennes (grecque, romaine, celtique, germanique…) sont effectivement nos vraies racines culturelles, et d’ailleurs elles fascinent toujours les esprits européens, même lorsqu’ils n’en saisissent pas toute la profondeur. Leur principal mérite était de placer l’homme au cœur de la nature et du cosmos, de le relier pleinement à tous les vivants animaux et végétaux de même qu’aux planètes entourant la nôtre. Les monothéismes, tout au contraire, s’acharnèrent à briser cette fraternité naturelle et cosmique et à conduire les humains au mépris des autres espèces et de leur propre corps ainsi qu’à la honte de leurs instincts les plus naturels.

 

10) Les principaux dieux du polythéisme étaient en fait des transpositions des planètes du système solaire, qui portent toujours leurs noms, et, issus du savoir astronomique et astrologique des Anciens, ils symbolisaient l’influence des planètes sur les destinées terrestres et représentaient donc des types psychologiques humains. Aujourd’hui encore, les noms des jours de la semaine sont ceux des planètes : (Lundi, jour de la Lune, Mardi, jour de Mars, Mercredi, jour de Mercure, etc.). Dans l’antiquité pré-chrétienne, le premier jour de la semaine (et non le septième) était dévolu au Soleil et nous devrions le nommer Soldi, à l’instar des Anglo-Saxons qui le nomment Sunday, des Allemands qui le nomment Sonntag, des Hollandais qui le nomment Zondag, et non pas Dimanche (du latin «dies dominicus», jour du Seigneur), imposé par l’Église.

 

11) La plus grande fête du monde païen était celle du solstice d’hiver (25 décembre), qui symbolisait la remontée du Soleil au-dessus de l’horizon et le début de l’allongement de la durée du jour. (No Hel, Nouveau Soleil en celtique, en grec Néo Hélios.) Cette fête était célébrée par tous les peuples de l’hémisphère nord depuis des millénaires avant Jésus-Christ. L’ Église romaine ne parvenant pas à éradiquer cette célébration naturaliste populaire, le pape Jules 1er, au IVe siècle, «décida» d’en faire la date de naissance de Jésus (ignorée à jamais). Cette usurpation eut pour principale conséquence de transformer une fête universelle en fête sectaire réservée à une seule religion, ajoutant un nouvel obstacle à la fraternité planétaire. Aujourd’hui, les musulmans radicaux boudent Nohel, qu’ils croient fête chrétienne, ignorant que c’est une fête concernant toute l’humanité, car le Soleil brille pour tous les hommes.

 

12) Il est impossible de bien comprendre les rivalités politico-religieuses qui sous-tendent l’histoire du monde depuis l’Égypte ancienne, si l’on veut ignorer qu’elles sont le reflet terrestre de la rivalité céleste Soleil/Jupiter (ou Hélios-Zeus, ou Aton-Amon). Il faut savoir que Jupiter, la plus grosse de nos planètes, faillit elle-même «s’allumer» et devenir notre seconde étoile lors de la formation du système solaire. Les chrétiens d’aujourd’hui (de même que les juifs et les musulmans) seraient sûrement très étonnés d’apprendre que lorsqu’ils disent «Amen» (qu’ils traduisent par «Ainsi soit-il»), ils ne font que célébrer le nom légèrement déformé du dieu égyptien Amon, que les Grecs assimilaient à Zeus, et qui ponctuait les prières dans les temples pharaoniques.

 

13) Au cours de la XVIIIe dynastie égyptienne (-1550 à -1292), un pharaon révolutionnaire du nom de Amenhotep IV (époux de la célèbre Nefertiti) changea son nom, qui signifiait «Amon est satisfait» en Akhenaton («l’Efficience d’Aton») et s’efforça de briser le despotisme que les prêtres d’Amon exerçaient sur le peuple égyptien. Mais ses réformes trop radicales échouèrent et son fils et successeur Toutânkhaton («L’image vivante d’Aton») dut y renoncer et changer son nom en celui de Toutânkamon («L’image vivante d’Amon»), avec lequel il est passé à la postérité. Certains auteurs ont présenté Akhenaton comme «l’inventeur du monothéisme», mais c’est une grave erreur.  Il voulait seulement redonner sa place légitime au Soleil (Aton), seul dispensateur de lumière et de chaleur, véritable père de la vie terrestre et inspirateur de toute créativité, dont le rôle avait été usurpé au bénéfice d’Amon.

 

14) Tout ceci recouvre évidemment des rivalités politiques pratiquement éternelles entre les «solaires» (réformateurs, créatifs, individualistes, écologistes, libéraux, libertaires) et les «jupitériens» (conservateurs, cléricaux, jacobins, collectivistes, technocrates, autoritaires) qui se répartissent «transversalement» entre ce qu’on appelle aujourd’hui la «droite» et la «gauche», créant une confusion permanente au sein de laquelle aucun peuple ne peut «retrouver ses petits». Les prêtres romains de Jupiter traduisaient son nom par «le père du jour», usurpation évidente, le seul «père du jour» possible étant le Soleil. Le vrai sens de Jupiter est «le père du joug» (l’autorité absolue) cousin sémantique du mot jument, du latin jumentum (animal sous le joug).

 

15) On voudra bien me pardonner ces incursions dans les grands mythes de l’Antiquité, mais elles m’ont semblé nécessaires pour faciliter aux esprits libres et ouverts la compréhension des grands courants religieux et politiques dont nous sommes tous les héritiers, le plus souvent à notre insu. Ce qu’il faut bien saisir, si nous voulons maîtriser et harmoniser l’avenir de notre patrie et celle de la civilisation occidentale, c’est qu’il est illusoire d’utiliser un monothéisme pour se préserver d’un autre. Les serviteurs de Jehovah, d’Allah ou de Dieu peuvent bien être concurrents ou rivaux, ils n’en vendent pas moins le même mensonge sous des emballages différents. Si vous en doutez, il vous est facile d’en avoir la preuve : demandez à un prêtre catholique s’il se sent plus proche d’un Européen athée que d’un musulman et vous serez édifié par sa réponse.

 

16) J’entends dire aujourd’hui que l’Islam est la seconde religion de France. C’est une sottise. Cette religion ne concerne en aucune façon les Français. Elle est la religion des immigrés venus du continent africain et, en partie, de leurs descendants. Mise à part une infime minorité d’influençables, les Français et les Européens ne deviennent absolument pas musulmans. Les progrès de l’Islam en Europe sont uniquement dus au développement de la population d’origine musulmane, tant par l’immigration que par la natalité. C’est un phénomène démographique et nullement religieux. Depuis la fin de la seconde guerre mondiale, les Français et les Européens, dans leur immense majorité, se désintéressent de toutes les religions, sauf peut-être, très minoritairement, du bouddhisme, qui est d’ailleurs une religion athée.

 

17) Le fondateur de l’Islam, Mahomet, était dans sa jeunesse polythéiste. La Kaaba (qui signifie «Le cube») devenue le lieu sacré des pèlerinages musulmans, était alors, au centre de La Mecque, un lieu de prières et de cérémonies polythéistes, ce que la plupart des musulmans ignorent. C’est un moine chrétien qui initia Mahomet au monothéisme biblique judéo-chrétien et devina en lui l’étoffe d’un «prophète». Mais ce n’est que vers l’âge de 40 ans que Mahomet commença de prêcher «son» monothéisme, après l’échec d’une tentative d’union avec les juifs. L’Arabie était à l’époque en proie à l’anarchie et pratiquement ruinée. On peut supposer que Mahomet vit dans le monothéisme un facteur d’unité sociale et politique nécessaire aux Arabes. Après de longues méditations dans les grottes proches de Médine, il écrivit le Coran, en prétendant que celui-ci lui avait été dicté par l’archange Gabriel.

 

18)  Toute religion naissante doit trouver un soutien populaire, et doit donc intégrer plus ou moins les coutumes traditionnelles existantes et s’adapter à la psychologie des peuples qu’elle veut soumettre à sa loi. C’est ainsi que le catholicisme romain dut s’adapter partiellement aux coutumes gauloises, soit en confisquant la fête de No Hel, comme nous l’avons vu précédemment, soit en adoptant, non sans réticences, le principe du libre arbitre soutenu par le moine celte Morgan (dit Pélage), auquel s’opposait violemment St-Augustin. Mais le libre-arbitre s’imposa finalement, étant pratiquement consubstantiel à la psychologie des Européens. Analogiquement, on peut dire que Mahomet édifia un monothéisme mieux adapté à la mentalité arabe que le judéo-christianisme. De même que Luther, à travers le protestantisme, adapta ce même judéo-christianisme à la psychologie des peuples germaniques.

 

19)  Néanmoins, le progrès des sciences et de la connaissance de l’univers a rendu les trois monothéismes complètement obsolètes. Ce ne sont plus que des stratifications archaïques d’époques et de sociétés dépassées. Nos cathédrales sont d’admirables témoignages de l’architecture et des arts occidentaux de l’époque et elles appartiennent désormais à l’archéologie et à l’Histoire beaucoup plus qu’à la religion, à l’instar des pyramides égyptiennes ou des temples aztèques. Mais ce qui fait la force inquiétante de l’Islam, c’est que les populations musulmanes, extrêmement ignorantes dans leur grande majorité, n’ont pas eu leur Renaissance hellénique, ni leur «Siècle des Lumières», ni leur Révolution française et ont cinq siècles de retard sur les Occidentaux. En fait, les intolérances que nous reprochons aujourd’hui aux islamistes sont analogues à celles du catholicisme médiéval et de l’Inquisition, qui brûlait les hérétiques ainsi que les guérisseuses accusées de sorcellerie. Les musulmans ne sont sans doute pas plus sots que d’autres. Leur drame, c’est d’être anachroniques.

