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vendredi, 02 octobre 2015

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Non si può ridere sulle disgrazie tedesche

Ex: http://www.lintellettualedissidente.it

In tanti in Europa esultano per l’indebolimento dell’immagine della Germania; ma tralasciando gli asti interni al vecchio continente, ridere per le disgrazie tedesche non appare molto saggio: con una Berlino espugnata, è l’intera Europa ad uscire indebolita!
 

Merkel_Untergang.jpgAlzi la mano che non rida quando, il primo della classe, magari quel ‘secchione’ con gli occhiali che non perde occasione nel dimostrare la propria bravura e la contestuale impreparazione altrui, viene beccato con le mani nel sacco. In tutte le classi di tutto il mondo, quando magari un soggetto del genere viene colto impreparato è una festa per tutti e chi da mesi ha una sfilza di impreparati, improvvisamente torna entusiasta di andare a scuola. Si può quindi comprendere come mai molti italiani, alla notizia del ‘trucchetto’ della Volkswagen, hanno iniziato a ridacchiare ed a sfoderare tutta la retorica da sindrome di ultimo della classe: ‘Anche loro barano’, ‘adesso la Germania non può più dirci nulla’ oppure ancora ‘Germania Kaputt’, sono state le frasi più in voga sui social network in questi giorni. Va bene ridacchiare per le disgrazie di un paese che da anni bacchetta mezza Europa al grido di ‘austerity e rigore’, ma al tempo stesso è ben utile chiarire come in realtà la situazione non è così semplice come una banale querelle tra compagni di classe. In realtà, sulla disgrazia Volkswagen c’è ben poco da ridere e per due ragioni; in primo luogo, è da stolti oggi sfoderare retorica germanofoba.

La Germania, come detto anche in passato, nonostante i suoi difetti e nonostante possa ispirare poca ‘simpatia’, è un grande paese di 140 milioni di abitanti, traino dell’economia europea e dunque imprescindibile per ogni ipotesi di rilancio del vecchi continente; il suo posizionamento poi, ne fa un paese ponte (la storia, tra muri costruiti e muri divelti lo dimostra) tra occidente ed oriente ed un suo indebolimento costituirebbe un ulteriore ostacolo nelle relazioni tra Europa e Russia. Ma soprattutto, altro motivo per cui non è saggio ridere delle disgrazie Volkswagen, è abbastanza palese come l’uscita dei dati che mostrano il trucco sui dati in merito le emissioni, è strumentale; si è voluto dare un colpo molto forte all’orgoglio, all’economia ed all’immagine della Germania. La Volkswagen è cuore dell’industria tedesca, oltre che vanto da diversi decenni; al di là delle migliaia di posti di lavoro, il colosso delle auto è simbolo stesso dell’efficienza della Germania. Colpire adesso, suona come un avvertimento; Berlino in questi giorni era pronta a far valere il suo peso diplomatico sulla questione siriana: Angela Merkel aveva valutato la possibilità di considerare Assad un interlocutore, in più la pressione interna di molti imprenditori tedeschi danneggiati dalle sanzioni alla Russia, stava spingendo la cancelliera a primi passi verso il riavvicinamento a Mosca, pur senza mai citare (almeno in questi giorni) la possibilità di togliere da subito tali sanzioni.

volkswagen-dans-la-tourmente_1592965_418x209.jpgIn poche parole, la Germania era pronta a fare la sua parte; una parte che, seppur invisa a molte cancelliere europee, le spetta di diritto essendo l’economia più forte del continente ed il paese più popolato d’Europa. La politica estera tedesca presenta molte lacune e molte criticità, ma al tempo stesso ‘tifare’ per un peso minore di Berlino nello scacchiere internazionale, vuol dire tagliare fuori definitivamente il vecchio continente da ogni possibile ruolo da protagonista nelle crisi principali. Ed è inoltre proprio Berlino ad avanzare perplessità su alcuni aspetti del TTIP, che invece gli americani vorrebbero far approvare in tempi brevi; tale trattato transatlantico dovrà essere ostacolato soprattutto dal movimento di opinione che da 3 anni a questa parte si sta sviluppando in tutta Europa, ma anche una Germania che avanzava perplessità poteva certamente essere un valido baluardo di difesa. L’aver lanciato le prove del trucco Volkswagen sulle emissioni di gas comunque, non è probabilmente legato direttamente ad uno dei singoli casi prima citati; esso, visto dal luogo da cui è partito (dagli USA), è probabilmente ricollegabile ad un avvertimento generale: la Germania oltre certi limiti non può andare.

In tempi non sospetti, quando tutti elogiavano o temevano la Germania, in più ambienti ed anche nelle colonne del nostro giornale, si lanciava un avvertimento: Berlino può solo ‘giocare’ ad essere una potenza internazionale, resta però pur sempre un paese occupato da centinaia di basi straniere da 70 anni a questa parte e quindi ogni starnuto all’interno della Cancelleria viene valutato e studiato dall’esterno e se qualcosa non combacia con gli interessi dei proprietari di tali basi militari, allora arrivano questo genere di avvertimenti. Quel che sta subendo la Germania in questi giorni, è un attacco a tutto tondo, con tanto di main streaming sguinzagliati contro di essa; della fine del mito e del sogno tedesco se ne parla ormai da giorni, mentre la Volkswagen (non immune certamente da colpe ma, probabilmente, non l’unica industria automobilistica ad aver ‘barato’ nel corso della storia) viene catalogata come il ‘mostro del mese’ da attaccare. ‘Ben gli sta’, potrebbe obiettare qualcuno; ma in realtà no: come detto sopra, l’animo tedesco potrà essere anche poco preposto all’empatia, ma la Germania indebolita è preludio allo schianto definitivo dell’Europa. Giusta (a volte) o sbagliata (spesso) che sia, la via tedesca è l’unica europea rimasta; se anche questa arteria diplomatica viene tranciata, arriverà il via libera definitivo ad un’Europa meramente schiava di potenze straniere. Ed in ottica futura, per sperare ancora in una ripresa del nostro continente, non si può immaginare una Germania indebolita.

 

Société civile – Entre chaos, désobéissance et prise du pouvoir

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Société civile – Entre chaos, désobéissance et prise du pouvoir

Michel Garroté
Politologue, blogueur

Ex: http://www.lesobservateurs.ch

Les cinquante dernières années ont vu la victoire anti-culturelle, amorale et politicarde du courant initié dès le début des années 1960, puis, plus encore, par cette fumisterie que l’on nomme Mai 68. La civilisation française a progressivement perdu toute colonne vertébrale. A gauche comme à droite, la langue française est massacrée tous les jours par la caste politico-médiatique confortablement installée. L’individualisme prime sur les valeurs et sur le bon sens. Le concept de République est aujourd’hui vide et creux. La laïcité est devenue allahïcité. La culture classique -- à la fois judéo-chrétienne et gréco-latine -- est interdite de séjour sur son propre territoire.

L’immigration-invasion est majoritairement musulmane, pour ne pas dire islamique. L’islamo-gauchisme, c’est très « tendance » ; et oser écrire, cela est très incorrect. Une personne ouvertement de droite est aussitôt qualifiée « d’extrémiste de droite », de « frontiste » ou de « lepéniste ». Le travail des idées a été remplacé par de pseudo-débats aussi médiocres que sectaires. Dans cette ambiance, la société civile aura bientôt le choix entre le chaos, la désobéissance ou la prise du pouvoir.

Parler la langue de Mitterrand comme une lourde vache batave

Le chroniqueur catholique de droite Bernard Antony a récemment écrit (extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page) : Je suis resté hier devant mon poste un peu plus longtemps que d’ordinaire, je me suis promené dans les chaînes : à deux ou trois reprises, çà et là, l’indigent spectacle de François Hollande proférant d’ineptes assertions sur le bombardement du camp d’entraînement à Deir ez-Zor pour les jihadistes qui, paraît-il, ont besoin d’aller là-bas, si loin, pour apprendre à tirer à la kalach, à dégoupiller une grenade ou à placer une charge. Toutes choses pourtant que n’importe quel caïd de Marseille se ferait une joie de leur enseigner juste pour le plaisir du service rendu.

Bernard Antony : Mais le pire, ce n’est pas qu’il prend les Français pour des billes, c’est qu’il parle la langue de Mitterrand comme une lourde vache batave avec des mots impropres, des pronoms relatifs inappropriés, et des accords du participe massacrés. Cela ne manque pas de provoquer les quolibets des orateurs africains qui tous, je l’ai vérifié jadis dans les rencontres du Parlement Européen, se font un point d’honneur de s’exprimer parfaitement dans la langue de Bossuet, conclut Bernard Antony (fin des extraits adaptés ; voir lien vers source en bas de page).

Refaire des tissus, refaire des paysans, des esprits indépendants

Dans son dernier livre, Philippe de Villiers écrit (extraits ; voir lien vers source en bas de page) : Un jour, on retrouvera les étymologies : la patrie, la terre des pères, renvoie à la paternité. La nation – natio : naissance – renvoie à la maternité. On a voulu fabriquer une société de frères sans père ni mère. Il faudra bien reconnaître, face à la guerre contre la famille et contre la famille des familles – la communauté nationale –, l’objection de conscience, le refus de l’impôt quand on ne voudra plus payer de sa vie la mort des autres. Les premiers objecteurs iront en prison. Puis les murs de la prison tomberont, on ne peut pas emprisonner tout un peuple.

Philippe de Villiers : Car ceux qui luttent contre la vie et brisent les attachements vitaux ont choisi de ne pas survivre. Ils feront place nette. Ils n’auront pas de successeurs. Les derniers survivants seront les enfants des cercles de survie, les évadés de l’ordre marchand. Heureusement, dans un vieux pays, rien n’est irréversible. Il y a comme une mémoire quasi minérale du sol natal : le déracinement déracine tout, sauf le besoin d’enracinement. Nos âmes expirantes retrouveront un jour les sagesses instinctives. Il faudra refaire des tissus, refaire des paysans, des esprits indépendants, comme on replante des fleurs après l’hiver, conclut Philippe de Villiers (fin des extraits ; voir lien vers source en bas de page).

Une succession de trahisons et de reniements

De son côté, l’analyste Alexandre Latsa écrit (extraits ; voir lien vers source en bas de page) : Le 18 septembre dernier, un évènement assez inattendu s’est produit sur le plateau de l’émission "On n’est pas couché" (ndmg - il ne s’agit pas ici de la prestation récente de Nadine Morano). Pour la première fois sans doute depuis que le tandem de débat qui anime les discussions avec les invités existe, ces derniers ont été remis à leur place par un authentique intellectuel dont on ne peut que saluer l'honnêteté et la rigueur intellectuelle qui a été la sienne au cours de cet échange et qui, il faut bien le dire, aura laissé le binôme totalement KO, comme on peut le voir ici et.

Alexandre Latsa : Cet échange sur le plateau d'une émission du service public aura permis une nouvelle fois de constater le fossé qui existe au sein de tendances politiques pourtant plutôt similaires au sens large, entre les exécutants du système médiatique et le dernier noyau d'authentiques intellectuels français dont sans aucune hésitation, Michel Onfray fait partie tout comme par exemple Éric Zemmour. L'air totalement sonné, hagard même diront certains, de Léa Salamé ou Yann Moix sur le plateau le 18 septembre, ne peut pas ne pas nous rappeler la puissance lourde des démonstrations zemmouriennes qui mainte fois laissèrent les invités KO. Des états de fait traduisant l'écart cosmique de niveau entre Michel et Éric, et ceux qui sont censés analyser et évaluer leurs réflexions et leur production intellectuelle.

 

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Alexandre Latsa : De gauche et de droite, Michel et Éric sont pourtant équipés d'un logiciel de fonctionnement commun, logiciel les rapprochant sans doute en réalité beaucoup plus que ne les éloignent leurs pourtant réelles différences d'orientation politique.

Alexandre Latsa : Parmi ces points communs de fond et de forme on peut citer :

Une authentique maîtrise du verbe.

Une rhétorique axée sur la stratégie de vérité et l'analyse des faits.

Une pensée authentiquement cartésienne et donc française.

Une conscience nationale et/ou populaire affirmée.

La profonde remise en question des élites politiques ou médiatiques.

Le refus de cette insupportable menace permanente d'assimilation au Front national.

La tentative de compréhension des éléments visiblement sur une longue durée historique.

Et enfin, la tentative de résister à cette nouvelle dictature qu'est devenue l'information de l'instantané, qui favorise l'émotion au détriment de la réflexion.

Alexandre Latsa : A gauche, cette rupture est plus visible qu'à droite tant les 30 dernières années ont vu la totale victoire culturelle, morale et politique de la culture initiée par mai 68, une prise de pouvoir qui s'est affirmée au cours des années 1980. Une nouvelle gauche née sur les cendres du parti communiste et qui au cours des décennies suivantes s'est transformée en une nébuleuse sociale-démocrate sans idéologie et dont les principaux représentants n'ont plus que pour compétence leur aptitude à subsister au sein de la grande kermesse médiatique, cet espace oligarchique transnational au sein duquel, fondamentalement, le peuple n'existe pas, pas plus du reste que n'y existe la nation française.

Alexandre Latsa : A ce titre et pour se convaincre de la dépendance des premiers envers les seconds, une lecture attentive des excellents dossiers de l'Observatoire des Journalistes et de l'information permet de mieux comprendre ces nouvelles interactions. Les dynamiques qui ont pris naissance en amont de mai 68 et ont abouti à ce Maïdan français avaient pour corolaire historique naturel d'entraîner la disparition totale de l'ancienne gauche, que l'on peut qualifier de plutôt nationale, populaire et cohérente. Une disparition rendue nécessaire pour permettre la prise de pouvoir de cette Nouvelle Gauche qui, sous couvert d'aspirations sociétales fort séduisantes et d'une soi-disant sacro-sainte liberté individuelle, avait surtout pour raison et finalité historique de s'accorder avec l'hyper économisme dominateur et transnational.

Alexandre Latsa : L'histoire politique de notre pays de 1981 à 2015 n'aura finalement été qu'une succession de trahisons et de reniements opérés par les enfants de mai 68, ces libertaires capitalistes qui ont soutenu les processus économiques destructeurs (pour le petit peuple) et parfois antidémocratiques de la construction européenne, que l'on pense respectivement à l'instauration de l'espace Schengen en 1995 ou au référendum de 2005 sur la Constitution européenne. Nul doute que pour cette caste, l'entrée en vigueur du traité transatlantique soutenu par tous les socialistes européens sera vraisemblablement un soulagement mais aussi et surtout, au fond, un aboutissement.

Alexandre Latsa : De nombreux points communs avec notre classe politique, qui a au cours des quatre dernières décennies évolué de telle façon que notre président est devenu une sorte de VRP, et notre Assemblée nationale, chambre d'enregistrement des décisions américaines. Un comble alors que la France, en tant qu'Etat indépendant, devrait avoir à sa tête un président qui ne pense qu'aux intérêts supérieurs de la nation et une Assemblée qui valide les grandes directions insufflées par le chef de l'Etat.

Alexandre Latsa : Pourtant, ici et là, de nouvelles dynamiques apparaissent. Les Français sont visiblement de plus en plus nombreux à mesurer l'incompétence de leur classe politique et à comprendre que la solution ne viendra pas d'en haut mais d'en bas, du peuple. Nombreux sont ceux qui envisagent désormais de nouvelles figures politiques issues pourquoi pas de la société civile. De tels scénarios ont du reste déjà été envisagés, que ce soit avec Michel Onfray et Éric Zemmour. L'avenir pourrait-il voir l'émergence d'un gouvernement d'union nationale issu de la société civile ?, conclut Alexandre Latsa (fin des extraits ; voir lien vers source en bas de page).

Michel Garroté

http://www.bernard-antony.com/2015/09/devant-mon-poste.html

http://lesalonbeige.blogs.com/my_weblog/2015/09/de-la-d%C3%A9sob%C3%A9issance-civile-%C3%A0-lesp%C3%A9rance-selon-philippe-de-villiers.html

http://fr.sputniknews.com/points_de_vue/20150928/1018441210.html#ixzz3n8iJtIzf

   

jeudi, 01 octobre 2015

Diplomatie française: improvisations, revirements et amateurisme…

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Diplomatie française: improvisations, revirements et amateurisme…

par Richard Labévière

Ex: http://www.prochetmoyen-orient.ch

Quelques semaines avant l’élection de François Hollande, un groupe de hauts fonctionnaires français signait une tribune dans un quotidien parisien1, appelant à rompre avec les postures médiatiques de Nicolas Sarkozy. Commentant les propositions du candidat socialiste, ce collectif écrivait : « on ne voit pas encore les axes structurants d’une politique réfléchie. Sans tabous ni autocensure, la première des préoccupations reste la non-prolifération nucléaire et le dossier iranien, mais aussi et peut-être davantage le Pakistan, ainsi que le réarmement d’autres puissances. Quelle est la meilleure politique au regard de nos intérêts? Est-ce pertinent de soutenir Israël quelles que soient les extrémités où l’on risque de nous entraîner? Quelles leçons tire-t-on de l’expédition libyenne – guerre déclenchée au nom des droits humains – dont on ne connaît toujours pas le bilan des victimes, ni l’ampleur des effets déstabilisateurs dans la sous-région sahélienne, sans parler de l’évolution inquiétante des libertés civiles et politiques? Et que penser de la politique de gribouille sur la Syrie, pouvant déboucher sur une militarisation accrue de la crise? L’appel au changement de régime est-il légitime, surtout lorsqu’il est porté par des pays comme le Qatar ou l’Arabie Saoudite? Ne reproduit-on pas ici les erreurs commises par les Américains et les Britanniques en Irak ? Cela ne ressemble-t-il pas à un vieux remugle de néo-colonialisme? Quant à l’Afghanistan, il restera à dresser un bilan de notre engagement militaire. Ces questions rompent avec le politiquement correct dominant. Il faut cesser de se gargariser des grands discours ridicules sur notre « diplomatie universelle » et de nier béatement le déclin de la France dans le monde. Il est temps d’élaborer une doctrine de redressement, fondée sur des analyses géostratégiques tenant compte de la réalité, de nos moyens d’agir, de nos intérêts ainsi que de ceux de nos voisins européens, méditerranéens et africains ».

Une fois élu, François Hollande – qui ne s’était guère intéressé aux relations internationales – nommait à la tête de la diplomatie française l’ « ancien plus jeune Premier ministre de la Vème République ». En confiant le Quai d’Orsay à Laurent Fabius, le nouveau président de la République cédait ainsi à son tropisme d’ancien premier secrétaire du PS : ménager les tribus de la rue de Solferino en considérant que Fabius serait moins nuisible à l’intérieur du gouvernement qu’abandonné à la direction d’un courant qui avait mené la bataille contre le projet de constitution européenne, notamment. Du grand art… et un signal fort adressé à nos partenaires européens. Condition de son acceptation du maroquin des Affaires étrangères, Laurent Fabius favorisait le choix d’un conseiller diplomatique faible pour l’Elysée, en l’occurrence le regretté Paul Jean-Ortiz – homme droit et affable, surtout spécialiste de l’Asie, – ne voulant pas s’encombrer d’un sherpa trop pointu, genre Jean-David Levitte qui géra les dossiers internationaux pour Sarkozy tandis que Bernard Kouchner amusait la galerie du Quai d’Orsay, multipliant les voyages et des affaires pas toujours très claires…

Cette inversion hollandaise du dispositif Sarkozy (sherpa fort/ministre faible) pour un ministre fort et un conseiller diplomatique docile ne changea pas grand-chose à une diplomatie qui accentua les évolutions impulsées par une « école française néoconservatrice » qui avait déjà commencé à sévir sous le deuxième Chirac finissant : retour dans le commandement intégré de l’OTAN, alignement sur Washington et Tel-Aviv ! Et l’un de nos grands ambassadeurs de commenter : « avec Laurent Fabius, c’est Guy Mollet, les néo-cons américains et la morgue en prime… » Sans appel, ce jugement s’illustre particulièrement sur les trois grands dossiers proche et moyen-orientaux.

La Syrie d’abord ! En mars 2012, Alain Juppé avait curieusement décidé de fermer l’ambassade de France à Damas, contredisant les fondamentaux de la diplomatie qui consistent, justement, à ne jamais perdre le contact avec les pays qui s’éloignent le plus de nos positions, sinon de nos intérêts… Cherchant à corriger les effets désastreux du soutien passé de Michèle Alliot-Marie au dictateur tunisien, Paris se devait de revenir dans le sens de l’Histoire : Ben Ali dégage, Moubarak dégage, Kadhafi idem… Avec Washington et Londres, Paris s’enferma dans le « Bachar dégage ! », personnalisant une situation syrienne, pourtant très différente des autres mal nommées « révolutions arabes ».

Sur la Syrie, inaugurant une « ligne Juppé consolidée », selon les propres termes d’un ancien ambassadeur de France à Damas, Laurent Fabius a été principalement inspiré par deux personnes : Eric Chevallier – un copain de Kouchner promu par ce dernier « diplomate professionnel », thuriféraire de Bachar jusqu’en juillet 2011, moment où il fut rappelé à Paris pour se faire expliquer que la suite de sa carrière dépendait d’un complet revirement anti-Bachar2 – et Jean-Pierre Filiu, un ancien diplomate – ayant quelque compte personnel à régler avec le régime baathiste – devenu professeur des universités et militant de la « révolution syrienne ». Fin août, lors de son discours devant la 70ème conférence des ambassadeurs, François Hollande a encore confirmé cette ligne « renforcée » du « ni-ni » – ni Bachar, ni Dae’ch – estimant que bombarder Dae’ch en Syrie pourrait renforcer le « boucher de Damas ».

Début Septembre survient la « crise des migrants », soulevant un mélange d’émotions et de craintes dans les opinions européennes, confirmant l’absence de véritable politique de l’Union européenne en la matière. La décision d’accueil massif d’Angela Merkel, qui pense ainsi combler ses déficits démographique et de main d’œuvre, embarrasse François Hollande qui doit pourtant afficher sa convergence avec la dirigeante de l’Europe. Opposée en Mai 2015 à des quotas migratoires contraignants au sein de l’UE, la France se met à en soutenir le principe en Septembre. Après avoir qualifié de « stupide » l’idée de rétablir un contrôle aux frontières, le gouvernement français affirme qu’il « n’hésitera pas » à le faire si nécessaire, après la décision allemande de fermer certaines de ses frontières. Improvisation totale, le regard rivé sur la ligne d’horizon des présidentielles de 2017, ce revirement pathétique s’opèrera naturellement sous la pression des sondages d’opinion.

Avec la crise des migrants, le Front national retrouve son « cœur de métier », mais récolte aussi les bénéfices d’une équation relativement simple : les migrants affluent pour fuir la guerre civile syrienne dont Dae’ch est l’un des principaux protagonistes. Deux corollaires s’imposent tout aussitôt : 1) il faut lutter plus efficacement contre l’organisation terroriste d’autant que le bilan d’une année de lutte de la Coalition anti-Dae’ch, regroupant les plus puissantes armées du monde, est particulièrement nul. En effet, comment expliquer aux électeurs que la Coalition n’arrive pas à venir à bout d’une organisation qui compte tout au plus 40 à 45 000 hommes, alors qu’elle signe aussi des attentats en Europe ? 2) il faut parler avec Bachar al-Assad. Les affirmations régulièrement répétées du Quai d’Orsay selon lesquelles le « dictateur de Damas » a enfanté Dae’ch tout seul font sourire depuis longtemps les connaisseurs du pays et de la région. Depuis plusieurs mois, l’Espagne, la Pologne, la Tchéquie et d’autres pays de l’UE, plus récemment l’Allemagne, disent de même. Moscou défend cette position depuis l’hiver 2011/2012 et Washington a commencé à nuancer la sienne à partir de mars 2015.

Le coup de grâce du « ni-ni » hollando-fabiusien intervient mi-septembre avec l’officialisation d’un engagement militaire russe accru afin d’épauler Bachar al-Assad pour éviter que les catastrophes d’implosion territoriale et politique, commises en Irak et en Libye, ne se répètent. Durant un déplacement de Laurent Fabius à l’étranger, Jean-Yves Le Drian, dont la compétence en matière de défense n’est plus à prouver, le général Pierre de Villiers, chef d’état-major des armées (CEMA), et le général Benoît Puga, chef d’état-major particulier du Président, finissent par convaincre celui-ci que la position française n’est plus tenable au risque de se trouver marginalisée dans la nouvelle donne inaugurée par l’accord sur le nucléaire iranien du 14 juillet dernier.

C’est le deuxième échec personnel de Laurent Fabius qui rejaillit sur l’ensemble de la diplomatie française : ne pas avoir accompagné la finalisation de l’accord sur le nucléaire iranien et n’avoir pas anticipé non plus ses conséquences régionales et internationales. Pire, Laurent Fabius s’est opposé pendant plus d’un an et demi aux progrès de la négociation en relayant systématiquement les critiques et les exigences… israéliennes ! Au nom de quels intérêts français ? On se le demande encore… La signature à peine sèche, le ministre français se précipite pourtant à Téhéran afin de devancer son homologue allemand : ce voyage est une telle catastrophe que lors de la dernière visite des patrons du MEDEF à Téhéran, il préfère se faire porter pâle et céder sa place au porte-parole du gouvernement Stéphane Le Foll. Au Quai d’Orsay comme au MEDEF, personne n’ose dire que son entêtement contre l’accord a plombé les grandes, moyennes et petites entreprises françaises pour pas mal de temps ! Heureusement que les Iraniens sont pragmatiques et qu’ils ne mettent jamais tous leurs œufs dans le même panier, mais tout de même ! Pourquoi avoir refusé si longtemps cet inéluctable début de normalisation avec l’une des grandes puissances régionales du Moyen-Orient ? La question reste entière…

Les yeux toujours rivés sur le baromètre intérieur, François Hollande demande instamment à Laurent Fabius d’organiser à Paris, le 8 septembre dernier, une conférence internationale pour venir en aide aux Chrétiens et autres minorités d’Orient. Celui-ci s’exécute à reculons, toujours partisan d’armer l’opposition syrienne « laïque et modérée » pour en finir avec Bachar, c’est-à-dire « les bons p’tits gars de Nosra », comme il l’affirmait en décembre 2012 lors d’un voyage au Maroc. Rappelons que Jabhat al-Nosra, c’est tout simplement Al-Qaïda en Syrie, qui achète et absorbe, depuis plusieurs années, les rebelles de l’Armée syrienne libre (ASL) qui n’existe plus que sur le papier. Rien appris, rien oublié ! Laurent Fabius persiste et signe. Cette conférence est un fiasco absolu. Mais un autre dossier inquiète fortement le président de la République : le conflit israélo-palestinien et les gosses des banlieues françaises qui critiquent, d’une manière de plus en plus organisée, les choix inconditionnellement pro-israéliens du gouvernement français.

Laurent Fabius effectue donc plusieurs déplacements en Israël et dans les Territoires palestiniens occupés. Des projets de résolution pour le Conseil de sécurité des Nations unies sont mis en chantier. Mais là encore, l’improvisation va coûter cher. Le chef de la diplomatie française s’étonne de ne pas trouver un Benjamin Netanyahou enthousiaste et surtout redevable à la France éternelle d’avoir tout mis en œuvre pour faire échec à l’accord sur le nucléaire iranien ! Le 8 juillet 2015, Paris renonce à présenter devant l’ONU son projet de résolution concernant le conflit israélo-palestinien. En coulisses, Tel-Aviv et Washington ont torpillé le texte. « Je peux dire que le projet français de résolution du conflit devant le Conseil de sécurité n’est plus une priorité pour les dirigeants français », déplore le ministre palestinien des Affaires étrangères, Riyad al-Maliki.

Au Liban, Paris tente de débloquer la situation politique pour l’élection d’un président de la République (chrétien selon la constitution). Le palais de Baabda est inoccupé depuis août 2014. A la demande de Laurent Fabius, le patron d’ANMO (Direction Afrique du Nord/Moyen-Orient) Jean-François Girault multiplie vainement les consultations au Pays du cèdre, en Iran, en Jordanie et en Egypte. En fait, Paris ne fait plus rien sans en référer au nouvel allié saoudien. A la « politique arabe » du général de Gaulle et de François Mitterrand s’est substituée une « politique sunnite » de la France ! Il faut dire que cette « évolution » pèse quelque 35 milliards d’euros pour les grandes sociétés du CAC-40. Quant aux droits de l’homme tellement sollicités afin de pouvoir « punir », sinon « neutraliser » Bachar al-Assad, ils n’empêchent guère les ronds de jambe et les courbures d’échine répétés devant les dictateurs du Golfe.

Aux dernières nouvelles, un jeune saoudien chi’ite, Ali Mohamed al-Nimr risque d’être décapité puis crucifié, pour avoir « manifesté » contre le régime saoudien – cet ami de la France qui nous achète nos matériels d’armement et finance les Rafale pour l’Egypte… Une diplomatie époustouflante, en effet !

Richard Labévière
28 septembre 2015


1 « Pour un changement de politique étrangère » – Libération du 13 mars 2012.
2 Eric Chevallier coule aujourd’hui des jours heureux à Doha comme ambassadeur de France. Ayant tellement mis de cœur à l’ouvrage dans son revirement anti-Bachar en faveur de « l’opposition » syrienne, financée par le Qatar, les autorités du petit émirat pétrolier sont intervenues directement auprès de François Hollande pour qu’il y soit nommé représentant de la France.

Migrants: une invasion soutenue?...

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Migrants: une invasion soutenue?...

par Alexandre Latsa

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un point de vue d'Alexandre Latsa, cueilli sur le site d'information russe Sputnik et consacré à l'invasion migratoire et aux soutiens dont elle bénéficie en Europe...

Migrants: une invasion soutenue ?

Alors que l’Europe entre dans un automne qui s’annonce complexe, la crise des migrants entame un tournant bien moins angélique que prévu.

Il y a tout d'abord les violences et les faits divers, qui accompagnent de plus en plus souvent les confrontations entre les groupes de clandestins et les autorités ou populations locales en Hongrie, Grèce, Slovaquie, Allemagne ou Croatie.

Il y a les chiffres, que finalement plus personne ne semble vraiment maîtriser. Alors que l'on nous annonce que ce sont désormais officiellement 500.000 personnes qui auraient traversé la Méditerranée depuis le début de l'année, ils seraient en réalité déjà 200.000 à avoir traversé la seule Hongrie. Nul doute que les chiffres réels ne soient beaucoup plus élevés.

Cet afflux de migrants économiques, puisque la grande majorité des migrants sont des hommes en relative bonne santé, ne fait pas que des malheureux, bien au contraire. Pour le vice-président de la Banque centrale européenne (BCE), Vitor Constancio: « l'Europe vieillissante a besoin de migrants ». En France c'est le prophète Jacques Attali qui pronostique que les migrants pourraient faire de l'Europe la première puissance économique mondiale. Même son de cloche pour le vice-chancelier allemand Sigmar Gabriel, pour qui les migrants aideront l'Allemagne à résoudre «l'un des principaux défis pour l'avenir de son économie: le manque travailleurs qualifiés ». Des propos repris par Dieter Zetsche le président du groupe Daimler AG, pour qui ces migrants permettront un miracle économique. En France, de tels propos nous sont familiers puisqu'en 1969, les grands patrons tel que Francis Bouygues faisaient pression sur les politiques pour que ceux-ci favorisent une forte immigration principalement issue du Maghreb. Des arrivants moins qualifiés et condamnés à être sous-payés, Bouygues embauchant jusqu'à 80% d'étrangers à cette époque.

Cette névrose allemande totalitaire, qui cherche à imposer à l'UE une immigration qu'elle ne veut pas, est apparue au grand jour lors des récentes déclarations d'Angela Merkel. La chancelière sommait les autres Etats européens de se partager ou de renvoyer (mais où?) le restant de capital humain que Berlin ne jugerait pas assez qualifié pour l'utiliser. Devenue Maman Merkel pour les migrants afghans ou syriens, Angela a en effet simplement menacé de couper les fonds européens aux pays récalcitrants aux quotas de répartition des migrants.

