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vendredi, 19 novembre 2010

Erika Steinbach gegen EU-Mitgliedschaft der Türkei

Steinbach gegen EU-Mitgliedschaft der Türkei

 Ex: http://www.jungefreiheit.de/

Erika Steinbach spricht der Türkei die Beitrittsreife ab und sieht in der privilegierten Partnerschaft die einzige Option Foto: RG

BERLIN. Die Bundestagsabgeordnete Erika Steinbach (CDU) hat eine härte Haltung der EU-Kommission gegenüber der Türkei gefordert. Der Fortschrittsbericht über den Stand der Beitrittsverhandlungen zeige deutlich, daß in der Türkei immer noch gravierende Defizite im Bereich der Menschenrechte existierten. „Die wenigen positiven Erfolge auf dem Papier sind oftmals in der Praxis nicht wiederzufinden“, sagte Steinbach.

Die Sprecherin für Menschenrechte und Humanitäre Hilfe der Unionsfraktion im Bundestag monierte zudem die „schleichende Islamisierung des Landes in allen Lebensbereichen“ und das „Entfernen von der laizistischen Vorstellung von Mustafa Kemal Atatürk“. Statt sich der Europäischen Union anzunähern, entferne sich die Türkei immer weiter. Deshalb sei die privilegierte Partnerschaft die einzige Option für das zukünftige Verhältnis der EU zur Türkei, so Steinbach.

Ehrenmorde, Zwangsheiraten und Gewalt bleiben ernsthafte Probleme

Im Fortschrittsbericht ermahnte die EU-Kommission die Türkei vor allem, ihre Anstrengungen zum Schutz der Meinungsfreiheit, der Frauen- und Minderheitenrechte zu intensivieren. Während die Kommission die türkische Verfassungsreform positiv bewertete, verzeichnete sie keinen Fortschritt bei der Annäherung der Türkei an die griechische Republik Zypern. 

Insgesamt fiel die Bilanz nach fünf Jahren Beitrittsverhandlungen ernüchternd aus: „Ehrenmorde, Zwangsheiraten und häusliche Gewalt bleiben ernsthafte Probleme“, heißt es laut der Nachrichtenagentur AFP im EU-Fortschrittsbericht. Allein acht zentrale Beitrittskapitel sind wegen des ungelösten Zypern-Konflikts noch offen, also unverhandelt. (cs)

Miglio: "Un nuovo Federalismo per le identità"

Così Gianfranco Miglio rispondeva, nel 1993, a Massimo Cacciari
“Un nuovo Federalismo per le identità”
Per secoli la cultura europea ha ossessivamente coltivato i miti del centralismo statale

Questa lettera fu scritta nel 1993 da Gianfranco Miglio a Massimo Cacciari, nell’ambito dell’incalzante dibattito sul Federalismo.

Ex: http://www.leganord.org/

miglio.jpgGIANFRANCO MIGLIO
Caro Massimo, ho gradito la tua lettera, anche perché mi conferma che il nuovo impegno in campo amministrativo non cancellerà la tua preziosa partecipazione ai dibattiti in tema di pensiero politico.
Quello che ormai la cultura americana chiama il “nuovo federalismo “, è (come del resto anche tu riconosci) una vera e propria “rivoluzione”: è forse la più importante delle molteplici rivoluzioni che si intrecciano a illuminare la meravigliosa “fine secolo” in cui viviamo. Mentre il vecchio “federalismo” era uno strumento (tollerato) per generare, presto o tardi, uno Stato unitario il “nuovo federalismo” è un modello istituzionale creato per riconoscere, garantire e gestire le diversità. Per quattro secoli la cultura europea ha, ossessivamente, coltivato i miti dell’unità e dell’omogeneità, funzionali allo “Stato moderno”. Dentro lo Stato tutti uniti e solidali, nell’ordine e nella pace; fuori dello Stato la guerra e la legge della jungla. Prestissimo, nei miei “Arcana Imperii”, uscirà la traduzione dei libro di Patrick Riley sulla Volontà generale, in cui si scoprono le origini teologiche del mito dell’unità.
Con il declino dello Stato “unitario” (“nazionale”) tramontano anche i miti della sovranità e dei confini.
Circa la prima, ciò che contrassegna il vero ordinamento federale è la presenza di una pluralità di “sovranità”; almeno due: quella degli Stati- membri e quella dello Stato-federazione. Ma pluralità di sovranità equivalenti significa: nessuna sovranità.
Circa i “confini” essi sono uno sciagurato prodotto dello “Stato moderno” (e, prima ancora, dell’egemonia degli agrimensori nella costruzione del diritto romano di proprietà): prima del Seicento, e sopra tutto nel mondo medioevale, i confini non erano un “destino”.
Ma il flauto che guida la danza del cambiamento, è il (periodico!) declino del “patto politico” (fedeltà) e l’emergere del contratto-scambio. Il “federalismo”(dai tempi di Giovanni Althusio!) è sempre stato legato al primato del “contratto”: e un contratto non crea mai un potere “sovrano”, perché l’efficacia di un sistema di contratti riposa sul fatto che i contraenti hanno interesse ad osservarli, sotto pena di essere esclusi dalla convivenza di coloro i quali “scambiano”. La fortuna attuale del diritto internazionale “privato” nasce da qui, e non dal fatto che esista la Corte dell’Aja.
Noi stiamo entrando in un’età caratterizzata dal primato del “contratto” e dall’eclissi del patto di fedeltà (pensa alla fine dell’indissolubilità` del matrimonio!). Dopo due secoli di ossessivo e crescente appello al patto di fedeltà (e alla “politica”) il pendolo della storia ci porta verso l’individualismo e la libertà di contratto.
Già oggi dappertutto l’esercizio del potere decisionale ha perso il suo carattere di “Machtspruch”, di “pronuncia di potenza”, e ha preso la forma di “arbitrato” e di “negoziato”. E gli ordinamenti “federali” sono sistemi in cui si tratta e si negozia senza soste.
Un altro punto cruciale: poiché le “diversità” continuano ad evolversi e ad emergere, le Costituzioni federali saranno sempre più “a tempo determinato”, e non “atemporali” come il vecchio Stato unitario (fondato per l’eternità): saranno Costituzioni modificabili ogni trenta-cinquant’anni.
Ma la più grande rivoluzione che si compie sotto i nostri occhi, con il declino dello “Stato unitario” (sovrano e “nazionale”) è la ricomposizione della originaria “convivenza delle genti”: prima che nascesse lo “Stato moderno”, e la così detta “Comunità internazionale”, sul piano giuridico e concettuale, non c’era un “dentro” e un “fuori” – un “dentro” legittimo e legale, e un Risposta a Cacciari di Gianfranco Miglio Annttoollooggiiaa 142 - Quaderni Padani Anno VIl, N. 37/38 - Settembre-Dicembre 2001 “fuori” abbandonato alla legge del più forte (o del più fortunato) -. Tutte le regole erano prodotto non di istanze “sovrane” (pensa alla debolezza delle pronunce papali o imperiali) ma di relazioni contrattuali. Oggi la gestione dei problemi interni degli Stati tende sempre più ad assomigliare a quella delle controversie un tempo chiamate “internazionali”; e la svolta è stata rappresentata dalla fine del “bipolarismo”: apogeo dell’”ordine” statal-internazionale, e quindi dei vecchio sistema.
Sono queste considerazioni che vanno tenute presenti se si vuole capire il “nuovo federalismo” ed il suo significato storico: sopra tutto se si vuol distinguere il vero federalismo dal vari “autonomismi” e “regionalismi” in circolazione, che rappresentano soltanto travestimenti del vecchio Stato unitario.
Io sto concentrando tutte le mie idee a proposito di questi temi, in una “plaquette” Costituzione federale. La ragione contro il pregiudizio; ma la farò uscire dopo le elezioni: quando si aprirà (se si aprirà!) il dibattito sulle riforme costituzionali (che tu, giustamente, giudichi indispensabile).
Sono convinto che, fra quarant’anni, tutti gli ordinamenti dei paesi civili (tranne forse quello italiano) saranno “neofederali”.
Certo (come sempre) decisivo è il problema di fissare (riconoscere) i due punti di aggregazione (“cantone”, o come lo si vorrà chiamare, versus “autorità federale”) per fondare il rapporto dialettico permanente su cui poggerà il sistema. Non per attribuire all’uno o all’altro una inutile “sovranità”: perché il potere di decidere le controversie sarà intermittente e suscitato da una clausola del contratto di fondazione.
Tu hai ragione quando avverti che è molto importante determinare le funzioni e le strutture delle aggregazioni interne (a valle) dei soggetti membri della federazione (Municipi, Regioni, eccetera). È un capitolo tutto da inventare.
Ma qui debbo rivelarti un dubbio che mi rattrista: come si atteggerà la tecnica dell’antico “jus publicum europaeum” (vulgo: cosa faranno i giuspubblicisti) davanti al compito enorme di “reinventare” il nuovo modello di ordinamento politico europeo? Ho paura che la capacità creativa della nostra cultura giuridica sia ormai spenta, e che arrivi quindi priva di forze all’appuntamento con la storia. Spero di sbagliarmi.

Articolo tratto da laPadania del 14/02/2008

Se vogliamo le riforme dobbiamo farcele, perché nessuno le farebbe al nostro posto.
Numerose saranno le riforme della Costituzione che io intendo far partire dalla devoluzione.
Non è difficile sognare. È difficile, invece, sognare confrontandosi con la realtà per cambiarla.

Umberto Bossi

jeudi, 18 novembre 2010

Bundesverwaltungsgericht: Einbürgerung können rückgängig gemacht werden

Bundesverwaltungsgericht: Einbürgerungen können rückgängig gemacht werden

Udo Ulfkotte - Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Im vergangenen Jahr wurden in Deutschland knapp 100.000 Menschen eingebürgert. Manche Neu-Deutsche werden dann kriminell, weil sie sich nun sicher vor Abschiebung fühlen. Das Bundesverwaltungsgericht hat dem nun einen Riegel vorgeschoben.

 

 

 

klatsch.jpgEine Einbürgerung kann in Deutschland künftig auch wieder rückgängig gemacht werden, wenn der eingebürgerte Ausländer die Behörden getäuscht hat. Etwa über seine kriminelle Vergangenheit. Wer den Behörden bei der Einbürgerung verschweigt, dass er ein Krimineller ist, der kann selbst dann wieder ausgebürgert werden, wenn er dadurch staatenlos wird. Geklagt hatte ein Geschäftsmann, der den Behörden bei seiner Einbürgerung in Deutschland verschwiegen hatte, dass in seinem Geburtsland Ermittlungen wegen Betruges gegen ihn liefen. Der 54-Jährige sitzt in Deutschland eine sechs Jahre währende Haftstrafe wegen Anlagebetruges ab. Vor zehn Jahren war er hier eingebürgert worden. Aber er war eben auch schon in seinem Herkunftsland kriminell in Erscheinung getreten, hatte das bei den deutschen Behörden aber nicht angegeben. Die Leipziger Richter des Bundesverwaltungsgerichts, die ihn nun mit ihrer Entscheidung zum Staatenlosen machten, entschieden sogar, ihr Vorgehen sei mit dem Europarecht vereinbar. Nach dieser Entscheidung könnten nun viele Migranten, die straffällig geworden sind und das bei ihrer Einbürgerung verschwiegen haben, wieder ausgebürgert werden.

mercredi, 17 novembre 2010

EU und China knüpfen engere Verbindungen, USA unterstützen Indien

EU und China knüpfen engere Verbindungen, USA unterstützen Indien

F. William Engdahl / ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

In den vergangenen Wochen hat die Volksrepublik China einzelnen EU-Ländern bemerkenswerte wirtschaftliche Offerten unterbreitet. Im Lichte der offenen Kritik, die China an der amerikanischen Zentralbank Federal Reserve und am US-Finanzministerium wegen deren jüngster abenteuerlicher Geldpolitik erhebt, ist diese Öffnung ein deutliches Anzeichen dafür, dass sich China, die am schnellsten wachsende Wirtschaftsnation der Welt, von einer Orientierung, die bislang hauptsächlich auf die USA ausgerichtet war, nun in Richtung EU bewegt. Dies würde weitreichende Auswirkungen haben.

 

 

Chinas Staatspräsident Hu Jintao hat soeben dreitägige Gespräche mit dem französischen Präsidenten abgeschlossen, bei denen sich beide Seiten auf neue Wirtschafts- und Handelsverträge in einem bisher noch nie erreichten Umfang von über 20 Milliarden Euro geeinigt haben. Es geht um Kernenergie, Luftfahrt, Finanzen, Energieeffizienz und Umweltschutz. Ein wichtiger Bereich ist die Beteiligung Frankreichs an Chinas ehrgeizigem Programm zur Ausweitung der Nutzung der Kernenergie. Nach Angaben des beteiligten französischen Kraftwerkbauers Areva werden die Beziehungen zu den chinesischen Partnern auf dem größten Kernkraftmarkt der Welt durch diese Verträge auf eine neue Stufe gehoben. China wird außerdem 100 neue Airbus-Maschinen kaufen.

Frankreich rollt für Chinas Präsident Hu den roten (!) Teppich aus, während China engere Verbindungen zur EU knüpft.

Präsident Hu folgte einer Einladung des französischen Präsidenten, der Anfang dieses Jahres China besucht hatte. In Paris trafen die beiden Staatschefs innerhalb von drei Tagen fünf Mal zu Gesprächen zusammen. Frankreich hat Hu buchstäblich einen »roten Teppich« ausgerollt und ihn mit allen Ehren empfangen. Die beiden Präsidenten unterzeichneten eine umfassende Erklärung, in der sie sich zur Festigung der strategischen Partnerschaft zwischen den beiden Ländern verpflichten.

Beide Länder sind ständige Mitglieder des UN-Sicherheitsrates mit Vetorecht, was politisch von großer Bedeutung ist. China ist darauf bedacht, Verbündete zu finden, um bestimmte Initiativen der USA blockieren zu können, wie beispielsweise zusätzliche Sanktionen gegen den Iran, der ein wichtiger Erdöllieferant für China ist. Außerdem wolle man sich gemeinsam mit Frankreich der Frage des iranischen Atomprogramms, der Entnuklearisierung der koreanischen Halbinsel und des Konflikts in Afghanistan annehmen. In Washington wird man darüber sicher nicht erfreut sein.

Die jetzt getroffene Vereinbarung stellt auch für Sarkozy und Frankreich eine bedeutende Wende dar, denn noch vor den Olympischen Spielen vor zwei Jahren hatte Frankreich für die amerikanischen Destabilisierungsversuche in China Partei ergriffen und den Dalai Lama und die mit amerikanischer Hilfe angefachten Unruhen in Tibet unterstützt. Eindeutigerweise schätzt die französische Wirtschaft bessere Beziehungen zu China jedoch als wichtiger ein als solche zu den USA, denn die US-Wirtschaft rutscht immer tiefer in die Depression, während China boomt.

 

Anschließend in Portugal

Im Anschluss an den Frankreich-Besuch reiste Präsident Hu nach Lissabon, wo er mit dem portugiesischen Premierminister José Sócrates Gespräche über die Entwicklung einer umfassenden strategischen Partnerschaft beider Länder führte. Dabei wurde über die Vertiefung der bilateralen Wirtschafts- und Handelsbeziehungen gesprochen. Hu unterstrich, er betrachte Portugal als potenziellen Alliierten in der Strategie zum Ausbau einer strategischen Partnerschaft zwischen China und Europa.

Den Staatsbesuchen des chinesischen Präsidenten in Frankreich und Portugal war die beispiellose Unterstützungsaktion Chinas für den griechischen Anleihemarkt vorausgegangen. Wie ich Anfang Oktober an dieser Stelle geschrieben habe, war der chinesische Premierminister zu einem überraschenden Staatsbesuch nach Griechenland gereist, in ein Land also, das normalerweise eines so hochrangigen Besuchs nicht würdig wäre. China bot Griechenland damals seine Hilfe bei der Schuldenkrise an. Bei einer Pressekonferenz Anfang Oktober in Athen erklärte Wen Jiabao: »Wir besitzen bereits griechische Staatsanleihen und werden solche auch in Zukunft kaufen. Wir werden Anstrengungen unternehmen, den Ländern der Eurozone und Griechenland zu helfen, die Krise zu überwinden.«

Insgesamt gesehen wird nun deutlich, dass man sich in Peking entschlossen hat, eine politische Wende in Richtung auf die Europäische Union zu vollziehen und sich schrittweise aus einer zu großen Abhängigkeit von Washington zu lösen. Bezeichnenderweise hält sich US-Präsident Barack Obama, der darum kämpft, seine angeschlagene Präsidentschaft nach der vernichtenden Niederlage bei den Zwischenwahlen zum US-Kongress zusammenzuhalten, derzeit zu einem Besuch in Indien auf, wo das Pentagon ausdrücklich seine eigene Version einer »militärisch-strategischen Partnerschaft« aufbaut. Wenn die USA Indien militärisch umgarnen, so haben sie dabei ein Land im Auge, das zu einer strategischen Bedrohung werden könnte: China. Doch China antwortet jetzt mit einer Gegenstrategie, sodass man in Washington die eigenen Initiativen vielleicht schon bald bereuen wird. Bleiben Sie dran …

 

mardi, 16 novembre 2010

CIA-tactieken binnenkort ook in Europa?

CIA-tactieken binnenkort ook in Europa?
Wie pleegt de bomaanslagen in Irak?


22 juli 2010 - Ex: http://www.zonnewind.be/

Door Christopher King

voitures-piegees-explose-quasi.jpgAutobommen en andere soorten aanslagen zijn dagelijkse kost in Irak, ondanks officiële retoriek dat het geweld is afgenomen. Op 18 juli vernamen we het nieuws dat er 43 doden vielen en 40 mensen gewond raakten door een zelfmoordaanslag in het zuid-westen van Bagdad. Volgens Christopher King is het zeer waarschijnlijk dat de CIA - of Israël in opdracht van de CIA - verantwoordelijk is voor de aanslagen, om zo de bezetting van Irak te mogen voortzetten en verder uit te bouwen, net als de andere aanslagen het werk zijn van de CIA of Israël, om de militaire aanwezigheid in het Midden-Oosten en zuid-oost Azië te rechtvaardigen.

Op 10 mei waren er meer dan tien bomaanslagen en schietpartijen in Irak. Daarbij kwamen 85 mensen om het leven en raakten meer dan 300 personen gewond. Dit waren gecoördineerde aanslagen, duidelijk gepleegd door één en dezelfde organisatie.

Het antwoord van de Verenigde Staten op deze en andere aanslagen was de plannen voor een terugtrekking van zijn troepen uit Irak uit te stellen. Eén van Obama's verkiezingsbeloften was om de Amerikaanse troepen uit Irak terug te trekken tegen mei 2010. Het is inmiddels niet alleen vrij duidelijk dat dat niet gebeurd is, maar tevens kwamen we na de verkiezingen te weten wat "terugtrekking" inhield: 50.000 manschappen zullen achterblijven als 'instructeurs', naast 4.500 speciale eenheden en tienduizenden huurlingen.

Op dit moment wordt zelfs de beloofde terugtrekking heroverwogen omdat men zich zorgen maakt om de veiligheid van de Iraakse burgers. Denkend aan de meer dan 1 miljoen Iraakse burgerslachtoffers en de vier tot vijf miljoen mensen die op de vlucht zijn voor de ellende van de bezetting is het moeilijk voor te stellen dat men in Washington zo diep getroffen is door een paar honderd slachtoffers door 'binnenlandse' schermutselingen. Sommigen noemen dat een vooruitgang in de Amerikaanse benadering...

Terwijl de aanslagen van de laatste maanden de VS een excuus geven om de symbolische terugtrekking verder uit te stellen, moeten we eens nadenken over wie er achter de aanslagen kunnen zitten.

Er wordt al langer beweerd dat de CIA, met behulp van lokale groeperingen achter de aanslagen zit. Het zijn de typische smerige trucs van deze duistere organisatie, die bovendien worden gefinancierd door de Amerikaanse regering. Zolang er olie in de grond zit in Irak zullen de VS het land nooit verlaten, en mede daarom is het ongelooflijk dat de Westerse media en zelfs de vredesbewegingen nog geloven in een terugtrekking van de Amerikaanse troepen. Terugtrekken was nooit de bedoeling van de VS. Een leger dat maar tijdelijk wil blijven bouwt geen versterkte legerbases zoals de VS dat in Irak - en elders in Azië - hebben gedaan en nog steeds doen. Het is daarom zeer vervelend voor de VS dat de verkiezingen in Irak eerder dit jaar niet de gewenste trekpop aan de macht hielpen.

De recente serie aanslagen, naast een lange reeks kleinere - maar niet minder dodelijke - aanslagen is niet het werk van een klein groepje extremisten. Het gaat hier om een grote, goed georganiseerde organisatie met veel financiële middelen en uitgebreide Westerse ondersteuning.

De gebruikelijke, niet nader genoemde regeringsmedewerkers van onduidelijke nationaliteit beweren uiteraard dat 'Al-Qaeda' verantwoordelijk is voor de aanslagen. Waarom ook niet, niet waar? Maar werd generaal David Petraeus niet geëerd voor zijn succes in het volledig elimineren van die spookorganisatie in Irak? Of was dat slechts het gevolg van zijn betalingen aan de Awakening Councils zodat die het klusje klaarden? Was 'Al-Qaeda' überhaupt ooit in Irak? Aangezien de hele aanval op Irak gebaseerd was op een dik pak leugens hebben we namelijk sowieso geen enkele reden om ook maar iets te geloven van wat de Amerikaanse regering, het leger of de Westerse gevestigde media over Irak of enig ander conflict waar Westerse landen bij betrokken zijn te geloven.

Ook de mensen die actief zijn in Irak weten vaak niet wie wat doet, en de loyaliteiten veranderen dagelijks. Daarnaast is het zeer aannemelijk dat 'Al-Qaeda' helemaal niet wil dat de VS uit Irak vertrekken, omdat de aanwezigheid de Amerikanen grote schade berokkent. Er zijn zelfs Iraakse groeperingen die munt slaan uit de Amerikaanse aanwezigheid en die willen dat ze blijven. Of dergelijke groeperingen in staat of zelfs bereid zouden zijn aanslagen op een dergelijke schaal te plegen is zeer twijfelachtig.

Daarnaast is het zeer waarschijnlijk dat dat hele 'Al-Qaeda' niet bestaat. Het is de Amerikaanse boeman, gebruikt om de mensen angst aan te jagen. Maar er zit sleet op. Net als op de pauzeloze beschuldigingen aan het adres van Iran dat zij achter de vele aanslagen in Irak zouden zitten. Niet dat daar ooit enig bewijs voor geleverd wordt. Daarbij is met Irak ook een Iraanse concurrent tijdelijk of voorgoed uitgeschakeld. Het is allemaal onzinnige propaganda - net zoals Saddam's nucleaire programma, zijn massavernietigingswapens, zijn ondersteuning van 'Al-Qaeda' en zijn mobiele chemische laboratoriums dat waren. Inmiddels is uitgebreid aangetoond dat dat allemaal verzinsels waren.

Wat wel zeker is? Het feit dat de Amerikaanse invasie van Irak ongekende vernietiging heeft veroorzaakt en dat de voortdurende aanwezigheid van de Amerikanen het grootste probleem van de Iraakse bevolking is - en die van Israël uiteraard.

Ja, de Israëliërs zijn ook in Irak, en ze zijn niet zo gek op Arabieren. In 2005 hoorden we dat ze in Noord-Irak de Koerden trainen. Brigade-Generaal Janis Karpinski, aangeduid als hoofdverantwoordelijke voor de mishandeling van gevangenen in Abu Ghraib zei dat ze geschokt was toen ze zag dat er Israëlische ondervragers werkzaam waren in Irak. Er valt dus genoeg te ontkennen voor de Amerikanen en voor de CIA, wanneer er zo nu en dan vragen gesteld worden. Wanneer Amerikanen en Israëliërs ergens samenwerken is dan ook alles mogelijk. Zagen we onlangs geen Israëlische 'instructeurs' in Georgië?

De Israëliërs, de CIA, het Amerikaanse en het Britse leger vermoorden allemaal met regelmaat verdachte 'militanten' en tegelijkertijd grote aantallen onschuldige burgers - vrouwen en kinderen. Niemand is in hun ogen onschuldig. Het zijn moslims, ziet u... In scene gezette aanslagen zijn dat ook niet iets waar de Amerikaans-Israëlische broederschap zijn hand voor omdraait. We weten allemaal hoe Israël op 8 juni 1967 probeerde de USS Liberty tot zinken te brengen, en hoe het Amerikaanse ministerie van Defensie vervolgens (zoals zo vaak) samenspande met de Israëliërs om de aanslag in de doofpot te stoppen. Opvarenden van de Liberty werden bedreigd om niet over het incident te spreken. De meeste Amerikanen hebben geen weet van het incident, dat met toestemming van de Amerikanen plaatsvond om later de Syriërs of de Egyptenaren de schuld te kunnen geven. De Amerikaans-Israëlische broederschap gaat veel verder dan de meeste burgers bereid zijn te onderkennen en het is daarom belangrijk om te proberen de manier van denken die bereid is tot het offeren van de eigen soldaten te doorgronden.

Waarom zouden we geloven dat de pleger van de 'aanslag' op Times Square, Faisal Shahzad dat deed in opdracht van de Pakistaanse Taliban – ook al denkt hij dat zelf? Hebben ze hem misschien hun lidkaarten getoond? Of waren deze Taliban misschien eerder van een Pakistaanse organisatie die gesteund werd door de CIA en Israël om Amerikanen te laten denken dat er een Pakistaanse Taliban bestaat die de VS willen aanvallen - allemaal om de Westerse misdaden te rechtvaardigen en de oorlog aan de praat te houden?

Faisal Shahzad simplistische constructie explodeerde niet en dat was ook nooit de bedoeling. Het was zelfs geen bom, slechts enkele jerrycans benzine, een paar gasflessen, wat vuurwerk en de verkeerde soort kunstmest. Volledig onschadelijk, maar zeer deugdelijk om de gemiddelde burger in de VS en Europa de stuipen op het lijf te jagen.

Je kunt geen wereldrijk opbouwen zonder collaborateurs in de bezette gebieden. Ze worden echter makkelijk gevonden, en Faisal Shahzad was er zo een. Net als Mahmoud Abbas, de Sjah van Perzië, Karzai in Afghanistan, Maliki in Irak, Tony Blair en Gordon Brown in Groot-Brittannië en Jan-Peter Balkenende en Maxim Verhagen in Nederland. Naast dergelijke kopstukken is uiteraard de medewerking van het grootste deel van het politieke establishment nodig om militaire bases in de bezette gebieden te kunnen vestigen - zie waar de bijna 800 militaire bases gevestigd zijn en je kent de vazalstaten van het Amerikaanse Rijk.

We krijgen een constante stroom tegenstrijdige berichten van de Amerikanen en onze eigen medeplichtige, onderworpen oorlogsmisdadigers te verwerken: ze gaan zich terugtrekken uit Irak en Afghanistan, maar tegelijkertijd zal het een lange oorlog worden. Het doel van deze onzin is om iedereen iets te geven dat ze kunnen geloven en tegelijkertijd iets om te negeren. Het is geavanceerde psychologie.

Maar goed, het zijn barre tijden en er is zeer dringend behoefte aan eerlijke, oprechte mensen die bereid zijn op te treden om Europa te redden. Europa redden betekent eerst en vooral een terugtrekking van alle Europese troepen uit Azië en niet langer betrokken zijn bij de Amerikaanse misdaden tegen de mensheid. Maar het is niet gemakkelijk. Enkele vazalstaten hebben al mogen ondervinden hoe lastig het is van de Amerikaanse bloedzuigers af te komen. Japan wil af van de Amerikaanse bases op Okinawa, maar de Amerikanen weigeren te vertrekken. Duitsland, Nederland en België willen de Amerikaanse kernwapen van hun grondgebied verwijderd zien. Maar de VS stellen dat dat een NAVO-kwestie is en de inmiddels bekende niet nader genoemde regeringsmedewerkers zeggen dat "individuele staten geen standpunt moeten innemen over unilaterale vraagstukken". Wat moet je dan?

Met de NATO First Act of the United States, zal het virtueel onmogelijk zijn om de Amerikaanse legerbases en de Amerikaanse kernwapens uit Europa te verwijderen, hoezeer Europese landen dat nu of in de toekomst ook zouden willen. Want hoewel de First Act zegt dat op verzoek van Europese landen bases gesloten kunnen worden en kernwapens verwijderd, blijkt in de realiteit dat de VS dat helemaal alleen beslissen. En dat is logisch. Zouden de Romeinen uit Gallië vertrokken zijn op verzoek van de lokale bevolking?

Nu denkt u misschien dat de huidige economische crisis en de situatie in het Midden-Oosten slecht zijn. Fout. Het is nog veel erger. Denk niet dat wat de VS en Israël uitspoken in het Midden-Oosten niet ook in Europa zou kunnen gebeuren. Denk niet dat er geen Europese vredesactivisten naar Guantanamo zullen verdwijnen wanneer het verzet tegen Amerikaanse bases en kernwapens in Europa groeit. Ons Europese politieke establishment collaboreert met de Amerikaanse bezetter en zal u zonder meer uitleveren wanneer Washington daarom vraagt. Uiteraard voelt het niet als een bezetting - zolang we meewerken. Met Amerika onder toenemende (zelf gecreëerde) economische en geopolitieke druk ziet de toekomst voor Europa er even somber uit als de toekomst van de andere gebieden die de VS hebben bezet.

Nu al zien we onze vrijheden ernstig aangetast als het gaat om gevoelige kwesties. Protest tegen oorlogen en kernwapens is ook in Europa nauwelijks nog mogelijk zonder te stuiten op bruut optreden van de overheden c.q. politie. Wie 'The End of America' van Naomi Wolf heeft gelezen weet dat de stap van willekeurig politiegeweld tijdens vreedzame demonstraties zoals we het nu zien, naar een stadion met 7.000 opgesloten tegenstanders van het regime (Pinochet, 1973) niet zo groot is. De bomaanslagen in Irak en Afghanistan zijn dus wellicht niet zo ver weg, en de vraag wie er werkelijk achter zit verdient wel degelijk uw aandacht.

dimanche, 14 novembre 2010

Communal Freedom and Democracy

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Communal Freedom and Democracy

Adolf Gasser’s attempt of a conceptual clarification

by Dr phil René Roca, historian, Switzerland

Ex: http://www.currentconcerns.ch/

The historian Adolf Gasser (1903 – 1985) suggests that democracy is a historically evolved but rather fragile achievement. In his major work “Gemeindefreiheit als Rettung Europas” (Communal freedom as the salvation of Europe)1 and in many further contributions he reflects on a definition of the term “democracy” which should be as comprehensive as possible. For Gasser the term has a historical, an ethical and an educational dimension. The term “communal freedom” is at the center of his considerations. Starting point of his theoretical considerations is a historical paper on “sound and fragile democracies” in Europe after World War I.

