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mercredi, 06 avril 2011

Lo scenario libico di Obama per la Libia

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Lo scenario libico di Obama per la Libia

di Nil Nikandrov

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte]

   
    
La visita di Barack Obama in America Latina (Brasile, Cile e El Salvador) dal 19 al 23 Marzo prosegue tra gli attuali eventi profondamente drammatici in Libia e nei suoi dintorni.
L’azione militare della coalizione Occidentale nei confronti del “Regime sanguinario di Gheddafi” sta diventando sempre più violenta. L’avvio di un intervento di terra è solo questione di tempo.

L’ostentato ordine di Obama di attaccare la Libia, impartito al 42esimo minuto della conversazione riservata con la sua controparte brasiliana Dilma Rousseff ha dimostrato un episodio ancor più scioccante del soggiorno del leader statunitense in America Latina. Un consigliere Statunitense del Presidente si è avvicinato ad Obama a dispetto di tutti gli standards di protocollo diplomatici e gli ha consegnato un foglio. Il Presidente degli Stati Uniti gli ha dato uno sguardo, ha preso un telefono cellulare dal suo consigliere e ha detto con voce ferma “Procedete!”. Il Presidente Afro – Americano ovviamente ha cercato di impressionare Dilma con la sua risoluzione, e di dimostrarle che ci sono momenti in cui la diplomazia e le buone maniere vengono messe da parte.



L ’Ambasciatore brasiliano alle Nazioni Unite si è astenuto durante il Consiglio di Sicurezza dal votare la risoluzione sulla Libia. Dilma Rousseff sembra essere più flessibile riguardo le relazioni bilaterali rispetto al suo predecessore Luiz Inacio Lula da Silva. Lula disse che era interessato a sviluppare relazioni con gli Stati Uniti, ma spesso sosterrebbe Chavez. Questa volta, anche Lula – l’unico dei quattro precedenti Presidenti brasiliani ad esser stati invitati a partecipare alla cena ufficiale con Obama, ha declinato l’invito. Ma Dilma agisce diversamente. Lei  ha parlato chiaro, vorrebbe la rimozione delle barriere doganali per i beni Brasiliani, come ad esempio l’etanolo, carne di maiale, succo d’arancia, cotone e acciaio. Il Brasile necessita anche dell’appoggio degli Stati Uniti per ottenere lo status di membro permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU. Questi sono chiaramente interessi di vasta portata, ma il Brasile è disponibile ad un negoziato, annoverando anche un cambiamento di posizione riguardo l’accordo del così detto “Problema Chavez”.

I report televisivi sugli sviluppi in Libia sono trasmessi in America Latina seguendo programmi specifici negli studi televisivi statunitensi. Le incursioni aeree della NATO contro le strutture militari, gli attacchi con missili da crociera sul governo di Jamahirya e sulle sedi del partito, la caccia a Gheddafi attraverso l’uso di droni – tutto ciò si alterna con reports sulla visita di Obama in Sud America. I Presidenti ospiti e padroni di casa a Brasilia, Santiago del Cile e San Salvador, hanno stretto mani, pronunciato discorsi cordiali, si sono profusi in inchini, per dimostrare che l’America Latina è presumibilmente disinteressata (non poi del tutto) a ciò che sta accadendo sull’altro lato del globo, - in Libia.

I Presidenti della cricca di Washington in America Latina approvano puntualmente l’uso della forza da parte degli Stati Uniti contro coloro i quali “non sono con noi”. I Presidenti di Messico, Honduras, Costa Rica, Panama, Colombia, Perù e Paraguay, hanno espresso il loro sostegno all’attuale azione militare contro la Libia. I Presidenti di El Salvador e Cile, Mauricio Funes e Sebastian Pinera sono partners affidabili di Washington, sempre pronti ad allinearsi con Barack Obama.

Tuttavia i paesi dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe, - Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e, chiaramente Cuba, si rendono conto fin troppo bene della ragione di fondo degli eventi in Libia. E la ragione è il petrolio. Fidel Castro predisse che la guerra era inevitabile molto tempo prima che venisse lanciata l’operazione “Alba dell’Odissea”. Le risoluzioni 1970 e 1973 del Consiglio di Sicurezza ONU  sono una dimostrazione di disprezzo nei confronti di qualsiasi misura di legge internazionale. Coloro i quali non erano d’accordo venivano “polverizzati”, come presunto da Hugo Chavez. Stiamo assistendo alla progressiva attuazione del piano della globalizzazione per creare un “caos controllato” con il pretesto di interferire nelle questioni interne di quei paesi che hanno una “nota negativa”. L’obiettivo finale del progetto è l’annichilimento di coloro che si oppongono allo stile di globalizzazione americano. Ora è la Libia ad essere sotto attacco, ma il prossimo della lista è l’Iran. Questa sembra essere un’operazione sistematica di ripulitura contro quei paesi che collaborarono con la Russia, per garantire un accerchiamento strategico di quest’ultima.

Recentemente Hugo Chavez ha fatto diverse dichiarazioni circa gli eventi in Libia. Dice di esser sicuro che la coalizione Occidentale abbia attaccato il paese Arabo per impossessarsi delle sue più ricche riserve petrolifere e per distruggere fisicamente Gheddafi. “Sfortunatamente, ha detto Chavez, le Nazioni Unite sostengono la guerra nonostante ciò sia in conflitto con i principi fondamentali dell’Organizzazione”. Rivolgendosi ai latino – americani durante la sua trasmissione “Ciao, Presidente!” ha risposto a questa domanda “Chi ha dato a questi paesi , - Stati Uniti, Francia ecc. Il diritto di bombardare la Libia? Sono stati già segnalati civili uccisi durante le incursioni aeree. Questo è ovvio essendo la Libia bombardata dal mare, con 300 o 400 bombe e proiettili che colpiscono case e ospedali. Questa è un’operazione militare crudele che non riuscirà a distinguere tra innocenti e colpevoli. Chiediamo che l’attacco venga interrotto!”.

Le dichiarazioni di Hugo Chavez sono state condivise dalle sue controparti Boliviana, Ecuadoriana e Nicaraguense. Daniel Ortega ha esortato i paesi della coalizione Occidentale “a tornare in loro e dimostrare comprensione verso la proposta di Gheddafi di avviare un dialogo”. Per Ortega è ovvio, come anche per Chavez, che l’obiettivo principale degli aggressori è quello di impossessarsi delle ricchezze petrolio e gas della Libia: “Gli aggressori sono in gara tra loro per chi dovrà essere il primo ad occupare la Libia”. Il Presidente della Bolivia, Evo Morales, ha denunciato l’azione militare occidentale e ha garantito che tutti i colpevoli stranieri della morte di cittadini Libici  “verrebbero identificati e processati”. Rivolgendosi ai giornalisti, Morales ha detto “Ancora non sappiamo la completa verità riguardo ciò che sta realmente accadendo in Libia, perciò i mass media dovrebbero continuamente battersi per ottenere informazioni imparziali”.

Il sentimento anti-americano sta crescendo rapidamente alla luce degli eventi in Libia. Solo due o tre settimane fa, l’Ambasciatore Statunitente in Brasile, Thomas Shannon ha chiesto di usare Piazza Cinelandia, nella centrale Rio De Janeiro, per il discorso pubblico di Barack Obama a 30 000 Brasiliani. Il Presidente degli Stati Uniti cerca di imitare, anche se in sua assenza, Hugo Chavez, per verificare se potesse risultare altrettanto popolare in America Latina. Ma le aspettative statunitensi hanno dimostrato avere vita breve, e l’Ambasciata ha dovuto cancellare il discorso previsto. E’ diventato difficile garantire la sicurezza personale di Obama. I Brasiliani si sono indignati così tanto per il bombardamento della Libia che i responsabili della sicurezza del leader Americano avevano tutte le ragioni di aspettarsi problemi. Il breve slogan “Obama, vai a casa!” è diventato piuttosto popolare in Brasile. Nonostante ciò Barack Obama ha parlato al Teatro Municipale di Rio ad un pubblico decisamente più ristretto di 2000 ospiti selezionati, di cui ufficiali di sicurezza degli Stati Uniti, diplomatici  e ufficiali di polizia costituivano più della metà.

Le proteste contro gli attacchi anti –libici sono state riportate da tutte le nazioni Latino- Americane. 42 partiti del centrosinistra si sono riuniti in un seminario internazionale in Messico per adottare una dichiarazione sulla Libia. Alcuni di coloro che hanno firmato sono membri di partiti al potere, come ad esempio il Movimento per il Socialismo della Bolivia, il Fronte Ampio dell’Uruguay, il Partito dei Lavoratori del Brasile, il fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale di El Salvador ecc. Una manifestazione è stata organizzata a Santiago del Cile sotto lo slogan “Per la Pace, contro la Guerra”. Ulteriori proteste si preparano in Cile per denunciare la visita “dell’aggressore Obama”. La sicurezza è stata rafforzata nelle ambasciate degli Stati Uniti nelle nazioni del Centro e Sud America. Gli ufficiali statunitensi temono rappresaglie dai sostenitori radicali di Gheddafi. Varie generazioni di rivoluzionari Latino – Americani sono state educate sulla base del principale lavoro teoretico di Gheddafi- il suo Libro Verde.

Tra questi rivoluzionari c’è William Izarra del Venezuela un cospiratore ufficiale in pensione che ha viaggiato in Libia molto tempo prima che il tenente colonnello Hugo Chavez emerse sulla scena politica del Venezuela. Veterano dell’esercito, Izarra è ora responsabile del Centro per la formazione ideologica del Partito Socialista del Venezuela. Un “Communiquè” è stato divulgato a nome del Centro, affermando questo, in particolare: “Stiamo dando l’allarme a causa dell’attuazione dei piani di invasione militare della Libia  da parte degli Stati Uniti e della NATO. Devastante al punto da poter avere delle conseguenze sulla gente della Libia e creare un traumatizzante stereotipo della percezione di una guerra di “quarta generazione” in Africa, Asia e America Latina.

Il “Communiquè” incita affinché vengano aumentati gli sforzi della propaganda a supporto della Libia, e per condannare “l’asse” degli alleati Stati Uniti – Canada – Unione Europea- Lega Araba. Izarra non ha alcun dubbio che l’attacco nei confronti della Libia accrescerà i processi di destabilizzazione in Venezuela e provocherà movimenti attivi degli oppositori di Chavez nel 2011 e 2012, nella corsa alle elezioni presidenziali. Il piano sicuramente conterà su azioni concordate da parte di forze esterne (Stati Uniti) e interne (l’opposizione, “La Quinta Colonna”, “Chavismo senza Chavez”) che cercano di impedire che il leader venezuelano possa concorrere alle future elezioni presidenziali.


Fonte:  www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2011/03/22/obama-libyan-scenario-for-venezuela.html


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MADDALENA IESUE’


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Slavi Binev: Renforçons le dialogue avec l'Amérique latine!

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Renforçons le dialogue avec l’Amérique latine !

 

Entretien avec le député européen Slavi Binev (« Ataka »/Bulgarie) sur les relations entre l’Europe et l’Amérique latine

 

Croissance potentielle – Risques et opportunités pour l’Europe

 

Q. : Monsieur Binev, comme souhaiteriez-vous nous décrire les relations entre l’UE et l’Amérique latine ?

 

SB : La présidence espagnole de l’UE a promu les relations entre l’Europe et l’Amérique latine pendant la première moitié de l’année 2010. De cette volonté de resserrer les liens entre les deux continents ont résulté 1) un accord de partenariat entre l’UE et l’Amérique centrale et 2) une volonté d’entreprendre des négociations entre l’UE et le Mercosur. On a, à l’époque, esquissé également l’objectif final : atteindre un partenariat stratégique bi-régional dans les domaines politique, économique, social et culturel, afin qu’un développement de longue haleine puisse s’amorcer entre les deux régions du globe. Pourtant, malgré ces déclarations de principe, seuls deux pays, semble-t-il, accordent la priorité à ce projet : l’Espagne et le Portugal parce qu’ils ont des liens historiques avec les pays d’Amérique latine et qu’entre protagonistes européens et protagonistes latino-américains, il n’y a aucune barrière linguistique. Espagnols et Portugais ont donc une longueur d’avance.

 

Q. : On a annoncé un partenariat stratégique à l’occasion de plusieurs sommets. Mais qu’en est-il dans la pratique ? Intensifie-t-on réellement les rapports entre les deux continents ?

 

SB : Je pense que ce sont les latino-Américains les principaux coupables dans l’ensemble des négligences constatées. Au cours de ces dernières années, on a développé des instruments spéciaux pour asseoir une coopération optimale, on a tenu sommet sur sommet et on a donné vie à  « EuroLat », une assemblée parlementaire euro-sudaméricaine. L’UE demeure, comme auparavant, le principal investisseur dans la région, le second partenaire commercial et le plus important donateur en matière d’aide au développement. Donc, en dépit de tous les documents signés, l’Europe apparaît davantage comme un « sponsor » que comme un véritable partenaire en Amérique latine.

 

Lors de chaque sommet auquel j’ai participé en tant que membre parlementaire d’EuroLat, j’ai entendu des discours, exhortant l’Europe à aider et à investir. Mais pendant tout ce temps, on n’a rien fait pour combattre la criminalité dans des pays comme le Venezuela, le Salvador, le Mexique ou le Brésil. Dans certaines grandes villes, des quartiers entiers dans lesquels ont ne peut entrer sans être accompagné de sa petite armée personnelle ! C’est là que le bât blesse : on fait appel à des investisseurs et à des investissements mais on ne garantit pas la sécurité des investisseurs.

 

Q. : Dans quels domaines l’Europe pourrait-elle profiter d’un renforcement des relations entre l’UE et l’Amérique latine ?

 

SB : Les flux migratoires entre l’Amérique latine et l’Europe sont en pleine croissance et cette situation appelle un dialogue, qui devra braquer les projecteurs sur ce problème particulier (ainsi que sur d’autres problèmes). Le dialogue doit aboutir à un consensus, de façon à ce que l’on donne la priorité à une politique migratoire préventive, garantissant des canaux légaux pour une immigration légale, afin que l’on puisse mettre sur pied une politique équilibrée et appropriée, réglementant les flux migratoires.

 

Q. : Il y a deux ou trois décennies, on considérait partout dans le monde que l’Amérique latine était un « continent perdu ». Pour quelles raisons ce continent a-t-il, au contraire, amorcé un processus de développement positif, en est-il arrivé à une belle croissance ?

 

SB : Rien que sur le plan géographique, ce continent offre des potentialités uniques : où, dans le monde, pouvez-vous donc aller skier en été ? Et qu’en est-il de l’héritage culturel, avec des sites comme Cuzco, Machu Pichu, Inga Pirka, etc. ? Tous ces sites éveillent l’idée de « marchés » attrayants pour de nouvelles marchandises. C’est parce qu’il se trouve éloigné des grands centres d’effervescence du globe que le continent latino-américain a été défini comme « continent perdu » ; cependant, la globalisation et le besoin de nouveaux débouchés ont attiré l’attention de pays montants comme la Chine.

 

Q. : Des pays comme le Venezuela, et surtout le Brésil, ont développé, depuis un certain nombre d’années, une conscience autonome en matière de politique étrangère. Ces pays auront-ils la possibilité, dans un futur proche, d’influencer l’ordre du monde, de le marquer de leur sceau ?

 

SB : Pour le Venezuela, je ne peux rien dire pour le moment mais pour le Brésil, je puis constater d’ores et déjà qu’il fait partie désormais des grandes puissances du monde. Au cours de ces dernières années, les experts en matière de relations internationales ont prévu que les pays du groupe « BRIC » (Brésil, Russie, Inde et Chine) allaient graduellement faire émerger un monde multipolaire. L’économie brésilienne poursuivra indubitablement sa croissance et, malgré une petite récession due à la crise économique mondiale de 2008-2009, a atteint à nouveau une croissance de 7,5%. En observant cette croissance économique, les instances gouvernementales brésiliennes ont pris de plus en plus nettement conscience qu’elles devaient moderniser à grande échelle les forces armées du pays, si celui-ci entendait rendre bien crédibles ses revendications dans le domaine délicat des approvisionnements en pétrole et en gaz naturel, dont les gisements se trouvent tous en dehors des eaux territoriales. Le Brésil milite également pour obtenir un siège permanent au Conseil de Sécurité des Nations Unies.

 

Q. : L’influence des Etats-Unis est-elle encore forte dans la région ?

 

SB : L’influence nord-américaine est en déclin en Amérique latine. Mais les Etats-Unis y suscitent encore crainte et respect. Le problème des politiques intérieures des pays latino-américains, les vieux contentieux historiques toujours vivaces entre l’Amérique du Sud et les Etats-Unis, sont autant de questions épineuses et de véritables barrières, dont la présence empêche désormais Washington de retrouver ses chances dans la région. Tandis que les Etats-Unis, dans des questions importantes comme l’énergie, le commerce et l’immigration, se sont enfoncés dans une impasse, des pays comme la Chine et la Russie peuvent faire valoir leurs intérêts sans être empêtrés par un ballast historique incapacitant, n’ayant jamais cherché à influencer par la coercition la politique intérieure des Etats sud-américains. Quoi qu’il en soit, il me paraît légitime de soulever une question : toute l’attention que nous pourrions porter à l’Amérique latine portera-t-elle des fruits tant que les Etats-Unis resteront tapis à l’arrière-plan ?

 

(Entretien paru dans « zur Zeit », Vienne, n°13/2011 ; propos recueillis par Bernard Tomaschitz ; http://www.zurzeit.at/ ).

mardi, 05 avril 2011

Boomerang libico per un fragile Occidente

Boomerang libico per un fragile Occidente

di Raffaele Sciortino

Fonte: megachip [scheda fonte]


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È dunque tornata la guerra umanitaria. Entrata nel sistema dell’informazione e di qui nell’immaginario collettivo, non c’è neanche più bisogno di virgolettarla. Ritorna però in un contesto del tutto mutato rispetto agli anni Novanta. Ieri, sull’onda lunga della caduta del Muro e con la finanziarizzazione in piena ascesa, gli States avevano in mano saldamente l’iniziativa e potevano elargire promesse ai nuovi arrivati nel consesso delle democrazie occidentali. Oggi siamo dentro una crisi globale che è un aspetto dello smottamento profondo e strutturale dei meccanismi di riproduzione della vita sociale complessiva (vedi Fukushima). L’interventismo umanitario non ha l’iniziativa. La guerra alla Libia è reazione.

 

Reazione alla prima fase della sollevazione araba. Reazione di poteri voraci ma in affanno contro i possibili passaggi di radicalizzazione di un moto ampio e profondo in pieno svolgimento che sta intrecciando, dal basso, istanze di dignità, potere e riappropriazione. E che non ha bisogno di “aiuti” ma piuttosto rimanda un messaggio di possibile costruzione di un percorso comune di lotta e emancipazione.

 

Confitto di narrazioni

 

È da questa visuale - rovesciando la narrazione “democrazia”/tirannide o pro/contro Gheddafi - che è possibile sfuggire alla trappola-ricatto del dispositivo Onu “a protezione dei civili” sbandierato dall’”onesto” Napolitano e dalla macchietta Berluska, e all’ipocrita giustificazione dell’intervento da parte di chi voleva mandare i poliziotti francesi contro le piazze tunisine, come Sarkozy, o come Obama si muove con il double standard di sempre rispetto ai governi da sostenere o disarcionare e, ancor più cinicamente, ai morti buoni o cattivi. Le bombe sulla Libia fanno il paio con l’appoggio di Washington all’asse militari-fratelli musulmani concretizzatosi nel referendum costituzionale egiziano di pochi giorni fa a sancire la “transizione ordinata” auspicata dall’amministrazione Obama. Fanno il paio con l’avallo statunitense alla repressione dei moti in Bahrein, dopo l’ingresso di truppe saudite nel paese che ospita la base della V flotta, con il via libera a nuovi raid israeliani, con la situazione in Yemen e altro ancora.

 

Sono i movimenti che nulla hanno da farsi perdonare rispetto a certi indifendibili personaggi a poter costruire una propria autonoma posizione. Non è facile, certo, in quanto la strategia occidentale sta cercando di rimettere piede nell’area utilizzando come varco non solo l’occasione offerta dalla repressione gheddafiana ma proprio le istanze detournate in senso reazionario delle stesse insorgenze arabe. Ma neanche impossibile se riusciamo a ricollegarci con il senso profondo di queste istanze che è quello di rimettere in discussione un ordine globale sempre più ingiusto, incerto e onnivoro che sta scaricando i costi della crisi sui soliti noti, senza alcuna ricetta alternativa. E se dal mondo arabo salirà ancora più alta e ampia la protesta delle piazze.

 

Partiamo da un dato. L’intervento umanitario non sembra convincere. Non convince le piazze della Primavera araba che hanno costretto la stessa Lega Araba a tornare un poco sui propri passi. Non i “paesi emergenti” che - a ragione, e con l’aggiunta di Berlino - intravedono nella prima guerra tutta di Obama il segnale di una rinata tentazione U.S. a fronte di una crisi globale irrisolta. E neanche una buona parte della gente comune in Occidente, passiva è vero, ma il cui sentire è assai differente dai tempi della guerra kosovara. La coalizione dei volenterosi - reminescenza bushiana non casuale - si è mostrata fin qui litigiosa e soprattutto divisa su interessi tutt’altro che ideali, ma lo stesso mandato Onu sta perdendo di credibilità in particolare nell’opinione araba a misura che si è rivelato un lasciapassare per massicci bombardamenti (significativa la contestazione al Cairo contro il segretario generale dell’Onu da parte dei ragazzi del 25 gennaio). E se da Washington a Parigi e Londra la parola d’ordine - ora anche pronunciata a voce alta - è far fuori Gheddafi, questo vorrà dire bombardamenti continui e ancor più massicci e truppe di terra, o al minimo spaccare in due il paese, se non ridurlo ad una situazione tipo Somalia. La vicenda potrebbe dunque non chiudersi in poche settimane.

 

In quest’ottica - presupponendo il quadro, tutt’altro che lineare, aperto dalle soggettività in rivolta nel mondo arabo - proviamo qui a mettere a fuoco il ruolo peculiare di Washington e a schizzare i contorni geopolitici, peraltro in continuo movimento, della situazione.

 

Le due interpretazioni dell’intervento

 

La svolta interventista di Washington è maturata dopo una discussione assai accesa all’interno dello staff della Casa Bianca grazie alla spinta decisiva della Clinton, supportata da un’aperta alleanza tra neocons riciclati e internazionalisti liberali[1], contro le forti e aperte remore del Pentagono[2] e dei realpolitiker[3]. Se ne danno grosso modo due interpretazioni. Secondo la prima - ad esempio Lucio Caracciolo di Limes - si tratta di una decisione in cui Washington sarebbe stata tirata per i capelli dal protagonismo francese dentro un quadro di incertezza sul che fare rispetto al rimescolamento di carte in corso nel mondo arabo. Non si tratterebbe allora di un’american war, anche se ovviamente l’apporto militare statunitense resta indispensabile. Le affermazioni della Clinton sulle unique capabilities degli States sarebbero una subordinata del mesto/onesto riconoscimento obamiano “Non guidiamo noi la coalizione”. Una lettura, questa, cui pare sottesa la tesi del “declino americano”[4].

 

C’è invece una lettura che invita a guardare alle azioni che, come scrive il Washington Post[5], parlano più chiaro e a voce più alta delle dichiarazioni. Innanzi tutto, senza la garanzia della messa in moto del dispositivo militare e di comando statunitense Sarkozy non sarebbe stato in grado di muoversi e tanto meno di annichilire le forze aeree e le infrastrutture militari libiche. Questo è un dato evidente se si guarda a marca e numero dei missili lanciati. Mentre il galletto francese si pavoneggiava con il giullare-philosophe Levy, il direttore del comando congiunto delle forze armate U.S. dichiarava al Pentagono nel piano linguaggio lockiano: “Siamo al comando delle operazioni militari”. Inoltre, il ruolo giocato da Washington è stato decisivo nel varo - con “straordinaria velocità” scrive il NYT - della risoluzione Onu 1973 e in particolare della sua formulazione assai ampia ed estremamente flessibile basata sul principio della Responsability to Protect.[6] “A differenza di quel che appare, questa è una guerra tutta americana e ha come obiettivo non il Medio Oriente ma l’Africa”.[7] Il “capolavoro” politico del presidente: lavorare dietro le quinte lasciando la scena agli europei per coinvolgere Onu e Lega Araba.[8]

 

 Regime change versione Obama

 

Insomma, ad un’analisi più attenta non si può negare l’incertezza che regna a Washington ma neanche il suo ruolo guida peculiare nella nuova impresa libica. Un ruolo in vesti formalmente multilaterali ma dentro un contesto inedito che le interpretazioni correnti colgono solo tangenzialmente. L’incertezza, le esitazioni e titubanze, la confusione sulla catena di comando, il lasciar spazio ai protagonismi francese e inglese, si spiegano innanzitutto a fronte dell’insorgenza in corso e dell’obiettiva difficoltà per Obama di non perdere la regione entro un rimescolamento profondo che comunque gli Stati Uniti non possono impedire. Bloccarlo difendendo uno status quo che va sbriciolandosi significa rischiare di perdere tutto. La partita va giocata dall’interno del cambiamento piuttosto che aggrappandosi ad una realtà oramai indifendibile. (Quasi si trattasse per Obama di recuperare all’esterno quella spinta al change esauritasi all’interno). [9]

 

Per l’amministrazione statunitense a ben vedere “la Libia conta non per il suo petrolio o l’ intrinseca rilevanza, conta perchè è un elemento chiave della turbinosa trasformazione del mondo arabo”. [10] Detto in altro modo, la partita libica se per Parigi è questione di compensare a danno di Roma la perdita della Tunisia (con un occhio alla “sua” Africa), per Washington è un varco che si apre assai opportunamente non solo per mettere piede militarmente ed economicamente in una sfera già europea a rischio di inserimento cinese - bissando così il successo della secessione in Sudan - ma soprattutto per condizionare e cauzionare politicamente l’insorgenza araba in corso.

