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vendredi, 19 juillet 2013

Il ritratto di Ungern Khan

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Foglie e pietre

Il ritratto di Ungern Khan 

da Pio Filippani-Ronconi
Ex: http://www.barbadillo.it 

Sessantasei (adesso sarebbero novantadue ndr) anni fa, all’alba del 17 settembre 1921, cadeva fucilato a Novonikolajevsk, secondo altri a Verkhne-Udinsk, presso il confine mongolo, il comandante della divisione asiatica di cavalleria, barone Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg, ultimo difensore della Mongolia “esterna” indipendente e della Siberia “bianca”. Con la morte del “Barone pazzo” nulla piú si opponeva al dilagare dell’esercito bolscevico di Blücher nell’Estremo Oriente siberiano e la fase guerreggiata della Rivoluzione si concludeva.

L’effimera meteora del Barone e le disperate imprese della sua divisione non ebbero, in fondo, un effetto determinante su quest’ultimo scorcio della Guerra Civile, specialmente dopo il crollo dell’esercito bianco di Kolcak che, battuto il 14 novembre 1919 ad Omsk, aveva praticamente cessato di esistere. Invece, l’importanza del barone Ungern e del suo variopinto esercito, formato da Cosacchi della Trans-baikalia, da Buriati, Mongoli, volontari Tibetani e Guardie Bianche di ogni provenienza, era soprattutto di natura spirituale. Il Barone, religiosamente affiliato ad una corrente tantrica facente capo allo Hutuktu di Ta-Kuré e suo braccio militare durante l’anno in cui fu padrone della Mongolia esterna, aveva sin dal principio, cioè sin dalla conferenza panmongola di Cita del 25 febbraio 1919, dichiarato la sua intenzione di ristabilire la teocrazia lamaista nel cuore dell’Asia, «affinché da lí partisse la vasta liberazione del mondo».

La controrivoluzione era per lui solo un pretesto per evocare sul piano terreno una gerarchia già attuata su quello invisibile. Questa gerarchia doveva proiettarsi su un mandala, un mesocosmo simbolico, il cui centro sarebbe stata la “Grande Mongolia”, comprendente, oltre alle sue due parti geografiche, l’immenso spazio che dal Baikal giunge allo Hsin-Kiang e al Tibet. Ivi, pensava, si sarebbe attuata la rigenerazione del mondo sotto il segno del Sovrano dell’agarttha (“inafferrabile”) Shambala, la “Terra degli Iniziati”, ove Zla-ba Bzan-po e i suoi 24 successivi eredi perpetuavano il segreto insegnamento del Kalacakra, la “Ruota del Tempo”, loro impartito dal Risvegliato 2500 anni fa.

2500 anni è esattamente la metà del ciclo di 5000 che, secondo la tradizione, separa l’apparizione dell’ultimo Buddha terrestre, Gautama Sakyamuni, dall’avvento del successivo Maitreya, figura probabilmente mutuata dallo zoroastriano Mithra Saosyant, “Mithra il Salvatore” (difatti l’iconografia buddhista lo rappresenta tradizionalmente come un principe “seduto al modo barbarico”, cioè assiso all’europea). Lo stesso Hutuktu di Urga, che Ungern, liberandolo dai Cinesi, aveva ristabilito sul trono, terza autorità nella gerarchia lamaista dopo il Dalai Lama di Lhasa e il Panc’en Lama di Tashi-lhumpo, era teologicamente considerato quale proiezione fisica (sprul-sku) di Maitreya, prefigurazione, quindi, del Buddha venturo. Ungern, consapevole nonostante questa vittoria della sua fine imminente, si rendeva conto di trovarsi in un istante “apicale” del divenire della storia, come se fosse nel cavo fra due onde, un attimo prima che rovinino in basso. Pertanto, nel suo breve periodo di governo ad Urga (dal 2 febbraio all’11 luglio 1921) cercò di tramutare questo istante in un “periodo senza tempo” che permettesse allo Hutuktu di compiere la sua opera spirituale, liberandolo dalla pressione esterna dei due poteri che incombevano: la Cina dei “Signori della Guerra” dal Sud, e la valanga bolscevica che muoveva inarrestabile dal Nord, dalla Siberia.

Erano tempi terribili in cui, piú che dal potere delle armi, gli eventi sembravano determinati da forze promananti da una sorta di magia infera. Coloro che furono testimoni degli sconvolgimenti determinati dalla Rivoluzione di Ottobre ricordano la spaventevole automaticità medianica con cui le “forze rivoluzionarie” demolivano le strutture della vita civile cosiddetta “borghese” e le vestigia dell’ordine antico. Le masse si coagulavano in quegli strati della società in cui maggiormente era assente il principio dell’“Io” autocosciente, fra i miseri, i vagabondi, gli allucinati sopravvissuti dai Laghi Masuri e dalle battaglie della Galizia, i fanatici, i tarati e tutti coloro per i quali la ferocia belluina era alimento quotidiano dell’anima. Ai rivoluzionari non si scampava: mossa come da un’ispirazione demoniaca, la “giustizia del popolo” colpiva infallantemente i nemici della Rivoluzione un momento prima che si muovessero. Il Terrore era guidato da una occulta saggezza che nulla aveva a che fare con la brillante intelligenza di coloro (Trockij, Kamenev, Zinoviev ecc.) che lo avevano scatenato e pensavano di dirigerlo: una saggezza che realmente promanava dall’elemento preindividuale della “massa”, come le forze fisico-chimiche che provocano un terremoto o la fuoriuscita della lava da un vulcano.

ust.jpgUngern chiaramente si rendeva conto di tutto ciò e, dalle sue conversazioni con l’ingegnere Ossendowski, già ministro delle Finanze nel governo di Kolcak, risulta evidente come egli cercasse di evocare misticamente il principio opposto, quello solare, che segnava il suo stendardo, riferendosi ad una cultura, quella tantrico-buddhista, che da due millenni lo coltivava. Soltanto che la sua ascesi personale non poteva diventare il mezzo strategico di vittoria per i suoi cinquemila cosacchi, russi sí, mistici forse, ma fatalmente appartenenti ad un mondo orientato verso un’esperienza dello Spirito volta al mondo sensibile esteriore. Nel suo Uomini, Bestie e Dèi, che è la narrazione della sua fuga dalla Siberia alla Mongolia, Ossendowski ci ha lasciato un’impressionante descrizione degli eventi, ma, molto di piú, dell’allucinata atmosfera che regnava sulla ufficialità che attorniava il Barone e fra le sue truppe, sottomesse da anni a spaventose fatiche e ad una disciplina rigidissima e, per giunta, consapevoli del disastro imminente. La narrazione dell’Ossendowski verrà in seguito aspramente criticata (fra gli altri dallo stesso Sven Hedin) per la parte riguardante i suoi viaggi fra gli Altai e la Zungaria. Resta, però, intatta la sua testimonianza sulla figura e sulle avventure del Barone e, soprattutto, sul senso “magico” del destino che ivi si compiva.

Ricordo perfettamente la straordinaria impressione che suscitò nell’Europa distratta e frenetica degli anni Venti, anche fra i lettori piú materialisti e intenti negli affari contingenti, la relazione sul collegamento mistico fra lo Hutuktu, il Bodhisattva incarnato, il Barone Ungern e il Re del Mondo, presenza invisibile ma concretamente percepibile che conferiva un significato trascendente al sacrificio a cui i Cosacchi, il fiore dei popoli russi, andavano incontro. Questo motivo del “Re del Mondo” dette fuoco alle polveri di innumerevoli discussioni, specialmente fra coloro che si accorgevano che non si trattava di una invenzione letteraria. Fra gli altri, lo stesso René Guénon lo sottopose ad una critica serrata nel suo Le Roi du Monde, dimostrandone la fondatezza, in un’epoca in cui la Scienza orientalistica praticamente nulla sapeva del mito di re Chandra-bhadra (tib. Zlâ-ba Bzan-po) depositario di una sentenza segreta comunicatagli dal Buddha, e soprattutto ignorava la saga del suo Regnum spirituale, una specie del Castello del Graal, che storici e geografi si sono in seguito affannati a ricercare in vari luoghi del Tibet e della valle del Tarim in Asia Centrale: regno visibile solo agli Eletti, che però si renderà manifesto a tutti sotto il ventiquattresimo erede di Chandra-bhadra, quando la sapienza del Kalacakra emergerà per illuminare gli uomini circa la coincidenza della loro interiorità purificata e l’Universo degli archetipi.

La leggenda di questo Barone baltico, di stirpe germanico-magiara che, rivestito della tunica gialla del lama sotto il mantello di ufficiale imperiale, e spiegando davanti agli squadroni lo stendardo mongolo, procede “nella direzione sbagliata”, verso Ovest anziché verso Est, ove chiaramente si sarebbe salvato, è tipicamente russa, ricollegandosi al motivo sacrificale della zértvjennost’ (“l’offrirsi come vittima”) per l’istaurazione del Figlio della Benedizione sulla Terra Madre, che in veste poetica era stata enunciata dallo stesso Solovjèv.

Nell’ultimo rapporto ufficiale, tenuto ai princípi di agosto 1921, quando la divisione asiatica di cavalleria si trovava sul fiume Selenga intenta ad interrompere la Transiberiana fra Cita e Kiakhta, egli impartí l’ordine apparentemente assurdo di compiere la conversione verso Ovest, indi verso Sud, avendo come meta gli Altai e la Zungaria. In quella occasione disse esplicitamente al generale Rjesusín che si proponeva di raggiungere, attraverso lo Hsin Kiang cinese, niente di meno che la “fortezza spirituale tibetana”, ove rigenerare se stesso e i laceri resti della sua divisione. Assassinato il suo amico Borís la sera stessa dagli ufficiali in rivolta e morti gli ultimi fedeli, egli mosse solitario verso una direzione che non aveva piú rapporto con la realtà geografica del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non di salvare la vita, bensí di ricollegarsi prima di morire con il proprio principio metafisico: il Re del Mondo.

La sua disperata migrazione verso il Sole che tramonta era in realtà un ultimo atto di culto verso la Luce che aveva sorretto le sue imprese. Trascorse la sua ultima notte di libertà nella yurta del calmucco Ja lama. Il Barone si avvide, forse, del significato del nome del suo ospite: Ja, abbreviazione in dialetto khalka del mongolo Jayagha, “fato”, “esistenza”, “destino”, karma. E il “fato” lo consegnerà la mattina seguente alle Guardie Rosse di Shentikín, il fiduciario di Blücher. Era il 21 agosto. Regolarmente processato nel sovjet di Novonikolayevsk, senza che gli venissero toccate le spalline e la croce di San Giorgio, viene accusato di “complotto anti-sovietico per portare al trono Mikhail Romanov, efferatezze ed assassinio di masse di lavoratori russi e cinesi”. Condannato, viene fucilato due giorni piú tardi.

Nello stesso tempo, in un angolo della lontanissima Europa, nella Germania sconquassata del primo dopoguerra, il mito del Re del Mondo giungeva per vie misteriose a gruppi di giovani intellettuali, corroborando con il suo simbolo solare i nuovi meditatori del “Vril” e le assisi della Thule-Gesellschaft.

*da “Un tempo, un destino”, in «Letteratura – Tradizione», II, 9

A cura di Pio Filippani-Ronconi

dimanche, 14 juillet 2013

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

da Alfonso Piscitelli
Ex: http://www.barbadillo.it
 

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Aymeric Chauprade è uno degli autori di geopolitica più importanti della nuova generazione. Animatore della Revue française de géopolitique  è anche presidente della Accademia Internazionale di Geopolitica. Chauprade afferma le ragioni del multipolarismo: sostiene che per riequilibrare il sistema di rapporti internazionale sia necessario un nuovo protagonismo dei popoli europei, che solo può avvenire in virtù di  una forte intesa con la Russia.

La Russia appunto. La vecchia rappresentazione secondo la quale Mosca esprimeva un potere “asiatico” ed ostile, separato dal nostro vivere occidentale da un limes invalicabile (la cortina di ferro) appare vecchia. Una rappresentazione ossidata e tossica. Archiviata per sempre l’ideologia marxista, la Russia torna ad essere nazione europea, per paesaggio, etnia, lingua, cultura e religione. Ed è naturale che gli spiriti più intuitivi del nostro tempo si prodighino per sostenere la vera, autentica  “integrazione” per la quale valga la pena di battersi. L’integrazione tra Est e Ovest dell’Europa; il respiro simultaneo dei “due polmoni dell’Europa”, come li definiva con parola ispirata  Giovanni Paolo II.

Il 13 giugno Chauprade  ha rivolto un’allocuzione ai deputati della Duma russa. “Signore e signori della Federazione Russa – ha esordito l’autore – è un grande onore essere qui per un patriota francese che come me guarda al popolo russo come a un alleato storico”. Poi Chauprade ha proseguito  con affermazioni forti di stampo sovranista: “Il nuovo bipolarismo mette di fronte, in un confronto che si amplificherà, da un lato questo totalitarismo globale, che ha distrutto la famiglia e la nazione, riducendo la persona ad un consumatore schiavo di pulsioni mercantili e sessuali e dall’altro i popoli traditi dalle loro elite, assopiti davanti alla perdita di sovranità e all’immigrazione di massa, ma che di fronte all’attacco contro la famiglia iniziano a risvegliarsi”.

Nel clou dell’intervento l’elogio di Vladimir Putin:  “Signore e signori deputati, è con il presidente Putin e tutte le forze vive della Russia, che il vostro paese ha intrapreso una ripresa senza precedenti, militare, geopolitica, economica, energetica e spirituale che ispira ammirazione nei patrioti francesi! I patrioti del mondo intero, gelosi dell’indipendenza dei popoli e delle fondamenta della nostra civiltà, in questo momento hanno gli occhi puntati verso Mosca”.

L’idea che la Russia di Putin rappresenti oggi “il polo” per coloro che si riconoscono nel retaggio e nel futuro della civiltà europea è una impressione condivisa.

Chi scrive, nel suo piccolo, ha concepito l’idea di un progetto denominato Eu-Rus e ne ha cominciato a parlare, alla maniera dei ragazzini … su facebook[1].

La “Eu” di Eu-Rus contiene le stesse lettere  della sigla UE (Unione Europea) sia pur in un ordine diverso ed  evoca anche la radice greca “eu” che nella lingua di coloro che per primi pensarono l’Eu-r-opa[2] significa bene (come nelle parole composte “eudemonia”, “euritmia”, “euforia”, “eucaristia” e – si spera di no –  “eutanasia”).

L’intenzione è quella  di realizzare con gli amici che sono interessati un network di intellettuali motivati dall’ideale della integrazione Europa – Russia.

Gli spunti di riflessione e di impegno sono tanti:

1. Affermare l’esigenza di una comunità energetica  comune, attraverso la realizzazione dei gasdotti North Stream e South Stream.

2. Battersi affinché  in tutto il continente si affermi il  programma portato avanti da Putin  di socializzazione delle  fonti energetiche. Socializzazione versus privatizzazione selvaggia.

3. Auspicare il sorgere  di un area di libero scambio comune tra Europa e Russia,  di integrazione delle  risorse tecnologiche e imprenditoriali. I grandi corridoi orizzontali che in questi anni si stanno costruendo devono essere prolungati fino a Mosca  e devono diventare  strade  a doppia corsia: sulla corsia che va verso Occidente scorrono le  risorse energetiche e del sottosuolo, sulla corsia che va verso Oriente scorre il Know How che l’Europa Occidentale oggi può mettere a disposizione.

4. Riaffermare i principi della rivoluzione nazional-democratica gaullista: capi di  governo eletti direttamente dal popolo, come oggi avviene in Francia e in Russia; con un radicale ridimensionamento di tutti i poteri non-eletti  (commissari UE, governi tecnici, ONG …)

5. Rilanciare la  politica di coesistenza pacifica con i paesi arabo-islamici secondo la linea perseguita sia pur tra difficoltà e/o incertezza dall’Italia con Mattei, Moro, Craxi, Andreotti.

6. Sviluppare anche l’idea di una graduale  integrazione militare delle nazioni europee, una integrazione che coinvolga tutte e due le potenze dotate di arsenale nucleare del continente: la Francia e la Russia.

7. Sostenere un ideale di multipolarismo basato sul principio del Balance of Power per evitare le derive belliciste che inevitabilmente derivano dal predominio mondiale di una “Unica Superpotenza”.

8. Affermare una politica sull’emigrazione corrispondente alle esigenze dei lavoratori e dei disoccupati europei, una politica che non segua gli interessi di coloro che mirano ad abbassare il costo del lavoro con l’immissione continua di nuovi soggetti nel sistema economico, ma che segua le indicazioni del formidabile discorso alla Duma di Vladimir Putin del 4 febbraio 2013.

9. Auspicare l’adozione di una politica per la famiglia corrispondente alle esigenze demografiche dell’Europa.

10. Approfondire il dialogo culturale meditando sulle esperienze spirituali  dei grandi pensatori russi: Soloviev, Bulgakov, Dostoevskij, Florensky.

11. Per la stessa ragione contribuire al dialogo ecumenico tra chiesa cattolica romana e chiese ortodosse d’Oriente.

12. Rimeditare  in chiave post-moderna il tema della III Roma.

Due sono gli errori da non commettere nello svolgimento di questa impostazione:

1. sviluppare i temi con un taglio “estremista”. La geopolitica autentica confina con la diplomazia e non con l’ideologia. La calma, la moderazione, l’equilibrio sono una sostanza migliore rispetto ai fumi dell’ideologia.

2. sviluppare il progetto con una foga polemica contro altri soggetti internazionali. Qui non si vuole essere  anti islamici o antioccidentali o anticinesi. Si vuole semplicemente essere nietzschianamente  “buoni europei” e dunque elaborare il tema della fratellanza naturale e storica tra i popoli che sono figli della Grande Madre Europa.

Siamo felici che questo progetto possa partire a bordo della nave pirata di Barbadillo. Ne parleremo nelle prossime settimane con gli amici che condividono, nella piena libertà delle loro equazioni personali, le idee di fondo del progetto.



[2] Europa era la splendida fanciulla orientale amata da Zeus (nella radice etimologia,Eu-Op, il riferimento ai grandi occhi splendenti). Il grande dio del cielo per sedurla si trasformò in Toro e condusse la fanciulla dalla sponda orientale a quella occidentale del Mediterraneo, nella terra che avrebbe preso da lei il nome

@barbadilloit

A cura di Alfonso Piscitelli

mercredi, 03 juillet 2013

Le baron von Ungern vénéré dans les temples mongols

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Le baron von Ungern vénéré dans les temples mongols

Autore:

Ex: http://www.centrostudilaruna.it/

Depuis peu, on ne cesse d’écrire sur une figure qui, malgré sa stature extraordinaire, était passée presque inaperçue dans le tumulte consécutif à la précédente guerre: celle du baron Ungern-Sternberg. Ossendovski avait été le premier à s’intéresser à lui, à grands renforts d’effets dramatiques, dans son célèbre et très controversé Bêtes, hommes et dieux. Il a été suivi par une vie «romancée» du baron von Ungern, publiée par Vladimir Pozner sous le titre de La Mort aux dents; puis, par une seconde vie romancée, de B. Krauthoff: Ich befehle: Kampf und Tragödie des Barons Ungern-Sternberg.

Ces livres semblent toutefois donner une image inadéquate du baron von Ungern, dont la figure, la vie et l’activité sont susceptibles de laisser une grande latitude à la fantaisie en raison de leurs aspects complexes et énigmatiques. René Guénon, le célèbre écrivain traditionaliste, contribua à mieux faire connaître le baron en publiant des passages de lettres écrites en 1924 par le major Alexandrovitch, qui avait commandé l’artillerie mongole en 1918 et en 1919 sous les ordres directs de von Ungern; et ces données, d’une authenticité incontestable, laissent à penser que les auteurs de ces vies romancées se sont souvent appuyés sur des informations inexactes, même en ce qui concerne la fin du baron.

Descendant d’une vieille famille balte, von Ungern peut être considéré comme le dernier adversaire acharné de la révolution bolchevique, qu’il combattit avec une haine implacable et inextinguible. Ses principaux faits d’armes se déroulèrent dans une atmosphère saturée de surnaturel et de magie, au cœur de l’Asie, sous le règne du dalaï-lama, le «Bouddha vivant». Ses ennemis l’appelaient «le baron sanguinaire»; ses disciples, le «petit père sévère» (c’est le tsar que l’on appelait «petit père»). Quant aux Mongols et aux Tibétains, ils le considéraient comme une manifestation de la force invincible du dieu de la guerre, de la même force surnaturelle que celle de laquelle, selon la légende, serait «né» Gengis Khan, le grand conquérant mongol. Ils ne croient pas à la mort de von Ungern – il semble que, dans divers temples, ils en conservent encore l’image, symbole de sa «présence».

Lorsqu’éclata la révolution bolchevique, von Ungern, fonctionnaire russe, leva en Orient une petite armée, la «Division asiatique de cavalerie», qui fut la dernière à tenir tête aux troupes russes après la défaite de Wrangel et de Kolchak et accomplit des exploits presque légendaires. Avec ces troupes, von Ungern libéra la Mongolie, occupée alors par des troupes chinoises soutenues par Moscou; après qu’il eut fait évader, par un coup de main extrêmement audacieux, le dalaï-lama, celui-ci le fit premier prince et régent de la Mongolie et lui donna le titre de prêtre. Von Ungern devait entrer en relation, non seulement avec le dalaï-lama, mais aussi avec des représentants asiatiques de l’islam et des personnalités de la Chine traditionnelle et du Japon. Il semble qu’il ait caressé l’idée de créer en grand empire asiatique fondé sur une idée transcendante et traditionnelle, pour lutter, non seulement contre le bolchevisme, mais aussi contre toute la civilisation matérialiste moderne, dont le bolchevisme, pour lui, était la conséquence extrême. Et tout laisse à penser que von Ungern, à cet égard, ne suivit pas une simple initiative individuelle, mais agit dans le sens voulu par quelqu’un qui était, pour ainsi dire, dans les coulisses.

Le mépris de von Ungern pour la mort dépassait toutes les limites et avait pour contrepartie une invulnérabilité légendaire. Chef, guerrier et stratège, le «baron sanguinaire» était doté en même temps d’une intelligence supérieure et d’une vaste culture et, de surcroît, d’une sorte de clairvoyance: par exemple, il avait la faculté de juger infailliblement tous ceux qu’il fixait du regard et de reconnaître en eux, au premier coup d’œil, l’espion, le traître ou l’homme le plus qualifié pour un poste donné ou une fonction donnée. Pour ce qui est de son caractère, voici ce qu’écrit son compagnon d’armes, Alexandrovitch: «Il était brutal et impitoyable comme seul un ascète peut l’être. Son insensibilité dépassait tout ce que l’on peut imaginer et semblait ne pouvoir se rencontrer que chez un être incorporel, à l’âme froide comme la glace, ne connaissant ni la douleur, ni la pitié, ni la joie, ni la tristesse». Il nous paraît ridicule d’essayer, comme l’a fait Krauthoff, d’attribuer ces qualités au contrecoup occasionné par la mort tragique d’une femme qu’aurait aimée von Ungern. C’est toujours la même histoire: les biographes et les romanciers modernes n’ont point de cesse qu’ils n’aient introduit partout le thème obligatoire de l’amour et de la femme, même là où il est le moins justifié. Même si l’on tient compte du fait que von Ungern était bouddhiste par tradition familiale (c’était la religion à laquelle s’était converti un de ces ancêtres, qui était allé faire la guerre en Orient), tout laisse à penser que les qualités indiquées par Alexandrovitch se rapportent au contraire à une supériorité réelle et qu’elles sont celles qui apparaissent dans tous ceux qui sont en contact avec un plan vraiment transcendant, supra-humain, auquel ne peuvent plus s’appliquer les normes ordinaires, les notions communes du bien et du mal et les limitations de la sentimentalité, mais où règne la loi de l’action absolue et inexorable. Le baron von Ungern aurait probablement pu devenir un «homme du destin», si les circonstances lui avaient été favorables. Il n’en fut rien et c’est ainsi que son existence fut semblable à la lueur fugace et tragique d’un météore.

Après avoir libéré la Mongolie, von Ungern marche sur la Sibérie, prenant tout seul l’initiative de l’attaque contre les troupes du «Napoléon rouge», le général bolchevique Blücher. Il devient la terreur des bolcheviques, qu’il combat impitoyablement, jusqu’au bout, même s’il comprend que son combat est sans espoir. Il obtient d’importants succès, occupe plusieurs villes. Finalement, à Verchnevdiusk, attaqué par des forces bolcheviques plus de dix fois supérieures aux siennes et décidées à en finir avec leur dernier antagoniste, il est contraint de se replier après un long et âpre combat.

À partir de ce moment, on ne sait plus rien de précis sur le sort de von Ungern. D’après les deux auteurs de sa biographie «romancée», Pozner et Krauthoff, il aurait été trahi par une partie de son armée, serait tombé dans un état de prostration et de démoralisation et, fait prisonnier, il aurait été fusillé par les rouges. Krauthoff imagine même une entrevue dramatique entre le «Napoléon rouge» et von Ungern, au cours de laquelle celui-ci aurait refusé la proposition que celui-là lui aurait fait de lui laisser la vie sauve s’il servait la cause des rouges comme général soviétique. Il semble toutefois que tout cela ne soit que pure invention: d’après les informations publiées par Guénon et auxquelles nous avons fait allusion plus haut, von Ungern n’aurait nullement été fait prisonnier, mais serait mort de mort naturelle près de la frontière tibétaine. *

Cependant, les diverses versions concordent singulièrement sur un détail, c’est-à-dire sur le fait que von Ungern aurait connu avec exactitude le jour de sa mort. D’ailleurs, un lama lui avait prédit qu’il aurait été blessé – au cours de l’attaque des troupes rouges à la station de Dauria. Et ce ne sont pas là les seuls éléments qui rendent suggestive l’étrange figure du «baron sanguinaire». Voici un curieux témoignage sur les effets que, à certains moments, son regard produisait sur ceux qu’il fixait: «Il éprouva une sensation inconnue, inexplicable, de terreur: une sorte de son emplit sa poitrine, semblable à celui d’un cercle d’acier qui se resserre de plus en plus». Le fait est que, pour ceux qui étaient proches de lui, son prestige et le caractère irrésistible de sa force de commandement revêtaient quelque chose de surnaturel et le distinguaient ainsi d’un simple chef militaire.

Encore un fait singulier: d’après ce que rapporte Guénon, des phénomènes énigmatiques, de nature «psychique», se sont produits ces derniers temps dans le château de von Ungern, comme si la force et la haine de celui qui fut considéré au Tibet comme une manifestation du «dieu de la guerre» brandie contre la subversion rouge avait survécu à sa mort, sous forme de résidus agités de cette figure tragique, qui a, sous plus d’un aspect, les traits d’un symbole.

* * *

* Les archives soviétiques indiquent que von Ungern fut effectivement trahi, capturé, jugé et fusillé sur les ordres de Lénine.

De La Stampa, 15.III.1943 – XXI E.F.

source: Evola As He Is

dimanche, 09 juin 2013

Gatestone Instituut: VS helpt herstel Turks-Ottomaans Rijk

Gatestone Instituut: VS helpt herstel Turks-Ottomaans Rijk

Ook Duitsland promoot op achtergrond nieuw Turks-islamitisch imperium


Fethullah Gulen streeft openlijk naar een hersteld islamitisch Turks-Ottomaans Rijk (groen op het kaartje - in al deze gebieden hebben Amerikaanse militaire interventies plaatsgevonden).

Robert Kaplan, historicus en analist bij het onafhankelijke non-profit Gatestone Institute dat zich specialiseert in nieuws dat door de reguliere media wordt genegeerd en onderdrukt, schrijft dat de Verenigde Staten met zowel politieke als militaire middelen meewerken aan het herstel van het Turks-Ottomaanse Rijk. Bijna alle Amerikaanse operaties op de Balkan, in Noord Afrika en het Midden Oosten, inclusief het aanstichten van de Arabische Lente, waren en zijn bedoeld om de heroprichting van het islamitische Kalifaat mogelijk te maken.

Amerikaanse pro-moslim bombardementen

Sinds het midden van de jaren '90 heeft de VS in meerdere conflicten in Europa en het Midden Oosten militair ingegrepen. In 1995 bombardeerden de Amerikanen de Serviërs en Servië om daarmee het moslimregime van Izetbegovic in Bosnië te steunen. In 1999 bombardeerden ze opnieuw de Serviërs, deze keer om de opkomst van de KLA moslims in Kosovo te faciliteren. In 2010 werd de Libische president Gadaffi gebombardeerd zodat islamistische, aan al-Qaeda verbonden rebellen de macht konden overnemen.

Iedere interventie werd gerechtvaardigd vanwege zogenaamde 'humanitaire' redenen: eerst moesten de Bosnische moslims, en later de Kosovo moslims, worden beschermd tegen de 'genocidale' Serven, en daarna moesten de Libiërs ineens worden beschermd tegen hun 'wrede dictator' Muammar Gadaffi.

Delen Ottomaans Rijk 'bevrijd'

Andere redenen die in het Westen werden aangevoerd waren onder andere het verkrijgen van een strategische positie op de Balkan, het communisme in Joegoslavië verslaan, aan de moslims wereldwijd laten zien dat de VS niet anti-islam is, en om de rol van de NAVO na de Koude Oorlog te herdefiniëren.

Iedere Amerikaanse interventie vond plaats in een land of gebied dat vroeger deel uitmaakte van het Ottomaanse Rijk. En overal werd een seculier regime vervangen door islamisten die de Sharia willen invoeren en streven naar een wereldwijd islamitisch Kalifaat. De landen die sinds het begin van de Arabische Lente zonder Amerikaans militair ingrijpen door islamisten werden overgenomen, Tunesië en Egypte, behoorden eveneens tot het Ottomaanse Rijk.

VS volgt steeds hetzelfde recept

Met uitzondering van Irak volgde en volgt Washington overal hetzelfde recept: eerst ontstaat er een gewelddadig binnenlands conflict in het land waar de interventie moet gaan plaatsvinden. De 'goeden' zijn altijd de rebellen, de 'kwaden' zijn 'wrede antidemocratische onderdrukkers' die zich schuldig maken aan 'oorlogsmisdaden'. Internationale organisaties, mensenrechtenactivisten en gerespecteerde publieke figuren worden vervolgens ingezet om op te roepen tot ingrijpen.

De Amerikaanse president gaat dan over tot het verlenen van logistieke steun en het leveren van wapens aan de rebellen. De laatste stap is het uitvoeren van bombardementen vanuit de lucht en vanaf zee (met kruisraketten), allemaal onder auspiciën van de NAVO en telkens onder het mom van het 'beschermen van de burgerbevolking'. Steun van de VN-veiligheidsraad is mooi meegenomen, maar wordt niet noodzakelijk geacht. De door Amerika en de EU gewenste uitkomst is dat onafhankelijk opererende, voornamelijk seculiere regimes worden vervangen door Sharia-islamisten.