In 1919 all European states up to the Russian border were characterized by democratic structures. But during the next two decades the democratic beginnings disappeared in favor of authoritarian or totalitarian systems of government in many states. This could particularly be observed in states, which had introduced a democracy for the first time after World War I. Gasser does not consider the principal reason for this “widespread dying of European democracies” a foreign problem, but a domestic one. Democracy particularly failed in those states, in which it did not succeed to combine freedom and order to an “organic compound”. Those states, which had a specifically shaped democratic tradition, resisted the totalitarian temptation despite the world economic crisis and World War II. Among them were, besides the Anglo-Saxon countries USA and Great Britain, the Scandinavian states, Holland and Switzerland. This, Gasser says, proves that there are two kinds of democracies, sound ones and fragile ones:

“Therefore we are to refrain from claiming that somehow democracy as such or an interlinked economic system has failed. We rather have to keep in mind that the uniform term ‘democracy’ is a quite unrealistic abstraction. In reality the term democracy, like all other social auxiliary terms, reveals a different trait from country to country. ‘Democracy’ and ‘democracy’ can be rather different things despite corresponding constitutional features; particularly, its nature is determined by the spiritual-political attitude of the individual people. In other words: After all, democracy is not a matter determined by the kind of state order, but a matter determined by the people’s convictions.”2

Thus Gasser describes a feature, which makes it possible to differentiate clearly between the sound and the fragile democracies at any time. The terms “spiritual-political attitude” and “people’s convictions” illuminate an ethical dimension of democracy. To Gasser, this dimension is not ideationally inflated or ideologically curtailed, but linked with a fundamental structural feature. The feature is the organization of the communal and regional autonomy. All sound democracies, as different as they may be, have a

“traditional and extremely lively self-governing system of their local and regional subsidiary associations. Widespread decentralization of the administration: that is the essential characteristic of these ‹old and free people’s states›.”3

Gasser considers the contrast between decentralized and centralistic administrative systems to be the key to the problem, which explains why some democracies were successful and sustainable and others were not.
For Gasser, the starting point for decentralized public administration is the “free”4 commune, which has cooperative roots. The cooperative as “a particularly finely-woven organizing element”5 defines itself by the three so-called “selves”: self-governing, self-determination and self-help. If free communes, organized in such a manner, come together to build a state, this state is federal, thus structured in a decentralized way. The human dimension in this structure must be based on certain ethical principles. The people, based on their specific cultural background, develop into these socio-economic structures; they shape and advance them. The ethical principles provide the stability, security and predictability:

“State formations, which grew from bottom to top and which represent the concept of self-governing, are usually communities of a very special kind; because they are primarily held together by spiritual and ethical forces while power-political braces are subordinate.”6

The ethical dimension of communal freedom

With the description of different principles Gasser tries to define the ethical dimension more clearly. In this context, he speaks of a kind of “synthesis of civic watchfulness on the one hand and civic self-discipline on the other”7. This mental-moral dimension cannot simply be introduced by a written constitution. It does also not follow automatically, if a commune is free. In order to make this dimension humane, moral values are required, which are to be taught in education and set as an example within the political level. The free commune, Gasser writes, educates the citizens not to a quantitative, but to a qualitative way of civic thinking. This important element shows the commune as “autonomous small-scale organization”, as “a school for citizenship”8 in an educational context, which is both founded on values and creates them.
In the following Gasser’s different ethical principles will be described in more detail.

The principle of co-ordination

Civic community life is only possible in the context of an organizing principle. The two possible organizing principles are the principle of subordination and that of co-ordination. In other words, the principle of administration by authoritarian dominance opposes that of co-operative self-governing.

“Either the stately order becomes secured by an authoritarian command and power apparatus, or it is based on the free social will of a people’s collectivity.”9

In the first case the structure of the state develops essentially from top to bottom, in the second case from ground to top. Either the people have to get used to being commanded or (most of them) to obeying, or they are guided by the will to co-operate freely. In this context, Gasser mentions that there are of course mixed forms; however, all the examples show a certain tendency towards one of the two organizing principles.
For Gasser, the contrast “rule vs. cooperative” is the most important contrast social history knows. It sheds light on the most elementary foundations of human community life and has mental and moral consequences.

The principle of voluntariness

Co-operatively organized communes require free, social co-operation. The working together represents a synthesis of freedom and order and is possible only if the will to free collective co-operation is inseparably combined with the will to free collective integration. The free acceptance of voluntary and adjunct work in addition to the regular duties results in a militia system, which is indispensable for the smoothest possible social procedures on all national levels.

“A sound development of democracy on a large scale will only be possible where it is practiced and realized on a small scale every day.”10

The principle of shared responsibility

16.jpgThe voluntary cooperation, which is practiced within the manageable area of the commune, naturally leads to a further ethical principle, the principle of the shared responsibility. It develops, as Gasser expresses, an “internal bond to reality”,11 i.e. primarily to the commune, which shapes a “system of collective readiness to share responsibility and to political tolerance”.12 Freedom must combine itself with a feeling of duty for the public matters, because

“[…] where there is a lack of genuine will for responsibility, for shared responsibility, there is an immediate threat that freedom will dege nerate into bare individualism and egoism.”13

However, the individual does not completely dissolve in the collective; it must not subordinate to the community:

“Starting point of the cooperative, decentralized states is not the individual freedom, but the communal freedom. But there is a seed of individual freedom to be found inevitably in the communal freedom […].”14

The principle of the collective respect for law

A collective conviction of what is right is central to the communal freedom. Those national state systems that were developed from bottom to top, that are based on communal freedom, show a completely different development of the law than centralistic authoritarian states. The “ancient right” (or also the “ancient freedom”) developed in co-operative and decentralized political systems has become a tradition throughout the centuries, and in conflict situations it represents an important point of reference in each case. The old civic and legal education – often verbally delivered and condensed in a kind of customary law – was of great importance, because it was backed by the collective. This backing of the existing order, often expressed in rituals and symbols, is only possible if the order is considered to be absolutely legal in its basic outlines. If this legal order is to be changed and adapted, it is usually developed, but not destroyed.

The principle of collective confidence

According to Gasser, the co-operative combination of freedom and right creates forces of “outrageous moral strength”15. For Gasser, this is above all general political and social confidence. The individual’s readiness for confidence is a prerequisite for a collective fundament of trust. Under these circumstances, no communal citizen must fear a political breach of law by fellow citizens. This “being free from fear” represents a substantial characteristic of all co-operative and decentralized communities for Gasser. Where the communal freedom exists, people steadfastly stick to the decentralized organizing, self-governing principle, and usually native confidants are entrusted with certain executive functions. So bi-partisan readiness for confidence can develop, which leads to the acceptance of the democratic majority principle:

“Only from deep-rooted confidence in communalism, i.e. to the free community will, one is able to generally take it as natural that a majority considers the free will of a minority if possible – and a minority is for its part morally obliged to submit by its own free will to the free will of a people’s and a parliament majority.”16

The principle of collective tolerance

In the free commune, Gasser says, everyone is forced to compromise with the political opponent. If the communal citizen gets accustomed to being responsibly moderate in this small, assessable area, then “from the beginning strong forces of reconciliation and mediation are involved.”17
The “communal freedom” is not able to manufacture heavenly conditions. Human passions and feeling of hate remain components of human nature. However, these often destructive forces repeatedly encounter “wholesome barriers” in the free commune, which “diminish their political explosive effects”, Gasser states.18 One of these “barriers” is the readiness to compromise:

“Striving for clear compromises backed by genuine consideration for the justified vital interests and attitudes of our fellow citizens, also of those organized in other parties, must become second nature somehow, if the liberal democracy were to become a firmly rooted way of life.19

From this collective tolerance emerges a high readiness to accept good faith as a guiding value. Thus one cannot absolutely guarantee but effectively secure the inner and outer peace of a community nevertheless.

Conclusion: the principle of ethical collectivism

Gasser’s term “communal ethics” is determined by the described mental and moral principles, to which the individual must feel bound. For its existence and advancement, the free commune requires such a “collective will to bind oneself”20 or, expressed differently, an “ethical collectivism”21. Gasser thus sheds light on the “internal nature”22 of democracy and gives his definition a socio-psychological dimension by including ethical principles.
Gasser always refers to this dimension in his texts. He starts out from a positive concept of man: Man is good by nature.23 As a person, each human being has certain rights and duties and can establish his necessary social relations at best in the surroundings of a free commune. Thus people develop their skills and forces and are able to solve the problems together with others. Thus, the autonomous small areas form the basis, and take influence on greater stately regions, regardless of their structure.
“Moral bonds” secure the peace of a society against inside threats as well as threats from outside. All communal and federal democracies, built from bottom to the top, have a basically pacifist tendency, Gasser claims. With its synthesis of freedom and order, the decentralized structure including free communes reaches a degree of social justice, which curbs militarist and expansive forces. The individual is more content, feels safe and cannot easily be seduced to foreign policy war adventures.

Educational dimension of communal freedom

Finally the “educational dimension” of communal freedom is to be presented briefly, as Gasser repeatedly mentions it. For him, the commune is a “humanitarian school for citizenship”24 and in a lively democracy it serves an educational purpose which should not be underestimated:

“Only in an assessable, natural community the normal citizen is able to acquire what we use to call political sense of proportion, a feeling for the human proportions. It is the only place where he can learn to understand and consider the justified requests of his neighbors and their different ideas and interests in the daily discussion; it is the only place where the necessary minimum of communal structure develops on the ground of freedom, which is able to effectively impede the tendency to authoritarianism as well as to anarchy. In this sense autonomous small areas remain irreplaceable schools for citizenship, without which the free democratic state would wither from the roots.”25

A lively democracy does not only require educated humans, who master cultural techniques and who acquire certain abilities and skills and develop them. A democracy also requires as it were the people’s “emotional intelligence”.26 This intelligence must develop in the family first, as well as in the assessable, natural community first; later on it can also be effective beyond that sphere. As far as educational issues are concerned, Gasser always refers to the work of Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827). In digesting and summarizing the different historical aspects and the ideas of progressive thinkers, Gasser can be called the actual discoverer of the “small region” and “assessability” as the basic conditions of a working democracy. Therefore it is certainly worthwhile to apply his ideas, modified by new research, to the question how direct democracy was historically developed in Switzerland.•

Translation Current Concerns

1 Adolf Gasser, Gemeindefreiheit als Rettung Europas. Grundlinien einer ethischen Geschichtsauffassung, Second, grossly extended edition, Basel 1947, p. 7–12.
2 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 10.
3 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 10f.
4 Gasser uses the term “free” or “freedom” in the context of a national political category of the “commune” quite comprehensively. He does not limit it to the political rights of co-determination. Those were limited in Switzerland in the “ancient régime” to the citizens of a single commune, i.e. they were exclusive. Only in times of the Helvetica and then again during Regeneration the rights of co-determination were extended on a cantonal level. Women were excluded longest.
5 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 15.
6 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 17.
7 Adolf Gasser, Bürgermitverantwortung als Grundlage echter Demokratie, in: Gasser,A., Staatlicher Grossraum und autonome Kleinräume, Basel 1976, p. 43
8 Adolf Gasser, Staatlicher Grossraum und autonome Kleinräume, Basel 1976, p. 147
9 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 12
10 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 11
11 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 19
12 Adolf Gasser, Der europäische Mensch in der Gemeinschaft, in: Gasser, A., Staatlicher Grossraum und autonome Kleinräume, Basel 1976, p. 4
13 Gasser, Bürgermitverantwortung, p. 33
14 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 27
15 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 20
16 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 97
17 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 24
18 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 24
19 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 24
20 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 16
21 Gasser, Der europäische Mensch …, p. 4
22 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 10
23 Gasser, Gemeindefreiheit, p. 255
24 cf. Adolf Gasser, Die Schweizer Gemeinde als Bürgerschule (1959), in: Gasser, A., Staatlicher Grossraum und autonome Kleinräume, Basel 1976, p. 85–91
25 Adolf Gasser, Zum Problem der autonomen Kleinräume. Zweierlei Staatsstrukturen in der freien Welt, in: Aus Politik und Zeitgeschichte, Attachment to the weekly magazine Das Parlament, vol. 31/77, p. 4
26 cf. Daniel Goleman, Emotional Intelligence, New York, 1996

Adolf Gasser

The Swiss historian Adolf Gasser (1903–1985) completed his studies in Heidelberg and Zurich with doctorates in history and classical philology. From 1928 to 1969 he taught as a grammar school teacher in Basel. In the course of his lectureships he became private lecturer in 1936 and an adjunct professor in 1942; from 1950 to 1985 he taught as an extraordinary professor for constitutional history at the University of Basel. After World War II he started an active lecturing activity in the Federal Republic of Germany. Gasser was joint founder of the Council of European Municipalities and Regions, from 1953 to 1968 he was a Liberal member of the Grand Council of Basel, and he was a president of the FDP of the canton Basel.
 

His works include (published in German language, all titles are translated here for better understanding):
– The territorial development of Switzerland. Confederation 1291–1797, 1932
– History of the People’s Freedom and Democracy, 1939
– Communal freedom as salvation of Europe, 1943
– On the foundations of the state, 1950

vendredi, 12 novembre 2010

Immigration: de la dénonciation à l'acceptation

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IMMIGRATION: DE LA DÉNONCIATION À L’ACCEPTATION 

 « Ce que je vois autour de moi, ce sont des musulmans intégrés à la vie sociale » vient de déclarer un Jean-Marie Le Pen très assimilationniste dans les colonnes de Flash. Comment l’ affirmation identitaire, cœur nucléaire de la doctrine frontiste pendant trois décennies, a-t-elle subi un tel Tchernobyl idéologique ?

 

Le premier mouvement nationaliste à dénoncer les risques d’une immigration extra-européenne non contrôlée est incontestablement Europe-Action. Dès le milieu des années soixante, la revue de Dominique Venner voit se profiler à l’horizon le spectre d’une immigration-invasion : « Ne voient-ils pas que la doctrine de la porte ouverte aboutira, si elle triomphe, à recouvrir la Touraine et la Toscane, le Sussex et la Thuringe, le Vermont et la Crimée, d’une croûte hideuse de paillotes, de gourbis et de cagnas ?(…) Pensent-ils que le mot « France » pourrait recouvrir légitimement la France d’aujourd’hui et un hexagone sur le terrain duquel camperaient vingt millions de Maghrébins et vingt millions de Négro-Africains ? » (1).

 

 Le n°1 des Cahiers d’Europe-Action, « Sous-développés, sous-capables », qui paraît en mai 1964, est entièrement consacré au « fardeau » représenté par les « peuples de couleur » et à la menace que ces derniers font peser sur l’Europe depuis la décolonisation. Le texte de présentation est on ne peut plus explicite : « D’ici 1990, la population mondiale aura doublé. Mais les peuples blancs, qui représentaient un tiers de la population mondiale au XIXe siècle, et en représente un quart aujourd’hui, n’en formeront plus qu’un sixième dans vingt ans. La Chine, a elle seule, « accouche » d’une France tous les trois ans et d’une URSS tous les seize ans. Au danger d’une telle pression démographique, aggravée par le déchaînement d’un racisme anti-blanc, s’ajoute celui de l’invasion lente des territoires européens par des populations allogènes. La France voit arriver chaque jour, un millier de Nord-Africains et mille Noirs chaque mois. L’Angleterre compte près d’un million d’habitants de couleur. La criminalité et l’insécurité augmentent ainsi que les maladies les plus percinieuses (2) ».

 

Inlassablement, tout au long de son existence, le mouvement mènera une campagne « Stop à l’invasion algérienne en France », ce qui le rapprochera du journaliste François Brigneau, dont les éditoriaux dans Minute évoquent souvent ce problème. C’est ainsi que le n°22, d’octobre 1964, d’Europe-Action proclame en une « Ils seront bientôt un million » (3). Dans un des derniers numéros de février 1966, Dominique Venner écrit : « En France, l’immigration importante d’éléments de couleur pose un grave problème ».

 

 

HALTE A L’IMMIGRATION SAUVAGE !

 

Il faut attendre 1973 pour que l’actualité confère au thème de l’immigration une acuité subite. Le roman de Jean Raspail, Le Camp des Saints, est un succès de librairie. Son sujet : « La fin du monde blanc, sous l’invasion des millions et des millions d’hommes affamés, « sous-développés », qui constituent les trois quart de l’humanité ». Au printemps, des grèves-bouchons, menées par des manœuvres africains, paralysent la régie Renault.

 

 C’est dans ce contexte que pour relancer Ordre nouveau, la direction du mouvement décide, lors de son 3ème congrès, de mener une campagne contre l’immigration sauvage. Une motion de la commission politique énonce : « L’immigration sauvage incontrôlée menace notre substrat culturel et notre civilisation… Le front autogestionnaire CFDT-PSU et PS travaille à remettre des industries d’intérêt national à des bandes d’analphabètes… ». Lorsqu’il dirigeait la propagande d’ON, François Duprat avait toujours refusé une telle campagne, arguant qu’elle ne pouvait que susciter une démagogie anti-arabe susceptible de réveiller le tropisme pro-sioniste de l’extrême-droite française. Jean-Gilles Malliarakis partageait le même point de vue. Mais Duprat n’est plus membre de la direction et Mallia s’est éloigné d’ON.

 

 On peut lire, dans l’éditorial du numéro de juin 1973 de Pour un ordre Nouveau : « Quelque chose vient de se passer dans la conscience française. Il s’agit pour nous maintenant de transformer cette petite étincelle en flamme, d’expliquer pourquoi l’immigration clandestine, l’immigration sauvage est tolérée et même organisée, de dire tout haut qui exploite cette masse, et qui s’en sert. Qui d’autre que nous pouvait, enfin, dénoncer le scandale permanent que constitue l’importation massive de ce sous-prolétariat, masse de manœuvre des gauchistes et armée de réserve du capital ? Les risques existent. Ils sont même considérables. Mais ils méritent d’être pris » (4).

 

 Dans cette campagne, ON privilégie les arguments économiques. Le texte de la pétition lancée par le mouvement ne demande même pas l’arrêt de l’immigration, mais seulement « l’installation aux frontières d’un triple contrôle judiciaire, sanitaire et de qualification professionnelle ». Le 21 juin, soir de solstice, ON tient à la mutualité un meeting contre l’immigration sauvage, devant 700 à 800 participants. L’extrême-gauche tente d’empêcher sa tenue, affrontant violemment les forces de l’ordre dans la rue.

 

 François Duprat commentera en termes sévères cet épisode : « Il est certain que la présence de nombreux étrangers, surtout d’origine nord-africaine, est mal vue par beaucoup de français, en particulier dans les quartiers populaires des grandes villes (…) Mais ce mécontentement ne se concrétise pas en attitude politique ». En effet, « traumatisés par l’accusation de racisme (et de tout ce que le mot signifie après des dizaines d’années de campagne antiraciste), les sympathisants potentiels, apolitiques ou non-membres de l’opposition nationale, se gardent bien de tout soutien, même le plus modeste ». Conclusion : « Il était politiquement erroné de croire développer un mouvement en menant campagne sur ce thème » (5).

 

UN MILLION DE CHOMEURS, C’EST UN MILLION D’IMMIGRÉS DE TROP

 

Jean-Marie Le Pen n’approuvait pas la campagne d’ON et s’est bien gardé de participer au meeting controversé. Toutefois, candidat à l’élection présidentielle, il dénonce le 29 avril 1974, dans le cadre de la campagne officielle sur les ondes de l’ORTF, « la situation créée par la forte pression que l’immigration étrangère fait peser sur les travailleurs manuels pour le maintien au plus bas prix de leur rémunération ».

 

 En 1975, la revue Militant, dont les animateurs appartiennent alors au Front national, aborde le sujet : « Délinquance, criminalité, tensions sociales, terrorismes, subversion, guerre civile, agression militaire, pressions politiques, tels sont les apports réels ou potentiels de la présence des immigrés sur le sol français ». Et, dans la perspective des élections législatives de mars 1978, le président du FN commence à hausser le ton : « Toute immigration nouvelle doit être interdite. Si l’on n’y prend garde, la France sera bientôt débordée par l’afflux d’étrangers. Ce débordement s’effectue selon une loi quasi-météorologique de hautes pressions démographiques se déversant sur cette zone de basses pressions que sont l’Europe et le monde blanc. Je mets au défi le gouvernement de dire, à un million près, combien il y a d’immigrés en France. Pour ma part, j’estime qu’il y en a 6 à 7 millions ».

 

 Si la première affiche « un million de chômeurs, c’est un million d’immigrés de trop ! » ne sera imprimée qu’un an plus tard, le slogan, signé Duprat, apparaît lors des législatives de 1978 dans des tracts diffusés par l’équipe de Militant. Duprat explique alors à ses amis : « La lutte contre l’immigration va devenir un thème de plus en plus brûlant. Il n’a pas encore payé parce qu’on l’a décliné dans une logique ethnique. Les gens sont contre l’immigration, mais pour l’instant ils ne se sentent pas directement concernés. Ce n’est pas encore une motivation de vote. En revanche, avec la montée du chômage, ça va le devenir : l’immigration sera ressentie et comme une gêne, et comme un fauteur d’insécurité économique » (6).

 

 Tous ne partagent pas cette opinion à la droite de la droite. Ainsi Jean-Gilles Malliarakis, délégué général du MNR : « Les campagnes contre les immigrés sont dégueulasses. L’immigration n’est pas la cause du chômage. Je ne souhaite pas la France algérienne, d’accord. Mais qui la souhaite ? Cela dit, l’Algérien qui travaille en France n’est pas mon ennemi»(7). De même, Pascal Gauchon du Parti des forces nouvelles, grand concurrent du FN dans les années soixante-dix, se veut plus modéré : « Notre approche de l’immigration n’est pas celle de M. Le Pen. Nous ne disons pas, nous, qu’un million d’immigrés, c’est un million de chômeurs. Peut-être est-ce effectivement sept cent mille chômeurs et faut-il réduire les déséquilibres de l’immigration » (8). Position intenable lorsque le FN explose électoralement.

 

C’est pourquoi, faisant de la surenchère sur lui, un « collectif » du PFN réclame, en mars 1984, le renvoi des immigrés de la 2ème génération (9). Peine perdue : le discours anti-immigrationniste assurera le succès électoral du FN et de son président pendant de longues années.

 

LE TEMPS DES RENIEMENTS

 

Dans un entretien publié en juillet 1992 par Les Dossiers de l’histoire, Alain de Benoist précise : « Les thèses du Front national, personnellement, me soulèvent le cœur (…) Tout d’abord, concernant l’immigration, parce que la logique du bouc émissaire m’est insupportable » (10). Qu’il est loin le temps ou le jeune de Benoist, sous le pseudonyme de Fabrice Laroche, s’exclamait dans Europe-Action, « le réalisme biologique est le meilleur outil contre les chimères idéalistes » (11).

 

 Chimères auxquelles l’ayatollah de la Nouvelle droite va succomber, trente ans plus tard, en se faisant le chantre du communautarisme et du multiculturalisme. En mars 1998, la revue Eléments publie un dossier central sur le « défi multiculturel », avec en couverture une femme arabe voilée. L’éditorialiste, de Benoist himself, prône le communautarisme, porteur d’un « pluralisme des identités », et le multiculturalisme qui offre « la possibilité à ceux qui le souhaitent de ne pas devoir payer leur intégration sociale de l’oubli de leur racines » (12).

 

 Dans le même numéro, Charles Champetier consacre un long article à la question, écrivant : « Dans une société pluri-ethnique les cultures ne doivent pas seulement être tolérées dans la sphère privée, mais reconnues dans la sphère publique, notamment sous la forme de « droits collectifs » spécifiques aux minorités ». Après avoir qualifié de fantasmes « la menace de l’ « invasion » organisée par l’ « anti-France », de l’ « islamisation » fomentée par les « intégristes » et de la « guerre ethnique » dans les banlieues », Champetier, fataliste, note « le caractère définitif de l’immigration de peuplement », excluant tout retour au pays des immigrés. « On ne sait au juste, écrit-il, ce que le Front national entend faire des immigrés qui ont acquis la nationalité française depuis deux, voire trois générations » (13).

 

 1998, c’est aussi l’année de l’éclatement du Front national et des premiers signes d’atermoiement du parti sur la question de l’immigration. Le novembre 1998, Christian Baeckeroot, membre du bureau politique, accuse : « C’est autour de Mégret qu’il y a le plus de substrats intellectuels du racisme » (14). Antienne reprise, le lendemain de l’explosif conseil national du 5 décembre 1998, par un Jean-Marie Le Pen dénonçant à la radio « une minorité extrémiste et raciste » (15). Cette dénonciation de l’Autre « raciste » s’accompagne rapidement d’un aggiornamento en matière d’immigration. Le 3 juin 1999 Samuel Maréchal, gendre de Le Pen explique : « On a évolué dans notre approche de l’immigration et sur le fait que la France, aujourd’hui, est multiconfessionnelle » (16). En juillet, c’est au tour de Pierre Milloz, membre du bureau politique du FN, de préciser dans Français d’abord : « Il est évident qu’obtenir le retour de la totalité de ces immigrés est hors de nos possibilités » (17). Le congrès d’avril 2000 ne pourra qu’en prendre acte, ainsi que s’en délectera Le Monde : « Soutenue par Farid Smahi, Conseiller régional d’Ile-de-France, la motion sur l’immigration omettait de mentionner le retour des immigrés dans leur pays d’origine » (18). Lequel Smahi, fils d’un Algérien du FLN, sera nommé en récompense au bureau politique par Le Pen…

 

 Le reniement sera total à l’occasion de la campagne présidentielle de 2007. Fidèle à la stratégie de « dédiabolisation » initiée par Marine Le Pen et son conseiller marxiste Alain Soral, qui s’est concrétisée par une affiche utilisant une beurette, Jean-Marie Le Pen commet l’infamie de prononcer le discours d’Argenteuil : « Vous êtes les branches de l’arbre France. Il n’y a pas de beuritude, pour moi vous n’êtes ni des potes, ni des blacks, ni des beurs, vous êtes des citoyens français, vous êtes des Français à part entière. Vous avez les mêmes droits et devoirs que nous ». Cinquante ans plus tôt, le même Le Pen déclarait à l’Assemblée nationale : « Les Algériens seront la partie dynamique et le sang jeune d’une nation française dans laquelle nous les aurons intégrés(…) Dans la religion musulmane rien ne s’oppose du point de vue moral à faire d’un croyant musulman un citoyen français complet » (19). Vous avez dit retour aux sources ?

                                                          

Edouard Rix, Réfléchir & Agir, hiver 2010, n°34, pp. 46-48.

 

 

NOTES :

(1) Europe-Action, juin 1964, pp. 17-18.

(2) Pierre d’Arribière, François d’Orcival, Henri Prieur et Dominique Venner, Sous-développés, sous capables, Edition Saint Just, Cahiers d’Europe-Action, mai 1964, n°1, 109 p.

(3) Dans ce même numéro, un dessin de Coral représente un Arabe effrayant coiffé d’un fez, la légende proclamant en grosses lettres : « On recherche Mohamed Ben Zobi, né en Algérie, résidant en France. Cet homme est dangereux ! Susceptible de : Tuer ! Violer ! Voler ! Piller etc. etc. etc. etc. Pour le trouver, inutile d’aller très loin… autour de vous, il y en a 700 000 comme lui ! ».

(4) Pour un Ordre Nouveau, juin 1973, n°20.

(5) François Duprat, La droite nationale en France de 1971 à 1975, L’Homme Libre, 2002, pp. 63-64.

(6) Gilles Bresson, Christian Lionet, Le Pen, Le Seuil, 1994, p. 382.

(7) Jean-Marc Théolleyre, Les néo-nazis, Messidor, 1982, p. 56.

(8) Ibid, p. 63.

(9) « Renvoi, contrairement à M. Le Pen, des immigrés de la deuxième génération dans lesquels se trouvent les éléments les plus criminogènes du pays ».

(10) Les Dossiers de l’histoire, juillet 1992, n°82, pp. 149-150.

(11) Europe-Action, décembre 1965, n°36, p. 9.

(12) Eléments, mars 1998, n°91.

(13) Ibid.

(14) Le Figaro, 6 novembre 1998.

(15) Grand Jury RTL, 6 décembre 1998.

(16) Ouest-France, 3 juin 1999.

(17) Français d’abord, juillet 1999.

(18) Le Monde, 3 mai 2000.

(19) Journal Officiel, 29 janvier 1958.

Russia Is Drying up - Is a US-Climate Weapon Involved?

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Russia Is Drying up – Is a US-Climate Weapon Involved?

Ex: http://www.currentconcerns.ch/

The Russian economy is expecting enormous losses because of the immeasurable heat that is raging in the central territories of Russia.
About 20% of all crops have been destroyed. In winter this may lead to a rise in prices. Moscow is enveloped in dark smoke that has been caused by fires raging in those territories. The prognoses of experts do not make it better. Droughts, severe storms and inundations will take place more frequently and will become more extreme.
Alexei Kokorin, head of the program “Climate and Economy in the Sector of Energy”, initiated by the ecologic foundation WWF,  declared that this tendency (drought) is not an accident and will recur.”1
“The declaration of the WWF speakers shows which direction the development of the climate is going to take. Nevertheless it is not a question of “global climatic warming” which is a subject discussed in many debates, i.e. scientific debates and pseudoscientific debates.2 The theory of “global climatic warming” has still to be proved, but the exceptional heat (which has broken out in Russia and in some neighboring territories) could have reasons that are neither natural nor scientific.
As early as in the seventies, the question of weather regulation (as one form of social regulation) has been raised  by Zbigniew Brzezinski in his book “Between Two Ages”. Of course, this classic author of American geopolitics had to reflect on the probability of how not only social, but also geo-politic systems are to be influenced by the climate. Other experts, too, seized this theme, even if information on the development of climatic weapons and the tests being conducted will probably never be published.
In 2000, Michel Chossudovsky, professor of economy at the University of Ottawa (Canada), wrote that a partial climatic change could be the result of the application of a new generation of “non-lethal weapons.” For several years Americans have been searching for opportunities to regulate the climate in various regions in the world. Such a technology is being developed in the framework of the High-frequency Active Aural Research Program (HAARP)3 and might be the cause of phenomena as for example droughts, hurricanes, and floods.
From a military perspective, HAARP is a weapon of mass destruction, an instrument serving to destabilize the agriculture and ecologic systems of certain regions.4 The technical basis of that program is an electromagnetic system which is built from 360 radio transmitters and 180 antennas whereof all are 22 meters high. The system  is designed to explore processes within the ionosphere.5
The station that radiates 3600 kilowatt into the sky, is the strongest installation world-wide to influence the global ionosphere.6
The program was started in 1990 and is financed by the Office of Naval Research and by the research laboratory of the US Air Force. Moreover, several important universities are participating.
All that prepared the ground for the breeding of rumours and presumptions. You may also laugh at the President of Venezuela Hugo Chavez who attributed the earthquake in Haiti to HAARP (http://fondsk.ru/article.php?id=2755), but similar rumors were brought forward after the earthquake in the Chinese province of Sichuan in 2008. Moreover, there are several indications pointing to the  American  program  for climate changes as being systematic in some countries and even partially concerning the universe.

2902246885_small_1.jpgThus, for example, the American pilotless space machine X-37B was sent into the orbit with laser weapons on board, according to certain sources of information. The “New York Times” wrote that this news was vehemently denied by the Pentagon whose experts conceded that the machine was in fact actually designed for promoting military operations and for doing “subsidiary jobs”. 7 X-37­B had already been built in 1999 within the framework of a NASA program. Since 2006 the US Air Force has been dealing with this program, but its budget and its aims are strictly confidential.    •
Author: Dr Andrei Areschev is an expert working for the Foundation for Strategic Culture.
The opinion of the author does not need to correspond to that of Ria Novosti.
Source : RIA Novosti 30/7/2010, www. interaffairs.ru/read.php ?item=231      
1    Odnako. – 2010, No 28., p. 33.
2    For details concerning the Wildlife Foundation, see: www.globoscope.ru/content/articles/2892/
3    Program site: www.haarp.alaska.edu/. The HAARP station is located in Alaska, 250 km north-east of Ankoridge.
4    Chossudovsky M. Washington’s New World Order Weapons Can Trigger Climate Change www.mindfully.org/Air/Climate-Change-Weapons.htm
5    www.haarp.alaska.edu/haarp/gen.html
6    www.kp.ru/daily/24494/648410/
7    Surveillance Suspected as Spacecraft’s Main Role. By William J. Broad, www.nytimes.com/2010/05/23/science/space/23secret.html?_r...
8    The Times claimed that the secret unmanned vehicle might be testing laser weapons: www.newsru.com/world/24may2010/kosmorazvedhtml
www.fondsk.ru

jeudi, 11 novembre 2010

Ausschaffungsinitiative läuft auf Hochtouren

Ausschaffungsinitiative läuft auf Hochtouren

Von Curd-Torsten Weick

Ex: http://www.jungefreiheit.de/

Plakat der Ausschaffungsinitiative: Gute Chancen bei der Abstimmung vorausgesagt Foto: www.kriminelle-nein.ch

„Darf die SVP aus Fotomodels Kriminelle machen?“ fragt der Schweizer Tagesanzeiger und zeigt „Ivan S.“. Auf der einen Seite als Aggressivität ausstrahlendes „Gang-Model“ der kanadischen Bildagentur iStockphoto, auf der anderen Seite als „Vergewaltiger“ auf dem Kampagnenfoto der Schweizerischen Volkspartei zur Ausschaffungsinitiative. Letztere soll am 28. November in eine Volksabstimmung münden, die über die verstärkte Abschiebung krimineller Ausländer entscheiden soll.