 

20)  Le «printemps arabe» qui a débuté en 2010 a soulevé une grande espérance dans les nations musulmanes et dans le monde entier. Il pourrait permettre aux jeunes générations de ces pays d’effectuer un bond en avant culturel et philosophique les mettant à l’unisson des autres peuples. Mais les extrémistes religieux s’efforcent de récupérer à leur profit ce grand réveil et d’enfermer ses protagonistes dans une nouvelle camisole idéologique qui serait pour le monde arabe un véritable suicide intellectuel et moral. Si les islamistes réactionnaires parvenaient à leurs fins, la paix du monde serait en danger, car le choc des civilisations deviendrait inévitable. Que peuvent faire les Européens pour écarter ce risque ? Certainement pas se claquemurer dans les casemates d’un judéo-christianisme exsangue et moribond,  une sorte de «ligne Maginot» religieuse vouée à l’échec et que les islamistes pourraient d’ailleurs transformer en «cheval de Troie» à leur bénéfice, ce qui est évident quand on constate que les associations chrétiennes aident les immigrés clandestins musulmans à s’installer dans les pays européens au mépris des lois nationales.

 

21)  Sous prétexte d’œcuménisme, d’humanisme et d’universalisme, l’Église romaine est toute prête à trahir l’Europe. Il va sans dire que le droit de vote accordé aux étrangers non européens que nous promettent les démagogues socialistes serait également ruineux pour notre identité. Les Européens, et notamment les Français, ne pourront assurer leur avenir que de trois manières : a) en rejetant ensemble les trois monothéismes rétrogrades à la fois rivaux et complices (ce qui n’exclut nullement la protection des minorités chrétiennes persécutées en pays musulman) et en guidant les jeunes générations arabes de tous pays vers la liberté de pensée et l’esprit démocratique, b) en fortifiant la laïcité et en ne tolérant aucune immixtion religieuse, notamment vestimentaire, dans la sphère civile et publique, avec expulsion immédiate de tout prédicateur de la charia, incompatible avec la République, c) en stoppant net toute immigration étrangère non européenne et en n’accordant la citoyenneté qu’aux immigrés présents qui auront donné des preuves de leur adhésion aux lois et aux valeurs républicaines ainsi qu’à l’Histoire et à la culture françaises placées au-dessus de toute dogmatique religieuse. Faute de quoi une guerre civile interethnique ensanglanterait fatalement l’Europe au cours des trente années qui viennent.

 

Pierre LANCE

29 septembre 2012

 

 

Auteur d’une vingtaine d’ouvrages, Pierre Lance a publié notamment : Alésia, un choc de civilisations (Presses de Valmy) et Le Fils de Zarathoustra (Editions Véga/Trédaniel). Il dirige depuis plus de 30 ans la revue de prospective sociopolitique L’Ere nouvelle.

 

Source : http://www.enquete-debat.fr/archives/la-guerre-civile-en-...

 


jeudi, 02 mai 2013

La démocratie peut-elle être installée par des armées étrangères ?

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Irak, Afghanistan, Libye, Syrie…

La démocratie peut-elle être installée par des armées étrangères ?

Rony Brauman*

Ex: http://metamag.fr/
En Syrie, comme en Libye, ces événements se situent dans le monde arabe et aux abords de la Méditerranée. Ces points communs renforcent le contraste entre le volontarisme de l’intervention étrangère en Libye et la prudence qui peut paraître excessive face à la situation en Syrie. Mais il convient de se placer au-delà d’une démarche purement morale qui récuserait ces différences de traitement, car le propre de la politique internationale consiste à tenir compte de la singularité des circonstances et des événements.
 
Le cas Libyen

En Libye, l’extrême faiblesse diplomatique et militaire du régime a rendu l’intervention possible. Kadhafi, isolé, ne bénéficiait d’aucun appui au Conseil de sécurité de l’ONU, contrairement à la Syrie qui est soutenue par la Russie et la Chine. Le régime libyen était également très faible sur le plan militaire : chaque intervention de son armée au Tchad s’était soldée par une défaite, son aviation était presque inexistante, ses blindés en mauvais état et ses troupes divisées.
 
Par ailleurs, des dirigeants européens voyaient dans l’intervention en Libye l’occasion de créer dans leur pays un sentiment d’union nationale. Mise à part la période d’enlisement constatée par les militaires eux-mêmes, une seule bavure importante de l’Otan a eu lieu, ce qui est très peu dans une guerre de sept mois. Cette guerre, menée avec un savoir-faire technique notable, a rassemblé la quasi-totalité de la classe politique française, des opinions et des éditorialistes. Les conditions favorables étaient donc réunies pour qu’adviennent une victoire militaire et un résultat politiquement acceptable. La défaite de Kadhafi était certaine, mais le doute subsistait quant à ce qui allait suivre son exécution et la défaite du régime. J’en parle d’autant plus librement que j’étais l’un des rares opposants à cette intervention.
 

Rony Brauman et BHL : Guerre juste ou juste une guerre ? 
 
Les conditions dans lesquelles la guerre a été déclenchée restent à éclaircir mais tout laisse à penser que Nicolas Sarkozy et Claude Guéant l’ont très vite voulue. Les manifestations ont commencé le 15 février à Benghazi du fait de l’emprisonnement d’un avocat, militant des droits de l’homme, avant de s’étendre rapidement dans l’est du pays, les premiers affrontements se produisant le 17 février à Benghazi (7 morts). On ignorait tout, en France et en Angleterre, de ceux qui allaient diriger ce soulèvement. Or il n’a fallu que trois semaines entre le premier jour du soulèvement et la reconnaissance du Conseil national de transition (CNT) comme instance légitime, alors que la composition de ce dernier était inconnue, et il n’a fallu qu’une semaine de plus pour l’entrée en guerre. 
 
Le CNT a été d’emblée reconnu par la France dès le 10 mars, sous l’influence avérée de Bernard-Henri Lévy, et décrété seul représentant légitime du peuple libyen. En moins de trois semaines, cette nouvelle instance remplaçait les représentants de l’État libyen au Conseil des droits de l’homme et au Conseil de sécurité de l’ONU, alors que Kadhafi se trouvait encore en place et que la Libye faisait partie du Conseil de sécurité au moment de la guerre. Il n’existe pas, à ma connaissance, de précédent à cette situation et cette procédure inédite est passée inaperçue, comme si elle allait de soi. Il est vrai qu’elle se justifiait par l’accumulation d’allégations alarmantes : usage d’avions contre des manifestants, déploiements de milliers de mercenaires dopés au Viagra, déjà coupables de milliers de morts et de viols, colonnes de chars marchant sur Benghazi pour exterminer les insurgés et leurs complices... S’il est avéré que la répression avait fait dès le début mars plusieurs dizaines de morts et que des chars avaient pénétré dans Benghazi (d’où ils avaient été repoussés par les insurgés), le reste des allégations reste à prouver. Cette précipitation en dit long sur la légèreté dont a fait preuve l’ensemble de la classe politique et de la classe « éditocratique » françaises. 
 
Aujourd’hui, le pays se morcelle, les milices surarmées se multiplient et n’entendent pas abandonner le pouvoir qu’elles ont réussi à prendre, d’autant moins que le CNT ne représente personne, même en Cyrénaïque dont il est issu. J’ajoute que, selon le CNT, le bilan humain de cette guerre se monte à 30 000 morts, chiffre présenté par les nouvelles « autorités » comme un minimum. Si elle a été menée dans le but d’épargner des vies, le résultat est catastrophique et l’on comprend que ces chiffres aient été escamotés par les tenants de l’intervention.
 
« Deux poids deux mesures ? »

Face à la situation syrienne, l’approche des dirigeants occidentaux semble beaucoup plus élaborée ; la situation politique locale est prise en compte, alors même qu’elle a été délibérément ignorée en Libye. Ils ont à l’esprit les distances qui séparent l’opposition extérieure de l’opposition intérieure, ce qui oppose les groupes d’insurgés dans les différentes régions et, à l’intérieur de ces régions, les divisions entre les diverses composantes de l’opposition syrienne. Les diplomaties sont prêtes à travailler avec certaines d’entre elles, d’autres semblent plus menaçantes pour l’unité syrienne et pour l’établissement d’un état de droit. On peut dire que la lucidité, le réalisme comme méthode (et non pas comme principe) ont trouvé toute leur place dans la situation syrienne et si certains parlent de « deux poids, deux mesures » je ne suis pas mécontent que la réaction soit mieux mesurée et réfléchie en Syrie.
 
                                                     L'ambassade de France à Tripoli dévastée par un attentat
 
D’autres situations ont pu faire l’objet de réactions de type « deux poids, deux mesures ». Ainsi, quand l’Irak a envahi le Koweït, une coalition internationale s’est dressée. Mais quand les États-Unis ont envahi l’Irak, malgré une opposition presque unanime, on n’a pas imaginé qu’une coalition internationale pouvait se constituer pour leur faire la guerre. Outre le rapport de force militaire en faveur des États-Unis, personne n’a émis l’idée qu’il serait souhaitable d’arrêter les États-Unis plutôt que de les laisser dégrader une situation déjà très complexe au Proche-Orient. 
De la même manière, personne n’a souhaité engager une action militaire contre Israël envahissant le Liban en 2006 ou « matraquant » Gaza en 2009 ; personne aujourd’hui ne souhaite s’attaquer à Israël, lorsque ce pays envisage sérieusement une attaque sur l’Iran avec des conséquences qui pourraient être catastrophiques selon de nombreux experts stratégiques israéliens eux-mêmes, y compris d’anciens patrons du Mossad ou d’anciens chefs d’État-major.
 
