Dominique Venner, Le choc de l'histoire
jeudi, 29 août 2013
GERMANIA E RUSSIA NELLA GUERRA FREDDA
GERMANIA E RUSSIA NELLA GUERRA FREDDA
Marco ZENONI
Ex: http://www.eurasia-rivista.org
L’anteguerra
A riavvicinare Germania e Unione Sovietica, dopo l’allontanamento successivo all’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni (SdN), fu soprattutto la questione polacca. Polonia e Germania, quest’ultima mai accontentatasi del riposizionamento geografico voluto a Versailles e – in particolare – della creazione ex tunc della città libera di Danzica, firmarono un patto di non aggressione nel 1934, garantendosi la reciproca neutralità nei 10 anni a venire. La Polonia, naturalmente, era conscia delle mire del terzo Reich e per questo tentò sempre l’avvicinamento a Francia e Inghilterra, in cerca di una strozzatura geopolitica nei confronti dei tedeschi. Peraltro, l’ostilità dei polacchi nei confronti del vicino sovietico, fece sì che nessun accordo militare venisse stretto con i sovietici e che, anzi, la Polonia si allontanasse allo stesso modo sia dal vicino orientale che da quello occidentale, rifiutando una modifica allo status quo e dunque ponendo le basi per l’imminente guerra, che poi diverrà mondiale. Tale posizione, dovuta sì ad alcune particolarità storiche e culturali ma, soprattutto, dall’influenza degli alleati anglosassoni e, in particolare, quella statunitense. Le potenze talassocratiche, infatti, non avevano che da trarre vantaggio da un’eventuale guerra che, chiaramente, non fosse mondiale nelle intenzioni iniziali, ma spingesse le frizioni fino ad uno scontro tra Germania e Unione Sovietica. L’intento primario era infatti quello di spingere le due potenze continentali ad affrontarsi. Per Stalin, tuttavia, questa rimaneva un’ipotesi da scacciare, o quanto meno ritardare il più possibile[1]. Furono queste le condizioni geopolitiche che portarono al patto Molotov-Ribbentrop. Una mutua assicurazione dunque, utile a Stalin per prendere tempo e alla Germania per assicurarsi da eventuali colpi di mano. Tale patto, seppur evidentemente siglato solo in funzione tattica, mise in allarme l’Inghilterra, la quale intervenne, interferendo in entrambi i trattati (polacco-tedesco e tedesco-sovietico), attraverso l’Accordo di reciproco aiuto, siglato con la Polonia – in palese infrazione di quello siglato fra Polonia e Germania, ma anche del Patto Molotov-Ribbentrop. L’intento dell’Inghilterra era quella di costruire una frattura geografica fra le due potenze eurasiatiche, in modo da impedirne l’avvicinamento e in particolar modo di impedire eventuali intese fra i polacchi e il terzo reich. Lo stesso Stalin, difatti, almeno inizialmente, attribuì le colpe della guerra completamente ad Inghilterra e Francia, e non alla Germania[2].
Oltre al noto patto, tuttavia, Germania e Unione Sovietica si legarono anche dal punto di vista commerciale, attraverso un accordo firmato l’11 febbraio 1940. Si arrivò tuttavia alla guerra, una guerra fratricida sulle terre eurasiatiche, che contrappose frontalmente le due potenze continentali. A seguito della guerra, che costò ai sovietici oltre 22 milioni di morti, la frattura fra i due paesi pareva insanabile. L’Armata Rossa marciò fino a Berlino, con spirito vendicativo. I tedeschi venivano visti come un invasore, da schiacciare senza pietà.
Il Dopoguerra
Gli animi si placarono, lasciando spazio al pragmatismo e al calcolo geopolitico. Nel 1945, a Jalta, avvenne la definitiva spartizione della Germania, contrapponendo di fatto da una parte gli alleati (Stati Uniti, Francia e Inghilterra) e dall’altra i sovietici. Il 1948 fu l’anno del piano Marshall, un piano economico presentato come l’inevitabile aiuto dall’oltreoceano per il risanamento delle economie europee, in realtà un mezzo economico indispensabile per il rafforzamento dell’economia statunitense ma, soprattutto, un importante collante per la formazione dell’alleanza occidentale, legata prima economicamente e poi militarmente (e politicamente) attraverso la struttura della NATO.
La divisione della Germania fu ultimata nel 1952, quando la frontiera fu definitivamente chiusa. Da quel momento l’avvicinamento della Germania dell’Ovest al sistema d’alleanze occidentale proseguì spedita. Eppure dei tentativi in funzione di una Germania unita furono mossi. Nel 1952 fu infatti Stalin stesso a proporre l’idea di una Germania unificata, a prezzo però di una sovranità limitata in politica estera: una neutralità imposta e irreversibile. Nei piani di Stalin questo avrebbe permesso la formazione di un cuscino neutrale nel cuore dell’Europa, il che avrebbe per altro sottratto la Germania dalle maglie dell’alleanza atlantica, che ne avrebbe fatto un bastione antisovietico nel cuore dell’Europa, a ridosso dell’oriente, cosa che infatti puntualmente si verificò. Il piano di Stalin fu rigettato, gli alleati occidentali dimostrarono ben presto di avere scarso interesse per una Germania unificata, non al prezzo di una neutralità che avrebbe sottratto un’importante pedina, difensiva, ma all’occorrenza anche offensiva, direttamente puntata ad Oriente, e situata nel cuore dell’Europa continentale. Per la Germania, vittima della frattura insanabile fra Est e Ovest, non poté che profilarsi la sola soluzione della divisione politica e geografica. Due Stati, dunque, per un’unica nazione. Nel 1961 tale divisione fu rimarcata attraverso la costruzione del muro, simbolo della contrapposizione frontale fra i due schieramenti.
Il primo cancelliere della Repubblica Federale Tedesca fu Konrad Adenauer, un fervente anticomunista, che tuttavia fu invitato già nel 1955 a Mosca, a seguito degli accordi di Parigi, che riconoscevano la sovranità della RFT e ufficializzavano il riconoscimento da parte Sovietica della Repubblica Federale. Adenauer fu un grande sostenitore dell’alleanza atlantica e tra gli animatori più vivaci (assieme all’omologo italiano, Alcide de Gasperi) della costituzione della Comunità Europea, tale di nome, ma meramente occidentale di fatto. Nel 1950 era infatti già stata pronunciata la cosiddetta “dichiarazione Schuman”, che prese nome dall’allora ministro degli esteri francese, Robert Schuman, e che proponeva di mettere da parte l’astio che correva fra i due vicini, ponendo le basi per una collaborazione che fosse prima economica, tramite la comune gestione delle risorse del carbone e dell’acciaio, e successivamente anche politica. Furono questi i primi passi che condussero la Germania nell’alleanza occidentale, senza alcun tipo di ripensamenti. Allo stesso Adenauer risale oltretutto la teoria dell’ “Alleinvertretungsanspruch” ovvero al diritto esclusivo della Repubblica Federale Tedesca di parlare a nome dei tedeschi. Per il cancelliere, infatti, la Germania Est altro non era che una zona d’occupazione sovietica e, in quanto tale, non meritava né il riconoscimento, né tanto meno di parlare a nome dei tedeschi. A tale posizione si aggiunse per altro la “dottrina Hallstein”, fatta propria dal cancelliere, la quale prevedeva che ogni apertura di paesi terzi alla Repubblica Democratica Tedesca, il che ne implicava il riconoscimento, era un torto alla Repubblica Federale e come tale non sarebbe stato tollerato. La parola fu mantenuta, tanto che ben presto furono tagliati i rapporti con la Jugoslavia e con Cuba.
L’aggressività occidentale, che non portò alcun risultato né al fine di attenuare gli animi, né a quello dell’unificazione tedesca, maturò in Willy Brandt, il lungimirante cancelliere che succedette ad Adenauer, la convinzione che il muro (metaforico, ma anche fisico) opposto dall’oriente fosse una reazione all’eccessiva aggressività occidentale. Con l’ascesa al cancellierato di Brandt i rapporti tra la Germania Federale e l’Unione Sovietica presero finalmente un’altra piega, giungendo ad una distensione che (escludendo naturalmente la DDR), non si aveva dall’anteguerra. “Il nostro interesse nazionale non ci consente di stare in mezzo fra est e ovest. Il nostro paese ha bisogno della collaborazione con l’occidente e dell’intesa con l’oriente”[3], da queste poche parole, pronunciate da Brandt stesso, si deducono quelli che poi furono i punti cardine dell’Ostpolitik. Non una vera e propria apertura verso l’oriente, ma una distensione, un’intesa al fine di raggiungere, per tappe, alcuni obbiettivi programmatici. Una politica sovranista che potrebbe in qualche modo essere paragonata (e forse ne fu influenzata) a quella gollista. La politica di apertura verso l’oriente, tuttavia, procedette solo dopo aver ribadito il pieno inserimento della repubblica federale all’interno del sistema occidentale, della NATO e della piena amicizia e intesa con la Francia, già consolidata da anni dalla struttura della CECA e, dopo gli accordi di Roma del ’57, dalla Comunità Economica Europea. Per quanto riguarda l’oriente, di fatto, quella che si avanzava era una proposta di dialogo: si chiese all’Unione Sovietica di rinunciare al diritto dell’intervento, in precedenza ribadito dai sovietici, e in cambio si riconosceva lo status quo venutosi a formare dopo la guerra oltre il muro. In particolare il riferimento era alla Polonia, con cui in quegli anni, sempre in linea con la ostpolitik, fu concordato un trattato bilaterale che assicurò l’accettazione da parte tedesca dei confini occidentali della Polonia. Vi fu inoltre, per la prima volta, il riconoscimento dell’esistenza di due Germanie. Il tutto venne siglato con l’accordo germano-sovietico del 1970, firmato a Mosca da Brandt e Kossyghin, indispettendo inevitabilmente gli Stati Uniti, nonostante le rassicurazioni più volte ribadite e dimostrate. Con l’intento della distensione, al fine di costituire un ordine pacifico europeo, si arrivò dunque al congresso di Helsinki (1973-75), un processo diplomatico multilaterale, che portò ad un notevole avvicinamento, al prezzo di alcune pragmatiche rinunce da una parte e dall’altra. Priorità dell’Unione Sovietica era il riconoscimento delle frontiere post-1945, intento degli alleati occidentali era invece indebolire il patto di Varsavia attraverso lo strumento della causa dei “diritti umani”, un punto che la coalizione sovietica aveva sino ad allora visto come un’intollerabile ingerenza[4]. E’ attraverso Mosca (1970) ed Helsinki (1975) che, infine, la repubblica federale tedesca riconobbe la frontiera dell’Oder-Neisse. La RFT per altro rinunciò alla “Alleinvertretung” e, di conseguenza, all’intento politico dell’unione tedesca. Pur rinunciando, almeno nel breve termine, alla riunificazione dello Stato tedesco, Brandt non volle rinunciare all’unificazione della nazione. Per far ciò necessitava del consenso e della collaborazione della repubblica democratica e, dunque, dell’Unione Sovietica. Per questo motivo si potrebbe dire che la ostpolitik fu de facto ed inevitabilmente una “Russlandpolitik”[5]. Condizione posta dall’Unione Sovietica per la collaborazione, e la distensione, fu l’adesione della Germania al trattato di non proliferazione nucleare. Successivamente, la dirigenza sovietica dichiarò, tramite Leonid Brezhnev, la propria approvazione per la nuova politica estera condotta dalla RFT, questo nonostante effettivamente la DDR non venisse riconosciuta (nel 1970 erano 26 gli Stati che la riconoscevano), il che provocò qualche malumore a Berlino Est.
Fino a quel momento la dirigenza sovietica aveva preferito l’immobilismo nei confronti della Germania dell’Ovest, questo permetteva di tenere la Repubblica Federale Tedesca in uno stato di soggezione e d’inferiorità, attraverso una propaganda costante oltrecortina[6], distogliendo anche le attenzioni dai problemi e dalle contraddizioni interne. Tuttavia, alla Ostpolitik tedesca i sovietici fecero allora corrispondere una “Westpolitik”. Il cambiamento di rotta fu spinto dalla necessità che i paesi occidentali riconoscessero lo Status Quo ad oriente, in particolare il riconoscimento della nuova Polonia uscita dalla seconda guerra mondiale e modificata nei suoi confini occidentali. Essendo questi gli anni in cui la Cina andava rompendo con l’URSS, dopo aver elaborato la strumentale categoria di “socialimperialismo”, per avvicinarsi agli Stati Uniti, il riconoscimento delle frontiere occidentali era una pedina fondamentale per placare gli animi su tale fronte, potendosi concentrare con maggior equilibrio nelle questioni orientali. Moralmente inoltre il riconoscimento poteva essere sventolato come una vittoria, essendo state così imposte le conseguenze della guerra allo Stato che si era frontalmente contrapposto a quello sovietico.
Pur essendo il fine dell’Ostpolitik, da parte dei tedesco-occidentali, quello di distendere i due fronti, in modo da riequilibrare anche la situazione tedesca, e quello dei sovietici di indebolire geopoliticamente l’asse antisovietico, consci del peso politico ed economico della Germania (che nel frattempo andava crescendo in maniera sorprendente), Brandt mostrò un certo senso strategico nel suo riavvicinamento all’Unione Sovietica, come dimostrò parlando alla Radio, a Mosca, il 12 agosto del 1970: “La Russia è indissolubilmente legata alla storia europea, non solo come avversario o come pericolo, ma anche come partner, storicamente, politicamente, culturalmente ed economicamente”[7]. Si può dunque dire che dopo la dottrina Adenauer-Hallstein, venne a prevalere la “dottrina Brandt”: promuovere il cambiamento attraverso l’avvicinamento[8]. Bisogna tuttavia aggiungere che nella sua politica fu probabilmente anche condizionato da Günter Guillaume, quello che in breve divenne uno dei suoi uomini più fedeli, secondo alcuni il “braccio destro” , ma che presto si rivelò una spia della Stasi, inviato con non ben precisati compiti da Markus Johannes Wolf , il quale, tuttavia, dichiarò in un’intervista successiva che l’intento non era quello di gettare in disgrazia il cancelliere[9] (quest’ultimo dovette infatti dare le dimissioni, in seguito all’”affare Guillaume”. Una vicenda tutt’oggi poco chiara e su cui poca luce è stata fatta.
Conclusioni
L’ostpolitik fu una politica realista, fu un calcolo pragmatico che prese le mosse dall’accettazione dello status quo, condizione preliminare, conditio sine qua non per distendere i rapporti con l’Est. Questa politica guardava ai vertici, alle dirigenze, indipendentemente dalle possibilità sovversive di determinati movimenti filoccidentali. A testimoniarlo vi è il rifiuto della Repubblica Federale di aderire alle sanzioni mosse dagli Stati Uniti contro la Polonia, per la repressione dei movimenti “rivoluzionari”, i quali godevano in gran parte della simpatia e delle potenze occidentali. Tale fase politica inoltre, come ampiamente previsto dai suoi promotori, permise alla Germania di ritagliarsi un proprio spazio politico, restituendole il peso geopolitico ed economico adeguato, per la preoccupazione e il sospetto degli alleati occidentali.
A conti fatti, pur non ottenendo grandi cambiamenti in ambito geopolitico, l’ostpolitik fu il momento di massima distensione tra la Germania e l’Unione Sovietica, sin dalla rottura in seguito all’Operazione Barbarossa. Un avvicinamento che, seppur apparentemente sotto controllo, mise in allarme alcuni settori, in particolare delle due potenze talassocratiche. D’altronde queste interferirono nei rapporti tedesco-sovietici anche nel primo dopoguerra e nel 1939. A dimostrazione che un’alleanza fra le due potenze continentali, l’unione fra due forze economiche e politiche, non fu e tutt’ora non è ben vista dalle potenze egemoni.
* Marco Zenoni è laureando in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia
[1] http://www.eurasia-rivista.org/dietro-le-quinte-della-guerra-tra-la-germania-e-la-polonia/1015/ [1]
[2] http://www.eurasia-rivista.org/il-patto-di-non-aggressione-tedesco-sovietico/1645/ [2]
[3] cfr. “Affari esteri”, n. 5 – 1970. P. 130
[4] Cfr. Eurasia, n.2 – 2011
[5] Ibidem
[6] Ibidem.
[7] Cfr. “Affari esteri”, n.8 – 1970. P. 11
[8] Cfr. “Affari Esteri”, n.8 – 1970.
[9] http://www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1533707/Markus-Wolf.html [3]
00:05 Publié dans Affaires européennes, Géopolitique, Histoire | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, histoire, allemagne, russie, urss, union soviétique, ostpolitik, willy brandt, europe, affaires européennes, années 60, années 70 | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
Emilio Gentile: Pour ou contre César?
Emilio Gentile: Pour ou contre César?
Pierre Le Vigan
Ex: http://metamag.fr

00:05 Publié dans Histoire, Livre, Livre | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : totalitarisme, religion, catholicisme, protestantisme, histoire, années 30, années 20, emilio gentile, allemagne, italie | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mardi, 27 août 2013
La Réserve Fédérale des Etats-Unis empêche l’Allemagne de rapatrier son or
La Réserve Fédérale des Etats-Unis empêche l’Allemagne de rapatrier son or
Les Etats-Unis refusent de rendre l’or que l’Allemagne a mis à l’abri dans la Réserve Fédérale des USA et a, par ailleurs, empêché les représentants allemands de visiter le coffre de la Banque Centrale de ce pays pour vérifier l’état des tonnes d’or entreposées.
La méfiance par rapport au dollar pourrait s’intensifier après que la Bundesbank allemande ait demandé le rapatriement de son or entreposé dans la Réserve Fédérale des États-Unis, mais que Washington ait refusé de le faire avant 2020.
L’agence d’information russe, RT, a publié que les représentants allemands se sont vus refuser le permis de visiter le coffre de la Banque Centrale des États-Unis.
« L’Allemagne, qui y a entreposé près de la moitié de ses réserves en or, a de bonnes raisons de s’inquiéter. En général, les institutions financières des USA sont connues pour vendre ce qui n’existe pas réellement », écrit RT sur la publication de son portail Web.