L'Allemagne a comme d'habitude pris l'Europe de court et impose sa volonté.

Les migrants n'arrivent pas par conséquent en territoire inconnu au sein d'une Europe hostile. Ils savent parfaitement qu'en Allemagne, ils sont attendus. Plus fort encore, sur la route vers Berlin, une kyrielle d'ONGs et d'associations, le plus souvent à l'ADN germanique, a mis en place un dispositif complexe et structuré visant à leur baliser la route, leur indiquer les itinéraires à suivre et à éviter et les informer de leurs droits en tant que clandestins, on croit rêver!

Comment Bruxelles peut-elle prétendre lutter contre les réseaux de passeurs alors que dans le meme temps Berlin organise le viol des règles nationales et communautaires sur le séjour au sein de l'UE?

Cela pourrait sembler tiré d'un livre de science-fiction. Que nenni. C'est malheureusement l'incroyable réalité.

Les migrants disposent par exemple d'un manuel leur expliquant comment enfreindre la législation, et leur explicitant les lois pour rejoindre l'Allemagne et se retrouver au sein de la zone euro. Un manuel qui annonce clairement la couleur: « Nous souhaitons la bienvenue à tous les voyageurs dans leur difficile traversée et vous souhaitons un bon voyage — Parce que la liberté de circulation est un droit pour tous! » Une conception open-society du monde qui n'est pas sans rappeler les excès idéologiques de certaines officines globalistes affiliées à la galaxie Soros, qui peut compter à l'occasion sur ces alliés du moment: l'extrême gauche immigrationiste, pour qui le Syrien smicard de demain devrait devenir un camarade de combat syndical.

Cette internationale de gauche et son cœur allemand ont notamment créé un site dédié aux migrants, sponsorisé par l'organisation allemande Bordermonitoring, elle-même intégrée au réseau Watchthemed. Watchthemed est lui soutenu par les ONGs allemandes Proasyl, et Medico qui elles-mêmes renvoient sur une foisonnante galaxie d'ONGs dont par exemple Siftung, Afrique-Europe ou Migreurop, dont le réseau comprend en France Act-up, la Cimade, le Fasti, l'association des travailleurs maghrébins de France ou encore le MRAP…

Les lecteurs se souviennent que l'auteur de ces lignes mettait le doigt, au début de ce mois, sur l'existence en Allemagne de projet visant à structurer l'accueil et le relogement des migrants clandestins. La piste allemande semble donc se confirmer.

Sous couvert d'antiracisme et de gauchisme tiermondiste, cette galaxie mondialiste est tout simplement en train d'organiser légalement l'invasion de l'Europe, pour le plus grand bonheur des grands patrons allemands. Ceci confirme ainsi l'alliance entre trotskystes 2.0 reconvertis et patrons libéraux, affichant une convergence d'intérêts inattendue sous le paravent du libéralisme libertaire. Les premiers pour pouvoir exploiter une main-d'œuvre dans le besoin, main-d'œuvre que les seconds accueillent pour se donner une raison d'exister et ne manqueront pas de pousser à la révolte contre l'ordre établi, qu'il soit économique ou politique.

Il y a quelques semaines, Sergueï Narychkine, président de la Douma (chambre basse du parlement russe), n'excluait pas que la vague migratoire actuelle vers l'Europe avait été préméditée et vise à déstabiliser les pays prospères de l'UE. Des propos confirmés dans l'esprit par le général Christophe Gomart, selon lequel l'invasion n'avance pas au hasard, mais fait juste face à un manque de volonté politique pour interrompre fermement ces flux humains.

Alors que Schengen est provisoirement ou définitivement KO, nos « élites » et autres « stratèges de choc » feraient bien de regarder par-delà leurs frontières, afin d'entrevoir ce qui se passe en Syrie. Depuis le début de l'année, un tournant géostratégique majeur est peut-être en train de s'y produire: les dix derniers mois ont en effet mis un coup d'arrêt à la dynamique victorieuse que connaissaient l'Etat et l'Armée syrienne dans leur guerre contre le terrorisme, les raisons de cette évolution ayant été en partie décryptées ici et là.

Si ces dynamiques venaient à se prolonger, et si, bien que nous n'en soyons pas là, des immixtions extérieures, régionales ou occidentales sous impulsion américaine, finissaient par provoquer l'effondrement du pouvoir syrien, la situation pourrait se compliquer pour l'Europe sur le plan migratoire. En se projetant dans les zones tenues à ce jour par le pouvoir et où sont concentrées de fortes minorités, l'Etat islamique pourrait être à l'origine d'un nouvel exode forcé de Syriens vers l'Europe, exode encore plus conséquent qu'auparavant.

Ceci ne manquerait pas d'accentuer une dynamique migratoire qui finira bien par faire tache d'huile dans une région plus instable et explosive que jamais.

Alexandre Latsa (Sputnik, 21 septembre 2015)

mercredi, 30 septembre 2015

The Paranoid German Mind: Counting Down to the Next War

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The Paranoid German Mind:

Counting Down to the Next War

Tom Sunic, Ph.D.

Ex: http://www.theoccidentalobserver.net

Having lost, during and after World War II, over 9 million of its soldiers and civilians, Germany has had to wallow in expiation and self-abnegation.  Its present grotesque multicultural policy of Willkomenskultur (“welcoming culture” toward non-European migrants), openly heralded by Chancellor Angela Merkel and her government, is the direct result of the lost war. Germany’s role of an exemplary host country for millions of non-European migrants has been a major linchpin of its legal system over the last 70 years —  and by default for present day Central European countries subject today to floods of non-European migrants. The countries that were most loyal to National Socialist Germany in World War II, the contemporary Hungary, Croatia and to some extent Slovakia and Baltic countries further north, have similar self-denying dilemmas — due, on one  hand, to their historically friendly pro-German ties, and on the other, due to the obligatory rituals of antifascist mea culpas, as demanded by Brussels and Washington bureaucrats.  I have put together for TOO some excerpts from the chapter “Brainwashing the Germans” from my book Homo americanus: Child of the Postmodern Age, 2007 (foreword by Kevin MacDonald) (The second edition of this book is to be published by Washington  Summit Publishers). I guess some of those lines below might shed some light into extremely serious political developments in Europe today.

  *   *   *

In the aftermath of World War II, the role of Frankfurt School “scholars,” many of whom were of Jewish extraction, was decisive in shaping the new European cultural scene.  Scores of American left-leaning psychoanalysts — under the auspices of the Truman government — swarmed over Germany in an attempt to rectify not just the German mind but also to change the brains of all Europeans.  But there were also a considerable number of WASP Puritan-minded scholars and military men active in post-war Germany, such as Major Robert A. General McClure, the poet Archibald MacLeish, the political scientist Harold Laswell, the jurist Robert Jackson and the philosopher John Dewey, who had envisaged copying the American way of democracy into the European public scene.

As a result of Frankfurt School re-educational efforts in war-ravaged Germany, thousands of book titles from the fields of genetics and anthropology were removed from library shelves and thousands of museum artifacts were, if not destroyed by the preceding Allied fire-bombing, shipped to the USA and the Soviet Union. Particularly severe was the Allied treatment of German teachers and academics, wrote Caspar von Schrenck-Notzing, a prominent postwar conservative German scholar in his book on the post-WWII brainwashing of the German people. In his seminal book Schrenck-Notzing  writes that the Western occupying authorities considered that the best approach in curing the defeated Germany was by treating Germans as a nation of “clinical patients” in need of a hefty dose of liberal and socialist therapy.  Since National Socialist Germany had a significant support among German teachers and university professors, it was to be expected that the US re-educational authorities would start screening German intellectuals, writers, journalists and film makers first.

Having destroyed dozens of major libraries in Germany, with millions of volumes gone up in flames, the Allied occupying powers resorted to improvising measures in order to give some semblance of normalcy to what was later to become “democratic Germany.”

During the post-WWII vetting of well-known figures from the German world of literature and science, thousands of German intellectuals were obliged to fill out forms known in at the time as “Der Fragebogen” (The Questionnaire).  In his satirical novel under the same name and translated into English as The Questionnaire, German novelist and a former conservative revolutionary militant, Ernst von Salomon, describes American “new pedagogues” extorting confessions from the German captives, who were subsequently either intellectually silenced or dispatched to the gallows. Schrenck-Notzing  provides his readers with a glimpse of the mindset of the Allied educators showing the very great influence of the Frankfurt School:

Whoever wishes to combat fascism must start from the premises that the central breeding ground for the reactionary person is represented by his family.  Given that the authoritarian society reproduces itself in the structure of the individual through his authoritarian family, it follows that political reaction will defend the authoritarian family as the basis for its state, itsculture and its civilization. (my  emphasis)

From Ethno-Nationalism to National-Masochism

Much later,  Patrick J. Buchanan, in a similar vein, in his The Death of the West  also notes that Frankfurt School intellectuals in postwar Germany, having been bankrolled by the American military authorities, succeeded in labeling National Socialist sympathizers as “mentally sick,” a term which would later have a lasting impact on political vocabulary and the future development of “political correctness”  in Europe and America.  Political prejudice, notably, a sense of authority and the resentment of Jews, were categorized as “mental illnesses” rooted in traditional European child-rearing. The ideology of antifascism became by the late twentieth century a form of “negative legitimacy” for Germany and the entire West.  It implicitly suggested that if there was no “fascist threat,” the West could not exist in its present form.

Later on, German political elites went a step further. In order to show to their American sponsors their new democratic credentials and their philo-Semitic attitudes, in the early 1960’s they introduced legislation forbidding any historical revisionism of World War II and any critical study of mass immigration into Western Europe, including any study of negative socio-economic consequences of multiculturalism and multiracialism.

As of today the German Criminal Code appears in its substance more repressive than the former Soviet Criminal Code.  Day after day Germany has to prove to the world that it can perform self-educational tasks better than its former American tutor.  It must show signs of being the most servile disciple of the American hegemon, given that the “transformation of the German mind (was) the main home work of the military regime.” 

In addition to standard German media vilification of local “trouble-makers” — i.e. “right -wingers” —  Germany also requires from its civil servants obedience to constitutional commands and not necessarily their loyalty to the people or to the state of Germany. This is pursuant to Article 33, Paragraph 5, of its Basic Law.  ]) The German legal scholar Josef Schüsselburner,Germany’s observes that the powerful agency designed for the supervision of the Constitution (the famed “Office for the Protection of the Constitution” [Verfassungsschutz]) is “basically an internal secret service with seventeen branch agencies (one on the level of the federation and sixteen others for each constituent federal state).  In the last analysis, this boils down to saying that only the internal secret service is competent to declare a person an internal enemy of the state.

Given that all signs of German nationalism, let alone White racialism, are reprimanded in Germany on the grounds of their real or purported unconstitutional and undemocratic character, the only patriotism allowed in Germany is “constitutional patriotism” — Germany is de jure a  proposition nation:  “The German people had to adapt itself to the Constitution, instead of adapting the Constitution to the German people,” writes the German legal scholar, Günther Maschke. German constitutionalism, continuesSchüsselburner, has become “a civil religion,” whereby “multiculturalism has replaced the Germans by the citizens who do not regard Germany as their homeland, but as an imaginary “Basic Law country.”   As a result of this new civil religion, Germany, along with other European countries, has now evolved into a “secular theocracy.”

Similar to Communism, historical truth in Western Europe is not established by an open academic debate but by state legislation. In addition, German scientists whose expertise is the study of genetically induced social behavior, or who lay emphasis on the role of IQ in human achievement or behavior, and who downplay the importance of education or  environment — are branded as “racists.“

When Muslim Arabs or Islamists residing in Germany and elsewhere in Europe are involved in violent street riots, the German authorities do tolerate to some extent name calling and the sporadic usage of some anti-Arab or anti-Turkish jokes by local autochthonous (native) Germans. Moreover, a Muslim resident living in Germany can also legally and temporarily get away with some minor anti-Semitic or anti-Israeli remark—which a White German Gentile cannot dream of.  By contrast, a non-Jewish German average citizen, let alone a scholar, cannot even dream about making a joke about Jews or Muslims—for fear of being labeled by dreaded words of “anti-Semitism” or “racism.”

Tom Sunic is author (www.tomsunic.com)

L’Allemagne demande aux États-Unis la levée des sanctions contre la Russie

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L’Allemagne demande aux États-Unis la levée des sanctions contre la Russie
 
Le gouvernement fédéral commence à réaliser avoir été doublement piégé par les Américains!
 
 
Ex: http://www.bvoltaire.fr
 

La preuve criante de la vassalité de l’Allemagne aux États-Unis est apportée. C’est fou que ce Merkel est naïve, malléable, influençable, incompétente, peu prévoyante pour son peuple et nous autres Européens ! C’est tout aussi fou que Hollande soit le double caniche de Merkel-Obama au détriment des Français.

Le gouvernement fédéral commence à réaliser avoir été doublement piégé par les Américains. Les sanctions contre la Russie ont provoqué l’effondrement des exportations. Le scandale Volkswagen du contrôle antipollution met la branche industrielle la plus importante du pays sous pression. Dans ce contexte, Sigmar Gabriel, ministre fédéral de l’Économie, souhaite que les sanctions contre la Russie soient levées. Cette déclaration est un appel à l’aide aux Américains, lesquels, selon leurs propres déclarations, ont forcé l’Union européenne à participer aux sanctions. En effet, les Américains ont ouvertement admis avoir contraint l’Union européenne aux sanctions contre la Russie. C’est Joe Biden en personne qui déclarait qu’il était important, aux yeux d’Obama, que l’Europe puisse faire l’effort de subir des dommages économiques pour punir les Russes.

Ces déclarations de Biden prouvent que Merkel et ses collègues de l’Union européenne, Hollande en tête de tous les autres caniches, ont, sur ordre de Washington, porté préjudice à leurs peuples. Ils se sont rendus coupables de soumission aux intérêts américains. L’on admirera au passage le sang-froid de Vladimir Poutine et de son ministre Sergueï Lavrov, qui sortent grandis de cette affaire, désastreuse pour les Européens, et nous Français en particulier ! L’Allemagne piégée s’agite pour sortir de ce guêpier économique, quand Hollande vend les Mistral aux Égyptiens, payés par les Saoudiens, tout en perdant de l’argent. Chapeau, les artistes ! De cette histoire est à espérer que les Européens, la France en premier, retiennent la leçon. Il faut se rapprocher de la Russie, dont nous sommes culturellement proches « De Brest à Vladivostok » et, ainsi, mettre un terme à cette uni-polarité sous emprise exclusivement américaine.

Sigmar Gabriel a déclaré vendredi 24 septembre, à Berlin, que l’on ne peut demander aux Russes de collaborer sur le dossier syrien si les sanctions ne sont pas levées. « Chacun doit être assez intelligent pour savoir qu’on ne peut garder des sanctions ad vitam æternam et, de l’autre côté, vouloir collaborer ensemble. » Pour commencer de meilleures relations, il faudrait commencer par mettre en place un second pipeline et lever les sanctions contre la Russie. Gabriel continue : « Le conflit en Ukraine ne peut continuer à endommager les relations de l’Allemagne, de l’Europe et des États-Unis, pour que la Russie fasse défaut en Syrie. » Les déclarations de Gabriel viennent un peu tard. Les Russes ont déjà commencé à intervenir en Syrie, sans même « l’autorisation » américaine, et cela dans leur propre intérêt.

Perché Putin ha vinto il duello con Obama all’Onu

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Perché Putin ha vinto il duello con Obama all’Onu

Il presidente russo ha diviso l'Europa dagli Usa e ha messo in secondo piano la crisi ucraina

di Eugenio Cipolla

Ex: http://www.lantidiplomatico.it

«Il colloquio con Obama è stato sorprendentemente franco, costruttivo. Possiamo lavorare insieme. Eventi come questi sono utili, informali e produttivi». Vladimir Putin ha scelto queste parole, chiaramente di cortesia, per commentare il vertice con il presidente Usa Barack Obama, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Novantacinque minuti di incontro a porte chiuse che hanno sancito la vittoria del leader del Cremlino sull’ex senatore dell’Illinois, mai percepito così debole e senza idee dall’inizio del suo secondo mandato. Non sono le opinioni di un tifoso, ma la constatazione della realtà, fatta di alcune considerazioni importanti dalle quali non si può prescindere per fare un’analisi seria dello scontro tra Mosca e Washington sulla crisi siriana e la guerra in Ucraina, le due spine più dolorose nei rapporti diplomatici tra i due paesi.
 
Stamattina diversi quotidiani italiani e internazionali parlavano di un avvicinamento, di un accordo, di una strategia comune tra i due dopo mesi di gelo e silenzio. Non è così. Non lo è per il semplice fatto che, al di là dei retroscena giornalistici, non è stato messo nero su bianco proprio nulla. E questo concede a Putin il vantaggio di poter continuare a proteggere l’alleato Assad, fornendo protezione diplomatica, armi e truppe. In sostanza si andrà avanti come prima, ognuno per conto proprio, ognuno con la sola preoccupazione di non creare incidenti tra le due superpotenze. Insomma, non è cambiato nulla e questo agli occhi dei russi è una cosa positiva, perché il loro presidente è uscito dalla trincea, ha sfidato il mondo intero e non si è fatto piegare dalla politica espansionistica dell’occidente, dal minaccioso Obama, difendendo gli interessi nazionali della propria gente. Al contrario, per gli americani questo nulla di fatto è un duro colpo, una sconfitta bruciante per un presidente, Obama, che in vista delle prossime presidenziali ha poco e nulla da dare.
 
Geopoliticamente, poi, il “capolavoro” di Putin è piuttosto evidente. Gli Usa, dopo le cosiddette “Primavere arabe”, hanno lasciato in Medio Oriente un vuoto che il presidente russo si è deciso ad occupare con astuzia, aumentando la propria influenza su una regione strategica. Così, oltre la Siria, considerato un vitale avamposto per impedire l’avanzata “imperialista” degli Usa, Putin si sta premurando di stringere accordi e rapporti con i maggiori paesi di quell’area, come Egitto, Iran, Turchia, Arabia Saudita, continuando peraltro a gridare al mondo che Isis e religione musulmana sono due cose distinte e separate, che il vero Islam è altra cosa (in Russia ci sono oltre 20 milioni di musulmani e questo rappresenta anche un messaggio in chiave elettorale con il fine di allargare il proprio gradimento tra i cittadini russi).
 
Ma il vero scacco matto è stato un altro. Anzi, sono due in realtà. Il primo è l’aver diviso l’Europa dagli Usa, con i capi di stato del vecchio continente, a parte l’eccezione francese, molto più disposti a questo punto a tenersi Assad pur di mettere fine all’immensa ondata migratoria che sta investendo l’Ue. Il secondo, invece, è l’aver messo in secondo piano la crisi ucraina, riuscendo de facto a congelarla, dimostrando di essere lui a muovere i fili della politica e della diplomazia in quello che considera il giardino di casa sua. 

mardi, 29 septembre 2015

Quand la réalité vient sèchement démentir le monde virtuel que s’était construit les élites occidentales...

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Quand la réalité vient sèchement démentir le monde virtuel que s’était construit les élites occidentales...

Entretien avec le Prof. David Engels

Ex: http://metapoinfos.hautetfort.com

Nous reproduisons ci-dessous un entretien donné par David Engels à Atlantico et consacré à la réaction des élites européenne à la crise multiforme qui touche leur continent. Professeur d'histoire à l'Université libre de Bruxelles, David Engels a récemment publié un essai fort intéressant intitulé Le déclin - La crise de l'Union européenne et la chute de la République romaine (Toucan, 2013).

Atlantico : En quoi des évènements majeurs comme ceux de Charlie Hebdo au mois de janvier, mais aussi la crise des migrants que l'Union européenne gère péniblement, ont-ils pu constituer un choc pour la vision qu'avaient les élites occidentales du monde ? Dans quelle mesure ces dernières se voient-elles bousculées ?

David Engels : En analysant les diverses expressions d’opinion dans les grands médias, je ne suis pas certain de la mesure dans laquelle on peut vraiment parler d’un bousculement des opinions établies au sein des élites occidentales. Certes, les nombreux drames humanitaires et sécuritaires des derniers mois ont été vécus comme extrêmement affligeants, à la fois par le grand public et par les milieux politiques et intellectuels, mais ce qui l’est encore plus, c’est l’absence totale de véritable remise en question d’une certaine vision du monde qui est à l’origine de ces drames.

Comprenons-nous bien : quand je parle ici de « responsabilité », ce n’est pas dans un sens moralisateur, mais au contraire, dans un sens pragmatique. Car il faut bien séparer deux aspects : d’un côté, le drame migratoire, la crise économique et les dangers du fondamentalisme musulman nous mettent devant des contraintes morales et nécessités pragmatiques que nous ne pouvons nier sans inhumanité ; d’un autre côté, il faudrait enfin cesser d’ignorer que ces crises sont en large part dues au dysfonctionnement politique, économique et identitaire profond de notre propre civilisation.

Il faudrait enfin accepter les nouveaux paradigmes sociaux qui s’imposent et prendre les mesures, à l’intérieur comme à l’extérieur, pour arrêter la casse, au lieu de surenchérir sur nos propres erreurs. Car c’est exactement ce que nous faisons pour le moment. Le refus de mener une politique extérieure européenne digne de ce nom a-t-il laissé le champ libre aux interventions des États-Unis et provoqué un exode ethnique sans pareil ? Retirons-nous encore plus de notre responsabilité politique et cantonnons-nous à faire le ménage des autres ! La libéralisation de l’économie nous a-t-elle poussés dans une récession sans pareil ? Pratiquons encore plus de privatisations et d’austérité ! Le remplacement des valeurs identitaires millénaires de notre civilisation par un universalisme matérialiste et individualiste a-t-il créé partout dans le monde la haine de notre égoïsme arrogant ? Prêchons encore plus les vertus d’un prétendu multiculturalisme et de la société de consommation !

Dès lors, le véritable enjeu n’est pas la question de savoir s’il faut accueillir ou non les réfugiés syriens, iraquiens ou afghans – la réponse découle obligatoirement des responsabilités de la condition humaine –, mais plutôt la nécessité d’œuvrer courageusement et efficacement pour que les réfugiés puissent rapidement retourner chez eux et trouver un pays stabilisé, au lieu de rester en Europe et d’être exploités soit par une économie en recherche d’une main d’œuvre bon marché, soit par des groupuscules islamistes fondamentalistes. Le véritable enjeu, ce n’est pas l’assainissement des finances grecques, mais plutôt la réforme d’un système économique global permettant à des agences de notation privées de rendre caduques toutes les tentatives désespérées de diminuer les dettes souveraines des États avec l’argent des contribuables européens. Le véritable enjeu, ce n’est pas la question de savoir s’il faut renvoyer chez eux les nombreux étrangers nationalisés depuis des décennies, mais plutôt, comment les intégrer durablement dans notre société et maintenir le sens de la loyauté et solidarité envers notre civilisation européenne.

D'ailleurs, comment décririez-vous cette vision "virtuelle" du monde d'après ces élites ? En quoi consist(ai)ent ces représentations mentales ?

David Engels : La vision du monde développée par la majorité de nos élites actuelles est caractérisée, consciemment ou inconsciemment, par une profonde hypocrisie me faisant souvent penser à la duplicité du langage idéologique pressentie par Orwell, car derrière une série de mots et de figures de pensée tous aussi vaticanisants les uns que les autres, se cache une réalité diamétralement opposée. Jamais, l’on n’a autant parlé de multiculturalisme, d’ouverture et de « métissage », et pourtant, la réalité est de plus en plus caractérisée par l’hostilité entre les cultures et ethnies. Jamais, l’on n’a autant prêché l’excellence, l’évaluation et la créativité, et pourtant, la qualité de notre système scolaire et universitaire est en chute libre à cause du nivellement par le bas généralisé. Jamais, l’on n’a autant fait pour l’égalité des chances, et pourtant, notre société est de plus en plus marquée par une polarisation dangereuse entre riches et pauvres. Jamais, l’on n’a autant appelé à la protection des minorités, aux droits de l’homme et à la tolérance, et pourtant, le marché du travail est d’une dureté inouïe et les droits des travailleurs de plus en plus muselés. Jamais, l’on ne s’est autant vanté de l’excellence de nos démocraties, et pourtant, la démocratie représentative, sclérosée par la technocratie et le copinage à l’intérieur, et dépossédée de son influence par les institutions internationales et les « nécessités » de la globalisation, a abdiqué depuis bien longtemps. Force est de constater que non seulement nos élites, mais aussi les discours médiatiques dominés par l’auto-censure du « politiquement correct » sont caractérisés par un genre de schizophrénie de plus en plus évidente et non sans rappeler les dernières années de vie de l’Union soviétique avec son écart frappant entre la réalité matérielle désastreuse d’en bas et l’optimisme idéologique imposé d’en haut…

david engels,actualité,europe,affaires européennes,politique internationale,entretien,déclin,déclin européenCertains intellectuels avancent l'idée que cette déconnexion découle de la fin de la guerre froide, qui les aurait contraint à penser le monde de manière pragmatique. Comment expliquer que ces élites en soient arrivées-là ?

David Engels : Oui, la fin de la Guerre Froide me semble aussi être un élément crucial dans cette équation, car la défaite de l’idéologie communiste et le triomphe du capitalisme ont fait disparaître toute nécessité de respecter l’adéquation entre discours politique et réalité matérielle afin de ne pas donner l’avantage à l’ennemi idéologique, et ont instauré, de fait, une situation de parti unique dans la plupart des nations occidentales. Certes, nous maintenons, sur papier, un système constitutionnel marqué par la coexistence de nombreux partis politiques, mais la gauche, le centre et la droite sont devenus tellement proches les uns des autres que l’on doit les considérer désormais moins comme groupements idéologiques véritablement opposés que comme les sections internes d’un seul parti.

De plus, n’oublions pas non plus l’ambiance générale de défaitisme et d’immobilisme auto-satisfait qui s’est installée dans la plupart des nations européennes depuis déjà fort longtemps : la valorisation de l’assistanat social, l’américanisation de notre culture, le louange de l’individualisme, la perte des valeurs et repères traditionnels, la déconstruction de la famille, la déchristianisation, l’installation d’une pensée orientée uniquement vers le gain rapide et la rentabilité à court terme – tout cela a propulsé l’Europe dans un genre d’attitude volontairement post-historique où l’on vivote au jour le jour tout en laissant la solution des problèmes occasionnés aujourd’hui à de futures générations, selon cette maxime inoubliable d’Henri Queuille qui pourrait servir de devise à la plupart de nos États : « Il n'est pas de problème dont une absence de solution ne finisse par venir à bout. »

A quel point est-ce que ce décalage a pu s'observer ? Quels en sont, selon vous, les exemples les plus marquants ?

David Engels : Le potentiel d’un décalage formidable entre l’idéal et la réalité des démocraties libérales modernes s’est déjà manifesté dans l’entre-deux-guerres, période d’ailleurs non sans quelques ressemblances évidentes avec la nôtre. Mais la Guerre Froide, avec l’immobilisme de la politique étrangère qu’elle a imposée aux États et avec les avantages sociaux qu’elle a apportés aux travailleurs dans les sociétés capitalistes, a, pendant quelques décennies, endigué cette évolution. Néanmoins, au plus tard depuis le 11 septembre, il est devenu évident que l’Occident fait fausse route et va de nouveau droit dans le mur. Ainsi, en mettant délibérément de côté l’importance fondamentale des identités culturelles au profit d’une idéologie prétendument universaliste, mais ne correspondant en fait qu’à l’idéologie ultra-libérale, technocratique et matérialiste développée dans certains milieux occidentaux, l’Ouest a provoqué l’essor du fondamentalisme musulman et ainsi le plus grave danger à sa sécurité. De manière similaire, en contrant le déclin démographique généré par la baisse des salaires et l’individualisme érigé au titre de doctrine officielle par l’importation cynique d’une main d’œuvre étrangère bon marché sans lui donner les repères nécessaires à une intégration efficace, nos élites ont durablement déstabilisé la cohésion sociale du continent. De plus, en concevant l’Union européenne non comme un outil de protection de l’espace européen contre les dangers de la délocalisation et de la dépendance de biens étrangers, mais plutôt comme moyen d’arrimer fermement le continent aux exigences de ces « marchés » aussi anonymes que volatiles et rapaces, nos hommes politiques ont créé eux-mêmes toutes les conditions nécessaires à la ruine des États européens structurellement faibles comme la Grèce ainsi qu’à la prise d’influence de quelques grands exportateurs comme l’Allemagne. Finalement, en appuyant les interventions américaines en Afghanistan et en Iraq, puis en projetant, sur le « printemps » arabe, une réalité politique occidentale, l’Europe a été complice de la déstabilisation du Proche Orient et donc de l’exode de ces centaines de milliers de réfugiés dont le continent commence à être submergé. Et je pourrai continuer encore longtemps cette liste illustrant les égarements coupables de nos élites politiques et intellectuelles…

David Engels (Atlantico, 20 septembre 2015)

lundi, 28 septembre 2015

Migrants – La fin de l’Europe des Nations

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Migrants – La fin de l’Europe des Nations

Michel Garroté
Politologue, blogueur
Ex: http://www.lesobservateurs.ch

On se demandait comment les « migrants » étaient aussi bien renseignés sur la façon d’arriver en Europe. Voici la réponse : W2Eu (Welcome to Europe, Bienvenue en Europe), un réseau de sites Internet en anglais, français, arabe ainsi que des manuels gratuits généreusement distribués donnant toutes les astuces, adresses, numéros de tél., etc. Un de ces manuels a été découvert sur une plage de l’île grecque de Lesbos par des reporters de la chaîne TV Sky News. Ces informations ont été confirmées tout récemment par Christine Tasin, Présidente de Résistance républicaine, sur le site Internet français Riposte laïque (voir le premier lien et le deuxième lien en bas de page). Rappelons tout de même que ce qui se déroule actuellement a été planifié il y a quarante ans, comme l’a démontré à maintes reprises l’historienne Bat Ye’Or (http://ripostelaique.com/linvasion-de-leurope-a-ete-methodiquement-preparee-il-y-a-quarante-ans.html).

De son côté, l’analyste Alexandre Latsa vient de publier une étude détaillée sur ces réseaux qui organisent le flux migratoire islamique massif vers l’Europe (extraits adaptés ; voir le troisième lien en bas de page) : Au cours du mois d’août 2015, alors que la crise des migrants s’est mise à faire la une de la majorité du flux médiatique global, une bien étonnante nouvelle est apparue entre les milliers de lignes d’actualité. Selon le magazine autrichien Direkt, auquel un membre des services de renseignements militaires autrichiens se serait confié, « les services secrets autrichiens disposeraient d’informations démontrant l’implication d’organisations ayant créé un système destiné à favoriser la dynamique migratoire que l’Europe subit ».

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Reprise uniquement sur différents médias non-alignés, cette information avait jusqu’alors paru fantaisiste et surtout relever d’une tendance complotiste américanophobe. Pourtant, peu à peu, Internet a fait son travail et la marée montante d’informations a permis aux commentateurs attentifs ici et là de commencer à récupérer et mettre en lien des informations plus que surprenantes et pour le moins inattendues. Il y a tout d’abord eu l’apparition publique de cette galaxie d’ONG d’extrême gauche à l’ADN majoritairement allemand, ONG qui ont déployé une énergie considérable à faire absorber de force ce flux humain dont plus personne ne connaît réellement aujourd’hui la réelle dimension, mais dont tout le monde peut constater à quel point il est de densité suffisante pour avoir mis à mal la vie sans frontières des vieilles Nations européennes.

Les Allemands ne sont cependant pas les seuls coupables de cette collaboration envers des migrants dont on comprend bien qu’il sera difficile de les inciter à repartir en Libye, Irak ou Somalie après avoir eu un aperçu même sommaire et brutal de la vie en Scandinavie, en France ou en Allemagne.