Darf die SVP das? Darf sie nicht? „Urherberrechtsverletztung“, „sehr bedenklich“, „ärgerliche Suggestion“, rufen die einen Kommentatoren, „typisches SVP-Marketing“, erklären die anderen. Das Marketing geht auf. Die Kampagne ist in aller Munde und die SVP-Ausschaffungsinitiative ebenso.

Umfragen räumen der Initiative gute Chancen ein

Geschult durch Dutzende Initiativen in den letzten Jahren weiß die Volkspartei, wie man das Wahlvolk erreicht und in die Kampagnen einbezieht. Das Thema ist brisant, und so haben sich schon über 3.000 Freiwillige gemeldet, die die SVP unterstützen wollen

„Werden Sie Mitglied im überparteilichen Komitee! Unterstützen Sie aktiv den Abstimmungskampf! Besuchen sie die Veranstaltung! Neben den Flugblätter und Plakaten mit der eindringlichen Botschaft „Ismir K. – Sozialbetrüger. Faruk B. – Mörder. ‘Werden sie nicht ausgeschafft weil es die Behörden so wollen?’“, werden die Schweizer auf allen Ebenen erreicht.

Gleich drei Internetseiten, die alles bieten: Argumente, Anlässe, Material und Videobotschaften. Dazu eine Vielzahl von Veranstaltungen für jedermann. So diskutierten am Sonntag zum Thema „Welche Schweiz wollen wir?“ SVP-Vizepräsident Christoph Blocher und der Schriftsteller Adolf Muschg auf der Weltwoche-Sonntagsmatinee. Das Volkshaus Zürich war bis zum Bersten gefüllt. „Kriminelle Ausländer ausschaffen?“ heißt es dann bei freiem Eintritt am 6. November um 10.30 Uhr im Zürcher Theater 11. Diesmal kreuzt Blocher die Klingen mit Nationalrat Daniel Vischer von den Grünen.

Doch nicht allein in Zürich gibt es eine Vielzahl von Terminen, auch in der „Provinz“ wird die Ausschaffung in Dutzenden öffentlichen Veranstaltungen diskutiert.

Verwirrung um den Gegenentwurf des Parlaments

Dabei geht es nicht nur um das Thema selbst. Denn die Volkspartei steht vor dem Dilemma „Gegeninitiative Nein – Ausschaffungsinitiative Ja“. Das Schweizer Parlament hat bereits im Juni  einen Gegenvorschlag präsentiert, der der SVP-Ausschaffungsinitiative den Wind aus den Segeln nehmen soll. Die SVP ist empört: Im Gegenentwurf stehe nicht mehr die Abschiebung schwer krimineller Ausländer im Mittelpunkt, sondern die „Integration“, heißt es.

Nun ist doppelte Aufklärung angesagt. „So stimmen Sie richtig“, ist dann auch auf allen Ausschaffungsseiten zu lesen. Denn es ist gar nicht so einfach, auf dem Stimmzettel zwischen der Volksinitiative „Für die Ausschaffung krimineller Ausländer“ und dem Bundesbeschluß „über die Aus- und Wegweisung krimineller Ausländerinnen und Ausländer“ zu unterscheiden.

Die Schweizerische Volkspartei zeigt sich dennoch guter Dinge, denn allen Umfragen zufolge kann sie auf eine klare Zustimmung zur Ausschaffungsinitiative hoffen.

JF 45/10

La nouvelle révolution turque

La nouvelle révolution turque

par Georges FELTIN-TRACOL

Ex: http://www.europemaxima.com/

turkish-army.jpgEn moins de cent ans, la Turquie aura connu deux grandes révolutions, politiques et culturelles, la seconde cherchant à annuler les effets de la première. Telle est la thèse de Tancrède Josserand dans La nouvelle puissance turque, une brillante étude à la croisée de l’histoire des idées politiques, de la sociologie religieuse et de la géopolitique.

Turcophone avisé et jeune directeur de l’« Observatoire du monde turc et des relations euro-turques » de la Lettre Sentinel Analyses et Solutions, Tancrède Josserand apporte au lecteur francophone une vue nouvelle – et novatrice – sur l’évolution passionnante de la Turquie. Sorti fin août, l’ouvrage résonne néanmoins de l’actualité puisque, le 12 septembre 2010, les électeurs turcs ont entériné par plus de 58 % de oui pour une participation de 79 % le référendum révisant la Constitution de 1982. Ils ont ainsi décerné un large quitus au Premier ministre, Recep Tayip Erdogan, et à son parti, l’A.K.P. (Parti de la justice et du développement). Or cet indéniable succès électoral n’est pas le fruit du hasard, mais plutôt le résultat d’un long travail militant, culturel et métapolitique.

Hormis quelques banalités touristiques comme le détroit du Bosphore, la mosquée – cathédrale Sainte-Sophie ou le bazar d’Istanbul, on ne connaît guère la Turquie. Située en Asie Mineure, carrefour naturel de l’Europe, de l’Asie occidentale, du Proche-Orient et du Caucase, peu éloignée des gisements d’hydrocarbures, la Turquie n’est pas aussi homogène qu’elle souhaiterait l’être. Les ethnologues ont recensé quarante-sept minorités ethniques, religieuses et linguistiques parmi lesquelles les Lazes, les Tcherkesses, les Abkhazes, les Albanais, les Arabes, les Assyro-Chaldéens, vingt millions de Kurdes, douze à vingt millions d’Alévis, chiites dissidents qui « ne construisent pas de mosquée, ne font pas de prosélytisme et sont libres de consommer de l’alcool (p. 7) », soit « 32 à 45 millions d’individus sur les 74 millions d’habitants du pays (pp. 173 – 174) ». À l’exception des Grecs, des Arméniens et des Juifs dont l’existence est théoriquement reconnue par le traité de Lausanne de 1923, l’État turc ignore délibérément cette bigarrure humaine qui lui rappelle trop l’héritage ottoman.

De l’Empire ottoman à l’État national-républicain

Puissance se réclamant en partie de l’héritage de Byzance et, par ce truchement, de la Première Rome, l’Empire ottoman fut une théocratie multiculturaliste avant l’heure qui reposait sur l’institution du millet. « Les peuples soumis conservent leurs croyances, leurs institutions juridiques et sociales propres, en échange de l’allégeance au Sultan. Chaque religion forme un millet organisé comme une communauté légale sous la direction des porteurs du sacerdoce. Ce système ne permet pas seulement à l’État de contrôler les communautés à travers leurs institutions religieuses mais également au clergé des différents millet de s’appuyer sur le bras séculier pour réprimer les hérésies. Le système des millet permet à chacune des communautés de vivre ensemble tout en vivant à part (pp. 6 – 7). »

Ce « communautarisme institutionnel » n’est possible que du fait de l’originalité de l’islam turc. Principalement sunnite, il se divise en confréries hanafites ou soufies mystiques qui s’impliquent fortement dans la société et constituent un contre-pouvoir à l’omnipotence despotique du Sultan – Calife – Commandeur des croyants. La prégnance des confréries dans la société actuelle est largement examinée par Tancrède Josserand.

Longtemps gage d’une efficience politique, cette diversité organisée se transforme en faiblesse rédhibitoire au siècle des nationalités qui plonge l’Empire ottoman dans un déclin que ne parvient pas à freiner le mouvement jeune-turc. L’entrée en guerre d’Istanbul aux côtés des Empires centraux en 1914 marque son arrêt de mort. En 1920, par le traité de Sèvres, les Alliés et leurs affidés dépècent l’Empire. Le littoral anatolien est partagé entre les Grecs et les Italiens tandis qu’apparaissent les proto-États kurde et arménien.

Toutefois, la défaite ottomane attise le réveil national turc qui se cristallise autour d’un général aux yeux clairs et aux traits européens, né à Salonique, Mustapha Kemal. Celui-ci entreprend une véritable guerre de libération nationale. Sa victoire remet en cause l’architecture des traités de paix de la Grande Guerre, car elle contraint les Alliés à signer le traité de Lausanne de 1923 qui révise les clauses de Sèvres.

Conscient de la nécessité d’établir une identité turque qui se détourne du passé impérial ottoman, Kemal soutient une vision ethnique et linguistique de la turcité. Il déplace la capitale d’Istanbul au cœur du plateau anatolien à Ankara (Angora), encourage les recherches sur les civilisations hittite et sumérienne, ouvre une chaire universitaire indo-européenne dont le titulaire est le jeune Georges Dumézil et entreprend une vaste réforme civilisationnelle. Pour autant, « l’occidentalisation n’est pas conçue comme un processus d’acculturation visant à faire de la Turquie un pays européen. Au contraire, il s’agit pour Kemal de s’approprier la technique occidentale afin de pouvoir faire revivre l’âme turque d’avant l’islam (p. 11) ». Kemal invite historiens, géographes et ethnologues à déterminer correctement le foyer initial du peuple turc. « Au sud de la forêt sibérienne, les monts désolés de l’Altaï abritent le berceau originel des premiers Turcs. Ces espaces désertiques occupent une place à part dans l’imaginaire national. Ils sont indissociables de la légende de l’Ergenekon. Une louve au pelage gris-bleu aurait recueilli et nourri deux enfants, les derniers survivants d’une tribu turque disparue. Le symbole a été par la suite repris par la droite radicale et l’État turc lui-même. Il figure sur les armes de la “ République turque de Chypre ”  (p. 208). » Cet intérêt pour les mythes fondateurs sert l’unité des Turcs qui expulsent Grecs d’Ionie et d’autres populations allogènes.

Très vite, Ankara s’inspire des expériences communiste soviétique et fasciste italienne. « D’évidentes analogies existent entre les deux États où la nation est définie comme un tout organique, dirigé par un chef et un parti unique, expression de la volonté nationale (p. 14). » Mieux, « en 1937, les six principes ou six flèches du kémalisme (Alti Ock) (nationalisme, populisme, laïcité, étatisme, république, révolution) sont inscrits dans la Constitution (p. 14) ». Par ailleurs, l’impératif  politogénésiaque turc fait que « Kemal va user de barrières douanières prohibitives pour créer une bourgeoisie nationale (p. 12) ».

Mustapha Kemal prône l’émergence d’un homme nouveau turc « viril, vertueux, héroïque (p. 15) », d’où la nécessité de bouleverser en profondeur la société traditionnelle musulmane par une révolution quasi-permanente qui, au jour le jour, « entretient une tension permanente qui doit permettre l’application rapide des décisions arrêtées et la perpétuation des principes édictées (p. 15) ».

L’ambition laïque

Les mesures édictées par Kemal suscitent de violentes protestations qui dégénèrent, ici ou là, en révoltes ouvertes au nom de la défense de l’islam et avec l’implication étroite des confréries. La réponse étatique en est une répression implacable.

Les résistances musulmanes augmentent la méfiance de Kemal envers l’islam. Il veut la restreindre à la seule vie privée, voire à l’intimité du pratiquant. « L’islam, selon Kemal, est une parenthèse débilitante de l’histoire turque, la revanche des Arabes sur leur conquérant. Son message universaliste a dissous l’âme turque dans un magma informe. Preuve de cette volonté de ré-enracinement dans la plus longue mémoire, l’utilisation au début de la République du loup d’Asie centrale comme symbole officiel sur le timbre, les billets de banque (p. 12). »

Tancrède Josserand en vient à évoquer la laïcité turque qui ne correspond pas à la laïcité française. « L’État est laïc au sens où il n’est pas dominé par la religion. La religion est placée sous son contrôle. L’État organise, réglemente la pratique religieuse en restreignant au maximum sa visibilité dans la sphère publique (p. 139). » « La séparation entre l’État et la mosquée, poursuit l’auteur, est purement formelle puisque la vie religieuse s’organise au sein du ministère des Cultes (Dinayet). Outre le traitement des desservants, l’État kémaliste impose à l’islam ses propres orientations nationales (p. 18). » Ainsi, du temps d’Atatürk, l’appel à la prière du haut du minaret se fait en turc et non en arabe ! Le régime reprend la vieille tradition orientale « césaropapiste », chère aux empereurs byzantins… Il conçoit en outre la laïcité comme une religion civique et nationale fondée sur une base ethno-culturelle turque. Ce projet s’apparente-t-il à une religiosité pré-totalitaire ? Il y a pourtant un paradoxe : « l’islam est le creuset identitaire du nouvel État (p. 19) ».

Par conséquent, bien que pourchassées et interdites, les confréries survivent et attendent patiemment l’affaiblissement de l’État républicain. Cet affaiblissement tant survient après la Seconde Guerre mondiale quand les Alliés forcent la Turquie, restée neutre pendant le conflit, à renoncer à son monopartisme pré-totalitaire. Des bourgeois républicains créent le Parti démocrate et accèdent au pouvoir à la fin des années 1940. La réislamisation de la société est relancée de facto ! Dans le même temps, en raison de la Guerre froide et du voisinage soviétique, Ankara se place clairement dans le camp occidental, adhère à l’Alliance Atlantique et pose sa candidature à la C.E.E.

L’établissement d’une démocratie parlementaire avive les tensions politiques et sociales dans les décennies 1960 et 1970. Les campus deviennent le champ de bataille entre étudiants gauchistes, nationalistes et islamistes. Comme en Italie, la Turquie connaît des « années de plomb » et une « stratégie de la tension ». L’instabilité politique entraîne l’intervention de l’armée turque en 1960, en 1971 et en 1980 au nom des intérêts supérieurs de la nation qu’elle défend tout particulièrement.

L’armée, sentinelle de la nation

« La République turque, écrit Tancrède Josserand, est indissociablement liée à l’institution militaire (p. 195). » En effet, « les militaires en Turquie sont les gardiens de l’État et de sa continuité à travers les âges. Corps mystique et éclairé de la nation, l’armée se sent dépositaire d’une légitimité propre qui la place au-dessus des contingences des gouvernements élus. La référence au kémalisme est tout autant si ce n’est plus l’expression d’un lien de solidarité et d’intérêts de pouvoir d’une caste que celui de l’adhésion à un corpus idéologique intangible (p. 24) ». Cette prédominance provient paradoxalement de l’ère ottomane quand « la carrière militaire est une profession prestigieuse qui place le soldat au-dessus du reste de la société (p. 6) ».

Elle se renforce lors de la guerre de libération nationale de 1919 – 1923 et se concrétise avec le rôle quasi-démiurgique du général Kemal sur l’État dont la vocation est d’obtenir une nation turque. Or, afin de mener à bien cet objectif titanesque, le jeune État turc s’ouvre aux officiers si bien que l’armée est à l’origine de l’État lui-même maître-d’œuvre de la nation. De ce fait, « l’armée s’est construit une légitimité au dessus des partis en se statufiant gardienne de l’État (p. 201) ». Cette fonction lui permet par conséquent de mener une série de coups d’État jusqu’en 1997 sans pour autant s’occuper du quotidien. Les différents gouvernements turcs doivent appliquer les recommandations impératives du Conseil de sécurité nationale, l’émanation constitutionnelle de l’armée.

L’armée contrôle aussi de larges pans de l’économie grâce à l’O.Y.A.K. (Fonds de solidarité et d’aides mutuelles des forces armées). Bref, elle fait figure de sentinelle attentives et sourcilleuse de la vie politique turque en prenant après 1945 la posture du commandeur. En 1950, la victoire électorale du Parti démocrate montre l’ascension sociale de couches nouvelles issues de l’islam rural et provincial. Apparaît alors en réaction le Derin Devlet (l’État profond) qui « renvoie à l’existence d’une élite formée de hauts fonctionnaires, militaires, magistrats, membres des différents services de sécurité, et même universitaires pouvant agir à côté du gouvernement pour œuvrer à la conservation de la nation, de l’héritage kémaliste et d’intérêts de pouvoir bien compris… (p. 22) ». Il importe cependant de ne pas assimiler cet État profond aux armées secrètes de l’O.T.A.N. destinée à la lutte anti-communiste en dépit d’évidentes connexions (1).

Longtemps hégémonique, la place de l’armée s’amoindrit depuis une décennie sous les coups de butoir des islamistes et de la Commission européenne de Bruxelles. Elle a perdu de sa superbe; le Conseil de sécurité nationale n’a plus qu’un rôle consultatif. Dépit et résignation parcourent l’encadrement militaire. En 2002, l’armée autorisa le lancement du processus d’adhésion à l’U.E. avec le secret espoir de briser l’emprise de l’A.K.P. sur la population. À tort ! Désormais, « les cercles militaro-laïques opèrent un lien direct entre l’Union européenne, le projet d’islam modéré anglo-saxon et la globalisation (p. 205) », voyant l’instrumentalisation par les islamistes du choix européen.

Sur la défensive depuis la découverte et le démantèlement de divers complots dont ceux du réseau Ergenekon (2), l’armée semble hors-jeu et n’entend plus régir la politique turque. Cependant, certains de ses milieux continuent à résister à la « vague verte », malgré une infiltration islamiste indéniable. Les cénacles anti-musulmans de l’armée réfléchissent à une alternative géopolitique qui délaisserait l’orientation néo-ottomane et l’intégration européenne et pencheraient vers l’eurasisme qu’Alexandre Kadirbayev envisagerait comme « l’union de la steppe et de la forêt, des Turcs et des Slaves (p. 206) ». Il est étonnant que Tancrède Josserand n’évoque pas les thèses pantouraniennes naguère défendues par les Loups gris et le M.H.P. (Parti de l’action nationale). La vision d’un ensemble turcophone coordonné de la mer Adriatique à la Muraille de Chine serait-elle définitivement révolue ?

Il est en tout cas évident que l’armée perd ses repères habituels. « À partir des années 1980, la mondialisation associée à la libéralisation de l’économie, l’adhésion à l’Union européenne, ouvrent la Turquie. Les échelles se sont progressivement brouillées. Le cadre national se retrouve compressé entre le local et le global. À la différence de l’élite laïque aux rigides conceptions jacobines, les élites islamistes se sont coulées dans la nouvelle donne (p. 212). »

Islam radical et postmodernité

« L’A.K.P., explique Tancrède Josserand, c’est l’islam politique à l’heure de la postmodernité. Dans le discours postmoderne, aucune idéologie n’est plus légitime qu’une autre. Conséquence directe de la postmodernité, l’État se voit dépouillé de son droit à désigner une finalité universelle, c’est-à-dire à fixer un discours global et admis par tous. Dans le cas turc, cette remise en cause de l’idéologie d’État aboutit logiquement à la remise en cause de sa religion civique : la laïcité (p. 3). » Les dirigeants de l’A.K.P. ont pris conscience du phénomène et l’ont même accepté. Considérant que « la mondialisation excite l’expression d’identités culturelles sans bases politiques. En même temps, la perte de repères inhérente à la standardisation des modes de vie invite l’individu déraciné à s’accrocher à l’appartenance la plus proche. C’est le réflexe communautaire (pp. 174 – 175) », les islamistes utilisent la vogue du multiculturalisme dans la perspective d’assurer une hégémonie d’abord culturelle, puis politique. Puisque « la remise en cause des prérogatives régaliennes dans le cadre de l’intégration européenne favorise le retour à des conceptions régionalistes (p. 179) », les islamistes n’hésitent pas à favoriser le régionalisme. Or le problème porte sur l’acception du « régionalisme » qui présente un caractère artificiel et administratif plus que charnel, identitaire et enraciné. Sauf quelques exceptions notables, les mouvements régionalistes se revendiquent progressistes, altermondialistes et modernes.

Or, « chez les islamistes turcs la question du fédéralisme n’a jamais été taboue (p. 185) ». Tancrède Josserand cite un idéologue de l’A.K.P., Cemalettin Kaplan, qui déclare que « la laïcité d’Atatürk exclut naturellement les régions; nous sommes contre un État unitaire. Nous fonderons un État anatolien fédéral islamique (p. 185) ». Alors que « dans la droite ligne des principes hérités de la Révolution française, le kémalisme ne reconnaît que la nation et l’individu (p. 180) », les islamistes parient sur la résurgence des identités populaires et sur la réaffirmation de l’Oumma. « Hostile au nationalisme, considéré comme un produit d’exportation occidentale portant en germe les principes de la sécularisation, l’islam politique pose en premier lieu le lien religieux (p. 183). » Ainsi, « en favorisant le retour aux communautés, l’A.K.P. crée les conditions d’une société féodale sans arbitre et sans ordre politique, où les groupes divers imposent leurs codes et leur droit dans un tourbillon sans fin (p. 213) ». L’A.K.P. suivrait-il les travaux novateurs de Michel Maffesoli ? En Turquie, Dionysos s’est fait pour la circonstance mahométan !

Les néo-islamistes ont pris acte de la liquidification du monde ultra-moderne. Ils comprennent qu’« avec la mondialisation, les sociétés s’émancipent des États : les frontières administratives demeurent mais sont effacées ou ignorées. Émerge “ une volatilité identitaire ”. En fonction des enjeux, l’individu modifie à sa guise la hiérarchie de ses appartenances. Les attributs régaliens de l’État sont intégrés dans des structures transnationales, alors qu’à la base, ils sont éclatés en de multiples corps locaux ou intermédiaires (p. 172) ». Dorénavant, « le point de divergence majeur entre l’A.K.P. et l’islam politique classique repose sur la renonciation par les néo-islamistes à la religion d’État (p. 139) ». Les néo-islamistes rêvent de laïcité anglo-saxonne, étatsunienne en particulier, avec une ambiance saturée d’islam. « Très tôt, les néo-islamistes ont compris qu’il était impossible d’ignorer les effets de la mondialisation libérale. Bien au contraire, celle-ci couplée au processus d’adhésion à l’Union européenne est une arme redoutable contre le vieil État-nation kémaliste (p. 54). » Les néo-islamistes ont effectué leur mue culturelle et réussi leur métamorphose intellectuelle.

Une révolution conservatrice ou néo-libérale ?

Cette évolution résulte d’un long processus idéologique souvent parsemé d’échecs formateurs. L’auteur rappelle justement que « les membres fondateurs de l’A.K.P. se sont connus au milieu des années 1970 au sein de l’Union national des étudiants turcs (Milli Türk Talebe Birligi – M.T.T.B.), école des cadres de la droite radicale turque (p. 75) ». Ils affrontent en compagnie des étudiants nationalistes « idéalistes » les gauchistes. Leur activisme les fait remarquer par une véritable centrale de formation islamiste – le Milli Görus (Voie nationale) – qui est une école des cadres et un laboratoire d’idées de plusieurs générations militantes. Comme pour les nationalistes hindous en Inde qui bénéficient des entreprises intellectuelles du V.H.P. (Visva Hindu ParishadConseil mondial hindou) et du R.S.S. (Rashtriya Swayam Sevak SanghAssociation pour la défense des valeurs nationales), les néo-islamistes turcs disposent d’un solide appareil théorique qui permet l’articulation réfléchie du militantisme et de la métapolitique.

La gestation du néo-islamisme de l’A.K.P. fut longue et difficile. Elle date de l’échec gouvernemental du Refah Partisi (Parti de la prospérité) de Necmettin Erbakan. Le Refah se posait en alternative radicale et totale au kémalisme et s’inscrivait dans une veine protestataire qui, dans les décennies 1970 – 1980, se définissait comme tiers-mondiste, anti-impérialiste et identitaire. « Avec la charte dite de “ l’Ordre juste ” (Adil Düzen), le parti islamiste prône une troisième voie économique et sociale (p. 52) » et propose un développement autocentré ! Contre la menace d’extrême gauche, des convergences apparaissent entre islamistes et nationalistes d’où, à la suite du coup d’État de 1980, le désir des militaires d’opérer une synthèse islamo-nationaliste : « kémalisme et islam sont compatibles, la laïcité est nécessaire au développement d’un islam moderne et ami de la science (p. 26) ». Paraît à ce moment un « Rapport sur la culture nationale ». « Préparé sous les auspices d’intellectuels liés à la droite radicale, le document décline les trois piliers de la synthèse islamo-nationaliste : la famille, la mosquée, l’armée. […] Cette synthèse, opérée en rupture avec une partie des principes adoptés à partir de 1923, démontre que le kémalisme si cher à l’armée relève plus d’une logique de défense de l’idée d’État, que d’un corpus idéologique inamovible (pp. 26 – 27). »

En 1997, l’incapacité à gouverner d’Erbakan provoque une rupture entre l’aile traditionaliste qui va constituer le Saadet Partisi (Parti de la félicité) et l’aile modernisatrice, démocrate, libérale et pro-européenne, le futur A.K.P. Depuis, « à la différence des partis islamistes traditionnels, l’A.K.P. ne cherche pas à supprimer la laïcité pour instaurer la charia. Au contraire, les néo-islamistes turcs exigent une vraie laïcité et la fin de l’ingérence de l’État dans la sphère du privé (p. 69) ». Il ressort que « le conservatisme des néo-islamistes turcs n’est pas la réaction. On ne peut renouveler les formes révolues de gouvernement et effacer les grandes ruptures de l’Histoire comme si elles n’avaient jamais eu lieu. Ce conservatisme veut se rattacher au passé mais sans le restaurer. Le principe de conservation n’est pas synonyme d’inertie mais d’évolution de la continuité (p. 64) (3) ». Cette démarche ne se rapproche-t-elle pas des conceptions de la Révolution conservatrice allemande et européenne ?

Proche d’Erdogan et idéologue principal de l’A.K.P., Yulçin Akdogan, a inventé l’expression de « démocrate conservateur » et défend la vision d’« une démocratie organique se propageant de place en place dans l’ensemble du corps politique et social (p. 67) ». Cherchant à combler le fossé entre le peuple et les « élites », il estime – tel Arthur Mœller van den Bruck – que « ce qui fait la démocratie, ce n’est pas la forme de l’État mais la participation du peuple à l’État (p. 67). » Tancrède Josserand ajoute que « très habilement, les néo-islamistes ont compris que l’adéquation entre islam et démocratie prenait en défaut l’ensemble de l’édifice républicain (p. 61) ».

L’A.K.P. se considère comme une véritable force néo-conservatrice. Prenant en compte les données surgies de la mondialisation, il promeut le système capitaliste-libéral et des valeurs morales hostiles au matérialisme. « Dans la lignée d’Hayek et de Burke, l’A.K.P. conçoit les libertés traditionnelles comme partie inhérente de l’ordre social. L’État est là pour restaurer l’autorité et la vie sociale, non pour la liquider. La société est un parapluie sous lequel on peut s’abriter librement, à l’opposé de l’État moderne où l’homme en échange de cette protection fait le sacrifice de sa liberté (p. 71). » Militant en faveur de l’économie de marché, la liberté de conscience et la diversité des appartenances, l’A.K.P. cherche à « dégraisser l’État-Moloch en reconstruisant les mécanismes traditionnels d’entraide et de protection de la société musulmane (p. 72) ». Bref, il souhaite passer de l’État social à l’État de charité et soutient un État minimal. Leur vision correspond au conservatisme compassionnel de Bush fils et à la Big Society du Premier ministre tory David Cameron.

Un autre idéologue néo-islamiste, Mustafa Akyol, n’hésite pas à citer Joseph de Maistre. Ce « disciple de Leo Strauss critique le culte de la raison propre aux Lumières françaises. […] Akyol s’inscrit dans l’école du libéralisme conservateur, un libéralisme critique qui rejette la confusion entre liberté et révolution […]. Akyol n’est donc pas réactionnaire pour cette raison qu’il ignore pas ni ne rejette la donne du monde actuel. Le processus de modernisation auquel il adhère est un processus de modernisation conservatrice (p. 60) ». Verrait-on une modernisation musulmane réussie grâce à ces lecteurs singuliers d’Edmund Burke ? Cet intérêt des néo-islamistes pour Burke, l’un des principaux penseurs de la Contre-Révolution, est logique puisque l’ennemi kémaliste s’inspire, lui, du projet éclairé découlant des idées de 1789.

Il apparaît clairement une très nette convergence entre le néo-islamisme turc et la pensée libérale d’origine anglo-saxonne. Soulignant les nombreux liens noués entre l’A.K.P. et les cénacles néo-conservateurs étatsuniennes, Tancrède Josserand parle d’une « alliance des dévots » entre néo-islamistes et puritains d’outre-Atlantique. On retrouve sur les bords du Bosphore de vieilles recettes pratiquées par Margaret Thatcher et Ronald Reagan dans les années 1980. Il est par conséquent indéniable qu’il existe une « éthique islamique du capitalisme (p. 124) ». Les spécialistes vont même jusqu’à parler de « calvinistes musulmans » quand bien même les intellectuels islamistes dénoncent la Réforme protestante comme un facteur déterminant de sécularisation du monde.

L’A.K.P. n’est pas le F.I.S. (Front islamique du salut) algérien, les wahhabites saoudiens, voire les révolutionnaires néo-traditionalistes iraniens. L’auteur insiste sur le fait que « l’A.K.P. ne correspond pas aux canons habituels de l’islam politique. L’islam est compris comme un corpus moral de valeurs partagées régulateur de l’ordre social, non comme la raison d’être de l’État (p. 3) ». Son besoin vital de vaincre l’idéologie kémaliste persuada le parti néo-islamiste à accepter le processus d’intégration européenne et à se rapprocher du patronat. Le tournant libéral-conservateur des islamistes bouleversa le spectre politique turc : les néo-islamistes adoptent un centrisme ou un centre-droit alors qu’« en Turquie, le terme de centre renvoie à une idéologie officielle : le kémalisme. Cette vision du monde est gravée dans le mot d’ordre : État-nation, État laïc, État unitaire. Traditionnellement, les partis du centre-gauche est dans une moindre mesure de centre-droit alliés à l’appareil bureautico-militaire, en sont les légataires. À l’inverse, la périphérie désigne les secteurs de la population brimés par le système (Kurdes, islamistes, Alévis). Cette périphérie recouvre les différents mouvements islamistes issus du Milli Görus et en dernier ressort l’A.K.P. (pp. 35 – 36) ». Les succès de l’A.K.P. favoriseront-ils l’islamisation de la Modernité ou bien la mise en place d’une contre-modernité ? À moins que le monde ultra-moderne, fluide et liquide, domestique l’islamisme politique… « Loin de constituer un contre-feu au modernisme, estime Tancrède Josserand, l’élaboration d’une doctrine islamique du capitalisme ne fait qu’accélérer l’assimilation de l’islam dans un monde sécularisé, où il se réduit au final à un simple segment du marché (p. 133). »

En abordant la question kurde, Tancrède Josserand apporte des éléments inattendus et intéressants, bien loin des stéréotypes idiots des médias hexagonaux. « Les islamistes voient dans la question kurde un avatar du régime républicain que seule la restauration d’un lien spirituel fort est susceptible de résoudre (p. 173). » On y apprend l’existence du Hizbullah kurde qui lutte contre la guérilla du P.K.K. (Parti des travailleurs du Kurdistan) maoïste. Inspiré par le précédent de la révolution iranienne de 1979, son fondateur, Hüseyin Velioglu, « est à l’origine un transfuge de la droite radicale (p. 186) ». Ce parti de Dieu kurde, plus radical que l’A.K.P., envisage « l’alliance entre les étudiants, les paysans et les déshérités (p. 186) » et « rejette l’animalité végétative du monde moderne (p. 186) ». Sa structure de base, la mesjids (petite mosquée), ressemble aux nids de la Garde de Fer roumaine… Il n’empêche que le Kurdistan continue à poser un grave problème à la géopolitique turque.

Le jeu géopolitique

« La Turquie appartient hiérarchiquement à trois ensembles distincts :

— Le monde musulman au Sud.

— L’Eurasie à l’Est.

— L’Occident à l’Ouest (pp. 41 – 42). »

Notons que les visées panturquistes ou le songe pantouranien semblent totalement évacués des enjeux contemporains pour s’ancrer dans les chimères nostalgiques d’Enver Pacha.