Ils citent l’exemple de 2012, lorsque la banque Goldman Sachs vendait des certificats d’or en assurant qu’ils étaient garantis par l’or authentique de ses coffres. Cependant, comme cela s’est su par après, il n’y avait pas d’or dans ces coffres, et la banque travaillait sur base d’un système de réserve fractionnaire, en supposant que peu de dépositaires exigeraient de récupérer leur or.
Le fondateur et président de l’Association Allemande de Métaux Précieux, Peter Boehringer, considère que ce refus des États-Unis est un mauvais signe.
« Nous avons exercé beaucoup de pression sur la Bundesbank, nous lui avons envoyé énormément de questions, ainsi que d’autres entités. Nous voulons savoir pourquoi elle n’agit pas en tant qu’audit approprié, pourquoi ils ne font pas pression sur la banque centrale de son partenaire, tout particulièrement sur la Réserve Fédérale, pour qu’elle soit un audit adéquat. Pourquoi n’est-il pas possible de rapatrier cet or ? Il y a donc énormément de questions sans réponses », dit-il.
« Les USA et la Réserve Fédérale financent actuellement entre 60 et 80% de la dette fédérale récemment publiée, les bons du Trésor. Et son achat libre est une mauvaise nouvelle pour la dette des USA. Cela met en évidence que quelque chose va mal pour la qualité du dollar des États-Unis comme monnaie de réserve. La Chine et l’Inde vont probablement consommer 2.300 tonnes d’or conjointement cette année, ce qui équivaut presque à 100% de la production mondiale », explique-t’il.
La Réserve Fédérale des États-Unis est une des organisations les plus secrètes au monde. Depuis bien des années, elle entrepose de grandes quantités d’or de différents pays. Si auparavant elle était considérée comme l’endroit le plus sûr pour les réserves de beaucoup de pays, maintenant la situation a changé, puisque l’or qui y est entreposé s’épuise du fait de sa vente, son cautionnement ou son utilisation comme garantie financière.
En janvier de cette année, la Bundesbank allemande a informé de sa décision de rapatrier 674 tonnes des réserves officielles d’or déposées à l’étranger d’ici 2020.
Jusqu’au 31 décembre 2012, la banque allemande conservait 31% de son or sur le sol allemand. Avec cette mesure, ils estiment que cette quantité s’élève à 50% avant le 31 décembre 2020.
« Les réserves d’or d’une banque centrale créent de la confiance », indique l’entité financière dans un communiqué qui assure que cette mesure augmentera la confiance en sa propre économie.
L’Allemagne possède la seconde plus grande réserve d’or au monde ; 3.396 tonnes. Au cours des prochaines huit années, 674 tonnes vont être rapatriées depuis New-York et Paris, avec pour objectif que 50% de cet or soit entreposé sur le sol allemand. 13% des réserves d’or allemandes sont entreposée à Londres et y resteront entreposées. Les réserves d’or déposées à New-York devraient passer de 45% à 37%. Les 374 tonnes actuellement entreposées à la Banque de France à Paris retourneront sur le sol allemand.
Source : Telesur
Traduit par SanFelice pour Investig'Action
00:11 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (1) | Tags : or, économie, allemagne, états-unis, politique internationale, europe, affaires européennes, réserve fédérale | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
lundi, 26 août 2013
Windows 8 kwetsbaar voor NSA-spionage
Cryptoloog en veiligheidsexpert vergelijkt Windows 8 met elektronische enkelband - 'Dit is het einde van de persoonlijke computer en smartphone'
De Duitse overheid waarschuwt dat het nieuwe besturingssysteem van Microsoft, Windows 8, kwetsbaar is voor spionage door de Amerikaanse NSA. Volgens IT-experts is Windows 8 uitgerust met de zogenaamde Trusted Computing technologie, waarmee Microsoft - en daardoor ook de NSA, die tenslotte nauw met de softwaregigant samenwerkt - de controle kan krijgen over zowel de hardware als de software van een PC of laptop. Ook kan gecontroleerd worden of de geïnstalleerde software wel legaal is.
Windows 8 is tot nu toe geen groot succes. Veel computergebruikers ervaren het 'tegeltjesscherm' als onhandig en lelijk, en vinden het ontbreken van de kenmerkende startknop met bijbehorend menu maar niets. Microsoft hoopt dat de aanstaande update naar Windows 8.1 de grootste bezwaren van gebruikers wegneemt.
'Gevaarlijke veiligheidslekken'
IT-experts van de Duitse overheid zeggen nu dat Windows 8 aanzienlijke veiligheidslekken heeft en kenmerken deze zelfs als 'gevaarlijk'. 'Door het verlies van de volle soevereiniteit over de informatietechniek zijn de veiligheidsdoelstellingen 'vertrouwelijkheid' en 'integriteit' niet meer gegarandeerd,' concluderen de experts. Om deze reden noemen ze het gebruik van de 'Trusted-Computing' technologie voor de overheid en gebruikers van kritieke infrastructuur 'onacceptabel'.
'Elektronische enkelband'
Op veel PC's en laptops wordt Windows 8 voorgeïnstalleerd. Volgens cryptoloog en veiligheidsonderzoeker Rüdiger Weis verliezen gebruikers door Windows 8 en een geïntegreerde 'bespieder'chip genaamd Trusted Computing Module (TPM)- met name in de veilige opstartmodus- 'de controle over hun eigen hardware en software.'
'Het doet op onaangename wijze denken aan een elektronische enkelband. Zo kan bijvoorbeeld via internet worden gecontroleerd of er op de PC enkel legale software draait. Dit is het einde van de persoonlijke computer en smartphone. Het klinkt als een droom voor oncontroleerbaar geworden geheime diensten en onderdrukkende staten...'
'Droomchip voor NSA'
Vooral het feit dat de geheime sleutel na afloop van het fabricageproces van de chip wordt ingebracht ligt gevoelig, aangezien het op deze wijze eenvoudig is een kopie van alle sleutels te maken. Hiermee is de TPM een ware 'droomchip' voor de NSA en andere veiligheidsdiensten. Volgens Weis is ook het andere scenario, namelijk dat de TPM niet door de NSA maar door de Chinese overheid misbruikt kan worden, niet bepaald geruststellend.
Ook binnenlands internetverkeer kwetsbaar
Uit nieuwe informatie en gesprekken blijkt dat de NSA zeker 75% van al het internetverkeer in de VS kan afluisteren en registreren. Dit kan ook voor Europa en Nederland van belang zijn, want sommige binnenlandse internetcommunicatie verloopt bijvoorbeeld om financiële redenen via het buitenland - een feit dat ook de Duitse overheid heeft toegegeven. Juist daar kunnen geheime diensten, onafhankelijk van de nationale wetten van het land waar de communicatie plaatsvindt, toeslaan. (1)
Xander
(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, informatique, windows 8, allemagne, europe, affaires européennes, nsa, espionnage, services secrets, services secrets américains, prism, smartphones, pc | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mardi, 20 août 2013
Joschka Fischer: écolo payé par les lobbies de l’énergie nucléaire...
Joschka Fischer: écolo payé par les lobbies de l’énergie nucléaire...
Joseph Fischer, dit “Joschka” Fischer, a été le ministre vert des affaires étrangères de la RFA sous le “règne” du Chancelier socialiste Gerhard Schröder. Aujourd’hui, le voilà qui travaille pour les consortiums de l’énergie nucléaire! Il est effectivement actif comme “lobbyiste” pour Siemens, BMW, l’OMV et RWE. Si on examine bien sa biographie, son itinéraire politique, force est de constater que sa vie est un long cortège de contradictions. Dans ses jeunes années, Fischer était l’un de ces extrémistes de gauche typiquement allemands, convaincu et fanatique. Il a été membre de l’APO (l’“Opposition Extra-Parlementaire”), du groupe radical et militant “Lutte Révolutionnaire” (“Revolutionärer Kampf”) puis des “Cellules Révolutionnaires” (“Revolutionäre Zellen”) et a entretenu des contacts avec des militants de gauche qui ont assassiné le ministre hessois de l’économie Heinz Herbert Karry.
Cet homme qui, jadis, combattait le capitalisme au sein de la gauche radicale la plus dure, cet homme qui bastonnait les policiers hessois, est le même qui, devenu membre du gouvernement fédéral rouge-vert, donna son approbation à l’engagement de troupes allemandes dans des conflits extérieurs, pour la première fois depuis la fin de la seconde guerre mondiale. Il a livré ainsi à l’OTAN des régiments allemands pour qu’ils soient engagés au Kosovo d’abord, en Afghanistan ensuite.
Fischer, l’homme qui, dans son jeune temps, avait ouvert une “Librairie Karl Marx”, prononce désormais des conférences à la tribune de Goldmann-Sachs et à celle de Barclay Capital et se remplit les poches avec l’argent de l’industrie nucléaire.
Les extrémistes de gauche professionnels ne sont donc plus ce qu’ils ont été...
(note parue dans “zur Zeit”, Vienne, n°33-34/2013; http://www.zurzeit.at ).
00:03 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Politique | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : allemagne, politique internationale, verts, écolos, grünen, joschka fischer, europe, affaires européennes, actualité, politique | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
lundi, 19 août 2013
Villes et communes allemandes à bout de souffle
“Anton BESENBACHER” (’t Pallieterke):
Villes et communes allemandes à bout de souffle
La ville de Detroit aux Etats-Unis est en faillite. Nous l’avons tous appris. Cette ville, pionnière de l’industrie automobile, ne peut plus payer ses factures. Par le biais de Dexia, cette affaire prend une petite tonalité belge... Passons... En Allemagne, les villes et les communes ne peuvent pas faire faillite. Si une ville ne peut plus payer ses créanciers, le Land intervient. Et si le Land ne peut plus payer les factures, alors le niveau fédéral saute sur la brèche. Et si l’Allemagne toute entière perd crédibilité en matière de crédit, alors les contribuables doivent tout simplement payer des impôts supplémentaires.
L’idée qu’un pouvoir public puisse faire banqueroute est incompatible avec la législation mais aussi avec la vision que l’on a toujours cultivée en Europe de ce que doivent être des pouvoirs publics. Les pensions du personnel communal ne seraient plus payées en cas de faillite d’une commune ou d’une ville. Les fonctionnaires seraient tous jetés à la rue, les hôpitaux et les écoles fermeraient leurs portes et on mettrait un terme à toute une série d’initiatives sociales. De tels scénarios, nous, Européens, ne pouvons pas nous les imaginer!
C’est sans doute une bonne nouvelle. Passons maintenant à la mauvaise nouvelle. Dans le jargon spécialisé, il existe une expression: “moral hazard”. Les sociologues universitaires entendent, par cette expression, le fait que les gens, les institutions, les établissements d’enseignement et les entreprises deviennent très vite imprudents voire totalement irresponsables quand ils pensent que les factures seront toujours payées en fin de compte, même par des tiers. Fortes de cette certitude, les communes et les institutions prennent des risques inconsidérés, engagent des dépenses déraisonnables qu’on ne prendrait pas si on savait que la facture finale serait pour sa propre escarcelle. A cela s’ajoute que les villes et les communes peuvent emprunter à des taux très avantageux, aux tarifs des pouvoirs publics allemands dont elles relèvent. Le niveau fédéral allemand accorde de toutes façons sa garantie. Les villes qui ont de fortes dettes peuvent continuer, sans aucun problème, à s’alimenter sur le marché des capitaux et ne sont pas sanctionnées par des taux d’intérêts plus élevés. Bref, c’est le scénario grec en Allemagne!
Si on examine les administrations locales, on doit bien constater que la Grèce se trouve aussi en Germanie. Des centaines de villes et de communes allemandes sont en fait en état de banqueroute et ne sont pas déclarées telles officiellement pour les riasons que nous venons d’évoquer et parce que les lois permettent ce tour de passe-passe.
Oberhausen, au Nord-Ouest de la région de la Ruhr, compte plus ou moins 210.000 habitants. Cette ville s’était développée jadis grâce à ses mines de charbon. Offenbach, dans le Land de Hesse, près de Francfort sur le Main, est également baignée par cette rivière du centre du pays et compte, elle, quelque 120.000 habitants. Bremerhaven compte à peu près autant d’habitants et est, comme son nom l’indique, une ville portuaire. Elle se trouve sur la Weser et s’appelait jusqu’en 1947 Wesermünde. Ce sont les trois grandes villes allemandes qui sont financièrement au bout du rouleau aujourd’hui. On le remarque d’ailleurs tout de suite. Les infrastructures comme les piscines publiques sont fermées. Les rues ne sont plus entretenues. Les écoles sont dans des états déplorables. Si le désastre financier qui les frappe prend encore un peu d’ampleur, les pouvoirs publics de plus haut niveau n’interviendront plus. Le fête finit toujours par s’achever.
Ah! Si ces villes allemandes étaient Detroit...
Seuls les bons connaisseurs de l’Allemagne pourront situer Oberhausen, Offenbach et Bremerhaven sur la carte. Berlin, Hambourg et Brème sont toutefois des villes connues bien au-delà des frontières allemandes. Pour les amateurs de nouvelles déprimantes: Detroit, aux Etats-Unis, laisse une dette de 20.500 euro par habitant. Les habitants de Hambourg, eux, ont une dette de 20.800 euro par tête. Pour les Berlinois, c’est mille euro de plus. Brème tient le pompon avec une dette urbaine de 34.200 euro par habitant. Donc Brème respirerait si elle pouvait échanger ses dettes contre celles de Detroit.
Selon la Ligue des contribuables allemands, la situation est bien plus dramatique. Pour ce groupe de pression, qui s’est donné pour tâche de veiller à un bon usage de l’argent du contribuable par les pouvoirs publics, les villes et les communes ne pourraient en réalité reprendre que 44% de leurs dettes dans leurs budgets. Les villes les plus touchées luttent contre des déficits structurels patents. Elles se trouvent surtout dans la région de la Ruhr, où elles s’étaient développées avec brio jadis grâce aux mines et à la sidérurgie, ou dans le Nord où les chantiers navals avaient généré le bien-être général. Ces temps heureux sont passés. Le déclin est vite venu. Les revenus de ces villes ont chuté parce que bon nombre d’habitants sont devenus chômeurs et parce que, de ce fait, les dépenses sociales ont augmenté.
Comme les édilités locales n’aiment pas prendre des mesures impopulaires, elles ont tenté de maintenir à flots le paiement des revenus de substitution, tout en diminuant considérablement —jusqu’au minimum du minimum— les investissements sur le long terme. L’an passé, les villes et les communes ont dépensé 187 milliards d’euro; dans cette somme, seuls 20 milliards étaient consacrés à des investissements, soit 11% de moins encore qu’en 2011. La politique que ces édilités poursuivent est donc de combler les trous à court terme, de façon à accroître encore leurs dimensions sur le long terme.
Les administrations communales se plaignent parce que les citoyens font de plus en plus appel aux pouvoirs publics locaux pour toutes sortes de choses, anciennes et nouvelles. L’Etat doit toujours être prêt à financer ces exigences ou à apporter son soutien. Augmenter les impôts serait fatal pour les édilités communales lors des élections à venir. Emprunter est donc beaucoup plus facile...
Anton BESENBACHER.
(article paru dans “ ’t Pallieterke”, Anvers, 24 juillet 2013).
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, allemagne, europe, actualité, affaires européennes | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
dimanche, 18 août 2013
Porträt A. Paul Weber
Porträt A. Paul Weber
von Christoph George
Ex: http://www.blauenarzisse.de
Die Graphiken A. Paul Webers (1893−1980) gehören zu den bekanntesten künstlerischen Äußerungen der deutschen Rechten. An Aktualität haben sie bis heute nichts eingebüßt.
Der aus dem thüringischen Arnstadt stammende Heinrich Andreas Paul Weber, so sein bürgerlicher Name, schuf während seiner Schaffenszeit über 5000 Graphiken. Von 1908 bis 1914 war er Mitglied im Jung-Wandervogel. Seine hier geweckte Liebe zu Nation und Natur spiegelten sich in vielen seiner späteren Werke. Erfahrungen konnte er bereits als Gebrauchsgraphiker sammeln, bis er 1916 erste Karikaturen und Zeichnungen für die Zeitschrift der 10. Armee entwarf.
Weber beschäftigte sich mit den unterschiedlichsten Themen. Zeichnungen wie Der Denunziant, Wir sind überm Berg! oder Das Gerücht, haben über die Jahrzehnte längst Kultstatus erreicht. Sie dürften mittlerweile bekannter sein als ihr Schöpfer. Die übrigen Zeichnungen werden gern vergessen ‒ lohnen sich jedoch unzweifelhaft für eine nähere Betrachtung.
Die NS-Bewegung als reaktionäre Nebelkerze
Zusammen mit Ernst Niekisch und dessen Widerstands-Verlag brachte Weber 1932 die Schrift Hitler – Ein deutsches Verhängnis heraus, der er fünf Federzeichnungen beifügte. Eine der erschütterndsten Darstellungen trägt den Titel Der Sumpf. Unter düsterem Himmel ist ein schier endlos erscheinendes Feld zu sehen, welches gespickt mit zerfetzten Fahnen und einer Standarte ist. Aus Gräbern gestreckt, bieten sich unzählige Arme zum Hitlergruß dar. Obwohl hier vor allem das Versinken der NS-Bewegung im bürgerlichen Sumpf angeprangert werden sollte, schwingt im Bilde doch eine dunkle Vorahnung mit. Das lag auch in der Intention des Künstlers.
Die Reihe dieser gegen Hitler gerichteten Bilder ist aus der nationalrevolutionären Richtung heraus zu verstehen, wie sie damals insbesondere Ernst Niekisch vertrat. Nach Niekischs Theorie mußte die drohende Hitlerherrschaft in einer erneuten totalen Niederlage Deutschlands gipfeln. Er sah in Hitler nur einen Vertreter der für ihn überholten wilhelminischen Epoche. Niekisch jedoch war der Ansicht, Deutschland bedürfe eines revolutionären Staatsmannes. Der uniformierte Kleinbürger in Gestalt Hitlers aber verzichte zugunsten eines bürgerlichen Lebensstils auf die Strenge der eigentlichen Herausforderung der Zeit. Unter dieser Prämisse bleibt auch das bekannteste Bild aus dieser Reihe, Deutsches Verhängnis, zu verstehen, welches später auch in Schulbüchern abgedruckt wurde.