Malgré toutes les critiques que je peux formuler vis-à-vis de la politique israélienne, je ne prônerais certainement pas une attaque militaire contre l’Iran, non pas parce qu’il devrait être de toute éternité exempt de toute mesure de rétorsion, mais parce que je suis convaincu que les résultats seraient pire que le mal que l’on veut traiter. Dans ce genre d’affaires comme en pharmacologie, on n’est jamais certain de trouver d’emblée la solution positive. En médecine comme en politique, un bon traitement est le résultat d’un bon calcul ; personne ne peut savoir d’avance ce qui va se passer. C’est pourquoi je défends l’idée de « deux poids, deux mesures », car c’est bien en fonction des conséquences plus ou moins prévisibles des décisions qu’il faut se déterminer.
 
Ingérence et recours à la guerre : quelle légitimité ?

L’ingérence et le recours à la guerre sont-ils forcément légitimes pour défendre les droits de l’homme ? Lorsqu’on pose comme objectif le rétablissement d’une situation favorable aux droits de l’homme, par l’interposition d’un bouclier qui viendrait protéger des civils contre les menées agressives de forces armées, on est apparemment précis, mais en réalité on est dans le vague le plus complet. 
 
« Protéger les populations », comme on le dit maintenant à la suite de la résolution de 2005 du Conseil de sécurité, c’est ni plus ni moins établir un gouvernement, car c’est précisément à l’instance qui gouverne le territoire qu’il revient de protéger la population. Ou alors l’alternative serait la fragmentation du pays en autant de groupes de populations qu’il existe de menaces et l’on assisterait non seulement à la guerre de tous contre tous mais au morcellement généralisé de tous les pays dans lesquels des violations sérieuses et répétées des droits de l’homme se produisent. S’ingérer pour protéger des populations afin de défendre leurs droits fondamentaux, c’est la recette pour le chaos, c’est l’invitation à entrer dans un grand nombre de conflits, car il y a un grand nombre de pays où les droits de l’homme sont violés. 
 
Faut-il pour autant condamner toute intervention armée, tout usage de la violence, dans le domaine international, autrement que pour assurer la défense de son propre territoire ? Ma position est plus nuancée. La guerre de défense garde toute sa légitimité et nul ne condamnerait un pays pour avoir voulu défendre ses frontières contre une agression extérieure, y compris des pays qui viennent défendre le pays envahi contre l’agresseur extérieur.
 
Reste à déterminer dans quelles conditions des interventions extérieures comme au Sierra Leone, au Kosovo, au Timor, en Côte d’Ivoire, en Afghanistan, en Irak ou en Libye... peuvent être un recours légitime. De saint Augustin et saint Thomas jusqu’à la résolution du Conseil de sécurité de septembre 2005 instituant la « responsabilité de protéger », les cinq critères de la guerre dite juste sont restés remarquablement stables : ce sont l’autorité légitime, la cause légitime, la proportionnalité des moyens, l’usage de la guerre comme dernier recours et enfin des chances raisonnables de succès. Le contenu de ces critères se comprend différemment selon les époques (pour saint Thomas, l’autorité légitime était l’Eglise et la cause légitime la défense des chrétiens) mais, si évolutifs qu’ils soient, ils conservent un sens immédiatement intelligible et figurent à peu près sous cette forme dans le document des Nations Unies (l’autorité légitime étant aujourd’hui le Conseil de sécurité et la cause légitime la défense de la paix et la prévention de crimes contre l’humanité). Je laisserai de côté les trois premiers, d’ordre juridique, pour mettre en exergue les deux derniers que je qualifie d’éthico-politiques.
 
On peut analyser les « chances raisonnables de succès » au vu de la série assez longue d’interventions qui se sont produites depuis la chute du mur de Berlin, de la première guerre d’Irak jusqu’à la guerre en Libye. Certaines de ces interventions peuvent être considérées comme des « succès raisonnables », même si le terme « succès » peut sembler déplacé, car ces guerres provoquent toujours des destructions et des souffrances, des déplacements de population aux effets durables. Des succès raisonnables ont été remportés, lors de la première guerre d’Irak, lorsque le mandat était extrêmement clair : il s’agissait de faire sortir du territoire koweitien les troupes irakiennes qui s’y trouvaient. L’objectif était facile à cerner et le résultat simple à constater, dès que les troupes irakiennes furent rentrées chez elles. Un mandat limité, précis, observable sur le terrain est donc une condition. 
 
En Sierra Leone, il s’agissait de défendre le régime en place contre une offensive de la guérilla du RUF . Ce régime mis en place par les Nations Unies, renforcé par une élection et défendu par la communauté internationale, était mis en danger par une guérilla très violente venue menacer la capitale et dont les exactions étaient connues de tous. Les forces spéciales britanniques sont intervenues et, en un mois, ont battu la guérilla après une intervention très meurtrière, considérée comme réussie parce que la menace contre le gouvernement légal a été levée. Au terme de cette victoire, les SAS britanniques sont rentrées chez eux et le conflit était terminé. Ce n’était pas une guerre des droits de l’homme. Si on s’était intéressé au bilan des droits de l’homme, on aurait constaté qu’un certain nombre des composantes qui formaient le gouvernement sierra-léonais de l’époque s’était rendu coupable d’exactions comparables à celles du RUF. Pour les instances internationales, il s’agissait d’abord de la protection du gouvernement et de la stabilité du pays.
De la même façon en Côte d’Ivoire, l’installation d’Alassane Ouattara dans le palais présidentiel et l’éviction de Laurent Gbagbo pouvaient parfaitement être défendues. L’objectif était clair. Il s’agissait de destituer Gbagbo qui se cramponnait au pouvoir après des élections qui venaient de donner la victoire à son concurrent, selon les observateurs chargés de la régularité du vote. Il est avéré qu’Alassane Ouattara s’est rendu coupable d’exactions, au même titre que Gbagbo peut-être, même s’il demeure difficile de déterminer avec précision les auteurs de ces massacres dans ce genre de situation. Les violations des droits de l’homme se partagent entre les deux camps. Ce n’est pas sur ce point que l’intervention militaire a été menée, mais sur l’objectif précis de la mise en place du nouveau gouvernement reconnu par les Nations Unies et élu par le peuple ivoirien.
 
On pourrait continuer sur le Kosovo. Les alliés ont misé sur l’UCK, l’Armée de libération du Kosovo, qui était connue, et pas nécessairement de façon honorable. Cependant, le territoire était limité et se prêtait à un contrôle militaire réel. Le Kosovo est aujourd’hui une garnison de l’Otan. Jusqu’à peu, des soldats américains gardaient encore ses frontières et le pays vit sous perfusion européenne ; il ne vit pas très bien, mais un certain calme règne. Ce n’est pas sur la question des droits de l’homme que l’on s’est déterminé. Je précise que j’étais pour ma part engagé du côté bosniaque et que j’ai pris parti pour le cosmopolitisme de la Bosnie multiethnique, mais je rappelle au passage une vérité factuelle bien peu connue. Les termes de « purification ethnique » – qui ont pris force de formulation juridique aujourd’hui –, apparaissent dans un mémorandum de l’Académie des sciences de Belgrade en 1986-1987 pour désigner une situation que les nationalistes serbes redoutaient au Kosovo. C’était un vieil enjeu pour eux et ils soutenaient que les Serbes du Kosovo étaient menacés d’être « ethniquement purifiés » par les Albanais yougoslaves du Kosovo, le berceau historique de la Serbie. De fil en aiguille, sur un mode militant très émotionnel et fusionnel, on a fait un renversement de programme dans un renversement de termes, et l’on a prêté aux nationalistes serbes le projet de la purification ethnique comme programme central. Le paradoxe ultime de cette situation, c’est que la prophétie des nationalistes serbes du Kosovo s’est réalisée avec l’aide de ceux qui entendaient défendre le pluralisme, le cosmopolitisme et le multi-ethnisme. 
 
Reste que c’est bien avec des objectifs politiques que l’intervention a été conduite au Kosovo, celui d’empêcher que l’on ne redessine des frontières en fonction de la race et par la force sur le territoire européen. C’est la leçon des guerres en Yougoslavie et c’est la raison pour laquelle – tout en étant non interventionniste en général –, je considère que les interventions armées en Bosnie puis au Kosovo ont eu des justifications sérieuses et que leurs résultats qui ne sont pas enthousiasmants, mais pas désastreux non plus. Cependant, dès lors que l’on déplace la question du mode de la responsabilité politique vers celui des droits de l’homme, on est dans l’hubris, dans la démesure, dans le no limit. On n’en finit pas de filer des paradoxes troublants dès lors qu’on installe le débat comme l’ont fait Bernard Kouchner, Bernard-Henri Lévy ou André Glucksmann, tous ces interventionnistes prêts à toutes les guerres pour les droits de l’homme. Pour terminer, un mot sur le critère du « dernier recours », pour rappeler que c’est au contraire une guerre de recours immédiat qui a été conduite en Libye, toute offre de médiation – il y en a eu plusieurs – ayant été systématiquement écartée.
 
Ma réponse à la question qui est posée initialement est donc négative : la force permet de renverser un régime, dictatorial ou non, mais elle allume des incendies qu’elle est impuissante à éteindre et elle ne permet certainement pas d’installer la démocratie.
 