Ook Duitsers steunen herstel Turks imperium

Net zoals de Balkanconflicten in de jaren '90 en de 'Arabische Lente' sinds 2010 in historisch perspectief aangeven dat Turkije bezig lijkt te proberen zijn voormalige imperium te herstellen, blijkt uit historisch perspectief tevens dat ook Duitsland de Turken hierin steunen. Al vanaf het allereerste begin in 1870 beschouwden de Duitsers het Turkse imperium als een zeer waardevolle bondgenoot.

Duitse leiders vonden dat Turkije gecontroleerd kon worden door een combinatie van economische banden, het verhogen van het opleidingsniveau, het verstrekken van technische kennis en administratieve hulp en het omkopen van Turkse officials. Duitsland beschouwde invloed op Turkije als een middel om moslims wereldwijd voor zijn eigen belangen te beïnvloeden. Gedurende de Eerste Wereldoorlog steunden de Duitsers dan ook het Turkse Kalifaat en stimuleerden ze de jihad in gebieden waar de moslimbevolking werd geregeerd door de toenmalige vijanden Rusland, Frankrijk, Groot Brittannië en Servië.

Tijdens WO-1 hielpen de Duitsers dus de Ottomaanse Turken, en tijdens WO-2 sloot de opvolger van de Ottomanen, de Moslim Broederschap, een alliantie met Adolf Hitler.

VS beschermt gevaarlijkste islamist ter wereld

Sinds de regering Clinton lijkt het er sterk op dat de VS een vergelijkbaar patroon volgt door het steunen van de 'wedergeboorte' van het Turks-Ottomaanse Rijk. Clinton begon daarmee, Bush gaf vervolgens de Moslim Broederschap -ook in eigen land- vrij baan, en Obama heeft het hele programma vervolgens in de allerhoogste versnelling gezet.

Sterke aanwijzing is het feit dat de Turkse imam Fethullah Gulen, die door velen wordt beschouwd als de gevaarlijkste islamist ter wereld, al jaren veilig en beschermd in de VS woont. In 1998 vluchtte Gulen naar Amerika omdat hij door de toen nog seculiere Turkse regering werd beschuldigd van het aanstichten van een opstand. In 2000 werd hij hiervoor bij verstek veroordeeld. Nadat de islamistische AK Partij van premier Erdogan aan de macht kwam werd hij in 2008 weer vrijgesproken. In datzelfde jaar besloot Amerika dat Gulen gewoon in de VS mocht blijven en zwaaide oud-president Clinton hem zelfs alle lof toe.

Turkije recept voor Europa en Amerika

Gulen heeft over de hele wereld madrassahs (speciale islamitische scholen) opgericht waarin openlijk wordt geleerd dat de moslims geduldig moeten wachten totdat ze sterk genoeg zijn om in Amerika en Europa de macht over te nemen. De islamistische machtsovername in Turkije vormt hiervoor het succesvolle recept, ook al staat Gulens geestverwant Erdogan op dit moment onder druk door massale gewelddadige protesten.

De AKP staat totaal onder controle van Gulen. Hetzelfde geldt voor een groot deel van de Turkse media, financiële instituten, banken en zakenorganisaties. Zowel Erdogan als president Abdullah Gul behoren tot zijn volgelingen. De AKP heeft er binnen enkele jaren voor gezorgd dat Turkije het land met naar verhouding de meeste moskeeën (85.000) en imams (90.000) ter wereld werd. Omdat er een wereldwijde machtsgreep door de islam wordt gepromoot zijn Gulens scholen in Rusland en Oezbekistan verboden.

'Leugens geoorloofd om Westen over te nemen'

Gulen volgt het typerende islamitische recept: tegenover de niet-moslims tolerantie en dialoog verkondigen, en tegen het eigen publiek iets totaal anders: 'Om de ideale moslimmaatschappij te vestigen is iedere methode en ieder pad geoorloofd, inclusief het vertellen van leugens.' In een preek voor de Turkse TV zei hij dat de moslims zich 'onopgemerkt in de slagaders van het (Westerse) systeem moeten begeven, totdat jullie alle machtscentra hebben bereikt.... De tijd is nu nog niet rijp. Jullie moeten wachten totdat jullie de macht van de wetgevende instanties aan jullie kant hebben.'

Zowel in de VS als in Europa bevinden we ons in Gullens 'afwacht'fase - nog wel. Moslims in het Westen presenteren zich nog als 'vreedzaam' en krijgen ruim baan, waardoor moskeeën en islamitische scholen als paddenstoelen uit de grond kunnen schieten. In Amerika zijn met overheidssubsidie al meer dan 90 van Gullens radicaal-islamitische madrassahs geopend, waar jonge moslims worden voorbereid op het sluipend overnemen van de wetgevende- en regeringsinstellingen, iets dat vooral duidelijk zichtbaar is geworden in de regering Obama.

Gullen vergaarde al ruim $ 30 miljard dollar om zijn ultieme droom te kunnen waarmaken: de vernietiging van binnenuit van de Westerse democratieën en de oprichting van een groot islamitisch wereldrijk onder Turks bestuur. En daar krijgt hij al sinds de jaren '90 van uitgerekend de Verenigde Staten alle ruimte en medewerking voor, zelfs militair.

Xander 

(1) Walid Shoebat / Gatestone Institute

Zie ook o.a.:

23-03: Turkse minister BuZa: Wij zullen weer heersen van Sarajevo tot Damascus
21-03: Jordaanse koning waarschuwt het Westen voor Turkse premier Erdogan
12-03: Duitse geheime dienst: Turkije werkt al jaren aan kernwapens
01-03: Turkse premier Erdogan: Israël en kritiek op islam zijn misdaden tegen mensheid
02-02: Turkse minister BuZa roept Syrië op Israël aan te vallen

2012:

15-08: Manifest Saudisch koningshuis wijst stafchef Clinton aan als moslim infiltrant
28-07: Congresleden eisen onderzoek naar infiltratie Moslim Broederschap in regering Obama
04-07: Turkse rechter: ' ... Erdogan en president Gül jagen het Ottomaanse Rijk na'
18-06: Turkije wil terugkeer machtigste en gevaarlijkste islamist ter wereld
18-04: Turkse regering gaat miljoenen Turken in Europa mobiliseren (/ Turkse vicepremier gaat extreem islamistische Gülen beweging inzetten)

2011:

18-08: 'Obama heeft drie leden Moslim Broederschap in Witte Huis'
12-07: Turkije wil leger verdubbelen naar 1 miljoen man (/ Erdogan impliceert nieuw Ottomaans Rijk inclusief Sarajevo en Jeruzalem)
09-06: Turkse opperrechter: Erdogan is tiran en wil sultan van het Midden Oosten worden
09-05: Obama kiest Moslim Broederschap als nieuwe bondgenoot Midden Oosten

2010:

09-12: WikiLeaks (8): Turkije wil Europa islamiseren via lidmaatschap EU (/ 'Wraak op Europa vanwege nederlaag bij Wenen')
08-04: Gevaarlijkste islamist ter wereld is een Turk en leeft veilig in Amerika

2008:

03-11: Islamitische profetie wijst naar Obama als helper van de mahdi

samedi, 08 juin 2013

Euro-Atlantism must be replaced by Eurasianism

Euro-Atlantism must be replaced by Eurasianism

by Gabor VONA

Ex: http://www.geopolitica.ru/

 

- Mr. Vona, what is main idea of your political party and why is it important for Hungary to make revision of the relations with EU?

- Jobbik is a national conservative party which does not refrain from using radical means. So when they label us as radicals, they are wrong.  Radicalism is not a principle, it is a method. The reason why we are radicals is because the situation is radical as well. At the moment, we Hungarians are sick passengers on a sinking European ship that has lost its values. This is unbearable. First we must get off the ship, then cure our diseases. Hungary was not admitted to the EU so that we could develop. The goal was to colonize us, to exploit our cheap labour and acquire our markets. Western companies and banks now try to maintain their systems by using the profit they pump out of our country in the East. And this is just the economic side of the problem. The EU did not bring any good in terms of the spiritual, mental side, either. After the anti-value approach of Communism, we are now living in the valuelessness of capitalism. I personally follow traditionalist principles, in other words, I believe that Europe should get back to its own roots and rearrange its relationship with other traditional cultures that only exist in the East now.

- Jobbik has image of ultra right political party in Hungary and in Europe too. Do you agree with this label or have other outlook that can not be dealing with classical terms of "right", "left" and so on?

- If modernity, which stretches from the Renaissance through the Age of Enlightenment to global capitalism, is identified with the political left, then we definitely belong to the right. I and my party, however, cannot be located by using the left and right coordinates of current politology. The best way is to say that Jobbik is a national radical party, which is not chauvinistic, which defies global capitalism and three of its key representatives, the USA, the EU and Israel, from the platform of universal human values.

- Euroscepticism is very different in EU. Please can you to describe some particular issues ofHungary and neighbour countries related with this topic? What is role of euroatlanticism strategy in this process?

- The disapproval rate of the EU has just exceeded its approval rate in Hungary for the first time. There was an incredible brainwashing going on in the 1990s, so most people believed it was going to be good to join the EU, and that there was no other option. By now more and more people have realized that the whole thing was a setup. The Union needs markets, cheap labour and a garbage dump. How naive we were when we thought that the West was going to provide a historic compensation for the East to counterbalance  their exploiting and abandoning us quite a few times in history! The same applies to the neighbouring countries as well but Hungary is in the worst situation. The previous government signed every paper Brussels laid down in front of them, the current one is only interested in its own power, and antagonizes the whole EU for it. The common ground of the two governments is that neither has any concept whatsoever. So far I am the only politician in Hungary to declare that Euro-Atlantism must be replaced by Eurasianism.

- Did financial crisis had influence on protectionism moods or general aspects is civilizational and values factors? How much involved NGO's and external powers in desintegration of hole hungarian system (territory-language-culture-etc.)?

- The economic crisis indeed has a great influence on scepticism. The situation has revealed that the EU does not represent the interests of the whole community but the major Western member states - France, England, Germany. The influence of various external powers and organizations is becoming more and more obvious in people's eyes. I can go as far as to say that there is a revolution of consciousness going on in Hungary. This is of course painful, because people must give up many illusions, but it is inevitable because the future must be built on truth and reality. Consequently, what now seems to be a confusion in Hungarian society will clear  up, I hope, and give way to a society that is much more self-aware and has much clearer thinking.

 - If we'll look inside of Hungarian identity we'll find eurasian roots of this nation. How much this line presented in your politics?

- Completely.  The Hungarian nation has Turkic origin, and was formed by the Russian steppes into what it is now, then wandered to the West to establish a state in the Carpathian basin. Our Western integration has been going on for centuries, but we have never forgotten our Eastern origin and they could never uproot this concept from our minds. This duality has often had its drawbacks for us, but I believe it could be beneficial this time.

 - By the way what about connection with Russia in geopolitcal sense of nowadays?

- Jobbik is an anti-Communist party, yet we were the first in Hungary to seriously propose to settle our relations with the Russians. Not only in diplomatic speeches, but in reality as well. At the time of the Georgian conflict, when the whole Hungarian political elite was voicing their agreement with the American interests, we declared that this issue was about something completely different. When Viktor Orbán was sending sulky messages to Russia from opposition back in 2009, we already declared that he was making a huge mistake. Personally, I have good relations with several Russian diplomats in Budapest, and I am very happy that the Russian Embassy is always represented at our year-opening conferences. In my foreign policy plans, Russia - in addition to Germany and Turkey - is a key political and economic ally, partner for Hungary. 

- If we'll speak about global processes what is your position and prognosis for forthcoming events? How long U.S. will be superpower yet? What is E.U. future and how Eurasian integration will happens?

- Difficult question. The agony has definitely started and a new world order will have to be established. The alliance of the BRICS countries clearly shows that the time of the USA and EU has passed. The most fortunate turn of events would be if they themselves realized it, because that could prevent major conflicts and give way to a peaceful transformation. With regard to the framework of Eurasian cooperation, I don't see the actual opportunities yet, because first we must define the basic values and the consequent strategy that could attract the widest possible circles. This is the challenge now, and Jobbik is the only Hungarian political entity willing to meet it. The others are all Atlanticists, and they will remain so until history passes them.

- Thank you Mr. Vona for interview. Do you want to add something for our readers?

- Thank you for the opportunity.

By Leonid Savin

Finnish-Caucasian Emirate

Finnish-Caucasian Emirate

by Nikolai MALISHEVSKI

Ex: http://www.strategic-culture.org/
 

The facts revealing the «Finnish traсe» in the Boston marathon terrorist bombing have become a thing of general public knowledge. I offer just a cursory look at them to substantiate a warning: Europe is not immune from the events the Bostoners went through in April 2013.

Boston is home to a small community of ethnic Chechens in the United States. The office of Al Kifah is located on Beacon Street. In 1990 the organization sprang from the anti-Soviet jihad movement in Afghanistan. It was suspected of being implicated in the World Trade Center bombing that took place on February 26, 1993, as well as of connection to some terrorist activities on US soil. The bulk of the organization’s offices were closed down, but the Boston branch called Care International continued to function. It raised funds, provided all forms of logistical support, created brigades of suicide bombers and recruited fighters for jihadist causes in the United States. (1) Some of these mercenaries, like Aukai Collins, for instance, came back from Chechnya to collaborate with the Federal Bureau of Investigation (FBI) as informants. The United States special services let the Boston center of extremism in peace for about twenty years. The Tsarnaev brothers’ mother recalls, «Tamerlan was ‘really an extremist leader and that they were afraid of … He was controlled by the FBI for five years. They knew what my son was doing. They were following every step of his». (2)

As Finnish media reported on April 21, the Boston terrorist act perpetrators were influenced and directly controlled by the extremist website called Caucasus Center, which is located in Finland and has a reputation of being an information instrument of the Caucasus Emirate. The British Daily Mail published the article called Was Boston Bomber Inspired by Russia's Bin Laden? Mother Claims FBI Tracked Older Brother 'for FIVE YEARS' After Being Told by Moscow of Links to Chechen Terrorists (2) devoted to the links between the Tsarnaev brothers and Doku Umarov who heads the Center. Some American and Turkish journalists say Chechen Fatima Tlisova was a key connecting link between the Caucasus Emirate and the United States special services operating in the Caucasus (including Jamestown Foundation) (4) Islam Saidaev describes how these kind of people were recruited and used by Western and Georgian special services for support of Chechen separatists in his book called To Do Away With a Witness. The author is well acquainted with the details leading to the conclusion that, «The idea to create the Caucasus Emirate, which was spread around among Chechens, was a brainchild of Georgian special services and the Caucasus Center website».

Here are some facts from the biography of Doku Umarov which are not in the books as yet. He was born in 1965 in Achoy-Martan. In July 1992 his name was included into the federal wanted list for murder and rape. On his mother’s side he is a relative of terrorist Movsar Baraev, who took hostages in Nord-Ost Theater in the Moscow district. He is also a cousin of Arbi Baraev, who is well known for abducting people, including French national Vincent Koshtelya, three Britons: Peter Kennedy, Darren Hickey, Rudi Petschi and New Zealand-born Stan Shaw as well as many others. Umarov is a staunch believer in Wahhabism. He goes around by the names of Warrior-1, Abu Muslim and Aisa. By the end of 1990s he ran errands for Khattab, a CIA operative and a Canadian national, allegedly a native Jordanian reported to be deprived of his homeland’s citizenship for links to US special services. In the 2000s Doku Umarov was closely connected to and provided funds for another terrorist - Ruslan Gelaev. With Gelaev gone, he took his place as the leader of criminal gangs in Georgia. Umarov was the last «president» of self-proclaimed Ichkeria (2006-2007). In Russia he is on wanted list for instigating ethnic strife, looting, abductions, mass murders (he personally shot Russians and Chechens) and the complicity in terrorist activities. Not once he claimed responsibility for ordering such terrorist crimes as Nevsky express (2009), Moscow metro (2010) and Domodedovo airport (2011) bombings.

On October 7 2007 Doku Umarov proclaimed himself as emir of Caucasus Emirate - a purported Islamic state spanning several republics in the Russian North Caucasus - calling his followers to start a global jihad, «a holy duty for all the Muslims of the Caucasus». Back then he said, «Today our brothers fight in Afghanistan, Iraq, Somalia and Palestine. Whoever attacked Muslims, wherever they may be is our common enemy. It’s not Russia only, but also the United States, Great Britain, Israel, anyone who fights against Islam and Muslims». On June 2010 the United States put him on the list of international terrorists. On March 11 2011 the United Nations Security Council added him to the list of individuals allegedly associated with al-Qaeda. On March 26 2011 the U.S. Department of State authorized a reward of up to $5 million for information leading to the location of Doku Umarov. At that, the United States special services had done nothing to neutralize him till the Boston bombing.

According to Finnish internet media outlet Suomitanaan, the Caucasus Center is just a small part of widely spread extremists’ structure, located in Helsinki, Finland. (3) The organization is tasked with a priority mission of disseminating jihad throughout Europe and the United States. The Center is supported by prominent Finnish politicians and state officials who back the idea of «independent Ichkeria». For instance: Finnish Green party politician, current Minister of Intentional Development Heidi Hautala, former Member of the European Parliament, Tarja Kantola Special Adviser to the Minister for Foreign Affairs, Antero Leitzinger, a researcher at the Finnish Migration Service, being responsible for political asylum applications from the Caucasus. Finland is home to «Battalion of Chechen Martyrs», which added new members to its ranks after the Caucasus Center told would-be shahids (suicide bombers) that Tamerlan Tsarnaev died tortured by Americans. Some structures enjoying the support of Finnish state officials like Finnish-Russian Civic Forum, for instance, help the people who cannot wait «to set the fire of global jihad» to be transferred to other countries. The Boston tragedy brought into light the terrorists structures located in Finland. But the activities of the «Finnish-Caucasian Emirate» spread much further, far beyond the one state boundaries…

In 2011 it was reported that the younger son of former Chechen separatists’ leader Degi Dudaev, a citizen of Lithuania living in Vilnius, was detained by Lithuanian police. Back then Lietuvosrytas wrote that he was accused of being a member of a criminal gang involved in issuing faked Lithuanian passports, which went straight into the hands of Chechens, the same people as the Tsarnaev brothers, allowing them to move freely around the European Union.
1) More in detail: Berger J. Boston's Jihadist Past // Foreign Policy 22.04.2013 // foreignpolicy.com/articles/2013/04/22/bostons_jihadist_past; Berger J.M. Jihad Joe: Americans Who Go to War in the Name of Islam. Potomac Books, 2011. - 265 p..
2) Gallagher I., Stewart W. Was Boston bomber inspired by Russia's Bin Laden? // Daily Mail, 20.04.2013 // www.dailymail.co.uk/news/article-2312331/Was-Boston-bomber-inspired-Doku-Umarov-Mother-claims-FBI-tracked-older-brother7)-years-told-Moscow-links-Chechen-terrorists.html.
3) Boston terrorists were influenced and instructed by "Kavkaz Center", mouthpiece of terrorist Doku Umarov and his "Caucasus Emirate", operating in Helsinki, Finland // Suomitanaan, 21.04.2013 // suomitanaan.blogspot.ru/2013/04/boston-terrorists-were-influenced-and.html.
4) Madsen W. CIA Troublemaking in Caucasus // www.strategic-culture.org/news/2013/05/20/cia-troublemaking-in-caucasus.html

vendredi, 07 juin 2013

Vers un monde tripolaire ?

Vers un monde tripolaire ?

Il y a a peu près un an, j’écrivais un texte intitulé Vers un monde sans Union Européennne ?, dans lequel je prédisais que l’Europe (au sens de l’Union Européenne) ne serait plausiblement jamais, sous sa forme actuelle, un acteur majeur et viable du monde de demain. L’absence d’authentiques structures politiques et donc de souveraineté ne devrait pas en effet lui permettre de s’opposer aux nouveaux géants que sont les BRICS ou les grand blocs émergents, dont les clefs de fonctionnement politiques et stratégiques sont au contraire fondés sur la toute puissance du politique et l’affirmationde la souveraineté.

La crise économique financière, qui a notamment mis en exergue la crise de fonctionnement de la monnaie unique (Euro) a sans doute définitivement enterré l’espoir que les fondateurs avaient en l’Europe. L’Europe, il est vrai, n’a pas su dépasser ses différences historiques, systémiques et culturelles, sans doute par manque d’un pouvoir politique centralisateur et fort. Il y a tout d’abord l’Europe du Sud, ces récentes dictatures (Grèce, Portugal, Espagne…) qui sont les grands malades de l’Europe dont elles sont financièrement totalement à charge. Il y a les nouveaux entrants qui se sont tournés vers l’Amérique plus que vers l’Europe de Bruxelles, confondant sans doute leur adhésion à l’UE avec celle de l’Otan. Enfin, il y a le noyau d’une vieille Europe qui est partagée entre une Allemagne ayant un besoin vital et économique de plus d’UE, et une France qui peine de plus en plus à obtenir une crédibilité européenne. Enfin, il y a le cas de l’Angleterre, que le Général De Gaulle avait bien défini comme étant le pion atlantiste en Europe et qui devrait vraisemblablement rapidement quitter une UE en pleine décomposition.

Ce n’est que relativement récemment que, paradoxalement, l’extension à l’Est de l’Europe a rendu plus visible la place de la Russie comme partenaire essentiel de l’Union Européenne et des nations européennes. L’illusion d’un accroissement de la coopération militaire et énergétique proposée par Moscou pour contrebalancer l’atlantisme totalitaire des élites européennes actuelles aura été de courte durée. Il semble de plus en plus évident aujourd’hui que l’Europe de Bruxelles et la Russie sont, malgré la coopération économique croissante, sur des évolutions historiques opposées, voire même contradictoires. La Russie renforce activement son partenariat avec la Chine en parallèle de son intégration eurasiatique, laissant clairement comprendre où elle situe stratégiquement son avenir pour les prochaines décennies. Bruxelles vient sans doute de son coté de céder le peu de souveraineté qui lui restait puisque les parlementaires européens ont voté le 23 mai dernier une résolution sur l’ouverture de négociations en vue de la constitution d’un accord de libre échange entre les Etats-Unis et l’Union européenne.

Le but est clair et a été parfaitement expliqué par ladéputée européenne allemande Godelieve Quisthoudt-Rowohl: « le renforcement de l’espace commercial transatlantique renforcerait énormément la position occidentale et permettrait sans doute que l’Union européenne ou les Etats-Unis soient un jour en mesure de négocier avec la Chine ». On peut imaginer clairement que de la même façon, l’Europe, qui a servi de tête de pont pour attaquer l’Eurasie contre une hypothétique menace postsoviétique destinée en fait à favoriser le contentieux américain contre la Russie, semble destinée aujourd’hui à servir de nouveau de tête de pont, mais cette fois en vue d’une tension américaine contre la Chine.

Cette hyper intégration transatlantique devait provisoirement accentuer l’américanisation de l’Europe de Bruxelles et par conséquent la soumission totale et définitive de cette dernière aux flux de capitaux, de marchandises et d’information venus d’outre atlantique. Ce faisant, l’Europe de Bruxelles se verrait dans l’incapacité définitive de pouvoir souverainement choisir ce qu’elle prend et ce qu’elle ne prend pas du monde qui l’entoure, et notamment d’outre atlantique. Pour Hervé Juvin, cette négociation annonce « à bien des égards la perspective d’une Europe puissance, d’une Europe comme identité et même d’une Europe comme entité politique a part entière ».

Peut-on envisager le remplacement de l’Union Européenne par une Union Occidentale sous contrôle politique de Washington et militaire de l’Otan ? Se dirige-t-on doucement vers un monde tripolaire partagé entre l’Union transatlantique, l’Union Eurasiatique et la Chine?

samedi, 04 mai 2013

Grossraum: International Conference of Global Revolutionary Alliance

Grossraum: International Conference of Global Revolutionary Alliance

mardi, 23 avril 2013

Establish a multipolar world order

Establish a multipolar world order

 
Ex: http://www.geopolitica.ru/
 
 

 

- Could you describe in a few key words the essence and goals of your movement? Does it place itself in an existing sociopolitical-historical trend of Russian politics? Does it lobby in Russian government circles to achieve its goals?

The main idea and goal of the International Eurasian Movement is to establish a multipolar world order, where there will be no dictatorship of the U.S. anymore or of any other country or actor of world politics. In the sector of ideology we strongly reject (neo)liberalism and the globalization process as its derivative. We agree that we (as well as other nations) need a constructive platform for our alternative future. In the search of it, our work is directed to dialogue with other cultures and peoples who understand the meaning and necessity of conservative values in contemporary societies. Speaking about Russian reality, we are heirs and assigns to the former eurasianists (this ideology was born in the 1920s): Piotr Savitsky, Nikolay Trubetskoy, Nikolay Alekseev as well as Lev Gumilev – the famous Soviet scholar. They all studied historical processes and proposed a unique vision of our history, separate from the eurocentric science approach. The understanding that Russia is not part of Europe or Asia, but forms a very own unique world, named Eurasia, is also implemented in our political activity. In cooperation with members of parliament or the Council of the Federation or other governmental bodies, with our advices and recommendations, we always provide a strong basis linked to our history, culture, diversity and so on. And I must tell you that many people understand and support our ideas and efforts (in governmental structures, local and regional authorities, science and education, religious institutions and in society at large).

- What is your vision on a multipolar world? Which role do you see for Western European nations? Do they have any future at all on the world stage of the 21st century? Will they surmount the actual crises on a demographic, metaphysical and mental level?

In my opinion, a multipolar world is the order with 5 or more centers of power in the world and this reality will keep our planet more safe and balanced with shared responsibility between the regions. But it is not just interdependence by the logic of liberalism: some regions might well exist in relative political and economic autarky. Beside that, there might exist a double core in one center (for example Arabs and Turks in a large Muslim zone or Russia and Central Asian states for Eurasia) and shifted and inter-imposed zones, because, historically, centers of power can be moved. Of course at the moment the most significant centers of power are described in terms of nuclear arms, GDP, economic weight/growth and diplomatic influence. First of all we already have more poles than during the Soviet-US opposition. Secondly, everybody understands the role of China as a ‘Bretton Woods-2’, as well as emerging countries under acronyms as BRICS or VISTA, “anchor countries” and so on. And, thirdly, we see the rise of popular and unconventional diplomacy and the desire of many countries (many of them are strong regional actors such as Iran, Indonesia and Brazil) to not follow the U.S. as satellites or minor partners.

Of course, Washington does not like this scenario and tries to make coalitions based on states with a neocolonial background or on dutiful marionettes. But even in the U.S., politicians and analysts understand that the time of unipolar hegemony has gone. They are trying to build a moreflexible approach to international relations, called ‘multilateralism’ (H. Clinton) or ‘non-polarity’ (R. Haas), but the problem is that the U.S. do not have enough confidence in foreign actors united as joint, but who still have no strong alternative to the contemporary world order. So, they use another option for destabilization of rising regions, known as controlled chaos. Because of its military presence over most parts of the globe and its status of promoter of democracy and the protection of human rights, the White House can justify its own interests in these places. And cyberspace is also the object of manipulation, where the whole world is divided in two camps that remind us of the times of the Cold War (I call it ‘Cold Cyber War’).

We think that the contemporary West European nations are one of the poles (centers of power) in a forthcoming multipolar world order). But the problem for now is their engagement in U.S. proatlanticistpolitics, as manifested in the Euro-Atlantic chart of cooperation (common market, legislation and regulation mechanisms, including items of domestic politics), as well as NATO activity. The same we see on the other side of Eurasia – attempts of Washington to start trans-Atlantic cooperation with Asian countries. The contemporary crisis is neither good nor bad. It’s a fact. And the European nations must think about the way they’ll choose, because it will form the future (at least in Europe). It is not the first time in history: during the middle ages there was decline of population because of pestilence and wars. Religious schisms also occurred, so Europeans have some experience in metaphysics and ethics dealing with system failure too. The point is that now we have more interconnected reality and the speed of information sharing is fantastic, that was not possible, imagine, a century ago. And European society becomes more consumerist! But even in Europe, there are a lot of voices in respect of nature (organic greens), anti-grow movements (in economics) and traditionalists who try to keep and preserve ethnic andhistorical values and manners. Even the Soviet experience could be useful: after the Great Social Revolution there was a strong anti-church attitude promoted by the government, but after 70 years we’re back at our roots (of course during all this time not all people were atheists and the return to church happened during Stalin’s period when the institute of the Patriarchy was restored).

- How do you see the dialogue of civilizations in the light of more than 10 years of wars between the West and the Muslim world? Where does Russia stand in this opposition? Are there fears of an islamization process within the Russian Federation, or are Russian authorities setting on long-time accommodation with Muslim minorities and actors?

At first we must bear in mind that the idea of Huntington (the ‘clash of civilizations’) was developed out of necessity of justifying the U.S.’s military and economic expansion. His book was issued when the first wave of globalization as the highest principle of Westcentrism just began its tide in the Third World. By the logic of neoliberal capitalism it must be re-ordered and re-programmed in the search for new markets. All non-western societies must consume western products, services and technologies by this logic. And let’s remember that war against the Muslim countries originated from the neocons from Washington. So, these 10 years of wars that you to mention is nothing more than a provoked conflict by a small group that was very powerful in American politics at the beginning of the 2000s. By the way, all kinds of radical Islam (Wahhabism) were promoted by the United Kingdom. This version of Islam was founded in Saudi Arabia only with London’s special support. The Great Game in Eurasia was started many years ago and Britain has played here a most significant role.The U.S. took this role only after WW2, but many destructive processes were already unleashed. Of course, Russia is suspicious of the radical Islam, because emissaries of the wahhabis and al-Qaeda were already in the Northern Caucasus. And still now, there are different terrorist groups with the idea of the socalled “Emirate of the Caucasus”. There were also attempts to spread another sectarian beliefpromoted by Fetullah Gullen (Nurjular), but for now this sect is prohibited here. Actually Islam is not a threat to Russia, because, traditionally, a lot of people living here are Muslim. Regions like Tatarstan, the North Caucasus republics, Bashkortostan have an Islamic population. And our government supports traditional Islam here.

- What do you think about the American/Western strategy of strategic encirclement of Russia? Can we see this as well in the process of the so-called 'Arab Spring'? Is an open, Western-waged war against Syria and Iran possible and would it be the onset to a major world conflict, a 'Third World War'? Where would Russia stand?