Zeichnungen für die Kriegspropaganda
Nach der Inhaftierung Niekischs 1937 wegen angeblichen Hochverrats wurde auch Weber für einige Monate verhaftet. Gegen Kaution kam er nach circa einem halben Jahr wieder frei. Trotz grundsätzlich distanzierter Haltung zum NS-Regime und seinen Zeichnungen für den Widerstands-Verlag arbeitete Weber während des Zweiten Weltkrieges auch für die deutsche Kriegspropaganda. Nach eigenen Angaben hätte er jedoch nichts gezeichnet, womit er ohne Goebbels Auftrag nicht einverstanden gewesen wäre. Bemerkenswert bleiben aus dieser Periode vor allem die antibritischen Zeichnungen, insbesondere die Bilder Der Plumpudding und Westminster. Aus ihnen spricht eine deutsche Sicht auf den westlich-liberalen Kapitalismus und dessen vermeintliche Segnungen.
Selten jedoch schockieren Webers Bilder derart wie in Der Sumpf. Ein typisches Bild Webers ist geprägt durch weiche Formen, üppige Rundungen und irrwitzige Gestalten. Sie lassen in das Thema, und sei es noch so ernst, eine deutliche Spur Gelassenheit einfließen. Gerade das dargestellte Böse erscheint bei Weber aber nicht weniger bedrohlich als etwa bei dessen Künstlerkollegen Alfred Kubin, dessen Bilder zumeist auf den ersten Blick schon schockierend auf den Betrachter wirken.
Aber Weber erzeugt gerade dadurch, daß er den eigentlichen Schrecken auf eine tiefere Ebene in seinen Bildern verlagert, einen Sinn für eben jene Banalität menschlicher Unzulänglichkeiten. Der Schrecken vermittelt sich dem Betrachter nicht sofort, sondern erst durch die nähere Beschäftigung. Die Möglichkeit der Bewahrung menschlicher Größe bleibt so gewahrt, während Kubin vor allem ein Gefühl der Hilflosigkeit erzeugt.
Durch gegenständliche Kunst zu höheren Wahrheiten
Es gilt hier, was Martin Heidegger über das Kunstwerk am Beispiel des Schuh-Gemäldes van Goghs sagte. Durch deren Darstellung erfahren wir weniger, was es mit jenen konkret gemalten Schuhen auf sich hat. Vielmehr bekommen wir durch ihre Darstellung eine Idee der Schuhe an sich vermittelt: Sie werden durch das Kunstwerk aus der Zeit heraus genommen und verkünden so eine höhere Wahrheit. Das zeigt sich ebenso an Webers Lithographie Rückgrat raus!
Ein weiteres Bild Webers ziert das soeben neu erschienene Buch Manfred Kleine-Hartlages: Der Schlag ins Leere von 1951. Zu sehen ist darauf der deutsche Michel mit Schlafmütze und Nachthemd. An einem Baum stehend, einer Hinrichtungsszene gleich, scheint er Suizid zu begehen. Er hält sich einen Zimmermannsnagel an den Kopf und will mit dem Hammer darauf schlagen. Der apathische Blick erinnert dabei an einen Zustand der Trance, wie er im Zusammenhang mit einer absurden Tat unter Hypnose denkbar wäre.
Tod oder Kopfschmerz
Das Bild passt ohne Frage auch in unsere zeitlichen Umstände. Es erfüllt seine Aufgabe, indem es die erkannte Tendenz auf die Spitze treibt und künstlerisch wiedergibt. Die Situation aus dem Bild heraus zu Ende denkend, eröffnen sich dem Betrachter dabei zwei Konsequenzen des anstehenden Schlages: Bei der einen reicht die selbstdestruktive Kraft aus, um den Nagel bis in den Baumstamm hinein zu treiben. Andernfalls wacht Michel unter gehörigem Kopfschmerz durch den zu laschen Schlag auf. Nach überwundener Verwirrung findet er zurück zur Besinnung. Webers Zeichnungen bieten uns stets ein Stückchen Hoffnung vor der drohenden Katastrophe.
Buchempfehlung: Helmut Schumacher/Klaus J. Dorsch: A. Paul Weber – Leben und Werk in Texten und Bildern. Verlag E. S. Mittler & Sohn 2003. 352 Seiten. 356 s/w– und 17 Farbabbildungen. Antiquarisch ab 18 Euro erhältlich.
00:05 Publié dans art | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : a. paul weber, allemagne, art, satire, art satirique | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mercredi, 14 août 2013
Presseschau - August 2013
Presseschau
August 2013
#####
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : allemagne, europe, affaires européennes, actualité, presse, journaux, médias | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mardi, 16 juillet 2013
Stotternder Magus
Vor 225 Jahren gestorben: Königsberger Philosoph J. G. Hamann
Königsberg war im 18. Jahrhundert deutsche Hauptstadt der Philosophie. Nicht nur Kant lebte und wirkte hier, sondern auch sein Antipode Johann Georg Hamann. Während der Aufklärer Kant die reine Vernunft lehrte, verurteilte Hamann diese Lehre als gewalttätig und despotisch und predigte stattdessen die Reinheit des Herzens.
Gab es da etwa Anzeichen von Revierkämpfen? Wohl kaum. Königsberg war groß genug, um beide Denker zu verkraften, und Hamann ein zu kleines Licht, um Kant Konkurrenz zu bieten. Im Gegenteil, Kant verhalf dem mittelosen Kollegen 1767 zu einer Stelle im preußischen Staatsdienst bei der Königsberger Provinzal-Akzise und Zolldirektion. Was wie eine Strafversetzung erscheint, war für Hamann ein Glück, denn weil der am 27. August 1730 als Sohn eines Königsberger Baders und Wundarztes Geborene die Universität ohne jeden Abschluss verließ, hatte er nie – wie Kant – einen Anspruch auf einen Lehrstuhl. Im Gegensatz zu Kant war er Hobbyphilosoph, der aber dennoch von seinen Zeitgenossen wahrgenommen wurde. Goethe, der während seiner Studienzeit in Straßburg von Herder auf Hamann aufmerksam gemacht wurde, bekannte, dass ihm dessen geistige Gegenwart „immer nahe gewesen“ sei.
Für diese Anerkennung musste Hamann hart kämpfen. Nach seinem – vergeblichen – Studium der Theologie und Jurisprudenz schlug er sich als Hauslehrer im baltischen Raum durch, machte danach einige journalistische Versuche, ehe er auf Geheiß einer befreundeten Kaufmannsfamilie mit einem handelspolitischen Auftrag nach London reiste. Hier hatte der Lutheraner sein religiöses Erweckungserlebnis, indem er intensiv die Bibel studierte. Es war ein „Schlüssel zu meinem Herzen“, schrieb er.
Zurück in Königsberg blieb Hamann ein „Liebhaber der langen Weile“, von der er im Zollamt offenbar ausgiebig Gebrauch machte. Während der Dienststunden bewältigte er ein Lektürepensum, das ihn zu einem der letzten universal belesenen Polyhistoren reifen ließ. Seine Reflexionen über das Gelesene legte er in Gelegenheitsschriften und Briefen nieder, deren dunkler Redesinn oft schwer nachvollziehbar ist. Im Zentrum seines Denkens steht dabei das Verhältnis von Vernunft und Sprache. Da die menschliche Sprache mit Makeln behaftet sei, könne man mit ihrer Hilfe niemals zur höchsten Vernunft kommen. Das sokratische Nichtwissen blieb Hamanns letztes Wort.
Wer sich hier als Sprachphilosoph betätigte, hatte selbst einen Sprechfehler: Hamann stotterte sein Leben lang. So glaubte er einzig an das göttliche Wort, den Logos der Natur, in dem sich Gott offenbare. Den Stürmern und Drängern um Goethe kamen solche Gedanken gerade recht, wollten sie doch den Genie-Begriff der Aufklärer vom Sockel stoßen. Da sich Hamann bei seiner bibelfesten Argumentation wie die drei Magi aus dem Morgenland auf der Suche nach Christus begab, verlieh ihm der Darmstädter Geheimrat von Moser den ironischen Titel „Magus im Norden“.
Tatsächlich war Hamann nicht nur Wegweiser für den Sturm und Drang, sondern später auch für Philosophen wie Schelling und Kierkegaard oder Autoren wie Ernst Jünger. Einer seiner Bewunderer war auch der westfälische Landedelmann Franz Kaspar von Buchholtz, der Hamann, seine uneheliche Frau – eine Magd – und seine vier Kindern mit 4000 Reichstalern aus dem Fron beim Zollamt erlöste und ihn 1787 ins katholische Münster lotste. Nur ein Jahr später starb Hamann dort am 21. Juni 1788 – nur kurz vor einer geplanten Rückreise nach Königsberg.
Harald Tews
00:05 Publié dans Philosophie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : j. g. hamann, histoire, philosophie, 18ème siècle, allemagne | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 11 juillet 2013
Ernst Jünger et la révolution conservatrice
Dominique Venner, Le choc de l'histoire
00:05 Publié dans Entretiens, Littérature, Nouvelle Droite, Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (1) | Tags : entretien, dominique venner, nouvelle droite, ernst jünger, lettres, littérature, littérature allemande, lettres allemandes, révolution conservatrice, allemagne, weimar | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 04 juillet 2013
Baltikum, Dominique Venner
Libros: Baltikum, Dominique Venner

Info|krisis.- La muerte sacrificial de Dominique Venner nos sorprendió cuando estábamos corriendo la traducción de una de las obras que escribió con más entusiasmo y que le reportó más fama como historiador: Baltikum, aparecida hace cuarenta años, es una obra que no solamente nos informa sobre un episodio histórico titánico sino que nos explica cómo fue posible el nacional-socialismo, las Secciones de Asalto y su enfrentamiento con las SS.
00:05 Publié dans Histoire, Livre, Nouvelle Droite | Lien permanent | Commentaires (5) | Tags : nouvelle droite, corps francs, allemagne, weimar, années 20, histoire, baltikum, dominique venner | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
Hoog lid Erdogans AKP dreigt Berlijn met 3,5 miljoen Turken in Duitsland
Radicalisering Turken in Europa door islamistische Gulenbeweging - Erdogan moedigt gebruik van vlag Ottomaans Rijk aan
Erdogan moedigt het gebruik van de Ottomaanse vlag inmiddels openlijk aan.
Onopgemerkt -of opnieuw bewust genegeerd- door de Westerse media is een uiterst veelzeggend dreigement dat Melih Gökcek, de burgemeester van de Turkse hoofdstad Ankara en een vooraanstaand lid van premier Erdogans AK Partij, deze week aan het adres van de Duitse regering Merkel heeft gedaan vanwege de kritiek die Berlijn had op het keiharde neerslaan van de massademonstraties in Turkije. 'Duitsland zou voorzichtig moeten zijn. In Duitsland leven 3,5 miljoen Turken.' In april 2012 schreven we al dat de regering in Ankara van plan was om de in Europa woonachtige Turken te mobiliseren, om zo de belangen van Turkije en de islam te 'verdedigen'. Hiervoor werd in 2010 zelfs een speciaal ministerie opgericht.
Westerse 'inmenging'
De flamboyante burgemeester Gökcek was woedend om wat hij de 'Westerse inmenging' bij de massale demonstraties tegen de regering Erdogan noemde. Hij beschuldigde een BBC-journalist ervan een geheim 'agent' te zijn die tot acties tegen de regering zou hebben opgeroepen, en op Twitter voerde hij een ware veldslag tegen CNN. Tevens kondigde hij op TV aan een campagne tegen Duitsland op te zullen starten. Als voorbeeld van de 'inmenging' noemde hij de Duitse pianist Davides Martello, die op het Taksimplein in Istanbul een paar deuntjes had gespeeld 'om de bevolking op te hitsen'.
'Vijandige buitenlandse machten'
De regering Erdogan geeft inmiddels 'vijandige machten' in het buitenland de schuld van de demonstraties, die nog altijd doorgaan. Een paar weken geleden wees Erdogan al 'bankiers' in het buitenland als de plannenmakers achter de schermen aan. (3) Gökcek eist inmiddels een verbod op de seculiere oppositiepartij CHP, die volgens hem de aanstichter van de protesten is. Ook wil de AKP de regels voor Twitter verscherpen, om daarmee de negatieve berichtgeving over de regering in te dammen.
De Turkse kritiek op de regering Merkel had ook te maken met de aanvankelijke blokkade die Duitsland opwierp tegen een nieuwe onderhandelingsronde over de toetreding van Turkije tot de Europese Unie. Nadat hier alsnog overeenstemming over werd bereikt matigde de regering Erdogan zijn toon. Minister van Economie Zafer Caglayan zei dat het antwoord op Merkels voorlopige afwijzing van de Turkse toetreding 'hoffelijk' moest blijven.
Getuigen van dodelijk politiegeweld opgepakt
Tegelijkertijd komen er steeds meer berichten uit Turkije over toenemende intimidatie en geweld door de veiligheidstroepen. Zo zei de advocaat van de familie van de door politieagenten doodgeschoten demonstrant Ethem Sarsülük dat de politie twee getuigen van de dodelijke schietpartij heeft gearresteerd. Het lijkt er sterk op dat de regering demonstranten en getuigen wil bang maken. De agent die Sarsülük doodschoot werd daarentegen weer op vrije voeten gesteld. (1)
Afgelopen avond en nacht kwam het in het zuidoosten van Turkije tot nieuwe ongeregeldheden. Bij een militaire politiepost in Lice/Diyarbakir werd vrijdag een 18 jarige demonstrant doodgeschoten. Volgens de BDP partij heeft de militaire politie gericht met scherp geschoten, waardoor in Istanbul opnieuw honderden mensen de straat opgingen om tegen het regeringsgeweld te protesteren. (2)
Speciaal ministerie om Turken in buitenland te mobiliseren
De waarschuwing van burgemeester Gökcek zal in Europa waarschijnlijk lacherig worden weggewuifd, maar kan maar beter heel serieus worden genomen. In 2010 richtte de regering Erdogan het ministerie voor Turken in het Buitenland op, dat speciaal is bedoeld om de in het buitenland woonachtige Turken, met name in Europa, te mobiliseren om samen een vuist te maken en de belangen van Turkije en de islam te 'verdedigen'.
Aan de buitenkant klinkt dat wellicht nog niet zo dreigend, ware het niet dat er in 2010 een speciale geheime bijeenkomst met 1500 in het buitenland woonachtige Turkse politici en zakenmensen werd georganiseerd om dit omvangrijke project op poten te zetten. Ook werden er vorig jaar twee grote conferenties georganiseerd om een strategie op te stellen hoe de invloed van de in Europa woonachtige Turken kan worden vergroot.
Islamistische Gulenbeweging bestuurt AK Partij
Bovendien is de Turkse vicepremier en theoloog Bekir Bozdag, die aan het hoofd van het bewuste ministerie staat, een aanhanger van de beruchte extremistische islamistische Gulenbeweging, die openlijk pleit voor het met leugens en misleiding ondermijnen van de Westerse samenleving en daarbij uiteindelijk geweld en terreur niet schuwt. De vrees bestaat dan ook dat Bozdag het omvangrijke internationale netwerk van de Gulenbeweging de ruggengraat van zijn 'mobilisatie'plannen heeft gemaakt, waardoor de in Europa wonende grote Turkse gemeenschap sterk zal radicaliseren.
In Turkije worden critici van de Gulenbeweging inmiddels als 'terreurverdachten' vastgezet. De oprichter van de beweging, Fethullah Gulen -door sommigen beschouwd als de gevaarlijkste islamist ter wereld-, vluchtte in 1998 naar de VS omdat de toenmalige seculiere Turkse regering hem wilde arresteren vanwege zijn plannen om van Turkije een radicaal islamistische staat te maken. Vanuit Amerika controleert Gulen de heersende islamitische AKP partij van premier Tayyip Erdogan, die net als president Abdullah Gul een heimelijke discipel van Gulen is.
Erdogan moedigt Ottomaanse vlag aan
Gezamenlijk streven de AKP- en Gulenleden naar de wederoprichting van het Turks-Ottomaanse Rijk. 'Wij zullen weer heersen van Sarajevo tot Damascus,' voorspelde de Turkse minister van Buitenlandse Zaken Davutoglu eerder dit jaar aan zijn Amerikaanse collega John Kerry. Veelzeggend is dat Erdogan zijn aanhangers inmiddels aanmoedigt om de vlag van het Ottomaanse Rijk te gebruiken (4). In zijn toespraak vorige week in Erzurum, de grootste stad van Oost Turkije, zei hij:
'Hang de Turkse vlaggen aan uw huizen op... Maar liever nog zou ik willen dat u daarnaast aan uw balkon de Ottomaanse vlag ophangt, die drie halve manen heeft. Dat zullen we verwelkomen, want we zijn trots op de Ottomaanse vlag (4).' Historisch gezien is deze vlag het symbool van het islamistische theocratische systeem waar het Ottomaanse Rijk op gebaseerd was, wat anno 2013 door Erdogan en de AKP opnieuw wordt nagestreefd.