 

Inserirsi in Libia, con forze militari discrete e soprattutto con un regime amico “democratico” e una ritrovata legittimità agli occhi del mondo arabo, proprio ai fianchi dei due paesi in cui le masse finora si sono mosse con più radicalità nel tentativo di riprendere nelle proprie mani il futuro: ecco, se riuscisse, il vero capolavoro. Nelle parole del presidente pronunciate all’incontro della Casa Bianca in cui ha optato per l’intervento: Questa è la più grande opportunità di riallineare i nostri interessi coi nostri valori. [11] Supportando o creando un regime amico - anche appaltato ai partner europei - nel nuovo contesto regionale. E insieme generando rivalità nazionali e confusione tra le masse. Si sfrutta qui un dato reale: il posizionamento nei confronti degli eventi, davanti a un Gheddafi che fino all’ultimo ha sostenuto Ben Ali, non è facile neanche per le piazze arabe. Mentre è chiaro che, se è vera la notizia di aiuti militari dell’esercito egiziano ai ribelli libici nel mentre dell’aggressione occidentale, ne uscirebbe rafforzata la subordinazione a Washington del quadro politico post-Mubarak. Ben diverse sarebbero infatti la natura e le modalità dell’aiuto di un Egitto rivoluzionario alla popolazione libica tutta contro un regime reazionario: ma dubitiamo che avrebbe l’avallo Onu...

 

La decisione che a molti è apparsa improvvisata si è sicuramente definita all’immediato per il rischio di perdere Bengasi e dunque un supporto locale per il regime change. Era però stato proprio Obama a fine febbraio[12], e lo ha ribadito durante il recente viaggio in America Latina, ad affermare che il rais libico deve andarsene. Dunque non la preoccupazione per i civili ha mosso un’amministrazione che non pare così solerte nel caso di regimi alleati come Bahrein e Yemen e continua impunemente a fare stragi coi droni dai cieli di Afghanistan e Pakistan. In realtà, il viaggio della Clinton in Tunisia ed Egitto nei giorni immediatamente precedenti ha fatto suonare il campanello d’allarme: proteste e scontri a Tunisi in occasione della sua visita e rifiuto di incontrarla da parte dei giovani del 25 gennaio al Cairo. [13] Dove stanno andando il cuore e le menti dei giovani arabi? Meglio affrettare il “rientro”...

 

Certo, la politica Usa corre su di un filo. La situazione per certi versi è più difficile in termini politici che non durante gli eventi di piazza Tahrir. Il riposizionamento di linea deciso in quel frangente per una “transizione ordinata” [14] è oggi messo alla prova. Quello che non si può dire però è che quel riposizionamento sia del tutto improvvisato. Al di là del discorso obamiano del Cairo, la Direttiva Presidenziale 11 dell’agosto dell’anno scorso avvisava che “la regione sta entrando in un periodo critico di transizione” e invitava ad affrontare gli inevitabili “rischi aprendo ai popoli del Medio Oriente e del Nord Africa la graduale ma reale prospettiva di una maggiore apertura politica”. [15] Obama mostra più lungimiranza dei suoi critici realisti. Per Washington lo status quo non è (più) stabile...

 

Strategia Usa e comune araba

 

Questo non significa affatto che la strategia di intervento fosse bell’e pronta a tavolino. L’impressione di una certa dose di improvvisazione persiste e alimenta critiche insieme alla non completa chiarezza sulla catena del comando e sugli obiettivi di medio termine dell’attacco. (Anche se, va detto, le difficoltà nel passare completamente il comando alla Nato come braccio armato di una risoluzione Onu per molti paesi indigeribile sono dovute non tanto alla grandeur francese ma assai più alle remore di Berlino e Ankara; e l’obiettivo di far fuori Gheddafi è condiviso da tutti, solo certe “anime belle” fanno finta di non saperlo).

 

Ma che non ci sia alcun piano lucidamente pensato a tavolino è dovuto principalmente al fatto che la dinamica dell’ondata che sta scuotendo i regimi arabi non è prevedibile nè controllabile da nessuno. Ed è questa la variabile indipendente che accelera e precipita gli eventi. E può determinare il successo o l’insuccesso dell’impresa occidentale in Libia, non tanto in termini militari quanto politici.

 

E qui si fanno avanti i rischi, emergono le fragilità degli Stati Uniti a fronte di un moto che potrebbe andare ben oltre le prime importanti acquisizioni immediate, oltre e contro i blocchi esterni e le interruzioni proprie di un percorso che ovviamente non ha nulla di predeterminato. Quali le contraddizioni che l’intervento militare può far emergere?

 

Primo. La mistura di hard e soft power Usa al suono dei missili seppur con un profilo di iniziativa defilato dietro gli “alleati” - della banda anche qualche emirato arabo - non è affatto detto che riesca convincente o anche solo indifferente agli occhi delle piazze arabe. E, anche al di là di segnali visibili (solo in Tunisia c’è stata qualche manifestazione ma non di massa contro i bombardamenti), non è detto che riesca a incanalare in senso filoccidentale quelle energie impegnate in prima istanza a far pulizia interna contro i diversi regimi dell’area.

 

Secondo. C’è stato un evidente scambio tra l’intervenire in Libia e il lasciar correre da parte di Washington rispetto alla repressione in atto nella penisola arabica. Non si tratta solo degli intrallazzi dei Saud per armare i ribelli libici, come documentato da Robert Fisk[16], delle loro pressioni su Francia e Gran Bretagna per l’intervento, della propaganda antilibica di Al Jazeera e della sua s/copertura rispetto ai bombardamenti su Tripoli, e di altre finezze del genere. Si tratta principalmente del fatto che se e quando nel cuore delle petro-monarchie la ribellione inizierà ad ampliarsi, il conto sarà presentato anche ad Obama. Nel Bahrein questo è già evidente. Certo, Washington non lo pagherà questo conto fino a che gli emiri non saranno caduti.

 

Terzo. La Libia potrebbe non essere una passeggiata per la coalizione dei volenterosi. Il consenso a Gheddafi, non solo a Tripoli, pare non proprio minoritario e anzi aumenta proprio a causa dei bombardamenti, secondo il Washington Post. [17] Questo mentre le forze dei ribelli potrebbero non essere da sole sufficienti a procurare il cambio di regime agognato. Si tratterà di vedere se dall’interno del campo gheddafiano verrà fuori una carta di ricambio. In ogni caso difficile prevedere stabilità per un paese la cui popolazione si è di fatto spaccata in due, tra repressione del rais e invocati bombardamenti stranieri.

 

Quarto. Quanto andrà avanti la passività tra la gente comune in un’Europa prossima al teatro di guerra? Passività dovuta non all’incomprensione del gioco che si sta giocando, ma allo smarrimento tra gli effetti della crisi globale e l’incapacità di legarsi attivamente, al di là della sorpresa e di una generica simpatia, alla sollevazione araba. Le rinate pulsioni di chiusura xenofoba in relazione al temuto arrivo di “ondate” di profughi sono il riflesso stravolto della ripresa di parola e dignità nel mondo arabo. Al medesimo albero sembrano appesi frutti marci e promettenti primizie.

 

Quinto. Se Obama dovesse impantanarsi in Nord Africa, nella sua war of choice, senza un ritorno immediato dall’ennesima avventura militare, i nodi critici dell’indebitamento statunitense e della crisi economico-sociale interna potrebbero diventare difficilmente gestibili.

 

Tutto ciò costringe i volenterosi a procedere con una qualche “cautela”, anche in termini militari. Costringe Washington all’understatement rispetto a ruolo e obiettivi.[18] Che è anche la ragione di fondo di quello che appare il caos nella catena di trasmissione fra strategia politica e comando delle operazioni militari. Lo esprime nel consueto asciutto linguaggio l’Economist: “Difficile pensare a un’impresa militare concepita con così tanti dubbi e ansie”.[19] Le incognite sono molte. Il successo della scommessa di Obama dipende... dal successo.

 

Non in termini prioritariamente militari, di nuovo. Il vero ostacolo alla politica di Obama sta nella reazione delle piazze arabe, nella loro capacità di portare fino in fondo la propria spinta senza farsi scippare la rivoluzione ma conquistandosi in questo percorso una effettiva ancorchè non facile autonomia. [20] Costruendo potenza in tutte le dimensioni a partire dalla capacità di ricomporre le istanze di libertà e democrazia con la spinta a riappropriarsi della produzione e riproduzione della vita. Quanto più l’opposizione ai regimi si rafforza su questo piano autenticamente di massa costituendo un nuovo soggetto “multitudinario”, tanto più diverrà difficile per l’Occidente precipitarsi ad “aiutarla”. [21] La rivoluzione araba non ha bisogno di un pezzetto di presente da redistribuirsi settorialmente o territorialmente, magari con le armi e però sotto lo sguardo di nuovi interessati tutori, ma piuttosto di un mondo comune da ricostruire.

 

Il che, detto con la cautela dovuta alla scarsissima informazione e senza concessione alcuna al rais libico, pone dei seri punti di domanda su quanto sta dandosi a Bengasi. Se è vero che, come ha scritto finanche il sito di Al Jazeera - tutt’altro che filo-gheddafiano - i ribelli libici “con poche armi e disperati, non sorprende abbiano invocato l’aiuto internazionale... mettendo però a rischio la propria indipendenza”. [22]

 

Europa, Europa

 

Una delle principali conseguenze del protagonismo francese è la rottura con Berlino. Davvero un bel risultato in prospettiva per la Francia e l’Europa. Il cow-boy parigino ha saltato la fila per bombardare prima degli altri ma, quel che è più ridicolo, pensa davvero di aver preso l’iniziativa. Se ne accorgerà presto anche se cercherà di coprire i danni con la sua parte di bottino... sottratta all’altro pagliaccio italiano che si sta contorcendo in tutti i modi per apparire anche lui volenteroso in vista dei residui dividendi da non perdere del tutto. Inutile cercare da queste parti qualsivoglia prospettiva di qualche respiro. Del resto cosa aspettarsi da figuri che hanno sostenuto fino all’ultimo Ben Ali e Mubarak.

 

La Germania non è della partita. Merkel ha operato uno strappo rispetto alla santa alleanza occidentale guardando non solo ai propri interessi energetici e alla propria opinione pubblica ma al legame in prospettiva con l’Oriente e i paesi emergenti coi quali Berlino è in grado di interagire attraverso prodotti e investimenti. Una mossa che, abbinata alla prospettiva di accelerare la fuoriuscita dal nucleare, sta già procurando alla cancelliera malumori nel suo partito, critiche dalle diverse voci interventiste, anche in parte di verdi e socialdemocratici - ah!, la “sinistra” europea - e velate minacce dagli ambienti statunitensi che rinfacciano a Berlino di non saper giocare da global player... alle loro regole. [23]

 

Il meno che si possa dire è che l’Europa nel suo insieme si sta pienamente meritando questa deriva. Incapace di dare una purchè minima risposta in positivo alle istanze provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo, succube di meschine rivalità nazionali, senza alternative effettive alla crisi della finanziarizzazione. Si vedrà se la spaccatura tra Parigi e Berlino avrà ripercussioni sulla capacità europea di reagire al prossimo tornante della crisi e agli attacchi speculativi ai debiti sovrani, che il quasi default portoghese potrebbe annunciare. E’ chiaro che l’offensiva obamiana per un “nuovo” Medio Oriente, anche con le armi, preannuncia la ferma intenzione di Washington di far pagare a altri i costi maggiori della crisi globale tutt’altro che risolta.

 

Di fronte a ciò resta che nessuna centralizzazione della governance economica europea, che pure Berlino ha portato avanti in questo ultimo anno, può alla lunga fare a meno di una stretta politica. E qui ritorna per il vecchio continente, e in particolare per Berlino, il dilemma di sempre: come possono le classi dirigenti riunificarsi senza rischiare di unificare il proletariato? Ovvero, come creare una efficace sovranità a un livello sovranazionale senza passare per un potere costituente? La multilevel governance è solo un palliativo...

 

Impero in crisi?

 

Se la Germania conferma la linea già seguita nel 2003, con coerenza non succube dell’obamamania, l’altro dato significativo è il configurarsi del fronte anti-interventista Brasilia-Mosca-Delhi-Pechino (Bric) che a sua volta dà oggettivamente ancora più risalto alla scelta tedesca. Esso ha poi fatto inevitabilmente da sponda ad altri soggetti statuali come il Sudafrica, all’inizio favorevole alla no-fly zone, e più in generale all’Unione Africana. C’è poi l’attivismo della Turchia - cerniera tra diverse aree geopolitiche e geoeconomiche, punta a giocare un ruolo di punta nel “nuovo” Medio Oriente nei fatti in concorrenza con il tentativo obamiano - che si frappone a un intervento targato Nato che “punti il fucile contro il popolo libico”.

 

La domanda che torna insistentemente anche in questa vicenda è se si sta facendo strada un'altra sponda, rispetto all'America e ai suoi alleati europei, se non addirittura un possibile assetto mondiale alternativo all'Occidente. La prima cosa è evidente ma tutt’altro che scontata. La seconda pare ad oggi solo un’opzione teorica. Ma al di là di un tema complesso e dai contorni indistinti, alcune riflessioni si possono fare a partire proprio dalla vicenda libica e più in generale dalla sollevazione delle piazze arabe.

 

Quello che vediamo sul versante statuale “anti-americano” è innanzitutto una reazione difensiva. E’ evidente, ad esempio, che Pechino ha tutto da perdere dall’eventuale successo dell’offensiva statunitense in Africa. Il rischio non è solo economico, è politico - basta pensare al Tibet - così come per la Russia nelle sue pur sempre instabili periferie. Ma il problema per questi paesi - a parte forse il Brasile però troppo distante - è che realisticamente non possono fare da sponda alle piazze arabe, in senso politico - desideri, immaginari e istanze di change - e sul piano finanziario a meno di scontrarsi direttamente con il comando globale del dollaro. Non è un caso allora che gli avvenimenti in Tunisia e Egitto abbiano messo in seria preoccupazione, ma per motivi opposti a quelli di Washington, anche Pechino minacciata nella sua “ascesa invisibile” sia dal moto delle masse sia dalla controffensiva a stelle e strisce. Se l’operazione Obama riuscisse gli States ne uscirebbero rafforzati anche nei confronti della Cina. Transitoriamente, certo, chè appena si ponesse in tutta la sua drammaticità il nodo della divisione internazionale del lavoro e del prelievo finanziario allora... Ciò non toglie che le pulsioni che promanano dal basso non sono certo in procinto di prendere il volo per l’Asia.

 

Questo non significa sopravvalutare la capacità di cattura del capitalismo occidentale. Ci porta anzi a provare a porre in altri termini quello che viene spesso presentato come il declino degli Stati Uniti. L’indebolimento relativo, su tutti i piani, degli Stati Uniti è un fatto. Il terremoto sociale e politico in Medio Oriente e in Nord Africa è uno scossone all’ordine americano (basta guardare ai timori di Israele). Ma più che rinviare in prospettiva alla successione egemonica di un’altra potenza in ascesa andrebbe letto nel quadro dello sfrangiamento, se non di una vera e propria disarticolazione, del sistema internazionale nel suo insieme, in controluce con la dinamica della crisi globale di cui in Occidente ancora non si sono visti gli effetti più dirompenti. Di qui lo “scongelamento” dei fronti geopolitici e dei blocchi sociali, di qui l’indeterminatezza crescente di alleanze, forme di governance e policies. In questo quadro non possiamo consolarci nè con l’idea di processi deterministici nè specularmente con l’immagine di un caos indistinto in cui tutte le vacche sono nere. Fuor di metafora: bisogna pur sempre fare i conti con la capacità degli Stati Uniti, incrinata ma non scomparsa, di farsi soggetto di ordine per l’insieme del sistema capitalistico globale. Un ruolo, è vero, sempre più parassitario e predatorio (e percepito come tale) ma comunque sia, pur nell’intensificarsi delle dinamiche competitive intercapitalistiche, senza sostituti credibili in vista. È su questa “rendita di posizione sistemica”, poggiante su un apparato finanziario e cognitivo ancora ineguagliato, che Washington può permettersi di fare ciò che il suo indebitamento vieterebbe a qualunque altra potenza. Non pare allora, allo stato, risolvibile questa situazione ibrida fra una configurazione imperiale, in cui le dinamiche competitive vengono sussunte ad una gerarchia polimorfa ma unitaria, e la classica dinamica imperialistica, in cui la competizione alla fine prevale sulla cooperazione intercapitalistica. Forse dovremo abituarci al fatto che la crisi è anche questa situazione ibrida.

 

Donne e uomini di qua e di là del Mediterraneo hanno di fronte una scelta di campo che può sfuggire alle regole del gioco imposte dai poteri globali. Dire no senza se e senza ma alla guerra, nel nuovo quadro determinato dalla crisi globale, vuol dire iniziare a creare un terreno comune contro quelle regole. Su tutto il resto possiamo e dobbiamo discutere. Ma avendo individuato il nostro battleground.

Fonte: http://www.sinistrainrete.info/estero/1307-raffaele-sciortino-boomerang-libico-per-un-fragile-occidente.


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Das europäisch-indische Freihandelsabkommen

Das europäisch-indische Freihandelsabkommen

Kavaljit Singh

Seit 2007 verhandeln Indien und die Europäische Union (EU) bereits über ein Freihandelsabkommen (FHA), das die Bereiche Handel von Gütern und Dienstleistungen, Investitionen, geistiges Eigentumsrecht und das Beschaffungswesen der öffentlichen Hand umfassen soll – aber die Verhandlungen haben mit zahlreichen Problemen zu kämpfen. Bisher fanden schon zehn Verhandlungsrunden statt. Das Abkommen soll Mitte 2011 unterschriftsreif sein.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/europa/kavaljit-singh/das-europaeisch-indische-freihandelsabkommen-die-liberalisierung-von-dienstleistungsverkehr-und-inv.html

Libye et Côte d'Ivoire: "bons" démocrates contre "méchants" dictateurs?

Libye et Côte d'Ivoire: "bons" démocrates contre "méchants" dictateurs?

Par Bernard Lugan

gbagbo-m_0.jpgEn Côte d’Ivoire comme en Libye, ce ne sont pas de « bons » démocrates qui combattent de « méchants » dictateurs, mais des tribus ou des ethnies qui s’opposent en raison de fractures inscrites dans la longue durée.

La Libye est essentiellement constituée de deux provinces désertiques, la Tripolitaine et la Cyrénaïque reliées par une route côtière le long de laquelle ont lieu des escarmouches sans contact direct que les journalistes qualifient pompeusement de « combats ». Dans chacune des deux provinces domine une coalition tribale. De l’indépendance acquise en 1951 jusqu’à la prise du pouvoir par le colonel Kadhafi en 1969, ce fut la Cyrénaïque qui exerça le pouvoir. La Tripolitaine domina ensuite.

La révolte est un soulèvement ancré en Cyrénaïque, plus particulièrement autour des villes de Benghazi et de Dernah. Les autorités françaises ont reconnu ses dirigeants comme les seuls représentants du « peuple de Libye ». Un peu comme si la Catalogne s’étant soulevée contre Madrid, Paris reconnaissait les délégués de Barcelone comme seuls représentants du peuple espagnol…

Réduits à leurs seules forces, les rebelles de Cyrénaïque ont montré qu’ils sont incapables de conquérir la Tripolitaine et même de tenir leurs positions. Il n’y a donc que deux solutions à cette guerre :

1) La « coalition » intervient en force, jusqu’à terre, comme le font actuellement les forces spéciales américaines et cela pour permettre aux rebelles d’avancer afin d’en finir avec le colonel Kadhafi. Le problème est que le mandat de l’ONU n’autorise pas les « puissances du bien et de la morale » à s’immiscer aussi profondément dans la guerre civile libyenne.

2) Comme le demande l’Union africaine depuis le premier jour, une négociation devra débuter car l’aviation de l’Otan interdira de toutes les façons aux forces du colonel Kadhafi de reconquérir la Cyrénaïque.

En Côte d’Ivoire où l’affrontement n’est pas tribal mais ethnique, le pays est plus que jamais coupé en deux et, comme il fallait hélas s’y attendre, les massacres y prennent une ampleur cataclysmique. Une offensive éclair dont on connaîtra bientôt les détails et les parrains a permis aux forces nordistes d’arriver jusqu’à Abidjan. Cependant, même si l’avantage militaire des partisans d’Alassane Ouattara était confirmé, la crise ivoirienne n’en serait pas réglée pour autant. En effet, si pour la presse occidentale cette victoire annoncée est vue comme celle du président « démocratiquement élu » contre le président illégitime, pour les 46% de la population ayant voté Laurent Gbagbo, l’explication est autre : aidé par la France et les Etats-Unis, l’ensemble nordiste musulman a repris vers l’océan une expansion bloquée durant la parenthèse coloniale.

De fait, la coupure Nord-Sud entre le monde sahélien, ouvert et traditionnellement structuré en chefferies d’une part, et le monde littoral, forestier à l’Ouest, lagunaire à l’Est, peuplé d’ethnies politiquement cloisonnées d’autre part, est la grande donnée géopolitique régionale. L’actualité confirmant la géographie et l’histoire, les solutions qui ne prendraient pas en compte cette réalité ne sauraient régler la crise en profondeur.

Source L'Afrique réelle cliquez ici

 

Ahmadinedjad hérisse le clergé chiite

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Ferdinando CALDA :

Ahmadinedjad hérisse le clergé chiite

 

Les milieux conservateurs iraniens reprochent à Ahmadinedjad d’avoir célébré la fête traditionnelle et païenne du Nowruz

 

Dimanche 27 mars 2011 à Téhéran : Mahmoud Ahmadinedjad, président de l’Iran, a inauguré officiellement les célébrations du Nowruz, fête traditionnelle persane du Nouvel An. Cette initiative a suscité bon nombre de critiques de la part des milieux conservateurs et religieux, parce qu’elle est d’essence non islamique.

 

La cérémonie s’est tenue en présence des présidents d’Afghanistan (Hamid Karzaï), d’Irak (Djalal Talabani), du Turkménistan (Gurbanguly Berdimuhammadov), du Tadjikistan (Emomali Rahmon) et d’Arménie (Serzh Sargsyan).

 

Des représentants d’une vingtaine d’autres pays assistaient également à la célébration, comme le ministre de la santé indien, le ministre des affaires étrangères d’Oman, le ministre de la culture du Kirghizistan, le vice-président de Zanzibar et le secrétaire général de l’Organisation de la Coopération économique (OCE). En deux ans, c’est la seconde fois consécutivement que l’Iran accueille les dirigeants des pays de la région pour célébrer le nouvel an persan par ce festival international du Nowruz.

 

Malgré ce succès diplomatique indéniable, les milieux conservateurs et religieux iraniens rejettent avec véhémence les racines païennes et préislamiques de cette fête et voient dans l’initiative d’Ahmadinedjad une dérive de plus vers le « laïcisme ». « L’Iran a ses fondements sur les seules valeurs islamiques », a souligné, ces derniers jours, Abdolnabi Namazi, un ayatollah membre de l’Assemblée des experts, tout en dénonçant les dangers du « nationalisme », vu l’accent mis sur les festivités traditionnelles du Nowruz. De son côté, le député conservateur Ahmad Tavakkoli, l’un des critiques les plus acerbes d’Ahmadinedjad, a demandé au gouvernement de « suspendre les festivités en signe de solidarité avec les citoyens des pays musulmans », tués lors des révoltes qui ont animé ces dernières semaines.

 

Les polémiques n’ont nullement empêché le bon déroulement des festivités du dimanche 27 mars 2011 mais ont néanmoins eu quelques conséquences. Le gouvernement, par exemple, a dû annuler  —officiellement par « manque de temps »—  les célébrations qui devaient avoir lieu dans la ville de Chiraz, proche des ruines de l’antique Persépolis, à cause de l’opposition que leur manifestaient les milieux conservateurs qui voyaient en elles une réminiscence des fastes donnés en 1971 par le dernier Shah pour les 2500 ans de l’impérialité iranienne, fêtes qui s’étaient précisément tenues à Chiraz.

 

Ce n’est pas la première fois, du reste, que les milieux religieux et conservateurs se sont dressés contre les positions qualifiées de « laïques » du Président Ahmadinedjad ; selon ces milieux, celui-ci se montrerait trop intéressés aux aspects nationaux et nationalistes de l’histoire iranienne et moins aux aspects religieux.

 

Pendant l’été 2011, par exemple, Ahmadinedjad a dû répondre à plusieurs questions parlementaires à la suite des déclarations de son chef  de cabinet, Esfandiar Rahim-Mashai, qui avait souligné la nécessité de soutenir une « école iranienne » au sein de l’islam, tout en faisant comprendre qu’il fallait par là donner la priorité aux intérêts du pays.

 

A plusieurs reprises, comme lorsqu’il s’est agi de remettre en question l’interdiction pour les hommes de porter la cravate et l’obligation pour eux de se laisser pousser la barbe, de nombreux porte-paroles du clergé chiite iranien ont invité Ahmadinedjad à « ne pas s’occuper de questions religieuses ».

 

Ferdinando CALDA.

(article paru dans le quotidien romain « Rinascita », 29 mars 2011 ; http://rinascita.eu/ ).

 

Commentaire :

La carte iranienne traditionnelle permet une meilleure diplomatie dans la région. Les tradition persanes préislamiques sont aux yeux de tous plus séduisantes que le fondamentalisme islamiste de Khomeiny.  C’est parce qu’il avait pratiqué une politique semblable que le Shah avait été éliminé par les Américains via l’artifice de la révolution islamiste. Les islamistes actuels travaillent pour les Etats-Unis en sabotant toute diplomatie iranienne traditionnelle, qui, elle, attire la sympathie de tous les voisins de l’Iran. Des clivages qu’il serait bon de garder en tête lorsque l’on pose un jugement, quel qu’il soit, sur la politique et la géopolitique du Moyen-Orient irano-centré.

lundi, 04 avril 2011

Pauvre Europe !

Pauvre Europe !

 

Ugo GAUDENZI

 

cameron-sarkozy.jpgNous ne pouvons pas vraiment affirmer que la nouvelle alliance entre Londres et Paris a été dûment sanctionnée par les termes de l’Accord franco-britannique de novembre 2010. Quoi qu’il en soit, les faits sont là et attestent d’une alliance en bon état de fonctionnement. Depuis lors, le bonhomme Sarközy a jeté aux orties la politique gaullienne anti-atlantiste et s’est découvert un nouveau rôle : celui d’être le fer de lance d’un nouvel Occident pugnace.