It works. Not only because of the reset of the Anaconda strategy for Eurasia by means of militarypresence. Sometimes it doesn’t manifest in classical bases. Logistics is the main element ofcontemporary warfare, as well as C4ISR – Command, Control, Computer, Communications, Intelligence, Surveillance, Reconnaissance – works in the vein of smart engagement. Other tools are: economics, promotion of democracy and human rights, cyber politics. The Arab Spring is a very complex phenomenon – there are a couple of components, but you can see that the U.S. has a bonus anyway: Egypt has asked for a huge loan from the World Bank; Western companies go to Libya; Muslim extremists are being manipulated against moderate Muslims, because they are a threat to western interests and so on. Organized chaos is just another view on the socio-political reality in turbulence. As Steve Mann (famous theorist of the chaos principle in diplomacy) wrote: the state is just hardware and ideology is its soft version. It were better to use ‘virus’ (in other words ‘promoting democracy’) and not to break PC. Syria and Iran are interesting for many nations now. The hysteria of Israel is not good, because this country has nuclear weapons. What will come of Israel using it? The Palestinian question is also on the table. I think that Israel is a more serious problem than Syria and Iran. Russia firmly supports Syria and takes a moderate position on Iran. During the presidency of Dmitry Medvedev, Russia declined to provide the “S-300” rocket complex to Iran (we had already signed the contract) and the deal was canceled. You bear in mind that during the same time Russia supported resolution 1973 of UN Security Council and the West started operation “Odyssey Dawn” against Libya. So, even VIP politicians in Russia sometimes do wrong things! But Mr. Putin is actively pro-Syrian and I think that the position of Russia about Iran and about Western pressure will be more adequate than before. As foreign minister Sergey Lavrov told: “we got experience with Libya and don’t believe the West anymore”.

- What do you think about the Western Europeans: should they remain loyal to their historical-political heritage of individualism and atlanticism, or should they rethink themselves and orient themselves towards Russia and continentalism? What about pro-Russian elements in European society? Can they be partners or are they, politically and socially spoken, too marginal for that?

John M. Hobson, in his brilliant work The eurocentric conception of world politics, made very clear that the West is rooted in the logic of immanence instead of the logic of co-development that is characteristic of non-western societies. He continues that the formula “the West and the Rest” is wrong, because without the rest there is no place for the West. Now we see one United Europe, but in real life we have two levels. The first one is presented by the bureaucratic establishment with its symbols, history, power projections and procedures. The second one is active publicity with movements, political parties and personal activists who are not interested in an Orwellian future with “Big Brother”, universal values and so on. Actually, in geography we have more than one substance. And where is the border between Southern, Western and Eastern Europe? It’s mostly in the minds. From history we remember the Celtic space, the Roman Empire, the Germanic and nomad invasions (Huns, Avars, etc.), that shows that the face of Europe permanently changed throughout the centuries. Now the European population includes people from Africa and Asia and soon the demographic balance will change. Political culture will change too. Without Russia, Europe is impossible. Not only because of geography (just look at the map and you will see that the EU is just the small, overpopulated western peninsula of Eurasia), but also because of the role of Russia in European history. Napoleon and Hitler – the two most significant unifiers of Europe - were stopped and defeated in Russia and, after that, new political orders were established. And for now in Europe we have so many Russian “prints”: in culture, history, the role of some persons and diasporas. I think that pro-Russian elements just now have a very good choice, because the window of opportunity is open. All these elements could form an avant-garde of a new kind of cooperation: in trade relations, science, art and education and public diplomacy. The last one is the tie for all activities. Actually Minister Lavrov just today (i.e. 26.02.2013) announced that, because of the Russia year in the Netherlands and vice versa, there will be more than 350 actions on state level. It is a good sign of mutual respect and it may be deeper.

- What about key power Germany? Do you believe in, let's say, an 'Indo-European bloc', an axis Berlin-Moscow-New Delhi, as a formidable counterweight to the atlanticist bloc of the axis Washington-London-Paris? Do the horrors of the Second World War still affect Russians' views of Germany and the Germans, or is it possible to turn the page on both sides and look forward? What about the French: do they belong in the atlanticist bloc, or can they be won for the continentalist bloc without giving in to their chauvinism? And what about China: will it turn out to be an even more dangerous enemy than the USA, or will both Russia and China remain strategic partners, e.g. within the SCO?

Because the EU has two levels, the same is true for Germany. One Germany, represented by the political establishment, is pro-U.S. and cannot do anything without Washington. Another one (latent or potential) is looking for closer cooperation with Russia. At the time of the Russian Empire a lot of German people came to our country at the invitation of Empress Catherine the Great. Even before that, many foreigners were in Russia as military officers, teachers, technical specialists, etc. People’s potential can do a lot of things. We must keep in mind that, besides Sea Power and Land Power in geopolitics, we have Man Power, which is the unique and main axis of any politics. The problem is that, after WWII, there was in most European countries a strong influence of Britain and the U.S.. They used very black propaganda and the peoples of Europe were afraid of a communist invasion. The U.S. even started more horrible projects in Western Europe (for example Propaganda-Due and operation “Gladio” in Italy, as well as “Stay Behind” NATO secret armies, formed from right-wing extremist elements). Still now in the EU, we see anti-Russian propaganda, but our borders are open and any European can go to Russia and see what happens here. The case of Gérard Depardieu is just one example.

If we look at what happens in China we’ll understand that it is a very strong actor and that its power grows from year to year. In the UN Security Council China is an important partner of Russia (for the Syria voting too). Russia is a supplier of oil and gas to China and we have new agreements for the future. Besides that we provide military equipment to China, though they have good weapon systems of their own as well. In the SCO we had good results and I think thatcooperation in this organization must be enlarged through strategic military elements with the entry at least of Iran, Belarus, India and Pakistan (they have an observer or dialogue partner status). Turkey is interested as well, but because of its NATO membership it will be difficult to join.

I know that some Russians and Europeans describe China as a possible enemy, a “yellow threat” (the Polish writer Ignacy Witkiewicz even wrote about it in his novel in 1929!!!) and so on, but in reality China has no intents of border pretence to Russia. We have had some incidents in Siberia with contraband, but these are criminal cases which do not deal with state politics. China will focus on Taiwan and on the disputed islands in the Pacific and it will take all geopolitical attention and may be some loyalty from Russia and SCO members.

Also China has the same view on the future world order – multipolarity. Actually this idea (duojihua) was born in China in 1986. And with the strategic cooperation with many other countries in Africa and South America, joint efforts against western hegemony will be fruitful.

So, I think China and Russia can do a lot for a reform of the forthcoming world order.

A lot of people now want to forget their own origins and the origins of other peoples. Bavaria, for example, was populated centuries ago by Avars from Asia (part of them still live in the Caucasus) during the Migration Period. Groups of Turkish origin also went to lands of contemporary Austria. So in contemporary Europe we have a lot of Asian elements. And vice versa in Asia we have people of Aryan origin. Not only in the North of India, but also in Tajikistan, Pakistan, Iran (arya is the self-name of the people of Iran and India). And hybridization is continuing as we speak in Europe and in other regions. Just before Hitler's attack on the Soviet Union we had a pact with Germany and had been cooperating extensively in technologies and in the economy. And France was attacked first by Germany, but now relations between both countries are normal. I think that historical harms between Germany and Russia have been mostly forgotten. And I think that many Germans still remember that the most destructive attacks did not come from the Soviet army but from U.S. and British air forces (Dresden, Leipzig...). It was not a war, but a deliberate destruction of cities and non-armed refugees. Actually now Germans is mostly good businessmen for Russians, compared to representatives of other European nations (these facts have been confirmed by many friends who do business with Europeans).

I can not to speak with enough certainty of what happens with Russian-French relations, because I'm not very interested in this sector. During the XXth century we had many deals with France and after WWII it was the idea of Stalin to give the winner status to France. Charles de Gaulle also was pro-Soviet in a geopolitical sense. But after the legalization of the gay marriage in France, many Russians feel suspicious about this country. But every people and every country has its own specifics. We have had many interesting philosophers from France who have had influence on Russian thinkers too.

- Turning to domestic Russian problems: Russia under President Putin has been able to make enormous progress in the social field, mainly due to energy sales during the 2000s.  Has this changed the face of Russia? Has this period come to an end or is there stagnation? How will Russia cope with its domestic problems, such as the demographic crisis, which it shares with Western Europe? Should the Siberian land mass be 're-colonized' by Russians and other Europeans, in order to make it an impregnable 'green lung fortress' for the white peoples?

The grand contribution of Mr. Putin is that he stopped liberal privatization and the process of separatism in Russia. Persons such as Chodorkovsky were representatives of the Western oligarchy, especially of powerful financial clans (for example, he is a personal friend of Rothschild) and he had plans to usurp power in Russia through the corruption of parliament. We still have the rudiments of predatory liberalism such as misbalances, corruption, fifth column, degradation of traditional values, etc. For now we see in Russia efforts to build a smarter kind of economics, but it must be done very carefully. The questions that must be at the center are: how to deal with the Federal Reserve System? What about a new currency order that may be represented by BRICS? How to start mobilization? What to do with the neoliberal lobby within the government? The demographic crisis is also linked with neoliberalism and consumerism. A century ago, there was a rise of population in Russia, but two world wars have cut it. Even during Soviet times we had a good demography index. Now the government has started supporting young families and the process of human reproduction. In addition to birth programs we have an initiative dealing with the return of compatriots to Russia and all people who were born in the USSR can come to Russia very easily and get certain funding from the state. But I think that, because the Russians were the state-forming people, there must be a preference forSlavonic origin, because migrants from Asian countries (who do not speak Russian and have other traditions) will flow to Russia for economic reasons. Many Russian activists who take a critical stance on Asian people are already disappointed by this program. I think that the attraction of Byelorussians and Ukrainians can equalize this disproportion. But, strategically, the state must support a system of child-bearing with all necessary needs (fosterage, education, working place, social environmental, etc.). In some regions governors personally start up that kind of programs dealing with local and regional solidarity. First of all, Siberia is still Russian. The Siberian type of Russian is different from citizens fromthe central or southern regions, but till now it's still mainly Russian, not only institutionally, but also ethnically. Actually, according to our statistics, most labor migrants to Russia come from Ukraine! So, in spite of strange relations between both countries and with strong anti-Russian stances on the part of Ukrainian nationalists and pro-western "democrats", people just make their own choice. Rationally speaking, Siberia is not only interesting, because of its virgin forests and natural resources, but also because of its neighbors - and China is one of them with an emerging economy. So Siberia could serve as a hub in the future. I think that Europeans would also go to Russia (not only to Siberia), but this migration must be done meticulously, because of the language barrier, with a period of adaptation to different social conditions and so on. Maybe it could be useful to organize towns of compact residence and also city-hubs for foreign people who come to live in Russia, where they can live and work in new conditions. New Berlin, New Brussels, New Paris (of course translated into the Russian language) will then appear on a new Russian map.

- What is your opinion about the future of Putinist Russia? Will the government be able to enduringly counter Western propaganda and destabilization campaigns, and come to a 'generation pact' between the older generation, born during Soviet times, and the younger generation, born after 1991? What will be President Putin's fundamental heritage for Russian history?

The key problem for Russia is a neoliberal group inside the Kremlin. Putin has the support of people who want more radical actions against corruption, western agents and so on. But a “colored revolution” in Russia is impossible, because the masses do not believe in the prowesternopposition. Ideas of democracy and human rights promoted by West have been discredited worldwide and our people understand well what liberalization, privatization and such kind of activities in the interest of global oligarchy mean. And because of the announcement of the Eurasian Customs Union Russia must work hard the coming years with partners from Kazakhstan and Belarus. As for counterpropaganda, the new official doctrine of Russian foreign policy is about soft power. So Russia has all the instruments officially legalized to model its own image abroad. In some sense we do this kind of work, just as other non-governmental organizations and public initiatives. You mention a “generation pact”, referring to different ideals of young and older people, especially in the context of the Soviet era. Now, you would be surprised that a figure as Stalin is very popular among young people and thinking part of the youth understands well that Soviet times were more enjoyable than contemporary semi-capitalism. As I told in my previous answer, Putin is important because he stopped the disintegration of Russia. He already is a historical figure.

- Is there a common 'metaphysical future' for the whole of Europe after the downfall of Western Christianity (catholicism, protestantism)? Can Russian Orthodoxism be a guide? What do you hold of the modest revival of pre-Christian religious traditions across the continent? What about countering the influence of Islam on the European continent? Is there a different view concerning that discussion between Russia and Western Europe?

Russian Christian Orthodoxy is not panacea, because there are also some problems. Christianity in XIIth century, XVIth century and nowadays is very different. Now many formal orthodox Christians go to church two times a year, at Easter and at Christmas. But Orthodox Christianity is also a thesaurus of wisdom where you can find ideas from ancient Greek philosophy, metaphysics, cultural heritage, transformed paganism and psychology. In this sense, Russian Christian Orthodox old believers keep this heritage alive and may be interested as well in forms (ceremonies) as in the spiritual essence with its complex ideas. Speaking about paganism, Russia is the only country in Europe that still has authentic pagan societies (Republics of Mari-El, Mordovia, Komi) with very interesting rites and traditions. Actually Finno-Ugric peoples historically were very close to Slavonic people and assimilated together, so there is a good chance to research these traditions for those who are interested in Slavonic pre-Christian culture.But the postmodern version of a restored paganism in Europe or any other region to my opinion is just a fake and there is not so much from true paganism. As for Islam, as I told before, in Russia there exist a couple of versions of traditional Islam, which are presented by several law schools (mazhabs). In the Northern Caucasus, the regional government has tried to copy the idea of multiculturalism and to implement EuroIslam as an antithesis to spreading wahhabism. But it has not worked and now more attention is paid to traditional religious culture linked with education and the social sector. But the project of multiculturalism has failed in Europe as well, so all common Euro-Russian outlooks on Islam are finished. But, to be honest, I think that Europe must learn from the Russian experience of coexistence of different religions (not forgetting paganism and shamanism – this belief is widely found in Siberia). In Europe, they use the term tolerance but we, eurasianists, prefer the term complimentarity, proposed by Lev Gumilev, meaning a subconscious sympathy between different ethnic groups. As Gumilev explained, Russia became so large because Russians, during the expansion, looked on otherpeople as on their own and understood them. This differs from the point of view (more specifically in ethnosociology) that all ethnic groups have the idea of “We are” against “The Other”, represented by another group. The imperial principle works with the idea of mosaics where every ethnos is a “We are”. And our famous writer and philosopher Fjodor Dostoevsky told about all-human (all-mankind) nature (not common to all mankind) that is represented by the Russians, because inside, you can find all radical oppositions. I think it is a good reason to turn to Russia and its people.

 

samedi, 20 avril 2013

La stratégie des nouvelles routes de la soie

La stratégie des nouvelles routes de la soie – un modèle de paix pour l’Eurasie

Pour que les Européens ne restent pas à la traîne du courant de l’histoire – au sujet de l’analyse brillante de la situation géopolitique par Franz Betschon

par Tobias Salander, historien

Ex: http://www.horizons-et-debats.ch/

Pendant que les Etats-Unis titubent d’une crise à l’autre, et que l’Europe n’arrive pas à détourner son regard de son ancienne puissance protectrice dans l’espoir de ne pas être entraîné dans l’abîme, il règne en Asie et en Amérique latine une atmosphère de renouveau. Des auteurs comme Kishore Mahbubani essaient depuis un certain temps de démontrer aux contemporains de l’hémisphère occidental qu’on se trouve de toute évidence devant un tournant historique. Mais que faire, surtout en Europe? Avec qui coopérer si ce n’est pas avec la puissance guerrière en déclin?
Ne serait-il pas tout naturel de tourner le regard vers l’Est? Puisque l’Europe se trouve bien au bord de la grande île mondiale de l’Eurasie. Un regard, cependant pas dans le sens impérialiste de Bismarck qui a localisé «son Afrique» en Europe de l’Est, et pas non plus dans le sens du cliché de la guerre froide, qui appartient heureusement au passé depuis plus de 20 ans. Mais pourquoi pas un rapprochement en partenariat, en amitié et avec considération des mérites des peuples des pays respectifs?
Si nous ne voyons pas comment l’Asie se développe, l’Asie se développera aussi sans nous en un nouveau centre de gravitation de l’économie mondiale: c’est ce qu’un analyste ayant beaucoup voyagé, ouvert au monde, formé et ancré dans la meilleure tradition suisse, nous soumet à réfléxion: «Das eurasische Schachturnier» [Le tournoi d’échec eurasien], c’est le titre que Franz Betschon donne à son livre, qui sera présenté ci-dessous. Avec ce titre il fait allusion à un livre de Zbigniew Brzezinski qui porte un titre semblable. Mais son ton, le fondement de son analyse et sa perspective sont heureusement en totale contradiction avec l’ouvrage de référence négatif de la géostratégie impériale et de l’outrecuidance de la puissance mondiale.

«The Empire is over.» L’empire américain, la suprématie de la seule puissance mondiale serait du passé, un ordre mondial centré sur l’Eurasie serait en train de s’installer, uniquement centré sur l’Asie, si l’Europe ne s’avance pas vers l’Asie. C’est la quintessence de ce livre éclairant qui mérite d’être lu: «Das eurasische Schachturnier. Krisen Hintergründe und Prognosen» de Franz Betschon1. Ce citoyen suisse est docteur en sciences techniques et ingénieur mécanique diplômé de l’EPFZ, en plus diplômé de la Harvard Business School à Boston, colonel d’état-major de l’aviation à l’armée. Un scientifique formé dans la meilleure tradition suisse, ouvert au monde et économiste disposant d’une intelligence analytique aigüe. En tant que personne ayant vu du pays et qui, entre autre, a été conseiller d’administration d’une entreprise high-tech israélienne, qui, construite avec de l’aide suisse, appartient actuellement aux entreprises de pointe de son genre dans le monde, l’auteur essaie de comparer et d’approfondir ses expériences et ses observations au moyen de l’étude de sources publiquement accessibles pour comprendre l’actualité et pour ne pas rester en arrière du développement. Betschon a recours à des sources de beaucoup de pays, car dans son activité, il s’est aperçu que le regard européen sur le monde s’est pas mal rétréci pendant les décennies de la guerre froide, et que dans d’autres parties du monde, les mêmes problèmes sont considérés sous un autre jour. Reconnaître les signes du temps veut dire également s’adapter à temps aux nouveaux développements pour mieux contrer des dangers éventuels.
Comme grand modèle, qui manque dans le monde moderne, surtout en Suisse, et cela douloureusement, Betschon évoque Jean Rodolphe von Salis. Ce que ce citoyen du monde suisse a réussi lors de la Seconde Guerre mondiale depuis la Suisse, et ce qui lui a procuré ainsi qu’à la Suisse l’estime mondiale, c’est-à-dire un jugement cohérent de la situation de guerre, von Salis n’avait pu le faire que sur la base d’un large réseau. Avec des conversations téléphoniques avec ses connaissances dans différents pays, il s’est procuré un grand savoir et cela malgré l’écoute des services secrets.
Pour nous, c’est plus facile aujourd’hui. Aux temps du World Wide Web, un clic de souris nous amène des journaux de l’espace asiatique, africain, et de l’Amérique latine.

A partir de quel moment les Etats-Unis sont-ils devenus tellement violents? Mot-clé: «QDR»

L’analyse de Betschon sur 200 pages, culminant dans la citation ci-dessus, est passionnante et met de l’ordre dans les idées qui, dans les flots du «tittytainment du mainstream», ont tendance à être incohérents.
Lorsque l’auteur arrive à la conclusion que les jours de la dominance américaine sont définitivement passés, ce n’est pas sur un fond de ressentiments antiaméricains comme on pourrait le penser. Tout au contraire, l’auteur rend hommage à l’engagement désintéressé des Etats-Unis en Europe pendant les heures les plus noires de la Seconde Guerre mondiale – mais pas sans se poser la question de savoir à partir de quel moment l’Amérique est soudain devenue si violente: qu’elle ait rendu la torture de nouveau acceptable, qu’elle ait mené des guerres préventives sans penser aux principes de Nuremberg, dans lesquels une guerre d’agression est déclarée comme le pire des crimes et à l’occasion desquels le procureur principal Robert ­Jackson avait exigé publiquement qu’à l’avenir les USA veuillent aussi être jugés à la même aune.
Il est devenu évident que les choses vont mal aux Etats-Unis lors de la publication du plan de 5 ans du Pentagone, le «Quadrennial Defence Review Report (QDR)» des années 2001 à 2006. A l’encontre du droit international, ce rapport exige le droit à la guerre préventive. Afin que le lecteur puisse comprendre cette monstruosité, l’auteur transpose cette mentalité dans la cohabitation de voisins qui s’exprimeraient de la façon suivante: tu peux fusiller ton voisin sans autre s’il te dérange. Tu ne dois remplir que deux conditions: tu dois prétendre que tu t’es senti menacé et viser de telle sorte qu’il ne puisse ensuite plus témoigner.» (Betschon, p. 52) L’auteur donne à réfléchir que, si ce mépris sans pudeur de toutes les valeurs pour lesquelles l’Occident s’est battu pendant des décennies, porte préjudice aux êtres humains au Moyen-Orient en premier lieu, mais à moyen et long terme aussi à la société civile des agresseurs.

Le principe des Etats souverains versus le principe du «Diviser pour régner!»

L’auteur classe cette politique étrangère de l’Empire, agressive et méprisante pour le genre humain, sur la base de deux principes: le principe d’Etats souverains et le principe du «diviser pour régner». Ce que la génération ayant vécu la guerre froide ne pouvait jamais tenir pour possible, et ce qui rend si difficile un regard clair sur notre présent, c’est le fait que le premier des deux principes, le principe des Etats nations souverains, établi après la guerre de Trente Ans lors de la Paix de Westphalie, ne soit plus représenté aujourd’hui par la démocratie des USA autrefois louée, mais par la Russie autrefois proscrite, pendant que le principe machiavélique du «diviser pour régner», est brandi par George W. Bush et aujourd’hui par le Prix Nobel de la paix Obama. Même si l’auteur ne peut pas vraiment ce réjouir de ce résultat surprenant, il faut reconnaître qu’il présente les faits comme ils sont sans œillères et sans égard pour ses préférences personnelles.
Ce qui avait déjà été visible en 2007, lors de la Conférence de Sécurité de Munich, à savoir que la Russie sous Poutine n’était plus ce pays postsoviétique faible et à exploiter, mais de nouveau une grande puissance, capable et décidée à se défendre, et cela aussi bien économiquement que militairement, est devenu saisissable pour tout le monde lors de la même conférence en 2008: le Premier ministre russe, Sergueï Ivanov, a présenté un pays sûr de lui tout en soulignant que cela ne signifiait pas de nouveaux blocs et confrontations, mais une cohabitation pacifique d’Etats souverains. Alors qu’au camp opposé, le ministre de la Défense des USA, Robert Gates, a présenté le point de vue d’une hégémonie agressive. Avec cela Gates s’est positionné selon le modèle de l’Empire britannique à la Churchill et pas selon celui de Franklin Delano Roosevelt. Ces deux conceptions opposées de la politique, Betschon les fait très bien ressortir: alors que l’Empire britannique présente une politique de conflits et de manipulation, donc le «diviser pour régner», le président des USA d’avant et pendant la guerre a répondu de l’autre modèle de la coopération, celui des nations souveraines. En raison du décès prématuré de Roosevelt, le pur et dur Truman a rejoint la ligne britannique, et ainsi il a déployé, sans aucun égard, la bombe nucléaire.

L’Europe et l’Asie se soudent économiquement

Même si la politique étrangère avant Truman n’a pas toujours été exemplaire comme présenté ci-dessus, il est tout de même bienfaisant que l’auteur se soustraie au dénigrement antirusse de l’Occident et ouvre de nouvelles manières de voir. Car c’est seulement en remettant en question le spectre russe que la voie se libère pour une coopération des pays européens avec les grandes nations du Proche et de l’Extrême-Orient nécessaire depuis longtemps.
Dans le chapitre «megatrends» [tendances mégas], l’auteur ose émettre quelques pronostics extrêmement passionnants et au fait très convaincants du développement futur: sans se fixer sur une date et un ordre, on pourrait s’attendre aux développements suivants:
1.    L’Europe et l’Asie se souderont économiquement sans retour.
2.    L’Eurasie développera une politique fédéraliste de commerce, d’extérieur et de sécurité.
3.    La notion d’«Occident» deviendra superflue: L’Europe de l’Ouest, l’Amérique du Nord et Israël ne formeront plus une unité.
4.    L’Europe continentale s’orientera vers l’Est. L’Amérique du Nord ne sera intéressante plus que pour le commerce.
5.    L’UE et l’OTAN devront être reconsidérés et remplacés par quelque chose de nouveau.
Et qu’est-ce qui se passerait si les institutions de Bretton Woods et l’ONU étaient transférées vers le nouveau centre de gravité du monde économique, par exemple à Shanghai? Ou bien si les pays asiatiques arrivaient à la conclusion de ne plus avoir besoin de ces institutions dominées par les Etats-Unis et de pouvoir très bien vivre sans elles et même mieux? Et avec l’Europe, on a déjà cohabité depuis 2000 ans – longtemps avant que le double continent américain ait été défiguré par les Anglo-Saxons? Il a fallu beaucoup de temps dans le soi-disant nouveau monde avant que les blancs se soient arraché une excuse concernant le génocide de la population locale.
Betschon n’est pas sûr que les Européens aient vraiment déjà reconnu les signes du temps et se dirigeront vers l’Asie – néanmoins les Asiatiques viendraient déjà à notre rencontre. Il ne parle pas seulement du tourisme et des boutiques de montres en plein essor à Lucerne et Interlaken, volontiers fréquentées par la classe moyenne chinoise en hausse, mais aussi des investisseurs de Chine et d’Inde qui sauvent de la ruine en Europe de plus en plus d’anciennes marques, comme par exemple le groupe de sociétés indien Tata, qui a repris en 2007 le groupe d’acier britannique Corus, mais aussi les usines d’automobiles Jaguar et Landrover.

Le monde de demain: L’Amérique latine, l’Asie, l’Europe et à part les Etats-Unis, sur la touche

Que nous sommes au beau milieu d’un tournant d’époque est évident notamment en Afrique, où de plus en plus d’entreprises chinoises font ce qui a été réservé aux Européens: établir des relations commerciales, effectuer des investissements, exploiter des matières premières – à la différence près que les Chinois sont capables de lier leurs profits à de vrais bienfaits pour les populations locales. Un fait qu’on n’a jamais rencontré dans le colonialisme européen, dans l’impérialisme et dans le néocolonialisme actuel.
Alors que l’Occident fixe plein de méfiance le dragon chinois et se demande s’il fonctionne comme l’aigle américain – sur la base d’un militarisme agressif –, nous ne voyons pas que ce monde s’est mué en un monde rectangulaire: aujourd’hui, il est composé de l’Amérique latine, l’Asie, l’Europe et à part encore les Etats-Unis, sur la touche. A part? Nos médias occidentaux omettent volontiers de nous le dire: de plus en plus de décisions importantes sont prises sans l’unique ancienne superpuissance. Horizons et débats a parlé récemment de cette humiliation à Phnom Pen2. Comme cet événement s’est avéré tout simplement inexistant dans les médias du mainstream occidental, on a dû avoir recours à un article de l’«Asia Times» qui a montré clairement que l’Occident à une longueur de retard sur le développement actuel réel. Il y a eu Obama, qui a été décommandé d’une rencontre des Etats Asean. Les USA qui voulaient créer une fissure entre les Etats asiatiques, avant tout entre les petits et la Chine, se sont retrouvés mis à l’écart. Le monde est devenu autre, tout comme Kishore Mahbubani tente de nous l’expliquer depuis longtemps – aimablement, mais avec fermeté. Et si l’Occident ne veut pas en prendre connaissance, la rupture sera irréversible. Cependant, il serait meilleur pour tous d’avancer ensemble vers le futur. Mais pour cela, l’Occident devrait vivre réellement ses valeurs, en haute estime dans le reste du monde, au lieu de faire une politique d’intérêts impitoyable sous couvert de valeurs affichées.

Le FMI et l’hégémonie du dollar proches de leur fin

Betschon cite plusieurs événements qui illustrent ce tournant:
Les dix Etats de l’Asie du Sud-Est de l’ASEAN – comme on ne les connaît que très peu en Occident, ils seront cités ici: le Brunei, le Cambodge, l’Indonésie, le Laos, la Malaisie, le Myanmar, les Philippines, Singapour, la Thaïlande et le Vietnam –, ces dix Etats ont créé avec la Chine, le Japon et la Corée du Sud l’Asian Monetary Fund avec les RMB/Yen comme monnaie centrale – un processus qui rendra superflu le FMI dominé par les Etats-Unis.
La même chose se passe en Amérique du Sud: la fondation du Latin American Monetary Fund a pour résultat que le FMI doit fermer ses bureaux dans les Etats l’un après l’autre. Le Venezuela donne aux membres les crédits nécessaires pour pouvoir désintéresser le FMI.
En Europe, l’euro, prévu comme alternative au dollar, vit une attaque massive et cela pas depuis la Chine! Mais il y a aussi la Russie, qui ne danse plus aux sons de Washington: là-bas, peu à peu se font les adieux au FMI et à l’hégémonie du dollar en se fiant davantage aux propres ressources et à l’or.
Ce sont ces processus qui, à long terme, empêcheront les Etats-Unis, à l’aide de leur planche à billets, de mettre leurs propres dettes sur le dos des autres pays du monde. Avant tout parce que les dépenses pour l’armée doivent être réduites, et que par la suite leur bonne vieille diplomatie de canonnière à la mode des bandes de brigands ne fonctionnera plus.
Une année centrale pour la diminution de l’influence des USA a été l’année 2008: C’est en même temps que l’effondrement de Lehman Brothers qu’ont eu lieu les événements suivants, sans la contribution des Etats-Unis, trop occupés par leurs propres problèmes:
•    A Lima, environ 60 nations se sont rencontrées pour un sommet mondial sur l’alimentation, avec la présence d’Angela Merkel, la Chine, mais sans les USA.
•    En même temps se sont réunis les ministres des Affaires étrangères des Etats BRICS à Iekaterinbourg en Russie. Etaient invités le Brésil, la Russie, l’Inde et la Chine. Mais pas les USA.
•    Fin mai, le nouveau président russe a effectué son premier voyage à l’étranger. Jadis on allait d’abord aux USA, mais cette fois, la Chine a été la première destination.
•    En même temps un sommet important a eu lieu entre le Japon et la Chine – et cela sans les USA, ce qui aurait été impensable auparavant.
Europe: sortir de l’étau des Etats-Unis, retour aux propres valeurs
Dans cette situation d’un monde s’organisant sans problèmes sans l’Empire, l’Europe se retrouve devant la question de savoir si elle ne devrait pas renouer avec ses valeurs éprouvées, lesquelles avaient été désignées avec mépris par les néoconservateurs américains comme celles d’une «vieille Europe»: cela signifierait, d’un côté, abandonner les idées colonialistes tardives, ensuite respecter la souveraineté des autres Etats et la non-ingérence dans leurs affaires internes – donc faire preuve d’un refus de la stratégie douteuse du R2P, ce concept de «Responsability to protect», en effet, cette responsabilité de protéger, comme Hans-Christof von Sponeck3 l’a démontré, a toujours été utilisée comme prétexte pour intervenir dans d’autres pays pour s’assurer les matières premières et pour garder la Chine à l’écart, comme par exemple au Soudan, en Libye, et presque aussi en Syrie, si la Russie et la Chine n’avaient pas déposé leur «niet» courageux. Ou bien, comme l’a expliqué très clairement le politologue russe Fursov:4 en Syrie, les Croisés occidentaux se sont heurtés au Mur chinois!
Finalement, Betschon conseille à l’Europe de ne pas utiliser de doubles critères de qualité au niveau des valeurs. Il y en aurait déjà assez d’exemples, énumérés dans le livre de Kishore Mahbubani,5 mais aussi dans les exposés du spécialiste en droit international, Hans Köchler,6 qui a entre autre sévèrement critiqué la pratique d’accusation dominée par l’Occident de l’International Criminal Court (ICC).