*Rony Brauman, ancien président de Médecins sans frontières, professeur associé à Sciences Po, auteur notamment de "Penser dans l’urgence. Parcours critique d’un humanitaire" (Seuil) et de "Humanitaire, diplomatie et droits de l’homme" (éditions du Cygne).
 
Article paru dans : politique-autrement.org
Les illustrations sont de la rédaction

mercredi, 01 mai 2013

Le "Goulag" américain

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Une affaire qui marche :

le Goulag US

Ex: http://www.dedefensa.org/

L’ensemble pénitentiaire US s’est lentement transformé, depuis le début des années 1970, en un Prison Industrial Complex (PIC) qui s’avère être une des plus étonnantes trouvailles du Système dans la recherche d’une activité à la fois industrielle et génocidaire, – faisant passer au second plan les problématiques de la justice et de la délinquance qui, d’ordinaire, définissent la question des prisons. L’établissement du PIC est en général daté de 1973, avec une loi de l’Etat de New York passée par le gouverneur Nelson Rockefeller, rendant passible de prison tout détenteur et utilisateur de drogue. Depuis, les peines pour ces délits, jusqu'aux plus ridiculement mineurs, n'ont cessé de s'alourdir, mettant en évidence la participation active à l'entreprise du système législatif et du système judiciaire US.

L’analyste politique et photographe Nile Bowie, collaborateur de Russia Today, publie ce 23 avril 2013 un article sur «[A] Moral monstruosity : America’s for profit Gulag system» Il y décrit les conditions de développement, de fonctionnement et d’existence du PIC, dont la population a augmenté de 772% entre 1970 et 2009, et dont la part du privé a été multipliée par 17 durant les deux dernières décades. Le PIC est effectivement devenu une part intégrante du Système, notamment dans sa division économique, comme un effet presque naturel et évident de la doctrine capitaliste développée dans les conditions du Système. Actuellement, la population carcérale aux USA approche les 25% de la population carcérale mondiale, alors que la population US se situe entre 4% et 5% de la population mondiale. (D’une façon qu’on devrait juger assez significative de l’implication du système capitaliste, et dans tous les cas certainement symbolique, ce rapport 4%/5% versus “près de 25%” est également celui du pourcentage de la population US par rapport au pourcentage d’émission de CO2 pour l’activité industrielle par les USA.)

L’emploi du terme Goulag (ou GOULAG, puisqu’il s’agit d’un acronyme russe) pour qualifier le système pénitentiaire US apparaît en général assez délicat. Pourtant, la description du PIC tel qu’il est aujourd’hui écarte les dernières réticences : il s’agit bien d’un système de Goulag, puisque son opérationnalité permet l’usage d’une main d’œuvre à si bon marché qu’on peut la considérer comme quasiment gratuite, tandis qu’elle neutralise et élimine des catégories très précises d’individus dont le Système se méfie.

Durant ces ces quelques décennies depuis l'institution du PIC, la population carcérale a été de plus en plus alimentée par trois grands courants sociaux et ethniques : la population dépendante de la drogue sous tous ses aspects, jusqu’aux cas les plus mineurs ; la population des immigrants clandestins capturés essentiellement à la frontière entre les USA et le Mexique ; la population des minorités ethniques, essentiellement les Africains Américains. (Bien entendu, les diverses catégories de “déviants” du Système, comme les “prisonniers politiques” sous la forme de contestataires divers, sont inclus dans ces courants.) L’auteur compare le système actuel des prisons au système de prisons, également privé, qui fut mis en place aux USA après l’abolition de l’esclavage, de la Guerre de Sécession jusqu’au début du XXème siècle, et d’ailleurs nullement cantonné à une seule région du pays, pour regrouper des populations fournissant de la main d’œuvre à bon marché, sinon à coût quasiment nul, pour le travail traditionnel de la cueillette de coton, mais aussi pour les travaux d’infrastructure de modernisation (routes, chemins de fer, etc.). Ce système est ainsi reproduit aujourd’hui, avec la privatisation maximale, les “travailleurs-esclaves” recevant des sommes ridicules sinon symboliques et les entreprises privées gérant les prisons (il y en a trois principalement, CCA, GEO Group, Cornell) sous-traitant des travaux divers pour l’extérieur. Ce système rassemble tous les attributs habituels du capitalisme américaniste, notamment une organisation de corruption maximale du monde politique avec une organisation très puissante de lobbying, pour obtenir certaines lois favorisant les activités rentables du complexe, aussi bien que des lois qui favorisent directement (sévérité des peines) et indirectement le “recrutement” des populations carcérales. Dans ce dernier cas, par exemple, les lobbies du complexe luttent avec acharnement contre la dépénalisation de la marijuana, la consommation de cette drogue mineure fournissant un nombre appréciable de “travailleurs-esclaves”.

Dans tous les cas envisagés, les peines sont extrêmement lourdes, de façon à obtenir une stabilité de “la main d’œuvre”. Les prisonniers vivent dans des conditions de plus en plus dégradées, parfois dans des conditions stupéfiantes de promiscuité dans des immenses hangars organisés en dortoir, puisque les entreprises privées ne cessent de restreindre les budgets d’entretien et que les quelques interventions publiques sont restreintes à cause de la crise. Bien entendu, tout cela se passe dans un climat de contrainte et de violence internes constant, qui favorise indirectement la soumission des prisonniers. Lorsqu’ils sont libérés, puisque la chose arrive, les prisonniers sont le plus souvent privés de leurs droits civiques et d’accès aux services sociaux et au marché du travail, ce qui fait que le complexe espère les récupérer rapidement sous la forme de l’un ou l’autre délit de survie aussitôt transformé en une peine de prison maximale (récidive). Ainsi le système est-il complet, avec comme premier incitatif le profit. Enfin, toutes ces conditions excluent toute vie sociale et familiale des détenus ; elles suscitent une dégradation rapide de leur état de santé au sens le plus large avec des soins médicaux réduits au minimum, si bien qu’on peut considérer qu’il s’agit également d’une entreprise d’élimination “douce” (!) de type génocidaire, portant sur des populations dont le Système en général ne veut pas. Le circuit est ainsi bouclé et la capitalisme, parvenant à son essence la plus intime, rejoint complètement les caractères généraux du Goulag stalinien.

Voici un extrait important du texte de Nile Bowie, de ce 23 avril 2013, dont l’intérêt est de développer la description des conditions de l’action du complexe pour assurer sa position de puissance au sein du Système, notamment dans le monde politique US.

«The number of people imprisoned under state and federal custody increased 772% percent between 1970 and 2009, largely due to the incredible influence that private corrections corporations wield against the American legal system. The argument is that by subjecting correctional services to market pressures, efficiencies will be increased and prison facilities can be run at a lower cost due to market competition. What these privatizations produce in turn is a system that destroys families by incentivizing the mass long-term detention of non-violent criminals, a system that is increasingly difficult to deconstruct and reform due to millions paid out to state and federal policymakers. According to reports issued by advocacy group Public Campaign, the three major corrections firms –Corrections Corporation of America (CCA), the GEO Group, and Cornell, have spent over $22 million lobbying Congress since 2001.

»As a means of influencing policymaking at the federal level, at least $3.3 million have been given to political parties, candidates, and their political action committees, while more than $7.3 million has been given to state candidates and political parties since 2001, including $1.9 million in 2010, the highest amount in the past decade. Senators like Lindsay Graham and John McCain have received significant sums from the private prison corporations while Chuck Schumer, Chair of the Rules Committee on Immigration and Border Enforcement, received at least $64,000 from lobbyists. The prison lobby thrives off of laws that criminalize migrants and submit them to mandatory detention prior to being deported, sometimes up to 10 months or more; private firms have consistently pushed for the classification of immigration violations as felonies to justify throwing more and more immigrants behind bars. The number of illegal immigrants being incarcerated inside the United States has risen exponentially under Immigration and Customs Enforcement, an agency responsible for annually overseeing the imprisonment of 400,000 foreign nationals at the cost of over $1.9 billion on custody-related operations.

»The private prison industry has become increasingly dependent on immigration-detention contracts, and the huge contributions of the prison lobby towards drafting Arizona’s controversial immigration law SB 1070 are all but unexpected. Arizona's SB 1070 requires police to determine the immigration status of someone arrested or detained when there is “reasonable suspicion” that they’ve illegally entered the US, which many view as an invitation for rampant racial profiling against non-whites. While the administration of Arizona’s Governor Jan Brewer is lined with former private prison lobbyists, its Department of Corrections budget has been raised by $10 million in 2012, while all other Arizona state agencies were subject to budget cuts during that fiscal year. The concept of privatizing prisons to reduce expenses comes at great cost to the inmates detained, who are subjected to living in increasingly squalid conditions in jail cells across America. In 2007, the Texas Youth Commission (TYC), a state agency that overseas juvenile corrections facilities, was sent to a West Texas juvenile prison run by GEO Group for the purpose of monitoring its quality standards.

»The monitors sent by the TYC were subsequently fired for failing to report the sordid conditions they witnessed in the facility while they awarded the GEO Group with an overall compliance score of nearly 100% - it was later discovered that the TYC monitors were employed by the GEO Group. Independent auditors later visited the facility and discovered that inmates were forced to urinate or defecate in small containers due to a lack of toilets in some of the cells. The independent commission also noted in their list of reported findings that the facility racially segregated prisoners and denied inmates access to lawyers and medical treatment. The ACLU and Southern Poverty Law Center have also highlighted several cases where GEO Group facility administrators turned a blind eye to brutal cases of rape and torture within their facilities, in addition to cases of its staff engaging in violence against inmates. According to the Justice Department data, nearly 210,000 prisoners are abused annually (prison personnel are found responsible half the time), while 4.5 percent of all inmates reported sexual assaults and rape.