 

D’où l’agression éhontée perpétrée contre la Libye. D’où l’élimination du traditionnel pacte franco-allemand, qui était plus ou moins l’avatar de la politique inaugurée par De Gaulle pour faire advenir une « Europe européenne », autour d’un axe privilégié, dit « axe carolingien » ; celui-ci partait de Paris pour atteindre Berlin et, éventuellement, se projeter vers Moscou.

 

Au lieu d’emprunter la voie de l’indépendance européenne, Sarközy a fait sonner le glas annonçant le décès définitif de tout Etat supranational européen.

 

Sarközy a placé la France dans le sillage de la Grande-Bretagne : les deux puissances fonctionnent désormais comme roue de secours au fameux G2, c’est-à-dire le condominium monétaire et économique USA/Chine, qui impose ses volontés à tous, et disposent de tous, sur une planète occidentalisée.

 

Le binôme franco-britannique a réinventé des « rôles nationaux », c’est-à-dire néocoloniaux visant à apporter la « sécurité » en zone méditerranéenne : dans le Maghreb et au Proche-Orient, en Syrie et au Liban. Comme au bon vieux temps des accords Sykes-Picot. Que voilà en effet un beau passé à ressusciter !

 

Ugo GAUDENZI.

(éditorial du journal « Rinascita », Rome, 29 mars 2011 ; http://rinascita.eu/ ).

Presseschau - April 2011 / 1

lesendeBauer.jpg

Presseschau

April 2011 - 1

Hallo,
einige Links. Bei Interesse anklicken...

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AUßENPOLITISCHES

Pakistanischer Minister für Minderheiten ermordet
http://www.fnp.de/fnp/nachrichten/politik/pakistanischer-minister-fuer-minderheiten-ermordet_rmn01.c.8720663.de.html

Allah erhalte uns den verrückten Gaddafi
Von Robert Hepp
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M53e309043ec.0.html

Islamische Demokratie?
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5085fe4f2e8.0.html

Nicht nur Libyen brennt: Islamistische Gewalt in Ägypten und Tunesien in beängstigendem Ausmaß
http://www.blauenarzisse.de/index.php/gesichtet/2380-nicht-nur-libyen-brennt-islamistische-gewalt-in-aegypten-und-tunesien-in-beaengstigendem-ausmass

(Cohn-Bendit sitzt beim Rotwein in seiner Frankfurter Luxus-Gründerzeitwohnung und übt sich als Kriegstreiber…)
Cheerleader „humanitärer Interventionen“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5badad267b7.0.html

Die "Libysche Revolution" und die gigantischen libyschen
Wasserreserven
http://www.politaia.org/wp-content/uploads/2011/03/Die-libysche-Revolution.pdf

Der kleine de Gaulle und der große Rat
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5a88fee82d5.0.html

Bomben im Namen der Humanität
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57e03c11987.0.html

Gaddafi und Merkel
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5af7ffb89b0.0.html

Katzenjammer der Intellektuellen nach Referendum in Ägypten
http://www.abendblatt.de/politik/ausland/article1826529/Katzenjammer-der-Intellektuellen-nach-Referendum-in-Aegypten.html

Mahnwächter und Kerzenhalter
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M59f30c63b2a.0.html

Die Wiedergeburt der Entente cordiale
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d2351f17a8.0.html

(Godwin´s Law, mal wieder im Turbotempo)
Nahost-Konflikt
Netanjahu vergleicht Ajatollah Chamenei mit Hitler
http://www.welt.de/politik/ausland/article12948453/Netanjahu-vergleicht-Ajatollah-Chamenei-mit-Hitler.html
Israel bringt Raketenabwehr in Stellung
http://www.dw-world.de/dw/function/0,,83389_cid_14946294,00.html

X-37B
Das geheimste Raumschiff der Welt
http://www.berlinonline.de/berliner-kurier/print/politik/339136.html

(so in etwa dürfte sich das die hiesige „Linke“ vermutlich hierzulande wünschen…)
Wut über Entlassungen
Indische Arbeiter verbrennen Manager
http://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/0,1518,749062,00.html

(auf ein Urteil dürften die Täter lange warten können...)
Bummeljustiz
Indien hat die wahrscheinlich langsamsten Richter der Welt
http://www.augsburger-allgemeine.de/panorama/Indien-hat-die-wahrscheinlich-langsamsten-Richter-der-Welt-id14108971.html

(so sieht in etwa die reale Zukunftswelt unserer "Autonomen" aus, die gegen den "Bullenstaat" sind...)
Todesangst im Drogenkrieg
Schöne Polizeichefin (20) aus Mexiko flieht in die USA
http://www.bild.de/BILD/news/2011/03/04/mexiko-polizeichefin/morddrohungen-asyl-usa.html
http://www.fr-online.de/panorama/polizeichefin-auf-der-flucht/-/1472782/7732810/-/index.html

China
Weltwirtschaftliche Umbrüche
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M56475797f99.0.html

Fünfjahresplan
China baut die Kernkraft massiv aus
Während Atommeiler in Japan außer Kontrolle geraten sind, stimmt der Volkskongress in China für ehrgeizige Pläne zum Ausbau der Kernenergie. Kein Land will so viele Atomkraftwerke bauen wie das Reich der Mitte.
http://www.badische-zeitung.de/nachrichten/wirtschaft/china-baut-die-kernkraft-massiv-aus--42666599.html

Serbien
Knöllchen nur auf Kyrillisch
http://www.morgenweb.de/nachrichten/politik/20110310_mmm0000001353843.html

Lettisches Gericht genehmigt Kundgebung von SS-Veteranen
http://www.europeonline-magazine.eu/lettisches-gericht-genehmigt-kundgebung-von-ss-veteranen_116263.html

Slowenien: Zentralbank ehrt Kommunisten auf Zwei-Euro-Münze
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5afbadc52db.0.html

Grenzstreit: Konflikt um preußische Gedenktafel
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M522a4c75854.0.html

Polen protestieren gegen Holocaust-Buch
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5529c4e636a.0.html

Papst Benedikt XVI.Papst besucht Gedenkstätte für NS-Opfer
http://www.focus.de/panorama/vermischtes/papst-benedikt-xvi-papst-besucht-gedenkstaette-fuer-ns-opfer_aid_612733.html

Südafrika Petition gegen Lesbendiskriminierung: „Korrigierende Vergewaltigungen“ stoppen http://www.avaaz.org/de/stop_corrective_rape_6/?cl=990439501&v=8710

"Korrigierende Vergewaltigung"
Lesben wehren sich gegen Schändung
http://www.n-tv.de/mediathek/sendungen/auslandsreport/Lesben-wehren-sich-gegen-Schaendung-article858811.html

Portugal-Krise! Wie viel muss Deutschland zahlen?
http://www.bild.de/politik/2011/portugal-krise/sparpaket-abgelehnt-ruecktritt-17049176.bild.html

INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK

(gute Zustandsdokumentation…)
Kommunalwahl
Resigniert oder ahnungslos
http://www.fr-online.de/frankfurt/resigniert-oder-ahnungslos/-/1472798/8282260/-/index.html

Atomkraftwerk Isar II: Wie SPD und Grüne am AKW verdienen
Beide surfen auf der Anti-Atom-Welle. Die Grünen mit vollem Erfolg, die SPD halb obenauf. Beide verschweigen: Seit zig Jahren profitiert die rot-grüne Stadt München von einer 25-Prozent-Beteiligung am Atomkraftwerk Isar II.
http://www.stern.de/politik/deutschland/atomkraftwerk-isar-ii-wie-spd-und-gruene-am-akw-verdienen-1606196.html

Das passive Bürgertum
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5408f4cd7d1.0.html

Wertung aller Umwertungen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M584515fca3f.0.html

Protest in der Wohlstandsgesellschaft: Unwetter in Sicht
http://www.blauenarzisse.de/index.php/anstoss/2347-protest-in-der-wohlstandsgesellschaft-unwetter-in-sicht

Schüsse auf US-Soldaten
Das Doppelleben des Attentäters Arid U.
http://www.welt.de/politik/deutschland/article12685755/Das-Doppelleben-des-Attentaeters-Arid-U.html

CDU wertet Linkspartei gezielt auf
Ein „Streitgespräch“ mit Hintergrund
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=51

Studie zum Wählerverhalten
Grüne machen Union und FDP Konkurrenz
http://www.rp-online.de/politik/deutschland/Gruene-machen-Union-und-FDP-Konkurrenz_aid_979499.html

Erste nach Holocaust ordinierte Rabbinerin eingeführt
http://www.bild.de/regional/bremen/bremen-regional/rabbinerin-alina-treiger-wird-ins-amt-eingefuehrt-17109074.bto.html

Israel und Unesco fördern Holocaust-Bildung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b63fcc2b2b.0.html

(sie brauchen mal wieder die alte Leier…)
"Mein Kampf"-Verfilmung
Als Hitler noch Klein-Adolf war
http://www.spiegel.de/kultur/kino/0,1518,748675,00.html

Theater goes Kino
Sein Krampf
http://www.tagesspiegel.de/kultur/kino/sein-krampf/3904290.html

Lettow-Vorbeck-Allee: Gericht weist Klage gegen Umbenennung ab
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5637e14535c.0.html

Frankfurt
EZB-Neubau
Einigung bei Gedenkstätte
http://www.fr-online.de/frankfurt/einigung-bei-gedenkstaette/-/1472798/8072820/-/index.html

Hamburg
Kriegsdenkmal: Ideologie aus Muschelkalk
http://www.abendblatt.de/kultur-live/article1817275/Kriegsdenkmal-Ideologie-aus-Muschelkalk.html

Historiker kritisiert ARD für Äußerung zur Vertreibung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b964880644.0.html

Unbekannte schänden Münchner Soldatenfriedhof
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5c189169501.0.html

The Soviet Story und das baltische Ärgernis
http://www.sezession.de/23801/the-soviet-story-und-das-baltische-argernis.html#more-23801

Buchmesse 2011, die Erste
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5d6621dd81a.0.html

Agentur Karl Höffkes
http://www.karlhoeffkes.de/wp/

(ziemlich schräg im Stil…)
Demonstration für die Freilassung Horst Mahlers
http://www.4shared.com/video/GlCdy8b-/Horst_Mahler_Freiheit.html

LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS

(The old game: Antifa outet, Frankfurter Rundschau verbreitet, Arbeitgeber knickt ein…)
Neonazis
Die zwei Gesichter des jungen G.
Ein Auszubildender der Kreisverwaltung Offenbach ist angeblich rechtsextrem. Neue "Kameradschaften" machen im Rhein-Main-Gebiet derzeit von sich reden.
http://www.fr-online.de/frankfurt/die-zwei-gesichter-des-jungen-g-/-/1472798/8252262/-/index.html
(nach zwei Tagen ist er bereits gefeuert…)

Wer hat uns verraten? – Teil II
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M51c2068acb4.0.html

Verdacht und Mimikry (2)
http://www.sezession.de/23496/verdacht-und-mimikry-2.html

Linken-Politiker wegen Beleidigung verurteilt: Sarrazin kein „Arsch“, dafür aber „Fascho“?
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2362-linken-politiker-wegen-beleidigung-verurteilt-sarrazin-kein-arsch-dafuer-aber-fascho

SPD-Politiker zeigt Seehofer wegen Volksverhetzung an
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b2c4e32242.0.html

(Auch so ein Vollirrer. Man sieht: Zuviel Linksliberalismus und Vergangenheitsbewältigung haben für das Hirn die selbe Wirkung wir Jahre langer Drogenmissbrauch…)
Ich werfe Kieselsteine in den Strom…
Privater Blog von Ulrich Kasparick, Berlin
Wehret den Anfängen! Weshalb ich Horst Seehofer angezeigt habe….
http://ulrichkasparick.wordpress.com/2011/03/10/wehret-den-anfangen-weshalb-ich-horst-seehofer-angezeigt-habe/

Cottbusser Polizeichef unter Stasi-Verdacht
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M51d8f0ae6c3.0.html

SPD kritisiert neuen Stasi-Beauftragten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M570b9007ef8.0.html

«Respekt! Kein Platz für Rassismus»
IG Metall will stärker gegen Rassismus vorgehen
Günter Wallraff und Andy Möller unterstützen Initiative in den Betrieben
http://www.nh24.de/index.php/vermischtes/22-allgemein/42478-ig-metall-will-staerker-gegen-rassismus-vorgehen

„Hilfe, die Touris kommen!“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f14de76765.0.html

„Google den mal“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M558840d20f4.0.html

(Schöner Inside-Bericht… Soviel zum Reflexionsvermögen der Linken…)
Rechts = Links? Die Folgen einer fatalen Gleichsetzung und: woher kommt der Extremismusbegriff?
http://www.blauenarzisse.de/index.php/anstoss/2365-rechts-links-die-folgen-einer-fatalen-gleichsetzung-und-woher-kommt-der-extremismusbegriff

Linken-Kandidaten gehören linksextremen Organisationen an
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5322844f4c9.0.html

(eine wahrlich ganz seltsame Geschichte. Vielleicht wurde ja das Hirn gleich mit ausgewechselt?...)
Parteiübertritt nach Geschlechtsumwandlung
Linke Frau, rechter Mann
http://www.sueddeutsche.de/politik/parteiuebertritt-nach-geschlechtsumwandlung-linke-frau-rechter-mann-1.1070422

Film
Deutschland vor der RAF: «Wer wenn nicht wir»
http://www.fnp.de/nnp/nachrichten/kultur/deutschland-vor-der-raf-wer-wenn-nicht-wir_rmn01.c.8739776.de.html

War die RAF eine Frauen-Befreiungsfront?
http://www.werwennnichtwir-film.de/?p=382

"Mich interessieren die verborgenen Treibsätze"
Heute kommt Andres Veiels "Wer wenn nicht wir" in die Kinos und erzählt die Vorgeschichte der RAF. Sie fällt anders aus als erwartet
http://www.welt.de/print/die_welt/kultur/article12756108/Mich-interessieren-die-verborgenen-Treibsaetze.html

RAF-Terrorist enttarnt Bundesanwalt Buback als NSDAP-Mitglied
http://nachrichten.rp-online.de/politik/raf-terrorist-enttarnt-bundesanwalt-buback-als-nsdap-mitglied-1.577899

Grüne Paradoxien
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f174accf11.0.html

Grüner Supermarkt
Joschka Fischer als Öko-Berater
http://www.journal-frankfurt.de/?src=journal_news_einzel&id=9949

Joschka Fischer kommentiert sein Leben in einem Kinofilm
http://www.sn-online.de/Nachrichten/Kultur/Uebersicht/Joschka-Fischer-kommentiert-sein-Leben-in-einem-Kinofilm

Gericht verurteilt Angeklagten zu Geldstrafe
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M550d056e301.0.html

Linksverdrehte Gegendemo in Frankfurt
http://www.pi-news.net/2011/03/linksverdrehte-gegendemo-in-frankfurt/

(Ihre Worte verraten ihre wahren politischen Positionen…)
Bayern: SPD-Politikerin wirft Verfassungsschutz „politische Stimmungsmache“ vor
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5be8b213100.0.html

Jagd des Andrea-Röpke-Clans erfolglos: „Erste Worte“ auf Buchmesse mit Leipziger Literaturverlag vorgestellt / Rilke-Preis an Berressem
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2397-jagd-des-andrea-roepke-clans-erfolglos-erste-worte-auf-buchmesse-gemeinsam-mit-leipziger-literaturverlag-vorgestellt-rilke-preis-an-berressem

Der undeutsche Rilke und das trojanische Pferd
http://www.sezession.de/23630/der-undeutsche-rilke-und-das-trojanische-pferd.html

"Dich kennen wa, Dich wählen wa"
"Deutschlands frechster Arbeitsloser" Henrico Frank drängt in die Politik
Bei den Wiesbadener Kommunalwahlen tritt er am 27. März für den Ortsbeirat an
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/frankfurt/article12902368/Dich-kennen-wa-Dich-waehlen-wa.html
http://www.bild.de/BILD/regional/frankfurt/dpa/2011/03/20/der-einst-frechste-arbeitslose-geht-in-die.html

Deutschlands frechster Arbeitsloser Henrico Frank geht in die Politik!
http://www.bild.de/politik/inland/henrico-frank/wechsel-in-die-politik-geglueckt-17125190.bild.html

Kritik an Hamburger Innensenator wegen Äußerungen zur „Roten Flora“
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58c551c7b52.0.html

Linksextremisten schicken Patrone an Innenminister
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M59080c24081.0.html

HH: Hotel sagt Veranstaltung mit NPD-Anwältin ab
http://de.indymedia.org/2011/03/303242.shtml

EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT

McAllister dankt türkischen Einwanderern
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5119aae52ea.0.html

Grüne und SPD fordern Aufnahme von Einwanderern aus Nordafrika
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57d0ae3358e.0.html

Grüne fordern Abschiebestopp für Zigeuner in den Kosovo
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52991d9dbf4.0.html

Kulturverein Rom e.V. - Roma-Lobby in Deutschland
http://www.romev.de/

Warum Bilz-Preis für den Rom e.V.?
Aus der Rede von Fritz Bilz
http://www.nrhz.de/flyer/beitrag.php?id=1132

HNA-Interview mit Henryk M. Broder zur Islam-Debatte: „Das ist ein absoluter Nullsatz“
http://www.hna.de/nachrichten/politik/politik-lokal/henryk-broder-das-absoluter-nullsatz-1155405.html

Grüne und Islamverbände kritisieren neuen Innenminister
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M55b6c53eb8f.0.html

Union stützt Friedrich nach Breitseite gegen Islam
http://www.welt.de/politik/deutschland/article12702140/Union-stuetzt-Friedrich-nach-Breitseite-gegen-Islam.html

Streit bei Islamkonferenz: Friedrich im Dschihad
http://www.stern.de/politik/deutschland/streit-bei-islamkonferenz-friedrich-im-dschihad-1669321.html

Menschenrechtsbeauftragter besorgt über Islamkonferenz
http://blog.zeit.de/joerglau/2011/03/31/menschenrechtsbeauftragter-besorgt-uber-islamkonferenz_4772

Friedrich: Probleme „nicht politisch korrekt ausblenden“
http://www.focus.de/politik/deutschland/gesellschaft-innenminister-friedrich-weist-kritik-zurueck_aid_613783.html

(naiv)
Rede von Erdogan
Störende Gräben
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/stoerende-graeben-1142415.html

(Mozart-Oper in türkisch… Es soll der Integration dienen; inwiefern wird nicht erläutert)
Türkisch in der Oper, Tafeln mit Barenboim
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/tuerkisch-in-der-oper-tafeln-mit-barenboim_rmn01.c.8719869.de.html
Türkische Entführung
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/vermischtes/article12667775/Tuerkische-Entfuehrung.html
(lapidare Presse-Meldungen)

(Auch der Film „Almanya“ wird wohl der „Integration“ dienen sollen…)
Text von Britta Schmeis, dpa. Vielfach in der Regionalpresse gedruckt
http://www.stern.de/kultur/film/almanya-willkommen-in-deutschland-witzige-und-warmherzige-familiengeschichte-1662069.html

(Gesinnungsethiker Wulff möchte die Lage in Nordafrika vollends eskalieren lassen…)
Wulff kritisiert zögerliches Vorgehen der EU gegen Libyen
Bundespräsident Christian Wulff hat das zögerliche Vorgehen der EU gegen die libysche Führung kritisiert.
http://www.stern.de/news2/aktuell/wulff-kritisiert-zoegerliches-vorgehen-der-eu-gegen-libyen-1658404.html

Polenz: Kirchen sollen für den Islam werben
Der CDU-Politiker Ruprecht Polenz hat die deutschen Kirchen dazu aufgefordert, der Bevölkerung ein besseres Bild vom Islam zu vermitteln.
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5776298db50.0.html

(mit solchen Späßchen vertreibt sich eine bestimmte Klientel Jugendlicher die Freizeit. Manchmal natürlich auch noch mit Gewalt garniert…)
Penner in Frankfurt am Main Aufmucken
http://www.youtube.com/watch?v=iXqnZfx-4S0

SPD-Intergrationsbeauftragte: Brüder gehören Islamisten-Szene an
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fedf572d96.0.html

„Obama von Altona“ tief gefallen: Ex-Bürgerschaftsabgeordneter Bülent Ciftlik verhaftet
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2388-obama-von-altona-tief-gefallen-ex-buergerschaftsabgeordneter-buelent-ciftlik-verhaftet

Konstanz
Brutaler Überfall auf SPD-Politikerin
http://www.suedkurier.de/region/kreis-konstanz/konstanz/landtagswahl-konstanz./Brutaler-Ueberfall-auf-SPD-Politikerin%3Bart372448,4779057

(hier wird mal wieder die Nationalität verschwiegen. Nur von „jungen Männern“ ist die Rede)
Nach Attacke iPhone geklaut
http://www.familien-blickpunkt.de/aktuelles/nach-attacke-iphone-geklaut.html

Drei Männer in Hanau schlugen Prostituierte und zwangen sie zum Sex / Geständnis vor Gericht
Brutale Vergewaltiger
http://www.op-online.de/nachrichten/hanau/brutale-vergewaltiger-prozess-gestaendnis-1157414.html

Türkischer Fußballer zu Haftstrafe verurteilt
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ff20ee825e.0.html

Libanesen verletzen Polizisten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b6ab2ba547.0.html

(wenn in einem dpa-Artikel ungewöhnlicherweise die Herkunft der Täter betont wird, dann nur, um die „deutsche“ Herkunft zu betonen. Wie „deutsch“ diese dann in Wirklichkeit ist, könnte ja mal recherchiert werden…)
Obdachlosen erschlagen: Drei Jugendliche unter Mordverdacht
Vermutlich aus Langeweile haben drei Jugendliche im Wiesbadener Kurpark auf einen Obdachlosen eingeschlagen. Die Polizei sucht nach Indizien.
http://www.abendblatt.de/vermischtes/article1823164/Obdachlosen-erschlagen-Drei-Jugendliche-unter-Mordverdacht.html

Busfahrer attackiert - Offenbach
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2010501/polizeipraesidium_suedosthessen_offenbach

Berlin
Türken und Araber prügeln jungen Mann bewusstlos
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5abddd60f53.0.html

Ausländerkriminalität: Drei „Südländer“ überfallen Rentnerin in ihrem Haus
http://www.blauenarzisse.de/index.php/aktuelles/2402-auslaenderkriminalitaet-drei-suedlaender-ueberfallen-rentnerin-in-ihrem-haus

Brutaler Überfall im U-Bahnhof Kurfürstendamm
http://www.morgenpost.de/printarchiv/titelseite/article1589170/Brutaler-Ueberfall-im-U-Bahnhof-Kurfuerstendamm.html

Fehlgeburt nach Tritten in den Unterleib
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5ee755aa130.0.html

KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES

Städtebau
Die Sehnsucht der Deutschen nach der alten Zeit
http://www.welt.de/reise/staedtereisen/article12904672/Die-Sehnsucht-der-Deutschen-nach-der-alten-Zeit.html

Stadt Hannover lehnt Brückenhäuschen ab
Die Rekonstruktion des historischen Originals am Hohen Ufer in Hannover ist unerwünscht: Die Verwaltung hat eine entsprechende Bauvoranfrage abgelehnt – vor allem mit Verweis auf den Denkmalschutz.
http://www.haz.de/Hannover/Aus-der-Stadt/Uebersicht/Stadt-Hannover-lehnt-Brueckenhaeuschen-ab

Finanz-Krise um Schloss Herrenhausen
Dezernentin verwechselt brutto mit netto!
http://www.bild.de/regional/hannover/hannover/finanz-krise-um-schloss-herrenhausen-16887782.bild.html

Herrenhausen liegt voll im Plan
Schloss wird wieder aufgebaut
http://www.n-tv.de/reise/Schloss-wird-wieder-aufgebaut-article2672896.html

(Infantiler Größenwahn)
Der “Sky Tree” in Japan: Tokio hat jetzt den höchsten Fernsehturm der Welt
http://www.reisenews-online.de/2011/03/03/der-sky-tree-in-japan-tokio-hat-jetzt-den-hoechsten-fernsehturm-der-welt/

Verbindungshäuser
Wo Studenten billig wohnen und Vollwichs tragen
http://www.welt.de/wirtschaft/karriere/article13020213/Wo-Studenten-billig-wohnen-und-Vollwichs-tragen.html

Samenbomben
http://www.kuenstlerohnenamen.de/samenbomben/index2.html

Jeder kann Guerilla Gärtner werden! So leicht geht’s:
http://www.guerillagaertner.com/tipps/

Zum geistigen Eigentum
Fremdzündung
http://www.sueddeutsche.de/kultur/zum-geistigen-eigentum-fremdzuendung-1.23420

„Tatort“
Kein Klischee zu kitschig
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M506b966eac8.0.html

FamilieTrendforscher: Medienkonsum prägt Arbeitswelt
http://www.n-tv.de/ticker/Beruf/Trendforscher-Medienkonsum-praegt-Arbeitswelt-article2957181.html

Sport: Fußball
DFB will DDR-Fußball aufarbeiten
http://www.rheinpfalz.de/cgi-bin/cms2/cms.pl?cmd=showMsg&tpl=rhpMsg_thickbox.html&path=/rhp/sport/fuba&id=sid71d25bf7ea6d3791629013b94b0509ae.171

USA
Star-Staatsanwalt beim Koks-Shopping erwischt
http://www.bild.de/BILD/unterhaltung/leute/2011/03/22/paris-hilton-bruno-mars/star-staatsanwalt-david-charles-schubert-drogen-kauf-koks-shopping-erwischt.html

(Das Tierreich ist voll von unterschiedlichen sexuellen und Partnerschaftsmodellen…)
Ausstellung in London
Animalische Triebe
http://www.sueddeutsche.de/wissen/ausstellung-in-london-animalische-triebe-1.1072701
(danach auf Seite 2 weiterklicken…)

Biologieunterricht mal anders
Ausstellung "Sexual Nature" in London eröffnet
http://www.shz.de/nachrichten/deutschland-welt/leute/artikeldetail/article/2158/ausstellung-sexual-nature-in-london-eroeffnet.html

Anthropologie
Unser träges Erbgut
Viele menschliche Genvarianten sind erheblich älter als vermutet
http://www.spektrumverlag.de/artikel/1064538

Rituale
Was unser Leben zusammenhält
http://www.spektrumverlag.de/artikel/1058310

Chris Dercon
„Das Künstlerprekariat sitzt in der Falle“
http://www.monopol-magazin.de/artikel/20101584/-chris-dercon-kuenstlerprekariat.html

SOTTOFASCIASEMPLICE _ COME MAI _ (ascoltare, tutto vero!!!)
http://www.youtube.com/watch?v=JfKJ2feC0PA&feature=player_embedded#at=216

Obiettivo dei globalisti: la banca centrale libica

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Obiettivo dei globalisti: la banca centrale libica

di Eric V. Encina

Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte] 


Una notizia raramente menzionata dai politici occidentali e gli esperti dei media: la Banca Centrale Libica (N.d.T: d'ora in poi siglata con BCL) è posseduta al 100% dallo Stato. I globalisti della finanza internazionale e i manipolatori del mercato non lo gradiscono e sono intenzionati a proseguire nei loro sforzi già avviati per detronizzare Muammar Muhammad al-Gaddafi, determinando la fine della Libia come nazione indipendente.