'We hebben genoeg van deze arrogante premier'
Een Turkse zakenman: 'We hebben genoeg van deze premier, zijn dagelijkse uitbranders, zijn bemoeienis met hoeveel kinderen we zouden moeten krijgen (drie per gezin), zijn verbod op zoenen in het openbaar, zijn verbanning van alcohol tussen 10 uur 's avonds en 6 uur 's ochtends (behalve in toeristengebieden) en zijn derde brug over de Bosporus (die wordt genoemd naar Sultan Selim de Meedogenloze, die in de 16e eeuw Egypte annexeerde en van de Ottomanen het machtigste islamitische rijk maakte)... Erdogans stijl is zo onvriendelijk en arrogant geweest, dat de mensen nu zeggen dat het genoeg is geweest en de straat op gaan.' (5)
Xander
(1) Tagesspiegel
(2) Deutsche Wirtschafts Nachrichten
(3) Ynet News
(4) Hurriyet (via Walid Shoebat)
(5) Huffington Post
Zie ook o.a.:
10-06: Erdogans megamoskee in VS wordt Ottomaanse 'ambassade'
05-06: Gatestone Instituut: VS helpt herstel Turks-Ottomaans Rijk
23-03: Turkse minister BuZa: Wij zullen weer heersen van Sarajevo tot Damascus
21-03: Jordaanse koning waarschuwt het Westen voor Turkse premier Erdogan
12-03: Duitse geheime dienst: Turkije werkt al jaren aan kernwapens
01-03: Turkse premier Erdogan: Israël en kritiek op islam zijn misdaden tegen mensheid
02-02: Turkse minister BuZa roept Syrië op Israël aan te vallen
2012:
04-07: Turkse rechter: ' ... Erdogan en president Gül jagen het Ottomaanse Rijk na'
18-06: Turkije wil terugkeer machtigste en gevaarlijkste islamist ter wereld
18-04: Turkse regering gaat miljoenen Turken in Europa mobiliseren (/ Turkse vicepremier gaat extreem islamistische Gülen beweging inzetten)
2011:
12-07: Turkije wil leger verdubbelen naar 1 miljoen man (/ Erdogan impliceert nieuw Ottomaans Rijk inclusief Sarajevo en Jeruzalem)
09-06: Turkse opperrechter: Erdogan is tiran en wil sultan van het Midden Oosten worden
2010:
09-12: WikiLeaks (8): Turkije wil Europa islamiseren via lidmaatschap EU (/ 'Wraak op Europa vanwege nederlaag bij Wenen')
08-04: Gevaarlijkste islamist ter wereld is een Turk en leeft veilig in Amerika
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, turquie, asie mineure, levant, proche orient, méditerranée, berlin, allemagne, europe, affaires européennes, erdogan, akp | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mardi, 02 juillet 2013
Presseschau - Juli 2013
Presseschau
Juli 2013
#####

00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : médias, journaux, presse, actualité, europe, allemagne, politique internationale, affaires européennes | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
Afluisterschandaal: 'VS opereert als Stasi en is morele geloofwaardigheid kwijtgeraakt'
Frankrijk stelt Amerika ultimatum: Stop onmiddellijk met spioneren
Ook bondskanselier Merkel afgeluisterd
Europese leiders eenvoudig af te persen
EU-politici spelen nu de vermoorde onschuld, maar zijn zelf ook al jaren hard op weg om een totale-controlemaatschappij op te richten.
Het NSA-afluisterschandaal neemt steeds grotere vormen aan nu blijkt dat de Amerikanen ook standaard hoge Europese officials en regeringsleiders afluisteren. De Franse president Francois Hollande heeft de VS een ultimatum gesteld om onmiddellijk te stoppen met spioneren. Het is onduidelijk wat hij zal doen als Washington weigert (1). De paniek van hooggeplaatste politici zoals Hollande, de Duitse bondskanselier Merkel en EU-parlement president Martin Schulz geldt niet zozeer het afluisteren van burgers, want het is genoegzaam bekend dat ons lot hun een zorg zal zijn. Nee, ze zijn bang dat de Amerikanen persoonlijke info over henzelf bezitten en hen daarmee zal chanteren.
Martin Schulz noemde de onthulling dat de Amerikanen standaard Europese leiders afluisteren 'een enorme smeerboel'. De Duitse minister van Justitie Sabine Leutheusser-Schnarrenberger voelt zich herinnerd aan de koude oorlog. CSU-politicus Markus Ferber vergelijkt de NSA met de voormalige Oost-Duitse geheime dienst Stasi en vindt dat Amerika zijn morele geloofwaardigheid is kwijtgeraakt nu zelfs de emails, telefoongesprekken en het internetverkeer van bondskanselier Angela Merkel blijken te zijn afgetapt.
Totale controle
De achterliggende reden is dat de machtselite totale controle over invloedrijke officials, politici en regeringsleiders wil hebben. Op het moment dat iemand zich tegen hen verzet wordt zo'n persoon onmiddellijk met pijnlijke persoonlijke informatie gechanteerd of simpelweg kapot gemaakt.
Voorbeelden zijn bijvoorbeeld de officier van Justitie in New York Eliot Spitzer en voormalig IMF-chef Dominque Strauss Kahn. Spitzer probeerde de criminele banksters op Wall Street te vervolgen vanwege hun biljoenenfraude. Toen werden er opeens opnames gepubliceerd waarop Spitzer een afspraak had met een escortdame in een hotel. Wég was zijn carrière, en daarmee ook zijn onderzoek naar Wall Street.
Strauss-Kahn was een seksverslaafde en eveneens een gokker, en daarmee een makkelijk doelwit. Toen hij kritiek begon te hebben over de manier waarop het financiële systeem functioneerde en gered werd, liet men hem verleiden door een kamermeisje. Amper een uur laten haalde de politie van New York hem uit het vliegtuig en was ook hij zijn baan en geloofwaardigheid kwijt.
Het systeem vertrouwt zichzelf niet meer
De Wall Street elite zet tegelijkertijd klokkenluiders zoals Edward Snowden in. Hiermee krijgen hoge officials en politici de dreigende boodschap dat alles wat ze achter de schermen zeggen en doen bekend is en tegen hen zal worden gebruikt als ze niet aan de leiband meelopen. Kortom: de elite luistert ook elkaar af, een duidelijk teken dat het oude systeem zichzelf niet meer vertrouwt en vecht om te overleven.
Iedereen af te persen
Dankzij email en het internet is iedere politicus en official af te persen. Iedereen heeft wel iets te verbergen, of dat nu een buitenechtelijke affaire is, verboden of bizarre seksuele voorkeuren, een gokverslaving, belastingontduiking, geheime bankrekeningen, zwarte betalingen, privégebruik van dienstauto's... Normale burgers die zich aan dit soort zaken bezondigen zijn niet interessant. Hooggeplaatste personen des te meer.
Nemen we bijvoorbeeld EU-Commissiepresident José Manuel Barroso, salonmarxist en iemand die nauwe banden onderhoudt met dubieuze Griekse zakenmensen zoals miljardair Spiro Latsis, op wiens jacht 'Alexandros' hij meerdere malen vakantie heeft gevierd. Wat is Barroso's rol bij het met honderden miljarden euro's 'redden' van de Grieken, waarmee feitelijk alleen de Griekse superrijken overeind werden gehouden?
Gepland lekken van informatie
De 'onthulling' van het NSA-afluisterschandaal zou daarom wel eens heel goed gepland kunnen zijn. Hiermee zeggen de Amerikanen tegen de Europese leiders: wij weten alles van jullie, en als wij dat nodig achten, dan 'lekken' wij gevoelige informatie naar de media, of dit nu een geheime vriendin, een seksverslaving of een bankrekening met weggesluisd geld betreft. En de Westerse media werkt hier graag aan mee, want die worden vrijwel totaal gecontroleerd.
Door de schuldencrisis zijn zowel de politici als de media zeer kwetsbaar geworden en zijn daardoor eenvoudig manipuleerbare speelballen in handen van de financiële machtselite. Het afluisteren van alles en iedereen door de geheime diensten is feitelijk niets nieuws, want in de alternatieve media kunt u al jaren lezen dat dit het geval is.
Politici in paniek omdat ze nu zelf het doelwit zijn
Wél nieuw is de paniek waarmee de politiek nu op het afsluiterschandaal reageert. Zolang het gewone burgers betrof knipperden 'onze' leiders zelfs niet met hun ogen, maar nu ze zelf het doelwit zijn en hun eigen reputaties en carrières op het spel staan, slaat hun onverschilligheid om in verontwaardiging, woede en angst. Angst, want wie zal door elite worden uitgekozen om de volgende zondebok te zijn voor het wankelende Westerse systeem?
Kleinste misstap wordt geregistreerd en gebruikt
Ook in Den Haag zullen politici en parlementariërs voortaan wel twee keer moeten nadenken voordat ze een email of sms'jes sturen met persoonlijke of gevoelige informatie. Men weet nu 100% zeker dat zelfs de kleinste misstap wordt geregistreerd en zal worden gebruikt om hen in het gareel te houden, desnoods door dit als een pistool tegen hun slapen te zetten. Waar zij eveneens de absolute garantie voor hebben is dat de trekker onverbiddelijk zal worden overgehaald zodra dit 'nodig' wordt geacht. (2)
Xander
00:03 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, écoute, services secrets, services secrets américains, europe, affaires européennes, france, allemagne, union européenne | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
dimanche, 30 juin 2013
„Jetzt ist Ewigkeit“
„Jetzt ist Ewigkeit“
von Christoph George
Ex: http://www.blauenarzisse.de/
Mit „Letzte Worte“ veröffentlicht Jörg Magenau eine umfangreiche Auswahl letzter Worte namhafter Persönlichkeiten aus dem Nachlaß Ernst Jüngers.
Bereits in einem der Pariser Tagebücher äußerte Ernst Jünger die Idee, eine Sammlung letzter Worte anzulegen. Auf ihre Veröffentlichung wartete seine Leserschaft jedoch zu Lebzeiten des Meisters vergeblich. Was er selbst nicht mehr tat, bringt nun der Autor und Literaturkritiker Jörg Magenau in einem edlen Sammelband heraus.
Magenau wählte für das Buch vor allem bekannte Persönlichkeiten der Geschichte aus, von Abraham bis Ulrich Zwingli. Schöpfen konnte er dabei aus einer breiten Jüngerschen Sammlung, welche mehrere Tausend Karteikarten umfasst und vollständig im Deutschen Literaturarchiv in Marburg liegt. Jene stellte Ernst Jünger vor allem in der Zeit nach dem 2. Weltkrieg aus anderen Nachschlagewerken zu diesem Thema zusammen. Aber auch vorgedruckte Karteikarten, welche er zum Ausfüllen an Freunde und Bekannte verteilte, finden sich darin wieder.
Sokrates: „Kriton, wir schulden dem Äskulap noch einen Hahn. Vergeßt nicht, die Schuld zu bezahlen!“
Als Vorwort dient eine unvollendete Abhandlung Jüngers aus den frühen 1960ern, in welcher er auf die Besonderheiten letzter Worte eingeht. Demnach sind nicht alle letzten Worte für eine Aufnahme in einen solchen auserwählten Kreis geeignet. Es fallen jene finalen Äußerungen heraus, welche ein noch zu starkes Klammern am Diesseits erkennen lassen. Erst ein gewisses Maß an Loslassen verleiht ihnen überhaupt den Charakter letzter Worte, wenngleich sie auch noch auf das Leben gerichtet sein mögen. Von Sokrates ist überliefert, er hätte an die Begleichung einer Schuld erinnert, bevor er zum Schluck aus dem Schierlingsbecher ansetzte.
Weiterhin besitzt zuletzt Gesprochenes für die Nachwelt etwas Prophetisches. Ihm geht zumeist aufgrund ungenauer Überlieferung und mehrfachen Interpretationsmöglichkeiten ein gesicherter historischer Gehalt ab. Sie sind so eher dem Bereich des Mythischen zuzuschreiben, haben anekdotischen Charakter. Die gute Anekdote will hier mit Begleitumständen erscheinen, um so der Dichtung näher zu kommen. Sie enthüllt dabei das Wesen der Dinge und erfaßt so ihren eigentlichen Kern. Deswegen würde es dem Gehalt der überlieferten letzten Worte auch keinen Abbruch tun, erwiesen sich einige im Nachhinein als falsch: „Trotzdem summieren sie sich zur Wahrheit, die ihnen innewohnt“, schlußfolgert Jünger.
Im Angesicht des Todes die Haltung wahren
Unterteilt ist die von Ernst Jünger selbst teilweise kommentierte Sammlung nach verschiedenen Themenbereichen wie etwa: Lebensbilanzen, letzte Einsichten und Anrufungen, Gebete. Hier stechen vor allem tiefsinnige Sprüche hervor, wie z.B. der des schwedischen Erzbischofs Nathan Söderblom: „Jetzt ist Ewigkeit“. Aber auch höchst unfreiwillig komische Varianten sind darin versammelt. Die letzten Worte Egon Friedells, welcher sich 1938 in Wien aus dem Fenster stürzte, sollen zum unten stehenden Hauswirt gewesen sein: „Bitt‘ schön, gehn’s zur Seite!“
Für Jünger sind jedoch nicht alle gültigen letzten Worte gleich zu werten. So kommentierte er den Abschied Elisabeths I. von England: „Alle meine Schätze für eine einzige Minute“, kurz und knapp mit: „Recht unköniglich“. Im Gegensatz dazu wird ein unbekannter Soldat aus dem Deutsch-Französischen Krieg von 1870 aufgeführt. Der Eintrag hierzu lautet „,Herr Hauptmann, melde gehorsamst, daß ich tödlich getroffen bin!‘ salutierte stramm der Obergefreite Müller am nämlichen Geschütz, indem er noch weiterbediente.“ Im Angesicht des Unausweichlichen will die Haltung gewahrt bleiben – eine Forderung, die man vom frühen Jünger nur zu gut kennt.
Augustinus: „Laß mich sterben, mein Gott, daß ich lebe!“
Die Beschäftigung mit letzten Worten führt den Leser dabei nicht nur an das individuelle Lebensende des jeweiligen Protagonisten. Es zwingt ihn darüber hinaus zu einer Beschäftigung mit jener Grenze, die auch er einmal überschreiten muß. Das letzte Wort ist somit, trotz seiner Vagheit, in ein transzendentes Verhältnis zu setzen. „Dies also war sein zuletzt gesprochenes auf Erden – und dann?“ Die Lektüre ist deswegen weniger im Sinne eines reinen Nachschlagewerkes konkreter letzter Sätze interessant. Sie lohnt sich vielmehr, da sie zu einer persönlichen Auseinandersetzung mit dem Tode zwingt. Was das Buch zu einem guten Geschenktip werden läßt für diejenigen, welche einem nahe stehen, aber in ihrer Lebensart entschieden zu sehr an der Oberfläche der Welt verbleiben.
Den Schluß des Buches bildet ein Nachwort Magenaus, in welchem er einen engeren Bezug zwischen Ernst Jünger und unserer Gegenwart herstellt. So zitiert er hier Jünger damit, was dieser über eine USA-Reise im Januar 1958 schrieb: „Die Uhren gehen dort vor – und wie seinerzeit Tocqueville, so können auch wir heute ablesen, was uns blühen wird – eine Welt, die den Tod und die Liebe nicht kennt. Das hat mich unendlich bestürzt, obwohl es ja nur eine Bestätigung war.“ Magenau kommentiert dies anschließend ganz richtig mit: „In der Begegnung mit dem Tod kommt der Mensch zu sich selbst; will er vom Tod nichts mehr wissen, dann verleugnet er auch das Leben.“
Nach einem letzten Wort Ernst Jüngers sucht der Leser indes leider vergeblich. Was aber auch nicht weiter verwunderlich ist; die eigenen letzten Worte schreibt man selbst eben nicht mehr nieder.
Jörg Magenau (Hrsg.): Ernst Jünger – Letzte Worte. 245 Seiten, Klett-Cotta Verlag 2013. 22,95 Euro.
00:05 Publié dans Littérature, Livre, Livre, Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : liitérature, lettres, lettres allemandes, littérature allemande, ernst jünger, livre, allemagne, révolution conservatrice | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 27 juin 2013
Britisches Abhörprogramm empört deutsche Politiker
Britisches Abhörprogramm empört deutsche Politiker
Sicherheitsprotokolle: Millionen E-Mails wurden abgefangen
BERLIN. Das britische Abhörprogramm „Tempora“ ist in Deutschland auf scharfe Kritik gestoßen. „Das massenhafte Ausspähen von Deutschen ist durch nichts gerechtfertigt“, sagte der innenpolitische Sprecher Michael Hartmann. Nach Angaben des Guardian hat der britische Geheimdienst seit eineinhalb Jahren Millionen E-Mails und Telefonate überwacht, die über transatlantische Glasfaserkabel verschickt wurden.
Zudem teilten die Briten die gewonnenen Informationen mit dem amerikanischen Geheimdienst NSA, der in den vergangenen Tagen wegen einem ähnlichen Spitzelprogramm in die Kritik geraten war. Die Bundesregierung erklärte, sie nehme den Zeitungsbericht „sehr ernst“ und werde „zum gegebenen Zeitpunkt“ Stellung dazu beziehen.
„Krise des Rechtsstaates“
Auch der innenpolitische Sprecher der Grünen-Bundestagsfraktion, Konstantin Notz, griff die Maßnahmen scharf an: „Wir befinden uns an der Schwelle zu wohlmeinend autoritären Demokratien westlicher Prägung. Unser Rechtsstaat ist durch diese Entwicklung ernsthaft bedroht.“ Er sprach von einer „Krise des Rechtsstaates“.
Der stellvertretende Unionsfraktionschef im Bundestag, Michael Kretschmer (CDU), warnte, das Internet dürfe kein „rechtsfreier Raum für die Geheimdienste“ werden. „Wir Deutsche reiben uns verwundert die Augen, welche Handlungsmacht andere Demokratien ihren Geheimdiensten ermöglichen.“
600 Millionen überwachte Telefonate am Tag
Insgesamt wurden nach Angaben der britischen Zeitung bisher täglich 600 Millionen „telefonische Ereignisse“ überwacht. Hinzu kommen Millionen E-Mails und Einträge in den sozialen Netzwerken. Die privaten Daten der Internetnutzer sollen 30 Tage gespeichert worden seien. Zugriff auf die Daten hatten offenbar etwa 850.000 amerikanische und britische Geheimdienstmitarbeiter und Staatsangestellte sowie externe „Spezialisten“.