»It’s not possible to conceive how such institutionalized repression can be rolled back when the Obama administration shows only complicity with the status quo – a staggering $18 billion was spent by his administration on immigration enforcement, including detention, more than all other federal law enforcement agencies combined. Under Obama’s watch, today’s private prison population is over 17 times larger than the figure two decades earlier. Accordingly, Obama’s drug czar, Gil Kerlikowske, has condemned the recently passed state laws in Colorado and Washington that legalize the possession of marijuana in small amounts. The Obama administration is bent on keeping in place the current federal legislation, where a first-time offender caught with marijuana can be thrown in prison for a year. It’s easy to see why common-sense decriminalization is stifled - an annual report released by the CCA in 2010 reiterates the importance of keeping in place harsh sentencing standards, “The demand for our facilities and services could be adversely affected by the relaxation of enforcement efforts, leniency in conviction or parole standards and sentencing practices or through the decriminalization of certain activities that are currently proscribed by our criminal laws. For instance, any changes with respect to drugs and controlled substances or illegal immigration could affect the number of persons arrested, convicted, and sentenced, thereby potentially reducing demand for correctional facilities to house them.”

»Such is the nature of a perverted brand of capitalism, and today’s model bares little difference to the first private prisons introduced following the abolishment of slavery in the late 1800s, where expansive prison farms replaced slave plantations where predominately African-American inmates were made to pick cotton and construct railroads in states such as Alabama, Georgia and Mississippi. Today, African-Americans make up 40% of the prison population and are incarcerated seven times more often than whites, despite the fact that African-Americans make up only 12% of the population. Inmates are barred from voting in elections after their release and are denied educational and job opportunities. The disproportionate levels of black people in prisons is undeniably linked to law enforcement’s targeting of intercity black communities through anti-drug stipulations that command maximum sentencing for possession of minute amounts of rock cocaine, a substance that floods poor black neighborhoods.

»Perhaps these social ills are byproducts of a system that places predatory profits before human dignity. Compounding the illogic is that state spending on prisons has risen at six times the rate of spending on higher education over the past two decades. Mumia Abu-Jamal, America’s most famous political prisoner, has spent over three decades on death row; he was convicted in 1981 for the murder of a white police officer, while forensic experts say critical evidence vindicating Jamal was withheld from the trial. In an interview with RT, Jamal relates his youth activism with the Black Panthers party against political imprisonment in contrast to the present day situation, “We could not perceive back then of what it would become… you can literally talk about millions of people incarcerated by the prisoner-industrial complex today: men, women and children. And that level of mass incarceration, really mass repression, has to have an immense impact in effect on the other communities, not just among families, but in a social and communal consciousness way, and in inculcation of fear among generations.” The fear and immortality the system perpetuates shows no sign of abating. Being one of the few growth industries the United States has left, one can only imagine how many people will be living in cages in the decades to come.»

Ce qui est remarquable dans cette description du complexe, c’est la façon structurelle décrite d’une organisation systématique, très rentabilisée, très bien contrôlée, qui dépasse très largement en efficacité et en rentabilité le système stalinien (Goulag). On rejoint alors des considérations beaucoup plus larges, qui doivent alimenter la réflexion sur la nature profonde d’un Système qui génère, presque naturellement, presque de lui-même, de tels ensembles dont les moyens de fonctionnement sont l’esclavagisme (dans des conditions pires que l’esclavage originel), la déshumanisation et la destruction psychologique, l’extermination organisée, “collectivisée” d’une façon rampante et indirecte. Grâce aux conditions de communication du Système, ces ensembles ont la caractéristique d’être présentées et perçues (supériorité indiscutable sur les dictatures d’extermination) comme de bien public et de participation efficace à la protection normale de la loi et de l’ordre démocratiques. L’effet de ces phénomènes rejoint la production naturelle du Système comme élément représentant le “pire de tous les maux”, ou le Mal parvenu à un état de fonctionnement maximal et exclusif ; il s’agit de la production maximale de déstructuration, de dissolution et d’entropisation, dans ce cas de la société et de populations diverses.

Il faut noter que certains auteurs ont également rapproché le fonctionnement du système nazi gérant, organisant et développant le système d’extermination (Holocauste), de la référence du capitalisme américaniste (pour nous, produit du Système), avec sa branche bureaucratique et sa branche de productivité et de rentabilité. Ainsi en ont-ils fait un produit direct de la modernité, ce qui correspond assez justement au jugement naturel qui nous vient sous la plume. Le 7 décembre 2005, parlant alors du seul système de prisonniers de la CIA dans la Guerre contre la Terreur, nous écrivions ceci, qui citait un de ces principaux auteurs, le professeur Richard L. Rubenstein :

«Pour ce qui concerne le système nazi, qui présente un autre cas, il faut lire La perfidie de l’Histoire, de Richard L. Rubenstein (né en 1924, professeur d’histoire et de philosophie des religions à l’université de Bridgeport, dans le Connecticut). Ce livre, publié en 2005 (éditions Le Cerf), comprend le texte original de Rubenstein, datant de 1975 (avec un ajout de circonstances, datant de 2004, traitant du terrorisme islamique). L’originalité de l’approche de Rubenstein est qu’il fait porter l’essentiel de la responsabilité de l’Holocauste dans son ampleur et dans la réalisation de son aspect systématique non sur l’idéologie, qui est l’élément déclencheur, mais sur la bureaucratisation et les méthodes industrielles modernes de gestion et de production. C’est introduire comme principal accusé de l’ampleur et de la substance du crime les méthodes et les contraintes modernistes au travers de l’expansion et de la gestion industrielles, et de la bureaucratisation systémique.

»La caractéristique finale est un montage systémique s’apparentant moins à un complot qu’à l’évolution “naturelle” (c’est-à-dire logique dans ce cas, de la logique interne du système) d’un système de conception moderniste à la fois de cloisonnement et de dilution de la perception des responsabilités. L’effet mécanique du montage est de cacher l’ampleur et le motif du crime aux exécutants, et d’assurer son efficacité complète sans prendre le risque de l’illégalité qui constitue une transgression des lois difficilement supportable pour un esprit conformiste (la bureaucratie implique un complet conformisme de l’esprit ; — il faut donc ménager leur conformisme). Rubenstein observe qu’à cause de diverses dispositions et situations, l’Holocauste ne peut être tenu pour “illégal” selon les lois allemandes en vigueur à l’époque. Rubenstein laisse clairement voir qu’il considère la bureaucratisation de la puissance américaine comme une évolution de même substance que les structures qui permirent l’Holocauste...»

Le terrorisme c’est toujours et partout le spectacle d’imposture étatique

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De l’attentat de la gare de Bologne à celui du Marathon de Boston en passant par tous les 11 septembre petits, grands ou moyens, le terrorisme c’est toujours et partout le spectacle d’imposture étatique de la crise mondiale du chaos de la marchandise !

par Gustave LEFRANÇAIS

 

« Les bombes-fusées qui tombaient chaque jour sur Londres étaient probablement lancées par

le gouvernement de l’Océania lui-même,

juste pour maintenir les gens dans la peur ” »

 

George Orwell, 1984

 

Les opérations sous fausse bannière ou « sous faux-pavillon », parfois désignées sous l’anglicisme de false flag sont des actions de perfidie et d’artifice stratégiques menées avec utilisation de marques de reconnaissance fabriquées, contrefaites, postiches, fourbes ou empruntées, dans le cadre d’opérations clandestines destinées à désigner un responsable inexact, imaginaire et trafiqué qui portera ainsi le chapeau illusoire mais pourtant bien tangible d’une action commise par tout autre que lui mais qui permettra de la sorte que tous les bénéfices en reviennent à celui qui justement l’aura cependant perpétré.

 

Au tout début du mois d’août 1964, deux destroyers américains qui s’étaient engagés dans les eaux territoriales du Nord-Viêtnam, essuyèrent soi-disant des tirs de la part de batteries nord- vietnamiennes. Il est établi aujourd’hui par la documentation déclassifiée que ces Incidents du Golfe du Tonkin ont constitué une manœuvre délibérée de feinte, de provocation et de simulation pour prétexter une escalade de l’intervention américaine dans le conflit indochinois. Les Papiers du Pentagone ont de la sorte révélé que le texte de la position rédigée par l’administration Johnson l’avait été en fait plusieurs mois avant la date desdits « incidents ». Le manège légendaire de cet accrochage arrangé a donc fourni au président Johnson la couverture tant attendue pour faire voter le texte de la Résolution qui lui donna les moyens de déclarer la guerre sans avoir à demander au préalable l’autorisation du Congrès.

 

Même si cette péripétie fut en réalité le contraire de ce que le spectacle officiel en a dit puisqu’elle n’a jamais existé réellement qu’en stricte contradiction avec la logorrhée des experts étatico-médiatiques du faux omniprésent qui l’ont évidemment narrée de manière retournée, cela a bien entendu suffi à convaincre la conscience hallucinée et obéissante des Américains de l’utilité d’une riposte. Johnson a donc pu paisiblement autoriser alors les raids aériens de terreur sur le Viêtnam par ce casus belli entièrement forgé par les officines et les ateliers de l’ombre. Sur cette lancée de simulacres, de fourberie, de sang et de larmes, les Bush, Clinton et Obama n’ont cessé en Irak, en Yougoslavie en Afghanistan et ailleurs, de démontrer que partout où règne le spectacle capitaliste de la terreur démocratique, les seules forces autorisées sont celles qui reproduisent la terreur capitaliste du spectacle démocratique.