De nombreux projets croisés et transnationaux ont commencé à voir le jour, comme par exemple l’association franco-allemande SOSMEDITERRANNEE qui bénéficie notamment de subventions de BNP Paribas afin de « sauver des migrants et les accompagner vers les dispositifs d’information et d’assistance aux migrants sur le territoire européen » (Source).Ne faudrait-il pas plutôt commencer par prévenir le suicide chez nos agriculteurs ou nos petits artisans, aider nos jeunes femmes dans le besoin (les futures mères européennes), parfois contraintes de se prostituer pour payer leurs études, ou tout simplement s’occuper des dizaines de milliers de SDF qui jalonnent les rues des villes européennes ?

Cette affaire européenne n’en est peut-être pas une .Il y a d’abord cette surprenante nouvelle qui tombe à point nommé, à savoir la naissance en Grande-Bretagne d’un nouveau type d’établissement financier destiné aux étrangers et aux migrants et leur permettant d’ouvrir un compte en ligne en s’épargnant les habituelles tracasseries administratives. Il y a ensuite cette analyse minutieuse faite par Vladimir Shapak. Vladimir Shapak est le créateur d’une application du nom de Scai4Twi  permettant l’analyse de l’ADN d’un Tweet, à savoir son contenu et son origine territoriale. L’analyse de plus de 19.000 tweets liés à la thématique des « migrants » a ainsi permis de tirer des conclusions bien étonnantes. Tout d’abord, 93% des tweets émis contenaient des informations positives sur l’Allemagne et l’Autriche et 76%  contenaient des hashtags #RefugeesWelcome+Germany, alors que seuls 6% de ces messages étaient émis d’Allemagne, 36% de sources géo-localisées en Angleterre et en Amérique, parmi lesquelles de nombreux éminents médias américains ou responsables d’ONG américaines dont le trafic de tweets a été particulièrement important, comme on peut le constater  ici.

Plus étonnant encore, les liens forts discrets mais surprenants qui entourent la puissante association allemande Fluchthelfer. Fluchthelfer est un site militant appelant les citoyens européens à devenir des « agents d’évasions » en covoiturant des migrants de façon citoyenne et discrète lors de leur déplacements en Europe ou de leur retour de vacances en zones frontalières, telles l’Italie ou la Grèce. En clair, à devenir des passeurs et des trafiquants d’êtres humains et en violant la loi, comme le démontre leur  vidéo de promo  dans laquelle on  peut voir de bons vieux Allemands transporter un jeune homme visiblement originaire d’Afrique en lui faisant traverser les inexistantes frontières du dispositif Schengen.

Au cours du mois d’août 2015, des blogueurs se sont intéressés à Fluchthelfer pour découvrir que le nom de l’association avait été déposé, sur Internet, par une puissante structure américaine : l’institut  Ayn-Rand, ultra libertaire sur le plan sociétal et dont le conseil d’administration est composé autant d’anciens membres de Goldman Sachs que de membres du Cato Institute, ce dernier prônant également « les libertés individuelles, un gouvernement réduit, les libertés économiques et la paix ». Depuis ces « fuites », en juillet et août, le nom de domaine Fluchthelfer a été déposé, le 1er septembre, par un hypothétique Escape Institute dont  le titulaire, s’affichant sous le nom de « Paul Ribbeck », utilise un  anonymiseur internet  au logo rouge et noir. Ce même Paul Ribbeck prétend fournir « des outils de communication informatique pour les personnes et les groupes qui militent en faveur d’un changement social libérateur ».

Fluchthelfer a été  initié  en Allemagne par le  collectif PENG  qui, parallèlement à son activisme Internet et sociétal, coopère avec des groupes libertaires  tels que, par exemple,  les Pussy Riot ou encore Voïna. Les lecteurs souhaitant en savoir plus sur ces associations et leurs activités peuvent consulter  cet article  qui recense leurs faits les plus glorieux. Les liens entre les réseaux américains et européens afin de favoriser, aider et même soutenir cette poussée migratoire sont de moins en moins secrets et c’est l’Open Society de Georges Soros qui affirme sur son site  soutenir « les associations œuvrant à apporter des solutions relatives à la sécurité et au bien entre migrants légaux et illégaux ».

Bref, une destruction des Etats européens et des identités assistée des forces les plus destructrices de la planète, car pendant que les activistes européens travaillent à leur autodestruction ainsi qu’à celle des leurs, l’Etat islamique, lui, infiltre  les colonnes de faux réfugiés. Dans le même temps, cette grande démocratie qu’est le Qatar et qui soutient le terrorisme en Syrie vient d’acheter et d’imposer des places pour migrants à La Sorbonne, complétant sur le plan financier une invasion imposée à l’Europe et aux Européens qui devrait finir par amener la Guerre globale sur le continent européen. Voilà donc un scénario imposé par des réseaux globaux, qu’ils soient libertaires capitalistes, gaucho-libertaires ou islamiques radicaux, et dont l’objectif, de la Californie à Berlin en passant par Paris, Bruxelles, Raqqa ou Doha, reste le même : la destruction des Etats européens, conclut Alexandre Latsa (fin des extraits adaptés ; voir le troisième lien en bas de page).

Michel Garroté, 25 septembre 2015

http://ripostelaique.com/comment-ils-organisent-linvasion-de-leurope.html

http://w2eu.info/map.fr.html

http://alexandrelatsa.ru/2015/09/vague-de-migrants-en-europe-vers-la-piste-americaine/#more-8956

Le Camp des saints en Croatie

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Le Camp des saints en Croatie

par Tomislav Sunic

Ex: http://www.polemia.com

Tomislav Sunić est un écrivain et traducteur américano-croate, ancien professeur aux Etat-Unis en science politique et ancien diplomate.

♦ A quelque chose malheur est bon. C’est grâce à la poigne communiste que l’Europe de l’Est, y compris la Croatie encadrée en ex-Yougoslavie, a su préserver son visage blanc et sa mémoire historique. Pendant les Trente Glorieuses les immigrés africains, levantins et maghrébins surent fort bien que leurs hôtes en France et en Allemagne seront plus samaritains que le commissaire de l’Est dont les lendemains refusèrent obstinément de chanter.

Il fut prévisible que, suite à l’actuel choc migratoire en provenance du Moyen Orient et de l’Afrique, le peuple croate crachera sa colère envers l’UE ou les immigrés – ou tous les deux à la fois.

Ayant jadis fort bien appris la pensée unique communiste, la présente vulgate multiculturelle imposée par Bruxelles compte fort peu de disciples au sein du peuple croate. Les paroles acerbes à l’encontre des immigrés, qui seraient sujets aux dispositions de la loi Fabius-Gayssot en France ou sévèrement réprimés en Allemagne en vertu du paragraphe 130 du Code pénal, sont librement proférées en Croatie par beaucoup de ses citoyens. Contrairement à la France et à l’Allemagne, les vocables « racisme », « xénophobie » ou « convivialité multiculturelle » portent en Croatie un signifié dérisoire, digne de la langue de bois communiste. Se dire blanc et catholique à haute voix est souvent considéré comme un signe d’honneur croate.

Mais il ne faut pas s’y tromper pour autant.

La classe dirigeante croate, à l’instar des autres pays est-européens, est composée dans sa grande majorité de rejetons des anciens apparatchiks yougo-communistes dont le but suprême consiste à montrer à Bruxelles que la Croatie se comporte plus catholiquement que le Pape, à savoir qu’elle est plus européiste que la Commission européenne. Le côté mimétique des dirigeants croates n’a rien de neuf, ayant été hérité du passé yougoslave où les anciens communistes croates devaient se montrer davantage comme de bons Yougoslaves et de meilleurs titistes que leurs homologues serbes. Une peur bleue d’être dénoncés aujourd’hui par Bruxelles ou Washington comme des dérives « fascistes », « racistes » ou « oustachis », fait que Zagreb ne bouge pas sans l’assentiment de Washington ou de Bruxelles. Cela est souvent le cas au gré des circonstances : quand Washington misait dans les années 1990 sur la carte albanaise et antiserbe, les nationalistes croates s’étaient vu la porte grande ouverte ; quand, en revanche, la vulgate multiculturelle devient la règle, la Croatie est censée devenir un pays dépotoir pour les nouveaux migrants.

On peut tracer un parallèle avec l’Allemagne qui doit, elle aussi, jouer à la surenchère humanitaire envers les immigrés, s’imaginant que son passé, qui refuse de passer, sera ainsi mieux neutralisé. Soumise, après la Deuxième Guerre mondiale, à une rééducation exemplaire, il n’est pas étonnant que Mme Merkel et ses amis fassent des discours ultra-humanitaristes et antifascistes. Hélas, les paroles délirantes des Allemands sur leur « Willkommenskultur » (culture d’accueil) résonnent bien différemment aux oreilles des migrants venus de l’Afrique et de l’Asie.

Le grand avantage du flux migratoire en Europe de l’Est est qu’il se déroule de façon désordonnée et imprévue, ce qui ne motive guère ni les Croates ni les Serbes ni les Hongrois à accueillir les nouveaux venus à bras ouverts. Contrairement à la tactique bolchevique du salami, à laquelle les Occidentaux s’étaient déjà bel et bien habitués, le soudain drame migratoire en Europe de l’Est semble annoncer le nouveau printemps pour tous les Européens. Notre avant-guerre a commencé !

Tomislav Sunic
24/09/2015

www.tomsunic.com

Correspondance Polémia – 26/09/2015

samedi, 26 septembre 2015

Vague de migrants en Europe: vers la piste américaine?

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Vague de migrants en Europe: vers la piste américaine?

Ex: http://fr.sputniknews.com

Au cours du mois d’août 2015, alors que la crise des migrants s’est mise à faire la une de la majorité du flux médiatique global, une bien étonnante nouvelle est apparue entre les milliers de lignes d’actualité.

Selon le magazine autrichien Direkt, auquel un membre des services de renseignement militaires autrichiens se serait confié, "les services secrets autrichiens disposeraient d'informations démontrant l'implication d'organisations ayant créé un système destiné à favoriser la dynamique migratoire que l'Europe subit".

Reprise uniquement sur différents médias non-alignés, cette information avait jusqu'alors paru fantaisiste et surtout relever d'une tendance complotiste américanophobe. Pourtant, peu à peu, Internet a fait son travail et la marée montante d'informations a permis aux commentateurs attentifs ici et là de commencer à récupérer et mettre en lien des informations plus que surprenantes et pour le moins inattendues.

Il y a tout d'abord eu l'apparition publique de cette galaxie d'ONG d'extrême gauche à l'ADN majoritairement allemand, ONG qui ont déployé une énergie considérable à faire absorber de force ce flux humain dont plus personne ne connaît réellement aujourd'hui la réelle dimension, mais dont tout le monde peut constater à quel point il est de densité suffisante pour avoir mis à mal la vie sans frontières des vieilles nations européennes.

Les Allemands ne sont cependant pas les seuls coupables de cette collaboration envers des migrants qui sont en majorité des migrants économiques dont on comprend bien qu'il sera difficile de les inciter à repartir en Libye, Irak ou Somalie après avoir eu un aperçu même sommaire et brutal de la vie en Scandinavie, France ou Allemagne. De nombreux projets croisés et transnationaux ont commencé à voir le jour, comme par exemple l'association franco-allemande SOSMEDITERRANNEE qui bénéficie notamment de subventions de BNP Paribas afin de "sauver des migrants et les accompagner vers les dispositifs d'information et d'assistance aux migrants sur le territoire européen" (Source).

Ne faudrait-il pas plutôt commencer par prévenir le suicide chez nos agriculteurs ou nos petits artisans, aider nos jeunes femmes dans le besoin (les futures mères européennes), parfois contraintes de se prostituer pour payer leurs études, ou tout simplement s'occuper des dizaines de milliers de SDF qui jalonnent les rues des villes européennes?

Cette affaire européenne n'en est peut-être pas une.

Il y a d'abord cette surprenante nouvelle qui tombe à point nommé, à savoir la naissance en Grande-Bretagne d'un nouveau type d'établissement financier destiné aux étrangers et aux migrants et leur permettant d'ouvrir un compte en ligne en s'épargnant les habituelles tracasseries administratives.

Il y a ensuite cette analyse minutieuse faite par Vladimir Shapak. Vladimir Shapak est le créateur d'une application du nom de Scai4Twi permettant l'analyse de l'ADN d'un Tweet, à savoir son contenu et son origine territoriale. L'analyse de plus de 19.000 tweets liés à la thématique des "migrants" a ainsi permis de tirer des conclusions bien étonnantes. Tout d'abord, 93% des tweets émis contenaient des informations positives sur l'Allemagne et l'Autriche, et 76% contenaient des hashtags #RefugeesWelcome+Germany, alors que seuls 6% de ces messages étaient émis d'Allemagne, 36% de sources géo-localisées en Angleterre et en Amérique, parmi lesquelles de nombreux éminents médias américains ou responsables d'ONG américaines dont le trafic de tweets a été particulièrement important, comme on peut le constater ici.

Plus étonnant encore, les liens forts discrets mais surprenants qui entourent la puissante association allemande Fluchthelfer. Fluchthelfer est un site militant appelant les citoyens européens à devenir des "agents d'évasions" en covoiturant des migrants de façon citoyenne et discrète lors de leur déplacements en Europe ou de leur retour de vacances en zones frontalières, telles l'Italie ou la Grèce. En clair, à devenir des passeurs et des trafiquants d'êtres humains et en violant la loi, comme le démontre leur vidéo de promo dans lequel on peut voir de bons vieux Allemands transporter un jeune homme visiblement originaire d'Afrique en lui faisant traverser les inexistantes frontières du dispositif Schengen.

Au cours du mois d'août 2015, des blogueurs se sont intéressés à Fluchthelfer pour découvrir que le nom de l'association avait été déposé, sur Internet, par une puissante structure américaine: l'institut Ayn-Rand, ultra libertaire sur le plan sociétal et dont le conseil d'administration est composé autant d'anciens membres de Goldman Sachs que de membres du Cato Institute, ce dernier prônant également "les libertés individuelles, un gouvernement réduit, les libertés économiques et la paix". Depuis ces "fuites", en juillet et août, le nom de domaine Fluchthelfer a été déposé (le 1er septembre) par un hypothétique Escape Institute dont le titulaire, s'affichant sous le nom de "Paul Ribbeck", utilise un anonymiseur internet au logo rouge et noir. Ce même Paul Ribbeck prétend fournir "des outils de communication informatique pour les personnes et les groupes qui militent en faveur d'un changement social libérateur".

Fluchthelfer a été initié en Allemagne par le collectif PENG qui, parallèlement à son activisme Internet et sociétal, coopère avec des groupes libertaires tels que, par exemple, les Pussy Riot ou encore Voïna. Les lecteurs souhaitant en savoir plus sur ces associations et leurs activités peuvent consulter cet article qui recense leurs faits les plus glorieux.

Sans surprise, les liens entre les réseaux américains et européens afin de favoriser, aider et même soutenir cette poussée migratoire sont de moins en moins secrets, et c'est l'Open Society de Georges Soros qui affirme sur son site soutenir « les associations oeuvrant à apporter des solutions relatives à la sécurité et au bien entre migrants légaux et illégaux ».

Bref, une destruction des Etats européens et des identités assistée des forces les plus destructrices de la planète, car pendant que les activistes européens travaillent à leur auto-destruction ainsi qu'à celle des leurs, l'Etat islamique, lui, infiltre les colonnes de faux refugiés. Dans le même temps, cette grande démocratie qu'est le Qatar et qui soutient le terrorisme en Syrie vient d'acheter et d'imposer des places pour migrants à La Sorbonne, complétant sur le plan financier une invasion imposée a l'Europe et aux Européens qui devrait finir par amener la Guerre globale sur le continent européen.

Voilà donc un scénario imposé par des réseaux globaux, qu'ils soient libertaires capitalistes, gaucho-libertaires ou islamiques radicaux, et dont l'objectif, de la Californie à Berlin en passant par Paris, Bruxelles, Raqqa ou Doha, reste le même: la destruction des Etats européens.

Les opinions exprimées dans ce contenu n'engagent que la responsabilité de l'auteur.

Angela Merkel, Max Weber et l’éthique du poisson mort

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Angela Merkel, Max Weber et l’éthique du poisson mort

Jan Marejko
Philosophe, écrivain, journaliste

Ex: http://www.lesobservateurs.ch

A propos du virage à 180 degrés d’Angela Merkel sur les migrants, il a été question d’éthique de la conviction et d’éthique de la responsabilité, distinction proposée par le philosophe/sociologue Max Weber au début du vingtième siècle. Je me souviens encore de l’éblouissement que j’ai ressenti lorsque j’ai pris connaissance de cette distinction, tant elle était lumineuse et profonde.

Le convaincu agit selon une valeur qu’il veut faire passer dans la réalité, sans chercher à savoir quelles seront les conséquences de ses actes. Il veut la paix à tout prix et ne comprend pas que son action pourrait conduire très vite à la guerre. Ainsi Angela aurait agi tout d’abord selon ses convictions en matière de droits de l’homme et de libre circulation. On pouvait la sentir satisfaite de promouvoir la paix, l’ouverture, une bienveillance universelle sur la scène du monde. Elle agissait selon une éthique de la conviction.

Et puis, elle semble avoir pris conscience qu’en agissant ainsi elle risquait de promouvoir le contraire de ce qu’elle voulait promouvoir : la haine plutôt que la bienveillance – le repli sur soi plutôt que l’ouverture. Prenant conscience des conséquences de ses actes, elle a passé d’une morale de la conviction à une morale de la responsabilité.

Jusque-là, pas de problème. On comprend. Mais à y réfléchir, on en vient à se demander s’il y a eu une conviction derrière le comportement de la chancelière allemande. Angela a-t-elle jamais été une convaincue avant de voir les conséquences de ses actes ? N’était-elle pas plutôt une fonctionnaire de la pensée unique, avant d’être surprise par un retour de la réalité comme on est surpris par un retour de flamme.

Comment parler d’un comportement qui ne repose ni sur des valeurs, ni sur des convictions, mais sur le conformisme au politiquement correct ? A côté d’Angela, on peut placer François Hollande. Avec lui, on va encore plus loin : à chaque fois qu’il énonce des propos, on a l’impression qu’il n’y a personne derrière et donc pas la moindre conviction. On parle depuis quelques années d’ordinateurs capables de rédiger des articles à la place des journalistes. Qui n’a jamais senti que les discours de nos gouvernants pourraient, eux aussi, être tenus par des ordinateurs dûment programmés ? Nous avons de moins en moins affaire à des convaincus ou à des responsables, mais à des âmes mortes qui récitent des formules.

Max Weber ne semble pas avoir tenu compte de cette troisième catégorie à côté des deux types d’éthique qu’il propose. C’est un peu surprenant, car il avait conscience du fait que l’Occident entrait dans une phase où les valeurs disparaissaient. A tel point qu’il recommandait que l’on choisît une valeur, n’importe laquelle,  pourvu qu’on en choisît une. Il avait donc bien pressenti que les âmes mortes allaient proliférer, des âmes sans conviction, sans valeurs, même si elles avaient constamment ce mot à la bouche.

L’âme d’un individu qui ne croit plus à rien pour mieux fonctionner dans le monde tel qu’il est (soi-disant) est une âme morte. Nous sommes appelés à davantage qu’à fonctionner ici bas. C’est seulement alors que nous cessons d’être des coquilles vides.

Comment nommer ce comportement qui, à côté de l’éthique de la conviction ou de la responsabilité, consiste en une pure adaptation  au monde ? Je propose : éthique du poisson mort.

Sans que je comprenne bien pourquoi, il me semble qu’il y a de plus en plus de poissons morts dans les classes gouvernantes des démocraties modernes. Les représentants du peuple, devant répondre aux demandes de plus en plus diverses de ceux qu’ils représentent, ne peuvent pas avoir de convictions solides et d’actions claires car ils risqueraient alors de ne pas être réélus. Ce mécanisme fait passer tout acteur politique habité par une solide conviction pour fou, dangereux, fasciste. Il ne lui reste plus alors qu’à flotter, comme un poisson mort, au gré des divers courants qui agitent la société. Les sociétés modernes sont des sociétés sans gouvernants, sans gouvernail. L’éthique du poisson mort y règne, presque toute-puissante.

Jan Marejko, 22 septembre 2015

Migrantencrisis: Documenten bewijzen misleiding en manipulatie internet door overheid

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Migrantencrisis: Documenten bewijzen misleiding en manipulatie internet door overheid

93% van alle ‘vluchtelingen wees welkom’ tweets door zogenaamde ‘Duitsers’ blijkt NIET afkomstig uit Duitsland, maar vooral uit de VS

Met dit soort –vaak gemanipuleerde- foto’s en berichten moet de argeloze Westerse internetter het valse idee krijgen dat bijna iedereen de komst van miljoenen moslim migranten naar Europa enkel toejuicht.

De Amerikaanse onderzoeksjournalist Glenn Greenwald, bekend vanwege zijn samenwerking met de wereldberoemde NSA klokkenluider Edward Snowden, schrijft op het mede door hem opgerichte The Intercept dat uit de door Snowden meegenomen NSA documenten blijkt dat overheden en geheime diensten massaal het internet gebruiken om de bevolking te misleiden en manipuleren. Zo worden discussies op forums ‘gestuurd’ en bepaalde websites en personen die een niet politiek-correcte mening verkondigen zwart gemaakt. Om dat te bereiken schrikt men niet terug voor het versturen van valse en verdraaide emails en het manipuleren van persoonlijke foto’s. Ook Twitter en Facebook worden massaal misbruikt om het links-liberale globalistische gedachtengoed te propageren.

Greenwald werkt al geruime tijd samen met de zender NBC News aan een serie over de ‘smerige trucs’ van de GCHQ (Government Communications Headquarters), de Britse tegenhanger van de NSA, en diens afdeling JTRIG (Joint Threat Research Intelligence Group). Een van de vier als ‘geheim’ geclassificeerde GCHQ documenten, die enkel door de NSA en de inlichtingendiensten van de zogenaamde ‘Five Eyes’ (de VS, Groot Brittannië, Canada, Australië en Nieuw Zeeland) mochten worden ingezien, heeft als titel ‘De kunst van misleiding: Opleiding voor verborgen Internet-operaties’.

DDoS aanvallen, honingvallen

In eerdere artikelen hadden Greenwald en NBC al uit de doeken gedaan hoe YouTube en blogs voortdurend worden bewaakt en hackergroepen zoals Anonymous met hun eigen wapens (zoals DDoS aanvallen) worden bestreden. Tevens wordt gebruik gemaakt van gevaarlijke computervirussen en ‘honingvallen’, waarbij bepaalde personen in een seksueel precaire situatie worden gebracht, gefilmd en vervolgens gechanteerd.

Verspreiding van ‘alle denkbare vormen valse informatie’

‘De geheime diensten proberen discussies op het internet te controleren, te infiltreren, te manipuleren en te vervormen, om zo de integriteit van het internet zelf in twijfel te trekken,’ legde Greenwald uit. ‘Tot de centrale door JTRIG beschreven doelen behoren twee methodes: 1) de verspreiding van alle denkbare vormen van valse informatie op het internet, om zo het aanzien van bepaalde personen te ruïneren, en 2) het inzetten van oorspronkelijk sociale wetenschappers en andere methoden die de dienst wenselijk acht om internet-discussies en activiteiten te manipuleren.’

False-flag berichten, websites en emails

Daarnaast worden ‘doelwitten’, zowel personen als bedrijven, aangevallen met ‘false flag’ operaties,  zoals het verspreiden van bewerkte –‘gefotoshopte’- foto’s waarop te zien zou zijn hoe iemand zich schuldig maakt aan strafbare feiten of andere bedenkelijke handelingen. Ook wordt er negatieve c.q. schokkende informatie over het internet verspreid die zogenaamd van het doelwit –een blogger, een bedrijfsleider, een politicus- afkomstig zou zijn. Hier vallen ook internetberichten en forumpostings onder valse naam onder.

Tevens worden er valse ‘slachtoffersites’ opgericht van mensen die beweren door het doelwit te zijn belasterd of anderszins beschadigd. Men schrikt zelfs niet terug voor het onder valse naam versturen van emails aan collega’s, buren, familie en vrienden. Ondernemingen worden op dezelfde wijze in diskrediet gebracht en desnoods kapot gemaakt.

Regeringen met dergelijke macht levensgevaarlijk

Greenwald: ‘Onafhankelijk van hoe men over Anonymous, ‘hacktivisten’ of gebruikelijke criminelen denkt is het niet moeilijk te erkennen hoe gevaarlijk het is als een geheime regeringsinstantie in staat is iedere willekeurige persoon met deze op het internet gebaseerde, verborgen en op misleiding berustende methoden in diskrediet te brengen en te belasteren – mensen die nooit van een misdrijf zijn beschuldigd of daar nog nooit voor werden veroordeeld.’

De controlerende overheidsdiensten blijken zichzelf bevoegdheden te hebben gegeven om -waarschijnlijk vanwege bepaalde politieke belangen- het aanzien van personen te vernietigen en hun internetactiviteiten te stoppen, zonder dat deze personen ooit van een misdrijf werden beschuldigd of dat hun activiteiten een duidelijke verbinding hebben met het terrorisme of een bedreiging van de nationale veiligheid vormen.

Al in 2008 stelde de door Obama benoemde topadviseur Cass Sunstein voor dat de regering kritische groepen en internetsites zou gaan infiltreren. Dat is precies wat Obama volgens Greenwald heeft gedaan; zelfs de belastingdienst (IRS) werd door de president ingeschakeld om conservatieve groepen zoals de Tea Party aan te vallen en zo mogelijk monddood te maken.

Burgers verkeren nog in illusie

Veel burgers, ook in Nederland, verkeren nog steeds in de illusie dat hun regering zich altijd aan de grondwet houdt, uit eerbiedwaardige motieven handelt en enkel het beste wil voor zijn onderdanen. Toegegeven, het is niet makkelijk te moeten aanvaarden dat juist de eigen regering zijn burgers nauwlettend in de gaten houdt en desnoods aanvalt als iemand met een ‘afwijkende mening’ om wat voor reden dan ook als een ‘bedreiging’ wordt gezien. Uit de door Snowden/Greenwald geopenbaarde documenten blijkt echter onomstotelijk dat deze methoden wel degelijk uitgebreid worden toegepast. (1)

‘Vluchtelingen wees welkom’ berichten bijna allemaal vals

Een recent voorbeeld waaruit blijkt dat de overheid ‘as we speak’ druk bezig is de mening van de burgers te manipuleren is de onthulling dat de vele positieve tweets over de massa immigratie door Duitsers slechts voor iets meer dan 6% afkomstig blijken te zijn uit Duitsland zelf, en voor 93% uit het buitenland. Gezien het bovenstaande zal het geen verbazing meer wekken dat de meeste berichten afkomstig zijn uit de VS en Groot Brittannië.

Daarnaast zorgt een compleet leger ‘netbots’ ervoor dat de sociale media helemaal worden overspoeld met dit soort valse ‘vluchtelingen wees welkom’ berichten, waardoor de internetter die wél kritisch staat tegenover de komst van miljoenen moslims naar Europa het idee krijgt dat hij tot een kleine minderheid behoort (2).

Onthoud echter dat juist het tegendeel het geval is – als u zich ook grote zorgen maakt over de door de globalisten gewilde migrantentsunami en de daarop volgende dreigende instorting van onze vrede, welvaart en complete samenleving, behoort u tot de –helaas nog grotendeels zwijgende- meerderheid.

Xander

(1) KOPP
(2) KOPP / Global Research

vendredi, 25 septembre 2015

Attaques systémiques US contre la politique pro-russe de l’Allemagne

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Migrants, Volkswagen, Euro, Ukraine : attaques systémiques US contre la politique pro-russe de l’Allemagne

Les Etats-Unis ont lancé une campagne stratégique d’affaiblissement de leur vassal allemand dont ils craignent l’émancipation progressive au profit d’une politique de coopération euro-russe. La crise ukrainienne, la crise de l’euro, la crise migratoire ou le scandale industriel autour de Volkswagen sont autant d’offensives concentriques contre Berlin dont la politique pro-russe menace l’hégémonie américaine en Europe.

Comprendre la stratégie US

Washington est fidèle à la ligne stratégique anglo-saxonne : diviser pour régner d’une part, maintenir ses alliés dans un état de faiblesse structurelle d’autre part.

Pour les Etats-Unis, la seule alliance capable de menacer l’hégémonie américaine sur le monde serait celle formée par le bloc Union Européenne / Union Eurasiatique. Les USA s’inspirent de la stratégie arrêtée par le général polonais de l’entre-deux guerres, Josef Pilsudski.

En tant que Polonais, le général Pilsudski devait penser la position géopolitique de son pays avec à l’esprit que ce dernier était sous la menace constante de la Russie. Aussi conceptualisa-t-il deux axes stratégiques à mettre en oeuvre par la Pologne pour neutraliser l’empire eurasiatique.

Premièrement, le général estimait qu’il fallait priver la Russie de ses territoires non-russes. Il percevait à juste raison que la Russie cherchait fondamental à acquérir et maintenir une profondeur stratégique en associant, généralement de force, des territoires susceptibles de protéger le coeur de la Russie européenne. Sans sa ceinture caucasienne, centre-asiatique ou européenne, la Russie devient fragile, faible et cesse d’être une menace. En conséquence, le général Pilsudski soutenait les efforts d’autodétermination des peuples périphériques de l’empire russe.

Cette politique est aujourd’hui soutenue par les USA, notamment dans le Caucase où ils agitent le séparatisme et l’islamisme radical, ainsi qu’en Géorgie et en Ukraine. L’utilisation de l’islamisme radical comme moyen de déstabilisation des périphéries russes a été mise en oeuvre en Afghanistan pour la première fois, sous la direction du stratège d’origine polonaise Zbigniew Brzeziński. C’est là que la CIA armera les moudjahidines afghans et arabes, dont Ousama Ben Laden (“Opération Cyclone”).

Deuxièmement, Pilsudski entrevoyait la constitution d’un vaste complexe d’états d’Europe de l’Est qui, alliés les uns aux autres, seraient en mesure de contenir la Russie. Il devait inclure la Finlande, les Pays Scandinaves, les Pays Baltes, la Pologne, l’Europe Centrale, les Balkans, l’Italie et la Grèce. Soit, pour ainsi, la moitié Est du continent. Ce qu’il appelait l’intermarium, ou “l’entre-mers”, en référence à la jonction de ces états devant s’établir des mers polaires à la Mer Noire.

Les USA ont globalement repris cette idée et ont entrepris de constituer un bloc entre l’Europe de l’Ouest et la Russie, sous l’égide de l’Otan dont le rôle consiste à empêcher la jonction stratégique entre l’Allemagne et la Russie. A cet effet, la Slovaquie, la Hongrie et la Tchéquie, sous l’égide de la Pologne, ont décidé de former un groupe de combat dit de “Visegrad” auquel est associé l’Ukraine. Il doit entrer en service en 2016 et est explicitement tourné contre la Russie.

La réaction allemande

L’Allemagne a essayé de contenir cette entreprise dont le déclenchement véritable remonte au coup d’état du 22 février 2014 à Kiev. Angela Merkel a ainsi refusé de soutenir la constitution du rempart oriental inspiré par le projet de Pilsudski sous l’égide de l’OTAN. C’est pourquoi l’Allemagne, en août 2014, refusa de participer au renforcement militaire de l’Alliance Atlantique dans les Pays Baltes (lire ici).

Ce premier développement en préfigurait un second lorsque Berlin négocia avec Moscou le règlement de la crise ukrainienne lors des accords de “Minsk 2″.

Cette rébellion allemande manifeste contre le projet anglo-américain dans la région fut parfaitement illustrée par la réaction de colère de Joe Biden, vice-président des USA, lors de la conférence sur la sécurité de Munich. Cette attitude faisait suite au véto allemande sur la livraison d’armes à l’Ukraine. Décision prise afin d’empêcher les USA de créer ex-nihilo un conflit à même de justifier par contrecoup la constitution d’un rempart antirusse.