Al momento, il governo libico crea la propria moneta, il dinaro, attraverso gli impianti della banca centrale. Alcuni potrebbero obiettare che la Libia è uno stato sovrano con grandi risorse naturali, capace di sostenere il proprio destino economico. Uno dei maggiori problemi per i cartelli bancari globalisti è che, per fare affari con la Libia, devono accordarsi con la BCL e la sua valuta, e per questi motivi hanno un dominio e una forza contrattuale pari a zero. In conseguenza di ciò, spazzare via la BCL non figurerà di certo nei discorsi di Obama, di Cameron e di Sarkozy ma è sicuramente in cima alla lista all'agenda globalista per assorbire la Libia nello sciame di nazioni accondiscendenti.

Quando il fumo dei missili Cruise e delle bombe cluster cesserà, si vedranno all'opera i riformatori dell'Occidente per riformare il sistema monetario libico, saturandolo di dollari senza valore, avviando così una serie di caotici cicli inflattivi.

La BCL è attualmente un ente al 100% di proprietà statale e rappresenta l'autorità monetaria della Jamahiriya Araba Libica del Popolo Socialista. La struttura finanziaria e le procedure gestionali di una banca statale sono naturalmente molto differenti da quelle di una banca centrale europea o di quella statunitense; le sue quote non sono detenute da banche speculative o da una lista non rivelata di azionisti privati, così come avviene per la US Federal Reserve o la Banca d'Inghilterra. Le leggi costituzionali libiche danno incarico alla BCL di mantenere la stabilità monetaria e di promuovere una crescita sostenibile della sua economia nazionale. La Libia detiene inoltre il maggior numero di lingotti d'oro in proporzione al Prodotto Interno Lordo di qualsiasi altro paese, eccetto il Libano, secondo il World Gold Council che ha sede a Londra, in base ai report di gennaio del FMI. Il prezzo dell'oro è salito a $1,429.74 per oncia il 25 marzo 2011.

Quest'oro rimarrà in Libia una volta che le forze alleate avranno preso il controllo di Tripoli, oppure verrà smarrito, o verrà scambiato con vagonate su vagonate di foglietti con sopra stampata la scritta 'US Dollars'?

PIEGARE LA LIBIA AL NUOVO ORDINE MONDIALE

Nello statuto bancario libico, uno dei principali mandati è quello di regolare la quantità, la qualità e il costo del credito per incontrare le richieste di crescita economica e di stabilità monetaria. Questo, naturalmente, è esattamente l'opposto di quanto venga svolto dalle banche centrali possedute dai privati in tutto il mondo. Le banche centrali private favoriscono l'inflazione, creano bolle speculative per poi sgonfiarle, per trasferire ingenti somme di denaro dai ceti bassi e medi nelle mani delle élite finanziarie.

Sta diventando facile diagnosticare le vere cause del caso nel Medio Oriente e dei perduranti attacchi contro la Libia. Finanza, petrolio, militarizzazione e imperialismo, globalizzazione: tutto ciò fa parte dell'agenda corrente del Nuovo Ordine Mondiale. Egitto e Tunisia sono entrambe cadute in mano a dittature militari ad interim, e sono state rese schiave da miliardi di prestiti a basso costo della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD) e della Banca Mondiale.

Qualsiasi nazione che corra nella direzione opposta all'ortodossia del NWO verrà sicuramente ostracizzata e portata in salvo dalla mannaia militare. Le azioni di guerra 'legittime' contro queste nazioni non globaliste sono designate per umiliare, degradare e compromettere i diritti umani internazionali, una condizione che è largamente non condivisa nella maggior parte dei mondo.

UN PUPAZZO CANADESE DESIGNATO LEADER PER LE OPERAZIONI DELLA NATO IN LIBIA

La maggioranza degli osservatori direbbe che il Canada è neutrale nel conflitto libico. Ma in questo caso, il consesso degli avidi potenti del mondo ha deciso che il Canada sarà in prima fila nell'intervenire nel caos libico. Con rispetto per i leader e gli ufficiali del Canada, la sua partecipazione in questo conflitto così peculiare e nella copertura dell'opera di Obama in Libia sono troppo efficaci per incamerare profitti e per impossessarsi delle risorse di quella particolare regione del mondo.
“Il ministro della Difesa del Canada Peter MacKay ha riferito venerdì che il generale Charles Bouchard è stato incaricato di condurre la campagna militare degli alleati in Libia”, (Yahoo News, 25 marzo 2011). Bouchard è di stanza a Napoli, Italia, al Comando Unitario della Forze Alleate. Il più recente incarico di Bouchard è stato quello di comandante del NORAD. MacKay aggiunge anche che “sarà comandante delle operazioni NATO, che sono ancora in fase di determinazione”.

Questa è un'ulteriore sfida per il popolo canadese; un'altra ripercussione è data dal fatto che il budget canadese sarà prosciugato da questi interventi, mentre la Bank of Canada ha come principale attività la finanza del debito. Se il Canada, in un futuro non troppo distante, continuerà a partecipare ai conflitti, diventerà allora una pienamente compiuta nazione globalista e guerrafondaia, unendosi così a USA e Regno Unito.

Ci si potrebbe chiedere cosa diventerà il mondo che è perennemente in uno stato di conflitto. Perché costruire valore solo per distruggerlo con le guerre? Perché aumentare le tasse, spendere e senza ragione devastare le entrate dello stato, creare moneta dal nulla in maniera simile all'usura, e prendere o dare in prestito denaro con interessi di modo che il debito nazionale si accumuli con progressione geometrica? Vedremo i risultati col passare del tempo: il collasso economico, la creazione di povertà, il finanziamento continuo ai venditori e produttori di armi, le guerre tecnologiche più sofisticate della storia che causano le devastazioni più incredibili e danni irreparabili alla vita umana e a quella delle nazioni.

Se le politiche estere occidentali continueranno ad avere come base la guerra, per piegare sotto il proprio controllo le risorse mondiali, sembra non esserci un futuro per l'umanità.



Eric V. Encina, vive nelle Filippine e lavora come attivista e riformatore sociale. E' anche un sostenitore del credito sociale.

Fonte: http://21stcenturywire.com
Link: http://21stcenturywire.com/2011/03/28/globalist-target-the-central-bank-of-libya-is-100-state-owned/


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

dimanche, 03 avril 2011

Le camp nationaliste en pleine confusion

Le camp nationaliste en pleine confusion

Ex: http://tpprovence.wordpress.com/ 

 

entonnoir.jpgLa confusion est actuellement grande dans le camp nationaliste en Europe. Il y a ceux qui, disons-le franchement, par antisémitisme ou par fascination femelle pour la puissance, se jettent dans les bras de l’islam. Il y a ceux qui, par haine de l’islam, se couchent devant Israël. Aucune de ces deux attitudes n’est digne d’un combattant nationaliste français et européen.

CEUX QUI SE COUCHENT DEVANT L’ISLAM

Nous avons déjà évoqué le cas du Père Lelong (dans le dernier numéro de Rivarol), qui tient des propos hallucinants de complaisance vis-à-vis du message du Coran. Les lignes qui suivent, concernant les collabos de l’islam s’inspirent largement de l’excellent texte de Pierre Vial, “Islamophiles”, paru dans la nouvelle livraison de sa revue Terre et Peuple (Terre et Peuple, BP 46, 69380 Lozanne, 7euros).

Que dit-il? «Une certaine extrême droite (qui, en général, n’aime pas qu’on l’appelle ainsi… on a ses pudeurs…) a les yeux de Chimène pour l’islam et ses adeptes.[…] Alain Soral, s’exprime ainsi au sujet des Afro-musulmans de la seconde (ou troisième) génération, désignés souvent dans la presse comme “Franco-Africains”: “C’est une chance pour eux d’être nés en France. Il faut que ces jeunes deviennent ces chances pour la France”». Propos qui rejoignent ceux que Jean-Marie Le Pen tenait à la tribune de l’Assemblée nationale, en 1958: «Il ne faut pas dire que l’Algérie a besoin de la France. Il faut dire que la France a besoin de l’Algérie. Nous avons besoin d’une jeunesse vigoureuse… etc.». Et Pierre Vial de relever cependant que certains réussissent le grand écart: leur sympathie à l’égard du monde musulman va de pair avec leur participation au FN mariniste, dont le fonds de commerce est l’hostilité à l’islam (attention, pas aux musulmans, qui peuvent devenir de bons Français s’ils adoptent «les valeurs de la République»…). Une figure de proue de l’intellectualisme, celui qui fut le pape de la Nouvelle Droite, Alain de Benoist (qui fréquente allègrement l’ambassade d’Iran), a marqué clairement son choix en ouvrant les colonnes de la revue Eléments (n°138, janvier 2011) à Franco Cardini.

Cardini déclare son «admiration pour la civilisation musulmane» et son «amour pour l’islam». Il se dit aujourd’hui «catholique traditionaliste» et affirme mépriser «la petite bourgeoisie italienne, conservatrice et philo fasciste». Après avoir porté la chemise noire lorsqu’il était membre du MSI, au temps où dans chaque permanence du MSI présidait un grand portrait du Duce, il a choisi, aujourd’hui, de s’intégrer dans le camp du politiquement correct, ce qui est certainement plus confortable. C’est, évidemment, son droit. A chacun ses goûts.

Mais ce qui est gênant, précise Pierre Vial, c’est qu’il se couvre d’un manteau académique pour justifier son islamophilie. Et, là, le bât blesse. Car, comme il l’écrit excellemment, celui qui nous est présenté dans Eléments comme «un des plus grands médiévistes contemporains»(sic) profère quelques énormités dont rougirait un étudiant en Histoire de première année. En utilisant au passage des termes déshonorants (pour leur auteur) pour s’attaquer, sans le citer (mais Alain de Benoist répare en note cet “oubli”), à Sylvain Gouguenheim, auteur d’Aristote au Mont Saint-Michel, qui a le tort, impardonnable aux yeux de Cardini, de rendre ridicule ce dernier qui déclare: «Sans la culture musulmane, la grande époque de la culture scolastique, des universités et des cathédrales serait impensable». Bref, sans l’islam l’Europe serait barbare… On pourrait se contenter de hausser les épaules. Mais on ne peut en rester là devant le caractère misérable des attaques de Cardini contre Gouguenheim «que, déclare Cardini, l’on a l’évidence convaincu de s’asseoir sur son honnêteté intellectuelle». Ce Gouguenheim qui ose ne pas partager l’admiration inconditionnelle de Cardini pour l’islam est, en conséquence, un malhonnête, un tricheur et un vendu.

Mais Pierre Vial nous propose de nous intéresser aux propos du «grand médiéviste» Cardini, histoire de rire un peu.

Nous allons prendre, dans l’ordre où elles apparaissent dans le cadre de son entretien publié par Eléments, quelques unes de ses assertions les plus fantaisistes.

Alain de Benoist lui rappelle sa définition des croisades: «Elles ont été selon toi un “pèlerinage armé” visant à soumettre la Terre sainte à l’autorité d’un certain nombre d’Etats chrétiens».

La réponse de Pierre Vial: «Pèlerinage armé»? Oui, mais pas seulement, comme l’écrit Jean Flori dans son plus récent ouvrage (La croix, la tiare et l’épée, Payot, 2010): «La croisade n’est pas seulement une guerre de reconquête entreprise contre les envahisseurs musulmans. C’est une guerre sainte». Par ailleurs il n’a jamais été question de «soumettre la Terre sainte» à l’autorité d’un certain nombre d’Etats chrétiens. Faut-il rappeler qu’aucun chef d’Etat européen ne participait à la première croisade? Quand certains souverains prirent la croix pour les croisades suivantes, ce n’était évidemment pas pour soumettre la Terre Sainte à leur autorité (ce que ni les autres souverains européens, ni la papauté… et ni le roi de Jérusalem n’auraient accepté!).

Qui sont les croisés? Des «guerriers voués à combattre comme mercenaires au service de l’empereur de Byzance» dit Cardini.

Pierre Vial réplique: c’est faux. Le canon2 du concile de Clermont (où le pape UrbainII a lancé son appel à la croisade) est sans ambiguïté: «Quiconque, mû par sa seule piété— et non pour gagner honneur ou argent— sera parti à Jérusalem pour libérer l’Eglise de Dieu, que ce voyage lui soit compté pour toute pénitence»; Il s’agit donc, écrit Jean Flori (op.cit.), «de libérer les chrétiens (l’Eglise de Dieu) de la domination musulmane.»

On sait quelle place tient Saladin, encore aujourd’hui, dans l’imaginaire musulman, en tant que conquérant champion de l’islam. Pour nous convaincre des bons rapports qui pouvaient exister au Moyen Age entre Européens et musulmans, Cardini déclare: «Dans la tradition du XIe-XIIesiècle, Saladin est devenu[…] le paradigme idéal de la magnanimité chevaleresque».

Pierre Vial exécute le pompeux personnage qu’est Cardini: tout d’abord, faire référence au XIesiècle pour parler de la réputation de Saladin soulève une légère difficulté, puisque celui-ci est né en 1137 et mort en 1193. Notre «grand médiéviste» semble quelque peu brouillé avec la chronologie, ce qui est toujours gênant pour quelqu’un qui veut être historien… Et la «magnanimité chevaleresque» de Saladin s’est peu manifestée à l’issue de la bataille de Hattin, désastreuse défaite de l’armée chrétienne en 1187, à l’issue de laquelle Saladin a fait égorger devant lui tous les Templiers survivants (sauf le maître Gérard deRidefort, renégat pour sauver sa peau).

Cardini fait appel, pour illustrer la compréhension entre islam et chrétienté au Moyen Age, au travail de traduction du Coran commandité par l’abbé de Cluny Pierre le Vénérable.

Réponse: il oublie— ou veut oublier… ou ne connaît pas— des textes de Pierre, comme le Contra Sectam Saracinorum et le De translatione Alcorani, où l’abbé désigne l’islam comme «cette erreur, supérieure à toutes les erreurs» et «cette secte impie et la vie exécrable de son fondateur».

Cardini: «Il n’existe aucune guerre, ni pour les chrétiens, ni pour les musulmans, dont les combattants sont sanctifiés pour la seule raison qu’ils y prennent part».

Réponse: appel à la croisade du pape UrbainII à Clermont (1095): «Tous ceux qui iront là-bas et qui viendraient à perdre la vie, que ce soit au cours de leur voyage par voie de terre ou de mer, ou bien en combattant les païens, obtiendront à cette heure la rémission de leurs péchés[…] Ils vont maintenant gagner des récompenses éternelles». Traité De laude novae militiae de Bernard deClairvaux, sur la mission du Templier: «La mort des païens fait sa gloire, parce qu’elle est la gloire du Christ; sa mort est triomphante».

Cardini: «La bataille de Poitiers fut une modeste escarmouche».

Affirmation absurde: «Qu’on le veuille ou non la victoire de Poitiers eut un grand retentissement dans tout l’Occident» (Pierre Riché, Les Carolingiens, Hachette, 1983). Riché, ancien professeur d’histoire médiévale à l’université de ParisX et directeur du Centre de recherches sur l’Antiquité tardive et le Haut Moyen Age, cite le témoignage d’un chrétien de Cordoue qui voit dans la bataille de Poitiers l’affrontement entre les Sarrasins et «les gens d’Europe». Riché commente: «Il a pris conscience de l’opposition qui existe entre deux mondes et deux civilisations».

Pour faire bonne mesure, Cardini passe du Moyen Age à aujourd’hui: «Les immigrés sont une ressource pour une Europe en pleine crise démographique». Pour ceux qui n’auraient pas compris dans quel camp, lui et Benoist se rangent…

En conclusion de son article, Pierre Vial signale un ouvrage récent qui est la meilleure réponse aux élucubrations d’un Cardini: Jacques Heers, L’islam cet inconnu, Ed. de Paris, 2011. Dans ce livre Heers, qui fut professeur à la Sorbonne, où il dirigeait le département d’études médiévales, règle son compte à l’image complaisamment véhiculée aujourd’hui par des islamophiles du type Cardini, à savoir celle d’un islam qui, avec sa “tolérance”, aurait apporté un «âge d’or» qui est, en fait un pur fantasme destiné à faire tomber les défenses immunitaires des Européens.

Il y a 65 ans, le grand Mufti de Jérusalem, haute autorité morale de l’islam, se rendait à Berlin faire allégeance à Adolf Hitler et encourageait la constitution des divisions de Waffen-ϟϟ musulmanes, bosniaques notamment. Les divisions Handschar et Skankerberg furent créées. La division Handschar faillit d’ailleurs d’être dissoute par Himmler, tant elle se signalait par la cruauté de ses comportements. Quand j’évoquais la fascination pour la puissance, qui entraîne avec perversité toutes les trahisons, tous les reniements, toutes les soumissions… Autres temps, même mœurs…

CEUX QUI SE COUCHENT DEVANT ISRAËL

Dans un récent article paru dans Rivarol, nous avions évoqué le pèlerinage de mouvements nationalistes européens en Israël. Des Flamands du Vlaams Belang, des Autrichiens du Fpoe, des Allemands… Ils y rencontrèrent les plus extrémistes des extrémistes sionistes, visitèrent des colonies et se rendirent à Vad Yashem. Leur objectif était d’acquérir, enfin, dans leurs pays respectifs, une respectabilité qui leur ouvrirait la porte des médias et qui leur offrirait le sésame de l’intégration au Système. Devenir des partis de gouvernement! Le rêve ! Il est assez fascinant d’analyser leur raisonnement. Ouvrir la porte des media? Est-ce à dire que les médias européens sont entre les mains des lobbys juifs? Est-ce à dire que c’est en Israël que se décide qui peut être un parti de gouvernement en Europe, et qui ne saurait l’être? Nous l’ignorions… Marine LePen cherche, elle aussi à se rendre en Israël. Elle aussi… Le Bloc Identitaire s’était déjà signalé, lors d’une réunion à Orange, par des propos particulièrement indignes, déclarant notamment qu’«ils rompaient avec l’antisémitisme du Front national»… Passons…

Le 7 mai, une grande manifestation contre l’islamisation de l’Europe aura lieu à Cologne, en Allemagne, en présence de représentants de nombreux mouvements nationalistes européens. J’ai déjà eu l’occasion d’évoquer ici l’action que mènent des agents israéliens, conscients ou inconscients, auprès des mouvements nationalistes en Europe. Certains tenteraient, d’après mes informations, de faire participer à cette manifestation une délégation israélienne, au nom d’une sorte de front commun “occidental” contre l’islamisation. Il va sans dire qu’il est absolument hors de question pour moi, et pour nombre de mes camarades européens, de défiler sous le drapeau israélien, avec une délégation israélienne… Notre combat pour la délivrance de la France et de l’Europe est ici, en France et en Europe. Il n’est ni en Afghanistan, ni en Iran, ni en Irak, et pas davantage en Palestine ou en Israël.

Robert Spieler, Rivarol, 25 mars 2011, n°2992.

 

Droit d'ingérence impérialiste

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DROIT D'INGÉRENCE IMPÉRIALISTE
Chronique hebdomadaire de Philippe Randa

Ex: http://www.philipperanda.com/

La chute du colonel Kadhafi, exigée publiquement par l’Occident, restera une première. Il y aura un avant et un après. Avant, un pays entrait en guerre contre un autre quand il accusait celui-ci, à tort ou à raison, d’être une menace militaire pour lui-même ou pour un pays allié. Même si de tous temps, des gouvernements ont apporté des aides militaires à un camp ou à un autre lors d’une guerre civile, cela se faisait via des “légions” ou des “brigades” qui n’engageaient pas officiellement leurs pays.

Les bombardements de la France en Lybie, d’abord, la coordination par l’Otan des opérations sur le terrain ensuite, la réunion à Londres de quarante ministres des Affaires étrangères pour assurer “le pilotage politique” de l’intervention enfin, se sont faits, eux, au nom du “droit d’ingérence humanitaire” que beaucoup qualifie plus justement de “droit d’ingérence impérialiste”.
Et ce parce que l’actuel régime lybien ne s’était pas écroulé face aux mécontentements d’une partie de sa population, à l’instar de ceux de la Tunisie et de l’Égypte. La détermination du “chef et guide de la Révolution de la Grande Jamahiriya arabe libyenne populaire et socialiste” (ouf !) à reprendre les choses en main, de façon certes musclée, aurait mis un probable coup d’arrêt aux turbulences qui secouent actuellement tous les pays arabes.
Turbulences dont les USA, son allié traditionnel la Grande-Bretagne, et compère actuel la France, espèrent tirer des profits différents : conserver hégémonie économique et politique pour les premiers au Proche et Moyen-Orient, se construire un stature d’homme d’État international pour faire oublier les déboires de sa politique intérieure pour l’actuel locataire de l’Élysée.
L’échec de la révolution d’une partie du peuple lybien était une menace directe pour de telles ambitions.
Après le traditionnel pilonnage médiatique en bonne et due forme pour asseoir dans les mentalités que Mouammar Kadhafi était à lui tout seul la réincarnation de Gengis Khan, Adolf Hitler et Saddam Hussein et que les opposants à son régime étaient tous de légitimes aspirants à la liberté démocratique, islamistes compris, il n’y avait plus qu’à attendre les premières réactions du Régime de Tripoli contre les insurgés pour décider d’une intervention militaire.
Soit une ingérence caractérisée dans les affaires strictement intérieures d’un pays qui ne menaçait en rien les pays intervenants ;
Soit une volonté désormais officielle de l’ONU de contrôler, militairement si besoin est, les affaires intérieures des pays dans le monde ;
Soit cette fameuse gouvernance mondiale qu’appellent de leurs vœux les plus avides les dirigeants des puissantes multinationales, toutes par essence apatrides.
L’Allemagne s’est abstenu d’apporter sa complicité dans l’affaire pour cause d’élections, dit-on. Après soixante années de culpabilisation massive, les Allemands actuels ne sont effectivement guère enclins à participer à quelque aventure militaire… Plus importantes sont les attitudes de la Russie et de la Chine qui avaient la possibilité de bloquer l’intervention. Ils se sont contentés d’une abstention qui lui laissait le champ libre. Simple hypocrisie ou n’est-il pas légitime se penser qu’ils ont monnayés fort chères leurs neutralités ? Ce qu’ils ont obtenus en échange n’a pas été rendu publique ; c’est peut-être une des surprises à venir bientôt…
À moins que Russie et Chine ne soient persuadés que l’aventure lybienne pourrait peut-être bien être un nouveau bourbier militaire, après celui d’Afghanistan et d’Irak, où les forces auto-proclamés démocratiques pourraient bien à nouveau s’empêtrer. Pour notre part, on le saura en comptabilisant le nombre de soldats français qui pourraient y perdre leur vie. Un décompte macabre qui, de toute façon, ne commencera, comme pour les deux autres pays envahis, que dans l’après-Khadafi…


Die Wiedergeburt der Entente Cordiale

Die Wiedergeburt der Entente cordiale

Michael WIESBERG

Ex: http://www.jungefreiheit.com/

entente_cordiale.jpgDie Scham- und Bedenkenträger sind wieder unter uns: Diesmal ist es die Scham darüber, daß Deutschland in Libyen nicht für die Rechte der „Menschen in Libyen“ mitbombt. An der Spitze dieser medial hofierten Klageweiber steht mit Klaus Naumann, dem Ex-Chef des NATO-Militärausschusses, bezeichnenderweise ein ehemaliger Bundeswehrgeneral, der derzeit jedem, der ein Mikrophon vor ihm aufbaut, erklärt, er schäme sich für Haltung seines Landes, das seine „Freiheit und seinen Wohlstand auch der Bereitschaft seiner Verbündeten verdankt, für die Deutschen einzutreten“.

Womöglich bedauert es Naumann, nicht mehr Vorsitzender des NATO-Miltärausschusses zu sein; in seine Amtszeit fiel nämlich der sogenannte Kosovokrieg, in dem die „westliche Wertegemeinschaft“ unsterblichen Ruhm auf ihre Fahnen heftete, als sie das Balkan-Monster Slobodan Milošević mittels Hightech-Kampfjets wie weiland Siegfried den Drachen in die Knie zwang. Naumann indes steht beileibe nicht allein. Die FAZ sieht sogar, horribile dictu, einen neuen „deutschen Sonderweg“, von dem wir alle nur zu genau wissen, wo er endet.

Die Menschlichkeit will es

Alle diese Kritiker müssen sich fragen lassen, wie es um ihr Urteilsvermögen bestellt ist. Mehr und mehr zeichnet sich nämlich ab, daß die neue Entente cordiale, bestehend aus Frankreich sowie Großbritannien und vor allem den USA, Ziele verfolgt, die ausschließlich in der Rationalität ihrer geostrategischen Interessen liegen. An der Spitze der Kreuzzügler im Namen von Freiheit und Menschenrechte (Die Menschlichkeit will es!) steht diesmal allerdings kein US-Präsident, sondern der französische Staatspräsident Sarkozy, der mit Blick auf die Luftschläge in Libyen erklärte: „Jeder Herrscher muß verstehen, und vor allem jeder arabische Herrscher muß verstehen, daß die Reaktion der internationalen Gemeinschaft und Europas von nun an jedes Mal die gleiche sein wird.“

Das ist die Ankündigung einer beliebigen „Ausweitung der Kampfzone“, so wie es die neue Entente cordiale, die hier selbstverständlich stellvertretend für den Rest der „Gemeinschaft“ meint sprechen zu können, gerade für richtig erachtet. Diese Erklärung kommt einer Selbstermächtigung gleich, die auf einen Paninterventionismus im Namen der Ideen von 1789 hinausläuft. Wer bei diesem Kreuzzug nicht mittun will, läuft Gefahr als „Beschwichtigungspolitiker“ an den Pranger gestellt zu werden.