 

Durant ces dernières années, les premiers grands attentats étatiques sous fausse bannière eurent spectaculairement lieu en Italie lors des années de plomb lorsque la modernisation de l’esclavage citoyenniste rendit nécessaire que le gouvernement fit de l’attentat aveugle le mode opératoire le plus approprié à la psychologie de masse de la soumission, de l’in-conscience et de la cécité. Ainsi, le 2 août 1980, à 10 h 25, à la gare de Bologne, une bombe posée dans la salle d’attente explosait. Elle tuait 85 personnes et en blessait plus de 200, arrivant ou partant de la gare pour cette période de fort trafic estival.

 

Dans son arrêt du 23 novembre 1995, la Cour de cassation du tripatouillage officiel italien, malgré mille et une occultations savantes ou grossières, fut néanmoins obligée de reconnaître que derrière cet attentat, il y avait bien l’existence d’une vaste organisation criminelle gouvernementale où l’on retrouvait la maffia, la loge maçonnique P2 et les services spéciaux les plus secrets de l’appareil d’État… Bien entendu, les commanditaires profonds du massacre n’ont jamais été découverts puisque cachés derrière les comparses secondaires de l’organisation Gladio, ceux-ci se trouvaient au cœur central et insaisissable de l’état-major de la stratégie de la tension élaborée par les États-Unis via l’O.T.A.N. et ses divers magasins et affidés, ceci tant pour neutraliser les velléités dommageables de non-alignement de certains courants politiciens italiens que pour briser la radicalité ouvrière des grèves sauvages qui débordait alors dangereusement les chiens de gardes politiques et syndicaux.

 

Le mardi 16 avril 2013, une double bombe de fabrication prétendument artisanale, emplie de divers fragments métalliques, a tué trois personnes et en a blessé plus d’une centaine d’autres lors du marathon de Boston. À la faveur de l’étrange découverte propice d’un sac à dos contenant le couvercle d’une cocotte-minute et grâce aux vidéos des caméras de surveillance opportunément disposés, les autorités du spectacle du boniment et de la fabulation étatiques eurent rapidement les moyens, de diffuser les photographies de deux suspects : les frères Tsarnaev qui avaient eu, eux, la grande amabilité de longuement flâner juste face aux appareils d’observation et d’enregistrement qui purent par conséquent abondamment et minutieusement les filmer. Selon la version officielle, les deux frères échappèrent à un policier qu’ils tuèrent sur un campus universitaire. Ensuite, après avoir détourné une automobile, ils furent atteints par la police. Plus de 200 coups de feu furent échangés durant la nuit, les deux hommes furent blessés. Le premier décéda rapidement à l’hôpital pendant que son frère, s’échappait à pied avant d’être rattrapé par la police pour finalement être enfin mis en état de ne plus jamais pouvoir dire autre chose que ce pourquoi il serait autorisé à parler.

 

Toute cette affaire des deux islamistes hollywoodiens de la filière tchétchène de la C.I.A. a évidemment mobilisé les chaînes de télévision de toutes les fictions imaginables du spectacle mondial de la misère marchande. Depuis le Daghestan, les parents des suspects ont, eux, proclamé qu’ils avaient été manipulés. Leur mère, a même souligné qu’ils étaient sous surveillance étroite du F.B.I. et ne pouvaient donc monter aucune opération sans que ce dernier en ait évidemment immédiatement eu connaissance.

 

À Boston, les services spéciaux du chaos gouvernementaliste ont donc parfaitement rempli leur mission dans le cadre d’une opération de camouflage et d’intoxication qui permet en un temps de crise économique approfondie et de crise sociale ravageuse de faire utile diversion massive en ce moment d’ébranlement ou d’ailleurs plusieurs États entendaient comme le Texas demander à retirer leur or de la Réserve fédérale…

 

La crise du spectacle démocratique de la dictature marchande est désormais à son point culminant et le chaos étatiquement programmé y est alors amené à produire partout et sans cesse son mythique ennemi inventé, le terrorisme qui est en fait sa seule vraie défense en ce temps de décomposition universelle où la liberté despotique de l’argent et ses conséquences véritables ne peuvent être encore acceptées qu’au regard d’antagonismes factices et d’attaques insidieuses sous faux drapeaux constamment mis en scène par le biais d’orchestrations machiniques de vaste ampleur.

 

L’histoire du terrorisme est désormais l’une des forces productives majeures du spectacle étatique mondialiste; elle définit donc le cœur stratégique du dressage social puisque les spectateurs doivent retenir de la pédagogie de l’attentat, que, en comparaison au terrorisme, toute la pourriture quotidienne de la vie fausse devra leur demeurer préférable et préférée.

 

« U.S.A., U.S.A. », ont ainsi scandé naïvement des Bostoniens descendus dans la rue et de la sorte bien domptés par le jeu des images fantastiques du renversement concret du réel. Certains arborant même frénétiquement un drapeau américain. Des célébrations totémiques de l’aliénation qui traduisaient le soulagement d’une population traumatisée par le plus grave attentat étatiquement télécommandé aux États-Unis depuis la mystification du 11-Septembre. L’union sacrée de la servitude volontaire n’a bien évidemment qu’un temps mais le confusianisme mystérieux des bombes barbouzardes conserve toujours là un intérêt évident bien que sa durée soit éminemment toujours et de plus en plus rétrécie…

 

Dans le monde du spectacle de la marchandise où les intérêts agissants de la dictature démocratique des Mafia de l’argent sont à la fois si bien et si mal obscurcis, il convient toujours pour saisir les mystères du terrorisme d’aller au-delà des rumeurs médiatiques policières puisque la sauvegarde des secrets de la domination opère continûment par attaques fardées et véridiques artifices.

 

Le leurre commande le monde du fétichisme de la marchandise et aujourd’hui d’abord en tant que leurre d’une domination qui ne parvient plus à vraiment s’imposer au moment où l’économie historique de la crise manifeste explosivement la crise historique de l’économie elle-même.

 

Du meurtre d’Aldo Moro par les brigades rouges étatiques aux attentats pentagonistes du 11-Septembre et en passant évidemment par la disparition violemment paramétrée de John Fitzgerald Kennedy sans oublier les tueries hautement calculées du télépiloté Merah, la société du spectacle de l’indistinction marchande ne cesse de s’éminemment montrer comme le monde de l’inversion universelle où le vrai est toujours réécrit comme un simple moment nécessaire de la célébration du faux. Derrière les figurants, les obscurs tirages de ficelles et les drapeaux mal bricolés, les vrais commanditaires sont adroitement camouflés puisqu’ils résident invariablement dans ces lieux impénétrables et énigmatiques, inaccessibles à tout regard, mais qui du même coup les désignent par cette ruse de la raison qui rend précisément percevable ce qui se voulait justement in-soupçonnable.

 

Le masquage généralisé se tient derrière le spectacle qui donne ainsi à infiniment contempler quelque chose en tant que complément décisif et stratégique de ce qu’il doit empêcher simultanément que l’on voit et, si l’on va au fond des choses, c’est bien là son opération la plus importante; obliger à sans cesse observer ceci pour surtout ne point laisser appréhender cela.

 

Par delà chaque tueur fou opportunément manipulé dans les eaux troubles du djihadisme téléguidé ou, de l’extrémisme supervisé existe, en premier lieu, l’incontournable réalité du gouvernement du spectacle de la marchandise lequel dorénavant possède tous les moyens techniques et tous les pouvoirs gestionnaires d’altérer et de contre-faire l’ensemble de la production sociale de toute la perception humaine mise sous contrôle. Despote absolu des écritures du passé et tyran sans limite de toutes les combinaisons qui arrangent le futur, Big Brother pose et impose seul et partout les jugements sommaires de l’absolutisme démocratique des nécessités du marché de l’inhumain.

 

On commet une très lourde erreur lorsque l’on s’exerce à vouloir expliquer quelque attentat en opposant la terreur à l’État puisqu’ils ne sont jamais en rivalité. Bien au contraire, la théorie critique vérifie avec aisance ce que toutes les rumeurs de la vie pratique avaient si facilement rapporté lors des très enténébrées disparitions de Jean de Broglie, Robert Boulin, Joseph Fontanet, Pierre Berégovoy et François de Grossouvre. L’assassinat n’est pas étranger au monde policé des hommes cultivés de l’État de droit car cette technique de mise en scène y est parfaitement chez elle en tant qu’elle en est désormais l’articulation de l’un des plus grands quartiers d’affaires de la civilisation moderne.

 

Au moment arrivé de la tyrannie spectaculaire de la crise du capitalisme drogué, le crime règne en fait comme le paradigme le plus parfait de toutes les entreprises commerciales et industrielles dont l’État est le centre étant donné qu’il se confirme là finalement comme le sommet des bas-fonds et le grand argentier des trafics illégaux, des disparitions obscures et des protections cabalistiques.

 

Plus que jamais, en ce moment très spécifiquement crisique où en France, reprenant le témoin d’une droite complètement épuisée, la gauche du Capital bien vite superbement exténuée est en charge des affaires d’un marché en pleine décomposition, l’exutoire terroriste risque de devenir de plus en plus tentant pour détourner la colère qui monte, il est temps d’en finir avec toutes les mystifications et tous les malheurs historiques de l’aliénation gouvernementaliste afin de commencer à pressentir la possibilité de situations humaines authentiques. Hors de l’économie politique de la non-vie, il convient exclusivement d’organiser le retour aux sources à une communauté d’existence enfin débarrassée de toute exploitation et de toute domination.