Face à ce dangereux précédent, les USA ont entrepris de fragiliser l’Allemagne en compromettant ses outils de puissance au sein de l’Union Européenne. Car ce sont eux qui permettent à Berlin d’inspirer à l’UE un positionnement pacifiste vis-à-vis de la Russie. En isolant l’Allemagne, les USA entendent créer entre l’Europe de l’Ouest et la Russie une “Troisième Europe”, directement placée sous commandement américain via l’OTAN et la Pologne.

Première attaque : l’Euro

Pour parvenir à brider le leadership allemand au sein de l’UE, les USA ont décidé de frapper ce qui fonde cette influence : son économie. C’est parce que l’Allemagne est garante financièrement des membres de l’eurozone que celle-ci est mesure de les convaincre, sur d’autres dossiers, d’adopter un positionnement plus “tempéré” sur la question russe.

Les USA ne veulent pas “détruire l’Euro” mais le fragiliser suffisamment pour qu’il soit un levier de pression sur Berlin. Washington a donc entrepris, dès 2013, d’utiliser l’extrême-gauche grecque dans ce plan. Le ministère des Finances américain a ainsi bruyamment pris le parti de Tsipras lors des négociations autour d’un nouveau plan de sauvetage de la Grèce.

En février 2015, le représentant du ministère des Finances US, Daleep Singh, se rendit à Athènes pour aider le gouvernement d’extrême-gauche à affronter Berlin. Fait révélateur, Singh est un ancien membre de la banque juive américaine Goldman Sachs.

Autre fait révélateur, Alexis Tsipras a choisi la banque juive Lazard, détenue par Mathieu Pigasse – propriétaire du journal Le Monde – pour “restructurer la dette grecque”. C’est-à-dire négocier avec les prêteurs nord-européens du pays. La banque Lazard est liée au gouvernement américain puisqu’elle a restructuré les dettes des pays conquis par les USA comme l’Irak, l’Ukraine.

Cependant Berlin n’a pas cédé. Depuis le gouvernement d’extrême-gauche s’est rallié au programme allemand et cherche en Russie un appui géopolitique. Ce qui n’était absolument pas anticipé par les USA. Ainsi, Athènes a accepté de participer au projet de gazoduc euro-russe devant transiter par la Turquie afin de contourner l’Ukraine. Ce qui a suscité la colère de Washington (lire ici). Révélateur également, le refus récent d’Athènes d’obtempérer aux exigences des USA qui appelait la Grèce à fermer son espace aérien aux vols russes à destination de la Syrie alors que Moscou y envoie un corps expéditionnaire massif.

La crise de l’Euro s’est depuis calmée, du moins temporairement. Mais l’attaque contre la zone euro – donc contre l’économie allemande et sa zone de libre-échange – fut forte. Si Berlin a pu endiguer cet effort américain, le flanc sud de l’UE est fragilisé.

Deuxième attaque : Schengen

L’Allemagne était dans le même temps déjà la cible d’un flux massif d’immigrés musulmans en provenance de divers pays musulmans, dont l’Afghanistan. Cet afflux soudain vise explicitement l’Allemagne.

On a pu relever la présence d’organisations – telle IsraAID – qui sous couvert d’aide humanitaire fournissent aux migrants extra-européens des cartes avec les informations requises pour pénétrer en Europe. Des membres de cette organisation jouaient même le rôle de guide.

Une information émanant du renseignement militaire autrichien affirme par ailleurs que des “organisations américaines” financent les passeurs.

La réaction du gouvernement allemand, par la voix de la chancelière Angela Merkel, a traduit une déstabilisation évidente : celui-ci, dans les premiers jours, s’est engagé à accueillir “sans limite” les clandestins. Ce qui s’est avéré matériellement impossible. Puis, après une semaine, les organismes de sécurité de l’Etat Allemand ont littéralement dépossédé Angela Merkel du dossier.

Horst Seehofer, leader de la CSU bavaroise – parti allié à la CDU au pouvoir – a exigé l’adoption d’une politique “réaliste” en fermant la frontière avec la Hongrie. Ce retournement brutal a entraîné la suspension des accords de libre-échange de Schengen en Slovaquie, en Autriche, en Allemagne, en Hongrie.

Là encore, et comme dans le cas de la crise grecque, la crise migratoire a compromis la zone de libre circulation dont a besoin l’Allemagne.

Fait remarquable, les pays qui ont mené la fronde contre la volonté de Berlin – pour garantir Schengen – de répartir partout les immigrés musulmans sont les 4 pays du groupe de Visegrad. La Hongrie, la Slovaquie, la Tchéquie et la Pologne. La Finlande a également fait valoir son soutien ainsi que les Pays Baltes. Très concrètement, la crise migratoire renforce la fracture entre la “Troisième Europe” et l’Europe de l’Ouest. Si cela affaiblit la cohérence de l’UE sous direction allemande, cela renforce objectivement la stratégie américaine évoquée plus haut.

Troisième attaque : l’industrie allemande

Après l’attaque contre l’Euro et Schengen, bases de la zone de libre-échange qui fait la force de l’industrie allemande, c’est cette dernière qui a été directement visée.

Le “scandale” ciblant Wolkswagen récemment n’est pas fortuit. Il cible un symbole de la puissante industrie allemande qui permet aujourd’hui à Berlin de contenir le bellicisme américain en Europe. Est-ce un hasard si les “révélations” concernant le groupe automobile ont été produite par une ONG américaine ?

L’International Council for Clean Transportation est financée par deux fondations californiennes : William and Flora Hewlett Foundation et David and Lucile Packard Foundation. Elles appartiennent aux fondateurs de la marque d’ordinateur Hewlett Packard.

Ces deux fondations alimentent en fonds la fondation Climateworks qui soutient l’ICCT à l’origine des “révélations”. La William and Flora Hewlett Foundation est liée au Council of Foreign Relations (CFR), un des organismes décisionnels de l’oligarchie atlantique qui définit la politique étrangère des USA et de leurs alliés (source). Elle finance également le groupe de réflexion Pacific Council, une succursale du CFR.

On notera qu’appartient au Pacific Council, l’ancien ambassadeur des USA en France, le juif Charles Rivkin. Ce dernier est l’artisan de la mise en oeuvre du multiculturalisme à tous les niveaux en France, essentiellement au profit de l’immigration musulmane.

Le résultat de cette opération de déstabilisation d’un des fleurons de l’industrie allemande est sans appel : l’action du groupe automobile a perdu, en 3 jours, 25 milliards de dollars. Il est probable, au passage, que la finance judéo-américaine – dûment informée de l’imminence de la médiatisation du “scandale” – en ait profité pour spéculer sur le cours du titre.

L’attitude allemande sur le dossier syrien

Quoiqu’il en soit, l’Allemagne continue de tendre la main à la Russie. Alors que Moscou est en train de détruire toute la stratégie américaine en Syrie comme nous en parlions avant-hier, le président de la CSU – Horst Seehofer – a clairement soutenu le plan que Vladimir Poutine entend présenter à l’ONU le 30 septembre :

“Nous avons besoin d’une initiative diplomatique conjointe des Nations unies avec la participation de la Russie, des Etats-Unis, de l’Union européenne et des puissances régionales”, a-t-il indiqué, citant à titre d’exemple les négociations sur le dossier nucléaire iranien.

Une position radicalement différente de celle de la diplomatie américaine qui condamne l’intervention russe.

Plus globalement, l’Allemagne soutient l’implication de la Russie dans une campagne contre l’Etat Islamique. De la sorte, et malgré des réticences formelles quant au projet russe pour l’avenir du gouvernement syrien, Berlin entend en profiter pour permettre à Moscou d’être considéré comme un partenaire incontournable de l’Europe.

Ce qui contrarie le plan américain d’isolement de la Russie et de neutralisation de toute coordination stratégique germano-russe.

Source : http://breizatao.com/2015/09/23/migrants-volkswagen-euro-ukraine-attaques-systemiques-us-contre-la-politique-pro-russe-de-lallemagne/

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L'Empire américain renforce-t-il sa domination sur l'Europe?

L'Empire américain renforce-t-il sa domination sur l'Europe? La réponse est oui.

par Jean-Paul Baquiast

Ex: http://www.europesolidaire.eu

imcom-e-garrison-2010-2.jpgL'on observe souvent, à tort ou raison, que les Etats-Unis abordent dorénavant une série de crises auxquelles ils feront mal face, et qui pourraient mettre en danger leur domination globale (global dominance). Ces crises résultent en grande partie des retombées de diverses politiques qu'ils avaient menées jusqu'à aujourd'hui au service de cette domination, et dont ils avaient mal mesuré les effets pervers.
Mais d'autres observateurs plus avertis estiment au contraire que l'Empire américain supportera aisément ces crises, et en profitera pour renforcer sa situation dans le monde, ainsi que la tutelle imposée aux pays qu'ils mis au service de leurs intérêts. Parmi ces pays et en priorité se trouvent les pays de l'Union européenne. Dès la fin de la deuxième guerre mondiale l'Empire en avait fait le bastion avancé de sa lutte contre la Russie. Continuer à maintenir l'Europe dans ce rôle de zone-tampon est plus indispensable pour lui que jamais. Dorénavant en effet s'est constitué un bloc euro-asiatique, autour de Moscou et de Pékin (BRIC), dans lequel les Américains voient un ennemi existentiel. De par sa proximité géographique avec la Russie, l'Europe leur sert plus que jamais de bastion avancé.

Les Européens leur ont facilité ce jeu. Beaucoup trouvent des avantages dans le rôle de mercenaires des forces de l'Empire. En 2014 cependant, les Etats-Unis ont renforcé bien plus visiblement qu'auparavant leur contrôle sur l'Europe. Ils ont réussi à mettre à leur service les nouvelles forces dont l'Europe dispose depuis quelques années, évitant qu'elles puissent collaborer avec l'ennemi existentiel, au premier duquel se trouve plus que jamais la Russie.

La crise ukrainienne, provoquée essentiellement par la diplomatie du dollar et des services secrets grâce à laquelle les Etats-Unis se sont toujours imposés dans leur entourage géopolitique, leur a permis de ridiculiser toute velléité européenne de servir d'arbitre entre Washington, Kiev et Moscou. C'est Washington qui décide souverainement si les accords dits de Minsk2 sont effectivement appliqués par les parties. Ils ont toujours prétendu jusqu'à ce jour que ce n'était pas le cas, que la responsabilité de la crise ukrainienne incombait à la Russie et à ses projets d' « invasion militaire » Ils ont ainsi imposer à la Russie des « sanctions » dont les Européens sont les premières victimes.

C'est également Washington, avec l'appui de ses alliés composant la « troïka » (FMI, Banque centrale européenne et conseil européen) qui a empêché tout règlement sain de la crise grecque. Celui-ci aurait consisté pour la Grèce à quitter l'euro et se rapprocher du BRIC, pour rependre une certaine indépendance géopolitique, sans pour autant rompre ses liens avec l'Union. Mais quel exemple désastreux la Grèce aurait-elle ainsi donné, aux yeux des Etats européens refusant de se laisser enfermés dans une alliance atlantique leur enlevant toute indépendance !

Duda

La même diplomatie américaine du dollar et des services secrets vient de provoquer en Pologne l'élection à la présidence de la République d'un certain Andrzej Duda, surtout connu jusqu'à présent pour ses convictions anti-européenne et pro-Otan. Qui le savait ailleurs en Europe? La Pologne, s'étant déjà tristement illustrée ces derniers mois par son soutien aux pro-nazis de Kiev, n'aidera en rien la diplomatie européenne à jouer de nouveau un rôle d'arbitre en Ukraine.

Sur le plan militaire, l'armée américaine a multiplié les bases militaires dans de nombreuses parties du continent européen. A partir de celles-ci ils organisent des déploiement de troupes et les « manœuvres conjointes » , cherchant à pousser la Russie à des prises de risques militaires dont le le commandement US  profiterait immédiatement. Les Européens continentaux acceptent de cette façon d'être rayés de la carte les premiers si un conflit avec des armes nucléaire fussent-elles tactiques éclatait entre l'Otan et la Russie.

Sur le plan des changes, les Européens n'ont jamais combattu, au prétexte imposé par Wall Street de laisser jouer le marché, les manœuvres répétées de la Banque fédérale pour empêcher l'euro de s'élever au dessus d'une quasi parité avec le dollar. Ceci entre autres conséquences empêche tout investissement industriel et prise de participation dans les entreprises américaines en provenance des Européens. Dans le même temps, avec un dollar élevé, les entreprises américaines peuvent plus facilement acheter les fleurons de l'industrie européenne, l'exemple le plus spectaculaire ayant été l'achat de Alstom par General Electric.

Concernant l'hèroîque autant qu'hérétique  travailliste de gauche britannique Jeremy Corbyn, qui avait recommandé que le Royaume Uni sorte de l'Otan, insulte suprême au pays de la Special Relationship avec les Etats-Unis, beaucoup disent que ses jours sont comptés. Peut-être pas encore en ce qui concerne sa propre vie, mais sûrement au Labour.  La mobilisation contre lui des travaillistes atlantistes, menés par Tony Blair, est sans précédents.

Enfin, depuis quelques semaines les vagues de plus agressives de migrants qui menaçant à terme non seulement l'économie mais la société européenne ont été, comme nul ne devrait l'ignorer, provoquées par des interventions de l'Amérique dans les zones sensibles du Moyen-Orient. Ces interventions se sont faites notamment avec la complicité de deux bons alliés, la Turquie et l'Arabie saoudite. Elles prennent en prétexte la lutte contre Daesh, ledit Daesh ayant été initialement mis en place par Washington, et restant aujourd'hui discrètement soutenu par lui.

L'implosion de l'Europe se produira nécessairement si ne ce sont plus des milliers de migrants qui entrent en Europe, mais des millions et dizaines de millions, provenant notamment de l'Afrique. Or en Afrique l'Amérique a toujours les mains libres, par dictateurs locaux interposés, pour affaiblir ce qui reste d'influence européenne et pour y développer leurs propres intérêts, au détriment de ceux des Africains.

Ajoutons que dans l'immédiat la signature imminente imposée par Washington du Traité de Libre-échange transatlantique (TTIP) ruinera les quelques velléités d'indépendance, au plan réglementaire et économique, qu'espéraient conserver les Etats européens.

Tous ces facteurs superposés obligeront les Européens qui voulaient jouer la carte d'un monde multipolaire, à se réfugier sans discuter d'avantage sous la protection d'une monde unipolaire dominé par les Etats-Unis.

* Pour plus de sources, voir GEAB , Introduction de l'article référencé  http://geab.eu/en/2016-the-year-of-india-and-the-last-chance-for-an-organized-systemic-global-transition/#_ftn1

Jean Paul Baquiast

jeudi, 24 septembre 2015

Oskar Freysinger: La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays

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«La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays»

Interview d’Oskar Freysinger, conseiller national et conseiller d’Etat du Valais

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch 

Au cours de l’été 2015, le conseiller national Oskar Freysinger a déposé une motion (cf. encadré) obligeant le Conseil fédéral à engager sans tarder des négociations avec la Russie en vue d’un accord de libre-échange. Dans l’interview ci-dessous, Oskar Freysinger explique les raisons pour lesquelles il a fait cette démarche.

Horizons et débats: Monsieur le Conseiller national, qu’est-ce qui vous a amené à déposer cette motion parlementaire?

Oskar Freysinger: Lorsqu’on considère les développements de ces derniers 25 ans, il est évident que pendant des décennies, nous nous sommes orientés uniquement vers les Etats-Unis, partant de l’idée que l’ami se trouve à l’Ouest et que tout cela n’aurait que des avantages économiques. Concernant l’économie, cela peut être en partie justifié, mais le prix que nous avons payé est très élevé. Nous avons par exemple dû abandonner le secret bancaire, ce qui a amené beaucoup de désavantages, par exemple lors de l’«arrangement» avec l’UBS, en raison de notre entière orientation envers le système américain.

Qu’est-ce que cela signifie?

Avec ce système de bonds, on crée une richesse artificielle reposant uniquement sur le papier-monnaie, imprimé continuellement. Ainsi, on s’endette sans aucune retenue. Malheureusement, les banques suisses sont de plus en plus embourbées dans ce système.

N’y a-t-il pas d’alternatives?

C’est ce que je me suis aussi demandé. En fait, il s’agissait pour moi de diriger le regard vers l’Est pour nous débarrasser du vieux mythe que l’ennemi se trouve là-bas. Au cours de l’histoire, la Russie a toujours fait preuve d’une relation amicale envers la Suisse. La Russie a joué un rôle décisif pour l’indépendance et la neutralité de notre pays après les guerres napoléoniennes, lors du Congrès de Vienne. De même, depuis 1992, nous n’avons pas de raison de nous plaindre de la Russie. Il n’existe aucun exemple prouvant que ce pays ait décidé quelque chose de négatif pour notre pays.

Qu’est-ce que vous en concluez?

Il n’y aura pas d’avenir pour l’Europe sans la Russie. Nous devrions faire le nécessaire pour nous associer avec la Russie. Pour moi, c’est incompréhensible pourquoi Madame Merkel ne s’en est pas encore rendu compte.

Comment le comprenez-vous?

Je me demande pour quelle raison les Etats-Unis exercent une telle influence sur Merkel, car une alliance entre l’Allemagne et la Russie serait une pierre angulaire pour un essor économique incroyable. Mais c’est justement ce que craignent les Anglo-Saxons. Si l’Allemagne s’associait à la Russie, les deux deviendraient en peu de temps la première puissance économique du monde. Ils dameraient le pion aux Américains.

Quelle est la réaction des Etats-Unis?

Ils créent des sources de division à l’aide de la Pologne et de l’Ukraine.

Quelles en sont les conséquences pour la Suisse?

Nous sommes libres, car nous ne sommes pas dans l’OTAN et ne sommes pas liés par des accords – spécialement avec les Etats-Unis. La Russie est pour nous un pays très intéressant en tant que partenaire économique, rien qu’en raison des matières premières, mais aussi dans le domaine culturel et il existe des liens historiques. Pour nos entreprises, la Russie représente un marché très intéressant. Elle a une économie en pleine évolution et Poutine essaie de sauvegarder l’indépendance et la souveraineté de son pays. Je ne vois pas pourquoi nous devrions laisser les Américains nous empêcher d’établir des relations privilégiées avec la Russie.

Lorsqu’il s’agit de la situation en Europe, les relations avec nos Etats voisins jouent naturellement un rôle essentiel, notamment avec l’Allemagne. Comment voyez-vous ces relations?

Les relations avec l’Allemagne n’ont jamais été simples. En ce moment c’est la carte de l’amitié qui se joue, mais honnêtement, la Suisse est une concurrente pour l’Allemagne, car elle est active dans le même domaine qu’elle. Je n’ai certes rien contre des relations amicales avec nos pays voisins, tout au contraire, c’est très important. Mais nous ne devons jamais nous placer dans une position subordonnée. Nous n’avons pas à accepter de traité colonial. La Suisse est un Etat indépendant et souverain, nous ne sommes pas membre de l’UE, nous ne sommes pas membres de l’OTAN et cela, les autres Etats doivent le respecter. Lorsque nous voyons les intérêts que l’UE a dans le territoire de la Suisse, cela nous donne un autre point de vue. Déjà, il y a plus de 300?000 frontaliers gagnant tous les jours leur salaire en Suisse, ce qui apporte des devises s’écoulant dans l’UE. En outre, nous avons l’accord sur les transports terrestres. Là, la Suisse ne demande que la moitié du prix réel pour chaque camion de l’UE traversant la Suisse. Avec les Accords bilatéraux, l’UE a beaucoup gagné et elle continuera à en profiter. De nous traiter de «profiteurs», c’est tout simplement un mensonge.

Quels sont les points problématiques dans ces accords?

Dans le fond, c’est une situation contractuelle toute simple. S’il n’y avait pas la «clause guillotine», cela pourrait être positif pour les deux parties. Ce qui dérange c’est cette clause dite guillotine, on ne négocie pas à l’ombre d’une guillotine. Dès le début, j’ai trouvé incompréhensible comment la Suisse avait pu accepter une telle chose. La devise de l’UE était: tout ou rien. Ce n’est pas une base de négociation, on devrait pouvoir négocier chaque objet individuellement.

Quels pourrait être l’avenir dans ce domaine?

Ce qui nous attend avec l’accord-cadre c’est la reprise automatique de la juridiction de l’UE et la reconnaissance d’un tribunal arbitral européen et cela est inacceptable. C’est une stratégie perfide pour provoquer une adhésion indirecte à l’UE. Si nous demandions directement au peuple suisse s’il veut adhérer à l’UE, nous aurions probablement un taux de rejet de 85%. C’est totalement inacceptable de contourner cela, en provoquant une adhésion de facto au moyen de lois reprises de façon «dynamique» à l’aide d’un accord-cadre, en ne parlant pas d’une reprise automatique mais d’un développement dynamique, menant ainsi les gens par le bout du nez.

Dans cette situation, il est extrêmement important que la Suisse se cherche des partenaires contractuels honnêtes. D’après ce que vous venez de dire, la Russie serait un tel partenaire. Comment le Conseil fédéral a-t-il réagi à votre motion?

Il a écrit que 12 cycles de négociations avaient déjà eu lieu entre la Russie et l’AELE mais que malheureusement les négociations ont été interrompues suite à la crise ukrainienne et qu’il refusait donc ma motion.

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Mais pourquoi ne peut-on pas négocier avec la Russie maintenant?

Le Conseil fédéral le justifie avec la crise en Ukraine. Bien qu’aujourd’hui nous sachions exactement que la crise en Ukraine a été initiée par les Etats-Unis. Le putsch sur le Maïdan n’était pas du tout une révolte populaire tombée du ciel au cours de la nuit. Cela a été orchestré, organisé et financé. Là derrière, il y a les services secrets américains, la CIA, poursuivant l’objectif de perturber les relations entre la Russie et l’Allemagne, voire l’UE. C’était aussi une réaction au fait que la Russie n’ait pas laissé tomber la Syrie. Lorsqu’il s’agissait de Kadhafi – on a bien vu le résultat en Libye –, les Chinois et les Russes se sont fait avoir, ils ont donc appris cette leçon. Concernant la Syrie, ils sont restés fermes. C’est pour cette raison que Bachar al-Assad est toujours en place. Le monstre créé par les Etats-Unis, l’Etat islamique, continue à être financé par eux et soutenu par Israël et l’Arabie saoudite. Pour ces pays, il est pratique que l’Etat islamique continue à exister, car de cette manière les Sunnites et les Shiites continueront à se déchirer dans d’interminables conflits. C’est l’Union européenne qui en paye le prix, car maintenant des masses de réfugiés et de requérants d’asile arrivent en Europe. Tout ce jeu est d’une perfidie macabre, c’est hypocrite, c’est cynique. Les Etats-Unis parlent à tout moment des droits de l’homme qu’ils défendent partout dans le monde. Cependant, ils sont par exemple étroitement liés avec l’Arabie saoudite, un pays avec lequel ils ont depuis 1973 un pacte «dollar contre pétrole». Là, les droits de l’homme n’ont aucune importance. On y discrimine les femmes, on y fouette des êtres humains, on y décapite plus de 250 personnes par année, tout cela n’a aucune importance. Nous nous faisons sans cesse mener par le bout du nez.

Comment interprétez-vous la réponse du Conseil fédéral?

Encore une fois, on se montre soumis face aux Etats-Unis. Mais les Anglo-Saxons poursuivent toujours leurs propres intérêts et ne se soucient pas guère des intérêts des autres. Ils jouent les policiers du monde, mais ce sont eux qui déclenchent partout sur notre planète les plus grands incendies. Ce sont eux, les incendiaires, se présentant par la suite comme des pompiers héroïques.

Qu’est-ce que cela signifie pour la Suisse?

Nous sommes un pays libre et indépendant et nous ne devrions pas participer à ce jeu. Ce que font les autres, c’est leur affaire, mais nous, nous devrions poursuivre une politique autonome et commencer sans attendre des négociations avec la Russie, même si cela ne plaît pas aux Etats-Unis. La situation ne peut guère empirer. Je ne pense pas que les Etats-Unis vont se rapprocher avec leur 6e flotte pour envahir la Suisse. Nos relations avec les Etats-Unis sont déjà en piteux état. C’est hypocrite de faire comme s’ils étaient nos meilleurs amis. Ils ne le sont pas, ils l’ont prouvé maintes fois par leur comportement. Dans ce marché, nous n’avons plus rien à gagner.

Pourquoi la Suisse n’a-t-elle pas changé de position depuis longtemps?

Apparemment, on n’a pas encore eu le courage de se libérer du diktat américain. On semble préférer se soumettre et subir sans broncher.

Que faire?

Il serait urgent de revoir ses positions, notamment dans les domaines de l’économie et des banques. La Russie a besoin d’une place financière indépendante, la Suisse pourrait jouer ce rôle. Mais pas seulement pour la Russie mais aussi pour la Chine, l’Inde et les autres Etats du BRICS. Nous devrions coopérer avec ces Etats, parce que là, les pressions sont moins fortes qu’avec l’OTAN et l’espace de l’UE. Des conditions coloniales règnent dans ces organisations. Les grands écrasent ou harcèlent les petits. Depuis des décennies, nous vivons le harcèlement américain. Dans les relations humaines, on appelle cela ainsi. Cela n’a rien à voir avec des relations d’égal à égal entre deux partenaires qui s’acceptent et se respectent. Voici le grand qui octroie sa volonté au petit. C’est indigne pour la Suisse.

Comment pourrait-on organiser les relations économiques avec la Russie?

Pour nos vins, il y aurait un marché. Là, je parle en Valaisan. Mais nos PME produisant en Suisse avant tout des produits de niche de haute valeur ajoutée ont un niveau technologique élevé. Des produits industriels fabriqués en Suisse ont beaucoup à offrir dans le domaine de la mécanique et de la technologie, c’est évidemment aussi valable pour le domaine des services. Dans le domaine bancaire, la Suisse est de toute façon à la pointe. Les Russes par contre ont d’immenses gisements de matières premières et c’est un énorme marché. Nous pouvons aussi importer certains produits de Russie et créer de joint-ventures. Cela demande bien sûr une analyse soigneuse. A une époque, où les richesses minières se raréfient et enchérissent, un commerce réciproque avec la Russie serait extrêmement profitable. Je pense à des relations économiques étroites dépassant de loin des relations purement économiques et financières.

Quelle devrait être l’attitude de la Suisse?

Nous sommes un Etat souverain et autonome. Notre démocratie directe est unique et pourrait servir d’orientation pour d’autres Etats démocratiques. Nous devons entrer dans les négociations comme partenaire d’égal à égal et ne pas nous soumettre à un autre Etat. Notre neutralité nous permet de mener des négociations avec tout Etat au monde. Et je le répète, un accord de libre-échange avec la Russie serait un grand avantage pour notre pays.

Monsieur le Conseiller national, nous vous remercions pour cet entretien.    

(Interview réalisée par Thomas Kaiser)

 

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Motion: Accord de libre-échange avec la Russie

Texte déposé
Le Conseil fédéral est chargé d’engager immédiatement des négociations avec la Russie au sujet d’un accord de libre-échange.
Développement
1.    La Suisse a conclu des accords de libre-échange avec de nombreux Etats de par le monde, soit notamment avec la Chine, l’Ukraine, le Japon, l’Egypte etc.
2.    Jusqu’à présent la Suisse n’a cependant pas conclu d’accord bilatéral de libre-échange avec la Russie en tant que tel.
3.    Grâce à un tel accord, la Russie pourrait devenir un important partenaire commercial pour la Suisse et lui permettre ainsi de réduire sa forte dépendance vis-à-vis de l’Europe.
4.    Une intensification des rapports commerciaux russo-suisses pourrait permettre à notre pays de stimuler l’innovation et d’augmenter sa prospérité.
5.    La Russie est un pays riche en matières premières, en particulier en combustibles fossiles. La Suisse grâce à une diversification de ses fournisseurs, pourrait réduire sa dépendance vis-à-vis d’autres Etats.
6.    La Suisse, à la pointe de la technologie pourrait profiter des échanges commerciaux avec un pays qui s’intéresse fortement à ce domaine et ainsi réaliser de nouvelles avancées.
7.    La Russie fait partie de notre continent et ne doit pas être mise à l’écart. L’Europe ne peut assurer sa prospérité et préserver la paix sans la Russie.
8.    Les rapports qu’entretiennent la Suisse et la Russie ont toujours été particuliers. Au cours de leur histoire toutefois, les deux Etats ont toujours eu des échanges étroits. Un accord de libre-échange permettrait de renouer avec cette tradition et profiterait à tous.

La stratégie du chaos des néocons touche l’Europe

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La stratégie du chaos des néocons touche l’Europe

Auteur : Robert Parry
Traduction Christine Abdelkrim-Delanne/Afrique Asie
Ex: http://zejournal.mobi

Le chaos des réfugiés qui se développe en Europe, aujourd’hui – médiatisé par les photos poignantes du petit Aylan Kurdi dont le corps a échoué sur une plage de Turquie – est né des ambitions démesurées des néocons américains (conservateurs américains) et leurs acolytes les libéraux interventionnistes qui ont décidé de transformer le Moyen Orient et d’autres parties du monde par la stratégie du « changement de régime » .

Au lieu des mirifiques promesses de « promotion de la démocratie » et de « droits de l’homme », ces « anti-réalistes » n’ont fait que répandre la mort, la destruction et la déstabilisation à travers le Moyen Orient et certaines régions d’Afrique, puis, aujourd’hui, en Ukraine et au cœur de l’Europe. Cependant, comme ces forces néocons contrôlent toujours le « Discours Officiel », leurs théories, comme le fait qu’il n’y a pas assez de « changements de régime », bénéficient toujours la Une des médias.

Par exemple, Fred Hiatt, éditorialiste néocon du Washington Post, a accusé les « réalistes » d’être responsables de la cascade de catastrophes. Hiatt les a accusés, eux et le président Barack Obama, de ne pas être intervenus plus agressivement en Syrie dans le but de renverser le président Bachar al-Assad, depuis longtemps candidat des néocons au « changement de régime ».

En réalité, on peut faire remonter cette explosion accélérée de souffrances humaines à l’influence sans égale des néocons et de leurs compagnons de route libéraux qui se sont opposés à tout compromis politique, et, dans le cas de la Syrie, ont bloqué tout effort réaliste de trouver un accord de partage de pouvoir entre Assad et ses opposants politiques non terroristes.

Dès 2014, les néocons et les « faucons libéraux » ont saboté les accords de paix syriens à Genève en bloquant la participation iranienne et en transformant la conférence sur la paix en compétition unilatérale de vociférations durant laquelle les dirigeants de l’opposition syrienne financée par les États-Unis ont hurlé sur les représentants d’Assad qui sont rentrés chez eux. Pendant ce temps, les journalistes du Post et leurs amis n’ont eu de cesse de harceler Obama pour bombarder les forces d’Assad.

La folie de l’approche des néocons est devenue plus évidente l’été 2014 lorsque l’IS (l’État islamique), un rejeton d’Al-Qaïda qui a massacré des Syriens soupçonnés d’être favorables au gouvernement, a intensifié sa campagne sanglante de décapitation en Irak où ce mouvement hyper brutal a d’abord émergé comme « Al-Qaïda en Irak » en réponse à l’invasion américaine en 2003.

Il aurait dû être clair à la mi-2014 que si les néocons avaient réussi et si Obama avait lancé une campagne massive de bombardement pour détruire l’armée d’Assad, le drapeau noir du terrorisme aurait flotté sur la capitale syrienne de Damas et le sang aurait coulé à flots dans les rues.

Mais, aujourd’hui, un an plus tard, les « Hiatt » n’ont pas appris la leçon, et le chaos que fait exploser la stratégie néocons est en train de déstabiliser l’Europe. Aussi choquant et dérangeant que cela puisse l’être, rien de cela ne devrait être une surprise, les néocons ayant toujours entraîné le chaos et la destruction dans leur sillage.