Die Informationen über die Überwachungsmaßnahmen stammen von dem amerikanischen IT-Spezialisten Edward Snowden, der bereits das US-Spitzelprogramm „Prism“ enttarnt hatte. Snowden befindet sich seitdem auf der Flucht vor den US-Behörden. Mittlerweile ist er von Hongkong aus nach Moskau weitergereist und hat Asyl in Ecuador beantragt. (ho)
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, prism, tempora, services secrets, services secrets américains, services secrets britanniques, europe, actualité, affaires européennes, allemagne, espionnage, écoute téléphonique | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
Eine Frage der Macht
Eine Frage der Macht
Ex: http://www.jungefreiheit.de/
Die Enthüllung des amerikanischen Spionageangriffs namens „Prism“ löst zwei spontane Regungen aus: Erstens Schadenfreude darüber, daß die US-Führung, die sich gerade über Hacker-Angriffe aus China empörte, nun selber als der „Big Brother“ entlarvt ist, den man in ihr vermutet hat. Zweitens Empörung, weil die NSA, die nationale Sicherheitsbehörde der USA, in den globalen und vor allem deutschen Internetverkehr hineinschaut wie in ein offenes Buch. Es wäre jedoch kindisch, es bei diesen Reaktionen zu belassen.
Das „Prism“-Programm ist keine Überraschung. Die NSA betreibt schon seit Jahrzehnten das weltweite Abhörsystem Echolon, an dem auch Großbritannien, Kanada, Australien, Neuseeland beteiligt sind: ein angelsächsischer Machtblock. „Prism“ stellt die logische Ergänzung dazu dar. Wir müssen einsehen, daß die nationalen Diskussionen um den Datenschutz virtuell und gegenstandslos sind. Längst sind wir gläserne Bürger und damit kontrollier-, erpreß- und steuerbar. Steuerbar durch die Instanzen, die Zugriff auf unsere Daten haben. Sie können zur sanften Manipulation, aber auch zur handfesten Erpressung genutzt werden.
Die deutschen Beamten eines Protektorates
Zur Begründung für „Prism“ wird der Kampf gegen den Terror angeführt. Der ist wichtig, aber zugleich ein Vorwand. Konkret geht es um den islamistischen Terror. Dessen Drohung ist nicht zuletzt eine Begleiterscheinung der falschen Zuwanderung, die von denselben Machtinstanzen, die uns kontrollieren, als Bereicherung oder „Diversity“ gepriesen wird. Um die entstandenen Risiken zu begrenzen, wird jetzt ein Netz der Spitzelei über Staaten und Gesellschaften geworfen. So werden das Selbst- und das zwischenmenschliche Vertrauen schleichend zerstört und gemeinsames Handeln zur Gegenwehr verhindert. Desto leichter lassen die Atomisierten sich beherrschen.
Nicht zufällig ist es ein amerikanischer Geheimdienst, der die nationalen und europäischen Regeln und Gesetze beiseite wischt. Innenminister Hans-Peter Friedrich (CSU) erklärte zunächst, er habe nichts davon gewußt. Eine glaubhafte Aussage, aber auch ein Armutszeugnis für einen Mann, dem der Schutz des Landes und seiner Bürger unmittelbar anvertraut ist. Wenige Tage später wies er deutsche Kritik an „Prism“ zurück. So dürfe man nicht mit den amerikanischen Freunden umgehen, die im Kampf gegen den Terrorismus unsere wichtigsten Partner seien. So redet kein Minister eines selbstbewußten Staates, sondern der Beamte eines Protektorats.
Die USA sind ein Imperium, und sie handeln danach
Friedrich hatte sich inzwischen wohl darüber informieren lassen, daß deutsche Geheimdienste mit den amerikanischen zusammenarbeiten und deren Erkenntnisse nutzten. Das ändert nichts daran, daß deutsche Behörden im eigenen Land als Hilfstruppen agieren. Das hat Tradition, denn die Überwachung von Post und Telefon in Deutschland war jahrzehntelang durch das Besatzungsrecht gedeckt. Hohe deutsche Sicherheitsbeamte wie der BKA-Präsident Paul Dickopf (1965–1970) waren zugleich CIA-Agenten. Zwar ist die Bundesrepublik seit 1990 formal souverän, aber die alten Gewohnheiten und Verhaltensweisen wirken weiter.
Bloßes Moralisieren läuft ins Leere. Die USA sind ein Imperium, und sie handeln danach. Wer die Macht hat, der legt auch die Grammatik des Völkerrechts fest. Es ist rührend, wenn deutsche Politiker jetzt gemeinsame Regeln für die Überwachung fordern. Denn hier geht es nicht um technische Fragen oder liberale Werte, sondern um Macht.
Deutschland ist ein natürliches Zielobjekt der Wirtschaftsspionage
Bis in das 20. Jahrhundert war England der Welthegemon, weil es die globalen Seewege beherrschte. Heute ist – neben der Herrschaft über den Luft- und den Weltraum – die Gewalt über die globalen Datenautobahnen entscheidend. Die USA sind sich dessen bewußt und schlagen gnadenlos zu, wenn ihre Macht hier angetastet wird. Wikileaks-Gründer Julian Assange befindet sich seit Jahren auf der Flucht, sein Informant, Bradley Manning, wird sein restliches Leben wohl hinter Gittern verbringen. „Prism“-Enthüller Edward Snowden kann sich seines Lebens nicht sicherer sein als sowjetische Dissidenten zu KGB-Zeiten.
Mit den US-Behörden ziehen Tausende amerikanische Technologie-, Finanz- und Kommunikationsfirmen an einem Strang. Die einen arbeiten wider-, andere freiwillig mit den Geheimdiensten zusammen. Die freie und multinationale Wirtschaft hin oder her – für den Rest der Welt stellt es ein Risiko dar, daß amerikanische Firmen die globale Kommunikationsbranche monopolisiert haben. Das Echolon-System dient bekanntermaßen auch der Wirtschaftsspionage. Deutschland, die viertgrößte Wirtschaftsmacht, ist ein natürliches Zielobjekt.
Warum sollte es bei „Prism“ anders sein? Es ist naiv, die außenpolitischen Kombinationen auf Handels- und Wirtschaftspolitik zu beschränken und im übrigen auf eine Interessenidentität befreundeter Staaten zu vertrauen. Und dann ist da noch der nette Obama, den die Zeit einst euphorisch als „guten Führer“ titulierte. In Wahrheit gibt es keinen prinzipiellen Unterschied zu seinem Vorgänger, es kann ihn gar nicht geben. Den Deutschen bietet die „Prism“-Affäre ein Lehrstück in mehreren Akten.
JF 26/13
00:04 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : politique internationale, europe, affaires européennes, allemagne, espionnage, services secrets, services secrets américains, prism | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 20 juin 2013
125. Geburtstag Emanuel Hirsch
125. Geburtstag Emanuel Hirsch
Karlheinz Weißmann
(Text aus dem Band Vordenker [2] des Staatspolitischen Handbuchs, Schnellroda 2012.)
Selbst seinem theologischen und politischen Hauptgegner, Karl Barth, erschien er als außergewöhnlich »gelehrter und scharfsinniger Mann«, und für Wolfgang Trillhaas, einen der wenigen, die sich mit ihm wissenschaftlich befaßten, als »der letzte Fürst der … evangelischen Theologie «. Sonst ist der Tonfall der Urteile über Emanuel Hirsch im allgemeinen negativ und scharf verurteilend.
Denn Hirsch erscheint als lebender Widerspruch zu der These, daß der Faschismus bzw. Nationalsozialismus per se geistfeindlich und theorieunfähig gewesen sei. Der »Nazi-Intellektuelle « (Robert P. Ericksen) hatte sich 1933 – wie sonst nur noch Heidegger, Schmitt oder Benn – rückhaltlos auf die Seite Hitlers und des NS-Regimes gestellt und anders als die Genannten seine Position auch nicht mehr revidiert. Als junger Dozent und seit 1921 als Professor für Kirchengeschichte galt Hirsch in erster Linie als Träger der von seinem Lehrer Karl Holl eingeleiteten »Lutherrenaissance «. Allerdings war bei Hirsch in der Nachkriegszeit schon eine gewisse Akzentverschiebung zu erkennen, die man im Grunde nur als Neuaufnahme liberaler Vorstellungen deuten konnte. Er betonte jedenfalls, daß es notwendig sei, zwischen der »Dialektischen Theologie« und dem »jungen Luthertum« zu vermitteln.
Ein Grund für seine Bemühungen in diese Richtung war weniger theologischer, eher politischer, im Grunde theologisch-politischer Natur. Denn Hirsch gehörte zu denen, die nicht nur unter der Kriegsniederlage und dem Versailler Vertrag litten, sondern die auch nicht verwanden, daß das Augusterlebnis von 1914 ohne bleibende Bedeutung für die Volksgemeinschaft geblieben war. Schon in seinem 1920 erschienenen Buch Deutschlands Schicksal – das bis 1925 drei Auflagen erlebte – hatte er seine Position unmißverständlich zum Ausdruck gebracht und sich als Vertreter der Konservativen Revolution zu erkennen gegeben. Allerdings war Hirschs Kritik der Weimarer Republik in der Hinsicht gemäßigt, daß er die Legitimität der neuen Verhältnisse prinzipiell anerkannte, vorausgesetzt, sie erwiesen sich tüchtig, den Deutschen zum Wiederaufstieg zu verhelfen. Bis zum Beginn der dreißiger Jahre hielt Hirsch an dieser Position fest und galt neben dem ihm eng verbundenen Paul Althaus als führender Kopf der Jungkonservativen im deutschen Protestantismus.
Öffentlich bekannte er sich bis 1932 zur DNVP, nahm dann allerdings vor der Reichspräsidentschaftswahl gegen Hindenburg und für Hitler Stellung. Der Vorgang erregte Aufsehen und führte zu scharfen Angriffen auf Hirsch, die ihn aber unbeeindruckt ließen. Er begründete in dem Buch Von christlicher Freiheit (1934) seinen Schritt theologisch und verwies auf die Notwendigkeit der wagenden Entscheidung. Zwischen Hirschs theologischen Auffassungen und denen einiger seiner schärfsten Gegner bestand allerdings nicht selten eine strukturelle Ähnlichkeit. Denn es gab bei ihm nicht nur die Nähe zu allen, die darauf beharrten, daß Gottes Handeln für den Christen in der Geschichte ablesbar bleiben müsse, sondern auch eine Art Deckungsgleichheit mit dem Programm der »Entmythologisierung« und der Vorstellung vom »mündigen Christentum«.
Was den ersten Punkt betrifft, so hat Hirsch nicht nur dezidiert zugunsten Bultmanns Stellung genommen und verlangt, daß jene »mythenzerstörende Reflexion« vorangetrieben werde, die mit der historischen Bibelkritik ihren Anfang genommen habe. Es gibt bei ihm auch Formulierungen, die fast denen Bonhoeffers gleichen, der im Kern wie Hirsch davon ausging, daß sich das »Wahrheitsverständnis« seit der Aufklärung ein für allemal verändert habe und die tradierten Vorstellungen von Gott, Kirche und Glaube nicht mehr aufrechtzuerhalten seien. Daß das alles gemeinhin übersehen wird, hat in erster Linie damit zu tun, daß die theologische Entwicklung Hirschs in den dreißiger und frühen vierziger Jahren verdeckt wird durch die Hartnäckigkeit, mit der er an seiner Auffassung von Gottes Tat an Hitler und dem Nationalsozialismus festhielt und die Vorstellung verteidigte, daß sich mit Hilfe der »Glaubensbewegung Deutsche Christen« (DC) der notwendige kirchliche Neuansatz bewerkstelligen lasse.
Tatsächlich war Hirsch – abgesehen von Gerhard Kittel – der einzige evangelische Theologe von Rang, der zur DC hielt, und in seiner Zeit als Dekan der Göttinger Theologischen Fakultät, wo er 1936 den Lehrstuhl für Systematik übernommen hatte, versuchte er auch das Programm des Reichskirchenministeriums gegen alle Widerstände der »Bekennenden« durchzusetzen. Nach seinem Rücktritt als Dekan, 1939, zog Hirsch sich zwar weitgehend auf die wissenschaftliche Arbeit zurück, aber daraus kann nicht auf einen Gesinnungswandel geschlossen werden. Das gute Dutzend Bücher, das er zwischen 1933 und 1943 abfaßte, diente vor allem dem Zweck, eine Bilanz der Entwicklung des Christentums zu ziehen und die Frage zu klären, welche Wege in Zukunft noch gangbar seien. In diesen Zusammenhang gehört auch das für jeden Theologen bis heute unverzichtbare Hilfsbuch zum Studium der Dogmatik (1937).
Man muß die außerordentliche Leistung Hirschs auch angesichts der Tatsache würdigen, daß er schon in seiner Jugend ein Auge verloren hatte und auf dem anderen seit Beginn der dreißiger Jahre erblindet war. Als er am 30. Mai 1945 einen Antrag stellte, wegen Dienstunfähigkeit aus dem Amt zu scheiden, war der eigentliche Grund allerdings, daß er die Entnazifizierung umgehen wollte. Es gab später Versuche, ihn regulär zu emeritieren, die aber alle fehlschlugen. Hirsch hat trotzdem seine wissenschaftliche – und in steigendem Maß – seine schriftstellerische Tätigkeit fortgesetzt.
Abgesehen davon, daß seine Hauptwerke wegen ihres Rangs immer weiter erschienen und einige neuere Arbeiten – etwa die magistrale, fünf Bände umfassende Geschichte der neueren evangelischen Theologie (1949– 1954) oder Hauptfragen christlicher Religionsphilosophie (1963) – ohne Zögern von großen Verlagen in deren Programm aufgenommen wurden, hatte Hirsch eine Art »Gemeinde« (um den Verlag »Die Spur«), die auch eine ambitionierte, bis in die Gegenwart fortgesetzte Gesamtausgabe vorantrieb, und ähnlich wie Schmitt einen »Hof« und einen engeren Kreis von Anhängern, die sich um den großen Verfemten sammelten und mehr oder weniger offen zu ihm bekannten.
Schriften: Fichtes Religionsphilosophie im Rahmen der philosophischen Gesamtentwicklung Fichtes, Göttingen 1914; Christentum und Geschichte in Fichtes Philosophie, Tübingen 1920; Deutschlands Schicksal, Göttingen 1920; Die gegenwärtige geistige Lage, Göttingen 1934; Christliche Freiheit und politische Bindung, Hamburg 1935; Hilfsbuch zum Studium der Dogmatik, 1937 (4. Aufl. 2002); Die Umformung des christlichen Denkens in der Neuzeit, Tübingen 1938; Geschichte der neuern evangelischen Theologie im Zusammenhang mit den allgemeinen Bewegungen des europäischen Denkens, 5 Bde., Gütersloh 1949–54 (5. Aufl. 1975); Hauptfragen christlicher Religionsphilosophie, Berlin 1963.
Literatur: Ulrich Barth: Die Christologie Emanuel Hirschs, Berlin 1992; Robert P. Ericksen: Theologen unter Hitler: Das Bündnis zwischen evangelischer Dogmatik und Nationalsozialismus, München 1986; Joachim Ringleben (Hrsg.): Christentumsgeschichte und Wahrheitsbewußtsein: Studien zur Theologie Emanuel Hirschs, Berlin 1991.
Article printed from Sezession im Netz: http://www.sezession.de
URL to article: http://www.sezession.de/39342/125-geburtstag-emanuel-hirsch.html
URLs in this post:
[1] Image: http://www.sezession.de/wp-content/uploads/2013/02/9783935063562.jpg
[2] Vordenker: http://antaios.de/gesamtverzeichnis-antaios/staatspolitisches-handbuch/33/staatspolitisches-handbuch-band-3-vordenker
00:05 Publié dans Philosophie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : philosophie, théologie, emanuel hirsch, allemagne, révolution conservatrice, christologie | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 13 juin 2013
Sezession Nr. 54
Artikel-Nr.: Juni 2013
Sezession, Heft 54
60 Seiten
11,00 Euro - zzgl Versand
Bestellung: http://www.antaios.de/
Editorial
Bild und Text
Französischer Frühling
Dominique Venner
Thema
»Man muß das Leben einsetzen«
Gespräch mit Dominique Venner
Begründung für einen Freitod
Dominique Venners Erklärungen
Autorenportrait Jean Raspail
Joachim Volkmann
Reaktion – ein Grundriß
Karlheinz Weißmann
Reaktion als geistiges Prinzip
Harald Seubert
Krankheit und Gesundheit
Martin Lichtmesz
Das römische Prinzip und
der deutsche Sonderweg
Siegfried Gerlich
Kein deutscher König
Erik Lehnert
Toskana-Fraktion von rechts – das Beispiel Chestertons
Johannes Ludwig
Die Reaktion auf 1789
Felix Dirsch
»Die Heilige Messe ist nicht verhandelbar«
Gespräch mit Pater Michael Weigl
Kleines Lexikon der Reaktion
Karlheinz Weißmann
Bücher
Die Herrschaft der Dinge
Ellen Kositza
Rezensionen
Vermischtes
Burschenschaftliche Blätter, Tumult, 10. Todestag Armin Mohler
Bildinnenteil
Ein Museum der Reaktion.
00:05 Publié dans Nouvelle Droite, Revue | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : nouvelle droite, revue, allemagne, dominique venner | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mercredi, 12 juin 2013
Prophetisches bei Ernst von Lasaulx
Prophetisches bei Ernst von Lasaulx
von Michael Rieger
Ex: http://www.sezession.de
Ernst von Lasaulx (1805 bis 1861) gehört nicht eben zu den Autoren, die einem ständig unterkommen. Nur zwei Seiten und zwei kurze Erwähnungen finden sich zu „Spenglers Vorgänger“ in Othmar Spanns Geschichtsphilosophie von 1932. Doch diese kurzen Passagen haben es in sich – sie regen an zur genaueren Lektüre, erscheinen sie doch heute als geradezu prophetisch.