Tout en misant sur l’U.E., les néo-islamistes démocrates-conservateurs réactivent la vieille influence ottomane dans le monde musulman à travers l’Organisation de la Conférence islamique (O.C.I.). Les étroits liens entre Ankara et Israël se distendent depuis qu’Erdogan aspire à devenir le porte-parole de la cause palestinienne auprès de la « Communauté internationale ». L’assaut israélien contre la flotille d’aide à Gaza a provoqué une grave crise diplomatique. Or rien ne dit que, dans les coulisses, Israéliens et islamistes turcs agissent de concert afin de rendre la figure d’Erdogan populaire auprès des masses arabes et de concurrencer celle d’Ahmadinejad.

On définit ce regain turc pour le monde arabe par le concept de « néo-ottomanisme » quand bien même la mémoire arabe garde les séquelles de la longue tutelle de la Sublime Porte. La politique étrangère – multidimensionnelle – de la Turquie est mise en pratique par l’ancien conseiller diplomatique d’Erdogan et actuel ministre des Affaires étrangères, Ahmet Davutuglu, qui pense au rang de son pays dans le monde. Estimant que « de Sarajevo à Bagdad en passant par Istanbul et Grozny, une même communion d’âme existe : l’islam et le souvenir de l’Empire ottoman (pp. 42) », Davutuglu façonne une sorte de diplomatie gaullienne : on conteste l’hégémonie des États-Unis tout en restant leur allié loyal. « Le fait que la Turquie puisse s’affranchir ponctuellement de la tutelle américaine n’est pas forcément nuisible. La Turquie est ainsi plus écoutée; elle devient à la fois une porte ouverte sur l’Ouest et un exemple à suivre (p. 43). »

Tancrède Josserand insiste sur « la convergence d’intérêts existant entre la mouvance islamiste turque et les États-Unis. L’A.K.P. demeure la formation la plus modérée à l’égard de Washington au sein de l’arc politique turc (p. 56) ». En visite aux États-Unis et soucieux d’apparaître en musulman responsable et atlantiste, Erdogan a discouru devant la Fondation Lehman Brothers, l’American Entreprise Institut, la Rand Corporation, l’Anti-Difamation League et l’American Jewish Congress. Une véritable alliance objective s’est réalisée puisque, « palliant l’absence d’un réel lobby turc, les groupes de pression pro-israéliens remplissent au Congrès ce rôle, surtout lorsqu’il s’agit de faire obstacle aux menées des instances communautaires arméniennes en vue de faire reconnaître le génocide de 1915. Cette appellation est réfutée tout par les Turcs que par les Juifs au nom du caractère unique de la Shoah (pp. 57 – 58) ».

Si la politique extérieure turque écarte le pantouranisme, elle n’hésite pas, en revanche, parallèlement à son atlantisme, à regarder aussi vers l’Est. « En Asie centrale, Davutoglu rappelle le rôle fondamental des populations turques. L’empire des steppes, la Horde d’Or, de la mer d’Aral à l’Anatolie est un point fixe de sa pensée. La Turquie a tout intérêt à revivifier cette vocation continentale et à se rapprocher du groupe de Shanghaï sous la baguette de la Chine et de la Russie (pp. 42 – 43). » La Turquie n’a pas encore dit son dernier mot (géo)politique…

La nouvelle puissance turque. L’adieu à Mustapha Kemal de Tancrède Josserand secoue les lieux communs les plus éculés et montre d’une lumière nouvelle les facettes de ce voisin de l’Europe. Regrettons cependant qu’il n’a pas été apporté à cet essai toute la rigueur scientifique attendue : nombreuses coquilles, absence de cartes, d’index et de bibliographie appropriés. Espérons donc qu’une prochaine édition rectifiera ces manques pour que ce livre de référence atteigne l’excellence.

Georges Feltin-Tracol

Notes

1 : cf. Daniele Ganser, Les Armées secrètes de l’O.T.A.N. Réseaux Stay Behind, Gladio et terrorisme en Europe de l’Ouest, Éditions Demi-Lune, coll. « Résistances », 2007, 416 p.

2 : Berceau mythique des Turcs, Ergenekon désigne aussi une vaste conspiration anti-islamiste, anti-atlantiste et anti-européenne nouée entre des cadres de l’armée, de l’intelligentsia et de la pègre mise en lumière par la police et les journalistes.

3 : Souligné par nous.

• Tancrède Josserand, La nouvelle puissance turque. L’adieu à Mustapha Kemal, Éditions Ellipses, 2010, 219 p., 20 €.


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mercredi, 10 novembre 2010

Vérités et contre-vérités sur la Russie avec Alexandre Latsa

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Vérités et contre-vérités sur la Russie avec Alexandre Latsa

Ex: http://www.alliancegeostrategique.org/ 

La Russie est un sujet prolifique pour journalistes et experts en tant que puissance résiduelle de l’ex-Union Soviétique soucieuse de s’offrir un rang conforme à ses ambitions mondiales. De fait, fantasmes et réalités ne cessent de se bousculer lors de nombreux papiers commentant les actions des dirigeants ou sur les évènements pouvant survenir au sein de cette fédération eurasiatique.

Certains auteurs n’ont pas manqué de faire part de leur atterrement quant à la méconnaissance ou à la vision faussée véhiculées par les médias traditionnels comme modernes. L’un deux, Alexandre Latsa, se proposant d’offrir une vision dissonnante comme il l’écrit lui même quant aux faits relatés. Résident permanent à Moscou, il intervient régulièrement en diverses publications pour exprimer son point de vue lorsque ce n’est pas sur son propre espace d’information numérique. Je l’ai par conséquent interrogé quant aux diverses problématiques régulièrement ou récemment soulevées afin qu’il puisse expliciter la teneur des enjeux comme apporter ses corrections idoines.
 
Alexandre, bonjour. Pour commencer, abordons un sujet récurrent dans les journaux occidentaux concernant la démographie Russe. On continue de percevoir la Fédération de Russie comme un pays à la dérive en ce domaine, quelle est votre observation sur le sujet?

Il est encore fréquent de lire que la Russie perdrait « un million d’habitants / an », pourtant c’est inexact, la Russie est sortie de la situation démographique réellement catastrophique dans laquelle elle s’est retrouvée suite à l’effondrement de l’URSS.

 

Bien sur tout n’est pas réglé, mais la population a cessé de diminuer.

 

En 1991, la population de l’URSS était de 292 millions d’habitants et la population de la Russie dans ses frontières actuelles s’élevait à 148,3 millions d’habitants. 1991 est une date charnière puisque c’est l’année durant laquelle la population cesse d’augmenter et la mortalité dépasse la natalité. L’effondrement politique et économique qui frappe la Russie durant la décennie qui va suivre verra un déclin démographique sans précédent.

 

Juste quelques chiffres pour “bien” comprendre la gravité de la situation et imaginer le chaos total, économique, politique, hospitalier et donc sanitaire que ce pays à traversé durant les « libérales années 90 ». L’espérance de vie s’est effondrée à un niveau inférieur au niveau Péruvien ou Indonésien, l’excédent de décès durant cette période était le double de l’excédent de décès du aux difficiles conditions de vie des civils en Russie durant le second conflit mondial (!).La Russie connu un regain de maladies qui n’existaient même plus dans nombre de pays du 1/3 monde : diphtérie, typhus, choléra, fièvre typhoïde et une explosion des maladies sexuellement transmissibles comme le Sida, à tel point que le chef de file de l’épidémiologie Russes estima que au rythme des années 90, 10 millions de personnes seraient contaminées en 2005. Cette explosion était due à l’explosion de la prostitution (par nécessité économique) mais aussi à la drogue, la Russie étant en 1998 le principal marché du monde. En 1998 on estimait à 5 millions le nombre de drogués du pays soit 3% de la population. Si les jeunes consommaient de la drogue, les plus vieux buvaient. Une enquête de 1998 prouva que 50% des hommes buvaient en moyenne plus de ½ litre de vodka par jour. Rien qu’entre 1990 et 1998, furent recensés : 259.000 suicides, 230.000 décès par empoisonnement (de vodka), et 169.000 assassinats. Alors que de plus en plus de Russes mourraient, surtout, de moins en moins naissaient.Les enfants qui naissaient n’avaient cependant pas tout gagné. En 1998, un million d’enfants errait dans les rues des villes de Russie. Tout cela entraîna un déclin démographique implacable. Les conséquences vont être tragiques, dès 1996 la population de la Russie va commencer à diminuer,  pour atteindre 142,8 millions d’habitants en 2006. Soit sur 10 ans une perte nette de 5,5 millions d’habitants ! Pour la seule année 2005, la population a diminué de 780.000 habitants, ce qui est absolument considérable.

 

En 2005 fut mis en place le fameux plan démographique confié au futur président Dimitri Medvedev. De quoi s’agit t-il ? D’un plan d’aide à la natalité, offrant des primes financières à partir du second enfant mais également tout une batterie d’aides diverses et de facilités économiques. Ce capital maternel (appelé Mat Kapital) étant recevable 3 ans après la naissance. Les résultats ont été fulgurants, : en 2006, la population à baissé de 600.000 habitants, en 2007 de 300.000 habitants et en 2008 de 100.000 habitants. En 2009, la population n’a pas baissé, elle a même légèrement augmenté (de 35.000 personnes) pour se stabiliser à 141,9 millions d’habitants. L’accroissement des naissances a été constaté dans 70 territoires de la Fédération et la réduction des décès dans 73 territoires sur les 83. Symbole de cette renaissance démographique, la Sibérie puisqu’entre 2000 et 2009 la natalité y a augmenté fortement : en 2000 98.000 enfants sont nés en Sibérie et en 2009 174.000. Selon la ministre russe de la Santé et du Développement social Tatiana Golikova la stabilité démographique s’explique principalement par l’accroissement des naissances : 1,76 million de Russes ont vu le jour en 2009, c’est-à-dire plus de 2,8% que en 2008, seulement 1,714 million. La ministre s’est engagée à ce que : « le déclin démographique cesse en 2011 avec une population stabilisée et un taux de mortalité égal au taux de natalité ».

 

Désormais, la natalité étant repartie à la hausse (première phase du plan démographique), celui ci entre donc dans sa seconde phase qui est destinée à notamment faire baisser la mortalité. Sont visés notamment les décès causés par des maladies comme la tuberculose, les décès sur la route, les décès dus à la consommation de drogues, les décès dus à la consommation d’alcool ou d’alcool frelaté, responsables de la mort annuelle de 500.000 personnes. En outre le pouvoir Russe cherche aussi à faire baisser le nombre d’avortement qui est un des plus élevés au monde (en 2008, pour 1,714 million de naissance, ont été recensés en Russie près de 1,234 million d’avortement). Enfin, le but est qu’en 2020, le niveau de vie atteigne 75 ans pour les citoyens Russes.

 

En 2010, sur le premier semestre de l’année, le rythme se poursuit puisque le nombre de naissances (868.936) y est de 2,3% plus élevé que sur le premier semestre 2009 (849.267), soit 19.569 naissances en plus. La mortalité est nettement en baisse avec une chute de 1,8% entre le S1 2010 (1.010.988 décès) et le S1 2009 (1.029.066 décès) soit 18.078 décès en moins. Il semble possible d’envisager que la population Russe stagne ou augmente cette année, malgré la surmortalité malheureuse et exceptionelle due à la canicule cet été.

 

Il est à noter que cet automne 2010, un grand recensement fédéral aura lieu en Russie dont je publierai les résultats sur mon blog. Enfin pour clore cette question démographique, et revenir sur ce que l’on peut souvent lire à savoir que la population Russe devrait s’effondrer et s’élever à 137 millions en 2035, voir 100 millions en 2050, sachez que trois scénarios démographiques sont prévus par le pouvoir Russe, une prévision basse envisage une population stabilisée à 128.000.000 d’habitants en 2030, une prévision moyenne envisage une population de 139.372.000 d’habitants en 2030 et enfin une prévision haute de 148.000.000 d’habitants en 2030. On est donc assez loin des prévisions catastrophistes que l’on peut lire ici et la.

 

Un autre sujet qui revient périodiquement serait l’existence de dissensions entre le Premier Ministre Vladimir Poutine et le Président Dmitri Medvedev : quelle consistance donner à ces allégations selon vous?

Aucune et pour deux raisons majeures. Le culte du secret Russe, couplé à la très importante verticalité du pouvoir Russe fait qu’il est impossible de tirer quelque conclusion que ce soit à ce niveau. Bien sur ce scénario fait “fantasmer” des gens qui n’apprécient que peu la ligne politique que Vladimir Poutine et  Dmitri Medevdev défendent tant sur le plan de la politique extérieure, que sur la politique intérieure. Il y a des gens ouvertement hostiles à une Russie forte, indépendante, non alignée à l’OTAN et qui réconstitue son influence dans le monde, et surtout sur les trois zones clefs que sont l’Europe, le Caucase et l’Asie centrale. Personne ne peut prévoir l’avenir, ni savoir ce qui se passe “dans” les murs du Kremlin mais ce qui est certain, c’est que l’obsession grandissante d’une soi disant tension entre les deux hommes me fait penser à l’affaire du troisième mandat de Vladimir Poutine. Il est intéressant de voir la coalition hétéroclite qui “rêve de” cette guerre au sommet, il y a bien sur la presse traditionelle francaise, et certains analystes, comme le Réseau Voltaire, des personnalités comme Michel Drac (lire les entretiens sous l’article) mais également divers mouvements d’ultra-droites Russes ou encore l’opposition libérale.

 

Pour ma part, au jour d’aujourd’hui, il n’y a aucun signe perceptible je répète d’une quelconque tension entre les deux hommes. Je crois plutôt à un partage voulu des rôles : Medvedev fait le gentil, et Poutine le méchant, soit l’inverse de la situation de aout 2008 pendant la guerre en Géorgie. Le tandem marche à la perfection la récente “démission” du maire de Moscou en est la preuve. Cette démission fait suite aux « départs » des présidents dinosaures du Tatarstan et du Bashkortostan cette année, ce qui témoigne de la volonté du pouvoir de rafraichir la vie politique, tout en “luttant” contre la corruption, le tout de concert.

 

La récente catastrophe écologique et humaine qui a frappé la Russie cet été, je veux parler des incendies, a donné lieu dans les journaux à nombre de commentaires acerbes quant à la gestion du sinistre par l’exécutif Russe, ces propos étaient-ils justifiés selon vous?

Non, la presse a largement exagéré la situation, mais également les “théoriques” responsabilités politiques liées. Même la situation à Moscou, sous la fumée à été exagérée. J’ai passé l’été à Moscou, ai travaillé tous les jours, la vie ne s’est pas arrêtée et les Moscovites ont patiemment attendu que le climat change et que la pluie arrive. Il convient d’étudier les faits, et de comprendre l’environnement assez particulier. La Russie n’est pas le Poitou-Charentes, c’est un pays grand comme 31 fois la France et plus de 2 fois les états unis. Le nombre de pompiers y est deux fois inférieur à celui de la France (22.000 contre 55.000) et ceux-ci ne sont pas vraiment “rôdés” à la lutte contre des incendies de cette ampleur tout simplement parce que cela arrive très rarement.

La moitié du territoire Russe est boisée (800 millions d’hectares) et de nombreuses parties de ces forêts sauvages (donc non entretenues) sont des zones relativement vides ou les arbres sont en grande partie des résineux. En outre, la construction a été anarchique et les villages sont relativement éparpillés, souvent pas alimentés en eau courante, les maisons étant en bois.

Dans ces conditions lorsque des flammes de la hauteur d’un immeuble de 6 ou 7 étages se propagent à 30 km/heure sur cent ou deux cents maisons en bois sans eau courante et habitées par des personnes âgées, et que le principal « poste » de pompier est à 20 Kilomètres de la, que faire ?

 

Néanmoins si l’on regarde les chiffres de plus près, on s’aperçoit que finalement les 975.000 Hectares qui ont brûlés ne représentent « que » 0,05% du territoire Russe. A titre de comparaison en France chaque année, brûle également cette proportion de territoire, alors que en Amérique, c’est presque le triple, soit 0,18% du territoire qui brûle chaque année. On oublie vite que par exemple en Amérique en 1991 l’incendie d’Oakland Hills avait détruit 2.900 maisons et tués 25 personnes, ou que l’incendie de Cedar en 2003 avait lui détruit 4.847 maisons. Je donne cette comparaison avec un pays comme l’Amérique qui est très lourdement équipé, préparé et avec de nombreux pompiers pour montrer qu’il est très difficile de répondre au feu. Mais enfin lorsque chaque année en Amérique brûle 3 fois ce qui a brûlé en Russie cet été 2010, on n’entend aucun journaliste marteler que la responsabilité est celle du pouvoir démocrate ou républicain en place.

 

Pour ces événements comme pour beaucoup d’autres la presse étrangère Occidentale, française en tête se discerne par sa mauvaise foi et son non professionnalisme. Les journalistes et autres correspondants ne sont généralement que des exécutants insipides, aux ordres de rédactions directement sous influence du « politique ». J’étudie intensément le traitement médiatique Français de la Russie, pays dans lequel je vis, et travaille, c’est incroyable. Il y a une volonté parfaitement claire de discréditer ce pays, de le faire passer pour une dictature, une sorte de 1/3 monde noir, rouge et brun, dans lequel il n’y aurait aucune liberté et qui ne partagerait pas les valeurs «Paneuropéennes ». Pour cela tous les moyens sont bons, même lorsque des catastrophes climatiques éclatent. A ce titre, le comportement du grand reporter de France2 qui m’a contacté est explicite : un grand reporter que l’on voit tous les jours à la télévision et que l’on imagine sérieux me contacte dans un seul but : « tenter de montrer les failles du système Poutine », il faut lire l’échange que j’ai reproduit sur mon blog, et noter cette obsession compulsive de « démontrer les failles du système Poutine », finalement peu importe qu’elles existent ou pas, peu importe la réalité et les faits, l’important est de faire ce que la rédaction demande, et de le faire gober aux téléspectateurs.

 

Cette obsession poutinophobe qui a frappé nombre de journalistes, pigistes et correspondants de presse ne me semble pouvoir se justifier que par l’excès de CO2 respiré, et se traduire par de dogme suivant  : « La Russie se calcine, c’est la faute à Poutine ». Je note que la presse a également oublié de préciser que des mesures ont été prises, notamment la création d’une agence fédérale des forêts pour parer à une ce qu’une telle situation se reproduise.

 

L’enfumage médiatique à un fondement, politique, voir même géopolitique. La Russie est “la” puissance émergente qui inquiète l’Ouest américano-centré, car elle n’est pas sous contrôle de l’OTAN. C’est une puissance nucléaire, politique, et qui à une vision du monde qui ne « cadre » pas avec le projet unipolaire que certains espèrent pour le monde de demain. C’est une puissance souveraine, et l’affirmation de cette souveraineté est la grosse raison du matraquage médiatique dont elle est victime dans la presse Occidentale.

 

L’on avait beaucoup parlé en 2003 d’un axe Paris-Berlin-Moscou inédit dans l’Histoire, qu’en reste-t-il près de sept ans après ? Quelle place l’Europe occupe-t-elle dans la géostratégie Russe?

La Russie répète qu’elle appartient à l’Europe par la voix de son ministre des affaires étrangères Serguey Lavrov , je cite : « La Russie se voit comme une partie de la civilisation européeenne » ou encore : « La fin de « la guerre froide » et la globalisation ont donné des arguments solides en faveur  de la coopération collective « sur toute espace entre Vancouver et Vladivostok ». La Russie est fondamentalement un pays Européen. L’argument qui est de dire que l’occupation tataro-mongole (300 ans) aurait séparé la Russie de l’Europe ne tient pas. C’est un argument que l’on n’oppose pas à l’Espagne qui a subi 700 ans d’occupation Arabe ni aux pays des Balkans qui ont subi 600 ans d’occupation Ottomane.

 

La relation UE/Russie me semble parasitée par le facteur Américain. Après l’élection de Vladimir Poutine en 2000, la Russie était dans les meilleures dispositions envers “l’Ouest”, comme l’a montré le soutien Russe formel à l’Amérique après le 11 septembre. En retour, la stratégie de pression et de containment s’est accrue, notamment dans l’étranger proche de la Russie, et en 2003, deux évenements majeurs, la guerre en Irak, puis l’affaire Kodhorkovski ont considérablement retendu les relations. Lors du second mandat de Vladimir Poutine, de 2004 à 2008, le climat s’est détérioré avec l’ouest (UE et Etats Unis), à cause notamment des révolutions de couleur et l’adhésion des états Baltes à l’UE notamment. La manipulation Ukrainienne lors de la guerre du gaz a été très mal ressentie à Moscou, et la réintégration de la France au sein du commandement intégré de l’OTAN vu comme une trahison, à mettre en lien avec le bombardement de la Serbie en 1999. Le sommet de la tension à été atteint en aout 2008, lors de la guerre en Géorgie, durant laquelle l’OTAN a été indirectement impliqué dans un assaut militaire qui à couté la vie a des casques bleux Russes sous mandat de l’ONU. Comme l’a dit Sergey Lavrov : « Depuis 20 ans la Russie  aspirait à construire de nouvelles relations avec l’Occident, sans rencontrer très souvent la compréhension et des échos adéquats ».

 

Bien sur durant cette dernière décennie, la Russie a pu développer des partenariats solides avec certain pays de l’UE, mais étrangement, peu avec l’UE elle-même. Il faut s’avouer que l’UE « est siamoise de l’OTAN » comme dirait Pierre Lévy, à tel point que Javier Solana est passé directement du secrétariat général de l’Alliance au poste de Haut-représentant de l’UE. Or l’OTAN reste pour les Russes la principale menace, selon la « nouvelle doctrine militaire Russe » signée par le président Russe en février 2010.

L’UE est bien sur devenue le premier partenaire commercial de la Russie, mais celle-ci est son principal fournisseur d’énergie. Si l’on regarde pays par pays, c’est la Chine qui est désormais le premier partenaire commercial de la Russie en fevrier 2009. Au sein de l’Union européenne, l’Allemagne, loin devant l’Italie et la France. Par conséquent le projet « Paris-Berlin-Moscou » semble tourner à un projet « Berlin-Moscou ». Mais actuellement les fondements du partenariat sont plus basés sur des interdépendances économiques que sur une réelle alliance politique et une vision du monde en commun, cela car l’UE est pour l’instant un géant économique mais un nain politique, très relié à la vision très OTANisé du monde, ce qui n’est pas le cas de la Russie. Pourtant la encore, les propositions Russes de création d’une architecture Européenne de sécurité témoignent de la bonne foi de nos partenaires Russes et de leur vision cohérente du futur européen commun qu’ils souhaiteraient.

 

Pouvez-vous expliciter les liens entre Téhéran et Moscou, une relation qui ne paraît pas aussi simple telle qu’énoncée par certains commentateurs?

La relation Russie/Iran est une affaire à diverses facettes. La Russie n’a cessé de soutenir l’Iran de façon diplomatique, et commerciale également. La récente inauguration de la centrale de Bouchehr (projet avait été initié par le groupe allemand Siemens avant la révolution islamique de 1979, puis interrompu peu après le déclenchement de la guerre Irak-Iran en 1980 et dont le chantier a été repris en 1994 par la Russie) témoigne de ce partenariat économique réel. Bien sur l’IRAN est un pays sous sanctions, et surveillé par la communauté internationale mais la Russie s’est toujours opposée, et continuera probablement à s’opposer aux sanctions trop unilatérales du conseil de sécurité des Nations-Unies. Certes la récente décision Russe de ne pas livrer de missiles S-300 à l’état Iranien semble brouiller les cartes, mais je doute que des transferts de technologie n’aient pas déjà eu lieu, à un moment ou un autre, vu la longue présence de la Russie en Iran et on peut même envisager que peut être que le système similaire que l’IRAN affirme être en train de développer est « d’inspiration » Russe. Après tout une agence Iranienne a affirmé il y a quelques mois que : « l’Iran disposait de quatre missiles destinés à doter les systèmes de DCA S-300, dont deux lui ont été vendus par la Biélorussie et deux par un vendeur resté inconnu ». Intox ou réalité ? Quoi qu’il en soit

 

Il faut envisager la situation vue de l’angle de Moscou. La Russie n’a « pas » aujourd’hui intêret à un quelconque regain de tension ou d’une nouvelle course aux armements avec l’ouest alors même qu’elle est en train de reprendre l’avantage sur nombre de theâtres d’opérations « prioritaires pour elle » qu’elle avait « momentanément perdu », comme l’Asie centrale, l’Ukraine ou le Caucase. Or de très nombreux autres paramètres interviennent, l’intense activité Turque dans le Caucase et les rapprochements Irano-Turcs, les capitaux Iraniens en Géorgie, ou le soutien Turc à l’Azerbaidjan qui sont des points assez sensibles et peut être que les petites « sanctions » Russes sont des avertissements à l’Iran. Peut être également la Russie a-t-elle déjà reçu les gages d’une non action militaire contre l’Iran ?

 

Je souhaiterais cependant rappeler qu’il n’est pas possible d’envisager des problèmes aussi complexes de façon simpliste. On a pu lire ça ou là des analyses alarmistes imaginant que la Russie pourrait soutenir l’Iran par anti américanisme, et même devenir une espèce de porte parole du monde musulman antisioniste, mais les choses doivent être observées avec moins de manichéisme. Aujourd’hui la Russie pense d’abord à ses intérêts, comme tout pays souverain. Son intérêt dans la région est une « realpolitique », pragmatique et équilibrée et qui a pour but de consolider sa position politique et économique. Malgré ce refus de livraison des missiles à l’Iran, la relation entre les deux pays devrait rester assez stable, la Russie continuant de soutenir diplomatiquement l’Iran. Du reste, lorsque les manifestations de 2009 ant pouvoir ont eu lieu en Iran (on a parlé de tentative de révolution de couleur en Iran), les meetings de l’opposition ont vu de très violents slogans anti Russes, ce qui en dit très long.

 

Quel regard et action guident la Fédération de Russie en Asie Centrale qui est devenue avec les années une zone d’intérêt comme d’inquiétude dans les chancelleries? Certains experts parlent d’un jeu d’échecs entre les puissances locales émergentes, la Chine, la Russie et les Etats-Unis : votre opinion sur le sujet?

L’Asie centrale est une zone stratégique et très convoitée, c’est le theâtre du « grand jeu » du siècle dernier, d’opposition des empires. Finalement les Anglais en ont été expulsés, les Russes aussi et les Américains sont sur la même pente. L’inde et la Chine tentent des approches non guerrières, plus commerciale.

 

Seul le Kazakhstan semble avoir bien défini son projet de coopération étroite avec la Russie, et se situe à un autre niveau économique, son PIB / habitant étant égal à celui de la Turquie. Pour des raisons évidentes linguistiques, historiques, stratégiques et géographiques, l’Asie centrale est une « zone » du monde dans laquelle la Russie souhaite clairement augmenter sa présence et son influence. La vague de Russophobie lié au nationalisme d’indépendance post Soviétique semble plus ou moins tassée et nombre de ces états restent encore finalement relativement dépendants de la Russie, notamment économiquement, via par exemple les grosses minorités présentes sur le territoire Russe. Enfin ces état sont relativement démunis face aux diverses déstabilisations régionales: les révolutions de couleurs et les instabilités politiques liées, l’Islamisation et les risques terroristes liés, la déstabilisation régionale due à l’aventure militaire en Afghanistan, la pression économique Chinoise (transasia) etc etc … Ce sont autant de défis que la Russie doit également relever, avec relativement « peu » d’alliés réels pour l’instant. Sa seule chance à mon avis est de tisser des liens bilatéraux très forts avec les gouvernements de ces états et de développer une coopération multi-échelle très poussée. En cela les récentes grandes manœuvres au Kirgystan sont exemplaire des progrès de la diplomatie Russe, à l’œuvre dans cette région. Enfin les états d’Asie centrale sont membres d’une organisation militaire régionale très importante, qui est l’Oganisation de la coopération de Shanghai, avec la Russie. Par conséquent, il est plausible que l’Asie centrale voit un retour d’un grand jeu version 2.0, je rajouterais cependant un acteur essentiel à mon avis et que vous n’avez pas cité : la Turquie.

 

Quels seraient selon vous les axes de développement diplomatiques majeurs de la Russie pour ces prochaines années?

Ils sont triples à mon avis et à des échelles différentes.

 

Tout d’abord la Russie va essayer de resserrer les liens avec les nations Européennes, l’approfondissement des relations avec l’Allemagne, les récentes « détentes » avec la Pologne ou l’Ukraine par exemple sont l’illustration de cette « nouvelle » politique européenne de la Russie.  Curieusement, cette alliance « Allemagne-Pologne-Ukraine » était vue par certains stratèges Américains (Zbigniew Brzezinski notamment) comme la future colonne vertébrale de la sécurité Européene et de l’OTAN « contre » la Russie. Or c’est l’inverse qui est en train d’arriver, la proposition d’architecture de sécurité collective européenne Russe est d’ailleurs à mon avis extrêmement réaliste et constructive.

 

Ensuite la Russie tente de se placer au cœur de l’Asie, consciente du basculement du monde en cours. Le partenariat avec la Chine est particulièrement à l’ordre du jour mais la Russie tisse des liens bilatéraux de plus en plus poussés également avec la Mongolie, le Japon ou encore le Vietnam, ainsi qu’avec les Corées. Cette « offensive » vers l’Asie a selon moi des symboles forts, vers la Chine tout d’abord qui est depuis l’année dernière le premier partenaire commercial de la Russie et enfin à travers la diversification de l’approvisionnement énergétique d’une région qui est en plein développement économique et pourrait d’ici le milieu du siècle supplanter l’Europe dans ses besoins. Enfin la création de l’OCS est symbolique, la Russie étant le seul pays « Européen » membre de cette organisation, montrant bien la son positionnement géopolitique cohérent avec sa géolocalisation : au cœur de l’Eurasie.

 

Enfin la Russie cherche à avoir toute sa place dans le monde musulman, le pays comprenant une très forte minorité musulmane, estimée à 20 millions de personnes. La Russie a une très forte composante orientale (Tatare, Caucasienne, Centro-asiatique) qu’elle souhaite faire valoir, et se place désormais comme un partenaire proche de nombre de pays musulmans, Arabes ou Asiatiques. A ce titre, elle est par exemple depuis 2005 observateur de l’Organisation de la conférence Islamique.

 

L’on pointe souvent du doigt le fait que ce pays dépend énormément pour sa santé économique de l’extraction et la commercialisation de ses ressources fossiles, la Russie est-elle capable à terme d’être moins dépendante de cette manne très liée aux fluctuations des cours mondiaux?

Cette inquiétude me semble relativement obsolète. Aujourd’hui, la tendance est à la baisse des prix industriels et à la hausse des prix des matières premières. La démographie mondiale, la demande des pays émergents et l’épuisement progressif de certaines ressources minières devraient soutenir cette tendance dans le long terme. En conséquence, on constate que la dette de tous les pays industriels occidentaux augmente de façon alarmante, pendant que les pays exportateurs de matières premières accumulent les réserves de change.

 

La Russie profite pleinement de cette situation, et a mis en œuvre de grands programmes de modernisation de la société et de l’économie. Cemois de novembre 2010, le chômage est revenu à son niveau d’avant la crise et la croissance du PIB devrait être de 4 ou 5% pour 2010 et 2011, les réserves de change restent a un niveau élevé, le rouble est stable, et ces conditions permettent de financer ces programmes sans endetter l’état. Dans le domaine social, le programme démographique a déjà des résultats mesurables dont nous avons parlé au début de cet entretien mais d’autres résultats très positifs ont été obtenus depuis 2000 : les revenus réels de la population ont plus que doublé, les revenus des retraités ont triplé et le nombre de personnes vivant sous le seuil de pauvreté été diminué par deux. En ce début d’année, quatre projets dits “nationaux” (santé, enseignement, logement et agriculture) ont été lancés, projets dont le financement devrait approcher 4,5 milliards d’euros et destinés à encore relever le niveau de vie de la population.