La première fois que j’ai rencontré les néocons dans les années 1980, on leur avait donné l’Amérique latine comme terrain de jeu. Le président Ronald Reagan avait accrédité plusieurs d’entre eux, et fait entrer dans le gouvernement américain des illuminés comme Eliott Abrams et Robert Kagan. Mais Reagan les avaient maintenus relativement hors du « Royaume de la toute-puissance » : le Moyen Orient et l’Europe.

Ces zones stratégiques étaient réservées aux « adultes », des gens comme James Baker, George Schultz, Philip Habib et Brent Scowcroft. Les pauvres centre-Américains, occupés à essayer de se débarrasser de générations de répression et de sous-développement imposés par des oligarchies de droite dure, ont dû affronter les idéologues néocons qui ont généré escadrons de la mort et génocides contre les paysans, les étudiants et les travailleurs.

Sans surprise, il arriva un flot de réfugiés, particulièrement du Salvador et du Guatemala, vers le nord et les États-Unis. Le « succès » des États-Unis, dans les années 1980, en écrasant les mouvements sociaux progressifs et en renforçant les contrôles oligarchiques, a laissé la plupart des pays d’Amérique centrale dans les griffes de régimes corrompus et des syndicats du crime, entraînant toujours plus de vagues de ce que Reagan appelait les « feet people » (les gens à pied) par le Mexique à la frontière sud des États-Unis.

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Installer le chaos au Moyen Orient

Mais les néocons n’étaient pas satisfaits d’être assis à la table des enfants. Pendant l’administration Reagan, ils ont essayé de se hisser parmi les « adultes » à la table des grands. Par exemple, des néocons comme Robert McFarlane et Paul Wolfowitz, ont poussé la politique de leurs amis Israéliens contre l’Iran que les Israéliens considéraient alors comme un contrepoids à l’Irak. Cette stratégie a finalement conduit à l’« affaire Iran-Contra », le pire scandale de l’administration Reagan.

L’aile droite et les médias dominants américains n’ont jamais admis l’histoire compliquée de l’Iran-Contra et l’information sur différents aspects de criminalité dans ce scandale n’a jamais été diffusée. Les démocrates ont, également, préféré le compromis à la confrontation. C’est pourquoi, la plupart des néocons importants ont survécu aux affres de l’Iran-Contra, laissant leurs membres bien en place pour la phase suivante de leur montée en puissance.

Dans les années 1990, les néocons ont mis en place une infrastructure bien financée de think-tanks et de médias, bénéficiant à la fois des largesses des militaro-industriels qui finançaient les think-tanks et des organismes financés par le gouvernement comme le National Endowment for Democracy (NDM) (Fonds national pour la démocratie) dirigé par le néocon Carl Gershman.

Les néocons ont politiquement tiré le plus grand parti de la guerre du Golfe 1990-1991 grâce à l’armée américaine. De nombreux Américains ont commencé à considérer la guerre comme amusante, un jeu vidéo dans lequel les forces « ennemies » étaient détruites à distance. Dans les programmes TV d’actualités, les commentateurs au discours musclé ont fait fureur. Si vous vouliez être pris au sérieux, vous ne pouviez pas vous tromper en prenant la position la plus machiste, ce que j’appelle parfois l’« effet grondement er-er-er ».

Combiné avec l’écroulement de l’Union soviétique en 1991, la notion de suprématie militaire américaine fut sans égale et sans contestation, et a engendré les théories néocons visant à transformer la « diplomatie » en « ultimatums » américains. Au Moyen Orient, cette vision fut partagée par les Israéliens de la ligne dure qui en avaient assez de négocier avec les Palestiniens et autres Arabes.

À la place des négociations, il y aurait un « changement de régime » pour tout gouvernement qui n’adopterait pas la ligne. Cette stratégie a été élaborée en 1996, quand un groupe de néocons, dont Richard Perle et Douglas Feith, sont intervenus en Israël pour soutenir la campagne de Benjamin Netanyahu et ont concocté un document stratégique intitulé : « A Clean Break : A New Strategy for Securing the Realm ».

L’Irak a été la première cible sur la liste des néocons, mais suivait immédiatement la Syrie et l’Iran. L’idée centrale était qu’une fois éliminés ou neutralisés les régimes aidant les Palestiniens et le Hezbollah, Israël pourrait dicter ses conditions de paix aux Palestiniens qui n’auraient d’autre choix que d’accepter ce qu’on leur offrait.

En 1998, le projet Project for the New American Century, élaboré par les néocons Robert Kagan et William Kristol, appelait à une invasion américaine de l’Irak, mais le président Bill Clinton a reculé devant une décision aussi extrême. La situation a changé, cependant, à l’arrivée du président George W. Bush et les attaques du 9/11 (attentats des Twin Towers) qui ont terrifié et rendu furieuse l’opinion publique américaine.
Immédiatement, les néocons ont eu un Commandant en Chef pour approuver la nécessité d’éliminer Saddam Hussein, et il ne fut pas difficile de persuader les Américains, bien que l’Irak et Saddam Hussein n’avaient rien à voir avec le 9/11 (cf www.consortiumnews.com « The Mysterious Why of the Iraq War »)

La mort du « Réalisme »

L’invasion de 2003 a sonné la mort du « réalisme » en matière de politique étrangère à Washington. Vieux ou morts, les « adultes » se turent ou ont fait la sourde oreille. Du Congrès et de l’Exécutif aux think-tanks et aux principaux médias d’information, pratiquement tous les « leaders d’opinion » étaient des néocons et de nombreux libéraux se rangèrent derrière les arguments de Bush en faveur de la guerre.

Et même si le « groupe pensant » de la guerre d’Irak avait pratiquement complètement tort à la fois sur les armes de destruction massive comme justification de la guerre et sur l’idée que ce serait « du gâteau » de mettre en place un nouvel Irak, pratiquement aucun de ceux qui avaient soutenu le fiasco, n’a été sanctionné pour l’illégalité de l’invasion ou pour le soutien à un plan totalement dénué de bon sens.

Au lieu de répercussions négatives, ceux qui ont soutenu la guerre en Irak – les néocons et leurs complices Libéraux et Faucons (aile dure des Républicains) ont essentiellement renforcé leur contrôle sur la politique étrangère américaine et les majors du secteur médiatique d’information. Du New York Times et Washington Post à la Brooking Institution et l’American Entreprise Institute, le programme de « changement de régime » a continué d’élargir son influence.

Peu importait que la guerre sectaire en Irak tue des centaines de milliers de personnes et provoque le déplacement de millions d’autres ou qu’elle donna l’occasion d’émerger à la branche impitoyable d’al Qaïda en Irak. Pas même l’élection de Barack Obama, en 2008, pourtant un opposant à cette guerre, n’a changé cette dynamique globale.

Plutôt que de résister au nouvel ordre en matière de politique internationale, Obama s’est incliné, retenant des joueurs clefs de l’équipe de sécurité nationale du président Bush, tels que le Secrétaire à la Défense, Robert Gates et le général David Petraeus, et recrutant des va-t-en-guerre démocrates, dont Hillary Clinton qui est devenue Secrétaire d’État, et Samantha Power du Conseil national de sécurité.

Ainsi, le culte du « changement de régime » n’a pas seulement survécu au désastre irakien, il s’est développé. Chaque fois qu’un problème émergeait à l’étranger, « La » solution était le « changement de régime », accompagné de l’habituelle diabolisation d’un dirigeant ciblé, du soutien à une « opposition démocratique » et d’appels à l’intervention militaire. Le président Obama, probablement un « closet realist » (réaliste de cabinet) s’est retrouvé dans le rôle du « timoré en chef », poussé, à contrecœur, d’une croisade pour un « changement de régime » à une autre.

En 2011, par exemple, la Secrétaire d’État, Hillary Clinton et Power, du Conseil national de sécurité, ont convaincu Obama de s’allier avec quelques dirigeants européens « chauds pour la guerre » pour réussir le « changement de régime » en Libye, où Mouammar Kadhafi s’était lancé dans l’offensive contre des groupes qu’il avait identifiés comme des terroristes islamistes, dans l’est libyen.

Pour Clinton et Power il s’agissait de tester leurs théories de « guerre humanitaire » – ou « changement de régime » – visant à chasser du pouvoir un « voyou » comme Kadhafi. Obama a rapidement adhéré et, avec le soutien technologique crucial de l’armée américaine, une campagne de bombardements dévastateurs a détruit l’armée de Kadhafi, l’a chassé hors de Tripoli, pour finalement le conduire à son assassinat par la torture.

Nous sommes venus, nous avons vu, il est mort !

Hillary Clinton s’est dépêchée de tirer parti de ce « changement de régime ». Dans un échange d’email, en août 2011, son ami de longue date et conseiller personnel, Sidnay Blumenthal, fit l’éloge de la campagne de bombardement visant à détruire l’armée de Kadhafi et salua l’expulsion du dictateur gênant de Tripoli.
« Tout d’abord, bravo à vous ! C’est un moment historique et c’est à vous qu’on l’attribuera », écrivait Blumenthal à Clinton le 22 août 2011. « Si Kadhafi lui-même est finalement renversé, vous devriez, bien sûr, faire une déclaration publique devant les caméras où que vous vous soyez, vous devez aller devant les caméras. Vous devez entrer dans les archives de l’Histoire à ce moment-là… La phrase la plus importante est : « stratégie victorieuse ».

Clinton transmit le conseil de Blumenthal à Jake Sullivan, un proche assistant du Département d’État. « SVP, lire ci-dessous, écrit-elle, Sid a bien vu ce que je dois dire, mais c’est conditionné à la chute de Kadhafi qui donnera une dimension plus spectaculaire. J’hésite car je ne sais pas combien j’aurais d’occasions ».
Sullivan répondit : « Cela peut être bon pour vous de vous exprimer juste après son départ, pour marquer le coup… Vous pouvez aussi donner plus de poids en vous présentant physiquement, mais il paraît censé de formuler quelque chose de définitif, comme, par exemple, la Doctrine Clinton ».

Cependant, lorsque Kadhafi a abandonné Tripoli ce jour-là, le président Obama a saisi cette occasion pour faire une déclaration triomphale. Clinton a dû attendre jusqu’au 20 octobre 2011, lorsque Kadhafi fut capturé, torturé et assassiné, pour exprimer sa satisfaction sur le « changement de régime ».

Dans une interview télévisée, elle a célébré la nouvelle dès qu’elle s’est affichée sur son téléphone mobile en paraphrasant la célèbre déclaration de Jules César après la victoire des Romains en 46 av. J.C : « Veni, vidi, vici » – (Je suis venu, j’ai vu, j’ai vaincu). Clinton a adapté la fanfaronnade de César en « Nous sommes venus, nous avons vu, il est mort ». Puis elle a ri et applaudi.

Il est probable que la « Doctrine Clinton » serait devenue une stratégie d’« interventionnisme libéral » pour procéder à un « changement de régime » dans des pays en crise, où le dirigeant cherchant à éliminer une menace sécuritaire, et dont les États-Unis désapprouvent l’action. Mais le problème avec la fanfaronnade de Clinton sur la « Doctrine Clinton », c’est que l’aventure libyenne a rapidement tourné à l’aigre. Les terroristes islamistes contre lesquels Kadhafi avait mis en garde, se sont emparés de vastes pans de territoire et ont transformé le pays en un nouveau « champ de ruines », comme en Irak.

Le 11 septembre 2012, l’attaque du consulat américain à Benghazi et la mort de l’ambassadeur américain Christopher Stevens et trois autres membres du personnel diplomatiques a fait exploser cette réalité aux yeux des Américains. Il est apparu que Kadhafi n’avait pas tout à fait tort sur la nature de son opposition.

Finalement, la violence extrême en Libye s’est tellement développée de façon incontrôlée que les États-Unis et les pays européens ont abandonné leurs ambassades à Tripoli. Depuis, les terroristes de l’État islamique se sont mis à décapiter des chrétiens coptes sur les plages libyennes et à massacrer d’autres « hérétiques ». En pleine anarchie, la Libye est devenue une voie pour les migrants désespérés qui cherchent un passage vers l’Europe en traversant la Méditerranée.

Guerre à Assad

Parallèlement au « changement de régime » en Libye, la même démarche a été engagée en Syrie. Les néocons et les interventionnistes libéraux ont fait pression pour le renversement du président Bachar al-Assad, dont le gouvernement s’est fissuré en 2011 après ce qui est rapidement devenu une rébellion violente conduite par des éléments extrémistes, bien que la propagande occidentale l’ait présentée comme l’opposition « modérée » et « pacifique ».

Pendant les premières années de guerre civile en Syrie, le prétexte fut la répression injustifiée de ces rebelles « modérés » et la seule réponse fut le « changement de régime » à Damas. Les affirmations d’Assad selon lesquelles l’opposition incluait de nombreux extrémistes islamistes fut largement méprisée, comme le furent les avertissements de Kadhafi en Libye.

Le 21 août 2013, une attaque au gaz sarin dans la banlieue de Damas a tué des centaines de civils. Le Département d’État américain et les médias dominants ont immédiatement accusé les forces d’Assad en même temps qu’ils exigeaient une vengeance militaire contre l’armée syrienne.

Malgré les doutes au sein des milieux du renseignement américain sur la responsabilité d’Assad dans cette attaque, que certains analystes considèrent, au contraire, comme une provocation terroriste anti-Assad, les vociférations des néocons de Washington et des interventionnistes libéraux en faveur de la guerre furent intenses et tout doute fut balayé d’un revers de la main.
Cependant, le président Obama, conscient du scepticisme des milieux du renseignement, a renoncé à une frappe militaire et finalement œuvré à un accord négocié par le président russe Vladimir Poutine dans lequel Assad acceptait de remettre tout son arsenal chimique, bien qu’il continuât à nier son implication.

Bien que l’accusation contre le gouvernement syrien à propos de l’attaque fut finalement tombée à l’eau – avec l’accumulation des preuves d’une opération déguisée par les radicaux sunnites pour tromper les Américains et les pousser à intervenir à leurs côtés – la « pensée de groupe » officielle de Washington a refusé de reconsidérer ce jugement précipité. Hiatt se réfère toujours à la « sauvagerie des armes chimiques » d’Assad.

Toute suggestion selon laquelle la seule option réaliste en Syrie est un compromis autour du partage du pouvoir qui inclurait Assad – qui est considéré comme le protecteur des minorités chrétienne, chiite et alaouite – est rejeté par le slogan « Assad doit partir ».

Les néocons ont créé une croyance populaire selon laquelle la crise syrienne aurait été évitée si seulement Obama avait suivi leur conseil en 2011, à savoir une nouvelle intervention américaine pour obtenir en force un autre « changement de régime ». Cependant, l’issue plus que probable aurait été, soit une autre occupation illimitée et sanglante de la Syrie par l’armée américaine, soit le drapeau noir du terrorisme flottant sur Damas.

Au tour de Poutine

Le président russe, Vladimir Poutine, est un autre « voyou », depuis l’échec, en 2013, du projet de bombardement de la Syrie. Il a rendu fou de rage les néocons par sa collaboration avec Obama pour obtenir la remise des armes chimiques syriennes, puis en œuvrant à des négociations sérieuses avec les Iraniens sur leur programme nucléaire. Malgré les désastres du « changement de régime » en Irak et en Libye, les néocons voulaient à nouveau utiliser leur baguette magique en Syrie et en Iran.

Poutine a été puni par les néocons américains, dont Carl Geshman, le président du NED (la Fondation nationale pour la démocratie), et le secrétaire d’État adjoint pour l’Europe, Victoria Nuland (l’épouse de Robert Kagan) par leur aide au « changement de régime » en Ukraine, le 22 février 2014, et le renversement du président élu Viktor Yanukovych, et en mettant en place un régime violemment anti-Russie, à la frontière.

Aussi satisfaits qu’aient été les néocons de leur « victoire » à Kiev et de leur diabolisation réussie de Poutine dans les grands médias américains, l’Ukraine a suivi la pente post- changement de régime prévisible conduisant à la guerre civile. Les Ukrainiens de l’ouest ont lancé une brutale « opération anti-terroriste » contre la population russe de l’est qui a résisté au coup d’État soutenu par les États-Unis.

Des milliers d’Ukrainiens sont morts et des millions ont été déplacés, alors que l’économie nationale ukrainienne basculait vers la faillite. Cependant, les néocons et leurs amis Libéraux et Faucons démontrèrent à nouveau leur capacité de propagande en mettant toutes les responsabilités sur le compte de « l’agression russe » et de Poutine.

Bien qu’Obama ait été, apparemment, pris de court par le « changement de régime » en Ukraine, il s’est joint rapidement au concert d’accusations contre la Russie et Poutine. L’Union européenne s’est, également rangée derrière la demande américaine de sanctions contre la Russie malgré le mal que ces mêmes sanctions infligeaient à l’économie européenne déjà vacillante. Aujourd’hui, la stabilité de l’Europe subit une autre pression avec le flot de réfugiés qui arrivent des zones de guerre au Moyen Orient.

Des dizaines d’années de chaos

Si on regarde, aujourd’hui, les conséquences et les coûts de la dernière dizaine d’années marquées par la stratégie néocons/libéraux-Faucons de « changement de régime », le nombre de morts en Irak, Syrie et en Libye dépasse, selon les estimations, le million tandis que plusieurs millions de réfugiés arrivent dans des pays moyen-orientaux fragiles et pèsent sur leurs ressources.

Des centaines de milliers d’autres réfugiés et de migrants ont fui vers l’Europe, aggravant la pression importante sur les structures sociales du continent déjà affectées par la récession sévère qui a suivi le crash de Wall Street en 2008. Sans la crise des réfugiés, la Grèce et d’autres pays du sud de l’Europe batailleraient quand même pour répondre aux besoins de leurs citoyens.

En revenant en arrière un instant et en mesurant l’impact de la politique des néoconservateurs américains, on peut être étonné de l’étendue du chaos qu’ils ont créé sur une large partie de la planète. Qui aurait pensé que les néocons auraient réussi à déstabiliser non seulement le Moyen Orient, mais, également, l’Europe…

Et pendant que l’Europe se débat, les marchés d’exportation chinois se resserrent, provoquant une instabilité dans cette économie cruciale, et, de ce choc, les répercussions se font sentir aux États-Unis.

Nous assistons aux tragédies humaines provoquées par les idéologies des néocons/Libéraux-Faucons à travers la souffrance des Syriens et autres réfugiés débarquant en Europe et la mort d’enfants noyés dans la fuite désespérée de leurs parents loin du chaos créé par le « changement de régime ». Mais les griffes des néocons/libéraux-Faucons sur Washington finiront-elles par se casser ? Un débat sur les dangers de la stratégie du « changement de régime » sera-t-il même autorisé dans le futur ?

Pas si les « Fred Hiatt du Washington Post » ont quelque chose à dire à ce sujet. La vérité est que Hiatt et autres néocons maintiennent leur domination sur les grands médias américains. Ce que nous pouvons, donc, attendre des différents médias dominants, c’est plus de propagande néocons mettant le chaos non sur le compte de leur politique de « changement de régime », mais sur l’échec de parvenir à davantage de « changements de régime ».

Le seul espoir est que de nombreux Américains ne se fassent pas avoir, cette fois, et qu’un « réalisme » tardif revienne dans la stratégie géopolitique américaine, consistant à rechercher des compromis raisonnables pour restaurer l’ordre politique dans des endroits comme la Syrie, la Libye et l’Ukraine. Au lieu de toujours plus de confrontations dures à la « Rambo », peut-être y aura-t-il, finalement, des tentatives sérieuses de réconciliation.

Mais l’autre réalité est que les forces interventionnistes se sont enracinées profondément à Washington, dans l’Otan, dans les grands médias d’information et même dans les institutions européennes. Il ne sera pas facile de débarrasser le monde des graves dangers créés par les stratégies néocons.

Note:

Robert Parry, directeur du site www.ConsortiumNews.com, est un journaliste d’investigation. Il a publié de nombreux articles pour Associated Press et Newsweek dans les années 1980 sur l’affaire Iran-Contra et l’implication de la CIA. Il est l’auteur, entre autres, d’une trilogie sur la famille Bush et ses connexions avec l’extrême droite américaine).

lundi, 21 septembre 2015

Corbyn et la question de l’antiSystème

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Corbyn et la question de l’antiSystème

Ex: http://www.dedefensa.org

L’élection de Jeremy Corbyn à la tête du parti travailliste britannique a constitué un événement politique exceptionnel : d’abord par la marge formidable de 59,5% des voix (le plus haut score atteint pour l’élection d’un nouveau dirigeant d’un des grands partis au Royaume-Uni) ; ensuite, par les matières qui ont été débattues lors de la campagne (outre le sujet général de l’austérité qui est une toile de fond du débat et non pas un débat, tous les grands sujets de politique extérieure) ; enfin, par la personnalité de l’acteur principal Corbyn, militant marxiste pur et dur, complètement marginalisé dans l’ensemble-Système travailliste depuis des années, donc lui-même hors-Système et qui s’impose pourtant irrésistiblement en brisant ce cadre avec une puissance totalement inattendue.

C’est ce dernier point qu’explique abondamment l’excellent chroniqueur et activiste US Chris Hedges, dans une interview qu’il a donnée le 15 septembre à RT. L’entretien porte d’abord sur le parallèle qu’on peut faire ou ne pas faire entre Corbyn et Sanders, que nous laisserons de côté mais dont on gardera à l’esprit que Hedges considère Corbyn comme un vrai révolutionnaire, au contraire de Sanders aux USA ; puis l'on enchaîne sur la signification de la victoire de Corbyn pour la gauche en Europe, et sur le “message” que la victoire de Corbyn envoie au reste de l’Europe. On appréciera que, même dans les questions faites par l’intervieweur, on trouve de ces “nuances” qui conduisent à juger cet évènement d’une part en termes d’idéologie sinon de “particratie” (ce que la gauche comme la droite restent, dans le contexte évoqués, lorsqu’elles se considèrent en tant que telles), d’autre part en termes de confrontation entre le Système et “le reste” (ditto, l’antiSystème).

... Car la question est bien celle-ci, et bien peu de commentateurs l’abordent de cette façon : Corbyn est-il un élu et une victoire de la gauche ou bien un élu et une victoire de l’antiSystème ? Ce n’est pas, ce ne peut être la même chose, sinon à raisonner dans des termes d’il y a un demi siècle ou d'un siècle et demi, alors que toutes les activités politiques constituées se faisaient sous le contrôle du Système sans que personne n’y prît garde expressément ; cela, sauf dans le chef de certaines catégories d’intellectuels et d’artistes dans certaines périodes bien spécifiques, et l’une ou l’autre complète exception politique, comme un de Gaulle.

RT : « The EU's most notable left-wing parties have been jubilant over Corbyn's victory. Why is this so important for them? »

Chris Hedges : « Well, because it is part of this popular revolt against neo-liberalism, austerity, corporate domination of our political and our cultural life, and of course it caught everyone by surprise. Corbyn was a 200-1 outsider, but they just rose up. I think it’s tapped into a kind of revulsion that’s global, that Podemos certainly tapped into, Syriza tapped into in Greece with the neoliberal order. And Corbyn represents it in a way that Bernie Sanders really doesn’t. »

RT : « What message does this Labour Party election in the UK send to the rest of Europe?

Chris Hedges : « This sends a message essentially to the international banking community that says that their ability to impose conditions that cause suffering - especially among working men and women - is one that larger and larger segments of population will not tolerate. Corbyn has even raised the possibility of withdrawing from the EU precisely because of the EU’s treatment of the Greek people. He pointed out that all of this money is not going to the Greeks - it is going to the international banking system. I think he is a kind of an example of this surge among the grassroots that’s rising up to defy the neo-liberal order and in particular the international banking system that is strangling countries... »

WSWS.org accorde bien sûr une place de choix à l’élection de Corbyn. Il y a un long texte d’analyse de Julie Hyland du 15 septembre 2015 (14 septembre dans sa version anglaise). Le sectarisme considérable du site de la IVème Internationale trotskiste qui éclate dans la deuxième partie du texte, – “Trotski sinon rien”, – a l’avantage paradoxal de conduire à une analyse acceptable du phénomène Corbyn. Les enseignements qui sont présentés sont donc :

1) Corbyn est incontestablement un homme de gauche, et même d'une gauche dure et pas loin d'être révolutionnaire, mais ce n’est pas l’“homme d'une gauche dure”, ni même cette “gauche dure”-là qui ont été élus, mais tout ce qu’il (Corbyn) représente, symboliquement, de plus opposé au Système, tout ce qu’il y a nécessairement d’antiSystème en lui, sans qu’il ne le réalise ni ne l’exprime nécessairement.

 

pod28-thickbox_default2.jpg2) Corbyn fait partie de cette “réaction de gauche”, comme Syriza, comme Podemos, même comme Sanders aux USA, de même qu’il y a une “réaction de droite”, comme le FN en France, les deux constituant les deux ailes d’une “réaction générale”... Mais “réaction” contre quoi ? “Contre de vrais dynamiques populaires qui s’expriment contre le Système, en faisant croire qu’ils (ces mouvements de ‘réaction’) les représentent alors qu’ils les canalisent et les contrôlent en vérité, parce qu’eux-mêmes (ces mouvements de ‘réaction’) sont en fait manipulés par la bourgeoisie et les oligarchies”, dit l’auteure en agitant sa pancarte “Trotski sinon rien” ; “Contre le Système, cette réaction de dynamique populaire passant par tout ce qui peut servir de véhicule pour ceux veulent exprimer leur position antiSystème”, dirions-nous en observant qu’il est préférable de ne pas faire compliqué quand on peut faire simple, d’autant plus que Trotski n’est plus parmi nous pour prendre les choses en mains.

3) L’élection de Corbyn a ouvert une brèche considérable qui pourrait, selon les évènements, se traduire par des prolongements que nous qualifierions d’antiSystème et extrêmement importants ; mais ces évènements et leurs prolongements resteront sans suite parce que « manœuvres, compromis et trahisons suivront inévitablement une victoire de Corbyn...» Voici le passage du texte de Hyland exprimant ces trois considérations.

« Pour évaluer les résultats de l'élection au leadership du Labour, il faut prendre en compte plusieurs facteurs interdépendants. L'idée reçue après la défaite écrasante des travaillistes à l'élection générale de mai était qu'ils avaient perdu parce que leur programme d’“austérité allégée” était en contradiction avec un consensus public soutenant des réductions des dépenses encore plus fortes, plus de mesures anti-immigrés et une hausse des dépenses militaires. La course à la direction devait marquer un nouveau virage à droite des travaillistes, comme le montrait l'insistance de la dirigeante par intérim Harriet Harman pour que les députés travaillistes s'abstiennent sur le projet de loi sur la protection sociale du gouvernement conservateur, qui va encore appauvrir des millions de gens. Mais l'élection a ouvert une fissure juste assez large pour donner une idée de l'hostilité de la classe ouvrière et d’une partie de la classe moyenne à de telles mesures et cela a perturbé le plan initial.

» Corbyn, député travailliste vétéran “de gauche”, qui s'est présenté sur un programme anti-austérité, a réussi à obtenir 59,5 pour cent des voix, plus que le total combiné de ses trois adversaires: Andy Burnham (19 pour cent), Yvette Cooper (17 pour cent) et Liz Kendall (4,5 pour cent). Cela en dépit, ou plutôt partiellement à cause des interventions répétées de Tony Blair qui exhortait à poursuivre son “héritage”. Ses exclamations ont garanti la déroute humiliante de Kendall, la candidate la plus blairiste. L'absence de soutien important pour les panacées droitières du New Labour, même dans la coquille rétrécie du Parti travailliste, est un reflet de l'état des rapports de classe en général.

» Ce n'est pas là juste un phénomène britannique. Les implications transformant le monde de la crise financière de 2008, crèvent partout la croûte putréfiée de la politique officielle. Une aggravation générale, économique, sociale et géopolitique de la crise du capitalisme mondial déstabilise les mécanismes traditionnels de domination, alimente le mécontentement social et politique et jette la politique bourgeoise dans un état de bouleversement et de flux.

» Cherchant à retrouver son équilibre politique, la bourgeoisie tente un réajustement politique lui permettant d'empêcher une classe ouvrière de plus en plus incommode d’échapper à son contrôle et de se lancer sérieusement à l’assaut du pouvoir. Cela explique d’une part la montée des forces fascistes et xénophobes tels que le Front national en France et d’autre part les expériences avec des forces de “gauche”, comme Syriza en Grèce, Bernie Sanders aux États-Unis et Corbyn en Grande-Bretagne.

» Évaluant la victoire de Corbyn, certains commentateurs considèrent, comme le dit l’ancien rédacteur du Daily Telegraph Charles Moore, que le “prochain choc porté au système” pourrait créer “un marché électoral pour ... le Bourbon barbu du bolchevisme”. Andrew Sparrow du Guardian est d’avis qu’une éruption “nullement impensable …d’une sorte de catastrophe économique... pourrait conduire les travaillistes menés par Corbyn à défier les experts et à prendre le pouvoir de la même manière que Syriza en Grèce”.

» Les travailleurs doivent considérer de tels calculs comme un sévère avertissement. Les leçons de la capitulation abjecte de Syriza en Grèce doivent être comprises, de sorte que les travailleurs ne soient pas aveuglés par les manœuvres, compromis et trahisons qui suivront inévitablement une victoire de Corbyn...»

Il est vrai que la victoire de Corbyn a été saluée, parfois de manière extatique par qui de droit, comme une “victoire de la gauche authentique”, et cette interprétation a aussitôt rétréci le champ du débat, dans le chef des mêmes commentateurs, à la seule “gauche” comme ayant la capacité d’emporter une telle “victoire” qui ne peut être comprise que comme une “victoire contre le Système”. Cette façon de voir montre que ceux qui font cette interprétation n’ont pas encore compris qu’une “victoire contre le Système” n’est pas nécessairement, loin s’en faut, une “victoire antiSystème“, alors que ce qu’il faut, à l’image de Trotski, c’est “l’antiSystème sinon rien”. Par exemple et triste exemple, Syriza a bien remporté une “victoire contre le Système” lors de son élection en janvier et jusqu’au référendum en juillet, mais la chose s’est achevée par la capitulation que l’on sait quelques jours plus tard. L’épisode démontre qu’une “victoire contre le système” n’est rien si elle ne se structure pas décisivement en une “victoire antiSystème” (dans ce cas, un “plan B” type-Grexit pouvait être tenté en guise decstructuration). La cause en est que Syriza était et reste un “parti de gauche” hors-Système, ce qui est un pas dans la bonne direction qui ne change pas grand’chose sinon rien, et nullement un “parti antiSystème”, ce qui est le pas essentiel qui changerait tout.

On retrouve les mêmes demi-mesures, les mêmes demi-exhortations, les mêmes demi-envolées, les mêmes demi-attaques antiSystème ou les mêmes attaques demi-antiSystème dans le Plan B pour l’Europe, de Jean-Luc Mélenchon, Stefano Fassina, Zoe Konstantopoulou, Oskar Lafontaine et Yanis Varoufakis, parmi lesquels on pourrait mettre bientôt un Jeremy Corbyn selon les circonstances. Tout y est parfaitement classé, avec les anathèmes de service et les “répulsions” à peine non-dites qu’on sait, pour qui l’on sait. Les antiSystème de gauche comme ceux de droite ont l’estomac fragile et disposent d’une quantité considérable de répulsion pour leurs vis-à-vis de l’autre bord (mais plus ceux de gauche que ceux de droite, nous semble-t-il, puisqu’il arrive de telles occurrences où Marine Le Pen envoya ses félicitations à Syriza lors de son élections, qui lui furent, nous semble-t-il à nouveau, retournées dans le style “il n’y a pas d’abonné...” ; et l’on peut chercher à savoir qui, dans ce cas-là et dans les stratégies proposées, Le Pen conseillant à Tsipras de quitter l’euro, se conduisait le plus en antiSystème). Les antiSystème des deux bords préfèrent en général la défaite assurée du camp antiSystème avec leur vertu partisane conservée pieusement à la défaite possible du Système dans l’audace de la conceptualisation de l’antiSystème avec ses conséquences. Difficile, très très difficile de les faire sortir de leurs arrière-cuisines...