„Union für das Mittelmeer“

Im Fall Libyen wollte die neue Entente cordiale, nachdem sich von den Vorgängen in Ägypten und Tunesien offensichtlich überrascht wurde, nicht mehr zuschauen. Der „Volkswille“ könnte womöglich eine falsche, unerwünschte Richtung einschlagen. Ziel ist einmal, in Libyen eine der Entente gewogene Regierung an die Macht zu bringen, die bei einer Neuverteilung der Erdölressourcen die Kreuzzügler der „Wertegemeinschaft“ entsprechend „belohnt“. Zum anderen eröffnet sich die Möglichkeit, von Libyen aus Einfluß auf die gesamte Region zu nehmen. Wohl vor allem deshalb haben die USA, die diesmal aus „Image-Gründen“ im Hintergrund bleiben wollen, Frankreich im UN-Sicherheitsrat unterstützt.

Für Sarkozy eröffnen sich aber noch ganz andere Möglichkeiten, kann er doch seine „Union für das Mittelmeer“ wieder ins Spiel bringen, die bisher vor allem aufgrund des deutschen Widerstands Stückwerk geblieben ist. Ein einflußreicher Kritiker dieser „Union“ auf nordafrikanischer Seite war ja bisher der „wahnsinnige“ Gaddafi, der der EU vorwarf, mit dieser Union den Spaltpilz in Organisationen wie die Arabische Liga und die Afrikanische Union hineintragen zu wollen.

Die Deutschen werden zahlen

Bisher dümpelte diese Union wegen Unterfinanzierung vor sich hin. Wenn aber der Maghreb im Sinne der neuen Entente cordiale befriedet sein wird, werden hier die Karten mit Sicherheit neu gemischt. Neu gemischt heißt: Mit dem Hinweis darauf, daß die EU diesen Staaten, die nun auf einem „demokratischen Weg“ seien, „substantiell“ helfen müsse, wird Geld fließen, und zwar viel Geld, um Demokratie und Wirtschaft in diesen Staaten zu stabilisieren und an „westliche Standards“ heranzuführen.

Wer hier vor allem zur Kasse gebeten werden dürfte, ist unschwer zu erkennen, nämlich Deutschland. Und wenn sich Deutschland widerspenstig zeigt, wird ein Argument auf jeden Fall „hilfreich“ sein: Sarkozy verfolgt – neben der Sicherung und dem Ausbau des französischen Einflusses in der Maghrebzone – mit seiner „Union“, deren Aufbau er gerne nach dem Vorbild der EU vorangetrieben sehen möchte, unter anderem das Ziel, den Friedensprozeß zwischen Israel und seinen arabischen Nachbarn zu forcieren.

Finanzielle Erdrosselung Deutschlands

„Demokratisch bereinigte“ arabische Staaten böten ideale Möglichkeiten, diesem Prozeß die gewünschte Dynamik zu verleihen. Spätestens dann werden deutsche Politiker, die ja unentwegt davon reden, für das „Existenzrecht Israels“ einzustehen, alles unterschreiben, was die neue Entente cordiale ihnen zum Abwinken vorlegt.

Dem Ziel der schleichenden finanziellen Strangulierung des lästigen Rivalen Deutschland – in aller Freundschaft, versteht sich – wäre Sarkozy, der gerade erfolgreich die Implementierung des Euro-Schutzschirms vor allem auf deutsche Kosten betrieben hat, einen weiteren Schritt nähergekommen.

Michael Wiesberg, 1959 in Kiel geboren, Studium der Evangelischen Theologie und Geschichte, arbeitet als Lektor und als freier Journalist. Letzte Buchveröffentlichung: Botho Strauß. Dichter der Gegenaufklärung, Dresden 2002.


 

samedi, 02 avril 2011

Vom Gemüt der aufgehenden Sonne...

       

 

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Vom Gemüt der aufgehenden Sonne: Warum die Japaner trotz allem nicht verzweifeln

Geschrieben von: Kristina Kesselring   

Ex: http://www.blauenarzisse.de/

 

Verwackelte Aufnahmen von einer Anhöhe zeigen etwas, dass einem Katastrophenfilm entnommen sein könnte. Mächtige, schwarzbraune Fluten wälzen sich durch eine Stadt, schieben ganze Häuser vor sich her, nehmen Autos und Trümmer mit sich, von denen jedes einzelne Teil ein tödliches Geschoß darstellt. Die Gewalten preschen gegen Hochhäuser, zertrümmern alles, was sich die Menschen hier aufgebaut haben. Inmitten dieser Aufnahmen, aus dem Hintergrund, dringen einzelne Schreie. Die Laute sind von Verzweiflung belegt, von Fassungslosigkeit durchdrungen – und doch nicht panisch.

Es sind die ersten Minuten von Vorfällen, deren Folgen die halbe Welt seit über einer Woche in Atem halten. Und die uns alle verändern werden.

Die Ereigniskette: Erst Naturkatastrophe, dann drohender GAU

Am elften März erschütterte ein Unterwassererdbeben vor der Hafenstadt Sendai halb Japan. In der Multimillionenstadt Tokio bleiben die Schäden und Verletzten weitgehend überschaubar, doch die Region um Sendai hat es schwerer getroffen. Städte und Dörfer sind zerstört, die Menschen noch vor Schreck benommen, da prescht ein, vom Erdbeben ausgelöster, 23 Meter hoher Tsunami auf das dicht besiedelte Gebiet zu. Das Wasser zerstört das, was das Erdbeben übriggelassen hat. Man hielt es nicht für möglich, doch als seien diese Probleme nicht schwerwiegend genug, befürchtet das Land nun auch noch einen atomaren Super-GAU, weil das Atomkraftwerk Fukushima in Mitleidenschaft gezogen wurde. Keiner von uns konnte sich im Laufe der letzten Tage den Bildern entziehen.


Die neue Dimension des Leids weltweit vor Augen

Wir alle sahen schon Berichte aus Kriegsländern oder Krisengebieten – sei es in Afrika oder im asiatischen Raum. Erst vor wenigen Wochen bewegten uns die Bilder von der afrikanischen Flüchtlingswelle auf die italienische Insel Lampedusa: Tausende, verzweifelte Menschen, die Hilfe suchten, keine fanden, resignierten oder panisch wurden. Erwachsene Männer, die Hilfsgüter wegschleppten, die sie auch Frauen und hungrigen Kindern aus den Händen gerissen hatten. Ein Ellenbogenverhalten, das ganz Darwins Theorien entspricht – nur die Stärksten überleben, die „Bestangepassten“. Gutmenschen hielten dieses Leid für kaum zu übertreffen. Doch das Leid hat seit dem elften März 2011 eine neue Dimension erhalten.

Lächerlich erscheinen die 300 Toten, die knapp nach dem Unglück am Freitag gemeldet wurden. Momentan schätzt man, dass es am Ende mehr als 17000 Todesopfer zu beklagen geben wird – und das nur falls es nicht zu einem Atom-Super-GAU kommt. Es ist unmöglich alle Toten zu finden. Tausende wurden unter meterhohen Trümmern begraben, unzählige von den Fluten wieder ins Meer gespült. Kaum ein Mensch in Sendai und in der Umgebung hat niemanden verloren. Vor allem die Alten und Kinder, von denen nun viele Waisen sind, haben es schwer. Es werden auch von den Überlebenden noch viele sterben, seien es durch die Kälte, die mangelnde medizinische Versorgung oder durch Krankheiten, die sich zwangsläufig innerhalb der nächsten Tage und Wochen in den Flüchtlingslagern einstellen werden.

Irritierende Ruhe: Von einem uns seltsam fremden Anstand

Doch weswegen gerät niemand in Panik? Warum sieht man keine Menschen, die Versorgungswagen stürmen oder die Auffanglager überrennen? Trinkwasser wird knapp, in dem eigentlich hochtechnisierten Land ist die Infrastruktur um Sendai fast vollkommen zerstört, kaum einer kommt rein, niemand raus. Es herrschen chaotische Zustände. Doch vielen von uns fällt bei den Bildern, die aus den Auffanglagern dringen etwas auf. Es gibt keine Tränen, keine Schreie, nur die Wenigsten sind von der Lethargie eines Schocks gelähmt.

Keine Menschen rotten sich zusammen, um anderen irgendetwas wegzunehmen und sei es auch nur die tägliche Überlebensration. Im Gegenteil, es wird geholfen, geteilt, Nachbarn und Verwandte, die sich im Heer der Vermissten wiedergefunden haben, umarmen sich und schwören, einander beizustehen. Eine Frau wird interviewt, die sich fremder Kinder angenommen hat. Eine andere lächelt zuversichtlich in die Kamera, meint, sie würde auf die Hilfe der Regierung vertrauen. Von Politikverdrossenheit, ja sogar Hass auf die Landesoberhäupter, die scheinbar viel zu lange in der Atompolitik schluderten und nun sogar den ausländischen Hilfsorganisationen von der Einreise abraten, weil es zu schwierig sei in das Katastrophengebiet zu kommen, ist keine Spur. Noch herrscht größtenteils Vertrauen und Zuversicht.

Verhaltensstrategien: Gewöhnung an Katastrophen kann tödlich sein

Doch warum ist diese Mentalität so schwer für uns zu begreifen? Ein Grund für die Ruhe der Japaner mag ihre Erfahrung sein. Natürlich sind sie Menschen wie wir, haben dieselben Gefühle, die gleichen Ängste. Doch die Gewöhnung spielt eine gewaltige Rolle. In kaum einem Land der Welt ist man so erfahren darin mit Naturkatastrophen umzugehen wie dort. Immerhin liegt Japan direkt an zwei gewaltigen Kontinentalplatten, der pazifischen und der eurasischen Platte. Erdbebengebiet. Auch mit Vulkanausbrüchen und Tsunamis kennt man sich aus. Zweimal im Monat gibt es deutlich spürbare Erdbeben, Katastrophenübungen werden immer wieder abgehalten.

Selbst auf den Stühlen der kleinsten Schulkinder liegen Sitzkissen, die man sich über den Kopf ziehen kann, und die wenigstens einen kleinen Schutz vor herabfallenden Brocken bieten. Der Japaner ist an Katastrophen gewöhnt – und das wurde dem Volk zum Verhängnis. Als die Erdbebenwarnung kam, verließ kaum jemand sein Haus, kaum einer flüchtete oder schützte sich besonders. Zuviel Routine kann tödlich sein. Und nie zuvor war ein Erdbeben so stark oder ein Tsunami in der Region so gewaltig.

Kinder, die nicht weinen

Eine andere Ursache für die Verhaltensweisen der Bevölkerung ist die Erziehung. Japan wollte immer Stärke demonstrieren, selbst jetzt noch werden immer nur tröpfchenweise Informationen von der Regierung über das Ausmaß der Ereignisse weitergegeben. Drill, Disziplin und Ruhe sind die obersten Prinzipien mit allen Situationen umzugehen. Wer zu viele Gefühle zeigt, wird angreifbar, wird verletzlicher. In gewisser Weise ist gerade diese Ruhe der größte Schutzmechanismus der Japaner. Selbst die Kleinsten sind darauf eingeschworen. Beinahe unheimlich erscheinen uns die Kinder in den Hallen der Flüchtlingslager, die kaum weinen oder schreien.

Überlebensfähig in einer Katastrophensituation ist nur der, dem es gelingt, die größten Schrecken vorübergehend auszublenden. Nur deswegen ist es wohl vielen Menschen möglich inmitten der Trümmer zu stehen oder sich in einer langen Schlange ruhig vor den Essensausgaben anzustellen. Nur deswegen hört man überall, dass es weitergehen muss und wird. Verleugnung der Situation könnte man behaupten. Doch wenn den Menschen nichts mehr bleibt, außer dem, was sie am Leib tragen, wenn der schlimmste Fall eintritt, dann kann die Hoffnung das letzte sein, was eine ganze Region vor dem Irrsinn bewahrt. Auch nach den Ereignissen spulen die Japaner ihr Programm ab, wissen, was zu tun ist. Die Japaner sind Stehaufmännchen, keine Frage. Sie bleiben befremdlich ruhig, tun, was ihnen gesagt wird. Denn Panik würde die Lage nicht verbessern.

Gabriele Adinolfi sera à Gand mercredi prochain...

Gabriele Adinolfi sera à Gand mercredi prochain...

 

2908638258.jpgGabriele Adinolfi donnera une conférence en français à l’invitation de l’association étudiante KVHV à Gand (Flandre) mercredi 6 avril. Le Katholiek Vlaams Hoogstudentenverbond est une association étudiante flamande sur le modèle des burschenschaft germanique (mais sans duel étant un corps catholique).

 

Il retracera son parcours et notamment l’histoire du mouvement Terza Posizione dont il fut l’un des responsables dans les années 70  (mercredi 6 avril à 20 h 00, université de Gand (Hoveniersberg - Sint-Pietersnieuwstraat ), auditoire n°8).

 

Site sur Gabriele Adinolfi : cliquez ici

 

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vendredi, 01 avril 2011

Obamas "Schweinebucht" in Libyen: Imperialistische Aggression verletzt UN-Charta

Obamas »Schweinebucht« in Libyen: Imperialistische Aggression verletzt UN-Charta

Webster G. Tarpley

Am 19. März starteten amerikanische und britische Marschflugkörper gemeinsam mit französischen und anderen NATO-Kampffliegern die Operation Odyssey Dawn oder Operation Ellamy, einen neoimperialistischen Luftangriff unter einem vorgetäuschten humanitären Vorwand, gegen den souveränen Staat Libyen. Und Samstagnacht Ortszeit feuerten amerikanische Marineeinheiten im Mittelmeer im Einklang mit der Resolution 1973 des UN-Sicherheitsrates 112 Marschflugkörper auf Ziele, die nach Behauptung des Pentagons zum libyschen Luftverteidigungssystem gehörten. Aber Mohammed al-Zawi, Generalsekretär des libyschen Parlaments, erklärte auf einer Pressekonferenz in Tripolis, dieser »barbarische Angriff« und diese »grausame Aggression« habe neben militärischen Zielen auch Wohnsiedlungen und Bürogebäude getroffen. In die Krankenhäuser von Tripolis und Misurata seien viele zivile Opfer eingeliefert worden. Zawi warf den ausländischen Mächten vor, eine Rebellenführung zu unterstützen, zu der auch bekannte terroristische Elemente gehörten. Die libysche Regierung wiederholte ihre Forderung an die UN, eine internationale Beobachtergruppe nach Libyen zu schicken, um über die Ereignisse dort objektiv zu berichten.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/webster-g-tarpley/obamas-schweinebucht-in-libyen-imperialistische-aggression-verletzt-un-charta.html

jeudi, 31 mars 2011

Seit wann erlaubt die UNO-Charta den Amerikanern, ihren Staatsbankrott mit noch mehr Krieg zu lösen?

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Seit wann erlaubt die Uno-Charta den Amerikanern, ihren Staatsbankrott mit noch mehr Krieg zu lösen?

von Prof. Michel Chossudovsky

Ex: http://www.zeit-fragen.ch/

Die USA und die Nato unterstützen einen bewaffneten Aufstand im Osten Libyens und rechtfertigen dies als «humanitäre Intervention».
Dies ist nicht eine gewaltfreie Protestbewegung wie in Ägypten oder Tunesien. Die Bedingungen in Libyen sind grundsätzlich anders. Der bewaffnete Aufstand im Osten Libyens wird direkt von ausländischen Mächten unterstützt. Die Aufständischen in Bengasi hissten sofort die rot-schwarz-grüne Flagge mit dem Halbmond und dem Stern – die Flagge der Monarchie unter König Idris. Sie symbolisiert die Herrschaft der früheren Kolonialmächte.1
Militärberater und Sondereinheiten der USA und der Nato befinden sich bereits vor Ort. Der Plan war, die Operation mit den Protestbewegungen in den benachbarten arabischen Staaten zusammenfallen zu lassen. Die Öffentlichkeit wurde glauben gemacht, die Proteste hätten spontan von Tunesien und Ägypten auf Libyen übergegriffen.
Die Regierung Obama hilft in Abstimmung mit ihren Alliierten einem bewaffneten Aufstand, und zwar einen versuchten Staatsstreich: «Die Regierung Obama steht bereit, den Libyern ‹Unterstützung jeglicher Art› zu gewähren, um Muammar al Gaddafi zu vertreiben», erklärte die amerikanische Aussenministerin Hillary Clinton am 27. Februar. «Wir knüpfen gerade Kontakte zu vielen unterschiedlichen Libyern, die versuchen, sich im Osten zu organisieren, und wenn sich die Revolution nach Westen ausbreitet, auch dort. Ich denke, es ist noch viel zu früh, um zu sagen, was dabei herauskommt, aber wir werden bereit sein, jede Art von Unterstützung zu gewähren, die von den USA gewünscht wird.»
In den östlichen Landesteilen, in denen die Rebellion Mitte des Vormonats begann, bemüht man sich um die Bildung einer provisorischen Regierung.
Die USA, erklärte Clinton weiter, drohten dem Gaddafi-Regime mit weiteren Massnahmen, aber ohne zu sagen, worum es sich dabei handelt und wann sie angekündigt werden.
Laut [dem früheren republikanischen Präsidentschaftskandidaten und Senator] John McCain sollten die USA «die provisorische Regierung anerkennen, die man bereits zu bilden versucht …». Ähnlich äusserte sich auch Senator Joseph Lieberman, der «handfeste Unterstützung, die Einrichtung einer Flugverbotszone, die Anerkennung der revolutionären Regierung, eine Bürgerregierung und deren Unterstützung durch humanitäre Massnahmen» forderte, «und ich würde sie auch mit Waffen versorgen».2

 Die geplante Invasion

Die USA und die Nato erwägen derzeit eine militärische Intervention unter einem «humanitären Mandat».
«Die USA verlegen Marine- und Luftwaffeneinheiten in die Region», um «das ganze Spektrum an Optionen einer Konfrontation mit Libyen vorzubereiten: Diese Ankündigung machte der Pentagon-Sprecher Oberst Dave Lapan am 1. März. Dann sagte er: «Präsident Obama hat das Militär gebeten, sich auf diese Optionen vorzubereiten, da sich die Lage in Libyen verschlechtere.»3
Das Ziel hinter der «Operation Libya» ist aber nicht, demokratische Verhältnisse zu schaffen, sondern sich der Erdölreserven Libyens zu bemächtigen, die staatseigene National Oil Corporation (NOC) zu destabilisieren und letztendlich die Erdölindustrie des Landes zu privatisieren. Vor allem sollen die Kontrolle und der Besitz des libyschen Erdölreichtums in ausländische Hand übergehen. Die National Oil Corporation nimmt unter den weltweit 100 führenden Erdölkonzernen den 25. Platz ein. Die NOC nimmt den 25. Platz unter den weltweit führenden 100 Unternehmen ein.4
Libyen gehört mit etwa 3,5 Prozent der weltweiten Erdölreserven, mehr als zweimal so viel wie die amerikanischen Lagerstätten, zu den führenden Erdöllieferanten.
Die geplante Invasion Libyens, die bereits im Gange ist, ist Teil des umfassenderen «Kampfs um Erdöl». Praktisch 80 Prozent der libyschen Erdölreserven befinden sich im Sirte-Becken in Ostlibyen.
Die strategischen Einschätzungen hinter «Operation Libya» erinnern an frühere Militäroperationen der USA und der Nato in Jugoslawien und im Irak. In Jugoslawien lösten amerikanische und Nato-Kräfte einen Bürgerkrieg aus. Dahinter stand die Absicht, politische und ethnische Spaltungen loszutreten, die dann letztendlich zur Aufspaltung des gesamten Landes führten. Dieses Ziel wurde unter anderem durch die verdeckte Finanzierung und Ausbildung bewaffneter paramilitärischer Einheiten zunächst in Bosnien (bosnisch-moslemische Armee, 1991–1995) und anschliessend in Kosovo (Befreiungsarmee des Kosovo, UÇK, 1998–1999) erreicht. Sowohl in Bosnien als auch in Kosovo wurde gezielte Medien-Desinformation (darunter Lügen und Fälschungen) eingesetzt, um die von den USA und der EU verbreitete Behauptung, die Regierung in Belgrad habe Kriegsverbrechen begangen, zu untermauern. Damit wurde eine militärische Intervention aus humanitären Gründen  gerechtfertigt.
Ausgerechnet die «Operation Yugoslavia» wird nun als Vorbild von amerikanischen Aussenpolitikern herangezogen: Senator Lieberman verglich «die Lage in Libyen mit den Ereignissen auf dem Balkan in den 90er Jahren des vergangenen Jahrhunderts», als er sagte, die USA hätten interveniert, um einen Völkermord an den Bosniern aufzuhalten. «Zuerst lieferten wir ihnen Waffen, damit sie sich selbst verteidigen konnten. Das, denke ich, sollten wir auch in Libyen machen.»5
Das strategische Szenario besteht darin, auf die Bildung einer Übergangsregierung  in der abtrünnigen Provinz und ihre internationale Anerkennung zu drängen, was letztendlich zu einer Spaltung des Landes führen würde.
An der Umsetzung dieser Option wird schon gearbeitet. Die Invasion Libyens hat bereits begonnen.
«Hunderte amerikanische, britische und französische Militärberater sind in der Kyrenaika, der abtrünnigen östlichen Provinz Libyens, eingetroffen […] Die Berater, unter ihnen auch Mitglieder von Nachrichtendiensten, wurden am Donnerstag, dem 24. Februar, in den Küstenstädten Bengasi und Tobruk von Kriegsschiffen und Flugkörperschnellbooten aus abgesetzt.»6
Sondereinsatzkräfte der USA und ihrer Verbündeten befinden sich bereits vor Ort und liefern den Rebellen verdeckte Unterstützung. Öffentlich wurde dies, als britische SAS-Sonderkommandos in der Region um Bengasi verhaftet wurden. Sie operierten als Militärberater der Oppositionskräfte:
«Für acht Angehörige einer britischen Spezialeinheit, die sich auf einer geheimen Mission befanden, um britische Diplomaten mit führenden Oppositionellen gegen Oberst Muammar Gaddafi in Kontakt zu bringen, endete der Einsatz mit einer Demütigung, als sie von Aufständischen in Ostlibyen festgenommen wurden», berichtete die Sunday Times am 6. März 2011. Die Männer, bewaffnet aber in Zivilkleidung, behaupteten, sie sollten sich über die Bedürfnisse der Opposition informieren und ihnen Hilfe anbieten.»7
Die SAS-Angehörigen wurden verhaftet, als sie eine britische «diplomatische Mission» begleiteten, die illegal in das Land eingereist war (zweifellos von einem britischen Kriegsschiff aus), um mit führenden Vertretern der Aufständischen zu sprechen. Das britische Aussenministerium bestätigte, dass «eine kleine Gruppe britischer Diplomaten nach Ostlibyen entsandt worden sei, um Kontakte zu den Oppositionellen, die die Unterstützung der Aufständischen geniessen, zu knüpfen.»8
Diese Berichte bestätigen nicht nur die militärische Intervention des Westens (darunter einige hundert Angehörige von Spezialeinheiten), sondern machen auch deutlich, dass die Aufständischen die illegale Anwesenheit ausländischer Truppen auf libyschem Boden strikt ablehnen:
«Der SAS-Einsatz hat die libyschen Oppositionellen verärgert. Sie befahlen, die Soldaten sollten in einem Militärstützpunkt eingesperrt werden. Die Gegner Gaddafis befürchten, dieser könne alle Beweise für eine westliche militärische Einmischung ausnutzen, um eine patriotische Unterstützung für sein Regime wachzurufen.»9
Bei dem verhafteten britischen «Diplomaten», der von sieben SAS-Angehörigen begleitet wurde, handelte es sich um einen Mitarbeiter des britischen Geheimdienstes MI-6.10
Inzwischen bestätigen Stellungnahmen der USA und der Nato auch Waffenlieferungen an die oppositionellen Kräfte. Bisher nicht bestätigte Hinweise zeigen, dass den Aufständischen bereits vor den Angriffen [der libyschen Armee] Waffen geliefert wurden. Mit hoher Wahrscheinlichkeit befanden sich Militär- und Geheimdienstberater der USA und der Nato schon vor den Unruhen im Land. Nach dem selben Muster wurde in Kosovo vorgegangen: Sondereinheiten unterstützten und bildeten die UÇK in den Monaten vor den Luftangriffen 1999 und der anschliessenden Invasion Jugoslawiens aus.
Nach jüngsten Berichten konnten die libyschen Regierungseinheiten allerdings einige von den Rebellen kontrollierte Positionen zurückerobern:
«Die Grossoffensive der Pro-Gaddafi-Kräfte, die [am 4. März begann und] das Ziel verfolgt, die wichtigsten Städte und Erdölzentren den Aufständischen wieder zu entreissen, führte [am 5. März] zur Rückeroberung der wichtigen Stadt Sawija und der meisten der wichtigen Erdölstädte rund um den Golf von Sirte. In Washington und London erlitt die Forderung nach einem militärischen Eingreifen einen Dämpfer, als man erkannte, dass die nachrichtendienstlichen Erkenntnisse vor Ort über beide Seiten des libyschen Konflikts zu lückenhaft war, um als Grundlage für Entscheidungen zu dienen.»11
Die Oppositionsbewegung ist über die Frage einer ausländischen Einmischung stark gespalten. Dabei stehen sich die Graswurzelbewegungen einerseits und die von den USA unterstützten «Führer» des bewaffneten Aufstandes andererseits gegenüber, wobei letztere ein militärisches Eingreifen aus «humanitären Gründen» befürworten. Die Mehrheit der libyschen Bevölkerung, sowohl Gefolgsleute wie Gegner des Regimes, lehnen jede Einmischung von aussen ab.