 

La relative désindustrialisation post Soviétique est certes réelle et les écueils sont nombreux, mais il y a vraiment une volonté affichée du pouvoir, maintenant que la société politique et civile est relativement organisée et stable (effets des premiers mandats Poutine) d’instaurer une politique économique pragmatique. Le point de départ public pourrait en être le discours de Medvedev « Go Russia » de novembre 2008. Des progrès sont constatables à vue d’œil, que ce soit des améliorations dans le fonctionnement de l’administration (réduction du nombre de fonctionnaires), ou des infrastructures, du souhait d’attrait de capitaux étrangers ou encore de la lutte anti corruption.  En outre de nombreux projets sont en cours, comme un projet d’OS Russe, un nouveau moteur de recherche Russe, une nouvelle voiture électrique Russe, un téléphone Russe à deux écrans, la création d’une Silicon-Valley Russe ou faire de la capitale un centre financier. Le président Russe, Dimitri Medvedev, a aussi confirmé son souhait de faire de la Russie un des leaders mondiaux de la nanoindustrie, dont le marché devrait selon lui atteindre en 2015 entre 2000 et 3000 milliards de dollars, soit 10 fois plus qu’aujourd’hui. Enfin un plan fédéral immense à pour objectif de développer la Sibérie sur 10 ans.

 

Bien sur, tout cela n’est que peu retranscrit dans les médias Occidentaux, mais les médias Russes en parlent beaucoup, je ne peux que conseiller aux lecteurs intéressés et non Russophones de lire Ria Novosti en Français ou encore mon blog Dissonance, qui fait notamment écho des avancées économiques en Russie.

 

Yannick Harrel, Cyberstratégie Est-Ouest

Chinas geheimer Angriff auf Europa

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Chinas geheimer Angriff auf Europa

Michael Grandt

Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Peking nimmt unaufhaltsam Einfluss auf die finanziell schwächsten europäischen Länder und sitzt somit bei jedem EU-Treffen quasi »unsichtbar« mit am Tisch.

 

»Die Chinesen sind in ihrem Handeln dem Westen zehn Jahre voraus«, so oder so ähnlich lauten zwischenzeitlich die Meinungen vieler Asienkenner. Diese Einschätzung ist nicht unbegründet, nehmen wir nur zwei von vielen Beispielen: In der Rohstoffsicherung sind die Chinesen Weltspitze und auch im Aufkauf von Farm- und Ackerland rund um den Globus bauen sie ihren Vorsprung uneinholbar aus. Kein Wunder also, dass auch der europäische Kontinent immer größere Begehrlichkeiten weckt. Wie aber soll man in diesen abgeschotteten europäischen »Block« eindringen, ohne großes Aufsehen zu erregen?

Auch hier haben sich die chinesischen Strategen einen mehr als genialen Plan ausgedacht: Man beginnt die schwächsten Glieder der EU-Kette zu demontieren und zwar so, dass dieser »Angriff« sogar noch freudig begrüßt wird.

Die Rede ist von den finanziell maroden südeuropäischen Staaten, die sich auch und trotz EU-Hilfen nur noch schwer über Wasser halten können: Griechenland, Spanien und Portugal.

Die chinesische Regierung steckt viel Geld in die Anleihen europäischer Krisenstaaten, die trotz großzügiger Finanzpakete nicht in Tritt kommen: Spanische Papiere wurden bereits von Peking aufgekauft und den Griechen hatte man vorsorglich versprochen, auch ihre Anleihen abzunehmen, wenn sie wieder auf dem freien Markt erhältlich sein sollten. Jetzt gibt es Gerüchte, dass das Reich der Mitte auch bei portugiesischen Bonds zuschlagen will.

Im Gegensatz zu den europäischen Staaten braucht sich China wegen seiner eigenen Liquidität keine Sorgen zu machen, denn es verfügt über Fremdwährungsvorräte von derzeit rund zwei Billionen Euro. Damit lässt sich einiges bewerkstelligen.

Die Asiaten waren überraschend ehrlich und kündigten ihren »Angriff« bereits im Sommer an. Der chinesische Premier Wen Jiabao sagte zu Kanzlerin Merkel: »Der europäische Markt wird auch weiterhin ein Schlüsselmarkt für chinesische Investments sein.« Was damit wirklich gemeint war, hat wohl keiner der deutschen Gesprächspartner verstanden. Man lächelte freundlich und bedankte sich.

Doch Chinas warmer Geldsegen ist kaltherzig und vor allem außenpolitisch motiviert: Mit der großzügigen Hilfe lässt sich bei den fast bankrotten europäischen Nehmerländern Stimmung in der EU für die eigenen Wünsche machen: Sei es für die Zuerkennung als Marktwirtschaft, für die Aufhebung des Waffenembargos, für das Stillschweigen in der Streitfrage des Yuan-Wechselkurses und in Fragen der Tolerierung der Menschenrechtsverletzungen. Durch die südeuropäischen »trojanischen Pferde« sitzt Peking nun bei jedem EU-Treffen quasi unsichtbar am Tisch. So kann man einen Keil in den EU-Block treiben und dessen größte Schwäche für eigene Zwecke nutzen: die mangelhafte Geschlossenheit.

Aber noch ein anderer Punkt darf nicht vergessen werden und ist weltpolitisch von höchster Brisanz: Das Ganze geht auf Kosten der Vereinigten Staaten, denn China schichtet immer mehr US-Anleihen in Südeuropa-Anleihen um. Zwar ist dies eine Diversifikation von einer unsicheren Anlageklasse in eine noch unsicherere, aber Peking scheint diesen Preis bezahlen zu wollen. Die USA werden immer uninteressanter, was uns eigentlich wachsam werden lassen müsste.

Doch Chinas durchdachte und hoch entwickelte Einflusspolitik scheinen europäische und deutsche Spitzenpolitiker bis zum heutigen Tage nicht zu durchschauen – wieder einmal.

 

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Quelle:

Handelsblatt vom 03.11.2010

mardi, 09 novembre 2010

La Serbia nell'UE: implicazioni geopolitiche

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La Serbia nell’UE: implicazioni geopolitiche

Ex: http://www.eurasia-rivista.org/

Lo scorso 25 ottobre i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno scongelato la richiesta serba tesa ad integrare Belgrado nel sistema comunitario. La domanda di adesione era stata presentata dal governo Tadic lo scorso anno, quale primo passo di avvicinamento verso il percorso di piena integrazione. Sono dunque partite, a tutti gli effetti, le trattative diplomatiche fra la Commissione, i 27 membri e Belgrado. Due le questioni fondamentali sul tavolo: la prima, palese e dichiarata dall’Unione, è l’incondizionato appoggio serbo al Tribunale internazionale dell’Aja per la cattura e condanna dei generali nazionalisti Radko Mladic e Goran Hadzic. La seconda, posta sottobanco per via del veto spagnolo e greco, è il riconoscimento dell’indipendenza kosovara. Due questioni di enorme peso per un paese già umiliato e dilaniato come la Serbia.

Su entrambe il presidente Boris Tadic, leader della coalizione europeista, rischia di perdere il suo già lieve margine di consenso; infatti se da un lato, in parlamento, non può che tener conto della volontà del Partito Socialista Serbo, lo stesso che fu di Milosevic e che oggi è l’ago della bilancia della coalizione liberale, dall’altro, sul versante del riconoscimento dell’indipendenza kosovara, Tadic rischia una vera e propria sollevazione popolare e la definitiva sconfitta politica. Lo sa bene Tomislav Nikolic, leader del partito nazionalista, uscito perdente dalle presidenziali del 2008 per un pugno di voti, dopo un ballottaggio fra i più discussi nella recente vita ‘democratica’ del paese.

È in questo contesto che si devono inserire gli scontri dello scorso settembre, svoltisi a Belgrado in occasione del gay-pride e in Italia, a Genova, per la partita di qualificazione fra le due nazionali. In entrambi i casi, frange del nazionalismo serbo hanno apertamento manifestato la loro volontà di boicottare qualsiasi apertura ‘liberale’ ed europea fatta dal governo in carica.

Un governo che aveva vinto le elezioni presidenziali e parlamentari del 2008 sulla scia dell’invidia serba per gli storici “vicini”, Ungheria, Bulgaria e Romania, entrati da poco nell’Unione europea. Proprio il timore di subire un clamoroso ritardo economico rispetto all’area dell’Est Europa che si apriva agli aiuti di Bruxelles, aveva permesso a Tadic di raggiungere la Presidenza e imporre un governo di coalizione filo-europeista.

Ma le richieste di Bruxelles ora mettono Belgrado con le spalle al muro; per entrare davvero nel giro comunitario, Tadic deve spaccare il paese, isolare la metà serba che si riconosce nelle istanze conservatrici ed accettare ciò che per un serbo ortodosso risulta secolarmente inaccettabile: l’indipendenza unilaterale del Kosovo. Una scelta culturale, strategica e geopolitica assolutamente radicale, foriera di importanti conseguenze.


Fra Europa e Russia

La Serbia è da sempre una regione di faglia, è un confine fra Europa occidentale ed orientale, fra cristianesimo cattolico ed ortodosso, persino abituata al doppio uso dell’alfabeto cirillico e latino. E tuttavia, dalla dominazione ottomana giunta al termine della storica battaglia della Piana dei Merli (l’epica resistenza della cavalleria serba all’esercito islamico, nel 1389), la sua identità nazionale ha preso forma in termini eurasiatici, andando a rappresentare quel corpo di congiunzione fra mondo latino e mondo ortodosso, fra Europa e Russia, sacrificatosi a nord di Pristina per la libertà dal nemico esterno.

Per questo motivo la questione kosovara non può essere esclusivamente riferita ad uno scontro etnico e religioso, ad un mero retaggio nazionalista: la battaglia della Piana dei Merli, e dunque il Kosovo, è divenuta per i Serbi il simbolo di un’identità storica e perciò, fattualmente, geopolitica. Solo tenendo in considerazione questo elemento di continuità che rende la Serbia limes d’Europa, e non solo cerniera fra est ed ovest, è possibile analizzare le attuali problematiche internazionali legate a Belgrado.


Verso Bruxelles

Sono dunque facilmente comprensibili le relazioni che spingono le istituzioni serbe ad entrare nell’Europa che conta. Queste sono di tipo culturale, di legittimità identitaria, come detto; legate soprattutto alla comune battaglia civilistica che ha visto Vienna vincere laddove Belgrado aveva fallito.

Certo, sono anche storiche, essendo Belgrado legata a doppia mandata alle vicende imperiali austro-ungariche quale naturale area di interesse e controllo germanico; con tutti i sentimenti di rivincita e accettazione che questo elemento comporta.

Ma a tutto ciò si deve aggiungere il fattore fondamentale, quello economico. Come ribadito da molti analisti, l’Unione eruopea continua ad essere un fenomeno prettamente economico. Per nulla politico. Anzi, essa continua a rappresentare la vitalità produttiva tedesca (la vecchia area del Marco allargata), temperata dalle esigenze agricole e sceniche francesi.

È più che naturale che questo ultimo fattore, assommato ai precedenti, spinga la Serbia verso Bruxelles, senza grosse preoccupazioni per il fatto in sé, visto a Belgrado come un’ineluttabile contingenza macroregionale, priva di reali conseguenze geopolitiche ma ricca di opportunità di cassa. Lo testimonia anche l’atteggiamento politico di Nikolic, il leader nazionalista di opposizione, che verso Bruxelles non ha mai usato toni di netta ed irreversibile chiusura.


Verso Mosca

Ma la Serbia è anche la patria dei monasteri ortodossi. La resistenza serba alla dominazione ottomana fu resistenza ortodossa. L’identità serba, se riferita all’area interna dei Balcani è chiaramente slava. L’uso del cirillico, anche se accompagnato dall’alfabeto latino, ricorda quel tratto orientale che da Bisanzio giunge sino a Mosca. La stessa bandiera serba ripropone i medesimi colori della Federazione russa.

Come per altre regioni dell’Europa dell’est, dunque, anche la Serbia è legata culturalmente alla Russia. Ma ciò che più conta è legata ad essa politicamente e strategicamente. È la Russia che a livello internazionale sostiene le esigenze di Belgrado, ed è stata Mosca, nel 2008, in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ad imporre modifiche restrittive alla missione Eulex, sostenuta da Stati uniti ed Unione europea con l’intento di favorire l’indipendenza del Kosovo. Ed è sempre la Russia che, nel progetto originale del gasdotto South Stream, garantirebbe alla Serbia un ruolo economico di vitale importanza.

Da questo punto di vista è del tutto evidente quanto Belgrado non possa fare a meno del sostegno della grande madre dell’ortodossia, oggi potenza macroregionale.


Scenari geopolitici

I paletti della Ue all’ingresso serbo rivelano ancora una volta tutta l’inconsistenza politica del Vecchio continente. Più che tappe di avvicinamento, sono per Belgrado delle ulteriori prove di espiazione. Sia l’appoggio al tribunale dell’Aja, sia l’indipendenza del Kosovo, più che riferibili alle esigenze di pacificazione europee, sono tappe poste in continuità con l’intervento nordamericano ed alleato degli anni ’90.

Essendo questi i fatti, è chiaro che il futuro della Serbia resti strettamente collegato ai giochi internazionali in atto. Mosca non avrà nulla da obiettare all’ingresso di un suo alleato ‘civile e culturale’, come già accaduto per le altre realtà dell’est, sino a quando l’Unione europea manterrà la sua scarsa concretezza politica.

Cioè, fino a quando Bruxelles non sarà altro che un’unione doganale e monetaria incapace di sviluppare una sua identità politica e strategica. Anzi, la Russia di Vladimir Putin ha già dimostrato di saper cercare il dialogo con quelle realtà continentali maggiormente aperte allo scenario multilaterale. Si veda la Germania, per motivi strettamente economici. E l’Italia, attraverso una relazione politico-strategica già più strutturata, incentrata sul progetto South Stream, che potrebbe rivelarsi importante nell’equilibrio balcanico.

Due sono però gli aspetti che preoccupano Mosca. Il primo è appunto lo stretto rapporto fra UE e Nato. Dal 2004 al 2009, lo sviluppo del processo di integrazione europea è coinciso con gli ingressi nell’alleanza atlantica di gran parte degli stati dell’ex patto di Varsavia. Se ciò dovesse verificarsi anche per la Serbia, l’accerchiamento occidentale alla potenza russa diverrebbe non solo strategico-militare, ma quasi simbolico. Per Mosca significherebbe l’addio alle pretese egemoniche sul mondo ortodosso e la recisione, ancora una volta, del legame con il mito della Terza Roma.

L’altro punto si chiama appunto Ankara, o meglio Istanbul. In un’ottica multipolare, la Turchia era divenuta un obiettivo di partnership meridionale molto concreto per Putin. È opportuno ricordare che lo stesso progetto South Stream, opposto a quello euroamericano Nabucco, dal 2009 prevede proprio nella Turchia uno snodo essenziale. Qualora l’Ue, la Nato e le Nazioni Unite dovessero mai integrare a sé la Serbia, uno dei simboli delle difficoltà di relazione fra mondo europeo e musulmano, il preludio ad un riallinamento turco, auspicato da tutti gli ambienti istituzionali europei, sarebbe piuttosto chiaro. Con grande disappunto di Mosca, circondata ad est e a sud.

Da questo punto di vista, la perdita di Belgrado e l’indipendenza del Kosovo, rappresenterebbero per la Russia un precedente significativo teso alla disintegrazione dell’identità europea ortodossa e al definitivo inserimento delle realtà musulmane dell’Asia minore e centrale (Cecenia su tutte) nel quadro geopolitico statunitense. Ancora una volta, Belgrado sarà il centro di interessi globali pronti a scontrarsi.


* Giacomo Petrella è dottore in Scienze internazionali e diplomatiche (Università degli Studi di Genova)

Poutine, De Gaulle russe?

Poutine, de Gaulle russe

par Marc ROUSSET

PutinDM_468x658.jpgPoutine, c’est l’homme que les Américains n’attendaient pas et qui a  non seulement redressé la Russie, mais l’a sauvée du dépeçage en trois tronçons envisagé par Zbignew Brzezinski, de l’exploitation de ses ressources naturelles par les groupes étrangers, de l’encerclement par l’O.T.A.N. ! Intronisé par Eltsine, il a su très habilement s’imposer progressivement en changeant l’orientation politique du pays, après quelques hésitations vis-à-vis des États-Unis, tout en se débarrassant des encombrants oligarques. Par son action, Poutine a dores et déjà sauvé la Russie, mais il va aussi probablement sauver l’Europe occidentale en lui proposant une aide et  un autre modèle que le droit de l’hommisme décadent de façon à ce qu’elle puisse se libérer du protectorat militaire  américain !

Dans un livre sur « la piratisation » de la Russie (1), Marshall I. Goldman, titulaire de la chaire d’études russes à l’université Harvard, raconte qu’à son arrivée à la tête de la Fédération de Russie, le nouveau président Poutine s’était indigné de l’écart entre les prix à l’export des hydrocarbures russes et les prix payés par les acheteurs. Où allait la différence ? Les accords de partage de production passés dans les années Eltsine, lorsque la Russie avait les genoux à terre, ont été renégociés avec une pression très musclée. Poutine a tenu à reprendre la main sur le pétrole russe en s’inspirant du modèle de l’Aramco en Arabie Saoudite qui confère à la famille royale une puissance géopolitique considérable. Pour Vladimir Poutine, comme pour le général de Gaulle, le politique doit primer sur l’économique. « La superpuissance militaire est devenue superpuissance pétrolière sous Poutine, dont la mission est de porter la Russie comme une puissance respectée à défaut d’être crainte (2) », assure M. Yu Bin de l’International Relations Center.

Le 25 octobre 2003, Mikhaïl Khodorkovski, patron de Youkos, était interpellé par les forces spéciales russes sur un aéroport de Sibérie. Il venait de participer quelques jours plus tôt à un forum d’affaires à Moscou en compagnie de Lee Raymond, l’un des directeurs d’Exxon, une «  Major » prête à participer pour vingt-cinq milliards de dollars à la fusion YoukosSibneft. Pour le Kremlin, c’est la goutte d’eau qui a fait déborder le vase. L’idée que les capitaux américains d’ExxonMobil et de ChevronTexaco s’infiltrent avec une participation de 40 % dans le sanctuaire sibérien des hydrocarbures nationaux était inacceptable. Les Américains qui pensaient faire main basse sur le pétrole russe ont vu leurs efforts annihilés (3). Par ailleurs, cette arrestation a marqué un « tournant décisif » dans les relations entre la Russie et les États-Unis. Khodorkovski finançait les partis d’opposition, entretenait les meilleures relations avec l’administration Bush et aurait été de surcroît candidat à l’élection présidentielle en mars 2008. Le destin de la Russie aurait été modifié si le président Poutine n’avait pas « brisé les rêves » de Khodorkovski et des États-Unis. De plus, sur le plan interne, l’État s’était vu contester le contrôle qu’il exerçait sur sa principale source de revenus : le bénéfice de la rente sur les matières premières. Divers mécanismes légaux ou illégaux avaient permis aux grandes sociétés russes créées dans le cadre des privatisations opaques de l’ère eltsinienne, qu’elles soient privées comme Ioukos ou semi-publiques comme Gazprom, d’échapper largement à l’impôt et aux taxes, privant l’État de toute manœuvre financière. Pour nombre d’observateurs, c’était le fonctionnement même de la Fédération qui se trouvait ainsi en péril. Bien des Russes considéraient que leur pays risquait véritablement, sinon d’éclater, en tout cas de perdre définitivement ses dernières chances de rebondir.

Par ailleurs, Poutine a su briser l’encerclement de l’O.T.A.N., l’Ukraine et la Géorgie n’étant plus candidats. On ne parle plus d’un bouclier anti-missiles en Pologne ! Il a rétabli l’autorité de la Russie dans le Caucase et en Asie centrale, les Américains n’étant présents, à prix d’or, aujourd’hui que sur une seule base militaire au Kirghizistan. Que n’aurait-on pas dit et peut-on imaginer ce qui se serait passé si la Russie, le chien de garde des Européens à l’Est, ne l’oublions jamais, avait perdu la guerre de Tchétchénie, avec le risque de se retrouver à Stravopol, point de départ de la colonisation russe  au XIXe siècle face à une déferlante islamiste, la Russie perdant par là-même son prestige et son autorité en Asie centrale ! Une catastrophe semblable serait équivalente pour les Européens de l’Ouest à la prise de Byzance par les Turcs en 1453.

Vladimir Poutine a réussi aussi à arrêter le mal pernicieux des révolutions orange, tout cela ayant été préparé sans aucun doute possible par la C.I.A. avec les innombrables  O.N.G. du style de celles de Monsieur George Soros comme maîtres d’œuvre ! Il a vu le danger démographique en redressant la barre de la natalité, la Russie risquant de se retrouver avec seulement cent millions d’habitants en 2050, soit moins que la Turquie dans un territoire deux fois plus grands que les États-Unis ! Prenant l’exemple de Pierre le Grand, il a rétabli partiellement la puissance militaire russe, comme on a pu le voir en Géorgie et a compris, avec le Président Medvedev, qu’il fallait favoriser les investissement étrangers tout en modernisant une économie trop tournée vers les matières premières.

Et enfin, et surtout, il a compris que le redressement, le rétablissement de la Russie passait par les valeurs traditionnelles, le patriotisme, l’Église orthodoxe, constituant un magnifique contre-exemple pour les démocraties européennes décadentes et aveugles ! L’autoritarisme excessif en Russie pour un Européen de l’Ouest correspond  en fait à la dimension asiatique du pays et est seul à même d’éviter l’éclatement; n’oublions pas aussi que la Russie a vécu pendant plus de deux siècles sous le joug mongol de la « Horde d’Or ».

Alors que les droits de l’hommistes souhaitent que la Russie s’adapte au modèle occidental, c’est bien au contraire aux Européens de l’Ouest de retrouver leurs valeurs traditionnelles, de se sauver de la décadence actuelle tout à fait semblable à celle de la fin de l’Empire romain, en constituant un pôle franco-allemand  carolingien centré sur le Rhin à Strasbourg qui se rapprocherait de la Russie en la prenant comme modèle, et tout cela grâce à Poutine, sauveur effectif de la Russie, sauveur potentiel de l’Europe de l’Ouest !

Marc Rousset

Notes

1 : Marshall I. Goldman, The Piratization of Russia. Russia  Reform Goes Awry, Routledge, Londres – New-York, 2003.

2 : Yu Bin, « Central Asia between competition and cooperation », Foreign Policy in Focus, Washington, 4 décembre 2006, sur  www.fpif.org/fpiftxt/3754

3 : Gérard  Chaliand et Annie Jafalian, La dépendance pétrolière.  Mythes et réalités d’un enjeu stratégique, Éditions Universalis, coll. « Le tour du sujet », Paris, 2005.


Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

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SPD-Genetiker

SPD-Genetiker

Ex: http://www.zuerst.de/

SPD-Chef Sigmar Gabriel hat sich im Sarrazin-Streit weit aus dem Fenster gelehnt – er ignoriert, daß Biopolitik auch ein traditionell sozialdemokratisches Anliegen war

Die SPD-Spitze will ihn lieber heute als morgen loswerden – den ungeliebten Ex-Finanzsenator, Ex-Bundesbankvorstand und Bestsellerautor Thilo Sarrazin. Überstürzt und noch bevor das umstrittene Buch Deutschland schafft sich ab überhaupt erschienen war, leitete der SPD-Vorsitzende Sigmar Gabriel ein Ausschlußverfahren ein und begründete seinen Schritt damit, daß Sarrazins Thesen „ein Gebräu aus der Tradition der Rassenhygiene der zwanziger Jahre“ darstellten. „Der biologistische Ansatz von Sarrazins Thesen, der vermittelte Eindruck, bestimmten Gruppen sei genetisch ein Weg vorgezeichnet, stehe aber diametral zu den sozialdemokratischen Grundwerten“, heißt es auf der SPD-Seite im Internet. Auch der Vorwurf einer Nähe zu nationalsozialistischen Theorien sowie des Rassismus blieb nicht ausgespart.

 

In einem Spiegel-Interview warf Gabriel dem Delinquenten vor, er habe sich auf Forscher berufen, die für die Sterilisierung von 60.000 als „minderwertig“ angesehenen Menschen in Schweden verantwortlich seien. Entweder sei Sarrazin so wenig historisch und gesellschaftlich gebildet, daß er das nicht wisse, oder er habe es bewußt getan.

Solche Aussagen könnten allerdings schnell zum Bumerang werden. Denn „Rassenhygiene“ ist mitnichten eine Erfindung der Nationalsozialisten. Sie ist inhaltlich weitgehend identisch mit der „Eugenik“, der „Wissenschaft vom guten Erbe“. Als deren Begründer gilt der Anthropologe Francis Galton (1822–1911), ein Cousin von Charles Darwin. 1883 führte Galton den Begriff „Eugenics“ ein – ihr Ziel sollte es sein, alle Einflüsse zu erforschen, welche die angeborenen Eigenschaften einer Rasse verbessern und diese Eigenschaften zum größtmöglichen Vorteil zur Entfaltung bringen.

Wichtig dabei: Das Wort „Rasse“ hat im englischen Sprachgebrauch einen viel weiteren Bedeutungskreis als im deutschen; es bezeichnet Gruppen bis hin zum „Menschengeschlecht“ (human race). Auch Galton verstand darunter einfach nur eine durch Generationen sich fortpflanzende Gemeinschaft von Menschen. Erbliche Verbesserungen durch eine bewußte Fortpflanzungshygiene wollte er vor allem durch die Aufklärung der Bevölkerung erreichen. Er plädierte aber auch für Maßnahmen „negativer Eugenik“, so sollte die Fortpflanzung von Gewohnheitsverbrechern und Schwachsinnigen möglichst verhindert werden.

ploetz.jpgIn Deutschland führte der Nationalökonom und Mediziner Alfred Ploetz (1860–1940) im Jahre 1895 den Begriff der „Rassenhygiene“ für die Eugenik ein. Neu war jedoch nur der Begriff, die Prämissen und Inhalte lagen auf Galtons Linie. In seiner Schrift Die Tüchtigkeit unserer Rasse und der Schutz der Schwachen sprach sich Ploetz für ein wissenschaftlich angeleitetes Reproduktionsverhalten der Bevölkerung aus. Über den „Erbwert“ von Nachkommen sollten Ärzte entscheiden. „Rassenhygiene als Wissenschaft ist die Lehre von den Bedingungen der optimalen Erhaltung und Vervollkommnung der menschlichen Rasse“, definierte Ploetz. „Als Praxis ist sie die Gesamtheit der aus dieser Lehre folgenden Maßnahmen, deren Objekt die optimale Erhaltung und Vervollkommnung der Rasse ist, und deren Subjekte sowohl Individuen als auch gesellschaftliche Gebilde einschließlich des Staates sein können.“

Im deutschen Kaiserreich und später in der Weimarer Republik gelang es Wissenschaftlern, mittels Büchern, Fachzeitschriften und eigenen Institutionen die Idee der Rassenhygiene immer fester zu etablieren. Anhänger und Verfechter fanden sich in allen politischen Lagern, auch in der Sozialdemokratie. Ein Beispiel ist der Gewerkschafter und SPD-Mann Karl Valentin Müller (1896–1963), der 1927 ein Buch mit dem Titel Arbeiterbewegung und Bevölkerungsfrage veröffentlichte. Darin forderte er eine „planvolle Züchtung der sozialbiologischen Anlagen“ sowie die „rücksichtlose, wenn möglich zwangsweise Unterbindung des Nachwuchses aus dem Bevölkerungsballast, den wir allzu lange schon mit uns schleppen und der ein schlimmerer Ausbeuter der produktiven Arbeit ist als alle Industriekönige zusammengenommen“. In einem Beitrag zu Lebensraum und Geburtenregelung, der 1928 in einer Sonderausgabe der Süddeutschen Monatshefte erschien, bekräftigte er die Ansicht, daß die Ziele der Rassenhygiene mit einem wahrhaften Sozialismus vereinbar seien. Mit diesen Ansichten war er zwar in einer Minderheitenposition innerhalb seiner Partei. Doch auf die Idee, ihn aus der SPD zu entfernen, kam damals niemand. Von 1927 an arbeitete er sogar als Referent im sächsischen Kultusministerium, das zu dieser Zeit sozialdemokratisch geführt wurde.

Alfred Grotjahn (1869–1931), praktischer Arzt und erster Professor für soziale Hygiene in Deutschland an der Berliner Universität, war ein weiterer Sozialdemokrat, der für rassenhygienische Prinzipien stritt (Hygiene der menschlichen Fortpflanzung, 1926). Er betonte, „daß die sozialistischen Theoretiker sich an der jungen Wissenschaft der Eugenik zu orientieren hätten und nicht an Dogmen, die von sozialistischen Klassikern zu einer Zeit aufgestellt worden seien, als es diese Wissenschaft noch nicht gab.“ Seine Forderung, „daß die Erzeugung und Fortpflanzung von körperlich oder geistig Minderwertigen verhindert und eine solche der Rüstigen und Höherwertigen gefördert“ werden müsse, würde in der Gegenwart vermutlich einen Sturm der Entrüstung auslösen, gegen den die Sarrazin-Kampagne nur ein laues Lüftchen wäre. Grotjahn saß von 1921 bis 1924 für die SPD im Reichstag, galt als namhaftester gesundheitspolitischer Sprecher seiner Partei und formulierte das Görlitzer Programm von 1922 mit. Daß ihn die SPD jemals hätte ausschließen wollen, ist nicht bekannt.

Es ist kaum vorstellbar, daß die Existenz sozialdemokratischer Rassenhygieniker in den 1920er Jahren der heutigen SPD-Führung nicht bekannt ist. Immerhin veröffentlichte der Historiker Michael Schwartz bereits 1995 seine Studie Sozialistische Eugenik: eugenische Sozialtechnologien in Debatten und Politik der deutschen Sozialdemokratie 1890–1933, herausgegeben vom Forschungsinstitut der parteieigenen Friedrich-Ebert-Stiftung. Und in der Wochenzeitung Die Zeit erinnerte der Parteienforscher Franz Walter erst Ende August an die „sozialdemokratische Genetik“.

Eugenische Forderungen wurden in zahlreichen Staaten in praktische Politik umgesetzt. Ob in Kanada oder den USA, der Schweiz oder Skandinavien – rund um den Globus gab es Gesetze, auf deren Grundlage Tausende, teils Zehntausende von Menschen zwangssterilisiert wurden. Besonders nachhaltig ging Schweden das Thema an. Schon 1921 beschloß der schwedische Reichstag, an der Universität Uppsala ein „Staatliches Institut für Rassenbiologie“ einzurichten, angeregt durch niemand geringeren als Hjalmar Branting, der zwischen 1920 und 1923 schwedischer Ministerpräsident war – für die Sozialdemokraten. In Uppsala lehrte zeitweise als Gastdozent der deutsche Rassenforscher Hans F.K. Günther, in der NS-Zeit später als „Rassegünther“ bekannt.

1922 brachte die schwedische SAP (Sozialdemokratische Arbeiterpartei) einen Gesetzentwurf zur Sterilisierung geistig Behinderter ein. Schließlich trat 1935 das erste Gesetz in Kraft, das bereits die freiwillige Sterilisierung „geistig zurückgebliebener“ Menschen bei an­zunehmenden „Erbschäden“ vorsah, und Sterilisierungen ohne Einwilligung der Betroffenen, wenn sie durch zwei Ärzte befürwortet wurden. 1941 wurde mit einem deutlich erweiterten Gesetz dann die zwangsweise Unfruchtbarmachung bei „eugenischer Indikation“ eingeführt. Betroffen waren Geisteskranke, -schwache und -gestörte, psychisch Kranke und Menschen mit Mißbildungen. All diese Maßnahmen wurden unter sozialdemokratischen Regierungen beschlossen.

Mit seinen Vorwürfen gegenüber Sarrazin bewegt sich Sigmar Gabriel also auf äußerst dünnem Eis – was den Verweis auf die Zwangssterilisierten in Schweden betrifft, sind sie sogar hochgradig peinlich. Zumindest grollt es in großen Teilen der SPD-Basis, die das Vorgehen des Parteivorstands für befremdlich halten, und auch SPD-Prominenz wie Klaus von Dohnanyi, Peer Steinbrück und Helmut Schmidt favorisiert einen eher entspannten Umgang mit dem „Fall Sarrazin“. Vielleicht hat sich ja an anderen Stellen der Partei einfach auch mehr historische Bildung versammelt als bei Säuberungskommissar Gabriel.