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L'observation à la fois la plus évidente et la plus pertinente nous vient par conséquent d’un philosophe, dit-“de gauche” en plus, mais déjà largement suspecté d’apostasie dans les salons parisiens, – dès lors qu’on s’éloigne de la “ligne générale” chargée de la pédagogie permante de la démocratie et qui revient en fait au contraire de ce qu’elle prétend être. Interrogé par RT-France sur cette vaste question (implicitement celle du rassemblement des antiSystème), Onfray a une réponse qui a la vertu et l’intelligence de l’évidence ; c’est-à-dire, la proposition de facto de substituer aux “valeurs“ en général partisanes qui servent surtout de feuilles de vigne pour tenter de dissimuler la vanité et l’hybris de chaque parti, les principes par définition universels dans leur puissance structurante et qui constituent la seule force conceptuelle capable de créer véritablement une essence antiSystème. Pour autant, Onfray n’est pas du tout optimiste, – ou plutôt devrions-nous dire, “par conséquent, Onfray n’est pas du tout optimiste...” Effectivement, dans cette orientation-là nous partageons complètement ce sentiment  à la lumière des réactions diverses que nous avons rapidement passées en revue. (La seule réserve qui nuance ce pessimisme réside évidemment dans la stupidité du Système parce que, après des décennies sinon des siècles de domination, après plus de quinze ans de blairisme triomphant carburant à la spin-communication avec le soutien de toute la surpuissance dont il est capable, déboucher sur un Corbyn à la tête du parti de Tony Blair ce n’est pas très convainquant...)

RT France : « Jacques Sapir a lancé l'idée d'un mouvement rassemblant tous les souverainistes, allant même jusqu'à une alliance avec le FN. Vous avez estimé que “l’idée est bonne (...) de fédérer les souverainistes des deux bords”. Pourquoi ? »

Michel Onfray : « Les souverainistes sont majoritaires dans l’opinion mais inexistants parce que répartis dans des partis très hétérogènes qui comptent pour rien dans la représentation nationale. Mais jamais un électeur de Mélenchon ne soutiendra une thèse de Marine Le Pen et vice versa. Seul un tiers au-dessus des partis pourrait fédérer ces souverainistes de droite et de gauche. »

RT France : « Cette proposition de Sapir ne traduit-elle pas une recomposition des lignes politiques dont le pivot (ou l'axe) ne serait plus l'économie mais le rapport à l'Europe ? Comment voyez-vous cette recomposition politique du paysage français ? »

Michel Onfray : « L’idée est juste, mais elle n’aboutira pas. Les souverainistes sont représentés par des politiciens qui n’ont en tête que leur ego, leur trajectoire personnel, leur narcissisme. Aucun ne sera capable de jouer la fédération sous la bannière d’un tiers en s’effaçant. Entre la France et eux, ils ne choisiront pas la France. »

Mis en ligne le 17 septembre 2015 à 16H23

dimanche, 20 septembre 2015

Les migrations de masse, c'est la guerre...

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LES MIGRATIONS (DE MASSE), C’EST LA GUERRE …

Yves-Marie Laulan*
Ex: http://metamag.fr

Autant appeler un chat un chat. L’immigration clandestine ou illégale de masse, c’est-à-dire subie et non désirée,  est assimilable à un acte de guerre dissimulé sous le masque de l’humanitarisme. Or l’Europe est en guerre sans le savoir ou sans vouloir le reconnaître. Mais la réalité finira bien par s’imposer tôt ou tard.


En effet, qu’est-ce que la guerre, suivie d’une invasion, si ce n’est l’entrée en masse et non sollicitée d’un peuple étranger sur le territoire de ses voisins afin de l’occuper, de s’en approprier partiellement  les possessions tout en prenant la population d’accueil en otage ?
Or c’est bien ce qui se passe actuellement avec l’entrée massive de populations déshéritées qui veulent s’installer sans en demander la permission sur nos territoires et s’adjuger sans façon une fraction de nos richesses par le biais d’aides sociales multiples concédées à perpétuité.


Depuis la plus haute Antiquité, c’est bien ainsi que ce processus mortifère a pris place avec les grands mouvements de population  de l’histoire qui ont entraîné la destruction des empires et des civilisations de l’époque . Et on citera  les invasions barbares qui ont provoqué la chute l’empire romain ou le débarquement de Cortez au Mexique ou encore l’arrivée des Pilgrims Fathersen en Nouvelle Angleterre.


La civilisation au XXIème en Europe n’est nullement à l’abri de ce danger. Sous le barbouillage humanitaire qui  la dissimule , c’est bien une action de guerre que celle qui consiste à débarquer en masse à la gare de Munich ou à l’île de Lampedusa sous le  vocable hautement douteux de réfugié politique fuyant la guerre ou tout bonnement  de migrant à la recherche d’une vie meilleure. 


Les mouvements migratoires de nos jours ressemblent fort à ces glissements de terrains soudains, massifs et dévastateurs qu’un rien peut déclencher sur une pente de terrain détrempée pour aller ravager les champs et les villages situés en dessous. Un rien suffit à les mettre en mouvement. Car enfin la guerre en Syrie dure depuis dix ans ou plus. Qu’est ce qui a bien pu justifier ce branle-bas de combat, si ce n’est je ne sais quelle gesticulation  médiatisée qui ont donné la peur au ventre à nos responsables politiques qui ont, une fois de plus, donné, la mesure de leur inconséquence et de leur pusillanimité, Angéla Merkel en tête.
Mais en réalité, les signes annonciateurs n’ont pas manqué et il a fallu tout l’aveuglement des responsables nationaux et européens, affairés le nez sur le guidon, à gérer leur quotidien ,pour ne pas les percevoir.


C’est l’accumulation depuis plusieurs années, et  notamment depuis un an, de masses humaines considérables en stationnement de parking  sur le pourtour de la Méditerranée : on parle de 800 000 à un million de personnes. C’est que l’on peut décrire comme « l’effet chasse d’eau ». Mais derrière ce trop-plein se dissimulent d’énormes réserves humaines au Moyen-Orient et en Afrique noire, terres lointaines ravagées, certes, par les conflits mais aussi et surtout ruinées par  la corruption, la gabegie, l’incompétence, l’inertie de leurs élites.  Ces masses sont prêtes à déferler sur l’Europe au risque de la submerger, l’engloutir, et , en fin de compte, l’ensevelir.


Car les sources de la migration sont colossales, inépuisables. A l’avenir, au-delà des flux actuels, les flux à venir ne se chiffreront plus en dizaines, ou en centaines de milliers, mais en millions, en dizaines de millions, voire en centaines de millions, si les projections des Nations Unies se révèlent exactes . La question qu’il faut d’ores et déjà se poser avec réalisme et lucidité est de savoir si l’Europe ne va pas être irrémédiablement ravagée, engloutie, ensevelie sous ces flots humains déchaînés. Le risque est bien réel. Ici, l’humanitaire n’est plus de mise. C’est la survie de nos sociétés  de notre civilisation qui est en jeu. 
Compassion humanitaire à quel sommet d’absurdités ne nous conduis-tu pas ?
On devrait instituer un nouveau délit : le « délit d’humanitarisme », associé à un délit aggravé, celui d’ « appel à l’humanitarisme ». En seraient frappés tous les journalistes, reporters et photographes au grand cœur et à la conscience tourmentée qui inondent nos médias d’histoires touchantes et de photos émouvantes sans avoir la moindre idée des conséquences de leurs actes. C’et l’irresponsabilité et l’impunité portées à un haut degré de perfection.


Car les deux instruments principaux de la migration de masse sont en premier lieu le téléphone portable par satellite qui permet de communiquer avec la famille et d’alerter les copains aux antipodes. Mais  les médias jouent aussi un rôle majeur. Elles servent complaisamment de caisse de résonance et d’amplificateur aux informations recueillies sur place auxquelles les moyens médiatiques confèrent dans l’instant une portée mondiale, sans bien entendu la moindre vérification ou réserve sur leur authenticité. L’émotion, l’émotion, d’abord et avant tout, et dans l’instant, telle est la loi du moment. Remarquons que l’immigration dans les conditions actuelles est un excellent investissement financier pour les migrants. En effet, le coût du passage est d’environ 1000 euros . Cette dépense est amortie, dans l’instant, dès lors que le migrant débarque en France (ou en Allemagne) avec sa  famille. Cela  lui rapportera plus ou moins selon les règles du droit d’asile, -droit pervers sinon criminel s’il en est - la somme rondelette de 1200 euros , dès le départ, et puis autant tous les mois de l’année.


L’immigration actuelle nous apporte plus de déficit, plus de chômage, plus de  terrorisme en puissance, avec l’Islam puis l’islamisme  en prime,  la perte de notre identité enfin à la clef. Avouons que cela vaut vraiment le coup d’ouvrir plus  largement encore nos frontières.
Le traitement de l’immigration de masse ne relève absolument pas de la charité ni de compassion humanitaire mais de la justice, du maintien de l’ordre avec recours à la force si nécessaire. D’ailleurs les migrants de Calais ou d’ailleurs ne s’en privent pas.  La solution s’impose d’elle -même.

Elle relève d’une triple interdiction qui devra être opposée aux candidats à l’émigration: il faut les empêcher de partir, les empêcher de transiter, les empêcher d’entrer. On pourrait en ajouter une quatrième qui s’imposera d’elle-même tôt ou tard. Il faudra rapatrier de gré ou de force ceux qui auront quand même réussi à passer au travers des mailles du filet. L’émotion compassionnelle est mauvaise conseillère en politique. C’est le cas d’Angela Merkel que l’on aurait pourtant cru plus contrôlée et maîtresse d’elle-même. Elle a ainsi imprudemment lancé  dans la nature, la promesse folle que l’Allemagne pourrait accueillir jusqu’à 800 000 réfugiés. Pourquoi pas plusieurs millions, tant qu’à faire. Il est vrai que les Allemandes ayant cessé de faire des enfants depuis plusieurs décennies, l’Allemagne accuse un déficit de population qui se chiffre en millions. Mais de là à vouloir le compenser par une immigration massive de migrants adultes, parlant uniquement arabe,  de confession  musulmane et dépourvus de toute formation professionnelle, il y a un pas qu’Angéla Merkel a allègrement franchi.
Mais la sanction n’a pas tardé avec le refus de la Bavière de s’engager sur ces propositions imprudentes, ce qui menace dangereusement la cohésion de la coalition gouvernementale, laquelle conditionne  le maintien aux affaires de la Chancelière allemande. C’est ici que l’on constate les répercussions immédiates de la crise des migrants sur la politique intérieure des Etats. Et ce n’est pas fini. Voilà ce que c’est que de gouverner au gré des sondages et des mouvements d’humeur des médias. On aurait donné crédit à Angéla Merkel de plus de maturité politique. 


La générosité est presque toujours fille de l’aveuglement et de la précipitation . Sur le plan européen un peu de bons sens est venu des membres de l'Union Européenne du Nord et de l’Est, Pologne, République tchèque, Hongrie, Slovaquie, le Danemark aussi. Ces pays qui ont si longtemps vécu sous le joug soviétique, qui savent fort bien ce que signifient des déplacements de population sous la contrainte. Il ne faut pas leur en compter. Durement éprouvés dans  leur histoire,  ils ont purement et simplement refusé  de s’engager tête baissée dans l’absurde politique de quotas préconisée par la Commission européenne.


Mais au demeurant quelle idée stupide –le mot est faible- a eu  la Commission européenne ,à court d’idées que de vouloir proposer, voire contraindre – et par quels moyens et au nom de quelle légitimité politique- les membres de l’Union européenne à accueillir chez eux plusieurs milliers de migrants venus du bout du monde . Ce mode obtus de répartition comptable aurait eu pour objet de répartir le fardeau de l’immigration de masse, comme on dilue des produits dangereux sur le plus grand volume d’eau  possible pour en réduire la nocivité.


Et cela sans distinguer une seconde la conséquence immédiate de cette proposition : un fantastique appel d’air qui, dans l’instant, va  démesurément gonfler la demande migratoire. Bien sûr,puisque les candidats au grand voyage seraient assurés d‘être officiellement et bien confortablement accueillis dès leur  arrivée en gare.


C’est d’ailleurs l’occasion de constater le genre de personnages dérisoires qui ont été portés à la tête des instances européennes. Ces comptables pathétiques veulent traiter de problèmes géopolitiques majeurs comme ils ont  coutume de le faire au moyen de « directives » pour la composition des fromages vendus dans la communauté européenne ou le rayon des roues des bicyclettes.Il faut savoir rester dans son domaine de compétence.Car la démographie et la géopolitique sont  de la dynamite politique.


Et voilà que les Nations Unies avec l’Office pour les Réfugiés , se mettent à leur tour de la partie. Luxueusement installés dans leur bureaux climatisés, grassement payés et exonérés d’impôts, ils sont évidemment fort bien placés pour faire la morale aux peuples européens . Pour leur excuse, il faut savoir qu’ils sont payés pour cela. C’est leur fonds de commerce après tout. Mais ils voudraient stimuler la xénophobie dans nos pays qu’ils ne s’y prendraient pas autrement.En fait, ouvrons les yeux. L’Europe, ses gouvernements et les institutions qu’ils se sont donnés sont tragiquement inadaptés à la situation à laquelle ils sont confrontés.
Sous peine de catastrophe irréparable, cette situation appelle une réflexion nouvelle, une politique nouvelle, des instruments nouveaux et vraisemblablement des hommes nouveaux pour la traiter. Sinon ce sera inévitablement le chaos et, derrière le recours à des gouvernements autoritaires menant dans l’urgence des politiques de survie.


Car ces migrants qui arrivent en masse ne connaissent ni la langue, ni les lois, ni les mœurs des pays où ils prétendent s’établir. Ils aspirent à une vie meilleure. Mais ils apportent avec eux en contrepartie la promesse de plus de déficit, plus de chômage, avec, en prime, l’Islam, l’islamisme et la promesse d’un terrorisme à venir. Si cette situation persiste, et cela est plus que probable, tout ce que à quoi on peut s’attendre est, dans un premier temps, le chaos, puis ,dans un deuxième, le recours inévitable à des politiques répressives ,forcément liberticides, comme aurait dit l’ineffable Badinter en son temps, destinées à rétablir  et à préserver autant que faire se peut l’ordre public.

 
La situation géopolitique inédite, sans précédent dans l’histoire du monde, à laquelle nous sommes confrontés appelle à une révision déchirante des règles et des lois édifiées depuis 30 à 40 ans en Europe dans un contexte totalement différent . Ces lois sont aujourd’hui inadaptées et il faut en élaborer de nouvelle .


La première remise en cause concerne la libre circulation dans l’espace  de Schengen. Elle avait été conçue pour faciliter la circulation d’une poignée de touristes indolents peu disposés à gaspiller quelques minutes  de leur précieux temps pour un contrôle frontalier ou une pincée  de transporteurs soucieux d’améliorer leur rentabilité en faisant l’économie d’un arrêt  à la frontière. Ce qui a grandement facilité les trafics en tout genre portant sur les armes, la drogue, la prostitution et autres délits.


Il faut rétablir les contrôles aux frontières comme on l’a fait  pour le transport aérien à l’embarquement dans les aéroports afin de prévenir le terrorisme aérien. Ces contrôles sont certes, astreignants, coûteux, fastidieux,mais nécessaires, voire indispensables. Les flots humains liés à l’émigration  de masse ne pourront être contenus qu’avec la suppression de Schengen et le rétablissement de contrôles rigoureux aux frontières. Il faut rétablir la sanctuarisation du territoire national.

 

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Mais ce n’est pas tout. C’est aussi à l’intérieur du territoire national qu’il faudra agir,avec des contrôles d’identité aussi fréquents  et rigoureux que nécessaires. A défaut, nos frontières seront des passoires. Et les migrants, une fois passés, se perdront dans la foule comme un poisson dans l’eau.


Mais il faudra aller plus loin encore. Car ce qui est en cause est tout simplement la cohésion interne, toujours fragile, de nos sociétés fondées sur les règles de droit laborieusement élaborées depuis 30 à 40 ans.En réalité, le cataclysme migratoire actuel bouscule dangereusement  l’édifice institutionnel édifié pendant cette période. Cette époque est révolue. A situation nouvelle, règles nouvelles.


Il faut donc purement et simplement mettre un terme au regroupement familial, supprimer le droit d’asile et ses ramifications multiples, effacer le traité de Schengen, rétablir les frontières et mettre véritablement en œuvre, quoi qu’il en coûte, les reconduites à la frontière des migrants illégaux. Il faudra sans doute aussi exercer un certain contrôle sur les médias afin de limiter leur faculté de jouer impunément la carte de l’humanitarisme à tout prix, sans en subir les conséquences.


Et avoir  recours à la force s’il le faut, et aussi souvent qu’il le faudra. Notre survie est à ce prix.

.*Président de l'Institut de Géopolitique des Populations

Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

 

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Is ISIS Conquering Europe With Immigrants ?

Ex: http://journal-neo.org

By Witold Gadowski and Konrad Stachnio

I am talking with Witold Gadowski, a well-known Polish journalist and co-author of Insha Allah Martyrs blond. The first picture tells the story about the Islamic State and suffering of Christians. The film premiere will be held in Spain and Paris.

Whether ISIS has something to do with the current crisis of immigration in Europe?

At the moment the whole activity of the headquarters of the Islamic State is directed to export the Islamic ideology in the interpretation of Abu Bakr al-Baghdadi. Hundreds of young people trained in the Islamic State are now sent as refugees to Europe and North America. Just talk to the spokesman of Western special services to confirm this trend. The training which took place almost officially in Turkish military camps, at the moment it is held in secret. I have seen this training. Volunteers for the Islamic ‘revolution’ are currently becoming a large stream flowing from the former republics of the Soviet Union, mainly Tajikistan, Uzbekistan, Kyrgyzstan, Kazakhstan and the flow from China. It is currently the largest recruitment area. The Islamic State army no longer needs as many volunteers as it did. It does not lead such large operations on land as it did a few months ago. Of course, there are also Chechens, but they are highly valued as officers and experienced guerrillas.

Do you think that Islamic terrorism will be carried out in Europe on a solo terrorist tactics and strategies of a lone wolf?

Well-paid professionals have already built a virtual network a long time ago in different countries that are continually being infected by this ideology. So the activities of these lonely wolves who can commit suicide attacks can be carried out anywhere in Europe.

The economics of terrorism says: we attack where we can terrorize the public opinion the most, where people will be agitated about this fact for at least a week or two. While deciding to attack Charlie Hebdo they knew what they were doing because even after a month from the attack people held marches. They simply brought fear in.

What do the current terrorist networks consist of ? If we are using a bomb, but nobody talks about it, then this bomb brings no effect. If we are forcing the bomb in Baghdad where about 100 people died, it is news only for one day as there are bombs exploding daily  and people are not interested in following these developments. When somewhere in the center of the “free world” we are killing women and children, then fear starts becoming a factor. The economics of the terrorism has always been the same since 1972, when the Black September attacked the Olympics in Munich. Now the terrorism acts through media. These images of violence are being copied millions of times and it is them that terrorize. It is a purpose of terrorists. Killing particular people is not bringing such effects as intimidating the public opinion.

ISIS is an extremely intelligent creature because the people in charge of the activities of ISIS learned from the operation carried out by the Americans against Taliban in Afghanistan. ISIS never creates large miliwashboard formations, and if it creases them then they are placed in civilian areas. So the greatest numbers of ISIS units are located in Mosul. Why? – because it is a 1,5 million city. Bombing ISIS units infests a humanitarian disaster on civilians. This is carnage and none of the free country governments wants to be part of. ISIS is perfectly aware of that. ISIS do not use radio communicators at all. They learned this on the case of Al-Qaeda and earlier on Chechen cases as well. Dudayev was killed because of a satellite phone so all the information is provided through few couriers. These couriers transmit information very quickly. There is no radio, Internet connections or any other electronic way that could be traced by the American system. That is why they are dangerous because they always attack under cover of darkness, turmoil, etc. Then they leave their places very quickly where they live normally. We won’t distinguish ISIS fighters from civilians. Going into every village we only see the religious police, and those people who guide street movement and so on. But we do not see the ISIS units. They are all hid in private homes. At one moment when it comes orders they can leave many places and strike in one place. This is the strategy of ISIS. Besides, they change strategy all the time. Kurds told us that t ISIS attacks differently all the time. Americans do not have a chance to win this war from the air.

Whether you think that ISIS can prepare in Europe some bigger action?

In Dabiq magazine in three articles I read about Rome, the Pope and the anticipated activities of the Islamists against the Pope and Rome. One of the covers of Dabiq is the Saint Peter’s Basilica with the black banner of the Prophet waving over it. One of the main articles of the magazine says that the Islamists want to conquer Rome. In their way of thinking today Rome stands for the West. This article is simply a call to kill the Pope, as the representative of Rome – that is one reason.

They always announce it. When they killed the Dutch filmmaker, they had earlier reported that they would kill him and they did. Considering Charlie Hebdo they also previously served the information that they would take care of them and finally killed them. The bombings in Madrid and London were also announced, in the end they did it. So I would not have played down their announcement. Yes they lead a strong propaganda war, but it goes along with a particular activity.

Konrad Stachnio is an independent Poland based journalist, he hosted a number of radio and TV programs for the Polish edition of Prison Planet, exclusively for the online magazine “New Eastern Outlook”.

vendredi, 18 septembre 2015

Limonov : L’autodestruction de l’EUROPE est irréversible

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Limonov : L’autodestruction de l’EUROPE est irréversible

Le processus d’auto-destruction de l’Occident est en route

L’Écrivain et homme politique Edouard Limonov explique en quoi la migration actuelle vers l’Europe et ses conséquences ressemblent au 11 septembre.

*

Après le 11 Septembre 2001, le monde a changé pour le pire.

Nous avons clairement constaté son changement dans les aéroports. Le contrôle des passagers, ressemblant comme deux gouttes aux fouilles pénitentiaires, est devenu routinier. Vous en avez sûrement tous fait l’expérience et je ne vais pas vous expliquer ce que vous savez déjà.

Le monde est devenu globalement moins démocratique. Depuis la tragédie du 11 septembre, La police est bien plus présente et les pratiques totalitaires augmentent. Partout : aux États-Unis, et dans la vieille, mais inconsciente Europe.

Les Etats-Unis, afin de punir quelqu’un pour le crime du 11 septembre, ont envahi l’Afghanistan, qui vivait tranquillement dans sa version plutôt pacifique du Moyen-Age, sous prétexte que l’Afghanistan abritait Ben Laden, et que ce trublion saoudien avait organisé les attaques terroristes de New York. Personnellement, je pense que Ben Laden, le suffisant leader d’Al-Qaida, s’est simplement contenté de s’attribuer le mérite du plus grand acte terroriste de l’histoire.

Nous avons tous vécu ces 14 dernières années dans une ambiance de libertés décroissantes avec des aspects de non-liberté très semblables aux pratiques décrites dans le livre de George Orwell « 1984 » de plus en plus enracinés dans nos vies. Pas encore le fascisme, mais un type particulier de totalitarisme – généré par la peur, bien sûr – mais cela ne rend pas la chose plus facile.

Pour compenser la limitation des libertés politiques des citoyens et la mise en place de pratiques carcérales, l’Europe et les États-Unis se sont mis, de manière suspecte, à insister sur les droits secondaires de l’individu.

Je veux dire que l’engouement général de nos gouvernements européens et étasuniens pour les amours de même sexe, les mariages de même sexe, de leur emballement dégoulinant d’humanité pour les droits des personnes handicapées et l’adoption des enfants malades et étrangers, etc. – la liste est longue – va de pair avec le durcissement de la vie politique dans l’Ouest et l’augmentation des pouvoirs de police.

C’est comme cela que ça s’est passé jusqu’à ces dernières années. 2013, 2014 et 2015 nous ont apporté de nouvelles surprises. Et il y en aura d’autres. L’Europe est confrontée à un choix : soit devenir activement nationaliste avec des aspects nazis et fascistes, soit changer du tout au tout. Le problème de l’invasion de migrants vers l’Europe est le pire défi de l’Europe de toute son histoire.

Quelle est la situation?

En raison de la politique de prédation des Etats-Unis et de l’Europe, le système étatique de plusieurs pays importants s’est désagrégé. L’Afghanistan, l’Irak, la Libye – et pour finir la Syrie – ont été attaqués par l’Occident. Les guerres soi-disant pour les «droits humains», les conflits armés menés par l’Occident, étaient et restent des agressions, seulement recouverts de l’habillage moderne des droits humains pour dissimuler leur essence cannibale. L’Afrique est déstabilisée, directement ou indirectement, les affrontements entre les «bons» et les «mauvais» qui font rage dans plusieurs pays africains – le Mali, en est l’exemple le plus flagrant – ont aussi détruit leurs systèmes étatiques.

L’Ukraine a détruit son Etat apparemment toute seule, mais n’y a-t-elle pas été encouragée par les Américains, les Polonais, les Néerlandais, les Allemands, les Finlandais, les Français, les Baltes, qui sont venus parler aux Ukrainiens sur  le Maïdan? Et donc il faut ajouter l’Ukraine aux nombreux états détruits. Les Européens et les Yankees ont monté systématiquement le Maidan contre la Russie. C’est intéressant de constater que  bien que la Russie ne soit plus un pays communiste, ni soviétique, ils continuent de nous haïr avec la même violence. Il est donc clair maintenant, du moins je l’espère, que l’anti-communisme et l’anti-soviétisme ne servaient qu’à camoufler leur russophobie.

Et maintenant les peuples et les tribus fuient leurs pays dévastés.

Pour aller où?

Les côtes américaines sont loin, les bateaux fragiles ne peuvent pas traverser l’océan.

Et l’île italienne de Lampedusa n’est qu’à quelques encablures de la côte ravagée de la Libye. Et la Grèce est proche.

ISIS a beau être riche, terrifiant et rusé, il n’a pas les moyens d’organiser l’exode d’un nombre incalculable de réfugiés. Je ne crois pas un seul instant que  ces démons de l’enfer aient envoyé des centaines de milliers de réfugiés vers l’Europe. Ce n’est pas ISIS.

La plupart de ceux qui déferlent sur l’Europe sont des hommes jeunes parce que les hommes ont plus de force que les femmes et les enfants, ils peuvent surmonter les difficultés et les souffrances d’un voyage par-delà trois mers vers le cœur de la riche Europe – la riche Allemagne.

Qui fuit la guerre, qui fuit la ruine et la pauvreté, qui fuit les conséquences de la guerre ? Il est difficile de faire le tri. Et même le plus grand professeur à la Sorbonne n’en est pas capable. Car les trois sont vrais.

C’est vous, Européens et Américains, qui avez donné un coup de pied dans la fourmilière, alors de quoi vous plaignez-vous ? Tout cela est votre faute! Pour que les migrants n’affluent pas chez vous, il faudrait rendre leurs conditions d’accueil insupportables. Mais vous ne le ferez pas. Pas parce que vous êtes bons, vous n’êtes pas bons, mais parce qu’il est important pour vous de donner une bonne image, une image humanitaire, après vous être lavés les mains dans le sang des citoyens des Etats qui vous avez mis en pièces.

Comme le 11 septembre 2001, les migrants (les images de la gare à Budapest sont frappantes et fortes, parce que c’est le Moyen-Orient, l’Asie et l’Afrique qu’on voit sur les photos et les vidéos, pas l’Europe) vont tellement changer le monde qu’on ne le reconnaîtra plus. Ils le changent déjà.

De deux choses l’une, soit en fin de compte les gens auront, en Europe, une autre religion, des yeux noirs et la peau sombre. Cela n’a rien à voir avec le racisme, (au cas où on serait tenté de m’en accuser), mais les citoyens de l’Allemagne ressembleront aux citoyens du Moyen-Orient. Soit on aura des Etats fascistes et racistes, retranchés derrière des barbelés, des murs et des mitrailleuses. Il n’y a pas de troisième solution.

Je viens d’apprendre qu’en Russie il y a 2,5 millions de réfugiés venus d’Ukraine (ou plutôt, 2 503 680 personnes), mais on ne peut pas les  distinguer des Russes. Donc, l’assimilation ne nous menace pas. Nous aurons les mêmes yeux, la même peau, la même religion. Les Ukrainiens n’auront pas de problème pour s’intégrer. Nous sommes dans une meilleure situation que la malheureuse Europe, vouée à perdre la forme qui a été la sienne pendant un demi-millénaire.

Cela me fait de la peine. Je préfère garder la vieille Europe. Mais puisqu’il semble qu’on n’ait pas le choix et que de toute façon l’Europe est hostile à la Russie, eh bien qu’elle disparaisse !

Le processus d’auto-destruction de l’Occident est déjà irréversible. Comme disait Gorbatchev : « Le processus est en route ».

Nous avons assisté à l’auto-destruction de l’URSS. Maintenant, c’est le tour de l’Europe. Chacun à sa manière.

 Edouard Limonov | 12.09.2015

*Edouard Limonov, est un auteur et un homme politique. Il est le leader du parti « L’Autre Russie ».

Article original: http://fortruss.blogspot.fr/2015/09/eduard-limonov-europes-self-destruction.html

Traduit du russe par Kristina Rus et de l’anglais par Dominique Muselet

Source: http://arretsurinfo.ch/limonov-lautodestruction-de-leurope-est-irreversible/

jeudi, 17 septembre 2015

Syrien – von den kolonialen Interessen Grossbritanniens und Frankreichs, zur Sicherung von Rohstoffen für die USA

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Syrien – von den kolonialen Interessen Grossbritanniens und Frankreichs, zur Sicherung von Rohstoffen für die USA

Interview mit Karin Leukefeld*

Ex: http://www.zeit-fragen.ch

In den Medien ist bereits von einer neuzeitlichen Völkerwanderung die Rede. Und auch über die Verantwortung sogenannter Schlepperbanden für die Flucht womöglich krimineller, mindestens aber heimlich wohlhabender Flüchtlinge wird diskutiert. Die Ursachen des Massenelends der Flüchtigen werden jedoch kaum erforscht. Die Syrien-Korrespondentin Karin Leukefeld berichtet im Interview mit Jens Wernicke von einem Wirtschafts- und Stellvertreterkrieg, der zunehmend zum Exitus des syrischen Staates führe, die Bevölkerung in den Hungertod treibe und bereits 11 Millionen Syrer auf die Flucht getrieben hat.

Frau Leukefeld, Sie sind neben Jürgen Todenhöfer die einzige mir bekannte deutsche Journalistin, die im Mittleren Osten wirklich vor Ort unterwegs ist, mit den Menschen dort spricht und darauf aufbauend dann qualifizierte Analysen, die mehr als nur Stereotype bedienen, produziert. Im Moment kommen Sie gerade von einer Syrien-Reise zurück. Wie ist die Situation vor Ort?

Es kommt darauf an, wo man sich in Syrien aufhält. In der Küstenregion ist es ruhig, manche Syrer, die jetzt in Europa leben, fahren sogar zum Urlaub dorthin, um ihre Familien zu treffen. Allerdings gibt es dort sehr viele Inlandsvertriebene, es ist also überall sehr eng geworden.
In Idlib, einer an die Küstenregion angrenzenden Provinz, herrschen die «Armee der Eroberung» und die al-Nusra-Front, Zehntausende sind geflohen, manche Dörfer werden belagert. In Aleppo ist die Lage schlimm, es herrscht Krieg zwischen den bewaffneten Gruppen und der syrischen Armee. Viele Teile der Stadt sind zerstört, die Strom- und Wasserversorgung bricht immer wieder ein, Lebensmittel sind sehr teuer, wenn sie überhaupt erhältlich sind. Bewaffnete Gruppen feuern Mörsergranaten, Raketen und selbstgebaute Geschosse in Wohngebiete, die syrische Armee feuert zurück.