Desinformation durch die Medien

Die weitreichenden strategischen Ziele, die der vorgeschlagenen Invasion zugrunde liegen, werden in der Berichterstattung der Medien nicht erwähnt. Nach den Vorgaben einer arglistigen Medienkampagne, in der Nachrichten und Meldungen buchstäblich ohne bezug auf die realen Ereignisse vor Ort fabriziert werden, ist ein Grossteil der internationalen «veröffentlichten Meinung» auf eine unbedingte Unterstützung einer militärischen Einmischung aus humanitären Erwägungen eingeschwenkt.
Diese Invasion wird in den Planungsstäben des Pentagon bereits ausgearbeitet. Sie soll ungeachtet der Forderungen der libyschen Bevölkerung durchgezogen werden, einschliesslich der Gegner des Regimes, die ihre Ablehnung einer militärischen Einmischung – als Verletzung der Souveränität ihrer Nation – deutlich gemacht haben.

Einsatz der Marine und der Luftwaffe

Sollte es zu dieser militärischen Intervention kommen, wäre die Folge ein offener Krieg, der als «Blitzkrieg» geführt werden soll, was Luftangriffe auf militärische und zivile Ziele einschliesst. In dieser Hinsicht drohte der Kommandeur des amerikanischen Zentralkommandos (Uscentcom), General James Mattis, unverhohlen, die Einrichtung einer «Flugverbotszone» schliesse praktisch umfassende Luftangriffe ein, die sich auch gegen die libysche Luftverteidigung richte:
«Es würde sich um eine Militäroperation handeln – es ginge nicht nur darum, den Menschen zu sagen, sie sollten keine Flugzeuge mehr benutzen. Man muss die Luftverteidigungskapazitäten zerschlagen, um eine Flugverbotszone einzurichten, da darf man sich keine Illusionen machen.»12
Massive Seestreitkräfte der USA und ihrer Verbündeten wurden vor der libyschen Küste eingesetzt. Das Pentagon verlegt weitere Kriegsschiffe ins Mittelmeer. Der Flugzeugträger «USS Enterprise» hatte bereits wenige Tage nach den ersten Unruhen den Suez-Kanal passiert. Auch die amphibischen Kriegsschiffe «USS Ponce» und  «USS Kearsarge» wurden in das Mittelmeer verlegt.
Ferner wurden 400 Marineinfanteristen «im Vorfeld ihres Einsatzes auf Kriegsschiffen vor der libyschen Küste» auf die griechische Insel Kreta verlegt.13
Mittlerweile haben auch Deutschland, Frankreich, England, Kanada und Italien damit begonnen, Kriegsschiffe vor der libyschen Küste einzusetzen. Deutschland hat den Einsatz dreier Kriegsschiffe unter dem Vorwand, bei der Evakuierung von Flüchtlingen an der libysch-tunesischen Grenze helfen zu wollen, angeordnet. «Frankreich schickt seinen Hubschrauberträger «Mistral», der nach Angaben des Verteidigungsministeriums die Evakuierung einiger tausend Ägypter unterstützen soll.»14
Kanada entsendet seine Fregatte «HMCS Charlotttown».
Auch die 17. Luftflotte der USA (mit Namen US Air Force Africa, die auf dem amerikanischen Luftwaffenstützpunkt in Ramstein in Deutschland stationiert ist) soll bei der Evakuierung der Flüchtlinge helfen. Andere Luftwaffenstützpunkte der USA und der Nato in England, Italien, Frankreich und dem Nahen und Mittleren Osten sind ebenfalls einsatzbereit. •

1 siehe Manilio Dinucci, Libya – When historical memeory is erased, Global Research, 28. Februar 2011
2 «Clinton: US Ready to Aid to Libyan Opposition», Associated Press, 27. Februar 2011
3 Manlio Dinucci, «Preparing for ‹Operation Libya›: The Pentagon is ‹Repositioning› its Naval and Air Forces …», in: Global Research, 3. März 2011, Hervorhebungen durch den Verfasser
4 The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies,  Libyaonline.com
5 «Clinton: US Ready to Aid to Libyan Opposition», Associated Press, 27. Februar 2011
6 DEBKAfile, «Amerikanische Militärberater in Kyrenaika eingetroffen», 25. Februar 2011
7 «Top UK commandos captured by rebel forces in Libya», in: Indian Express, 6. März 2011,
Hervorhebung durch den Verfasser
8 «UK diplomatic team leaves Libya», in: World – CBC News, 6. März 2011
9 Reuters, 6. März 2011
10 The Sun, 7. März 2011
11 «Qaddafi pushes rebels back. Obama names
Libya intel panel», in: DEBKAfile, 5. März 2011
12 «U.S. general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya», in: Mail Online, 5. März 2011, Hervorhebung durch den Verfasser
13 «‹Operation Libya›»: US Marines on Crete for Libyan deployment», in: Times of Malta, 3. März 2011
14 «Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean», in: Agenzia Giornalistica Italia, 3. März 2011.


Quelle: Michel Chossudovsky, Insurrection and Military Intervention: The US-Nato Attempted Coup d’Etat in Libya?, 7. März 2011, http://globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=23548   
(Übersetzung Zeit-Fragen)

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Depuis quand la Charte de l'ONU permet-elle aux USA de résoudre leur problème de faillite d'Etat en menant une nouvelle guerre?

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Depuis quand la Charte de l’ONU permet-elle aux USA de résoudre leur problème de faillite d’Etat en menant une nouvelle guerre?

 

par Michel Chossudovsky, Canada

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch/

Il ne s’agit pas d’un mouvement de protestation non violent comme ceux de l’Egypte et de la Tunisie. Les conditions en Libye sont fondamentalement différentes. L’insurrection armée dans l’est de la Libye est directement soutenue par des puissances étrangères. Les insurgés à Benghazi ont immédiatement hissé la bannière rouge, noire et verte avec le croissant et l’étoile: le drapeau de la monarchie du roi Idris, symbolisant le règne des anciennes puissances coloniales.1Les conseillers militaires et les Forces spéciales des Etats-Unis et de l’OTAN sont déjà sur le terrain. L’opération a été planifiée pour coïncider avec les manifestations dans les pays arabes voisins. On a fait croire à l’opinion publique que le mouvement de protestation s’est étendu spontanément de la Tunisie à l’Egypte et ensuite à la Libye.L’administration Obama en consultation avec ses alliés assiste une rébellion armée, à savoir, une tentative de coup d’Etat:«L’administration Obama reste prête à offrir ‹tout type d’assistance› au Libyens cherchant à déloger Mouammar Kadhafi», a affirmé la secrétaire d’Etat Hillary ­Clinton [le 27 février]. «Nous avons contacté de nombreux Libyens de différents horizons qui tentent de s’organiser à l’est et à l’ouest, à mesure que la révolution avance également dans cette direction. Je crois qu’il est trop tôt pour dire comment cela va se dérouler, mais les Etats-Unis seront prêts et préparés à offrir tout type d’assistance souhaitée.» Dans la partie Est du pays, là où la rébellion a débuté au milieu du mois, les efforts visant à former un gouvernement provisoire sont en branle.» Clinton a affirmé que les Etats-Unis menacent de prendre d’autres mesures contre le gouvernement de Kadhafi, mais n’a pas mentionné leur nature ou quand elles seraient annoncées.Les Etats-Unis devraient «reconnaître le gouvernement provisoire que l’on est en train de mettre sur pied [...]» [John McCain]Le sénateur Joseph Lieberman s’est exprimé en des termes similaires, préconisant «un appui tangible, [une] zone d’exclusion aérienne, la reconnaissance d’un gouvernement révolutionnaire, le gouvernement des citoyens, ainsi qu’un appui sous forme d’aide humanitaire et d’armes».2

L’invasion planifiée

Une intervention militaire est maintenant envisagée par les forces des Etats-Unis et de l’OTAN en vertu d’un «mandat humanitaire».«Les Etats-Unis sont en train de repositionner leurs forces navales et aériennes dans la région» pour préparer «leur gamme complète d’options» à l’égard de la Libye: c’est ce qu’annonce hier (mardi 1er mars) le porte-parole du Pentagone, colonel de marines Dave Lapan. Il a ainsi dit que «c’est le président Obama qui a demandé aux militaires de préparer ces options», car la situation en Libye empire.3 Le véritable objectif de l’«Opération Libye» n’est pas d’instaurer la démocratie mais de prendre possession des réserves de pétrole du pays, de déstabiliser la Compagnie pétrolière nationale de Libye (CPN ou NOC en anglais) et de privatiser tôt ou tard l’industrie pétrolière du pays, c’est-à-dire transférer le contrôle et la propriété de la richesse pétrolière libyenne dans des mains étran­gères. La CPN est au 25e rang des 100 compagnies pétrolières les plus importantes.4 La Libye est l’une des plus impor­tantes économies pétrolières au monde, avec approximativement 3,5% des réserves mondiales de pétrole, plus du double de celles des Etats-Unis. L’invasion planifiée de la Libye, laquelle est déjà en cours, fait partie de la plus vaste «bataille du pétrole». Près de 80% des ré­serves pétrolières de la Libye se situent dans le bassin du golfe de Syrte dans l’est du pays. Les hypothèses stratégiques derrière l’«Opération Libye» évoquent les engagements militaires des Etats-Unis et de l’OTAN en Yougoslavie et en Irak.En Yougoslavie, les forces des Etats-Unis et de l’OTAN ont déclenché une guerre civile. Le but était de créer des divisions ethniques et politiques, lesquelles ont finalement mené à l’éclatement d’un pays entier. Cet objectif a été atteint par la formation et le financement clandestin d’organisations paramilitaires armées, d’abord en Bosnie (Armée bosniaque, 1991–95) puis au Kosovo (Armée de Libération du Kosovo (ALK), 1998–1999). La désinformation médiatique (incluant des mensonges purs et simples et des fabrications) a été utilisée à la fois au Kosovo et en Bosnie pour appuyer les affirmations des Etats-Unis et de l’Union européenne voulant que le gouvernement de Belgrade ait commis des atrocités, justifiant ainsi une intervention militaire pour des raisons humanitaires.Ironiquement, l’«Opération Yougoslavie» est maintenant sur les lèvres des responsables de la politique étrangère des Etats-Unis: le sénateur Lieberman a «comparé la situation en Libye aux événements dans les Balkans dans les années 1990 lorsqu’il a dit: les Etats-Unis «sont intervenus pour arrêter un génocide à l’endroit des bosniaques. Et ce que nous avons fait en premier lieu a été de leur fournir des armes pour qu’ils se défendent. Je crois que c’est ce que nous devrions faire en Libye».5 Le scénario stratégique consisterait à faire des pressions en faveur de la formation et de la reconnaissance d’un gouvernement intérimaire dans la province sécessionniste dans le but de faire éclater le pays tôt ou tard.Cette option est déjà en cours. L’invasion de la Libye a déjà débuté.«Des centaines de conseillers militaires étasuniens, britanniques et français sont arrivés en Cyrénaïque, la province séparatiste de l’est de la Libye [...] Les conseillers, incluant des agents du renseignement, sont débarqués des navires de guerre et des bateaux lance-missiles dans les villes côtières de Benghazi et Tobrouk.»6 Les Etats-Unis et les Forces spé­ciales alliées sont sur le terrain dans l’est de la Libye et fournissent un appui clandestin aux re­belles. Cela a été admis lorsque des commandos des Forces spéciales SAS britanniques ont été arrêtés dans la région de Benghazi. Ils agissaient à titre de conseillers militaires pour les forces de l’opposition:«Le Sunday Times révèle aujourd’hui qu’alors qu’ils étaient en mission secrète pour mettre des diplomates britanniques en contact avec des opposants majeurs du colonel Mouammar Kadhafi en Libye, huit commandos des Forces spéciales britanniques ont été humiliés après avoir été détenus par des forces rebelles dans l’est de la Libye.Les hommes, armés, mais en tenue civile, ont affirmé qu’ils étaient là pour vérifier les besoins de l’opposition et offrir de l’aide.»7 Les forces SAS ont été arrêtées alors ­qu’elles escortaient une «mission diplomatique» britannique entrée au pays illégalement (sans aucun doute à bord d’un navire de guerre britannique) pour discuter avec les chefs de la rébellion. Le Foreign Office britannique a admis qu’«une petite équipe diplomatique britannique [avait été] envoyée dans l’est de la Libye pour prendre contact avec l’opposition soutenue par des rebelles».8 Ironiquement, les reportages confirment non seulement une intervention militaire occidentale (comprenant des centaines de forces spéciales), ils reconnaissent également que la rébellion était fermement opposée à la présence illégale de troupes étrangères en sol libyen:«L’intervention des SAS a irrité les opposants libyens qui ont ordonné que les soldats soient enfermés sur une base militaire. Les opposants de Kadhafi craignent qu’il utilise toute preuve d’interférence militaire occidentale pour former un appui patriotique en faveur de son régime.»9 Le «diplomate» britannique capturé avec sept soldats des Forces spéciales était un membre du service de renseignement britannique, un agent du MI6, en «mission secrète».10 Des armes sont fournies aux forces de l’opposition et cela est confirmé par des déclarations des Etats-Unis et de l’OTAN. Malgré l’absence de preuves établies à ce jour, des signes indiquent que des armes ont été livrées aux insurgés avant l’attaque contre la rébellion. Selon toute probabilité, des conseillers militaires et du renseignement des Etats-Unis et de l’OTAN étaient également sur le terrain avant l’insurrection. C’est le modèle appliqué autrefois au Kosovo: des forces spéciales ont entraîné et soutenu l’Armée de libération du Kosovo (ALK) dans les mois précédant la campagne de bombardement et l’invasion de la Yougoslavie en 1999.Toutefois, alors que les événements se déroulent, les forces du gouvernement libyen ont repris le contrôle des lieux détenus par les rebelles:«L’importante offensive lancée par les forces pro-Kadhafi [le 4 mars] pour arracher des mains des rebelles le contrôle des villes et des centres pétroliers les plus importants de la Libye leur a permis de reprendre la ville clé de Zawiya [le 5 mars] et la plupart des villes pétrolières autour du golfe de Syrte. A Londres et Washington, des pourparlers d’intervention militaire aux côtés de l’opposition libyenne ont été mis en sourdine lorsque l’on a réalisé que le renseignement sur le terrain, des deux côtés du conflit, était trop sommaire pour servir de base à la prise de décision.»11 Le mouvement d’opposition est fortement divisé sur la question d’une intervention étrangère.Il y a division entre le mouvement populaire et les «chefs» de l’insurrection armée appuyée par les Etats-Unis et favorisant une intervention militaire étrangère «pour des raisons humanitaires».La majorité des Libyens, à la fois les opposants et les partisans du régime, sont fermement opposés à toute forme d’intervention extérieure.

Désinformation médiatique

Les objectifs stratégiques plus vastes sous-jacents à l’invasion proposée de la Lybie ne sont pas mentionnés par les médias. A la suite d’une campagne médiatique trompeuse, où les nouvelles ont littéralement été fabriquées sans que l’on rapporte ce qui se passait sur le terrain, un large secteur de l’opinion publique internationale a accordé son appui inflexible à une intervention pour des raisons humanitaires.L’invasion est sur la planche à dessin du Pentagone. On prévoit la mettre en œuvre sans tenir compte des demandes de la population libyenne, y compris les opposants du régime qui ont exprimé leur aversion pour une intervention militaire étrangère dérogeant à la souveraineté de la nation.

Déploiement de forces navales et aériennes

Si l’intervention militaire était mise à exécution, elle entraînerait une guerre totale, une blitzkrieg, impliquant le bombardement de cibles militaires et civiles.A cet égard, le commandant du Commandement central étasunien (USCENTCOM), le général James Mattis, a suggéré que l’implantation d’une «zone d’exclusion aérienne» impliquerait de facto une campagne de bombardement extrême ciblant entre autres le système de défense antiaérienne libyen:«Il s’agirait d’une opération militaire. Il ne suffirait pas de dire aux gens de ne pas piloter d’avion. Il faudrait éliminer la capacité de défense antiaérienne afin d’établir une zone d’exclusion aérienne, donc il ne faut se faire d’illusions.»12 Une puissance navale massive des Etats-Unis et des alliés a été déployée le long de la ligne de côte libyenne.Le Pentagone envoie ses navires de guerre vers la Méditerranée. Le porte-avions USS Enterprise avait pour sa part transité par le canal de Suez dans les jours qui ont suivi l’insurrection. (www.enterprise.navy.mil) Les navires d’assaut amphibies des Etats-Unis, l’USS Ponce et l’USS Kearsarge, ont également été déployés en Méditerranée.Quatre cents Marines étasuniens ont été envoyés sur l’île de Crète en Grèce «avant d’être déployés sur des navires de guerre partant pour la Libye.13 Pendant ce temps, l’Allemagne, la France, la Grande-Bretagne, le Canada et l’Italie sont en train de déployer des navires de guerre le long de la côte libyenne.L’Allemagne a déployé trois navires de combat en prétextant aider à l’évacuation de réfugiés à la frontière entre la Libye et la Tunisie. «La France a décidé d’envoyer le Mistral, son porte-hélicoptères, lequel, selon le ministère de la Défense, contribuera à évacuer des milliers d’Egyptiens.»14  Le Canada a envoyé la frégate de la Marine NCSM Charlottetown. Entre-temps, la 17e Force aérienne étasunienne dénommée US Air Force Africa, située sur la base aérienne de Ramstein en Allemagne, aide à l’évacuation de réfugiés. Les ­forces aériennes des Etats-Unis et de l’OTAN en Grande-Bretagne, en Italie, en France et au Moyen-Orient sont en attente. •

Article original en anglais: Insurrection and Military Intervention: The US-NATO Attempted Coup d’Etat in Libya?, publié le 7 mars 2011. globalresearch.ca/PrintArticle.php (Traduit par Julie Lévesque pour Mondialisation.ca)

1     Voir Manlio Dinucci,  La Libye dans le grand jeu du nouveau partage de l’Afrique, 25/2/11

2     Clinton: US ready to aid to Libyan opposition - Associated, Press, 27/2/11

3    Manlio Dinucci, Opération Libye en préparation, Le Pentagone «repositionne» les forces navales et terrestres, Mondialisation.ca, 2/3/11

4    The Energy Intelligence ranks NOC 25 among the world’s Top 100 companies. - Libyaonline.com

5    Clinton: US ready to aid to Libyan opposition - Associated, Press, 27/2/11

6    DEBKAfile, US military advisers in Cyrenaica, 25/2/11

7    Top UK commandos captured by rebel forces in Libya: Report, Indian Express, 6/3/11

8    U.K. diplomatic team leaves Libya - World - CBC News, 6/3/11.

9    Reuters, 6/3/11

10    The Sun, 7/3/11

11    Debkafile, Qaddafi pushes rebels back. Obama names Libya intel panel, 5/3/11

12    U.S. general warns no-fly zone could lead to all-out war in Libya, Mail Online, 5/3/11

13    «Operation Libya»: US Marines on Crete for Libyan deployment, Times of Malta, 3/3/11

14    Towards the Coasts of Libya: US, French and British Warships Enter the Mediterranean, Agenzia Giornalistica Italia, 3/3/11

mardi, 29 mars 2011

La guerre contre Kadhafi: mission confuse, stratégie dure

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Günther DESCHNER :

La guerre contre Khadafi : mission confuse, stratégie dure

 

L’Occident n’est pas logique avec lui-même : ce qu’il fait en Libye ne semble pas possible ailleurs, ni au Yémen ni à Bahrein

 

Depuis une semaine, les bombes pleuvent sur la Libye. Les Etats-Unis et une poignée de pays européens, avec, en tête, la France et l’Angleterre, mènent une guerre d’intervention en Afrique du Nord, contre l’Etat créé par le Colonel Kadhafi. Mettons entre parenthèses tous les arguments qui évoquent la « démocratie » ou les « droits de l’homme » et remarquons que c’est là la sixième guerre  —après deux guerres contre l’Irak et les guerres contre l’Afghanistan, la Somalie et la Yougoslavie—  que mène l’Occident depuis que George Bush Senior a annoncé l’avènement du « Nouvel Ordre Mondial ».

 

Aucun plan pour l’avenir de la Libye…

 

Couvert diplomatiquement par la résolution 1973 du Conseil de sécurité des Nations Unies, simple chiffon de papier, la nouvelle alliance belliciste a fait pleuvoir les bombes et les missiles sur la Libye, a ordonné une interdiction de survol du sol libyen par les appareils libyens, a détruit l’aviation de Kadhafi au sol ainsi que tous les aéroports puis annihilé tous les postes de la défense anti-aérienne et les installations C3 de tout le pays. Les frappes aériennes françaises et américaines ont visé également les colonnes de blindés et les unités d’artillerie de l’armée de terre libyenne. D’après les médias américains, des unités spéciales de l’armée britannique sont à l’œuvre dans l’Est du pays, où l’opposition à Kadhafi tient ses plus solides bastions.

 

Les alliés estiment qu’ils ont le droit d’agir de la sorte malgré la formulation imprécise du texte de la résolution. Ce texte permet l’emploi de « tous les moyens nécessaires » pour protéger les « civils et les zones habitées par des civils » contre toute attaque, c’est-à-dire d’attaquer de manière arbitraire toutes les troupes libyennes si celles-ci circulent simplement à proximité de zones habitées ou se meuvent près d’insurgés, automatiquement considérés comme des « civils ».

 

En fin de compte, le Conseil de sécurité a laissé à quelques Etats le loisir totalement arbitraire de frapper des objectifs libyens, où, quand et comment ils le souhaitent. Pourtant, dès le départ, il aurait fallu être clair : toutes les attaques aériennes font des victimes civiles, surtout si elles sont perpétrées par l’US Air Force, dont les expériences en matière de « dégâts collatéraux » sont riches et variées.

 

Il n’a pas fallu attendre longtemps pour ouïr les plaintes de la Ligue Arabe qui avait pourtant admis le principe d’une guerre contre Kadhafi et cultivé l’illusion que les attaquants n’avaient qu’un seul objectif : soulager la pression qui s’exerçait sur les insurgés de Benghazi. La Russie, la Chine, le Brésil et l’Inde émettent de concert des critiques à l’encontre des frappes aériennes qui s’avèrent de plus en plus dures.

 

L’Opération « Odyssey Dawn » est le nom qu’a donné l’alliance à l’acte de guerre qu’elle vient de commettre. Ce nom est bien choisi car les puissances concernées sont encore et toujours à la recherche de la « bonne voie ». Avec l’appui de leurs forces aériennes, les Américains, les Britanniques et les Français permettront sans aucun doute aux insurgés de prendre totalement le contrôle de la partie orientale de la Libye, soit la province de Cyrénaïque, où se trouvent bien entendu les principaux gisements pétrolifères libyens. La conquête du reste du pays ne pourra pas se faire sans l’appui de troupes au sol. Dès lors, en pratique, cela nous mènera automatiquement à la partition du pays.

 

Mais on ne perçoit aucune stratégie précise dans l’action des alliés. En effet, on ne sait rien de précis quant aux plans que concoctent les puissances occidentales pour l’avenir de la Libye. On ne peut même pas affirmer qu’il en existe ! Une chose est sûre cependant, selon l’expert ès géostratégie George Friedman, qui formule son hypothèse comme suit : « L’objectif final, qui n’a pas été avoué, mais que tous comprennent, est de forcer un changement de régime et d’en établir un nouveau avec les éléments insurgés. C’est parce qu’il faudra bien les utiliser à court terme qu’on les sauve aujourd’hui de la tenaille où les tiennent les troupes de Kadhafi. Telle est la logique politique qui se profile derrière cette action militaire ».

 

Il y a différents « degrés d’oppression »

 

Le rythme rapide avec lequel les trois puissances de l’OTAN ont fait démarrer cette guerre laisse entrevoir que les plans de l’attaque avaient été préparés de concert depuis plusieurs semaines. L’intervention militaire constituerait de la sorte une réponse aux turbulences récentes qui ont animé l’Afrique du Nord et le monde arabe, à commencer par la Tunisie pour se poursuivre en Egypte et trouver un écho dans la péninsule arabique. On ne peut pourtant pas affirmer péremptoirement que le mouvement insurrectionnel libyen relève du même contexte : enlisés et englués dans des ritournelles conceptuelles éculées, les élites occidentales croient voir, dans « l’agitation arabe » et dans l’effervescence révolutionnaire qui anime toutes les strates sociales de ces pays, une volonté de créer des « sociétés démocratiques », pures copies du modèle occidental.

 

Or la tectonique qui meut l’insurrection libyenne est bien différente : elle procède de la coalescence de revendications tribales et de l’action de figures politiques, dont les motivations et les objectifs sont différents et divergents. Elles proviennent, pour une part, des anciens adversaires de Kadhafi et, pour une autre, de son propre vivier. Tous les rebelles sont pour le moment unanimes dans leur opposition au « Frère Raïs » mais, pour le reste, rien ne les unit, aucune conviction politique commune, a fortiori aucun projet de démocratie à l’occidentale.

 

Quand Kadhafi s’est mis à résister au choc des manifestations et de l’insurrection, les politiciens occidentaux ont refait de lui un paria, après lui avoir fait une cour éhontée, afin d’obtenir des avantages dans le pétrole libyen ou pour pouvoir faire des affaires lucratives avec son régime. Le premier à en avoir profité fut bien entendu Nicolas Sarközy. Aujourd’hui, le président français se pose en acteur de premier plan dans l’Opération « Odyssey Dawn » afin de redorer son blason, passablement écorné par des révélations pénibles ; en effet, on lui reproche d’avoir bénéficié d’une manne libyenne pour le financement de campagnes électorales.

 

Mais qu’y a-t-il de neuf dans le chef de Kadhafi ? Au Bahreïn et au Yémen aussi, l’insurrection populaire connaît une recrudescence inquiétante et le conflit s’envenime entre le pouvoir et ses adversaires. En Libye, le « degré d’oppression » ne semble pas être « plus fort et plus lourd » que dans d’autres pays de régime autoritaire, a déclaré récemment Richard Falk, expert ès droit des gens et porte-paroles spéciale des Nations Unies, au micro de la chaine de télévision arabe Al-Djazira. « Mais ce n’est qu’en Libye que l’Occident intervient militairement. Il est effectivement plus difficile de retirer son amitié au Roi du Bahreïn, un bon ami des puissances occidentales ; ce Roi Hamad, ne l’oublions pas, constitue une redoute contre l’Iran et permet à la 5ème Flotte américaine de mouiller dans ses ports. Quant au Président yéménite Ali Salah, il est bel et bien un dictateur aux yeux de l’Occident mais beaucoup craignent que sans lui le Yémen ne tombe aux mains d’Al-Qaïda. Il existe donc des motivations en apparence inavouées qui expliquent les différences d’attitude face à la Libye, au Yémen et à Bahreïn mais aucune d’entre elles ne relève de la sagesse ».