Harald Kersten

lundi, 08 novembre 2010

Kent Ekeroth: "Rasant wachsendes Gewaltproblem"

Kent+Ekeroth.jpg

„Rasant wachsendes Gewaltproblem“

Ex: http://www.zuerst.de/

ZUERST!-Gespräch mit dem schwedischen Abgeordneten Kent Ekeroth (Schwedendemokraten) Kent Ekeroth, geboren 1981 in Malmö, sitzt für die Rechtspartei „Schwedendemokraten“ seit den Wahlen am 19. September im schwedischen Reichstag. Ekeroth ist in der Partei für die internationalen Kontakte zuständig.

Herr Ekeroth, bei den Wahlen im September erhielt Ihre Partei 5,7 Prozent und ist nun mit 20 Abgeordneten im schwedischen Parlament vertreten. War das eine große Überraschung für Sie?

Ekeroth: Ich würde nicht sagen, daß es ein urplötzlicher Erfolg war. Wir hatten ein organisches Wachstum sowohl in der Partei als auch bei den Umfragewerten. Seit 20 Jahren sind wir gewachsen, in den Umfragen spürbar seit den letzten Wahlen 2006.

 

Welche Motive hatten die schwedischen Wähler, Ihre Partei zu unterstützen?

Ekeroth: Ich denke, da gibt es mehrere Gründe. Zunächst einmal haben die Menschen hier zunehmend die Nase voll von Masseneinwanderung und Multikulti. Mittlerweile kennen die Wähler uns und unsere politischen Ziele auch – wir sind in mehr als der Hälfte aller schwedischen Kommunen vertreten. Das bedeutet: Wir haben die politische Erfahrung, und das bemerken die Leute auch.

Sie sagen, die Bürger sind verärgert über Masseneinwanderung und Multikulti. Können Sie kurz die Situation in den schwedischen Städten beschreiben?

Ekeroth: Ich kann Ihnen sagen, wie es in der Stadt aussieht, in der ich geboren wurde: Malmö. Sie wird immer mehr islamisiert. Wir haben etwa 25 bis 30 Prozent Muslime in der Stadt. Und wir haben ein rasant wachsendes Gewaltproblem auf den Straßen.

Woher kommen diese Einwanderer?

Ekeroth: Überwiegend aus Ländern, aus denen wir niemanden aufnehmen sollten – dem Mittleren Osten und Afrika. Im Moment kommen viele aus Afghanistan und Somalia.

Auf welche Weise berichten die etablierten schwedischen Medien über dieses Probleme?

Ekeroth: Sie versuchen, auf andere Faktoren abzulenken, und sie sagen, Multikulti sei gut für Schweden.

Wie soll man mit dem Einwanderungsproblem umgehen?

Ekeroth: Zuallererst müssen wir den Zustrom begrenzen, vor allem aus den Ländern, über die ich schon gesprochen habe. Wir fordern außerdem, daß sich die Einwanderer assimilieren. Und für jene, die das nicht wollen, wird Geld gebraucht, damit sie in ihre Heimatländer zurückkehren können.

Wie gehen die etablierten Parteien im Parlament mit Ihnen um?

Ekeroth: Wir gehen ja nicht ins Parlament, um mit den anderen Freundschaft zu schließen, wir sind da, um unsere politischen Ziele zu verwirklichen. Aber wenn wir andere Abgeordnete auf dem Gang treffen, sind die meisten freundlich, auf der persön­lichen Ebene.

Welche Möglichkeiten sehen Sie, als Oppositionspartei Ihre Ziele umzusetzen?

Ekeroth: Wir beeinflussen schon jetzt die Politik in Schweden. Die Regierung hat sich bereits eine Reihe unserer Forderungen zu eigen gemacht, und ich denke, das wird so weitergehen. So wirken wir indirekt auf die Politik ein. Und wir sind jetzt in der „Königs­macher“-Position – das heißt, wir können mit der Regierung stimmen oder gegen sie. Das Problem ist, wenn es um die Schlüsselfrage der Einwanderung geht, sind beide – die linken wie die bürgerlichen Parteien im Parlament – für Multikulturalismus und für Masseneinwanderung. Aber wie ich schon sagte, es gibt einige Erfolge beim Einfluß auf die Regierungspolitik.

Zum Beispiel?

Ekeroth: Bei der Verbrechensbekämpfung zum Beispiel. Wir sind für härtere Gesetze, und da geschieht dieser Tage so einiges.

Herr Ekeroth, vielen Dank für das Gespräch.

Presseschau - November 2010/01

cymbal.jpg

Presseschau

November 2010/1

Liebe Angemailte, großer Kreis. Da die infokreis-Presseschau derzeit nicht erscheint, meine selber gesammelten Links für eine Presseschau spezial Oktober. Viel Spaß und manche Anregung beim Lesen.
C.W.

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Berlin und Paris streiten über neue Nukleardoktrin der Nato
http://www.welt.de/print/die_welt/politik/article10205971...

2010 wird verlustreichstes Jahr für NATO-Truppen
http://derstandard.at/1285042341227/2010-wird-verlustreic...

Arabische Söldner werden zum Risiko für die Nato
http://www.welt.de/politik/ausland/article10162300/Arabis...

Konfliktherd Kaschmir: Neue Wege zum Dialog?
Aktuelle Herausforderungen an die indische Regierung
http://www.kas.de/indien/de/publications/20620/

Gewaltwelle
Indien verzweifelt an der Kaschmir-Krise
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,717698,00.html

Fernöstlicher Expansionsdrang
China zieht die Schlinge um Indien enger
http://www.faz.net/s/Rub0E9EEF84AC1E4A389A8DC6C23161FE44/...

Letten wählten SS-Veteran ins Parlament
http://orf.at/stories/2018338/
http://kurier.at/nachrichten/2038590.php

Philippinen
Haftstrafe für falsches Hymne-Singen
http://www.fnp.de/fnp/welt/politik/haftstrafe-fuer-falsch...

Finanzkrise
Amerikas kurzes Gedächtnis
http://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/0,1518,72227...

Migrantenprobleme in Dänemark
http://www.welt.de/politik/ausland/article10551446/Daenem...

Taliban-Aussteigerprogramm
Deutschland überweist Millionensumme nach Kabul
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,725516,00.html

Interview mit Wikileaks-Kopf Assange
"Ohne Medien ginge es uns besser"
http://www.taz.de/1/netz/netzpolitik/artikel/1/ohne-medie...

Margot Honeker feiert 60 Jahre DDR
http://www.youtube.com/watch?v=GloRTnlXWlc&p=B0CBD895...

DDR-Was ist das?
http://www.youtube.com/watch?v=5fgNyJgKI90&feature=re...

„Kein Tag für Deutschland“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Linkspartei fordert Verdopplung der Mittel im „Kampf gegen Rechts“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Film über Krawalle in Rostock-Lichtenhagen geplant
http://www.welt.de/newsticker/dpa_nt/infoline_nt/boulevar...

Film: Antifa in den Niederlanden
http://www.antifa.de/cms/content/view/1499/1/

Nazis raus!
von Martin Lichtmesz
http://www.sezession.de/20291/nazis-raus.html#more-20291

Nachhilfestunden
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Brandanschläge verübt
58 Monate Haft für „Morgenlicht“-Attentäter
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/...

Hamburg: Linksextremisten verüben Anschlag auf Innensenator
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Schweinfurt: Wir feiern eure Niederlage
Ein Bericht zum blockierten Aufmarsch des „Freien Netz Süd“ am 9.10. im nordbayerischen Schweinfurt
http://de.indymedia.org/2010/10/291860.shtml

20 Jahre deutsche Einheit - Kein Grund zum Feiern
http://www.linkezeitung.de/cms/index.php?option=com_conte...

Deutschfeindliche Zitate der "Grünen" u. a.!
http://karl-heinz-heubaum.homepage.t-online.de/57wh-zit.htm

Die Grünen sind auf dem Weg zur Beamtenpartei
http://news.de.msn.com/politik/politik.aspx?cp-documentid...

Hessen
Schlammschlacht zum Tag der Deutschen Einheit
http://www.fnp.de/nnp/region/hessen/schlammschlacht-zum-t...

K. Löw und die Wut der Medien
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Volksverhetzungs-Paragraph soll ausgeweitet werden
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Alles logo?
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Reporter geben sich als Rechtsradikale aus / Staatsschutz ermittelt
Eklat um BR-Team bei Sarrazin-Lesung
http://www.tz-online.de/aktuelles/muenchen/eklat-br-team-...

Kritische Besucher bei Röpkes Märchenstunde in Stralsund
http://www.npd-mv.de/index.php?com=news&view=article&...

Thüringen: Kommunalpolitiker der Linkspartei in Schlägerei verwickelt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Untersuchung im altbekannten Antifa-Stil von der Friedrich-Ebert-Stiftung (Stichwort: Der Rechtsextremismus der Mitte)...
Die Mitte in der Krise: Eine neue Leipziger Studie zu rechtsextremen Einstellungen in der Bundesrepublik
http://www.l-iz.de/Bildung/Forschung/2010/10/Leipziger-St...

Why 13 percent of Germans would welcome a "Führer"
http://ca.news.yahoo.com/s/15102010/20/13-percent-germans...

Ilse Aigner unterstützt „Netz gegen Nazis“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

"Süddeutsche Zeitung" verteidigt Anzeige der "Junge Freiheit"
http://www.endstation-rechts.de/index.php?option=com_k2&a...

Thilo Sarrazin im Streitgespräch
Die große Zustimmung beunruhigt mich etwas
http://www.faz.net/s/Rub546D91F15D9A404286667CCD54ACA9BA/...

Koch wirft Sarrazin „dumpfen Biologismus“ vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Sarrazin, die Muslime und das Grimmsche Wörterbuch
http://www.nzz.ch/nachrichten/startseite/sarrazin_die_mus...

Das endlose Gelaber
Standpunkt. Das paßt den führenden deutschen Medien in den Kram: Mit Thilo Sarrazins demagogischen Thesen läßt sich die Bevölkerung bestens von ihrer weiteren Ausplünderung ablenken
Von Kurt Pätzold
http://www.jungewelt.de/2010/09-15/021.php

Nörgelforschung
Im Meckern sind sich alle gleich
Nicht nur Linke tun es gern, auch die Gegenseite lässt sich nicht lumpen. Eric T. Hansen untersucht eine Lieblingsbeschäftigung der Deutschen.
http://www.taz.de/1/leben/buch/artikel/1/im-meckern-sind-...

Frauenquote bei der CSU
"Die Frauenquote als Türöffner"
http://www.donaukurier.de/nachrichten/bayern/Die-Frauenqu...

De Maizière beklagt zunehmende Gewalt gegen Polizisten
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/maizire-bekla...

Härtere Strafen bei Widerstand gegen Polizei
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/haertere-stra...

Die Müdigkeitsgesellschaft: Der Feind läuft uns davon
http://www.zeit.de/2010/37/L-S-Han?page=1

Justizministerin kritisiert Wilders-Auftritt
http://www.focus.de/politik/schlagzeilen/nid_54181.html

Rechtspopulist Wilders in Berlin:
Der unheimliche Provokateur
http://www.stern.de/politik/deutschland/rechtspopulist-wi...

Berlin-Besuch
Wilders geht Merkel direkt an
http://www.focus.de/politik/deutschland/berlin-besuch-wil...

Niederlande
Projekt Wilders: Revolte von rechts
http://www.faz.net/s/Rub117C535CDF414415BB243B181B8B60AE/...

Wulff gegen Pauschalkritik an Deutsch-Türken
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1055235

Zentralrat der Muslime lobt Wulffs Rede zur deutschen Einheit
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Gorbatschow blamiert Frankfurts "Elite" - und der Merkel-Präsident huldigt der "Vielfalt"
Zwei Reden am Einheitstag - ein Befund: Die Wende tut not!
http://www.freie-waehler-im-roemer.de/index.php?id=44&...

Steinbach befeuert Integrationsdebatte
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/steinbach-gib...

Seehofers Forderung
Kommentar: An Realität vorbei
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/realitaet-vor...

Zuwanderung: Kolat fordert Entschuldigung von CSU-Chef Seehofer
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Athen wächst der Flüchtlingsstrom über den Kopf
http://www.lr-online.de/meinungen/Athen-waechst-der-Fluec...

CDU-Vorstand formuliert Integrationspolitik neu
http://www.welt.de/print/die_welt/politik/article10539110...

Maria Böhmer
Integrationsministerium auf Bundesebene ist konsequent
http://www.migazin.de/2010/10/26/integrationsministerium-...

Hamburg gewährt dem Islam mehr Rechte
http://www.abendblatt.de/hamburg/kommunales/article165609...

Hamburg
Geplanter Vertrag mit Muslimen entzündet Debatte in der CDU
http://www.welt.de/print/die_welt/hamburg/article10169672...

Geteiltes Echo auf Hamburger Islam-Vertrag
http://www.abendblatt.de/hamburg/kommunales/article165732...

Zustand der Demokratie
Kommentar: Falsche Hoffnungen
von Wolfgang Blieffert
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/falsche-hoffn...
(Wolfgang Blieffert ist Redakteur in der HNA-Politikredaktion, Hessisch-Niedersächsische Allgemeine
http://www.hnawatch.de/wp-content/uploads/userphoto/wblie...)

(Migrantenverbände reagieren umgehend...)
Migrantenverbände kritisieren Deutschpflicht
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/migrantenverb...

"Shahada" ist hochaktuell: Junge Muslime in Berlin
http://www.sol.de/lifestyle/kino/kritik/Film--Shahada-ist...

Zu Özil und Co.
Zwei Seelen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Deutsche machen positive Erfahrungen mit Zuwanderern
http://www.welt.de/die-welt/politik/article10061709/Deuts...

Umfrage belegt: Deutschland profitiert von Zuwanderern
Mehr als zwei Drittel der Bevölkerung bekunden positive persönliche Erfahrungen
http://www.themenportal.de/familie/umfrage-belegt-deutsch...

Familien- und Erbrechtsfälle
Deutsche Gerichte wenden Scharia an
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,722220,0...

Familie Khateeb aus Dietzenbach darf hierbleiben
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/vermischtes/article...

Dietzenbach
Innenminister Boris Rhein folgt Empfehlung der Härtefallkommission
Familie Khateeb darf in Deutschland bleiben
http://www.op-online.de/nachrichten/dietzenbach/familie-k...

Familie Khateeb: Neuanfang nach der Zitterpartie
http://www.op-online.de/nachrichten/dietzenbach/neuanfang...

Kriminalität
BKA sieht islamistischen Terror präsenter denn je
http://www.focus.de/politik/deutschland/kriminalitaet-bka...

Türken bei jungen Deutschen unbeliebt
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/turken-unbeli...

Bunte Republik vs. Neues Deutschland
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Streit um Maßnahmen gegen Deutschfeindlichkeit an Schulen
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/deutschfeindl...

Rassismus
Das Schweigen der Schulen über
Deutschenfeindlichkeit Zu lange wurde geduldet, zu lange auf multikulturelle Beschwörungsrituale gesetzt, zu lange die Debatte vermieden und das Problem rhetorisch verbrämt: Es gibt einen Rassismus in sozialen Brennpunkten, der von muslimischen Schüler ausgeht.
*Von Regina Mönch*
http://www.faz.net/s/Rub9B4326FE2669456BAC0CF17E0C7E9105/...

Alles nur Faschisten? Über das Ende des Traums von Multikulti
ULRICH BRUNNER (Die Presse)
Gastkommentar. Wiener Wahlergebnis erfordert massive Änderungen in der Zuwanderungspolitik.
http://diepresse.com/home/meinung/gastkommentar/601325/in...

ayaan hirsi ali im interview
http://www.myvideo.de/watch/135259/ayaan_hirsi_ali_im_int...

Nah & Fern - Kulturmagazin für Migration und Partizipation
Propagandablatt der Migrantenlobby:
http://www.nahundfern.info/
Aus der Eigenwerbung:
«nah & fern ist ... eine ästhetisch aufwendig gemachte Zeitschrift ... Sie besticht durch außergewöhnlich beeindruckende Fotos, insbesondere Porträts von Migranten aus aller Welt ... die großformatigen, berührenden Fotos machen auf den ersten Blick klar: Diese Menschen aus allen Weltgegenden repräsentieren einen ungeheuren Reichtum. An Geschichten, Erfahrungen, Fähigkeiten, Talenten, kulturellen Bezügen.»
(Unter den Autoren finden sich der bekennende Linksradikale Klaus Farin und der Kanak-Attak-Aktivist Murat Güngör)

Zuwanderungsdebatte
Kommentar: Die Fremden begleiten
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/fremden-begle...

Gewaltkriminalität wie jede andere? Warum Migrantengewalt besonders ist
http://www.blauenarzisse.de/v3/index.php/anstoss/2044-gew...

Wer sah jugendlichen Straßenräuber? - Offenbach
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/1705733...

Offenbacher Polizei nimmt Bruder von kriminellen Kickbox-Zwillingen wegen Schießerei 1998 fest
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/dritter-bru...

Offenbach/Frankfurt
Eskaliert der Rapper-Krieg? Tür zertrümmert, Scheibe besprüht
http://www.extratipp.com/nachrichten/regionales/rhein-mai...

Frankfurt
Frau aus dem Auto gezerrt und niedergeknüppelt
http://www.bild.de/BILD/regional/frankfurt/dpa/2010/10/05...

Frankfurt
Knüppelattacke Teil einer Fehde
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/knueppelattacke-teil...

Straßenbahn Frankfurt
Messerattacke gegen Fahrgäste
hier ohne Nennung der Täter-Nationalität:
http://www.hr-online.de/website/rubriken/nachrichten/inde...
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/nach-rangelei-in-der...
http://www.echo-online.de/nachrichten/hessenundrhein-main...
hier mit Nennung der Täter-Nationalität:
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/4970/1700866/...

Frankfurt
Familienmord: Rentner (aus Marokko) vor Gericht
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/frankfurt/article10...

(Es wird nicht nur das Opfer "Hassan" heißen...)
Frankfurt. Justiz im Kriechgang
Zwei Jahre nach schwerer Schlägerei stehen zehn Jugendliche vor Gericht
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/justiz-im-kriechgang...
(...wenn das Opfer überhaupt so heißt, denn bei der Frankfurter Rundschau hat es plötzlich gar keinen Namen mehr)
http://www.fr-online.de/frankfurt/zehn-gegen-elf/-/147279...

Offenbach
Prozess um Todesfahrt
Kommentar: Recht und Gerechtigkeit
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/recht-gerec...

Drei Polizisten bei Einsatz in Berlin verletzt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

Bunter Streifen aus Weingarten, Ghetto in Freiburg/Br.
http://www.youtube.com/watch?v=3WAL2TlKWc4&feature=pl...

Zustände in Auswandererländern...
Massaker bei Jugendfeier in Mexiko
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/vermischtes/article...
http://nachrichten.rp-online.de/panorama/mexiko-maskierte...

Egelsbach
Entsetzen über Kreuz-Schändung
http://www.op-online.de/nachrichten/egelsbach/entsetzen-u...

Strategiepapier der Vereinten Nationen: Zerstörung der Mittelklasse und Aufbau der Weltregierung
http://www.propagandafront.de/146160/strategiepapier-der-...

(Das nationale Einheitsdenkmal als Kinderspielzeug. Eine Wippe hat gewonnen...)
Preisträger und Anerkennungen für ein Freiheits- und Einheitsdenkmal
http://www.bbr.bund.de/cln_015/nn_343756/DE/WettbewerbeAu...

(Nicht mehr super-aktuell, aber ein erschreckendes Beispiel für osmanischen Schlendrian...)
Ein Museum wird beraubt und keiner merkt’s
Staatliche Kunstsammlung in Ankara wurde offenbar seit Jahren geplündert
http://gestern.nordbayern.de/artikel.asp?art=1203832&...

"Volksgemeinschaft und Verbrechen"
Führer, Volksgemeinschaft und Verbrechen
Das Deutsche Historische Museum zeigt die erste große Ausstellung zur Wahrnehmung Adolf Hitlers im Volk. Darf das sein in Berlin?
http://www.welt.de/kultur/article10216798/Fuehrer-Volksge...

"Volksgemeinschaft und Verbrechen"
Bloß nicht mehr Adolf Hitler als unbedingt nötig
Das Historische Museum in Berlin wagt mit Ausstellung über den Diktator und die Deutschen eine Gratwanderung
http://www.nordbayern.de/nuernberger-nachrichten/politik/...

Hitlers Diplomaten
Das Auswärtige Amt half nicht nur den Krieg vorzubereiten, sondern war aktiv am Holocaust beteiligt. DIE ZEIT sprach darüber mit dem Historiker Norbert Frei.
http://www.zeit.de/gesellschaft/zeitgeschehen/2010-10/kom...

Enthüllungen um Nazi-Diplomaten
Brandts Sockel wackelt
http://www.fr-online.de/politik/brandts-sockel-wackelt/-/...

Auswärtige Amt in Holocaust verstrickt
Steinmeier übt Kritik an Willy Brandt
http://www.rp-online.de/politik/deutschland/Steinmeier-ue...

Wälsungenblut, deutschreligiös
Ingo Niermann und Alexander Wallasch proben als Koautoren mit ihrem Porno-Roman "Deutscher Sohn" die ultimative Provokation
http://www.taz.de/1/archiv/digitaz/artikel/?ressort=ku&am...

Frankfurter Druide fordert: „Akzeptiert uns endlich als Religion!“
http://www.extratipp.com/nachrichten/regionales/rhein-mai...

Begrüßenswert…
Religion
Großbritannien erkennt Druidentum als Religion an
http://www.focus.de/panorama/welt/religion-grossbritannie...

Stuttgart 21
Eskalation
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm....

"Ganz oder gar nicht"
Gedanken zu Stuttgart 21
"Wer Bäume fällt, historische Bausubstanz angreift,* die Stadtmitte für
zehn Jahre zur Riesenbaustelle macht, die wahren Kosten erst nach den
Beschlüssen serviert und ständig nur darauf verweist, wie wichtig das
Projekt für die Wirtschaftskraft des Landes sei, *der treibt die Bürger
natürlich auf die Straße"
http://www.mainpost.de/ueberregional/meinung/Leitartikel-...

Das Stuttgart 21-Kartell
http://www.leben-in-stuttgart.de/divers/Stuttgart21-Karte...

Ein Scharfrichter und eine deutsche Karriere
http://de.wikipedia.org/wiki/Johann_Reichhart

Kanada
Pilot der Queen ist ein doppelter Frauenmörder
http://www.welt.de/vermischtes/weltgeschehen/article10161...

München
SPD-Abgeordneter löst mit Weinkiste Bombenalarm aus
http://www.augsburger-allgemeine.de/Home/Nachrichten/Baye...

Wie Kaliningrad zum neuen Königsberg werden könnte
http://www.welt.de/kultur/history/article10422903/Wie-Kal...

Potsdam
700 000 Euro für die Garnisonkirche
Stiftung bekommt Erbe einer 93-Jährigen
http://www.maerkischeallgemeine.de/cms/beitrag/11912322/6...

Wer die Sünden westdeutscher Stadtsanierung der 70er Jahre im Bild miterleben möchte, der schaue sich folgende Fotostrecke aus Biberach an der Riß (Baden-Württemberg) an. Vor allem auch die folgenden Neuplanungen.
http://www.architekturforum.net/viewtopic.php?f=40&t=...
Wer meint, diese Zeiten seien überwunden, der hat keine Ahnung von heutiger Stadtplanung, bei der sich modernistische Architekten, profitgierige Investoren und achselzuckende Entscheidungsträger die Hände reichen. Die 70er Jahre sind wieder erwacht.
Noch recht aktuell: Das Haus Hindenburgstr. 11, es steht bereits nicht mehr:
http://www.stadtforum-biberach.de/dieseseite.htm
(unter "mehr dazu" sieht man Fotostrecken mit der teils gut erhaltenen Innenausstattung; unter "hier" dann die aktuellen Neuplanungen)
Und das Haus ist nur pars pro toto. Weitere stadtbildprägende Altstadtgebäude sollen fallen und schönen großen Neubauten Platz zu machen...

Denkmalschutz in Luxemburg
„Ein Fall Maison Berbère reicht“
Das Gebäude im Artdeco-Stil soll ab nächster Woche abgetragen und in der Moselmetropole wieder aufgebaut werden
http://www.wort.lu/wort/web/letzebuerg/artikel/2010/10/11...

Kirche in schwarz-rot-gold
http://www.augsburger-allgemeine.de/Home/Nachrichten/Baye...

Der Künstler Wolf Kalz
http://www.wolf-kalz.de/index.html

Georg Schramm - Volksverblödung
http://www.youtube.com/watch?v=RkNddCXSLvM&feature=pl...

Mehr Arten als im Taunus
Großstadtdschungel in Frankfurt
http://www.faz.net/s/Rub8D05117E1AC946F5BB438374CCC294CC/...

Müllteppiche im Meer
Milliarden von Kunststoffteilchen gefährden marine Lebewesen
http://www.nzz.ch/nachrichten/wissenschaft/muellteppiche_...

Ungarn stellt Unglückswerk unter Zwangsverwaltung
http://www.ftd.de/politik/international/:ungarn-stellt-un...

Massentierhaltung
Hähnchen werden immer häufiger mit Antibiotika behandelt
http://www.welt.de/aktuell/article10541702/Haehnchen-werd...

Frisch auf den Müll
Millionen Tonnen Lebensmittel landen Jahr für Jahr auf dem Müll und kaum jemand nimmt dies als Problem wahr - ein Interview mit dem Filmemacher Valentin Thurn
http://www.heise.de/tp/r4/artikel/33/33516/1.html

Empfehlungen zum Klimawandel
Senckenberg-Chef will Umweltzerstörung teurer machen
http://www.faz.net/s/RubFAE83B7DDEFD4F2882ED5B3C15AC43E2/...

Grüne Welle - Ökoguerilla
http://www.gruenewelle.org/

Wirbel um Minirockverbot in Süditalien
http://www.focus.de/panorama/welt/gesellschaft-wirbel-um-...

Gesünder, als das Gesundheitsministerium empfiehlt
STRAIGHT EDGE Außenseiter: In der Hardcore-Spielart Straight Edge sind radikale Abstinenz und sexuelle Enthaltsamkeit ein Muss. Unheimlich ist ihre Rede von "Volksgesundheit"
http://www.taz.de/1/archiv/digitaz/artikel/?ressort=ku&am...

Frankreich: "Musikkarte" soll Jugendliche vom illegalen Herunterladen abhalten
http://www.gulli.com/news/frankreich-musikkarte-soll-juge...

Pilotenvereinigung "Cockpit":
Verbietet die Laser-Pointer!
Immer neue Blend-Attacken. Allein in diesem Jahr gab es laut Flugsicherung schon 330 Licht-Attacken
http://www.berlinonline.de/berliner-kurier/print/nachrich...

Zeitung "Die Kommenden" komplett digitalisiert im Netz     
http://digital-b.staatsbibliothek-berlin.de/digitale_bibl...

###

*http://www.wiki-watch.de/*

* *

*Arbeitsstelle im Studien- und Forschungsschwerpunkt "Medienrecht"
der Juristischen Fakultät der Europa-Universität Viadrina Frankfurt (Oder) *

Wikipedia ist die wichtigste Wissens-Resource weltweit.
20,10 Millionen Mal wurde die deutschsprachige Wikipedia gestern benutzt!
16,68 Millionen Artikel in 273 Sprachen waren im vergangenen Monat
eingestellt. Und jede Minute werden es mehr.
Aber wir Nutzer wissen praktisch nichts über Wikipedia, nichts außer ein
paar Mythen. - Das ist gesellschaftlich unbefriedigend.

Wer eigentlich bestimmt, was wir in Wikipedia nachschlagen können? Wo tobt
ein Edit War? Wer sind / was machen die 281 Administratoren? Welche Artikel
sind gesperrt? Wo wehren sich Betroffene - zu oft vergeblich - gegen falsche
Darstellungen? Wie kann man sich gegen falsche Darstellungen oder
Verleumdungen in Wikipedia wehren?
Und wie kann man sein Fachwissen einbringen, ohne von Alteingesessenen
weggebissen zu werden?

Zu allen diesen Fragen will dieses interdisziplinäre Projekt Antworten
suchen und öffentlich verfügbar machen. Wir wollen dazu beitragen, die
faszinierende Wissens-Resource Wikipedia transparenter zu machen.
Interessierte sind sehr herzlich zur Mitarbeit eingeladen!

Prof. Dr. Wolfgang Stock
Prof. Dr. Johannes Weberling
Leiter der Arbeitsstelle
--

dimanche, 07 novembre 2010

L'économie de l'immigration

Immigration.jpg

L'économie de l'immigration

Ex: http://zentropa.splinder.com/

Il y a une « idéologie de l’immigration ». Celle-ci promeut le multiculturalisme et la « diversité », la culpabilité française et européenne et « l’antiracisme ». Selon une grille marxiste, « l’idéologie de l’immigration » est la superstructure intellectuelle de « l’économie de l’immigration » qui en est l’infrastructure. Selon une grille parétienne, « l’idéologie de l’immigration » est la « dérivation » théorique d’intérêts concrets bien réels (« les résidus » tout à fait matérialistes de ceux qui tirent avantage de l’immigration). Bref le discours des professionnels des bons sentiments sert de paravent à des intérêts sordides.

Explications

« L’économie de l’immigration » tel est le sujet traité par Jean-Yves Le Gallou, le 14 octobre 2010, à l’invitation du Cercle des catholiques pour les libertés économiques (CLE), présidé par Michel de Poncins. L’auteur analyse d’abord la macroéconomie de l’immigration et son impact sur la production, les salaires, les prestations sociales, la privatisation des profits et la collectivisation des pertes. Jean-Yves Le Gallou étudie ensuite la microéconomie de l’immigration et dévoile la multiplication des intérêts particuliers qui s’en nourrissent.

La logique d’une production moins chère

Dans l’univers du libre échange mondial et de la mobilité de tous les facteurs de production, les entreprises françaises et européennes sont poussées à un double comportement :

– la délocalisation à l’extérieur (« offshore ») de la production des biens et produits manufacturés et des services informatiques ;
– la délocalisation à domicile par le recours à de la main d’œuvre immigrée pour les services non délocalisables : BTP, restauration et services à domicile notamment. Gagnants et perdants de l’immigration

Cette logique a ses gagnants et ses perdants.

Parmi les gagnants on trouve les entreprises qui diminuent leurs charges (1) et donc augmentent leurs marges. On trouve aussi les particuliers qui utilisent des services : riches particuliers recourant à du personnel de maison ou fréquentant des restaurants de luxe, pas toujours très regardants sur la régularité de leur main d’œuvre de base ; particuliers moins riches bénéficiant de services à la personne, notamment de soins à domicile, ou clients de « fast food ». Et bien sûr les immigrés eux-mêmes qui accèdent – au prix de leur déracinement – au confort d’un pays développé.

Perdants de l’immigration : salariés et chômeurs

Les perdants sont du côté des actifs et des salariés : depuis trente ans la main d’œuvre française est en concurrence avec la main d’œuvre mondiale ; il n’est pas surprenant que ses conditions de travail et de revenus se dégradent ; et qu’un chômage structurel de masse se soit installé. Car il est inexact de dire que «les immigrés prendraient les emplois que les Français ne veulent pas faire » ; dans une économie où il y a 10% de chômeurs, tous les emplois sont susceptibles d’être pourvus, à condition que les salariés ne subissent pas la concurrence déloyale d’une main d’œuvre bon marché venue du monde entier.(2)

Les perdants sont aussi du côté des contribuables car l’immigration privatise les bénéfices mais socialise les coûts.