Östlich von Aleppo gibt es Gebiete, die von Kurden kontrolliert werden, andere von dem selbsternannten «Islamischen Staat im Irak und in der Levante» (IS). Dort ist es extrem unsicher, die Fronten wechseln täglich, die syrische Luftwaffe und die von den USA geführte «Anti-IS-Allianz» fliegen Luftangriffe. Neuerdings fliegt auch die türkische Luftwaffe Angriffe. Im Nordirak greift sie Stellungen der Arbeiterpartei Kurdistans (PKK) an. Im Norden Syriens greift sie die von den syrischen Kurden kontrollierten Gebiete an. Der Einsatz läuft unter dem Motto «Kampf gegen den ‹Islamischen Staat›». Die USA wollen mit der Türkei nördlich von Aleppo eine «Schutzzone» durchsetzen. Das ist eine militärische Massnahme innerhalb Syriens, die der Genehmigung des UN-Sicherheitsrates bedarf. Die gibt es nicht, also handelt es sich um den Angriff auf einen souveränen Staat und ist eine Verletzung des Völkerrechts.
Die besiedelten Gebiete der zentralen Provinz Homs werden weitgehend von der syrischen Regierung und von der Armee kontrolliert. Die Wüstengebiete, die sich im Osten bis an die Grenze zum Irak erstrecken, sind unsicher. Die Lage in Tadmur, der modernen Stadt, die bei Palmyra liegt, ist unklar. Aus dem Kloster Deir Mar Elian, das ich sehr oft besucht habe, wurden Ende Mai der Priester Jacques Mourad und ein weiterer Geistlicher entführt. Von beiden fehlt jede Spur. Inzwischen wurden die Menschen auch aus Qaryatayn und Sadat vom IS vertrieben, viele von ihnen Christen.


Damaskus beherbergt bis zu 7 Millionen Menschen, Inlandsvertriebene aus allen Teilen des Landes. Es ist weitgehend ruhig, Strom und Wasser sind knapp, aus den Vororten um Damaskus, wo die Islamische Front und die al-Nusra-Front Basen haben, wird immer wieder auf die Stadt gefeuert, umgekehrt feuert die syrische Armee auch dorthin.
Sweida, wo die Drusen und Christen leben, ist noch ruhig, ich fahre jedes Mal dorthin, wenn ich in Syrien bin. Deraa ist weiter umkämpft und der Golan, an der Grenze zu Israel, ebenso. Derzeit findet eine grosse Schlacht um Zabadani statt, das liegt an der Grenze zu Libanon. Dort gibt es ein Hauptquartier der bewaffneten Gruppen, die um Damaskus herum agieren. Die syrische Armee und die libanesische Hizbullah, die gemeinsam kämpfen, wollen diese strategisch wichtige Basis der Kampfgruppen zurückerobern.


Das Leben ist teuer, das syrische Pfund hat nur noch ein Fünftel der Kaufkraft von 2010. Viele Menschen haben alles verloren, es wird gebettelt, Fleisch kommt nur noch selten auf den Tisch. Wenn die Leute überhaupt noch einen Tisch haben. Die Arbeitslosigkeit liegt bei über 40 Prozent, Kinder arbeiten, um der Familie zu helfen und gehen nicht mehr in die Schule. Die Hälfte der 500 000 syrischen Palästinenser ist geflohen, weil ihre Lager, die eigentlich Städte waren, zerstört sind.


Die wirtschaftlichen Zentren Syriens – die um Aleppo, Homs und Damaskus angesiedelt waren – sind weitgehend zerstört. Syrien hatte eine eigene Pharmaindustrie, eine hervorragende Textilindustrie, eine Lebensmittelindustrie und grosse Getreidereserven: Alles ist zerstört, geplündert und in die Türkei verkauft. Die bescheidenen Ölvorkommen im Osten des Landes werden von Kampfgruppen kontrolliert, das Öl ausser Landes geschmuggelt und dort oder auch im Land verkauft, selbst an die Regierung.


Inzwischen sind viele Ölförderanlagen von der Anti-IS-Allianz bombardiert worden. Und dann die archäologischen Stätten in Syrien, die bis zu 10 000 Jahre vor die christliche Zeitrechnung zurückdatieren – von Kämpfern besetzt und belagert, geplündert, zerstört.


Die Lage ist hart, das Elend gross. Besonders für die Syrer auf der Flucht. 4 Millionen von ihnen sind in Nachbarstaaten geflohen, weitere 7 sind innerhalb Syriens auf der Flucht.
Die Perfidie ist, dass diese Fluchtbewegungen politisch instrumentalisiert werden. Der innersyrische Konflikt wurde zu einem regionalen und schliesslich zu einem internationalen Stellvertreterkrieg ausgeweitet. Dort, wo Menschen flohen, zogen bewaffnete Gruppen ein, die bis heute regional und international unterstützt werden. Und dann hiess es, die syrische Regierung hat keine Kontrolle mehr und ist ohnehin die «Wurzel von allem Bösen» in Syrien, wie es gerade erst wieder ein Sprecher des US-Aussenministeriums erklärte. Syrien wird zu einem «failed state» erklärt, in den man humanitär und militärisch eingreifen kann.

Und diese Armut, dieses Elend, das Sie beschreiben und vor dem die Leute fliehen: Wo kommen die her, woraus resultieren die? Und wie meinen Sie das mit dem Stellvertreterkrieg? Bitte führen Sie das doch kurz aus …

Syrien ist ein Entwicklungsland. Es war 2010 auf dem aufsteigenden Ast und sollte 2015, also in diesem Jahr, die fünftstärkste Wirtschaftsmacht der arabischen Welt sein.
Heute liegt Syrien knapp vor Somalia. Die durch den Krieg entstandene Wirtschaftskrise wird durch die Wirtschaftssanktionen der EU noch verschärft. Was wir hier beobachten, ist auch ein Wirtschaftskrieg gegen ein aufstrebendes Land.


Die Wirtschaftssanktionen der EU begannen bereits Ende 2011 und betrafen den Öl- und Gashandel sowie den Finanzsektor. Die syrische Fluggesellschaft durfte europäische Flughäfen nicht mehr anfliegen, alle bilateralen Projekte wurden gestoppt, das Personal abgezogen, Syrien wurde isoliert. Anfangs konnten der Staat und die Bevölkerung Mängel aus eigenen Ressourcen überbrücken, doch die waren eines Tages aufgebraucht. Der Staat erhielt finanzielle Unterstützung und nahm bei Iran Kredite auf. Damit konnten Verluste aus der Ölindustrie verringert werden, Öl und Gas konnten an die Bevölkerung, an die noch funktionierende Industrie und die Armee geliefert werden. Doch die nationale Ökonomie wurde dem Krieg untergeordnet, es entstand eine Kriegsökonomie.

 

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Offiziell will die EU mit ihren Wirtschaftssanktionen die politische und militärische Führung Syriens unter Druck setzen, dass sie nachgeben und zurücktreten soll. Das ist nicht geschehen. Statt dessen wurde die Gesellschaft bestraft, ihre mühsam aufgebaute Existenzgrundlage zerstört. Geld konnten fortan diejenigen verdienen, die vom Krieg profitierten: Milizen, Schmuggler, Schwarzmarkthändler.


Jenseits der Sanktionspolitik wurde die Wirtschaft Syriens auch gezielt materiell zerstört. Am besten war das in Aleppo und in Damaskus zu sehen. Im Sommer 2012 gab es einen koordinierten Angriff, der eigentlich zum Sturz der syrischen Führung führen sollte. In Damaskus wurden bei einem Anschlag im Nationalen Sicherheitsrat vier hochrangige Militärs und Geheimdienstler getötet. Unmittelbar darauf folgten Angriffe auf Aleppo und Damaskus. Ausgeführt wurden diese Angriffswellen von Kämpfern, die aus Homs abgezogen worden waren, nachdem der Kampf um Baba Amr sich zugunsten der Streitkräfte entschieden hatte. Diese Kämpfer hatten sich im Umland der beiden grossen Städte gesammelt, wo sie von lokalen Kräften unterstützt wurden. Der Umsturz gelang nicht, sowohl die Aleppiner als auch die Damaszener weigerten sich, den Kampfgruppen die Tore in ihre Städte zu öffnen. Als Reaktion auf diese Weigerung wurden die Industriegebiete um Aleppo und um Damaskus zerstört, geplündert und zu Stützpunkten für weitere Angriffe auf die beiden Städte gemacht.
Und dass es sich hier um einen Stellvertreterkrieg handelt, wird klar, wenn man versteht, dass der sogenannte Islamische Staat, der vor Ort «Daish» genannt wird, anders als in unseren Leitmedien gern verbreitet, alles andere als aus dem Nichts aufgetaucht ist. Regionale und internationale Sponsoren stehen hinter ihm, so dass er offenbar über unerschöpfliche finanzielle Ressourcen verfügt.


Diese Sponsoren benutzen die Kämpfer, um die Nationalstaaten zu zerstören, die vor 100 Jahren in der Levante gegen den Willen der damaligen Bevölkerung geformt worden waren. Damals ging es um die kolonialen Interessen von Grossbritannien und Frankreich, heute geht es um die Sicherung von Rohstoffen für die von den USA angeführte westliche Welt. Der Zorn der Golf-Staaten auf die unabhängige Politik, die in Syrien verteidigt wird, schlägt sich nieder in der Bewaffnung und Ausbildung von irregulären Kampfgruppen, die von «Daish» dominiert werden. Der gesellschaftliche Boden, der sie nährt, ist Armut.

Haben Sie für derlei «Spirale in die Armut», um die es ja offenkundig geht, vielleicht ein konkretes Beispiel parat?

Nehmen wir einen Betrieb, der medizinische Einrichtungen für Praxen und Kliniken verkauft. Bisher hat der Betrieb die Einrichtungen aus Deutschland bezogen. Auf Grund der EU-Sanktionen konnte nichts gekauft und nichts mehr geliefert werden. Und in einem anderen Land zu kaufen, war schwierig für den Betrieb, weil sämtliche Geldgeschäfte unterbrochen waren. Die syrische Zentralbank steht unter Sanktionen, niemand darf mit ihr Geschäfte machen. Um das zu umgehen, liefert nun beispielsweise die deutsche Firma die Produkte an ein Unternehmen in Libanon, das sie dann an die syrische Firma weiterverkauft. Libanon ist an die EU-Sanktionen nicht gebunden. Der Warentransfer wird so extrem teuer.


Ein anderes Beispiel ist, dass Eltern, deren Kinder im Ausland studieren, ihnen kein Geld mehr schicken können, weil mit den syrischen Banken keine Geschäfte gemacht werden dürfen. Das gleiche gilt übrigens auch für Stipendien der syrischen Regierung für Studierende im Ausland. Oder Medikamente: Bisher waren sie sehr billig, weil sie in Syrien produziert wurden. Die Pharmaindustrie ist weitgehend zerstört, also werden Medikamente aus Libanon eingeführt oder aus der Türkei geschmuggelt – das treibt den Preis in schwindelnde Höhen.

Und die Interessen im Hintergrund dieses Konfliktes – von welchen Kräften sprechen wir hier? Wen meinen Sie, wenn Sie «Sponsoren» sagen?

Sponsoren sind diejenigen, die die bewaffneten Gruppen gegen die syrische Regierung und Armee unterstützen. Russland und Iran, die die syrische Regierung stützen, sind deren Alliierte oder Bündnispartner, weil sie mit dem syrischen Staat durch völkerrechtlich bindende Verträge verbunden sind. Die Regionalstaaten die Türkei, Saudi-Arabien und Katar sind eher «Sponsoren», weil sie Gruppen für eigene Zwecke benutzen, sie aber auch, wenn es opportun ist, wieder fallen lassen können. Das gilt auch für die Sponsoren unter den europäischen Staaten, aus Australien und aus den USA.


Von dem Chaos, das sich über den Irak und Syrien ausbreitet, profitieren vor allem die Golf-Staaten, die Türkei und die USA. Nicht die Bevölkerung natürlich, sondern politische und industrielle Eliten, allen voran die Rüstungsindustrie. Die arabische Halbinsel ist in den letzten 5 Jahren zu einem riesigen Waffenlager aufgerüstet worden. Westliche Militärs, staatliche und private, bilden Kämpfer aus, bewaffnen sie und schicken sie in den Krieg. Die USA liefern Rüstungsgüter in Milliardenhöhe an die Golf-Staaten ebenso wie an Israel. Deutschland bewaffnet die nord­irakischen kurdischen Peschmerga und bildet sie aus, und die Türkei profitiert als Nato-Land von ihrer Frontstellung zu Syrien und zum Irak. Natürlich wird Syrien von Russ­land und Iran militärisch unterstützt, aber das geschieht, wie gesagt, auf der Basis von bilateralen Verträgen.


Übrigens haben in keinem der vom «arabischen Frühling» betroffenen Länder die Protestbewegungen der jungen, aufgeklärten und modernen Jugend überlebt, nirgends! In Tunesien, Ägypten und Syrien wird das Geschehen vom politischen Islam bestimmt, ob als Kampf- oder Oppositionsgruppe.

Relevant ist bei alldem aber sicher doch auch der religiöse Fanatismus der Menschen vor Ort, der dazu beiträgt, dass es sozusagen regelrechte «Religionskriege» gibt …

Die Syrer waren nie religiöse Fanatiker! Lediglich die Muslim-Bruderschaft, die den ­politischen Islam propagiert, genauer gesagt, ein Flügel in der syrischen Muslim-Bruderschaft versuchte Ende der 1970er Jahre den Aufstand gegen die Baath-Partei, die einen säkularen Staat durchgesetzt hatte. Dieser Aufstand endete 1982 mit dem Massaker von Hama. Tausende starben beim Luftangriff der syrischen Armee, Tausende verschwanden ganz oder in Gefängnissen. Wer konnte, floh, die Muslim-Bruderschaft wurde bei Todesstrafe verboten.
Das wirkt natürlich nach, und viele junge Leute, die sich heute bei islamistischen Kampfverbänden verdingt haben, erinnern an Hama, wenn man sie fragt, warum sie kämpfen. Ein junger Mann, der allerdings friedlich demonstrierte, erzählte mir 2011, als alles begann, dass sein Onkel in Hama verschwunden sei und die ganze Familie deswegen die Opposition unterstütze. Allerdings muss man auch daran erinnern, dass der Damaskus-Flügel der Muslim-Bruderschaft damals, in den 1970er Jahren, gegen den bewaffneten Aufstand war.


Die Rolle der Muslim-Bruderschaft bei der Entstehung des radikalen politischen Islam darf dennoch nicht unterschätzt werden. Auch die Regierungspartei AKP in der Türkei ist eine Schwesterpartei der Muslim-Bruderschaft, und eine Umfrage hat ergeben, dass mehr als 10 Prozent der türkischen Bevölkerung den «Islamischen Staat im Irak und in der Levante» nicht als terroristische Organisation oder als Gefahr ansehen, sondern für legitim halten und unterstützen. Das ist nur möglich, weil die türkische Regierung selber eine Linie des politischen Islam verfolgt. In einem säkularen Staat wäre so etwas nicht denkbar.
Doch zurück zu Syrien. Es gab viele ­politische Konflikte, aber kulturell und religiös war Syrien immer ein sehr tolerantes und offenes Land. Auch diese Toleranz soll jetzt zerstört werden. Das kommt allerdings nicht «von unten» oder «aus dem Wesen der Menschen» vor Ort – das ist Folge der geopolitischen Interessen und strategischen Auseinandersetzungen.

Die Leute fliehen und leiden also, weil der sogenannte Westen ihre Heimat mit Krieg überzieht und wirtschaftlich in die Knie zwingt? Böse Schlepperbanden, über die wir medial viel hören, sind also nicht das Hauptproblem, auf Grund dessen inzwischen 11 Millionen Syrer auf der Flucht sind?

Die Schlepperbanden sind die Folge einer völlig falschen Politik im Mittleren Osten, nicht die Ursache. Diese Schlepperbanden sind integraler Teil der Kriegswirtschaft. Ohne Krieg hätten sie gar kein Geschäft. Sie benutzen die gleichen Wege, über die Waffen, Munition, Ausrüstung, Satellitentelefone und Kämpfer ebenso geschmuggelt werden wie Drogen und andere Dinge, die für den Krieg in Syrien gebraucht werden.


Die Flüchtlinge begegnen auf diesen Schmuggelpfaden den Kämpfern, die Organisatoren sind die gleichen. Das Büro der Vereinten Nationen für Drogen- und Verbrechensbekämpfung hat über diese Schmuggelpfade einen ausführlichen Bericht vorgelegt.
Solange sich mit Krieg und dem Leid betroffener Menschen viel Geld verdienen lässt, wird sich wohl auch nichts daran ändern.

Wie kommt es, das in unseren Medien hierüber kaum überhaupt und wenn dann in aller Regel vollkommen undifferenziert berichtet wird?

Diese Fragen muss man den grossen, den sogenannten Leitmedien stellen. Sie sollen das Denken und die Wahrnehmung der Bevölkerung leiten, anleiten und «einordnen», wie es neuerdings heisst. Für mich heisst das so viel wie: Sie geben vor, in welche Richtung zu denken und ein Konflikt «einzuordnen» ist. Mit der Realität in den Konfliktregionen hat das wenig zu tun, zumal viele Kollegen gar nicht dort, sondern in der Stadt eines Nachbarlandes oder auch im Heimatstudio eines Senders sind. Ein Pendant zu dieser Darstellung wäre eine Berichterstattung, die über kriegerische Optionen und Entwicklungen zwar berichtet, die nichtbewaffneten und politischen Vorschlägen, Initiativen und Entwicklungen aber mindestens ebenso viel, wenn nicht mehr Raum einräumen würde.

 

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Was müsste Ihrer Einschätzung nach geschehen, damit in Syrien wieder Frieden möglich wird? Und: Gibt es etwas, das wir, die deutsche Bevölkerung, tun können, um zu unterstützen und zu helfen gegen das Elend vor Ort?

Die USA und Russland müssen sich auf ein gemeinsames Vorgehen zu Stabilisierung Syriens und des Iraks einigen und die syrische Regierung und Streitkräfte ebenso wie die Regierung und Armee des Iraks einbeziehen. Vorbedingungen – wie «Assad hat keine Zukunft in Syrien» – haben zu unterbleiben. Die syrischen Akteure müssen dabei unterstützt und nicht davon abgehalten werden, sich an einen Tisch zu setzen. Einflussnahme im eigenen Interesse hat zu unterbleiben. Die Türkei muss – von der Nato oder bilateral von einzelnen Nato-Staaten – dazu gezwungen werden, ihre Unterstützung für den sogenannten Islamischen Staat einzustellen. Falls sie das nicht tut, muss die Türkei militärisch sanktioniert werden. Und die Heimatländer der internationalen Dschihadisten müssen die Ausreise islamistischer Kämpfer oder Unterstützer unterbinden. Dazu gehört in den jeweiligen Staaten auch eine Auseinandersetzung über ein respektvolles Zusammenleben und Chancengleichheit.
Die Bevölkerung muss vor allem den in Deutschland eintreffenden Flüchtlingen zur Seite stehen. Allerdings darf die Bundesregierung, die mit einer falschen Politik zu deren Flucht beigetragen hat, nicht aus der Verantwortung für diese Menschen entlassen werden. Im Bundestag, in den Landesparlamenten, Gewerkschaften, Schulen, Kirchen, in Blogs und politischen Versammlungen – überall muss über die Hintergründe des Krieges in Syrien aufgeklärt werden. Das ist Sache von jeder und jedem, der diesen Krieg beenden will.

Noch ein letztes Wort?

Ja. 70 Jahre nach dem Ende des Zweiten Weltkrieges will ich an das Gedicht von Wolfgang Borchert erinnern: «Dann gibt es nur eins, sag NEIN». In der direkten Nachbarschaft Europas, im östlichen Mittelmeerraum und in Teilen Afrikas finden seit 25 Jahren ununterbrochen Kriege statt, die sich immer mehr ausweiten. Nehmen wir den Israel-Palästina-Konflikt hinzu, haben wir seit 1948 Krieg im Mittleren Osten. Mit der völkerrechtswidrigen Besetzung des Iraks 2003 haben die USA schliesslich «das Tor zur Hölle» geöffnet, vor dem viele bereits damals warnten.


Palästinenser sind seit bald 70 Jahren auf der Flucht oder leben – etwa in Gaza oder der West Bank – wie Gefangene in ihrem eigenen Land. Iraker sind auf der Flucht, jetzt die Syrer. Der Westen befeuert diese Kriege, auch Deutschland, das Waffen liefert und zum Bruch des Völkerrechts schweigt. Die politische Opposition im Bundestag oder im Europaparlament wird ihrer Aufgabe in Sachen Krieg und Frieden nicht gerecht. Und viele Medien agieren wie Kriegstrommler.


Ich vermisse die grosse Friedens- und Antikriegsbewegung, die einst gegen den Irakkrieg noch auf die Strasse ging. Sie muss zusammenstehen und darf sich nicht spalten lassen. Die Friedensbewegung muss gegen diese Kriege auf die Strassen!

Ich bedanke mich für das Gespräch.    •

(Interview Jens Wernike)

Quelle: www.nachdenkseiten.de/?p=27340 vom 27.08.2015

*    Karin Leukefeld, Jahrgang 1954, studierte Ethnologie, Islam- und Politikwissenschaften und ist ausgebildete Buchhändlerin. Organisations- und Öffentlichkeitsarbeit unter anderem beim Bundesverband Bürgerinitiativen Umweltschutz (BBU), Die Grünen (Bundespartei) sowie der Informationsstelle El Salvador. Seit dem Jahr 2000 ist sie als freie Korrespondentin zum Mittleren Osten tätig. Ihre Webseite ist leukefeld.net.

 

Michel Onfray : « L’Occident attaque, prétendument pour se protéger, mais il crée le terrorisme »

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Michel Onfray : « L’Occident attaque, prétendument pour se protéger, mais il crée le terrorisme »

L’Europe, la guerre, le terrorisme, la crise migratoire, autant de questions auxquelles le philosophe a accepté de répondre.

Michel Onfray est docteur en philosophie. Il a publié une soixantaine d’ouvrages dont Traité d’athéologie : Physique de la métaphysique, Le Crépuscule d’une idole, Contre-histoire de la philosophie. Ses derniers ouvrages parus : Avant le silence. Haïkus d’une année, Galilée, 2014. Bestiaire nietzschéen. Les Animaux philosophiques, Galilée, 2014. Cosmos, Flammarion, 2015

On ne présente plus Michel Onfray, philosophe que l’on dit iconoclaste, grand pourfendeur devant l’Eternel (ou ce qui lui tient d’éternité) des conformismes et autres tables de lois. Il revient pour RT France sur les sujets qui ont, ces derniers temps, vrillé l’actualité.

RT France : Comment jugez-vous la façon qu’a l’Europe de traiter de cette crise migratoire ? 

Michel Onfray (M.O.) : L’Europe n’existe pas, sauf par sa monnaie unique. On voit bien dans cette affaire combien elle est impuissante, nulle, désarticulée. Elle bricole, ne parle pas d’une seule voix, elle improvise. C’est pitoyable.

RT France : Quand vous dites «BHL fait partie des gens qui ont rendu possible cet enfant mort», que vouliez-vous dire par là ? Qui sont «les  autres gens» ?

M.O. : Que tous ceux qui ont justifié les guerres contre l’Afghanistan, l’Irak, la Libye, le Mali et autres pays musulmans sont responsables et coupables. Ils ont légitimé le bombardement de milliers de personnes sur place. Que la communauté musulmane soit en colère contre l’Occident me parait tout à fait légitime. L’Occident attaque prétendument pour se protéger du terrorisme, mais il crée le terrorisme en attaquant. Quel irakien menaçait la France en 1991 ? Saddam Hussein finançait même la campagne d’un président.

L’Occident attaque prétendument pour se protéger du terrorisme, mais il crée le terrorisme en attaquant.

RT France : Depuis la publication de la photo du petit enfant, les opinions publiques européennes semblent opérer une volte-face sur cette question, comment l’expliquez-vous ? Qu’est-ce que cela dit de nos opinions publiques ?

M.O. : Les médias ont transformé le peuple qui pensait en populace qui ne pense pas et ne réagit plus qu’à l’émotion, au pathos, à la passion. L’image d’un enfant mort interdit de penser : elle arrache immédiatement la pitié. La pitié empêche de penser. La preuve : ceux qui ont rendu possible cette mort en détruisant les pays bombardés vont répondre en bombardant plus encore.

RT France: Pourquoi cette crise migratoire semble-t-elle être traitée politiquement et médiatiquement «hors-sol», comme si elle n’avait pas de causes géopolitiques précises?

M.O. : Parce que le personnel politique est fait de gens médiocres qui n’ont aucune vision d’avenir pour le pays, aucun sens de l’histoire et qu’il n’écoute plus que les communicants qui leur donnent des recettes pour être élus ou réélus. La question n’est plus : «qu’est-ce qui est bon pour la France ?», mais «qu’est-ce qui va permettre ma réélection ?». La guerre, on le sait, hélas, booste les cotes de ceux qui les déclenchent. La testostérone fait plus en la matière que la matière grise. 

RT France : François Hollande a annoncé des frappes aériennes sur la Syrie que vous avez aussitôt vivement condamnées. Pourquoi ?

M.O : Bombarder des combattants de l’Etat Islamique suppose tuer des victimes civiles innocentes, les uns vivant chez les autres, et que ça n’empêchera pas un islamiste radical vivant en France de passer à l’acte. Au contraire !

RT France : Jacques Sapir a lancé l’idée d’un mouvement rassemblant tous les souverainistes, allant même jusqu’à une alliance avec le FN. Vous avez estimé que «l’idée est bonne (…) de fédérer les souverainistes des deux bords». Pourquoi ?

M.O. : Les souverainistes sont majoritaires dans l’opinion mais inexistants parce que répartis dans des partis très hétérogènes qui comptent pour rien dans la représentation nationale. Mais jamais un électeur de Mélenchon ne soutiendra une thèse de Marine Le Pen et vice versa. Seul un tiers au-dessus des partis pourrait fédérer ces souverainistes de droite et de gauche.

RT France : Cette proposition de Sapir ne traduit-elle pas une recomposition des lignes politiques dont le pivot (ou l’axe) ne serait plus l’économie mais le rapport à l’Europe ? Comment voyez-vous cette recomposition politique du paysage français ?

M.O. : L’idée est juste, mais elle n’aboutira pas. Les souverainistes sont représentés par des politiciens qui n’ont en tête que leur ego, leur trajectoire personnel, leur narcissisme. Aucun ne sera capable de jouer la fédération sous la bannière d’un tiers en s’effaçant. Entre la France et eux, ils ne choisiront pas la France.

mercredi, 16 septembre 2015

La Russie, l’Europe et l’Orient

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La Russie, l’Europe et l’Orient

par Youssef Hindi

Ex: http://www.geopolintel.fr

La Russie n’est pas qu’une grande puissance militaire, une vieille nation, tendant, depuis l’arrivée de Vladimir Poutine à sa tête, à équilibrer les rapports de forces géopolitiques et économiques. Elle est aussi un pont naturel, à différents degrés, entre l’Europe et l’Asie, l’Occident et l’Orient. Ce pont, certains veulent le détruire depuis plus d’un siècle, notamment au moyen de cette arme que sont les idéologies de la modernité : le bolchevisme, une maladie mortelle qui s’est attaquée au cœur de la Russie, à son âme, le Christianisme ; et l’ultralibéralisme des années 1990, pour achever la Russie. À cela se sont ajoutés les indépendantismes de régions de la fédération russe, stimulés voire encouragés par les Etats-Unis pour abattre définitivement l’ours russe. Si la Russie s’est relevée, il faut en saisir les causes profondes et percevoir le rôle ainsi que le destin de la Russie.

Anthropologie, religion et géopolitique

Le retour « miraculeux » du christianisme en Russie n’est pas le fruit d’un accident de l’Histoire, mais bien la manifestation de lois anthropologiques fondamentales qui doit attirer l’attention des européens. Toute société est organisée autour d’une croyance collective majoritaire ; les plus durables d’entre elles sont bien sûr les grandes religions qui, depuis l’ère industrielle en particulier, ont été remplacées progressivement par des croyances profanes, matérialistes et éphémères, comme les utopies communistes et libérales (issues du messianisme juif) promettant un paradis terrestre, ou encore les idoles de l’argent, du sexe et de la violence, qui occupent une place importante dans les sociétés néolibérales. Les idéologies antireligieuses, à l’instar du communisme et du laïcisme, n’existent, par définition, qu’en opposition aux religions transcendantes, qu’arc-boutées contre la croyance en un Dieu transcendant.

Mais l’histoire et l’anthropologie nous apprennent que l’athéisme (croyance négative), lorsqu’il devient majoritaire, conduit à un inexorable effondrement de la société – n’ayant plus de religion sur laquelle s’appuyer, ni de morale stable – se traduisant par l’atomisation de la société et l’apparition d’individus 1 dépourvus de toute horizontalité (communauté, famille, ekklesia), car privé de verticalité ; les deux étant de notre point de vue complémentaires.

La séquence historique qu’a traversée la Russie nous a montré comment l’effondrement brutal du communisme – l’idéologie dominante ne pouvant perdurer que par le maintien de la structure qui la sous-tend – fit place au retour de la religion traditionnelle en Russie (la nature ayant, selon Lavoisier, une sainte horreur du vide), à savoir le christianisme. Ceci nous permet d’ores et déjà, d’anticiper la manifestation du même phénomène en Occident et en Europe en particulier. En effet, le système libéral et son idéologie sont visiblement en cours d’effondrement (ou plus précisément en cours de mutation, mais nous ne développerons pas cette idée ici) – depuis la crise financière de 2007-2008 – tout comme le communisme hier ; dans ce contexte, nous pouvons anticiper un retour imminent à la religion en Europe. Il faut toutefois craindre que ce retour incontrôlé (par ceux qui en ont la charge : la hiérarchie ecclésiale) à la croyance en Dieu ou a ce qui s’y apparentera, n’entraîne des dérives dangereuses, comme la multiplication de gourous et d’imposteurs en tous genres. La Russie a réussi son retour à l’Orthodoxie grâce à une église solide, faisant corps avec le peuple et l’état.

Ce qui précède nous amène à déduire que la Russie – au-delà de sa complémentarité économique avec l’Europe de l’Ouest – pourra être un élément de stabilisation dans une Europe amenée à connaître de graves troubles sociaux, politiques et d’identité... Il faut ajouter à cela, le rôle éminemment important que la Russie joue au Proche-Orient. Elle est un véritable pont entre l’Europe et l’Orient, le christianisme et l’islam – comme l’a très bien analysé Imran Nazar Hosein – en tant que grande nation multiethnique et multiconfessionnelle ; elle est, par son seul exemple, un remède potentiel à la stratégie du choc des civilisations, stratégie dont elle est elle-même l’une des premières cibles.

La stratégie anti Russe

Cette Russie chrétienne, cette Russie puissance continentale, tellurocratique, étend une influence naturelle sur une vaste zone géographique où vivent des populations diverses mais ayant paradoxalement, pour la majorité d’entre elles, une structure familiale de type russe, communautaire égalitaire 2 ; c’est cette relative homogénéité anthropologique qui, sur la longue durée, a permis à la Russie de devenir cet « empire naturel », à l’inverse de son ennemi, la puissance américaine thalassocratique, héritière de l’Empire britannique et porteuse d’une idéologie différencialiste, imprégnée de darwinisme social sous couvert d’un démocratisme fondateur.

La Russie fait face à une double stratégie : une stratégie impériale américaine dont le principal cerveau est Zbigniew Brzezinski, et de l’autre, qu’il faut bien appeler précisément « sioniste ». Si la stratégie d’endiguement et de démantèlement de la fédération de Russie élaborée par Brzezinski, dans son livre Le grand échiquier (1997/2002), est devenue évidente aux yeux de tous les observateurs, la stratégie sioniste, elle, est beaucoup moins limpide.