In seinem 1856 veröffentlichten Neuen Versuch einer alten auf die Wahrheit der Thatsachen gegründeten Philosophie der Geschichte [2] entwirft Lasaulx ein Modell des Verfalls von Völkern. Im Rückgang der Zeugungskraft (dem nisus formativus, dem Bildungs- und Reproduktionstrieb) wird der Verfall sichtbar: „Es stocken die Säfte, die Zeugungskraft beginnt zu erlöschen, das Leben sinkt, und seine Formen zerfallen, sichtbar von außen nach innen, weil unsichtbar im Innern die Triebkraft aufgehört hat.“
Nehmen wir es ganz wörtlich: Es ist kein Geheimnis, dass die Fruchtbarkeitsrate in Deutschland seit etwa 1965 gesunken ist. 1965 lag sie noch bei 2,5 Kindern pro Frau, seit etwa 40 Jahren liegt sie jetzt relativ stabil bei 1,3 Kindern pro Frau. Sie hat sich also nahezu halbiert. Mögen auch in anderen Ländern „die Säfte stocken“, Deutschland ist mit 8,2 Geburten auf 1000 Einwohner das Schlusslicht in der Europäischen Union.
Lasaulx führt aus, dass der Verfall den Verlust der „sprachbildenden Kraft“ einschließt. Sprache sei „nicht bloss das Organ des Denkens“, sondern „sie ist mit dem Denken selbst zusammengewachsen, die Vollendung des Denkens“. Verlöscht die sprachbildende Kraft, ist es ums Denken schlecht bestellt. So banal es klingt – die beständig und wirkungslos kritisierten Anglizismen belegen den aktuellen Rückgang der sprachbildenden Kraft. Anstatt eine eigene Sprache zu bilden, zu „er-zeugen“ und eventuell sogar zu pflegen, werden Worte aus einer anderen Sprache übernommen. Das ist weitaus bequemer, man muss sich keine eigenen Gedanken mehr machen, Kreativität wird nicht abgefordert, sondern abgetötet.
So sind wir Eyecatchern, Sales Managern, Facility Managern, Mobbing und Gamern bis zum Erbrechen ausgesetzt. Was im Alltag bereits eine Katastrophe ist, wird nicht besser, wenn wir nach der „poetischen Kraft im Leben der Künste“ fragen. Wie es um die poetische Dimension der Sprache bestellt ist, kann nicht so einfach beantwortet werden, wie der uns medial überflutende sprachliche Verfall nur noch zu diagnostizieren bleibt. Dennoch: ein spezifisches Kennzeichen der Literatur seit den 1960er Jahren ist in der Öffnung für das Profane zu sehen. Zeitweise wurde das eigentlich Poetische ersetzt durch bloß reproduktiven Dokumentarismus. Es gibt sie noch die Sprachartisten, aber unbestreitbar hat sich das platt Parteipolitische, Plebejische und Primitive mit und in der Folge von Günter Grass, Hubert Fichte und Rainald Goetz sein literarisches Terrain erobert (Aus dem Tagebuch einer Schnecke, Die Palette, Irre).
Lasaulx Vorstellung des Völkerverfalls bezieht natürlich auch den Verlust „der religiösen Glaubenskraft“ mit ein. Der Rückgang der traditionellen Bekenntnisse lässt sich leicht an einer Stadt wie Hamburg ablesen. Wer Hamburg noch als „typisch protestantisch“ abgespeichert hat, hängt Erinnerungen an. Waren gegen Ende des 19. Jahrhunderts beinahe 95% der Hamburger Protestanten, so sind es heute noch nur noch etwa 28%. Nimmt man nun die 10% Katholiken hinzu, dann lautet das Ergebnis: 60% aller in Hamburg lebenden Menschen bekennen sich nicht zum Christentum. Das sieht im Bundesdurchschnitt anders aus. Im Moment bekennen sich noch 60% der Bevölkerung zur römisch-katholischen oder zur evangelischen Kirche. Die Entwicklungstendenz ist jedoch eindeutig vorgezeichnet.
Wo die Zeugungskraft abnimmt, die Sprache sorglos auf den Hund gekommen ist, der Literaturbegriff längst für Werbetexte und Klosprüche geöffnet wurde, die Religion allgemein im Schwinden begriffen ist – wie steht es da um die „politische Lebensenergie“? Sie steht Angela Merkel so sehr ins Gesicht geschrieben wie den Herren Gabriel oder Steinbrück. Dazu sehr passend Ernst von Lasaulx: „Wie das Kränkeln Hinwelken Verdorren der Blätter und Äste eines Baumes ein Zeichen ist, dass die Wurzel krank sei: so müssen auch bei sinkenden und zerfallenden Völkern die äusseren Erscheinungen als die Folgen einer inneren Erschlaffung betrachtet werden.“
Angesichts dieser politischen Klasse mag man gar nicht fragen nach dem Stand der „nationalen Sittlichkeit“, dem „Product der religiösen und der politischen Ideale“. Wer wollte heute überhaupt noch sprechen von etwas so Reaktionärem wie Sittlichkeit oder den Romantizismen politischer Ideale? Und was könnte darunter zu verstehen sein? Meinungsfreiheit? Fragen wir Norbert Geis. Oder ein plurales Europa der Regionen? Dafür sorgt unbeirrbar Martin Schulz. Und wo werden diese Ideale wahrgemacht? In Kirchweyhe? Womit wir wieder bei der Sittlichkeit wären.
Was Lasaulx an den oben ausgeführten Punkten festgemacht hat, setzt sich fort „bis der ganze Organismus, nur auf die Befriedigung der materiellen Bedürfnisse reducirt, seelenlos auseinanderfällt“.
Lasaulx Neuen Versuch einer alten auf die Wahrheit der Thatsachen gegründeten Philosophie der Geschichte kann man hier zum Selbststudium erwerben [2].
00:05 Publié dans Philosophie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : philosophie, ernst von lasaulx, allemagne, 19ème siècle | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mercredi, 05 juin 2013
La fascinante experiencia de la Revolución Conservadora alemana (1919-1932)
La fascinante experiencia de la Revolución Conservadora alemana (1919-1932)
Bajo la fórmula “Revolución Conservadora” (RC) acuñada por Armin Mohler (Die Konservative Revolution in Deutschland 1918-1932) se engloban una serie de corrientes de pensamiento, cuyas figuras más destacadas son Oswald Spengler, Ernst Jünger, Carl Schmitt y Moeller van den Bruck, entre otros. La denominación de la RC (o KR en sus siglas originales), quizás demasiado ecléctica y difusa, ha gozado, no obstante, de aceptación y arraigo, para abarcar a una serie de intelectuales alemanes “idiosincráticos” de la primera mitad del siglo XX, sin unidad organizativa ni homogeneidad ideológica, ni –mucho menos- adscripción política común, que alimentaron proyectos para una renovación cultural y espiritual de los auténticos valores contra los principios demoliberales de la República de Weimar, dentro de la dinámica de un proceso palingenésico que reclamaba un nuevo renacimiento alemán y europeo (una re-generación).
Aun siendo consciente de que los lectores de El Manifiesto cuentan ya con un cierto bagaje de conocimientos sobre la llamada “Revolución Conservadora”, parece conveniente abordar un intento por situarla ideológicamente, especialmente a través de determinadas descripciones de la misma por sus protagonistas, complementadas por una síntesis de sus principales actitudes ideológicas –o mejor, de rechazos– que son, precisamente, el único vínculo de asociación entre todos ellos. Porque lo revolucionario-conservador se define principalmente por una actitud ante la vida y el mundo, un estilo, no por un programa o doctrina cualquiera.
Según Giorgio Locchi, entre 1918 y 1933 la Konservative Revolution nunca presentó un aspecto unitario o monolítico y «acabó por perfilar mil direcciones aparentemente divergentes», contradictorias incluso, antagónicas en otras ocasiones. Ahí encontraremos personajes tan diversos como el primer Thomas Mann, Ernst Jünger y su hermano Friedrich Georg, Oswald Spengler, Ernst von Salomon, Alfred Bäumler, Stefan Georg, Hugo von Hofmanssthal, Carl Schmitt, Martin Heidegger, Jacob von Üexküll, Günther, Werner Sombart, Hans Blüher, Gottfried Benn, Max Scheler y Ludwig Klages. Todos ellos dispersados en torno a una red de asociaciones diversas, sociedades de pensamiento, círculos literarios, organizaciones semi-clandestinas, grupúsculos políticos, en la mayoría de las ocasiones sin conexión alguna. Esas diferencias han llevado a uno de los grandes estudiosos de la Revolución Conservadora, Stefan Breuer, a considerar que realmente no existió la Revolución Conservadora y que tal concepto debe ser eliminado como herramienta interpretativa. Pero, como afirma Louis Dupeux, la Revolución Conservadora fue, de hecho, la ideología dominante en Alemania durante el período de Weimar.
Los orígenes de la RC –siguiendo la tesis de Locchi– hay que situarlos a mediados del siglo XIX, si bien situando lo que Mohler llama las “ideas”, o mejor, las “imágenes-conductoras” (Leitbilder) comunes al conjunto de los animadores de la Revolución Conservadora. Precisamente, uno de los efectos del hundimiento de la vieja y decadente actitud fue el desprestigio de los conceptos frente a la revalorización de las imágenes. Estética frente a ética es la expresión que mejor describe esta nueva actitud.
En primer lugar, se sitúa el origen de la imagen del mundo en la obra de Nietzsche: se trata de la concepción esférica de la historia, frente a la lineal del cristianismo, el liberalismo y el marxismo; se trata, en realidad, de un “eterno retorno”, pues la historia no es una forma de progreso infinito e indefinido; en segundo lugar, la idea del “interregno”: el viejo orden se hunde y el nuevo orden se encuentra en el tránsito de hacerse visible, siendo nuevamente Nietzsche el profeta de este momento; en tercer lugar, el combate del nihilismo positivo y regenerativo, una “re-volución, un retorno, reproducción de un momento que ya ha sido”; y en cuarto y último lugar, la renovación religiosa de carácter anticristiano, a través de un “cristianismo germánico” liberado de sus formas originales o de la resurrección de antiguas divinidades paganas indoeuropeas.
Resulta, pues, que Nietzsche constituye no sólo el punto de partida, sino también el nexo de unión de los protagonistas de la RC, el maestro de una generación rebelde, que sería filtrado por Spengler y Moeller van den Bruck, primero, y Jünger y Heidegger, posteriormente, como de forma magistral expuso Gottfried Benn. En las propias palabras de Nietzsche encontramos el primer aviso del cambio: «Conozco mi destino. Algún día se unirá mi nombre al recuerdo de algo tremendo, a una crisis como no la hubo sobre la tierra, al más hondo conflicto de conciencia, a una decisión pronunciada contra todo lo que hasta ahora ha sido creído, exigido, reverenciado».
Nietzsche es la punta de un iceberg que rechazaba el viejo orden para sustituirlo por un nuevo renacimiento. Y los representantes generacionales de la Revolución Conservadora percibieron que podían encontrar en el filósofo germano a un “ancestro directo” para adaptar la revolución de la conciencia europea a su Kulturpessimismus. Ferrán Gallego ha realizado el siguiente resumensobre la esencia de la Konservative Revolution:
«El elogio de las élites […], la concepción instrumental de las masas, el rechazo de la “nación de ciudadanos” [entendidos como átomos aislados] a favor de la nación integral, la visión orgánica y comunitaria de la sociedad frente a las formulaciones mecanicistas y competitivas, la combinación del liderazgo con la hostilidad al individualismo, el ajuste entre la negación del materialismo y la búsqueda de verificaciones materiales en las ciencias de la naturaleza. Todo ello, presentado como un gran movimiento de revisión de los valores de la cultura decimonónica, como un rechazo idéntico del liberalismo y del socialismo marxista, estaba aún lejos de organizarse como movimiento político. La impresión de que había concluido un ciclo histórico, de que el impulso de las ideologías racionalistas había expirado, la contemplación del presente como decadencia, la convicción de que las civilizaciones son organismos vivos, no fueron una exclusiva del pesimismo alemán, acentuado por el rigor de la derrota en la gran guerra, sino que se trataba de una crisis internacional que ponía en duda las bases mismas del orden ideológico contemporáneo y que muchos vivieron en términos de tarea generacional.»
Louis Dupeux insiste, no obstante, en que la RC no constituye, en momento alguno, «una ideología unificada, sino una Weltanschauung plural, una constelación sentimental». Ya sean considerados “idealistas”, “espiritualistas” o “vitalistas”, todos los revolucionario-conservadores consideran prioritaria la lucha política y el liberalismo es considerado como el principal enemigo, si bien el combate político se sitúa en un mundo espiritual de oposición idealista, no en el objetivo de la conquista del poder ansiada por los partidos de masas. Según Dupeux, la fórmula de esta “revolución espiritualista” es propiciar el paso a la constitución de una “comunidad nacional orgánica”, estructurada y jerarquizada, consolidada por un mismo sistema de valores y dirigida por un Estado fuerte.
En fin, una “revuelta cultural” contra los ideales ilustrados y la civilización moderna, contra el racionalismo, la democracia liberal, el predominio de lo material sobre lo espiritual. La causa última de la decadencia de Occidente no es la crisis sentimental de entreguerras (aunque sí marque simbólicamente la necesidad del cambio): la neutralidad de los Estados liberales en materia espiritual debe dejar paso a un sistema en el que la autoridad temporal y la espiritual sean una y la misma, por lo que sólo un “Estado total” puede superar la era de disolución que representa la modernidad. Así que la labor de reformulación del discurso de la decadencia y de la necesaria regeneración será asumida por la Revolución Conservadora.
Si hubiéramos de subrayar ciertas actitudes o tendencias básicas como elementos constitutivos del pensamiento revolucionario-conservador, a pesar de su pluralidad contradictoria, podríamos señalar diversos aspectos como los siguientes: el cuestionamiento de la supremacía de la racionalidad sobre la espiritualidad, el rechazo de la actividad política de los partidos demoliberales, la preferencia por un Estado popular, autoritario y jerárquico, no democrático, así como un distanciamiento tanto del “viejo tradicionalismo conservador” como de los “nuevos liberalismos” capitalista y marxista, al tiempo que se enfatizaba la experiencia de la guerra y el combate como máxima realización. La reformulación del ideario se fundamenta en la necesidad de construir una “tercera vía” entre el capitalismo y el comunismo (sea el socialismo prusiano de van den Bruck, el nacionalismo revolucionario de Jünger o el nacional-bolchevismo de Niekisch). Y por encima de estas actitudes se encontraba presente el sentimiento común de la necesidad de barrer el presente decadente y corrupto como tránsito para recuperar el contacto con una vida fundamentada en los valores eternos.
El propio Mohler, que entendía la “Revolución Conservadora” como «el movimiento espiritual de regeneración que trataba de desvanecer las ruinas del siglo XIX y crear un nuevo orden de vida» –igual que Hans Freyer consideraba que “barrerá los restos del siglo XIX”–, proporciona las evidencias más convincentes para una clasificación de los motivos centrales del pensamiento de la RC que, según su análisis, giran en torno a la consideración del final de un ciclo, su repentina metamorfosis, seguida de un renacimiento en el que concluirá definitivamente el “interregno” que comenzó en torno a la generación de 1914. Para ello, Mohler rescata a una serie de intelectuales y artistas alemanes que alimentaban proyectos comunitarios para la renovación cultural desde un auténtico rechazo a los principios demoliberales de la República de Weimar.
Para Mohler, según Steuckers, el punto esencial de contacto de la RC era una visión no-lineal de la historia, si bien no recogió simplemente la tradicional visión cíclica, sino una nietzscheana concepción esférica de la historia. Mohler, en este sentido, nunca creyó en las doctrinas políticas universalistas, sino en las fuertes personalidades y en sus seguidores, que eran capaces de abrir nuevos y originales caminos en la existencia.
La combinación terminológica Konservative Revolution aparecía ya asociada en fecha tan temprana como 1851 por Theobald Buddeus. Posteriormente lo hacen Youri Samarine, Dostoïevski y en 1900 Maurras. Pero en 1921 es Thomas Mann el primero en utilizar la expresión RC con un sentido más ideologizado, en su Russische Anthologie, hablando de una «síntesis […] de ilustración y fe, de libertad y obligación, de espíritu y cuerpo, dios y mundo, sensualidad y atención crítica de conservadurismo y revolución». El proceso del que hablaba Mann «no es otro que una revolución conservadora de un alcance como no lo ha conocido la historia europea.»
La expresión RC también tuvo fortuna en las tesis divulgadas por la Unión Cultural Europea (Europïsche Kulturband) dirigida por Karl Anton, príncipe de Rohan, aristócrata europeísta y animador cultural austríaco, cuya obra La tarea de nuestra generación de 1926 –inspirada en El tema de nuestro tiempo de Ortega y Gasset– utiliza dicha fórmula en varias ocasiones. Sin embargo, la fórmula RC adquirió plena popularidad en 1927 con la más célebre conferencia bávara de Hugo von Hofmannsthal, cuando se propuso descubrir la tarea verdaderamente hercúlea de la Revolución Conservadora: la necesidad de girar la rueda de la historia 400 años atrás, toda vez que el proceso restaurador en marcha «en realidad se inicia como una reacción interna contra aquella revolución espiritual del siglo XVI» (se refiere al Renacimiento). Hofmannsthal, en definitiva, reclamaba un movimiento de reacción que permitiera al hombre escapar a la disociación moderna y reencontrar su “vínculo con la totalidad”.
En palabras de uno de los más destacados representantes de la RC, Edgar J. Jung: «Llamamos Revolución Conservadora a la reactivación de todas aquellas leyes y valores fundamentales sin los cuales el hombre pierde su relación con la Naturaleza y con Dios y se vuelve incapaz de construir un orden auténtico. En lugar de la igualdad se ha de imponer la valía interior; en lugar de la convicción social, la integración justa en la sociedad estamental; la elección mecánica es reemplazada por el crecimiento orgánico de los líderes; en lugar de la coerción burocrática existe una responsabilidad interior que viene de la autodeterminación genuina; el placer de las masas es sustituido por el derecho de la personalidad del pueblo».