Des corridors de développement avec des centres de développement en chaîne perlée

L’Europe, sur cet ancien et nouveau sol des meilleures traditions occidentales, aurait un allié à l’Est qui comprend déjà aujourd’hui environ un quart de la population mondiale: la Shanghai Cooperation Organisation (SCO). Ses membres que sont la Chine, le Kazakhstan, le Kirghizstan, la Russie, le Tadjikistan, l’Ouzbékistan se rencontrent régulièrement dans ce cadre avec des Etats au statut d’observateur, comme la Mongolie, l’Inde, le Pakistan et l’Iran. Celui en Europe qui croit que rien ne peut là se souder ni ne s’accorder devrait reconsidérer sa façon de voir le monde, remontant à l’antiquité euro-centrée. Une frontière intérieure de l’Eurasie n’existe pas réellement du point de vue géographique et géologique, elle n’est qu’historique et culturelle. Mais là aussi, les frontières s’estompent déjà très tôt, rappelons-nous les interdépendances russes avec l’Europe occidentale en ce qui concerne les échanges d’art artisanal, de scientifiques et de gens au sang bleu. Et derrière la Russie, il y a la Chine qui œuvre déjà depuis le milieu des années 1990 à la création de cinq corridors d’infrastructure qui devront relier l’Asie à l’Europe: les chemins de fer en constitueront seulement l’épine dorsale. Betschon souligne que ces corridors de développement, semblables aux anciennes routes de la soie, créent des centres de développement en chaîne perlée avec un fort rayonnement.

Pékin – Hambourg: les trains plus rapides que les bateaux

Mais qui, dans cette Europe au regard toujours fixé sur les Etats-Unis, s’en est aperçu? Le 9 janvier 2008 par exemple, un train pionnier a été mis en route pour la première fois avec des biens pour l’Europe, et cela depuis Pékin. Destination Hambourg! Un trajet de 9800 km à travers six pays. Le résultat? Arrivée à Hambourg au bout de 18 jours – pour la même destination par voie maritime avec des porte-conteneurs on aurait mis presque 40 jours! Un événement qui ouvre de toutes nouvelles dimensions – et un regard sur la carte de l’Eurasie le montre: qu’est-ce qu’il y a de plus naturel que le renforcement des voies terrestres depuis la Chine vers l’Europe? L’Eurasie est un continent en soi, une masse territoriale naturellement faite pour constituer une seule et même superficie – ce que l’on ne peut vraiment pas dire de la relation entre l’Europe et les Etats-Unis, séparés par deux océans.
Naturellement, pour l’historien, il y a aussi des souvenirs sombres en ce qui concerne un corridor transeurasien: les pays de l’Europe continentale ont déjà une fois essayé d’établir un lien par voie terrestre avec l’Orient. Qu’on se rappelle le projet du «chemin de fer Berlin-Bagdad». Comme le démontre l’historien Daniele Ganser dans son livre «Europa im Erdölrausch» [L’Europe dans la fièvre pétrolière], on aurait pu transporter de façon peu coûteuse du pétrole depuis l’Irak jusque dans les centres économiques de l’Europe centrale. Et cela sans dépendre de la flotte britannique, donc de l’Empire mondial britannique. Nous savons tous, ce qui est arrivé alors: un petit bout de pays n’était pas intégré dans le pont terrestre germano-habsbourgeois-ottoman: la Serbie. Qu’il y ait eu par la suite ce coup de fusil dans le Sarajevo occupé par l’Autriche – qui devait assurer à la puissance maritime de la Grande-Bretagne le monopole pétrolier au Proche-Orient, et l’on parle là aussi de la Première Guerre mondiale – cela est connu, certes mais peut-être moins connu avec ladite toile de fond sus-mentionnée.
Les pays européens, la Russie et la Chine doivent se tenir sur leurs gardes et empêcher puissance maritime encore numéro 1, les Etats-Unis, mettent en scène là quelque chose de semblable à ce que firent les Britanniques en 1914. Des essais de déstabilisation par le passé en Ukraine, en Azerbaïdjan, dans les républiques centrasiatiques pourraient être classifiés en prolongement de cet arrière-fond.

L’empire marche à reculons – à lire quotidiennement dans les journaux

Franz Betschon a publié son analyse en 2009. Tout comme von Salis, qu’il vénère, il n’a pas besoin de corriger quoi que ce soit. Au contraire, beaucoup de points problématiques qu’il a cités sont devenus encore plus évidents après trois ans. Que le président Obama ait pu faire admettre Hagl comme ministre de la Défense en dit long: qu’un ministre de la Défense des Etats-Unis mette en garde contre le lobby pro-Israël et aspire à des négociations avec l’Iran, qu’un ministre des Affaires étrangères, John Kerry, visite le Caire, Riad et Doha, mais laisse de côté Tel Aviv, c’est quelque chose. Que maintenant des négociations avec l’Iran soient possibles avec la présence des Etats-Unis, et en même temps aussi la Chine et la Russie, c’est encore autre chose. Que le Premier ministre turc mette sur le même plan le sionisme, le fascisme, l’antisémitisme et l’antiislamisme et les condamne, et se fasse vivement critiquer dans les médias israéliens,7 mais qu’il reste quand-même un allié étroit des Etats-Unis et qu’il veuille, malgré ou bien justement à cause de ces déclarations, adhérer à l’UE, est encore un troisième élément. Qu’un Kenneth Waltz veuille accorder, dans Foreign Affairs de juillet/août 2012,8 la bombe à l’Iran, parce que le monde deviendrait ainsi plus sûr, surtout le Proche-Orient, parce que la puissance nucléaire d’Israël aurait ainsi un adversaire – Israël qui, d’après ce «Grand old man» des sciences politiques américaines, représenterait le danger principal pour la paix dans la région –, voilà qui nous fait dresser l’oreille! Cela sonne un peu comme une stratégie d’échiquier d’un Brzezinski, auquel Betschon se réfère plusieurs fois, mais alors une stratégie de retrait des joueurs d’échec de l’Empire.

Renouer avec le concept de Roosevelt du respect de la souveraineté des Etats-nations

Il serait souhaitable pour les habitants de l’Eurasie, mais aussi du Proche-Orient, et cela de quelque nationalité et de quelque appartenance religieuse fussent-ils, que la stratégie chinoise des nouvelles routes de la soie puisse se réaliser et ainsi la cohabitation pacifique économique et politique, et cela sans manœuvres déstabilisatrices transatlantiques. Quels paysages florissants pourraient en résulter, si ce grand continent pouvait se ressouder, comme Kishore Mahbubani ne cesse de répéter. Si les anciens ennemis mortels, Japon et Chine, après les affres de la Seconde Guerre mondiale et après les plus de 30 millions de Chinois tués par les Japonais, peuvent aujourd’hui coopérer paisiblement, pourquoi cela ne devrait-il pas être possible au Proche-Orient? Et pourquoi les Etats-Unis ne devraient-ils pas s’orienter selon le modèle de Roosevelt du respect de la souveraineté des Etats-nations? Vu l’endettement exorbitant, c’est une nécessité de l’heure – et aussi celle du bon sens. Une tâche qui siérait bien au Prix Nobel Obama. Mais l’UE également pourrait se rendre digne de son prix Nobel et enterrer son hostilité en direction de l’Est. La population suisse pourrait alors, dans cette situation confuse et complexe, s’investir comme nation des bons services et vivre son fédéralisme comme exemple d’une cohabitation édifiante et pacifique, et cela sans lorgner du côté des grandes puissances.
Si le livre de Franz Betschon peut diriger pensée, réflexion et action dans cette direction, il s’avérera riche en effets bénéfiques. On lui souhaite un large lectorat, et bien sûr pas seulement en Suisse.     •

1    Franz Betschon: Das eurasische Schachturnier. Krisen, Hintergründe und Prognosen. Frankfurt/Main, 2009. ISBN 978-3-8301-1234-1.
2    David P. Goldman: Un monde sans dominance des USA, né à Phnom-Penh. In: Horizons et débats no 53 du 28/12/12
3    Hans-Christof von Sponeck: La tentative d’appliquer la responsabilité de protéger a lamentablement échoué en Libye. In: Horizons et débats no 18/19
du 7/5/12
4    Frappe contre la Syrie – cible: la Russie. Interview d’Andrej Iljitsch Fursov. In: Horizons et débats no 37 du 10/9/12
5    Kishore Mahbubani: Die Rückkehr Asiens. Berlin 2008. ISBN 978-3549073513
6    Hans Köchler: Weltgericht ohne Weltstaat. Strafjustiz unter dem Diktat der Realpolitik? Kommentar zu Idee und Wirklichkeit des Internationalen Strafgerichtshofes zehn Jahre nach dem Inkrafttreten des Römer Statutes. Vienne, 1/7/12.
http://i-p-o.org/Koechler-ICC-Weltgericht-ohne-Weltstaat-IPO-OP-1July2012.htm
7    At UN conference, Erdogan calls Zionism «crime against humanity». In: Haaretz du 28/2/13.
www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/at-un-conference-erdogan-calls-zionism-crime-against-humanity.premium-1.506392
8    Kenneth N. Waltz: Why Iran should get the bomb. Nuclear balancing would mean stability.
In: Foreign Affairs July/August 2012. Ed.: Council on Foreign Relations. Traduction française in:
Horizons et débats no 43/44 du 22/10/12

Dans le chapitre «megatrends» [tendances mégas], l’auteur ose émettre quelques pronostics extrêmement passionnants et au fait très convaincants du développement futur: sans se fixer sur une date et un ordre, on pourrait s’attendre aux développements suivants:
1.    L’Europe et l’Asie se souderont économiquement sans retour.
2.    L’Eurasie développera une politique fédéraliste de commerce, d’extérieur et de sécurité.
3.    La notion d’«Occident» deviendra superflue: L’Europe de l’Ouest, l’Amérique du Nord et Israël ne formeront plus une unité.
4.    L’Europe continentale s’orientera vers l’Est. L’Amérique du Nord ne sera intéressante plus que pour le commerce.
5.    L’UE et l’OTAN devront être reconsidérés et remplacés par quelque chose de nouveau.


Une année centrale pour la diminution de l’influence des USA a été l’année 2008: C’est en même temps que l’effondrement de Lehman Brothers qu’ont eu lieu les événements suivants, sans la contribution des Etats-Unis, trop occupés par leurs propres problèmes:
•    A Lima, environ 60 nations se sont rencontrées pour un sommet mondial sur l’alimentation, avec la présence d’Angela Merkel, la Chine, mais sans les USA.
•    En même temps se sont réunis les ministres des Affaires étrangères des Etats BRICS à Iekaterinbourg en Russie. Etaient invités le Brésil, la Russie, l’Inde et la Chine. Mais pas les USA.
•    Fin mai, le nouveau président russe a effectué son premier voyage à l’étranger. Jadis on allait d’abord aux USA, mais cette fois, la Chine a été la première destination.
•    En même temps un sommet important a eu lieu entre le Japon et la Chine – et cela sans les USA, ce qui aurait été impensable auparavant.

vendredi, 19 avril 2013

To build a real Eurasia: few juridical ideas

 

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To build a real Eurasia: few juridical ideas

 

Ex: http://www.geopolitica.ru/

Trying to speak about continental political constructions, we need to understand their limits. Inside all human institutions there is a limit, because the possibility to create something able to satisfy always all interest is impossible.

In this case, we must look to the theories. All of them underline that in the moment when few great people want to introduce big ideas on public debate, a lot of critics will appear, not trying to accept and correct the positive aspects of these activities, but only speaking about the limits (economics, politics, human relations, etc.).

Eurasia is a big idea only if we want to thing to it; more than that – is a big idea if someone will try to explain this to the world. However, the dimension of these continents is huge, and a scientist will see easier the limits of this construction. And, when human society will be prepared, it could be a possibility to create a new European, maybe, after European Union model.

Inside all of these facts, Eurasian idea must be analyzed sine ira et studio (without hate and with morality), and few important aspects are brought by the national legislations and by the people who believe in them. Our text tries to describe some problems of this important equation, between ideas and legal possibilities to fulfill them.  

 1. The question of Eurasia is an Eurasian question or only a single country question?

Why this?

Because, as always, when we analyze “the political constructions”, we must note the difficulties to have a single vocabulary for every person who have access to the concept – as the main obstacle to construct … something.

Thus, out text will speak about Eurasia. It’s a concept with great socio-politic importance, and – following this idea, we’ll use to describe it two important search engines and its documents, to present “popular” (in fact, public) access to information about the concept.

Google reports 15,500,000 notes about Eurasia, and 8,500,000 to the question: What is Eurasia?

Wikipedia has its own page about Eurasia[1], where it can be read:

a)                  Eurasia is a continent or super-continent covering about 52,990,000 km2 (20,846,000 mi2) or about 10.6% of the Earth's surface (36.2% of the land area) located primarily in the eastern and northern hemispheresPhysio-graphically, it is a single continent, comprising the traditional continents of Europe and Asia (with Eurasia being a portmanteau of the two); the concepts of Europe and Asia as distinct continents date back to antiquity and their borders are geologically arbitrary. Eurasia, in turn, is part of the yet larger landmass of Afro-Eurasia, whereby Eurasia is joined to Africa at the Isthmus of Suez. Eurasia is inhabited by almost 4 billion people, more than 72.5% of the world's population (60% in Asia and 12.5% in Europe);

b)                 Eurasia is also sometimes used in geopolitics to refer to organizations of or affairs concerning the post-Soviet states, in particular Russia, the Central Asian republics, and the Transcaucasian republics. A prominent example of this usage is in the name of the Eurasian Economic Community, the organization including Kazakhstan, Russia, and some of their neighbors, and headquartered in Moscow and Astana. The word "Eurasia" is often used in Kazakhstan as the name of the continent or region in which that country is located. Numerous institutions in that country use it in their name, e.g., L. N. Gumilev Eurasian National University, the Eurasian Media Forum, the Eurasian Culture Foundation, the Eurasian Development Bank , or the Eurasian Bank. In 2007, Kazakhstan’s President Nursultan Nazarbayev proposed that a “Eurasia Canal” be built to connect the Caspian Sea and the Black Sea via the Kuma - Manych Depression in Russia, providing Kazakhstan and other Caspian-basin countries with a more efficient access path to the ocean than the existing Volga-Don Canal. This usage is somewhat analogous to the U.S. usage of the term Western Hemisphere when referring to the concepts and organizations dealing with the Americas (e.g., Council on Hemispheric Affairs or Western Hemisphere Institute for Security Cooperation)[2].

These texts are public and very easy to be found by anyone. The last site with great importance for our question (What is Eurasia) is www.eurasiancenter.org, an important site from Unites States of America. We present it here, because today it is considered the US as the single global power, so, we must be concern about the initiatives started from this part of the word.

2. On the other part, the main wisdom in Eurasian problems belongs o both continents – because the common history speaks louder. In the same time, on this big scientific and concept map the main role of debate belongs, naturally, to Russia and to Russian specialists.

In this case, we must note also few ideas:

a)                  Russia is the country to have the biggest part of its territory on both continents[3][4], but its position is not perfectly favorable to develop a total discourse on Eurasia, because the most emergent part of it is situated in Europe[5];

b)                 Russia represents a perfect roof for the world – in this case, its Eurasian idea represents a correspondence with a human body with two special arms: the body is settled in northern Siberia, near the Arctic Ocean. In the same time, the arms has a double significance: a left arm who keep a shield in the Asian direction (mainly China – for extension, yellow race people), and the right one, the most efficient and productive, is stretched to the Europe. In this case, we must note something special: the left had defended Europe from the Vladivostok to the Pamir Mountains, and the right one is over the Moscow and Petersburg. So, a logic question: where is situated the sight of Russia? In our opinion, this is settled to a big area, with a fragmented history: Central Asia – Caspian Sea – Black Sea, as always in the history of humanity, from the North (Sever) to the South (Yugo);

c)                  Eurasia is a new concept for history – it appeared in the 19th century, and only because it was on that time two empires who were important position on both continents: Russian and Turkish one. In this case, we must note an analogy: Christian Russia was opposed to Muslim Turkey on the same logic met after 1945 between Soviet Union and United States;

d)                 Eurasia is an old concept related to European union, because the unionist ideas on Europe was blocked always by the presence of Muslim Constantinople, and, more than that, by the internal battle between main European land powers (with a “big brother” behind – Great Britain);

e)                  If Russia is the main territory for this idea, we must note that in the 21st century ideas must be kept by a stronger population[6]; thus – the future of Eurasian ideas in Russia must be accompanied by a better demography.

3. Our opinion about Eurasia is expressed in a very “scholar language” for a correct order of ideas.

Eurasia is a great political concept, but not completes, because the map limits are not always well understand.

Looking to the world map, we must note that the human land is separated between two big parts, understood as Old World and New (Columbus) World. All scientists have a great problem when the want to separate the Old world, because:

a)      Western Europe is more or less catholic, protestant or atheist and is strong separated by the eastern Europe (history and economy, mainly after European Union creation;

b)      Eastern Europe don’t have a real limit, because Russia is situated on both continents;

c)      Southern Europe is presented much more as part of Western Mediterranean Sea;

d)      Southern Europe is related – because of Gibraltar and the same sea to Northern Africa;

e)      Northern Africa is separated by a big desert (Sahara) to the rest of African continent (which is much richer with mineral resources than the Maghreb and Egypt);

f)        Near East or Proche Orient[7] means Turkey (the other state with double Eurasian continental dimension), Caucasus, Jordan river territory and Egypt (a country belonging mainly to another continent (African), with a step in Asia (by territory and history) and ho was occupied and created as modern state by European powers of 19th century;

g)      Near East is separated by the main Arabic population and energy resources by another strong desert;

h)      Middle East has two important borders (mainly because of history): Central Asia – where the Russian influence is the main actor for the last almost 200 years – and the Chain Mountains Pamir – Himalaya;

i)        India is separated by big rivers and big chain mountains to Pakistan (Indus), South East of Asia (yellow race) and China;

j)        China is the Middle Empire, with one hand related to the south and with the other one to the north. Today we are not sure where Beijing looks straight: to Pacific Ocean or to Middle East, Russia and India[8] in the same time. Last years show us that both directions are possible; in our opinion, always the middle position obliged the state claiming this position to watch more carefully inside;

k)      South East of Asia is related more with Australia, where an important position is kept by the United Kingdom (the same chief of state In Australia and New Zealand);

l)        Japan represents – somehow – a padlock for almost all Asian powers with interests of Pacific Ocean: here, the key belong to Washington sea power (on Mahan admiral doctrine).       

Thus, we cannot consider that the actual dimension of Eurasia is correct, related with the geography and mainly to the history. Despite all innovative technology, the desert is still a desert, a big chain mountain remain on the same position.

It is true: maritime ships can transport a lot of products (it is very interesting to observe the Chinese offensive in weak Europe’s ports[9]) and pipe-lines create a faster way to transport energy resources, but we must understand another limits:

a)                  Pipe-lines represent land states, land powers cooperating or in a perpetual competition (the differences between two attitudes is not always clear). In this case, we must note few moments when tensions can create bigger problems, as blocking of oil transport in Ukraine or terrorist attacks on pipe-lines. In the same time, it is very easy to control a pipe-line, because it is stable on the land for kilometers, and no one can pay guards for every 100 meters to have a perfect safety of them;

b)                 Maritime transport means to control the straits, and for Eurasia there are four very important ones: Skagerrack, Gibraltar, Malacca and the sea in the front of Arabian Peninsula, to control Red Sea and the Persian Gulf. We see here a strong position of United Kingdom, USA and to the sea powers by excellence. Inside this perimeter, there is Bosporus, Suez channel and a lack of military fleet for the “land powers of Eurasia”.

As conclusion: the author believe that Eurasia is a small concept, we need to add here Africa too – minimum the northern part, from French part of Senegal to Bab-el-Mandeb strait near the Ethiopia and Somalia; today Chinese politics introduce in the geopolitical equation whole Africa … and, in our opinion, soon we must be extend with Australia.

In this case, every state must understand its political dimension and its role on the Eur-Asi-African (our tri-continental proposal), named EAA, and to play well its card.

Following this idea, we must note the words of Professor J.L. Granatstein, on April 2011, at the reunion of Canadian Forces College[10]: “can a small or middle power have a Grand Strategy? Former diplomat Daryl Copeland defined Grand Strategy as a unifying, long-term vision of a country’s global values and interests; an expression of where the country is, and where it wants to go in the world; and an analysis of its potential and capacity to achieve its objective. I consider it a core element of statecraft.

That sounds difficult to derive for most nation-states, but to me it does not sound like Grand Strategy, at least not for smaller powers. Smaller countries can fight wars against other smaller powers or maneuvers to avoid them. They can join Great Power alliances or not. They can follow particular economic policies or decide not to. But they do not have Grand Strategies because they lack the human, industrial, and military resources to sustain them. In other words, the God of Grand Strategy is only found on the side of the big battalions. But small countries do have, like every other state, national interests, and their policies are (or should be) focused on advancing or protecting these interests and on their national survival.”

4. If we analyze Eurasia in this dimension, we must express another idea about the legal concept of Eurasia.

Legal concepts exist as it is written. In this scientific branch, words are words, and they cannot be understood in different senses. For any word it is a clear definition and a complex base for any different sense regarding any legal institution[11].

Eurasian is not a concept for legal sciences; we need international treaties to proclaim the existence of this new legal institution. Thus, the author will analyze briefly only few ideas, because the potential for this scientific debate is huge and we don’t have here enough space for it.

First of all, we must underline that inside Eurasia there are many legal systems, with many traditions – to create a real, single and unite Eurasia as concept and political entity, we need to harmonize these differences. For that, we can use only the legal principles, but …

“Although confirmed by Article 38 of the Statute of the International Court of Justice, the idea that there exist general principles of law that are recognized by civilized nations has lost ground in recent years. This fact raises the question of whether such general principles have any order-providing meaning or value beyond the State. If compared to the apparently “natural” systematic structure of state legal orders, the global legal space appears to lack a body of general rules and seems dominated by sectionalism and fragmentation. Indeed, it resembles the medieval legal order, characterized as that was by the simultaneous presence of various legal orders competing with each other. In reality, studies of legal history have led to a different understanding. We now know that that systematic structure was not natural. It was an integral part of a general pattern of morphological transformations undergone by the legal orders of states.”[12]

In this case, we don’t know which legal principles must be fulfilled, because there are many differences between European continental law and religious Islamic law; between Chinese system law and the Britain law. For this debate we can write books, but, of course, in national parliaments it will be a complicate debate, because no one wants to renounce to the history (at least).

Second question: if we want a single Eurasia, where it might be the capital of the state? Any political entity without a center (capital) collapse in less than 5 years: thus, where it must be!

Logics speak: at the middle of the distance, because it is necessary to offer equal access to all persons to all services which are ruled from this big center. So, we can look to Caucasus, maybe to the Near East: Damascus – or Baghdad? … Islamic capital means a different kind of administration of it, because here it was in the last two decades the most important military conflicts – it is need to a new urban architecture, for a capital of almost 4 billion inhabitants!

A lot of new institutions must be settled in this new capital: a Eurasian parliament, which must be able to adopt important, ethic laws, with a great availability for flexible interpretation, because:

a)             These laws cannot be applied from the first moments, because it will be a great problem with internal constitution of the states, and with all secondary (administrative) legislation;

b)             Looking to European Union constitutional treaty of 2006 and to the Lisbon Treaty of 2007, we can see the huge dimension of the texts[13]: if this it was possible for a group of 27 states with common legal tradition (Roman Empire, in fact), can we predict the legal dimension of a Constitution for Eurasia?

c)             In that moment it must be start a global educational change, not only in Law faculties, to understand and to apply new law, but also in every state, because the complexity of changes cannot be seen in one day.

In this context, we have a single question: the loyalty of every person of Eurasia will belong to whom? Because the history never must be forgotten[14]!

Another question is related about the administrative organization of the territory – now, only one big state, but what kind of internal autonomy inside every small part of every state who compose the Eurasian state, because without a strong centralization is impossible to build a functioning state.

The last question is about the justice – where it must be The Supreme Court of Justice? Where it must be The Constitutional Court?

Regarding this; we must note that:

a)      How many procedural steps (appeal, recourse and more) a person must do to be judged by the Supreme Court of Justice?

b)      How it must be invoked the control from The Constitutional Court?

c)      Who are the administrative institutions who shall fulfill the decision of the Eurasian justice? Only one example: in one state a person is affected by the behavior of another state. He claims the state, but this state is too strong to be punishing easily … ca we have equality between states?      

 

Conclusion

In this case, Eurasia is a seductive idea. However, it can be tried to create such a state, but, in our opinion, legal problems are the “big stone”, in front of any political ideas. In fact, we must note the process of negotiations – it is not simple, and, of course, somebody negotiate in a big state, but national parliaments must accept, and, after that, because the dimensions of Eurasia are too big for today human society, it must be approved on referendum by citizens. And today we are not sure about their political opinions …          


[2] This description is used at the bottom of the page, so, we can understand the option of the page author (and of a lot people, because this site is created by “everyone”).

[3] Turkey has less.

[4] In a lot of European institution (as football or music) Israel is included in Europe.

[5] Despite the land reality.

[6] The catastrophic demography of Russia is not always positive to implement big ideas abroad.

[7] A French concept.

[8] India is an “obstacle for a perfect seeing” to the South African rivers and mineral resources.

[9] In a famous report: Global trends 2025 – A transformed world made by National Intelligence Office (Washington, 2008), there are few observations about Chinese limit of economic development related to export of goods (p. 29 – 31).

[10] J.L. Granatstein: Can Canada Have a Grand Strategy?, Canadian Defence & Foreign Affairs Institute, p. 2 – 3.

[11] E. Balan: Institutii administrative (Administrative institutions), CH Beck, Bucharest, 2008, p. 8

[12] E. Chitti, B.G. Matarella: Global administrative law and EU administrative law, Springer, London, 2011, p. 89

[13] 300 pages or more, it depends by the editor.

[14] Title of a famous book about World War II. 

 

vendredi, 05 avril 2013

Entretien avec Alexandre Latsa

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Entretien exclusif avec Alexandre Latsa, directeur du site "Dissonance"

 

- Bonjour M. Latsa, pourriez-vous nous raconter qui vous êtes et quelle est votre profession dans la vie quotidienne?

 

Je suis français et réside à Moscou depuis 5 ans. J’y dirige un petit cabinet de conseils en Ressources Humaines. Je suis également blogueur et dirige le site Dissonance. Je suis aussi analyste pour l’agence de presse RIA-Novosti ainsi que pour la radio d’état Voix de la Russie et intervient régulièrement dans les médias russes ou étrangers.

 

- Vous avez écrit un livre sur la Russie de Vladimir Poutine. Pourriez-vous nous faire part de votre analyse de ce remarquable personnage politique? Quel(s) aspect(s) vous attire(nt)-il(s) en sa personnalité et en sa politique? Est-ce pour vous une personnalité de rang historique? Et comment vous jugez l'époque Poutine par rapport aux époques Gorbatchev et Eltsine?

 

Il me semble tout d’abord que Vladimir Poutine est, et de très loin, le plus grand leader politique européen actuel. C’est un grand visionnaire et quelqu’un qui a un plan politique à très long terme pour la Russie. Il me semble donc qu’il s’agit d’un leader historique de la trempe d’un De Gaulle par exemple. Ensuite le personnage en lui-même est fascinant, c’est un ancien des services secrets reconverti dans la politique, ce qui fait de lui un personnage atypique et en total décalage avec les profils des hommes politiques ouest-européens par exemple.

 

La période Poutine (2000 à nos jours) est une période qui je crois restera cruciale dans l‘histoire de la Russie. L’administration Poutine a en effet réussi à reconstituer l’état (qui avait quasiment disparu durant le début des années 90) et à permettre au pays de retrouver des indicateurs économiques, sociaux, humains, moraux normaux. Enfin, et peut être surtout, la Russie est de retour comme un acteur de premier plan sur la scène régionale mais aussi sur la scène internationale.

 

- Peut-on parler d'une profonde crise entre les générations en Russie? Comment jugez-vous l'importance de l'opposition contre Vladimir Poutine? Est-ce uniquement un instrument de l'Ouest afin d'affaiblir l'état russe, ou est-ce plutôt l'expression d'une crise plus profonde à l'intérieur de la Russie? Que trouvez-vous du scénario de votre homonyme, l'expert allemand Alexander Rahr, pronostiquant une nouvelle révolution d'octobre en Russie dans son dernier livre, Der kalte Freund?

 

Fondamentalement les Russes sont désintéressés de la vie politique, cela à cause notamment de la chute de l’URSS et des terribles années 90 ou la politique (et donc les politiques) ont été totalement décrédibilisés. La grande majorité des citoyens est aujourd’hui simplement sans illusions sur la politique et les politiciens. Pour de nombreux russes le vote Poutine signifie simplement le vote pour un système global, fonctionnel qui permet l’amélioration de la situation économique et de leur cadre de vie. Cette majorité silencieuse est souvent la moins politisée mais c’est elle qui soutient le pouvoir en place.

 

A coté, il n’y a pas une opposition mais des oppositions. Une opposition est dans le système et l’autre est hors système. La première comprend des grands partis politiques comme le parti communiste ou le parti nationaliste LDPR. Ces partis participent activement à la vie politique du pays. La seconde est l’opposition non parlementaire, dite de rue. En son sein il y a 3 grandes tendances: une tendance libérale, bruyante et concentrée dans certains milieux urbains et modernes mais qui n’a aucun soutien électoral réel, une aile nationaliste dure et enfin une aile radicale de gauche.