 

Pour L’Internationale, Gustave Lefrançais

 

Fin avril 2013

 


 

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mardi, 30 avril 2013

www.mwsyria.com

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PERSBERICHT:

Jihadstrijders. Wie zijn ze eigenlijk?

Mediawerkgroep Syrië

27 april 2013

De laatste tijd is er veel te doen over de jongeren die ten strijde trekken naar Syrië. Wie zijn deze jongeren? Wat zijn hun drijfveren? Hoe gaan we hiermee om? Hoe moeten we dit interpreteren? Allemaal vragen die in onze media maar wazig beantwoord worden.

In Syrië is er volgens de massamedia een volksopstand bezig, een uitloper van de zogenaamde Arabische Lente die overgeslagen is van Tunesië, Egypte,… Puur ideologisch gezien zou men kunnen besluiten dat deze jongeren willen meestrijden in een vrijheidsstrijd van de Syriërs. Misschien denken sommigen dit ook wel.

Als men echter weet dat de huidige opstand in Syrië geleid wordt door moslimextremisten, o.a. al-Qaida, dan moeten we toch wel even gaan nadenken. Komen deze mensen wel op voor de vrijheid en de democratie, die de Syriërs zo graag willen? Als men weet tot welke gruweldaden deze strijders in staat zijn, kan men niet anders dan besluiten dat dit geen vrijheidsstrijd is zoals wij dit zien in het Westen, maar eerder een strijd om van het seculiere Syrië een extreme islamstaat te maken met de sharia als geldende wetgevende macht en dus ook zonder scheiding van staat en geloof.

Nog verder doordenkend op wat er nu werkelijk aan de gang is in Syrië, komt men tot de conclusie dat het Westen met de Verenigde Staten (VS) hierbij op kop ook wel eigen ‘belangen’ heeft om in Syrië van de oppositie de winnende partij te maken. De geschiedenis leert ons echter dat landen zich eigenlijk weinig aantrekken van mensenrechten of democratie. Dit zijn maar zaken die ons eerder als burger bezighouden. Landen kijken alleen naar ‘belangen’. In het geval van Syrië is dit de aanleg van pijpleidingen voor gas en olie vanuit de Golfstaten, Qatar en Saudi-Arabië. Het zijn ook net deze staten die kwistig zijn met de aanvoer van tonnen oorlogswapens naar Syrië. Nota bene: ook wapens vanuit Kroatië in Europa vinden naarstig afzet in Syrië. Een wapenboycot is alleen van kracht voor de Syrische overheid en rebellen mogen van het Westen de nationale bronnen stelen voor de aankoop van oorlogswapens. Ook werden in Homs grote gasvoorraden gevonden en Homs wil nu net de stad zijn waar de opstanden zeer hevig gewoed hebben. Een eenvoudig mens kan zich hierbij makkelijk voorstellen dat de Amerikaanse en Europese olie-multinationals zeer graag daar een fabriek zouden neerplanten. Heel dit verhaal gaat nog verder en gaat eigenlijk buiten het bestek van dit artikel, maar toont wel aan hoe decadent de strijd in Syrië wel geworden is. Want wie vecht nu voor wat? Sommige van onze politici zoals een Verhofstadt, een Reynders,… sturen openlijk aan om de rebellen – sommige noemen deze nog steeds zo – rechtstreeks te gaan bewapenen. Niet om er een islamitisch land van te maken, maar wel voor ‘democratie’ en ‘vrijheid’,…. pardon.. voor economische belangen dus. Maar waren het ook geen extremisten? Tiens, hoe moet dit dan gebeuren?

Nu we weten dat burgemeester Somers inziet dat hij weleens problemen zou kunnen krijgen met de jonge jihad-strijders die binnenkort – als ze de strijd overleefd hebben – gaan terugkeren, kunnen we ons wel gaan afvragen hoe hij eigenlijk met zijn partijgenoot Verhofstadt overleg gaat plegen? Ze steunen de rebellen, maar ze willen ze niet terug in België. Waarop hopen ze dan?

Sommige media vinden het allemaal zo erg nog niet. Zij vinden het niet het grootste maatschappelijk probleem op dit moment. Ze vinden het zelfs gevaarlijk om mannen met baarden te gaan uitsluiten. Het draait echter niet om de baard natuurlijk en helemaal niet om de islam, die in wezen een vredelievende religie is. Maar het betreft wel het gedachtegoed dat de meeste moslimstrijders hebben. Het is ook verkeerd om deze strijders te vergelijken met de studenten van mei ’68 of met de jongeren van Occupy Wall Street. Deze jonge jihadstrijders vormen wel degelijk een probleem waar ze ook zijn. Europa moet stoppen met zijn hypocrisie over terrorisme. Terrorisme hier is als terrorisme in Syrië.

Onterecht worden moslims met de vinger gewezen, daar het echter niet gaat om een probleem van moslims of soennieten, maar wel om de aanwezigheid sinds maart 2011 van terroristen die de islam misbruiken om door chaos en instabiliteit een machtswissel te bekomen in Syrië. De meerderheid van moslims en soennieten steunen net als andere burgers de Syrische regering en het Syrische nationale leger in de strijd tegen terreur.

De gewone Syriër is het slachtoffer en verdient beter dan dit én de burgers van Europa verdienen de waarheid, zodat er terdege gereageerd kan worden tegen terrorisme met een breed maatschappelijk draagvlak.

Mediawerkgroep Syrië.

Reacties: info@mwsyria.com

Contact: +31 649 154 241+32  483 637 446.

De Mediawerkgroep Syrië bestaat uit vrijwilligers uit Vlaanderen en Nederland; zowel Syriërs als niet-Syriërs die tekortkomingen in de media aankaarten. We komen op voor het zelfbeschikkingsrecht van het Syrische volk en het respecteren van de Syrische soevereiniteit volgens het internationaal recht. Wij kanten ons tegen elke buitenlandse inmenging in de interne zaken van Syrië en steunen het democratische en politieke hervormingsproces van de Syrische regering. Wij wensen het behoud van Syrië als een multiculturele seculiere samenleving volgens de wil van het Syrische volk en veroordelen elke vorm van geweld en terrorisme.


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Infoavond

met Fernand Keuleneer

in Leuven

Vrijdag 31 mei 2013 om 20 uur

Infoavond

Thema nog te bepalen

Met als gastspreker:

Fernand KEULENEER

Advocaat aan de balie te Brussel

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201008191849-1_parket-misleidt-bevolking-over-operatie-kelk.

Plaats: Stellazaal Café Tempo – Baron August de Becker Remyplein 52 – 3010 Kessel-Lo.
Aan de achterkant van het station van Leuven.

Vrije toegang mits twee consumpties per persoon.

Organisatie: Mediawerkgroep Syrië – Email: info@MWSyria.com – Blog: http://MWSyria.com – Facebook: http://www.facebook.com/MWSyria – Twitter: @MWSyria


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HET SYRISCHE VOLK HEEFT UW HULP NODIG.

STEUN HET PROJECT VAN VADER DANIEL.

Facebook

MEDIAWERKGROEP SYRIE – 26 april 2013 – Daniël Maes (74), norbertijn van Postel en afkomstig uit Arendonk, is verantwoordelijk voor een seminarie in het uit de zesde eeuw daterend klooster Mar Yacub in Qâra ( VIDEO ), gelegen op 90 kilometer van de Syrische hoofdstad Damascus. Het klooster werd door zusters eigenhandig opgebouwd uit de ruïne van het oudste en wellicht beroemdste klooster van het Midden-Oosten. In Syrië zijn er 2,4 miljoen christenen op 24 miljoen inwoners. Een verre droom van de Vlaamse norbertijn Maes is om van het klooster Mar Yacub een tweede Taizé te maken, dicht bij de bronnen van het christendom, in dialoog met joden en moslims.

De droom van pater Maes sloeg echter aan diggelen toen in maart 2011 criminele bendes en terroristen het land waar hij leefde onderdompelden in chaos en bloedvergieten. Tot voor de verwoestingen was er nagenoeg voor iedereen een zekere welvaart. Nu zijn velen dakloos. In eigen streek tracht de kloostergemeenschap de mensen zoveel mogelijk te helpen, o.a. langs de pastoor van Qâra, die van Qussair is.

Het klooster van Mar Yacub vangt tientallen vluchtelingen op uit Qâra en Homs. Het gaat zowel om christenen als moslims.

Containers met noodhulp

Deze zomer besloot pater Daniël Maes een container te vullen om aan de eerste noden in Syrië tegemoet te komen. Dankzij vele vrijwilligers uit heel België, zowel christenen als moslims, lukte het om op een zeer korte tijd deze klus te klaren en de container te versturen. Er was voedsel in de container voor ruim 400 mensen om gedurende ruim twee weken te eten. Deze vracht werd ter plaatse verdeeld in Tartous.

Normaal zou de container naar het klooster gaan, maar omwille van veiligheidsproblemen is dit onmogelijk.

Even later zijn er nog verschillende containers verscheept met voedsel voor 1.500 à 2.000 mensen aan boord, die in Lattakia noden konden ledigen. De planning is om dit nog uit te breiden en zodoende hulp te bieden aan nog meer mensen: zowel christenen als moslims, zonder onderscheid.

Momenteel is het zeer onrustig in Qâra in Homs en daarom moet gewacht worden om hier de verdeling uit te voeren. Alles zal in gereedheid gebracht worden wanneer het tij zou keren. Het is echt een voorbeeld voor ons land hier te zien hoe christenen en moslims samen aan het werk gaan voor hetzelfde doel.