Otro de los lugares comunes de la RC es la autoconciencia de quienes pertenecían a la misma de no ser meramente conservadores. Es más, se esmeraban en distanciarse de los grupos encuadrados en el “viejo conservadurismo” (Altkonservativen) y de las ideas de los “reaccionarios” que sólo deseaban “restaurar” lo antiguo. La preocupación central era “combinar las ideas revolucionarias con las conservadoras” o “impulsarlas de un modo revolucionario-conservador” como proponía Moeller van den Bruck.
Por supuesto que la “revolución conservadora”, por más que les pese a los mal llamados “neoconservadores” (sean del tipo Reagan, Bush, Thatcher, Aznar, Sarkozy o Merkel), no tiene nada que ver con la “reacción conservadora” (una auténtica “contrarrevolución”) que éstos pretenden liderar frente al liberalismo progre, el comunismo posmoderno y el contraculturalismo de la izquierda. La debilidad de la derecha clásico-tradicional estriba en su inclinación al centrismo y a la socialdemocracia (“la seducción de la izquierda”), en un frustrado intento por cerrar el paso al socialismo, simpatizando, incluso, con los únicos valores posibles de sus adversarios (igualitarismo, universalismo, falso progresismo). Un grave error para los que no han comprendido jamás que la acción política es un aspecto más de una larvada guerra ideológica entre dos concepciones del mundo completamente antagónicas.
En fin, la derecha neoconservadora no ha captado el mensaje de Gramsci, no ha sabido ver la amenaza del poder cultural sobre el Estado y como éste actúa sobre los valores implícitos que proporcionan un poder político duradero, desconociendo una verdad de perogrullo: no hay cambio posible en el poder y en la sociedad, si la transformación que se trata de imponer no ha tenido lugar antes en las mentes y en los espíritus. Se trata de una apuesta por el “neoconservadurismo” consumista, industrial y acomodaticio, todo lo contrario de lo que se impone hoy: recrear una “revolución conservadora” con patente europea que, en frase de Jünger, fusione el pasado y el futuro en un presente ardiente.
Entre tanto, el “neoconservadurismo” contrarrevolucionario, partiendo del pensamiento del alemán emigrado a norteamérica Leo Strauss, no es sino una especie de “reacción” frente a la pérdida de unos valores que tienen fecha de caducidad (precisamente los suyos, propios de la burguesía angloamericana mercantilista e imperialista). Sus principios son el universalismo ideal y humanitario, el capitalismo salvaje, el tradicionalismo académico y el burocratismo totalitario. Para estos neocons, Estados Unidos aparece como la representación más perfecta de los valores de la libertad, la democracia y la felicidad fundadas en el progreso material y en el regreso a la moral judeocristiana, siendo obligación de Europa el copiar este modelo triunfante.
El “neoconservadurismo” angloamericano, reaccionario y contrarrevolucionario es, en realidad, un neoliberalismo democratista y tradicionalista –lean si no a Fukuyama-, heredero de los principios de la Revolución Francesa. La Revolución Conservadora, sin embargo, puede definirse, según Mohler, como la auténtica “antirRevolución Francesa”: la Revolución Francesa disgregó la sociedad en individuos, la conservadora aspiraba a restablecer la unidad del conjunto social; la francesa proclamó la soberanía de la razón, desarticulando el mundo para aprehenderlo en conceptos, la conservadora trató intuir su sentido en imágenes; la francesa creyó en el progreso indefinido en una marcha lineal; la conservadora retornó a la idea del ciclo, donde los retrocesos y los avances se compensan de forma natural.
En la antagónica Revolución Conservadora, ni la “conservación” se refiere al intento de defender forma alguna caduca de vida, ni la “revolución” hace referencia al propósito de acelerar el proceso evolutivo para incorporar algo nuevo al presente. Lo primero es propio del viejo conservadurismo reaccionario –también del mal llamado neoconservadurismo– que vive del pasado; lo segundo es el logotipo del falso progresismo, que vive del presente-futuro más absoluto.
Mientras que en gran parte del llamado mundo occidental la reacción ante la democratización de las sociedades se ha movido siempre en la órbita de un conservadurismo sentimental proclive a ensalzar el pasado y lograr la restauración del viejo orden, los conservadores revolucionarios no escatimaron ningún esfuerzo por marcar diferencias y distancias con lo que para ellos era simple reaccionarismo, aunque fuera, en expresión de Hans Freyer, una Revolución desde la derecha. La RC fue simplemente una rebelión espiritual, una revolución sin ninguna meta ni futuro reino mesiánico.
00:05 Publié dans Révolution conservatrice | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : révolution conservatrice, allemagne, années 20, années 30, république de weimar | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
dimanche, 02 juin 2013
Presseschau - Juni 2013
#####
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : actualité, presse, journaux, médias, europe, allemagne, affaires européennes | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
samedi, 01 juin 2013
Parsifal & the Possibility of Transcendence
Wagner Bicentennial Symposium
Parsifal & the Possibility of Transcendence
By Christopher Pankhurst
Ex: http://www.counter-currents.com/
In 1878 Nietzsche sent a copy of his book Human, All Too Human to Richard Wagner. At the same time Wagner sent Nietzsche a copy of the verse for his opera Parsifal. Nietzsche was later to write that when received this text, “I felt as if I heard an ominous sound – as if two swords had crossed.”[1] Nietzsche had immediately realized that the two men had drifted irreparably apart. In Human, All Too Human, Nietzsche had made a decisive move against the Western metaphysical tradition and he saw the text of Parsifal as being deeply embedded within that tradition.
By the time of Tristan und Isolde and Parsifal Wagner had become immersed in the philosophy of Schopenhauer and he was able to infuse those works with a thoroughly Schopenhauerian atmosphere. In particular, Parsifal was the culmination of Wagner’s life’s work, and with its theme of redemption through compassion it fully articulated his mature Schopenhauerian beliefs. Largely because of Wagner’s lucid expression of this theme, the opera was to become a persistent bête noir of Nietzsche. Although he had previously enjoyed a deep and rewarding friendship with Wagner, Nietzsche came to view Parsifal as the epitome of everything that was wrong with culture, and he continued to gnaw away irritably at it, like a dog with an old bone, for the rest of his sane life.
At the heart of Nietzsche’s criticism of Parsifal is his rejection of the possibility of redemption from this world, and of transcendence to a higher realm. With Schopenhauer, the idea of transcendence had reached its most highly developed articulation within the Western philosophical tradition; after Nietzsche’s attack on Parsifal it became impossible to uncritically accept the possibility of transcendence at all.
With the influence of Schopenhauer, the lucid artistry of Wagner, and the devastating critique by Nietzsche, Parsifal can be seen as a nexus for some of the most important tributaries of 19th century philosophical thought.
Schopenhauer’s philosophy begins with the observation that everything that exists can only be known to us through our senses, through perception. Therefore we have no direct access to an objective, independently existing world. For us the world exists only as representation. This applies not only to objects but also to all of the natural laws that connect objects with each other, such as magnetism and gravitation. Space and time are also not independently existing qualities but are dependent on the perceptual faculties of an observing subject, and so are expressions of the world as representation. The ways in which things interact in space and time are determinable by laws, but these laws themselves all belong to that same plane of phenomenal existence. In other words, even causality belongs to the world of representation. Schopenhauer was a great admirer of many of the mystical works of ancient India such as the Vedas and the Upanishads, and he saw an affinity between them and his own philosophical work. The ancient teaching that this world is Maya, or illusion, is often cited by Schopenhauer as being parallel with his own observation that the world is representation.
So, in the world of representation, objects and forces interact with each other in causally determined ways. The individual observer is himself a part of this interplay, so he is also part of the world of representation; he is one object of representation amongst many, many others. If there was nothing else to this explanation then the individual would find himself to be a mere observer of a world of interacting objects and his actions would simply occur according to deterministic laws. But this is not at all how reality appears to us. We feel that we are agents in the world, that we have a self-determined power of volition. So, whilst we recognize ourselves as existing in the world of representation as an object, we also feel that there is something more to it than this. It seems that the world of representation is insufficient to explain the totality of the world that we experience, that there must be some additional, hidden quality to the world anterior to the world of representation. Otherwise the world would consist merely of “empty phantoms.”[2] For Schopenhauer, this additional something is will.
An individual experiences his own sense of will as the volitional manifestation of particular actions of his body. These do not simply appear to him as occurring due to some causal situation, instead they feel deliberately willed. When he stands up and walks to the window he feels that he is acting in the world, not merely observing it. This sense of volition is precisely the action of the will. As soon as the action is performed it is perceived through the senses and becomes a part of the world of representation. But the initial volition does not arise from the world of representation but from the world of will. So, the individual exists both as will and representation.
From this, Schopenhauer extrapolates that everything that exists in the world as representation also has another, and unconditional, aspect as will. In fact, Schopenhauer’s assertion that everything that exists as representation also consists of will is not merely drawn analogically from the experience of a particular individual but is shown to be a necessary state of existence. This is so because representation alone cannot explain the existence of anything. It is possible to describe the actions of all sorts of phenomena and to explain how they interact with each other but we are left with a puzzle regarding the inner nature of these phenomena. However we choose to measure or describe objects or forces, we are measuring and describing only that part of them that manifests itself as phenomena, that is, the aspect of the object manifested as representation. This form can express extension in space or duration in time but its inner quality, its essence, is hidden from us. This hidden essence is “an insoluble residuum”[3] and cannot be discerned by investigating the form of phenomena but only by recognizing the presence of will as the hidden essence within all forms.
Once we are able to understand that it is will that manifests itself in representation, that it is the hidden essence behind all perceptible forms, then we can see that it is, “the force that shoots and vegetates in the plant, indeed the force by which the crystal is formed, the force that turns the magnet to the North Pole, the force whose shock he encounters from the contact of metals of different kinds, the force that appears in the elective affinities of matter as repulsion and attraction, separation and union, and finally even gravitation, which acts so powerfully in all matter, pulling the stone to the earth and the earth to the sun; all these he will recognize as different only in the phenomenon, but the same according to their inner nature.”[4]
Thus, behind all the apparent plurality of phenomena there is a higher unity which is the will. The world of representation is secondary to this because it is dependent for its existence on a knowing subject and so is conditional. The world of will is unconditional; it exists prior to every manifestation. Thus, the world of will, which expresses a unity between all things which appear distinct, is fundamentally real in a way that the world of representation is not. The world of representation, of all perceptible phenomena, is shrouded in the illusory veil of Maya. When we lift the veil we are left with will.
So human beings, like all other things in the universe, have a “twofold existence,”[5] consisting of both will and representation. In impersonal forces such as gravitation and magnetism the will is not especially developed; it acts blindly and in completely uniform ways. In living things such as plants it has a higher degree of organizational development and expresses itself through life-cycles, growing to seed before dying off. In animals it is more highly developed still, so that each individual creature fights for its own food, territory and mates, and so on. In humans the will has developed to its highest form and has the greatest degree of self-awareness, to the extent that, uniquely, it is able to deny itself. In humans, then, we see the greatest degree of self-awareness. But the will manifested in a world of representation finds itself refracted into untold billions of distinct, causal phenomena. In the midst of this illusory fragmentation the will seeks satiety and fulfilment. But this relentless desire, according to Schopenhauer, can never reach an end.
Because humans live in the world of representation we are only aware of the illusory existence of diverse, discrete individuals. Each of us thinks that he exists as a single and separate entity forever cut off from the inner processes of other individuals. For Schopenhauer, this is pure delusion. The reality is that we are all expressions in causal reality of a deeper and more fundamental unity. The will itself is singular and indivisible and it establishes itself in a bewildering multiplicity of varied forms. So, the perception of a world of distinct and separated objects and forces is illusory and, to this extent, is an error. The hidden truth is that of a single, unified will outside of space and time.
But this reality is hidden from us because it does not exist in the perceptual world. So the illusion of a world of many distinct individual objects and forces compels us to constantly strive to achieve union with those things that are separate from us, and which we experience as a lack. The desire for sexual intercourse, hunger for food, and the striving for wealth are all driven by our feeling that we lack those things and we believe that we will achieve happiness and satiety if we obtain them. But as soon as we do achieve one of our desires it begins to lose the appeal that drew us to it in the first place, and we begin to desire other things. This is an endless and inescapable process. It means that the world consists of endless suffering because we are always aware of a lack of something or other, and any fulfilment of desire is always short-lived and leads to the arising of new desires. Longing is eternal, satisfaction brief and illusory.
So, we find ourselves living in a world of illusion and suffering and with an unquenchable thirst for an unknown and hidden world of true unity. One of the primary intimations of this world of unity, according to Schopenhauer, comes from our facility for compassion. Egotism and selfishness derive from the desire to benefit oneself at the expense of others. But the self that benefits from this is, as we have seen, an illusory construct that veils the deeper truth. Compassion and pity begin to erase the boundaries between the illusory phenomena of individuals, and to reveal the hidden unity that actually lies behind appearance. So selfishness reinforces the illusion of discrete phenomena, whereas compassion unveils the truth that everything is the manifestation of an undifferentiated will.
Another way in which we may apprehend this noumenal reality is through art. Art is a means whereby the will is able to objectify itself and this is achieved with reference to Platonic Ideas. Schopenhauer sees these Ideas, which are eternal and unchanging forms outside the incessant becoming and passing away of nature, as “definite grades of the objectification of that will, which forms the in-itself of the world.”[6] In other words, art is able to step outside the individuated world of representation and partake of the undifferentiated world of eternal Ideas. Because art takes us to this noumenal place, we are able to feel a sense of completeness, or rather the absence of willing, whilst we contemplate the art object. With this quieting of the will, suffering recedes, and we are able to apprehend the unity of things.
Schopenhauer singles out music as a special art form quite unlike all the others. Whereas other art forms are concerned with representing the essential and universal elements of things, music is not representational in the same way. Instead, Schopenhauer sees music as being a direct manifestation of will: “Therefore music is by no means like the other arts, namely a copy of the Ideas, but a copy of the will itself, the objectivity of which are the Ideas. For this reason the effect of music is so very much more powerful and penetrating than is that of the other arts, for these others speak only of the shadow, but music of the essence.”[7]
When Wagner discovered Schopenhauer, the effect was utterly revelatory. He had spent years carefully devising a theoretical scheme for opera wherein the text was paramount and the music needed to be subordinated to it. Now he found in Schopenhauer a philosophical explanation of music’s superiority to other art forms, and of its deeper resonance, its natural tendency to articulate the essence of things. Wagner’s conversion first manifested itself in the scores for Die Walküre, Siegfried and Götterdämerung, although the libretti for those works had already been written. Of the three operas fully composed after his conversion to Schopenhauer’s philosophy Parsifal was the one he considered to be “the crowning achievement.”[8]
Wagner’s Parsifal tells the story of the Grail Knights and their King, Amfortas. They are responsible for guarding the Holy Grail and the spear which was used to pierce the side of Christ during His crucifixion. But Amfortas is wounded; he was stabbed with the same spear by the evil magician Klingsor, who then stole it. Amfortas’ wound will now not heal. Klingsor has also disempowered the Knights by seducing them with his flower maidens. Until the Knights can win back the spear, the holy rites seem empty and the land has become wasted. A prophecy has been given by the Grail that the spear will only be won back by one, “made wise through pity, the pure fool.”
Parsifal himself is introduced to the drama when he kills a swan. He does not know why he killed the swan, and it transpires that he is ignorant of his parentage and he does not even know his own name. Evidently, he is the prophesied fool. But Parsifal cannot understand the Grail Knights’ rites, and so he is dismissed as a mere fool, not the prophesied redeemer. He soon finds his way to Klingsor’s castle where Kundry, who is simultaneously a servant of the Knights and one of Klingsor’s maidens, attempts to seduce him. This is the cause of an epiphany for Parsifal. With the arrival of sexual arousal, Parsifal is no longer the innocent fool he was, but he is immediately able to overcome this desire and exercise a will-less compassion. He then becomes the pure fool who will fulfil the prophecy. He wins the spear from Klingsor, which he will use to heal Amfortas’ wound. Klingsor and his castle disappear: they were mere phenomena, and Parsifal has revealed their illusory character.
It transpires that Kundry was present at Christ’s crucifixion and that she mocked Him. She has been trapped in an eternal life of repentance ever since. Now Parsifal, through his compassion, has redeemed her. At the close of the opera, on Good Friday, the sacred rites are once more performed but this time with appropriate numinosity. Parsifal is acknowledged as the Redeemer.
The influence of Schopenhauer throughout Parsifal is absolutely clear. The world of Parsifal is one of ubiquitous and lingering suffering. The Grail Knights are condemned to meaningless ritual because of their failure to remain chaste. By succumbing to sexual desire they are chained to the illusory pleasures of the world, and these pleasures, as Schopenhauer has it, are transient, illusory and outweighed by the greater reality of suffering.
Kundry, through her mockery of Christ, is locked in an eternity of suffering. The significant point to Kundry’s suffering is not that she is being punished for mocking God, but that she suffers due to a lack of compassion. By laughing at the suffering of Christ she failed to recognize that the suffering of one is, in essence, the suffering of all.
The eponymous hero is able to redeem the Grail Knights through compassion, by realizing the hidden reality behind the illusory phenomena conjured by Klingsor. When Parsifal causes Klingsor’s realm to disappear he is banishing the world of mere appearance, with all its beguiling desires and pleasures. The final redemption comes from the realization that compassion reveals the hidden unity behind all phenomena. This redemption is not effected through the divinity of Christ; the Good Friday scene is the fulfilment of this redemption, and the Redeemer is Parsifal. Redemption comes from the acceptance of the singular essence of the will and the unity of all things, not from a supernatural intervention.
There is also an interesting structural resonance with Schopenhauer’s thought. Amfortas’ wound is an analogue of the suffering of Christ: his wound was caused by the same spear that pierced the side of Christ. But when Parsifal enters the drama he shoots a swan with an arrow. The swan is a symbol of the sacred so this image again recapitulates the piercing of Christ. In this way, a threefold analogue of suffering becomes a depiction of the Schoperhauerian idea that the will is a unified whole which merely appears to become separate and distinct in various manifestations. The trinity of pain enfolded into the drama exemplifies the notion that the suffering of Christ is important because it is the suffering of all, even of animals. The importance of Christ for Wagner, as for Schopenhauer, comes from the fact that his story of suffering and redemption through surrendering the will is a universal truth and is a metaphysical reality inherent in all living things.