 

Günther DESCHNER.

(article paru dans « Junge Freiheit », Berlin, n°13/2011 ; http://www.jungefreiheit.com/ ).    

lundi, 28 mars 2011

"Aube de l'Odyssée" contre la Libye: grands principes et jeux de dupes

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« Aube de l'odyssée » contre la Libye : Grands Principes et jeux de dupes

Ex: http://www.polemia.com/ 

Qui tire les ficelles contre la Libye ? Sous le couvert des Droits de l’homme, manipulations partisanes, intérêts pétroliers et calculs politiciens font rage.

Dans l’après-midi du 19 mars, veille des cantonales, le chef de l’Etat se fendait, devant les drapeaux entrecroisés de la France et de l’Europe, d’une intervention aussi pathétique que martiale pour nous annoncer que, des peuples arabes ayant « choisi de se libérer de la servitude dans laquelle ils se sentaient depuis trop longtemps enfermés », ils « ont besoin de notre aide et de notre soutien ».

« C'est notre devoir », ajoutait Nicolas Sarkozy. « En Libye, une population civile pacifique (…) se trouve en danger de mort. Nous avons le devoir de répondre à son appel angoissé (…) au nom de la conscience universelle qui ne peut tolérer de tels crimes » et le président de la République concluait avec emphase : « Nos forces aériennes s'opposeront à toute agression des avions du colonel Kadhafi contre la population de Benghazi. D'ores et déjà, nos avions empêchent les attaques aériennes sur la ville. D'ores et déjà d'autres avions français sont prêts à intervenir contre des blindés qui menaceraient des civils désarmés. »

En effet, dix-huit Mirage et Rafale étaient mobilisés pour établir la zone d’exclusion aérienne comme l’ONU en avait finalement donné mandat, cependant que le porte-avions Charles De Gaulle recevait l’ordre de cingler vers la Tripolitaine.

Aux ordres du Pentagone

Ainsi la patrie des Immortels Principes apparaissait-elle en héraut de la conscience universelle et en fer de lance de la résistance armée au satrape de Tripoli. Seul ennui : au moment même où le petit Nicolas se livrait à ce solennel exercice d’autopromotion – présenté sur le site officiel de l’Elysée sous le titre ronflant « Crise en Libye : l'action forte, concertée et déterminée du président Nicolas Sarkozy », le vice-amiral William E. Gortney précisait du Pentagone que l'opération, baptisée Odyssey Dawn (Aube de l'odyssée), était « placée sous le commandement du général Carter F. Ham, chef du U.S. Africa Command (Africom), basé à Stuttgart (Allemagne) ». « Une force navale portant la dénomination Task Force Odyssey Dawn est commandée à la mer par l'amiral américain Samuel J. Locklear III, dont l'état-major est embarqué à bord du navire de commandement USS Mount Whitney », précisait l’amiral Gortney.

Ce que, sur le site LePoint.fr, le spécialiste militaire Jean Guisnel commentait assez cruellement : « Les autorités politiques françaises présenteront sans doute une version les plaçant en tête de gondole, mais la réalité est plus prosaïque : les Américains sont aux manettes et assurent le contrôle opérationnel de l'ensemble du dispositif (OPCON, pour Operational Control) en assurant la coordination de l'ensemble des missions et des moyens qui leur sont attribués… Les Français sont donc des « fournisseurs de moyens » à la coalition qui leur a accordé le « privilège » (ou vécu comme tel par Nicolas Sarkozy) de prendre l'air les premiers. »

En somme, dans cette affaire exhalant un fort relent de pétrole, Sarkozy serait l’estafette de la Maison-Blanche comme Giscard avait été, selon Mitterrand en 1981, « le petit télégraphiste du Kremlin ». Marine Le Pen qui, interrogée sur Europe 1 le 18 mars, mettait en garde contre le risque de guerre car « il faut être conscient que si nous engageons notre armée, d'abord il va falloir la retrouver parce qu'elle est éparpillée partout dans le monde, embourbée en Afghanistan, mais aussi parce que mener un acte de guerre contre un pays, ce n'est pas un jeu vidéo, il faut s'attendre à ce qu'il y ait une réplique », n’avait donc pas tort de se demander ensuite « si les Etats-Unis n’ont pas, une fois de plus, envoyé la France au charbon avec toutes les conséquences qui vont suivre ».

« Carnage » et lâchage… de la Ligue arabe

Ces conséquences, on les connaît :

- risque d’enlisement même si la Libye est désertique et son armée peu connue pour son efficacité (mais on se souvient quel échec fut pour Israël son intervention « Pluie d’été », pourtant apparemment sans dangers, contre le Hezbollah libanais en juillet 2006) ;
- risque de représailles terroristes ;
- risque de raz-de-marée migratoire puisque Kadhafi n’a plus aucune raison de bloquer sur son sol les candidats à l’exode vers l’Europe comme il le faisait depuis son accord avec Berlusconi ;
- et surtout revirement du monde arabo-musulman contre la « croisade occidentale » dès les premiers « dommages collatéraux », lesquels n’ont pas tardé.

Dès le 21 mars, en effet, nos pilotes étaient accusés par Libération et le Herald Tribune de s’être livrés à un « jeu de massacre » et à un « carnage », après avoir pris pour une colonne de blindés loyalistes une colonne de blindés saisis par les rebelles s’étant également emparés d’uniformes. Mais, du ciel et même avec l’aide de drones, comment reconnaître les « bons » démocrates (que l’AFP a d’ailleurs décrits « faisant les poches » des soldats tués) des « mauvais », suppôts du tyran ? Inéluctables, de telles bavures n’avaient pas été envisagées, semble-t-il, par le généralissime de l’Elysée, qui pourrait bien se retrouver en posture d’accusé si la promenade de santé tournait à la déculottée.

Au demeurant, le revirement avait été très vite amorcé : alors que, dans son allocution du 19 mars, Nicolas Sarkozy s’était targué du soutien complet d’Amr Moussa, président des Etats de la Ligue arabe – et présent au sommet de l’Elysée –, l’Egyptien se déchaînait dès le lendemain (à 14h 43) contre l’Aube de l’odyssée. Pour Moussa, candidat à la succession de Moubarak et donc soucieux de se ménager l’opinion égyptienne en vue de la présidentielle, « ce qui s'est passé en Libye diffère du but qui est d'imposer une zone d'exclusion aérienne : ce que nous voulons c'est la protection des civils et pas le bombardement d'autres civils ». Quel camouflet pour Sarkozy !

Un devoir d’ingérence très sélectif

Mais peu importe à celui-ci puisque, simultanément, dans Le Parisien, Bernard Henri Lévy lui tressait des lauriers pour s’être montré « lucide et courageux » dans le déclenchement de la « guerre juste » destinée à débarrasser la Libye « dans les délais les plus brefs, du gang de Néron illettrés qui ont fait main basse sur leur pays et l'ensanglantent, pour l'heure, impunément ».

Vive donc le devoir d’ingérence si cher à Bernard Kouchner ! Débarqué le 13 novembre 2010 du Quai d’Orsay pour incompétence, il aura remporté avec cette intervention en Libye une fameuse victoire « posthume » – dont il se réjouit d’ailleurs sans retenue, célébrant lui aussi le « courage » de Nicolas Sarkozy.

On remarquera toutefois que ce prétendu devoir s’inscrit dans une géométrie éminemment variable ainsi que le notait d’ailleurs Polémia dans son « billet » du 18 mars : « Les Occidentaux, philanthropes expérimentés, voleront au secours de la population libyenne en la bombardant. (Préservez-moi de mes amis…) Pourquoi la Libye et pas la Côte d'Ivoire ? Pourquoi Kadhafi et pas Gbagbo ? »

De même, pourquoi défendre les « résistants » de Benghazi et de Tobrouk et abandonner à leur triste sort ceux de Bahrein que, circonstance aggravante, les troupes saoudiennes et émiraties ont envahi le 14 mars à seule fin de prêter main forte au monarque de cet Etat du Golfe qui ne parvenait pas à juguler l’opposition ? Une incroyable intervention que Paris n’a pas cru devoir condamner. Quant aux Etats-Unis, ils se sont bornés à appeler leurs alliés saoudiens à la « retenue » alors qu’ils avaient fait frapper d’un embargo sauvage puis ravagé en 1990-1991, par « Tempête du désert », l’Irak coupable d’avoir envahi en août 1990 le Koweit, sa « dix-septième province ».

Et que dire du mutisme assourdissant des champions aujourd’hui autoproclamés de la conscience universelle devant la sanglante opération « Plomb durci » déclenchée fin décembre 2008 par les Israéliens contre la bande de Gaza, où la plupart des (milliers de) victimes furent des civils, de tous âges et de tous sexes ?

Les mensonges de mars

Mais on sait qu’Israël bénéficie d’une grâce d’état. Quant aux manifestants bahreinis, ils sont chiites : considérés comme vassaux de l’Iran, ils sont donc traités en supplétifs de l’« axe du mal ». On peut ainsi les réduire en charpie sans que les bonnes âmes ne s’en émeuvent, comme elles l’ont fait, à l’instar de Bernard Henri Lévy, devant les deux mille morts faits par la répression à Benghazi fin février dernier.

D’ailleurs, y en eut-il réellement deux mille ? Ce chiffre, alors avancé sur TF1, et au conditionnel, par un médecin français confiné dans son hôpital, n’a jamais été confirmé de source sûre. Il n’en est pas moins – ce qui n’est pas une première dans l’histoire – accepté sans discussion par les chancelleries occidentales et les cercles de l’OTAN.

Mais attention ! Sous le titre « Yougoslavie, Irak, Libye : les mensonges de mars », le quotidien britannique The Guardian rappelait utilement le 20 mars : « En mars 1999, on nous a dit qu’il nous fallait intervenir en Serbie parce que le président yougoslave Slobodan Milosevic avait lancé contre les Albanais du Kossovo « un génocide de type hitlérien » alors que ce qui arrivait au Kossovo était une guerre civile entre les forces yougoslaves et l’Armée de Libération du Kossovo soutenue par les Occidentaux, avec des atrocités commises des deux côtés (*). Et les proclamations sur l’arsenal de destruction massive détenu par l’Irak étaient une pure foutaise (pure hogwash) inventée pour justifier une intervention militaire… En mars 1999 comme en mars 2003, nos dirigeants nous ont menti sur les raisons réelles de notre engagement dans un conflit militaire. Comment pouvons-nous être sûrs qu’il en va différemment en mars 2011 malgré l’aval donné par l’ONU à l’intervention en Libye ? »

Le retour des faucons « néo-cons »

D’autant que les manipulateurs sont les mêmes, en commençant par Bernard Henri Lévy, à la manœuvre en Libye comme il l’avait été dans les années 1990 en Bosnie puis au Kossovo, et surtout les stratèges neo-conservative américains Paul Wolfowitz et William Kristol, ce dernier venu du trotskisme mais « partisan passionné d'Israël, de la puissance américaine et du renforcement de la présence américaine au Moyen-Orient », comme le souligne Wikipedia. Quant à Wolfowitz, secrétaire adjoint à la Défense entre 2001 et 2005 dans le gouvernement de George W. Bush puis président de la Banque mondiale jusqu’en mars 2007, c’est lui qui fabriqua la « foutaise » des armes de destruction massive irakiennes comme il l’avoua avec cynisme dans le n° de mai 2003 du magazine Vanity Fair, alors que l’Irak était crucifié. Point de détail : la nouvelle compagne de cet inquiétant personnage, Shaha Riza, est une Lybo-Britannique précédemment chargée des droits des femmes arabes à la Banque mondiale et aujourd’hui apparatchik au département d'Etat des Etats-Unis.

De son côté, le compère Kristol, auquel les frappes aériennes sur Tripoli et Syrte ne suffisent plus, préconisait le 20 mars sur FoxNews le déploiement au sol des troupes de la coalition. Contredisant Barack Obama dont il est pourtant devenu l’un des plus proches conseillers après avoir instrumentalisé Bush jr., il affirme ainsi : « Non, nous ne pouvons pas laisser Kadhafi au pouvoir et nous ne le laisserons pas au pouvoir. »

Un programme aussitôt applaudi par BHL et auquel notre président adhérera sans doute, quitte à risquer la vie de nos soldats, puisque ledit BHL est devenu son directeur de conscience et, tant pis pour l’avantageux Juppé, le vrai chef de notre diplomatie. Et tant pis également si l’opération Aube de l’odyssée favorise l’instauration d’un « Emirat islamique de la Libye orientale dans la région pétrolière de Tobrouk », avènement redouté par le ministre italien des Affaires étrangères, Franco Frattini, dans une déclaration du 22 février. Tout comme Tel Aviv finança le Hamas pour affaiblir l’OLP de Yasser Arafat, la « croisade » (dénoncée le 21 mars par Vladimir Poutine) aboutira-t-elle au remplacement de Kadhafi par des Barbus ? Beau résultat, en vérité !

Kadhafi, sinistre bouffon mais roi de Paris

Peu nous chaut évidemment le sort du colonel libyen qui, depuis des décennies, n’a eu de cesse de monter contre la France ses anciennes colonies africaines, au prix de sanglantes guerres civiles. Comme au Tchad où il soutint sans défaillance Hussein Habré, kidnappeur de Mme Claustre, assassin du commandant Galopin et, parvenu au pouvoir, responsable de plus de 40.000 morts, ce qui lui a valu le 15 août 2008 d’être condamné à mort (par contumace) pour crimes contre l'humanité par un tribunal de N'Djaména. Et nous n’oublions pas la responsabilité directe de Kadhafi dans d’innombrables actes de terrorisme, dont l’attentat de 1989 contre un avion de la compagnie française UTA – 170 morts.

Mais, justement, Sarkozy, lui, avait oublié ces faits d’armes, de même que l’impitoyable répression s’abattant depuis quarante ans sur les opposants au chef de la « Jamariya » quand, en décembre 2007, il réserva un accueil triomphal au sinistre bouffon – qui, après avoir obtenu de planter sa tente bédouine dans le parc du vénérable Hôtel de Marigny, fit d’ailleurs tourner en bourriques les services du protocole et la préfecture de Paris. Il est vrai qu’à l’époque, le président français avait cru pouvoir annoncer la signature de contrats pour une valeur d' « une dizaine de milliards d'euros ». Soit, selon Claude Guéant, alors secrétaire général de l’Elysée, « l'équivalent de 30.000 emplois garantis sur cinq ans pour les Français ». Essentiellement dans le domaine militaire puisque l’on nous faisait miroiter la vente, dans « deux ou trois mois », s’il vous plaît, de quatorze Rafale – les mêmes Rafale qui, finalement jamais achetés, bombardent aujourd’hui la Libye.

Un calcul bassement politicien

Autant que le non-respect par Kadhafi des sacro-saints droits de l’homme, et l’habituel alignement sur l’Hyperpuissance, est-ce le dépit engendré par ces illusions perdues qui a incité le chef de l’Etat à nous lancer dans l’aventure libyenne ?

Sans doute, mais même si BHL, toujours lui, félicite Sarkozy d’avoir eu « le juste réflexe – pas le calcul, non, le réflexe, l'un de ces purs réflexes qui font, autant que le calcul ou la tactique, la matière de la politique », il est difficile de ne pas voir dans la démarche présidentielle un calcul politique. Et même politicien. A l’approche d’élections annoncées comme catastrophiques pour la majorité, l’Elyséen devait à tout prix se « représidentialiser ». Quoi de mieux, pour y parvenir, que d’adopter la flatteuse posture de chef des armées, de plus arbitre planétaire des élégances morales ?

Echec sur toute la ligne. Aux cantonales du 20 mars, l’UMP, talonnée par un FN à 15,56% (résultat jamais atteint dans ce type de scrutin), n’a obtenu que 17,07% des suffrages, contre 25,04% au PS.

Alors, tout ça (car il faudra bien donner un jour le coût du ballet aérien et de la croisière du Charles-De-Gaulle) pour ça ?

Camille Galic
21/03/2011

(*) Voir notre article du 28 février « Albanie : la dictature de la corruption, meilleur allié de l'islamisation » :

Correspondance Polémia - 22/03/2011

La grande guerre de Nicolas le petit

La grande guerre de Nicolas le petit

 

Sarkozy_guerre_libye_kadhafi.jpgÉric Besson avant de se renier, alors qu’il était encore socialiste, publia un petit opuscule fort bien fait intitulé « Sarkozy l’Américain ». Il y expliquait comment les néo-con yankees mettaient tous leurs espoir dans l’élection de Nicolas Sarkozy à la présidence de la République. Ils ne le soutenaient pas, à ses yeux, comme ils soutiendraient n’importe quel candidat de droite, mais parce qu’il était le seul homme politique français important qui incarnait leurs idées. Pour eux, Nicolas Sarkozy était l’espoir d’en finir une fois pour toutes avec l’hydre à deux têtes constituée par ce qui reste du modèle social français et de la politique étrangère indépendante de la France.

Et de rappeler qu’alors qu’il était déjà candidat à la présidence de la République, Sarkozy de passage aux États-Unis n’avait pas hésité à déclarer qu’il se sentait étranger dans son propre pays, qu’il était fier qu’on l’appelle « l’américain » et qu’il considérait comme arrogant le discours d’un premier ministre français (de Villepin à l’ONU en 2003) qui a fait l’admiration du monde entier.

Au lendemain de son accession à l’Élysée, l’universitaire Jean Bricmont, n’avait pas hésité à écrire, quant à lui, que cette « victoire représente une inféodation de la France à l’étranger comme il n’y en a jamais eu dans le passé, sauf suite à des défaites militaires. »

Tout ceci pouvait sembler excessif.

Malheureusement il n’en était rien et ce qu’avaient prédit ces auteurs s’est malheureusement confirmé : la France de Sarkozy est devenu le caniche de l’oncle Sam.

L’opération en Libye nous en donne une nouvelle preuve.

La propaganda staffel des médias aux ordre nous présente dans cette affaire une « France aux commandes » et un Président « chef de guerre »… Cela avec un objectif purement politique évident : rehausser l’image du nain hongrois en chute libre dans les sondages en donnant l’impression qu’il a une véritable surface internationale et qu’il est, au moins, capable de réussir quelque chose… Fut-ce faire tuer des femmes et des enfants par des missiles téléguidés !

La réalité est plus cruelle et nous pouvons la découvrir dans la presse yankee dont les articles sont repris en France par quelques blogs et sites « mal-intentionnés ». La réalité c’est que, comme l’écrit Jean Guisnel sur Le Point.fr, « la France est placée sous commandement américain » et que Paris est uniquement un « fournisseur de moyens » de la coalition internationale engagée contre Kadhafi. Et notre journaliste d’expliquer «  Lors d’un briefing organisé samedi au Pentagone, le vice-amiral William E. Gortney a précisé que l’opération (…) est placée sous le commandement du général Carter F. Ham, chef du U.S. Africa Command (Africom), basé à Stuttgart (Allemagne). Une force navale portant la dénomination Task Force Odyssey Dawn est commandée à la mer par l’amiral américain Samuel J. Locklear III, dont l’état-major est embarqué à bord du navire de commandement USS Mount Whitney. À ce stade, les conditions précises de l’organisation de l’opération Odyssey Dawn ne sont pas entièrement définies. Les autorités politiques françaises présenteront sans doute une version les plaçant en tête de gondole, mais la réalité est plus prosaïque : les Américains sont aux manettes et assurent le contrôle opérationnel de l’ensemble du dispositif (OPCON, pour Operational Control) en assurant la coordination de l’ensemble des missions et des moyens qui leur sont attribués. La raison en est simple : alors que la coalition pourrait compter jusqu’à une vingtaine de pays dans les jours qui viennent, seuls les Américains sont en mesure de gérer un tel dispositif. Les Français sont donc des « fournisseurs de moyens » à la coalition qui leur a accordé le « privilège » (ou vécu comme tel par Nicolas Sarkozy) de prendre l’air les premiers. »

Pire, une lecture de la presse américaine permet d’apprendre que ce sont les États-Unis, seuls, qui ont décidé qu’il était enfin possible de se lancer dans l’opération diplomatique ouvrant la voie à l’emploi de la force contre la Libye et que une fois ces opérations entamées, la France sarkozyste a été placée sous commandement américain et obéit depuis au doigt et à l’œil à ce que disent et décident Hillary Clinton et le président Obama.

Ainsi, notre pays est engagé dans une opération militaire, dont on ne comprends guère le sens et dont on ignore tout de l’issue, pour des raisons qui n’ont rien à voir avec notre intérêt national mais beaucoup avec celui des États-Unis et avec l’avenir politique d’un lilliputien ambitieux.

Voici à quoi sont utilisés nos impôts (le coût de cette opex devrait rapidement se chiffrer à plusieurs dizaines, voire centaines si elle dure, millions d’euros), voici pourquoi le sang de Français sera peut-être versé demain !

Mais que Nicolas le petit et ses sbires n’aient crainte, tout se paie (parfois pas uniquement dans les urnes…) et le peuple de France a commencé à faire l’addition. La vague bleu marine de dimanche pourrait bien n’être encore qu’une vaguelette en comparaison des élections futures !

dimanche, 27 mars 2011

Libye: le "médiamensonge", arme suprême

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Libye : le « médiamensonge » arme suprême

Ex: http://www.polemia.com/

Michel Collon a plublié sur son site un article assez virulent en cinq points, dans lequel il dénonce la médiatisation complaisante et partisane des événements libyens. Nous ne partageons pas forcément l’intégralité du contenu, mais nous invitons nos lecteurs à se rendre sur ce site pour en prendre connaissance. Il est très éclairant.

Au moment où Polémia organise sa deuxième cérémonie des Bobards d’Or le 5 avril prochain, il nous paraît intéressant de le leur signaler. En plus et en avant goût de notre manifestation, nous reproduisons le point 5 qui traite d’un sujet qui nous est cher : le « médiamensonge », que l’on retrouve pratiquement à l’origine de chaque conflit. C’est le thème de Michel Collon.

En fin d’article, on trouvera  les références de cette publication qui a pour titre : 

Cinq remarques sur l’intervention contre la Libye
et dont les cinq points sont :

  1. Humanitaire, mon œil !
  2. Qui a le droit de « changer de régime » ?
  3. Les buts cachés
  4. La « communauté internationale » existe-t-elle ?
  5. Chaque guerre est précédée d’un grand médiamensonge

Chaque guerre est précédée d’un grand médiamensonge.

Même dans la gauche européenne, on constate une certaine confusion : intervenir ou pas ? L’argument massue « Kadhafi bombarde les civils » a pourtant été démenti par des sources occidentales et des sources de l’opposition libyenne. Mais répété des centaines de fois, il finit par s’imposer.

Etes-vous certains de savoir ce qui se passe vraiment en Libye ? Quand l’Empire décide une guerre, l’info qui provient de ses médias est-elle neutre ? N’est-il pas utile de se rappeler que chaque grande guerre a été précédée d’un grand médiamensonge pour faire basculer l’opinion ? Quand les USA ont attaqué le Vietnam, ils ont prétendu que celui-ci avait attaqué deux navires US. Faux, ont-ils reconnu des années plus tard. Quand ils ont attaqué l’Irak, ils ont invoqué le vol des couveuses, la présence d’Al-Qaida, les armes de destruction massive. Tout faux. Quand ils ont bombardé la Yougoslavie, ils ont parlé d’un génocide. Faux également. Quand ils ont envahi l’Afghanistan, ce fut en prétendant qu’il était responsable des attentats du 11 septembre. Bidon aussi.

S’informer est la clé.

Il est temps d’apprendre des grands médiamensonges qui ont rendu possibles les guerres précédentes.

Michel Collon
20/03/2011

Source :

Cinq remarques sur l’intervention contre la Libye, à lire sur :
http://www.michelcollon.info/Cinq-remarques-sur-l-intervention.html

Correspondance Polémia – 22/03/2011

samedi, 26 mars 2011

Libyen: Grösster Militäreinsatz seit der Irak-Invasion

Libyen: Größter Militäreinsatz seit der Irak-Invasion – auf dem Weg in langwierige Kampfhandlungen

Prof. Michel Chossudovsky

Unverblümte Lügen der internationalen Medien: Bomben und Raketen werden als Instrumente des Friedens und der Demokratisierung gepriesen: Hier geht es nicht um ein Eingreifen aus humanitären Gründen. Der Krieg in Libyen eröffnet einen neuen Kriegsschauplatz. In der Großregion Naher und Mittlerer Osten sowie Zentralasien existieren drei unterschiedliche Kriegsschauplätze: Palästina, Afghanistan und der Irak. Vor unseren Augen entwickelt sich ein vierter Kriegsschauplatz der USA und der NATO in Nordafrika und erhöht das Risiko einer Eskalation. Diese vier Kriegsschauplätze sind funktionell miteinander verbunden; sie sind Teil einer integrierten militärischen Agenda der USA und der NATO.

 

 

Die Luftangriffe auf Libyen wurden schon seit Jahren von den Planungsstäben des Pentagon vorbereitet, wie der frühere NATO-Kommandeur General Wesley Clark bestätigte. Operation Odyssey Dawn wird als die »größte militärische Intervention des Westens in der arabischen Welt seit der Invasion des Irak vor genau acht Jahren« bezeichnet. (»Russia: Stop ›indiscriminate‹ bombing of Libya«, Taiwan News Online, 19. März 2011)

Dieser Krieg ist Teil des Kampfes um Erdöl.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/geostrategie/prof-michel-chossudovsky/libyen-groesster-militaereinsatz-seit-der-irak-invasion-auf-dem-weg-in-langwierige-kampfhandlunge.html

vendredi, 25 mars 2011

Libyen: Zwischen Stamm und Staat

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Martin J.G. Böcker


Libyen: Zwischen Stamm und Staat

Ex: http://www.jungefreiheit.de/

In Libyen erleben wir in diesen Wochen, welch enorme Macht die Stämme haben. Der Staat zerfällt, weil sie die Machtfrage stellen. Der Konflikt dauert an, weil Ghaddafis Familie nicht schwach genug ist, um weggefegt zu werden. Und währenddessen kommt die Frage auf, was eigentlich nach dem libyschen Krieg passieren soll? Ein ehrliches Ziel wäre: Ein stabiles Libyen, das Öl liefert – und keine Flüchtlinge. Ein hehres, aber vorerst unrealistisches Ziel wäre: Die Etablierung einer Demokratie, die diesen Namen verdient hat.