La stratégie géopolitique de Brzezinski est un demi-succès : pour ce qui est de la domination du cœur de l’Europe par la soumission totale de la France et de l’Allemagne, c’est chose faite, mais quant à l’éclatement de la Russie en provinces, permettant aux Américains de contrôler toute l’Eurasie et d’en contrôler les richesses naturelles et principalement les énergies fossiles, cela reste de l’ordre du fantasme. Les rêves de domination de Brzezinski se sont brisés sur le mur russe, sur le souverainiste Poutine. Mais la crise en Ukraine – pays auquel Brzezinski accorda une attention particulière et qu’il voulait absolument séparer de la Russie ; ainsi il écrit : « L’indépendance de l’Ukraine modifie la nature même de l’état Russe. De ce seul fait, cette nouvelle case importante sur l’échiquier eurasien devient un pivot géopolitique. Sans l’Ukraine, la Russie cesse d’être un empire en Eurasie. » 3 – montre que les Américains n’ont absolument pas abandonné leur projet. Jusqu’ici, la Russie de Poutine a tenu en échec les Américains à la fois en Syrie (en septembre 2013 la Maison-Blanche renonce in extremis à ses opérations de bombardement) et par le retour spectaculaire de la Crimée dans la Maison russe (mars 2014) en pleine crise ukrainienne.

fem978135_f5d1c10a8f_z.jpgLa stratégie sioniste pour la Russie se combine avec la stratégie américaine, mais en aucun cas elle n’oppose ouvertement ou directement Israël à la Russie, bien au contraire. Israël entretient de bons rapports diplomatiques avec la Russie tout en s’opposant à ses alliés au Levant (la Syrie). Israël, via le lobby pro-israélien 4, utilise, en particulier depuis le tournant du 11 septembre 2001, les États-Unis et l’OTAN comme un outil de destruction des alliés historiques de la Russie au Proche-Orient, opposant plus encore russes et américains. En parallèle, les dirigeants sionistes tentent, via des intermédiaires, de négocier avec la Russie afin qu’elle abandonne ses alliés syriens et iraniens. En juillet 2013, le prince Bandar, en qualité de représentant de l’Arabie Saoudite (alliée d’Israël), a rencontré Vladimir Poutine, pendant la crise syrienne. Bandar aurait au cours de l’entretien proposé un accord économique, pétrolier et gazier à Vladimir Poutine, en échange de quoi, celui-ci devrait lâcher l’Iran, abandonner le président Syrien et livrer la Syrie aux terroristes 5.

Cette stratégie sioniste indirecte ou de « contournement » transparaît lorsque Henry Kissinger déclare le 11 mai 2014 qu’il ne faut pas isoler la Russie, mais qu’« il est dans l’intérêt de tous qu’elle soit maintenue dans le système international ». En 2008, il fut plus précis quant à ses intentions lorsqu’il tendit la main à la Russie au détriment de l’Iran qu’il désigna comme « un danger pour le monde environnant ». Et par monde environnant il faut bien entendu entendre Israël 6. Kissinger s’est entretenu avec Poutine en 2009 et en janvier 2012, deux mois avant sa réélection à la présidence de Russie 7.

La main que tendent les sionistes à la Russie, est une main « traîtresse », car, à partir du moment où la Russie a refusé tout compromis et s’est placée en bouclier devant la Syrie, le feu s’est allumé en Ukraine. Le message délivré alors à la Russie était clair : soit elle abandonne ses alliés orientaux pour les livrer au démantèlement géographique, politique, ethnique et confessionnel auquel les destine la grande stratégie d’empire Nord-Américain (au bénéfice immédiat d’Israël) ; soit elle se verra attaquée à ses frontières. Mais ce choix qui lui est proposé est aussi un piège car si la Russie abandonnait la Syrie, elle perdrait son seul port et point appui stratégique en Méditerranée (Tartous), ce qui n’empêcherait pas les Américains de maintenir leur politique d’ endiguement de la Russie, bien au contraire. En effet cette concession coûterait cher à la Russie face à un ennemi qui ne tient que fort peu ses engagements.

En bref, la Russie a toutes les raisons de ne faire aucune concession et d’avancer un pion à chaque fois qu’elle se sent attaquée ou menacée. Reste que l’actuelle partie d’échec arrivant sans doute bientôt à son « terme », Israël commence à dévoiler ses intentions envers la Russie ; alors que Poutine autorise la livraison de missiles défensifs S-300 à l’Iran (avril 2015), Israël s’apprête à envoyer des armes en Ukraine afin d’alimenter le feu 8 qui couve après les accords de cessez-le feu de Minsk II (12 février 2015).

Ce n’est qu’en ayant compris le couplage stratégique américain et sioniste vis-à-vis de la Russie que l’on peut espérer interpréter au mieux la position de certains géopolitologues qui, à la suite de Kissinger, prônent une main tendue à la Russie tout en étant hostiles à ses alliés… et en attisant en sous-main les feux de la guerre dans le Donbass.

La Russie n’est pas jusqu’ici tombée dans ce piège et n’a pas faibli face à l’évidente et sournoise agression américaine, elle est restée sur sa ligne. À ce titre l’on peut être assuré qu’elle jouera un rôle de plus en plus déterminant au Proche-Orient et en Europe, cela au détriment des politiques expansionnistes et déstabilisatrices des élites sionistes et de leurs homologues atlantistes. Le destin de la Russie est ainsi tout tracé, quant à celui de l’Europe de l’Ouest, s’il paraît fermé, il pourrait cependant bien s’ouvrir en cas de crise majeure, sur un réel bouleversement politique et sociétale. La Russie doit et devrait y être attentive.

Youssef Hindi

Notes

(1) Voir les travaux de l’anthropologue et historien Emmanuel Todd dans son livre Après la démocratie, Gallimard, 2008.

(2) Emmanuel Todd, Après l’empire, Folio Actuel, 2002.

(3) Zbigniew Brzezinski, Le grand échiquier, Bayard Editions, 1997, p. 74.

(4) John J. Mearsheimer et Stephen M. Walt, Le lobby pro-israélien et la politique étrangère américaine, La Découverte, 2007.

(5) Al Manar, Ce qui n’a pas été révélé de la rencontre orageuse Bandar-Poutine, 21 août 2013.

(6) Sputnik, Henry Kissinger considère que les Etats-Unis doivent rechercher l’entente avec la Russie, 7 mai 2008.

(7) Source : http://fr.rian.ru/world/20120120/19...

(8) Sputnik, Poutine met Israël en garde contre les livraisons d’armes à Kiev, 18 avril 2015.

L’arme migratoire et la fin des nations

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L’ère des disséminations. L’arme migratoire et la fin des nations

Par Jure George Vujic

Ex: http://www.polemia.com

(qui vient de signer un dernier livre aux éditions Kontre Kulture : Nous n’attendrons plus les barbares/ Culture et résistance au XXIe siecle).

Jure George Vujic est un écrivain franco-croate, avocat et géopoliticien, diplômé de la Haute école de guerre des forces armées croates.

Directeur de l’Institut de géopolitique et de recherches stratégiques de Zagreb, il contribue aux revues de l’Académie de géopolitique de Paris, à Krisis et à Polémia. Il est l’auteur de plusieurs ouvrages dans le domaine de la géopolitique et de la politologie.

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La crise migratoire, le spectacle quotidien et tragique des noyades de masse des migrants, l’hypocrisie et l’incapacité des élites occidentales à prendre des mesures efficaces face à ce problème… Néanmoins, le caractère brutal et massif de ce phénomène migratoire chaotique, qui prend les dimensions d’un exode, devraient inciter à la réflexion et à la prudence sur les causes réelles de l’afflux massif de migrants sur les rives de la Méditerranée. Les chiffres parlent d’eux-mêmes : selon les chiffres du Haut Commissariat aux réfugiés des Nations unies (HCR), ce sont près de 224.000 réfugiés et migrants qui sont arrivés en Europe via la Méditerranée entre janvier et juillet de cette année. Les Syriens constituent le groupe le plus important parmi ces arrivants (34%), suivis des Erythréens (12%), des Afghans (11%), des Nigérians (5%) et des Somaliens (4%). On estime qu’entre un demi-million et un million de migrants tenteront de rejoindre cette année les côtes européennes. Bien sûr, on ne peut que compatir avec les réfugiés syriens et libyens qui ont été chassés de leur foyer par l’intervention militaire des forces atlantistes en Libye et la volonté de renverser le régime de Bachar el-Assad en Syrie.

Néanmoins, face à cet exode, il convient de réfléchir sur le rȏle déstabilisateur et déstructurant de l’arme migratoire, qui pour la « Vieille Europe » pourrait signifier à long terme la transposition pure et simple sur son sol de la géopolitique étatsunienne de balkanisation et de fragmentation ethno-confessionnelle qui est en œuvre au Moyen-Orient, politique qui a généré une situation chaotique dans laquelle a vu le jour le pseudo-califat de l’Etat Islamique soutenu par les alliés occidentaux, l’Arabie Saoudite et le Qatar.

La bombe démographique avec un taux de natalité exponentiel que représenterait la quantité massive des flux migratoires d’immigrées de l’Afrique subsaharienne et du Maghreb pourrait bien à long terme « libaniser » les Etats européens, lesquels seraient confrontrés à une communautarisation, voire une ghettoïsation accrue, des populations allogènes, créant les conditions favorables à l’éclatement de potentielles véritables guerres inter-ethniques. Une Europe-continent affaiblie de l’intérieur et en déstabilisation permanente se devrait de supprimer ses frontières et les derniers soubresauts de souveraineté économique et politique, ce qui faciliterait l’installation du nouveau TAFTA, grand marché transatlantique, alors que les grandes corporations puiseraient abondamment dans la main-d’œuvre immigrée à bon marché tout fraîchement installée sur le sol européen. La transposition sur le continent européen du scénario du choc de civilisations entre Islam et Occident servirait les intérêts des puissances de l’Argent.

Il va de soi que cette migration massive, quand bien même fût-elle contrôlée, changera indubitablement à long terme la structure ethnique et démographique de la Vieille Europe qui semble incapable de résoudre et d’assainir les problèmes déjà existants d’absorption et d’intégration culturelle et sociale des populations extra-européennes qui résultent des flux migratoires précédents des années 1980 et 1990.

Il ne faut pas oublier que la démographie est une donnée constante de même qu’une arme redoutable dans les conflits contemporains. En effet, même si ses conséquences se font, pour la plupart, à long terme, elle ne peut être négligée d’un point de vue méthodologique, dans la mesure où elle est désormais une nouvelle arme utilisée dans les tensions géopolitiques mondiales : « La structure démographique – densité de population, masse, composition par âge et par sexe, taux d’accroissement – est en effet considérée comme un des paramètres conditionnant la violence collective. » Le même argument est développé par Jean du Verdier dans son ouvrage Le Défi démographique. L’auteur évoque la célèbre déclaration de Boumedienne à l’ONU en 1974, il y a 40 ans : « Un jour, des millions d’hommes quitteront les parties méridionales et pauvres du monde pour faire irruption dans les espaces accessibles de l’hémisphère nord, à la recherche de leur propre survie ».

Bien sûr, l’immigration massive à laquelle on assiste a pour cause non pas seulement la pauvreté et la misère économique, mais la guerre qui avait pour but le démantèlement planifié de la Libye, de l’Irak et de la Syrie, qui s’inscrit donc dans une relation de cause à effet. Comme l’a si bien récemment déclaré Kader A. Abderrahim, chercheur associé à l’Iris, spécialiste du Maghreb et de l’islamisme : « La crise migratoire est en relation directe avec l’intervention franco-britannique de 2011. On ne peut pas provoquer la guerre et s’étonner ensuite du désordre » (http://francais.rt.com/opinions/5889-libye-crise-migratoire-expert). L’ampleur et la convergence des flux migratoires ainsi que les directions majeures qui s’étendent du sud au nord et d’ouest en est, les axes migratoires Libye/Maghreb-Afrique subsaharienne/Méditerranée méridionale/ Europe/Italie-Grande-Bretagne-France, Afghanistan-Irak-Somalie-Turquie/ Europe de l’Est-Roumanie-Bulgarie-Hongrie-Serbie-Allemagne ressemblent plus à un déplacement de populations qu’à des flux migratoires discontinus classiques.

Il ne faut pas oublier que les instances internationales et les centres financiers et économiques de décision mondialistes réfléchissent uniquement en termes quantitatifs, en chiffres et en valeurs ajoutées ; la démographie, la structure des populations, de même que les identités et les différences culturelles ne sont pensées et traitées qu’en termes économiques et doivent servir les impératifs et la dynamique dé-régulatrice du marché mondial unifié. Ainsi il faut rappeler que l’ONU parle ouvertement de migrations de remplacement. C’est ainsi que la Division de la population du Département des affaires économiques et sociales a publié un rapport intitulé Migration de remplacement : est-ce une solution pour les populations en déclin et vieillissantes ?. Le concept de migration de remplacement correspond à la migration internationale dont un pays aurait besoin pour éviter le déclin et le vieillissement de la population qui résultent des taux bas de fécondité et de mortalité. Dans chaque cas on considère différents scénarios pour la période 1995-2050, en mettant en relief l’impact que différents niveaux d’immigration auraient sur la taille et le vieillissement de la population.

Post-nationalité et « Dissémi-Nation » migratoire

Et pourtant, tout porte à croire – et en dépit de l’échec des politiques intégrationnistes, du modèle de la multiculturalité – que depuis des décennies on a conditionné les esprits et préparé l’opinion publique européenne à penser en termes de post-nationalité, de gestion migratoire et de catastrophe migratoire humanitaire, d’hybridation migratoire culturelle et identitaire. Ce discours post-national est aujourd’hui réactivé à des fins géopolitiques et d’ingénierie sociale, puisant ses sources dans le discours post-colonial classique cher à Frantz Fanon et à Edward Said, qui s’est s’attaqué dans les années 1960-1970 aux modes de perception et aux représentations dont les colonisés ont été l’objet. En effet, sous l’influence de la pensée post-structuraliste, néomarxiste et déconstructiviste, dont les chantres les plus connus sont Foucault, Derrida et Deleuze (la fameuse théorie française qui, sous l’appellation de French theory, influencera considérablement les élites universitaires américaines, par le biais des cultural studies et les subaltern studies), les élites atlantistes mondialistes en Europe ont participé en grande mesure à la légitimation du discours post-national et pro-migratoire.

La mode ambiante de la post-nationalité, l’apologie des vertus bénéfiques des brassages et des hybridations culturelles ont profondément modifié dans le mental occidental le rapport et la perception du rȏle de la frontière, dont la fonction de limite et de séparation a été systématiquement dénigrée, au profit de la conception « frontière contact », lieu d’hybridation et d’échanges et rencontres culturelles. Cet état d’esprit irénique explique les déclarations irresponsables des élites européennes face à la vague migratoire massive, qui puisent, dans le registre droit-de-l’hommien et humanitariste, sur l’impératif d’accueillir en Europe les flots d’immigrés qui traversent le tunnel de la Manche ou piétinent les barrières de protection frontalières. Cette posture, qui oublie trop souvent que la majorité des flux migratoires ont des causes et des motivations essentiellement économiques, sociales et pécuniaires, explique aussi la volonté dominante de discréditer, voire de diaboliser, les propositions de renforcement et de contrȏle aux frontières en fustigeant « l’Europe forteresse », les projets de construction de murs en Hongrie étant taxés de modèles ségrégationnistes.

Le discours globaliste et post-national corroboré par la pensée culpabilisatrice de le post-colonialisme estime que la nation, en tant que référence d’appartenance nationale et historique, serait une entité désuète, une catégorie territoriale inadaptée et historiquement consommée, qui devrait laisser la place à de nouvelles constructions transterritoriales, hybrides et fluides aux contours mal définis. La dissémination et la dispersion migratoires à l’échelle planétaire constitueraient le fer de lance de cette entreprise de liquidation de la nation, en tant qu’entité ethnique et linguistique enracinée, vecteur d’appartenance nationale et historique.

Souvenons nous de l’influence qu’exerça le concept de dissémination de J. Derrida en tant qu’outil de déconstruction sur la pensée postcoloniale de Homi Bhabha dans les années 1990, qui forgera le concept de « Dissémi-Nation », afin de proposer un nouveau lieu global sans frontières qui se cristalliserait et se formerait de manière quasi spontanée par le jeu de la dispersion migratoire. Ce jeu de mots de la « Dissémi-Nation » n’est pas aussi anodin et abstrait qu’on pourrait le croire, et l’on peut légitimement se poser cette question : l’Europe n’est-elle pas en voie de se transformer en « Dissémi-Nation », après qu’on a liquidé et décimé la Nation en tant que cadre de la chose publique et espace du vivre-ensemble citoyen ? La nouvelle Dissémi-Nation serait un condensé d’espaces intermédiaires, qui évoluerait sans frontières précises au gré des migrations de multitudes chaotiques, et qui permettrait une production de nouvelles « altérités », pensée qui influencera de nombreux théoriciens de la post-colonialisme, comme Gayatri Spivak, ainsi que la théorie de la subalternité.

Quand bien même ces extrapolations conceptuelles semblent parfois abstraites et farfelues, on est en droit de se demander si le concept de Dissémi-Nation n’est pas en train de voir le jour, par l’intermédiaire de la liquidation de la souveraineté politique et territoriale de l’Etat ? La prolifération, la dispersion et l’exportation des masses considérables de migrants extra-européens ressemblent bien à un processus de dissémination migratoire, qui à long terme pourrait bien déstructurer et déstabiliser ce qui reste encore des vieilles nations européennes, la dissémination migratoire faisant ainsi le jeu de la stratégie du « Grand Remplacement » évoquée par Renaud Camus. La dissémination migratoire massive serait alors une arme de décimation interne et massive de la nation.

Déconstruction de l’idée de frontière

Il convient de se rappeler que cette conception subjectiviste et culturelle de la frontière-contact est l’héritière d’un courant de pensée marqué par la topophilie. On se souvient que les théoriciens post-marxistes Castoriadis et Harvey voyaient déjà dans le territoire et dans la cartographie symbolique un des champs privilégiés de bataille des identités sociales, culturelles qui devaient supplanter les certitudes traditionnelles sur la territorialité souveraine, marquée le limes romain, et de l’existence d’un esprit des lieux (genius loci propre à un peuple, un groupe ethnique ou national) – opinion longtemps partagée par les géographes ou par des penseurs conservateurs et nationalistes, la nation sublimant le corps mystique républicain cher à Péguy ou la transposition générationnelle de « la terre et les morts » chère à Barrès. Cette effervescence terminologique et conceptuelle se traduira par une prolifération de notions floues telles que : lieu, emplacement, paysage, milieu, région, topographie, limite, frontière ou confins, qui viendront brouiller davantage les notions classiques géographiques et géopolitiques du territoire et de la frontière. L’engouement pour les études culturelles contemporaines en Occident comme en outre-Atlantique (les cultural studies) a abouti à une idôlatrie de la notion de topophilie qui avait été lancée par Gaston Bachelard pour insister sur le vécu subjectif de l’espace et sur les rapports de l’individu aux lieux. Pour Bachelard, les individus établissent des relations signifiantes avec les lieux. (D’après lui, il peut s’agir de saisir les modalités selon lesquelles les êtres humains construisent leurs rapports aux lieux, que ceux-ci soient symboliques ou constitutifs de l’identité – Bachelard 1957). C’est dans la même direction que l’opinion publique en Europe a longtemps été abreuvée par ce même discours cosmopolite globaliste qui imposerait de penser l’Europe, non d’une façon charnelle et différenciée, mais de façon abstraite et constructiviste, en tant que construction intellectuelle : un territoire abstrait conçu, dont certaines régions cartographiques sont volontairement éliminées (comme le remarque bien Hobsbawm, 1997).

La même opération dé-constructiviste et dé-substantialiste a été opérée par les sociologues modernes qui insistent sur le fait que la frontière n’est pas un fait spatial aux conséquences sociologiques, mais, par contre, un fait sociétal qui prend forme dans l’espace, faisant crédit à la thèse de Georg Simmel, selon laquelle les frontières sont le résultat d’un processus psychique de délimitation ayant comme résultat des territoires, des « régions » ou des « pays » – des espaces culturels représentatifs pour un certain groupe social, qui ne se superposent pas nécessairement sur les limites politiques et territoriales acceptées. Bien sûr, tout comme Simmel l’a bien remarqué, il y a à la base un acte de volonté, un rôle moteur des communautés dans la formation des limites et des frontières. Il n’en demeure pas moins qu’à force d’élargir le champ sémantique de la notion de frontière à tout processus de délimitation, voire de dispersion, dans le cas des flux migratoires, on finit par évacuer ce qui est à la base de toute structure spatiale élémentaire, à savoir les frontières en tant que discontinuité géopolitique et de marquage, de repère, qui agissent, non seulement comme le soulignent Lévi-Strauss et Lassault sur le réel, mais aussi sur le symbolique et l’imaginaire d’une communauté nationale soudée par la même langue, le même sentiment d’appartenance et une certaine symbolique d’un esprit du territoire, que certains banalisent par le vocable le terroir : la patrie.

Des anthropologues, tels que Lévi-Strauss et Georges Dumézil, ont souligné le rôle fondateur du symbolique, qui institue et structure en tant que vecteurs des identités collectives et individuelles, symbolique qui passe par la fonction de délimitation (l’appartenance à une communauté inscrite dans un territoire qui est le sien). L’histoire et les mythes fondateurs qui président à la formation de toute conscience collective et nationale rendent compte de l’importance symbolique de l’acte de « poser une frontière » qui implique toujours un regard collectif sur « L’autre » et sur « soi ». La frontière qui délimite, enferme ou exclut met en mouvement de puissantes marques d’identité qui déterminent des rapports culturels et de voisinage spécifiques avec l’étranger. On se souvient que l’école française des Annales insistait sur l’équation significative frontière/identité. De même que Lucien Febvre avait analysé l’évolution sémantique du mot frontière comme signe d’une mutation de la réalité historique avec la formation de l’Etat-nation (Febvre, 1962), alors que le couple frontière/identité est aussi présent dans les réflexions de Fernand Braudel sur L’Identité de la France. L’approche déconstructiviste et intellectualisante de la frontière, tout comme l’approche culturaliste et post-moderniste de cette notion ont abouti à une survalorisation des projections intellectuelles (idéologiques et symboliques) au détriment du mode identitaire de penser la frontière arbitrairement taxée de « mode discriminatoire » suspect. Or, la fétichisation contemporaine de prétendues nations périphériques, les identités frontalièrers et transfrontalières ont conditionné les mentalités, et surtout les pratiques de projection culturelle telles que la littérature et les arts et la politique, à absolutiser et à ontologiser l’effacement des frontières ; la pensée post-frontalière qui revendique le nomadisme et la nouvelle figure de proue symbolique du migrant rejoint la promotion de la post-nationalité, en tant que dissolution programmée de la nation au nom d’une unification du monde par le marché et la consommation.

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Or, paradoxalement, les discours communautaristes (Chicanos, Afro-Américains, etc.), post-colonialistes, et la théorie de la subalternité (cette théorie a été initiée par le Groupe d’études subalternes – Subaltern Studies Group, SSG – ou Collectif d’études subalternes – Subaltern Studies Collective –, un groupe de chercheurs sud-asiatiques intéressés par l’étude des sociétés post-coloniales et post-impériales d’Asie du Sud en particulier et du Tiers-Monde en général), qui s’attaquaient à l’impérialisme des élites en renvoyant au contexte hégémonie culturelle au travail du marxiste Antonio Gramsci, sont devenus l’un des leviers du discours d’uniformisation marchande capitaliste qui, pour instaurer et libéraliser le marché mondial, se doit de déconstruire les dernières entraves que constituent les nations, les territoires souverains, les identités enracinées, ainsi que les dernières frontières protectionnistes. La nouvelle narration post-nationale à base de glorification de l’hybridation et de complexification identitaire prône une identité mondiale diasporique et migratoire, qui passe par la construction du sujet Foucaldien par assujettissement aux institutions de contrȏle, aujourd’hui à la mise en pratique de la thématique Deleuzienne de la dissémination des identités fluides et mouvantes, des sujets démultipliés le long des lignes de fuite nomadiques. Ainsi, la théorie de la déconstruction se proposait de promouvoir la désoccidentalisation des esprits et des grands concepts du changement du politique par la déconstruction des certitudes métaphysiques en arrachant tous les signifiants politiques régulatoires et structurants à leur champ de référence et de représentation. Seulement à force de déconstruire et d’arracher, la condition du dominé, du subalterne, devient peu à peu l’instrument de répression et la voie du dominant, le subalterne devenant l’angle mort du processus historique contemporain en tant qu’entreprise généralisée de déracinement.

Dissémination, contagion des idées et nouvelle anthropologie

La dissémination et la contagion des idées ont toujours précédé les grands bouleversements sociaux et politiques. Et c’est la raison pour laquelle la légitimisation des bienfaits de l’immigration massive et du brassage multiculturel s’est opérée par un changement des représentations mentales des populations autochtones et leur rapport vis-à-vis de leur identité et leur rapport avec l’autre, l’étranger. Comme le souligne l’anthropologue Dan Sperber, proche du courant néodarwinien, l’évolution culturelle dans le domaine des idées obéit à une logique de diffusion qui rappelle celle des épidémies. En effet, selon Sperber, les idées et les représentations se disséminent et se répandent par une sorte de contamination, par contagion (le titre de son livre est La Contagion des idées). Ce changement idéel des représentations mentales collectives, qui corrélativement contamine et modifie le champ sociétal, s’articule autour « d’attracteurs culturels » qui sont souvent les porte-parole, les relais de la nouvelle pensée dominante, les diffuseurs de nouveaux pseudo-paradigmes fantasmagoriques tout comme l’idéologie nomadiste. En effet, l’usage métaphorique des sociétés nomades ainsi que l’éloge du déracinement, de l’errance, en vogue dans le monde culturel et des arts, dans les grands médias, les sciences sociales et la philosophie dominante, qui vante les mérites du vagabondage, de l’exil, de l’esprit artiste, du flux, de la pensée ou de la raison nomade, constitue les trames idéologiques de la « nomadologie », fer de lance de cette véritable révolution anthropologique qui devait préparer, sur le terrain des idées et de l’esprit, l’acceptation indolore des grands bouleversements psychologiques, démographiques et ethno-culturels en Europe. Cette nomadologie, bien qu’elle puise ses sources dans l’orientalisme occidental du XIXe siècle, s’affirme depuis les années 1970-1990, c’est-à-dire dans le contexte intellectuel post-soixante-huitard, suite à l’avènement du post-modernisme, de la déconstruction de la raison et de la métaphysique (occidentale) et de l’universalisme-cosmopolitisme triomphant, la mode de l’écologie et la nouvelle philosophie. En effet, la nouvelle narration nomadiste qui devait se substituer à la fin des « grands récits » (les Lumières, les grandes idéologies de la modernité, marxisme, Hegelianisme) et qui devait fournir un modèle alternatif à la pensée dominante, grâce à l’apport d’une anthropologie nomadologique suspecte qui fera l’apologie et la promotion dans le contexte global des sociétés nomades en général, et plus particulièrement des sociétés de chasseurs-collecteurs, est ainsi présentée par Pierre Clastres comme un rempart contre l’Etat (La Société contre l’Etat, 1974) ou par Marshall Sahlins comme la première forme de la « société d’abondance » (M. Sahlins, Age de pierre, âge d’abondance“, 1976). La pensée libérale-libertaire deviendra un véritable laboratoire d’idées pour cette nouvelle révolution anthropologique par la diffusion de revues telles que Libre dirigée par Marcel Gauchet, des réflexions de Jean Duvignaud, Paul Virilio et Georges Pérec sur la « ville nomade » dans la revue Cause commune de 1972 ou du numéro emblématique de cette même publication consacré au thème des Nomades et Vagabonds (1975). Sans oublier évidemment le livre-phare de la « nomadologie », Mille Plateaux, de Gilles Deleuze et Félix Guattari, qui paraît en 1980.

Cette pensée « désirante » et « nomade » sera célébrée plus tard par Chatwin, avec Songs Lives (1986), Kenneth White, avec L’Esprit nomade (1987), Jean Borreil, naguère collaborateur de la revue Les Révoltes logiques dirigée par Jacques Rancière, avec La Raison nomade (1993), ou bien encore Jacques Attali, avec L’Homme nomade (2003), livre dans lequel cette figure est représentée par le marché, la démocratie et la foi. Le même éloge de l’errance se retrouve dans de nombreux mythes et récits bibliques dans lesquels est recyclé le grand mythe, cher au XIXe siècle, du juif errant, sans feu ni lieu (voir Du nomadisme : vagabondages initiatiques, 2006, de Michel Maffesoli, qui est ainsi articulé autour des thèmes du « juif errant », des « villes flottantes » et d’Hermès, tandis que, plus récemment, Le Siècle juif, 2009, de Yuri Slezkine, met en scène l’opposition entre « apolliniens » sédentaires et « mercuriens » nomades fonctionnels).

Il serait inutile de s’étendre sur le caractère fantasque et stéréotypé de cette pensée constructiviste, très souvent déconnectée du réel et des rapports avec les sociétés nomades « réelles », lesquelles n’existent jamais sous la forme de l’errance et de l’isolement. En fait, loin du caractère utopique et purement incantatoire de nomadisme, la diffusion de ces nouvelles formes de représentations sociétales devait servir de levier de déracinement (par les processus d’acculturation/déculturation) et d’uniformisation marchande par la promotion de l’individu comme élément central des sociétés contemporaines pour les besoins du capitalisme tardif en tant qu’acteurs de production totalement flexibles et disponibles, mobiles tout comme le sont les chasseurs-cueilleurs et nomades dans les sociétés primitives. En effet, l’idéologie néo-libérale et le nouveau capitalisme de séduction mis en exergue par Michel Clouscart instrumentalisera avec succès l’anthropologie libertaire des sociétés nomades en transposant sur l’individu et le monde du travail les caractéristiques de sociétés passées et/ou exotiques en y appliquant les nouvelles pratiques « new age » telles que les coach-chamanes, la sophrologie et le « développement personnel ».

La dissémination est le propre de la démarche post-moderne qui dans l’optique Derridienne serait destinée à interrompre et empêcher la totalisation, s’insurgeant contre l’idée de centre et de totalité, préférant le réseau et la dissémination, par l’effacement des repères normatifs et leur remplacement par une logique en apparence fluide mais opératoire. Sur le plan social et politique, la dissémination des processus dissolvants migratoires s’emploie à déconstruire de l’intérieur une société structurée par la verticalité de l’institution politique au profit de l’économique. La dissémination migratoire est le reflet de cette même post-modernité qui se fonde sur une réalité discontinue, fragmentée, archipélique, modulaire où la seule temporalité est celle de l’instant présent, où le sujet lui-même décentré découvre l’altérité à soi, où à l’identité-racine fait place l’identité-rhizome, le métissage, la créolisation, tout ce que Scarpetta désigne, dans le champ esthétique, par le concept d’ « impureté ». Les philosophes post-modernes (notamment Foucault et Agamben) qui ont souligné l’importance des relations de pouvoir dans la formation du discours d’une époque sont devenus, sans le savoir et sans vouloir le reconnaître, les allocataires et les propagateurs de cette nouvelle forme de discours dominant et, selon Alex Callinicos, ont « contribué à créer l’atmosphère intellectuelle dans laquelle celle-ci pouvait s’épanouir », voire post-humaine dans laquelle l’arme de la dispersion indifférenciée migratoire a pour but de liquider la réalité nationale, et d’instituer le règne du « sujet sans intériorité ».

Jure George Vujic

Bibliographie

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– Jean du Verdier, Le Défi démographique, éditions Muller, note de Polémia : http://www.polemia.com/le-defi-demographique-du-general-jean-du-verdier/
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Correspondance Polémia – 14/09/2015