So, Parsifal is not a Christian work of art, despite what many seem to think. It is a work of art which elaborates a sophisticated piece of secular philosophy. The importance of Parsifal, and perhaps the source of misunderstanding, comes from the fact that it is a secular, atheist work which nonetheless presents the reality of transcendence as a proximate and intimate possession of all living things. The Grail hall is a place where, “Time is one with Space.” When Parsifal approaches this hall with one of the Grail Knights, Gurnemanz, the stage directions indicate that the scene begins to change: “the woods disappear and in the rocky walls a gateway opens, which closes behind them. . . . Gurnemanz turns to Parsifal, who stands as if bewitched.”[9] Clearly, the Grail Knights are guarding a numinous place, or at least a place infused with numinous emanations from the Grail itself, but deeper than this they are guarding the concept of transcendence itself. And, with his portrayal of Schopenhauer’s ideas concerning the possibility of redemption within a secular framework, Wagner himself is guarding the possibility of transcendence against the ongoing decline of Christianity.
When Nietzsche first read Parsifal, and heard the sound of swords clashing, he had come to view the notion of transcendence, whether through religion or through art, as an impossibility. Whilst he had already decisively rejected religion he had gone still further and questioned the notion that there is a metaphysical side to existence at all. Despite his friendship with Wagner and his earlier allegiance to Schopenhauer he had come to the conclusion that such a metaphysical realm, the hidden unity of the will, simply did not exist; or if it did exist, that it was completely unknowable to man and so not worth considering.
Nietzsche had come to realize that Schopenhauer, in working out his philosophical worldview, had taken a number of impermissible steps. When Schopenhauer had described the phenomenal world of appearance as illusory he was entirely correct, but he then went on to assume that there must be a world of ultimate reality, a “real” world distinct from representation, lying anterior to the apparent world. Nietzsche questions why, if we are constantly deceived about the nature of the apparent world, we should give any credence to speculations about a hidden world. In fact, he goes on to question why, if such a world anterior to appearance did in fact exist, it should be assumed to have any greater validity than the world of “mere” appearance: “It is no more than a moral prejudice that truth is worth more than mere appearance; it is even the worst proved assumption there is in the world. Let at least this much be admitted: there would be no life at all if not on the basis of perspective estimates and appearances.”[10]
In addition, when Schopenhauer perceived the will as an intimately known presence within himself he falsely assumed that it was a singular force. From this perception he inferred an undifferentiated reality behind the entire world of appearance. But Nietzsche realizes that the will cannot be described in such a way. For Nietzsche, the will is something that emerges as the result of a conflict of impulses and desires that exist simultaneously within an individual. The act of willing emerges as the effect of the most domineering of these impulses. Crucially, it is the result of a prior battle that gives rise to the act of willing and it is an error to ascribe this will to “the synthetic concept ‘I’.”[11] The individual contains many souls, and the one that wins the battle of the wills becomes identified as the individual’s will. In this respect, Nietzsche has stood Schopenhauer’s thinking on its head. Instead of a unified whole manifesting itself as plurality, Nietzsche perceives a battleground of competing interests, one of which achieves victory and is then assumed to be the volition of an integrated agent. From here it is a short step to the realization that “life simply is will to power.”[12]
This realization reveals another false step in Schopenhauer’s argumentation, or rather a severe error of evaluation. If it is assumed there is a holistic and in some sense “higher” reality behind appearances, then this reality assumes a position of superiority to the world of appearances. In Nietzsche’s terms this means that a fictional world has the whip hand over the real world: “Once the concept ‘nature’ had been devised as the concept antithetical to ‘God’, ‘natural’ had to be the word for ‘reprehensible’ – this entire fictional world has its roots in hatred of the natural (actuality!), it is the expression of a profound disgust with the actual. . . . But that explains everything. Who alone has reason to lie himself out of actuality? He who suffers from it. But to suffer from actuality means to be an abortive actuality. . . . The preponderance of feelings of displeasure over feelings of pleasure is the cause of a fictitious morality and religion: such a preponderance, however, provides the formula for decadence . . .”[13] Although this polemic is aimed at the Christian concept of God, the point is equally applicable to Schopenhauer’s world of will. And, once more, Nietzsche has turned Schopenhauer’s thought on its head. Rather than suffering and want being caused by the splintering of a prior unity into discrete phenomena, Nietzsche sees the presence of suffering in the individual as the cause of the creation of this fictional world of unity. It is simply a palliative created to alleviate dissatisfaction with the real.
Of course, this is no neutral matter of academic philosophy; it is fundamental to knowing whether it is possible or desirable to believe in the existence of a noumenal world, whatever its character might be. The existence or non-existence of such a transcendent world has ultimate implications for questions concerning God, life after death, and so on. And this is why Nietzsche’s attack on Wagner’s perceived decadence was so vociferous: “He flatters every nihilistic (Buddhistic) instinct and disguises it in music; he flatters everything Christian, every religious expression of decadence. Open your ears: everything that ever grew on the soil of impoverished life, all of the counterfeiting of transcendence and beyond, has found its most sublime advocate in Wagner’s art.”[14]
And this is the heart of the matter: the counterfeiting of transcendence. When one becomes a fellow traveler with Nietzsche one realizes the intellectual impossibility of accepting notions of transcendence. The very idea of transcendence itself becomes anathema because it implies a belittling of the here and now, of actuality. Consequently art that posits transcendence as an ultimate aim becomes risible, and the beauty of Wagner’s opera dissipates like Klingsor’s castle.
But whilst one listens to the music of Parsifal and becomes immersed in the extraordinarily high level of dramatic development, the possibility of transcendence comes back in to focus and inspires an intuitive yearning to grasp it: the ultimate grail quest. And, in fact, when Nietzsche actually heard Parsifal for the first time he was to write, “Did Wagner ever compose anything better? The finest psychological intelligence and definition of what must be said here, expressed, communicated, the briefest and most direct form for it, every nuance of feeling pared down to an epigram; a clarity in the music as descriptive art, bringing to mind a shield with a design in relief on it; and, finally, a sublime and extraordinary feeling, experience, happening of the soul, at the basis of the music, which does Wagner the highest credit.”[15] Wagner’s desire to present Schopenhauer’s metaphysics in artistic form might appear now to be an item of merely historical interest. But what we know intellectually will not always remain sovereign, and Parsifal is unlikely to be the last time we seriously consider the possibility of transcendence.
Notes
1. Friedrich Nietzsche, Ecce Homo, in Basic Writings of Nietzsche, trans. Walter Kaufmann (New York: The Modern Library, 1967), 744.
2. Arthur Schopenhauer, The World as Will and Representation, trans. E. F. J. Payne (New York: Dover Publications, 1969), vol. 1, 119.
3. Ibid., 124.
4. Ibid., 110.
5. Ibid., 371.
6. Ibid., 170.
7. Ibid., 257.
8. Bryan Magee, Wagner and Philosophy (London: Penguin Books, 2000), 196.
9. Richard Wagner, Parsifal, in Parsifal (Wagner): Opera Guide 34 (London: John Calder, 1986), 96.
10. Friedrich Nietzsche, Beyond Good and Evil, in Basic Writings of Nietzsche, trans. Walter Kaufmann (New York: The Modern Library, 1967), 236.
11. Ibid., 216.
12. Ibid., 393.
13. Friedrich Nietzsche, The Anti-Christ, in Twilight of the Idols and The Anti-Christ, trans. R.J. Hollingdale (London: Penguin Books, 1968), 135–36.
14. Friedrich Nietzsche, The Case of Wagner, in Basic Writings of Nietzsche, trans. Walter Kaufmann (New York: The Modern Library, 1967), 639.
15. Magee, Wagner and Philosophy, 325.
Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com
URL to article: http://www.counter-currents.com/2013/05/parsifal-and-the-possibility-of-transcendence/
URLs in this post:
[1] Image: http://www.counter-currents.com/wp-content/uploads/2013/05/hacker.jpg
00:05 Publié dans Musique, Musique, Philosophie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : wagner, richard wagner, musique, allemagne, parsifal, philosophie, 19ème siècle | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
mardi, 21 mai 2013
Allemagne: récession imminente?
Andrea PERRONE:
Allemagne: récession imminente?
Berlin amorce un déclin lent, à cause d’une croissance en net recul qui met en danger l’avenir de toute la zone-euro!
L’économie de toute la zone-euro poursuit son ressac et l’Allemagne, à son tour, devient sujet de préoccupation, car l’état de l’économie allemande empire. Ce n’est pas un hasard si l’économie allemande n’accuse qu’une très misérable croissance de 0,1% seulement au cours de ces trois derniers mois, tandis que la France, elle, a déjà basculé dans la récession, comme le signalent les données d’Eurostat. Avec un recul de 0,2% au cours des trois premiers mois de l’année 2013, l’économie de la zone-euro est bel et bien, désormais, en récession et cela, depuis un an et demi: c’est là la période de récession la plus longue depuis 1995, année à partir de laquelle Eurostat a commencé à rassembler des données. L’Etat de la zone-euro qui se trouve dans la pire des situations est bien entendu la Grèce, dont l’économie s’est réduite de 5,3%. Elle est suivie du Portugal, qui accuse une récession de –3,9% par rapport à la même période l’an passé.
La France aussi est officiellement en récession après que son économie se soit réduite de 0,2% au cours de ces six derniers mois, avec, en fond, un taux de chômage supérieur à 10%, assorti d’une perte de confiance des entreprises et des consommateurs. Entretemps, l’Allemagne a repris une croissance, après une récession de trois mois à la fin de l’année 2012, mais cette faible reprise s’avère bien trop lente et insuffisante, atteignant seulement le chiffre de 0,1%, surtout à cause d’une augmentation des dépenses de la part des consommateurs. Ce chiffre ne suffit pas, bien entendu, pour faire redémarrer l’économie de la zone-euro en général, qui se débat encore et toujours dans une crise qui perdure.
Les données d’Eurostat montrent que l’économie allemande s’est réduite de 0,3% par rapport à la même période l’an passé. Le bureau allemand des statistiques met ce faible rendement sur le compte d’un “climat hivernal extrême” qui a duré jusqu’en avril. A l’opposé, la Lettonie a enregistré une croissance de 5,6% et la Lituanie de 4,1% par rapport à la même période en 2012. Les deux pays espèrent adhérer à la zone-euro très bientôt: la Lettonie en janvier 2014 et la Lituanie en 2015. L’Estonie voisine, qui a adhéré à la zone-euro en 2011 a enregistré la croissance la plus élevée de la zone par rapport à l’an passé, avec +1,2%. Mais par rapport aux trois mois qui viennent de s’écouler, l’économie estonienne, à son tour, s’est réduite d’un pourcent.
Pour ce qui concerne Chypre, les chiffres montrent que l’économie de l’île a considérablement empiré pendant la période où l’on négociait son plan de sauvetage: son économie a chuté de 4,1% par rapport au trimestre de janvier-mars 2012. La situation économique de l’Italie, de l’Espagne, de la Finlande et des Pays-Bas est préoccupante car tous ces pays ont vu, eux aussi, se rétrécir leur assiette économique par rapport au trimestre précédent et à l’an passé, comme d’ailleurs toute les économies de la zone-euro. La Banque centrale européenne, au début mai 2013, a abaissé le taux de référence à son minimum historique de 0,5%, tentant ainsi de faire redémarrer l’économie de la zone-euro. Mais tout prêt avantageux demeure une chimère, surtout pour les banques des pays de l’Europe méridionale qui continuent à emprunter de l’argent à des taux d’intérêt beaucoup plus élevés que le taux de référence: même le président de la BCE, Mario Draghi, a souligné que les prêts à bon marché ne se sont jamais avéré bons pour l’économie réelle.
Andrea PERRONE.
(article paru dans “Rinascita”, Rome, 17 mai 2013 – http://www.rinascita.eu/ ).
00:05 Publié dans Actualité, Affaires européennes, Economie | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : zone euro, politique internationale, europe, union européenne, allemagne, affaires européennes, économie, crise européenne | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook
jeudi, 16 mai 2013
Savants nazis : les Français et les Anglais se sont servis aussi
Savants nazis : les Français et les Anglais se sont servis aussi
« Les quelques privilégiés qui connaissaient l’existence
du Bureau des Projets Spéciaux du général SS Kammler,
admettaient qu’il constituait l’instrument
d’étude et de mise au point le plus avancé du IIIe Reich »
Entretien avec Louis-Christian Gautier, auteur de Le secret de l’anti-gravité. À l’ombre du IIIe Reich et de la Nasa (éditions Dualpha)
propos recueillis par Fabrice Dutilleul
Vous abordez un sujet délicat : l’appropriation par les Américains et les Soviétiques des savants du IIIe Reich à la fin de la IIe Guerre mondiale…
Il n’y a pas qu’eux : Britanniques et Français se sont aussi « servis ». Tous les Alliés s’emparèrent des savants du IIIe Reich et s’approprièrent ainsi tous leurs travaux, recherches… et découvertes ! Parmi ces prises de guerre figuraient les recherches sur la gravité, effectuées par le général SS Hans Kammler qui rendait compte directement et uniquement au Reichführer de l’Ordre noir Heinrich Himmler.
Comment avez-vous été amené à écrire ce livre ?
À la demande du rédacteur en chef de la défunte revue Aventures de l’Histoire. C’est un fouineur qui m’a adressé un ouvrage qu’il s’était procuré je ne sais comment, dont le titre pourrait approximativement se traduire par : « À la recherche du point zéro, le périple d’un homme pour découvrir le plus grand des secrets depuis l’invention de la bombe atomique. » Si, dans mon adolescence, je prenais un certain plaisir à la lecture des romans de science-fiction – en particulier ceux de Peter Randa, père de mon éditeur auquel j’en profite pour rentre hommage – je suis devenu depuis un historien « pur et dur », et c’est d’abord en rechignant que j’ai entrepris de traduire le document de référence, mais je ne prends pas parti au sujet des théories exposées.
Les chercheurs américains refusaient de reconnaître cette science révolutionnaire…
En effet, les Nationaux-socialistes eurent une approche de la science et de l’ingénierie totalement différente de celle des autres, car leur idéologie était également basée sur une vision du monde différente.
La gravité constitue la plus importante source d’énergie potentielle. Un engin qui l’utiliserait pourrait atteindre la vitesse de la lumière. Les Américains ont-ils maîtrisé toutes les technologies tombées entre leurs mains ? C’est ce que chercha à savoir le Britannique Nick Cook, journaliste aéronautique réputé. Son enquête le mena ainsi jusqu’aux terribles camps de concentration qui furent en quelque sorte le « moteur » de la production de cet « État dans l’État », comme Speer avait qualifié la SS. C’est en leur sein que travailla le Bureau des Projets Spéciaux du général Kammler. Les quelques privilégiés qui en connaissaient l’existence admettaient qu’il constituait l’instrument d’étude et de mise au point le plus avancé du IIIe Reich. Pour le constituer, on avait écrémé tout ce que le pays possédait comme chercheurs de haut niveau, sans se préoccuper s’ils avaient ou non des liens avec le Parti. Une fois recrutés, ceux-ci étaient soumis à un secret rigoureux et leurs activités protégées par des spécialistes du contre-espionnage appartenant à la SS.
Au fil de la lecture, on se passionne pour cette véritable enquête policière…
Il faut suivre l’auteur britannique dans l’espace et dans le temps. C’est aussi la personnalité de celui-ci qui, dans le cadre de la « critique externe » du document, a suscité mon intérêt : Nick Cook était consultant aérospatial à la revue Jane’s Defense Weekly. Or, le Jane’s est une référence internationale en matière de défense et d’armement. Un de ses collaborateurs ne pouvait être un fumiste intégral. Mais je dis et répète que je me refuse à prendre parti : j’ai abordé le sujet d’un point de vue strictement historique.
Vous ne prétendez donc pas révéler le secret de l’anti-gravité ?
Pas plus que celui des Templiers, ni l’emplacement de leur trésor, sujets sur lequel j’avais jusqu’alors le plus publié.
Le secret de l’anti-gravité. À l’ombre du IIIe Reich et de la Nasa de Louis-Christian Gautier, 216 pages, 23 euros, éditions Dualpha, collection « Vérités pour l’Histoire », dirigée par Philippe Randa.
BON DE COMMANDE
Je souhaite commander :
… ex de Le secret de l’anti-gravité. À l’ombre du IIIe Reich et de la Nasa (23 euros)
Frais postaux France et Union européenne : 5 euros (1 livre)/6 euros (2 livres)/7 euros (3 livres ou plus)
Autres destinations : 10 euros (1 livre)/15 euros (2 livres)/20 euros (3 livres ou plus)
Règlement à l’ordre de Francephi par chèque, carte bancaire, virement bancaire ou par paypal.
Nom : ..............………................
Prénom : ..............…................
Adresse : ..............….....................................
..............…............................................................
..............…..............................…...........................
..............…..............................…..............................….
Code Postal : .............………........
Ville : .............………........
Téléphone : .............….…………….………........……
Adresse internet : .............………...............……
Règlement par carte bancaire
téléphone (obligatoire pour règlement par carte bancaire) : ……
CB… Visa… MasterCard… (autres)… : ......................
numéro /__/__/__/__/ /__/__/__/__/ /__/__/__/__/ /__/__/__/__/
Expire le : /__/__/__/__/ 3 Nos code sécurité : /__/__/__/
à renvoyer à : Francephi diffusion - Boite 37 - 16 bis rue d’Odessa - 75014 Paris - Tél. 09 52 95 13 34 - Fax. 09 57 95 13 34 – Mél. diffusion@francephi.com
Commande par internet (paiement 100 % sécurisé par paypal ou carte bancaire) sur notre site www.francephi.com
11:46 Publié dans Entretiens, Histoire, Science, Sciences | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : entretien, physque, gravité, anti-gravité, allemagne, seconde guerre mondiale, deuxième guerre mondiale | |
del.icio.us |
|
Digg |
Facebook