Dieser Prozeß wäre wohl „langwierig“ und „von Rückschlägen“ gezeichnet, wie es Wolfram Lacher von der Stiftung Wissenschaft und Politik euphemistisch formuliert. Die Konkurrenz zwischen Stamm und Staat ist ein Phänomen, welches in Libyen nun mit aller Macht zu Tage tritt, aber wohl für ganz Europa mitsamt seiner Peripherie von immer größerer Bedeutung werden könnte.

Gewaltmonopol und Beamte notwendig

Für das Verhältnis zwischen den Stämmen und einem Staat lohnt ein Blick auf das Werden der westlichen Demokratie: Laut Max Weber war die „gewaltsame Herrschaft“ mit einem „Monopol legitimer physischer Gewaltsamkeit“ unabdingbar. Das setzte einen funktionierenden Verwaltungsstab und einen politischen Enteignungsprozeß voraus. Der Verwalter war also nicht mehr im Besitz des Verwalteten; er bestritt seinen persönlichen Unterhalt nicht mehr durch das verwaltete Gut. Vielmehr lebte er von Unterhaltszahlungen, die er von einer herrschenden Instanz erhielt. Sprich: Er wurde verbeamtet. Nur so war das Werden der westlichen Demokratie möglich.

Daraus ergab sich die Ausdifferenzierung, welche die technische, bürokratische, ökonomische und politische Überlegenheit des Westens bedingte. Gleichzeitig bedeutete sie aber auch den Abschied von der emotionalen, pathetischen oder abhängigen Bindung an den Fürsten, also den Abschied vom Grund für Treue. Der Nationalismus scheint als Ersatz für diese Bindung nur von vorübergehender Wirkung gewesen zu sein.

Vorstaatliche Patronage- und Stammesstrukturen

Die Stärke des bürokratischen Westens bedingt also gleichzeitig dessen Schwäche. Denn – wie zum Beispiel Thorsten Hinz in seinem Essay über die „Zurüstung zum Bürgerkrieg“ dargestellt hat – manche Zeitgenossen empfinden die Energie arabischer und türkischer Großfamilien (also Patronage- und Stammesstrukturen) in den europäischen Innenstädten als Bedrohung für die europäisch-christliche Kultur. Durch ihren Zusammenhalt und ihre familiäre Bindung ist sie der deutschen Vater-Mutter-Kind-Familie in mancher Hinsicht überlegen.

Aber: Wenn uns schon die Anwesenheit solcher großfamiliärer Strukturen in unseren Innenstädten wie eine Bedrohung, wie schleichende Islamisierung, wie das Ende des Abendlandes vorkommt; wie unermeßlich apokalyptischer muß einem libyschen Obergefreiten dann die – im wahrsten Sinne des Wortes sagenhafte! – Feuerwirkung der alliierten Luftstreitkräfte erscheinen?

Bürokratischer Staat versus Stammesgesellschaft

„Hier“ haben wir den bürokratischen Staat, „dort“ die Stammesgesellschaft. Nach Weber geht mit der Entwicklung des modernen Staates auch das Ende des „ständischen Verbandes“ einher, also bedroht die Bürokratie den Stamm und im Umkehrschluß der Stamm die Bürokratie. Jeder den anderen auf seine Weise. Das meint nicht den Stamm, der sich der Bürokratie unterordnet; das meint auch nicht den Stamm, der sich einer Bürokratie bedient, um sich selbst zu verwalten.

Es geht vielmehr um die Situation, in der die Machtfrage gestellt wird – siehe Libyen. Das heißt die Situation, in der das staatliche Gewaltmonopol die Loyalität zum Stamm bricht beziehungsweise die Loyalität zum Stamm in der Lage ist, sich über das Gewaltmonopol hinwegzusetzen. So wie uns die Energie einer archaischen Stammeskultur bedrohlich vorkommt, kann der Stammeskultur unsere technische, wissenschaftliche, ökonomische, politische Überlegenheit beängstigend vorkommen – zumal wir sie letztlich erst durch den Abschied von den archaischen Strukturen erlangen konnten.

Die Globalisierung hat zur Folge, daß so eine Feindschaft Grenzen überwindet. Es ist eben nicht mehr so, daß die Türken vor Wien stehen oder die Kreuzritter nach Jerusalem ziehen. Die jeweils andere Seite ist „hier“ wie „dort“ in vielfältigen (vornehmlich ökonomischen) Beziehungsformen zugegen. Also als Geschäftspartner, Arbeitgeber, Arbeitnehmer, Sozialhilfeempfänger, Entwicklungshelfer, Urlauber, natürlich auch als Missionar. Das heißt freilich nicht, dass die Bedrohung der jeweils anderen Struktur durch die eigene damit aufgehoben wäre. Der Kampf der Strukturen setzt sich unvermindert fort – nicht nur in Libyen.

jeudi, 24 mars 2011

Las verdaderas razones de Occidente para intervenir en Libia

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LAS VERDADERAS RAZONES DE OCCIDENTE PARA INTERVENIR EN LIBIA

Libia en crisis. Occidente pide invadir para apoderarse del petróleo y el gas
Crisis en Libia

Hipocresía y oro negro

Las pinzas que se cierran sobre Libia promueven un escenario abierto para que las potencias centrales se apropien de su riqueza petrolera.
 
Ex: http://elnomadeenlaciudad.blogspot.com/

Levantamientos en Libia, ni tan espontáneos ni tan ingenuos.

Por Diego Ghersi


Habrá mil maneras de explicar, y otras mil más de no entender, cómo fueque la oposición política de un país fue capaz en horas de atacar de igual a igual al poder militar de un Estado y confinar al gobierno a un radio de 50 kilómetros de la capital.

A diferencia de lo ocurrido en Túnez, Marruecos, Jordania, Yemen oEgipto, en Libia no hubo protestas pacíficas sino que las acciones incluyeron toma de cuarteles, armas, tanques y ataques al Ejército oficial.

La paridad militar es tan notoria que la única diferencia a favor de Muammar Kadaffi la hace el control del aire, cuestión que las fuerzas opositoras intentan equilibrar solicitando apoyo aéreo de combate al extranjero.

Es evidente que el Consejo Nacional Libio de Bengasi considera que con tal apoyo podrían imponerse a la fuerzas de Kadaffi por sí mismos sin necesidad de una invasión explícita de fuerzas multinacionales encabezadas por Estados Unidos. Por las dudas, Washington sigue concentrando su flota frente a las costas del país.

Es también evidente -por la magnitud de los choques- que Libia se encuentra en un escenario de guerra civil entre fuerzas equilibradas en disputa por el poder.

Cuesta entender cómo fue que una masa que protestaba pacíficamente según la prensa internacional hegemónica- adquirió en horas el exitoso vuelo táctico digno de un ejército entrenado, a menos que se abone la hipótesis de que las revueltas fueron coordinadas por cuadros militares y de inteligencia- seguramente extranjeros.

No es la primera vez en la historia que eso sucede: en Vietnam era tarea de la CIA y de los Boinas Verdes, en el Afganistán soviético era Bin Ladeny, de nuevo, la CIA.

La composición de las fuerzas interiores que se oponen y atacan a Muammar Kadaffi es conocida, compleja y de orden tribal.

Se sabe que Libia es una nación formada por diferentes tribus y que históricamente los manejos políticos al menos desde que Kadaffi llegara al poder- perjudicaron a unas y favorecieron a otras pero, fundamentalmente, desplazaron al orden tribal.

En el primigenio sistema político de Kadaffi -básicamente socialista- no había lugar para las tribus ni para los partidos políticos.

Sí lo había para comités y congresos populares, y los 40 años de la era Kadaffi con sus buenas y sus malas- no fueron suficientes para digerir la idea del fin del orden tribal que, con sus clanes y subdivisiones, fue la única institución que reguló durante siglos la sociedad en las zonas de Tripolitania, Fezzan y Cirenaica.

Aún así, articular una fuerza capaz de competir militarmente con un Estado no se logra en un segundo y tiene que haber sido organizada y plasmada durante largo tiempo, quizás como parte de otro plan desestabilizador que las circunstancias del efecto dominó norafricano aceleraron.

Las acciones militares terrestres fueron combinadas con los discursos generados por las grandes corporaciones periodísticas de Europa y deEstados Unidos funcionales a los intereses petroleros de los países centrales.

La contribución mediática utilizada para estrangular al gobierno de Libia es transparente: desprestigiar al gobierno de Kadaffi ante el mundo para allanar el camino de la intervención armada de fuerzas multinacionales amparadas por las Naciones Unidas.

La invasión militar extranjera apuntaría a barrer de la faz de la tierra todo residual apoyo al régimen.

Muchos analistas denunciaron en los últimos días la carencia de imágenes de los supuestos bombardeos en Tobruk; Bengasi o Trípoli. Tampoco se vieron los miles de muertos anunciados en los partes noticiosos.

El 22 de febrero, las noticias fijaban en el orden de 300 a 400 el número de fallecidos.

Al día siguiente, el canal Al Arabiya Arabic afirmaba que el gobierno de Kadaffi había causado 10 mil muertos y 50 mil heridos por bombardeos en Trípoli y Bengasi.

Pero no se vieron ni rastros de bombardeos, ni de edificios dañados, ni de los restos de los aviones supuestamente abandonados por pilotos que prefirieron desobedecer antes que proceder con el bombardeo ordenado.

Lo que sí se vio corroborado por Telesur y Al Jazera- fue gente que apoyaba a Kadaffi en la Plaza Verde. Telesur y Al Jazera, presentes en Trípoli, son cadenas de otra matriz ideológica y sus informes confrontan con los de la prensa hegemónica internacional.

La estrategia mediática no se detuvo simplemente en destrozar la figura del líder libio sino que intentó capitalizar como bonus las mentiras tendidas sobre el Presidente de Venezuela Hugo Chávez acusándolo falsamente y desde el principio- de brindar asilo en Caracas a Kadaffi, cuestión por la que por supuesto- nadie pidió disculpas posteriormente.

La campaña informativa contra Kadaffi ha cobrado importancia fundamental porque sobre los informes periodísticos dudosos se fundó ladeterminación del Consejo de Derechos Humanos de Naciones Unidas (ONU) para condenar a Libia y suspender del organismo al país africano.

Es más, antes de votar, el mismísimo secretario de la ONU, Ban Ki-Moon citó reportes de prensa acerca de asesinatos indiscriminados, incluidos algunos contra soldados que se negaron a disparar contra los manifestantes antigubernamentales.

A nadie se le ocurrió la idea de mandar veedores seguramente convencidos de que lo que sale publicado en los diarios es siempre la verdad.

Es más, los mismos reportes han sido suficientes para acusar a Kadaffi en el Tribunal Penal Internacional de La Haya.

Lo gracioso del caso es que la mismísima Canciller de Estados Unidos,Hillary Rodham Clinton, ha apoyado la comparecencia del líder libio ante ese estamento jurídico sin siquiera ruborizarse por el hecho de que su país jamás apoyó someterse a ese organismo judicial. Una verdadera vergüenza.

Pero los medios hegemónicos no han hecho más que explotar una gran ventaja, como en el caso de Saddam Hussein antes de la invasión de Irak, Muammar Kadaffi es indefendible desde el punto de vista del imaginario occidental.

Después de lo de Lockerbie, y de haberlo visto montar su carpa beduina en las puertas de la ONU, el impoluto hombre blanco europeo está listo para creer cualquier cosa que le cuenten acerca del líder libio y también aceptará que se le haga llover plomo desde buques y aviones de combate.

La ventaja es aún mayor porque Muammar Kadaffi no es indefendible solo por esas liviandades.

En efecto, el perfil revolucionario de Kadaffi empezó a cambiar en 1992 cuando firmó un tratado con Rusia que abrió el mercado petrolero libio a las nacientes mafias moscovitas.

Posteriormente, entre 1995 y 2006, firmó pactos políticos, financieros y comerciales con el FMI, el Banco Mundial y con las multinacionales de de la Unión Europea, Estados Unidos y China.

Gracias a estas conductas, los europeos decidieron reivindicarlo desde 1996 y además de recibirlo y homenajearlo, firmaron con él pactos de extradición de “terroristas”, de concesiones petroleras, de control de la migración africana y le levantaron los embargos de armas en octubre de 2004, cuestión que abrió las puertas a pertrechos de origen español, italiano, británico y alemán.

En su discurso del 31 aniversario de la Revolución, Kadaffi notificó al mundo que renunciaba al “comportamiento revolucionario” que hacía de Libia un Estado Rebelde debido a que explicó- no aceptar la legalidad internacional impuesta por Washington implicaría el fin del país.

Congraciarse con Occidente no alivió la situación del pueblo libio. Una radiografía de Libia tomada un minuto antes de la actual situación de revuelta mostraría un país que no tiene soberanía alimentaria -importa a las multinacionales europeas el 75 % de los alimentos que consume-, con una tasa de desempleo del 30 % y de analfabetismo en un 18 %. Ni que hablar de la extrema pobreza.

Son estas las verdaderas razones por las que Kadaffi es indefendible y son de mucho más peso que meras cuestiones de imagen.

Aún así, la prensa necesita explicaciones más sencillas para justificar la guerra ante sus ciudadanos y, además, los países centrales no pueden desprenderse tan fácil de un personaje al que antes adularon para favorecerse con sus negocios sin que su hipocresía los ponga en evidencia.

El cuadro de crisis interna que hoy se compone con cruentos combates es la oportunidad esperada por las naciones europeas, cuyoobjetivo principal es asegurar el suministro del petróleo y de gas a su Unión.

Y en este orden de cosas Estados Unidos se apoderaría de las fuentes y de la comercialización del fluido.

La situación pone en aprietos a los gobiernos progresistas del mundo: no se puede defender a Kadaffi pero tampoco se puede avalar la intervención armada internacional en un país soberano.

De hecho, los antecedentes son lapidarios: no ha servido de nada en Haití; ni en Irak; ni en Afganistán ni en Somalia, países donde sólo se ha cosechado el desastre.

Ante situaciones de debacle interna de un país cualquiera correspondería la actitud de silencio stampa y no injerencia en asuntos extranjeros.

Pero cuando las Naciones Unidas van en camino de autorizar una intervención armada liderada por Estados Unidos la cuestión cambia sustancialmente y requiere de la firme condena diplomática de los gobiernos para frenar el intento de saqueo de los poderosos.

Nada de eso está pasando. La creciente concentración de buques estadounidenses en el Mar Mediterráneo parece ser demasiado importante como para que no se produzca la intervención armada en Libia en cuanto todas las armas estén en posición.

Solo la voz en solitario de Hugo Chávez se escucha en otro sentido, probablemente porque -más que diplomático o político- es en el fondo un soldado galvanizado con la impronta característica de las tropas paracaidistas: sería de cobardes culpar de las muertes en el país magrebí al Gobierno de Kadaffi sin conocer lo que está pasando .

Chávez también se anima a denunciar la maniobra en ciernes: Estados Unidos “está distorsionando las cosas para justificar una invasión. Se frotan las manos por el petróleo libio. Sobre Libia se teje una campaña de mentiras".


La voz del líder bolivariano se torna incómoda porque no filtra diplomáticamente ninguna verdad que por otra parte nadie ignora aunque insistan en mirar para otro lado: Porqué no condenan a Israel cuando bombardea Faluya y mata a niños y mujeres?; Quién condena a Estados Unidos por matar a millones de inocentes en Irak, en Afganistán, en el mundo entero?”.

Lo de Faluya parecería un error porque Israel no bombardeó la ciudad iraquí pero, sin embargo, existen testimonios de que fuerzas de Israel tomaron parte de la batalla. Otro dato es que en Faluya se usaron proyectiles de uranio empobrecido que hoy causan mortalidad inusual en la población.

Aún así, la campaña de mentiras sobre Libia parece ser más eficiente porque ha creado el sentido común de que en Libia se está produciendo una masacre contra un pueblo indefenso que se manifestaba en paz por sus derechos.

Nadie se ha movido para verificarlo y mostrar las imágenes al mundo. Da la sensación de que es una realidad creada y tiene la extraordinaria virtud de que muchísima gente quiere creerla, le conviene económicamente creerla.

También es el presidente bolivariano el único que ha acercado una propuesta de paz al convocar a la comunidad mundial a no dejarse llevar por los tambores de la guerra y buscar una “fórmula política” que sugiere- podría comenzar con una comisión internacional de buena voluntad países amigos de Libia- enviada para evitar una guerra civil.

La interesante propuesta ha sido aceptada sólo por Kadaffi y rechazada por su oposición, el Consejo Nacional Libio de Bengasi.

Al respecto, Mustafá Gheriani, encargado de la prensa del Consejo Nacional opositor sostuvo que “Tenemos una posición muy clara: es demasiado tarde, se ha derramado demasiada sangre. Sin embargo, como señal de que el Consejo Nacional Libio no está interesado en salidas pacíficas, el 2 de marzo solicitó a las fuerzas internacionales que implementen apoyo de fuego aéreo estratégico contra Kadaffi. Las repercusiones al plan Chávez no son todo lo entusiastas que cabría esperar de una comunidad internacional ávida de paz.Desde París, el ministro francés de Relaciones Exteriores, Alain Juppé, rechazó la idea de Chávez y recalcó que cualquier mediación que permita al coronel Kadaffi sucederse a sí mismo evidentemente no es bienvenida“.

El ministro de Relaciones Exteriores italiano, Franco Frattini, estimó que“será muy difícil” que la comunidad internacional acepte la propuesta del presidente venezolano.

Desde Europa, solo los socialistas españoles han acompañado tibiamente la iniciativa bolivariana. La canciller española, Jiménez sostuvo que, a pesar de no conocer a fondo la propuesta venezolana, estaría bien si sirve para ayudar. Sería el colmo que un gobierno de corte socialista como el del PSOE español dijese algo diferente.

Mientras los enfrentamientos entre los leales a Kadaffi y los rebeldes se intensifican, el secretario general de la Liga árabe, Amir Musa, sostuvo que en su organización se estaba considerando el plan de paz del presidente venezolano.

Desde Washington la respuesta negativa al plan de Hugo Chávez llegó elípticamente de boca del propio Barack Obama quién reiteró que Estados Unidos está listo para actuar inmediatamente: Será una decisión que tomaremos junto con la comunidad internacional.

Philip Crowley, vocero del departamento de Estado de Estados Unidos,fue menos diplomático: No se necesita que una comisión internacional le diga al coronel Khadafi lo que tiene que hacer por el bien de su país, y la seguridad de su pueblo. Es claro que Estados Unidos no quiere salida pacífica.

En general se entiende la apatía: la propuesta viene de Chávez eterno postulante a ser el próximo blanco- y anularía un lucrativo negocio que la comunidad internacional ya cuenta en sus balances. Pero ¿y si Brasil apoyara la propuesta venezolana? ¿Y si Sudamérica en bloque la apoyara?

En ese sentido, algunas fuentes señalaban al ex presidente brasileño Luiz Inacio Lula Da Silva como un mediador de consenso internacional y, los países de la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) apoyaron la propuesta de paz.

Resulta interesante pasar revista a las opiniones tomadas de Reuters- que despierta la propuesta de Hugo Chávez entre los miembros del establishment mundial.

Chistophe Barret, analista, Credit Agricole CIB de Londres opina que el plan parece muy vago y no creo que sea considerado seriamente.

Samuel Ciszuk, analista de Oriente Medio, IHS Energy: No creo que otro líder relativamente extremista que es aliado de Kadaffi tenga una oportunidad de ser aceptado como mediador de paz. Es muy poco probable que funcione.

Olivier Jakob, de la firma de investigación suiza Petromatrix: Chávez no tiene mucha credibilidad, el único valor de esa propuesta sería que ofreciera una salida honorable para el clan Kadaffi.

Carsten Fritsch, analista de Commerzbank en Frankfurt: Es altamente improbable que una propuesta de paz de Chávez pueda funcionar. Tim Riddell, jefe de análisis técnico de ANZ en Singapur: Si sale de Chávez, puede no tener ningún grado de sustancia. Obviamente, estas gentes derrochan un optimismo contagioso.

El fondo de la cuestión no es el mismísimo Kadaffi sino lo que se vendría después de un traumático y en este estado de cosas casi seguro- derrocamiento del líder.

Y no hay que ser adivino para visualizar lo que se viene si el plan de paz fracasa: una invasión extranjera someterá a Libia a un baño de sangre concreto que las cadenas informativas del mundo ignorarán como enIrak, Afganistán o Gaza- y el Consejo de Seguridad de la ONU no se reunirá velozmente como lo ha hecho ahora para derrocar al líder libio.

En lo comercial, las potencias que secunden la invasión se repartirán el botín petrolero y dejarán a los libios -que hoy piden apoyo de fuego extranjero- en su inhóspito desierto para que lo transiten en camello y tribalmente como hace mil años, mientras sus recursos son esquilmados hasta el tuétano.

FUENTE: soydondenopienso - http://wp.me/poKd-5EG

mercredi, 23 mars 2011

Après la Libye, le Yémen? Barhein? ... Ou alors la Turquie?

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Après la Libye, le Yémen? Barhein? ... Ou alors la Turquie?

Par Pieter Kerstens

 

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com/

 

Le premier trimestre de cette année est riche en évènements géopolitiques et pimenté de catastrophes naturelles et humaines…

 

Soucieux de redorer sa cote de popularité, après des déclarations inopportunes concernant l’affaire Cassez et  les « amitiés » franco-tunisiennes, Sarko a déclaré la guerre à son client/fournisseur le bédouin Mouammar.

Forts d’une autorisation onusienne à bombarder les armées d’un tyran sanguinaire, dictateur mégalomane et bourreau de son peuple, les « coalisés occidentaux » mettront le paquet pour réduire le guide à néant.

 

Car ce colonel, tombeur du roi Idriss 1er en septembre 1969, avait entamé une révolution de type socialo/nationaliste dont le modèle était celle de Nasser en Egypte et durant de nombreuses années fut aussi soutenu par l’intelligentsia gaucho-bobo.  Il a entretenu des relations très équivoques avec d’anciens agents de la CIA, a financé le terrorisme international, a organisé moult attentats ayant entraîné des centaines de morts et n’a cessé de s’ingérer dans les affaires intérieures des pays africains pour y créer un chaos désastreux.

 

S’il est exact que sous sa férule, la Libye a pu se développer d’une manière spectaculaire grâce à la manne pétrolière et à la mise en place d’un réseau d’irrigation performant (issu d’un « fleuve » souterrain pharaonique), que l’Indice de Développement Humain compte parmi les plus élevés d’Afrique, que la situation de la femme n’est plus comparable celle des Egyptiennes, Marocaines ou Soudanaises, Kadhafi est bien l’un des seuls qui a pu juguler l’expansion islamiste au Maghreb, en jouant des alliances avec les tribus qui lui sont inféodées.

 

Bien des potentats africains, des éminences européennes ou des barons de multinationales lui sont redevables et surtout ceux du complexe militaro-industriel ! Il détiendrait donc des informations et des documents compromettant certains de ceux qui veulent sa peau aujourd’hui…ces va-t-en-guerre haineux et méprisables.

 

Deux poids, deux mesures ?

 

Au prétexte de sauver les insurgés, ces rebelles qui ne songent qu’à renverser le « guide » au nom d’ALLAH le tout-puissant, l’ONU, par sa résolution 1973, permet l’envoi de forces militaires afin de destituer dans un ouragan de fer un dirigeant mégalomaniaque.

 

Mais alors, serait-ce le SEUL ? L’ONU va-t-elle également prendre les mêmes dispositions envers le président du Yémen Ali Abdallah Al-Salih qui lui aussi fait tirer sur la foule des insurgés ? Une autre résolution onusienne pour contraindre par un embargo Hamad Ibn Isa Al Khalifa, monarque de Bahreïn, au cessez-le-feu contre les manifestants de la place de la Perle à Manama ? Avant l’envoi de chasseurs-bombardiers ?

Et pour ce qui est des guerres civiles en Côte d’Ivoire, au Nigeria, en RDC, et tutti quanti, l’ONU pourra-t-elle fermer les yeux encore longtemps sur les massacres perpétrés par des « tyrans sanguinaires », sans prendre des résolutions identiques à la 1973 ?

 

Et que dire des situations dramatiques vécues par les populations innocentes par exemple au Zimbabwe, en Corée du Nord et même au Mexique (aux portes de l’ONU) où les narcos trafiquants, bien mieux armés que les va-nu-pieds de Benghazi, ont acheté l’Etat de Droit cher au cœur des humanistes et massacrent à tour de bras.

 

Devoir de mémoire ?

 

Les états membres (192) s’engagent à remplir les obligations prévues par la Charte, en vue de sauvegarder la paix et la sécurité internationale et d’instituer entre les nations une coopération économique, culturelle et sociale. Cà c’est pour les intentions …car chaque pays membre est obligé de faire respecter les résolutions du Conseil de Sécurité et l’Histoire nous oblige à constater que de la théorie à la pratique, il y a un gouffre !

 

Les résolutions 181,194, 242, 476, 478, et 672 par exemple, prises de 1947 à 1990, n’ont JAMAIS été respectées par Israël, qui persévère quant à son attitude belliqueuse et refuse de libérer les territoires occupés.

 

Même chose pour  l’occupation et l’annexion illégale du Tibet par la Chine en 1950.

 

Ne parlons pas des deux guerres en Irak où règne l’anarchie la plus totale et où la population subit des exactions pires que sous le régime de Saddam Hussein.  

 

Idem en Afghanistan qui devient un copié collé de la guerre du Vietnam…

 

En Somalie, les onusiens de 1992 à 1995 (avec Kouchner et son sac de riz) se sont fait aplatir par les milices islamistes, qui ont maintenant muté en une coopérative de piratage international et preneur d’otages maritimes.

 

Plus près de nous, l’armée turque occupe militairement le nord l’île de Chypre depuis 1974, sans que l’ONU n’ait pris une résolution permettant un embargo contre la Turquie, ni le bombardement d’Ankara : et on voudrait même que l’Europe accepte cet agresseur en son sein !