 

Les gens qui ont manifesté dans les rues étaient sincères ou alors sincèrement anti-Poutine et en ce sens je ne crois pas que ce soit le fait d’une manipulation occidentale. Cela est peut être différent en ce qui concerne certains dirigeants politiques de cette opposition minoritaire de rue, dont les liens avec des réseaux étrangers et occidentaux sont avérés, j’ai beaucoup écrit à ce sujet sur mon blog (ici, la ou la).

 

Je pense qu’il n’y a aucun choc de génération en Russie tout du moins entre la sphère politique et la jeunesse et cela pour deux raisons. Tout d’abord l’élite russe est très jeune et de nombreux acteurs de la sphère politique ou de gouvernance ont tout juste la 40aine. Ensuite, tant que le développement économique s’accroit, il me semble qu’il n’y a donc dans ses conditions aucun risque de révolution en Russie.

Par contre le rapide développement du pays à entrainé que certaines parties du pays soient modernisées et d’autres beaucoup moins. Par conséquent la Russie reste un pays ou se côtoient tant le 19ième, le 20ième et le 21ième siècle et en ce sens il y a entre les gens de Moscou et ceux du Caucase par exemple de réels différences de mode/type de vie.

 

Je n’ai pas lu le dernier livre d’Alexandre Rahr et ne sait pas de quoi il parle exactement.

 

- Y-a-t'il vraiment une crise démographique, et, si oui, est-elle incontournable?

 

La crise démographique russe est quasi surmontée mais ses conséquences sont à venir.

 

Le nombre de naissances s’est effondré après la chute du monde soviétique et la période libérale des années 90 (et l’effondrement économique lié) a accentué cette tendance. Dans le même temps la mortalité a explosé et par conséquent la population a diminué malgré l’immigration due au retour de nombreux russes ethniques des républiques soviétiques vers la Russie.

 

Dès les années 2000 le nombre de naissances a commencé à remonter, et cette hausse des naissances s’est accélérée après 2005 avec l’instauration de mesures natalistes mais aussi le retour de la confiance envers un environnement économique national stabilisé et en amélioration permanente.

 

L’immigration de résidence à elle diminuée pour se stabiliser et depuis 2009 la population russe augmente. Un historique des ratios naissances/décès est consultable ici.

 

En 2012 le nombre de naissances a augmenté et a équilibré le nombre de décès. 2013 devrait sans doute voir une hausse naturelle de population pour la première fois depuis 1991.

 

- Tournons vers la politique extérieure: comment ressentez-vous la récente crise financière chypriote et le rôle qu'ont joué les Russes, d'une part, et les Européens (càd surtout les Allemands), de l'autre part? Y-a-t'il un avenir pour une forte alliance entre l'Union européenne et la Russie, ou est-ce que les Russes misent sur une "'après-UE" et un système bilatéral de relations franco-russes et/ou germano-russes?

 

En effet la Russie a de fréquents problèmes de fréquences  avec l’UE. A contrario les relations bilatérales avec les nations européennes se passent vraiment bien. Vous citez le cas de l’Allemagne mais c’est pareil avec la France, l’Italie ou la Serbie par exemple.

 

L’affaire Chypriote ne devrait pas arranger la situation des relations entre Moscou et l’UE puisque les mesures totalitaires de Bruxelles et du FMI vont aboutir à ce que la Russie perde énormément d’argent dans cette affaire Chypriote. J’ajoute que la manière dont les mesures ont été imposées à Chypre sans que la partie russe ne soit informée (alors que c’est son argent qui était visé par les mesures de la Troïka) me semble relever de l’agression financière plus que de la maladresse.

 

La relation Russie / UE doit cependant a ce jour être envisagée de façon pragmatique,  la Russie a presque la moitie de ses réserves de change en euros et l’Europe reste son principal client énergétique a ce jour.

 

- Comment évaluez-vous la politique russe vis-à-vis de "l'étranger proche": peut-on parler d'un succès et d'un build-up de pouvoir politique, économique et militaire, ou est-il plutôt un échec? Quels sont les atouts de la Russie pour les Européens?

 

Il me semble que la Russie est en voie de normalisation de ses relations avec les voisins, encore une fois ces processus ne se font pas instantanément et ne peuvent être mis en place que par un état souverain, or la reconstruction de l’état russe est récente.

 

Ensuite la Russie a 20.622 km de frontières terrestres avec 14 pays ce qui rend la gestion de l’étranger proche autant complexe qu’essentielle, le tout au cœur de ressentis postsoviétiques  qui n’ont sans doute pas tendance à permettre de régler sereinement des situations complexes.

 

Il me semble que cependant les choses sont en bonne voie et notamment via l’union douanière au sein de l’Eurasie et de l’ancien espace soviétique.

 

En ce qui concerne l’Europe il me semble que la Russie est le réservoir énergétique nécessaire à l’Europe mais la Russie en outre a un formidable potentiel militaire. Enfin, a mon avis, la Russie représente surtout un réservoir de valeurs pour une Europe en manque d’idées et visiblement de ressources pour affronter ce siècle. A ce titre le modèle de société (conservatisme – Religion- souveraineté) qui se dessine en Russie pourrait être un modèle pour les pays d’Europe de l’ouest, qui drivent l’Europe et l’UE.

 

- Comment évaluez-vous l'OCS?

L’OCS me semble être un mécanisme de coopération régional ayant sans doute vocation à étendre sa sphère d’influence, tant géographique que sur le plan des domaines d’intervention. En outre cette structure fonctionne sur un binôme Russo-chinois qui me semble dynamique et prometteur. La visite du nouveau président chinois en Russie confirme que la coopération entre ces deux pays va s’accentuer dans tous les domaines et tous les territoires, notamment en Arctique. Il me semble que cela confirme les pires scénarios géopolitiques américains mais il faudrait sans doute envisager à terme un axe européen à cette structure, pourquoi pas au sein d’un mécanisme continental et européen à bâtir, mais dont les russes ont déjà proposé le squelette via le projet de Traité sur la sécurité Européenne

 

- En Russie, il y une tradition métapolitique importante, dite "eurasiste": que pensez-vous d'elle et de ses protagonistes? Ont-ils un vrai projet pour la Russie et le monde?

Oui cette tradition eurasiste existe et est très importante. Elle augmente sans doute au fur et à mesure que la Russie est déçue par l’Ouest et que celui-ci n’apporte plus de modèle jugé adéquat ou fonctionnel. Cet horizon eurasien est interprété et interprétable de différents manières, mais il me semble qu’il se développe en réaction à l’inévitable destin occidental que certains ont presque fatalement envisagé pour la Russie.

 

Il me semble que la Russie est une puissance eurasiatique car son territoire est majoritairement en Asie, car sa sphère d’influence et une partie de son étranger proche est en Asie centrale, car elle souhaite augmenter la part de ses échanges économiques avec l’Asie et enfin surtout car de l’objectif déclaré de ses élites est le développement de son territoire a l’est: en Sibérie et en Extrême orient.

 

Je crois donc que c’est la que se situe la clef de l’avenir de la Russie et aussi la réalisation de cette Eurasianité: dans le développement d’une nouvelle Russie tournée vers l’Est de son territoire, plus que peut être simplement tournée vers l’Asie en tant que tel.

 

- Dernière question: vous habitez en Russie: peut-on la décrire comme un pays européen ou un pays asiatique? Certains Russes nous disent l'un, d'autres, souvent jeunes, nous disent l'autre.

 

Il me semble que la Russie est plus européenne qu’asiatique en ce sens que l’héritage spirituel et religieux russe est majoritairement le christianisme Byzantin  et que la population dominante en Russie est majoritairement de souche slave. La Russie est donc évidemment plus proche de la Bulgarie ou de la Serbie que de la Chine.

 

Maintenant je crois que la Russie n’est ni complètement l’Europe ou l’Asie, elle est avant tout une civilisation à part entière dont le modèle n’est pas établi mais en cours de définition. En ce sens, il me semble que l’histoire de ce pays est passionnante car ouverte, tout y est encore possible, le pire comme le meilleur.

 

- Merci beaucoup pour l’interview, M. Latsa !

 

samedi, 30 mars 2013

Poutine veut un BRICS stratégique, vite…

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Poutine veut un BRICS stratégique, vite…

Ex: http://www.dedefensa.org/

Le président russe Poutine annonce qu’il proposera à la prochaine réunion du BRICS, les 26-27 mars à Durban, en Afrique du Sud, une extension décisive du rôle de ce regroupement jusqu’ici essentiellement économique de cinq puissances de ce qu’on a coutume de nommer un peu vite “le monde émergent”. Poutine prend garde d’identifier le BRICS comme “un élément-clef du monde multipolaire émergent”, ce qui a une toute autre signification, quasiment opposée, à l’expression “monde émergent”. L’expression “monde émergent”, avec sa connotation dégradante ou implicitement méprisante rappelant l’expression “Tiers-Monde”, implique évidemment le suprématisme anglo-saxon étendu au bloc BAO, conduisant à considérer le modèle BAO comme la Lumière du monde en tous points mais essentiellement économique et moral pour satisfaire les convictions de la modernité, le “monde émergent” évoluant avec comme destin fatal de s’intégrer au bloc BAO. Poutine voit le BRICS comme un élément d’une alternative à la structure du monde actuel régentée par le bloc BAO, alternative fondée sur la multipolarité contre l’unipolarité arrogante, ex-USA et désormais bloc BAO. (Selon notre rangement, nous qualifierions les puissances du BRICS, effectivement selon une vision multipolaire, comme déterminant un “monde se constituant aux marges du Système”, disons “un pied dedans, un pied dehors”, ou encore “dans le Système d’une certaine façon, avec un œil critique et éventuellement réformiste sur le Système d’une autre façon”.)

Cette annonce est faite dans une interview de Poutine à l’agence ITAR-TASS, avec le texte retranscrit le 22 mars 2013 sur le site de la présidence. En préliminaire, Poutine rappelle ce qu’est le BRICS, et surtout les principes sur lesquels est fondée ce regroupement. On retrouve l’accent sur le respect de la légalité internationale et sur le principe de la souveraineté… «BRICS is a key element of the emerging multipolar world. The Group of Five has repeatedly affirmed its commitment to the fundamental principles of the international law and contributed to strengthening the United Nations central role. Our countries do not accept power politics or violation of other countries' sovereignty. We share approaches to the pressing international issues, including the Syrian crisis, the situation around Iran, and Middle East settlement.»

Puis une des questions porte sur le rôle géopolitique du BRICS : «Does it go beyond the purely economic agenda and should the BRICS countries accept greater responsibility for geopolitical processes? What is their policy with regard to the rest of the world, including its major actors such as the United States, the European Union, Japan… What future do you see for this association in this regard?» On trouve dans la réponse de Poutine la présentation et l’explicitation de son initiative.

«At the same time, we invite our partners to gradually transform BRICS from a dialogue forum that coordinates approaches to a limited number of issues into a full-scale strategic cooperation mechanism that will allow us to look for solutions to key issues of global politics together.

»The BRICS countries traditionally voice similar approaches to the settlement of all international conflicts through political and diplomatic means. For the Durban summit, we are working on a joint declaration setting forth our fundamental approaches to pressing international issues, i.e. crisis in Syria, Afghanistan, Iran and the Middle East.

»We do not view BRICS as a geopolitical competitor to western countries or their organisations — on the contrary, we are open to discussion with any country or organisation that is willing to do so within the framework of the common multipolar world order.»

Notre ami M K Bhadrakumar a repris instantanément la nouvelle sur son blog (Indian PunchLine), le 22 mars 2013. Manifestement, il juge extrêmement importante la proposition russe. Par ailleurs, selon son scepticisme habituel pour la direction indienne qu’il tient en piètre estime, il se demande quelle va être l’attitude de l’Inde… M K Bhadrakumar note que Poutine envisage cette transformation du BRICS comme graduelle et étendue sur un laps de temps.

«What stands out is the stunning suggestion Putin has made to reorient the BRICS. He said, “we invite our partners [Brazil, India, China and South Africa] to gradually transform BRICS from a dialogue forum that coordinates approaches to a limited number of issues into a full-scale strategic cooperation mechanism that will allow us to look for solutions to key issues of global politics together.” [Emphasis added.] Putin acknowledges that such a profound transformation will take time. Aside across-the-board harmonization of foreign policies amongst the BRICS members, a fundamental reorientation of the foreign-policy doctrines may also be required.

»How India responds to the grand idea remains to be seen. To be sure, a ‘leap of faith’ is required. India has been comfortable with the fact that the leitmotif of BRICS is economics. Putin’s proposal would fundamentally readjust the BRICS’ orientation…»

… Justement, nous différons quelque peu de M K Bhadrakumar sur l’appréciation du tempo que Poutine voudrait voir suivre pour la transformation du BRICS. Il nous semble que sa proposition, loin de n’être que théorique et laissée au temps pour mûrir, est d’ores et déjà basée sur des propositions spécifiques de prises de position sur des problèmes précis («…a joint declaration setting forth our fundamental approaches to pressing international issues, i.e. crisis in Syria, Afghanistan, Iran and the Middle East»). Cela peut aussi bien signifier que la Russie aimerait voir, dès le sommet de Durban, le BRICS prendre position sur les problèmes spécifiques identifiés, – on verra cela d’une façon concrète la semaine prochaine. Cette perspective signifierait que les Russes voudraient au contraire aller très vite. La position de l’Inde paraîtrait sans aucun doute parmi les plus incertaines vis-à-vis d’un tel projet, quoique les Indiens, comme l’avait signalé M K Bhadrakumar lui-même, ont été les premiers à prendre l’initiative de réunir les conseillers de sécurité nationale des pays du groupe (voir le 7 janvier 2013), ce qui va évidemment dans le sens prôné par Poutine.

Quoi qu’il en soit et si l’on s’en tient à une appréciation objective, il serait évidemment logique de penser que les Russes veulent aller vite, parce que la situation générale des relations internationales et des crises continue à se détériorer à une très grande vitesse et demande la mise en place de forces, soit pour contenir cette descente dans le désordre, soit pour équilibrer les autres forces (le bloc BAO, principalement) qui alimentent ce désordre. Il paraît également très probable que les Russes ont le soutien de la Chine pour ce projet. (Le président chinois commençait sa visite à Moscou le jour où cette interview de Poutine était diffusée, ce qui ne peut être tenue pour une coïncidence, et au contraire doit être apprécié comme un signe puissant dans le sens d'une communauté de vues Russie-Chine.) D’une façon générale, on pourrait apprécier que la proposition russe vient à son heure, qu’il existe autour du BRICS une urgence d’évolution et d’intervention, selon laquelle un tel rassemblement peut difficilement restreindre sa propre dynamique au seul champ économique ; c’est notamment, voire essentiellement par le champ économique que le Système active son travail de déstructuration et de dissolution, et par conséquent des acteurs de cette importance, regroupés autour du champ économique dans la situation pressante qu’on connaît, ne peuvent pas ne pas considérer tous les effets engendrés par ce domaine.

Le projet russe n’a rien à voir, à notre sens, avec la constitution d’un pôle de puissance pouvant éventuellement concurrencer d’autres pôles de puissance (le bloc BAO, évidemment), – comme le dit justement Poutine et, selon notre approche, en exprimant sa véritable pensée. Le BRICS, s’il était réformé dans le sens voulu par Poutine, ne constituerait pas une partie prenante dans la situation actuelle, mais bel et bien une tentative de stabilisation de la dite situation. De ce point de vue, les Russes cherchent des partenaires capables de les épauler, ou au moins de les soutenir, dans cette même entreprise de “tentative de stabilisation”, comme ils font en Syrie, et leur initiative vers le BRICS est une démarche naturelle.

Continuant à considérer objectivement la situation, le BRICS n’apparaît en aucun cas assez puissant et assez organisé pour bouleverser complètement la situation générale. Il est vrai qu’il n’a pas affaire seulement à d’autres groupes dont la plupart sont déstabilisateurs, mais, au-dessus, à une tendance générale de déstructuration-dissolution qui dépasse évidemment les capacités humaines d’organisation ou de désorganisation. Le BRICS transformé-selon-Poutine, serait une saine et juste réaction face à cette tendance, mais absolument insuffisante pour espérer la stopper de quelque façon que ce soit. Par contre, et sans que ce soit justement le but conscient et élaboré de Poutine, cette évolution du BRICS apparaîtrait au bloc BAO comme un défi, ou bien une pression nouvelle et menaçante, – même faussement apprécié mais peu importe, le bloc BAO vit dans ses narrative, – et l’effet général serait d’accentuer le trouble et l’inquiétude au sein de ce même bloc, c’est-à-dire d’y attiser un désordre dont les effets seraient bienvenus, au moins pour la raison évidente que le bloc BAO est le principal relais des forces de désordre qu’on a identifiées.

Aucune force politique n’est aujourd’hui capable de stabiliser la situation générale du monde et, encore moins, d’en restructurer les composants pour transformer cette restructuration temporaire en une structure nouvelle et solide. La marche du désordre dépend de forces hors du contrôle humain et disposent donc d’une complète immunité sur l’essentiel du mouvement. Le véritable apport d’un BRICS renforcé serait, justement, de renforcer les puissances qui le composent et de les conduire à rassembler leurs forces ; et, ce faisant, d’accentuer la pression sur le bloc BAO qui est le principal vecteur de désordre, donc d’accélérer les pressions qui l’affectent du point de vue de sa situation intérieure. L’effet net d’une telle évolution serait alors d’accroître le désordre interne, et donc le processus de déstructuration-dissolution des forces du bloc BAO. Objectivement, il s’agirait d’une accélération supplémentaire du désordre en cours, – mais, bien entendu, d’une accélération vertueuse puisque le désordre se développerait dans un champ éminemment défavorable au bloc BAO, et influant directement sur la cohésion et la solidité interne des membres de ce bloc.

mardi, 26 mars 2013

Viaje de Xi Jinping a Rusia y África

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Viaje de Xi Jinping a Rusia y África

Antecedentes. Las relaciones internacionales pasan por momentos delicados en varias partes del mundo, cuando la dinámica de confrontación entre China y Japón (azuzada por Estados Unidos) por la posesión de las islas Diaoyu ha arrastrado a Norcorea, que ha endurecido su postura, mientras Siria se desangra, y enfrente Chipre sufre un descalabro financiero que ha puesto a temblar a la eurozona y ha enfurecido a Rusia, cuyos ciudadanos tienen 3 mil 500 millones de dólares en depósitos en ese paraíso fiscal isleño. Tampoco se puede soslayar la sensible coyuntura de Venezuela, la mayor reserva de petróleo (convencional/no convencional) del planeta, donde Estados Unidos /España/Israel buscan dar un zarpazo para apoderarse de su oro negro.

Con o sin meteoritos y asteroides, la prensa rusa ha estado muy pesimista y se han generado noticias tangenciales muy extrañas sobre despliegues tanto de submarinos (cerca de la costa de Estados Unidos) como de aviones rusos cerca de la isla de Guam, en el océano Pacífico (DeDefensa.org, 18 y 19/2/13; Bajo la Lupa, 24/2/13).

Konstantin Sivkov, primer vicepresidente de la Academia de Problemas Geopolíticos (IAGP, por sus siglas en inglés) de Rusia, desde 2010 avizora que la tercera guerra mundial empezará 100 años después de la primera (2014) ( Pravda, 25/3/10).

Si resulta correcta la postura de los estrategas de Estados Unidos sobre el gas esquisto ( shale gas) –que otorgaría a Wa­shington tanto la autosuficiencia energética como su preponderancia geopolítica–, Rusia, hoy la mayor productora mundial de gas, se vería seriamente amenazada, como le sucedió con el desplome del petróleo, lo cual la obligaría a una contraofensiva.

Hechos. Dadas las condiciones de alta tensión entre las tres superpotencias geoestratégicas (Estados Unidos, Rusia, China), no es gratuito que la primera visita del mandarín chino Xi Jinping sea a Rusia y luego a tres países del continente africano durante su viaje de nueve días: Tanzania, Sudáfrica (a Durban: a la quinta cumbre de los BRICS) y la República del Congo. No pasa inadvertido que tres de los cuatro países que visita sean africanos.

Cinco días antes de la llegada de Xi Jinping a Moscú vinieron dos jugadas de parte de Estados Unidos: la visita a Pekín del flamante secretario del Tesoro Jacob Lew (muy cercano a Israel), donde se entrevistó con el nuevo mandatario chino, y cuyo enfoque versa sobre la relación comercial entre los dos gigantes económicos, el contencioso del yuan, los derechos de propiedad intelectual y los ciberataques ( Global Times,19/3/13). El mandatario chino le señaló a Jacob Lew los enormes intereses compartidos ( naharnet,18/3/13).

Así como llama la atención que la primera visita de Xi Jinping sea a Moscú, la primera del secretario del Tesoro Lew fue a Pekín, después de laevangelización sobre las reformas neoliberales que debe adoptar China de parte del ex secretario del Tesoro Hank Paulson a The Financial Times(14/3/13), que naturalmente servirían para rescatar a la banca de Estados Unidos de su insolvencia.

Estas visitas en sí solas al más alto nivel denotan la hipercomplejidad de las relaciones, los traslapes y desencuentros de los tres gigantes geoestratégicos.

En paralelo a la visita de Jacob Lew a Pekín, Estados Unidos decidió detener en forma sorprendente la fase final del despliegue del escudo misilístico de la OTAN en Europa, a cinco días del arribo de Xi Jinping a Moscú. Según The Moscow Times(19/3/13), ello se debe al deseo de mejorar las relaciones entre Rusia y Estados Unidos.

Pronto se sabrá el efecto de los recientes acercamientos triangulados entre las tres capitales geoestratégicas, cuando Rusia y China coordinarán su reacción a los planes de Estados Unidos para estimular su defensa de misiles en la región Asia-Pacífico(Ria Novosti, 19/3/13), ya que una cosa es el despliegue misilístico de Estados Unidos en las fronteras europeas de Rusia (bajo el cuento texano de prevenir un ataque de Irán) y otra la instalación de su escudo balístico en la región Asia-Pacífico en la cercanía de las fronteras chinas (bajo el otro cuento texano de impedir un ataque de Norcorea), lo cual afecta en su conjunto el balance estratégico global.

A juicio de Zhou Wa ( China Daily,19/3/13), la visita de Xi Jinpingestablecerá la dirección de los lazos futuros entre China y Rusia, que pretenden alcanzar 200 mil millones de dólares de comercio en el año 2020. Cita a Alexander Lomanov, del Instituto de Estudios del Lejano Oriente (Academia de Ciencias Rusa), quien aduce que la visita de Xi tiene mayor significado simbólico que práctico, cuando los dos países adoptan las mismas o similares posiciones en temas globales, mientras que para el presidente Putin la visita del mandatario chino representa un evento mayúsculo ( People’s Daily,18/3/13).

China y Rusia (con amplias reservas de agua y abundantes recursos naturales) han caminado rutas paralelas desde la invasión de Estados Unidos a Afganistán e Irak: forman parte del Grupo de Shanghai (un poco aletargado) y de los resplandecientes BRICS (Brasil, Rusia, India, China, Sudáfrica), al que muchos países llamados pivote y amortiguadoresdesean ingresar, como es el caso público del candidato a la presidencia de Venezuela Nicolás Maduro.

La asociación –que no alianza– estratégica entre los dos gigantes vecinos es ya complementaria: Rusia abastecerá con 20 millones de toneladas a China desde 2013, lo cualen el futuro la capacidad de los oleoductos excederían 13 millones de toneladas al año (Xinhua, 19/3/13). Se espera un mayor bombeo del petróleo ruso y mayores oleoductos a la región Asia-Pacífico, cuando existen amplios prospectos para la cooperación futura en el espacio, aviación, energía nuclear y construcción de infraestructura (carreteras, vías ferroviarias, aeropuertos, etcétera).

Conclusión. No pasó por alto que esta misma semana se haya difundido la noticia de que China desplazó a Gran Bretaña entre los cinco primeros exportadores globales de armas (People’s Daily, 18/3/13).

Se repite el corolario de siempre: una economía sólida va aparejada a una defensa robusta, cuando las exportaciones de China aumentaron 162 por ciento en el periodo de 2008 a 2012. El salto se ha debido a la mejoría tecnológica y a la productividad de la industria armamentista china con precios muy competitivos. Suena interesante que sus mayores importadores sean Pakistán, Argelia, Venezuela y Marruecos.

Mijail Margelov, enviado de Rusia al continente africano, considera que la próxima quinta cumbre de los BRICS en Durban (marzo 26/27) tendrá como enfoque a África ( The Voice of Russia, 18/3/13), lo que de cierta manera se acopla al viaje de Xi Jinping, quien visitará también Tanzania y la República del Congo.

China es ahora la principal socia comercial de África (mil millones de personas: 15 por ciento del total mundial; PIB: 1.8 billones de dólares), con un volumen bilateral de 166 mil 300 millones de dólares, que se incrementó más de 30 por ciento en promedio anual durante la pasada década ( China Daily, 13/7/12).

Bien vale la pena, con 98 por ciento del cromo del mundo, 90 por ciento del cobalto y platino, 50 por ciento del oro, 70 por ciento de tantalita y coltán, 64 por ciento de manganeso y 30 por ciento de diamantes, darse una vuelta por África, con una escala geoestratégica en Moscú, sin indisponer demasiado a Estados Unidos.

Ex: www.alfredojalife.com

Twitter: @AlfredoJalife

Facebook: AlfredoJalife

lundi, 25 mars 2013

Cina e Italia più vicine grazie ad ENI

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Cina e Italia più vicine grazie ad ENI

di Michele Franceschelli

Ex: http://www.statopotenza.eu/

ENI continua a dimostrare di essere il principale vettore per un’azione politico-economica italiana libera dagli schemi atlantici, volta in direzione dell’Eurasia e dei BRICS. Dello spirito gagliardo del “cane a sei zampe” di “matteiana” memoria non è rimasto molto, tuttavia ENI è ancora oggi un colosso nazionale capace di muoversi sullo scenario mondiale – pur tra numerosi ostacoli, interni ed esterni, compromessi e cedimenti alle ingiunzioni euro-atlantiche – con un certo grado di autonomia, stringendo alleanze e collaborazioni con paesi non-allineati all’Occidente come Venezuela, Russia, Kazakhstan e Cina, tenendo aperta una fondamentale porta per una politica nazionale orientata in senso multipolare. Un “cane” pertanto non ancora addomesticato ai voleri nordatlantici e che rimane una delle risorse economiche trainanti della nazione proprio per questa sua “selvatichezza”, sempre più necessaria in un mondo di giorno in giorno più dinamico e multipolare. Per quanto tempo ancora ENI riuscirà a mantenere questo carattere non è dato sapere, anche se gli sviluppi recenti non fanno presagire niente di buono: dalle inchieste giudiziarie ad orologeria alle interessate pressioni degli ambienti euroatlantici per la cessione di Saipem, da un’opinione pubblica avversa eterodiretta con i temi del giustizialismo e dell’anti-industrialismo alle pulsioni ecoterrorriste di associazioni e gruppi eversivi e, soprattutto, per la continua assenza di un ceto politico nazionale autonomista capace di fare da scudo e di attuare in modo solido e continuativo un gioco di sponda con le scelte strategiche del management.
La sorte di ENI sembra parallela a quelle delle poche altre grandi aziende semi-pubbliche italiane, in primis Finmeccanica. Se per quest’ultima però le manovre tese a mantenerla dentro un politicamente rassicurante – ma economicante disastroso – perimetro d’azione commerciale euroatlantico sembrano avere ottenuto gli effetti desiderati, non si può ancora dire la stessa cosa per ENI, anche se entrambe lavorano in settori sensibili e strategici. E’ evidentemente decisiva in tal senso la direzione aziendale di ENI che, a differenza di quella di Finmeccanica, è ancora capace di esprimere una certa dose di forza, autonomia e continuità di vedute, pur in presenza di un quadro politico italiano inerte se non apertamente ostile. 
Il recente annuncio di Paolo Scaroni dell’accordo raggiunto con la China National Petroleum Corporation si inserisce all’interno di questo complesso quadro. Con il ceo Zhou Jiping di Petrochina Company Limited, società controllata da CNPC, è stato firmato un accordo per la vendita del 28,57% delle azioni della società Eni East Africa, titolare del 70% della partecipazione nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico, in Africa, dove si trovano alcuni dei più importanti giacimenti mai scoperti da ENI nella sua storia. Contestualmente, ENI e CNPC hanno firmato un joint study agreement per la cooperazione finalizzata allo sviluppo del blocco a shale gas Rongchang, che si estende per circa 2.000 chilometri quadrati nel Sichuan Basin, in Cina.
E’ un accordo di mutuo vantaggio. L’ingresso nel gas non convenzionale in Cina rappresenta un’enorme opportunità di business per l’azienda italiana, dato l’incredibile sviluppo che sta attravendo il grande paese asiatico affamato di energia. Dall’altra parte, lavorare con ENI in Africa permette alla CNPC di sfruttare i posizionamenti italiani per consolidare ed ampliare la propria penetrazione nel continente. La Cina è alla ricerca di sempre nuove fonti energetiche per sostenere i suoi alti tassi di sviluppo e la partnership con i paesi dell’Africa è considerata di fondamentale importanza in questo senso. Pechino ha d’altronde un modus operandi con questi paesi diamentralmente opposto alle prassi colonialiste e neocolonialiste che contraddistinguono numerosi paesi occidentali, permettendole di essere ben vista dalle popolazioni locali; una prassi che ricorda molto da vicino quella incarnata da Enrico Mattei – che ha improntato il lavoro dell’azienda italiana per tantissimi anni – e che potrebbe essere un ulteriore punto di contatto per ampliare la collaborazione tra le due realtà aziendali in altri paesi del continente africano. 
Aiutare la penetrazione cinese in Africa – così come è stato fatto con la Russia attraveso Gazprom – non è certamente in linea con la strategia occidentale volta al contenimento della Repubblica Popolare nel continente. Questa alleanza tra ENI e CNPC rappresenta pertanto un ulteriore “peccato” commesso dall’azienda di San Donato Milanese, anche se le è economicamente molto vantaggioso con proficue ricadute per tutto il sistema-Italia; come e quando dovrà essere “lavato” questo peccato lo vedremo nel prossimo futuro sulla pelle di tutti quegli italiani che fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese. 

mardi, 19 mars 2013

Mijmeringen over een Eurazische toekomst

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Jörg ASTMANN:

Mijmeringen over een Eurazische toekomst

 

Toen me werd gevraagd om deze bijdrage te schrijven, was ik net terug in België van een trip naar het fabelachtige, en toch o zo vibrerende Moskou, veel meer dan Rome en andere hoofdsteden van het vermoeide en op drift lijkende Europa, de enige stad die vandaag de dag het epitheton “Eeuwige Stad” verdient.

Het “Derde Rome” van vroegere generaties politieke exponenten is vandaag nog steeds een waarlijk imperiale stad, die in elke vezel de ambitie van het herwonnen centrum van de Eurazische ruimte uitstraalt.