Privatisation des bénéfices, socialisation des coûts

La main-d’œuvre immigrée est abondante (le monde entier en pourvoit !), son coût direct est donc moins cher que la main-d’œuvre autochtone ; c’est encore plus vrai lorsqu’il s’agit d’une main-d’œuvre immigrée clandestine : car dans ce cas c’est alors une main-d’œuvre docile et à charges sociales réduites sinon nulles.

Mais la main-d’œuvre immigrée coûte cher à la collectivité : un résident au chômage ne produit plus de cotisations mais il bénéficie toujours de prestations ; un résident étranger, même clandestin, bénéficie de prestations et dès qu’il est régularisé ces prestations se généralisent et s’étendent à ses ayants droits : prestations de santé, de famille, de logements. Séjourner en France, c’est aussi accéder à des biens collectifs qui ne sont pas indéfinis : réseaux de transports et d’assainissement, places dans les hôpitaux et les collèges. Selon le prix Nobel Maurice Allais, toute entrée de résident supplémentaire génère un coût d’équipement ; ces investissements nécessaires représentent de l’ordre de 100 000 euros par tête, plus sans doute dans les grandes régions urbaines comme l’Ile de France où les réseaux sont saturés.(3) Un travailleur régularisé avec sa famille peut ainsi coûter de 200 000 à 300 000 euros.

La grande illusion des régularisations

Depuis trente ans, les gouvernements successifs, en France comme chez nos voisins européens, finissent toujours par régulariser les travailleurs en situation clandestine, soit massivement, soit au fil de l’eau. Cette politique a des conséquences désastreuses car toute régularisation engendre deux nouvelles vagues d’immigration :

– celle des ayants droits des personnes régularisés (au titre du regroupement familial et de l’immigration nuptiale) ;
– celle de nouveaux clandestins qui viennent remplacer dans leurs emplois les travailleurs régularisés qui sont devenus moins rentables (et qui accèdent à un plus vaste champ de prestations sociales ce qui rend le travail moins intéressant pour eux).

L’économie de l’immigration se nourrit donc elle-même. D’autant qu’une multitude de corporations et de clientèles vivent de l’immigration

L’économie de la demande d’asile

Immigration_jetable.jpgEn 2009, 47 000 personnes – record européen – ont demandé (très souvent abusivement) l’asile politique en France. La situation est la suivante : un Africain ou un Turc ou un Tchétchène arrivant, le dimanche, en France, avec sa famille (avec un visa de tourisme), peut déposer une demande du statut de réfugié politique en touchant le territoire français ; dès le lundi, il pourra solliciter un hébergement de la part de la préfecture la plus proche ; et s’il ne l’obtient pas immédiatement, il pourra engager un référé administratif le mardi ; au final, il sera logé dès le jeudi. Derrière ces règles qui coûtent 500 millions d’euros par an aux contribuables français, il y a beaucoup de bénéficiaires : les associations qui touchent les subventions pour l’aide qu’elles apportent aux demandeurs d’asile, les avocats qui trouvent des causes à défendre et les hôtels qui reçoivent des clients solvables…puisque c’est l’État qui paie.

Avocat de l’immigration : un métier profitable

Chaque année, 20 000 avocats supplémentaires sortent des facultés : la judiciarisation de la société et des affaires ne suffit pas à créer un marché suffisant pour les faire vivre ; mais le développement de l’aide judiciaire et les contentieux de masse fournissent des débouchés précieux supplémentaires : à Paris, Versailles, Lille, Lyon et Marseille, près de la moitié du contentieux administratif relève du droit de l’immigration. Un contentieux d’autant plus important qu’il est à la fois administratif et judiciaire. D’autres avocats se sont spécialisés dans les actions « antiracistes ».

Des dizaines de milliers de gens de robe vivent donc de l’immigration et militent pour une complexification croissante des lois au nom bien sur de la défense des droits de l’homme ; défense qui correspond à leurs intérêts bien compris. D’autres professions bénéficient du même effet d’aubaine: ainsi Le Monde notait récemment qu’en matière judicaire :« les pauvres manquaient d’interprètes. » (4)

L’économie associative

Des milliers d’associations maillent le territoire pour faciliter « l’intégration », « lutter contre l’exclusion » ou « combattre le racisme ». La aussi une multitude d’animateurs sociaux, de pédagogues et de sociologues trouvent des débouchés professionnels dans des structures subventionnées ; structures d’autant plus généreuses que plus une action échoue, plus elle a de chances d’obtenir des crédits supplémentaires car loin d’être abandonnées les actions sans résultats obtiennent des rallonges budgétaires.

Il y a là au niveau local comme au niveau national un terreau d’intérêts.

Les médecins et l’immigration : les paradoxes du numerus clausus

A la différence des avocats, la profession de médecins a subi un numerus clausus sévère : les médecins sélectionnés en France ont donc tendance à se concentrer sur les taches les plus intéressantes ou les mieux rémunérés. Un marché parallèle se développe pour les autres taches : urgentistes des hôpitaux venant du Maghreb et d’Afrique noire souvent moins qualifiés et toujours moins payés. Dentistes venant de Roumanie ou d’autres pays de l’est.

Dans le même temps, certains patrons de services hospitaliers vont chercher des patients intéressants à l’étranger. Ils maintiennent ainsi la voilure de leur service. Situation pour le moins paradoxale : la médecine française importe à la fois des malades et des médecins. Il n’est pas sûr que le patient français et l’assuré qui finance la sécurité sociale soit le gagnant de ces étranges pratiques.

Les universités à la recherche d’effectifs

Faute de sélection, les universités françaises attirent de moins en moins les étudiants français qui préfèrent souvent les filières courtes ou les grandes écoles (y compris les plus « petites » qui se sont beaucoup développées). Présidents d’universités et syndicats d’enseignants ont donc cherché de nouveaux débouchés auprès des étudiants chinois ou africains de petit niveau (les meilleurs intégrant les grandes écoles françaises ou les universités anglo-saxonnes). Là encore on voit mal ce que les Français ont à gagner à un tel dispositif qui se borne à nourrir de petits intérêts. D’autant que le statut d’étudiant accordé sans grand contrôle d’assiduité et de sérieux (ce n’est pas l’intérêt des universités qui cherchent à faire du « chiffre ») est l’une des filières du travail clandestin.

Conclusions

L’intégration des immigrés est un échec.

L’immigration pose des problèmes de moins en moins solubles. Et pourtant l’immigration se poursuit imperturbablement. C’est qu’il y a derrière le mouvement migratoire, le puissant moteur d’une économie de grands et petits intérêts. C’est aussi pour cela que « l’antiracisme » est l’idéologie de l’oligarchie dominante (5)

Jean-Yves Le Gallou

Notes :

(1) Immigration : pourquoi le patronat en veut toujours plus

(2) Maurice Allais et les causes du chômage français

(3) Maurice Allais et le coût de l’immigration

(4) « Après un an de stage et trois ans de « collaboration », Maître Virginie W., 32 ans, a vissé sa plaque en 2009, et partage ses locaux avec un confrère à M. . L’aide juridictionelle (AJ) lui assure de 1000 à 2000 euros brut par mois, soit un gros tiers de ses revenus “L’AJ, c’est le fonds de roulement des avocats. Pour les jeunes mais pas seulement… Les anciens, y compris dans les grosses structures, sont de plus en plus nombreux à monter des permanences pour en bénéficier.” Témoigne-t-elle. » (SOURCE : « Les barèmes dérisoires de l’aide jutidictionnelle. », Le Monde du 26/10/2010.)

(5) L’antiracisme : une arme au service de l’oligarchie dominante

samedi, 06 novembre 2010

Les robinets de matières premières se fermeront-ils?

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Michael WIESBERG :

 

Les robinets de matières premières se fermeront-ils ?

 

Bon nombre d’indices nous signalent que la Chine est actuellement sur la bonne voie pour détricoter les règles du jeu qui régissent le processus de globalisation, règles aujourd’hui toujours dominées par les Etats-Unis. Son objectif ? Reprendre à son compte le rôle de chef d’orchestre international pour promouvoir son propre modèle de capitalisme.

 

Les exemples les plus récents dans ce conflit : 1) la querelle concernant le dumping monétaire pratiqué par les Chinois et, plus récemment encore, 2) la politique chinoise de diminuer drastiquement l’exportation de minerais critiques (de terres rares) qui sont d’une importance vitale surtout pour l’industrie occidentale des hautes technologies. En ce domaine, la Chine détient une position dominante sur le marché parce qu’elle extrait 95% de ces minerais critiques (terres rares). La Chine limite depuis environ trois ans ses exportations, ce qui pousse les industries occidentales vers des goulots d’étranglement, comme on le ressent actuellement en Allemagne. D’après le site « Spiegel-Online », certaines firmes allemandes cessent de recevoir les métaux nécessaires pour la production de hautes technologies.

 

En menant cette politique de raréfaction de ses exportations de minerais critiques et de terres rares, la Chine vise manifestement à ce que la production de technologies clefs se fasse sur son territoire, comme le subodore, par exemple, le « New-York Times Online » (NYTO).

 

Constituer une « réserve stratégique »

 

Pour bon nombre d’observateurs, cette thèse du NYTO se révèle caduque et ne reflète que la plainte émise par des entreprises occidentales, d’avoir été discriminées en Chine au profit de firmes nationales chinoises. C’est là un argument assez faible contre l’hypothèse posée par le NYTO. Quoi qu’il en soit : la raison fondamentale qui explique cette polémique vient probablement du fait que la Chine cherche à se constituer une « réserve stratégique » qui lui permettrait de contrôler le marché des minerais critiques et des terres rares, pour lequel la concurrence est âpre et l’enjeu stratégique très important.

 

Les activités déployées par la Chine en Afrique confirment par ailleurs la thèse du NYTO, surtout dans une région ravagée par la guerre comme le Congo, où l’on exploite le manganèse, divers autres minerais, les sels potassiques et le phosphate. Tandis que l’UE aborde le problème congolais en termes de ratiocinations oiseuses et de thématiques « humanitaires », les Chinois, qui n’ont cure de tout cela, se sont depuis assez longtemps déjà assurés de droits d’exploitation. Il n’y a donc aucun doute : la Chine a reconnu le talon d’Achille de l’Occident et ce talon d’Achille, entre autres faiblesses, est le goulot d’étranglement que constitue l’obtention de minerais critiques et de terres rares pour les Etats occidentaux industrialisés. La Chine joue désormais ses atouts en ce domaine, en toute bonne conscience.

 

« Nous sommes menacés par plusieurs goulots d’étranglement »

 

Si les Chinois ne modifient pas leur politique actuelle, les Etats industrialisés de l’Occident, et donc aussi l’Allemagne, se retrouveront dans une situation fort désagréable.  « Nous sommes menacés de dangereux goulots d’étranglement », a expliqué le géologue Peter Buchholz, attaché à l’Institut Fédéral allemand des Sciences géographiques et des Matières premières (« Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe », BGR), sur le site « Spiegel-Online ». La fabrication d’un grand nombre de produits électroniques, dont les ordinateurs et les moniteurs informatiques, les accus, les téléphones portables, certains biens d’équipement civils et militaires, les semi-conducteurs, etc. pourrait s’interrompre, si aucun nouveau fournisseur de minerais critiques  ou de terres rares ne se présente dans des délais prévisibles.

 

Petit à petit, le gouvernement fédéral allemand se rend compte qu’il y a urgence à agir, mais autrement que dans le cadre conventionnel des « missions pour les droits de l’homme et la dignité de chaque personne humaine » qui structure depuis longtemps l’action gouvernementale de la RFA ; c’est ce que l’on peut lire, par exemple, dans un dépliant de Günter Nooke, qui fut jusqu’en mars 2010, le chargé d’affaires de la politique des droits de l’homme et de l’aide humanitaire du gouvernement fédéral allemand.

 

Nous dépendons pour près de 100% de la Chine

 

La Russie est la seule puissance capable de nous aider ; mais, en déployant des activités similaires aux Etats-Unis, en Australie ou en Afrique du Sud, nous pouvons espérer améliorer notre situation. Le plus grand espoir actuel, nous le plaçons dans la région de Kvanefjeld au Groenland, où l’on pourrait, paraît-il, extraire chaque année jusqu’à 100.000 tonnes de minerais critiques et/ou de terres rares. C’est en tous cas ce que nous laissent miroiter les pronostics les plus prometteurs. Cependant, l’extraction proprement dite ne pourrait démarrer au plus tôt qu’en 2015.

 

Mais que se passera-t-il d’ici là ? D’ici à ce que les espoirs placés dans le site groenlandais deviennent réalité ? Jusqu’à la fin de l’année 2011, nous explique Peter Buchholz, l’Allemagne restera à près de 100% dépendante du bon vouloir de la Chine en ce qui concerne les minerais critiques. Tout esprit rationnel peut déplorer que le gouvernement de la RFA ne réagit que maintenant, alors que ce processus de dépendance est à l’œuvre depuis assez longtemps. Evidemment, les « missions pour la dignité de chaque personne humaine » avait pris quasiment 100%  du temps de nos excellences politiciennes.

 

Michael WIESBERG.

(article tiré du site http://www.jungefreiheit.de/ - 25 octobre 2010).   

jeudi, 04 novembre 2010

T. Sunic: "Serbes et Croates face à un danger biologique bien plus grave que leur récent conflit"

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Tomislav SUNIC :

« Serbes et Croates face à un danger biologique bien plus grave que leur récent conflit »



RIVAROL : Tomislav Sunic, né en 1953 à Zagreb, vous avez de 1989 à 1993 professé dans différentes universités américaines où vous enseigniez la philosophie politique et la politique des pays communistes avant de rejoindre le ministère des Affaires Étrangères croate sous la présidence de Franjo Tudjman. Polyglotte, vous avez publié de nombreux articles textes (que l’on peut trouver sur les sites internet www.tomsunic.info; doctorsunic.netfirms.com) en croate, anglais, allemand et français, dans notre revue Ecrits de Paris notamment, et vous connaissez assez bien la scène politique française pour citer des auteurs bien connus de nos lecteurs tels Pierre Vial, Hervé Ryssen ou Robert Faurisson. Vous publiez aujourd’hui La Croatie : un pays par défaut ? (1), dont le seul titre doit être une provocation pour les nationalistes croates qui font volontiers remonter leur État au Xème siècle. Voulez-vous nous dire que ce que vous entendez par identité « par défaut » ou « par procuration » et nous dire aussi comment l’ouvrage a-t-il été reçu dans votre pays natal ?

T. Sunic : On a beau, une fois la première extase nationale terminée, faire l’éloge du décisionnisme en politique, il n’en reste pas moins que toute décision politique, a priori valable, sera fatalement modifiée par des circonstances ultérieures. Et peut-être n’aboutit-on pas au pays des merveilles mais à la désillusion ou même à la catastrophe nationale. La Croatie actuelle est un pays par défaut dans la mesure où avant 1990, très peu de Croates croyaient en la possibilité d’un Etat indépendant. D’ailleurs, du point de vue du droit international, l’indépendance n’était nullement envisageable, et ne paraissait pas possible. D’ailleurs, l’Occident fut pendant 45 ans opposé à toute forme de sécessionnisme croate et il rechignait à toute idée de dissolution de la Yougoslavie – pour des raisons géopolitiques qui remontent à Versailles et Potsdam. Même le père fondateur de la nouvelle Croatie, l’ex-président, ex-communiste, ex-titiste, ex-historien révisionniste devenu anticommuniste, Franjo Tudjman n’envisageait pas en1990 la création d’un pays indépendant. Ce furent la Serbie et l’armée yougoslave qui propulsèrent la Croatie sur la mappemonde. Compte tenu de l’éparpillement des Serbes dans les Balkans, de leur peur légitime face à la confédéralisation de la Yougoslavie et à la poussée démographique des Albanais du Kosovo, le nationalisme jacobin des Serbes n’a pas tardé à déclencher une envolée du nationalisme croate – ce qui a entraîné, par suite et par défaut, la naissance de la nouvelle Croatie. À ce sujet, il faut renvoyer vos lecteurs à l’important petit livre du philosophe Alain de Benoist, Nous et les Autres, où il dissèque la nature suicidaire des petits nationalismes européens. Quoique considérée comme une blague, il est une triste vérité qui circule encore à Zagreb : « On devrait ériger un monument à Milosevic parce qu’il a aidé à fonder la nouvelle Croatie. » Peut-on être un « bon » nationaliste croate sans être antiserbe ? Malheureusement, à l’heure actuelle, je crois que non.

R. : Point donnant justement matière à polémique : votre relative compréhension pour les « méchants Serbes » dont vous soulignez la parenté morphologique et linguistique (que récusent beaucoup de vos compatriotes) avec les Croates. Estimez-vous également ces “monstres”, les guillemets sont de vous, victimes des terribles turbulences de la Yougoslavie post-titiste, pire bain de sang qu’ait connu l’Europe depuis la Seconde Guerre mondiale ?

T.S. : Contrairement a ce qu’on nous dit, plus les peuples se ressemblent plus ils se jalousent et détestent. Quoique grand adepte de la sociobiologie, je pense qu’il y a encore du travail à faire en matière d’étiologie des guerres civiles. Nous avons assisté à une boucherie intra-blanche lors de la guerre civile européenne de 1914 à 1945. Certes le monothéisme judéo-chrétien, avec ses retombées séculaires, a été le moteur principal du carnage entre les peuples blancs. Mais en dehors de nos incompatibles mythes nationaux, il nous reste à déchiffrer pourquoi les guerres intra-européennes sont si meurtrières. Chez les Croates et les Serbes, la dispute à propos de leur différence frise le grotesque. Dans l’optique de ces deux peuples, chacun apparaît comme le travesti de l’Un par rapport à l’Autre. Les Serbes et les Croates n’ont certes pas besoin d’interprète pour se comprendre. De surcroît, on aurait du mal à distinguer un phénotype croate qui serait différent de celui des Serbes. Certes, il y a des Croates de grande culture qui vont vous faire des exégèses sur les haplo-types croates ou bien vous parler savamment de la différence entre les vocables croates et serbes. N’empêche que les Serbes et les Croates sont deux vieux peuples européens qui vont bientôt faire face à un danger biologique autrement plus grave que leur récent conflit.



Tito, Bien plus criminel que Mladic et Karadjic

R. : Dans votre livre, vous insistez sur l’ethnocentrisme des différentes composantes ex-yougoslaves qui se sont obnubilées sur les épreuves subies en occultant par exemple le martyre concomitant des « Volksdeutsche » du Banat ou de Voïvodine et vous insistez sur une double responsabilité : celle des communistes et celle des « dictatures thalassocratiques », monde anglo-saxon et Israël, qui ont également falsifié l’histoire pour leur profit personnel. Pouvez-vous préciser ?

T.S. Votre question renvoie à la farce judicaire actuelle du Tribunal Pénal International de La Haye, où les prétendus criminels de guerre serbes et croates sont jugés. Or les récents crimes de guerre ont des antécédents bien plus graves. Les accusés serbes Ratko Mladic et Radovan Karadzic ne sont que de petits disciples du grand criminel communiste Josip Broz Tito dont les crimes en 1945 ne furent jamais ni jugés ni condamnés. On ignore en France qu’un demi-million d’Allemands de souche subirent, de 1945 à 1950, une gigantesque épuration ethnique en Yougoslavie titiste. Karadzic, Mladic et j’en passe, ont tout bonnement appliqué les principes qui furent en vigueur chez les titistes et leurs Alliés occidentaux.



Une démonisation organisée

Je trouve particulièrement grossier que les agences de voyage croates et françaises, ou bien la télévision française, montrent de la Croatie de belles images sous-titrées « un petit pays pour de grandes vacances ». En réalité et bien que la Croatie soit certes un beau coin d’Europe, c’est un pays ou chaque pierre respire la mort ; la Croatie est le plus grand cimetière de toute l’Europe. Le massacre de plusieurs centaines de milliers de soldats et de civils croates – ce que l’on appelle « Bleiburg », [NDLR. Voir l’article de Christopher Dolbeau dans la livraison de mai 2010 d’Ecrits de Paris] d’après le nom d’un petit village d’Autriche du sud – a profondément traumatisé le peuple croate. Pire, le fonds génétique croate a été totalement épuisé – au point qu’on ne peut pas comprendre les événements de 1991 à nos jours, sans se pencher au préalable sur la toponymie des champs de la mort communistes. D’ailleurs, l’ancien chéri occidental, le très libéral Eduard Benes, n’a-t-il pas indiqué le bon chemin aux futurs épurateurs balkaniques en expulsant 3,2 millions d’Allemands des Sudètes en1945, en vertu de décrets qui sont toujours en vigueur en Tchéquie ? Ceux qui portent la responsabilité de la récente guerre des Balkans ne sont ni le peuple serbe ni le peuple croate mais leurs communistes respectifs, secondés par les milieux libéraux occidentaux et par une certaine Gauche divine. Tour à tour, ceux-là ont tous démonisé les Serbes et les Croates - tout en occultant leur propre passé génocidaire durant et après la Deuxième Guerre mondiale.

La cause immédiate de la guerre meurtrière entre les Serbes et les Croates est à chercher dans les livres et les propos de feu Tudjman juste avant l’éclatement de la Yougoslavie. Il avait, en effet, osé toucher aux récits communistes et à la victimologie serbe en faisant chuter le chiffre magique et officiel de Serbes tués pendant la Deuxième Guerre mondiale par les Oustachis croates de 600.000 à 60.000, voire 6.000 ! Ces propos révisionnistes ont par suite causé une panique chez les paysans serbes de Croatie avec les conséquences que l’on connait.



Le multiracialisme, facteur de haine interraciale

R. : Vous insistez également sur l’homogénéité raciale, exceptionnelle en Europe et à laquelle vous êtes très attaché, des anciens pays de l’Est et notamment de la Croatie. Pensez-vous que cette homogénéité soit menacée par la volonté d’adhésion de votre pays à tous les rouages de la « communauté internationale », dans la mesure où l’identité historique de la Croatie est fragile ?

T.S. Aujourd’hui, le terme de race est mal vu en Occident – sauf quand on parle d’émeutes raciales bien réelles, comme celles qui ont récemment eu lieu à Grenoble ou à Los Angeles. Certes j’utilise le terme race dans un sens évolien, en me référant à « la race d’esprit », tout en sachant parfaitement bien à quelle race appartenaient les femmes sculptées par Phidias ou celles que peignait Courbet. Grace à la poigne communiste, la Croatie, comme d’ailleurs tous les pays d’Europe de l’Est, est aujourd’hui plus européenne que la France ou l’Allemagne. Le multiracialisme, qui se cache derrière l’hypocrite euphémisme du « multiculturalisme », mène à la guerre civile et à la haine interraciale. Les Serbes et les Croates, toujours immergés dans leurs victimologies conflictuelles, ignorent toujours que l’Europe occidentale a franchi depuis belle lurette le cap du Camp de Saints et que nous, les Européens, nous sommes tous menacés par une mort raciale et culturelle.



L’UE, calque hyperréelle de l’URSS

R. : Pour l’ancien dissident soviétique Boukovski, l’Union Européenne est de nature aussi totalitaire que l’était la défunte URSS et aussi funeste par son acharnement à ligoter les peuples dans le même carcan administratif, économique et surtout idéologique afin de leur ôter toute spécificité et d’en faire un troupeau soumis. Partagez-vous cette analyse ?

T.S. L’Union Européenne, c’est le calque hyperréel de l’ancien réel soviétique – si je peux emprunter quelques mots à Jean Baudrillard. Tous ces jeux de mots exotiques tels que « multiculturalisme », « communautarisme », « diversité », qui ont abouti à une sanglante débâcle en ex-Yougoslavie sont à nouveau à la mode à Bruxelles. Charles Quint ou le Savoyard Prince Eugène avaient de l’Europe unie une vision plus réelle que tous les bureaucrates incultes de Bruxelles. En observant de près la laideur des visages de cette caste infra-européenne, ses tics langagiers, sa langue de bois exprimée en mauvais français ou en « broken English », je pense à l’ancien homo sovieticus et à son Double postmoderne.

R. : Est-ce pour cela que vous êtes si sévère pour l’Establishment politique croate actuel que vous décrivez comme un ramassis d’ex-apparatchiks communistes opportunistes et corrompus ?

T.S. Bien entendu. Ce sont, sans aucune exception, d’anciens apparatchiks yougo-communistes et leur progéniture qui se sont recyclés en en clin d’œil en braves apôtres de l’occidentalisme et du capitalisme. À l’époque titiste, ils faisaient le pèlerinage obligatoire de Belgrade en passant par Moscou et La Havane. Aujourd’hui, à l’instar des anciens soixante-huitards français, ils se rendent pieusement à Washington, à Bruxelles - et bien entendu à Tel Aviv, ne serait-ce que pour obtenir un certificat de « politiquement correct ».

R. : Pendant le match pour la troisième place de la Coupe du monde 1998, j’avais été surprise d’entendre des consommateurs serbes injurier les Croates (qui avaient finalement gagné), parce qu’ils… ne marquaient pas assez de buts contre les Pays-Bas ! Et en juillet dernier, la correspondante de Libération à Belgrade évoquait le resserrement des liens culturels et surtout économiques entre la Serbie, la Croatie et la Slovénie. Ce resserrement est-il avéré ? Et, si oui, traduit-il un certain désenchantement envers l’Oncle Sam et la Grande Sœur Europe dont les pays de l’Est attendaient tant ?

T.S. Au vu du recrutement des footballeurs français dans le djebel maghrébin ou dans le Sahel sénégalais, il ne faut pas s’étonner que les sportifs serbes et croates représentent mieux une vraie européanité. Qu’on le veuille ou non, force est de constater que c’est le sport aujourd’hui qui reste le seul domaine où on peut librement exprimer son identité raciale et sa conscience nationale. Quant à l’américanolâtrie et l’américanosphère, qui véhiculent un certain complexe d’infériorité chez tous les Européens de l’Est y compris les Croates – ce mimétisme va rester fort tant que la France et l’Allemagne ne se réveilleront pas pour constituer un bloc commun et faire bouger l’Europe.

R. : Quel avenir espérez-vous raisonnablement pour la Croatie et ses voisines ?

T.S. Le même que pour la France, la Serbie, l’Allemagne et n’importe quel autre peuple européen : rejet total du capitalisme, rejet total du multiculturalisme, et prise de conscience de nos racines culturelles et biologiques européennes !

(1) La Croatie : un pays par défaut ? 256 pages avec préface de Jure Vujic, 26,00€. Collection Heartland, éd. Avatar, BP 43, F-91151 Étampes cedex ou < www.avataredtions.com >.

mardi, 02 novembre 2010

Europees burgerinitiatief over toetreding Turkije?

EuropeetTurquie.jpg

Europees burgerinitiatief over toetreding Turkije?

JA

Verschillende extreemrechtse Europese partijen, waaronder Vlaams Belang,
willen een Europees referendum houden over de toetreding van Turkije tot
de EU. Volgens Derk Jan Eppink, EU-parlementslid voor Lijst Dedecker, kan
dat nu niet. Maar is het uiteindelijk wel wenselijk.

Alle lidstaten moeten de toetreding van Turkije sowieso ratificeren voor die
van kracht wordt. Ze kunnen daartoe elk apart een referendum organiseren.
Waarom is dan een burgerinitiatief op Europees niveau nodig?

Of de EU 'ja' of 'nee' zegt tegen Turkije, is nog niet aan de orde. De
onderhandelingen over de Turkse toetreding zijn nog volop bezig en kunnen
nog mislukken. Maar áls er ooit een toetredingsverdrag op tafel ligt, moet
zowel Turkije als de Europese bevolking zich daarover kunnen uitspreken. Dat
alle lidstaten dat apart doen, volstaat niet. Slechts één land zou de
toetreding dan kunnen blokkeren - Bulgarije of Cyprus, bijvoorbeeld. Omdat
de Turkse toetreding een immense verandering zou betekenen voor de EU, moet
de hele bevolking van de EU zich daarover kunnen uitspreken. One man, one
vote . Dit is een zeer pro-Europees voorstel.

Maar kán een burgerinitiatief überhaupt wel tot een referendum leiden?

Voor een goed begrip: ik denk het niet. Het Europees burgerinitiatief is
niet echt een referendum, maar een vorm van petitierecht. Doordat de
initiatiefnemers een groot aantal handtekeningen moeten verzamelen - 1
miljoen - is het verleidelijk dat voor te stellen als een plebisciet, maar
technisch gezien is het dat niet.

Het doel van het burgerinitiatief is wel dat de bevolking een signaal kan
geven aan Brussel. Als de EU de notie van directe en rechtstreekse inspraak
serieus neemt, moet het ooit mogelijk zijn om de Europese bevolking te
raadplegen over de toetreding van Turkije. Anders houdt men de burger voor
de gek.

De modaliteiten voor het burgerinitiatief liggen nog niet vast, maar een van
de belangrijkste vereisten is dat het voorwerp tot de bevoegdheden van de EU
behoort. Omdat het hier over de toetreding van Turkije gaat, is daar alvast
wél aan voldaan.

NEE

Volgens Bart Staes, EU-parlementslid voor Groen!, kan een referendum over de
Turkse toetreding evenmin. Over dit thema is het bovendien niet wenselijk,
zegt hij. 'Ik vrees dat de bedoelingen van de initiatiefnemers niet eerbaar
zijn.'

Waarom vindt u een referendum over de toetreding van Turkije niet wenselijk?

Dit is niet het moment. Voor de start van de toetredingsonderhandelingen of
aan het eind van dat proces, dat zijn de enige momenten waarop een
referendum aan de orde zou kunnen zijn.

Over dit thema een volksraadpleging houden, is evenwel geen goed idee. Het
debat zou, zeker door het nee-kamp, niet worden gevoerd op basis van
rationele overwegingen, maar inspelen op de angst voor de islam.

Voor de goede orde: vind ik dat Turkije vandaag moet toetreden tot de EU?
Nee. Daartoe moet het niet alleen een democratische rechtsstaat zijn en de
vrijheid van meningsuiting en minderheidsrechten respecteren, maar ook alle
EU-wetgeving hebben omgezet en toepassen. Of dat alles ooit lukt, weten we
vandaag niet.

Groen! is voorstander van het burgerinitiatief. Vormt dit thema een
uitzondering op uw principe?

Ik vrees dat de bedoelingen van de initiatiefnemers niet eerbaar zijn. Het
is hen niet te doen om een eerlijke afweging over de vraag of Turkije
voldoet aan alle criteria. Zij sturen aan op stemmingmakerij.

De modaliteiten voor het burgerinitiatief liggen nog niet allemaal vast. Wel
zeker is dat er minstens één miljoen handtekeningen nodig zijn uit - allicht
- negen lidstaten. Zullen de initiatiefnemers dat halen, denkt u?

Het Europees Parlement en de Raad onderhandelen nog over de finale wet. Maar
voor alle duidelijkheid: volgens mij kun je via een EU-burgerinitiatief,
zoals bedoeld in het Verdrag van Lissabon, geen referendum afdwingen. Het
burgerinitiatief is bedoeld om rond een welbepaald thema wetgeving te maken.
Als één miljoen burgers daarom vragen, moet de Europese Commissie daar
gevolg aan geven. Ze moet er iets mee doen. Maar een EU-referendum afdwingen
over de toetreding van Turkije, dat kán vandaag niet.

Als dat ooit wel mogelijk is, wil ik het overwegen.

© 2010 Roularta Media Group
 
Publicatie:  Knack / Knack 
Publicatiedatum:  27 oktober 2010
Auteur:  Jan Jagers; 
Pagina:  20
Aantal woorden:  1256


lundi, 01 novembre 2010

Lettree au Président de la Commission Européenne

M. I. N. E. R. V. E
7, Rempart St. Thiébault –F 57000 METZ

Mouvement pour l' Impérium, la Nature, l'Ethique, les Régions et pour la Vitalité de l'Europe.

Objectif:
Institutionnalisation de l'indépendance, de la communauté, de la puissance, de l'identité, de la justice, de la générosité, de l'éthique et de la spiritualité dans une Europe unie.

15 octobre 2010 (original italien – traduction)

Lettre au Président de la Commission Européenne


(Copie aux Présidents du Parlement européen, du Conseil européen, du Comité économique et social européen, du Comité européen des Régions).