Steun Syrische vluchtelingen in Qâra!

Aangezien de nood in Syrië momenteel erg hoog is, kan men zijn solidariteit tonen met het Syrische volk door een bijdrage te storten voor de vluchtelingen in Deir Mar Yacub via het rekeningnummer van priester Daniël Maes met vermelding ‘Noodhulp Syrië container’. Met die bijdragen starten de vrijwilligers uit de Kempen dan een nieuwe verscheping naar Syrië.

Met deze financiële giften hoopt men ditmaal ruim vijftien ton rijst naar Syrië te sturen. En de rest wordt opgevuld met kleding, bezorgd door de missiezusters uit Vorselaar met medewerking van Wereldmissiehulp. Deze kledingcontainers staan aan alle kerken: het zijn de RODE! Dus als jullie hierin kleding deponeren komt deze bij ons terecht! Dank bij voorbaat.

Priester Daniël Maes

Abdijlaan 16

2400 MOL-POSTEL

068-2083244-02

IBAN: BE32 0682 0832 4402

BIC: GKCC BE BB

danic3abl-maes1211

Daniël Maes (74), norbertijn van Postel en afkomstig uit Arendonk, is verantwoordelijk voor een seminarie in het zesde eeuwse klooster Mar Yakub in Qâra, gelegen op 90 kilometer van de Syrische hoofdstad Damascus. In Syrië zijn er 2,4 miljoen christenen op 24 miljoen inwoners. Een verre droom van de Vlaamse norbertijn Maes is om van het klooster Mar Yakub een tweede Taizé te maken, dicht bij de bronnen van het christendom, in dialoog met joden en moslims.

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Wenst u driemaandelijks het nieuws van priester Daniël via het tijdschrift Hoor te ontvangen?

Stuur dan uw adresgegevens naar P. Smeyers, Driesstraat 7, B-2470 Retie, België.

paula.smeyers@scarlet.be

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Wil zo goed zijn om jaarlijks een bijdrage te storten voor het tijdschrift (richtprijs 10 euro). Gelieve giften voor het klooster Mar Yacub, voor de vluchtelingen en noodlijdenden in Syrië uitdrukkelijk te vermelden bij een storting via de bovenvermelde bankgegevens van het vluchtelingenproject van priester Daniël Maes.

Priester Daniël Maes: de morele ontwrichting

Priester Daniël Maes: bij mijn gemeenschap in deze moeilijke tijden


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Blijf ook onze blog lezen met telkens artikelen en nieuws dat men niet kan terugvinden in onze massamedia:


Kampf gegen Rechts als Ablenkungsstrategie?

Universität Wien, Hörsaal 28: Kürzlich ein Gespräch darüber, wie Nationalismen und extreme Rechte in Europas wirksam zu bekämpfen wären. Wieder einmal. Eingeladen hatten u.a. transform! europe und die Fleischerei.* Wobei Letztere, aus zeitgeschichtlicher Perspektive gesehen, eine für ein kommunistisches Projekt erstaunlich mutig-anzügliche „Geschäftsaufschrift“ vorzuweisen hat.                                                                                        

Doch allem Anschein zum Trotz wurde es eine eher beschauliche, beinahe nostalgisch anmutende linke Veranstaltung bei der zwar, anders als vor Jahrzehnten in demselben Hörsaal, keinesfalls aufgeregt über die rechte Gefahr doziert wurde, aber bei der auch keine einen nachhaltigen Erfolg versprechende Strategie zur Verhinderung eines weiteren rechten Vormarsches zum Vorschein kam. Politische Programme allein werden nicht genügen.                                                                                                                                               

Die Einsicht ist wohl da, daß die derzeitigen gesellschaftlichen und ökonomischen Bedingungen vor allem dem Rechtspopulismus in die Hände spielten. Aber, frage ich mich, wie wollen da Linke ohne scheuklappenfreie Kenntnisnahme jener auch einer überstrapazierten Gleichheitsidee geschuldeten Ursachen überhaupt gegensteuern?

Gewiß, noch ist nicht aller Tage Abend. Und man scheint mancherorts die Dinge in gewisser Hinsicht doch etwas anders zu sehen als vor Jahrzehnten, aber, da durch Dogmen anscheinend immer noch gehemmt, noch nicht weit genug. Man kommt wohl, wie bei vielen Rechten auch, zu bereits allgemein gültigen Erkenntnissen, aber dann doch aus dem vorher erwähnten Hinderungsgrund in wichtigen Fragen, etwa jener der Immigration, vorerst noch zu gegensätzlichen Folgerungen und wenig zukunftstauglichenLösungsvorschlägen.                                                                                                                    

Immerhin ließe sich bereits eine wesentliche gemeinsame Erkenntnis linker wie auch rechter revolutionär gestimmter Systemoppositionellen in der Aussage der linken griechischen Syriza-Partei: „Das vorherrschende Wirtschafts- und Gesellschaftssystem hat versagt und es ist Zeit, es abzulösen!“ durchaus zusammenfassen. Denn daß die heutige Wettbewerbsgesellschaft eines finanzgesteuerten Wirtschaftsmodells gegen unsere Grundbedürfnisse verstoße, unsere Lebensgrundlagen gefährde und daß die organisierte Massengewalt diesem Gesellschaftsmodell eigen sei, werden immer mehr linke wie rechte „Empörte“ so sehen wollen und können.

Dabei kommen die Anleitungen zu mehr als nur Empörung von den Konzernen selbst : Wenn es, zum Beispiel, etwa von Nestle-Seite heißt, genmanipulierte Lebensmittel seien eine unbedenkliche Sache seien, Wasser kein Menschenrecht, das daher auch von Privaten, also Konzernen, kontrolliert werden sollte, dann wäre auch diese Anmaßung bzw. Bedrohung doch ein Ansatz für eine ideologienübergreifende gemeinsame Abwehr konzerntypischer Gelüste. Und darüberhinaus zu neuen Ufern.                                       

Vorausgesetzt, es setzt sich einmal die Einsicht durch, daß weder klassische linke Modelle noch solche rechter Bauart längerfristig eine Antwort auf die drängenden Probleme des 21. Jahrhunderts geben können. Aber radikal sollte die Antwort schon sein, müßte sie sein, soll ein Natur und Umwelt gefährdendes, völkermordendes System, im günstigeren Fall basisdemokratisch, überwunden werden. Ein betrügerisches System, daß über Schulden-Anhäufung ein Heer von Lohnsklaven schafft und ohne Gewissensbisse mit Hilfe von Politikdarstellern permanente Arbeitslosigkeit und wachsende Armut in Kauf nimmt. Nicht zuletzt Kriege.

Eine vielen nationalen Rechten in eigener Sache ähnlich distanzierungsscheue gewisse Linke arbeitet also an strategischen Perspektiven für ein anderes Europa. „muß“ sich aber ständig mit dem Kampf gegen „extreme“ Rechte, wo, zugegebenermaßen, weltanschaulich wie gesellschaftspolitisch noch oder schon wieder einiges im Argen liegt, beschäftigen. Wobei die Abgrenzungsbemühungen sowohl da wie dort schon pathologische Züge annehmen.                                                                                                                                        

Aber auch hier sollte gelten: manches, was gut gemeint ist, ist oft das Gegenteil von demselben, und alles, was übertrieben wird, wie u. a. die Gleichheit, schadet dem Anliegen dahinter. Im Übrigen würde, und das beiderseits der ideologischen Frontlinie, ein etwas realistischeres Menschenbild und ein selbstkritischerer Blick in die Denkwürdigkeiten der immer noch nahen Vergangenheit solches vermeiden helfen.                                                   

So weit scheint man aber dann noch nicht zu sein, und damit zusammen hängt, links wie rechts, eine – aus soziologischer und politischer Sichtweise – jede gute oder gar gemeinsame Initiative störende oder eine solche verhindernde Fragmentierung des Empörungslagers. Womit, unter Beibehaltung des antiquierten Links-Rechts-Schemas, vorerst gesichert bleibt, daß die multinationalen Machthaber, die gewiß bis zum letzten Cent kämpfen werden, weiter ihrem eigentlich menschenverachtendem Monopoly-Spiel frönen können.                                                                                                                             

Aber irgendwann, vermutlich in absehbarer Zeit, nähern wir uns, national wie global, dem berühmten „Point of no return“. Was dann? Werden wir es uns dann noch immer leisten können, in Steinzeitmanier oder jener der dreißiger Jahre gegenseitig an die sprichwörtliche Gurgel zu fahren? Den dann klammheimlich lachenden Dritten kann ich mir heute schon lebhaft vorstellen.

*Neben der gebürtigen Österreicherin Elisabeth Gauthier (Espace Marx, Paris), dem Schweden Mathias Wag (Zentrum für marxistische Studien, Stockholm) und dem ehemaligen Vorsitzenden der KPÖ und jetzigen Koordinator von „transform!“ (25 versch. linke Zeitschriften und „Denkfabriken“) kam in diesem von Eva Brenner (Fleischerei) moderiertem Gespräch auch Hais Triandafillidou (Syriza-Abgeordnete aus Athen) zu Wort. Die junge Dame, besser Deutsch sprechend als so mancher österreichische Politiker, vermittelte ein authentisches Lagebild ihrer Heimat, das, obzwar aus marxistischer Sicht, durchaus glaubwürdig schien. Das Programm von Syriza mutet übrigens über weite Passagen durchaus nationalrevolutionär an.