Niet dat de overdreven protserigheid van de eindeloze winkeletalages en hun dito bezoekers geen weinig benijdenswaardig kantje van de zaak zijn, maar daar zullen we het in dit essay nu even niet over hebben.

 

Doorheen de discussies over de historische rol van Vladimir Poetin en de ontwikkelingskansen van de Eurazische Unie, kwam tijdens de gesprekken en interviews met aimabele, doch bij de pinken zijnde Russische gesprekspartners uit de universitaire en mediawereld steeds opnieuw de vraag naar de identiteit van Rusland naar boven.

De aloude discussie: Europees of Aziatisch? Eurazische grootruimte of eenzame blanke macht auf verlorenem Posten in Noord-Azië?

Het zijn vraagstellingen die, zoals ik hierboven schreef, niet nieuw zijn en naar mijn bescheiden mening ook nooit voorgoed zullen worden beslecht.

Misschien ligt dat wel aan het hybride karakter van wat in het ontzielde Westen nogal gemakzuchtig-romantiserend “de Russische ziel” wordt genoemd: de ziel van een van oorsprong Oostslavisch-Finoegrisch-Scandinavische staat, die in volle middeleeuwse ontwikkeling krachtig onder de voet wordt gelopen en cultureel wordt doordrenkt door de nazaten van de grote Khan, om zich vanaf de 16de eeuw dan resoluut te wijden aan zijn historische missie, zijnde het integreren van de landen van de Grote Steppe en aangrenzende gebieden tot één aaneengesloten geheel, culminerend in de ambitie om dit Rijk een trapje hoger te tillen naar een wereldmacht met een ongeziene aantrekkingskracht op de rest van de onder het juk van het grove geld gebukt gaande wereldbevolking. Of toch delen daarvan.

 

Op delen die er – politiek, militair, economisch – toe deden en nog steeds, zij het in iets mindere mate dan pakweg een halve eeuw geleden, toe doen, was deze aantrekkingskracht veel minder groot: het zogezegde Westen – lees: de VS en de rest van de anglosphere, aangevuld met de verliezers van beide Wereldoorlogen: Europa en Japan.

U leest het goed: de verliezers van de twee Wereldoorlogen, heus niet enkel Duitsland, Japan en occasionele bondgenoten. Ook de “winnaars” Frankrijk en het Verenigd Koninkrijk, en het dozijn kleinere Europese staten en staatjes.

 

En de Sovjetunie, ja, de Sovjetunie betaalde een heel zware prijs, en ongetwijfeld heeft dit haar steile opgang na de Tweede Wereldoorlog ook enigszins gefnuikt, tot grote, heimelijke genoegdoening van haar concurrenten over de grote plas.

Of was het allemaal zo gepland? Hebben de financiers van Wall Street daadwerkelijk een doorslaggevende rol gespeeld in het doen imploderen en revolutioneren van het Russische Rijk, en van de andere keizerrijken van het Oude Europa?

Samenzweringstheorieën doen het altijd goed bij een daarvoor vatbaar deel van de bevolking, maar nooit bij hen die zichzelf au sérieux nemen. Ahum.

 

Wat er ook van zij, dergelijke slachtingen hebben generaties na het gebeurde nog steeds verstrekkende gevolgen.

 

Plaats dat in het grotere plaatje van de Europese burgeroorlog tussen 1914 en 1945 – sommigen gewagen van de Tweede Dertigjarige Oorlog -, en de menselijke en culturele tol wordt nog verschrikkelijker.

De Russische geschiedenis van dit tijdsgewricht toont een bijzonder jammerlijk beeld: na de slachtingen in de loopgraven van de Eerste Wereldoorlog, met een leger vol pronkerige officieren en soms met slechts stokken bewapende soldaten, volgen de wreedheden van de Burgeroorlog tussen Wit en Rood, pakkend beschreven in de nog steeds beklijvende memoires van de voormalige Duitse krijgsgevangene en latere nationaal-revolutionair Edwin Erich Dwinger, Zwischen Weiß und Rot. Die russische Tragödie 1919-1920.

 

Na een periode van nieuwe moed en revolutionaire experimenten is het de beurt aan Stalin om wat er rest aan oude structuren nog eens grondig overhoop te halen en de veelgeroemde Russische ziel danig op de proef te stellen. Zowat elke familie in de voormalige Sovjetunie kan daarvan meespreken.

Al willen we natuurlijk niet elke daad van de Vader der Volkeren negatief duiden. Zijn mobilisatie van alle krachten in de Sovjetsamenleving na een eerste fase van vertwijfeling na de Duitse inval, dwingt ook vandaag nog respect af. Zijn opbouw van de Sovjetmacht tot een geopolitieke en militaire gigant evenzeer.

Er zijn vele aspecten aan de voormalige Sovjetleider die in het Westen vaak te weinig belicht worden.

 

Maar wat blijkt?

Ondanks de wreedheden, die werden begaan door de troepen van nazi-Duitsland, ondanks de wraak van Sovjetsoldaten op de bevolking van, ondermeer, Oost-Pruisen en Berlijn, ondanks de veelvuldige, diepzittende wonden, blijven de Duitsers het volk dat als enige van de Europese volkeren ten volle in staat is om de Russische ziel te vertalen, te duiden en te her-talen naar de sceptische, individualistische West-Europeaan toe.

 

Ik moet bekennen dat mijn Ruslandbeeld in een eerste fase door het Duitse Ruslandbeeld beïnvloed werd.

Of beter gezegd: het positieve Ruslandbeeld, dat van die vele Duitsers en Oostenrijkers die, al dan niet doorspekt met persoonlijke ervaringen uit oorlogs- en andere tijden, die magische wereld van mystiek en oneindigheid in de meest zoete bewoordingen beschreven.

 

Niet het Ruslandbeeld van die andere Duitsers, de Duitsers uit de atlantische traditie – Hitler voorop -, voor wie de Russische ruimte een despotisch geregeerde buitenaardse planeet is.

Of erger, ranziger.

Dat Duitsland bestaat helaas ook, en ik zou durven stellen dat het zelfs anno 2013, zij het in een “gekuiste”, niet-racistische versie, nog steeds een niet te verwaarlozen deel van de Duitse elite uitmaakt.

Dat officiële Duitsland, van de Atlantik-Brücke tot het journalistieke geweld van de Springerpresse, met slechts enkele uitzonderingen die de spijtige regel bevestigen.

Het Duitsland dat zich liever opwerpt als de beste Europese leerling in dienst van de meesters van het internationale grootkapitaal, dan het hart van een zelfbewust en traditiegericht Europa te zijn.

 

Terug naar ons Ruslandbeeld.

De vraag is wat dat positieve beeld precies beschrijft: een beeld van Rusland als nationale staat der Russen of een beeld van de Eurazische ruimte, grosso modo het vroegere Russische Rijk of de Sovjetunie, dat mysterieuze gebied van steppen, taiga, toendra en woestijnen, dat veelvolkerenrijk, naar de woorden van Andreas Kappeler, dat, méér dan een nationale staat in de (West-)Europese betekenis van het woord, een schoolvoorbeeld was en is van een staatsdragend volk – de Russen, of zie de hierboven summier geschetste genealogie – dat zichzelf, surfend op zijn eigen losbarstende passionariteit – dixit Lev Gumiljov – overstijgt en zich als een veelkleurige vlinder ontpopt tot een rijksvolk, dat zijn samenstellende volkeren door eenheid in verscheidenheid integreert tot een nieuwe identiteitslaag, de Euraziër.

Dit alles zonder zijn eigen nationale, Russische identiteit te verliezen, of dit van de andere samenstellende volkeren te vragen. Of toch min of meer.

 

En meer nog dan de som van zijn samenstellende delen en meer nog dan een sterke geopolitieke realiteit is dit Eurazië, gebaseerd op zijn rijke culturele tradities, een Rijk van de Geest, een rijk van het Land, van de Kwaliteit, dat staat tegenover het Rijk van de Zee, van de vloeibaarheid, de massa, de kwantiteit. Het Rijk van de Orde tegen dat van de chaos. Het Rijk van Sint-Joris tegen het rijk van de draak, van de duivel.

De Russische dubbeladelaar met zijn wapenschild spreekt wat dat betreft boekdelen en het is ongelooflijk veelzeggend dat de Russische staat dit staatsembleem in ere hersteld heeft.

Het vat zijn ambitie ten volle samen.

 

Het is in de Russische ziel, die, doorheen historische ervaringen en interculturele uitwisseling met voornamelijk Turks-Mongoolse volkeren, mens geworden is in de Euraziër, dat wij als West-Europeanen een glimp opvangen van wat de mens in zijn bindingen met de wereld was en nog zou moeten zijn: een mens gebonden in de Traditie, in de Orde.

 

Alleen is een glimp niet genoeg voor de Europeaan: er moet een alternatief voor de huidige toestand voorhanden zijn. Een alternatief dat rekening houdt met het feit dat het civilisatorische subject van de Euraziër niet zomaar getransponeerd kan worden naar het individualistische West- en Centraal-Europa, met zijn eigen cultureel-historische ervaringen.

Het is mooi als voorbeeld, maar de Europeanen moeten hun eigen invulling geven aan de terugkeer naar de Traditie.

Slechts een terugkeer naar die Traditie, en, bijgevolg een afkeer van de materie, van de moderniteit in al haar vormen, van het liberalisme in al zijn uitingen, vermag de fundamenten te leggen voor een politiek en economisch partnerschap met de rest van Eurazië, en met de Russische ruimte in het bijzonder.

 

Een economische, of zelfs politieke aaneensluiting, is slechts het sluitstuk van iets wat veel fundamenteler is dan alledaagse economie of politiek.

Een vrijhandelsruimte van Lissabon tot Vladivostok, en van Reykjavik tot Delhi is slechts het logische gevolg van een mentale, zelfs metafysische aaneensluiting op basis van de afwijzing van de (post-)moderniteit.

 

Deze weg, en dat moge duidelijk zijn, zal niet over rozen verlopen.

Er is namelijk een gigantisch probleem – naast andere, meer alledaagse problemen, zoals het geopolitieke en economische eigenbelang van nationale staten.

 

Om het juiste uitgangspunt te bereiken, moeten de Europeanen nu uitgerekend breken met wat hen rest aan grootsheid uit hun eigen geschiedenis, moeten zij, met andere woorden, een haast rituele zuivering ondergaan.

 

Want, laat ons eerlijk wezen, het is allemaal mooi dat de rest van de wereld het Westen, en Europa in het bijzonder, kastijdt omwille van zijn koloniale verleden en alle mede daaruit voortvloeiende cultuurverschijnselen – niet in het minst de eurocentrische blik op de wetenschappen. Dat neemt niet weg dat dit, in de ogen van de rest van de wereld verachtelijke, verleden mede een onderdeel is van de Europese identiteit en hoe deze beleefd wordt.

 

Met andere woorden, indien Alexander Doegin in zijn Fourth Political Theory pleit voor een alliantie van alle antimoderne krachten ter wereld, dus ook in Europa, dan moet hij beseffen dat hij, afgezien van enkele politieke randgevallen – “identitairen” en andere, door westerse inlichtingendiensten gemanipuleerde politclowns -, nooit aansluiting krijgt bij wat de massa in Europa voelt en hoe ze in deze onzekere tijden verder wenst te evolueren naar iets wat op een mooie toekomst voor de Europeanen lijkt.

Doegins analyse van de moderniteit is correct en lovenswaardig, alleen is deze op maat gesneden van Russen, Chinezen, Latijns-Amerikanen, enzovoort, maar veel minder op maat van de Europeaan zelf, omdat Doegins analyse in het geval van de Europeaan tegelijk een soort diagnose is, waarbij de genezing in veler ogen gelijk staat met euthanasie.

De Europeaan moet dus een daadwerkelijk alternatief krijgen alvorens men een kans heeft hem te overtuigen van de noodzaak om het roer om te gooien en wat er rest van de wereld te behoeden voor de neoliberale ondergang.

 

En dat alternatief moet rekening houden met de culturele eigenheid van de Europeanen, en mag niet de fout maken om gegrondvest te zijn op een cultureel-historische vernedering en ontworteling van de Europeanen. De moderniteit zelf heeft wat dat betreft al meer dan haar “best” gedaan in de Europese samenlevingen.

Dat alternatief moet ook rekening houden met het feit dat de verhouding van een orthodoxe Rus tot een islamitische Tataar anders is gegroeid dan de verhouding tussen een ontwortelde, ontkerkelijkte Europeaan en een ontwortelde, maar islamitisch gebleven Noord-Afrikaan uit de massamigratie. Om maar één voorbeeld te noemen.

 

Laat ons heel eerlijk zijn: allianties met Afrikaanse en Latijns-Amerikaanse partners zijn allemaal zeer wel en lovenswaardig, het raakt niet eens de koude teen van hypermacht Amerika. En deze van de internationale financiële groepen achter uncle sam nog minder. Enkele drones of een paar gerichte aanslagen, en het probleem is van de baan.

 

Het is pas wanneer de Europeanen toetreden tot de globale alliantie tegen de krachten van de moderniteit, dat deze alliantie kans op slagen heeft.

En wie zegt Europa, zegt toch op de eerste plaats – laat ons daar nuchter in blijven – Duitsland.

Het is precies dat land, dat nog niet zo lang geleden door zijn eigen minister van Financiën Schäuble werd omschreven als een land dat sinds de capitulatie van de Wehrmacht in 1945 niet meer soeverein is geweest, dat, meer dan andere Europese landen, bevrijd moet worden van de atlantistische clique die het land en zijn volk opnieuw in de dieperik dreigt te storten, als ze haar weg van Europa-wijde blinde begrotingsdiscipline, 1-euro-jobs en Umvolkung mag voortzetten.

We willen wat dat betreft verwijzen naar de groeiende anti-Duitse stemming, niet enkel in de Europese Unie.

 

Het is ook precies Duitsland, dat de brug kan vormen met de Eurazische ruimte, meer nog dan het Frankrijk met zijn vele nakomelingen van Russische emigranten en zijn russofiel gaullisme, meer nog dan Italië met zijn vele antikapitalistische sympathisanten van de Eurazische zaak, meer nog dan het nuchtere Zweden met zijn geografische en mentale nabijheid, en meer nog dan de Slavische broeders uit het westen, die al te vaak uit kortzichtigheid en onverwerkte historische trauma’s gemene zaak maken met de geopolitieke belangen van de VS.

 

De officier-avonturier Oskar von Niedermayer en zijn ideologische mentor Ernst Niekisch, hoofdfiguur van de Duitse Nationaal-Bolsjevieken, wisten het al: het is het Pruisische aspect in Duitsland – in 1947 in zijn staat geworden vorm afgeschaft door de geallieerden –, de “geest van Tauroggen”, die de ware brugfunctie met de Eurazische ruimte vormt.

Jammer dat de DDR wat dat betreft de verwachtingen tijdens de Koude Oorlog niet of onvoldoende heeft ingelost!

 

Net zoals het Oostenrijkse element voor West-Europa de brug kan vormen naar de Turkse ruimte en het Midden-Oosten.

 

Beide vroegere Germaanse machten – in de woorden van de generaal en geopoliticus Heinrich Jordis von Lohausen ooit de hoekstenen van de Europese ordening, nu nog slechts beperkt overlevend in bepaalde staatstradities van hun opvolgerstaten – zijn essentieel voor de mentale aaneenschakeling waarvan ik hierboven sprak.

Beide elementen zijn essentieel om de rest van Europa de weg te tonen naar een Eurazië, en, bij uitbreiding, een wereld waar de postmoderniteit en het postliberalisme niet verder kunnen uitgroeien tot de enige, niet langer als een ideologie beschouwde, maar als “natuurlijk” aangevoelde condition humaine.

 

Hoe moet die Eurazische toekomst er dan concreet uitzien, na de overwinning op de machten van de moderniteit, die van het Euraziatische continent – niet enkel van Rusland, maar ook van Europa, China en India – één gigantische kolonie van ruwe en menselijke grondstoffen willen maken?

In dit Groot-Eurazië als groothandelsruimte tussen Lissabon en Vladivostok, als völkerrechtliche Großraumordnung mit Interventionsverbot für raumfremde Mächte, om het met de woorden van de legendarische Carl Schmitt te zeggen, komt de centrale plaats zonder twijfel toe aan de Russische Federatie als kern van de voormalige Sovjetruimte – de ruimte van de voormalige Sovjetunie of Eurazië in de zin van de evrazii en als brug tussen Europa en Azië proper -, met aan haar flanken sterke en betrouwbare bondgenoten, zoals Duitsland en Frankrijk in het westen – al dan niet in een hervormde Europese Unie -, en Iran en India in het zuiden. Wat betreft de Turkse wereld en de Chinese wereld, gekristalliseerd rond respectievelijk Turkije en China, daar zal de toekomst moeten van uitwijzen wat hun plaats in dit geheel is.

 

Door de Turkse volkeren in de Russische Federatie en de snelweg van de Grote Steppe is er via de Eurazische ideologie natuurlijk een directe link met Turkije mogelijk – we verwijzen naar het pionierswerk van de hierboven aangehaalde geniale historicus en etnoloog Lev Gumiljov -, maar de geschiedenis leert ons ook dat de (Anatolische) Turken vaak, zoniet altijd geopolitieke vijanden van Europa én Rusland zijn geweest. Bovendien staat Turan altijd in oppositie met Iran, staat de Turks-Mongoolse traditie doorheen de geschiedenis, ondanks interculturele wisselwerking, tegenover de Indo-Europese traditie. Maar het blijft mogelijk om tot een vergelijk te komen.

Vooral als een veelbelovend land als Kazachstan, de parel van de Eurazische Steppe, hierin het voortouw neemt.

 

Hetzelfde geldt voor China. Mij lijkt de Shanghai Cooperation Organisation vooral een bondgenootschap te zijn dat op de eerste plaats de belangen van China dient en het de nodige ademruimte in de op gang komende globale strijd tegen de Amerikaanse hegemonie verschaft.

We zijn benieuwd om te zien in welke mate China zijn bevolkingsoverschot in de toekomst enkel naar de verre landen van het zuiden – Australië op de eerste plaats - zal duwen, en niet het onmetelijke land boven de Amur in bezit zal willen nemen. Me dunkt is dit een gevaar waar de meeste evrazii te licht over gaan, en waar we – misschien voor één keer – in het Westen een nuchterder kijk op hebben?

 

Waar we evenwel met al deze en vele andere actoren uit Azië, Latijns-Amerika en Afrika in moeten overeenstemmen, is in onze afwijzing van de postmoderniteit, van het neoliberalisme, van de clash-of-civilizations-retoriek en van de breuk met de Traditie, en in ons gezamenlijk streven naar een multipolaire wereld, die vertrekt van de complementariteit van culturen die respect hebben voor elkaars eigenheid en voor de Traditie die ons allen verbindt.

 

Jörg Astmann,

Brussel, maart 2013.

mardi, 12 mars 2013

Sull’orlo del precipizio

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Sull’orlo del precipizio

Venerdi 15 marzo a Roma

Sull’orlo del precipizio: cause, conseguenze e possibili soluzioni della crisi economica in Italia ed Europa.

Via del Quirinale, 26 Roma

Ore: 16:30

Introduce e modera: Stefano Vernole (Cesem, Eurasia)

Intervengono

Bruno Amoroso (economista, docente presso l’Università di Roskilde in Danimarca

Nino Galloni (economista, ex funzionario del Ministero del Tesoro)

Giacomo Gabellini (Cesem, Eurasia, autore del libro “La Parabola. Geopolitica dell’unipolarismo statunitense”)

 

Organizza il Centro Studi Eurasia Mediterraneo (Cesem – www.cese-m.eu)

Ingresso Libero

mercredi, 27 février 2013

La Russie aux temps postmodernes

La Russie aux temps postmodernes

par Georges FELTIN-TRACOL

 

RUSSIAN-1-1.jpgPenseur néo-eurasiste influencé par les œuvres de René Guénon et de Julius Evola, polyglotte émérite à l’insatiable curiosité, Alexandre Douguine incarne pleinement ce que le communiste italien Antonio Gramsci qualifiait d’« intellectuel organique ». L’auteur d’une abondante bibliographie qui va de la géopolitique à l’étude sociologique des musiques contemporaines vient de publier la traduction française de sa Quatrième théorie. Il faut en saluer la parution tant ses écrits demeurent rares et méconnus dans le monde francophone. La sortie de cet essai est un grand événement éditorial !

 

Lecteur attentif d’Arthur Moeller van den Bruck, de Claude Lévi-Strauss, de Georges Sorel, Alexandre Douguine s’est aussi inspiré des travaux de Martin Heidegger, Francis Fukuyama, Carl Schmitt, Gilles Deleuze ou Guy Debord.

 

Pragmatique partant d’un constat accablant, le fondateur du Mouvement international eurasien se demande : « Comment faire de la politique quand il n’y a pas de politique ? Il n’existe qu’une seule solution : refuser les théories politiques classiques, tant vaincues que triomphantes, et faire preuve d’imagination, saisir les réalités du nouveau monde global, déchiffrer correctement les défis du monde postmoderne et créer quelque chose de nouveau, au-delà des affrontements politiques des XIXe et XXe siècles (p. 12). » Prenant par conséquent acte de la victoire de la pensée libérale qu’il appelle “ Première théorie ” et des échecs du communisme, « Deuxième théorie », et du « fascisme » (au sens très large du mot), « Troisième théorie », Alexandre Douguine esquisse une « Quatrième théorie politique » « non pas comme un travail ou une saga d’auteur, mais comme la direction d’un large spectre d’idées, d’études, d’analyses, de prévisions et de projets. Tout individu pensant dans cette optique peut y apporter quelque chose de soi (p. 13) ».

 

Cela fait très longtemps qu’Alexandre Douguine était en quête d’une nouvelle solution politique. Dès 1994, il en exposait les prémices théoriques dans un entretien passé inaperçu paru dans le n° 119 nouvelle série du magazine Le Crapouillot (mai – juin 1994), intitulé « Créer l’Europe des ethnies (pp. 9 – 13) ». Estimant que « le temps de la gauche anti-capitaliste est définitivement passé (art. cit., p. 9) », Douguine prévoyait l’entrée « dans l’ère de la droite anti-capitaliste – donc nationaliste, identitaire, différencialiste et organiciste (art. cit., p. 9) ». Il ajoutait plus loin que « nous sommes en présence de la naissance de la nouvelle idéologie anti-libérale, qui unira, en son sein, trois tendances politiques collectivistes, à savoir : le nationalisme, le socialisme et la démocratie, en opposition à la tendance libérale qui est essentiellement individualiste (art. cit., p. 12) ».

 

Contre le libéralisme postmoderne

 

Une nouvelle vision du monde s’impose, car le début du XXIe siècle marque l’achèvement de l’ère moderne ainsi que l’obsolescence de ses trois grandes théories mobilisatrices au profit d’une fluidité croissante et d’une mutation majeure de la doctrine libérale elle-même. Ce changement s’opère néanmoins dans un monde saturé d’idées libérales qui, du fait de leur réussite même, engendrent un « post-libéralisme » ou un « libéralisme 2.0 », promoteur d’une « société de marché globale (p. 21) ». C’est parce que « le libéralisme, mettant toujours l’accent sur la minimalisation du politique, a décidé, après sa victoire, de supprimer de façon générale la politique (p. 11) » que « le monde global doit être dirigé seulement par les lois économiques et la morale universelle des “ droits de l’homme ”. Toutes les décisions politiques sont remplacées par des techniques (p. 21) ». Ce « post-libéralisme » commence même à modifier la nature humaine. Douguine désigne donc clairement « le libéralisme et ses métamorphoses (p. 37) » postmodernistes (terme à préférer à celui de « post-moderne ») comme l’ennemi principal à abattre. Émanation des Lumières, « l’individualisme est devenu le sujet normatif à l’échelle de toute l’humanité. Apparaît alors le phénomène de la mondialisation, et le modèle de la société post-industrielle commence à se manifester, l’époque du postmoderne commence. Désormais, le sujet individuel n’apparaît plus comme le résultat d’un choix mais comme une certaine donnée générale obligatoire. La personne est libérée de  “ l’appartenance ”, l’idéologie “ des droits de l’homme ” devient communément acceptée (du moins – en théorie) et, dans les faits, obligatoire. L’humanité, composée d’individus, tend naturellement vers l’universalité, devient globale et unifiée. Ainsi naît le projet d’« État mondial » et de “ gouvernement mondial ” (le globalisme) (p. 20) ». Ses méfaits, réels, insidieux et profonds, dévastent tout autant les milieux naturels pollués que les psychismes. Il relève que « la logique du libéralisme mondial et de la mondialisation nous tire vers l’abîme de la dissolution postmoderniste dans la virtualité. Notre jeunesse a déjà un pied dans cet abîme : les codes du globalisme libéral s’introduisent de plus en plus efficacement au niveau de l’inconscient, dans les habitudes, la publicité, le glamour, les technologies, les modèles de réseau. La perte de l’identité, non seulement nationale ou culturelle mais aussi sexuelle et bientôt humaine, est désormais chose commune. Et les défenseurs des droits de l’homme, sans remarquer la tragédie de peuples entiers sacrifiés selon les plans cruels du “ nouvel ordre mondial ”, hurleront demain à la violation des droits des cyborgs ou des clones (p. 54) ». L’égalitarisme prôné par le « libéralisme 2.0 » est l’ultime réductionnisme de l’Occident globalitaire anomique.

 

Ce dispositif total, néo-totalitaire, de nivellement général bénéficie d’un redoutable modèle attractif : les États-Unis d’Amérique. Fille de la Modernité et matrice d’un postmodernisme « ultra-moderne », « l’Amérique prétend désormais à une diffusion universelle d’un code unitaire, qui pénètre dans la vie des peuples et des États par des milliers de voies différentes – comme le réseau global – à travers la technologie, l’économie de marché, le modèle politique de la démocratie libérale, les systèmes d’information, les clichés de la culture de masse, l’établissement du contrôle stratégique direct des Américains et de leurs satellites sur les processus géopolitiques (p. 47) ».

 

Décomposition des droites et des gauches

 

Contre cette « Hydre de Lerne » postmoderniste, un regard critique sur l’histoire des idées politiques est indispensable afin de concevoir une théorie novatrice. Alexandre Douguine prévient qu’elle « ne peut être une tâche individuelle pas plus que celle d’un petit cercle d’individus. L’effort doit être synodique, collectif. Les représentants d’autres cultures et d’autres peuples (d’Europe, ainsi que d’Asie), qui se rendent compte également de façon aiguë de la tension eschatologique du moment présent (p. 32) ». On y décèle ici la double influence de l’« impersonnalité active » chère à Evola et du sobornost de l’Orthodoxie. Il espère que la Quatrième théorie politique sera « une alternative au post-libéralisme, non pas comme une position par rapport à une autre, mais comme idée opposée à la matière; comme un possible entrant en conflit avec le réel; comme un réel n’existant pas mais attaquant déjà le réel (p. 22) ».

 

À cette fin, il devient utile de dresser la généalogie et la taxinomie des idées politiques modernes. L’anti-conformisme de la démarche de Douguine est déjà ancienne puisque cela fait longtemps qu’il propose de comprendre les auteurs de l’ultra-gauche d’un œil révolutionnaire-conservateur et de commenter les penseurs de l’« extrême droite » à l’aune de Marx, de Toni Negri et d’autres théoriciens gauchistes. Tout en reprenant la distinction classique entre la « droite » et la « gauche », Douguine dynamite en réalité cette dichotomie familière en discernant trois idéologies de « gauche » : les « vieilles gauches » avec les marxistes, les sociaux-démocrates et les zélateurs travaillistes d’une pseudo-« troisième voie » du Britannique Giddens, gourou de Tony Blair; les « nouvelles gauches » qui rassemblent sous ce label les néo-gauchistes, les altermondialistes et les postmodernistes genre Negri; et les « nationalistes de gauche », à savoir les tendances nationales-bolcheviques, nationales-communistes et « nationales-gauchistes ». Quant à la « droite » que Douguine préfère nommer « conservatisme » parce que c’« est un “ non ” adressé à ce qui est autour. Et au nom de quoi ? Au nom de ce qui était avant (p. 86) », il distingue :

 

— le conservatisme fondamental où l’on retrouve les écoles de la Tradition et les monothéismes dits « intégristes », y compris un certain islamisme;

 

— le libéral-conservatisme qui « dit “ oui ” à la tendance principale qui se réalise dans la modernité mais s’efforce de freiner à chaque nouvelle étape de la réalisation de ces tendances (p. 92) »;

 

— les forces conservatrices-révolutionnaires qui « ne veulent pas seulement geler le temps à la différence des libéraux-conservateurs ou encore revenir dans le passé (comme les traditionalistes) mais arracher à la structure de ce monde les racines du mal et annihiler le temps en tant que propriété destructrice de la réalité, réalisant le dessein secret, parallèle et insoupçonné de la Divinité elle-même (p. 97) ».

 

Douguine analyse finement l’approche contre-révolutionnaire (Maistre, Bonald, etc.) pour qui « le postmoderne avec sa dérision suive son cours, qu’il dissolve les paradigmes déterminés, l’ego, le super-ego, le logos, que le rhizome et les masses schizophréniques ainsi que la conscience morcelée entrent en jeu et que le néant entraîne derrière lui tant le contenu du monde, alors s’ouvriront des portes secrètes et les archétypes ontologiques anciens, éternels, apparaîtront à la surface et de façon terrible mettront fin au jeu (pp. 99 – 100) ».

 

Après avoir déterminé idéalement ces tendances politiques, Alexandre Douguine les recherche sur la scène politique russe avec d’inévitables mélanges contextuels. Le Parti communiste de la Fédération de Russie de Guennadi Ziouganov est sans conteste national-communiste alors que le mouvement Rodina (« Patrie ») fut inconsciemment national-gauchiste. Si l’opposition à Vladimir Poutine, malgré Limonov, verse plus ou moins dans le libéralisme et l’occidentalisme, Russie unie défend une conception sociale-conservatrice. Enfin, son eurasisme radical puise à la fois dans la Tradition et dans la Révolution conservatrice. Mais toutes les formations politiques russes communient dans un ardent patriotisme, ce que ne comprennent pas les observateurs occidentaux…

 

Il ne fait guère de doute que l’eurasisme constitue, aux yeux d’Alexandre Douguine, le cœur de la Quatrième théorie politique. Discutant des thèses culturalistes du « choc des civilisations » de Samuel Huntington, il dénie à la Russie tout caractère européen. Par sa situation géographique, son histoire et sa spiritualité, « la Russie constitue une civilisation à part entière (p. 167) ». Déjà dans son histoire, « la Russie – Eurasie (civilisation particulière) possédait tant ses propres valeurs distinctes que ses propres intérêts. Ces valeurs se rapportaient à la société traditionnelle avec une importance particulière de la foi orthodoxe et un messianisme russe spécifique (p. 146) ». Et quand il aborde la question de la Russie et de son peuple-noyau, les Russes issus des Slaves orientaux, Alexandre Douguine déclare son amour à son peuple et à sa terre. « Peuple du vent et du feu, de l’odeur du foin et des nuits bleu sombre transpercées par les gouffres des étoiles, un peuple portant Dieu dans ses entrailles, tendre comme le pain et le lait, souple comme un magique et musculeux poisson de rivière lavé par les vagues (p. 302) », les Russes incarnent un peuple tellurique.