Monsieur le Président,

Notre association politico-culturelle MINERVE, qui se consacre principalement à la promotion de l’intégration européenne, se permet de s’adresser à l’Union européenne en tant qu’institution supranationale politico-diplomatique et à ses divers organes pour leur suggérer une action concertée effective dans les domaines suivants partant de deux priorités fondamentales :

◊ I. Survie, gravement menacée à relativement court terme, de toutes les espèces animales et donc de l’homme sur notre planète.

◊ II. Attaques ethniques et monétaires actuellement en cours contre l’Europe .

Concernant I

Urgence d’une initiative commune de politique environnementale conçue comme suit :

◊ A. Viser à imposer, au niveau mondial, des objectifs chiffrés (cf. Protocole de Kyoto) assortis d’engagements dont le non-respect engagerait des sanctions.

◊ B. Si aucun accord concret et précis n’est atteint au niveau mondial avant une date limite prochaine, l’Union européenne doit décider d’agir seule, en renforçant, pour ce qui la concerne, les objectifs qu’elle s’est déjà fixés de manière à compenser le manque de volonté effective de certains Etats refusant des objectifs chiffrés précis et des obligations impératives, et s’organiser en vue de vivre en autarcie (avec des accords bilatéraux spécifiques avec certains Etats quand des ressources lui appartenant en propre ne sont pas disponibles dans le cadre de la zone géopolitique de l’UE) en appliquant des sanctions économiques politiques et diplomatiques aux Etats récalcitrants. Il n’est plus possible de perdre du temps : il s’impose de fixer une date limite après laquelle des sanctions draconiennes seront appliquées ! C’est le prix de la survie pour tous !

Concernant II

Nous assistons aujourd’hui à des attaques « ethniques » et monétaires contre l’Europe, cela surtout depuis que l’Union européenne est devenue, par le Traité de Lisbonne, une superpuissance non plus seulement économique et commerciale, mais aussi politique et diplomatique. Ces attaques sont un fait documenté. Elles sont voulues essentiellement par certains milieux de la haute finance internationale spéculative et frappent, certes, principalement l’UE et ses Etats-membres, mais aussi d’autres Etats et zones géopolitiques, risquant de provoquer un effondrement complet de l’économie mondiale et la dissolution de toute forme de société organisée ainsi que la fin de nos peuples-nations (et donc de la civilisation européenne dans son ensemble), pour le profit exclusif de ces milieux et leur domination absolue sur une masse malléable et exploitable sans aucune limite parce qu’elle aura perdu toute dignité et capacité de résistance liée à l’identité propre des différents peuples-nations du monde.


Façons pour l’UE et ses Etats-membres, de s’opposer à ces attaques :
Politiques cencertées dans les domaines suivants :

◊ 1. Domaine de la politique économique :
- Economie sociale de marché
- Protection de nos propres entreprises et de nos propres travailleurs
- Planification économique en vue d’une politique « verde »
- Croissance évaluée en fonction d’une révision du calcul du PIL
- Politique économique commune (concurrence loyale entre les entreprises et non entre les Etats-membres)
- Politique commerciale fondée sur la préférence communautaire
- Conception de la politique monétaire fondée sur la notion de la monnaie en tant qu’instrument et non de but.

◊ 2. Domaine de la politique sociale (liée à la politique économique)
- Respect scrupuleux des directives sociales communautaires
- Aucun démantèlement des politiques sociales, mais harmonisation de celles-ci vers le haut et non vers les moins exigeantes.
- Répartition équitable des profits (1/3 destiné aux investissements internes, 1/3 destiné au personnel sous forme de participation, 1/3 destiné aux actionnaires )

◊ 3. Domaine de la politique ethnique (déjà pratiquée dans certains Etats-membres) dans le respect des règles de non discrimination selon l’origine et le sexe (cf. Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne ).

◊ A.
Préservation des identités ethniques et culturelles des populations européennes d’origine, plurilinguisme sur la base des langues officielles des Etats-membres de l’UE, mais reconnaissance comme langues officielles uniquement pour des langues européennes, à l’exclusion des langues extra communautaires pratiquées par des immigrés non européens (Arabe, Chinois, etc.. ).

◊ B.
Intégration des résidents extracommunautaires selon des règles précises : respect absolu par ces résidents, des législations européennes, adoption du mode de vie et des comportements du pays européen de résidence.

◊ C.
Citoyenneté (européenne et des divers Etats-membres) : règles communes pour la naturalisation, qui doit être accordée uniquement en fonction d’obligations précises non liées uniquement à la durée du séjour, mais aux engagements auxquels le candidat à la naturalisation doit souscrire, la naturalisation pouvant être révoquée en cas de non respect de ces engagements.

Pour tous les citoyens (aussi bien par la naissance que par nationalisation), possibilité, pour les Ministères de l’Intérieur, de déchoir une personne de la citoyenneté si cette personne possède, en plus de la nationalité de l’Etat-membre considéré, une autre nationalité, où au cas où il ne possèderait pas une autre nationalité, de la déclarer « incivique » (perte du droit de participer à la vie démocratique ) .

◊ D.
Immigration.
Principe de base : l’Europe n’est pas un Continent d’immigration, étant, dans son ensemble, déjà surpeuplée.
◊ a) Immigration économique : uniquement sur la base de contrats temporaires ou exceptionnellement définitifs conclu dans le pays d’origine selon des conditions bien précises, à l’exclusion de tout contrat conclu durant un séjour touristique ou illégal de l’intéressé.

◊ b) Immigration de réfugiés politiques, religieux ou victimes d’autres types de persécution dans le pays d’origine pour autant que cette persécution implique des risques de mort ou de traitements dégradants et que ces risques soient certains.
Deux possibilités :
- personnes qui se réfugient dans une ambassade ou un consulat d’un quelconque pays de l’Union européenne.

- personnes qui se présentent à la frontière d’un Etat-membre de l’UE et sollicitent le statut de réfugiés.

Dans les deux cas, un séjour obligatoire dans un centre fermé, dans l’attente de l’examen de leur cas. Si la personne sollicite l’asile pour l’un des motifs précités, cet asile doit lui être immédiatement accordé après vérification de ses assertions ou d’emblée en cas d’urgence, mais dans ces derniers cas, séjour obligatoire en centre fermé (éventuellement pour quelques jours seulement) dans l’attente de l’admission, décidée par l’autorité compétente, à la résidence dans le pays de l’UE le plus approprié (l’intéressé pouvant exprimer une préférence pour des raisons linguistiques ou personnelles). Le réfugié reconnu comme tel doit jouir, dans le pays d’accueil auquel il est attribué, de tous les droits à l’assistance sociale du pays et du droit à occuper un emploi dans les mêmes conditions que les citoyens de l’UE, pour toute la durée de l’asile. Celui-ci ne prend fin que si les conditions qui ont déterminé la demande d’asile changent substantiellement dans le pays d’origine. Néanmoins le réfugié a l’obligation de s’engager :
- à respecter strictement les lois européennes et du pays d’accueil
- à n’exercer aucune activité politique pouvant porter préjudice aux relations entre l’UE ou l’un des Etats-membres de l’UE avec son pays d’origine ;
- à se conformer au mode de vie du pays d’accueil (cela en tant qu’hôte de ce pays).

◊ E.
Protection des minorités
La politique ethnique de l’UE et de ses Etats-membres doit en outre tenir compte de la protection des minorités d’origine (et non immigrées !) vivant dans les Etats-membres et respecter leurs langues et leurs traditions ethno-culturelles. Cela signifie avant tout que certains Etats-membres doivent renoncer à leurs politiques actuelles d’assimilation forcée des populations d’origine de certaines régions, principalement de régions frontières. En ce qui concerne les mesures récemment adoptées par le Gouvernement français et annoncées par le gouvernement italien, visant à expulser des Roms citoyens d’Etats-membres de l’Union européenne, nous sommes d’avis que ces Roms ne constituent pas une minorité ethnique, mais un groupe de personnes ayant adopté un mode de vie fondé sur le nomadisme et l’asocialité, ce qui est le véritable motif de l’hostilité manifestée à leur égard par la population au milieu de laquelle ils s’installent et qui est sédentarisée et socialisée, de même que l’explication de soi-disantes « persécutions » de la part des autorités de certaines régions et même aujourd’hui encore de la part de divers Etats de l’UE, « persécutions » qui ne sont pas dues à des motivations « ethniques », mais au refus des groupes de personnes en question de se conformer à certaines obligations valables pour tous les citoyens. Il est évident que tous les Etats-membres de l’UE sont tenus au respect du droit de tout citoyen de l’Union européenne de se déplacer et de s’établir librement sur tout le territoire de l’Union, mais il est tout aussi évident que ces Etats ont le droit de faire respecter, par des mesures appropriées, leurs propres lois civiles par tous les résidents et en premier lieu par leurs propres citoyens de l’UE, cela également en recourant à des dispositions radicales.

◊ F.
Dans un autre contexte il est par ailleurs évident que l’Europe doit absolument s’opposer à un autre aspect de l’offensive « ethnique » et monétaire à laquelle elle doit faire face d’urgence. Il s’agit du risque d’une islamisation rampante de l’Europe. Sans mettre en question le principe de liberté religieuse, il ne peut échapper à personne que l’Islam, surtout sous ses formes radicales, mais également sous ses formes « modérées », met en question les valeurs mêmes de notre civilisation européenne et en premier lieu celles, fondamentales, de la liberté individuelle et de l’égalité des sexes, au nom d’une loi « divine » fondée sur des principes souvent barbares et cruels que nous ne saurions admettre, ni même tolérer dans nos pays. A cet égard, la Charte des droits fondamentaux de l’UE est très claire. Il s’agit d’un problème que nous nous devons de poser de la manière la plus absolue, cela d’autant plus qu’il donne déjà lieu, dans nos populations, à des affrontements violents.


◊ 4 . Domaine de la politique monétaire.

Les attaques dont l’Europe fait l’objet dans le domaine de la politique monétaire (laquelle détermine largement toutes les autres politiques de tout Etat) dans le cadre du Système monétaire international où dans la pratique la valeur des différentes monnaies, y compris, la monnaie guide, c’est-à-dire le Dollar USA , dépend des vicissitudes boursières, visant à leur affaiblissement, et à leur dépréciation généralisée à des fins spéculatives . L’effet inévitable en est, pour tous les Etats, de se trouver en difficulté pour le financement de leurs politiques. En ce qui concerne l’Europe, cette situation est considérablement aggravée par le fait que les USA manœuvrent, pour faire face aux conséquences extrêmement graves de la récession économique qu’ils subissent et aux dépenses militaires astronomiques qui résultent des guerres en Irak et en Afghanistan, etc.., de manière à faire payer une part considérable de leur déficit généralisé des finances publiques par l’Europe. Or celle-ci doit elle aussi faire face aux conséquences d’une récession mondiale. L’Union européenne essaie, certes, par le biais de mesures coordonnées, de financer ses propres objectifs sans augmenter de manière excessive son propre déficit public et celui de ses différents Etats-membres, cela surtout à la suite des manœuvres spéculatives dont plus particulièrement la Grèce a été victime. Dans ce contexte un effondrement spectaculaire des monnaies européennes, plus spécialement de l’Euro, qui du fait de son renforcement par rapport au Dollar USA pourrait éventuellement prendre sa place dans le futur en tant que monnaie-guide mondiale, serait l’équivalent d’un désastre.

Heureusement, ce désastre a été évité grâce à la cohésion dont l’UE a fait preuve. Sans cette cohésion, l’existence même de l’Union européenne, devenue grâce au Traité de Lisbonne la troisième superpuissance politique et diplomatique du monde, risquait d’être mise en discussion et en péril (tentation de la Grèce et peut-être aussi d’autres pays de la zone Euro de se retirer de cette zone et de revenir à leur monnaie antérieure à l’euro pour être plus libres en matière d’émission de signes monétaires, ce qui ne résoudrait pas leurs problèmes, mais les aggraverait d’une façon effrayante par une inflation irrémédiable) .

Le « remède » adopté par la Grèce et par certains autres pays , à savoir une politique déflationniste draconienne, ne peut représenter une solution ni pour chaque Etat-membre considéré individuellement, ni pour l’Union européenne en tant qu’entité. Il s’agit d’un remède qui dans les années trente du siècle dernier fut appliquée dans le Reich allemand par le Chancelier Brünnig. Il eut des conséquences si graves dans le domaine économique et surtout dans le domaine social qu’il provoqua l’effondrement politique de la République de Weimar et l’accession au pouvoir du parti national-socialiste, et le recours par le nouveau régime, à une politique monétaire totalement différente, non orthodoxe, pratiquée par le Ministre de l’économie et des finances Hjalmar Schacht, un spécialiste sans parti, avec un succès évident qui n’a pas peu contribué à la popularité du nouveau Chancelier et ensuite « Führer » après le décès du Président Hindenburg.

Selon MINERVE, les conséquences d’une politique déflationniste du type de celle mise en œuvre par le Gouvernement grec et qui représente peut-être une tentation pour d’autres Etats-membres de l’UE, serait politiquement désastreuse dans un moment où se manifeste de façon croissante une désaffection des populations de l’Union européenne pour la politique, avec certaines tendances à l’hostilité envers l’Union européenne, hostilité favorisée par une désinformation généralisée due dans une large mesure à une propagande souvent insidieuse, d’origine extra-communautaire. Par ailleurs une politique déflationniste du type grec ou de quelque autre type que ce soit, même un peu moins radical, serait absolument inacceptable pour les forces économico-sociales vitales organisées au niveau de chacun des Etats-membres de l’UE et au niveau européen (Confédérations professionnelles, industrielles, syndicales) qui manifestent déjà leur opposition, parfois radicale et draconienne à une telle politique.

Les objectifs, par ailleurs approuvés par les différents Etats-membres de l’UE au niveau du Conseil européen et du Conseil des Ministres européens (économie sociale de marché et politique économique « verte ») sont de nature à contribuer largement à une reprise économique substantielle relativement prochaine et au retour à la prospérité générale. Dans l’immédiat des incitations étatiques et des dispositions sociales effectives (et non illusoires !) peuvent induire une relance vigoureuse de l’activité économique, relance qui est urgente dans l’actuelle situation de récession (exemples à suivre : France et Allemagne).

En ce qui concerne le futur, l’économie « verde », qui implique des choix audacieux de politique industrielle et de production de toutes natures, de même qu’une réorientation appropriée de la consommation, aboutira au développement de technologies nouvelles, d’industries innovatrices et à la création de nombreuses entreprises de types nouveaux et de nombreux emplois, avec pour conséquence un retour au plein emploi et même une amélioration substantielle de la vie et en particulier des conditions de travail. Mais pour atteindre ces objectifs, il est évident que des investissements à grande échelle sont indispensables. Leur financement n’est pas possible si l’UE et ses Etats-membres ne se procurent par les ressources nécessaires et persistent à donner la priorité à une réduction des dépenses publiques considérée comme moyen pour parvenir à l’équilibre considéré comme un dogme tout au moins dans la logique monétariste qui a prévalu sur la logique keynésienne. Les Gouvernements et les hommes politiques tant des majorités gouvernementales que des oppositions, devraient en premier lieu renoncer à des promesses démagogiques : la réduction des impôts n’est pas possible sans conséquences économiques et sociales négatives ; en revanche l’Etat doit pouvoir disposer de ressources pour le maintien des conditions de vie des populations et leur amélioration. Il est évident que s’agissant de se procurer les ressources nécessaires et éventuellement les augmenter, le poids de la fiscalité être réparti de manière équitable entre toutes les catégories sociales de la population (actuellement cette répartition est très injuste dans divers Etats-membres de l’UE.

Une réforme fiscale est indispensable dans certains Etats-membres, mais étant donné les objectifs communs de l’UE, il serait préférable de procéder à une réforme fiscale généralisée au niveau européen, en partant du principe-base d’une harmonisation fiscale, que le Luxembourg a toujours défendue, mais à laquelle d’autres Etats-membres se sont malheureusement déclarés hostiles.

En ce qui concerne le problème du Système monétaire international, l’Union européenne devrait selon MINERVE, prendre l’initiative en sa qualité de plus grande puissance économique et commerciale du Monde, et proposer le remplacement de ce Système par un système nouveau comportant un retour à la convertibilité en or, si possible de toutes les monnaies, mais tout au moins d’une monnaie-guide qui dans les circonstances actuelles ne doit plus nécessairement être le Dollar USA, étant donné que le principe qui avait prévalu à Bretton Woods, d’une division du monde entre vainqueurs et vaincus de la Seconde guerre mondiale, est aujourd’hui dépassé. Le Système proposé par la Chine, fondé sur un paquet de monnaies, pourrait être valable, mais toujours avec une référence à l’or, d’une manière ou d’une autre.

En effet selon MINERVE, la faillite du Système de Bretton Woods et toutes les spéculations, contraires à l’intérêt véritable de tous les Etats du Monde, qui en résultent ont pour cause l’instabilité due à l’absence d’une référence des monnaies à une valeur matérielle effective, laquelle a toujours été l’or depuis l’invention de la monnaie !

Veuillez agréer, Monsieur le Président …….


Dea BUCCILLI, Membre du Bureau de Minerve – responsable MINERVE pour l’Italie.

André WOLFF, Fonctionnaire européen (Chef de Division linguistique – Comité économique et social européen, e. r. – Président d’honneur de MINERVE.

dimanche, 31 octobre 2010

L'UE doit raffermir ses relations avec les pays d'Asie

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L’UE doit raffermir ses relations avec les pays d’Asie

L’Asie est une région clef dans le monde qui peut permettre l’émancipation européenne !

Lors du sommet UE/Asie, il n’aurait pas fallu faire silence sur le problème des importations à bon marché en provenance d’Asie !

La rencontre entre pays asiatiques et pays de l’UE (ASEM), qui s’est terminée le 5 octobre à Bruxelles, aurait dû être mise à profit pour constituer des partenariats stratégiques, a affirmé le député européen de la FPÖ autrichienne, Andreas Mölzer. « L’Asie, et surtout la Chine, est une région du monde qui connaît une ascension économique remarquable et dont le poids géopolitique ne cesse de croître. Pour cette raison, il est indispensable d’avoir de bonnes relations, les plus étroites possibles, avec cette Asie en marche, surtout si l’UE cherche à s’émanciper de la tutelle américaine ». , explique Mölzer, membre de la Commission « affaires étrangères » du Parlement Européen.

Mölzer a également souligné que l’UE devait se présenter à ses éventuels partenaires asiatiques en étant pleinement consciente d’elle-même : « Au lieu de bidouiller des déclarations d’intention fumeuses, qui finiront inévitablement au tiroir des dossiers oubliés, il faut aborder les problèmes réels et y apporter des solutions ».

Pour Mölzer, il faut surtout résoudre le problème des importations à bon marché en provenance des pays asiatiques. « Si les relations étroites que nous envisageons avec les pays asiatiques valent la peine que l’on se mobilise pour elles, Bruxelles ne peut pas oublier les intérêts légitimes de l’Europe. Et parmi ces intérêts à ne pas escamoter, il y a la protection des emplois européens face aux salaires extrêmement bas pratiqués en Asie et qui équivalent à du dumping », a conclu Mölzer dans sa déclaration.

 

(source : http://www.andreas-mölzer.at/ ).

 

Europe: problèmes prioritaires

M.  I.  N.  E.  R.  V.  E.

7, Rempart St. Thiébault –F 57000 METZ

 

Mouvement pour l' Impérium, la Nature, l'Ethique, les Régions et pour la Vitalité de l'Europe.

 

Objectif: 

Institutionnalisation de l'indépendance, de la communauté, de la puissance, de l'identité, de la justice, de la générosité, de l'éthique et de la spiritualité dans une Europe unie.

 

Note d’information                                                                                   

Octobre 2010

PROBLEMES PRIORITAIRES

 

◊ I. ASSAUT ETHNIQUE ET MONETAIRE CONTRE L’EUROPE.

(Voir études approfondies et sérieusement documentées, avec preuves à l’appui,   notamment reproduction de textes dans différents Etats).

 

Emeutes-ethniques-Paris-14-oct-09-223x300.jpgDeux aspects :

1 - Attaque ethnique :

 

◊ A.

Danger d’islamisation

(Bourka et voile islamique couvrant le visage, imposé aux femmes en vertu d’une discrimination contraire à la Charte des Droits fondamentaux de l’Union européenne).

(Terrorisme islamique)

 

Le péril est réel et suscite de plus en plus des réactions, parfois violentes, dans la population européenne d’origine, dans la plupart des Etats membres de l’UE.

 

En ce qui concerne la bourka et les autres types de voile couvrant le visage des femmes, la loi française adoptée par la Chambre et devant encore être approuvée par le Sénat est une réaction conforme à la Charte des Droits fondamentaux de l’UE.

 

Des lois analogues sont en cours de concrétisation aux Pays-Bas.

 

◊ B.

Intégration de l’Islam dans la société européenne, au niveau des différents Etats  de  l’UE, par des lois de naturalisations sans conditions d’adoption du mode de vie européen. De telles conditions doivent être imposées afin d’éviter la formation de ghettos islamiques. Le point de vue de Simone Veil, ex Présidente du Parlement européen était : « L’intégration passe par l’assimilation ». C’était une façon lapidaire de s’exprimer, mais il est certain que la société multiethnique telle que la Grande Bretagne ou l’Allemagne fédérale, etc. ont tenté de la réaliser aves des ethnies non européennes a été un échec complet, et qu’un certain nombre de personnalités de ces pays la remettent aujourd’hui sérieusement en question.

 

En ce qui concerne plus particulièrement la France, où un grand nombre de personnes originaires de territoires français ou ex-français d’outre-mer (Algérie, etc.) de religion islamique sont citoyens de plein droit, par la naissance ou par services rendus à la France, le problème se pose en termes spécifiques . Mais il est douteux qu’il puisse être considéré comme définitivement réglé. A notre sens, beaucoup de ces citoyens français de plein droit qui, comme les autochtones algériens, se sont exilés dans l’ex métropole et étaient de toute façon considérés comme traîtres passibles de la peine de mort par l’Etat algérien nouvellement indépendant, ont été profondément déçus par la France, qui agissait à leur égard de manière discriminatoire, se sont repliés sur eux-mêmes et sur les valeurs de la religion islamique, en opposition aux valeurs prétendues et non appliquées dans leur cas,   de la République française, et sont devenus, surtout en ce qui concerne leurs enfants et petits-enfants, facilement la proie d’imans fanatiques, au point de pratiquer un Islam intégriste contraire aux valeurs mêmes de la République française et de sa Constitution, et de la Charte des Droits fondamentaux de l’Union européenne , ainsi que, pour certains, de se laisser embrigader dans des organisations terroristes islamiques.

 

2- Attaque monétaire.

 

◊ A.

Spéculation sur les Titres d’Etat émis dans le but d’investissements destinés à :

-         relancer l’économie en récession ;

-         réaliser de manière planifiée une économie « verte », conformément aux décisions du Conseil européen de la fin de 2009 et de juin 2010, visant à la mise en œuvre d’une « économie verte » d’ici 2015, avec des objectifs allant jusqu’à 2020.

 

Dans ce contexte, il convient d’appuyer sans réserve la proposition française visant à une politique économique commune (à l’instar de la politique agricole commune) qui se heurte malheureusement à l’opposition de divers Etats membres de l’UE jaloux de leur compétence exclusive en matière de politique économique, préservée par le Traité de Lisbonne.

 

En fait la compétence exclusive de chaque Etat membre dans le domaine de la politique économique a pratiquement pour effet que les Etats membres se font concurrence entre eux sur le marché européen théoriquement unique, alors que cette concurrence devrait jouer entre les entreprises de tous les pays de l’UE. Il convient toutefois de préciser qu’une politique économique commune implique pour le moins une harmonisation fiscale, sinon une fiscalité commune, telle que MINERVE l’a proposée et qui a rencontré un réel intérêt de la part de divers hauts fonctionnaires français et d’autres pays de l’UE, mais plutôt une certaine hostilité de la part des hommes politiques de certains pays (encore que le Luxembourg se soit toujours exprimé en faveur d’une harmonisation fiscale au niveau européen).

 

S’agissant de contrer la spéculation sur les titre d’Etat, dont la Grèce a été particulièrement victime, mais qui tente d’atteindre aussi d’autres Etats, sans aucune justification objective, tous les Etats de l’UE ont fait preuve d’une solidarité réelle, mais en même temps ils ont décidé individuellement des mesures qui risquent de paralyser la mise en œuvre de passage effectif à une économie « verte » (bénéfique en soi pour une relance vigoureuse de l’économie sur des bases nouvelles) et de remettre en question l’Etat social , ainsi que le principe même de l’économie sociale, de marché sanctionné par le traité de Lisbonne, de même que les principes de base de la Charte des Droits fondamentaux de l’UE.

 

◊ B.

Attaque monétaire généralisée contre les monnaies européennes, notamment l’Euro, et incitation à la sortie de certains Etats membres, y compris ceux qui font partie du G8, de l’Union européenne ce qui reviendrait à conduire à la dissolution de cette dernière et à provoquer une nouvelle crise généralisée du type de celle de 1929 et à coup sûr pire encore. Une telle crise a heureusement déjà été évitée par le G8-G20 sous présidence britannique (à l’époque : Gouvernement Brown) mais malheureusement les populations n’en ont généralement pas eu conscience.

 

 

Correspondant  MINERVE-France :      

KEIL Robert,      

2, rue Paul Ferry     

F- 57 000   METZ.

 

Noodregering hersenschim?

 

 

 

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Noodregering hersenschim?


Bart Maddens
- Is politicoloog aan de KULeuven.
- Stelt vast dat we een weinig originele remake beleven van de slechte
politieke cinema uit 2007.
- Meent dat de Franstalige partijen geen enkele reden hebben om grote
toegevingen te doen de komende weken.

Noodregering hersenschim?

Wie zegt dat 2010 steeds meer lijkt op 2007 en we gaan uitkomen bij een
noodregering zonder de N-VA, wordt haast als paranoïde beschouwd. En toch
kan men zich niet ontdoen van een hoog déjà-vugevoel.

Had CD&V in 2007 geen dure eden gezworen dat het nooit tot een regering zou
toetreden zonder een grote staatshervorming?

De geschiedenis herhaalt zich nooit. Maar wat nu gebeurt, begint toch wel
griezelig veel te lijken op wat we in 2007 al hebben meegemaakt. Zowel toen
als nu spelen Vlamingen en Franstaligen een ongemeen spannend chicken game:
twee chauffeurs rijden op een smalle weg in volle vaart naar elkaar toe en
wie het eerst uitwijkt, is verloren.

Begin november 2007 kon niemand zich voorstellen dat het uiteindelijk de
Vlamingen zouden zijn die finaal het stuur zouden omslaan en het spel zouden
verliezen. Begin november 2007 kwam het ook bij niemand op dat er wel eens
een andere regering gevormd zou kunnen worden dan een oranje-blauwe. Er is
gewoonweg geen alternatief, luidde het unisono bij de politici en de
analisten. Maar anderhalve maand later was het ondenkbare een feit: een
regering mét de PS, mét CD&V-N-VA, maar zonder staatshervorming.

Ook vandaag is iedereen gefixeerd op één welbepaalde formule: een regering
van zeven partijen, met een grote staatshervorming. Wie erop gokt dat het
wel eens heel anders zou kunnen uitdraaien, bijvoorbeeld op een noodregering
zonder de N-VA, die wordt haast als paranoïde beschouwd. Want beweert CD&V
niet bij hoog en bij laag nooit in zo'n noodregering te zullen stappen?

Juist, maar even goed had CD&V in 2007 dure eden gezworen dat het nooit tot
een regering zou toetreden zonder een grote staatshervorming. Maandenlang
kreeg de partij daarvoor luid applaus in de media en de publieke opinie.
'Goed dat de Vlamingen eindelijk eens het been stijf houden', was toen de
teneur. Maar vanaf de tweede helft van november begon het sentiment op de
markt te keren. De stemming sloeg vrij plots om naar 'de speeltijd is
voorbij': de politici moesten nu maar eens een einde maken aan dat
communautaire gehakketak en zich met de 'echte' problemen gaan bezighouden.

LUC COENE

Het was vooral economische stemmingmakerij die aan de basis lag van die
kentering. De vakbonden roerden zich eerst. Op 26 september lanceerden ze
een uitgesproken Belgicistische campagne onder het motto 'Red de
solidariteit'. Vlak voor de ontknoping, op 15 december, was er dan die
groots opgezette nationale vakbondsbetoging. Zogezegd voor het behoud van de
koopkracht, in werkelijkheid tegen een verregaande staatshervorming.

Tien dagen eerder, op 5 december, was Luc Coene (vicegouverneur van de
Nationale Bank) in de Kamercommissie voor Begroting en Financiën komen
vertellen dat de politieke crisis langzaam negatieve gevolgen begon te
hebben op de economische prestaties van België. Nadien heeft hij (in De Tijd
van 12 januari 2008) toegegeven dat het enkel zijn bedoeling was een signaal
te geven en dat het hooguit ging om een 'potentieel gevaar'. Het was met
andere woorden enkel een overdrijving, bedoeld om de politici aan te zetten
tot Belgische 'redelijkheid'.

Het resultaat was dat de Vlaamsgezinde krachten in CD&V beetje bij beetje in
het defensief werden gedrongen. De ACW-vleugel voerde geleidelijk de druk
op. Dat leidde dan uiteindelijk tot die halsbrekende bocht op 18 december:
CD&V besliste toch toe te treden tot een regering zonder enige garantie op
een staatshervorming. De Vlamingen waren hun hefboom kwijt, en we waren
vertrokken voor drie jaar politieke stilstand en communautaire ellende. Maar
de solidariteit was wel gered.

CRISISGEVOEL

Vandaag beleven we een weinig originele remake van die slechte cinema. De
vakbonden zijn al in gang geschoten. En het is een gemakkelijke voorspelling
dat ook de economische onheilsprofeten binnenkort een tandje zullen
bijsteken. De bedoeling is duidelijk: het economischecrisisgevoel in de
publieke opinie aanscherpen, zodat de burgers zich finaal tegen de
communautaire 'scherpslijpers' zullen keren.

In de Franstalige pers wordt daar al maanden op gespeculeerd. Joëlle Milquet
(cdH) was vorig weekend in Le Soir bijzonder openhartig over dat
uitrookscenario: 'Car l'opinion peut s'inquiéter, réclamer un gouvernement.
Il n'y a pas encore de sentiment d'urgence. Le temps est un partenaire.'
Maar ook bij CD&V rekenen sommigen er blijkbaar op dat de politieke
uitputtingsslag tot een kentering zal leiden in de publieke opinie. Een
regering zonder de N-VA? 'On pourra en reparler dans deux ou trois mois',
zei een CD&V-verkozene aan Le Vif-L'Express (18 oktober).

Voor de Franstaligen komt het er dus vooral op aan tijd te winnen. Dat is de
les die ze in 2007 hebben geleerd. De recente beslissing van CD&V, Open VLD
en sp.a om niet langer mee te werken aan een 'eenzijdige' splitsing van
Brussel-Halle-Vilvoorde (BHV) heeft hen gesterkt in de overtuiging dat de
wind in Vlaanderen aan het draaien is. Vooral het feit dat CD&V zich inzake
BHV heeft losgehaakt van de N-VA wordt gezien als een hoopvol teken.

Weliswaar maakt één zwaluw de lente nog niet, aldus journalist Francis Van
de Woestyne in La Libre (26 oktober), maar toch is het duidelijk dat de
traditionele partijen zich langzaam maar zeker van de N-VA distantiëren.
Waarom zouden de Franstaligen dan grote toegevingen doen de komende weken?

Dat is de paradox van wat de jongste dagen is gebeurd. De traditionele
partijen hebben de parlementaire BHV-weg verlaten met de bedoeling het
koninklijk bemiddelaar Johan Vande Lanotte (sp.a) wat gemakkelijker te
maken. Maar het resultaat zou wel eens precies het tegenovergestelde kunnen
zijn.
© 2010 Mediafin
Publicatie:     De Tijd
Publicatiedatum:     vrijdag 29 oktober 2010
Auteur:     Van Hamme Franky;
Pagina:     16
Aantal woorden:     977