 

Un conservatisme rénové

 

Via l’eurasisme s’élabore une nouvelle approche du conservatisme, un conservatisme repensé, révolutionnaire et adapté à la phase post-moderne des temps. Alexandre Douguine affirme que « le conservateur aime ce qui est grand et dans l’homme, il aime ce qui est grand et élevé (p. 111) ». Il est logique que « le conservatisme, défendant l’éternité, défend également l’éternité de l’homme, de l’homme en tant que structure douée de signes intangibles et d’une vie inaliénable. L’Homme est un concept conservateur (p. 110) ». La modernité libérale et le postmodernisme post-libéral nient au contraire l’homme singulier pour mieux valoriser un homme abstrait doté de droits fallacieux ou extravagants (voir la dernière lubie lyssenkiste en date avec la pseudo-théorie du genre).

 

« Pluralisme gnoséologique, [… l’eurasisme est] une forme spécifique de conservatisme, qui se différencie des autres versions de conservatisme proches (à la différence du libéral-conservatisme), par le fait qu’elle trouve une alternative au moderne non pas dans le passé, ou dans un renversement conservateur révolutionnaire exceptionnel, mais dans les sociétés cœxistant avec la civilisation occidentale mais géographiqement et culturellement distinctes d’elle (p. 101). » Fort de ce constat, Douguine se permet de « déconstruire » la démocratie dans sa pratique libérale hypocrite. Il remarque d’abord que « le principe de prise de décisions collectives constitue le fondement de la démocratie (p. 58) » et que « la démocratie constitue la forme d’organisation politique la plus ancienne, la plus archaïque, la plus primitive et, si l’on veut, la plus barbare (p. 57) ». Ne craignant pas de se mettre à dos les belles âmes occidentalocentrées, il assène que « la démocratie ne reconnaît aucunement l’égalité des individus. Elle comporte une limite très stricte qui sépare ceux qui ont le droit de participer à l’extase politique de la décision de ceux qui ne le peuvent pas (p. 58) ». L’octroi du droit de vote aux étrangers va à l’encontre de cette stricte différenciation et favorise plutôt « la tyrannie [qui] remplace la démocratie en tant que forme d’organisation politique plus contemporaine où pour la première fois se manifeste très clairement un individu distinct, dans notre cas le tyran (pp. 59 – 60) ».

 

L’émergence d’une nouvelle figure tyrannique résulte de l’occidentalisation du monde. « Puisque modernisation et occidentalisation constituent des synonymes (Occident = moderne), il est impossible de mener une modernisation séparée de l’Occident et de ne pas copier ses valeurs (pp. 127 – 128). » Pis, « la fosse noire et vide de sens du postmoderne réalisé brille au centre de l’Occident global, les États-Unis et les pays de l’Alliance transatlantique (p. 138) ». Or, « pour combler le vide, la Russie a besoin d’une nouvelle idée politique. Le libéralisme ne convient pas, tandis que le communisme et le fascisme sont inacceptables (p. 13) ». Dès lors, « seule une croisade mondiale contre les États-Unis, l’Occident, la mondialisation et leur expression politico-idéologique, le libéralisme, peut constituer une réponse adéquate (p. 55) », d’où l’importance d’une Quatrième théorie politique particulièrement adaptée à la Russie.

 

« La lutte contre la métamorphose postmoderniste du libéralisme en postmoderne et un globalisme doit être qualitativement autre, se fonder sur des principes nouveaux et proposer de nouvelles stratégies (p. 22). » C’est le but tactique de l’eurasisme et de la Quatrième théorie politique. Contre le « nomadisme de l’asphalte (p. 258) » célébré par les médiats occidentaux globalitaires ultra-individualistes et ochlocratiques, Alexandre Douguine, en chrétien orthodoxe vieux-croyant conséquent, désigne l’atlantisme, « mal absolu (p. 258) », comme l’hérésie contemporaine contre laquelle le combat doit être implacable. « Pour les eurasistes, le moderne est un phénomène spécifique à l’Occident tandis que les autres cultures doivent démasquer les prétentions à l’université de la civilisation occidentale et construire leur société sur leurs valeurs internes (p. 101). »

 

De l’empire au grand espace

 

Guidé par les travaux de Johann Gottfried von Herder, Friedrich Ratzel, Jean Parvulesco et Raymond Abellio, Alexandre Douguine veut que « l’eurasisme se positionne fermement non pas en faveur de l’universalisme, mais en faveur des “ grands espaces ”, non pas en faveur de l’impérialisme, mais pour les “ empires ”, non pas en faveur des intérêts d’un seul pays, mais en faveur des “ droits des peuples ” (p. 207) ». Dans un monde enfin multipolaire, chaque pôle d’influence mondiale s’édifiera autour d’un grand espace géo-culturel particulier.

 

Homme de Tradition qui se réfère à l’ethnosociologie, à la géopolitique et à la théologie, Alexandre Douguine se défie des concepts d’État et de nation. Si le premier, malgré sa froideur intrinsèque, reste pour lui nécessaire, le second ne correspond pas à l’esprit des steppes eurasiennes. Mais sa critique ne coïncide pas avec celle des libéraux. En effet, pour un libéral, « la “ nation ” désignait l’ensemble des citoyens de l’État, dans lequel s’incarne le contact des individus qui le peuplent, unis par un territoire de résidence commun, ainsi que par un même niveau de développement de l’activité économique (p. 41) ». Quant à l’État-nation, il « représentait une sorte de “ corporation ” ou d’entreprise, créée selon l’accord mutuel de ses participants et qui peut être théoriquement dissoute pour les mêmes raisons (p. 42) ». Or, répondant aux discours tenus par des « nationaux-souverainistes » russes, Douguine affirme que le destin de la Russie n’est pas de devenir une nation, mais de rester un empire. « Entre l’Empire et le “ grand homme ” (homo maximus), il existe une homologie directe. L’Empire est la société maximale, l’échelle maximale possible de l’Empire. L’Empire incarne la fusion entre le ciel et la terre, la combinaison des différences en une unité, différences qui s’intègrent dans une matrice stratégique commune. L’Empire est la plus haute forme de l’humanité, sa plus haute manifestation. Il n’est rien de plus humain que l’Empire (p. 111). » « L’empire constitue une organisation politique territoriale qui combine à la fois une très forte centralisation stratégique (une verticale du pouvoir unique, un modèle centralisé de commandement des forces armées, la présence d’un code juridique civil commun à tous, un système unique de collecte des impôts, un système unique de communication, etc.) avec une large autonomie des formations sociopolitiques régionales, entrant dans la composition de l’empire (la présence d’éléments de droit ethno-confessionnel au niveau local, une composition plurinationale, un système largement développé d’auto-administration locale, la possibilité de cœxistence de différents modèles de pouvoir locaux, de la démocratie tribale aux principautés centralisées, voire aux royaumes) (pp. 210 – 211). »

 

L’idée d’empire est plus que jamais d’actualité dans les faits, car, si l’Union européenne demeure un « empire hésitant (p. 218) », Alexandre Douguine souligne avec raison que les élites étatsuniennes raisonnent, elles, dans ces termes avec le Benevolent empire. Idem chez les islamistes qui rêvent, eux, d’un califat universel et dont « le projet islamique en tant que réponse à la mondialisation américaine coïncide pleinement avec la définition de l’empire. […] Il s’agit d’un projet d’empire mondial alternatif (pp. 217 – 218) ».

 

L’empire correspond de nos jours à la notion géopolitique de civilisation. « La mise en évidence de la civilisation en qualité de sujet de la politique mondiale au XXIe siècle permettra de mener une “ globalisation régionale ”, une unification des pays et des peuples qui se rapportent à une seule et même civilisation (p. 187). » En clair, faire des civilisations des « grands espaces ». Théorisé par Carl Schmitt, l’un des plus grands penseurs du XXe siècle, « le “ grand espace ” ne constitue qu’une autre dénomination de ce que nous comprenons sous le terme de civilisation dans son sens géopolitique, spatial et culturel. Un “ grand espace ” se distingue des États-nations existant aujourd’hui précisément en ceci qu’il se construit sur le fondement d’un système de valeurs et d’une parenté historique, ainsi que par le fait qu’il unit plusieurs, voire un grand nombre d’États différents liés par une “ communauté de destin ”. Dans différents grands espaces, le facteur d’intégration peut varier : dans un cas, la religion peut jouer ce rôle, dans un autre, l’origine ethnique, la forme culturelle, le type sociopolitique ou la situation géographique (p. 188) ».

 

Arme géopolitique anti-mondialiste par excellence, « le “ grand espace ” découle d’une stratégie anticoloniale et présuppose (d’un point de vue purement théorique) une alliance volontaire de tous les pays du continent s’efforçant d’affirmer collectivement leur indépendance (p. 194) ». Ainsi peut-on soutenir, concernant la politogenèse européenne, que « les continentalistes affirment que les États-Unis et l’Europe ont non seulement des intérêts divergents, mais également des valeurs divergentes (p. 140) » parce qu’avec les grands espaces civilisationnels, « il n’y aura aucun étalon universel, ni matériel, ni spirituel. Chaque civilisation recevra enfin le droit de proclamer librement ce qui constitue pour elle la mesure des choses. Ici, ce sera l’homme, là, la religion, ailleurs, l’éthique, ailleurs enfin, la matière (p. 191) ». Si l’Union européenne paraît dans l’impossibilité de former un grand espace impérial conscient de son destin, Douguine appelle cependant les Européens à ne pas céder au fatalisme et au pessimisme. Certes, « aujourd’hui l’axe Paris – Berlin – Moscou apparaît plus que jamais fantomatique mais […] de ces mêmes fantômes naissent parfois de grands phénomènes (pp. 229 – 230) ». Il souhaite en revanche que la C.E.I. (Communauté des États indépendants) et les autres organisations de coopération comme l’Organisation du traité de sécurité collective (O.T.S.C.), la Communauté économique eurasiatique (C.E.E.), l’Organisation de coopération centre-asiatique (O.C.C.E.) et l’Union de la Russie et du Bélarus jettent les bases solides de « l’empire eurasiste du futur (p. 223) » capable d’affronter l’Occident financiariste et mondialiste.

 

Dans cette lutte à venir (mais qui a dès à présent commencé avec les actions médiatiques des bandes pétassières des Pussy Riots et des FemHaine ou les attaques anti-russes des cloportes du Congrès étatsunien), la Russie est à l’avant-poste de la bataille. Toutefois, Douguine se désole que « la position du pouvoir russe contemporain envers l’Occident (dans son incarnation actuelle) demeure indéterminée. Le pouvoir a rejeté un occidentalisme direct sans pour autant occuper une position alternative (slavophile, eurasiste). Le pouvoir s’est figé, de même que quelquefois un ordinateur cesse de fonctionner. Ni dans une direction, ni dans l’autre (p. 165) ». Il déplore que les blindés ne se soient pas entrés dans Tbilissi à l’été 2008. Ces atermoiements sont préjudiciables à la Russie qui, en tant que Troisième Rome potentiel, pourrait déjà pratiquer une diplomatie multipolaire, « même si actuellement seuls l’Iran, le Venezuela, la Syrie, la Bolivie, le Nicaragua, la Corée du Nord, la Biélorussie et, avec prudence, la Chine, la défendent (p. 163) ».

 

Dépassement des idéologies modernes et formulation nouvelle d’un conservatisme traditionnel et impérial, « la Quatrième théorie apparaît donc comme un projet de “ croisade ” contre le postmoderne, la société post-industrielle, le projet libéral réalisé dans la pratique, le globalisme et ses fondements logistiques et technologiques (p. 23) ». C’est une déclaration de guerre qu’il convient d’apprécier ! L’assomption de l’Europe passe bien par la Quatrième théorie politique.

 

Georges Feltin-Tracol

 

• Alexandre Douguine, La Quatrième théorie politique. La Russie et les idées politiques du XXIe siècle, avant-propos d’Alain Soral, Ars Magna Éditions, Nantes, 2012, 336 p., (B.P. 60 426, 44004 Nantes C.E.D.E.X. 1). Pour recevoir le livre, écrire à l’éditeur, en accompagnant cette demande d’un chèque de 32 € franco.

 


 

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mardi, 26 février 2013

Remembering Sven Hedin

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Remembering Sven Hedin

By Savitri Devi

Ex: http://www.counter-currents.com/

Editor’s Note: 

We are presenting the following excerpts from Savitri Devi’s And Time Rolls On: The Savitri Devi Interviews [2] in honor of the birthday of the great Swedish explorer Sven Anders Hedin (February 19, 1865–November 26, 1952). For a brief account of his life and work, see his Wikipedia [3] article. 

Hedin’s feats of exploration and his magnificent books recommend him to the attention of all mankind. What recommends him to the North American New Right is his devotion to the survival and flourishing of European man and civilization, which he believed was endangered by both communism and Anglo-Saxon capitalism.

As a Swede and a European, Hedin saw the Second German Reich as the best vehicle for the preservation of European civilization, and when Germany revived under the Third Reich, he reposed his hopes there, enjoying the friendship and admiration of Adolf Hitler, Hermann Göring, and other leading National Socialists.

As this text also makes clear, Hedin had more than a nodding knowledge of the traditional religions and spirituality of Asia.  

. . . I came back to England from Iceland at the end of ’47, and there I had to struggle a long time too. Until it was possible for Mr. Mukherji to send me a little money. He was himself in difficulty at the time. He had no job after the war. His past injured him a lot from the point of view of jobs. In fact, he couldn’t send me anything until ’48. But I already had a job. I got a job in the dancing company of Ram Gopal as a dresser.[1] I had to take care of the costumes of the girls and all that. It was not badly paid: £5 a week in England, £10 a week abroad. I was taken to France. I was taken to Norway. I was taken to Sweden. We stayed two-and-a-half months in Sweden, and that took me to June ’48.

Of course, I didn’t like the surroundings very much, and I don’t mean the surroundings in Sweden. I mean the surroundings in the company. The stage manager, Mr. Ben Topf, was a Jew. A Jew who said in the train he would like to see the larders full and the arsenals empty in Germany, naturally. And I hated him for it. [. . .]

In Sweden on the 6th of June, 1948 I met somebody extraor­dinary. I met Sven Hedin.[2] I wanted to meet him. I knew he was one of our people. But they told me, “Sven Hedin meets nobody after ’45. He doesn’t want to meet anybody. You can try.” So I wrote a letter to him, and he said, “Yes, you can come on Sun­day. You can come at 2:00.” I came there at 2:00, and I told him, “You see, we are going to Germany on the 14th.” I had been spending two or three nights, up all night, writing papers.[3] I had intended to spend all my salary in Sweden buying chocolate, sardines, butter, cigarettes, putting a paper in each box and throwing them from the windows of the Nord Express. We were going to pass through Germany. “And I’d like to know, can we have any hope?”

He said, “Why do you say, ‘Can we have any hope?’ Do you have no hope?” I said, “Well, I’m doing this just as an act of defiance, but what to do? Those of Nuremberg, they have killed them.” Sven Hedin said, “Don’t fear. Germany has more such men.” I said, “Yes, but when will they appear?” “They’ll appear in time.” And I said to him, “What about the Führer? Is he dead or alive?” He said, “Whether he’s dead or alive, he’s eternal. What does it matter to you?” I said, “I’ll never see him if he’s really not alive.” “Well, even if you do see him, what difference would it make? The war is lost anyhow. And his ideas are true anyhow, even with a lost war.” I said, “You are right. You are right.”

And with this sort of talk and with the encouragement he gave me, he said, “You can distribute your papers if you like, all through Germany. If you get into trouble . . .” I said, “I don’t care. I don’t care if I spend my life in an Allied concentration camp.” “In that case, carry on.” I felt my wings, my old wings were growing again. He wanted to give me supper, if you please. I never expected it. “It is 7:00 now, you can have supper with me.” I said, “At 7:00 I must be at the theater. It’s a night show. I have to be there. It’s my job.” He said, “All right.” So I went.

The first person I met in the theater was Ben Topf. He looked at me and said, “Mrs. Mukherji, what happened to you?” I said, “Nothing happened to me.” “You look 20 years younger.” I said, “Do I?” I said, “I met a great man.” “What kind of great man?” I said, “Sven Hedin, the great explorer of Central Asia. The one who found out the real way that Lop Nor and other Central Asian lakes go around and round and round. They fol­low the same route.” He said, “For that you are so pleased to meet that man?” And I said, “Yes I am. I am interested in arche­ology and explorations. What can you expect?” He didn’t believe me, of course. He found it queer. He wouldn’t have found it queer for long.

And Time Rolls On, pp. 54–56

In October ’46, I was staying at 104 Grosvenor Road, in a very quiet room. It was a building for nurses, a kind of hostel for nurses. They used to sleep in the daytime. At night they were on duty. So it was perfectly quiet in the daytime and at night. And that’s what I wanted. I liked physical peace. So I was there on the night of the 15th to 16th of October ’46. And I never read the papers. I didn’t want to read them. I didn’t want to see the evolution of the trial at Nuremberg. I hated it. But I couldn’t sleep. I couldn’t. I couldn’t detach my mind from the fact that I knew, without reading the papers—every­body knew it—that the 11 were to be killed on that night.

I was thinking about it. I was thinking about it. And then sud­denly, I was not asleep, but I felt exactly as I used to feel after my exercises at Hatha yoga ten years before.[4] I was no longer in that room. I don’t know how I went through the walls. I was in Göring’s cell. And I saw Göring just as I see you. He was seated with his hands like this.[5] And suddenly he did like that. As though he saw me and was rather astonished. I had some­thing in my right hand, a tiny little piece of I don’t know what, something I held. And I said to him, “No fear”—“keine Angst.” “No fear. I’m not an enemy. I’m one of your people. I wish I could save you all from this ignominy, but unfortu­nately the heavenly powers gave me permission to save one, and one only, up to my choice, and I chose you because of your kindness to creatures. Because of your solicitude to ani­mals.”

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Göring had been a hunter in his youth. He had given it up. And he liked animals, that’s true. But some hunters do at the same time they’re hunters. He had a leopard for a pet. The leopard used to lie at his feet and purr, like a big cat. I knew that. What I knew also was that he contributed with the Führer to the setting up of the Reichsjagdgesetz,[6] a book thick like that. It is much more than a regulation of hunting. It’s a protection of nature. Traps are forbidden. One man hunting by himself is forbidden. It must be two. If an animal is wounded the other one will shoot it. Mustn’t kill fe­males. Mustn’t, mustn’t, mustn’t, mustn’t. The Führer could not forbid hunting altogether. He did what he could to lessen the effect, and Göring had a part of that.

That I knew before I got into this kind of queer state. I said to him, “Take this,” and gave him what I had in my right hand. I said, “Take this, and don’t allow these people to kill you as a criminal. You are not one. Anything but. Now I must go. Good-bye. Heil Hitler!” And I vanished. And I didn’t see any­thing of the kind. I fell completely unconscious after that. I saw Göring, and I was unconscious. I gave him whatever I had to give him. I was unconscious.

I woke up. It was 10:00 in the morning. I never wake up at 10:00. I wake up at 6:00. I never sleep like that. I opened my eyes. I said, “What a queer experience I had. Where did I go last night?” Anyhow, I bathed quickly, and I went downstairs. It was a rainy day, drizzly. I never bought a paper as I told you. I wasn’t going to buy the paper on the 16th of October, anything but. But I couldn’t help seeing the headlines on the papers. There was a newspaper kiosk just opposite. Headlines like that. Eight centimeters high. “Göring found dead in his cell, half past two in the morning. Nobody knows who gave him the poison. Potassium cyanide.”

I’ll never forget it. And I felt cold all over my body. It seemed to me that I saw the Nataraja, the dancing Shiva, as he is presented in Hindu tem­ples, dancing in the clouds. And I said, “If this has been done through me, use me in greater things still. If it’s me, that’s the best thing I did in my life.” I don’t know what really happened, to this day. I know what experience I had. I know what I felt. I know what I saw. I don’t know anything more. Is it a genuine experience? What is it? I just don’t know. I don’t pretend to know, and I don’t like to speak of what I don’t know.

Less than two years later, on June 6th, 1948, I met Sven Hedin, who is a scholar of Tibetology and has roamed all over Central Asia and seen things in Ladakh and Tibet. I asked him, “What would people in Ladakh or Tibet think of this?” He said, “My dear, they would find that the most natural thing in the world. That is no problem for a Tibetan or for a Ladakhi, for a Buddhist Lama. No problem at all. You went into the astral plane. You gave Göring some astral potassium cyanide, and it materialized in his hand. He took it and died, instead of being hanged.” I said, “I wish I could’ve done it for the 11.” “Well, you could for one. Be thankful that you could for one.” That’s what Sven Hedin told me. I don’t know any more than that. I never had a psychic experience in my life. That’s the only one.

And Time Rolls On, pp. 48–50

Notes

1. Ram Gopal (1912–2003) was one of the leaders of the revival of classical Indian dance and one of the most celebrated and widely traveled dancers of the 20th century. See his Rhythm in the Heavens: The Autobiography of Ram Gopal (London: Secker and Warburg, 1957).

2. On Hedin and Savitri’s first propaganda trip through occupied Germany, see Gold in the Furnace, ch. 4, “The Unfor­gettable Night.”

3. Savitri supplies a translation of the flyer in Gold in the Furnace: “In the midst of untold hardships and suffering, hold fast to our glorious National Socialist faith, and resist! Defy our persecutors! Defy the people, defy the forces that are working to ‘de-Nazify’ the German nation and the world at large! Nothing can destroy that which is built in truth. We are the pure gold put to test in the furnace. Let the furnace blaze and roar! Nothing can destroy us. One day we shall rise and triumph again. Hope and wait! Heil Hitler!” (Gold in the Furnace, 34).

4. See ch. 3, §9 below.

5. According to Sven Hedin (1865–1952), diary entry of 6 June 1948, Savitri told him that, “Han satt med huvudet i händerna” (“He [Göring] sat with his head in his hands”) (The papers of Sven Hedin, box 41, National Archives of Sweden).

6. Reich Hunting Law.


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

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[1] Image: http://www.counter-currents.com/wp-content/uploads/2013/02/Sven-Hedin.jpg

[2] And Time Rolls On: The Savitri Devi Interviews: http://www.counter-currents.com/2013/02/and-time-rolls-on-now-in-kindle-and-nook/

[3] Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Sven_Hedin

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dimanche, 24 février 2013

Eurasian Doctrine of Kazakh President Nursultan Nazarbayev

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Eurasian Doctrine of Kazakh President Nursultan Nazarbayev: "Thinking space"

 

Kazakhstan becomes a nodal point of the post-Soviet space today. In this context it should be considered not as an ordinary state, balancing between global "centers of power", but as a key element of the great intercivilizational zone stretching through the whole of Eurasia. Whether the zone stays what it was for centuries - the "inner corridor" of Eurasia, separating or linking its civilizations, depends on the Kazakhstan’s fate. That fact brings us inevitably to the geopolitical problems.

It should be noted that for many years Central Asia has been the object of interest for geopoliticians. From the point of view of traditional geopolitics Eurasia is not just a "gap" between "Great Europe" and "Great Asia" - but it is a special cultural and civilizational world, a self-organizing "great space."
 
It should be observed that the debate about the nature and purpose of space in modern geopolitical thought is far from being over. Positivist science of political geography focuses on the phenomena of "objective" external character: the balance of weapons, geographical location of transit infrastructures, etc.
 
Traditional geography and geopolitics are based on the idea of ontological heterogeneity of terrestrial space, on the prevalence of anthropological, civilizational, religious and spiritual factors in determination of the fate and vocation of many nations.
 
For example, modern French researchers do not like to call themselves "geopoliticians", but consider themselves most likely as geographers working at the intersections of geography and history. These sciences, in particular, express their deep surprise that in Germany they still speak about the “Space” (“Raum”) or the "Big space» (“Grossraum”) in the geopolitical discourse. 
 
The concept of “space” is considered “empty” or “abstract” by French researchers, who consequently prefer speaking about the “territory” which  they link to the interests of a certain community and a “collective identity formation”. As a result, according to the French approach the geopolitics itself is defined as the “analysis of contradictions among different types of power institutes of the territory” [1], which narrows the object to geopolitical study, replacing it actually with political geography. 
 
At the same time, within the Eurasian geopolitical research school the desired synthesis has been carried out, and as a result the category of "space" has acquired human, historical, cultural and civilizational contents. That synthesis was embodied in the concept of "local development" which denotes the inseparable connection of space with history and destiny of individuals, societies and nations, with the unique cultural characteristics of the civilization.
 
 As an example of such a "local development" (a model of political, social and economic development which character is defined by country or region location) can be considered as Eurasia in general, so Kazakhstan with its great strategic power as the integral part of “Eurasian space”. What does "to think space" mean, for the founders of states and prominent public figures in this context? 
 
From the author’s point of view it means, first of all, the possibility to correlate spatial, cultural, civilizational and socio-economic characteristics of the states they head with the logic of their history and contemporary political process, and the possibility to draw up the domestic and foreign policy course according to the long-term national, regional and global political trends.
 
One of the founding fathers of classical geopolitics theory K. Haushofer has the same point of view on the “Big space” concept. Speaking on formation of continental alliance connecting European and Asian continents he supposes that “every considerable formations and structures don’t appear ready from the head of some great statesman like the famous Greek goddess of war in her stately spiritual image. A competent person knows that the creation of such formations is a long-term process. I am pleased to admit young colleagues-geographers that I must produce evidence on the formation of a new Euro-Asian continental policy perhaps, more than any other senior representative of the geographical science ". [2]
 
The fullest realization of “thinking space” tendency has been  found in eurasianism  - the movement of Russian intellectuals emigrant groups connected on the first place with the attempt of understanding the origins and consequences of the October Revolution. The movement itself appeared in 1921 in Prague and Sofia, and was founded by four young emigrants from Belorussia - P. Savitsky, geographer, P. Suvchinsky, musicologist, N.Trubetskoy, philologist and Slavicist, Father G. Florovsky, religious philosopher and publicist. Among them there were such prominent Eurasians as religious thinker L.P. Karsavin, famous historian G.V. Vernadsky, lawyer and political scientist Nikolai Alekseev, orientalist V. Nikitin, writer V. N. Ivanov.
 
Much has been said on strong and weak sides of Eurasianism in the historiographical literature. It is admitted that Eurasianism is one of the most significant political theories of the twentieth century bringing up the question on determination of Eurasia’s place in the world. The fact that Eurasians find grounds for necessity of harmonious coexistence of Slavic and Turkish people, Orthodox Christianity, Islam and Buddhism, as a guarantee of integrity and stability of the post-Soviet space are also very important.
 
In parallel the negative sides of the Eurasian doctrine are accentuated. It's pretty clear that when taken to the extreme Eurasianism can act as an ideology justifying totalitarian and autarchic model, causing isolation from the West.
 
How do the subsequent interpretation of this doctrine reproduce and (or) overcome the disadvantages of the "classical Eurasianism"? Perhaps the biggest scientific interpreter of the Eurasianism ideology is Lev Gumilev (1912 - 1992) – a famous Russian historian, anthropologist and philosopher, author of the original teaching about the nature and life of ethnic groups - ethnology. His decade stay at the camp with one of the founders of Eurasianism Peter Sawicki influenced much on his views formation.
 
Actually there were three main ideas of Gumilev’s "Eurasian conception": the first two were adopted, the third was original. The first of them considers the Russian Empire and the USSR historical forms of Eurasian statehood, coming from the empire of Genghis Khan. The second defines the Turkic and Muslim Eurasian peoples as Russian natural allies in their fight against West expansion, as it is equally fatal to any of the "Eurasian power" to unite with it. [3]
 
However, despite the original and profound Gumilev’s interpretation of Russian history, Eurasianism remained for him mainly a geopolitical metaphor. The prominent Russian historian and ethnologist has not formulated yet his specific proposals to arrange the political and socio-economic life of Eurasian countries and peoples. It took time to perceive deeply and completely his ideas.
 
And the time has come. 1990s was the time of large-scale policy changes related to political self-determination and self-assertion in the post-emerging new nation-states, with special and important place occupied by Kazakhstan. At the same time, the 1990s was the period of an increasing interest to the Eurasianism and the conception of underestimated outstanding scientist L. Gumilev.
 
  To bring the key imperatives of Eurasianism to life its entirely new interpretation has been required, as well as the escape from the "mythopoetic" shade, specification of its cultural and civilizational imperatives. This kind of a "modernization" of the Eurasian studies could be used for searching for the most appropriate model of economic and political organization of the post-Soviet space.
 
Thereupon it is no mere chance that the most active and consistent supporter of the Eurasian concept concerning modern political realities is the president of the Republic of Kazakhstan Nursultan Nazarbayev. The leader of a young and dynamic state saw its realization in his project of the Eurasian Union, subsequently implemented in practice in the model of the Eurasian Economic Community (EAEC), and the Customs Union of Russia, Kazakhstan and Belarus founded in 2010.
 
The Eurasian Union project declared in the mid 1990s yet, was supposed to unite new independent CIS states (conserving their political sovereignty) into a common economic space. A little later, N. Nazarbayev repeated his offer with a new meaning - he proposed the creation of the Eurasian Economic Union. This project, as experience has shown, had the fundamental political, historical and cultural base as a result of the Kazakhstan’s specificity as a Eurasian power. The ideology of Eurasianism was officially recognized in Kazakhstan, and one of Kazakhstan's leading universities - the Eurasian National University in Astana - was named after a prominent ideologist of Eurasianism Lev Gumilev.
 
In general we can distinguish following basic features of the "Eurasian concept" by President Nursultan Nazarbayev. In the author’s opinion, they consist in a firm compliance with the following principles:
1) A realistic character, absence of "the ideology primacy";
2) The tendency to connect firmly the idea of "Eurasian integration" in the post-Soviet space with the purposes and objectives of modernization;
3) Focus on the priority of interests of the Republic of Kazakhstan as a sovereign independent State;
4) Realistic reflection of the current state of "the post-Soviet space" and main trends of its development.
5) Review of the prospects of "Eurasian integration" in the context of a multidirectional strategy adopted by the Kazakh government.
6) The tendency to close coordination of the economic and political integration.
7) consulting not only Kazakh and Russian interests within the "Integration Project," but the interests of Central Asian states as well. [4]
 
What factors ensure the success of the geopolitical position of Kazakhstan? Firstly, as Kazakh experts noted, Kazakhstan, represented by the leader Nursultan Nazarbayev, has a strong political will. Secondly, after years of independence Kazakhstan has practically implemented its will in the unique economic, social, political and humanitarian projects of modernization. Thirdly, the Republic of Kazakhstan is the heir of the centuries-old nomadic culture, which passionarity has strongly affected the global world formation since ancient times. Today this passionarity has been realized in proposing a number of initiatives answering the meaning and the essence interpreted in the frames of the contemporary Eurasian doctrine.
 
It is president Nazarbayev who has consistently been reinforcing the status of Kazakhstan as the leader country of the Central Asian region, who seeks to carry out in practice Eurasian principles interpreted in a modern key without confirming to politics or economics. Nursultan Nazarbayev is also an author of cultural and civilizational initiatives (World and traditional religions forum) in the contemporary crisis of the world and is trying to strengthen the dialogue between countries, civilizations and continents. Kazakhstan, a member of the main important institutions of post-Soviet space (CSTO, EurAsEC, Customs Union) and international organizations (the Organization “the Islamic Conference”), expanding its cooperation with the European countries within the OSCE, can play a very important role in establishment and realization of the multilateral partnership.
 
All these achievements and efforts could not stay unnoticed by western and eastern leaders. In this context it is not surprising that for the past several years, many states, representing those cultural civilizational "worlds", seek the partnership with Kazakhstan as a promising economic partner and a key political actor in the complex and little predictable Central Asian region.
 
Due to the realization of complex strategies by the leader of the nation modern Kazakhstan successively transforms into the Eurasian hub, one of the most dynamic and stable states in the territory of the CIS. At the same time, it serves a good example of inter-ethnic and religious tolerance, moderate Muslim country that has become a sort of a "bridge between East and West."
 
Domestic policy strategy of Kazakhstan answers the Eurasian imperatives, particularly in the field of nation-building politics. Over the centuries destinies of many people with different cultures, religions and traditions crossed on the historical Kazakh land. So the unique situation was created in when representatives of 140 ethnic groups and 40 confessions live peacefully together with the Kazakhs. Meanwhile a long-term cohabitation of different ethnic groups has formed a strong tradition of tolerance in the society.
 
Thus, today there are all necessary foundations for leaders, elites and peoples of Russia, Kazakhstan and Belarus to make a new decisive and qualitative step to the “Eurasian integration” - the orientation founded in the early 1990s by the national leader, president of Kazakhstan, Nursultan Nazarbayev, who has updated and is filled in the ideology of Eurasianism with a modern and concrete meaning.
 
Cited literature:
1. Lacoste Y. Fuer eine neue und umfassende Konzeption der Geopolitik // Welttrends. – 1994. - № 4. – P. 24.
2. Хаусхофер К. Континентальный блок // Элементы. – 1997. - №7. – P. 32.
3. Гумилев Л. Н. Заметки последнего евразийца. // Наше наследие. – 1991. - № 3. - P. 24 - 26.
4. Назарбаев Н. А. Евразийский союз: идеи, практика, перспективы, 1994-1997. – М.: Фонд содействия развитию соц. и полит. наук, 1997.  – 497 p.
 
English translation by Natalia Biryukova

dimanche, 17 février 2013

Interview of Dari Dugina

Interview of Dari Dugina :

“We Live In The Era Of The End”

 

Open Revolt is very happy to present a conversation between the Eurasian Youth Union’s Dari Dougina and our own James Porrazzo.

Dari, the daugher of Alexander Dugin, in addition to her work in the Eurasian Youth Union is also the director of the project Alternative Europe for the Global Revolutionary Alliance.

Dari you are a second generation Eurasianist, daughter of our most important thinker and leader Alexander Dugin. Do you care to share with us your thoughts on being a young militant this deep into the Kali Yuga?

We live in the era of the end – that’s the end of culture, philosophy, politics, ideology. That’s the time without real movement; the Fukuyama’s gloomy prophecy of the ”end of history” turns to be a kind of reality. That’s the essence of Modernity, of Kali Yuga. We are living in the momentum of Finis Mundi. The arrival of Antichrist is in the agenda. This deep and exhausting night is the reign of quantity, masked by the tempting concepts such as Rhizome of Gilles Deleuze: the pieces of the modern Subject changes into the ”chair-woman” from the “Tokyo Gore Police” (post-modern Japanese film) – the individual of the modern paradigm turns into the pieces of dividuum. ”God is dead” and his place is occupied by the fragments of individual. But if we make a political analysis we will find out that this new state of the world is the project of liberalism. The extravagant ideas of Foucault seemingly revolutionary in their pathos after more scruple analyze show their conformist and (secretly) liberal bottom, that goes against the traditional hierarchy of values, establishing pervert “new order” where the summit is occupied by the self-adoring individual, atomistic decay. 
That’s hard to fight against the modernity, but sure – it’s unbearable to live in it – to agree with this state of the things – where all the systems are changed and the traditional values became a parody – being purged and mocked in all spheres of controls of modern paradigms. That’s the reign of the cultural hegemony.
 And this state of the world bothers us. We fight against it – for the divine order – for the ideal hierarchy. The cast-system in modern world is completely forgotten and transformed into a parody. But it has a fundamental point. In Plato’s republic – there is very interesting and important thought: casts and vertical hierarchy in politics are nothing but the reflection of the world of ideas and higher good. This model in politics manifests the basic metaphysical principles of the normal (spiritual) world. Destroying the primordial cast system it in the society – we negate the dignity of the divine being and his Order. Resigning from the casts system and traditional order, brilliantly described by Dumezil, we damage the hierarchy of our soul. Our soul is nothing but the system of casts with a wide harmony of justice which unites 3 parts of the soul (the philosophical – the intellect, the guardian – the will, and the merchants – the lust). 
Fighting for the tradition we are fighting for our deep nature as the human creature. Man is not something granted – it s the aim. And we are fighting for the truth of human nature (to be human is to strive to the superhumanity). That can be called a holly war.

What does the Fourth Political Theory mean to you?

That’s the light of the truth, of something rarely authentic in the post-modern times. That’s the right accent on the degrees of existence – the natural chords of the world laws. That’s something which grows up on the ruins of the human experience. There is no success without the first attempts – all of the past ideologies contained in them something what caused their failure.

The Fourth Political Theory – that’s the project of the best sides of divine order that can be manifested in our world – from liberalism we take the idea of the democracy (but not in it’s modern meaning) and  liberty in the Evolian sense; from communism we accept the idea of solidarity, anti-capitalism, anti-individualism and the idea of collectivism; from fascism we take the concept of vertical hierarchy and the will to power – the heroic codex of the Indo-European warrior.

All these past ideologies suffered from grave shortcomings – democracy with the addition of liberalism became  tyranny (the worst state-regime by Plato), communism defended the technocentric world with no traditions and origins, fascism followed the wrong geopolitical orientation, its racism was Western, Modern, liberal and anti-traditional.

The Fourth Political Theory is the global transgression of this defects – the final design of the future (open) history. It’s the only way to defend the truth.

For us – truth is the multipolar world, the blossoming variety of different cultures and traditions.

We are against racism, against the cultural and strategic racism of the USA’s Western modern civilization, which is perfectly described by professor John M. Hobson in ”The Europocentric conception of world politics”. The structural (open or subliminal) racism destroys charming complexity of the human societies – primitive or complex.

Do you find any special challenges as both a young woman and a activist in this age?

This spiritual war against (post)Modern world gives me the force to live.

I know, that I’m fighting against the hegemony of evil for the truth of the eternal Tradition. It is obscured now, not completely lost. Without it nothing could exist.

I think that any gender and age has its forms to access  the Tradition and its ways to challenge  Modernity.

My existential practice is to abdicate most values of the globalist youth. I think we need to be different from this thrash. I don’t believe in anything modern. Modernity is always wrong.

I consider love to be a form of initiation and spiritual realization. And the family should be the union of  spiritually similar persons.

Beyond your father, obviously, who else would you suggest young militants wishing to learn our ideas study?

I recommend to make acquaintance with the books of Rene Guenon, Julius Evola, Jean Parvulesco, Henri Corbin, Claudio Mutti, Sheikh Imran Nazar Hosein (traditionalism); Plato, Proclus, Schelling, Nietzsche, Martin Heidegger, E. Cioran (philosophy); Carl Schmitt, Alain de Benoist, Alain Soral (politics); John M. Hobson, Fabio Petito (IR); Gilbert Durand, G. Dumezil (sociology). The base kit of reading for our intellectual and political revolution.

You’ve now spent some time living in Western Europe. How would you compare the state of the West to the East, after first hand experience?

In fact, before my arrival to Europe I thought that this civilization is absolutely dead and no revolt could be possible there. I was comparing the modern liberal Europe to bog, with no possibility to protest against the hegemony of  liberalism.

Reading the foreign European press, seeing the articles with titles as ”Putin – the satan of Russia” / ” the luxury life of poor president Putin” / ” pussy riot – the great martyrs of the rotten Russia” – this idea was almost confirmed. But after a while I’ve found some political anti-globalist groups and movements of France – like Egalite&Reconcilation,  Engarda, Fils de France etc – and everything changed.

The swamps of Europe have transformed into something else – with the hidden possibility of revolt. I’ve found the ”other Europe”, the ”alternative” hidden empire, the secret geopolitical pole.

The real secret Europe should be awakened to fight and destroy its liberal double.

Now I’m absolutely sure, that there are 2 Europes; absolutely different – liberal decadent Atlanticist Europe and alternative Europe ( anti-globalist, anti-liberal, Eurasia-orientated).

Guenon wrote in the ”Crisis of the modern world” that we must divide the state of being anti-modern and anti-Western. To be against the modernity – is to help Occident in its fight against  Modernity, which is constructed on liberal codes. Europe has it’s own fundamental culture (I recommend the book of Alain de Benoist – “The traditions of Europe”). So I found this alternative, secret, powerful, Traditionalist other Europe and I put my hopes on its secret guardians.

We’ve organized with Egalite&Reconcilation a conference in Bordeaux in October with Alexander Dugin and Christian Bouchet in a huge hall but there was no place for all the volunteers who wanted to see this conference.

It shows that something begins to move…

Concerning my views on Russia – I’ve remarked that the bigger part of European people don’t trust the media information – and the interest to Russia grows up – it’s seen in the mode of learning Russian, of watching soviet films and many European people understand that the media of Europe are totally influenced by the hegemonic Leviathan, liberal globalist machine of lies.

So the seeds of protest are in the soil, with  time they’ll grow up, destroying the ”society of spectacle”.

Your whole family is a great inspiration to us here at Open Revolt and New Resistance. Do you have a message for your friends and comrades in North America?

I really can’t help admiring your intensive revolutionary work! The way you are working – in the media – is the way of killing the enemy ”with it’s own poison”, using the network warfare strategy. Evola spoke about that in his excellent book ”Ride the tiger”.

Uomo differenzziato is someone who stays in the center of modern civilization but don’t accept it in his inner empire of his heroic soul. He can use the means and arms of modernity to cause a mortal wound to the reign of quantity and its golems.

I can understand that the situation in USA now is difficult to stand. It’s the center of hell, but Holderlin wrote that the hero must throw himself into abyss, into the heart of the night and thus conquer the darkness.

Any closing thoughts you’d like to share?

Studying in the faculthttp://openrevolt.info/2013/01/23/we-live-in-the-era-of-the-end-a-interview-with-dari-dougina/y of philosophy and working on Plato and neo-platonism, I can remark, that politics is nothing but the manifestation of the basic metaphysical principles which lays in the fundament of being.

Making political war for the Fourth Political Theory we are also establishing the metaphysical order – manifesting it in the material world.

Our struggle is not only for the ideal human state – it is also the holy war for reestablishing the right ontology.

http://openrevolt.info/2013/01/23/we-live-in-the-era-of-the-end-a-interview-with-dari-dougina/

mercredi, 09 janvier 2013

Eurasia and Europe: Dialogue of “Big Spaces”

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Natella Speranskaya

Eurasia and Europe: Dialogue of “Big Spaces”

 
Carl Schmitt regarded the earth as a single whole and was looking for its global mission. This "whole" was formed by Schmitt in the concept of Nomos. He used the Greek word derived from the verb «nemein», which is identical to German “nehmen” - “to take”. Nomos comprises three acts of the drama: "taking", "division and distribution of the taken", "exploitation and use of the taken and distributed." According to Schmitt, Nomos of the Earth existed always. First Nomos is described as a "promised land" of ancient peoples. It is the Nomos of the ancient times and the Middle Ages. It ceased to exist after the exploration of the great oceans and the American continent. Thus began the Second Nomos, the Nomos of national sovereign states that had the Eurocentric structure. Events of the World War II led to its destruction, so that the land was divided into east and west, which were in a state of "cold war". It is not about mere geographic opposites, but a more original and profound contradistinctions. Carl Schmitt wrote: "The whole history of the planetary confrontation of East and West in its entirety is reducible to the fundamental dualism of the elements: Earth and Water, Land and Sea. What we now call the East, is a single mass of solid land: Russia, China and India - a huge piece of land, the "Middle Earth", as named by the great English geographer Sir Halford Mackinder. What we call today the West, is one of the world's oceans, hemispheres, where the Atlantic and Pacific oceans are placed. Confrontation of the sea and land powers, worlds - is the global truth that lies at the heart of explanation of civilization dualism that constantly generates a planetary stress and stimulates the whole process of history ." Thus, the birth of a third Nomos was caused by division of the world between the West and the East. However, it was destroyed with the fall of the Berlin Wall and the collapse of the Soviet Union.

Schmitt's understanding of "three Nomoses of the Earth" brings us to the question, what will be the fourth Nomos of the Earth? Alexander Dugin, the founder of the theory of a multipolar world, the founder of the Russian school of geopolitics, believes that the new Nomos of the Earth will be a Nomos of large continental logic of the Eurasian continent. Certainly, the worst possible option would be a unipolar, globalist Nomos. Which of the Nomoses will be established depends on the strategic decision of Heartland, Russia, the civilization of land.

Italian political scientist Tiberio Graziani thinks, that Russia "has everything necessary to fulfill the historical role of the cornerstone of the whole global system," and he regards its location in the heart of Eurasia to be one of its most important elements. That is why all the strategic decisions of Atlanticists imply  fragmentation of the Heartland, considering that this process will provide the accession of a unipolar order. Alexander Dugin says, "On that, whether Russia can be sufficiently weakened, split and destabilized, and subjected by its fragments to the external power, largely depends the fate of globalization." And further: "For anyone who is serious about counter American hegemony, globalization and planetary domination of the West (Atlanticism), the axiom should become the following statement: The fate of the world order is decided at the moment only in Russia by Russia and through Russia." To describe the time in which we now live, the prominent sociologist Zygmunt Bauman applies the concept of Interregnum – so was called in ancient Rome the period between the death of Caesar and the accession of another one. It is a state of instability, uncertainty, unpredictability, when the demolition of the old order is as obvious as the emergence of the new one is. But what this new order (and, accordingly, the new Nomos) will be - is unknown. In the context of the changes of the new world order, we can speak of  paradigmatic shift from the "unipolar moment" to the formation of a multipolar world order. In other words, the focus should be on the end of the era of unipolarity, because there are all essential conditions for the realization of the alternative project. According to Huntington, the unipolar state is able to "effectively deal with all the major international problems alone, and none of the unions of other states can even be hypothetically capable of stopping it." It is difficult to deny that the hegemon represented by the United States now has no serious opponent, whether a coalition of states or, quite incredibly, a single state  that shows such strong potential that it inevitably involves the speedy restoration of the bipolar order.

According to Zygmunt Bauman, about 60-70 years ago an event occurred that contributed to a fundamental change in global politics: the gap between Macht and Staat, in other words, between Might and Politics, Might and the State (which are integral aspects of the Power) led to the situation, when Macht (Might) moved to supra-national space. Thus, the nation-state could no longer control it. In unipolar paradigm namely national states are actors of international relations. The said gap means neither more nor less than a gradual slippage to non-polarity. Namely, this, according to Richard Haass, Director of Foreign Policy Studies at the Brookings Institute and head of CFR, will determine international relations in the XXI century. Nation-states are nearly deprived of possibility of efficiency, "of doing things" (as Bauman understands Macht), emerging into a state of political paralysis. Antonio Gramsci treated Interregnum as a period when the old is no longer working, and the new has not yet appeared.

We are "stuck" between unipolarity and multipolarity, and have no idea what should the solution to this situation be. Of course, the question arises: what to do? And, above all, question themselves nation-states, de jure retained the ability to make decisions , but Zygmunt Bauman rightly argues that under current circumstances, the question should be formulated in a different way: who will do what is necessary rather than what to do? Which actor will assume responsibility for the actions that solve fundamental problems? Sure, we do not consider like such nation-states. Instead, we turn to the theory developed by Alexander Dugin, the Theory of the Multipolar World. Book with the same title gives a clear picture of what is happening in the field of international relations today: when the bipolar model of the world order has changed to unipolar one, it came to mean the triumph of the liberal-democratic ideology . The West has modeled values and guidelines system that were imposed upon the world as universal. Thus, the West came to the consistent implementation of the control (dictatorship) of cognitive and strategic spheres. The area of international relations became "American Science", the content of the discussions was reduced to polemical confrontation between realists and liberals. The diplomatic corps itself was formed within the unipolar world and the Western discourse, Western mentality, where political actors are  the national states. Another model of the world order, namely the multi-polar model, involves a form of organization of spaces based on several actors - "civilizations", as rightly pointed out by Samuel Huntington. This leads us to the formation of a new diplomatic corps and the new diplomatic language based on a multipolar world order. And the most progressive political thinkers have already come to a conclusion about the need to change the paradigm of international relations. One of them just raised the question of what will be next, others - have found the answer and freely operate  the basic concepts of the new system. It is impossible not to recognize the fact that the vast majority of politically engaged figures remain under the old paradigm, failing to perceive  the ongoing shift, which will commence the new historical period, completely changing the picture of the world politics . The Unipolar world - is yesterday. Here and now we are discussing the change of the unipolar paradigm to the multi-polar one, poly-civilizational.

Theory of the multipolar world suggests to establish new actors in international relations, which are of civilizations , and each of them, by definition, has a strategic center, serving as the subject of dialogue in international relations and, therefore, the subject of power. The transition from national states to civilizations is an inevitable consequence of the rupture described by Zygmunt Bauman.

Specialist in International Relations, Professor Adam Roberts notes the loss of a leading U.S. role in the current world order. Asked who will perform their receiver , he gives a completely obvious answer: no one. More precisely, we have not yet entered the period of interregnum, but just got close to it, and all that is happening in global politics - is the agony of the dying Caesar (USA).

The genuine emergence into Interregnum will happen with the final loss of the U.S. role as the world's hegemon and the cancellation of a "unipolar moment." It is here that the danger appears, that in the period of interregnum and consistent implementation of the formative stages of a multipolar world order will come "The variable geometry" of the nonpolarity and everything will be in the melting pot of globalization; we are immersed in liquid modernity (Z.Bauman), the main feature of which is "non-directedness of changes”, that is lack of strict direction, guideline, which ultimately makes us unprepared to respond to sudden challenges, elusive from any calculations and projections. The collapse of the Soviet Union occurred suddenly as lightning, completely changing the landscape of history. Non-polarity, which seems to come, may become a needed respite, a period of possibility of full value formation of the new model of the world order - for it is impossible to deny that the paradigmatic shift, followed by the demolition of numerous structures, will not be able to quickly create in all areas of Political  all the necessary conditions for the accession of the multipolar order. Non-polarity, Interregnum in the XXI century - are the funeral of the retired Caesar and the preparation for the enthronement of the new rulers (in the plural), that is rise of the poles, power centers.

Non-polarity is a "decapitation" of the U.S., but at the same time it can be called the attempt of the hegemon to maintain its influence through self-dispersion, dissolution. Under these circumstances it is strictly necessary to prevent delays, getting stuck in post-liberal environment and humility with a "coherent non-polarity." New actors must challenge the postmodern "non- directedness of changes" now and knowingly take absolute responsibility for strategic decisions and actions in the field of political practice. The leading research associate of the New America Foundation, Parag Khanna, analyzing the current situation and the precarious position of the U.S., discusses a critical role of diplomacy towards which the focus should be shifted . For improvement of the global diplomatic structure is laid the responsibility of the strengthening of U.S. hegemony . However, he does not take into account the fact that the diplomatic language is undergoing  a significant reformatting in the context of  paradigmatic shift to multipolar model, and this process is irreversible. Now we have to discuss  the dialogue of civilizations. The dialogue is built on a completely different level, which is beyond the rules of the dialogue between national states (i.e., outside the imposed Western discourse), with the U.S. having the unltimate decision-making power . Unless we understand that the battle for the world domination is not between civilizations, but a single (western) civilization with all the "other" ones, which are offered only two options: 1) to be on the side of this civilization, 2) or to be against it, defending the right for their own independence and uniqueness - we are not able to form a new diplomatic language for civilizational dialogue. And this should be understood, above all, by the elite of civilization, responsible, according to Alexander Dugin, for the conduct of the dialogue. If all the "others" agree with the unipolar project, our battle is lost, but if they make a radically different choice, we are waiting for  the "rise of the rest" (Fareed Zakaria). We should note that the world-famous British political scientist Paul Kennedy expresses his concerns about the emergence of the ideological differences between the U.S. and Europe, due to opposition to one of the projects of the world order - unipolar or multipolar. In the current environment we should not just rely on the increased conflict between Europe and America, but prepare the situation of split and division of the former from the hegemonic influence of the latter . Here Russia has a special role.

However, we must admit, that during the last decades, Russia increasingly moved away from its original purpose - to be a bridge between East and West. Interregnum can be our chance to recover, a chance for Russia to become and be. The theory of a multipolar world can be considered to be the starting point of the end of the unipolar era and of entry into the "post-American" period, a feature of which will be the presence of several poles (the subjects of inter-civilizational dialogue) and the certain elimination of an identity crisis, because in a multipolar world identity acquires a civilizational character. Today our dialogue with Europe is a dialogue of "big spaces"; in the new system of international relations GROSSRAUM becomes an operational concept of multipolarity. Alexander Dugin offers the "FOUR-polar" or "quadri-polar" model of the world, which consists of four world zones.

In the first zone, under the full control of the United States, there are two or three "big spaces." We get two "big spaces" by combining the U.S. and Canada - on the one hand, and Latin America - on the other. According to Alexander Dugin, three "big spaces" can emerge when "we shall divide those Latin American countries that are sufficiently well integrated with the U.S. and are completely under their control, and those that tend to create their own geo-political zone, challenging the U.S."..

The second zone is the area of Euro-Africa with the European Union as Its undoubted pole . Here appear  three "big spaces": the European Union, the black  Africa and the Arab GROSSRAUM.

The third zone is Eurasia with Russia (Heartland ) as its pole. Meanwhile, Prof. Dugin indicates, there are also a number of regional centers of power, namely Turkey (if it chooses the Eurasian path), Iran, Pakistan and India. Thus, the Eurasian zone consists of several "great spaces": Russia and CIS countries are the Russian-Eurasian GROSSRAUM. Three "great spaces" are also Turkey, Iran, India and Pakistan.

 The fourth zone - is the Pacific region. Its pole can become either China (which is a "big space") or Japan (potential GROSSRAUM, having all the essential factors - economic, geopolitical, technological, etc.- for its recovery:).

Justifying the basic guidelines for practical action to build a multipolar world, Professor Dugin focuses on the following directions:

1. Strategic reorganization of Heartland.

This implies the geopolitical activity of "middle earth" and the implementation of integration projects aimed at strengthening of the multipolar model.

2. Changes in the minds of the political elite of Russia.

Mainly he focuses on acquiring geopolitical thinking, as well as the high level of competence in the field of social science, sociology, and history. "The elite of Russia should understand themselves as the elite of Heartland, should think in Eurasian categories, not just on a national scale, herewith being clearly aware of the non-applicability of the atlanticist and globalist scenario to Russia" - writes A. Dugin. We cannot speak of any awakening of elite, until it makes a conscious choice towards Eurasianism, rejecting blind attempts to play up anti-Russian scenarios of Atlantist strategists.

3. The model of building relations between Russia and the United States.

With the understanding of destructive U.S. policies aimed at dismantling Russia for the absolute control of the whole Eurasia, these relationships become irreversibly hostile. We need to undertake drastic actions in order to prevent the NATO presence in the Eurasian "big space" and weakening of Heartland.

4. The model of building relations with Europe.

This model involves a strategic partnership with countries, adhering to the policy of the continental tradition - France, Germany, Italy and Spain. Here it is appropriate to talk about the project of axis "Paris-Berlin-Moscow". Another situation is deployed with countries of "New Europe", as well as England – that are oriented against Russia and have a tendency to adapt to the requirements of Washington.

5. The project "Great Eastern Europe."

This project includes the Slavs (Slovaks, Czechs, Poles, Bulgarians, Serbs, Croats, Slovenes, Bosnians, Macedonians, Serbs-Muslims), Orthodox (Macedonians, Serbs, Bulgarians, Greeks and Romanians). Prof. Dugin says that Hungarians are the only people who do not fall into the "Orthodox" category and at the same time they cannot be called the "Slavic". Hungarians have a Eurasian-Turanian origin.

6. Heartland and Western CIS countries.

It is about the multi-polar integration of Russia, Ukraine and Belarus, which belong to the area of Heartland, a single strategic structure. This political action will prevent the risk of entry of Belarus and Ukraine into NATO. Special attention is given to Moldova, whose integration with Romania, which is a part of NATO, seems to be impossible until the implementation of the project of the "Great Eastern Europe."

7. Eurasian Middle East and the role of Turkey.

Prof. Dugin mentions the American project the «Greater Middle East Project» concerning the Middle East. It implies the democratization and modernization of Middle Eastern societies, and strengthening of the military presence of the U.S. and NATO. Guided by conflicting interests, the strategy of Heartland in this direction should include political actions directed towards Turkey’s exit from NATO and the creation of the axis "Moscow - Ankara." Furthermore, the project of axis "Moscow - Tehran" should be taken with the utmost attention. According to Alexander Dugin, Iran is a "strategic space that automatically solves the problem of converting Heartland into a force in the global world." Neither Russia nor Iran should allow the implementation of the scenario, laid in the project of the "Greater Central Asia” (Greater Central Asia Partnership). Its launch would inevitably lead to the emergence of the "sanitary cordon", which would hardly separate Russia from Iran. In addition, having included such countries as Georgia, Afghanistan, Armenia, Azerbaijan, Kyrgyzstan, Kazakhstan, Uzbekistan, this cordon would make those countries controlled by American influence. The union of Russia and Iran, of course, will solve yet another fundamental problem, namely, it will open the "anaconda’s terret", depriving American strategists of any possibility of preventing marine operations of Russia.

 The strategy of Heartland should include projects of integration of Russia, Kazakhstan and Tajikistan into a single economic and customs space. In turn, the relationship with Pakistan should be built in strict accordance with the strategy of displacement of U.S. forces from this area. Alexander Dugin points to the need for a new model of relations with Afghanistan's Pashtun majority.

8. Axis "Moscow-Delhi."

Relationships with politically neutral "big space" of India should be directed towards achieving partnership. The main objective of this axis is to deter attempts of Washington to deploy its dominance in the South Asian region.

9. Russian-Chinese relations.

Prof. Dugin focuses on two difficult issues such as:

- Demographic spread of Chinese in sparsely populated areas of Siberia,

- China's influence in Central Asia.

It is necessary to build a balanced relationship with China, focusing on the fundamental point of strategic contact – support of the idea of the multipolar world.

10. Russian - Japanese relations.

Prof. Dugin indicates the need for the release of Japan from the American influence and the support of Japan as a sovereign regional power. Here it is appropriate to talk about  the project of axis "Moscow - Tokyo" as an integral part of Asian politics of Eurasia. "The alliance with Japan is vital - says Alexander Dugin, in his work "The bases of Geopolitics" – the Moscow-Tokyo axis, contrary to the Moscow - Beijing axis is an important and perspective, providing such prospects for continental empire-building, that will finally make Eurasia geopolitically completed, at the same time extremely weakening the Atlantist empire of the West, if not destroying it finally".

11. The geopolitics of the Arctic zone.

The following countries tend to control this zone: USA, Canada, Norway, Denmark and Russia. All of these countries (except Russia) are NATO members. Conquering territories in the polar region, and joining the race to develop large deposits of minerals, to its future plans Russia included the creation of a widescale system of communication and monitoring in the Arctic. Russia claims the polar area with size of 1.2 million square kilometers, with the incoming North Pole. In 2011 a brave move of the Russian researchers who had planted a Russian flag on the seabed of the Arctic Ocean  has been highly publicized by American media.

There is no doubt that we enter into a battle for the fundamental changes of the rules of political discourse, carrying out the task of undermining the basic principles of Western hegemony. The implementation of the multi-polar project, contrary to the considerations of skeptical Western political scientists, depends on the political course which Russia will adhere. The choice towards Eurasianism shows the approaching readiness to take the next step in building a new world order.

Natella Speranskaya

jeudi, 08 novembre 2012

La Russie, puissance d’Eurasie

Vient de paraître : La Russie, puissance d’Eurasie – Histoire géopolitique des origines à Poutine, d’Arnaud Leclercq

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Vient de paraître : La Russie, puissance d'Eurasie - Histoire géopolitique des origines à Poutine, d'Arnaud Leclercq 

4ème de couverture : Après l’effondrement du soviétisme, le plus vaste pays du monde est passé de la superpuissance à l’humiliation, avant de redevenir un acteur majeur du monde multipolaire. Forte de son identité retrouvée et gorgée de richesses naturelles, la Russie dispose d’atouts considérables, comme les nouvelles routes de la soie ou celles de l’Arctique, qui feront d’elle la superpuissance eurasiatique tournée vers une nouvelle économie-monde centrée en Asie. Loin des clichés médiatiques, plongeant dans les profondeurs de l’histoire et de la géopolitique, Arnaud Leclercq nous offre une réflexion atypique et inscrite dans la longue durée, nourrie d’une connaissance intime des Russes. Il met en lumière les constantes religieuses, identitaires, politiques de la Russie et trace les perspectives d’une puissance qui, n’en déplaise à l’Occident, sera de plus en plus incontournable.

Auteur : Arnaud Leclercq (www.arnaudleclercq.com)
Éditeur : Ellipses
Date de parution : 01/11/2012
ISBN : 2729876456 – EAN : 978-2729876456
Prix : 24,40 euros

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lundi, 05 novembre 2012

Horseback Riding and Bronze Age Pastoralism in the Eurasian Steppes

Horseback Riding and Bronze Age Pastoralism in the Eurasian Steppes

jeudi, 01 novembre 2012

Indo-European Dispersals and the Eurasian Steppe with J.P. Mallory

Indo-European Dispersals and the Eurasian Steppe with J.P. Mallory